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L'ECONOMIA DEL CONSUMISMO VERDE

Alberto Cottica

Settembre 1993

Alberto Cottica è uno studente di Ph. D. alla University College of London e un borsista
Luigi Einaudi. Il sostegno della Fondazione Luigi Einaudi ha reso possibile il lavoro di
ricerca e di redazione di questo saggio.
Il contributo del professor David Ulph è stato vitale per mettere ordine in questo lavoro.
Desidero ringraziare Sebastiano Brusco, Raffaele Miniaci e Giovanni Ponti per le lunghe
e ispirate discussioni notturne fatte insieme, e Francois Leveque per i suoi commenti
incoraggianti e utili. Naturalmente, la responsabilità di errori e difetti vari del lavoro è
soltanto mia.
SOMMARIO

Introduzione................................................................................................. 1

CAPITOLO 1 ...................................................................................................................... 3

FAR FUNZIONARE IL CONSUMISMO VERDE ........................................................... 3


1.1. Contenuto del capitolo............................................................................... 3
1.2. Compatibilità ambientale come qualità del prodotto ................................ 3
1.3. Modalità di accertamento della qualità ..................................................... 4
1.4. I trust goods nella teoria del consumatore................................................ 5

CAPITOLO 2 ...................................................................................................................... 8

ASIMMETRIE INFORMATIVE E STRUTTURA INDUSTRIALE ................................ 8


2.1. Contenuto del capitolo............................................................................... 8
2.2. Acquisti ripetuti, quality premia e struttura industriale............................ 8
2.3. Segnalare la qualità: reputazione di marca e reputazione verde ............... 9
2.4. Reputazione e struttura industriale.......................................................... 11

CAPITOLO 3 .................................................................................................................... 12

LA REPUTAZIONE VERDE: UN PRIMO MODELLO................................................. 12


3.1. Contenuto del capitolo............................................................................. 12
3.2. L'impresa ................................................................................................. 12
3.3. Guardia Verde ......................................................................................... 13
3.4. Il modello ................................................................................................ 14
3.5. Il modello in steady state......................................................................... 17

CAPITOLO 4 .................................................................................................................... 23

POLITICA AMBIENTALE BASATA SULL'INFORMAZIONE................................... 23


4.1. Contenuto del capitolo............................................................................. 23
4.2. Politica ambientale per circolazione di informazioni.............................. 23
4.3. Politica ambientale basata sull'informazione: una proposta di tassonomia
........................................................................................................................ 26
4.4. Consumismo verde.................................................................................. 26
4.5. Accordi di programma............................................................................. 27
4.6. Eco-labelling ........................................................................................... 28
4.7. Possibili conseguenze sul commercio internazionale ............................. 29
CAPITOLO 5 .................................................................................................................... 31

CONCLUSIONI E INDICAZIONI DI LAVORO............................................................ 31


5.1. Osservazioni conclusive.......................................................................... 31
5.2. Indicazioni di lavoro................................................................................ 31

BIBLIOGRAFIA............................................................................................................... 32
Introduzione
Nel 1992, la sezione britannica dell'associazione ambientalista "Amici della Terra" ha lanciato una
campagna contro l'importo di legno di mogano. Il mogano, di cui il Regno Unito è il primo importatore
mondiale, viene di solito dalla foresta amazzonica; il suo commercio ha effetti gravemente distruttivi
sull'ambiente amazzonico e sui diritti umani dei popoli della foresta. La tecnica di persuasione adottata
dagli Amici della Terra è stata l'organizzazione di manifestazioni nei parcheggi dei supermercati delle
quattro più grandi catene di vendita al dettaglio di mobili, per cercare di fare capire ai consumatori che
essi, acquistando mobili in mogano, contribuiscono alla distruzione di un ecosistema unico al mondo.
Questa iniziativa ha avuto successo: tre imprese su quattro si sono impegnate ad acquistare solo
mogano proveniente da piantagioni gestite secondo criteri di sostenibilità e a fare pressione sul governo
per la proibizione di importare mogano proveniente dalla foresta vergine. L'ultimo punto è semplice da
capire. Come ha osservato un portavoce degli Amici della Terra, una tale proibizione impedirebbe alle
imprese più grandi e visibili, che sono nel mirino degli ambientalisti, di perdere quote di mercato a
favore di imprese più piccole, che la loro dimensione ridotta protegge da una sorveglianza altrettanto
stretta, e potrebbero quindi vendere mogano "non sostenibile" ad un prezzo più basso.
Il 16 gennaio 1993, gli attivisti dell'associazione ambientalista italiana Legambiente si sono dati
appuntamento nei principali super- e ipermercati delle rispettive città. Hanno fatto la spesa, pagato
regolarmente, e scaricato scatoole e bottiglie vuote, residui di acquisti precedenti. L'obiettivo di
Legambiente è di ottenere dal parlamento italiano l'approvazione di una legge anti-rifiuti da imballaggi,
sul modello del decreto Toepfer tedesco. Questa legge stabilisce obiettivi di riciclaggio e lascia
all'industria e al commercio la scelta dei metodi per raggiungerli, oltre che gli oneri relativi.
Nell'ottobre del 1992, il produttore di detersivi belga Ecover ha inaugurato, alla presenza dell'ex
commissario europeo per l'ambiente Carlo Ripa di Meana (che al tempo era ministro dell'ambiente del
governo italiano) e di rappresentanti di associazioni ambientaliste il suo nuovo stabilimento a
bassissimo impatto ambientale di Anversa. Si tratta di uno stabilimento modello: il processo di
produzione richiede un input di energia per unità di prodotto pari a un sesto di quello dei suoi
concorrenti, e l'acqua di scarico viene sottoposta a fitodepurazione in un canneto e riciclata. Non vi
sono emissioni in atmosfera. La fabbrica stessa è costruita con materiali naturali; legno di pino per le
strutture, mattoni (fatti di rifiuti di cava riciclati) per i muri, linoleum e piastrelle in cotto per i
pavimenti, un tetto coperto d'erba per un migliore isolamento termico (e quindi una migliore efficienza
energetica). Il personale riceve un'indennità di trasporto che varia al variare del mezzo utilizzato per
recarsi al lavoro: massima per chi usa la bicicletta, più bassa per chi costituisce car pools, minima per
chi usa la propria auto. Ecover è una piccola impresa (il nuovo stabilimento occupa appena 45
lavoratori) in un settore dominato da grandi multinazionali come Unilever, Henkel, Procter & Gamble.
Queste tre storie hanno un denominatore comune, ed è la visibilità delle imprese in questione. Gli
ambientalisti, sia britannici che italiani, non potrebbero mai manifestare per l'adozione di politiche
aziendali dell'ambiente di fronte ad un negozio a gestione familiare. Hanno bisogno di controparti che
siano abbastanza grandi e potenti da influenzare, con il loro comportamento, il quadro complessivo, e
di assumersi parte delle responsabilità per i problemi esistenti. Quanto ad Ecover, la sua è la storia di
un'impresa che cerca di diventare sempre più visibile per i "suoi" consumatori; costruendo uno
stabilimento modello, ed invitando leaders ambientalisti a visitarlo, sembra offrire una specie di
garanzia della sua decisione ad affrontare i problemi dell'ambiente.
Queste riflessioni suggeriscono che l'informazione giochi un ruolo cruciale nella scelta, da parte delle
imprese, dei comportamenti da adottare nei confronti dell'ambiente. Questa conclusione non è certo
sorprendente, e se ne trovano tracce nella letteratura mainstream sull'economia dell'ambiente. Pearce
et. al. [1989], per esempio, scrivono che "perchè il consumismo ecologico funzioni, i consumatori
devono essere informati sul potenziale inquinante dei prodotti che comprano". Questa intuizione,
tuttavia, non è stata sviluppata: i consumatori "verdi" in quanto attori sociali autonomi e capaci di
iniziativa sono del tutto assenti dai libri di testo di economia dell'ambiente, e lo stesso si può dire delle
strategie delle imprese per catturarne la domanda. Inoltre, non è del tutto chiaro che tipo di
informazione davvero manchi ai consumatori; Pearce et. al. sembrano avere in mente la conoscenza
scientifica sull'impatto ambientale di prodotti e processi produttivi, mentre gli episodi ricordati hanno
a che fare con le informazioni attinenti alle caratteristiche fisiche di prodotti e processi stessi.
Inventata da economisti pubblici e scienziati delle finanze, la teoria della politica ambientale si è
sviluppata come la teoria dell'internazionalizzazione, tramite strumenti fiscali, delle esternalità negative
generate dalle attività economiche, cioè dell'inquinamento [Baumol e Oates, 1989]. Questo approccio
presta il fianco a critiche di tipo organizational failure [Veljanowsky, 1985], nonostante questo,
continua a dominare il campo. L'obiettivo qui è di suggerire un approccio basato sull'esistenza di
asimmetrie informative sui mercati dei prodotti. Queste asimmetrie impediscono ai consumatori di
esprimere in modo efficace le loro preferenze per il "contenuto di inquinamento" dei prodotti allo
stesso modo in cui esprimono quelle per la qualità dei prodotti stessi. Il comportamento delle imprese,
degli ambientalisti e dei consumatori "verdi" in presenza di asimmetrie informative, e le conseguenze
di tale comportamento in termini di policy, sono l'oggetto di questo saggio.

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CAPITOLO 1
FAR FUNZIONARE IL CONSUMISMO VERDE

1.1. Contenuto del capitolo


Questo capitolo si occupa delle asimmetrie informative che ostacolano l'espressione sul
mercato delle preferenze dei consumatori per la qualità ambientale, ed esplora i modi di
aggirarle. La sezione 2 stabilisce un paragone tra queste asimmetrie e quelle che circondano
la qualità dei prodotti in mercati differenziati. La sezione 3 introduce la nozione di modalità
di accertamento della qualità, e suggerisce la modalità "fiducia" per la compatibilità
ambientale. La sezione 4 esamina i rapporti delle nozioni di modalità di accertamento della
qualità e trust good con la letteratura sulla teoria del consumatore.

