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DEBITO PUBBLICO
LE NUOVE PRIVATIZZAZIONI PER INCASSARE
DENARO? SONO LE ILLUSIONI DI STATO
di Ferruccio de Bortoli
Privatizzare? Da
trent’anni abbiamo
poche strategie e
troppe illusioni
di Isidoro Trovato
Alleggerire le quote di
maggioranza relativa
di Eni, Enel, Leonardo
e Terna, specie con
operazioni dettate
dall’urgenza, potrebbe
deprimere il corso dei
titoli. Lungo questo
percorso si gioca poi
un’interpretazione
sempre più estensiva
(e non sempre
giustificata) del
cosiddetto golden
power. Un saggio
scritto da un
banchiere di lungo
corso, Pietro Modiano,
e dall’economista
Marco Onado per Il
Mulino, offre sul tema
delle privatizzazioni
straordinari elementi
di riflessione oltre a
una disamina
impietosa del declino
economico del Paese.
Errori ne sono stati
f i i i
fatti tanti, troppi.
Anche da chi
(scrivente compreso)
si è illuso che l’uscita
dello Stato creasse di
per sé gruppi privati
più forti e
internazionalizzati.
Non è stato così, salvo
pochissime eccezioni.
Abbiamo invece
tristemente assistito a
tanti industriali,
anche bravi nel loro
settore, che
parteciparono alle
privatizzazioni «non
tanto per portare
know how
imprenditoriale o per
assumere dimensioni
più consone alla
competizione globale
— scrivono Modiano e
Onado — quanto per
passare dal settore
manifatturiero a
quello dei servizi, cioè
per rifugiarsi in
attività non tradable,
al riparo dalla
concorrenza
internazionale o
comunque protette
dalla politica».
Il titolo del libro è
Illusioni perdute. Alla
Balzac. Questa
impietosa disamina
d ll i i i i
delle privatizzazioni,
avviate ormai
trent’anni fa, non
dovrebbe
ulteriormente
accendere trasversali
istinti statalisti —
nostalgie di Iri, Efim,
Federconsorzi, Egam
che crollarono onusti
di debiti e ormai preda
dei partiti — ma
spingere la classe
dirigente nel suo
complesso,
soprattutto quella
privata, a un esame di
coscienza. Un
approfondimento
finora mancato sul
perché, per esempio,
non abbiamo quasi
più grandi aziende
mentre speravamo
ardentemente di
crearne di nuove e
robuste proprio
attraverso le vendite
delle partecipazioni
statali.
Il principale gruppo
industriale non è più,
legittimamente,
italiano (Fiat oggi
Stellantis) ma il suo
esodo silenzioso non
ha suscitato alcuna
vera discussione.
Abbiamo certo, ottime
medie industrie,
spesso leader di
i di
segmenti di mercato
anche piccoli, di
rilevante valore. Un
orgoglio. Ma, come
notano gli autori, le
medie imprese
eccellenti —
escludendo quelle
appartenenti a gruppi
maggiori o a controllo
estero — coprono solo
il 2,4 per cento del Pil.
Vi è poi un universo di
oltre 4 milioni di
microimprese,
intrepide e
volenterose finché si
vuole, «ma incapaci di
crescere al di fuori dei
loro mercati locali,
molte delle quali per
stare in piedi devono
uscire dalle regole e
pagare il lavoro sotto
il livello di
sussistenza».
Il meccanismo
PRIVATIZZAZIONI
17 ott 2023
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