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SERGIO SCIARELLI

RIASSUNTO DI:

LA GESTIONE

DELLIMPRESA
Ottava Edizione

CEDAM
PARTE PRIMA
ELEMENTI DI ECONOMIA DELLIMPRESA
Capitolo Primo: IL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO
1. I CONCETTI DI <<AMBIENTE>> E <<MERCATO>>.
Limpresa vive allinterno di un ambiente pi vasto con il quale scambia risorse e crea ricchezza. Questo ambiente pu
scomporsi in due contesti: micro-ambiente,definito dai mercati con cui limpresa attiva lo scambio di risorse,e un macroambiente da cui ne derivano le condizioni e i vincoli entro cui questo scambio pu verificarsi. Il micro-ambiente pu a
sua volta essere diviso in due gruppi: ambiente transazionale e ambiente competitivo.
AMBIENTE TRANSAZIONALE: Ogni impresa avr bisogno di attingere certe risorse dallesterno collegandosi nei vari
mercati con un insieme di transazioni o atti di scambio. Il tipo di risorse dipender dalle comparazioni di convenienza tra
il produrre allinterno i materiali o il procedere allacquisto allesterno. Pi limpresa si orienta nella prima soluzione pi
si render autonoma nei confronti del mercato. Al contrario pi si far ricorso al mercato pi si amplier lambiente
transazionale con il quale limpresa dovr interagire.
AMBIENTE COMPETITIVO: Invece dipender dalla scelta delle porzioni di mercato a cui cedere beni e servizi prodotti.
Limpresa definir lambiente competitivo di riferimento. Opera in un micro-ambiente inserito nel macro-ambiente dove
vi saranno pi interlocutori (stakeholder) a cui dovr rivolgersi per le risorse. Questi interlocutori si raggrupperanno
formando dei mercati con il quale limpresa dovr attivare un sistema dimpresa.
Ogni impresa si collegher dunque con:

Il mercato del lavoro: costituito dallofferta del lavoro


Il mercato della produzione: composto dai produttori di materie prime, semilavorati,
impianti macchinari ecc
Il mercato finanziario: composto dalle Borse Valori, dagli intermediari finanziari e
da altri prestatori di capitale
Il mercato di vendita: costituito dai potenziali acquirenti dei beni o servizi prodotti

2. LAMBIENTE QUALE CONTESTO GENERALE DI RIFERIMENTO PER LIMPRESA


Lambiente pu essere inteso come il contesto socio-economico allinterno del quale limpresa chiamata a svolgere le
sue funzioni.
Questo contesto regolato da una serie di condizioni politiche,legislative, sociali, culturali ed economiche che

determinano il sistema di vincoli-opportunit entro cui dovr trovare sviluppo lattivit aziendale. Lambiente sul piano
teorico pu essere scomposto in quattro sub-sistemi generali:

Il
Il
Il
Il

sistema
sistema
sistema
sistema

o ambiente politico-istituzionale
culturale-tecnologico
demografico-sociale
economico

Il sistema o ambiente politico-istituzionale rappresentato dalla forma di governo e dallordinamento legislativo


prevalenti nel territorio considerato. Esercita delle influenze di primaria importanza sulla vita dellimpresa, il cui ruolo e
le cui alternative di gestione possono essere pi o meno vincolate dalle leggi, dagli interventi e dai controlli dei poteri
pubblici. Poi sussistono delle influenze indirette relative al rapporto tra sistema politico e sistema economico.
Lambiente culturale-tecnologico pu essere inteso, sotto il profilo culturale, come il contesto entro cui si affermano
le manifestazioni tradizionali della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo. La cultura definibile secondo una
molteplicit di aspetti,in quanto trova espressione nei vari modi di vivere e di pensare che caratterizzano una societ. Si
compone di una serie di elementi ciascuno dei quali concorre ad influenzare il sistema di valori del singolo individuo e
della societ nel suo complesso. Influenza sia coloro che operano allinterno dellimpresa sia i gruppi esterni. Scienza e
tecnologia rappresentano un prodotto della cultura. La tecnologia influenza limpiego delle risorse mentre la cultura si
riflette anche sul loro consumo sotto forma di beni e servizi prodotti. La prima considerata da molti un sottosistema
dellambiente culturale.
Lambiente demografico-sociale definito dalla struttura della popolazione residente e dalle relazioni fra gli individui
e i gruppi che la compongono. Laspetto demografico divenuto ancora pi importante in unepoca nella quale si vanno
affermando delle tendenze di profondo mutamento della struttura della popolazione. Sotto il profilo sociale ciascun
individuo, in funzione della professione svolta, delle capacit intellettive possedute, dei sentimenti,degli interessi, delle
aspirazioni tende a collocarsi in una certa classe sociale e a muoversi allinterno di essa per raggiungere posizioni via
via superiori. Lambiente sociale risente in misura determinante del modo in cui si presenta il contesto politico e
culturale. La stratificazione sociale determina i modelli di riferimento per i singoli,sulle cui scelte incide non solo
laspetto psicologico ma anche quello sociologico. Il rapporto tra il singolo e il gruppo sociale finisce per esercitare un
ruolo determinante nelle scelte e pu creare opportunit o minacce.
Lambiente economico coinvolge la sfera di rapporti che vede limpresa protagonista nei confronti dellaggregato
politico-sociale. Rappresenta il complesso delle macro-variabili che compongono lordinamento economico prevalente in
un ambito territoriale. Si ha la distinzione fra economia di mercato, cio un sistema a decisioni decentrate, regolato
dalle leggi di mercato ,e economie di mercato, cio un sistema in cui le decisioni sono prese solo al centro mediante
lelaborazione di piani governativi nazionali. Nelleconomie di mercato prevale il principio della libera iniziativa e quello
della propriet privata dei mezzi di produzione,quindi sono <economie liberiste> mentre nellaltro tipo di economie
tutto regolato dal piano, anche luso dei mezzi di produzione, che sono di propriet della collettivit. Per questo motivo
si adoperano economie di piano. Dunque limpresa un organo dello Stato, cio una struttura con limitata autonomia
decisionale per quanto attiene alle strategie da perseguire. Oggi nel nostro Paese molti servizi pubblici sono stati
privatizzati e sono di fatto esercitati in regime di concorrenza mentre per altri si auspica da anni la privatizzazione.
Questo perch si fa discendere tre benefici:il miglioramento dellefficienza nella prestazione del servizio, laccentuazione
della concorrenza, con conseguente riduzione delle tariffe, e lottenimento di risorse finanziarie per lo Stato e gli Enti
Locali.
3. I RAPPORTI TRA IMPRESA,IL MICRO-AMBIENTE E IL MACRO-AMBIENTE.
Non infrequente che limpresa,con le sue scelte, possa influenzare il micro-ambiente e il macro-ambiente. Opera in un
contesto esterno che si specifica in funzione delle caratteristiche dei comportamenti di gestione adottati. Limpresa non
pu scegliersi il macro-ambiente mentre pu scegliersi lambiente transazionale e competitivo allinterno del quale
operare. Per le aziende pi grandi il macro-ambiente finisce per essere una variabile e non un vincolo da rispettare.
Lambiente determina il sistema dei vincoli-opportunit entro cui si dipana la gestione aziendale. I vincoli sono connessi
con ciascun ambiente descritto prima. Non poche sono le influenze che le stesse imprese esercitano verso lambiente in
cui vivono.
E intuibile che i maggiori centri di potere economico detengono un rilevante potere politico. Questo potere
extramercato finisce per incidere su tutte le variabili ambientali secondo uno schema di interrelazioni. Tale schema
consente di intravedere un nesso assai stretto fra evoluzione dellambiente e trasformazione dellorganizzazione
aziendale. Nellinterpretazione dei rapporti impresa-ambiente due sono i principali fili conduttori:il progresso
tecnologico e lequilibrio politico internazionale. Il progresso tecnologico influenza in modo considerevole la struttura di
un settore industriale e la posizione competitiva delle imprese. A mano a mano che si diffonde il progresso tecnologico
si modificano il tipo, il modo e lorganizzazione delle produzioni; mentre, a misura che procede lo sviluppo economico,
migliora il livello di vita delle societ, aumenta il reddito pro-capite, cresce in misura proporzionalmente pi elevata la
quota di reddito discrezionale a disposizione del consumatore e le scelte di questultimo si rivolgono non tanto alla
selezione di beni, quanto a quella di ampliamento dei bisogni. Il progresso tecnologico contribuisce anche ad aprire a
nuove classi di consumatori bisogni gi avvertiti, mediante una sostanziale riduzione del prezzo del bene. I fenomeni
economici risultano influenzati in larga misura dalla stabilit politica e dalle condizioni di sicurezza delleconomia
mondiale Questi fenomeni si propagano con immediatezza da un Paese allaltro, determinando situazioni di crisi, di
prosperit, di incertezza nello svolgersi dei rapporti economici. Si pu osservare che gli eventi di politica economica
internazionale che hanno contrassegnato lultimo ventennio, hanno modificato le caratteristiche dellambiente
socioeconomico. Turbolenza, ostilit diversit, complessit e insicurezza sono i connotati ambientali che limpresa deve
imparare a fronteggiare.

4. GLI EFFETTI DELLINTERNALIZZAZIONE E DELLA GLOBALIZZAZIONE

Le modifiche avvenute negli ultimi anni, avvenute a seguito della <<compressione>> del tempo e dello spazio, hanno
fatto si che si diffondessero mezzi di trasporto e comunicazione sempre pi veloci ed efficienti, per eliminare il fatto
<<distanza>>. Proprio questi mutamenti hanno fatto si che vi fosse bisogno di flessibilit ed efficienza nellimpresa. La
maggiore complessit non dovuta solo ai fenomeni di turbolenza, ma anche ai processi di internazionalizzazione
delleconomia e di globalizzazione dei mercati. Ci significa che anche le piccole e medie imprese hanno dovuto imparare
a proteggersi dalla concorrenza agguerrita delle imprese straniere, per poter concorrere su scala internazionale
allacquisizione delle risorse e al collocamento delle produzioni realizzate, su scala internazionale. Il concetto di
<<globalizzazione>> deve essere inteso come processo di convergenza, a livello mondiale, degli aspetti culturali, politici
ed economici e come il superamento del controllo sociale degli Stati nazionali sulleconomia ( globalizzazione del
capitalismo: sottrazione della forza e delle logiche del capitale al controllo sociale degli Stati nazionali). Loggetto della
protesta dei <<no global>> quindi la possibilit di un distacco sempre pi marcato tra paesi ricchi e paesi poveri. Nel
caso delleconomia di impresa il concetto deve essere approfondito sotto laspetto dellinterrelazione su scala mondiale di
certi mercati, che ampliano la concorrenza a livello internazionale, e sotto laspetto dellomogeneit della domanda, che
rende possibile la standardizzazione delle politiche aziendali nei vari Paesi serviti. In altre parole, la globalizzazione si
riferisce ad un mercato senza confini geografici, piuttosto che ad un mercato mondiale omogeneo. Oggi si parla di
industria globale per intendere un settore produttivo allinterno del quale la posizione competitiva di unimpresa di un
certo Paese viene influenzata in modo rilevante dalla posizione che essa in grado di conquistare e di mantenere in altri
Paesi. Ci rende pi difficile la delimitazione dei settori industriali e impone allimpresa una maggiore mobilit.

Capitolo Secondo: LIMPRESA COME SISTEMA


1. LIMPRESA QUALE SISTEMA SOCIO-TECNICO
IMPRESA: organizzazione di persone e beni rivolta a uno scopo produttivo. Ogni impresa ha una struttura specifica, ma
tutte hanno come fine quello di mettere approfitto risorse scarse creando ricchezza.
Come ottiene ricchezza?
12345-

Bisogna soddisfare dei bisogni umani;


Le risorse vengono trasformate;
Con le risorse trasformate, si soddisfano i bisogni umani;
Luomo paga per avere quella risorsa;
Attraverso lo scambio si genera un utile o reddito.

Quindi lo SCAMBIO, il fulcro del concetto di impresa perch per lo scambio che limpresa prende le risorse e le
trasforma. Per trasformarle limpresa sostiene dei costi, che recupera attraverso il reddito, cio il divario positivo tra ricavi
e costi. Per trasformare le risorse in modo da farle valere pi del prezzo di acquisto (principio di marginalit), limpresa
deve essere organizzata in modo specifico e efficiente. Quindi limpresa un organizzazione economica che, usando
diverse risorse, svolge dei processi di acquisizione di beni e servizi per scambiarli con entit esterne per generare reddito.
Limpresa pu essere vista come un sistema che opera con altri sistemi in cui inserita, lambiente e il mercato. Un

sistema un complesso interrelato di parti, cio le parti che lo compongono sono dipendenti tra loro. Per cui l impresa
un sistema ordinato, fatto da molte parti che sono interdipendenti tra loro rispetto a un obiettivo condiviso, inserito in
un macro-ambiente, dato da ambiente + mercato e per questo deve essere dinamico, cio cambia dimensione e risorse
per adattarsi allambiente.
I sistemi possono essere pi o meno complessi, Boulding ne individua nove tipi e secondo la sua classificazione si pu dire
che l impresa un sistema sociale di tipo aperto: un sistema perch fatto da parti e ogni parte svolge una funzione ma
tutte sono coordinate tra loro per raggiungere un unico obiettivo.
Aperto perch per operare deve interagire con altri sistemi attraverso lo scambio, che pu essere di input
(approvvigiono), e di output (prodotti finiti). Per queste caratteristiche limpresa spesso avvicinata a un corpo vivente,
ma questo parallelo non corretto perch limpresa prima di tutto, vuole perdurare nel tempo e quindi oltre la morte del
fondatore, e poi limpresa ha un fine e i suoi sforzi sono mirano a quello, mentre un corpo cresce anche senza volerlo.
Allinterno dellimpresa operano persone e mezzi tecnologici, ed entrambi vanno organizzati, per cui si pu parlare di
sistema aperto di tipo socio-tecnico.
2. LA VISIONE SOCIALE DELLIMPRESA
Limpresa non scambia solo beni e servizi, ma deve anche migliorare lambiente in cui opera (corporate social
responsability) e quindi stringe con lambiente degli accordi su come deve o pu funzionare. Dato che il continuo scambio
di risorse influenza la vita della collettivit, limpresa diventa protagonista e responsabile del contributo che produce.

3. LE MOLTEPLICI FUNZIONI DELLIMPRESA


Limpresa rappresenta una realt complessa intorno a cui si sviluppa una rete di rapporti di scambio, collaborazione,
informazione e interessi. Essa infatti svolge diversi ruoli nei confronti di chi vi partecipa, del mercato e dellambiente
socio-economico e costituisce, allo stesso tempo, una realt sociale, giuridica, economica ed organizzativa.
Le imprese vivono mediante i rapporti interpersonali tra le persone operanti nellimpresa. Il successo o la <<crisi
aziendale>> trovano quasi sempre origine nella capacit o incapacit di creare i rapporti giusti tra i vari interlocutori o
<<stakeholder<< e nel governare tali rapporti in modo favorevole allo sviluppo o producendo fenomeni involutivi
dellorganizzazione.
Ogni azienda pu essere vista sotto tre diversi profili:
- Organizzazione economica: in quanto organizzazione economica il suo scopo il soddisfacimento di bisogni umani
mediante la messa a frutto di risorse trovabili in natura in misura limitata o non completamente idonee a soddisfare i
bisogni umani. Mediante la funzione aziendale si genera maggiore utilit delle risorse per la collettivit, che dovrebbe
concorrere al miglioramento delle condizioni dellambiente socio-economico, poich limpresa opera a beneficio dellintera
societ;
- Sistema sociale: limpresa, come centro di coagulazione degli sforzi di un insieme di gruppi sociali, va vista anche
come distributrice della ricchezza creata, rappresentando uno strumento per il soddisfacimento delle necessit
soprattutto di coloro che operano al suo interno. La vita aziendale infatti si dirama intorno ad una serie di rapporti di
scambio. E evidente che la funzione primaria quella di rappresentare una fonte di lavoro e di sostentamento per coloro
che fanno parte della sua organizzazione;
- Struttura patrimoniale: limpresa pu essere vista come struttura patrimoniale, ossia il complesso di beni organizzato
e retto per lo svolgimento dei processi produttivi. Questo aspetto richiama due fattori importanti nella vita di qualsiasi
organismo aziendale: il capitale e la capacit imprenditoriale. Infatti la funzione principale dellimpresa e quella di
investire il proprio capitale e le proprie capacit imprenditoriali, soggetti a certi coefficienti di rischio, per produrre
reddito.
Ovviamente i tre profili devono coesistere, anche se a volte si tende a privilegiarne alcuni rispetto ad altri. Potrebbe
esistere un ordine di importanza, ma spesso lo sviluppo aziendale sconvolge il suddetto ordine in base alle esigenze
dellimpresa, poich la funzione pi importante quella di produrre reddito.

4. LIMPRESA QUALE SISTEMA COGNITIVO


Questa teoria si basa sul concetto che il vero patrimonio dellimpresa dato dallaccumulo continuo delle sue conoscenze
(sia quelle di chi vi lavora, sia quelle prodotte lavorando, know-how) e non da ci che possiede a livello materiale. Le
immobilizzazioni immateriali,come i brevetti, sono qualcosa che si crea nel tempo attraverso procedure (le routine), stili di
management, ecc non attraverso produzioni. In questo senso limpresa un sistema di conoscenze che produce nuova
conoscenza.
Quando limpresa riesce ad apprendere lavorando (learning by doing), il sapere e i valori si accumulano, e questo
processo ancora pi efficiente quando la gestione riesce a trasmettere e incorporare questi due elementi. Quindi anche
se non si pu dimenticare la materialit dellimpresa, si pu comunque dire che un sistema complesso in cui s

intrecciano elementi tangibili e non tangibili ,immobilizzazioni materiali e non, tecnologia e intelligenza, risorse umane e
finanziarie secondo un disegno che ha SEMPRE Come obiettivo la produzione di valore.

5. GLI ASPETTI TIPICI DELLIMPRESA


I concetti fondamentali per chi deve gestire unimpresa sono:
a) Limpresa un sistema aperto, perch vive in simbiosi con lambiente esterno;
b) Limpresa allo stesso tempo unorganizzazione sia economica che sociale;
c) Limpresa deve svolgere una triplice funzione in rapporto al suo essere organizzazione economica, sistema sociale e
struttura patrimoniale;
d) Limpresa, in quanto sistema cognitivo, deve produrre conoscenza per promuovere linnovazione;
e) Limpresa, quale sistema cooperativo-conflittuale, devessere gestita migliorando i rapporti di collaborazione e
riducendo le occasioni di conflitto con i suoi interlocutori.

Capitolo Terzo: I PROTAGONISTI DELLA VITA DELLIMPRESA: LA TEORIA DEGLI <<STAKEHOLDER>>


Tra i soggetti che operano nellimpresa bisogna fare una distinzione tra quelli che si occupano della gestione, (organi di
governo) e quelli che sono in posizione subordinata rispetto a questi. Entrambi legati alla sopravvivenza aziendale.
Limpresa non pu pi essere rivolta solo a finalit imprenditoriali di profitto, diventata un sistema si economico, ma
anche sociale, perch coinvolge molti gruppi che ne influenzano la gestione e sono a loro volta influenzati da essa. La sua
importanza sociale legata alle ricadute delle azioni che modificano lambiente in cui opera, mentre quella economica
data dalla ricchezza che genera. Possiamo allora definire l impresa come unistituzione sociale a finalit plurime, in cui
principi economici e sociali si mescolano fino a trovare un equilibrio che consenta allimpresa d sopravvivere nel lungo
tempo.

1. GLI ORGANI DI GOVERNO NELLIMPRESA: IMPRENDITORIALITA E MANAGERIALITA

La figura centrale nellimpresa resta limprenditore, perch il soggetto economico che decide di rischiare i suoi capitali e
usare le proprie capacit nellimpresa. La gestione pu essere nelle mani dellimprenditore proprietario, o in quelle del
manager. Si distinguono allora due funzioni di governo, quella imprenditoriale e quella manageriale. Schumpeter si basa
sulle innovazioni come focus dellimprenditorialit, perch solo limprenditore pu essere interessato a promuovere un
cambiamento. Le caratteristiche (leadership, spirito diniziativa, capacit di previsione, intuito) dellimprenditore fanno si
che egli arrivi a valutare e decidere in modo diverso da chi opera con i suoi stessi obiettivi in situazioni simili, anche
perch ha acceso a informazioni particolari cui gli altri non possono accedere. Per cui imprenditorialit lattitudine a
prendere decisioni anche rischiose per innovare i comportamenti dellazienda, managerialit sviluppare queste decisioni
e metterle in pratica razionalmente. Uno decide laltro deve saper mettere in pratica in modo razionale. A questo si
collegano i concetti di efficienza e efficacia, che combinati fanno si che limpresa abbia successo. L efficacia tipica dell
imprenditore che deve prendere le decisioni migliori, mentre l efficienza tipica del manager, che a fronte delle scelte
prese, deve trovare il modo migliore per attuarle.
Nellimpresa vi sono due tipi di organi, quelli che decidono e quelli che le eseguono. Facendo una classificazione degli
organi se ne individuano 3: deliberanti , esecutivi e di controllo. In realt questi organi non sono sempre divisi in maniera
cos netta nelle imprese, ma utile fare questa distinzione a livello teorico, per capirne le diverse caratteristiche.

Deliberanti: composti da coloro che prendono le decisioni, hanno pi potere discrezionale nel
prendere queste decisioni, per cui le scelte che fanno riguardano tutta lazienda;

Esecutivi: coloro che le eseguono hanno un margine di scelta ridotto, relativo solo alla loro area di

lavoro;

Controllo: coloro che controllano la coerenza tra esecuzione e decisione. Questi organi sono
costituiti dallinsieme di 3 organi : di propriet (azionisti), amministrativi e di direzione, che anche se
con competenze diverse, valutano insieme le decisioni da prendere.
Lautorit da sola non una condizione sufficiente per decidere, servono anche capacit di controllo delle operazioni,
disponibilit di informazioni e abilit professionale: queste caratteristiche dovrebbero essere peculiari per una buona
governance. Questi requisiti, al crescere della complessit ambientale e tecnologica, diventano sempre pi importanti per
prendere le decisioni migliori e quindi il potere non sar pi legato allo status dellorganizzazione, ma ai requisiti
soggettivi necessari.

2. LA PLURALITA DEI SOGGETTI IN RELAZIONE CON LIMPRESA: LA TEORIA DEGLI <<STAKEHOLDER>>


L impresa entra quindi in contatto con molti gruppi sociali, i quali influenzano le politiche di gestione aziendale e ne sono
a loro volta influenzati. Per questa reciproca influenza, questi gruppi diventano interlocutori dellazienda e ognuno, nello
scambio, ha degli interessi da difendere, per cui detto stakeholder, cio portatore dinteresse. Prima gli stakeholder
erano solo i gruppi che avevano un interesse diretto nellazienda, per esempio i lavoratori, che firmano un contratto e
vogliono vederlo rispettato, ma proprio per lampliarsi dellinfluenza aziendale sullambiente, oggi anche i gruppi con
interessi indiretti vengono considerati stakeholder; caso tipico dato dai gruppi ambientalisti, i cui interessi vanno
considerati dallimpresa al momento di decidere. Gli stakeholder possono essere divisi in primari e secondari: i primi
incidono direttamente sulle scelte della gestione aziendale, i secondi incidono pi sul clima sociale delle relazioni
aziendali e quindi influenzano i comportamenti di lungo termine. Individuare vari tipi di stakeholder fa capire che a
ognuno bisogna dare una risposta specifica in base allinteresse che ha, e dato che talvolta questi gruppi hanno interessi
convergenti o contrapposti, chi decide deve tenere conto anche di questo. Dato che i diversi interessi influenzano la
gestione dellimpresa, compito dellimprenditore diventa allora gestire i rapporti con i vari stakeholder e questo significa:
1)
2)
3)
4)

INDIVIDUARLI;
STABILIRE IL LORO PESO;
VALUTARE CHE INTERESSI HANNO;
ORIENTARE LA MISSIONE DELLIMPRESA ANCHE IN BASE A LORO.

Tutto questo esalta ancora di pi il ruolo dellimprenditore, che deve farsi carico degli obiettivi da seguire e delle
condizioni di sviluppo. Secondo la teoria degli stakeholder l impresa si pu definire come unorganizzazione economica,
che, attraverso la combinazione delle risorse, produce e scambia beni e servizi con stakeholder interni e esterni. Tale
scambio fatto per generare e distribuire valore tra i diversi processi di scambio.

3. LIMPORTANZA, NEL
<<STAKEHOLDER>>

GOVERNO

DELLIMPRESA,

DELLINDIVIDUAZIONE

CLASSIFICAZIONE

DEGLI

Capire il comportamento di chi ho di fronte aiuta a definire in che modo comportarsi, quindi gli stakeholder vengono divisi
in 4 categorie a seconda del grado di collaborazione, contrasto o minaccia verso limpresa.
Vi sono stakeholder:
-AMICHEVOLI (supportive): da cui vi un sostegno
-AVVERSARI (non supportive): che generano difficolt
-NON ORIENTATI (mixed blessing): a seconda delle volte possono essere daiuto o dostacolo
-MARGINALI: non hanno peso.
A seconda del tipo di stakeholder con cui ci si confronta si adotteranno:
-Strategie di collaborazione con i supportive,
-Ricerca di collaborazione con i non orientati
-Di difesa con i non supportive,
-Di monitoraggio con i marginali
Gestire unimpresa considerando anche gli interessi degli stakeholder pi difficile che gestirla solo in funzione delle
finalit dellimprenditore, ma sicuramente pi proficuo. Il ruolo centrale sempre dellimprenditore che oltre a
rapportarsi con gli stakeholder, deve mantenere un equilibrio generale che sia favorevole allo sviluppo aziendale. La
propriet ha un ruolo problematico nella teoria degli stakeholder perch esiste una propriet investitrice, limprenditore e
il management. Limprenditore cura il rapporto con gli stakeholder e quindi non uno di loro. Ma nel caso in cui la
propriet gestita da un manager, anche limprenditore diventa uno stakeholder. Limpresa deve remunerare i suoi
investitori attraverso i dividendi. Questo comporta che esisteranno degli stakeholder con una retribuzione fissata da
contratto, e altri che riceveranno solo ci che resta del profitto dopo che questo stato distribuito tra gli altri (azionisti). In
realt sappiamo benissimo che questa parte non pu essere residuale, perch ne andrebbe della quotazione dellimpresa.
Si crea una sorta di accordo tacito per cui ci che viene distribuito non pu essere residuale, ma deve essere
massimizzato. Se ci non accade limpresa pu decidere di licenziare il management o disinvestire. (teoria dellagenzia)
La relazione di agenzia definita come "un contratto in base al quale una o pi persone(principale) obbliga un'altra
persona (agente) a ricoprire per suo conto una data mansione,che implica una delega di potere all'agente". Il contratto di
agenzia, per, presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento opportunistico delle parti, che tendono a massimizzare la
propria utilit (tale comportamento opportunistico non eliminabile, pu essere tuttavia limitato).
In particolare vi possono essere due tipi di opportunismo:
-SELEZIONE AVVERSA (opportunismo ex ante): l'agente fornir al principale informazioni erronee o incomplete sulle
proprie capacit e competenze per farsi assumere.
- AZZARDO MORALE (opportunismo ex post): costituito dal comportamento scorretto che l'agente mette in atto in
presenza di asimmetrie informative in quanto esso sicuramente a conoscenza di un maggior numero di informazioni
rispetto al principale sul ruolo da svolgere, e pu sfruttare queste asimmetrie informative tenendo comportamenti
opportunistici.
La teoria dell'agenzia suppone che i comportamenti opportunistici dell'agente non siano eliminabili, e che praticamente
impossibile che esso operi nell'interesse del principale;questo genera dei costi detti "costi di agenzia":
COSTI DI SORVEGLIANZA ED INCENTIVAZIONE: necessari per orientare il comportamento dell'agente;
COSTI DI OBBLIGAZIONE: che l'agente deve sostenere per assicurare il principale che non adotter comportamenti
opportunistici che lo possano danneggiare, ed eventualmente indennizzarlo;
PARTE RESIDUA: che rappresentata dalla differenza tra l'utilit derivante dal comportamento effettivo dell'agente e
l'utilit derivante dal comportamento che avrebbe dovuto tenere l'agente.
La teoria dell'agenzia riguarda dunque in generale qualsiasi relazione principale-agente in cui vi sia una delega di potere
dall'uno all'altro; ha avuto tuttavia molta influenza sullo sviluppo di sistemi retributivi di manager basati non su una
retribuzione fissa, ma su un tipo di retribuzione variabile in base ai risultati dell'impresa e su altri tipi di incentivi
(partecipazione azionaria, stock option) volti a limitare i comportamenti opportunistici dei manager.

Capitolo Quarto: LE MOTIVAZIONI DEI PARTECIPANTI ALLIMPRESA E LE TEORIE SULLE FINALITA


IMPRENDITORIALI
1. PREMESSA SULLE MOTIVAZIONI DEI PARTECIPANTI ALLIMPRESA
Schematizzando, limprenditore punta allottenimento del profitto, i dirigenti e i lavoratori alla retribuzione e alla
progressione di carriera, i fornitori a trarre vantaggio dalle relazioni commerciali, i finanziatori ad intessere rapporti
daffari; tutti gli elementi puntano ad un incremento del valore globale creato dalla gestione e gli elementi di contrasto
possono nascere nella successiva distribuzione del valore stesso. Il governo aziendale deve essere dunque indirizzato a
valorizzare gli elementi cooperativi e a contenere quelli conflittuali. Per far ci deve saper promuovere un processo di
fusione tra obiettivi aziendali e individuali. Nel contesto, la figura centrale quella dellimprenditore, poich le finalit da
lui perseguite non possono essere condizionate da quelle di altri soggetti esterni e interni

2. LE FINALITA DEI COMPORTAMENTI IMPRENDITORIALI


Lazienda lespressione della volont imprenditoriale. I fini non sono dettati dallazienda, ma da coloro che la governano
e che cercano di raggiungere determinati scopi. Da un punto di vista oggettivo uninsieme di risorse, da un punto di
vista soggettivo uno strumento nelle mani dellimprenditore. Le finalit in oggetto sono quelle del soggetto economico,
cio chi materialmente controlla lazienda, ma questo soggetto pu essere pubblico, privato, diretto o delegato, come nel
caso dei manager. A seconda del tipo di soggetto si osservano varie finalit.