1.2. Compatibilità ambientale come qualità del prodotto


La nozione di compatibilità ambientale (environmental friendliness) sembra avere una forte
somiglianza con quella, familiare agli economisti industriali, di qualità del prodotto.
Entrambe sono compatibili con l'idea di una dimensione orizzontale nello spazio dei prodotti
(alcuni consumatori possono preferire auto affidabili ad auto veloci; altri possono essere
molto più preoccupati per l'estinzione delle balene che per lo spessore dello strato di ozono
stratosferico), ma entrambe suggeriscono una forte verticalità (ci sono auto più affidabili e
auto meno affidabili; allo stesso modo, le lacche per capelli che non contengono CFC
danneggiano lo strato di ozono meno di quelle che ne contengono). In altri termini, entrambi
questi concetti implicano che i prodotti possano essere ordinati dal "migliore" al "peggiore" e
che questo ordine sia, almeno in parte, oggettivo.
Queste riflessioni gettano nuova luce sul punto di vista, espresso da Pearce et. al. nella
citazione riportata in introduzione ed abbastanza diffuso, che il consumismo verde non possa
funzionare perchè i consumatori non hanno informazioni sulla qualità ambientale dei prodotti.
In realtà, a volte i consumatori non hanno informazioni nemmeno sulla qualità dei prodotti, il
che non impedisce ad alcuni settori di caratterizzarsi per un'accesa concorrenza sulla qualità.
Quei settori hanno trovato un modo per aggirare le asimmetrie informative, e sfruttare la
disponibilità dei consumatori a pagare per prodotti di alta qualità.
Politici illuminati e l'ala meno anti-capitalista del movimento ambientalista coltivano da
tempo la visione di un capitalismo più verde e più gentile, in cui le imprese si comportano
con rispetto nei confronti dell'ambiente. Tale rispetto deriverebbe da ragioni di profitto:
l'ambiente, proprio come la qualità, sarebbe diventato un'arena per la concorrenza. Questa
visione, per ora, è stata puro wishful thinking. Questo capitolo suggerisce che ad essa sia
possibile associare una razionalità economica. Per fare ciò, tuttavia, occorre affrontare il
problema di come i consumatori possano valutare la compatibilità ambientale.
Per cominciare, è utile distinguere due diversi tipi di informazione di cui i consumatori
necessitano per fare una valutazione di questo tipo. Una è la conoscenza scientifica necessaria
a comprendere la relazione tra attività produttive e l'ambiente; il costo di acquisizione di
questo tipo di informazione è, come notano Pearce et. al., molto alto per il singolo
consumatore. L'altro è che tipo di attività produttive occorrano per fabbricare ciascun

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prodotto: per esempio, se una pila contenga o no mercurio, o che una bottiglia sia fatta di
plastica riciclata, e quindi impedisca a un po' di rifiuti di finire in una discarica. Il costo di
acquisizione di informazioni di questo secondo tipo è ovviamente molto più basso di quello
delle informazioni del primo tipo, sebbene ancora piuttosto alto per il singolo consumatore.
Si pone allora il problema del ruolo giocato dalle informazioni dei due tipi nel processo di
valutazione della compatibilità ambientale di un prodotto.
Si consideri un problema simile, quello del consumo di cibo senza colesterolo. Non sembra
ragionevole che tutti coloro che decidono di mangiare cibo senza colesterolo comprendano a
fondo la biochimica del colesterolo, e dei modi complessi in cui diete diverse per contenuto di
colesterolo influenzano, nel tempo e con la mediazione di una relazione stocastica tra dieta e
patologie, la salute umana. In un certo senso, non hanno bisogno di saperlo: si è formata, in
modi complessi, una consapevolezza pubblica che è meglio evitare il colesterolo. Tutto ciò
che ai consumatori occorre sapere per poterlo fare è il contenuto in colesterolo di ciascun
prodotto alimentare.
Processi simili sembrano essere al lavoro dietro al consumismo verde. Lo straordinario
successo commerciale dei detersivi senza fosfati, per esempio, non è facilmente ascrivibile
alla comprensione, da parte dei consumatori di detersivi, degli effetti dei fosfati sugli
ecosistemi acquatici. Sembra molto più probabile che i consumatori accettino una sorta di
saggezza popolare per cui i fosfati sono dannosi per l'ambiente, e acquistino detersivi che non
ne contengono se possono farlo ad un costo ragionevole.
Il modo in cui simili credenze si formano non è indagato in questo lavoro; si assume, non del
tutto irrealisticamente, che esistano. Il resto di questo capitolo è dedicato al modo in cui i
consumatori acquisiscono informazioni del secondo tipo.

1.3. Modalità di accertamento della qualità


Nelson [1970] distingue i beni di consumo in search ed experience goods. I primi sono i
prodotti la cui qualità può essere accertata prima dell'acquisto come, ad esempio, gli abiti. I
secondi sono i prodotti la cui qualità può essere accertata solo acquistandoli, come i pasti al
ristorante o gli elettrodomestici.
Ricerca ed esperienza sono, in questo contesto, modalità di accertamento della qualità.
Nelson esegue una serie di semplici tests empirici, i cui risultati suggeriscono che le imprese
produttrici di beni di consumo passano informazione ai consumatori in modi che dipendono
dalla modalità di accertamento della qualità prevalente per i beni in questione. Così, la
pubblicità dei search goods tende a veicolare conoscenza "dura": la fotografia di un abito
dice ai consumatori molto di ciò che serve loro per formulare la decisione di acquistarlo.
D'altra parte, il tonno in scatola è spesso pubblicizzato con scene di vita marinara: del resto,
la fotografia di una scatoletta di tonno non contiene alcuna informazione sul sapore del suo
contenuto. La formulazione della decisione di acquisto è dunque, per gli experience goods,
basata in larga parte su esperienze precedenti. Questo punto è sviluppato nel capitolo 2.
Come si accerta la compatibilità ambientale di un prodotto? Certamente non con la ricerca. Si
può imparare molto poco sul potenziale inquinante di un prodotto semplicemente
guardandolo. Ma nemmeno con l'esperienza: anche assumendo che i consumatori sappiano

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che, ad esempio, i CFC sono pericolosi per lo strato di ozono stratosferico, per valutare
l'impatto ambientale di una lacca per capelli i consumatori hanno bisogno di sapere se essa
contenga o no CFC; questo, ovviamente, non i capisce usando la lacca. Le cose si fanno
ancora più complesse se si considera che, a volte, il potenziale inquinante non sta nel prodotto
ma nel processo produttivo (è questo, ad esempio, il caso dei prodotti alimentari) o addirittura
nell'attività di smaltimento del prodotto quando, al termine del ciclo di vita, diventa rifiuto
(comprare una batteria in presenza di un sistema di raccolta differenziata delle batterie usate è
meno dannoso per l'ambiente che non in sua assenza). Il costo di questa informazione è
certamente piuttosto alto per il consumatore individuale.
Uno dei fini principali di questo saggio è suggerire che, nonostante queste asimmetrie
informative, il consumismo verde può essere fatto funzionare se la valutazione della
compatibilità ambientale dei prodotti è effettuata da qualche agente meglio informato in cui i
consumatori hanno fiducia. I gruppi ambientalisti sono un candidato ovvio per questo lavoro,
e ci sono indizi che stiano cominciando a svolgerlo.
La fiducia è allora una terza modalità di accertamento della qualità. Per mantenere la
simmetria con la terminologia di Nelson, si propone di chiamare trust goods i beni
l'accertamento della cui qualità viene fatto principalmente con la fiducia.

1.4. I trust goods nella teoria del consumatore


Scopo di questa sezione è chiarire la nozione di trust good e i suoi rapporti con la teoria del
consumatore nella letteratura di economia industriale. Due problemi sembrano rivestire un
particolare interesse: il dilemma "beni o caratteristiche" e il paragone tra trust goods e
credence goods.
Lancaster [1966] ha suggerito che i consumatori, in realtà, non siano per nulla interessati ai
beni. Essi vedrebbero i beni come vettori di caratteristiche, che sarebbero i veri argomenti
delle funzioni di utilità. In altre parole, secondo Lancaster i consumatori scelgono il loro
paniere di beni in modo da ottenere il paniere di caratteristiche desiderato. Un esempio molto
conosciuto è che due lampadine con una durata di sei mesi ciascuna sono equivalenti, in
termini di utilità, ad una sola lampadina con una durata di un anno. I consumatori desiderano
ore di luce, non lampadine in quanto tali. La tradizione dell'equilibrio economico generale
vede le cose da un punto di vista diverso: all'argomento delle funzioni di utilità stanno i beni,
tra i quali si distingue con il grado di sottigliezza necessario a spiegare il comportamento del
consumatore.
L'approccio per caratteristiche sembra avere vantaggi importanti su quello per beni quando si
studiano le modalità di accertamento della qualità. La ragione di questo è che, di regola, la
valutazione della qualità di ciascun prodotto viene fatta attraverso la combinazione di più
modalità [Tirole, 1988]. Per esempio, il design di un'automobile può essere valutato con la
ricerca; la sua affidabilità, con l'esperienza; la compatibilità ambientale del suo processo di
produzione, con la fiducia. Stando così le cose, è abbastanza naturale pensare in termini di
"caratteristiche search, experience e trust". Si può pensare a diverse altre caratteristiche trust
oltre alla compatibilità ambientale: l'"americanità" della campagna "buy American" del
presidente Nixon, o la "correttezza nelle relazioni industriali" se i consumatori non vogliono

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acquistare prodotti fabbricate in condizioni, ad esempio, di sfruttamento del lavoro minorile,
o il carattere kasher dei prodotti alimentari per gli ebrei ortodossi. Vale la pena di notare che
i consumatori sembrano essere in grado di attrezzarsi per valutare queste altre caratteristiche
trust: per esempio, il candidato ovvio per svolgere questa valutazione per la correttezza nelle
relazioni industriali è il sindacato1. Questo suggerisce che la nozione di fiducia come
modalità di accertamento della qualità, e la teoria economica che ne deriva, possa trovare un
campo di applicazione più ampio della sola economia dell'ambiente.
Ragionare in termini di caratteristiche invece che di beni ha, d'altra parte, uno svantaggio
importantissimo: rende molto più difficile la ricerca empirica. L'approccio suggerito da
Lancaster [1979] è di utilizzare metodi di hedonic pricing per estrarre le curve di domanda
per le caratteristiche da quelle per i beni; l'esistenza di indivisibilità nel consumo2 introduce
nonlinearità e ulteriori complicazioni. Nell'articolo di Nelson, il problema è risolto applicando
la nozione di modalità principale di accertamento della qualità: quando comprano tonno in
scatola, i consumatori sono interessati soprattutto al suo sapore; d'altra parte, i gioielli si
acquistano soprattutto per il loro design. Questo permette a Nelson di chiamare il tonno e i
gioielli rispettivamente experience e search goods, e quindi di condurre semplici tests sul
comportamento dei consumatori alle prese con l'uno e gli altri. Poiché, per esempio,
l'affidabilità di un'auto non è acquistata separatamente dalla sua linea, sarebbe difficile
condurre gli stessi tests in termini di caratteristiche.
La maggior parte della letteratura a cui questo studio si riferisce pensa in termini di beni, e
l'espressione trust goods continuerà ad essere usata. I modelli presentati, comunque, si
prestano ad essere discussi anche in termini di caratteristiche.
Resta da discutere la relazione tra la nozione di trust good e quella di credence good,
introdotta da Darby e Karni [1973] poco dopo la pubblicazione dell'articolo di Nelson. Gli
autori collocano questo concetto nel contesto del "problema della riparazione", cioè la
fornitura contestuale di diagnosi e servizi. Come può un consumatore valutare, per esempio, i
vantaggi di un'appendicectomia? Solo fidandosi del suo medico curante, il quale, in
un'economia di mercato, ha però un incentivo ad esagerare la necessità dell'operazione.
Naturalmente, il consumatore può scegliere di acquistare la diagnosi da un medico e
l'operazione da un altro, ma questo comporta costi monetari e di transazione addizionali, che
devono essere paragonati con il valore atteso della riduzione della frode.

