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orizzonti

LA COMUNICAZIONE MISTAGOGICA: SIMBOLO E ARTE PER LA LITURGIA E LEVANGELIZZAZIONE


Enzo Bianchi
Nel Sinodo straordinario del 1985, celebrato a ventanni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, i padri sinodali nellindicare alcune urgenze per la ricezione della Sacrosantum concilium (= SC) chiedevano che le catechesi, come gi accadeva allinizio della Chiesa, [tornassero] a essere un cammino che introduca alla vita liturgica, fossero cio catechesi mistagogiche1. I padri sinodali hanno dunque messo in risalto e hanno fortemente richiesto, seppur restringendola alle catechesi, la comunicazione mistagogica, ossia quella comunicazione che come dice il termine greco mystagogha ha la caratteristica di iniziare, guidare, condurre al mistero. Ma proprio a partire da questa semplice osservazione di carattere etimologico si comprende che la comunicazione mistagogica non possibile solo nella catechesi, ma anche in tutte le operazioni teologiche; di pi, si comprende e ci di importanza primaria che la liturgia stessa mistagogia, in quanto comunicazione attraverso parole, azioni, segni, comunicazione che vuole introdurre al mystrion. Lo ha rilevato con chiarezza Benedetto XVI nellEsortazione apostolica Sacramentum caritatis, dove ha ripreso, approfondito e ampiamente sviluppato il tema della mistagogia, anche in funzione di una liturgia interiormente partecipata2. La liturgia dunque sempre comunicazione mistagogica, sempre uno strumento ermeneutico: con esso per concorre in sinergia la grazia preveniente, lefficace operare dello Spirito
1 Relatio finalis Synodi episcoporum Exeunte coetu secundo (7 dicembre 1985) II, B, b, 2; in Enchiridion del Sinodo dei Vescovi, vol. I, EDB, Bologna 2005, pp. 2322-2333. 2 Cf. Benedetto XVI, Esortazione apostolica Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007) (= SaC), n. 64: La migliore catechesi sullEucaristia la stessa Eucaristia ben celebrata. Per natura sua, infatti, la liturgia ha una sua efficacia pedagogica nellintrodurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato. Si veda anche il n. 45. Tra i numerosi studi sulla mistagogia ricordo: T. Federici, La mistagogia della Chiesa, in E. Ancilli (ed.), Mistagogia e direzione spirituale, Teresianum-OR, Roma-Milano 1985, pp. 163-245; E. Mazza, La mistagogia: una teologia della liturgia in epoca patristica, CLV-Ed. Liturgiche, Roma 1988; N. Albanesi, La mistagogia: un modello di teologia sacramentaria, in Ephemerides Liturgicae 2 (1998) 174186; G. Boselli, La mistagogia per entrare nel mistero, in Centro di azione liturgica (ed.), Liturgia epifania del mistero. Per comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, CLV-Ed. Liturgiche, Roma 2003, pp. 89-102.

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Rivista Liturgica

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Santo, senza il quale non si partecipa al mistero. Lo esprime bene lorazione post communionem dellEpifania (Messa del giorno):
Clesti lumine, quaesumus Domine, semper et ubique nos prveni ut mysterium cuius nos participes esse voluisti et puro cernamus intuitu et digno percipiamus affectu3. Con la luce celeste, ti preghiamo, o Signore, previenici sempre e dovunque, affinch contempliamo con sguardo puro e accogliamo con degno affetto il mistero di cui tu ci hai voluti partecipi4.

La comunicazione mistagogica vuole rivelare lazione del Signore che si manifesta in varie forme, ma vuole anche aiutare il destinatario di tale comunicazione a percepirla: essa deve consistere in una pre-disposizione, in un predisporre tutto perch lo Spirito Santo possa agire con efficacia e cos il fedele possa diventare partecipe del mistero5. Fatte queste osservazioni preliminari, vorrei indicare quelle che mi sembrano tre urgenze affinch la comunicazione mistagogica possa condurre a una partecipazione consapevole e spirituale al mystrion: a) Dal mystrion rivelato ai mystria celebrati; b) La comunicazione mistagogica della liturgia; c) Simboli e arte per la liturgia e per levangelizzazione.
1. DAL mystrion RIVELATO AI mystria CELEBRATI