3. UN BREVE RICHIAMO ALLE TEORIE CLASSICHE SULLE FINALITA IMPRENDITORIALI


3.1 LA TEORIA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO
Introduzione: teorie sul profitto.
1) Classica: vede il profitto come il compenso che spetta allimprenditore per lorganizzazione dei fattori produttivi.
2) Un altra afferma che il profitto un premio sullinvestimento che ripaga del rischio corso nellinvestire.
3) Schumpeter vede il profitto come un premio che spetta a chi crea innovazione.
4) L ultima vede il profitto come il risultato per chi riuscito a ottenere posizioni di monopolio rispetto ai concorrenti,
quindi deriva da condizioni esterne.
Le 4 teorie in realt possono essere considerate complementari, cio possibile vedere il profitto come un insieme
composta da: compenso che spetta allimprenditore, il premio a fronte del rischio che corre nellinvestire, il premio per
linnovazione che riesce a creare e come reddito legato alla posizione di monopolio raggiunta.
Il profitto come logica non pu essere negato ed indipendente dalla natura giuridica dellazienda: essa pu essere profit,
no profit, privata, pubblica, ma operer sempre per raggiungere un profitto, anche se nelle diverse soluzioni cambia il tipo
di profitto che si cerca di ottenere. Chi investe lo fa per ottenere qualcosa. (il fine della redditivit si collega a qualsiasi
processo dinvestimento).
Massimizzazione: il gruppo imprenditoriale fa le sue scelte in modo da cercare di ottenere sempre il maggior divario
possibile tra costi e ricavi, per massimizzare il profitto. Dal lato pratico per questa teoria debole perch non spiega
realmente cosa vuole ottenere limprenditore, per dare valore alla teoria bisogna aggiungere 2 variabili: tempo (time
preference) e rischio (uncertainty conditions).
Che cosa massimizza davvero limprenditore?
Massimizza il risultato della gestione nel lungo tempo, inteso come vita dellazienda e non vita dellimprenditore. Riguardo
al rischio unazione potrebbe essere intrapresa per ridurre il rischio di unaltra.
Contrapposizioni: l incertezza fa si che non si raggiunga mai davvero il massimo profitto, inoltre la massimizzazione
non d una risposta alle esigenze di tutti i soggetti con cui lazienda ha dei rapporti.

3.2 LA TEORIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOPRAVVIVENZA AZIENDALE


Gli economisti hanno criticato la massimizzazione per via dei cambiamenti nella propriet e gestione dellimpresa. Per via
di questo cambiamento chi proprietario interessato principalmente al profitto, ma chi gestisce lazienda pi
interessato alla sua sopravvivenza. La teoria della sopravvivenza afferma che il fine del gruppo imprenditoriale la
sopravvivenza aziendale. Il profitto diventa cos solo un mezzo per irrobustire la struttura e farla perdurare e si cerca di
scegliere le attivit meno rischiose per non mettere in pericolo lazienda. Per capire se le scelte non pregiudicano la
continuazione dellattivit, Drucker individua 5 fattori e misura quanto sono stati raggiunti. I fattori sono:
1) POSIZIONE NEL MERCATO: rapporto forza-debolezza verso la concorrenza;
2) INNOVAZIONE: capacit di adeguare le tecnologie e i prodotti;
3) RISORSE UMANE: professionalit del personale;

4) RISORSE FINANZIARIE: disponibilit dei mezzi da usare per finanziare linvestimento;


5) REDDITIVITA: fonte per sviluppare lattivit.
Lo scopo ultimo non pregiudicare la continuazione dellattivit e produrre un reddito costante e stabile che permetta di
evitare i rischi e autofinanziarsi. Se mi autofinanzio sono pi indipendente dal capitale di terzi e quindi pi autonomo.
3.3 LA TEORIA DELLA <<CREAZIONE>> E <<DIFFUSIONE>> DEL VALORE
Creare valore interessa tutti i partecipanti, non solo limprenditore e i manager. La gestione dovrebbe preoccuparsi solo di
far crescere il valore economico dellimpresa. Questa visione orientata al futuro perch non importante produrre
adesso profitti,ma porre le basi per ottenere risultati sempre migliori. La creazione del valore per non pu restare isolata,
perch questo valore deve essere trasferito sul mercato, cio diffuso. Questa diffusione implica una trasformazione, per
cui il valore economico viene tradotto in valore di mercato, attraverso il quale gli azionisti lo percepiranno e decideranno
se acquistarne o meno le azioni. A questa teoria si collega lidea di qualit totale, per cui tutti i processi sono
accuratamente controllati per ottenere un miglioramento crescente che trasmette una buona immagine aziendale. La
teoria della creazione e diffusione del valore migliore di quella della massimizzazione perch, in primis, considera tutti i
partecipanti ed pi facilmente misurabile economicamente.

3.4 LA TEORIA MANAGERIALE DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE


Secondo questa teoria i manager sono pi interessati all espansione dellimpresa perch espandendosi si irrobustisce, e
quindi pi facile che sopravviva, diventa pi forte rispetto alla concorrenza, garantendo una redditivit continua
aumentando le retribuzioni della direzione. Piuttosto che far crescere il profitto si mira a far crescere il volume daffari, e
quindi il fatturato. Il profitto serve solo a rinforzare lo sviluppo delle vendite nel lungo periodo. Importante trovare la
combinazione tra prezzo e quantit che massimizzi il volume daffari. Linvestitore sar pi portato a investire quando
riuscir a guadagnare abbastanza per autofinanziarsi. Quindi cresce il profitto, mi autofinanzio e posso fare pi
investimenti: questa detta crescita sostenibile.

4. UNA PRIMA REVISIONE DELLE TEORIE CLASSICHE: LA TEORIA COMPORTAMENTISTICA O DEI <<LIMITI
SOCIALI>> ALLA MASSIMIZZAZIONE DEL
PROFITTO
Ogni azienda cooperativa perch composta da pi gruppi, ma la sua vita contrassegnata anche dai conflitti che si
creano con i gruppi esterni (fornitori,concorrenza, clienti, ecc) e i gruppi interni (dirigenti, lavoratori, sindacati,ecc). Ogni
gruppo portatore di interessi specifici. Nei conflitti esterni pi facile che limpresa sfrutti la sua forza per imporre le
proprie condizioni, perch ci sono meno vincoli, mentre nei conflitti interni, in teoria limprenditore pu licenziare la causa
del problema ma in realt la tutela sindacale limita la forza dellimprenditore. La contrapposizione dinteressi, e i relativi
vincoli sociali, incide in termini di costi e ricavi sulla creazione di profitto. I gruppi sociali con cui limpresa ha dei rapporti
sono:

CONSUMATORI

CONCORRENTI

LAVORATORI

FORNITORI

DISTRIBUTORI

STATO

SOCI

RICAVI

COSTI

PROFITTI

Partiamo dal presupposto che limprenditore vuole massimizzare il profitto e per farlo pu o aumentare i ricavi o ridurre i
costi.
Per fare lanalisi si parte da questi punti:
1) il profitto non genera dividendi che vanno divisi,
2) limprenditore non promuove innovazioni sui prodotti, quindi il rapporto prodotto/mercato resta stabile,
3) limpresa tratta un solo prodotto.
Poste queste basi se limprenditore vuole aumentare i ricavi pu cercare di influire su 2 variabili: prezzo e quantit di
beni. Se aumenta il prezzo si scontra con i consumatori che quindi potrebbero rivolgersi a un concorrente o
semplicemente non acquistare e in questo modo si ottiene una riduzione dei volumi di vendita. Quindi far leva sul prezzo
limitato dallelasticit della domanda. Se aumenta la quantit, e la domanda sempre la stessa, vuol dire che andiamo
a cercare di sottrarre quote alla concorrenza.
Agire sui costi comporta dei problemi: le variabili su cui posso agire sono riduzione del costo unitario o uso meno
risorse. Se si abbassa il costo unitario si dovranno ridurre gli stipendi, i prezzi pagati ai fornitori, i margini ai distributori,

gli interessi ai finanziatori. Non si possono cambiare le aliquote perch sono statali e su di esse non vi potere di scelta.
Se si usano meno risorse vuol dire che si dovr licenziare, acquistare meno risorse, fare meno finanziamenti.
I vari gruppi sono in opposizione allabbassamento del costo unitario e questo sembra non permettere allimprenditore di
ottenere vantaggi economici durevoli e consistenti.
Si pu uscire dal circolo vizioso facendo innovazione. Se si sostengono costi di ricerca e sviluppo e costi organizzativi si
potranno trovare nuove applicazioni delle tecnologie e nuovi modi per gestire lazienda. A questi costi non corrisponde
nessun gruppo sociale specifico, a meno che si considerino i dipendenti che svolgeranno queste ricerche, che si ha la
possibilit di ridurre senza difficolt, ma riducendoli significherebbe avere una redditivit e produttivit minore. Questi
costi sono quelli che vengono tagliati pi spesso, proprio perch tagliarli non comporta alcun conflitto.
Davanti a costi pi alti per le voci di spesa, lunica via percorribile sembra quella di aumentare il volume di attivit e per
farlo limpresa deve trovare delle occasioni per espandersi nel suo mercato o in altri e quindi deve innovare .

Quanto detto porta a 3 conclusioni:


1) Se non si fa innovazione difficilmente si cambier lequilibrio costi-ricavi;
2) Per innovare si sosterranno dei costi di ricerca e sviluppo, che invece normalmente sono i primi a essere tagliati;
3) Il profitto una quantit minima che risente delle crisi perch le altre grandezze economiche sono rigide e mancano i
processi dinnovazione.
Si pu concludere che il reddito il risultato degli accordi di cooperazione e dei conflitti che si generano tra impresa e
gruppi sociali e quindi non determinabile unicamente dallimprenditore.

5. LA TEORIA DEL <<SUCCESSO SOCIALE>> ED I RAPPORTI CON LETICA DIMPRESA


Per analizzare questa teoria bisogna definire meglio il concetto di valore economico. Per capire cosa significa creare valore
per un imprenditore bisogner capire le motivazioni di fondo che lo spingono a investire e a fare impresa. Secondo la
piramide dei bisogni di Maslow si soddisfano in ordine bisogni di sopravvivenza, sicurezza, socialit, affermazione e
autorealizzazione. Applicando la piramide allimprenditore si vede che questi cerca il successo e questo gli deriva dalla
sopravvivenza allimpresa, trovando un equilibrio tra costi e ricavi,con la quale si afferma nella classe sociale e nei
confronti dei concorrenti. La novit la natura delle motivazioni imprenditoriali, per cui laspetto economico diventa solo
un mezzo per raggiungere obiettivi sociali e morali proprio. Le finalit imprenditoriali sarebbero di raggiungere il mix
potere, prestigio e profitto (3P) e cos attraverso il successo della sua azienda, anche limprenditore otterrebbe un
successo sociale. In questottica, potere di mercato e profitto sono dei mezzi per superare la concorrenza e raggiungere il
prestigio, fine ultimo dellimprenditore. La scalata sociale dellimprenditore si baserebbe dunque sulla combinazione di
valori etici ed. Per il manager raggiungere le 3P potrebbe essere solo un modo per spostarsi in imprese pi grandi e
migliori. Migliorare lazienda non deriva da un rapporto stretto connessa, ma dallinteresse personale alla mobilit del
manager, a cui limpresa serve come strumento per dimostrare capacit.
In generale si possono distinguere 3 situazioni tipo nella moderna teoria delle finalit, a cui corrispondo diverse teorie:
1. Imprenditore visibile e molto integrato nellimpresa: teoria del successo sociale;
2. Imprenditore meno visibile e integrato perch limpresa non il centro della sua attivit: teoria della
massimizzazione del valore economico dellimpresa nel lungo periodo
3. Manager delegato: teoria della mobilit, limpresa ha successo grazie a lui,quindi pu muoversi in altre aziende e
questo gli consente di affermarsi socialmente.

PARTE SECONDA
I COMPORTAMENTI IMPRENDITORIALI E LA GESTIONE STRATEGICA
Capitolo Quinto: LA GESTIONE STRATEGICA
1. PREMESSA
La vita dellimpresa si sviluppa seguendo un complesso di decisioni. Anche il processo decisorio ha carattere sistematico
perch le varie scelte si legano ad un sistema che deve rispondere alle finalit da raggiungere e che deve tenere presenti
le interrelazioni tra i vari atti decisionali. E chiaro che allinterno del sistema sussiste un ordine gerarchico che vede le
scelte di lungo tempo guidare quelle di breve tempo e inoltre le scelte di organizzazione disciplinare quelle relative a parti
specifiche e sempre pi limitate di essa.

2. I PROFILI DELLA GESTIONE AZIENDALE


Gestire unimpresa significa governarla, cio fare in modo che tutte le parti che servono a farla funzionare interagiscano
come devono. Gestire significa quindi prendere delle decisioni. La gestione pertanto linsieme delle decisioni che
permettono allazienda di funzionare e di raggiungere gli obiettivi dellimprenditore, le decisioni da prendere sono diverse.
Allinizio si devono prendere quelle relative a un periodo di tempo lungo, per cui devo muovere molte risorse:
STRATEGICHE. Poi scelte le risorse, bisogna decidere come usarle: TATTICHE. Infine, fine fare le scelte che mi
permettano di mettere in pratica le altre due: OPERATIVE.

3. LA GESTIONE STRATEGICA E OPERATIVA


Con la strategia si definisce il contesto nel quale opera lazienda, dato dal sistema politico-istituzionale, economico,
culturale e socio-demografico, ma strategia significa soprattutto scegliere in quale ambiente entrare, per capire dove
collocare il prodotto, dove approvvigionarmi ecc. Il termine strategia si applica sia allatteggiamento dellimprenditore che
segue una via gi applicata, sia a quello dellimprenditore che sceglie di innovare. Resta sempre vero che la gestione
strategica si occupa di fare scelte sugli obiettivi da seguire e limpiego delle risorse.

4. LA STRATEGIA E LE POLITICHE DI GESTIONE


Anche se la gestione ottimale dovrebbe essere fatta pensando al lungo periodo, spesso in azienda si guarda al breve
periodo e si ripetono gli stessi comportamenti piuttosto che innovare. In questo modo non si guarda pi allambiente, con
la conseguenza che si rischia di rimanere sempre pi tagliati fuori.
Di fronte ai cambiamenti si possono osservare 3 atteggiamenti o orientamenti strategici:
-ATTESA: ai aspetta che il mondo cambi e poi si adegua la gestione di conseguenza;
-ANTICIPATORIO: si cambia, sforzandosi di prevedere i cambiamenti;
-ATTIVO: ci si innova, cercando di influenzare lambiente con la propria gestione.
A questi 3 atteggiamenti corrispondono 3 modelli gestionali, cio schemi di comportamento:
- ATTESA = RIPETITIVO, passivo, ladattamento in funzione di una variazione;
-ANTICIPATORIO = DIFENSIVO, risposta anticipata ai cambiamenti;
-ATTIVO = non si vittima dellambiente, ma si ha una posizione di leadership nei suoi confronti.
Latteggiamento attivo dipende dalla qualit di chi dirige, dalla posizione dellazienda nellambiente e dalle sue
dimensioni. A livello strategico, il modello attesa probabilmente non ha una strategia di sviluppo e non innova nelle

politiche di gestione, mentre gli altri due hanno obiettivi di lunga durata e piani ben definiti. Strategia quindi un
comportamento dellimprenditore di tempo lungo per raggiungere gli obiettivi primari della gestione, considerando come
si evolve il rapporto tra impresa e ambiente. In genere comunque la strategia volta a migliorare sempre di pi lazienda.
Si riconoscono 3 strategie:
1. Complessive, o dimpresa. Gli organi di governo scelgono i campi in cui operare seguendo una certa strategia
dimpresa. (di sviluppo o mantenimento di posizioni gi acquisite. Valutare come confrontarsi con la concorrenza che si
pu trovare nelle aree daffari scelte;
2. Competitive, o darea daffari: obiettivi e politiche da adottare in base alla concorrenza;
3.Funzionali: sono fatte in base alle strategie competitive che si vuole attuare.

Capitolo Sesto: LE STRATEGIE COMPETITIVE


1. IL RAPPORTO TRA STRATEGIA COMPLESSIVA E STRATEGIA COMPETITIVA
Le scelte strategiche aziendali sono sempre guidate dalla preventiva valutazione delle possibilit di successo sul mercato.
Nonostante ci sia una certa gerarchia tra strategie complessive (corporate) e competitive saranno sempre le ultime a
influenzare le prime. Anche se limprenditore pu avere preferenze di ordine differenti, la scelta ultima sar in ogni caso
legata allo studio delle aree in cui competere e alla valutazione delle risorse possedute o acquisibili per potere concorrere
con successo.

2. I PARADIGMI TEORICI PER LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA


La produzione delle innovazioni non il risultato delle trasformazioni aziendali, ma soprattutto leffetto di ricerca e
sfruttamento di nuove innovazioni da parte delle imprese. Va per detto che limpresa transazionale (cio che opera a
livello mondiale) ha perso parte del suo potere sui mercati in cui opera, per effetto dellallargamento delle aree di mercato
e del ruolo degli organismi sovranazionali nella determinazione delle regole competitive. Il rapporto di interdipendenza
sempre vivo, poich raro che unimpresa sia del tutto libera da condizionamenti esterni nella formulazione dei suoi
comportamenti di mercato. A questo proposito vi sono dei paradigmi affermatisi in dottrina sui quali si pu sostenere che
sulle scelte dellimpresa pesano sia fattori esogeni che endogeni e che il rapporto sia in ogni caso di interdipendenza.
Lanalisi della struttura di mercato deve essere completa della conoscenza dei comportamenti della concorrenza e degli
acquirenti. Questultima deve aiutare la formulazione delle politiche da porre alla base della strategia competitiva. I
paradigmi sono:
1) S C P : PARADIGMA STRUTTURALISTA (Struttura Condotta Performance): la struttura del mercato incide
sul comportamento delle imprese e questo, a volte, influenza il risultato (performance) della gestione aziendale;
2) C S P : PARADIGMA COMPORTAMENTISTA (Condotta Struttura Performance): il comportamento
dellimpresa che influenza la struttura del settore. Le trasformazioni ambientali si determinano (anche) per effetto dei
comportamenti innovativi promossi dalle imprese;
3) R C P : PARADIGMA FONDATO SULLE RISORSE (Risorse Condotta Performance): sono le risorse
specifiche possedute dalle imprese che sostengono le condotte suscettibili di generare cambiamenti settoriali che,
modificando le regole del gioco, migliorano le probabilit di successo competitivo;
4) K C P : PARADIGMA FONDATO SULLA CONOSCENZA (Conoscenza Capacit Performance): sono le
conoscenze (prodotte dallinterazione sociale) che si accumulano nellimpresa a produrre capacit in grado di ispirare
condotte suscettibili di generare successo competitivo.
La conoscenza nellimpresa quindi il prodotto dellinterazione sociale tra individui e tra gli individui e i loro contesti;
limpresa si pu quindi definire sistema dinamico di risorse e capacit posto in essere per la creazione di conoscenza.

3. LANALISI DI SETTORE SECONDO LO SCHEMA DELLA <<CONCORENZA ALLARGATA>>


La strategia deve essere fatta per ogni area strategica daffari (ASA) in cui si deciso di operare e lobiettivo sempre
quello di ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti della stessa area. UnASA viene scelta quando d la
possibilit di attuare una strategia vincente. Il modello della concorrenza allargata di Porter dice che un mercato viene
scelto sia per il profitto che si pensa di trarne, sia per la posizione competitiva che lazienda potr assumere. Secondo
Porter nella valutazione dellattrattivit di unarea daffari vanno considerati 5 forze che interagiscono e determinano o
meno lattrattivit.

Altra teoria per definire larea strategica daffari definire il business, cio la porzione di mercato in cui limpresa vuole
operare. Per valutare dove inserirsi, Abell suggerisce di considerare 3 varianti: le funzioni duso del prodotto, il gruppo di
clienti a cui ci si rivolger e le tecnologie usate per produrre. Decidendo la funzione del prodotto, si potr identificare un
target interessato al mio prodotto e individuare una quota di mercato.

4. LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA


Le barriere alla concorrenza possono essere: allentrata, alluscita e interne. Le barriere esterne sono quelle che
impediscono ai concorrenti di entrare in un mercato, quelle interne invece tutelano i produttori dalle azioni
espansionistiche degli altri produttori nello stesso mercato. Le barriere allentrata
sono legate a:
- Gestione: economie di scala, di apprendimento (accumulo esperienza, inflazione,costo storico), di scopo (sinergie) e di
relazioni (reti con altre imprese);
- Possesso di brevetti o know-how;

- Fattori produttivi;
- Differenziazione dei prodotti.
GESTIONE
Economie di scala: i costi diminuiscono al crescere dei volumi prodotti, sia fase tecnica, sia nell approvvigionamento.
Alcuni mercati hanno volumi molto alti di produzione, perch solo con questi riescono ad abbassare i costi, e quindi per
entravi (barriera allingresso) necessario raggiungere almeno lo stesso volume. Le imprese riescono a fare economie di
scala facendo grandi volumi di acquisti (pi compro pi posso contrattare prezzi migliori). Solo le imprese pi grandi e
forti riescono a fare grandi volumi di acquisto e quindi ad abbassare i prezzi, e questo diventa una barriera allingresso per
gli altri pi piccoli. La grande impresa fa economie di scala perch ha impianti di grandi dimensioni (dimpianto), ma
avendo anche unorganizzazione pi estesa, fa economie anche sulla commercializzazione e sullamministrazione
(dimpresa). Mano a mano che unimpresa si trova in un mercato, impara a razionalizzare i suoi comportamenti, questa
esperienza, acquisita con il processo di apprendimento, un altro ostacolo allingresso, perch i nuovi concorrenti non
hanno maturato la stessa esperienza. C poi il discorso dell inflazione, per cui chi ha comprato i macchinari prima, li ha
pagati meno rispetto ai nuovi concorrenti; questo vantaggio detto del costo storico e con questo il produttore pi
vecchio si ritrover sempre in vantaggio rispetto al pi recente. Il vantaggio del costo storico ha senso solo quando le
tecnologie di produzione sono poco dinamiche.
Alle imprese richiesta sempre pi flessibilit, e ci significa avere una gamma di prodotti sempre pi ampia, produrre di
pi ma con meno operazioni e quindi fare economie di scopo: risparmio attraverso lo svolgimento in comune di pi
attivit (sinergie). Queste sinergie avvengono sia allinterno dellimpresa, sia alesterno, cio creando delle reti di relazioni
con altri produttori, e per questo le economie si definiscono di relazioni. Queste relazioni di fiducia sinstaurano sia con
fornitori sia con i clienti e questo migliora la posizione dellimpresa sia nellambiente transazionale, sia in quello
competitivo.
KNOW-HOW BREVETTI E FATTORI PRODUTTIVI
Finch i brevetti e il know-how sono di propriet di pochi produttori, i nuovi, che non li possiedono, trovano molte difficolt
a entrare in quel mercato. Lo steso avviene per i fattori produttivi.
DIFFERENZIAZIONE
Altra barriera data dal fatto che pi i produttori differenziano i loro prodotti, pi si creano una nicchia nella quale
difficile entrare. Questo significa che per sottrarre quote alla concorrenza si deve far percepire al consumatore la
differenza rispetto agli altri, pubblicizzando il prodotto e rendendolo innovativo.
BARRIERE ALLUSCITA
Oltre che in entrata possibile trovare barriere alluscita, cio vincoli o regolamenti che rendono difficile uscire da un
mercato, sia da un punto di vista sociale, per cui le imprese non possono chiudere perch dovrebbero licenziare
personale, sia dal pdv economico, perch magari difficile disinvestire. Questo a sua volta pu diventare una barriera
allentrata, perch i nuovi potrebbero essere fermati dal fatto che poi difficile uscirne. Le barriere smettono di avere
senso quando i produttori di altri mercati entrano in un mercato diverso dal loro sostituendo i prodotti di questo mercato
con dei prodotti tipici del loro mercato di partenza. Bisogna aggiungere che le barriere allentrata variano in base alle
risorse dellimpresa, per cui alcune barriere sembrano pi alte per quellimpresa che ha meno risorse per poterle
superare. Questa teoria detta resource based theory per cui lanalisi competitiva va fatta partendo da ci che
limpresa possiede: risorse, competenze e capacit, e non dalla concorrenza. Quindi pi le risorse di unimpresa sono
uniche e inimitabili, pi quellimpresa pu creare delle barriere allentrata, sottraendosi alla concorrenza reale (cio chi
gi presente nel mercato) e potenziale (chi potrebbe entrarci). La concorrenza risente anche delle barriere interne o di
mobilit, cio la possibilit per le imprese di spostarsi allinterno dello stesso mercato o settore, perch a seconda di
quanto le imprese si muovono, sar possibile per la concorrenza posizionarsi in una nicchia o meno.

5. IL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE: LA CATENA DEL VALORE


Secondo Porter ci che viene prodotto dallimpresa crea un valore per il cliente, valore cui corrisponde un prezzo chegli
paga o disposto a pagare. Questo valore dato dai costi sostenuti dallimpresa per realizzare il prodotto, progettarlo,
distribuirlo e assistere la clientela, e dal margine di profitto che vuole ottenere. Un pi alto valore corrisponde a una
maggiore efficienza nelle attivit ed basandosi su questo punto che possibile capire quali sono le attivit che
influiscono maggiormente sul vantaggio competitivo.

Ci sono attivit primarie , come la logistica interna e esterna, il marketing, i servizi al cliente, e attivit di supporto,
che sono date dalla gestione delle risorse umane, lo sviluppo della tecnologia e le attivit infrastrutturali, tipo la
contabilit, che servono comunque a realizzare quelle primarie.

6. LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA


Il vantaggio competitivo pu essere raggiunto o perch si abbattono i costi delle attivit della catena del valore o perch
ci si isola dalla concorrenza differenziandosi. Nel caso in cui si abbattono i costi, questo diventa un fattore del vantaggio e
si punta alla leadership di costo. Il vantaggio pu anche derivare dalla differenziazione del prodotto, per cui il proprio
prodotto risulta rispetto ai concorrenti, o totalmente diverso da ci che c sul mercato e allora si sta usando una
focalizzazione o specializzazione di mercato. Ogni voce ha per le sue caratteristiche, per se limpresa leader di costo in
un mercato,significa che non vi sono altri leader di costo, ma resta il fatto che deve essere percepita come pari alle altre
(concetto di parit), altrimenti il fatto di spendere meno non verr apprezzato dagli acquirenti. Altro punto importante
che in base alle diverse strategie che si creeranno dei sottogruppi di concorrenti allinterno della stessa quota di
mercato. La resourse based theory indicava limportanza fondamentale delle risorse per la vita dellimpresa, risorse
date dallinsieme di conoscenze, routine, esperienze, persone, processi e via dicendo che sono a disposizione
dellimpresa. Un vantaggio competitivo durevole dipende anche, in larga parte, dalle risorse possedute dallimpresa, cio
quelle competenze distintive, esclusive, non possedute dai concorrenti. Per valutare limpatto delle risorse sul valore
finale di un prodotto o servizio, possibile applicare lo schema di Barney, la VRIO analysis, cio lanalisi di Valore, Rarit,
Inimitabilit(delle risorse) e Organizzazione, cio come vengono sfruttate le risorse dallazienda. A seconda di come si
combinano le risorse si pu ottenere un vantaggio temporaneo, durevole, una parit o una situazione di svantaggio.
Quelle che si nota che pi le risorse sono di valore, rare, inimitabili, e sfruttate dallimpresa, pi limpresa consegue un
vantaggio durevole, al contrario quando le risorse non sono di valore e di conseguenza non sono sfruttate dallimpresa, si
ha una situazione di svantaggio. Lanalisi considera i rapporti tra impresa, clientela e concorrenza, chiarendo il ruolo
dellimpresa nei confronti del mercato, composto da clienti e fornitori. Altro fattore importante nella strategia competitiva
dato dalle scelte di marketing sui tipi di prodotto da vendere, il loro prezzo, le campagne promozionali da attivare e i
canali distributivi di cui servirsi.

7. LE STRATEGIE COMPETITIVE E LEQUILIBRIO FRA LA DOMANDA E LOFFERTA: IL <<MERCATO DEL


VENDITORE>> E IL <<MERCATO DEL COMPRATORE>>
Per capire come funziona un mercato e come si comportano le imprese, bisogna analizzare la domanda e lofferta, sia in
modo separato, sia in modo congiunto, per capire chi dei due ha pi forza. Ha pi forza chi controlla quote importanti
della domanda o dellofferta, infatti un grande produttore o un grande acquirente possono dettare certe condizioni di
mercato. Ci che conta non lequilibrio tra i risultati della produzione, ma la potenzialit di produzione e la capacit
di assorbimento. Nel caso del mercato del venditore, la domanda supera la capacit di produzione, cio ci sono pi
richieste di prodotti di quanti sia possibile produrne. In questo caso il produttore non corre il rischio che i prodotti avanzino
e in pi gode della concorrenza,perch da solo non riesce a rispondere alla domanda. Questa situazione per rara.
Quando invece si produce pi di quello che viene richiesto, il mercato detto del compratore , perch le aziende
devono contenderselo. Questa situazione dovrebbe essere diffusa, perch il progresso porta a produrre pi di quanto
realmente possa essere assorbito. ovvio che a un diverso mercato corrisponde una diversa impresa, quando si ha tanta
domanda, non ci si preoccupa della vendibilit dei prodotti, ma se se ne ha poca, quella la preoccupazione principale.
Oltre a capire la struttura del mercato, per avere un quadro generale bisogna analizzare anche come e quanto si
sviluppano domanda e offerta perch gli imprenditori, a seconda del tipo di domanda che dovranno fronteggiare
(dinamica, stazionaria o in declino) adotteranno comportamenti diversi.

Capitolo Settimo: LA STRATEGIA COMPLESSIVA (CORPORATE) E I PERCORSI DI SVILUPPO AZIENDALE


1. LE OPZIONI STRATEGICHE
La gestione data da un continuo sistema di arbitraggi e opzioni.
L arbitraggio necessario a causa sia dellammontare di risorse disponibili (che, se investite in un progetto, non ne
consentono la realizzazione di altri) sia dellincompatibilit tra progetti (larbitraggio, in questo caso, riguarda non solo la
convenienza ad attuare il progetto in corso di valutazione, ma anche il costo della rinuncia al progetto incompatibile con
quello allesame).
Le opzioni riguardano luso delle risorse a disposizione, per cui si deve determinare quante usarne e per quanto tempo
per un certo progetto, cercando di capire i vantaggi e gli svantaggi di ognuna.
Larbitraggio di fondo dipende dallorizzonte temporale scelto, cio se si preferisce fare investimenti, e quindi periodi
lunghi di recupero, o liquidit, e quindi periodi brevi di recupero. La strategia strettamente legata alle risorse e
competenze specifiche dellazienda. Le risorse pi importanti per lazienda sono, sempre pi spesso, quelle immateriali
intangibili , come la fiducia, cio limmagine positiva che lazienda si creata nella comunit, o le competenze, cio le
conoscenze che ha accumulato nel corso della sua esistenza. Se l impresa pu essere vista come un insieme di risorse
materiali e immateriali, essa deve essere valutata anche come un insieme di competenze che svolgono determinate
funzioni. La competenza di una persona, ma passa allazienda quando si trasforma in una routine. In questo passaggio
la competenza (la conoscenza, cio un concetto statico) viene applicata a un uso, e diventa una capacit, (qualcosa che
uso, concetto dinamico dynamic capabilities), cio labilit di combinare dei fattori in modo innovativo.