1Un programma natalizio della rete televisiva americana NBC asseriva, nel 1992, che Wal-
Mart, la più importante impresa americana di grande distribuzione di abbigliamento, compra
da fabbriche del Bangladesh dove lavorano, a orari molto pesanti, bambini anche di nove
anni. Questa rivelazione ha causato un grande imbarazzo all'azienda. Immediatamente dopo
questo episodio, il distributore di attrezzi e materiali da costruzione Home Depot ha preso
provvedimenti per garantirsi da problemi di questo tipo [McCormick e Levinson, 1993]. Il
lavoro di ricerca che ha reso possibile il programma televisivo è stato fatto da un sindacalista.

2"Due violini dozzinali non fanno uno Stradivari" [Rosen 1974].

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Una complicazione aggiuntiva è introdotta dall'esistenza di una relazione stocastica tra i
servizi di riparazione e il flusso di servizi da beni durevoli sofisticati, come le auto, o dal
corpo umano. Un medico può consigliarmi di farmi togliere l'appendice perché, anche se ora
non presento sintomi, è probabile che abbia problemi in futuro. Se seguo il suo consiglio, la
sua diagnosi diventa non falsificabile; se anche non lo seguo, e l'appendice non mi da alcun
fastidio non posso giudicare la sua abilità diagnostica: potrei appartenere ad una piccola
minoranza le cui appendici resistono al deterioramento in certe condizioni cliniche.
Le conclusioni raggiunte da Darby e Karni sono che i mercati per i credence goods mostrano
una quantità ottimale di frode insolitamente alta. Poiché il governo è vittima delle stessa
simmetrie informative che affliggono i consumatori, non è possibile sostenere in modo
convincente che un suo intervento possa risolvere la situazione.
Sembra ragionevole distinguere i credence goods dai trust goods così come essi sono stati
definiti qui. I primi sono beni la cui qualità non è mai accertata, o lo è solo molto
approssimativamente3. I trust goods sono quei beni la cui qualità viene accertata, in modo
abbastanza accurato, da un agente terzo; i risultati della procedura di accertamento vengono
poi resi disponibili, ad un costo ragionevole, ai consumatori. La ragione per cui i costi di
informazione sono bassi per i singoli consumatori è che essi hanno fiducia nell'agente che
porta a termine l'accertamento, quindi, a differenza dei consumatori di Darby e Karni, non
hanno bisogno di entrare nel dettaglio della procedura di valutazione.

3Darby e Karni assumono implicitamente che i consumatori non non abbiamo problemi ad
essere truffati, purchè il valore atteso della perdita dovuta alla truffa non sia superiore ai costi
di prevenirla. Questa assunzione potrebbe essere criticata sulla base dei recenti sviluppi della
teoria dei giochi applicata al comportamento umano, secondo la quale gli individui con un
reputazione per la ritorsione a qualunque costo non subiscono mai torti, e dunque non devono
mai sopportare i costi di ritorsione [Frank, 1989].

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CAPITOLO 2
ASIMMETRIE INFORMATIVE E STRUTTURA INDUSTRIALE

2.1. Contenuto del capitolo


Questo capitolo si occupa degli aspetti economico-industriali della teoria delle
asimmetrie informative sui mercati dei beni di consumo. Ruota attorno al concetto di
reputazione di marca come segnale della persistenza della qualità. La sezione 2
fornisce un quadro della teoria della concorrenza attraverso l'investimento di capitale
nella promozione del marchio: La sezione 3 definisce la nozione di reputazione e
delinea il suo ruolo nei mercati per i trust goods; viene introdotta la "reputazione
verde". La sezione 4 esplora la relazione tra concorrenza tramite effetti reputazione e
struttura industriale.

2.2. Acquisti ripetuti, quality premia e struttura industriale


L'esistenza di asimmetrie informative implicano moral hazard. Se la qualità di un
prodotto non può essere accertata prima del suo acquisto, i produttori di experience
goods hanno un incentivo a produrre beni di qualità inferiore rispetto al livello
ottimale; questo incentivo è massimo là dove il rapporto cliente-fornitore è più
effimero o one-shot, come per i servizi diretti ai turisti o i contratti di assicurazione
sulla vita. Gli economisti industriali hanno scoperto che gli acquisti ripetuti sono un
meccanismo efficace per ridurre i problemi di moral hazard sui mercati degli
experience goods. L'idea è che un impresa, se bara, possa essere punita rivolgendosi
ai suoi concorrenti.
Questa idea è stata sviluppata da Klein e Leffler [1981]. Il loro modello è costruito
come segue. I consumatori comprano un unità di un experience good per ciascun
periodo. Comunicano senza costi e immediatamente; così, se un impresa fornisce beni
di qualità inferiore a quella prevista dal contratto ad un solo consumatore al tempo t,
al tempo t+1 è diventata un notorio truffatore e perde tutte le sue vendite. Si assume
che il mercato sia perfettamente competitivo, e che non vi siano costi sunk.
Si definiscono per il bene due prezzi, corrispondenti alla qualità "di base" e alla
qualità "alta". Si assume, per il momento, che sia il prezzo alto che quello basso siano
prezzi di concorrenza perfetta, e differiscano in ragione del loro fare riferimento a
curve di costo diverse. Poiché la qualità può essere accertata solo dopo l'acquisto, le
imprese possono scegliere tra tre opzioni:
• vendere il prodotto di qualità bassa al prezzo basso. Per assunzione, questo
comporta profitti zero.
• vendere il prodotto di qualità alta al prezzo alto. Anche in questo caso, e per lo
stesso motivo, l'impresa non ha alcun profitto
• la terza possibilità è di barare, e vendere il prodotto di qualità bassa al prezzo alto
per il primo periodo e uscire dal settore subito dopo. Questa scelta comporta un
profitto positivo (una quasi-rendita di un periodo) e quindi sarà quella operata
dall'impresa razionale. Come si vede, il moral hazard comporta una qualità di
equilibrio inferiore a quella ottimale.

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Si supponga, però, che esista un terzo prezzo, più alto del prezzo di concorrenza
perfetta per il prodotto di qualità alta che, se fosse il prezzo di equilibrio per il
prodotto di qualità alta:
• garantirebbe all'impresa un flusso di profitti il cui valore attuale è superiore o
uguale a quello della quasi-rendita derivante dal barare;
• non dissiperebbe l'intero surplus del consumatore derivante dal consumo del ben
di qualità alta.
Se un tale prezzo esiste, può caratterizzare un equilibrio. Klein e Leffler sostengono
che, in condizioni di costo molto generali, esso esista. Si noti che un consumatore
razionale non comprerebbe mai il prodotto di alta qualità ad un prezzo uguale al suo
costo medio; egli sa che le imprese non hanno convenienza a venderlo a quel prezzo.
Il prezzo più alto, che consiste del costo medio più un quality premium, ha quindi la
proprietà di essere un prezzo che garantisce la qualità.
Nel lungo periodo, la presenza di extraprofitti provoca nuove entrate nel settore, e
dunque un'accresciuta concorrenzialità. La concorrenza, però, non può essere di
prezzo; una riduzione di prezzo al di sotto del livello che garantisce la qualità risulta
in vendite zero. Per l'assunzione di concorrenza perfetta, l'equilibrio di lungo periodo
deve essere a profitti nulli. Questo implica una concorrenza che dissipi la rendita;
Klein e Leffler suggeriscono che essa abbia luogo attraverso investimenti sunk in
beni capitali non alienabili dall'impresa, come la promozione della marca dell'impresa
stessa. Il processo competitivo dirigerà questa investimento verso le forme che
forniscono ai consumatori il massimo valore di servizio. Il "vero" prezzo di acquisto
dell'experience good, cioè il premium price al netto del valore dei servizi forniti dalla
marca (acquistati congiuntamente al bene stesso) è dunque minimizzato.
L'investimento netto di questo tipo continuerà finché il costo medio raggiunge il
premium price.
Si noti che i sunk costs non sono alienabili dall'impresa, e dunque non sono
recuperabili in caso di uscita. E' questo che garantisce che l'impresa non seguirà la
strategia "prendi i soldi e scappa" descritta prima. Tenendo questo in mente, la ragione
per cui la promozione della marca di un impresa fornisce servizi ai consumatori è
abbastanza intuitiva: essa li informa sull'intenzione dell'impresa di rimanere sul
mercato, e quindi di esporsi alla ritorsione dei consumatori nel gioco di acquisti
ripetuti. Quindi, quando i consumatori non conoscono il prezzo che garantisce la
qualità, la dimensione dell'investimento in promozione della marca di ciascuna
impresa, in termini di vendite, fornisce un utile indicatore della sua motivazione a
produrre il bene di qualità alta4.

4Negli anni settanta, il produttore italiano di elettrodomestici Zanussi costruiva


frigoriferi e lavatrici. Parte della produzione veniva messa in vendita con marchio
proprio; il resto, che consisteva di macchine fisicamente identiche, veniva acquistato
dall'impresa tedesca AEG, che le commercializzava con il suo marchio. Gli
elettrodomestici marcati AEG venivani vendutim sul mercato tedesco, ad un prezzo
considerevolmente più alto dei loro gemelli identici marcati Zanussi [Paba, 1989].
Questo può essere spiegato in termini di promozione della marca: AEG, attraverso un

9
2.3. Segnalare la qualità: reputazione di marca e reputazione verde
L'articolo di Klein e Leffler razionalizza in modo elegante un'idea che gli economisti
avevano avuto per almeno vent'anni: che le reputazioni di marca sono congegni di
segnalazione, usati dalle imprese per passare informazioni ai consumatori5. Scopo di
questa sezione è chiarire la nozione di reputazione e indagare sul ruolo che può
giocare nei mercati per trust goods.
Un buon punto di partenza è il seguente: le imprese monoprodotto, come quelle del
modello di Klein e Leffler, sono molto rare. Perché, allora, la reputazione dovrebbe
essere attaccata alla marca e non al singolo prodotto? La risposta ovvia è che la marca
ha il vantaggio della sintesi: significando tutti i prodotti di una stessa marca, è un
modo meno costoso di trasmettere informazioni sulla qualità. Questo, però, ha
un'implicazione gravida di conseguenze: perché la reputazione di marca trasmetta
informazione sulla qualità del prodotto, tutti i prodotti della stessa marca devono
essere di pari qualità. Questo deve essere vero sia per la gamma di prodotti in
produzione in ciascun istante, sia nel tempo6.
Il ruolo del tempo nella teoria della reputazione merita un'attenzione particolare. Il
modello statico di Klein e Leffler non mette in rilievo che, in un gioco di acquisti
ripetuti, l'intervallo tra acquisti successivi potrebbe essere abbastanza lungo da
alterare completamente la gamma di prodotti tra cui il consumatore si trova a
scegliere. Le auto sono un buon esempio: solo raramente, quando vendono la loro
vecchia auto, i consumatori acquistano un nuovo esemplare dello stesso modello.
Tendono, piuttosto, ad essere fedeli nei confronti della marca. Perché la reputazione
sia un efficace congegno di segnalazione in un simile contesto, la qualità passata deve
implicare la qualità presente 7.
Se questo è vero, ne segue che la reputazione richiede tempo per formarsi. Spendere
dieci miliardi di lire oggi in promozione della marca non è altrettanto efficace che
avere speso mezzo miliardo all'anno per gli ultimi vent'anni. Simmetricamente, essa
richiede tempo anche per dissolversi: una volta stabilita, la fedeltà di marca tende a
persistere anche quando la qualità dei prodotti è declinata [Paba, 1989]. Per queste
ragioni, è utile pensare alla reputazione come ad un bene capitale intangibile e non
alienabile dall'impresa.
Nei mercati dei trust goods gli acquisti ripetuti giocano un ruolo diverso da quello
fin qui delineato, in quanto l'acquisto non implica, di per sè, l'accertamento della

livello più alto di costi sunk, stava segnalando un'elevata qualità in modo più
credibile di Zanussi.