Va subito detto che, nellaccezione odierna dominante, il mistero compreso come enigma, come ci che non comprensibile. Non cos nelle Scritture, dove il termine greco mystrion nella versione dei LXX traduce laramaico raz (cf. Dn 2,18.19.27.28.29.30.47; 4,6), che indica ci che nascosto, segreto. Nel Nuovo Testamento, poi, esso designa ci che stato nascosto, ma lo stato per essere rivelato a quanti ascoltano la parola di Dio, i quali accolgono cos la rivelazione, lalzare il velo che Dio opera su di s e sulla propria volont: sempre un progetto di salvezza che Dio opera, realizza nella storia. Il mystrion dunque sempre collocato nella dinamica krpypts-phaners, cos espressa da Ges: Ci che stato nascosto, lo stato
3 In Missale romanum ex decreto sacrosanti oecumenici concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ioannis Pauli PP. II cura recognitum. Editio typica tertia, Typis Vaticanis, A.D. MMII (= MR), p. 177. 4 La traduzione italiana nostra. 5 Approfondendo litinerario mistagogico, Benedetto XVI mette in rilievo la necessit di tre elementi: linterpretazione dei gesti e delle parole della liturgia alla luce degli eventi della salvezza; lintroduzione al loro senso e significato; la loro lettura antropologica, in modo che essi siano innestati nella vita umana (cf. SaC 64). Di questo si nutre la comunicazione mistagogica.

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per essere rivelato (cf. Lc 8,17; Mc 4,22). Anzi, il mystrion addirittura un dono di Dio sicch lo stesso Ges ha potuto dire ai discepoli: A voi stato dato, consegnato (verbo ddomi) il mistero del regno di Dio (Mc 4,11). Ma soprattutto Paolo che ha saputo esprimere la densit teologica del mistero: per lui il mistero sempre mistero di Dio, ma letto di volta in volta nella specificit di una sua azione, di un suo intervento, tutti connessi nel suo disegno, nel suo piano di salvezza. Quale oikonmos mysteron theo, amministratore dei misteri di Dio (cf. 1Cor 4,1), lApostolo ha avuto per rivelazione la conoscenza del mistero (cf. Ef 3,3), e per questo a volte comunica un mistero (cf. 1Cor 15,51), a volte mette in piena luce la comunicazione del mistero (cf. Ef 3,9), altre volte afferma di far conoscere con parrhesa il mistero del Vangelo (Ef 6,19), che chiama anche mistero di Cristo (Col 4,3). Il mystrion il disegno assolutamente gratuito di Dio, il disegno del suo amore che stato rivelato e realizzato nella pienezza dei tempi, ponendo Cristo al centro della storia di salvezza. Il mistero nascosto da secoli in Dio (Ef 3,9) stato rivelato in Cristo, evento del mistero; stato manifestato nella Pasqua di Cristo, lora dellesegesi dellagpe, lora in cui Ges ha narrato (exeghsato: Gv 1,18) definitivamente che Dio amore (1Gv 4,8.16). Mistero dunque trinitario, ma anche mistero cosmologico, e inoltre mysterium fidei, mistero della fede come proclama il presbitero al cuore dellanamnesi eucaristica in cui sintetizzata dossologicamente tutta leconomia della salvezza, dallin principio fino alla parusia. S, per dirla con un concetto caro a Ireneo di Lione, il mistero ricapitolazione di tutta la storia di salvezza6; Teodoro Studita (759-826) parla in proposito di ricapitolazione di tutta leconomia (synkephalaosis ts hles oikonomas)7. Questo il mistero del quale Dio ci vuole rendere partecipi, fino alla verit vissuta personalmente: Cristo in voi (Christs en hymn), speranza della gloria (Col 1,27). Proprio questa espressione per L. Bouyer, il teologo e liturgista del mystrion, la sintesi del mistero8. Ma questo mystrion consegnato alla Chiesa innanzitutto perch essa ne diventi partecipe nellascolto, nella liturgia. Ha scritto Leone Magno: Quod redemptoris nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivit9; e Ambrogio ha affermato: In tuis[, Domine,] te invenio sacramentis10. In queste espressioni constatiamo che il mistero rivelato pu essere accolto, recepito nella celebrazione dei misteri, in quei mystria liturgici che la tradizione lati6 Cf. B. de Margerie, Saint Irne, exgte ecclsial de la rcapitulation christocentrique, in Id., Introduction lhistoire de lexgse. I, Les pres grecs et orientaux, Cerf, Paris 1980, pp. 64-94. 7 Teodoro Studita, Antirretico 1,10 (PG 99,340C). 8 Cf. L. Bouyer, Introduzione alla vita spirituale, Borla, Torino 1965, p. 52; si veda anche Id, Mysterion. Dal mistero alla mistica, LEV, Citt del Vaticano 1998. 9 Ci che fu visibile del nostro Redentore, pass nei sacramenti: Leone Magno, Discorsi 74,2 (PL 54,398). 10 [O Signore,] ti trovo nei tuoi sacramenti: Ambrogio, Apologia di David 12,58 (PL 24,875).