2. UNA TIPOLOGIA SEMPLIFICATA DELLE STRATEGIE COMPLESSIVE


La strategia complessiva dipende dagli obiettivi che limpresa ha deciso di raggiungere considerando lambiente, e le
opzioni strategiche a disposizione (risorse). ovvio, allora,che la scelta della strategia non dipende dal mercato
esterno, ma dalle risorse interne.
possibile prevedere delle strategie in base al rapporto tra landamento del mercato e le condizioni dellazienda.
Unazienda sana pu permettersi di crescere anche se il mercato in crisi, perch sfrutta le opportunit ancora rimaste e
cerca nuovi campi daffari. Unazienda che invece va male dovr pensare solo a restare in vita.
Ci sono quindi 3 possibili percorsi:
-PERCORSO DI SVILUPPO DIMENSIONALE, dovrebbe essere attuato da tutte le imprese, ma solo le sane ci riescono
davvero;
-PERCORSO DEL RISANAMENTO: impresa con squilibri;
-PERCORSO DEL RAFFORZAMENTO O ASSESTAMENTO: difesa delle posizioni occupate. Prudenza nel gestire le risorse.
Questo percorso pu essere inserito negli altri due.
3. IL PROCESSO DI SVILUPPO DIMENSIONALE
Il concetto di sviluppo (qualit) diverso da quello di crescita (quantit), infatti lo sviluppo consiste in un tendere verso il
meglio, cio un processo di evoluzione nel rapporto impresa-ambiente, a cui spesso segue una crescita dimensionale.
Ecco perch limpresa tende allo sviluppo, ma non detto che tenda anche alla crescita, che spesso porta lazienda a
dover modificare organizzazione e gestione. Le economie di scala riducono il rapporto costi-ricavi spalmando su pi
prodotti i costi. Si possono raggiungere mercati pi lontani, quindi pi clienti e fare economie di scala anche sulle vendite
e le operazioni distributive. Altro vantaggio la cosiddetta curva di apprendimento: pi si aumentano le vendite, pi si
diventa esperto nel farlo; questa esperienza fasi che la produzione sia sempre pi efficiente e porta a ridurre i costi unitari
del prodotto. Gli obiettivi dello sviluppo sono: miglior uso delle risorse e acquisizione di forza nei confronti di concorrenti,
consumatori, distributori, fornitori e tutti quelli che potrebbero portare vantaggio. Il processo di espansione graduale,
perch ci sono dei limiti che si superano solo con il tempo. I limiti sono pi che altro fisici, cio legati allimpianto, mentre
limpresa generalmente pi elastica (va male in un posto, ci si sposta in un altro). Un impianto deve sottostare a limiti
organizzativi, perch non ancora possibile entrare in possesso di tutte le risorse utili, a limiti urbanistici, nei confronti del
territorio, a limiti tecnici, perch i cicli di lavorazione sono solo nella fase iniziale.
Quando ci si sviluppa ci sono sia dei vantaggi sia degli svantaggi, che vanno considerati in fase di scelte strategiche.
La spinta allespansione deriva dalla necessit di usare meglio linsieme di risorse a disposizione.

VANTAGGI
Aumento dei ricavi:
- Maggiori volumi
- Prezzi pi elevati
Riduzione dei costi:
- Economie di scala
- Economie di apprendimento
INTERNI

EFFETTI

LIMITI

SVANTAGGI
Diseconomia di scala
Rigidit organizzativa
Perdita di controllo
Visibilit di mercato ( per cui le azioni
dellazienda sono pi incisive e possono
generare controreazioni forti da parte
dei concorrenti
ESTERNI

Risorse manageriali
Potenzialit organizzativa
Capacit finanziarie
INTERNE
Risorse aziendali sfruttate solo in modo
parzieale

Sviluppo della domanda


Pressione della concorrenza
CAUSE

ESTERNE
Occasioni favorevoli di business

4. I PERCORSI DI SVILUPPO: LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA COMPLESSIVA


Per analizzare le diverse strategie di espansione si analizza il rapporto prodotto/mercato. La direzione dello sviluppo
dipende da cosa vuole raggiungere lazienda. In generale la scelta fondamentale tra uno sviluppo di:
1) Business che esiste gi (CONCENTRAZIONE)
2) Diversificazione verso nuovi business (DIVERSIFICAZIONE).
Nel primo caso (CONCENTRAZIONE) si aumenta il peso dellattivit gi esercitata e si sfrutta la propria esperienza e
capacit. (strategia monosettoriale)
Nel secondo caso (DIVERSIFICAZIONE) si estende il portafoglio clienti e mercati, e si valorizzano le relazioni tra le varie
aree del business (diversificazione correlata) o si cerca di ridurre il rischio globale di gestione (diversificazione
conglomerale). (strategia polisettoriale)
Altra possibilit data dallaumento dei mercati con cui si fanno affari. (strategia internazionale)
5. LA STRATEGIA DI SVILUPPO MONOSETTORIALE
Si rafforza la posizione gi esistente dellimpresa in due direzioni: da una parte si cerca di posizionare meglio il prodotto
finale (integrazione orizzontale, si amplia il volume daffari alla fine del processo) e dallaltra si cerca di migliorare
lapprovvigionamento delle risorse (integrazione verticale, si agisce a monte o a valle dl processo).
5.1. LO SVILUPPO ORIZZONTALE
Esso pu avvenire attraverso un espansione interna, per cui vengono potenziati gli impianti o create nuove unit
produttive, oppure con un espansione esterna, acquisendo imprese simili (che funzionano in maniera simile, hanno
stesso know-how, stessa tecnologia) e che operano nello stesso mercato.
Quando ci si sviluppa orizzontalmente spesso si cerca di completare la gamma di prodotti offerti, entrare in aree
geografiche dove ancora non si presenti, soddisfare pi tipi di clienti. La risposta a queste necessit si trova spesso nei
concorrenti, che per questo vengono annessi. La crescita orizzontale richiede tempi pi brevi di attuazione, un miglior
sfruttamento delle risorse disponibili, rischi pi facilmente valutabili dallimprenditore.
Il vantaggio dato dalle economie di dimensione, o scala e dalle economie di espansione che possibile attuare. Le
economie di scala sono un risultato dellespansione aziendale, il rischio invece pressoch non modificato, perch
restano uguali sia il mercato, sia le tecnologie produttive.
Cosa serve per uno sviluppo orizzontale? Capacit di marketing , per spingersi nel mercato, e finanziarie per recuperare le
risorse necessarie allespansione.
5.2. LINTEGRAZIONE VERTICALE E LA TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE
Lo sviluppo verticale avviene quando unimpresa assume il controllo di uno stadio di produzione o di distribuzione diverso
ma immediatamente collegato a quello in cui gi opera. Esso pu indirizzarsi a monte dello stadio occupato
(integrazione verticale ascendente) o a valle (integrazione verticale discendente).
OBIETTIVI:
1- AMPLIAMENTO GAMMA DI PRODUZIONI INTERMEDIE COMPRESE NELLO STESSO CICLO TECNICOECONOMICO
SUBOBIETTIVI:
1- AUMENTO DEL VALORE AGGIUNTO (Il valore aggiunto si calcola sottraendo dal valore del prodotto finito (ricavi) tutti i
costi di acquisizione di beni e servizi);
2- AUMENTO DEL CONTROLLO SUI COSTI DI PRODUZIONE;
3- MINORI RISCHI:
- Integrazione a monte: continuit dei processi di approvvigionamento;
- Integrazione a valle: controllo dei mercati di sbocco.
MODALITA DI ATTUAZIONE: Pi spesso esterna.
VANTAGGI:
SVANTAGGI:
1 - RIDUZIONE COSTI DI TRANSAZIONE;
ALLUSCITA.
2- MAGGIORE FORZA CONTRATTUALE;
3- INNALZAMENTO DI BARRIERE ALLENTRATA.

1- INNALZAMENTO DI BARRIERE

Nel tentativo di spiegare i fattori che inducono limpresa a orientarsi verso linternalizzazione (make) o lesternalizzazione
(buy) di determinate attivit, la dottrina economica ha sviluppato la teoria dei costi di transazione. Il costo del bene
scambiato uguale non soltanto al prezzo pagato per il suo acquisto, ma anche allo sforzo sostenuto dallacquirente e
dallo stesso venditore per ricercare le informazioni utili a perfezionare la contrattazione. I costi di transazione
comprendono, quindi, tutti i costi necessari per progettare, negoziare e tutelare un accordo di scambio. Rappresentano,
dunque, i costi duso del mercato. La definizione del confine efficiente dellorganizzazione, ossia delle attivit da
svolgere allinterno per ottenere il massimo livello di efficienza operativa, dipende da due tipologie di valutazioni:
ECONOMICITA: si ottiene comparando i costi duso del mercato con quelli da sostenere allinterno dellorganizzazione di
impresa (e svolgendo allinterno le attivit che sarebbero pi costose se delegate allesterno);
RISCHIOSITA DELLA TRANSAZIONE:
Il controllo delle condizioni dacquisizione di beni o servizi maggiore nellipotesi di produzione interna rispetto a quelle di
un rapporto contrattuale di scambio.
5.3. ALTRI TIPI DI INTEGRAZIONE
Laterale e diagonale.
Laterale: avviene quando si inserisce nella produzione dei beni legati al proprio o dal punto di vista tecnologico o al
proprio mercato di sbocco.
Diagonale: si introduce nellorganizzazione delle produzioni ausiliarie (faccio conserve, assorbo uno scatolificio).
6. LA STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA
In base al rapporto tra attivit di marketing e profilo tecnologico si distinguono 4 casi, in cui si osservano due tipi di
diversificazione: laterale quando c un collegamento tra la produzione vecchia e nuova, e conglomerale quando non
esiste nessun legame:
- Prodotti simili per profilo tecnologico e di marketing (sviluppo orizzontale integrato);
- Prodotti simili per marketing, ma diversi per tecnologia: faccio prodotti per la casa e prodotti alimentari (diversificazione
laterale);
- Prodotti simili per tecnologia, ma diversi per marketing: faccio carta da imballaggio e carta da parati (diversificazione
laterale);
- Prodotti senza alcune legame: faccio prodotti dolciari e materie plastiche (diversificazione conglomerale).
Va poi aggiunto che alla diversificazione della produzione segue la diversificazione del rischio su pi mercati, che pu
attenuare un andamento pi o meno favorevole. Per quanto riguarda la strategia, va detto che a seconda del tipo di
diversificazione scelta,ci sar una strategia adeguata, per cui ad una diversificazione laterale corrisponder la creazione
di nuovi impianti e unespansione interna, mentre alla diversificazione conglomerale corrisponder unespansione
esterna.
7. LA STRATEGIA DI ESPANSIONE INTERNAZIONALE
Il vantaggio dellespansione internazionale che spesso delocalizzando la produzione, o solo alcune fasi di essa, se ne
abbattono i costi (perch ci sono costi del lavoro pi bassi). Lespansione internazionale pu essere vista come la
prosecuzione logica della diversificazione ma le differenze ci sono: la diversificazione porta a una diminuzione della
specializzazione dellattivit di unimpresa, nel senso che lo sforzo tecnologico e commerciale si estende su pi prodotti.
Se si desidera crescere in maniera equilibrata necessario cercare di compensare i risultati con la diversificazione delle
attivit, e sia con lesportazione, sia con la diversificazione posso ottenere profitti in grado di assicurarmi un buon
sviluppo dimensionale.
Diversificazione = produzioni diverse
Esportazione = paesi diversi
Esportazione: quando si entra in un nuovo mercato estero si seguono alcune tappe.
1.Esportazione: i prodotti vengono fabbricati in patria e poi esportati;
2.Produzione indiretta: si fanno accordi con imprese straniere a cui vengono ceduti brevetti e know-how (cessione di
licenze di fabbricazione);
3.Vendita diretta: si fanno investimenti in loco per creare nuove reti di vendita;
4.Produzione e vendita diretta: si costruiscono in loco impianti che seguono tutta la produzione, ma la direzione resta
in patria;
5.Costituzione di unimpresa allestero: costruito limpianto, viene spostata anche la direzione e creata unimpresa
allestero autosufficiente,
con centri di direzione e di ricerca;
6.Organizzazione multinazionale: coordinamento della gestione a livello multinazionale.
Limpresa che si sposta allestero deve essere gestita da un management adeguato e di qualit, il quale non solo un
fattore da sfruttare, ma probabilmente lelemento che fa si che linternazionalizzazione avvenga. Certo, oltre al
management, ci deve essere una buona disponibilit di capitali, senza la quale sarebbe impossibile operare.
8. LE MODALITA DI REALIZZAZIONE DELLE STRATEGIE DI SVILUPPO: IL RUOLO DEGLI ACCORDI STRATEGICI
TRA IMPRESE

Spesso la decisione di integrazione verticale o sviluppo orizzontale solo una fase del processo di crescita, per cui
unazienda prima si rafforzer nel suo mercato (sviluppo orizzontale) e poi penser di andare a svilupparsi o verticalmente
o con la diversificazione.
In generale la crescita si divide in 2 passaggi:
1. Dalla produzione unica alla produzione multipla;
2. Dal raggiungimento di obiettivi dintegrazione verticale alla diversificazione oltre alla logica interna e
esterna di crescita troviamo ora la crescita interrelata di tipo interaziendale. La crescita interna avviene in fase
di start up e intende rispondere a coprire interamente la domanda, quella esterna punta invece a stringere pi rapporti
prodotto/mercato.
Questo tipo di crescita crea una sorta di effetto-leva nel senso che a parit dimpiego di risorse di altri tipi di crescita, due
aziende che si uniscono possono svilupparsi di pi. Questa fase si sostituisce allo sviluppo orizzontale e allintegrazione
verticale, per cui attraverso la collaborazione si riescono lo stesso a raggiungere gli obiettivi di aumento della quota di
mercato e del valore aggiunto.
9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La scelta di un particolare modello di crescita si collega o dovrebbe collegarsi allopportunit di realizzare strategie
competitive di successo. Solo avendo adeguate risorse specifiche si potr assicurare una crescita equilibrata e durevole
nel tempo. Se il processo di formulazione dei comportamenti strategici segue un iter di programmazione che vede al
centro la definizione della strategie complessiva vi sar un collegamento stretto anche tra strategia complessiva e
strategia funzionale. I processi operativi di commercializzazione dei prodotti, di realizzazione dei prodotti da porre sul
mercato, di logistica, di ricerca tecnologica e di approvvigionamento finanziario saranno alla base del tipo di strategia
competitiva prescelta nelle aree di affari in cui limpresa risulter operante o vorr inserirsi.

PARTE TERZA
LA DIREZIONE DELLIMPRESA
Capitolo Ottavo: IL CICLO DI DIREZIONE DELLIMPRESA E IL PROCESSO ORGANIZZATIVO
1. IL RUOLO DEL MANAGEMENT
La gestione dellimpresa si svolger in conformit delle strategie complessiva e funzionali definite dal vertice
imprenditoriale. Per far si che le scelte assunte possano tradursi in risultati necessaria unattivit di direzione sia sul
piano direzionale che sul piano operativo, soprattutto per disciplinare luso delle risorse disponibili. A chi dirige compete,
infatti, la responsabilit dellefficienza nellimpiego del fattore umano, dei mezzi finanziari, delle competenze tecnologiche
e commerciali. Tra il momento strategico e quello dellesecuzione sinterpone il processo direzionale. Organizzare le forze
in campo, programmare il ciclo operativo e controllarne gli esiti configura la responsabilit specifica di chi riveste cariche
direzionali allinterno del sistema aziendale.
2. IL PROCESSO DI DIREZIONE AZIENDALE
Lazienda diventa pi grande, il rapporto con il mercato pi difficile e la tecnologia si diffusa anche nei processi di
gestione. Questo fa si che la direzione aziendale deve preoccuparsi, oltre che a dare ordini e farli eseguire, anche di
partecipare attivamente alla formulazione di strategie e politiche di gestione.
In che modo? Con un ciclo, detto ciclo di direzione, che consiste in una serie di azioni strettamente legate tra loro, che
sono programmazione (stabilisco obiettivi e modo in cui raggiungerli), organizzazione (decidere chi esegue le
decisioni), conduzione (dico come vanno fatte le cose e motivo a farle) e controllo (valutazione) della gestione. A
questo ciclo di direzione corrisponde un ciclo informativo, perch per passare da una fase allaltra deve avvenire un
passaggio dinformazioni. Dato che il ciclo termina con il controllo proprio il passaggio dinformazioni dalla fase di
controllo a quella nuova di programmazione che permette di ricominciare un nuovo ciclo.
CICLO DIREZIONALE
PROGRAMMAZIONE (atti di decisione)
ORGANIZZAZIONE (atti di disposizione)
CONDUZIONE (atti di guida)
CONTROLLO (atti di valutazione)

CORRISPONDE

CICLO
INFORMATIVO
PER
DIREZIONE
INFORMAZIONI SULLAMBIENTE
DIRETTIVE PER LESECUZIONE
RISULTATI DELLESECUZIONE
DATI INTERNI DI CONTROLLO

LA

3. LA FUNZIONE ORGANIZZATIVA
L Impresa una struttura composta da persone e macchine e le sue parti (organi) devono essere organizzate per
conseguire un fine comune.

Organizzare vuol dire appunto ordinare un sistema in varie parti correlate e interdipendenti. Esistono 2 concetti teorici che
parlano di organizzazione: 1) Marshalliano: vede la funzione organizzativa come un azione ordinata di tutti i fattori
produttivi, materiali e immateriali dellimpresa:
2) Ristretto: immagina che questa funzione si occupi solo di ordinare il fattore umano.
Lo scopo della funzione organizzativa raggiungere lefficienza dividendo,specializzando e organizzando le attivit in un
sistema. Facendo questo si attiva un processo sinergico per cui ogni elemento rende di pi in rapporto agli altri di quanto
non renderebbe da solo. Altro scopo soddisfare le esigenze di coloro che lavorano nellimpresa, impiegandoli nel modo
giusto e migliorando cos il rendimento globale. Lo studio dellorganizzazione pu essere fatto dal punto di vista di un
profilo strutturale, cio analizzo compiti,scelti dalla strategia e responsabilit, dei lavoratori, o da quello di un profilo
comportamentale, cio i rapporti interpersonali di equilibrio e conflitto a fronte del funzionamento.
4. LE SCELTE ORGANIZZATIVE
Progettare significa:
1) Fissare degli obiettivi da raggiungere in base ai quali fare scelte diverse;
2) Fissati gli obiettivi la prima scelta da fare definire il confine efficiente, cio la convenienza tra produrre allinterno o
esternalizzare.
A seconda che si debba svolgere questo processo in unazienda di nuova nascita o gi esistente cambiano i vincoli a cui si
sottoposti. In una gi esistente il vincolo dato dal personale gi presente, in una nuova il vincolo principale la
quantit di fondi a disposizione.
Se si organizza una nuova impresa i fattori che devo considerare sono:
1) Che obiettivi si hanno e che strategia perseguire in un certo settore;
2) Quanti soldi si hanno a disposizione per organizzarsi;
3) Che risorse umane offre il mercato e quante se ne possono assumere.
Altri vincoli da considerare sono:
- Capacit professionali presenti sul mercato che si possono acquisire;
- Investimento che si possono sostenere;
- Costi fissi di lavoro che influiscono sulla propria rigidit.
5. I MODELLI DI STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Strutture molto piccole: forme di organizzazione molto semplici, limprenditore la figura centrale, poca formalit,
divisione del lavoro fatta in aree funzionali e i rapporti interpersonali sono forti e non codificati. Quando il numero dei
lavoratori in azienda cresce, la struttura tende a modificarsi, perch bisogna coordinare pi persone e le funzioni, le
divisioni e i poteri devono essere chiare a tutti, perci si stabilisce il vertice e si segmentano i processi di gestione, dando
a ognuno il suo compito.
Per suddividere i compiti esistono 2 mezzi:
- Per funzione, i compiti si aggregano e si affidano a un solo responsabile;
- Per divisione, i compiti si dividono per segmenti di gestione modello funzionale: divisione per funzioni, cio compiti
complementari e interdipendenti rispetto a un fine.
Per prima cosa bisogna definire le funzioni di vertice, che hanno carattere di:
- UNIVERSALITA, perch sono presenti in tutti i tipi di azienda simili; - ESSENZIALITA, perch il loro compito quello principale dellimpresa;
- SUDDIVISIBILTA, perch si possono dividere in linee generiche;
- IMPOSSIBILITA DI AGGREGAZIONE CON ALTRI FATTORI.
Si avr per esempio la direzione marketing e allinterno altre sottofunzioni, ognuna con un responsabile. I compiti sono
divisi in base alla loro natura e ogni area operativa ne svolge uno. Questa struttura risulta poco propensa all innovazione,
ha bisogno di meno coordinamento, tipica di aziende poco diversificate. Quando le aziende diventano pi dinamiche si
passer al modello divisionale, in cui ogni divisione si occupa di un prodotto e allinterno della divisione ci si divide poi per
funzioni. In questa struttura ogni divisione pu essere percepita come unazienda a s e, quindi, come un centro di
profitto nelle mani di un responsabile. Da questa struttura possibile arrivare alla cosiddetta multifunzionale, in cui
alcune divisioni vengono staccate dalle altre diventando comuni, come la divisione finanza o gestione del personale, ma
questo avviene solo se centralizzandole si ottengono maggiori benefici dalla loro specializzazione e un miglioramento
generale per lorganizzazione. La multi divisionale pone lattenzione ai risultati pi che ai compiti e porta addirittura le
divisioni a competere tra loro, con il rischio che configgano. Se le divisioni si staccassero, ottenendo pi autonomia,
arriveremmo allorganizzazione di gruppo, cio una struttura holding, utile per governare attivit molto differenziate, ma
anche per dividere gli utile, pagando meno tasse, diversificare i rischi e avere pi possibilit di ottenere finanziamenti,
perch ognuna ha diritto di farlo.
6. LE STRUTTURE ORGANIZZATIVE INNOVATIVE: LORGANIZZAZIONE PER PROCESSI A RETE
Pi lambiente diventa complesso, pi lazienda deve adattarsi, per cui l organizzazione verr sempre pi destrutturata
piuttosto che strutturata, e alcune funzioni vengono esternalizzate. Il nuovo tipo di organizzazione che emerge quello

per processi, in cui tutte le attivit sono coordinate secondo obiettivi globali a cui tutte tendono. Altro tipo di
organizzazione quella a rete, che porta a instaurare collaborazioni con i fornitori e i clienti. Importante in questa
struttura sono i rapporti, cio il modo in cui si decide di regolare alcune procedure, non si creano unit organizzative; in
questo modo si lavoro pi velocemente, con flessibilit e efficienza. Ovviamente perch questo sia possibile occorre che le
informazioni circolino in fretta allinterno della rete. Le strutture pi flessibili sono quelle a progetto e a matrice. Quella a
progetto simile a quella funzionale, con la differenza che i gruppi si creano temporaneamente per portare a termine un
progetto e poi si sciolgono. Quella a matrice solo l istituzionalizzazione di quella a progetto. In quella a matrice ogni
responsabile sottosta a un direttore di linea e a quello di prodotto nello stesso momento. Altro fattore importante la
suddivisione dei poteri, pi decentralizzo i poteri, pi livelli gerarchici creo. Per consentire velocit e creativit molte
imprese usano le strutture corte o appiattite, in cui i canali di comunicazione tra direttori e esecutori sono pi corti e
parlano meglio. Lampiezza del controllo consiste invece nel definire quanto pu essere grande un gruppo sotto uno
stesso leader, per esempio se i compiti da svolgere sono facili, i subordinati sono maturi ed facile comunicare, allora si
potr ampliare il controllo, al contrario viene ridotto.

7. LA DEFINIZIONE DELLE PROCEDURE DECISIONALI ED OPERATIVE


Per far funzionare il sistema bisogna definire le routine organizzative, cio le procedure da svolgere; queste possono
essere di 4 tipi:
- Operative;
- Di controllo;
- Dinformazione;
- Decisionali.
Le procedure dicono anche come ci si deve comportare per svolgere un certo compito o risolvere un dato problema,
diventando cos delle regole da seguire. Regole che possono essere rappresentate in un flow chart, diagramma di
flusso, che fa vedere l iter dell operazione e mostra i vari step da portare a termine, gli organi che sono interessati nella
procedura e come sintegrano gli uni con gli altri. Quando le operazioni diventano molto pi complesse il flow chart non
basta pi e si descrivono analiticamente le procedure.
8. LO SVILUPPO ORGANIZZATIVO E LEFFICIENZA AZIENDALE
Lefficienza dellorganizzazione alla base dellefficienza gestionale dellazienda, ed indipendente dalla dimensione,
perch in qualunque caso uno strumento per aumentare la produttivit e usare meglio le risorse a disposizione. Questo
importante soprattutto quando la concorrenza diventa agguerrita e se non si riesce a combatterla sul fronte prezzi o
pubblicit; bisogner trovare altri modi per differenziarsi e far si che il proprio modo di organizzarsi non diventi dintralcio
allazienda, per costi troppo alti, ma possa anzi essere un punto di vantaggio.

Capitolo Nono: LA PROGRAMMAZIONE DELLA GESTIONE


1. LA FUNZIONE DI PROGRAMMAZIONE AZIENDALE
La programmazione aziendale assume un ruolo centrale nel processo di direzione aziendale perch si propone di
regolare, sulla base dellorganizzazione creata, il corso futuro della gestione. La programmazione deve essere concepita
quale processo di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle attivit da compiere entro un determinato
periodo di tempo. Il processo di programmazione si deve tradurre in un sistema di piani distinto secondo:
a) I contenuti (piani strategici e operativi)
b) Lambiente gestionale (piani globali, piani di aree di affari e piani di funzioni)
c) Lorizzonte temporale (piani di lungo, medio, breve e brevissimo termine)
d) Il grado di analisi (piani-progetto e piani esecutivi)
I piani fondamentali sono quello strategico e quello operativo. Il primo rappresenta lelemento di riferimento di tutto il
sistema, in quanto sia il piano operativo sia i singoli piani desercizio dovranno essere elaborati in funzione del
perseguimento degli obiettivi di lungo termine. Il conseguimento di questi ultimi richieder la formulazione di un piano
di sviluppo strategico, la predisposizione di un piano di investimento da compiere per realizzare la strategia prescelta ed
infine la messa a punto di un piano organizzativo per definire le strutture pi idonee a dare attuazione alla strategia di
sviluppo.
2. IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEI PIANI AZIENDALI
Un piano si sostanzia, nellindicazione delle sequenza di decisioni e di operazioni da porre in essere per perseguire gli
obiettivi stabiliti. Esso costituito da 4 elementi: obiettivi, politiche, attivit e risorse.
Gli obiettivi rappresentano i traguardi cui dovr tendere lorganizzazione, le politiche costituiscono le linee generali di
azione, le attivit configurano i flussi di operazioni da attuare durante la gestione e le risorse disponibili si pongono quali
opportunit-vincoli da rispettare nello svolgimento di tali operazioni. Limpresa protesa a massimizzare i risultati di
gestione entro i limiti posti dallambiente esterno e dalla struttura interna. Per fare ci stabilisce un insieme di politiche
che, tenuto conto dei vincoli predetti, consentano di ottenere gli obiettivi di periodo. Le politiche rappresentano
lelemento di traduzione di un sistema di vincoli in un sistema di obiettivi. Costituiscono la struttura portante del
processo di gestione. Il budget economico o bilancio preventivo un documento contabile che traduce, in termini
di costi e ricavi, le scelte e le operazioni stabilite nel piano. E definito come un conto profitti e perdite anticipato perch
tende a predeterminare il risultato della futura gestione, con esso si riescono a valorizzare economicamente le decisioni
programmate e a valutare lopportunit di attuarle o di modificarle prima di tradurle in operazioni di gestione. Inoltre
permette di esercitare un valido controllo sugli obiettivi raggiunti allinterno dellorganizzazione. Al budget economico si
collega un budget finanziario che considera gli usi e le fonti di capitale, in modo da predeterminare il saldo finanziario
dellesercizio. Nellimpresa si elabora anche un budget di cassa per governare il flusso monetario di entrate e di
uscite. Si pu avere una diversa impostazione della programmazione che si basa sullanalisi del divario e parte dalla
fissazione degli obiettivi che lazienda intende raggiungere. Il procedimento di sviluppa nel valutare i modi di
eliminazione delleventuale divario rispetto agli obiettivi normalmente conseguibili nel mercato. I punti fondamentali
sono:
a) La fissazione degli obiettivi collegati con i traguardi di sviluppo stabiliti nel piano di lungo termine;
b) La previsione degli obiettivi raggiungibili nellipotesi di una persecuzione delle tendenze di mercato e della ripetizione
delle azioni di gestione attuate in passato;
c) La determinazione del divario tra obiettivi desiderati e obiettivi realizzabili in assenza di innovazioni nella gestione;
d) Lindividuazione delle modalit di eliminazioni del divario, cio delle nuove politiche necessarie per rendere

compatibili le aspirazioni imprenditoriali con i previsti andamenti di mercato.


Con questa impostazione lazienda tende ad imporre i suoi obiettivi al mercato, sfruttando le opportunit di mutamento
delle sue politiche di gestione. Gli obiettivi dei programmi rappresentano sempre il risultato di un compromesso tra le
aspirazioni del gruppo imprenditoriale e le realt da fronteggiare e che la caratteristica fondamentale del processo di
programmazione literativit.