5L'embrione di questa idea può essere ritrovato nel lavoro di Kaldor [1950-51] sulla
transizione del capitalismo americano da una fase "dominata dai distributori" ad una
"dominata dai produttori".

6Gran parte della letteratura sulla direzione aziendale, con il suo insistere sul controllo
qualità e sull'identità di impresa, sembra essere in linea con questa intuizione. Si veda
per esempio Waterman e Peters [1981].

7"Reputazione è una parola che denota la persistenza della qualità." [Stigler, 1961].

10
qualità. Questo è svolto, indipendentemente dall'acquisto, da un agente più informato;
il meccanismo degli acquisti ripetuti fornisce ai consumatori i mezzi per punire i
produttori se i risultati di questo accertamento sono sfavorevoli.
Il modello di Klein e Leffler potrebbe facilmente essere riscritto in riferimento alla
compatibilità ambientale. L'equilibrio di lungo periodo richiede investimenti sunk
nella promozione della ecologicità della marca, e questo processo genera, con la
dinamica descritta, una reputazione di compatibilità ambientale della marca: una
reputazione verde, come sarà chiamata d'ora in poi.

2.4. Reputazione e struttura industriale


Paba [1986, 1989, 1991] collega esplicitamente gli effetti di reputazione alla struttura
industriale. Egli sostiene che i mercati dove le asimmetrie informative sono molto
importanti saranno, in generale, caratterizzati da:
• un alto grado di concentrazione; i consumatori possono ricordare e paragonare
l'una all'altra solo un numero limitato di marche. La reputazione richiede visibilità.
• quote di mercato, misurate per marca, stabili (le quote di mercato misurate per
impresa possono invece crescere in seguito ad acquisizioni)
• efficienza economica di lungo periodo
I due ultimi risultati sono dovuti al ruolo del tempo nella costruzione e nella
distruzione della reputazione di marca. Esso implica che un'impresa, minacciata dal
successo di un nuovo prodotto di un suo concorrente, ha tempo di mettere a punto una
risposta, o di imitazione o di sviluppo di un nuovo prodotto, ancora migliore. Una
accesa concorrenza non di prezzo è così compatibile con la stabilità delle quote di
mercato per marca. Stando così le cose, un oligopolista con un ottimo brevetto non
riuscirà a diventare un monopolista. L'evidenza empirica sui mercati per i beni di
consumo durevoli sembra accordarsi bene con questa impostazione teorica.
Sembra ragionevole applicare queste stesse caratteristiche della struttura industriale ai
mercati in cui le asimmetrie informative del tipo trust sono particolarmente
importanti. D'altra parte, occorre notare che una ottima reputazione verde può anche
essere usata per superare le barriere all'entrata di un settore, e così ridurre la
concentrazione. Questo sembra essere stato il caso del settore dei detersivi: con le
funzioni di costo dominate dalle economie di scala, l'entrata di imprese "verdi" come
Ecover nei primi anni ottanta ha potuto essere profittevole solo grazie all'esistenza di
un quality premium sui detersivi senza fosfati.

11
CAPITOLO 3
LA REPUTAZIONE VERDE: UN PRIMO MODELLO

3.1. Contenuto del capitolo


Questo capitolo presenta un semplice modello di controllo ottimo di concorrenza sulla
compatibilità ambientale in un ambiente stazionario. E' costruito sull'idea che la reputazione
verde può essere considerata come un bene capitale. Essa è caratterizzata da due parametri: il
suo valore monetario e la sua capacità di generare vendite. La decisone di investimento in
disinquinamento di un'impresa è il risultato della massimizzazione, nel tempo, di una
funzione obiettivo che comprende i profitti cash-flow e i guadagni in conto capitale derivanti
dall'apprezzamento della reputazione verde dell'impresa stessa.
La sezione 2 introduce le funzioni di domanda e di costo dell'impresa. La sezione 3 introduce
una modellizzazione della valutazione della compatibilità ambientale. La sezione 4 calcola e
discute le condizioni del primo ordine. La sezione 5 calcola e discute l'equilibrio di steady
state.

3.2. L'impresa
Si consideri un'impresa che compete su un mercato in cui la compatibilità ambientale è il
terreno principale su cui ha luogo il processo di concorrenza. Il prodotto in questione inquina
solo quando viene fabbricato, e ha impatto ambientale trascurabile per il resto del ciclo di
vita. L'inquinamento può essere ridotto applicando filtri alla linea di produzione. Si fanno le
seguenti assunzioni:
• le vendite al tempo t+1 sono funzione solo della reputazione verde al tempo t. Quindi,
per ogni periodo, esse sono un dato.
• il prezzo p, che è il prezzo che garantisce la qualità, è anch'esso dato.
• i costi di produzione sono normalizzati a zero. I soli costi positivi sono quelli che
accrescono la compatibilità ambientale del processo produttivo, e consistono di spesa
corrente in sistemi di abbattimento ("noleggio di filtri").
• l'impresa agisce in modo da massimizzare il valore attuale del flusso di profitti cash-flow
più il valore capitale del suo attivo di bilancio, cioè della sua reputazione verde
L'interazione strategica è ignorata: ciascuna impresa prende le sue decisioni in modo isolato.
Questo non è coerente con l'importanza assegnata da Paba all'interazione oligopolistica, e agli
investimenti in qualità e in promozione del marchio che, nel suo modello, le imprese fanno in
risposta alle mosse dei concorrenti8.

8Un po' di lavoro preliminare è stato fatto per estendere il modello presentato al caso del
duopolio simmetrico. L'equilibrio di Nash open-loop, cioè di precommittment [Fudenberg e
Tirole, 1986], risulta impossibile da determinare senza specificare le forma funzionali; la
scelta della forma funzionale "ideale" risulta essere un problema piuttosto difficile. Si è
deciso di non seguire, per ora, questa linea di indagine.

12
3.3. Guardia Verde
Si assume che esista un gruppo ambientalista, Guardia Verde (Green Watch), che ha tra i
suoi obiettivi quello di scoprire e rendere pubbliche le performances ambientali delle
imprese. Guardia Verde si comporta come segue:
• controlla, in ciascun periodo, un certo numero di imprese scelte a caso. La probabilità
che ciascuna impresa sia sottoposta a controllo durante ciascun periodo è common
knowledge.
• la probabilità, per ciascuna impresa, di essere sottoposta a controllo durante il periodo t è
indipendente del fatto che lo sia stata o meno al periodo t-1.9
• valuta la loro spesa in protezione ambientale per unità di prodotto EP; su queste basi,
essa dà a ciascuna impresa un "voto". I voti sono dati secondo una funzione GW di EP, e
sono espressi nella stessa unità di misura della reputazione verde stessa10. Si assume,
realisticamente, che la funzione GW sia caratterizzata da rendimenti decrescenti. Essa,
dunque, dovrebbe avere un andamento simile a quello rappresentato dalla figura 1.
Figura 1 - La funzione GW

9Questa assunzione è ovviamente irrealistica. Gli inquinatori più noti tendono a rimanere nel
mirino degli ambientalisti: in Italia, Legambiente ha anche acquistato azioni di alcune delle
imprese più grandi e più inquinanti (inclusa Fiat) del nostro paese; controlla regolarmente le
loro performances ambientali, e invia nutrite delegazioni all'assemblea annuale degli
azionisti per chiedere una politica ambientale aziendale più attenta. I media trovano questi
eventi appetitosi, e li seguono con qualche attenzione, causando non pochi imbarazzi alle
imprese in questione se la loro performance ambientale è stata particolarmente scadente.

10Una valutazione della reputazione verde può essere pensata come la valutazione del flusso
(attualizzato) di profitti che l'impresa realizzerà competendo sul terreno della compatibilità
ambientale.

13
• il processo di valutazione ha effetti sull'impresa in tanto in quanto incrementa o
diminuisce il valore della sua reputazione verde, e per questa via delle vendite future. Si
comporta come una valutazione indipendente della reputazione verde stessa: alla fine di
ciascun periodo, se la reputazione verde è risultata essere sopravvalutata, una quota 1-
dei clienti dell'impresa accetteranno la valutazione di Guardia Verde, e conseguentemente
ritireranno la loro domanda per i prodotti di quell'impresa. La ragione per cui l'impresa
non perde tutti i suoi clienti è stata chiarita nel secondo capitolo: la reputazione verde
induce fedeltà di marca. , la quota di consumatori che non cambiano la loro opinione
sulla compatibilità ambientale dell'impresa, può essere interpretata come una misura del
grado di lealtà.

3.4. Il modello
E' ora possibile scrivere le tre equazioni fondamentali del modello.
[1] Π t = p ?S (Rt )− Ct

Dove _ indica il profitto, S le vendite, p il prezzo che segnala la qualità e C i costi.


[2] Ct = pe ?EPt ?St
Dove EP indica la qualità di "filtri noleggiati" per unità di prodotto e pe il prezzo di
noleggio. Infine,
[3] Rt +1 = Rt + (1 − )?GW (EP) + (1 − )Rt

Dove, come si è visto, è la probabilità di un'ispezione di Guardia Verde in ciascun


periodo, la fedeltà di marca nel senso indicato, GW la valutazione fatta da Guardia Verde
come funzione di EP. La prima parte del secondo membro descrive ciò che accade se
Guardia Verde effettua un'ispezione sull'impresa; la seconda parte ciò che accade se non la
effettua.
Il problema di massimizzazione si può scrivere come segue [Neher, 1990]:

14
×
[4] MAXV = Π t /(1 + r) t + t +1 ?∆Rt
t =0

O, in modo più familiare, nella forma riferita al tempo continuo:


[4a] MA XV = Π ?e − rt − R dt

Chiaramente, EP funge da variabile di controllo e R da variabile di stato.


