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PROCEDIMENTI SPECIALI SOMMARI

Sono procedimenti che svolgono la stessa funzione del processo ordinario di cognizione, sono cioè
volti a stabilire se la pretesa dell’attore è fondata o meno. Si concludono con un provvedimento
definitivo idoneo a rimuovere per il futuro il dubbio sul rapporto giuridico controverso. Sono
caratterizzati dal fatto che in essi la cognizione, almeno nella fase iniziale, è sommaria
(superficiale, quando sono utilizzabili solo alcuni mezzi di prova,di solito quelli di più facile
acquisizione o parziale, si svolge solo su determinati elementi della fattispecie,ad es solo sui fatti
costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, come accade nella sentenza di condanna con riserva
delle eccezioni), o dal fatto che riguardano speciali situazioni sostanziali. La funzione dei tre
procedimenti (D.I., CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO e IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI
COGNIZIONE, hanno come funzione non quella di formare un semplice titolo esecutivo, ma di
semplificare la fase di cognizione del giudice e di arrivare in tempi brevi ad un provvedimento
equivalente alla sentenza, nella ipotesi in cui vi è motivo di ritenere che la controparte non farà
uso del suo diritto di pretendere una cognizione piena, infatti se è prevedibile che la controparte
richieda la cognizione piena, è inutile ricorrere al procedimento speciale, perché si andrebbe
incontro solo ad una perdita di tempo.

Decreto ingiuntivo ( D. I.)

Art 633 c.p.c.: è un processo cognitivo volto a stabilire se la pretesa dell’attore è fondata o no. È
un procedimento a cognizione sommaria in quanto il giudice raggiunge il suo convincimento con
cognizione sommaria parziale, il provvedimento, cioè, viene pronunciato sulla base della ragioni
addotte esclusivamente dall’attore (in AUDITA ALTERA PARTE). Non c’è l’instaurazione
dell’contraddittorio e il giudice pronuncia il D. I. di condanna della controparte senza che la
controparte sia stata messa in grado di difendersi.
PROCEDIMENTO MOLTO UTILIZZATO PER LA SNELLEZZA E CELERITA’.
È un procedimento INCIDENTALE SOMMARIO caratterizzato da due fasi, una fase RESCISSORIA a
cognizione sommaria, che consta della proposizione del RICORSO dell’attore e della pronuncia del
DECRETO in audita altera parte, un’altra fase EVENTUALE che si ha solo quando la controparte
decide di fare OPPOSIZIONE. Se il convenuto decide di opporsi al decreto si apre questa seconda
ed eventuale fase che segue il rito del processo ordinario di cognizione (con tutte le garanzie del
giusto processo). Se la controparte non si oppone il D. I. diventa definitivo e il procedimento si
esaurisce solo nella fase sommaria. La FUNZIONE
di questo procedimento è quella di evitare i costi di un processo a cognizione piena, quando il
processo a cognizione piena non è giustificato da un’effettiva contestazione da parte del
convenuto. Da sottolineare che questi procedimenti speciali a cognizione sommaria sono anche
chiamati PROCEDIMENTI MONITORI che si distinguono in due categorie:
1) MONITORI PURI: caratterizzati dal fatto che la domanda è fondata su fatti costitutivi che sono
meramente affermati dall’attore, ma non si prova in alcun modo la sussistenza del fatto, dunque,
si limita solo a dichiarare la sussistenza dei fatti costitutivi. Il giudice legge il ricorso, si convince
che i fatti affermati dall’attore costituiscono un diritto e concede il provvedimento.
2) MONITORI SPURI O DOCUMENTALI: l’attore deve provare con documenti i fatti costitutivi
affermati. Il giudice concede il provvedimento se esiste il diritto vantato dall’attore dopo la
verifica delle prove documentali. Il procedimento di ingiunzione sommario è un PROCEDIMENTO
MONITORIO e appartiene ad entrambe le categorie di monitori puri e spuri.
CODIZIONI DI AMMISSIBILITÀ DEL PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE(ART 633 ss).
La prima condizione riguarda la natura del diritto che si può tutelare con le forme del
procedimento di ingiunzione. Si possono tutelare diritti di credito.
La seconda condizione riguarda l’oggetto del credito: somma liquida di denaro(cioè determinata o
determinabile), quantità di cose fungibili con valore di mercato(cioè cose per cui un elemento è
equivalente ad un altro), consegna di cosa mobile determinata. Restano escluse le prestazione di
fare o non fare, i crediti aventi ad oggetto una quantità indeterminata di somme di denaro, etc.
La terza condizione riguarda la prova su cui il diritto si fonda: di ogni diritto deve essere data la
prova scritta (monitori documentali spuri). Cosa si intende per prova scritta? Nell’ ambito del
procedimento di ingiunzione è idoneo a costituire prova scritta un atto che non sarebbe idoneo a
costituire prova scritta nell’ambito del processo ordinario. C’è un concetto di prova più elastico.
Es: SCRITTURE PRIVATE, nel processo ordinario di cognizione costituiscono prova scritta solo se ne
è certa la provenienza, viceversa, nel processo sommario costituiscono prove anche se non è
certa la provenienza. Es: SCRITTURE CONTABILI, nel processo ordinario di cognizione se la
controversia è tra imprenditore e non imprenditore, le scritture contabili possono costituire prova
solo contro l’imprenditore, viceversa, nel processo sommario le scritture contabili costituiscono
prove sia a favore che contro l’attore. ART 633 n. 2 e 3: queste sono ipotesi che corrispondono a
un modello monitorio puro, perché non è richiesta al ricorrente la prova documentale dei fatti.
Quali sono le ipotesi? La prima ipotesi concerne crediti riguardanti oneri o rimborsi di soggetti che
hanno prestato la propria attività nell’ambito di un processo, ad esempio gli avvocati. La seconda
ipotesi concerne i crediti di tutti gli altri professionisti, cioè i crediti per le prestazione di
professionisti iscritti in appositi albi professionali. In queste IPOTESI, si parla di monitori puri
perché il professionista deve solo produrre la PARCELLA in cui dice che egli ha diritto ad un TOT.
di credito per l’attività svolta. Allora altro quesito è: ma se deve esser prodotta la PARCELLA,
perché si parla di monitori puri? Perché la PARCELLA non è una prova, ma solo una dichiarazione a
proprio favore. ART 633 n. 1(monitori spuri), ART 633 n. 2 e 3(monitori puri perché l’istante non
deve provare i fatti costitutivi del diritto). Il D. I. può essere ottenuto anche sulla base di un titolo
di credito( cambiale o assegno) questo perché il D. I. offre maggiori garanzie rispetto ad un
semplice titolo di credito.
Altra condizione di ammissibilità prevista dall’ART 633 c. 2 è: d.lgs n.23 del 2002, il D.I. può essere
notificato all’estero, prima il secondo comma prevedeva una limitazione.

