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Il giardino senza giardiniere: decentramento editoriale, facilità d'uso e concorrenza nella

crescita di internet
di Mr. Volare (Alberto Cottica) – 3 gennaio 2008
Il rapido sviluppo di internet desta un comprensibile interesse, sia per le sue dimensioni – nel
settembre 2007 si stimavano oltre 1,2 miliardi di utenti; già nel 2005 Kevin Kelly valutava che vi
fossero 600 miliardi di pagine1 – sia perché si presenta come un fenomeno emergente, dietro al
quale non è facile individuare un progetto o uno stratega. In realtà, molte persone che si occupano
di internet professionalmente sostengono che precisamente questa mancanza di controllo centrale
sia stato un fattore assai potente del processo di crescita della rete delle reti. Nel resto di questo
saggio cercheremo di ricostruire i meccanismi con cui questo sarebbe avvenuto. Prima, però, sono
necessarie due avvertenze:
1. Non è esatto dire che internet non ha un governo. Esiste una struttura di governance di
internet, evoluta a partire dal programma ARPANET negli anni 60 e “risistemata” dopo il
1995 quando il governo USA trasferisce la titolarità della gestione della rete a una serie di
organizzazioni indipendenti: la Internet Society, la Internet Architecture Board, la Internet
Engineering Task Force, Internet Research Task Force, ICANN, IANA etc. Ciò che è
sostanzialmente esatto dire è che tutte queste organizzazioni non hanno alcun piano
rispetto al ruolo di internet nella società e nell'economia moderna: semplicemente non si
pongono il problema. Formalmente si limitano a fare funzionare il sistema, a gestire
l'assegnazione degli indirizzi IP, a fornire standards nella forma di consigli tecnici. Esse,
però, hanno giocato un ruolo politico essenziale nel difendere la rete da approcci troppo
orientati al business, come vedremo più avanti.
2. La crescita di internet è tutt'altro che un fenomeno unitario. In generale, si può dire che
internet nasce nel 1990, dalla connessione tra tre reti: NSFNET, discendente della prima
ARPANET (che funzionava dal 1969 e ha dato all'odierna internet buona parte della sua
peculiare cultura) e altre due reti accademiche, una in nord America e l'altra in Europa. Nei
primi anni (1990-1993) l'applicazione trainante della crescita di internet è stata la posta
elettronica. Subito dopo si è avuta l'esplosione del web, e cioè della navigazione
ipertestuale: può essere convenzionalmente fatta iniziare nel 1993, con l'invenzione del
moderno browser punta-e-clicca, ed è durata per tutti gli anni 90. A partire più o meno dal
1997 le imprese, soprattutto americane, hanno cominciato a concepire internet come un
luogo chiave per la crescita dei rispettivi business, il che ha portato al boom della New
Economy con i suoi eccessi finanziari. Dal 2003 circa (nascita di del.icio.us), infine, è
cominciata una nuova ondata di espansione di internet, legata al cosiddetto web 2.0.
Esistono importanti differenze sociali ed economiche tra le diverse ondate, che consigliano
di prendere qualunque “teoria sulla crescita di internet” con qualche cautela.
Internet, dunque, è cresciuta con una rapidità spettacolare e in un modo assolutamente
decentrato. Il carburante di questa crescita, quindi, è stata la volontà di partecipare alle attività in
rete di singole persone e imprese: alcune migliaia all'inizio, alcune centinaio di milioni oggi. Queste
persone si sono messe in rete perché, semplicemente, hanno trovato utile e affascinante farlo.
Ondata, dopo ondata, internet ha reso disponibili servizi in grado di interessare sempre nuovi strati
di popolazione: dalla posta elettronica al web 1.0, dalla ricerca di informazioni allo shopping online,
dalle reti di file sharing agli odierni social network. Quasi tutti questi servizi hanno a che fare con la
connessione tra persone: in effetti è questo che internet fa, connette gente, non computers.
L'impulso primario dell'homo sapiens a connettersi – che ha anche una dimensione di efficienza
economica, nel senso che lavorare in rete consente un coordinamento molto più stretto tra
persone fisicamente lontane e un accesso “celestiale” alla conoscenza – è stato rinforzato da una
caratteristica comune a tutte le reti: il loro valore cresce in modo più che proporzionale al numero
dei loro nodi. E' la legge di Metcalfe: un singolo telefono non serve a nulla; due telefoni consentono
un solo collegamento; ma se tutti hanno il telefono la rete telefonica diventa molto, molto utile.
Quindi: internet è cresciuta su centinaia di milioni di decisioni di connettersi, basate sulla
disponibilità di informazioni e servizi che i singoli individui hanno trovato utili e rinforzate dalla
legge di Metcalfe, per cui ogni persona, connettendosi, aggiunge valore per le altre persone