L'espressione per R si può ottenere da [3], sottraendo Rt da ciascun membro:
Rt +1 − Rt = Rt + (1 − )?GW (EP) + (1 − )Rt − Rt
∆Rt +1 = Rt + (1 − )?GW (EP) − Rt

[5] ∆Rt +1 = (1 − )? GW (EP)− Rt

Ciò che segue usa la forma relativa al tempo continuo, assumendo continuità in R e
continuità intervallare in EP. La Hamiltoniana (di valore corrente) è
[6] H = Π + qRt
Dove q … e rt . Sostituendo [1], [2] e [5] in [6] si ottiene
[7] H =(p − pe ?EP)?S (R )+ q ( 1− )? GW (EP)− R

Le condizioni del primo ordine si possono derivare da [7]. Iniziando dal maximum principle
(i pedici indicano derivate parziali):
H GW
= − pe ?S + q ?(1 − )?
EP EP
pe ?(1 − )
[8] = ?GWEP
q S
La condizione di equilibrio di portafoglio è:
H
= − & = rq − q&
R
p − pe ?EP ?S R − q ?(1 − ) = rq − q&
q& p − pe ?EP ?S R
[9] = r + ?(1 − ) −
q q
Il vincolo dinamico è
H &
=R
q
[10] ?( 1− ) ? GW( EP) − R = R&

L'equazione [8] significa che la produzione sarà "disinquinata" fino al punto in cui il
guadagno marginale in conto capitale risultante dalla valutazione di Guardia Verde (filtrato
dalla fedeltà di marca e dalla probabilità che l'ispezione abbia luogo) è uguale al costo
marginale del disinquinamento. pe/q rappresenta il prezzo del "noleggio dei filtri" in termini
di reputazione. Questa situazione si può rappresentare con un diagramma:

15
Figura 2 - Il maximum principle

k1 e
k2 nel diagramma sono uguali a ?(1 − )/S , e k1<k2. Si noti che, in equilibrio, EP dipende
dal valore della costante k e dalla posizione della retta orizzontale pe/q. In particolare, EP
sarà tanto più alto quanto più:
• il prezzo di "noleggio dei filtri" in relazione al prezzo della reputazione è basso;
• la probabilità di un'ispezione da parte di Guardia Verde è alta;
• il grado di fedeltà di marca è basso;
• l'impresa è piccola.
I primi tre risultati sono tutt'altro che sorprendenti. Il quarto, che sembra contrastare con
l'intuizione secondo cui le imprese devono essere visibili per poter godere di reputazione
verde, e devono essere grandi per essere visibili, è un effetto collaterale della specificazione
del modello: Guardia Verde si interessa alla spesa in protezione ambientale per unità di
prodotto, mentre il suo contributo alla costruzione di una reputazione verde non dipende
dalla scala di produzione11. Questo effetto sparisce se si assume che la misura di EP su cui
si basa la valutazione di Guardia Verde sia un costo fisso invece che variabile12.

11Nel mercato dei detersivi, l'impresa belga Ecover (menzionata nell'introduzione) costituisce
un esempio interessante di risposta di un'impresa ad una simile struttura degli incentivi. I suoi
concorrenti, molto più grandi, avrebbero bisogno di un enorme sforzo finanziario per ottenere
la stessa simpatia di parte ambientalista e attenzione da parte dei media che Ecover ottiene
con uno stabilimento che occupa 45 addetti. In questo senso, il disinquinamento della

16
L'equazione [9] ha una struttura simile a quella della regola di Hotelling. Implica che, per
avere equilibrio di portafoglio, il tasso di crescita del prezzo della reputazione deve essere
uguale al tasso di interesse monetario meno un fattore che rispecchia la capacità di generare
vendite (e quindi, in questo modello, profitti) degli investimenti in reputazione verde. Questo
fattore, a sua volta, va considerato al netto dei fattori che limitano tale capacità, cioè
l'incertezza che circonda le ispezioni di Guardia Verde e la fedeltà di marca.
Più analiticamente, su un sentiero di equilibrio, q deve crescere tanto più rapidamente quanto
più:
• il tasso di interesse r è alto;
• il margine di profitto (pe-pe.EP) è basso;
• la capacità di generare vendite della reputazione verde SR è bassa;
• la probabilità di un'ispezione di Guardia Verde è alta;
• la fedeltà di marca è bassa.
L'analogia con la regola di Hotelling può essere portata avanti di un altro passo. r + (1 − )
può essere pensato come un tasso di interesse risk-adjusted. In questa interpretazione, il
guadagno marginale in conto capitale derivato dall'apprezzamento della reputazione più il
profitto cash-flow marginale che deriva dall'aumento dello stock di reputazione verde deve,
in equilibrio, essere uguale al tasso di interesse risk-adjusted.
Infine, l'equazione [10] si limita a ricuperare il vincolo dinamico.

3.5. Il modello in steady state


Vale la pena di rivolgere l'attenzione all'evoluzione di lungo periodo del sistema descritto da
queste equazioni. Si ricordino le condizioni del primo ordine:
pe S ( R)
[8a] q= ?
(1 − ) GWEP
q& p − pe ?EP ?S R
[9] = r + ?(1 − ) −
q q
[10] ?( 1− ) ? GW( EP) − R = R&

L'equazione [8a] è semplicemente l'equazione [8] risolta per il prezzo della reputazione q.
Per descrivere i movimenti della variabile di controllo, la spesa in disinquinamento EP, e
della variabile di stato, la reputazione verde R, si cominci considerando [10]. Innanzitutto, è

produzione sembra essere caretterizzato da vere diseconomie di scala, oltre ad avvantaggiarsi


dell'assenza di costi sunk (come si è notato nel capitolo 2).

12Una versione "a costi fissi" di questo modello è presentata in Cottica [1993]. E' disponibile
su richiesta.

17
semplice verificare che la versione di steady state di [10] ha la stessa forma della funzione
GW(EP):
[10a] R& = 0 dunque GW ( EP ) = R

Figura 3: La condizione R& = 0

Si consideri un punto come A sul grafico. E' caratterizzato da un valore di R più alto di quello
richiesto dall'equilibrio di steady state. Uno sguardo a [10] mostra che questo implichi
R°I<0. Dunque, le condizioni del primo ordine richiedono che R diminuisca quando è al
sopra del livello di steady state e viceversa.
I movimenti di EP sono un po' meno intuitivi, e la loro illustrazione richiede qualche
manipolazione. Per cominciare, si derivi [8a] rispetto al tempo:

[11] q& =
pe S
? R ?R& −
pe
?
af
S R ?GWEP′′
?EP&
(1 − ) GWEP (1 − ) GWEP
2

Da [11] e [9]:
pe S pe S ( R ) ?GWEP′′
r + (1 − ) ?q − p − pe ?EP ?S R = ? R ?R& − ? ?EP&
(1 − ) GWEP (1 − )
2
GWEP

Sostituendo per q da [8a]:


pe S ( R) pe S pe S( R) ?GWEP′′
r + (1 − ) ? ? − p − pe ?EP ?S R = ? R ?R& − ? ?EP&
(1 − ) GWEP (1 − ) GWEP (1 − ) GWEP
2

Sostituendo per R& da [10] e semplificando si ottiene:

18
pe S ( R) S pe S( R) ?GWEP′′
r + (1 − ) ? ? − p − pe ?EP ?S R = pe ? R ? GW ( EP) − R − ? ?EP&
(1 − ) GWEP GWEP (1 − ) GWEP
2

GWEP
Si moltiplichi ciascun membro per :
SR
pe S ( R) pe S( R) ?GWEP
′′
r + (1 − ) ? ? − p − pe ?EP ?GWEP = pe ? GW ( EP) − R − ? ? ?EP&
(1 − ) SR (1 − ) SR GWEP

Riordinando, si ottiene
[12]
pe S ( R) ?GWEP
′′ pe S ( R)
? ? ?EP& = pe ? GW ( EP ) − R + p − pe ?EP ?GWEP − r + (1 − ) ? ?
(1 − ) SR GWEP (1 − ) SR

[12] descrive il movimento nel tempo di EP come funzione dei valori assoluti di EP stesso e
di R. Insieme a [10], costituisce un sistema di due equazioni differenziali in due incognite,
EP& e R& , che, in ciascun punto del tempo, può essere risolto partendo dai valori di EP ed R e
dei parametri rilevanti.
Sacrificando in parte le generalità dell'esposizione, si può procedere oltre. Si assuma che:
[13] S ( R) = R e dunque SR = R −1

e
[14] GW ( EP ) = EP1− con 0< <1
Quindi GWEP = (1 − ) EP − e ′′ = − (1 − ) EP
GWEP − −1

Si sostituisca in [12] per ottenere


pe R − pe R
? ? ?EP& = pe ? EP1− − R + p − pe ?EP ?(1 − ) ?EP − − r + (1 − ) ? ?
(1 − ) EP (1 − )
Riordinando, si ha che
pe
〈 ?EP& = pe ?EP1− + (1 − ) ? p ?EP − − pe ?EP1− − r + (1 − ) ? ?R − pe ?R
(1 − )
L O
[15] 〈 ? EP& = ? pe? EP1 − + (1 − )? p? EP − − pe? M
r + (1 − )
N
(1 − )
+ 1 ?R P
Q
Lr + (1− O
Sia K …pe ? M
N (1− )
)
+1 P
Q
In steady state, poiché EP& = 0 , anche il secondo membro di [15] deve essere uguale a zero.
La versione di steady state di [15], dunque, si riduce a
[16] K ?R = ? pe ?EP 1− + (1− )?p ?EP −
Per calcolare l'inclinazione di [16], se ne consideri il differenziale totale:
K ?dR =(1 − )? ? pe ?EP − dEP −(1 − )? ? p ?EP − −1dEP
K ?dR = − ?(1 − )?EP − −1
p − pe ?EP dEP

19
dR (1 − )? ?EP − −1
[17] =− ? p − pe ?EP
dEP K
K è chiaramente positivo; lo stesso è vero del numeratore del termine che moltiplica il
margine di profitto tra parentesi quadra. Il segno di dR/dEP è dunque l'inverso del segno del
margine di profitto.
dR p
< 0 ? Π > 0 ? EP <
dEP pe
dR p
= 0 ? Π = 0 ? EP =
dEP pe
dR p
> 0 ? Π < 0 ? EP >
dEP pe
Naturalmente, l'ultimo caso non ha senso economico: non può esistere un equilibrio di steady
state in cui l'impresa è in perdita. Dunque, [16] deve essere inclinato negativamente
nell'intervallo significativo.

20
Figura 4 - La condizione EP& = 0

E' ora possibile descrivere il movimento di EP al di fuori dello steady state. Il termine tra
parentesi quadra che moltiplica EP in [15] è sempre negativo, il che implica
EP& > 0 ? K ?R − ?pe ?EP1− + (1 − ) ?p ?EP − > 0
Si consideri un punto come C nel diagramma. E' caratterizzato da un valore di R inferiore a
quello di steady state. Uno sguardo a [17] mostra che EP in C deve calare per soddisfare le
condizioni del primo ordine. Il contrario vale per i punti come D.
Le due curve [10a] e [16] si intersecano dunque solo una volta nell'intervallo
economicamente significativo, dando origine ad un unico equilibrio di steady state.