3. LE PREMESSE PREVISIONALI E LA FLESSIBILIT DEI PIANI


I programmi sono definiti in un rapporto ad un insieme di premesse, legate alla previsione dellandamento dei fenomeni
interessanti la vita dellimpresa; premesse che possono o no trovare verificazioni nel corso della gestione. Le premesse
rappresentano degli assunti circa il futuro svolgimento dellattivit aziendale.
Sono distinguibili in tre tipi:
- Premesse non controllabili, che lazienda non pu influenzare in nessun modo;
- Premesse semicontrollabili, che non pu tenere sotto controllo, ma su cui si pu influire in misura
pi o meno rilevanti;
- Premesse controllabili, di cui conserva invece il controllo perch esse dipendono pressoch esclusivamente dal suo
comportamento.
La previsione dovr perci riguardare non solo il mercato,ma estendersi anche ai pi ampi mutamenti che si riflettono
sul tessuto sociale nel quale lazienda stessa inserita. I piani non possono assumere un carattere assolutamente
vincolante per lo sviluppo della gestione ma devono poter essere tempestivamente modificati in funzione del variare
degli assunti in base ai quali furono costruiti.
4. LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA ED OPERATIVA
Nellaffrontare la programmazione aziendale il management pu dunque privilegiare una visione di tempo lungo
dellattivit di gestione e procedere a formulare i piani secondo unottica di non breve periodo oppure pu orientare
previsioni e programmi nel tempo breve. Ogni impresa opera entro un sistema di vincoli, che ineriscono alla struttura
interna dellorganizzazione e allambiente socio-economico. Fra i primi si possono richiamare i limiti posti dalla
potenzialit produttiva, organizzativa, finanziaria ed economico-strutturale e fra i quelli connessi con il mercato, con il
progresso tecnologico e con la regolamentazione pubblica. Dalla programmazione di lungo termine si differenzia in
modo netto la programmazione di breve termine. Mentre la prima ha lobiettivo fondamentale di modificare il sistema
di vincoli entro cui opera limpresa, la seconda ha lo scopo di adattare lattivit corrente ai vincoli interni (potenzialit
produttiva, potenzialit organizzativa, potenzialit finanziaria, potenzialit economico-strutturale) ed esterni alla
gestione aziendale ( crescita della domanda, pressione della concorrenza, progresso tecnologico, regolamentazione
pubblica). La programmazione a breve consiste nel preordinare le operazioni di gestione secondo gli obiettivi fissati per
lesercizio annuale. Questo tipo di programmazione viene definito di adattamento perch la modificazione di certi vincoli
comporta tempi non brevi e fa si che il patrimonio di risorse dellimpresa appaia quale vincolo di partenza per la
realizzazione delle operazioni di gestioni. Bisogna tenere presente che qualsiasi piano sempre il risultato di una
sommatoria di nuove iniziative e di attivit correnti.

Capitolo Decimo: IL CONTROLLO DIREZIONALE


1. LA FUNZIONE DI CONTROLLO DIREZIONALE.
La funzione di controllo conclude il ciclo di direzione e contemporaneamente crea le premesse per lavvio con la
programmazione di un nuovo ciclo di attivit. Esso necessario per garantire lordinato svolgimento dellattivit
aziendale a qualsiasi livello e a qualsiasi posizione organizzativa. Il processo di controllo pu avvenire in 4 momenti:

In via antecedente rispetto allazione (mediante i vari tipi di analisi di mercato);


In via concomitante allo svolgimento dellazione (mediante lanalisi degli scostamenti tra le
prestazioni realizzate e gli obiettivi fissati in sede di programmazione);
In via susseguente per mezzo della determinazione di valori e indici di efficienza aziendale;
In via prospettica mediante il controllo strategico;

Il controllo antecedente serve a valutare preventivamente la bont di certe scelte e trova sostanza nello stesso
processo di programmazione, visto come forma di controllo delle future linnee di gestione. Il controllo concomitante si
lega alla programmazione poich ha lo scopo di guidare a tutti i livelli dellorganizzazione lattuazione dei piani
formulati. Il controllo susseguente va inteso come valutazione dellefficienza e dellefficacia della gestione, cio come
strumento dindirizzo per la formulazione delle decisioni future. Quello prospettico deve essere inquadrato quale mezzo
per verificare la bont delle scelte strategiche e organizzative i essere.

2. IL CONTROLLO CONCOMITANTE E SUSSEGUENTE.


Lattuazione di una gestione programmata consente lesplicazione di una funzione concomitante di controllo operativo,
definito come la procedura attuata, durante lo svolgimento delle operazioni aziendali, allo scopo di seguire lo sviluppo
della gestione e di garantire il rispetto degli obiettivi fissati in sede di costruzione dei piani. Ogni schema di controllo si
compone di 4 elementi:
-

La fissazione di obiettivi o standard da raggiungere;


La misurazione dei risultati via via ottenuti;
Lanalisi delle cause di eventuali scostamenti;
Lassunzione di interventi di correzione per riportare i risultati in linea con il piano.

Per ogni attivit da compiere si stabiliscono degli obiettivi. Gli obiettivi possono essere desunti dalla programmazione
formulata o essere fissati in fase di attuazione di specifiche politiche o azioni operative. In ogni azienda buona norma
stabilire un sistema di reporting in grado di far giungere con regolarit i dati sui risultati di gestione ai dirigenti
interessati. Lanalisi casuale momento di grande importanza perch deve fornire elementi preziosi sulla genesi delle
deviazioni. Unanalisi non corretta pu orientare in modo sbagliato gli interventi di gestione. Il controllo operativo
deve assicurare il mantenimento dellequilibrio tra obiettivi e risorse impiegate nellattivit di gestione. Gli interventi di
correzione possono avere per oggetto il livello delle prestazioni ottenibili prefissati, tendono a riportare lattivit in linea
con la programmazione; i secondi hanno invece per scopo il riadeguamento di questultima alle mutate condizioni
interne ed esterne di svolgimento della gestione. Lattuazione della programmazione e del controllo operativo consente
di realizzare il tipo pi moderno di conduzione dellattivit aziendale: la direzione per obiettivi e il controllo per risultati.
Il controllo concomitante trova la sua sintesi ideale nel raffronto tra i risultati economici di gestione raggiunti e quelli
presi a base del budget aziendali. La costruzione di conti economici mensili consente di sorvegliare costantemente gli
esiti dellattivit aziendale e di valutare le difformit rispetto a quanto programmato. Questo richiede che sia il budget
economico che quello finanziario siano articolati per periodi infrannuali in modo da poter determinare gli scostamenti di
maggiore rilievo, individuare le cause degli stessi e intervenire rapidamente con le opportune misure di gestione. La
funzione di controllo della gestione si completa con lattuazione delle valutazione di efficienza sulla gestione
aziendale. Queste rappresentano dei controlli a posteriori del rendimento dei vari fattori impegnati nella combinazione
produttiva. Lefficienza misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impegnate, mentre lefficacia
misurata dal rapporto tra gli obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbero dovuti conseguire.
3. IL CONTROLLO STRATEGICO O PROSPETTICO.
Il controllo di gestione non sufficiente per fornire alla direzione aziendale gli elementi di guida dellorganizzazione
perch soffre di due limiti, il primo connesso con il rapporto di interdipendenza nei confronti del sistema di
programmazione adottato nellimpresa; il secondo rappresentato dalla difficolt di ampliare le analisi sul piano
dellintera struttura organizzativa aziendale. Il controllo porta ad individuare certe aree specifiche di scarsa efficienza,
ma non si spinge a valutare la rispondenza del modello base dellorganizzazione o il corretto impiego degli uomini che in
questa organizzazione si trovano ad operare. I limiti nel controllo di gestione fanno convincere della necessit di un altro
tipo di controllo strategico. I suoi obiettivi peculiari sono:
a) Congruenza esterna del comportamento strategico dellazienda che discende dalla rispondenza del comportamento
aziendale,
proiettato nel medio-lungo periodo, allevoluzione dellambiente in cui limpresa gi opera e intender operare in
futuro.
b) Congruenza organizzativa tra strategia e struttura dellazienda in quanto intende verificare se in rapporto alla
strategia in essere
e alle sue eventuali modificazioni, rimane valida lorganizzazione prescelta;
c) Efficienza del sistema e dei responsabili di direzione; nellimpresa assume un rilievo a se stante il sistema di direzione
ossia il
meccanismo procedurale mediante il quale strategia e struttura si legano durante la vita dellimpresa.
Lefficacia delle procedure di organizzazione, programmazione e controllo della gestione condizioner sia la
formulazione e laggiornamento delle strategie,sia le scelte di fondo e le successive revisioni in materia di
organizzazione. Linserimento di questo obiettivo richiede non solo un ampliamento delle analisi da condurre, ma anche
una modificazione del controllo strategico da procedura interna attuata dalla stessa dirigenza aziendale a procedura
esterna realizzata da organizzazioni di consulenza. Il controllo strategico si amplia e diviene un tipo di controllo
eccezionale ed esterno. In questo senso esso comporta un vero e proprio check-up aziendale che si caratterizza per il
maggior grado di approfondimento e per lestensione allintero sistema dellindagine diagnostica, per il suo carattere di
verifica, che prescinde dallemergere di particolari fatti patologici. Nellimpresa il check-up assume unimportanza
rilevante, proprio a cagione delle possibilit del sistema aziendale di regolare e programmare il suo sviluppo. Deve
consentire anche di valutare le potenzialit non sfruttate o sfruttate soltanto parzialmente, in modo da orientare il
sistema stesso verso condizioni di equilibrio superiori a quelle primigenie.

4. LORGANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE DIREZIONALE DI CONTROLLO


Il controllo legato alla programmazione per 2 motivi : controllare se i piani formulati sono rispettati e orientare le scelte
future di programmazione. Solo con un buon controllo si pu iniziare a usare forme pi avanzate di governo aziendale.
Primo problema: nellimpresa moderna ogni scostamento dai piani significa non sfruttare appieno le risorse, ma oltre a
cercare di evitare questa situazione, bisogna anche valorizzare le capacit diniziativa delle persone, cos che restino

sempre motivate e rendano. Per questo una soluzione positiva lasciare ai responsabili di gestione un po pi di
autonomia e potere nelle decisioni da prendere. Nella direzione per obiettivi e in quella del controllo dei risultati il
controllare e il controllato vengono cos a coincidere.
Secondo problema: eccesso di controlli, che in questo modo diventano costosi e fanno perdere tempo. I controlli
dovrebbero essere funzionali, cio relativi solo agli aspetti pi importanti della gestione per identificare in fretta
inefficienze e problemi. Lefficacia del controllo si basa sulle fasi che lo precedono nel senso che, essendo un ciclo, il
controllo prevede che prima ci sia stata unorganizzazione e una programmazione, mentre la programmazione prevede
che ci sia stata prima un organizzazione e poi un controllo.
Ultimo problema luso di tecniche e strumenti adeguati alle esigenze dellazienda, cos da evitare sprechi di risorse.
Non sempre le tecniche e gli strumenti migliori rispondono in maniera adeguata alle necessit dellazienda, magari
perch danno pi di quello che serve.

Capitolo Undicesimo: LA CONDUZIONE DEL PERSONALE E LA <<LEADERSHIP>>

1. LA CONDUZIONE DEL FATTORE UMANO ED I PROBLEMI DELLA MOTIVAZIONE


Saper gestire il personale molto importante per chi dirige limpresa. Bisogna capire chi serve davvero allazienda, ma
ancora non ne fa parte, e motivare le persone gi presenti. ovvio che tra imprenditore e lavoratori ci sono interessi
diversi, a volte contrapposti: limprenditore vuole ottenere il massimo rendimento rispetto ai costi che sostiene (salari e
stipendi), e il lavoratore vuole ottenere il massimo dal suo lavoro (reddito da lavoro). Il conflitto avviene nel momento
della stipula del contratto, regolato pi da enti nazionali e esterni che da imprenditore e lavoratore, e durante la fase
operativa, cio quando sinizia a lavorare insieme. Condurre significa ottenere il massimo del rendimento, dirigere invece
vuol dire far s che altri realizzino. L abilit di chi dirige sta nel raggiungere certi risultati operativi, ma soprattutto nell

instaurare un clima favorevole al raggiungimento degli stessi. A seconda di come viene considerata la persona adotter
uno stile direzionale adeguato, quindi ci sar il passaggio da una direzione autoritaria, con forte controllo, gerarchia dei
ruoli definita, a una direzione partecipativa, basata sul consenso, in cui il lavoratore stesso che si autocontrolla, c
meno gerarchia e si cerca di creare motivazione. Il lavoratore render di pi se i suoi obiettivi coincidono con quelli
aziendali, e questo principio, didentificazione, alla base della motivazione.
Motivazione che pu essere di due tipi: a partecipare , e quindi a far parte dellorganizzazione, e a produrre e quindi ad
assicurare la produzione richiesta.
Dai bisogni si pu capire come variare il comportamento di una persona, che si possono classificare attraverso la piramide
dei bisogni di Maslow:
1) Bisogni primari di sussistenza: cibo, casa, vestiti;
2) Bisogni di sicurezza: avere un posto di lavoro, avere protezione;
3) Bisogni di socialit: affetto;
4) Bisogni di stima: reputazione;
5) Bisogni di autorealizzazione: ottenere il meglio da s stessi.
I bisogni sono in ordine dimportanza. In unazienda si vede che i primi devono essere soddisfatti attraverso stimoli
economici, mentre via via che si scende nella piramide, si preferir avere stimoli psicologici , cio gratificazioni morali.
Ci sono per alcune critiche che vanno fatte:
1) Non detto che per passare al bisogno successivo si debba soddisfare al 100% quello precedente;
2) Il soddisfacimento di uno o dellaltro varia in base alla persona;
3) E possibile che attraverso le scelte di una persona si soddisfino contemporaneamente pi bisogni.
Herzberg costruisce un modello teorico adatto allimpresa, individuando quei bisogni che sono tipici dei lavoratori:
bisogni soddisfattivi, che una volta appagati, conducono allazione, e bisogni insoddisfattivi , che se non soddisfatti,
portano alla frustrazione e quindi allinazione. Oggi un metodo molto usato per incentivare le persone dato dalla
partecipazione economica ai risultati dimpresa, per cui si lega una parte dello stipendio al raggiungimento di specifici
risultati. Per fare questa scelta bisogna per capire qual la parte di rendimento che influenzata da questi
comportamenti. Perci si pensato di distinguere lincentivazione in base al tipo di performance, se individuale o di
gruppo, e in base al periodo, se breve o lungo.
Da questi fattori scaturisce una matrice:

PERFORMANCE INDIVIDUALE
PERFORMANCE DI GRUPPO

BREVE PERIODO
AUMENTI SALARIALI
GRATIFICHE

LUNGO PERIODO
PIANO DI INCENTIVI
STOCK OPTION

La stock option consiste nella possibilit di fissare un prezzo per lacquisto futuro di unazione dellazienda per cui si
lavora. In questo modo anche i lavoratori sono collegati al rischio dimpresa. La motivazione a partecipare influenzata
anche dal tipo di struttura aziendale, come accade in strutture snelle, o corte, che avvicinano i luoghi delle decisioni e
favoriscono la comunicazione, cos come in strutture che prevedono gruppi di lavoro integrati (a progetto).

2. GLI <<STILI>> DI DIREZIONE


Lo stile di direzione il modello di governo dei rapporti di lavoro nellorganizzazione. Questo stile passa dallessere
autoritario a collaborativo. La scelta tra luno e laltro data:
- Dal sistema dei valori di chi dirige;
- Dalle capacit dei subordinati;
- Dalle caratteristiche della situazione in cui si esercita la direzione.
Lo stile di direzione sempre il risultato dellinterazione di questi 3 fattori.

Stile autoritario: le decisioni sono nelle mani di uno o di pochi e si attuano attraverso il comando ed il controllo. Il
rapporto gerarchico: chi sta sopra comanda ed eventualmente punisce chi sta sotto.
Stile partecipativo: le decisioni vengono prese in modo comune, o almeno coinvolgendo i subordinati, i quali si
autocontrollano e si assumono responsabilit precise. Il capo non pi colui che ordina ma colui che coordina e guida,
diventando cos un leader.
Secondo alcuni, esistono 2 teorie alla base di ciascuno di questi concetti:
1) Si parte dallidea che luomo detesta il lavoro e quindi lo fa ma non vuole prendere responsabilit in merito, quindi
lunico modo per farlo lavorare
il controllo e la minaccia.
2) Luomo accetta il lavoro come un fatto naturale della propria vita e accetta delle responsabilit se queste gli
permettono di soddisfare ulteriori bisogni. In questo secondo caso, luomo non solo va motivato, ma va valorizzato e
coinvolto. Questo concetto quello che sta alla base del principio del clan, per cui se in un gruppo si affermano dei valori
condivisi verso gli obiettivi aziendali, non pi necessario un rapporto gerarchico. Inoltre il solo rapporto gerarchico non
pi pensabile in unimpresa che fonda il suo successo sul soddisfacimento degli interessi di tutti gli stakeholder che ne
fanno parte.
Altro punto importante la coerenza tra sistema premiante e premi effettivi, perch se restano solo teorici hanno un
effetto negativo sulla motivazione e sulla presa di responsabilit. Affinch lo stile partecipativo abbia successo occorre
che il leader sia riconosciuto e seguito, cos che i subalterni modifichino il loro comportamento in base a quello del leader.
Il leader deve avere autorevolezza e creare motivazione, cos da mantenere sempre al top la performance dei lavoratori,
anche perch pi il lavoro diventa un lavoro di cervello, pi la leadership partecipa in modo essenziale, perch non ci sono
cose da costruire, ma cose da pensare. Il leader deve essere in grado di creare spirito di gruppo, essere desempio, far
capire e interiorizzare i valori dellazienda. Il leader quindi non chiede solo di risolvere dei problemi, ma lancia sfide, voglia
di competere e tensione ai risultati, tenendo sempre un occhio alloperativit, per cui sar tanto pi abile, quanto pi
riuscir a realizzare velocemente le scelte e mantenere coeso il gruppo.

3. LA MOTIVAZIONE DEL PERSONALE MEDIANTE LANALISI E LARRICCHIMENTO DELLE MANSIONI


La motivazione diventa sempre pi centrale e si pone al centro del contratto psicologico, cio il legame tra il lavoratore e
lazienda. Questo legame diventa produttivo quando ci che il lavoratore disposta a dare allazienda, coincide con
quanto lazienda disposta a ottenere. Per far s che i due obiettivi coincidano, si deve agire anche sulle mansioni,
analizzandole e valutandole. (job analysis). Attraverso la job analysis possibile Identificare le caratteristiche specifiche
di ogni mansione, quindi ci che si deve fare, conoscere e saper fare. Una volta definite le mansioni sar possibile
ampliarle, attraverso la possibilit di rotazione, job rotation, per cui il lavoratore lavora a pi mansioni e in questo modo
evita la monotonia e acquisisce competenze nuove; job enlargement, cio lestensione della mansione a una mansione
con pi responsabilit; infine job enrichment, per cui il lavoratore viene coinvolto anche nella fase decisionale e non solo
in quella operativa, questultimo rientra nella teoria partecipativa di cui si parlava. La direzione partecipativa, che
trasmette conoscenze, pi attenta ai problemi del lavoro e a smorzare i conflitti, sembra essere la pi adatta alle nuove
esigenze di gestione del personale. Per fare questo occorrono dirigenti capaci che sappiano conciliare le necessit
dellimpresa, sopravvivere nel tempo, con quelle degli uomini impiegati, che desiderano crescere professionalmente ed
essere valorizzati.

Capitolo Dodicesimo: IL SISTEMA INFORMATIVO AZIENDALE E I PROCESSI DI <<KNOWLEDGE


MANAGEMENT>>

1. IL SISTEMA INFORMATIVO NELLORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Le informazioni sono fondamentali per far funzionare correttamente unazienda: per pianificare le attivit, coordinarle,
documentarle e valutarne le performance, prendere decisioni.

2. SISTEMA DIREZIONALE E OPERATIVO


Il vertice aziendale ha bisogno di informazioni diverse da quelle che servono alla base, uno avr bisogno di informazioni
di sintesi, aggregate, che gli permettano di avere un quadro generale, laltro d informazioni pi dettagliate e analitiche. Il
vertice sfrutta il S.I.D. sistema informativo direzionale, la base usa il sistema operativo. Il sistema informativo
direzionale elabora le info che sostengono il management aziendale nellassunzione di decisone complesse. Il sistemo
operativo identifica una serie di sottosistemi eterogenei, di produzione di marketing ecc.. che forniscono supporto
informativo per programmare lo svolgimento delle attivit esecutive e per il loro controllo operativo.

3. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DI UN SISTEMA INFORMATIVO


Un sistema informativo composto da 4 elementi:
1) DATI: i dati sono la materia prima , cio la rappresentazione di un fenomeno e prendono forma in una informazione, a
cui associato un significato utile per il soggetto. I dati sono l input per produrre le informazioni. I dati interni allazienda
devono essere integrati con dati esterni, del sistema competitivo per costruire una buona base di dati;
2) PROCEDURE: le procedure sono linsieme di norme da seguire per ottenere, elaborare e diffondere i dati. Per
realizzare un processo, bisogna identificare le fonti da cui prendere i dati e definire chi e come dovr occuparsi di questa
raccolta, del caricamento e dellelaborazione. Questa fase caratterizzata anche dalla possibilit di produrre informazioni
diverse a seconda dellutente che le richiede. Fondamentale poi capire i tempi in cui questa informazione necessaria
per realizzare un sistema informativo appropriato;
3) MEZZI TECNICI: luso di tecnologie informatiche ha dato un forte contributo alla creazione dei sistemi informativi,
permettendo di velocizzare, razionalizzare e automatizzare le varie attivit;
4) PERSONE: il sistema informativo trasversale a tutta limpresa e coinvolge tutti gli utenti del sistema informativo, sia
in modo attivo, perch produce informazioni, sia passivo, perch le raccoglie. Prima i dati venivano raccolti e elaborati
solo da alcuni reparti specializzati, gli EPD, electronic data processing, oggi invece tutti sono coinvolti nel processo

4. SISTEMA INFORMATIVO DIREZIONALE E BUSINESS INTELLIGENCE


Il sistema informativo aziendale pu essere diviso in S.I.D. e in sistema operativo. I due sistemi interdipendenti dato
che il S.I.D elabora informazioni che servono al processo decisionale e a fissare gli obiettivi, per cui si decide, si comunica
la decisione, la si attua, dalla fase di esecuzione, ritrasmettendo i dati, si passa al controllo e da qui a una nuova fase di
processo decisionale. Quindi il SID sta sopra gli altri sistemi operativi e da loro riceve periodicamente dei dati.
Il SID permette di produrre informazioni da le conoscenze necessarie a supportare le attivit di management di qualunque
livello. Questo fa capire che il SID utile a tutti i livelli in cui vengono prese decisioni d informazioni sia su richiesta
dellutente, pull, per specifiche esigenze, ondemand, sia non richieste, push, cio offerte con frequenza predeterminata.
Alla base del SID ci sono sistemi che contengono dati elementari, sistemi alimentanti. Le informazioni che interessano si
ottengono elaborando i dati, interni o esterni. Quelli interni si ottengono con dei sistemi operativi integrati, detti Erp
(enterpriseresuorce planing) , o sistemi dedicati alla gestione della relazione con il cliente, CRM, o altre applicazioni del
web. Questi dati elementari entrano nel Data warehouse , una specie di magazzino di dati di interesse direzionale, dove
possono poi essere trattati usando software e applicazioni. Questo processo pu essere favorito dai sistemi di business
intelligence che aiutano il management a ricercare le informazioni utili per capire cosa influisce sui fenomeni aziendali.
5. LA PROGETTAZIONE DEL SISTEMA INFORMATIVO: OBIETTIVI E CRITICITA
Per progettare il sistema informativo direzionale bisogna individuare:
- I macro obiettivi che il SID deve conseguire;
- I vincoli interni e esterni che devo rispettare (di legge, personale ecc);
- Le diverse soluzioni organizzative.
Per prima cosa si deve quindi capire chi prende le decisioni e di che informazioni ha bisogno per decidere. Per valutare
questo aspetto si cerca di capire le specificit del processo di decisione e il comportamento degli utenti nel loro ambiente
di lavoro. Bisogna quindi evitare di accettare qualunque richiesta senza considerare i vincoli di costo. Per fare questo si
dovr capire da dove si prendono i dati, le fonti, per capire se sono accessibili, di qualit, e esaustive per il mio interesse.
Fatto questo si deve definire come si struttura il data warehouse.

Le persone dovranno poi essere motivate a usare questo strumento, capendone lutilit e quindi importante capire:
- Che interventi fare per coinvolgere gli utenti chiave, key users. Per esempio se sono coinvolte nella sua
definizione, ottengono un prodotto adatto a loro, lo usano e lo consigliano;
- Il potenziale di setup dellutente, cio il tempo che impiegher per cambiare il proprio lavoro in base al nuovo
sistema e per appropriarsi delle sue potenzialit.

6. DALLELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI ALLA GESTIONE DELLE CONOSCENZE: IL


MANAGEMENT

KNOWLEDGE

Il diffondersi di strumenti web based ha fatto capire sempre di pi limportanza di sistemi informativi per la gestione della
conoscenza organizzativa, knowledge management.
Dallinformazione alla conoscenza
L informazione deriva dall interpretazioni dei dati in base a ci che interessa a un soggetto. La conoscenza invece
deriva dall integrazione tra diverse informazioni. In poche parole la conoscenza un sistema di informazioni organizzate,
organizzate da una persona che realizza uno sforza cognitivo, pensa, mette a frutto le esperienze e ne rielabora il senso.
Le risorse immateriali diventano sempre pi importanti per ottenere un vantaggio competitivo e quindi diventa
fondamentale riuscire a far circolare le conoscenze che sono racchiuse nei singoli lavoratori e allinterno dellimpresa.
vero che limpresa apprende (cio modifica, aumenta le sue conoscenze) solo se gli individui apprendono a loro volta
(learning orgnisation), ma questa conoscenza in pi deve essere resa accessibile a coloro che non lhanno generata
distribuendola in base alle specifiche necessit. I processi aziendali potrebbero infatti migliorare se si riuscisse a
capitalizzare la conoscenza che producono. La conoscenza deriva dal mix di conoscenze esplicita, che pu essere
codificata, e conoscenza tacita, che risiede nella mente delle persone. Questultimo tipo di conoscenza quello pi
difficile da raggiungere e da far emergere. I sistemi informativi tendono a recuperare tutte queste conoscenze, e a farle
parlare tra loro, cos che dal confronto si generi altra conoscenza. Il knowledge management un approccio strategico
che identifica nel capitale intellettuale la risorsa da gestire per migliorare le capacit dazione di una persona e
dellimpresa, cos, gestendo correttamente la conoscenza, possibile coglierne tutto il patrimonio informativo, non solo
quello contenuto nei database, nei documenti e nelle procedure (conoscenze esplicita), ma anche quello presente nella
mente di ciascun lavoratore, come somma di esperienze e competenze (conoscenza tacita).
Molti investono in KM secondo linee di sviluppo:
- Realizzando knowledge map che fanno un censimento di chi sa cosa e lo mettono a disposizione;
- Creando corporate knowledge base, cio insieme di archivi che memorizzano documenti di ogni tipo;
- Creando reti intranet e portali che permettono a tutti gli utenti di accedere a informazioni e conoscenze, e
permettendo anche di comunicare;
- Creando strumenti che favoriscono le comunit di pratica e il lavoro di gruppo, groupware.
Lostacolo maggiore allo sviluppo del KM di tipo culturale, inutile investire in tecnologia se nellorganizzazione non se
ne promuove luso attraverso una cultura partecipativa, volta al knowledge sharing. A volte poi il possesso di una
conoscenza considerato sinonimo di potere, perch chi lo possiede lo considera un vantaggio sugli altri e sullambiente
ed poco disposto a condividerlo, ma cos non condivide neanche gli errori commessi, rischiando che altri li
ricommettano. Per ovviare a questo problema, limpresa deve valorizzare il KM, valorizzando prima i comportamenti
partecipativi e creando un clima di rispetto e stima tra i lavoratori.

PARTE QUARTA

LA GESTIONE OPERATIVA
Capitolo Tredicesimo: LE GESTIONE OPERATIVA E IL MARKETING
1. IL RAPPORTO TRA LA STRATEGIA COMPETITIVA E LE STRATEGIE FUNZIONALI
Nelle imprese ben amministrate viene definito un quadro strategico (corporate) composto da una strategia complessiva,
strategie competitive e strategie funzionali. Ogni impresa infatti dovr produrre un bene o servizio, dovr curarne la
distribuzione e la vendita, avr bisogno di approvvigionarsi dei materiali, dovr governare la finanza, attuare la ricerca,
ecc In realt sussiste uno stretto legame tra strategia competitiva e tutte le strategie funzionai, dato che ogni scelta
aziendale dovr inserirsi in un sistema di scelte che ricomprender i molteplici aspetti della gestione.
STRATEGIA COMPETITIVA

STRATEGIA DI PRODUZIONE
DI RICERCA E SVILUPPO

STRATEGIA DI MARKETING

STRATEGIA FINANZIARIA

STRATEGIA

2. LE CARATTERISTICHE DELLA GESTIONE OPERATIVA


Le funzioni operative di gestione si svolge con caratteristiche e problematiche diverse da azienda ad azienda. Esse sono
inquadrabili in 3 gruppi distinti:
a) Funzioni primarie o organiche (produzione, vendita, finanza);
b) Funzioni di supporto ( logistica, personale, ricerca e sviluppo, contabilit);
c) Funzioni ausiliarie ( trasporti, distribuzione, manutenzione, pubblicit).

3. LORIENTAMENTO DELLIMPRESA NEI CONFRONTI DEL MERCATO


In passato si potevano distinguere due orientamenti diversi nei confronti del mercato da parte dellimpresa: uno verso il
prodotto, situazione molto pi facile dove bastava produrre a prezzi competitivi per poter ottenere dei profitti;laltro
verso il mercato, dove necessitava lanalisi della domanda globale. Oggi limpresa orientata al business, ci vuol dire
ricercare nuove occasioni di affare da aggiungere a quelle gi sfruttate nellambito del mix dei settori in cui opera. La
differenza tra orientamento al mercato e business data dal fatto che nel primo caso si ricerca esclusivamente nel
mercato in cui si opera,nel secondo caso la ricerca si estende a tutti mercati in cui le risorse aziendali possono essere
impiegate con successo. Lorientamento al business fondato sul concetto di marketing che indica il processo
mediante cui lazienda studia il mercato o i mercati che ritiene interessanti,analizza le tendenze della domanda e la
situazione della concorrenza, individua lesistenza di opportunit di business, orienta la produzione in funzione dei
potenziali acquirenti da conquistare, crea la domanda per i nuovi prodotti e provvede a collocare questi ultimi presso gli
sbocchi prescelti. (analisi del mercato, programmazione dei prodotti, promozione della domanda e esecuzione della
vendita.)
4. LA GESTIONE COMMERCIALE: FUNZIONI DI MARKETING E FUNZIONI DI VENDITA
Il marketing si pone come una filosofia di gestione incentrata sul mercato e protesta a trovare il miglior rapporto tra
offerta aziendale e domanda. La realizzazione di questo obiettivo comporta lo svolgimento di attivit di previsione,
programmazione, promozione e distribuzione dei prodotti per cui il marketing costituisce anche una funzione
fondamentale nellambito dellorganizzazione aziendale. Questa funzione richiede la creazione di strutture idonee e la
disponibilit di competenze professionali adeguate, con un allargamento ed arricchimento sostanziale della tradizionale
area di vendita. Nellambito della funzione commerciale si possono individuare due gruppi di compiti che per la loro
importanza tendono ad originare delle distinte sub-funzioni. Vi infatti un complesso di attivit operative legate al
momento della vendita e un complesso di attivit di programmazione necessarie per lorientamento non solo della
gestione commerciale ma anche della gestione produttiva e finanziaria. Fra i due tipi di compiti sussistono delle
diversit di attuazione che inducono appunto a specializzarli sotto il profilo organizzativo. Le responsabilit di marketing
richiedono competenze di studio e una centralizzazione degli organi a cui essere debbono essere confidate mentre
quelle di vendita comportano prevalentemente delle azioni da svolgere in diretto contatto con il mercato. Un modello
organizzativo dellarea commerciale un modello ideale, ma non applicabile a qualsiasi genere di impresa.