STRUTTURA PROCEDIMENTO

È una struttura complessa caratterizzata dalla fase sommaria necessaria in AUDITA ALTERA
PARTE(assenza del contraddittorio tra le parti) e una seconda fase a cognizione piena eventuale
che si realizza solo sulla base della volontà del soggetto debitore.
PRIMA FASE: Il giudice competente è quello competente in via ordinaria. La domanda ha la forma
del RICORSO(deve contenere l’indicazione del giudice, delle parti, del credito, il conferimento
della procura legale e le indicazioni della prova nel caso di procedimenti monitori documentali).
Con il RICORSO il giudice deve verificare l’esistenza dei presupposti processuali e la fondatezza
della proposta del credito avanzata dall’attore. I presupposti processuali possono essere generali,
e sono le condizioni che devono o non devono esistere affinchè il giudice possa decidere nel
merito la causa, ed attengono al giudice(competenza e giurisdizione), alle parti(interesse ad agire
etc), all’oggetto della causa, e speciali che riguardano il procedimento di ingiunzione, sono cioè le
condizioni di ammissibilità come ad esempio la NATURA DEL DIRITTO che deve esser un diritto di
credito, etc. 1)Se giudice rileva la carenza di un presupposto processuale sanabile, ci sarà un
meccanismo di sanatoria, e se la parte non ottempera il giudice rigetta il ricorso con decreto
motivato. 2)Se il giudice rileva la carenza di un presupposto processuale non sanabile, se ad
esempio oggetto della domanda non è un diritto di credito, in questi casi il giudice rigetta subito il
ricorso con decreto motivato. Quando il giudice rigetta il D.I., il rigetto comunque non preclude la
possibilità di riproporre la stessa domanda vuoi secondo le vie del processo di ingiunzione, vuoi
secondo le vie del processo ordinario. 3) Il giudice passa all’esame nel merito quando accerta
l’esistenza di tutti i presupposti processuali. Il giudice si deve convincere che tutti i fatti costitutivi
del diritto esistono. Se il giudice ritiene che non tutti i fatti costitutivi esistono, allora pronuncerà
un decreto motivato di rigetto del ricorso. CARATTERISTICA DEL DECRETO DI RIGETTO DEL
RICORSO è che non preclude la possibilità di riproporre la stessa domanda.
Quando il giudice accerta l’esistenza di tutti i presupposti processuali generali o speciali emette il
D.I.(con cui ingiunge all’altra parte di pagare la cosa o quantità di cose richieste,nel termine di
40gg dalla notifica, con l’avvertimento che in questo termine può essere fatta opposizione e in
mancanza si procede ad esecuzione forzata) che viene inscritto in calce al ricorso. Dalla pronuncia
del ricorso il ricorrente ha 60gg di tempo per notificare il ricorso e il D.I. al debitore(questa
notificazione è necessaria per l’instaurazione del contraddittorio e la litispendenza). Fino alla
notifica il debitore, in teoria, non sa nulla. Ma nella pratica può succedere che il debitore per vie
traverse ne è venuto a conoscenza e presenta al giudice nel rito ordinario una domanda di
accertamento negativo del credito(art 36), cioè chiede che sia accertata l’inesistenza del credito
che TIZIO vanta nei suoi confronti. Il debitore gioca d’attacco, e con questa mossa il debito resi
sceglie il giudice e vincola il creditore che si vedrà spostata la causa di fronte al giudice
dell’accertamento negativo del credito. Per ovviare a questo problema la Cass. Ha detto: è vero
che la litispendenza del procedimento di ingiunzione si verifica con la notifica del D.I., tuttavia,
però, gli effetti della litispendenza retroagiscono EX TUNC al momento del deposito del ricorso. La
pendenza del processo ingiuntivo diventa così una fattispecie progressiva.
ART 644 c.p.c. e 188 disposizioni attuative: se il creditore lascia trascorrere il termine senza
notifica e ricorso e decreto, il debitore che in qualche modo ha conosciuto della pendenza del
procedimento ingiuntivo, può chiedere con ricorso al giudice di dichiarare l’inefficacia del D.I.. Se
invece si ha una notificazione tardiva, senza che il debitore ha chiesto di dichiarare l’inefficacia del
D.I., in questo caso il giudice non può d’ufficio dichiarare la inefficacia del D.I. perché può esser
rilevata solo su istanza di parte, cioè del debitore.
PROBLEMA: che accade a questo D.I. se decorsi 40gg dalla notifica il debitore non propone
opposizione? Il D.I. divenuto esecutivo, definitivo perché non opposto che efficacia ha? È un tema
molto discusso in dottrina e giurisprudenza, il legislatore dice che il D.I. non opposto ha solo
efficacia esecutiva, la dottrina è divisa, una parte (BOVE) ritiene che il D.I. non opposto ha efficacia
esecutiva e di accertamento, cioè efficacia pro-iudicato, cioè di giudicato minore perché è un
provvedimento sommario pronunciato in AUDITA ALTERA PARTE. Altra dottrina riconosce al D.I
non opposto l’idoneità al giudicato, cioè efficacia sia esecutiva che di giudicato.
Vi sono ipotesi particolari in cui il D.I. può acquistare efficacia esecutiva prima che sia decorso il
termine per opporsi di 40gg. Ipotesi contemplata dall’ART 642: 3) fattispecie di efficacia
esecutiva anticipata, è necessaria l’istanza di parte, cioè del creditore.
PRIMA FATTISPECIE: quando il D.I. è pronunciato sulla base di una prova scritta particolarmente
qualificata, MONITORIO DOCUMENTALE. Ad esempio quando il titolo di credito è basato su una
cambiale o assegno, etc. In questi casi il giudice ha il dovere di concedere efficacia esecutiva
anticipata al D.I.. SECONDA FATTISPECIE: creditore afferma che sussiste un grave pregiudizio sul
ritardo. La RATIO è cautelare. TERZA FATTISPACIE: quando il ricorrente produce documentazione
sottoscritta del debitore che prova l’esistenza del diritto di credito. Es: Promessa di pagamento.
Negli ultimi due casi il giudice può discrezionalmente concedere efficacia esecutiva anticipata al
D.I., così come può imporre al creditore il pagamento di una cauzione. In dottrina si discute molto
sulla efficacia anticipata del D.I., perché comunque il debitore non è così posto in grado di
difendersi, però l’art 649 prevede che nella fase di opposizione, sempre che il debitore si oppone,
può chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva del D.I. che il giudice concede se sussistono
gravi motivi. Il D.I. acquista efficacia esecutiva trascorsi 40gg dalla notifica e se non è stata
presentata opposizione. Il D.I. ha solo efficacia ESECUTIVA o anche di ACCERTMENTO????

PRIMA TESI: più lontana nel tempo e sostenuta da BOVE, l’efficacia del D.I. non opposto non può
esser uguale a quella della SENTENZA definitiva di un processo ordinario passata in giudicato, cioè
l’efficacia del D.I. è minore. È una efficacia pro iudicato,ossia si accerta l’esistenza del diritto di
credito e il pagamento di una somma di denaro e preclude l’azione futura di ripetizione delle
somme di cui è ingiunto il pagamento. L’efficacia pro iudicato si limita ad accertare l’esistenza del
diritto di credito ma è priva di due condizioni del giudicato sostanziale, cioè è priva dell’estensione
dell’accertamento al cd. antecedente logico necessario (il giudice deve accertare i fatti costitutivi
del diritto fatto valere in giudizio, quando tra questi fatti vi sono elementi che non sono meri fatti
ma autonomi effetti giuridici il giudice deve conoscere tutte le questioni necessarie per decidere
sull’oggetto domanda. Il giudicato sostanziale accerta il diritto oggetto della domanda, il diritto
oggetto del processo e il diritto oggetto della decisione, non riguarda normalmente le questioni
risolte dal giudice per decidere sul diritto fatto valere. Quando però, tra le questioni emerse, vi è
anche una questione cd. pregiudiziale attinente ad un elemento che è una situazione giuridica
sostanziale, che potrebbe essere oggetto di autonomo processo, è possibile che il giudicato
riguardi anche questa situazione sostanziale. Se si tratta di pregiudizialità in senso tecnico, cioè
diritto pregiudiziale e diritto dipendente sono connessi ma autonomi in quanto l’esistenza del
diritto pregiudiziale non comporta la nascita necessariamente del diritto dipendente, quindi
quando il nesso pregiudizialità – dipendenza sussiste tra due situazioni giuridiche del tutto
diverse, che attribuiscono ai singoli diversi beni della vita, in questo caso il giudice accerta con
efficacia di giudicato anche il diritto pregiudiziale solo se ciò è imposta da norme di legge o da
domanda di parte. Se si tratta di pregiudizialità in senso logico, quando cioè da un rapporto
giuridico fondamentale scaturiscono diversi effetti giuridici, cioè diritti(es contratto di lavoro
subordinato e i singoli effetti che da esso scaturiscono, retribuzione, diritto alle ferie etc), qui la
situazione pregiudiziale è condizione necessaria e sufficiente per la nascita di effetti giuridici, in
questo caso la sentenza che accerta l’esistenza dell’effetto giuridico, accerta anche l’esistenza
della situazione madre, cioè del diritto pregiudiziale). Il D.I. non opposto limita l’accertamento
del diritto dedotto in giudizio e non si estende al rapporto pregiudiziale in senso logico. Altra
caratteristica è che il D.I. non opposto è privo del cd. effetto positivo del giudicato, cioè
dell’efficacia riflessa del giudicato sui rapporti dipendenti da quello dedotto in giudizio. RATIO di
questa interpretazione: perché efficacia minore del D.I.? Perché un
procedimento sommario, pronunciato in audita altera parte, cioè in assenza di contraddittorio,
non può essere in grado di fornire quell’accertamento definitivo granitico(cioè stabile, solido)
proprio del giudicato. Perché nel D.I. non sono esplicate tutte le garanzie del GIUSTO PROCESSO.
SECONDA TESI (preminente in giurisprudenza): maggioritaria in dottrina (PROF. LUISO), il D.I. non
opposto ha efficacia di accertamento analoga al giudicato sostanziale. Le ragioni a sostegno di
questa impostazione sono di carattere esegetico(cioè dalla lettura della normativa), la dottrina
ragiona sulle disposizioni della normazione del D.I..