21
Figura 5 - L'equilibrio di steady state e i sentieri di equilibrio di EP ed R

Il modello predice che, lungo i sentieri di equilibrio stable arms, un impresa che ha un basso
livello di reputazione verde inizierà il programma con un livello alto di spesa in protezione
ambientale. Questo causerà un aumento della sua reputazione verde; man mano che si
avvicina al punto di equilibrio, il livello di EP per periodo diminuirà. Il contrario succederà
se l'impresa inizia con un livello alto di reputazione verde. Questo la spingerà a spendere
poco in protezione ambientale, "mietendo" la sua reputazione finché questa non è scesa al
livello di equilibrio. Man mano che vi si avvicina, aumenterà EP.
Si noti che Guardia Verde può sempre spostare il punto di equilibrio di steady state verso
destra (cioè verso un equilibrio più eco-compatibile) inasprendo i suoi standards, cioè
appiattendo e spostando verso destra la curva R& = 0 . Questa possibilità, però, è vincolata alla
condizione che l'impresa sia in utile in steady state. Come è evidente dal grafico, è del tutto
possibile che il punto di equilibrio corrisponda ad un livello di spesa in protezione ambientale
che Guardia Verde non ritiene del tutto soddisfacente.

22
CAPITOLO 4
POLITICA AMBIENTALE BASATA SULL'INFORMAZIONE

4.1. Contenuto del capitolo


Questo capitolo prende in esame le implicazioni della teoria del consumismo verde per la
politica ambientale. La sezione 4.2 sostiene l'opportunità di un intervento del governo che
riduca le asimmetrie informative discusse nel capitolo 1. La sezione 4.3. propone una gamma
di strumenti di politica ambientale "basati sull'informazione", classificati a seconda
dell'agente depositario della fiducia dei consumatori. Le sezioni 4.4, 4.5 e 4.6 discutono gli
strumenti fin qui inclusi in questa gamma; essi sono, rispettivamente, consumismo verde,
accordi di programma e eco-labelling. Infine, la sezione 4.7 discute brevemente la possibilità
che la politica ambientale basata sull'informazione venga usata come una barriera non
tariffaria al commercio internazionale.

4.2. Politica ambientale per circolazione di informazioni


L'economia dell'ambiente nasce con l'idea di internalizzare le esternalità ambientali con l'uso
di strumenti fiscali [Pigou, 1938]. Sebbene la disciplina abbia compiuto enormi progressi,
affrontando sempre nuovi problemi ambientali e sviluppando nuovi strumenti di policy, lo
stato dell'arte della politica ambientale sembra essere rimasto fedele a questa matrice di
finanza pubblica [Baumol e Oates, 1989]. La prescrizione di "strumenti economici", cioè di
meccanismi che uguagliano il danno esterno marginale causato all'ambiente dalle attività
umane è eguagliato al costo marginale di prevenirlo, resta l'ubi consistam della disciplina13.
Questo approccio alla politica ambientale ha avuto un enorme impatto culturale sui policy
makers, e, dove è stato messo in pratica, ha dato risultati abbastanza buoni, o addirittura
molto buoni. Ciononostante, è impossibile non accorgersi che esso si basa su una visione
semplicistica e ultra-ortodossa del rapporto tra imprese e consumatori; le asimmetrie
informative sono assenti dal modello, e i consumatori rispondono solo a segnali di prezzo. Gli
economisti dell'ambiente hanno, negli anni, sollevato parecchi problemi rispetto a queste
semplificazioni, ma l'indotto di queste discussioni in termini di prescrizioni di politica
ambientale è stato, finora, piuttosto scarso.
Il punto principale di questo capitolo è che alcuni di questi problemi possono essere risolti
tramite il ricorso ad alcuni sviluppi relativamente recenti nelle teorie dell'impresa e dei
consumatori. Questa posizione viene sostenuta considerando la performance della politica
ambientale basata sulla teoria del consumismo verde nei confronti di due importanti obiezioni
mosse agli strumenti economici più tradizionali; fallimento organizzativo e regulatory
capture.

13Baumol and Oates [1989] discutono in modo chiaro ed esauriente gli strumenti economici,
che includono tasse, sussidi, permessi negoziabili e le loro varie combinazioni. Nel resto di
questo studio, i termini "strumenti economici" ed "ecotasse" vengono usati indifferentemente
per riferirisi all'intera gamma di strumenti economici.
Le ecotasse sono state criticate sulla base del fatto che sono soggette a fallimento
organizzativo [Velijanowsky, 1983], specialmente se il costo marginale esterno delle attività
inquinanti è basso. Se, all'interno di un'impresa, i dirigenti che pagano le tasse sono
fisicamente e organizzativamente separati dagli ingegneri che gestiscono gl impianti,
l'incentivo all'abbattimento degli inquinanti può perdersi nei meandri della direzione
aziendale. Più in generale, in un contesto di razionalità limitata un'impresa può
semplicemente disinteressarsi della riduzione delle sue emissioni inquinanti se il costo
dell'inquinamento (cioè l'ecotassa) è basso. La capacità decisionale dei dirigenti, essa stessa
una risorsa scarsa, può essere allocata meglio su attività "strategiche".
Anche la regulatory capture è un pericolo per chi fa politica ambientale; su queste basi, il
movimento ambientalista ha criticato spesso l'introduzione di ecotasse. Il pericolo consiste
nel processo di contrattazione che precede il varo dei provvedimenti di politica ambientale;
l'industria può, e spesso lo fa, indebolire il potere di incentivazione degli strumenti economici
mediante attività di lobbismo e il ricorso al ricatto occupazionale per diminuire l'aliquota
dell'ecotassa. Il dibattito sull'introduzione della carbon and energy tax dell'Unione Europea
ne è un esempio illuminante14.
Si supponga ora che il governo, tramite un mix di misure che includono campagne per
l'educazione ambientale e accesso agevolato ai media per gli ambientalisti, riuscisse ad
aumentare l'efficacia delle associazioni ambientaliste nello scoprire e divulgare
comportamenti lesivi dell'ambiente da parte delle imprese. Nei termini del modello del
capitolo 3, questo significa:
• aumentare il costo opportunità di non investire in reputazione verde, aumentando l'effetto
sulle vendite di un incremento della reputazione verde
• aumentare la probabilità di un controllo da parte di Guardia Verde.
Entrambe queste variazioni nei parametri del modello conducono ad un aumento della spesa
in protezione ambientale per unità di prodotto.
E' ragionevole aspettarsi che le imprese con costi marginali di abbattimento molto alti
rimangano fuori dal segmento "verde" del mercato; per questa via, un certo grado di
efficienza statica di un simile provvedimento di politica ambientale è garantito. L'efficienza
dinamica segue dagli argomenti sviluppati nel capitolo 2.
Questo modo di fare politica ambientale ha due vantaggi sugli strumenti economici
tradizionali. In primo luogo, sembra ragionevolmente resistente alle obiezioni di fallimento
organizzativo. La compatibilità ambientale è qui un terreno per la concorrenza, e quindi
un'attività strategica. Ci si può aspettare che le imprese reagiscano a cambiamenti anche

14Jim Skea [1993] ha documentato in modo affascinante questa vicenda. Al momento della
redazione di questo saggio, la sua conclusione è che i settori più energivori dell'industria (che
rappresentano solo il 6% dell'industria europea) siano riusciti a mettere la carbon tax in una
situazione di assoluto stallo. In altre parole, qui regulatory capture non vuole dire "riduzione
dell'efficacia", ma "affondamento completo" dello strumento economico in questione.

24
leggeri delle preferenze "ambientali" dei consumatori, esattamente come reagiscono
all'evoluzione dei loro gusti nel campo del design.
In secondo luogo, sembra meno soggetto a regulatory capture di altre possibili misure. La
regulatory capture richiede contrattazione e un alto grado di affinità culturale e di sistemi di
valori tra il regolatore e industria; inoltre, richiede che, almeno in parte, il primo utilizzi la
conoscenza diretta della seconda per capire il problema che cerca di risolvere. E' molto più
probabile che questo succeda se il regolatore è il governo che se è un'associazione
ambientalista15.
Naturalmente, il consumismo verde come strumento di politica ambientale ha anche due
grossi svantaggi nei confronti delle ecotasse. Il primo è che esso rende impossibile, salvo che
per caso, guidare il sistema alla quantità ottimale di emissioni inquinanti, come fanno gli
strumenti economicità à la Baumol e Oates. Questo limite può essere meno grave di quello
che sembra: gli economisti dell'ambiente sanno da tempo che è praticamente impossibile
calcolare la posizione dell'ottimo [Baumol e Oates, 1971]. Le ecotasse vengono ora proposte
come strumenti di minor costo, di second-best.
Il secondo svantaggio del consumismo verde è ovvio: funziona solo per quei settori in cui
l'ambiente sia, o possa essere fatto diventare, un importante fattore di differenziazione.
Non si è fatta alcuna menzione di educazione ambientale. La ragione di questo è che la
comprensione dell'interdipendenza tra le varie parti di un'ecosistema appartiene al primo dei
due tipi di informazione tra cui si distingue nella sezione 1.2,, di cui questo studio non si
occupa. Nonostante questo, può essere utile tenere alcuni dei problemi principali
dell'educazione ambientale sullo sfondo della discussione del resto di questo capitolo. Si
vogliono qui sottolineare due punti principali.
In primo luogo, l'educazione ambientale si fa già. Gli alunni della maggioranza delle scuole
elementari italiane imparano che le forme di vita sono legate le une alle altre in modi non
ovvi; imparano a piantare alberi e, nei casi più avanzati, persino che solo le specie indigene di
alberi dovrebbero essere piantate in ciascun luogo. Ci sembra interessante notare che un

15E' interessante notare che questo suggerisce che il tanto criticato anticapitalismo degli
ambientalisti possa giocare un ruolo positivo: quello di committment device contro la
collusione con la grande industria o il governo. Come ha suggerito Frank [1989], il miglior
modo di recitare il modo credibile il ruolo dell'agente indipendente è di essere davvero
indipendenti; la mancanza di egoismo, in questo caso, porta con sè vantaggi personali, e non
solo sociali. Quando abbiamo chiesto ad un portavoce degli Amici della Terra se non
pensasse che la campagna sul mogano è la prova del fatto che la grande industria è una cosa
buona per l'ambiente, ha risposto: "Oh, no. Ma possiamo usare quei bastardi." E' del tutto
ovvio che questa risposta significa "sì"; la nostra ipotesi è che, se ammettesse il ruolo positivo
delle grandi imprese nel "disinquinamento dell'industria" indebolirebbe quell'insieme di
committment devices che ne fanno un negoziatore duro e un leader ambientalista credibile. Il
libro di Frank fornisce una discussione affascinante del problema della credibilità.