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na chiama preferibilmente sacramentum-sacramenta. Lagire sacramentale ha sempre la sua origine nel mystrion di Cristo, nel mistero pasquale, sempre opera dello Spirito Santo, sempre orientato alla partecipazione. Ma ci che qui vorrei mettere in risalto che lazione liturgica, azione simbolica e dunque comunicazione in atto attraverso parole, azioni e creature, al cuore dellAntico e del Nuovo Testamento precede levento in cui si epifanizza, si realizza il mistero. In altre parole, lazione liturgica anticipazione profetica di ci che Dio sta per compiere: lesodo di Israele dallEgitto, cos come lesodo del Figlio Ges Cristo da questo mondo al Padre. Prima che avvenga levento nella storia c la celebrazione liturgica, c una comunicazione mistagogica che prepara laccoglienza dellevento come azione di Dio, evento dovuto non alla necessit n al caso ma allazione sovrana di Dio, che risponde sempre al suo amore e alla sua libert. Listituzione della Pasqua dellAntico Testamento (cf. Es 12,1-13,16) e listituzione della Pasqua di Cristo (cf. 1Cor 5,7) precedono levento nella storia e preparano alla comprensione nella fede dellevento stesso, del mistero di salvezza; ma nello stesso tempo esse sono istituite perch siano memoriale, zikkaron, anmnesis dellevento di salvezza, del mystrion che dovr sempre essere celebrato.
2. LA COMUNICAZIONE MISTAGOGICA DELLA LITURGIA

Unico il mystrion to theo (1Cor 2,1; Col 2,2; Ap 10,7), ma le sue modalit di espressione sono le Scritture e la liturgia o, meglio ancora, la parola di Dio contenuta nelle Scritture, il libro aperto dallAgnello allinterno della liturgia (cf. Ap 5). S, la liturgia innanzitutto opus Dei, azione di Dio, compiuta attraverso Cristo sempre presente nelle azioni liturgiche, il quale agisce nella dnamis dello Spirito Santo, il suo compagno inseparabile11. Non lo si ripeter mai abbastanza: il protagonista della liturgia Ges Cristo12, perch proprio nella liturgia celebrata dalla comunit dei credenti in lui che egli appare come il Krios, il Signore presente, risorto e vivente. Di conseguenza tutto il linguaggio della liturgia, la comunicazione liturgica devessere principalmente ordinata, definita e misurata sulla sua capacit di far apparire lazione del Krios, di fare spazio al Krios, di fare segno (semanein) alla sua presenza efficace. La comunicazione della liturgia, fatta di parole, azioni, gesti, riti, deve far apparire la grazia di Dio (ephephne he chris to theo: Tt 2,11), deve essere in grado di mostrare che il Signore sta veramente in mezzo ai suoi (ste eis t mson: Gv 20,19.26), che lAgnello ritto sul trono (Ap 5,6) al centro dellazione liturgica che lui stesso guida e conduce. Insomma, la liturgia deve essere un linguaggio, una comunicazione avente lo scopo di spiegare (exeghsthai: cf. Gv 1,18), di manifestare (epi11 12

Cf. Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo 16,39 (PG 32,140). Cf. Omnis liturgica celebratio opus Christi (SC 7).