ART. 656: impugnazioni esperibili contro il D.I. non opposto sono la revocazione nei casi indicati
dall’art 395 n. 1,2,5,6 e l’opposizione di terzo nei casi previsti dall’art 404 c.2 .

ART.404 C.2: opposizione di terzo revocatoria, quando la sentenza è impugnata non da una delle
parti, ma da un soggetto III°(soggetto estraneo al processo che non subisce gli effetti della
sentenza pronunciata tra le parti, ma in qualche modo può subire pregiudizio). Chi sono i terzi?
Creditori di una delle parti o gli aventi causa. L’avente causa è un soggetto terzo che subisce
l’effetto della sentenza perché non è un III° indifferente, ma è titolare di un diritto dipendente da
quello oggetto della precedente sentenza passata in giudicato (es sentenza statuisce sull’esistenza
del diritto di locazione, gli effetti si estendono anche al sublocatario, se non c’è locazione non può
esserci neanche sublocazione). Quindi la sentenza ha un effetto riflesso. Quindi abbiamo una
estensione dell’efficacia di accertamento anche ai diritti dipendenti da quello oggetto del
giudizio .

ART. 656: revocazione ordinaria di cui all’art. 395 n.5: ipotesi di impugnare una sentenza quando
la stessa è contraria ad altra precedente sentenza pronunciata tra le stesse parti avente autorità
di cosa giudicata. Se il D.I. non opposto è impugnabile ai sensi dell’art 395 n.5 può essergli estesa
la RATIO che il legislatore non ammette la pronuncia di un D.I. quando tra le stesse parti è già
stata pronunciata una sentenza passata in giudicato. Opera il NE BIS IN IDEM.
Le altre ragioni a sostegno di tale tesi sono di carattere sistematico(ricavabili dai principi che
regolano il processo civile). È vero che il provvedimento è pronunciato in AUDITA ALTERA PARTE,
ma è vero anche che il procedimento consta di due fasi, una necessaria a cognizione sommaria e
una eventuale a cognizione piena, quindi è prevista la possibilità di instaurare il contraddittorio
tra le parti. Se il debitore non si oppone, il D.I. può avere efficacia di giudicato perché è come se vi
fosse stata cognizione piena. Le garanzie del giusto processo ci sono anche se strutturate in modo
diverso dal processo ordinario e rimesse alla volontà della parte che ne beneficia, cioè il debitore.
Inoltre chi è favorevole all’estensione del giudicato all’antecedente logico necessario lo fa con un
ragionamento che è fondato sui nessi sostanziali tra situazioni giuridiche, non ci sono norme,
quindi se questa è la RATI O è una RATO che può applicarsi anche al D.I.. Il D.I. non opposto
acquista efficacia esecutiva e anche di accertamento uguale al giudicato.
Sent. Cass. Sezioni Unite 2006: statuisce che il D.I. accoglie solo parte del ricorso, è un
provvedimento di accoglimento parziale. Se D.I. non è opposto il giudicato si forma solo in
relazione alla parte della domanda originale che è stata accolta, quindi non si forma in relazione
alla domanda o capi di domanda non accolti dal D.I.. La parte non accolta può essere, quindi,
oggetto di nuovo accertamento.

FASE DI OPPOSIZIONE

Se nel termine di 40gg dalla notifica del D.I. il debitore si oppone,cosa accade?
Il giudice competente è lo stesso ufficio giudiziario a cui appartiene il giudice che ha emesso il D.I..
Che forma deve avere l’atto di opposizione? La forma dell’atto di citazione che deve esser
notificato al ricorrente. Dopo l’atto di opposizione il procedimento si converte in un processo a
cognizione piena, secondo un rito che si svolge dinanzi al giudice adito(es. cause del lavoro,
competente giudice del lavoro). L’atto di opposizione potrebbe somigliare ad un atto di
impugnazione, l’appello, però la fase di opposizione al D.I. costituisce un giudizio di primo grado
che ha per oggetto la situazione sostanziale fatta valere dal nel ricorso originale, presentato dal
creditore per ottenere il D.I., e questa fase si concluderà con una sentenza soggetta alle normali
impugnazioni. Vi è però una particolarità: nella fase di opposizione, chi propone la domanda è il
debitore ingiunto e colui verso il quale si fa opposizione è il creditore ricorrente, c’è in pratica una
inversione della iniziativa processuale, da non confondere con la inversione dell’onere della
prova, per quest’ultima non si ha. ART 2697( chi fa valere un diritto in giudizio deve provare i fatti,
quindi il creditore deve provare i fatti costitutivi del diritto e il debitore i fatto modificativi,
impeditivi, estintivi). Abbiamo un’inversione dell’iniziativa processuale ma non dell’onere della
prova. L’estinzione del giudizio nella fase di opposizione comporta che il D.I. acquista efficacia
esecutiva, cioè efficacia di giudicato in ordine al diritto di credito. L’atto di opposizione peraltro
può contendere la proposizione di una domanda riconvenzionale (massima attività difensiva che
può esplicare il convenuto). L’atto di opposizione è il primo atto difensivo del debitore ingiunto.
Il creditore non può proporre domanda riconvenzionale perché non è convenuto, ma
sostanzialmente è l’attore. Solo se il debitore propone domanda riconvenzionale nell’atto di
opposizione, allora anche il creditore può proporre domanda riconvenzionale. Formalmente nella
fase di opposizione il debitore è attore e il creditore convenuto, ma sostanzialmente il debitore è
convenuto e il creditore attore.
ART 650: opposizione tardiva, non è stata fatta opposizione entro 40gg dalla notifica, il D.I. è
divenuto esecutivo, però il legislatore ammette la possibilità per il debitore di proporre
opposizione tardiva quando il debitore dimostri di non aver avuto conoscenza tempestiva del
decreto per irregolarità della notifica, per caso fortuito o forza maggiore, oppure dimostra che pur
avendo avuto tempestiva conoscenza del D.I. non è stato in grado di fare opposizione tempestiva
per caso fortuito o forza maggiore.
ART 648: esecuzione provvisoria n pendenza di opposizione, caso in cui viene fatta opposizione,
ma è fatta possibilità al creditore di domandare l’efficacia esecutiva provvisoria del D.I..
PRIMO CASO: opposizione non fondata su prova scritta o di pronta soluzione, l’opponente cerca
di dimostrare l’inesistenza del credito sulla base di fatti modificativi, impeditivi, estintivi. Dove è
necessaria una maggiore prova il creditore può chiedere l’efficacia provvisoria del D.I.
SECONDO CASO: se il creditore offre cauzione per l’ammontare del credito, garantisce il debitore
che riavrà indietro quanto pagato se il suo diritto(del creditore) è inesistente.
ART 697: provvedimenti in casi di eccezionale urgenza.
Il provvedimento che accoglie la domanda di efficacia esecutiva provvisoria del D.I. ha la forma di
una ORDINANZA non impugnabile. Può essere richiesta e concessa la sospensione dell’efficacia
provvisoria del D.I. concessa ai sensi ART 642. Nella fase di opposizione può essere chiesta la
sospensione della efficacia esecutiva del D.I., devono sussistere gravi motivi e se viene concessa
la sospensione opera EX NUNC, dal momento in cui si ha la sospensione, rimangono fermi gli atti
esecutivi compiuti dal creditore in precedenza e l’ipoteca giudiziale che il creditore aveva iscritto
sui beni del debitore. Il procedimento si chiude con la pronuncia di una sentenza che definisce la
fase a cognizione piena e si sostituisce al D.I.
La sentenza di opposizione può essere di rigetto o di accoglimento:
SENTENZA DI RIGETTO DELL’OPPOSIZIONE: Il debitore ha torto, il credito che il ricorrente aveva
dedotto in giudizio esiste. È una sentenza di rigetto in merito perché accerta l’esistenza del diritto
del creditore. Il giudice ritiene esistenti i fatti costitutivi del diritto. La sentenza può essere anche
di rigetto per questioni di rito, quando la fase di opposizione è carente di alcune condizioni (es
caso di inammissibilità opposizione perché presentata fuori termine. O in caso di incompetenza,
etc. In casi di sentenza di rigetto dell’opposizione il D.I., che è privo di efficacia esecutiva, acquista
a questo punto tale efficacia( DIVENTA TITOLO PER ESECUZIONE FORZATA). In caso di sentenza di
rigetto nel merito il giudicato si sostituisce al D.I.. La statuizione circa l’esistenza del diritto di
credito fa riferimento alla sentenza che ha rigettato l’opposizione al D.I. L’accertamento si forma
in relazione alla sentenza di rigetto in merito.
SENTENZA DI ACCOGLIMENTO DELL’OPPOSIZIONE: Siamo di fronte a una figura particolare, e
possono essere sia di accoglimento in rito che nel merito, perché chi propone opposizione è la
parte che sostanzialmente è convenuto, quindi il debitore che vuole vedere rigettata la richiesta
del creditore. L’atto di opposizione contiene le difese del debitore, difese che possono essere sia
in rito che in merito e il giudice può accogliere le difese con sentenza di accoglimento in rito o in
merito. Avremo pronuncia di accoglimento in rito quando il debitore nella richiesta di opposizione
aveva denunciato la carenza dei presupposti processuali generali, in questo caso il giudice ritiene
che il procedimento instaurato dal creditore è privo dei presupposti processuali generali e si ha la
revoca del D.I. La regola non vale per i presupposti processuali speciali. Se il giudice concorda col
debitore e si rende conto che la fase a cognizione sommaria è priva di presupposti processuali
speciali ciò non è di ostacolo alla pronuncia della sentenza di merito.
SENTENZA DI ACCOGLIMENTO IN MERITO: giudice accoglie opposizione, cioè si convince della
inesistenza dei fatti costitutivi del diritto, cioè si convince della inesistenza diritto di credito. Il
giudice pronuncia sentenza di accoglimento anche quando ritiene esistente il diritto di credito al
momento della richiesta del D.I., ma dopo di ciò è intervenuto un fatto estintivo del diritto.
In caso di accoglimento totale dell’opposizione si avrà la caducazione integrale del D.I., in caso di
accoglimento parziale dell’opposizione, invece, il giudice ritiene che il diritto esiste solo in parte.
Con la pronuncia di una sentenza di merito parziale, la sentenza si sostituisce al D.I., tuttavia gli
atti esecutivi compiuti dal creditore conservano i loro effetti seppure nei limiti della somma
riconosciuta nella sentenza.

CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO

ART 657 ss: NATURA PROCEDIMENTO: è un procedimento dichiarativo speciale, finalizzato a


statuire sulla esistenza o meno di un diritto controverso. È un procedimento a cognizione
sommaria perché superficiale, non si ha a che fare con un procedimento in AUDITA ALTERA
PARTE, ma il contraddittorio è subito instaurato, prima della pronuncia del provvedimento
(differenza con il D.I.), è un procedimento che nasce sommario, ma può trasformarsi in rito a
cognizione piena. Il legislatore ha ritenuto opportuno concedere la possibilità di un processo più
snello quando non siamo in presenza di una effettiva contestazione del soggetto passivo( cioè il
conduttore non contesta la pretesa del locatore) si vuole agevolare il locatore ad ottenere un
titolo in modo più breve. AMBITO DI APPLICAZIONE : si tratta in questo caso di un diritto a vedersi
restituito un bene immobile che era lecitamente trattenuto dalla controparte sulla base di un
contratto stipulato tra le parti. Diritto che sorge alla scadenza del contratto.
La fattispecie è quella di un contratto restitutorio in cui due soggetti si accordano affinchè il
conduttore possa disporre del bene immobile. Si tratta di contratti di locazione, affitto, mezzadria,
non ad esempio il comodato. ART 657:
tre ipotesi di tutela, 1)licenza per finita locazione, 2)sfratto per finita locazione, 3) sfratto per
morosità. 1) contratto di locazione è ancora in corso, però il locatore prima della scadenza del
contratto vuole ottenere un provvedimento giurisdizionale, con efficacia esecutiva, che gli
consenta di ottenere il rilascio del bene immobile, non appena il contratto giunga a scadenza. Si
chiede, in sostanza, un provvedimento di condanna prima che si verifichi un illecito. Licenza che
può esser chiesta anche con largo anticipo prima della scadenza del contratto. Fino alla scadenza
del contratto, il contratto rimane in vita. Con la licenza si impedisce la rinnovazione del contratto.
2) Sfratto: il contratto è scaduto, il rilascio e richiesto dopo la scadenza del contratto, sempre che
non vi è stata rinnovazione tacita del contratto. 3) Sfratto per morosità: il conduttore non ha
corrisposto il canone alla scadenza pattuita. Il provvedimento di rilascio ha natura complessa
perché ha natura costitutiva in quanto pone fine al rapporto di locazione (risoluzione del
contratto) e ha natura di condanna perché vi è la condanna del conduttore ad adempiere.
È prevista la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento ex art 1453 c.c.
Perché il locatore sceglie l’art 658, perché è più rapida e perche nell’art 1453 c.c. è chiesto che
l’inadempimento sia rilevante per l’economia del rapporto. L’atto con cui si inizia il procedimento
può esser abbinato alla richiesta del D.I. per il pagamento dei canoni scaduti. Il giudice
competente è il tribunale del luogo dove si trova l’immobile, l’atto introduttivo alla domanda si
propone con atto di citazione. Il ricorso viene prima depositato presso il giudice e poi notificato
alla controparte, l’atto di citazione viene subito notificato alla controparte, quindi si ha subito
l’instaurazione del contraddittorio tra le parti. L’atto di citazione deve contenere la data della
prima udienza. La natura dell’atto di citazione è complessa, perché Ha natura processuale ma
anche sostanziale. In questo atto si ha una manifestazione della volontà del locatore. Il profilo
processuale e quello sostanziale sono autonomi, se il procedimento non arriva a termine, gli
effetti sostanziali relativi alla volontà del locatore mantengono la loro efficacia. Questo
procedimento appartiene alla categoria dei monitori puri, il locatore non ha alcun onere di
dimostrare quanto afferma. Tutto si basa sulle affermazioni fatte dal locatore e sul
comportamento che decide di adottare il conduttore all’udienza di comparizione, qui si
concretizza la sommarietà del procedimento. Se il conduttore decide di non comparire o pur
comparendo non si oppone alla pronuncia del provvedimento, il giudice pronuncia un’ordinanza
di convalida. Se il conduttore compare e si oppone alla pronuncia del provvedimento si ha la
trasformazione del rito da sommario a rito a cognizione piena. Il contraddittorio è instaurato
prima della pronuncia del provvedimento. Proprio perché il comportamento che assumono le
parti nell’udienza di comparizione è così rilevante, il legislatore detta una disciplina garantista per
la notifica dell’atto di citazione, ciò per esser sicuri che se il convenuto non compare all’udienza è
espressione di una sua libera scelta.
ART 653 c. 1: giudice può ordinare la rinnovazione della notifica dell’atto di citazione, sia se
riscontra una qualche nullità della notifica stessa, sia se gli risulta o ritenga probabile che
l’intimato non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore, tutto ciò perché la scelta
di non comparire all’udienza deve essere libera, e volontaria.
PRIMA UDIENZA: 1)se il locatore non compare, gli effetti processuali cadono, ma restano in vita
quelli sostanziali. 2)se il conduttore non compare il giudice pronuncia il provvedimento di
convalida. La contumacia del convenuto non ha conseguenze sugli oneri probatori dell’attore, cioè
non esonera l’attore dal provare i fatti costitutivi del diritto e non comporta automaticamente
l’accoglimento della domanda dell’attore. In questo procedimento la comparizione del convenuto
in udienza costituisce un onere, se non compare il giudice pronuncia automaticamente il
provvedimento di convalida. Ecco perché la mancata comparizione del convenuto deve essere
volontaria e il giudice deve essere certo di questo. 3)il conduttore compare ma decide di non
opporsi, il giudice pronuncia il provvedimento di convalida anche in questo caso. La sommarietà
del procedimento consiste in questo, il giudice si limita si limita a constatare che il convenuto non
è comparso, oppure e comparso ma non si è opposto. Se giudice rivela la carenza di un
presupposto processuale non può pronunciare il provvedimento di convalida, e in questo caso si
seguono le regole generali. 4)il convenuto compare e si oppone alla pronuncia del
provvedimento. Si ha in questo caso la trasformazione del rito in sommario a cognizione piena.
Nell’ipotesi 2 e 3 è pronunciato un provvedimento do convalida che è un’ordinanza e viene
inscritto in calce nell’atto di citazione. L’originale deve rimanere nelle mani del locatore, se si
perde la copia dell’originale si deve ricominciare tutto. Il provvedimento contiene anche una
condanna alle spese processuali che è tipica dei provvedimenti definitivi.
CHE EFFICACIA HA IL PROVVEDIMENTO DI CONVALIDA?
Anche qui si contrappongo le due tesi già esaminate per il D.I. Oggi è preminente in dottrina e in
giurisprudenza la tesi dell’efficacia di giudicato,gli argomento di caratteri sistematico sono più o
meno gli stessi di quelli del D.I.. A quali impugnazioni è soggetto questo provvedimento?
ART 668 : opposizione tardiva, prende in esame l’ipotesi in cui l’intimazione sia stata convalidata
in assenza dell’intimato, successivamente alla convalida, non in udienza, l’intimato decide di fare
opposizione. Ciò è possibile se l’intimato dimostra che ci sono irregolarità della notifica dell’atto di
citazione o non aveva potuto essere in udienza per caso fortuito o forza maggiore o in caso di
mancata conoscenza della notifica per caso fortuito o forza maggiore.
L’effetto dell’opposizione tardiva : si instaura un processo a cognizione piena che si concluderà
con una sentenza. Se la sentenza è di rigetto dell’opposizione, l’ordinanza di convalida diviene
definitiva. Se la sentenza è di accoglimento dell’opposizione questa sostituisce l’ordinanza che
perde effica. Ritorna così il gioco del D.I.
ART 404 c. 2: opposizione di terzo ordinaria o revocatoria: questo ci conduce alle stesse
conclusioni in relazione alla efficacia dichiarativa di questo provvedimento sommario. (vedi D.I.)
ART 395 n. 1: revocazione straordinaria o ipotesi di cui all’ART 395 n. 4.
La giurisprudenza ritiene che l’ordinanza di convalida può esser anche appellata, quando? Quando
il provvedimento pronunciato ha la forma dell’ordinanza ma la sostanza della sentenza. L’ipotesi è
quella in cui il convenuto è comparso e si è opposto alla pronuncia dell’ordinanza di convalida. In
questo caso l’ordinanza può esser appellata perché in realtà doveva trattarsi di una sentenza. La
dottrina cerca di ampliare la possibilità di appellare l’ordinanza in tutti i casi in cui l’ordinanza è
affetta da un vizio di violazione di legge processuale. La giurisprudenza nega questa possibilità
perché dice che i vizi possono esser fatti valere nella sede opportuna, cioè nel procedimento a
cognizione piena.