1 Incluse quelle generate dinamicamente.


http://www.wired.com/wired/archive/13.08/tech.html?pg=2&topic=tech&topic_set=
connesse.
Impulso a connettersi a partire dalla disponibilità di servizi e legge di Metcalfe valgono per molte
reti, non solo per internet. Ciò che contraddistingue la crescita di internet è la grande quantità di
servizi e informazioni resi disponibili in breve tempo. Ciò è stato possibile grazie a una
decentralizzazione spinta delle decisioni: per esempio, America Online poteva costruire un
pacchetto d'offerta connessione/indirizzo email/portale in modo totalmente indipendente dalla
decisione di Yahoo! di lanciare un motore di ricerca. Ciò che ha consentito a un numero molto alto
di soggetti di “costruire qualcosa in rete”, lanciando il proprio sito web e causando il Big Bang di
metà anni 90, è stato un approccio molto aperto alla tecnologia, vissuta come enabler e non come
gabbia. Per cominciare, il linguaggio in cui è scritto il codice delle pagine web, HTML, consente di
controllare l'aspetto della pagina stessa, in modo del tutto indipendente dal browser con cui la si
visualizza. Questo rappresenta un salto logico rispetto al software del tempo (1993), in cui gran
parte dell'aspetto, per esempio, di un file Word una volta aperto era codificato in Word. Ha avuto
l'effetto di decentrare le decisioni sul look and feel del primo web a un gran numero di web
designers indipendenti, e spesso dilettanti, dando a ciascuno di loro il controllo totale sull'aspetto
della pagina che progettava. Questo approccio così aperto è uno dei punti più delicati dell'intera
discussione: ne riparleremo.
HTML è un linguaggio piuttosto semplice (Clay Shirky lo chiama babyish, infantile”); inoltre tutti i
browsers fin dal primissimo hanno mantenuto una funzione che consente di visualizzare il codice
sorgente della pagina su cui si sta navigando. Questo, naturalmente, ha avuto l'effetto di appiattire
ulteriormente la curva di apprendimento di HTML, trasformando legioni di grafici in web designers:
bastava visualizzare il codice sorgente di una pagina che andava più o meno bene, copiare il
codice sorgente, incollarlo su un nuovo file e usare un semplice editore di testi per apportare le
modifiche volute. Disegnare una pagina web è quindi coding, programmazione di software, ma è
un coding alla portata dei non specialisti. Già a metà anni 90, oltre alla posta elettronica, era
disponibile una forma di partecipazione attiva al neonato web a chiunque avesse un minimo di
tempo e buona volontà.
Nel frattempo si va delineando una caratteristica molto importante dell'umanità connessa: i
meccanismi di concorrenza si intensificano molto. Quando una pagina è cool fa rapidamente il giro
della rete, e in un ipertesto ogni cosa è just a click away: quindi, anche se le pagine sono tante e,
in assenza di una redazione centrale molte sono piene di “brutte foto di gatti”2, è chiaro a tutti quali
sono le pagine da frequentare, e legioni di web designers accedono al suo codice sorgente. La
concorrenza tra siti funziona così bene che, nel 1995, l'1% di essi attira il 70% del traffico in rete.
La ricetta per la crescita del web primi anni 90, quindi, è composta di tre elementi: l'impulso umano
a stare in contatto con i propri simili; una tecnologia accessibile ai non specialisti; e meccanismi di
concorrenza efficienti, che premiano e diffondono le innovazioni di successo. Gli stessi elementi,
ulteriormente accentuati, si trovano nell'altra e più recente ondata di espansione di internet, quella
del web 2.0. Le piattaforme del web sociale come Myspace fanno esplicitamente leva sulla
propensione universale a connettersi e a condividere; abilitano i loro utenti a creare e condividere
contenuto, senza che questo richieda neppure una conoscenza superficiale di HTML o di
qualunque altro linguaggio; e sono esplicitamente competitive, introducendo misure della
popolarità dei contenuti creati (numero di amici, visualizzazioni del profilo ecc.). Risultato, un
ulteriore allargamento della base di creazione di contenuti di internet. Lanciata nel 2003, Myspace
dichiarava oltre 300 milioni di utenti registrati a dicembre 2007: quasi un quarto della popolazione
totale della rete. Naturalmente molti di loro caricano ancora brutte foto di gatti, ma nella marea di
terabyte di dati caricata ogni giorno si trovano anche molte gemme, soprattutto in ambito musicale,
e sono queste ad attirare la maggior parte del traffico.
I dati disponibili oggi indicano che questo processo continua, e continua a radicalizzarsi.
L'esplosione della blogosfera avvenuta negli ultimi anni va nella stessa direzione: i blog sono ormai
legione (112 milioni quelli registrati su Technorati a dicembre 2007). Girano su piattaforme
semplicissime da usare; trattano di qualunque argomento che almeno una persona giudichi
abbastanza meritevole di attenzione da dedicarvi un po' di tempo, senza l'ombra di un
coordinamento centrale; propagano viralmente i contributi migliori, rafforzando la reputazione della
persona che li ha proposti; si avvalgono di una batteria di misurazioni che aiuta a farsi un'idea
dell'autorevolezza dei singoli bloggers e quindi rafforza il meccanismo di concorrenza tra blog. Lo