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phanein: cf. Tt 2,11; 3,4) e di annunciare (katanghllein: cf. 1Cor 11,26) lazione di Cristo nella sua comunit. In questottica va detto che la liturgia sempre comunicazione in atto: tra Dio e i credenti, tra i credenti stessi, tra la Gerusalemme del cielo e la Chiesa sulla terra, tra il Creatore e la creazione. Questa comunicazione si realizza mediante azioni simboliche, gestualit, partecipazione del corpo, dei sensi e dello spirito. Sovente nella liturgia dire fare, perch la parola produce il suo effetto, diventa performativa e trasforma colui che parla e colui che ascolta. Posture del corpo, gesti e azioni hanno una qualit simbolica e una portata poetica che permettono al credente di passare a un altro livello di significato e di essere cos avvicinato al mystrion13. inoltre vero che la liturgia anche azione della Chiesa, ma nel senso che la Chiesa appresta tutto affinch il Signore possa agire. Quando si celebra e si vive la liturgia cristiana, occorre ricordare che in essa avviene innanzitutto una convocazione dellassemblea (qahal, apparentato con il termine qol, voce), di tutto il popolo di Dio, ma anche di tutte le creature che non costituiscono il palco per un teatro, pur rappresentando un contesto dove tutti i convocati esprimono, mediante un registro, una comunicazione. Si pensi al fatto che in una liturgia cristiana convocato in primo luogo il tempo (il giorno dellassemblea, jom ha-qahal: Dt 9,10; 10,4; 18,16); convocato uno spazio per lassemblea; sono convocati la luce, lacqua, il fuoco, il pane, il vino, lolio, le creature essenziali allazione liturgica e di cui i credenti devono consapevolmente farsi voce14 per cantare la santit gloriosa del Signore. Nella liturgia descritta dallApocalisse tutto il cosmo, luniverso, rappresentato dai quattro esseri viventi, convocato insieme alle creature invisibili e ai santi del cielo e della terra (cf. Ap 4,6.8; 5,6.8.14, ecc.). Dunque nella liturgia cristiana entra anche la materia, entrano i frutti della terra e del lavoro, della cultura delluomo, e ci che luomo con le sue mani sa fare e costruire: la chiesa edificio, laltare, le vesti, ecc. nella liturgia che si confessa Dio creatore di tutte le cose esistenti, Dio che ama e nulla disprezza di ci che ha creato, Dio presente con il suo Spirito in tutte le creature (cf. Sap 11,24-12,1). La liturgia dice Amen, s alle cose, creature di Dio, ai suoni, alle pietre, ai colori, ai profumi, i quali devono solo essere capaci di linguaggio simbolico, adeguati alla loro funzione sacramentale, orientati alla mistagogia sacramentale15. Sono i sensi delluomo, la sua ragione, il suo cuore a dover essere coinvolti in questi linguaggi plurimi e differenziati che vogliono essere mistagogici, ossia in grado di condurre dai misteri celebrati al mistero della salvezza. Ecco allora che larte, larchitettura, la musica, la
13 Cf. N. De Castro Teixeira, La comunicazione nella liturgia, EMP, Padova 2007, pp. 29-46. 14 Cf. Prefazio della Preghiera eucaristica IV: per nostram vocem omnis quae sub caelo est creatura (MR p. 591). Nella trad. it. del Messale il testo suona: anche noi, fatti voce di ogni creatura (in Messale romano riformato a norma dei decreti del concilio ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI, LEV, Citt del Vaticano 19832, p. 411). 15 Cf. SaC 41.