5 .IL MARKETING IN FUNZIONE DEL SERVIZIO AL CONSUMATORE


CONCORRENZA BASATA SUL TEMPO(TIME-BASED COMPETITION)

(CUSTOMER SATISFACTION) E DELLA

Le politiche di marketing compongo linsieme degli strumenti rivolti allottenimento degli obiettivi di mercato fissati di
periodo in periodo. In questa combinazione sono anche comprese delle scelte inerenti ai prodotti, ai prezzi, alle
promozioni e ai canali, il cui fine quello di avvicinare lofferta dellazienda alla domanda presente nel mercato
mediante un processo di adattamento che coinvolge le variabili essenziali dello scambio che sono: bene offerto,prezzo

di vendita, informazione del prodotto e disponibilit del bene nei punti vendita. Le difficolt e i costi promozionali
necessari per acquisire nuovi clienti fanno si che la customer satisfaction (qualit) e la customer retention
(fidelizzazione) diventino obiettivi principali dellazione del marketing.
6. IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE E LA SEGMENTAZIONE DEL MERCATO
Le scelte del consumatore dipendono dalla disponibilit del reddito che si pu frazionare in due parti: impegnarlo per il
soddisfacimento di bisogni essenziali (REDDITO IMPEGNATO) o per il risparmio o per lappagamento di bisogni non
essenziali (REDDITO DISCREZIONALE). Poi per la destinazione del reddito discrezionale il consumatore attua un processo
di scelta a tre stadi (bisogni, beni e marca), e di conseguenza il consumatore si trova a dover fronteggiare una
concorrenza indiretta o tra bisogni (scelta del bisogno non di prima necessit), una concorrenza allargata o tra beni
alternativi (scelta del bene per soddisfare il bisogno non di prima necessit) ed una concorrenza diretta o tra marche
(selezionare una particolare offerta). Le motivazioni di acquisto si dividono in tre gruppi:
a) Motivazioni razionali; incentrate sul calcolo economico e orientate sulla valutazione del
rapporto prezzo-qualit del bene da acquistare;
b) Motivazioni emotive; sfera dei sentimenti e fattori di gusto, estetica, personalit del consumatore;
c) Motivazioni di patrocinio; fiducia nel produttore e nel distributore e creazione di un rapporto dintegrazione tra il
consumatore e la marca.
Il rapporto tra prezzo del bene e reddito disponibile influenza le modalit e le motivazioni dellacquisto, pi questo
rapporto alto pi prevalgono i motivi ragionali e di patrocinio rispetto a quelli emotivi. Ogni mercato si pu frazionare
in pi sub-mercati e <segmenti> di mercato, ciascuno comprendente una particolare categoria di acquirenti. La
segmentazione pu essere pi o meno spinta a seconda della variabilit di tali comportamenti di acquisto e anche dalla
consistenza dei segmenti cos individuabili. Il compito pi difficile nellattuazione del processo di segmentazione
consiste nellindividuare le caratteristiche o fattori principali che distinguono strati differenti di mercato e nello scegliere
quello o quelli che meglio si prestano a definire le classi di acquirenti. I parametri pi utilizzati per effettuare la
segmentazione sono:
1. Parametri demografici
2. Parametri socio-economici
3. Parametri ubicazionali
4. Parametri psicografici
5. Parametri comportamentali

7. LA STRATEGIA COMPETITIVA E LE ATTIVITA DI MARKETING


Non avrebbe nessun senso frammentare il mercato in parti tali che nessuna di essa possa poi essere conveniente e
interessante per lazienda. Quindi limpresa pu adottare tre atteggiamenti:
1. Rivolgersi al mercato come se fosse omogeneo sulla base di un programma standard di marketing
2. Con diversi programmi di marketing pu indirizzarsi ad un gran numero di segmenti di mercato
3. Mirare ad uno solo o al massimo a pochi segmenti di mercato con un unico programma di marketing.
Da qui si ha la distinzione di marketing indifferenziato, differenziato e concentrato.
MARKETING INDIFFERENZIATO: Considera il mercato come se fosse omogeneo dato che presenta sul mercato uno o
pochi modelli di prodotto con modalit promozionali o contrattuali simili. VANTAGGI: Realizza economie di costo.
LIMITE: limitato nella quota di mercato e presenta dei rischi in quanto tutti gli sforzi aziendali sono concentrati su un
unico modello di prodotto.
MARKETING DIFFERENZIATO: Tende a soddisfare le esigenze e le aspettative di pi segmenti di mercato effettuando
una diversificazione dei modelli. VANTAGGI: Conquista larghe fette di mercato, LIMITE: Maggiori costi di produzione,di
amministrazione e di promozione.
MARKETING CONCENTRATO: Si fonda sulla scelta di un segmento di mercato su cui concentrare gli sforzi aziendali.
VANTAGGI: Maggiore specializzazione e in certi casi elevato tasso di redditivit del segmento prescelto, LIMITE:
Limitazione al volume di affari ed elevati rischi, legandosi ad uno specifico sub-mercato dipender dalle vicende di
questultimo. Questo comportamento pi adatto alle aziende che non intendono raggiungere posizioni di leadership
assoluta nel mercato. La condotta vincente sotto il profilo del marketing quello di andare ad occupare delle porzioni di
mercato in cui si dispone di un vantaggio competitivo conservabile nei confronti della concorrenza. Il concetto di
segmentazione e lorientamento della strategia di marketing vanno intesi in senso dinamico perch limpresa mediante
le politiche di prodotto, di prezzo, di promozione e di distribuzione pu anche concorrere a modificare la segmentazione
preesistente con la creazione di nuovi segmenti o con il passaggio di gruppi di consumatori da un segmento ad un altro.

8. LA POLITICA DI PRODOTTO E DELLA MARCA


Il successo di un impresa dipende dal favore che riscuote la sua offerta commerciale e dal grado di accettazione dei
beni che pone sul mercato. Nellimpresa il legame tra competenze distintive e gamma di prodotti da collocare diretto.
La politica del prodotto ha un alto tasso di strategicit perch richiede delle decisioni che vincolano limpresa per tempi
molto lunghi e che determinano:
a) Lampiezza dellofferta
b) La differenziazione degli assortimenti
c) L innovativit delle produzioni
d) La visibilit dei prodotti
8.1 AMPIEZZA DELLA GAMMA DI VENDITA
La gamma di vendita si pu caratterizzare in ampiezza (tipologia produttiva), profondit (assortimento), e coerenza
(affinit dei tipi di prodotti). Allinterno della gamma si pu avere la distinzione tra prodotti da reddito, che generano i
maggiori flussi di cassa per limpresa, e prodotti strategici, essenziali per collocare i primi. Ipotesi pi frequente a livello
distributivo quello dellinserimento nella gamma dei prodotti da richiamo, cio i beni che possono richiamare
lattenzione dellacquirente sullintera gamma e contribuire alla vendita dei prodotti da reddito.

8.2 LA PROFONDITA DEGLI ASSORTIMENTI


Ogni tipo di prodotto viene portato sul mercato in una variet di modelli per varie ragioni:
a) Le caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto;
b) Le segmentazione della domanda e il posizionamento dellofferta, da differenziare in funzione dei gruppi di
consumatori da servire;
c) Linvecchiamento dei modelli e la differente capacit di contribuire al reddito dimpresa.

8.2.1 DIFFERENZIAZIONE DEI MODELLI E POSIZIONAMENTO DI MERCATO


Le ragioni di marketing degli assortimenti si legano alla strategia di differenziazione con la quale limpresa intende
servire pi segmenti e nicchie di mercato. La decisione fondamentale concerne il posizionamento, cio linsieme di
iniziative volte a definire le caratteristiche del prodotto dellimpresa e ad impostare il marketing-mix pi adatto per
attribuire una certa posizione al prodotto nella mente del consumatore. Il problema del posizionamento si collega
direttamente a quello della segmentazione, cio alla differenziazione verticale dei prodotti perch completa la
definizione del rapporto impresa-domanda-concorrenza.

Come vediamo nel grafico limpresa ha adottato 4 decisioni diverse per quanto riguarda il posizionamento: limpresa A
ha scelto una politica di qualit e di prezzo alto, limpresa C si orientata per i prezzi pi contenuti e standard qualitativi

meno elevati, mentre le aziende B e D si sono attestate su posizioni intermedie di qualit e di prezzo del prodotto. Le
scelte del posizionamento derivano dalla considerazione congiunta dei fattori di produzione e di mercato e che esse
possono essere attuate facendo leva anche su altre caratteristiche dellazione di marketing. La cosi detta conquista
della nicchia di mercato legata allopportunit di offrire ad un certo gruppo di acquirenti un valore unico nelle
condizioni di offerta,che assicuri allimpresa il successo durevole nei confronti della concorrenza operante nello stesso
segmento. La gamma di vendita la risultante di tre tipi di scelte:
1. Scelta dei settori di attivit;
2. Scelta delle linee produttive;
3. Scelte dei modelli da produrre.

8.2.2 CICLO DI VITA DEL PRODOTTO E NECESSITA DEL RINNOVAMENTO DELLA GAMMA
Ciascun prodotto ha un suo ciclo di vita, che si svolge dalla nascita, allaffermazione allo sviluppo e poi al declino. Di
conseguenza per limpresa importante decidere al ringiovanimento dei prodotti obsoleti e allinserimento dei prodotti
nuovi nella gamma di vendita. Ogni prodotto attraversa 4 fasi:
1. Introduzione nella quale inizia ad affermarsi con una crescita molto lenta della vendita;
2. Sviluppo nella quale lespansione delle vendite ha luogo ad un ritmo molto rapido;
3. Maturit nella quale le vendite continuano a svilupparsi;
4. Declino,fase nella quale il volume di vendita comincia a ridursi per lobsolescenza del prodotto.

Il ciclo del prodotto pu riferirsi alla categoria del prodotto,alla versione del prodotto e alla marca. In generale la curva
del ciclo di vita viene rappresentata con una funzione logistica. Questa curva ha un andamento diverso in relazione alla
natura del prodotto e alle politiche di mercato. Nella fase di introduzione del prodotto si generano perdite dovute alla
limitatezza della quantit collocata sul mercato;durante lo sviluppo si ottengono dei margini crescenti ;nella fase della
maturit il prodotto continua a generare profitti elevati;nella fase del declino si perde interesse per il prodotto e i
margini di profilo si comprimono tanto da decidere di radiare il prodotto dalla gamma. Questa partecipazione al reddito
aziendale alla base della matrice del portafoglio prodotti.In questa matrice per ciascun prodotto la situazione
sfavorevole o favorevole dipende dalla quota di mercato detenuta dallimpresa e dal tasso di variazione della domanda
globale. Allinterno di questa matrice figurano 4 quadranti:
Prodotti con bassa quota di mercato e lento sviluppo della domanda (prodotto marginale);
Prodotti con bassa quota e rapido sviluppo della domanda (prodotto rischioso);
Prodotti con alta quota e rapido sviluppo della domanda (prodotto di successo);

Prodotti con alta quota e lento sviluppo della domanda (prodotto da reddito).
Vengono classificati in base al concetto del cash-flow di prodotto.
PRODOTTO MARGINALE: ha un flusso di cassa insoddisfacente, costo elevato, mercato che non cresce dove lazienda
detiene una quota di mercato modesta;
PRODOTTO RISCHIOSO: ha il cash-flow peggiore, elevati investimenti per fronteggiare un mercato in rapido
sviluppo,la quota detenuta limitata cos come i ricavi;
PRODOTTO DI SUCCESSO: cash-flow positivo, anche se deve continuare ad investire risorse per battere la
concorrenza;
PRODOTTO DA REDDITO: lazienda sfrutta la sua posizione di forza in un mercato poco soddisfacente per la
concorrenza.
Anche se con dei limiti la matrice del portafoglio prodotti pu aiutare la direzione aziendale a valutare la potenzialit
economico-finanziaria dei prodotti compresi nella gamma di vendita per far si che si determinano le quantit di risorse
da investire nelle azioni di marketing.
8.2.3 LA POLITICA DELLA MARCA E LE ALTRE SCELTE CHE RIENTRANO NELLA POLITICA DI PRODOTTO
La politica della marca, insieme a quella del confezionamento del prodotto e dellassistenza post-vendita, finisce per
rappresentare un aspetto della politica del prodotto importante. Limpresa pu scegliere tra ladozione di una marca
industriale o commerciale e fra quelle di una marca unica per lintera famiglia di prodotti o di marche distinte per
ciascun prodotto venduto. La rinuncia ad una politica della marca frequente da parte delle piccole unit industriali che
non hanno i mezzi finanziari. Il produttore pu porsi la scelta fra ladozione di una o pi marche allinterno della gamma
di vendita; nel primo caso dove di solito la marca associata al nome dellazienda viene sfruttato nel caso di prodotti di
largo consumo,di certi beni durevoli e di quasi tutti i beni strumentali. In altri casi invece pu essere necessario
specializzare le marche in modo da ottenere una differenziazione dei prodotti,che pu servire per rivolgersi a pi
segmenti del mercato. Quindi la marca che rappresenta lunico veicolo di marketing in quanto garantisce la qualit,
laggiornamento e limmagine dei prodotti. Successivamente per certi tipi di beni assume importanza sotto il profilo
promozionale il tipo di confezionamento. Lindustrial packaging per molti prodotti alimentari divenuto un fattore
competitivo fondamentale. Nellambito della politica del prodotto c il problema delle garanzie da fornire ai compratori,
comune nella maggior parte dei prodotti, e pu essere implicita nel nome del produttore oppure nellapplicazione di
marchi di qualit, e dellassistenza post-vendita, assicurare assistenza gratuita da parte del produttore di solito entro un
lasso di tempo dalla data di acquisto del bene. La garanzia di uso uno strumento promozionale importante in alcuni
settori produttivi.

9. LA POLITICA DI PREZZO
La fissazione del prezzo assume un ruolo importante nellelaborazione del programma di marketing e assume un rilievo
importante a seconda del mercato servito e del grado di concorrenza tra i produttori. Per certe produzioni lo Stato a
fissare i prezzi massimi di offerta e in certe circostanze lo stesso committente stabilisce il prezzo di acquisto del bene o
servizio. E pi importante se limpresa vende direttamente al consumatore o allutilizzatore perch determina il prezzo
finale di vendita del bene o servizio,obiettivo difficile da raggiungere se vende al distributore. La formazione del prezzo
finisce per essere pi o meno regolamentata allinterno di mercati oligopolistici soprattutto quando pochi produttori
detengono il controllo del mercato.

9.1 LA DETERMINAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA


La determinazione del prezzo di vendita avviene sulla base di alcune premesse:
a) Funzione del prezzo in relazione alla segmentazione del mercato e al posizionamento della marca;
b) Equilibrio volumi-margini da conseguire;
c) Ruolo del particolare prodotto allinterno della gamma di vendita;
d) Peso della politica del prezzo nel marketing-mix.

Il prezzo pu essere lo strumento migliore per posizionare il prodotto nellambito del segmento di mercato prescelto. La
fissazione del prezzo avviene in due fasi: prima a livello di specifico articolo,poi in funzione dellintera gamma trattata.
La determinazione dei prezzi richiede un processo di approssimazioni successive dove elementi di conoscenza,
esperienza e politica generale dellimpresa contribuiscono a definire le soluzioni da adottare. Bisogna definire il margine
di manovra del prezzo che risulta definita da tre elementi:il costo del prodotto,lelasticit della domanda e la pressione
della concorrenza. Il metodo pi usato quello di aggiungere al costo un margine di profitto;metodo pi semplice ma
non considera le condizioni prevalenti del mercato. Per fare ci bisogna tener conto dellelasticit della domanda e dei
prezzi praticati dalla concorrenza,poi rispetto a questi limpresa potr adottare una politica di imitazione o di
differenziazione. La predeterminazione del costo collegata alla previsione del volume di vendita e di produzione che a
sua volta correlata al prezzo cui dovr essere collocato il particolare prodotto. I dati di costo servono per valutare

lopportunit di praticare certe quotazioni. Il ragionamento per stato semplificato e impostato in un rapporto a pi
ipotesi di costi-volumi-prezzi. Sulla base degli elementi interni (costi) ed esterni (domanda e concorrenza) si dovrebbero
determinare i limiti di manovra del prezzo, anche se in certi casi questi limiti potrebbero non essere rispettati. Nelle
attuali condizioni di mercato si sostiene addirittura che i costi si fanno sui prezzi, cio il produttore, nel momento in cui
si accerta del possibile prezzo del bene nel mercato, dovrebbe gestire i costi in modo da ottenere un margine positivo
per limpresa. La determinazione del prezzo dovrebbe essere fondata sul valore attribuito al prodotto da parte del
consumatore.
La possibile escursione del prezzo dipende da:
a) La concorrenza reale, cio la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche pi o meno similari a quelle del
prodotto considerati;
b) La concorrenza potenziale, ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate certe soglie di prezzo;
c) La concorrenza indiretta, cio la minaccia di prodotti sostitutivi;
d) Il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza;
e) Le qualit del servizio fornito insieme al prodotto.
Il concetto della politica di prezzo la differenziazione del prodotto. E il grado di differenziazione che permette di
ricavare un premium-price, cio un differenziale favorevole di prezzo nella vendita del prodotto. La fissazione dei prezzi
di vendita orientata dagli obiettivi e dalle politiche che lazienda intende perseguire nel tempo breve e nel lungo
termine. Limpresa pu prefiggersi di conquistare la quota pi elevata di mercato nel minor tempo possibile, cercando di
raggiungere il numero pi ampio di acquirenti fissando un prezzo minimo che gli consente di acquisire una fascia larga
di clientela e di recuperare in termini di profitto globali un minor margine unitario (PENETRATURA), oppure di sfruttare al
meglio la differente capacit di spesa del consumatore con lo scopo di conquistare segmenti di mercato sempre meno
ricchi o classi di consumatori disposte a spendere sempre meno per acquistare il particolare prodotto (SCREMATURA), il
cui fine quello di massimizzare il prezzo unitario come via per massimizzare il profitto globale. La politica di
penetrazione consigliata quando possibile ottenere significative economie di scala e la differenziazione del prodotto
annullabile in tempi brevi. La minaccia della concorrenza reale e potenziale e lopportunit di sfruttare delle economie
di costo fanno scegliere al produttore la conquista rapida della pi ampia quota di mercato. La politica di scrematura
invece si preferisce quando il prodotto ha una protezione diffusa nel tempo, non viene accolto subito da larghe fasce di
clientela e consente di segmentare redditiziamente il mercato. Una politica di penetratura e di scrematura pu essere
adottata in fasi successive del ciclo di vita del prodotto e per fasce diverse di clientela. Per determinazione del prezzo di
vendita non si deve intendere come la scelta di quotazioni articoli per articoli, ma come la fissazione di scarti o
differenziali di prezzo fra i vari articoli compresi in listino. Le decisioni sui prezzi si collegano ad altre scelte di marketing
in quanto il livello dei prezzi un elemento determinante delle politiche di segmentazione del mercato e di
posizionamento della marca.

9.2 LAMMINISTRAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA


Limpresa trova conveniente determinare, per il medesimo prodotto, una scala di prezzi, che contribuisca a rendere
lofferta pi elastica ed omogenea alle modalit secondo cui si manifesta la domanda, oppure si orienta a sfruttare una
politica di prezzi differenziati in funzione delle marche con cui il prodotto viene proposto al mercato. Un primo problema
quello della definizione dei margini commerciali, cio delle detrazioni sul prezzo finale di vendite da praticare agli
intermediari mercantili, in quanto limpresa ha interesse a fissare un prezzo al pubblico e scontarlo in funzione del livello
commerciale dellintermediario. Una discriminazione dei prezzi finali pu essere compiuta anche in rapporto a particolari
clienti nellambito di margini di discrezionalit attribuiti agli organi di vendita. I prezzi base possono variare poi secondo
le condizioni contrattuali, i pi importanti: i volumi dacquisto, le modalit di pagamento e il tempo di consegna. Altro
elemento rilevante di questa politica rappresentato dal modo di fissazione del prezzo. I prezzi possono essere:
IMPOSTI, quelli da praticare senza sconti ai compratori finali, SUGGERITI, quelli per cui consentito un certo margine di
manovra, e LIBERI, stabiliti dal produttore, che non vincolano il distributore. Limposizione del prezzo, realizzata tramite
lindicazione del prezzo sulla confezione, tramite la pubblicizzazione e con il controllo dei rivenditori, ha lo scopo di
creare una migliore immagine della marca e di sorvegliare lazione distributiva. Politica applicata soprattutto dalle
grandi imprese.

10. LA POLITICA DI PROMOZIONE E SVILUPPO DELLE VENDITE


La politica promozionale stabilisce gli obiettivi, le modalit e i mezzi di comunicazione con i vari pubblici e ad essa
confidato il compito dinviare informazioni agli interlocutori con cui limpresa a contatto. La promozione pu essere
definita in generale come il complesso di azioni poste in essere per indurre, preservare o modificare i modelli di
comportamento degli operari di mercato (consumatori, intermediari, finanziatori, altri produttori, ecc..)allo scopo di
ritrarre un vantaggio competitivo. Lo scopo quello di indurre allacquisto sfruttando le motivazioni che determinano il
comportamento del consumatore. Sono stati elaborati dei modelli che individuano tre momenti nel processo mentale del
consumatore nel momento in cui decide di spendere parte del suo reddito per lacquisto di un bene di cui a bisogno:
1. Il momento cognitivo dove si ha la consapevolezza del bisogno da soddisfare e si inizia a porre lattenzione sui
prodotti idonei a tale scopo;
2. Il momento emotivo quando lattenzione si trasforma prima in interesse e poi nel desiderio di disporre del prodotto;

3. Il momento attivo in cui si passa alla fase materiale dellacquisto mediante una comparazione delle varie offerte di
mercato.

Le scelte del consumatore sono effettuate soltanto fra le marche che egli conosce o ricorda al momento
dellacquisto,quindi lo scopo della promozione proprio quello di far conoscere e ricordare il nome del prodotto in modo
da ottenere il suo inserimento fra le alternative di acquisto. La politica promozionale pu essere realizzata mediante:
a) Lattivit di relazioni pubbliche;
b) La pubblicit;
c) La promozione in senso stretto;
d) Lattivit persuasiva dei venditori.

Queste attivit si collocano in posizioni nellimbuto promozionale. Si definisce imbuto per sottolineare limmissione
nellattivit promozionale di risorse, diverse per modalit dimpiego e effetti prodotti, allo scopo di sviluppare le vendite.
Sintende per pubblicit qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a pagamento da un promotore individuato a
coloro che sono o possono essere interessati al prodotto. Viene realizzata dai media ed di solito attuata mediante
apposite campagne necessarie per propagandare un nuovo prodotto, per rivitalizzare un prodotto in declino, per
rafforzare laffermazione della marca e per sottolineare la continuit di presenza del prodotto nel mercato.
Uninnovazione importante potrebbe essere lutilizzo di internet come mezzo dinformazione. Accanto alla pubblicit
possono, le imprese, rafforzare leffetto di richiamo con azioni dette di promozione in senso stretto, cio creare, di solito
per periodi limitati di tempo, particolari incentivi per lacquisto dei prodotti aziendali. La promozione commerciale si pu
rivolgere agli intermediari mercantili (trade marketing) con la concessione di particolari sconti o con lassenza sul punto
di vendita. Nellambito di una combinazione di marketing sinserisce una combinazione promozionale, che deve
essere orientata dallindividuazioni dei target-group. I problemi di composizione quali-quantitativa della miscela
promozionale fanno parte della formulazione del budget pubblicitario. Il primo problema da risolvere concerne
lammontare dei mezzi da destinare alla promozione delle vendite.

11. LA POLITICA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE


La distribuzione dei prodotti comporta scelte relative:
1. Alla determinazione del livello di contatto con il mercato;
2. Allintensit della distribuzione;
3. Al tipo degli operatori cui affidare il collegamento del o dei prodotti aziendali;
Le scelte distributive riguardano la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i beni posti in vendita, il loro
numero e il modo di collegamento. Per conoscere le vie di deflusso delle produzioni, necessario conoscere la struttura
della distribuzione prevalente nel mercato. Successivamente la scelta del numero di sbocchi attraverso cui avviare i
prodotti sul mercato. Ci riguarda la decisione fra una vendita estensiva, con la massima copertura dei punti finali di
vendita, o selettiva, attraverso un numero limitato e selezionato di sbocchi. La determinazione qualitativa del tipo di
sbocchi attraverso cui far defluire il prodotto al consumatore e la definizione del loro numero rappresentano le
fondamenta sulle quali poggia la decisione circa il modo di collegamento tra lazienda e gli sbocchi prescelti. Il primo
aspetto concerne il grado di controllo che si desidera conservare sulla domanda finale, mentre il secondo si collega al
grado di copertura del mercato, che funzione del numero dei punti vendita e sul loro peso relativo, per cui la copertura
distributiva va misurata sulla base di due indici molto importanti per valutare il grado di presenza dellimpresa nel
mercato servito:la quota numerica dei punti vendita (rapporto tra punti di vendita aziendali e punti di vendita totali) e la
quota ponderata (rapporto tra il volume di affari realizzato dai punti vendita toccati dallazienda e quello ottenuto da
tutti i punti di vendita). Per quando riguarda gli stadi per cui passa il prodotto per arrivare al mercato ultimo di deflusso
bisogna scegliere tra canali diretti,canali brevi o canali lunghi. Per quanto riguarda il canale diretto molto raro nei beni
di consumo nel ruolo di canale principale di vendita, tranne nel caso di prodotti duso durevoli. Nel comparto del
business to consumer luso di questo canale viene ostacolato da fattori tecnologici, economici, culturali e giuridici-legali.
Le alternative per il produttore di beni di consumo sono quelle della distribuzione allingrosso, collegandosi con i
grossisti attraverso filiali oppure mediante rappresentanti dislocati nelle diverse zone, e al dettaglio, ricorrendo ad
agenti di commercio. Se limpresa intende attuare una strategia di marketing di spinta deve far ricorso a forme
distributive particolarmente incisive e penetranti nei confronti del mercato ultimo da raggiungere, se invece vuole
adottare una strategia di marketing di attrazione deve sfruttare lo strumento pubblicitario a cui si aggiunger lo sforzo
distributivo. Nellambito della politica stabilita bisogna poi valutare la convenienza del ricorso a certi sbocchi e a certi
operatori commerciali e per fare ci bisogna considerare una serie di elementi quantitativi e qualitativi relativi alle
differenti vie di distribuzione. Tra i principali fattori quantitativi ci sono il costo e linvestimento. Il costo un vincolo
fondamentale per ladozione di determinate alternative di distribuzione e lelemento segnalatore della convenienza
economica di ciascuna soluzione. Il produttore, per lucrare una quota di profitto remunerativo per lo sforzo aziendale,
deve dimensionare le sue spese di distribuzione e gli sconti massimi da concedere ai diversi tipi dintermediari, per far
si che nel complesso i ricarichi di vendita si mantengano entro i limiti stabiliti.

12. LA QUALITA DEL MARKETING: IL CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT


Il customer relationship management deve consentire di mantenere un elevato grado di fedelt dei clienti, in modo da
conferire stabilit al portafoglio detenuto. Lincremento della customer retention genera effetti sulla profittabilit
dellimpresa perch:
1. Acquisire un nuovo cliente unattivit che ha un costo che potrebbe non essere ammortizzato sulla singola
transazione per cui i profitti derivanti dal singolo cliente aumentano dopo che i costi di acquisizione sono stati
totalmente coperti;
2. Se i clienti restano fedeli allazienda e continuano a comprare i suoi prodotti,il relativo flusso di ricavi aumenta nel
corso del tempo,mentre i costi correlati possono ridursi;
3. I consumatori fidelizzati attivano un processo di passa-parola che pu raggiungere nuovi potenziali clienti attirandoli
verso lazienda;
4. I consumatori fidelizzati diventano meno sensibili nei confronti di offerte alternative, anche se economicamente pi
vantaggiose.

Lobiettivo finale del marketing relazionale il miglioramento della profittabilit della clientela nel lungo termine e la
massimizzazione del customer lifetime value. Definisce il valore che un cliente pu generare per una determinata
impresa. In termini di ricavi pu essere calcolato moltiplicando il valore medio delle transazioni per la frequenza annua
di acquisto e per il ciclo di vita atteso del cliente. Le radici concettuali del CRM sono impiantate nel relationship
marketing dal quale trae alcuni principi fondamentali: i clienti sono asse dellimpresa, che devono essere gestiti in
unottica di lungo termine; la profittabilit dei clienti varia e non tutti i clienti sono ugualmente desiderabili; conoscendo
sempre meglio i bisogni, le preferenze, i comportamenti di acquisto dei consumatori, le imprese possono costruire
unofferta a misura di ciascun cliente, cos da allungare lorizzonte temporale della relazione, massimizzando il valore
complessivo del portafoglio-clienti. In questo modo la strategia di marketing riuscir a proiettarsi nel lungo termine.