FASE DI OPPOSIZIONE

ULTIMA IPOTESI: conduttore compare in udienza e si oppone alla pronuncia di convalida. Il


procedimento si converte da cognizione sommaria a cognizione piena. ART 665: non prescrive una
particolare forma di opposizione, il promo effetto dell’opposizione è l’impedimento della
pronuncia dell’ordinanza di convalida e ai sensi dell’ART 667 il giudice pronuncia un’ordinanza di
mutamento del rito, fissa l’udienza di comparizione di cui all’ART 420 e fissa i termini di difesa
delle parti. Il procedimento prosegue nelle forme del rito delle locazioni, ma gli effetti processuali
e sostanziali della domanda si ricollegano alla notificazione atto di citazione introduttivo del
procedimento formale. FASE A COGNIZIONE PIENA: l’opposizione preclude la possibilità che venga
pronunciato un provvedimento sommario, non si ha inversione dell’iniziativa processuale, l’attore
formalmente rimane il locatore, il convenuto il conduttore. L’estinzione della fase di opposizione
travolge tutti gli atti del procedimento. La sentenza può essere o di accoglimento o di rigetto.
IPOTESI PARTICOLARE ART 665 che disciplina l’ordinanza provvisoria di rilascio.
1) l’intimato (conduttore) compare in udienza e si oppone alla pronuncia della domanda di
convalida, il giudice con ordinanza ordina il mutamento del rito; 2) l’intimato si difende sollevando
eccezioni inerenti a fatti impeditivi, estintivi, modificativi del diritto, eccezioni non fondate su
prova scritta, i fatti oggetto dell’eccezione necessitano di esser provati attraverso l’assunzione di
prove costituenti (la testimonianza ad es.). Le difese del convenuto devono esser provate con
mezzi di prova che richiedono un tempo più lungo per la loro assunzione; 3) il locatore fa istanza
affinchè venga pronunciata un’ordinanza provvisoria di rilascio (provvisorietà perché intanto il
procedimento va avanti). 4) giudice ritiene che non sussistono gravi motivi in contrario
all’accoglimento dell’istanza e pronuncia l’ordinanza di rilascio perché non è idonea a causare al
conduttore gravi pregiudizi. È una forma di tutela interinale del locatore che non impedisce la
prosecuzione del giudizio nelle forme della cognizione piena. L’istituto del provvedimento di
rilascio è riconducibile a quello della condanna con riserva, che si pronuncia quando il giudice è
convinto delle ragioni dell’attore e ritiene opportuno fornirgli una tutela, ma il giudizio deve
proseguire nell’interesse del convenuto per verificare la fondatezza delle sue difese e delle
eccezioni sollevate, cioè dei fatti modificativi, impeditivi, estintivi. Le ordinanze sono dei
provvedimenti pronunciati dal giudice e sono sempre modificabili e revocabili a differenza della
sentenza, mentre l’ordinanza provvisoria di rilascio non è impugnabile ed è immediatamente
esecutiva(è un provvedimento che ha una qualche stabilità perché non può esser modificato o
revocato dal giudice che l’ha pronunciato).
ART 665 ultimo comma: concessione dell’ordinanza subordinata al pagamento di una cauzione con
lo scopo di garantire il convenuto se la pretesa dell’attore è infondata in modo che il convenuto
potrà rivalersi su tale cauzione. L’ordinanza provvisoria di rilascio è destinata ad essere assorbita
dalla sentenza che definisce il processo ormai a cognizione piena. Se la sentenza è di rigetto
l’efficacia provvisoria dell’ordinanza è caducata e il locatore deve restituire il bene immobile al
conduttore. Se la sentenza è di accoglimento, dà cioè ragione al locatore, la sentenza forma il
giudicato sull’esistenza del diritto del locatore, tuttavia pperò titolo esecutivo rimane l’ordinanza.
PROBLEMA:efficacia dell’ordinanza provvisoria di rilascio, se l’estinzione del procedimento
interviene dopo che è stata pronunciata l’ordinanza provvisoria di rilascio, questo provvedimento
che fine fa? NATURA ORDINANZA DI RILASCIO: se ha natura decisoria idonea a statuire su diritti
soggettivi, allora in caso di estinzione della fase a cognizione piena, l’ordinanza mantiene efficacia
esecutiva e di accertamento (cioè idonea al giudicato), se l’ordinanza ha natura cautelare
( strumentale alla tutela dichiarativa), allora l’estinzione della fase a cognizione piena travolgerà
anche l’ordinanza che perde i suoi effetti.

SENTENZA ’90 ’91: l’ordinanza provvisoria di rilascio è un provvedimento di condanna con riserva
delle eccezioni non decisorio, non cautelare, bensì un provvedimento sommario semplificato
esecutivo (sono una categoria generale in cui rientrano i provvedimenti sommari che hanno
efficacia esecutiva, non accertano mai il diritto controverso e se si verifica l’estinzione del processo
nella fase a cognizione piena, il provvedimento provvisorio pronunciato mantiene solo efficacia
esecutiva, non accerta il diritto fatto valere in giudizio e non preclude la possibilità di instaurare
uno stesso procedimento a cognizione piena tra le stesse parti e sullo stesso diritto. In caso di
estinzione del giudizio, quindi, l’ordinanza mantiene efficacia esecutiva e non impedisce la
possibilità sia per il locatore che per il conduttore di instaurare un nuovo processo.

PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE DISCIPLINATO DAGLI ART. 702 bis e ss.( ART 51
legge n.69 del 2009)
L’istituto prende il nome di procedimento sommario di cognizione. La sua natura è dichiarativa in
quanto idoneo a statuire su diritti soggettivi.
ART 702 quater: il provvedimento conclusivo del procedimento è un’ordinanza che, ove non
impugnata, produce gli effetti di cui all’ART 2209 c.c, ossia è idoneo al giudicato, quindi statuisce
su diritti soggettivi. È un procedimento sommario, perché la cognizione sulla base della quale è
pronunciato il provvedimento è sommaria, superficiale e c’è l’immediata instaurazione del
contraddittorio tra le parti. È un procedimento alternativo al processo ordinario di cognizione e la
scelta è rimessa all’attore, che assume l’iniziativa processuale. AMBITO DI APPLICAZIONE: il
criterio che individua l’ambito di applicazione non riguarda né il diritto che si intende tutelare, né
si fa riferimento al tipo di tutela richiesta, quindi può esser richiesta anche una tutela di mero
accertamento o esecutiva. Il criterio principale è quello per cui la causa instaurata deve poter
esser decisa dal giudice monocratico, sono escluse di cui all’ART 50bis; deve trattarsi di cause
soggette al rito ordinario di primo grado, non cause del lavoro ad esempio, e deve trattarsi di
cause che non appartengono alla competenza del giudice di pace o di cause che già si trovano al
grado di appello. ART 702 ter c. 3: Procedimento instaurato nelle forme del procedimento
sommario, può trasformarsi nelle forme del procedimento a cognizione piena attraverso la
fissazione dell’udienza di cui all’art 183. Sono cause attribuite alla decisione del giudice
monocratico e soggette al rito ordinario di primo grado. L’art 702 ter c. 3 è l’unico criterio
utilizzato dalla legge per individuare l’ambito di applicazione di questo istituto, la legge non
subordina l’adozione di questo procedimento a criteri particolari. Assoluta atipicità dei
presupposti del procedimento sommario, perché tali presupposti (es giudizio sulla semplicità
controversia, della trattazione dei fatti della causa) sono rimessi al giudice. Infatti l’art 702 ter c. 3
responsabilizza il giudice il quale dovrà valutare se la controversia è semplice o no, non si chiede
al giudice una valutazione sulla fondatezza del diritto vantato dall’attore, ma si chiede al giudice
se i fatti della causa richiedono un’istruzione probatoria complessa o no. Se il giudice ritiene che
può andar bene un’istruzione sommaria, perché i fatti della causa non sono complessi, si
prosegue nelle forme del procedimento sommario, viceversa valuta la trasformazione della causa.
Sul ruolo centrale del giudice si discute: parte della dottrina ritiene che affidare al discernimento
del giudice la valutazione della legittimità della procedura sommaria è rischioso, perché nella
valutazione discrezionale del giudice possono intervenire vari fattori e quindi, ad esempio, il
convenuto potrebbe vedersi costretto a un rito sommario e ciò implica meno garanzie. Abbiamo,
dunque, una perdita di garanzie che è portata con se da un modello sommario, rimesso non a
una valutazione del legislatore, ma a una valutazione discrezionale del giudice, quindi si ha,
secondo questa dottrina, una perdita di garanzie non giustificata.
Altra dottrina (BOVE) sostiene che, chi meglio del giudice può esser in grado di valutare la
complessità o meno dei fatti da accertare? Ci si affida, quindi, alla professionalità del giudice.

FASE INTRODUTTIVA: La forma della domanda è un ricorso e non un atto di citazione, il ricorso
deve essere depositato presso la cancelleria del giudice e poi notificato alla controparte. Il
contenuto del ricorso è uguale a quello di cui all’ART 163. L’attore propone ricorso, viene
nominato il giudice competente, il giudice pronuncia il decreto di fissazione dell’udienza e assegna
al convenuto un termine per costituirsi in tempo utile prima dell’udienza. L’attore deve notificare il
ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza al convenuto per instaurare il contraddittorio. La
notifica deve esser fatta almeno 30gg prima della data di fissazione dell’udienza, cd. termine a
difesa del convenuto, che gli consente di modulare la sua strategia difensiva. Con la costituzione
del convenuto, che avviene con deposito in cancelleria del suo primo atto difensivo almeno 10gg
prima della fissazione dell’udienza. La fase introduttiva ricalca il modello del processo ordinario di
cognizione con delle differenze date dalla forma della domanda, dalla modalità di realizzazione del
contraddittorio e dai termini di costituzione del convenuto che sono più brevi rispetto al modello
ordinario di cognizione.
RATIO DISCIPLINA: risiede nel fatto che questo procedimento nasce sommario, ma può, già nella
prima udienza, trasformarsi in modello ordinario di cognizione, quindi è necessario che la fase
introduttiva sia idonea a sorreggere un processo ordinario di cognizione. Ecco perché questa
disciplina dettagliata, accurata, perché non si sa ancora che strada prenderà il processo. Se il
giudice ritiene opportuna la strada del processo ordinario a cognizione piena il termine di 30 gg, e
non di 60 gg(come nel processo ordinario), è troppo breve per il convenuto per capire bene la
strategia difensiva, quindi con questo breve termine si perdono delle garanzie per il convenuto. Il
convenuto può proporre: domanda riconvenzionale o chiamare in causa un III°, possibile nei limiti
in cui quella domanda può esser trattata nel procedimento sommario.
Una volta giunti in UDIENZA possono succedere cinque cose:
I°: ART 702 ter c. 1, il giudice ritiene di essere incompetente e deve dichiarare l’incompetenza con
un’ordinanza che può esser impugnata con il regolamento necessario di competenza (ART 42) . Il
legislatore non prende in considerazione le ipotesi in cui il giudice ravvisi l’inesistenza di un altro
presupposto processuale, il giudice deciderà con ordinanza o, laddove ha deciso per la
trasformazione del rito da sommario a cognizione piena, e la carenza di un presupposto
processuale si ravvisa dopo la trasformazione, in questo caso deciderà con sentenza di rigetto in
rito a causa dell’inesistenza dei presupposti processuali.
II°: ART 702 ter c. 2, il giudice ravvisa che manca un presupposto processuale speciale, quel
requisito che individua l’ambito di applicazione del procedimento sommario, cioè il giudice ravvisa
che la causa deve esser decisa collegialmente. Il giudice deve dichiarare l’inammissibilità della
domanda con un provvedimento che ha la forma dell’ordinanza non impugnabile, cioè non è
modificabile o revocabile da parte del giudice che l’ha pronunciata.
PROBLEMA: i provvedimenti che hanno la sostanza della sentenza e una forma diversa dalla
sentenza sono soggetti a un rimedio speciale che è il ricorso in cassazione ai sensi dell’ART 111
COST. Ordinanza non impugnabile, puo essere impugnata in Cassazione? L’ordinanza che dichiara
inammissibile la domanda può esser impugnata in Cassazione solo se statuisce sul diritto
dell’attore. Quindi l’ordinanza rimane non impugnabile, né revocabile, né soggetta al ricorso in
Cass. ex ART 111 COST. Se il giudice ritiene che la domanda riconvenzionale è inammissibile la
dichiarerà inammissibile. Se si ritiene che il giudice ha sbagliato, cioè pronuncia un’ordinanza al
termine di un procedimento sommario, se tale provvedimento è appellabile il giudice di appello
deve chiudere in rito il processo.
III° IPOTESI: In udienza il giudice ritiene che per decidere la controversi sia necessaria un’istruzione
non sommaria. Giudice deve fissare l’udienza di cui all’ART 183 ( PRIMA UDIENZA DI TRATTAZIONE
DEL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE). Il procedimento nasce sommario e si trasforma in
corso di causa in processo ordinario di cognizione. Il giudice fissa l’udienza di cui all’art 183 con
un’ordinanza non impugnabile, cioè la scelta del giudice è immodificabile e irrevocabile. Se il
giudice fissa l’udienza di cui all’art 183 questa resta la strada da seguire fino alla fine del processo
nelle forme del processo ordinario, e l’ordinanza di fissazione dell’udienza non può esser oggetto
di ricorso straordinario per Cass. ai sensi dell’art 111 cost. Questa trasformazione si verifica
quando il giudice ritiene che per decidere la controversia sia necessaria un’istruzione non
sommaria, la discrezionalità del giudice è molto ampia.
QUALE CRITERIO PRENDE IN CONSIDERAZIOENE IL GIUDICE??? La semplicità della controversia,
se è semplice si segue la via del procedimento sommario, se non è semplice la strada del
procedimento ordinario. Semplice è la controversia quando non vi sono una pluralità di questioni
da risolvere, se non richiede l’accertamento di fatti della causa complessi, se non richiede
un’attività istruttoria che necessita di una lunga indagine, se non richiede numerose attività
istruttorie. Semplicità data dalla non esigenza di procedere ad una trattazione particolarmente
complessa. Non è richiesta al giudice, ai fini della decisione della strada da seguire, neanche di
dare valutazione probabilistica della fondatezza della domanda dell’attore. Una volta che il giudice
ordina la trasformazione del procedimento, il processo prosegue nella via del processo ordinario di
cognizione, si ha l’udienza ai sensi dell’art 183 di fronte al giudice adito, restano ferme quelle
decadenze maturate prima di questo momento, maturate nel ricorso dell’attore e nella comparsa
di risposta del convenuto.
IV°: ART 702 ter c. 4 ,se il ricorso è proposto nelle forme del procedimento sommario di
cognizione e il convenuto ha proposto domanda riconvenzionale, il giudice se ritiene che la causa
principale dell’attore può esser trattata con la forma sommaria (cioè la causa principale è
semplice), mentre la causa riconvenzionale del convenuto richiede un’istruzione non sommaria,
cosa accade???? Se la domanda riconvenzionale è proposta nel procedimento ordinario ex ART 36
e se questa causa appartiene ad un giudice superiore si deve far riferimento agli ARTT. 34 – 35
(separazione del cumulo), fattispecie in cui per ragioni di connessione delle cause del processo si ha
una mutazione delle regole di competenza e si cerca di salvare il simultaneo processo.
La scelta che il legislatore fa per il procedimento sommario è opposta:
se la causa principale può esser decisa nelle vie sommarie e quella riconvenzionale nelle vie del
procedimento ordinario, il giudice deve disporre la separazione delle due cause. Per la causa
riconvenzionale il giudice deve fissare l’udienza ai sensi dell’art n183, qui prevale l’esigenza che,
laddove la trattazione della causa è complessa, questa segue le vie del giudizio ordinario. Quindi il
legislatore sceglie la separazione del cumulo e si ritiene che ciò valga anche per le altre ipotesi di
cumulo (anche se ciò non è espressamente previsto dalla legge). Tuttavia
la dottrina ha evidenziato un problema: vi sono dei casi di connessione tra i diritti oggetto della
causa, che sono connessioni molto forti; es: RELAZIONE PER OGGETTO CON RELAZIONE DI
INCOMPATIBILITà (A dice di essere titolare di un BENE, B dice di esser lui il titolare di quel bene),
quando c’è questa forte connessione le conseguenze che ne possono derivare attribuendo la
competenza a decidere, su queste cause diverse, a due giudici diversi, sono molto rischiose. Si può
dar vita ad un contrasto pratico tra giudicati inaccettabile. In queste
ipotesi la dottrina suggerisce di andare oltre la norma e ritiene che, per evitare un contrasto
pratico tra giudicati, ove non sia auspicabile la separazione del cumulo, si deve avere la
trasformazione del rito da sommario a cognizione piena per entrambe le cause.
V°: ART 702 ter c. v, il giudice ritiene di trattare la controversia con rito sommario, quindi sia la
domanda riconvenzionale, che quella principale. In questa norma si esaurisce l’indicazione del
legislatore circa lo svolgimento del procedimento. Il legislatore dice che, il giudice deve omettere
ogni formalità non essenziale al contraddittorio, il contraddittorio è già instaurato e deve
procedere nel modo che ritiene più opportuno agli atti…. Ampia discrezionalità del giudice nello
scandire i modi e i tempi del procedimento. Caratteristica di questo procedimento è contraria alle
caratteristiche del giusto processo dove c’è una predeterminazione legale dei modi e tempi del
processo. Procedimento, quindi, totalmente de formalizzato e che può dar luogo a problemi.