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scienza dei profumi con la loro bont e bellezza sono al servizio della liturgia (cf. SC 123), mai viceversa! Qui vorrei brevemente fare un passo ulteriore, suggerendo uno spunto di riflessione che richiederebbe ben altro approfondimento. Credo che una comunicazione mistagogica oggi debba trovare il modo di articolare tra loro elementi come spazio, tempo, corpo e parola per dare alluomo la possibilit di cogliere lalterit che spazio, tempo, corpo e parola contengono in se stessi se vogliono essere veramente umanizzanti e capaci di dire Dio. La comunicazione mistagogica deve cio saper mostrare questi elementi nella loro corposit attuale, ma anche nella loro leggerezza che li rende evocativi e allusivi a un Altro e a un Oltre; nella loro visibilit attuale, ma anche nella loro invisibilit, ovvero nella loro qualit trasfigurata. E forse proprio la categoria della trasfigurazione pu stare al cuore di una simbolica mistagogica. Occorre, in estrema sintesi, che la comunicazione mistagogica sappia evocare, nella mortalit e nella caducit delle vite dei credenti che partecipano alla liturgia, la loro destinazione alla risurrezione: questo il compito di una simbolica mistagogica che voglia realmente porsi a servizio del mistero cristiano, del mistero pasquale. Certo, occorrono vigilanza e discernimento perch la comunicazione liturgica sia veramente mistagogica: la banalit, la mancanza di cura e di attenzione minacciano lazione liturgica quanto unarte, una pretesa bellezza alla quale la liturgia serva solo come contesto in cui esprimersi. Le creature, le opere darte, tutto ci che viene dalla natura oppure opus hominis possono entrare nella liturgia e comporre il suo linguaggio solo se hanno, se acquisiscono le qualit per essere mistagogiche e, di conseguenza, per essere al servizio della liturgia stessa. Guai se la liturgia fosse strumentalizzata dallarte o si ponesse al suo servizio: ci sarebbe demoniaco! Occorre tutto predisporre per lazione del Signore, tutto conferire allarte mistagogica affinch il mistero possa essere partecipato dal fedele. Secondo Gregorio di Nazianzo il mistagogo per eccellenza Cristo stesso, e dunque tutto ci che entra nel linguaggio liturgico deve poter avere come soggetto lui, il Krios, risorto e presente, che apre la mente allintelligenza delle Scritture e apre gli occhi allintelligenza del gesto dello spezzare il pane, facendo ardere il cuore dei credenti (cf. Lc 24,30-32). La comunicazione mistagogica perci unazione eminentemente cristologica, nella coscienza che la sola intelligenza del cristiano e i soli riti e gesti liturgici di per s non bastano a far comprendere il mistero e a farne partecipare. E qui vorrei ribadire che la comunicazione mistagogica non una modalit possibile della liturgia, ma parte integrante dellesperienza liturgica: non c liturgia cristiana autentica senza mistagogia, perch non c vita liturgica autentica senza la conoscenza e la partecipazione ai misteri celebrati. Se invece nella liturgia non c linguaggio mistagogico, avverr ai cristiani quello che Origene dice sia successo ai leviti incaricati di portare larca dellalleanza avvolta con coperte e drappi. I cristiani che non comprendono la liturgia e i sacramenti, che non conoscono una partecipazione autentica e fruttuosa (cf. SC 11), portano sulle loro spalle i misteri di Dio come avvolti con coperte e
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drappi: li portano dunque come pesi, senza sapere cosa sono e quindi senza beneficiarne16. Mai va dimenticato ci che preghiamo nel Prefazio comune IV: Nam te non augent[, Domine,] nostra praeconia, sed nobis proficiunt ad salutem17.
3. SIMBOLI E ARTE PER LA LITURGIA E PER LEVANGELIZZAZIONE