Capitolo Quattordicesimo: LA GESTIONE DELLA PRODUZIONE


1. IL RUOLO DELLA FUNZIONE DI PRODUZIONE NELLA GESTIONE AZIENDALE: IL SISTEMA OPERATIVO
La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, ossia linsieme di operazioni mediante il quale
le risorse acquistate dallimpresa sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato. Il ciclo produttivo si pone al
centro del processo di gestione, dovendo essere preceduto dalla fase degli approvvigionamenti e seguito da quelle delle
vendite, intervallato con scelte di marketing, con la funzione finanziaria, con la gestione del personale e con le strategie
di ricerca e sviluppo di unimpresa. La funzione di produzione collegata alle altre funzioni aziendali. Le scelte di
produzione si collocano al centro delle strategie aziendali perch impegnano, per tempi non brevi e in misura rilevante,
le risorse finanziarie e umane disponibili. La produzione si svolge secondo cicli che debbono essere coordinati nelle fasi
di predisposizione degli input, di trasformazione e di ottenimento degli output. La logica in entrata, riguardante
lapprovvigionamento e la gestione delle scorte di materiali; il processo di lavorazione; e la logistica in uscita si legano
in un sistema operativo che diviene il sistema centrale di gestione. Il punto cardine dellefficienza rappresentato dal
coordinamento tra i processi dapprovvigionamento, di produzione e di vendita(SLIDE N26 ORGANIZZAZIONE DI
IMPRESA.). Questo coordinamento si complica a causa della variet del mix produttivo. La necessit di offrire una
gamma di prodotti al consumatore o utilizzatore richiede che siano coordinati non solo i tempi dei tre processi, ma
anche gli assortimenti e le quote di produzione dei vari beni. Il coordinamento assume aspetti quali-quantitativi,
concretandosi nel disciplinare i flussi di approvvigionamento e di lavorazione in funzione prevalentemente delle
esigenze di mercato. Tenere raccordati nel tempo e nelle quantit questi flussi significa ridurre i tempi e i costi di
funzionamento dellintero sistema operativo: il risultato quello di migliorare il time-to-market, di ridurre gli immobilizzi
in scorte, di comprimere i tempi dozio dei fattori produttivi. La FILIERA PRODUTTIVA il complesso delle imprese che
partecipano alla trasformazione di una serie di materiali in prodotti finiti, contribuendo cos alla realizzazione di un bene
da destinare al mercato di consumo o ad utilizzatori industriali. Lorganizzazione della produzione porta a relazioni ed
accordi interaziendali perch nessuna azienda in grado di compiere da sola lintero ciclo di trasformazione delle
risorse originarie. Il fenomeno del DECENTRAMENTO PRODUTTIVO ha un carattere strategico. La grande impresa
tende ad organizzare i suoi cicli di produzione sfruttando le economie di sistema ed ha finito per dedicarsi alla cura del
mercato e al coordinamento generale delle risorse produttive esterne. Le scelte che ricadono nellarea della produzione
possono essere distinte in tre gruppi:
a) Scelte strategiche, il cui obiettivo di concorrere alla creazione del vantaggio competitivo;
b) Scelte strutturali, il cui scopo di costruire il sistema operativo,coordinando le risorse disponibili;

c) Scelte di gestione operativa, la cui finalit di razionalizzare loperativit del processo produttivo mediante la
programmazione e il controllo della produzione.

2. I RAPPORTI TRA STRATEGIA DI PRODUZIONE E STRATEGIA COMPETITIVA: LE SCELTE DI LUNGO PERIODO


La funzione di produzione direttamente correlata con la strategia competitiva perch o consente di perseguire
lobiettivo dei bassi costi necessari per una strategia di price-competition o a concorrere a garantire la qualit
essenziale per una strategia di differenziazione. La strategia di produzione deve assicurare il migliore contributo alla
creazione del vantaggio competitivo. Le priorit strategiche possono essere rappresentate dalla qualit della
trasformazione, dalla flessibilit del ciclo produttivo, dal basso costo di produzione e dal servizio reso alla clientela. Alla
produzione pu essere confidato un ruolo di neutralit rispetto alla concorrenza, ovvero deve allinearsi al progresso dei
competitori per non generare effetti sfavorevoli sotto il profilo della formulazione aziendale; oppure pu esserle
attribuito un vero e proprio ruolo attivo nel senso che, proprio tramite essa, limpresa deve conseguire un vantaggio
rispetto alle altre aziende. La tecnologia non pu essere pi considerata come il tradizionale know-how, rappresentato
dalla procedura e dalle modalit di attuazione del ciclo di trasformazione di determinati input ma deve essere piuttosto
intesa come labilit a rinnovare le caratteristiche qualitative e quantitative della funzione di produzione. Sul piano
strategico le principali scelte riguardano:
a)

La determinazione del mix e delle quantit di produzione;

b)

La progettazione dellimpianto;

c)

La logistica.

3. LORGANIZZAZIONE DEL PROCESSO DI PRODUZIONE: LA TIPOLOGIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI


Per individuazione delle differenti tipologie di processo di lavorazione.
Si identificano 4 tipi fondamentali di lavorazione:
a)

Produzione di beni per unit distinte;

b)

Produzione di massa differenziata;

c)

Produzione di massa standardizzata;

d)

Produzione omogenea continua.

Questi tipi di produzione si ordinano secondo il grado di ripetitivit e di uniformit dei prodotti. Il primo caso quello di
produzioni che si differenziano per caratteristiche sostanziali in rapporto ad indicazioni specifiche del committente. La
produzione su commessa comporta unelevata capacit di adattamento alle richieste della clientela,attrezzature meno
specializzate e personale pi versatile. Ogni commessa richiede lapposita programmazione dellintero ciclo di lavoro ed
il costante controllo del suo avanzamento. Una commessa pu essere singola (progetto) o ripetitiva (job); nel primo
caso loutput di processo unico e spesso caratterizzato da tempi lunghi di realizzazione o da dimensioni considerevoli.
Nel secondo caso loutput ha dimensioni inferiori e pu essere rappresentato da pi unit, simili tra di loro, e comunque
prodotte in numero limitato. Allaltro estremo si colloca la produzione continua, caratterizzata dalla continuit e
dallindifferenziazione dei prodotti posti in essere; il modello tipico delle lavorazioni petrolchimiche, del cemento e
dellacciaio. Loutput presenta una variet pressoch nulla e viene realizzato in quantit elevate e commercializzato a
peso o con altra opportuna unit di misura. In posizione intermedia si situa la produzione di massa. Lorganizzazione di
una produzione di massa standardizzata (ripetitiva) comune nelle situazioni in cui possibile sfruttare a fondo il
principio delle economie di scala. La produzione assume il carattere delle parti componenti e sulla creazione della
differenziazione in fase di montaggio finale. Si definisce per lotti in quanto si sviluppa nellallestimento di particolari
serie di prodotti, caratterizzate da alcune differenze. Richiede una programmazione pi flessibile del ciclo produttivo
poich bisogna predisporre le operazioni in funzione delle caratteristiche dei lotti da allestire. Si pu riconoscere una
distinzione fondamentale tra OUTSOURCING e DEINTEGRAZIONE. Loutsourcing il principio in base al quale le
aziende acquistano allesterno funzioni logistiche, produttive ed eventualmente accessorie, al fine di ottenere vantaggi
in termini di maggiore flessibilit nei costi (da fissi a variabili), riduzione fabbisogni finanziari e rischi, concentrazione
know how, economie di scala e di rete per gli operatori specializzati, innovazioni e investimenti, focalizzazione sul core
business. La deintegrazione una scelta organizzativa che rappresenta una tendenza diffusa nellattuale economia
globale, rinunciando a certe fasi di lavorazione, prima svolte allinterno dellorganizzazione. Un prodotto finito quando
esce dal ciclo di lavorazione di unazienda (impresa produttrice), mentre diventa finale quando non richiede ulteriori
trasformazioni per essere destinato ad un particolare uso (utilizzo diretto per il consumo o per produrre altri beni).
Mentre finale quando non richiede ulteriori trasformazioni per essere destinato ad un particolare uso. Le imprese
possono suddividere la loro produzione tra pi stabilimenti. In queste aziende multiplant lorganizzazione dei cicli
produttivi si amplia fino a comprendere un modello di rete di impianti differentemente articolato da caso a caso. Quando
unazienda dispone di pi unit produttive, oltre al problema del dimensionamento di ciascuna di esse, si presenta
lesigenza di scegliere un determinato modello di suddivisione dei cicli o delle linee di produzione. Le soluzioni adottabili
sono:

a) Un modello di ripetizione degli impianti quando ogni centro operativo lavora fondamentalmente gli stessi
prodotti;
b) Un modello di parcellizzazione del ciclo di produzione allorch ciascun impianto svolge una certa parte del
processo di fabbricazione,producendo parti o semilavorati da avviare ad alcuni stabilimenti centrali di montaggi;
c)

Un modello di specializzazione,quando ogni impianto produce un particolare tipo di prodotto inserito nella
gamma aziendale.

4. LA PROGETTAZIONE DELLIMPIANTO
La disposizione fisica delle strutture tecnico-produttive costituisce il LAY-OUT, disposizione delle strutture edilizie, delle
macchine,delle attrezzature e dei posti di lavoro allinterno della fabbrica che deve contribuire allottimazione delle 4
M (men, materials, machines, money) rendendo pi rapido e diretto il movimento dei materiali in corso di lavorazione
e riducendo i tempi di ozio. La progettazione del LAY-OUT elemento fondamentale dellallestimento dellimpianto perch
incide sullampiezza e sullutilizzazione degli spazi coperti degli stabilimenti. Con la scelta del lay-out si definiscono la
collocazione dei posti di lavoro nella sequenza ottimale richiesta dal tipo e dalle condizioni di produzione e si
disciplinano i flussi di materiali e lubicazione dei servizi di fabbrica. La concezione del lay-out legata alla
programmazione del ciclo di produzione. La sistemazione dei macchinari allinterno dello stabilimento pu seguire due
criteri: i macchinari possono essere posizionati in sequenza secondo le lavorazioni successive necessarie per giungere
alla realizzazione di un certo prodotto finito ( LAYOUT PER PRODOTTO ) oppure per essere accorpati per tipo di
operazioni/attivit svolta (LAYOUT FUNZIONALE). Limpresa a volte per costretta a decidere di adottare una particolare
forma di organizzazione legata alla tecnologia utilizzata che pu imporre processi di lavorazione a ciclo:

Continuo, la lavorazione si svolge ininterrottamente dallingresso in ciclo dei materiali fino alluscita del prodotto
finito. Si attua questo processo su produzione per processi o per convenienza economica.

Intermittente, suddividendo il processo in fasi ed assegnando ciascuna di queste ad un particolare reparto o


centro operativo. Viene preferito nei cicli di produzione meno facilmente automatizzabili e richiedenti prestazioni

di lavoro differenziate.

Misto, organizzato in parte in modo continuo e in parte in modo intermittente. Si attua perch alcune fasi
possono essere totalmente automatizzate mentre altre richiedono operazioni complesse ed affidate ad altri
reparti.

Le scelte qualitative nella progettazione dellimpianto riguardano la determinazione del layout, il livello di tecnologia e
lorganizzazione del lavoro in fabbrica e gli obiettivi di queste scelte sono quelli di disporre di strutture tecnicamente
efficienti e in grado di minimizzare i costi di produzione e i rischi di mercato. Lesigenza di fondo diviene quella di
assicurare flessibilit al sistema di produzione e a questo proposito bisogna distinguere tra:

Il grado di elasticit o FLESSIBILIT ECONOMICA, ovvero la capacit dellimpianto di rimanere competitivo anche in
condizioni di parziale utilizzazione;

Il grado di FLESSIBILIT TECNICA, ossia la capacit dellimpianto di adattarsi a produrre beni differenti senza incorrere
in costi non facilmente sopportabili sotto il profilo competitivo.

I progressi in fabbrica sono stati straordinari sotto due profili: LAUTOMAZIONE, che ha raggiunto un suo punto
ottimale mediante linformatica, che consente il governo dellintero ciclo mediante computer, coordinano le singole fasi
del processo e di produrre a ciclo continuo su commessae la robotica che ha permesso di sottrarre alluomo i lavori
pi faticosi, che vengono svolti da robot sempre pi sofisticati. Per la flessibilit, il governo computerizzato del processo
ha reso possibili variazioni nelle fasi di lavorazione con tempi di preparazione ed attrezzaggio (setup) nellordine di
pochi minuti. Oggi, nellallestimento dellimpianto, frequente lapplicazione di sistemi computerizzati per la
progettazione, per la trasformazione industriale e per la gestione dei fabbisogni dei materiali. Le imprese hanno anche
interesse nel conferire maggiore flessibilit alle strutture di produzione per poter disporre di capacit di adattamento ai
mutamenti dellambiente e del mercato. Il problema quello di ottenere la flessibilit senza rinunciare ai vantaggi
dellautomazione, dati i riflessi positivi da questi generati sulleconomicit del processo produttivo.

5. IL DIMENSIONAMENTO DELLA PRODUZIONE E DELLIMPIANTO


Lobiettivo del DIMENSIONAMENTO dellimpianto di produzione quello dindividuare la dimensione ottimale,
definibile teoricamente come quella idonea a minimizzare il sosto unitario di prodotto, collegandosi al concetto di
capacit produttiva massima, non sempre misurabile, e al concetto di rischiosit che implica la stima del grado di
sfruttamento dellimpianto in rapporto al suo punto di pareggio. E opportuno tenere distinte due scelte: la
determinazione della capacit produttiva massima dellimpresa e quella della potenzialit ottimale degli impianti. La
decisione circa il volume globale di produzione deriva dalla considerazione dei fattori di mercato, cio dalla previsione
delle quote di vendita ottenibili nei mercati in cui opera limpresa. Questa previsione dovr essere proiettata ad un certo
periodo di tempo. Lattivit di produzione deve adattarsi al ciclo di vendita di solito contraddistinto da unaccentuata
variabilit nel tempo e nello spazio. Il dimensionamento del processo produttivo pu avvenire, a parit di volume annuo
di affari, su livelli pi o meno elevati in rapporto allesigenza di soddisfare in qualsiasi momento la domanda di punta

oppure quella media. Quindi gli impianti saranno caratterizzati da un grado di utilizzazione che andr via via
diminuendo allaumentare della variabilit del ciclo di vendita. In pratica ci non accade perch nellipotesi di
produzione di beni e non di servizi, lequilibrio temporale rispetto alle vendite ottenuto mediante la creazione di scorte
di prodotti utilizzabile per rispondere al variare dellandamento delle richieste del mercato. Nel caso del ricorso alle
scorte, il problema si concreta nel dimensionare la capacit di produzione intorno al livello medio della domanda per
poter soddisfare le esigenze attuali e prospettiche del mercato producendo un quantitativo costante di output. Il regime
di produzione andrebbe regolato in funzione dellentit e del periodo in cui potrebbero verificarsi le maggiori richieste
da parte del mercato. Per ottenere il bilanciamento tra quote di produzione e richieste del mercato limpresa pu
ricorrere ad altri strumenti, quali laumento dei turni di lavoro, il lavoro straordinario, il lavoro interinale e lacquisto di
prodotti da terzi. Limpresa del tipo mono-plant quando lattivit produttiva si realizza in un solo stabilimento. La
scelta dellampiezza di un impianto deriva dalleffetto sui costi unitari di produzione di una diversa potenzialit di
lavorazione. La potenzialit di un impianto definita dalla potenzialit della fase terminale del processo. Un impianto
un sistema complesso, ciascuna macchina rappresenta un fattore quanto il cui costo prevalente in funzione del fluire
del tempo pi che della sua effettiva utilizzazione. Limpresa tende allo sfruttamento integrale dei fattori per ridurre al
minimo il costo unitario di produzione. Il problema sorge per il fatto che non tutte le macchine hanno una capacit
produttiva uguagliabile in ordine al numero delle operazioni da realizzare nella stessa quantit di tempo. Questo
comporta lacquisto di una seconda macchina con un salto verso lalto dei costi fissi. Questi sbalzi di costi fanno variare
laltezza del costo unitario in rapporto al grado di utilizzazione dellimpianto. Ogni azienda opera con una certa struttura
di costi e di ricavi con una differente leva operativa. La condizione di leva operativa si traduce nellopportunit di
diminuzione dei costi globali unitari di produzione allaumentare del volume prodotto, in funzione del migliore
sfruttamento dei costi fissi. Pi gioca la leva operativa,pi aumenta il rischio, pi cresce il vantaggio generato
dellespansione dellattivit produttiva. La scelta del livello di leva operativa sinquadra allinterno della strategia
aziendale, poich limprenditore deve decidere fino a che punto sfruttare questo vantaggio potenziale. E sempre
necessario comunque raggiungere un volume minimo di attivit per recuperare integralmente i costi fissi e variabili, il
cosiddetto punto di pareggio o break-even point, poich in quella condizione per limpresa dovrebbe essere indifferente
produrre o rimanere inattiva. Il punto di pareggio si ricava graficamente con la costruzione del diagramma di redditivit
che con un sistema di assi cartesiani riproduce landamento dei costi fissi, dei costi variabili e dei ricavi al variare delle
quantit prodotta. A questo concetto si lega quello del MARGINE DI SICUREZZA rappresentato dalla differenza tra il
previsto volume di utilizzo dellimpianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio.

6. LA PROGRAMMAZIONE DELLE OPERAZIONI DI PRODUZIONE


Nella programmazione della produzione occorre distinguere lottica del lungo termine da quella di breve termine.
Definire il programma di produzione significa ricercare la soluzione pi economica di impiego delle risorse per
raggiungere il livello e la composizione del mix produttivo fissato nel programma annuale di gestione. Questa soluzione
va comunque tenuta sotto controllo e ridefinita durante lesercizio. Unefficace programmazione della produzione deve
articolarsi:
a) Nel medio-lungo termine per precostruire la capacit produttiva necessaria in rapporto agli obiettivi strategici
dellimpresa;
b) Nel breve termine per allocare le risorse disponibili, in modo da raggiungere i traguardi di produzione posti dal
programma annuale di vendita;
c)

Nel brevissimo termine per organizzare il lavoro dei centri di produzione in funzione delle quote settimanali,
quindicinali o mensili da realizzare.

La programmazione della gestione produttiva richiede una particolare attenzione perch si traduce in scelte che
impegnano lazienda per tempi non brevi e che esigono linvestimento di cospicue risorse finanziarie. La complessit
della programmazione della produzione funzione del sistema di fabbricazione adottato nellazienda e della sua
regolarit nel tempo. Nellipotesi di produzione di serie, organizzate con cicli continui, la programmazione assume un
carattere standard e si attua mediante procedure che possono essere agevolmente automatizzate; nellipotesi di
produzione di beni per unit distinte per le quali bisogna programmare la commessa di lavorazione, il problema assume
aspetti sempre nuovi e richiede procedure particolari. Nei casi di produzione make to stock (per il magazzino ovvero
su previsione), loggetto della programmazione, vale a dire quello che i programmi considerano come output, sar il
prodotto finito,mentre nel caso di assemble to order(produzione di componenti per il magazzino e assemblaggio degli
stessi solo dopo la ricezione dellordine) loggetto della programmazione saranno proprio i componenti.

7. IL CONTROLLO DI EFFICIENZA DELLA PRODUZIONE: FATTORI STATICI E DINAMICI


Il controllo di produzione riguarda sia il ciclo di svolgimento delle operazioni produttive sia per le qualit dei prodotti
finiti da destinare al mercato. Il suo obiettivo quello di prevenire anomalie nel ciclo e nei prodotti, al duplice scopo di
evitare di sopportare costi a vuoto e di garantire la qualit al consumatore. Nellarea della produzione il controllo
dovrebbe articolarsi nel:
1) Controllo dei risultati di produzione; questo tipo di controllo si estrinseca nel calcolo e nellanalisi di indici di
produttivit;
2) Controllo di qualit di prodotti; si tratta di un controllo operato su campioni di materiali, utilizzando tecniche di tipo
statistico;
3) Controllo economico o di valore (value analysis), per individuare le aree di risparmio di costi nella funzione produttiva.

Il concetto base che possibile comparare alternative o singole fasi di produzione al fine di individuare quella pi
economica. In questo modo si punta ad ottimizzare limpiego delle risorse ed evitare operazioni superflue. Limportanza
dellanalisi del valore comprovata dal consistente risparmio di costi conseguente alla sua applicazione in azienda.

I principali fattori di efficienza nel processo produttivo sono rappresentati:

a) Dallo sfruttamento ottimale dellimpianto;


b) Dalla razionalizzazione dei consumi di materie prime e ausiliarie mediante riduzione di sfridi, perdite e cali di
lavorazione;
c) Dalla produttivit dei gruppi di lavori mediante il miglioramento dellorganizzazione e la formazione del personale;
d) Dallidoneit dei servizi di supporto alla produzione.
Allinterno degli elementi richiamati si combinano fattori statici o strutturali di efficienza e fattori dinamici od operativi,
con la conseguenza che lottimizzazione del processo sempre la risultante di una struttura tecnologicamente avanzata
e di unorganizzazione altamente coordinata. Ad essa contribuiscono gli investimenti di ammodernamento delle
strutture impiantistiche e gli investimenti organizzativi. Un indice sintetico per valutare il grado di sfruttamento
complessivo delle risorse disponibili dato dal rapporto tra le ore produttive (impegnate) e quelle teoricamente
impegnabili. Un altro obiettivo di fondo dellorganizzazione della produzione costituito dalla riduzione degli scarti,
dovuti a difetti dei materiali o di lavorazione. Questi possono essere relativi sia a materie prime e semilavorati sia a
prodotti finiti. Nel caso di materie prime e semilavorati il danno consiste nello spreco di materiali e ore di lavoro con
conseguente riduzione delloutput produttivo; nellipotesi di prodotti finiti, se la difettosit viene accertata in house, cio
prima che il prodotto lascia la fabbrica, essa pu essere associata ai costi di rilavorazione. Se la difettosit viene
accertata dopo linvio del prodotto al cliente, oltre ai danni economici, si subiscono danni dimmagine. Il problema della
resa di prodotti difettosi o ritenuti tali dal clienti comporta degli oneri di amministrazione collegati alla gestione del
fenomeno. Da ci lassoluta importanza del controllo di qualit che si pone come uno strumento essenziale di efficienza
della gestione produttiva nel suo complesso. Il total quality management riguarda la garanzia del servizio ottimale al
cliente, non solo per quanto concerne la validit del prodotto ma anche per le modalit e i tempi di consegna,
lassistenza prima, durante e dopo lacquisto, la gestione corretta di tutti i termini contrattuali. Si tratta di un approccio
orientato al miglioramento continuo ed alla responsabilizzazione dei vari livelli gerarchici presenti nellorganizzazione
aziendale. Il TMQ richiede la costruzione di valori aziendali condivisi congruenti con le finalit da raggiungere e
lapplicazione di procedure molto rigorose e precise. Limpresa deve impegnare considerevoli sforzi e mezzi finanziari
per curare la formazione del personale e per procedere alla corretta progettazione di sistemi, che debbono risultare
efficaci ed economicamente sostenibili. Il controllo comporta costi rilevanti e deve rendere in misura pi che
proporzionale rispetto ai costi sostenuti.

Capitolo Quindicesimo: LA GESTIONE DELLA FINANZA: INVESTIMENTI E FINANZIAMENTI


1. LA GESTIONE FINANZIARIA
La gestione finanziaria deve permettere la gestione caratteristica. Oltre a trovare i fondi per finanziare il fabbisogno
dellimpresa, la gestione finanziaria responsabile anche di come vengono usati i capitali. Questa gestione si occupa
quindi di scegliere le decisioni e operazioni per reperire e usare le fonti. Per essere ottimale la gestione deve cercare di
mantenere lequilibrio tra le fonti e gli impieghi nel lungo, breve e brevissimo periodo. In particolare deve mantenere 3
equilibri:
- ECONOMICO: tra costi e ricavi, per cui dalla differenza tra i due deve generarsi un profitto;
- FINANZIARIO: tra impieghi e fonti di capitale
- MONETARIO: tra entrate e uscite di cassa per mantenere la liquidit.
In teoria nel lungo periodo entrate e uscite corrispondono, ma nella gestione corrente normale che non sia cos, a causa
dei costi e ricavi differiti o anticipati.
I responsabili della finanza devono curare, insieme ai responsabili delle altre funzioni, i rapporti con la clientela, fissare le
condizioni di pagamento, gestire il patrimonio mobiliare e immobiliare e verificare la fattibilit dei progetti I compiti
fondamentali di questa funzione sono dunque 3:
- Programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine;
- Gestione del piano finanziario- governo della liquidit.
2. LA SCELTA DEI PROGETTI DI INVESTIMENTO
I problemi di fondo della gestione sono la programmazione degli investimenti e delle fonti di copertura. Nel scegliere gli
investimenti le risorse finanziarie possono essere un vincolo assoluto o relativo. Assoluto quando non possibile
trovare altri mezzi per attuare linvestimento. Relativo quando il costo dellinvestimento pi della redditivit che
porterebbe al capitale. Gli investimenti possono essere sia di tipo strategico, e guidano allora lo sviluppo industriale, sia
legati a progetti specifici su singole operazioni di immobilizzo. Quelli strategici sono quegli investimenti che potrebbero
modificare la posizione competitiva dellimpresa, mentre quelli operativi sono legati solamente a decisioni alternative
che non influenzano le scelte strategiche. La scelta degli investimenti rientra in fase di formulazione di strategie aziendali,
e si basa su una procedura detta capital budgeting, fondata su tecniche decisionali avanzate. Ingenerale un investimento,
oltre ai fattori etici pi o meno presenti, sempre valutato in base al rischio e al profitto, per cui in situazione di parit si
sceglier quello che porter a margini pi alti di profitto a fronte di un rischio pi basso.
3. PREVISIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO
Limpresa ha bisogno di capitali per finanziare gli investimenti e per la gestione corrente. In generale il fabbisogno
finanziario dato dal capitale fisso, cio quello che serve a finanziare le immobilizzazioni, e da capitale corrente, che
finanzia il ciclo acquisti-produzione-vendite.
FABBISOGNO FINANZIARIO = CAPITALE FISSO + CAPITALE CORRENTE
Il fabbisogno varia a seconda del momento in cui si trova limpresa, per cui in fase di startup ha bisogno di un tot per
partire, mentre in altre fasi ha necessit legate alla gestione corrente. Quando si ha bisogno di avere molti impianti, e
quindi molte immobilizzazioni, necessario avere pi capitale fisso, mentre il capitale corrente pi legato a necessit di
breve periodo (entro lanno). Di solito il ciclo di produzione dura meno di quello economico, perch il primo parte solo
quando riceve i mezzi per farlo dal ciclo economico. Inoltre finita la produzione ci vuole del tempo prima che si reintegrino
i ricavi. Invece tra ciclo economico e finanziario diverso, perch sono in funzione delle dilazioni concesse ai cliente o
ottenute dai fornitori. Quando acquisti e vendite sono regolati in contanti, i 2 cicli coincidono e si sovrappongono, mentre
nel caso di dilazioni o anticipi anche se i due cicli restano uguali uno dei due sar posticipato o anticipato rispetto allaltro.
Il capitale circolante costituito da:
-

Scorte necessarie ad alimentare le vendite;


Crediti verso clienti;
Debiti verso fornitori;
Attivit finanziarie che possano assicurare liquidit;
Altre attivit o passivit correnti.

Nellimpresa quindi importante avere sottocchio costantemente il fabbisogno finanziario netto, per capire come usare le
fonti in esubero, quando ce ne sono, o trovare nuove fonti di finanziamento, qualora sia necessario. Gli strumenti a
disposizione per capire questa dinamica sono lanalisi dei flussi di capitale circolante e lanalisi dei flussi monetari. La
gestione finanziaria deve garantire la solvibilit (equilibrio finanziario) e la liquidit (equilibrio monetario), ecco perch
serve fare 2 analisi.

4. LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA: MINIMIZZAZIONE DEGLI ONERI E DEL RISCHIO FINANZIARIO


La struttura finanziaria data dallinsieme delle fonti di copertura aziendale ed legata al tipo di assetto proprietario
dellimpresa. Il finanziamento con capitale proprio, leasing, capitale di terzi ecc, dipende dal grado di controllo che vuole
avere il proprietario, infatti aumentare il capitale potrebbe voler dire fare entrare altri soci, e quindi avere meno potere,
oppure diventare pi dipendente dalle banche. Alcuni fattori incidono sul fabbisogno di capitale fisso, altri sul fabbisogno
di capitale circolante, ma in generale il fabbisogno pu essere coperto:
-

Dalla dotazione di mezzi propri;


Dal risultato economico;
Dal finanziamento interno dei soci;
Dal finanziamento esterno.

La gestione finanziaria ha lobiettivo di assicurare: omogeneit, flessibilit, elasticit e economicit alla struttura
finanziaria.
Omogeneit: uso di capitali omogenei al fabbisogno da coprire. Se finanzio immobilizzazioni lo faccio con mezzi finanziari
di lungo termine e viceversa;
Flessibilit: possibilit di modificare la struttura finanziaria in base al fabbisogno, per cui libero o attraggo fondi a seconda
delle prospettive di ritorno economico che ho, migliorando cos il risultato finanziario. La flessibilit dipende dalla
combinazione delle fonti di finanziamento. Si cerca lequilibrio tra fonti e impieghi. Flessibile: si modella in base alle
esigenze della gestione;
Elasticit: una struttura tanto pi elastica quanto pi possibile trovare soluzioni di espansione. Questo significa che chi
sceglie le fonti di finanziamento, ha pi possibilit tra cui scegliere. Si cerca di ampliare il processo di scelta delle fonti di
finanziamento. Elastica: pu essere espansa.
Economicit: si deve massimizzare la differenza tra il rendimento dellinvestimento e la costosit del capitale. La gestione
finanziaria orientata alla minimizzazione degli oneri e del rischio. Il rischio legato allo squilibrio che pu verificarsi tra
fonti e impieghi, rischio di insolvenza, e a carenze occasionali di cassa, rischio di illiquidit.

Lilliquidit comunque sinonimo di incapacit a gestire i flussi correnti e se non viene analizzata in maniera
approfondita, pu portare allinsolvenza.

5. LA LEVA FINANZIARIA
Ogni impresa ha bisogno di un fondo che le permetta di coprire le esigenze di avviamento e di mantenimento e questo
fondo destinato a crescere in base alla crescita delle dimensioni aziendali. Il fabbisogno dato da 4 esigenze:
-

Strutturali: permane nel tempo ed legato alle caratteristiche della struttura;


Corrente: permane nel tempo ed legato al volume di attivit della gestione corrente;
Straordinario: legato a esigenze di lungo periodo che cessano in un ampio arco di tempo;
Occasionale: legato a fenomeni imprevedibili che si risolvono in poco tempo.

A seconda del fabbisogno che deve coprire, lazienda cercher capitali a diversa scadenza e con diverse modalit di
vincolo. Una delle scelte fondamentali riguarda proprio il livello di indebitamento da scegliere per limpresa. Oltre a
considerare la rischiosit e la rigidit legate allaumento della situazione di debito, sar opportuno valutare leffetto del
fattore leva finanziaria. Questo fattore pu migliorare o peggiorare la redditivit: la migliore se il reddito sar superiore al
costo dellindebitamento. La peggiora se invece costa pi indebitarsi di quanto se ne ricavi. Si parla di leva per
sottolineare la capacit dellindebitamento di ampliare la redditivit aziendale. Da cosa dipende leffetto leva? Dalla
distanza tra il rendimento netto del capitale investito e il costo reale del capitale preso a prestito: caricando gli oneri
finanziari a conto economico capisco la cifra che risparmierei, a questo punto sottraggo tale cifra agli interessi da dare al
finanziatore. Il risultato, cio il costo reale del capitale, servir anche per capire se preferisco finanziare linvestimento con
capitale proprio o con capitale di terzi. Altro aspetto fondamentale, in questa scelta, la congiuntura del mercato, per cui
in caso di congiuntura favorevole leffetto leva di solito positivo, perch i ritorni sono superiori al costo del capitale preso
a prestito, ma se il segno cambia, cambia anche leffetto leva.