25
produttore di detersivi ecologici, Atlas (gruppo Henkel), finanzia il programma educativo di
Legambiente [Cantoni, 1993].
In secondo luogo, l'educazione ambientale tende a modellare le preferenze. I giovani sono in
genere più consapevoli dei problemi ambientali dei loro genitori: il confronto precoce con
questi problemi sembra essere una delle cause di questo. Non è chiaro come la nozione di
ottimalità si applichi ad un contesto di preferenze endogene: insegnare ai bambini che
l'estinzione delle specie è "un male" porta ad un eccesso di conservazione? Può essere così
dal punto di vista di coloro che sono andati a scuola prima dell'introduzione dell'educazione
ambientale, ma non da quello dei bambini stessi. Brusco [1993] ha notato che insegnare i
valori morali significa rischiare di creare uno stato confessionale; per questa ragione, le
scuole pubbliche dovrebbero limitarsi a mettere in evidenza l'interdipendenza intrinseca di
ciascuna specie, inclusa la nostra, da tutte le altre.

4.3. Politica ambientale basata sull'informazione: una proposta di tassonomia


La politica ambientale "per circolazione dell'informazione", dunque, sembra godere di alcune
proprietà desiderabili. Lo scopo di questa sezione è di discutere e valutare i mezzi tecnici con
cui la politica ambientale basata sull'informazione (information-based environmental policy),
come verrà chiamata qui, possa essere messa in pratica.
Si propone di distinguere gli strumenti di politica ambientale basata sull'informazione a
seconda dell'agente titolare della reputazione verde. Secondo questo criterio, è possibile
elencarne tre.
• il consumismo verde stesso: la reputazione verde è delle imprese
• accordi di programma tra imprese e governo: la reputazione è del governo
• eco-labelling: la reputazione è dell'agenzia che assegna l'ecoetichetta.
Si noti come le associazioni ambientaliste non siano menzionate tra i possibili detentori della
reputazione verde. Ripensando al modello presentato nel capitolo 3, dovrebbe essere chiaro
che il loro ruolo è quello di rendere le reputazioni verdi possibili e significative per i
consumatori. Senza Guardia Verde ad esercitare il ruolo di committment device, un'impresa
(o un governo, o un'agenzia di eco-labelling) che segnali di essere eco-compatibile non
trasmetterebbe alcun contenuto informativo [Milgrom e Roberts, 1986].

4.4. Consumismo verde


L'intervento dei governi sulle asimmetrie informative non è certamente nuovo. Il movimento
dei consumatori, nato negli Stati Uniti ben prima della seconda guerra mondiale, fu
attivamente incoraggiato dai governi europei nei tardi anni sessanta [Shonfield, 1984]. I paesi
più attivi in questo processo furono quelli scandinavi e il Regno Unito. Le misure poste in
essere da questi governi erano tese sostanzialmente alla riduzione dei costi di tempo, di
transazione e monetari che i consumatori dovevano affrontare per ottenere rimborsi di
acquisti la cui qualità era inferiore a quella contrattuale. Furono aperti uffici di consulenza per
i consumatori: la Svezia, con una soluzione tipicamente corporativa, istituì un "tribunale dei
consumatori" senza poteri coercitivi, ma le cui raccomandazioni erano seguite

26
scrupolosamente da tutte le imprese svedesi; il Regno Unito istituì il Fair Trade Office, e per
qualche tempo funzionarono i "tribunali per i piccoli risarcimenti", molto più rapidi e meno
costosi da mettere in movimento della macchina della giustizia ordinaria.
Tutte queste misure erano ispirate dall'idea che le asimmetrie informative danno alle imprese
un vantaggio sleale nel loro rapporto con i consumatori; per controbilanciare questo
svantaggio, queste strutture quasi-giudiziarie dovevano essere strutturate in modo da
salvaguardare le protezione dei consumatori stessi. Nel caso del consumismo verde, la
disponibilità gratuita o a prezzo molto contenuti di laboratori dove i cittadini possano portare
campioni di rifiuti industriali da far analizzare avrebbe, nei paesi con un movimento
ambientalista ragionevolmente forte, un impatto impressionante. Sul versante della diffusione
delle informazioni, una possibile misura in questa direzione potrebbe essere un sussidio ai
media "consumisti verdi", come è, in Italia, "La nuova ecologia". Tirole [1988] porta alcuni a
favore di un tale sussidio16.
Riteniamo che la storia del movimento dei consumatori abbia molto da insegnare ai governi
interessati al consumismo verde. Si raccomandano ulteriori indagini in questa direzione.

4.5. Accordi di programma


Per un impresa che voglia costruire un rapporto di fiducia con i consumatori, una strada
possibile è chiedere a organi di governo di controllare la sua performance ambientale. Le
imprese possono firmare accordi in cui si impegnano a migliorarle, in cambio della possibilità
di usare il governo come garante della loro ecocompatibilità. Questi accordi, con il nome di
accordi di programma, sono parte dell'ordinamento italiano, e sono considerati da un numero
crescente di operatori come un utile strumento di politica. Il nuovo piano di smaltimento dei
rifiuti della Regione Lombardia, per esempio, include una serie di accordi con grandi
produttori di rifiuti come alberghi e imprese della grande distribuzione, in cui questi ultimi
accettano di separare alla fonte tutti i loro rifiuti per facilitarne il riciclaggio. Questi accordi
hanno ricevuto una certa attenzione da parte dei media locali, e si pensa che essi servano alla
costruzione della reputazione verde delle imprese interessate [Cantoni, 1993].

16L'idea è che una frazione di consumatori hanno letto "La nuova ecologia", e sanno in
anticipo se un certo prodotto è ecocompatibile o no. L'impresa (monopolistica, per
semplicità) che lo produce deve scegliere se vendere un prodotto inquinante ai soli
consumatori non informati, o se vendere un prodotto "verde" a tutti i consumatori. Deciderà
per questa seconda alternativa se

p − c1 ? (1 − )(p − c0)

dove p è il prezzo del prodotto, c0 e c1 i costi medi di produzione, rispettivamente, del


prodotto inquinante e di quello "verde" e _ è la quota di consumatori informati. Ovviamente,
più _ è alto più è probabile che questa condizione si verifichi. Dunque, i consumatori
informati esercitano un'esternalità positiva, e dovrebbero venire compensati.

27
Su una scala più vasta, nell'autunno del 1991, Fiat ha firmato un accordo con il ministero
dell'ambiente, impegnandosi a spendere 23 miliardi di lire in miglioramenti ambientali. Il
governo italiano ha promesso incentivi sull'acquisto di auto catalizzate, varati qualche mese
dopo. Questa mossa di Fiat potrebbe essere interpretata come un tentativo di ristabilire una
credibilità ambientale da parte di un'impresa per cui la pressione degli ambientalisti sta
diventando un fastidio17.
E' molto difficile trarre conclusioni sull'efficienza allocativa degli accordi di programma.
L'efficienza statica prevista dal teorema di Coase è messa in forse dalle asimmetrie
informative sui costi marginali di abbattimento degli inquinanti; inoltre, una volta raggiunti,
gli accordi rischiano di essere minati da effetti di free-riding se coinvolgono molte imprese.
Come il consumismo verde, dunque, gli accordi di programma sono relativamente immuni da
critiche di fallimento organizzativo; sono invece intrinsecamente soggetti a rischio di
regulatory capture.

4.6. Eco-labelling
Negli schemi di eco-labelling un agenzia, spesso governativa, esegue una valutazione di
impatto ambientale dei prodotti ed assegna un'"etichetta verde" a quelli più rispettosi
dell'ambiente. Questo strumento è intuitivamente attraente, ma in pratica presenta diversi
problemi pratici. L'iter dello schema promosso dall'Unione Europea, approvato ufficialmente
nel dicembre 1991, è molto istruttivo circa la natura di questi problemi.
Il primo problema che si pone a chi confezioni un provvedimento di eco-labelling è la
definizione dei confini dei gruppi di prodotti. Spesso, infatti, prodotti che sono buoni sostituti
l'uno dell'altro differiscono significativamente nel loro grado di compatibilità ambientale.
Quando un pavimento di moquette diventa rifiuto, per esempio, si lascia dietro fibre
sintetiche che devono essere incenerite, procedimento costoso e in molti casi inquinante. Per
contrasto, le piastrelle di ceramica sono semplicemente argilla cotta, chimicamente inerte, e
pongono solo un problema estetico di facile risoluzione. Chiaramente, se i materiali da
pavimentazione sono raggruppati insieme, le ecoetichette verranno assegnate alle piastrelle e
non ale moquettes. Questo stimolerà una concorrenza ambientale tra settori industriali. Se,
viceversa, piastrelle e moquettes sono tenute separate, la concorrenza sarà di tipo
intrasettoriale; i consumatori potranno così distinguere, poniamo, tra piastrelle fatte con

17Il caso Fiat mostra anche i segni di un pesante lobbismo dietro le quinte. L'azienda
si è opposta a lungo all'introduzione dell'obbligo di montare la marmitta catalitica in
Italia, giustificando questa opposizione con il fatto che questo provvedimento avrebbe
favorito la concorrenza europea e danneggiato la bilancia dei pagamenti. Nel 1991,
invece, Fiat era pronta: gli incentivi pubblici diedero il via ad un mini-boom delle auto
catalizzate e Fiat, che aveva costituito ampie scorte, era in condizioni di offrire ai suoi
clienti tempi di attesa più brevi di quelli dei concorrenti. Nonostante questo, crediamo
che l'accordo sia stato anche e soprattutto un segnale ad ambientalisti e consumatori
"verdi".

28
smalti apiombici e piastrelle ordinarie, ma non avranno alcuna informazione sugli impatti
ambientali di soluzioni alternative di pavimentazione.
Assumendo che i prodotti si possano raggruppare in modo sensato, si pone il problema di
scegliere i criteri in base al quale valutarne la performance ambientale. Lo strumento ideale
sarebbe, naturalmente, un'analisi costi-benefici fatta sull'intero ciclo di vita del prodotto;
poiché questa è, naturalmente, una soluzione molto costosa, gli schemi esistenti hanno
operato semplificazione, con risultati a volte paradossali. Per esempio, lo schema tedesco del
Blaue Engel prevede che l'unico criterio di valutazione delle falciatrici e degli aspirapolvere
sia la rumorosità, che ovviamente una proxy non soddisfacente per l'impatto ambientale18.
Una volta trovati, i criteri devono essere "pesati" l'uno nei confronti dell'altro, e si deve
decidere se ad un prodotto che non raggiunge i requisiti richiesti per uno dei criteri si debba
rifiutare l'ecoetichetta, anche se dovesse avere prestazioni eccezionali secondo gli atri criteri.
Questo problema è noto come "ostacoli o decathlon".
Infine, è necessario scegliere una soglia che divida i prodotti "verdi" da quelli che non lo
sono. Nel caso dello schema europeo, l'industria è riuscita ad ottenere un obiettivo non
ufficiale: fissare la soglia in modo che il 10-20% dei prodotti esistenti ottenga l'ecoetichetta.
Si può ragionevolmente concludere che gli schemi di eco-labelling abbiano un problema
intrinseco, quello di comunicare informazioni complesse sull'impatto ambientale dei prodotti
con uno strumento semplice (essenzialmente una variabile binomiale come la presenza o
l'assenza di un'etichetta su di una confezione). La complessità delle decisioni sui criteri di
assegnazione dell'ecoetichetta, d'altra parte, rende questi schemi molto vulnerabili a
regulatory capture19.