Dopo aver riflettuto sulla comunicazione mistagogica della liturgia, vorrei infine focalizzare lattenzione su come larte possa essere a servizio della liturgia e dellevangelizzazione. Va certamente evidenziato che nella liturgia decisiva lars celebrandi di tutta lassemblea, di tutte le creature convocate e di chi la presiede. Se c questarte, allora appare anche la capacit simbolica di ogni atto, di ogni gesto, di ogni parola celebrata. Basterebbe pensare alla capacit simbolica della disposizione dellassemblea che confessa talora di essere un popolo pellegrinante, talaltra di essere un popolo che si riconosce nella fraternit e nella carit del comandamento nuovo (cf. Gv 13,34; 15,12), ecc. Ma si pensi anche ai gesti con cui si presentano il pane e il vino, al gesto dello spezzare il pane (cf. Mc 14,22 e par.; Lc 24,30; 1Cor 11,24), talmente decisivo che nelle origini cristiane ha dato il nome alla celebrazione dellEucaristia stessa (klsis to rtou, fractio panis). Occorre unarte che sappia rendere il pane e il vino posti sullaltare segno della creazione di Dio e del lavoro, della cultura delluomo, realt chiamate a essere trasfigurate, eucaristizzate nella liturgia18. Le creature devono essere strappate alla banalit a cui a volte le condanna la quotidianit per poter esprimere il mistero nella cui narrazione sono coinvolte. Per il vino, ad esempio, occorre apprestare non un semplice bicchiere ma il praeclarus calix mi riferisco alle parole dellistituzione secondo la Preghiera Eucaristica I (il cosiddetto Canone Romano): Accipiens et hunc praeclarum calicem in sanctas ac venerabiles manus suas19 , il calice prezioso, il calice glorioso (come traduce il Messale italico), il calice delleccellenza20 Il
Cf. Origene, Omelie sui Numeri 5,1 (SCh 415, p. 124). I nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza[, Signore], ma ottengono per noi la salvezza (trad. nostra; testo latino in MR p. 560). 18 Cf. F. Cassingena-Trvedy, La bellezza della liturgia, Qiqajon, Magnano 2003, pp. 45-53. 19 In MR p. 575. 20 Ovviamente con ci non sintende sostenere che il calice o altri oggetti liturgici debbano essere sfarzosi, il che costituirebbe un insulto al Cristo che resta povero anche quando viene celebrato liturgicamente. Pi delle mie parole valgono, in questo caso, quelle giustamente famose di Giovanni Crisostomo: Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurare la sua nudit. Non onorarlo in chiesa con vesti di seta, mentre lo lasci fuori intirizzito dal freddo e nudo. Colui che ha detto: Questo il mio corpo (Mt 26,26) e che con la sua parola ha confermato il fatto, lo stesso che ha detto: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cf. Mt 25,42.44) e Tutto quello che non avete fatto a uno di questi pi piccoli, non lo avete fatto a me(Mt 25,45). Il corpo di Cristo che sta sullaltare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure, mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo quindi a pensare e a comportarci degnamente verso cos grandi misteri e a onorare Cristo come egli vuole essere
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praeclarus calix deve fare segno, deve esprimere il rispetto, il timor Domini, la riverenza verso ci che contiene: il sangue del Signore. E ci vale, mutatis mutandis, per tutte le creature coinvolte nella liturgia. La liturgia ha bisogno dellarte, sia in quanto liturgia dellincarnazione sia perch non si pu concepire una liturgia senza arte. La liturgia confessa la trasfigurazione della realt e larte capace di evocare in modo particolare questa trasformazione, di alludere a questo processo di metamorfosi che ha come soggetto lo Spirito Santo. dunque vero che la liturgia abbisogna del linguaggio dellarte, espresso nellarchitettura, nella scultura, nella pittura, nelle vetrate, nella musica. Nello stesso tempo, per, la liturgia cristiana deve discernere e giudicare quali opere darte possono entrare in essa e acquisire la capacit di essere concelebranti, di essere mistagogiche, in grado cio di condurre al mistero di Cristo; oppure deve valutare se, al contrario, le opere darte costituiscono una contraddizione, un impedimento alla liturgia stessa21. Non si dimentichi che c unarte religiosa, a volte straordinaria, che per non adeguata, non ha la capacit di entrare nella liturgia. Oggi regna molta confusione sullargomento, e per questo ci si avventura troppo facilmente sulle vie della sperimentazione e dellimprovvisazione, ma tale modo di procedere contraddice lo statuto della liturgia cristiana. Occorre pertanto ricordare che una cosa larte religiosa, anche cristiana, e unaltra larte cristiana liturgica: questultima giudicata a partire dalla sua capacit mistagogica. Non dovremmo mai dimenticare, in proposito, le parole dette da H. Matisse (che destarono anche una certa sorpresa): Tutta la mia opera religiosa, ma non tutte le mie opere religiose possono stare in una chiesa. Qual dunque il fine a cui deve tendere larte quando vuole entrare nella liturgia? Con la sua bellezza, bellezza della materia e dellarte umana, chiamata a narrare la bellezza della presenza e dellazione del Signore vivente, per quem haec omnia, Domine, semper bona creas, sanctificas, vivificas, benedicis, et praestas nobis (Preghiera Eucaristica I)22 e in questo bona racchiuso anche il pulchra Simboli e arte testimoniano la convinzione che linvisibile esiste, che la liturgia una finestra aperta sullinvisibile, che il credente vuole esercitarsi a vedere linvisibile (cf. Eb 11,27), per restare saldo in un mondo in cui il visibile sembra essere lunica possibilit di lettura. In un mondo limitato al visibile, e di conseguenza allempirico, simboli e arte
onorato Quale vantaggio pu avere Cristo se la sua mensa coperta di vasi doro, mentre egli stesso muore di fame nella persona dei poveri? Saziate prima lui che ha fame e in seguito, se vi resta ancora del denaro, ornate anche il suo altare. Gli offri un calice doro e non gli dai un bicchiere dacqua fresca? Che beneficio ne trae? Tu procuri per laltare veli intessuti doro e a lui non offri il vestito necessario. Che guadagno ne ricava? (Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo 50,3-4 [PG 58,508-509]). 21 Cf. A. Rouet, Art et liturgie, Descle de B., Paris 1992, pp. 27-53; J.-Y. Hameline, Une potique du rituel, Cerf, Paris 1997, pp. 73-90; F. Boespflug, Art et liturgie: lart chrtien du 21. sicle la lumire de Sacrosanctum concilium, in Revue des Sciences Religieuses 78 (2/2004) 161-181. 22 Attraverso di lui, tu, o Dio, sempre crei buone tutte le cose, le santifichi, le vivifichi, le benedici e le doni a noi (trad. nostra; testo latino in MR p. 578).