STRUTTURA PROCEDIMENTO

 IL GIUDICE HA MOLTA DISCREZIONALITÀ


 L’ISTRUZIONE PROBATORIA È ATIPICA, IN QUANTO POSSONO ESSERE ASSUNTI MEZZI DI
PROVA ATIPICI, O POSSONO ESSERE ASSUNTI IN MODO ATIPICO MEZZI DI PROVA ATIPICI

Due interpretazioni:

1) Menechini, Balena, etc: si tratta di un procedimento per cui, a parte le decadenze maturate
nella fase preparatoria, per tutto il resto è un procedimento in cui non maturano preclusioni o
decadenze (cioè sono ammesse nuove allegazioni di fatti costitutivi, o modificativi, estintivi,
impeditivi, fintanto che il giudice le ritiene rilevanti per formare il suo convincimento, nel
rispetto di un tempo ragionevole). Ciò vale anche per l’acquisizione delle prove.
Secondo questa interpretazione si tratta di un procedimento elastico, aperto all’introduzione
di novità e sta al giudice valutare un temperamento tra quella che è l’esigenza di formare il
suo convincimento con l’esigenza di rapidità del processo. Il procedimento si può esaurire
nella prima udienza o si può rinviare ad una nuova udienza. Estrema de formalizzazione ove il
giudice detta modi e tempi del processo, a differenza di quanto accade nel procedimento
ordinario di cognizione basato su delle preclusioni.
2) BOVE: dice che è vero che è un procedimento de formalizzato, ciò però non significa che è un
procedimento aperto ed elastico, bensì solo si struttura in modo differente dal processo
ordinario di cognizione, ma le attività in punto di allegazione dei fatti e di istanze istruttorie
possono esser compiute solo nella prima udienza (dove si deve concentrare la trattazione del
processo), se così non fosse si verrebbe a neutralizzare la RATIO sottesa a un procedimento
sommario. La domanda può esser decisa dal giudice, ove scelga la via sommaria, con una
ordinanza o di accoglimento o di rigetto, idonea al giudicato se non appellata. È un
provvedimento provvisoriamente esecutivo, ove sia di condanna, è titolo per iscrizione
dell’ipoteca giudiziale e con questa ordinanza il giudice povvede alla spese del processo.
ART 702 quater: disciplina L’APPELLO, contro l’ordinanza può esser proposto appello, il
termine per proporlo è di 30gg dalla notifica dell’ordinanza o della sua comunicazione,
quando la sua comunicazione è precedente alla notificazione. Solo questo termine breve per
appellare è indicato dal legislatore. Se l’ordinanza non viene né notificata, né comunicata si
deve far riferimento al termine lungo, cioè quello di 6 mesi dalla pronuncia dell’ordinanza.
Struttura giudizio di appello: su ciò si discute molto in dottrina e si scontrano due letture
differenti di questo procedimento sommario di cognizione:
1° LETTURA: Menechini, etc: l’appello va letto come garanzia per le parti di cognizione piena,
in particolare per la parte convenuta. Il procedimento sommario di cognizione è accettabile
anche se elastico, privo cioè di alcune garanzie, è idoneo alla tutela dichiarativa dei diritti
perché, con l’appello, consente una fase successiva eventuale che fornisce quelle garanzie che
erano mancate nella prima fase. In base a questa lettura la disciplina da seguire è quella
dell’appello ordinario ( art 339 ss) con alcune disposizioni speciali che sono: una relativa al
termine per impugnare (art 702 quater) termine differente da quello previsto per appellare la
sentenza; l’altra che ricaviamo dall’ ART 702 quater ultimo comma, il presidente del collegio
può delegare l’assunzione dei mezzi di prova a uno dei membri del collegio, (nell’appello
avverso una sentenza non sono ammesse nuove domande, nuove eccezioni e l’assunzione di
mezzi di prova art. 345), l’appello si struttura come appello aperto, si può chiedere
l’assunzione di nuovi mezzi di prova quando il collegio le ritiene rilevanti, etc.
Secondo questa interpretazione, dunque, l’attività istruttoria è ammessa in sede di appello.
Ciò significa che quelle prove acquisite in primo grado nel rito sommario, possono essere in
appello rinnovate e replicate con le garanzie di una cognizione piena. Tutte le questioni che in
primo grado non sono state trattate, su domanda della parte interessata, possono esser
trattate in appello. Conseguenze di questa impostazione: se il procedimento sommario di
cognizione è così letto, cioè procedimento sommario caratterizzato dall’elasticità a cui segue
un appello corposo, si ha un’inversione rispetto al procedimento ordinario (in cui la prima fase
è più corposa e l’appello più rapido), perché in questo procedimento si ha un allungamento
dei tempi dell’appello per riconquistare le garanzie perse in primo grado con il rito sommario.
2° LETTURA: BOVE, sostiene che all’appello deve esser applicata la stessa RATIO della
disciplina della fase di primo grado. Cioè la trattazione e la decisione dell’appello devono
seguire il rito semplificato seguito in primo grado. Quindi ai sensi dell’art 345 non sono
ammesse nuove domande, nuove eccezioni, nuove prove a meno che “non siano
indispensabili”, non più “rilevanti”, o se la parte dimostra di non averle potute spendere in
primo grado per ragioni a lui non imputabili. L’appello è un giudizio a struttura chiusa e non
aperto per questa interpretazione, sommaria deve essere la fase di primo grado e sintetico
deve essere l’appello.
ART 702 quater ultima parte: non è qui possibile rinvenire un fondamento alla tesi
dell’appello aperto, questo inciso non ci dice nulla sul carattere dell’appello. Secondo questa
seconda lettura sono maturi i tempi per accettare nel nostro ordinamento che, anche un
procedimento sommario (meno garantista per le parti ma più rapido) sia idoneo alla tutela
dichiarativa dei diritti. Lettura più innovativa, la prima lettura è più legata alla tradizione.