4.7. Possibili conseguenze sul commercio internazionale


La libertà del commercio internazionale e la protezione dell'ambiente globale sono,
tradizionalmente, obiettivi in conflitto tra loro. Vietare o tassare i processi produttivi
inquinanti in un paese solo può portare semplicemente allo loro rilocalizzazione in altri paesi

18In altri esempi, le semplificazioni funzionano meglio. Nello schema europeo, le lavatrici e
le lavastoviglie sono valutate sulla base dei consumi d'acqua, di energia e di detersivo. Gli
esperti valutano che questi tre parametri riassumano in se l'impatto ambientale di questo
gruppo di prodotti durante la fase di uso, che rappresenta oltre il 90% del totale dell'impatto
ambientale calcolato sul ciclo di vita.

19Forse l'esempio più appariscente di regulatory capture nello schema europeo si è avuto nel
campo dei detersivi. Nel settembre 1992, venti piccoli produttori guidati dall'impresa
"militante" Ecover, hanno lasciato l'associazione industriale di categoria per costituire la
Environmental Detergent Manufacturers Association (EDMA). Questa scissione, hanno
dichiarato, è da intendersi come un gesto di protesta nei confronti dei grandi produttori, che
starebbero influenzando lo sviluppo dei criteri di assegnazione dell'etichetta, mettendo una
forte enfasi sul packaging e distogliendo l'attenzione dai prodotti stessi.

29
con politiche ambientali meno rigorose. Questa mossa porta allora semplicemente ad una
perdita di competitività del paese "ambientalista", senza riduzioni della quantità totale di
inquinamento. Gli uomini politici dei singoli paesi, in questi casi, hanno di fronte "dilemma
del prigioniero internazionali" [Gatsios e Seabright, 1989]: il dibattito politico su molti temi
ambientali, dalla convenzione sulla biodiversità alla carbon and energy tax dell'Unione
europea, è stato fortemente segnato da questa situazione.
In teoria, una tassa sulle importazioni inquinanti potrebbe risolvere il problema; ma, come è
noto, questo esporrebbe i governi alla tentazione di tassare le importazioni per motivi di
competitività e con il pretesto dell'ambiente. In pratica, potrebbe risultare molto difficile
distinguere le "vere" tariffe ambientali da quelle "false". Per evitare difficili problemi di
diplomazia economica, il GATT vieta le tariffe ambientali di qualsiasi genere. Così, quando
gli ambientalisti americani tentarono di bandire il tonno messicano, pescare il quale comporta
l'uccisione di una grande quantità di delfini, non riuscirono a farlo.
D'altra parte, nulla vieta agli ambientalisti americani di boicottare il tonno messicano, e
perfino di fare pressione sulle imprese di grande distribuzione per annullare i loro contratti
con gli esportatori messicani di pesce. Un'operazione molto simile, tuttora in corso, è stata
organizzata nel 1992 contro i prodotti norvegesi, per protestare contro l'abbattimento, da parte
dei pescatori norvegesi, di un centinaio balene "per scopi scientifici". Gli ambientalisti, in
questo caso, hanno organizzato un boicottaggio di tutti i prodotti norvegesi, ottenendo la
cancellazione di diversi contratti. Il singolo affare più lucroso mandato a monte (5 milioni di
sterline) fu il contratto di fornitura di bastoncini di pesce tra l'impresa di pesca Frioner e
Burger King [Brown, 1993].
Naturalmente, non c'è nulla che il GATT possa fare se i consumatori o i distributori in un
paese rifiutano di comprare prodotti di importazione inquinanti. In questo senso, una politica
ambientale basata sull'informazione ben condotta potrebbe agire come una barriera non
tariffaria al commercio internazionale, portando ad un guadagno, invece che ad una perdita
di competitività del paese in questione.
Forze simili sembrano essere al lavoro nel caso dell'ordinanza sugli imballaggi in Germania.
Il governo tedesco ha introdotto nel 1991 l'obbligo per la distribuzione di ritirare gli
imballaggi vuoti dei beni che vendono e per l'industria di riciclarli, o, in alternativa, di
mettere in piedi un sistema di raccolta e riciclaggio dei materiali da imballaggio. L'industria
tedesca ha scelto l seconda alternativa; i costi di raccolta, selezione e riciclaggio sono ora pre-
pagati ad una società chiamata DSD (Duales System Deutschland): gli imballaggi che fanno
parte di questo sistema sono riconoscibili perché portano il marchio del punto verde.
Naturalmente, è possibile, per ciascun produttore, scegliere di stare fuori dal sistema, purché
accetti di ritirare e riciclare i suoi imballaggi.
La parte della vicenda riconducibile ad una barriera al commercio internazionale è che tutte le
catene di supermercati in Germania rifiutano di distribuire i prodotti che non hanno il punto
verde. Il punto verde deve essere richiesto, e l'imballaggio deve avere certe caratteristiche
tecniche (in modo da essere facile da riciclare) per ottenerlo. Così DSD, che è controllata da
tedeschi, regola, in un senso importante, l'accesso dei prodotti stranieri al mercato tedesco nel
decidere quali standard essi debbano soddisfare per poter competere [Southern, 1993]. E'

30
molto stretta l'analogia di questa vicenda con quella del potente Deutsche Institut für
Normung (DIN), che ammette di avere sempre preso decisioni sugli standards in modo da
rendere più difficile l'accesso al mercato tedesco [Gatsios e Seabright, 1989].

31
CAPITOLO 5
CONCLUSIONI E INDICAZIONI DI LAVORO

5.1. Osservazioni conclusive


L'idea che l'informazione giochi un ruolo importante nella determinazione delle strategie
ambientali delle imprese sembra essere promettente. Se si accetta che tra i consumatori si
formino precetti riguardanti la compatibilità ambientale di certe sostanze e processi di
produzione, perché il consumismo verde funzioni non è più necessario che ciascun
consumatore calcoli l'impatto ambientale dei prodotti che compra: è sufficiente che ne
conosca il contenuto e la tecnologia di produzione. I gruppi ambientalisti stanno sempre di
più raccogliendo e diffondendo questo tipo di informazioni per indurre le imprese ad un
comportamento più rispettoso dell'ambiente. Questa situazione può avere conseguenze sulla
struttura industriale: una, molto importante, è che le imprese che godono di reputazione
ambientalista possono avere alcuni vantaggi sui loro concorrenti che ne sono privi. Questo
implica la possibilità che le imprese più attente all'ambiente siano altrettanto profittevoli, se
non di più, dei loro concorrenti che non lo sono.
In qualche misura, questa intuizione si presta ad una rudimentale formalizzazione. Il modello
sviluppato nel capitolo 3 cattura alcuni degli aspetti di questo processo: l'abbattimento di
emissioni inquinanti come investimento in reputazione verde è certamente il più importante di
essi. D'altra parte, il modello è carente da molti punti di vista: il suo difetto più serio è la sua
incapacità di tenere in considerazione l'interazione oligopolistica.
Se la teoria del consumismo verde dovesse risultare utile per capire il comportamento delle
imprese, e se strumenti analitici adeguati venissero sviluppati per modellarla, ne seguirebbe
che uno dei modi per fare politica ambientale è di raccogliere e far circolare informazioni, e
lasciare poi che le forze di mercato guidino le imprese ad un comportamento più rispettoso
nei riguardi dell'ambiente. Per una serie di ragioni che hanno a che fare con la struttura
industriale e la visibilità delle imprese, è probabilmente da escludere che questo modello di
intervento possa essere applicato a tutti i settori, ma non è irragionevole pensare che possa
essere applicato ad alcuni di essi.

5.2. Indicazioni di lavoro.


Ovviamente c'è molto lavoro da fare se si vuole trasformare la teoria del consumismo verde
in uno strumento utile per gli uomini di governo. Le linee di ricerca più urgenti sembrano
essere quattro.
La prima è lo sviluppo di un modello che tenga in considerazione la concorrenza
oligopolistica. Paba [1989] poggia la sua predizione [non formalizzata, anche se consistente
con i suoi dati empirici] di efficienza di lungo periodo sulla concorrenza per la quota di
mercato tra imprese. Il modello di controllo ottimo presentato nel capitolo 3 può essere esteso
in questa direzione solo a spese di una forte riduzione della sua trattabilità matematica. Un
approccio più interessante, su cui è stato svolto un po' di lavoro preliminare, sembra essere la
costruzione di un gioco in cui le imprese "verdi" competono per la quota di mercato, e allo
stesso tempo il prodotto "verde" compete con la sua controparte non verde. Questo modello
aiuterebbe a capire a quali condizioni nasce la concorrenza sul terreno della protezione
ambientale in un settore; per contrasto, il modello qui sviluppato ritrae un ambiente
stazionario, in cui il prodotto "verde" si è già affermato.
La seconda linea di ricerca riguarda il perfezionamento della gamma di strumenti di policy
presentata al capitolo 4. Un'indagine attenta porterebbe certamente alla luce altri strumenti, e
problemi di realizzazione e requisiti di informazione su quelli presentati. Un approccio
particolarmente promettente sembra essere la ricostruzione della storia del movimento dei
consumatori, e specialmente delle politiche poste in essere dai governi europei per
incoraggiarne lo sviluppo.
La terza riguarda l'aspetto "barriera alle importazioni" della politica ambientale basata
sull'informazione. Se le ragioni della competitività internazionale potessero essere in parte
riconciliate con quelle della difesa dell'ambiente nuovi modi, politicamente più accettabili, di
risolvere vecchi problemi diventerebbero possibili. La strategia dei gruppi ambientalisti e la
loro capacità di costruire alleanze temporanee con imprese, soprattutto di distribuzione,
dovrebbero essere studiate con attenzione.
Infine, occorre fare luce sui casi in cui la risoluzione delle asimmetrie informative non basta,
da sola, a guidare il sistema verso una soluzione efficiente. La teoria dell'organizzazione
industriale è piena di modelli a informazione perfetta che mostrano perdite di welfare di vari
tipi, causate della struttura degli incentivi con cui gli agenti si misurano. Un analisi di questi
casi potrebbe risultare utile all'uomo politico indicandogli situazioni in cui non ci si può
aspettare che la politica ambientale basata sull'informazione funzioni, e consigliandogli un
approccio più convenzionale per intervenire su di essi.

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