6. LE PRINCIPALI FONTI DI FINANZIAMENTO


Le scelte di finanziamento interessano periodi lunghi e sono legate ai diversi tassi di redditivit che ci saranno in
questarco di tempo e a condizioni vincolanti di partenza. Il capitale proprio di solito una forma di finanziamento
durevole, mentre lindebitamente pu essere a breve o brevissimo termine. Il finanziamento interno pu essere di 3
tipi:
- L autofinanziamento il reinvestimento in azienda dei profitti. In qualunque impresa che si consideri equilibrata, una
parte degli investimenti dovrebbe derivare dallautofinanziamento, cos da immobilizzare parte dei profitti lucrati;

- Se invece ci fosse bisogno di un finanziamento occasionale, i soci potrebbero fare dei finanziamenti diretti,
anticipazioni o prestito obbligazionario;
- Quotazioni in borsa, cio mercato mobiliare, con cui si colloca parte del capitale sociale tra i risparmiatori. In questo
modo possibile ampliare la struttura facendo aumenti di capitale e successivo collocamento azionario. Altro tipo la
partecipazione di venture-capitalist, in veste di investitori istituzionali.
Oltre a queste modalit, c poi il ricorso alle fonti esterne, tra cui la pi diffusa il credito bancario, oltre ai
risparmiatori, glinvestitoti, i dipendenti e i fornitori.
Finanziamento da fonti esterne:
- Credito bancario: il finanziamento di lungo periodo se si fa un mutuo, oppure di breve in altri casi. Proprio perch
cos diffuso a livello di finanziamento dimprese, il credito si specializzato proponendo operazioni autoliquidantesi e non
autoliquidantesi. Le autoliquidantesi sono anticipi concessi alle imprese che vantano crediti su terzi e che quindi si
estinguono al momento dellincasso. Le non autoliquidantesi sono fidi allo scoperto, per cui la banca chiede garanzie
personali o reali. A livello bancario ci sono poi altri strumenti disponibili, come i crediti di firma, per esempio le
fidejussioni. Per ricevere qualunque tipo di prestito limprese deve dare delle garanzie alle banche, che ne valutano il
merito creditizio e attribuiscono un rating in base alla solidit patrimoniale e reddituale di impresa e imprenditore. Oltre a
queste formule di finanziamento esterno, esistono il leasing, il factoring e il forfaiting;
- Leasing: limpresa ottiene il bene di cui ha bisogno senza sostenerne linvestimento, perch paga un canone di
locazione per un certo periodo, alla fine del quale ha diritto a riscattare il bene, o lasciarlo allagenzia. Gli oneri finanziari
sono i canoni, che tra laltro sono costi deducibili dal reddito quando il contratto ha durata superiore alla met del periodo
di ammortamento fiscale previsto;
- Formula particolare il lease-back, per cui si vende un bene a una societ di leasing e lo si richiede contestualmente in
locazione. In questo modo si ottiene un finanziamento immediato, ma si mantiene anche il bene, che pu essere
riscattato alla fine del periodo;
- Altra opzione il factoring, avviene per fatture o titoli imperfetti, di cui si cede il credito a un factor. La norma pi
comune per la cessione del credito pro-solvendo, in cui il rischio di insolvenza ripartito tra debitore e cedente, oppure,
se il rischio non condiviso, si chiama pro-soluto. Si affida la gestione del portafoglio clienti a un factor, di solito un
istituto specializzato, che dovr occuparsi di riscuotere il credito, ricevendo una commissione;
- Laltra forma di finanziamento a breve il forfaiting, una tecnica finanziaria che permette lo smobilizzo dei crediti
derivanti da operazioni di esportazione con pagamento dilazionato a medio termine. Limpresa vende pro-soluto questi
crediti a un tasso detto forfait.
Anche il credito commerciale, cio i crediti verso i fornitori o gli anticipi dei clienti, viene a volte considerato una forma
di finanziamento esterno, anche se pi parte del capitale circolante. Questo credito comporta comunque sempre un
costo, esplicito o nascosto: esplicito perch si devono pagare degli interessi sui pagamenti dilazionati ai fornitori, nascosto
se a causa della dilazione perdo lo sconto di cassa.

7. GLI STRUMENTI PER LA PROGRAMMAZIONE E IL CONTROLLO FINANZIARIO (RINVIO)


La finanza influenzata dalla gestione e dallandamento del mercato finanziario. Per salvaguardare la liquidit (cio
disponibilit immediata di mezzi di pagamento in contanti), rispettando la situazione di solvibilit (cio il poter pagare un
debito o un tasso dinteresse) dellimpresa, occorre controllare costantemente i flussi monetari e verificare sempre, nel
tempo, il bilanciamento tra impieghi e relative fonti di copertura.
Capitolo Sedicesimo: LA LOGISTICA INDUSTRIALE E LA GESTIONE DEGLI APPROVVIGIONAMENTI
1. LA LOGISTICA QUALE PROCESSO
La logistica sempre pi importante per lorganizzazione a rete della produzione e per lampliamento geografico dei
mercati di acquisto e di vendita. Il processo logistico si attua mediante due flussi: un flusso fisico dei materiali, che
ha inizio dal momento dellevasione dellordine da parte del fornitore e si conclude con il ricevimento della merce da
parte del cliente; e un flusso di informazioni che attraversa in senso bidirezionale lintero processo. Lobiettivo da
raggiungere rappresentato dal migliore equilibrio tra costo della logistica e standard di servizio reso ai clienti interni
ed esterni. Praticamente minimizzare i livelli delle scorte e massimizzare il livello dei servizi alla clientela. Questo
significa ricercare e mantenere un trade-off positivo tra aspetti in naturale contrapposizione. Le funzioni di
acquisto,magazzinaggio, trasporto e distribuzione fisica generano un ammontare rilevante di oneri e consentono,
mediante il miglioramento del livello di efficienza,di conseguire vantaggi significativi in termini di costi di produzione. La
logistica si pone quale elemento fondamentale della strategia competitiva sia perch riesce a contenere i costi sia
perch contribuisce ad elevare la qualit del servizio. Allinterno del processo logistico i due sotto-processi di maggiore
rilievo sono quelli di approvvigionamento e di distribuzione.
2. LA FUNZIONE DI APPROVVIGIONAMENTO: ASPETTI STRATEGICI E TATTICI
La funzione di approvvigionamento ha lobiettivo di assicurare il rifornimento delle materie prime, ausiliarie, parti,
componenti ed accessori da utilizzare nellattivit di gestione. Questa funzione operativa si lega al processo di
produzione e allacquisto di materiali. Per funzione di approvvigionamento sintende far riferimento al processo di
acquisto e di gestione delle scorte dei materiali diretti allalimentazione dei cicli di lavorazione. Il suo obiettivo quello
di assicurare leconomicit della gestione degli acquisti e di preservare la continuit dei cicli di lavorazione. Il
rifornimento di materiali deve garantire lininterrotto svolgimento della produzione, al fine di evitare tempi dozio per
limpianto e conseguenti costi sprecati per lazienda. Nellorganizzazione della funzione di approvvigionamento
devessere operata una distinzione tra aspetti strategici e tattici o operativi. La decisione sul make or buy, cio il grado
dintegrazione verticale, costituisce la base su cui si definiranno i contenuti della funzione. Sulle decisioni da assumere
peseranno le caratteristiche dellimpresa e quelle del mercato di fornitura. Il ruolo della funzione di approvvigionamento
assume in realt contenuti strategici sia per lincidenza sul conto economico aziendale (per il peso dei costi dacquisto
sul costo globale del prodotto) sia per i riflessi generati sulla qualit e sul volume dei prodotti venduti. Limpostazione
del processo di approvvigionamento in effetti legata a due elementi:
a) La criticit dei materiali da acquistare: limpresa dovr operare con unassoluta garanzia di rifornimento per quei
materiali, componenti o parti o accessori che possono creare delle strozzature nel ciclo di lavorazione, bloccando fasi
importanti o impedendo il processo terminale di allestimento del prodotto finito;
b) Limpatto economico sul costo del prodotto: se lazienda lavora con un basso valore aggiunto, leconomicit
degli approvvigionamenti riveste un carattere fondamentale ai fini della competitivit aziendale. Cresce il rischio
economico che si massimizza se limpresa dovesse adottare o operare secondo una strategia di price-competition.
Incrociando questi due elementi si costruisce una matrice, MATRICE DI KRALIJIC (matrice degli acquisti) che consente
di distinguere i vari tipi di acquisti e suggerisce i modelli organizzativi per gestire il relativo processo di
approvvigionamento. I prodotti si possono suddividere in:
a) Prodotti leva o chiave, il cui peso economico,dati gli elevati costi di acquisto e di magazzinaggio, incide
significativamente sul profitto finale dellimpresa, ma che presentano un basso rischio di fornitura;
b) Prodotti strategici, il cui ruolo, nellallestimento del bene oggetto di produzione da parte dellimpresa, critico perch
sono di difficili reperimento e di elevato impatto sulla redditivit;
c) Prodotti colli di bottiglia, caratterizzati dalla difficile reperibilit, ma da un peso economico modesto;
d)Prodotti non critici o di routine, facilmente reperibili nel mercato e di incidenza modesta in rapporto al valore del bene
da produrre.

Questa classificazione ci fa comprendere la difficile gestione delle varie tipologie di prodotti, per alcune delle quali
(prodotti leva e critici) sar opportuno stringere accordi durevoli con i fornitori assicurandosi le migliori condizioni di
acquisto; per altre (colli di bottiglia) sar necessario garantirsi la tempestivit e la precisione dellesecuzione degli ordini
selezionando pi fornitori ad alta affidabilit;per altre (prodotti non critici) converr disporre di un ampio albo dei
fornitori, in modo da poter usufruire di una pluralit di offerte tra cui operare le scelte pi vantaggiose.

3. LORGANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE ACQUISTI


Al vertice della funzione ci devono essere uno o pi approvvigionatori (buyer), che conoscono i mercati dacquisto e che
siano in grado di prendere le decisioni pi convenienti e nel momento pi opportuno. Sul marketing dacquisto poggia
leconomicit e lefficienza della funzione e che labilit previsionale sullandamento dei prezzi gioca un ruolo di grande
rilievo nelleconomia complessiva dellazienda produttrice. Ciascun approvvigionatore deve essere in grado di crearsi
una rete ampia e differenziata di fornitori, prevedere landamento congiunturale del mercato per quanto attiene le
quantit disponibili e ai relativi prezzi di acquisto, ricorrere a formule contrattuali che riducono i rischi dacquisto, sapere
applicare lanalisi del valore per tutti i materiali da acquistare, partecipare alla gestione attiva degli stock. Inoltre deve
agire con i responsabili di altre funzioni aziendali quali: il direttore di produzione (per garantire la continuit dei processi
di rifornimento e per concordare le caratteristiche di affidabilit tecnica dei materiali); il direttore del marketing (per
valutare i riflessi dellapprovvigionamento sulla politica del prodotto e del prezzo); il direttore finanziario (per
determinare il fabbisogno di capitale circolante potendo influire sulle quantit e sulle dilazioni di pagamento); il direttore
della ricerca e dello sviluppo (per valutare le possibilit dimpiego di nuovi materiali utilizzabili in luogo di materiali
difficilmente approvvigionabili). I criteri oggettivi di scelta dei fornitori sono rappresentati dal costo, dalla qualit e dalla
puntualit del fornitore. In materia di acquisti un aspetto di rilievo rappresentato dal business to business ovvero dal
ricorso ad internet per gli acquisti industriali. La possibilit di visionare i prodotti disponibili in tempo reale e spiccare
lordine in modo pi o meno autonomo rappresenta il vero punto di forza del business to business. Pi limmediatezza
del rifornimento percepita come importante da parte dellacquirente pi rileva la brevit del lead time di rifornimento,
che solo un ciclo logistico specificamente disegnato pu garantire. Lavvento di internet ha consentito la nascita di
borse elettroniche per la fornitura allingrosso di B2B.

4. LA GESTIONE DELLE SCORTE


Le scorte sono indispensabili per bilanciare i diversi momenti di attivit e stallo di richiesta e sono quindi importanti nella
gestione delloperativit del sistema. A livello gestionale bisogner conciliare le esigenze logistiche e quelle commerciali,
per realizzare le miglior condizioni di acquisto. La gestione delle scorte sinserisce negli approvvigionamenti, in relazione
ai materiali che vanno acquistati, e nelle vendite, per i prodotti allinterno dellimpresa. Alcune soluzioni nella gestione
delle scorte sono attuabili solo se facile o meno reperire un prodotto, se ci sono specifiche condizioni dacquisto ecc.
Programmare e controllare le scorte diventa allora un altro modo per migliorare lefficienza dellimpresa.

Capitolo Diciassettesimo: LA GESTIONE DEL PROCESSO INNOVATIVO


1. ELEMENTI DI ECONOMIA DELLINNOVAZIONE
L innovazione e sempre pi importante nella creazione di un vantaggio competitivo con le more imprese. Essa infatti
tra i primi fattori strategici per la nascita e lo sviluppo delle imprese. L'Innovazione e il risultato di un processo dinamico e
sistemico, il che coinvolge pi attori, si sviluppa in sistemi di diversificazione di risorse, dall'imprenditoria agli ambienti
tecnico-scientifici,sociali e economici. E necessario stimolare o ricevere innovazione. Quindi di fianco al fattore chiave
dell'energia per i cambiamenti e tecnici economici, oggi si trova la conoscenza, il che accumula applicazioni e le condivide
per la possibilit di creare il patrimonio distintivo dell'impresa.
2. LA CLASSIFICAZIONE DELLE INNOVAZIONI DELLIMPRESA
L'Innovazione non e pi solo quella tecnologica, ma tutto il cambiamento culturale che verifica le procedure e i prodotti
per valutare possibili modifiche alla base dell' andamento del mercato, delle tendenze organizzative o delle tecniche
produttive. Limitando l'innovazione alla sola produzione, per tecnologia s'intende un processo o insieme di processi che
permettono di applicare determinate conoscenze alla produzione, ma il concetto di tecnologia pu essere esteso,
intendendolo come l'applicazione di conoscenze per l unit di risoluzione di PROBLEMI. In questo modo la tecnologia non
si applica pi solo alla produzione, ma a tutte le attivit dell'impresa. Se l'innovazione applicata va a tutta l'impresa, essa
deve diventare un fatto continuo e diffuso a tutti i livelli e a tutte le posizioni gerarchiche, non pi limitato solo uno dei
settori. Per sviluppare l'iniziativa e la creativit individuale, occorre creare la possibilit di un clima favorevole in azienda,
cio rendere l'organizzazione snella o appiattita, in grado di far divenire veloce lo scambio di Informazioni e la
programmazione della gestione, cercando di coinvolgere tutte le competenze presenti in azienda. Anche se l'Innovazione
e un concetto alla base alla dell'Impresa, e la sua produzione pu avvenire in maniera spontanea, sar comunque
necessario organizzare appositi centri per la produzione di innovazione, nei quali si lavora in gruppo per creare idee
originali, rielaborare idee di terzi e osservare e raccogliere Informazioni. Innovare quindi non solo un'idea da seguire, ma
un fattore da sviluppare, e per farlo servono uomini e mezzi ed necessario investire.
Le innovazioni possono essere:
- OFFENSIVE: dirette ad acquisire un nuovo vantaggio competitivo; mirano ad erodere le posizioni di mercato della
concorrenza;
- NEUTRALI: si portano sullo stesso livello dei competitori eliminando le inefficienze;
- DIFENSIVE : Riduzione del gap tecnologico per evitare gli svantaggi competitivi insostenibili.
Aspetto collegato all'economicit del processo d'innovazione e dato dalla proteggibilit delle innovazioni, per cui si
trovano innovazioni PROTETTE, per cui ci sono degli strumenti giuridici di difesa (es. brevetti), innovazioni
PROTEGGIBILI, che possono essere protette solo facendo degli investimenti per scoraggiare il processo imitativo, e
innovazioni NON PROTETTE, cio facilmente copiabili da tutti. Questa distinzione si riferisce alla vita utile

dell'innovazione che incide sull'economicit, ci vuol dire che bisogna cercare di rientrare velocemente nell'investimento
prima che l'innovazione possa essere copiata e non rappresenti pi un vantaggio nellambiente competitivo.
Le innovazioni tecnologiche possono essere:
- DI PRODOTTO: Apportano cambiamenti alla gamma
- DI PROCESSO: Migliorano l'Efficienza del ciclo di Lavorazione
- DIMPIANTO: Progettano impianti con ONU Pi alto Coefficiente di rendimento.
E ancora possibile distinguere innovazioni autonome, che possono essere portate avanti in maniera indipendente da
altre innovazioni, e sistemiche, che invece possono essere realizzate solo se inserite in un sistema di innovazioni, poich
possono produrre vantaggi solo se accompagnate da altre innovazioni complementari e accessorie.

PROFILO STRATEGICO
PROFILO OPERATIVOGRADO DI IMPATTO
GRADO DI PROTEZIONE
PROFILO ECONOMICO
SULLORGANIZZAZIONE
OFFENSIVE
MANAGERIALI
AUTONOME
PROTETTE
REDDITIVITA
IMMEDIATA
NEUTRALI
TECNOLOGICHE:
-Prodotto
SISTEMATICHE
PROTEGGIBILI
REDDITIVITA
-Processo
DIFFUSA
-Impianto
DIFENSIVE
COMMERCIALI
NON PROTETTE
REDDITIVITA
FUTURA

3. IL PROCESSO INNOVATIVO
L'Innovazione deve essere vista come il risultato di un processo continuo, che integra il technology-push, cio lattivazione
delle opportunit tecnologiche, e il demand-pull, cio il percorso stimolato dalle opportunit di mercato. La diffusione
dell'innovazione nell'impresa solo il punto finale del processo innovativo, chesiI articola in vari stadi: Invenzione, cio
generazione delle idee, Selezione, cio valutazione della fattibilit delle idee e infine, Diffusione. Tra tutti gli step ci
sono continue risposte, ecco perch ogni innovazione influenzata o influenzabile da ogni passaggio di apprendimento. Il
momento pi critico del processo forse quello in cui il gestione fa partire tutte le attivit con cui pu valutare e
selezionare i progetti di innovazione, poich si mettono in gioco tutte le risorse tecnico-scientifiche e finanziarie di cui
dispone lazienda.
4. IL PROCESSO DI PRODUZIONE DELLE INNOVAZIONE E IL <<KNOWLEDGE MANAGEMENT>>
I cambiamenti oggi sono all'ordine del giorno, e l'unico modo, per l'impresa, di restare in vita, creare novit nel prodotto,
nel modo di produrre, nel modo di distribuire, nelle tecniche direzionali ed operative, in modo da combattere la
concorrenza.
Il knowledge management la capacit dell'impresa di organizzare l'apprendimento, in modo da produrre conoscenze
utili nella gestione dell'Impresa. Per svilupparlo necessario:
1) Finalizzare la gestione della conoscenza rappresentata dalla creazione di valore;
2) Definire una strategia in linea con gli obiettivi competitivi basandosi sul capitale intellettuale;
3) Adottare sistemi operativi in grado di riconoscere le competenze distintive, lacquisizione e lo sviluppo delle
conoscenze critiche, la condivisione delle informazioni ed il monitoraggio del patrimonio di conoscenze
nellorganizzazione;
4) Attivare processi di valutazione, si problem solving, di decisione, che permettano all'impresa di accrescere le
conoscenze nel tempo.

L'impresa si trova allinterno di un ambiente da cui deve imparare. Esistono poi vari processi di apprendimento, interni
ed esterni:

5. IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA RICERCA NELLO SVILUPPO AZIENDALE


Limpresa deve trovare nuove occasioni di business, nuove gamme da produrre e nuove tecnologie per produrre.
Importante quindi la funzione di ricerca e sperimentazione, che diventa un altro strumento per aumentare le
opportunit e le fonti dinnovazione dei processi operativi e dei prodotti. Ovviamente il peso allinterno dellimpresa
dipende dal settore in cui limpresa si trova, e dalla posizione che vuole occupare in dal punto di vista tecnologico. Pi
orientata alla leadership tecnologica, o pi produce prodotti o usa processi tecnologici, pi la funzione R&S (ricerca e
sviluppo) ha peso nellimpresa. In realt per mantenere questa funzione costa parecchio, e solo le imprese di grandi
dimensioni riescono a permettersela, ottenendone, a volte, anche un ricavo, quando cedono know-how o licenze di
fabbricazione.
I diversi tipi di progetti di R&S dipendono da:
- Lo stadio delle conoscenze da cui prende avvio il progetto;
- Lobiettivo dellindagine;
- La distanza dai ritorni economici e finanziari.
In base a questi diversi fattori, possibile distinguere 3 tipi di progetto:

- Di ricerca pura o di base: c molta incertezza tecnica perch ci sono poche conoscenze sulloggetto dindagine.
Questa fase come una sorta di incubazione tecnologica;
-Ricerca applicata: si cerca di consolidare le conoscenze acquisite durante la ricerca pura, per capire se le si pu
applicare al prodotto o al processo. In questa fase tutte le funzioni organizzative collaborano tra loro e da qui si parte per
diffondere linnovazione;
-Ricerca di sviluppo: molto vicina al momento dei ritorni economici perch gli ostacoli tecnici e scientifici sono stati
superati. Questi progetti hanno lobiettivo di sfruttare economicamente linnovazione, impegnando limpresa in
trasformazione che ne permettano lutilizzo.

6. IL FINANZIAMENTO DELLINNOVAZIONE
Punto delicato nel gestire linnovazione il reperimento dei fondi, sia per tipologia, sia per quantit necessarie. Perch
cos difficile trovare fondi? Perch di solito ne servono molti per innovare, e la redditivit avviene in archi di tempo
piuttosto lunghi e per pi aspetti e inoltre linvestimento immateriale e non permette di dare adeguate garanzie agli
investitori.
Quando si deve finanziare si valuta:
- Il rischio intrinseco, cio il grado dincertezza dei ritorni economici previsti dai processi innovativi;
- Tempo di recupero: prima di rientrare dellinvestimento occorre molto tempo, e di solito le risorse impegnate non sono
poche;
- La struttura finanziaria, cio lentit e il tipo di risorse da investire. Il rischio legato a questo tipo dinvestimento non
sempre controbilanciato da garanzie reali e questo rende difficile chiedere debiti.

Capitolo Diciottesimo: LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE


1. LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
Gestire le risorse umane al centro del processo amministrativo. Lo scopo cercare di instaurare il miglior clima tra i
lavoratori e i loro rappresentanti da una parte, e il management dallaltro, per motivare i lavoratori a partecipare alla
produzione. Ma gestire le risorse umane diventato ancora pi importante nel momento in cui limpresa passata
dallessere produttrice di beni a produttrice di conoscenza.
2. GLI ASPETTI STRATEGICI E AMMINISTRATIVI
La particolarit della funzione deriva non solo dalla variet di compiti in essa compresi, ma anche dal quadruplice profilo
delle scelte mediante le quali trova attenzione.

Al riguardo possibile individuare:


- Un profilo strategico, che riguarda la formazione dellorganico necessario per il raggiungimento delle finalit
imprenditoriali e la sua valorizzazione nel tempo;
- Un profilo organizzativo, relativo alla definizione di mansioni (job description) allo scopo di coordinare compiti, poteri e
responsabilit nella struttura aziendale;
- Un profilo direzionale o di conduzione, correlato ai problemi della motivazione dei dipendenti e dello sviluppo delle
carriere;
- Un profilo amministrativo, comprendente la definizione contrattuale del rapporto di lavoro.

3. IL RECLUTAMENTO E LA SELEZIONE DEL PERSONALE


Prima di assumere il personale, le persone vanno reclutate, selezionate e eventualmente formate. I costi di queste attivit
sono spesso elevati e perci si esternalizzano ad agenzie specializzate in grado di fare economie di costo. Il momento
della ricerca e di selezione importante sia per limpresa sia per il lavoratore, perch il primo momento di contatto tra
offerta e domanda. Lobiettivo di individuare i soggetti con le caratteristiche pi vicine a quelle cercate, e per farlo si
analizzer il lavoratore dal punto di vista delle capacit, conoscenze, comportamento e potenzialit. A questo punto un
fattore molto importante la formazione, che ha costi molto elevati e che per questo ha visto il moltiplicarsi di centri
specializzati a supporto delle imprese. La formazione in questo senso un investimento sul capitale umano e non un
onere digestione. Le aziende che intendono formare persone, hanno in genere un tasso di turn over molto basso, perch
la fuoriuscita di personale comporta la perdita di valore, a favore della concorrenza, e la necessit di trovare altre risorse
con i costi che questo comporta. Importante allora dovrebbe essere la valorizzazione del personale, e delle capacit
acquisite in fase di formazione, durante i periodi di crisi, in cui risulta pi necessario mettere in pratica tutte le capacit
migliori.
4. LA VALUTAZIONE E RETRIBUZIONE DEL LAVORO
La retribuzione resta tra i principali fattori governati dallimpresa per attrarre, trattenere e motivare il personale. La
retribuzione monetaria pu essere fissa o variabile, quella fissa determinata dagli accordi contrattuali, quella variabile
legata a accordi tra le parti e dipende dal raggiungimento di specifici risultati. Un tipo di retribuzione variabile il profit
sharing, in cui una quota degli utili realizzati viene destinata ai lavoratori, rendendoli anche partecipi delle attivit
decisionali (gain sarin).
La politica retributiva ai articola in:

- Livello della retribuzione, in base a quanto viene dato normalmente sul mercato e tramite la contrattazione collettiva e
alle possibilit dellimpresa;
- Struttura della retribuzione, cio quanto prende ogni lavoratore in base alla posizione;
- Dinamica della retribuzione, cio le variazioni salariali in base al tempo.
La rigidit del fattore lavoro, come tutte le rigidit, fonte di costi per limpresa e pu quindi condizionarne le potenzialit
economico-strutturali. La flessibilit nasce dalla combinazione di condizioni esterne e interne che variano in base a :
- Modalit temporali della domanda;
- Tipologia produttiva della domanda;
- Grado di utilizzo della capacit produttiva.
Altre forme di lavoro atipico sono quelle del part time, del lavoro interinale, del lavoro a tempo determinato e il
job sharing, il lavoro intermittente o lo staff leasing.
Job sharing: lo stesso posto di lavoro condiviso da due lavoratori, e ne sono entrambi responsabili. In questo modo
possono organizzarsi e ridurre lassenteismo.
Lavoro intermittente, a chiamata: c un picco di lavoro ed necessario avere pi personale.
Staff leasing: unimpresa esterna affitta un gruppo di lavoratori a unaltra per svolgere alcune attivit esterne.
Part time: occupazione regolare e volontaria in cui si lavora a orario ridotto rispetto al normale.
Lavoro interinale: si svolge un lavoro temporaneo attraverso la mediazione di unagenzia che lunica titolare del
contratto di lavoro. (Il rapporto quindi a 3). Una forma di lavoro temporaneo esiste anche per i manager, cio i cosiddetti
temporary manager, che gestiscono unimpresa solo per determinati periodi, per esempio nel caso del lancio di un
nuovo prodotto, o lentrata in un nuovo mercato. In questo modo la disponibilit immediata e lintervento rapido,
facile misurare i risultati e il rapporto solo temporaneo.

5. LAMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE


Oltre a gestire i rapporti con il personale, necessario poi amministrarli, e questo ci di cui si occupa la parte
amministrativa dellimpresa. Il compito principale dellamministrazione del personale, che poi spesso inserito in quella
contabile, lelaborazione delle paghe, il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, la tenuta dei libri
obbligatori e in generale le pratiche di ferie, permessi,malattie ecc.

6. UN AREA FONDAMENTALE
AMMINISTRATIVO-CONTABILE

DI

<<SUPPORTO>>

NELLA

GESTIONE

AZIENDALE:

LA

FUNZIONE

La funzione amministrativa deve tenere la contabilit generale e ci la mette in stretto rapporto con la funzione
finanziaria. Laspetto contabile dato dal volume di operazioni da fare in modo ricorrente in base a procedure fissate,
mentre quello finanziario dato dalla programmazione e controllo della provvista e dellimpiego delle fonti nella gestione.
Attraverso i compiti di natura amministrativa possibile curare i rapporti finanziari tra lorganizzazione e i gruppi esterni
con cui limpresa entra in contatto. Le informazioni sulla gestione passata fanno parte della contabilit generale, dei costi,
industriale, lIVA e la redazione del bilancio. Ma accanto a questa necessario anche portare avanti il recupero dei crediti,
senza per perdere i clienti, mantenere i rapporti con il fisco, amministrare i beni immobili, le partecipazioni azionarie, le
propriet industriali, ecc. quindi importante per la direzione avere in mano i dati contabili per poter fare le scelte giuste
nel corso della gestione, per poter controllare landamento dellimpresa e eventualmente correggerlo e riprogrammarlo.