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chiedono di essere letti, di essere presenti per aiutare gli uomini a una comprensione pi profonda e totale della loro vocazione. Detto altrimenti, il problema quale simbolica, quale linguaggio e immaginario simbolico pu attivare il desiderio spirituale delluomo attuale e aprire la sua mente e il suo immaginario verso leschaton e leterno, cosa gi difficile di per s, e oggi ancora di pi per luomo contemporaneo costantemente di corsa, in fuga. Questa simbolica (e arte) nella liturgia deve avere come fine quello di suscitare la capacit di gratuit e di contemplazione, non di consumo o di possesso; deve saper introdurre al senso del mistero, che non affatto linconoscibile, ma ci per il quale linteresse e la ricerca non si esauriscono mai, anche quando lo si conosce parzialmente: il mistero infatti, e in particolare il mistero di Dio, diviene sempre pi interessante, se-ducente, capace di condurre a s, nella misura in cui a esso ci si avvicina progressivamente e se ne conosce qualcosa. Va inoltre riconosciuto con chiarezza: la bellezza dei simboli e dellarte nella liturgia deve sempre essere rivelativa di Dio, della sua azione, del suo amore fedele per questa creazione e per lumanit intera; nello stesso tempo, per, essa richiede da parte del credente un cammino di discernimento, un cammino ascetico mai concluso, un cammino faticoso di ricerca del senso inscritto in ogni bellezza, la quale sempre rimanda a Dio, lui che speciei generator, autore della bellezza (Sap 13,3). Nessuna negazione, nessuna diffidenza verso la materia, verso le creature di questo mondo, verso lopera delle mani delluomo. Occorre invece unascesi rigorosa affinch proprio nellesperienza delle realt sensibili siamo in grado di discernere le realt invisibili ed eterne (cf. 2Cor 4,18). Ha scritto Bernardo di Clairvaux:
Dio invisibile ma ha voluto mostrarsi nella carne e vivere come un uomo tra gli uomini (cf. Bar 3,38), perch gli uomini, creature di carne, non potevano amare se non nella carne. Solo cos poteva condurli verso lamore che d la salvezza, lamore per la sua persona23.

S, occorrono una lunga disciplina e una costante educazione di ogni cristiano, perch possa percepire la vera bellezza nellarte la quale, se autentica, insegna, fa memoria, emoziona, plasma il cristiano stesso che potr dire: Amator factus sum pulchritudinis eius (Sap 8,2)24. E noi dobbiamo credere, insieme alla tradizione cristiana orientale, che larte non solo pu narrare lagere Dei, ma pu anche riflettersi sul cristiano che la legge e la
Bernardo di Clairvaux, Discorsi sul Cantico dei cantici 20,6 (SCh 431, p. 138). Sulla bellezza molti sono oggi i contributi, ma spesso si tratta di studi carichi di retorica ambigua e confusa. Tra i pochi significativi ricordo: P. Marini, Liturgia e bellezza. Nobilis pulchritudo, LEV, Citt del Vaticano 2005; G. Mura (ed.), La via della bellezza: cammino di evangelizzazione e dialogo, Urbaniana University, Citt del Vaticano 2006; G. Ravasi, E Dio vide che era bello: fede, bellezza, arte, in La nobile forma: Chiesa e artisti sulla via della bellezza, San Paolo, Cinisello B. 2009, pp. 9-39; Id., Larte, provocazione e ferita (conferenza tenuta presso il Monastero di Bose il 5 giugno 2010 a conclusione dellVIII Convegno liturgico internazionale: Liturgia e arte. La sfida della contemporaneit; in corso di pubblicazione presso le edizioni Qiqajon).
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Enzo Bianchi