2 L'espressione è ancora di Clay Shirky: http://www.shirky.com/writings/view_source.html


“spacchettamento” tra piattaforme e contenuto è sempre più accentuato: per esempio, grazie alla
natura open source della maggior parte del software è stato semplice scrivere e rendere
disponibili (e gratuiti) programmi che consentono di spostare il contenuto del proprio blog da una
piattaforma di blogging a un'altra. Un processo simile è la creazione di applicazioni sociali (per
esempio: per la condivisione dei film preferiti) spostabili da una rete sociale all'altra: di questo si
interessa il progetto Open Social di Google, che unisce piattaforme come Friendster, hi5, LinkedIn,
MySpace, Ning, Salesforce.com, e molte altre.
Uno dei fattori abilitanti di questa continua crescita, l'approccio di “aprire il cofano” del software di
internet per svelare a tutti il funzionamento del suo motore (in informatica questo approccio si
chiama open source) merita un approfondimento. Dopotutto si tratta di un'anomalia storica: il
software più diffuso negli anni 80 e 90 veniva venduto in forma di applicazioni eseguibili, con il
cofano ben sigillato e protetto da copyright. Nessun programmatore al di fuori dell'azienda che lo
produceva aveva accesso al codice sorgente. L'esempio più noto e di maggior successo di questo
approccio proprietario e riservato al software è naturalmente Microsoft. La scelta di Tim Berners-
Lee e Marc Andreesen, autori dei primi browsers, di consentire l'accesso al codice sorgente delle
pagine sembra dissonante rispetto alla cultura informatica dominante dell'epoca, ma è coerente
rispetto alla cultura che la neonata internet ereditava da ARPANET; un villaggio globale popolato di
qualche migliaio di accademici e hackers, buoni conoscitori delle tecnologie rilevanti. In questo
contesto sociale di “nessuno spettatore, tutti partecipanti” progettare applicazioni chiuse sarebbe
sembrato strano, se non addirittura offensivo nei confronti degli altri coders. Inoltre, si trattava di un
contesto rigorosamente non commerciale: fino al 1991 fare affari in internet era strettamente
vietato, e ancora nel 1995 le regole vigenti favorivano le istituzioni pubbliche come le università e
ne vietavano l'uso commerciale “intensivo”3.
Nonostante la colonizzazione di internet da parte di fiorenti attività for profit, la cultura open source
dei primi hackers è ancora vitale, e anzi ha segnato parecchi punti a suo favore a partire dagli anni
90. Anche la struttura di governance della rete ha tenuto, resistendo alle spinte del business per la
creazione di una “super-rete” in cui dare priorità al traffico su contenuti a pagamento. E' ancora
molto alto il prestigio della geek élite associata alla creazione della prima internet: nomi come
Berners-Lee, Kelly, O'Leary e Andreesen sono estremamente autorevoli. Per un osservatore
italiano, la situazione può ricordare l'Italia dell'immediato dopoguerra, dove una classe dirigente
formatasi nella Resistenza antifascista godeva di grande prestigio ed era in grado di indirizzare lo
sviluppo del paese. Vi sono, quindi, i presupposti per una prosecuzione della crescita di internet
anche nei prossimi anni, anche se sarà interessante vedere cosa succederà quando i padri
fondatori si saranno fatti da parte e i figli della bolla speculativa della new economy del 1999 li
avranno sostituiti sul ponte di comando.

3 http://www.wired.com/wired/archive/13.08/tech.html?pg=2&topic=tech&topic_set=

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