PARTE QUINTA
STRUMENTI E TECNICHE DI GESTIONE
Capitolo Diciannovesimo: LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO
1. LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO

La programmazione e il controllo della gestione finanziaria servono per preservare le condizioni di solvibilit e liquidit
dellimpresa.
2. LA PROGRAMMAZIONE E IL CONTROLLO DELLA GESTIONE FINANZIARIA
Ai fini del controllo vi sono da redigere dei documenti fondamentali, che sono IL PROPETTO DELLE FONTI E DEGLI
IMPIEGHI, IL PROSPETTO GENERALE DEi FLUSSI MONETARI DELLE OPERAZIONI DI ESERCIZIO, IL QUADRO GENERALE DEI
MOVIMENTO MONETARI E IL PIANO DI CASSA O BUDGET DI TESORIERA.
Il prospetto delle fonti e degli impieghi serve per valutare lequilibrio tra il fabbisogno finanziario e le possibilit di fonti di
finanziamento per un periodo pluriennale e serve anche a controllare che tale equilibrio sia raggiunto e mantenuto nel
rispetto del principio dell omogeneit. Il prospetto suddiviso in due parti: la parte superiore si riferisce alla valutazione
tra equilibrio e omogeneit tra le FONTI E GLI USI NON CONCORRENTI ( ossia quelli che si riferiscono a periodi pluriennali)
e la parte inferiore destinata a stimare le stesse caratteristiche per le FONTI CONCORRENTI (ovvero quelle che sono
relativi allesercizio). Le fonti sono distinte in tre gruppi: FONTI DELLA GESTIONE, che nel loro complesso rappresentano il
CASH-FLOW aziendale (risultato desercizio + ammortamenti + accantonamenti); FONTI CONCORRENTI, in cui si fa
rientrare laumento dei debiti a breve; e FONTI NON CONCORRENTI, in cui si comprendono dati relativi a periodi
pluriennali (capitale, alienazioni patrimoniali, debiti a medio-lungo termine, ecc..). Anche gli usi sono divisi in due gruppi,
quelli CONCORRENTI, relativi al finanziamento dellesercizio, e quelli NON CONCORRENTI, inerenti ad esempio a processi
di investimento, di rimborso dei debiti a medio lungo termine e di distribuzione dei dividendi. Il prospetto consente la
determinazione di tre saldi: il SALDO FINANZIARI, derivato dalla contrapposizione di usi e fonti non concorrenti e che
riguarda la modificazione della struttura finanziaria dellazienda, il SALDO CONCORRENTE, che riviene dalla
contrapposizione di fonti e usi concorrenti ed attiene ai tre cicli economico, di produzione e finanziario, e il SALDO
COMPLESSIVO (saldo concorrente + saldo non concorrente). Con questo prospetto dunque possibile verificare
anticipatamente le alternative per la copertura dei flussi finanziari determinati dagli usi al fine di preservare
costantemente lequilibrio finanziario nel rispetto del principio dellomogeneit. Se i saldi tendono a 0, la situazione
ottimale perch c equilibrio tra fonti e usi correnti e non e quindi lomogeneit rispettata. Se il saldo molto positivo
bisogna ricercare un opportunit di investimento per evitare di tenere della liquidit infruttifera. Se negativo si deve
provvedere anticipatamente alla sua copertura o al ridimensionamento degli impieghi.
Il prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio analizza per ogni partita lentrata o luscita effettiva,
ed il saldo dato dalla somma algebrica tra lammontare dei debiti e crediti allinizio dellesercizio, gli incassi e le uscite
durante lesercizio e lammontare dei debiti/crediti alla fine dellesercizio. Questo prospetto permette di determinare il
saldo positivo o negativo derivante dalle operazioni connesse con l'esercizio. Nel primo caso il prospetto indica la
presenza di una disponibilit netta derivante dalle partite correnti di carattere commerciale-finanziario, nell'altro indica
il sopravvenire di un fabbisogno netto. Questo saldo viene poi riportato nel quadro generale dei movimenti monetari
in cui si spiega da cosa sono composte entrate e uscite. Il piano di cassa il cosiddetto budget, analizza i 2 documenti
precedenti mese per mese, guardando il flusso delle entrate e delle uscite. Con questa operazione si pu determinare un
saldo monetario, capire se possibile coprire i saldi negativi che si hanno o usare meglio le risorse. La situazione di cassa
e banca il collegamento tra i due esercizi. Quando si considerano entrate e uscite bisogna tener conto che le entrate
possono essere certe, molto probabili e probabili, mentre le uscite possono essere fisse mensili, per esempio gli
stipendi, periodiche, come lIVA, o straordinarie, per esempio il licenziamento di dipendenti. La situazione monetaria
diventa difficile quando alla fine del periodo il saldo banche maggiore di quanto si ricevuto allinizio. La gestione
finanziaria sar quindi controllata con il piano di cassa e il prospetto delle fonti e degli impieghi. Se si compila il piano
finanziario, il prospetto e i preventivi di cassa, sar pi facile capire che tipi dinvestimento fare, e quanto capitale lasciare
corrente, in modo da avere sempre liquidit. Per questo la pianificazione finanziaria, anche se specifica di una funzione
della gestione, viene di solito presa come una dimensione generale della stessa.
3. LA VALUTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA E STRATEGICA DEI PROGETTI DI INVESTIMENTO
Nellambito della programmazione finanziaria, centrale il problema della valutazione dei progetti di investimento. Per
condurre queste valutazioni si possono utilizzare apposite tecniche di carattere economico-finanziario atte a:
a) STABILIRE LACCETTABILITA DI UN PROGETTO RISPETTO A VALORI STANDARD PREFISSATI;
b) COMPARARE PROGETTI ALTERNATIVI.
Gli elementi da valutare sono il ritorno economico (rendimento diretto), il vantaggio economico prodotto in altre aree
dellorganizzazione (rendimento indiretto) e i ritorni non economici o di qualit, in grado di accrescere le risorse
intangibili, mentre le difficolt di valutazione comprendono le attendibilit delle previsioni formulate (flussi e costo del
capitale) e la complessit della stima dei risultati di carattere non quantitativo. Le principali tecniche di valutazione sono
tre: il PAY-BACK PERIOD, IL VAN E IL TIR.
Pay back period: periodo di recupero. Questo metodo fa capire quanto rischioso un investimento perch indica quanto
tempo passa tra il momento in cui inizia linvestimento e il momento in cui rientra dell capitale investito (inflow).
Analizzando i tempi dei vari progetti si pu definire una graduatoria di priorit degli impieghi. Questo fa capire che
lelemento determinante il tempo di esposizione al rischio piuttosto che il rischio in s ed importante capire la
velocit con cui si riesce a rientrare e quanto ci vorr per ottenerne un reddito accettabile.
Tasso di redditivit attualizzato: il denaro ha un valore che stabilito in modo oggettivo dal mercato, attraverso il
tasso dinteresse, e in modo soggettivo dallinvestitore in base alla preferenza per disponibilit liquide. Questo valore
tender a diminuire pi la possibilit di averlo liquido si allontaner nel tempo. (CUTOFF PERIOD: tempo prefissato per il

recupero di un progetto, soglia di accettazione o rinuncia del progetto). Perch allora attualizzare? Per comparare pi
facilmente i progetti, perch si compara in un unico momento storico. Questo permette di vedere se la redditivit
attualizzata superiore al costo che si sta sostenendo per realizzarla. Per fare questa operazione si ha bisogno di
due metodi: TIR e VAN.
TIR tasso interno di rendimento
Per prima cosa si deve ottenere il tasso di attualizzazione che rende uguali i flussi di entrate e uscite. Trovato questo tasso
si potr compararlo con quello che bisogna pagare per reperire i fondi e se il divario positivo, allora conveniente
investire. TIR 9%, costo per acquisire i fondi 6%, si investe, perch pi conveniente usare le proprie risorse piuttosto che
indebitarsi.
VAN valore attuale netto
Si immagini che il tasso di attualizzazione sia uguale al costo del capitale, cos si capisce se il proprio investimento attuale
conveniente. Un VAN pi alto fa capire che linvestimento conveniente. Con questi metodi matematici non si ha una
risposta per capire se giusto fare linvestimento, ma piuttosto unindicazione della priorit; infatti anche se si ottengono
risposte certe, non si riesce a dire quale incidenza pu avere quellinvestimento su altre aree dellazienda, per cui
quellinvestimento potrebbe essere utilissimo. Ogni investimento deve poi essere valutato anche in base al suo grado di
flessibilit strategica, cio mentre si investe potrebbero presentarsi altre opportunit e queste saranno di pi o di
meno a seconda che si riesca a smobilitare il proprio investimento. Questa teoria detta delle opzioni e ne individua 4:
- Di sviluppo: possibilit di crescita legate allo sviluppo dellinvestimento;
- Di abbandono: possibilit di interrompere linvestimento se ci si rende conto che non conveniente;
- Di differimento: possibilit di scegliere il tempo dellinvestimento, senza che gli effetti siano influenzati dalla
concorrenza (per esempio si sfrutta un brevetto);
- Di flessibilit: possibilit di poter cambiare linvestimento in base ai cambiamenti dellambiente.

4. LA MISURAZIONE DELLA POTENZIALITA ECONOMICO-STRUTTURALE MEDIANTE IL DIAGRAMMA DI


REDDITIVITA
La capacit di produrre reddito non deriva solo dai comportamenti attuati dallimpresa, ma anche dai vincoli esterni ai
quali sottoposta. I vincoli interni sono dati da:
- Capacit di produzione;
- Capacit finanziaria (quanto si ha a disposizione);
- Potenzialit economico-strutturale (rapporto tra costi fissi, costi variabili e ricavi).
Il diagramma di redditivit quello che misura la potenzialit economico-strutturale e valuta come le scelte aziendali
abbiano impatto sul rapporto costi-volumi-risultati. Per costruire il grafico si deve rilevare (per fare unanalisi consuntiva)
o ipotizzare (per unanalisi preventiva) i costi fissi (costi il
cui ammontare non risulta significativamente correlato al volume produttivo), variabili (costi il cui ammontare risulta
significativamente correlato al
volume produttivo) e i ricavi. I ricavi si trovano con la contabilit, mentre i costi si devono calcolare analizzando periodi di
tempo di 5-10 anni, prima si troveranno i costi fissi, poi quelli variabili. Per costruire il grafico si deve inserire poi un
coefficiente di variabilit e ununit di misura (per esempio quanto venduto), per capire se lincidenza dei costi rimasta
uguale negli anni in base allunit di misura scelta. Quindi la potenzialit economico-strutturale si basa sulla variabilit dei
costi piuttosto che su quanto venduto. Quando si sono individuo costi e ricavi si passa al grafico, in cui individuare il

punto di pareggio, o break even point, cio il punto in cui i costi e ricavi si eguagliano. Oltre questo punto si avr un
ricavo, prima una perdita. La differenza tra quanto prodotto e quanto venduto serve per ottenere il pareggio; detto
margine di sicurezza, se positivo e di deficit, se negativo. Grazie a questo punto si riuscir a dire, a seconda di
dov posizionato, qual la potenzialit economico-strutturale dellimpresa. Dato che divide la zona di perdita e quella di
ricavo se si hanno pi costi o meno ricavi si sposta verso destra, larea delle perdite aumenta e diminuisce quella dei
profitti e viceversa. Se larea dei profitti aumenta si ha una maggiore potenzialit economico-strutturale.

.
Questo grafico, anche se molto utile, si basa su 4 linee semplificatrici, che vanno considerate per ridimensionare il valore
dello strumento:
- Costanza dei ricavi unitari di vendita;
- Invariabilit della composizione quali-quantitativa della gamma;
- Proporzionalit dei costi variabili;
- Staticit dellambiente di riferimento.
Al punto di pareggio si collega il concetto di leva operativa, intesa come il rapporto tra la variazione percentuale del
reddito operativo e quella delle unit vendute; pu essere intesa anche come il grado di sfruttamento dei costi fissi.
Leva Operativa = Variazione percentuale del reddito operativo
Variazione percentuale delle vendite
Unazienda con alti costi fissi in rapporti a quelli totali e ai ricavi ha una leva operativa alta, perch allaumentare della
produzione il suo reddito cresce pi in fretta rispetto a una con leva operativa pi bassa. Daltra parte in questo modo la
struttura meno flessibile e pi rischiosa. Pi costi fissi si hanno e pi bisogna produrre perch questi incidano meno sulle
singole unit prodotte. Il punto di pareggio pu essere calcolato, per produzioni omogenee, partendo dallequazione del
profitto. Il punto di pareggio prevede che il profitto sia pari a 0 e quindi R x Q = Cf + ( Cv x Q ) da cui ottenere Q= Cf / R
Cv. R sono i ricavi, Cf i costi fissi, Cv i costi variabili, Q la quantit di vendita. In Q determinata cos si ha il punto di
pareggio. Se invece si avesse il coefficiente della linea dei costi (a), il costo complessivo x e i costi fissi k, partendo
dallequazione x=y, si avr questa formula: x=ay + k da cui deriva y=k/1-a.
5. LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLE SCORTE
Altra area della gestione su cui soffermarsi quella della logistica, cio relativa alle scorte e al magazzino. Le scorte
possono essere di materie, cio quelle che servono per produrre, o di prodotti finiti, semilavorati o in corso di produzione
da vendere. Il problema capire quando e quanto ordinare le materie che servono nella produzione. Due diverse
impostazioni di gestione della quantit di giacenze da tenere in magazzino:
1) Dipende dai tempi di assorbimento dei materiali e dai tempi di riapprovigionamneto degli stessi:
- Stock Control: cio controllo il livello delle scorte senza considerare come cambiano i processi di produzione e vendita
(scorte separate e ciclo di ordinazione).
2) Dipende dallandamento della domanda:
- Flow Control: cio le scorte vengono determinate in base agli ordini di vendita da evadere.
Da ci derivano il Material Requirements Planning (MRP), cio si cerca di far coincidere le scorte con il fabbisogno di
breve periodo, in modo da ridurre le giacenze accumulate. Per farlo si parte dallordine di vendita e si acquistano i
materiali in base ai tempi di produzione dei prodotti ordinati,e il Just-in-time per cui si cerca di ridurre a zero le giacenza
per generare vantaggi economici e eliminare i rischi dimmobilizzo. Per farlo bisogna creare una rete molto efficiente con i
fornitori e questo possibile se si ha potere per imporsi sui fornitori. Il justin time rende fragile la lean production, ma
permette di risparmiare sulle scorte, che altrimenti incidono molto sul prezzo

5.1 LE TECNICHE DELLE SCORTE SEPARATE E DEL CICLO DI ORDINAZIONE


Esistono due tipi di Tecniche Stock Control:
Tecnica delle scorte separate (two byn system): tecnica a quantit fissa, determina quanto ordinare e il quando segue.
Quando la scorta raggiunge un valore minimo, la si riordina.
Tecnica del ciclo di ordinazione (ordering cycle system): tecnica a tempo fisso, determina quando ordinare e il quanto
segue. Decide quanto comprare alla fine di ogni ciclo produttivo in base alle scorte che si hanno via.
Scorte separate: definire il livello di riordino, cio la quantit che fa scattare il riordino. Questo livello dipende dal tempo
guida, dato dalla somma del tempo che ci vuole per ordinare, ricevere la merce e distribuirla. Determinato il livello di
riordino, devo vedere quanto ordinare, cercando di definire una quantit ottimale, cio il lotto con cui il costo di
gestione complessivo minimizzato. Questo costo deriva dal costo di mantenimento e dal costo di ordinazione, cio
tutte le spese che sostengo per ordinare, tranne il costo reale delloggetto richiesto.

Attraverso una serie di calcoli si pu dire che i due costi variano al variare della quantit: allaumentare della quantit
ordinata, scende il costo di ordinazione e sale il costo di mantenimento. In realt questa soluzione un po semplificata
perch parte dal presupposto che i costi per la conservazione cambino solo al cambiare della quantit di scorte. anche
da considerare che pi acquisto pi potrei avere costi di trasporto e di acquisto pi bassi e questi fattori possono portare a
fare scelte diverse.

Ciclo di ordinazione: si parla di scorta ottimale perch la quantit cambia di volta involta, mentre resta ferma la quantit
di stock da avere all inizio di ogni periodo. Dato che i prodotti da stoccare sono molti e diversi, alcuni hanno pi valore di
altri e quindi andranno stoccati in modo diverso. L gestione delle giacenze fatta in modo selettivo e questo metodo
detto ABC, cio i prodotti sono divisi in prodotti A che hanno pi valore per limpresa, prodotti B che hanno valore, ma
meno rispetto agli A e prodotti C che sono meno necessari. A e B di solito vengono gestiti con il metodo delle scorte
separate, mentre per C si usa il ciclo di ordinazione.
Altri criteri per distinguere i prodotti e le scorte la valutazione dell essenzialit dei materiali, la difficolt di
reperirli e la variabilit dellofferta nel tempo.

5.2 LA GESTIONE DELLE SCORTE DI PRODOTTI FINITI


Il rischio di avere in magazzino prodotti e non materie diverso ma lo stesso importante. Avere pochi prodotti pu voler
dire perdere una vendita se il cliente non disposto ad accettare e la disponibilit allattesa fortemente condizionata
dalla brand loyalty del cliente. I rischi legati ai prodotti possono essere legati alla deperibilit del prodotto stesso, sia
fisica, sia tecnica (un computer), per cui il prodotto diventa inutilizzabile e dal fatto che una materia ha un valore pi
basso di un prodotto finito e quindi meno rischioso stoccarla e costa di meno in termini di oneri di custodia. Si cercher
quindi di lavorare molto su commessa e usando un network telematico si cercher di far partire la produzione appena si
riceve lordine, facendo attenzione a mantenere il tempo dattesa molto basso, cos che il cliente decida di aspettare.
5.3 LA MISURAZIONE DELLEFFICIENZA DELLA GESTIONE DELLE SCORTE E DEL MAGAZZINO
Avere un magazzino significa avere una parte del capitale immobilizzato e quindi una situazione finanziaria meno elastica.
Si fanno delle misurazioni proprio per capire come migliorare il rendimento di questi investimenti e per trovare metodo di
gestione pi efficienti, cio riducendo i costi. Lindice con cui valuto lefficienza sulle scorte il tasso di rotazione, dato
dal rapporto tra materiale uscito dal magazzino in un certo lasso di tempo e giacenza media nello stesso periodo.

Si ottiene un risultato che mi dice in media dopo quanto si rinnovato il magazzino. Pi questo indice elevato meglio
stato gestito il magazzino perch vuol dire o che sono usciti pi materiali o che diminuita la giacenza media. Calcolare il
tasso di rotazione permette di capire la velocit di assorbimento dei prodotti immessi sul mercato e quindi landamento
della domanda e se la rotazione in linea con gli anni precedenti o con la concorrenza si pu pensare a scelte alternative
di produzione o vendita. Vista la difficolt nel calcolare lindice considerando i prezzi, sar meglio usare solo quantit
fisiche, che dicono comunque quante volte si rinnova il magazzino in un lasso di tempo. Pu essere infine utile capire:
1) Quanto incide il magazzino sul costo di produzione, rapportando il costo del magazzino con il costo di produzione e
2) Quanto incide lo stesso costo su ogni singola unit prodotta rapportando il costo di magazzino con la giacenza media.
Altri due indici significativi sono:
costi di magazzino

a)

costi di magazzino

b)

costo di produzione
giacenza media
6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA VALUTAZIONE DEI RISCHI DIMPRESA

APPENDICE: LA COSTRUZIONE DEL BUSINESS PLAN


Il Business Plan e il documento che presenta in ottica prospettica uniniziativa imprenditoriale allo scopo di:
1) Valutarne anticipatamente la fattibilit (sia in relazione alla struttura aziendale che al contesto nel quale limpresa
andr ad operare);
2) Stimare le risorse (economico-finanziarie, umane e tecnologiche) da investire per implementare il progetto
imprenditoriale, valutando anticipatamente limpatto che tale progetto potr produrre sul mercato e i risultati economicofinanziari che potranno derivarne.
- E uno strumento di pianificazione e controllo, che definisce in maniera esplicita i contenuti strategici cui devono riferirsi
i diversi attor aziendali, fornendo unutile base di raffronto per valutare la bont dei risultati conseguiti;
- Rappresenta unoccasione di riflessione per limprenditore, che chiamato ad analizzare criticamente (e, dunque,
affinare) le proprie intuizioni relative allopportunit imprenditoriale intravista;
- E uno strumento di comunicazione esterna, con cui limprenditore pu presentare la sua idea imprenditoriale a diverse
categorie di interlocutori (potenziali finanziatori, come le banche, potenziali investitori, come societ di venture capital,
business angel, ecc. o, ancora, potenziali partner) e persuaderli della bont del progetto per ottenerne il coinvolgimento e
le risorse.
Il piano di impresa dovrebbe prima di tutto presentare i connotati distintivi della business idea e valutarne
anticipatamente la validit e la fattibilit, operativa e finanziaria.
Una business idea composta da tre elementi:
1) Il sistema di prodotto, che identifica lofferta rivolta al mercato;
2) Il segmento di mercato, ossia la tipologia di clienti cui limpresa si rivolge;
3) Le risorse interne attraverso le quali si confida di poter realizzare lidea imprenditoriale.
Il cuore del piano di impresa dunque rappresentato dalle scelte strategiche assunte dalla compagine
imprenditoriale.
Executive summary - un documento di riepilogo, in cui si presentano brevemente natura e finalit del progetto,
evidenziando la mission aziendale e lessenza della business idea. Si indicano i prodotti/servizi che si intendono offrire,
sottolineando i vantaggi per la clientela ed i punti di forza rispetto ai concorrenti; le opportunit di mercato che si ritiene
di poter cogliere; si valuta la dimensione del mercato, indicando le strategie da adottare, nonch i risultati economicofinanziari attesi. Andr qui evidenziato anche il contributo richiesto al destinatario del business plan.
- Idea imprenditoriale e compagine aziendale - Analisi dellambiente esterno - I mercati di sbocco - Prodotti/servizi da
realizzare - Risorse umane necessarie e modello di struttura organizzativa.

Lerrata formulazione della previsione dei volumi di vendita, pu inficiare lattendibilit e lutilit del complessivo business
plan.
Il Business Plan risulter coerente quando siano presi nella giusta considerazione i collegamenti fra strategie, scelte
operative, ipotesi di partenza e dati economico-finanziari e venga parallelamente garantito il rispetto delle connessioni
logiche (nessi di causalit o interdipendenza) che sussistono tra insiemi di scelte diverse e tra i differenti prospetti
economico-finanziari.
Capitolo Ventesimo: LE TECNICHE DI VALUTAZIONE DELLEFFICIENZA AZIENDALE
1. LE TECNICHE DI VALUTAZIONE DELLEFFICIENZA AZIENDALE
La valutazione dellefficienza consente di apprezzare lo stato di salute dellimpresa nel suo complesso o in relazione a sue
parti significative. un classico controllo di tipo susseguente. Generalmente viene realizzato sui dati annuali, ma pu
riguardare anche periodi infra-annuali (in tal caso si avvicina alla logica del controllo concomitante). Alcune delle tecniche
e degli strumenti utilizzati per la valutazione dellefficienza aziendale possono essere impiegati anche per il controllo
antecedente, concomitante e susseguente.
Il reddito di esercizio, in linea teorica, misura il successo delle operazioni svolte nellanno. E un valore residuale, funzione
delle politiche di bilancio, condizionato dalle scelte passate e dalle prospettive di gestione. RICAVI DI ESERCIZIO COSTI
DI ESERCIZIO
Per questo motivo, se riferito al singolo esercizio, non pu essere considerato un valido indicatore dellefficienza globale
della gestione.
2. IL CASH-FLOW E IL MARGINE OPERATIVO QUALI VALORI INDICATIVI DELLEFFICIENZA AZIENDALE
A questo scopo, si adoperano altri indicatori, come il cash flow e il margine (o reddito) operativo, lordo e netto. Il
Cash-flow rappresenta la misura dellautofinanziamento aziendale. Esso pu essere FINANZIARIO (risultato di esercizio +
ammortamenti netti + accantonamenti netti) o reddituale (risultato di esercizio + accantonamenti netti). Il margine o
reddito operativo rappresenta il risultato della sola gestione caratteristica.
RICAVI OPERATIVI COSTI OPERATIVI
In ogni impresa si possono separare quattro tipi di attivit o fenomeni di differente matrice gestionale:

1) La gestione tipica o caratteristica, costituita da tutte le operazioni destinate a raggiungere lobiettivo


fondamentale per cui limpresa stessa stata creata;
2) La gestione finanziaria, rappresentata dalle operazioni di reperimento e dimpiego dei fondi occorrenti o prodotti
dallattivit aziendale;
3) La gestione patrimoniale, o accessoria, costituita dallamministrazione dei beni non strumentali per lesercizio della
gestione tipica (p.e. un immobile dato in locazione a terzi);
4) La gestione straordinaria, che composta dagli eventi imprevedibili, nel loro verificarsi o nella misura degli effetti
prodotti (es. sopravvenienze, insussistenze, plusvalenze, minusvalenze).
Il valore pi significativo il risultato collegato alla gestione operativa, cio quello relativo allattivit tipica o propria
dellimpresa. quindi molto importante determinare quanta parte del risultato di esercizio scaturisca dalla gestione
caratteristica e quantaltra da quella finanziaria, straordinaria e accessoria.

Il cash-flow o flusso di cassa rappresenta la quantit di risorse finanziarie generate nellesercizio. pari allutile netto
prodotto dalla gestione pi il
complesso di costi, caricati sempre allesercizio, ma non seguiti da uscite di cassa. dato dalla sommatoria dellutile
netto di esercizio e delle quote di
ammortamento e di accantonamento al netto degli usi (cash-flow finanziario) oppure dalla sommatoria allutile netto di
esercizio delle sole quote di ammortamento al netto degli usi (cash-flow reddituale). La maggiore significativit del cashflow rispetto al reddito deriva dal fatto che spesso, proprio mediante la dilatazione o la compressione delle politiche di
ammortamento e di accantonamento, si determina il risultato di esercizio.
3. LA VALUTAZIONE DELLEFFICIENZA ORGANIZZATIVA E COMMERCIALE
La valutazione dellefficienza organizzativa e commerciale riguarda le risorse umane, la struttura e le procedure. La
valutazione di questo tipo di efficienza va dunque condotta sia mediante la misurazione del rendimento del personale, sia
per mezzo di appropriate analisi organizzative. Il primo generalmente valutato sulla base di indici quantitativi e
qualitativi, di cui il pi importante senza dubbio lindice di produttivit, che si costruisce ponendo a raffronto il
risultato conseguito e lo sforzo sostenuto e che serve a misurare lefficienza del lavoro sia umano sia meccanico.
Per quanto riguarda laltro aspetto dellefficienza organizzativa, cio quello relativo alla struttura e alle procedure di
lavoro, non possibile costruire degli indici quantitativi o qualitativi, ma bisogna condurre delle analisi piuttosto
complesse mediante interviste ai responsabili dei servizi o delle divisioni amministrative, valutazione delle mansioni, ecc..
Queste analisi richiedono limpiego di specialisti in organizzazione aziendale, in grado di valutare ladeguatezza della
struttura alle strategia che limprese intende attuare, con particolare riguardo al corretto impiego delle capacit personali
presenti nellazienda.
L efficienza economica pu invece essere misurata con riferimento a tre parametri: costi, ricavi e reddito.
Due sono i tipi di indici quantitativi pi utilizzati:
1) INDICI DI ECONOMICITA: costi di singole funzioni (o costi totali) / ricavi;

2) INDICI DI REDDITIVITA: misure del reddito aziendale / misure del capitale.


Passando poi a considerare l efficienza esterna lindice che meglio rappresenta le valutazioni sintetiche la quota di
mercato, cio il rapporto tra vendite aziendali e vendite complessivamente effettuate nel particolare mercato.
QUOTA DI MERCATO =
VENDITE AZIENDALI
VENDITE COMPLESSIVE E DEL MERCATO SERVITO
LIMITI
- Definizione del mercato dellimpresa
- Dimensione dellimpresa e concentrazione del mercato
- Difficolt di reperimento del dato sulle vendite del mercato
- Effetto dellinflazione nellinterpretazione dei dati
Indicatori prevalentemente interni sono il tasso di sviluppo del fatturato, gli indici di penetrazione distributiva,
gli indici di ampliamento della clientela.
4. GLI INDICI DI REDDITIVITA E DI ECONOMICITA (RATIO)
Gli indici (ratio) sono uno strumento per linterpretazione del bilancio di esercizio e costituiscono una base per le
valutazioni prospettiche della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di unazienda. Gli aspetti rilevanti sono:
- Consapevolezza dei limiti informativi legati alla fonte dei dati (bilancio);
- Riclassificazione delle poste di bilancio;
- Analisi temporale e spaziale.

5. GLI INDICI DI VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE FINANZIARIA


Vi un altro gruppo di valori e indici che consentono di valutare la situazione finanziaria dellimpresa. Gli aspetti
da misurare riguardano la solvibilit, la solidariet patrimoniale e la liquidit. Un indicatore di particolare valore,
che non un ratio, il cosiddetto margine di struttura.

6. LANALISI DEI COSTI DI DISTRIBUZIONE


Serve a stimare i margini di contribuzione o i tassi di redditivit di prodotti, zone di vendita, canali di distribuzione, gruppi
di clienti.
Il costo di distribuzione inteso come il complesso degli oneri che limpresa sostiene per far defluire le sue produzioni al
mercato di sbocco.
Lanalisi pu essere sviluppata secondo tre procedure:
a) FUNZIONALE: per attivit specifiche di vendita (promozione, magazzino, trasporto);
b) OGGETTIVA: per oggetto di spesa (fitti, stipendi, oneri finanziari,ecc);
c) SOGGETTIVA: per segmenti di vendita (prodotti, zone, canali).

A seconda delloggetto dellanalisi (specifica attivit, oggetto di spesa o segmento di vendita), i costi distributivi possono
essere distinti in diretti, indiretti e semidiretti.
a) DIRETTI: specificamente attribuibili allelemento per cui si conduce lanalisi;
b) INDIRETTI: non imputabili direttamente alloggetto dellanalisi;
c) SEMIDIRETTI: costi indiretti che, sulla base di criteri razionali, possono essere attribuiti in modo appropriato
allelemento dellanalisi.
La tecnica del costo pieno (full costing) considera tutti i costi sostenuti per la distribuzione (diretti, indiretti e
semidiretti). La tecnica del direct costing prende in considerazione solo i costi diretti. Questa impostazione tanto pi
significativa quanto meno rilevante lincidenza dei costi indiretti sul totale dei costi di distribuzione.
7. LANALISI DEI RENDIMENTI DELLA RETE DI VENDITA
Serve a misurare lefficienza della rete di vendita mediante la costruzione di una serie di indicatori volti ad analizzare
specifici aspetti.

8. LANALISI QUALI-QUANTITATIVA DELLEFFICIENZA: LA <<BALANCED SCORECARD>>


E un sistema di rilevazione dellefficienza aziendale alternativo ai tradizionali strumenti esclusivamente quantitativi,
grazie allallargamento dello spettro di prospettive da monitorare per una valutazione complessiva della performance
aziendale:
4 PROSPETTIVE:
1. Economico finanziaria
2. Soddisfazione del cliente
3. Processi aziendali
4. Apprendimento
Le 4 prospettive, strettamente integrate, consentono una valutazione della performance che combini, ponderandole,
misure di breve termine e misure di medio lungo termine.
La balanced scorecard si caratterizza per la grande flessibilit di utilizzo: il modello va adattato alle peculiarit della
specifica realt aziendale.

LUTILITA DEL CONFRONTO COMPETITIVO (BENCHMARKING)

Attivit sistematica di controllo della concorrenza mediante il confronto delle performance realizzate. Lo scopo di
individuare le cause del vantaggio competitivo soprattutto delle imprese eccellenti per poter ridurre lo svantaggio. Per
una valida attivit di benchmarking, di fondamentale importanza la corretta scelta delle imprese da utilizzare come
parametro di raffronto e di riferimento.

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