Marcello Bramante - marcello.bramante@prontospesa.it - 24/05/2011

abita, trasfigurandolo di gloria in gloria, a immagine di colui che la fonte di ogni bellezza (cf. 2Cor 3,17-18). Egli sperimenter cos la verit delle parole del profeta Isaia: Dominus erit pulchritudo tua (Is 60,19). Chiediamoci infine: la comunicazione mistagogica pu essere un linguaggio fecondo anche per levangelizzazione? A rigore, proprio perch la liturgia mistagogia, si potrebbe pensare che essa una comunicazione riservata ai credenti, ai catecumeni e ai battezzati. E indubbiamente nellantichit abbiamo testimonianza di una precisa txis nellavvicinamento e nella partecipazione ai misteri. Nella sua magistrale meditazione tenuta in occasione del XXIII Congresso eucaristico nazionale a Bologna, il 25 settembre 1997, lallora card. J. Ratzinger avvertiva con parrhesa che lEucaristia come tale non immediatamente orientata allevangelizzazione, al risveglio missionario della fede, [ma] si colloca piuttosto allinterno della fede e la nutre25. La liturgia, dunque, allorigine dellevangelizzazione ma non direttamente evangelizzazione nel suo essere celebrata, se non nel senso che fornisce un rinnovato buon annuncio, un vangelo sempre necessario ai credenti, dunque li evangelizza; per costoro la partecipazione al mysterium fidei presuppone uniniziazione, un entrare nel mistero con la vita. Tuttavia, nelle creature di Dio e delluomo, nellarte, pu esserci una capacit di comunicazione che, sempre in sinergia con lo Spirito Santo, conduce al mistero. Scriveva ancora Ratzinger pochi giorni prima di essere eletto papa:
Nella civilt dellimmagine, [larte pu] esprimere molto di pi della stessa parola, dal momento che oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico26.

Dunque larte al servizio dellevangelizzazione? Non solo occorre rispondere affermativamente a questa domanda, ma bisogna anche riconoscere che talvolta larte una delle vie pi percorribili e pi feconde, soprattutto in un contesto come quello attuale in cui manca unagor dove i credenti possano spiegare, fare apologia della fede che testimoniano nel mondo. Una comunicazione, quella dellarte, ispirata dalla Bibbia, dalla fede e dalla vita della Chiesa, che pu destare domande e suggerire significati non tanto in vista della folgorazione rivelativa, ma in vista di un processo di lievitazione: le opere darte possono inoculare interrogativi, inquietudini, messaggi che raggiungono il cuore ci chi le legge e le contempla. Basta pensare alla propria esperienza personale: quante opere darte destano in noi che le contempliamo sentimenti di adorazione, preghiere, invocazioni, esultanze gioiose Nei credenti questi atteggiamenti rinnovano la fede, mentre nei non credenti destano a volte desideri di cercare Dio come a tentoni (cf. At 17,27).
25 J. Ratzinger, Eucaristia come genesi della missione, in Il Regno-Documenti 19 (1997) 589. 26 J. Ratzinger, Introduzione, a Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio (20 marzo 2005), San Paolo-LEV, Cinisello B.-Citt del Vaticano 2005, p. 9.

La comunicazione mistagogica

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Marcello Bramante - marcello.bramante@prontospesa.it - 24/05/2011

4. CONCLUSIONE

Ho cercato di riflettere con semplicit su alcune acquisizioni riguardo alla comunicazione mistagogica che, attraverso la liturgia e larte, deve condurre alla partecipazione al mistero di Dio: dalla celebrazione dossologica dei misteri al mistero della salvezza celebrato. Credo come dicevo allinizio che linvito fatto dai padri sinodali nel ventesimo anniversario della chiusura del Concilio a proposito dellurgenza della mistagogia non possa essere ristretto alla catechesi. Come ha chiesto pi volte Benedetto XVI, tale invito deve essere compreso anche in riferimento alla comunicazione mistagogica della liturgia e della stessa arte, che nella liturgia entra come componente costitutiva27. Ancora oggi, infatti, i fedeli chiedono, fanno domande per poter fare esperienza di una partecipazione consapevole al mistero, come quelle del figlio minore che, allinterno dellHaggadah pasquale ebraica, chiede al padre di famiglia: Perch questa notte diversa dalle altre notti?. E ancora oggi il mistagogo, Ges Cristo, chiede allassemblea: Avete capito ci che vi ho fatto? (Gv 13,12). Ma quali risposte sappiamo dare alle domande dei fedeli? I nostri linguaggi a quali codici attingono? Come comunichiamo per evangelizzare, per annunciare la buona notizia? Non rischiamo di trasmettere la buona notizia attraverso una cattiva comunicazione? Cosa apprestiamo affinch la Parola faccia la sua corsa (cf. 2Ts 3,1) tra gli uomini? E soprattutto domanda che pu riassumere e rilanciare in avanti tutte le precedenti c nella Chiesa la consapevolezza che tutto ci che partecipa alla liturgia (spazio, edificio, tempo, creature, opere darte) deve aiutarci a partecipare al mystrion, cio alla comunione con il Signore? E. B.
Monastero di Bose I-13887 Magnano BI ilprioredibose@libero.it

27 La bellezza non un fattore decorativo dellazione liturgica; ne piuttosto elemento costitutivo, in quanto attributo di Dio stesso e della sua rivelazione (SaC 35).

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Enzo Bianchi

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