PROCEDIMENTI SPECIALI CAUTELARI


La tutela cautelare è finalizzata a far si che tramite il processo l’attore che ha ragione possa
ottenere ciò di cui ha il diritto senza subire pregiudizi a causa della durata del processo. La
tutele cautelare interviene in pendenza del processo dichiarativo per tutelare il diritto oggetto
della causa. Il danno può derivare al diritto per due motivi: 1) per il sopraggiungere di fatti che
mettono in pericolo la reale capacità della sentenza dichiarativa, che riconosce l’esistenza del
diritto dell’attore, di trovare una attuazione fruttuosa; 2) per il mero trascorrere del tempo
necessario allo svolgimento del processo dichiarativo, durante il quale il diritto da tutelare
permane in una situazione di insoddisfazione.
I PRESUPPOSTI DELLA TUTELA CAUTELARE SONO:
1)FUMUS BONI IURIS, ossia la verosimile fondatezza della domanda dell’attore, quindi, la
verosimile esistenza del diritto che l’attore vuole tutelare. Il giudice a cui è richiesta la tutela
cautelare per concederla deve ritenere probabile che il diritto per cui è richiesta tale tutela
esista. È quindi un giudizio probabilistico. Al termine del processo di merito, il giudice di
merito, può decidere che quel diritto per cui è stata chiesta la tutela cautelare in realtà non
esiste. Questa condizione concretizza quella che è la sommarietà del procedimento cautelare,
che si spiega in questo giudizio di verosimile esistenza del diritto che il giudice cautelare è
chiamato a giudicare.

2)PERICULUM IN MORA: il giudice dovrà concedere la misura cautelare se ritiene che il diritto
probabilmente esiste e se ritiene che quel diritto possa subire un pregiudizio a causa della
durata del processo. Ci sono due tipi di pericolo che possono neutralizzare la tutela cautelare:
a)pericolo da infruttuosità: cioè pericolo che durante il tempo necessario per lo svolgimento
del processo dichiarativo, possono sopraggiungere circostanze che rendono impossibile o più
difficile la concreta possibilità di dare attuazione alla sentenza che ha chiuso il processo di
merito e che ha riconosciuto le ragioni dell’attore. Quì il provvedimento cautelare mira a
congelare la situazione di fatto esistente per rendere possibile l’attuazione della sentenza di
merito quando questa verrà pronunciata per rendere possibile la fruttuosa esecuzione della
sentenza.
b)pericolo da tardività: cioè quel pericolo che durante il tempo necessario per lo svolgimento
del processo dichiarativo, sia proprio il protrarsi del tempo a causare pregiudizio alla parte che
ha ragione. Qui si anticipa il contenuto futuro della sentenza di merito che riconosce le ragioni
dell’attore, si cerca di accelerare i tempi per la soddisfazione del diritto accertato.
In base a questi 2 tipi di pericolo distinguiamo due categorie di misure cautelari:
1)PROVVEDIMENTI CAUTELARI CONSERVATIVI: (es, sequestro conservativo o giudiziario),
misure cautelari finalizzate a fronteggiare il pericolo da infruttuosità, volte a conservare lo
stato di fatto o di diritto esistente per garantire la fruttuosità della futura esecuzione della
sentenza di merito. 2)PROVVEDIMENTI CAUTELARI ANTICIPATORI: sono volti a fronteggiare il
pericolo da tardività, anticipano la soddisfazione del diritto impedendo il pregiudizio che può
derivare alla parte che ha ragione dal protrarsi del tempo. Es: (assegni alimentari, se si tratta
di aspettare cinque o sei anni perché il processo riconosca l’esistenza del diritto agli alimenti,
in questi cinque o sei anni la parte rimane bisognosa, con il provvedimento cautelare si
anticipa la tutela). Ci sono altri provvedimenti come quelli di istruzione preventiva
( anticipano l’acquisizione del materiale probatorio necessario nel corso del processo), o il
provvedimento di urgenza ex art 700. È ovvio che la tutela cautelare, proprio perché fondata
su questi due presupposti, e volta ad anticipare il contenuto della sentenza finale, etc, può
rivelarsi una tutela pericolosa per la parte che la subisce. Se la parte cautelata non ha ragione,
la parte che ha subito la misura cautelare è stata pregiudicata. Per temperare questo pericolo
della tutele cautelare, vi sono degli strumenti: 1)L’ISTITUTO DELLE CAUZIONI (ART 669
UNDECIES) , prevede che il giudice può subordinare la concessione della misura cautelare alla
concessione di una cauzione per garanzia alla parte che subisce la misura cautelare.
2)LA RESPONSABILITÀ AGGRAVATA (ART 96), la parte che chiede la tutela avventatamente
può esser condannata al risarcimento dei danni nei confronti degli avversari.
Questi due istituti funzionano a tutela della parte che subisce la misura cautelare nei limiti in
cui il soggetto che ha chiesto tale tutela sia un soggetto abbiente, funzionano nella misura in
cui il diritto della parte che subisce il provvedimento cautelare venga inciso da tale
provvedimento e hanno funzione prevalentemente economica. Se il diritto che viene inciso
dalla tutela cautelare ha contenuto differente (es diritti della personalità) la tutela è
insoddisfacente. Che tipo di sistema cautelare è il nostro? Vi sono sistemi tipici con misure
cautelari tipiche predeterminate dal legislatore, vi sono poi sistemi atipici in cui spetta
all’attore chiedere al giudice ciò che vuole. Il nostro sistema è tipico, temperato dalla
presenza di una misura cautelare atipica di carattere residuale. Cioè il legislatore prevede un
certo numero di misure cautelari e la loro disciplina. Misura cautelare tipica nel senso che il
legislatore ha predeterminato il tipo di diritto che con quella misura cautelare si può tutelare,
il tipo di pericolo che minaccia ilo diritto e il contenuto della misura cautelare. Es. (sequestro
conservativo ex art 671), la norma ci dice quello che è il diritto da tutelare, il pericolo e il
contenuto, il legislatore indica espressamente in cosa consiste la misura. Quindi sistema
atipico temperato dalla presenza di una misura cautelare atipica residuale. Si fa riferimento
all’ART 700 (PROVVEDIMENTI D’URGENZA). È un provvedimento atipico perché il legislatore
non ha predeterminato né il diritto da tutelare, né il contenuto della misura. È un
provvedimento elastico che si può adottare solo nei casi in cui per tutelare il diritto e
fronteggiare il pericolo il legislatore non abbia già predisposto la misura cautelare tipica.
SUSSUDIARIETÀ DEI PROVVEDIMENTI DI URGENZA EX ART 700: “fuori dai casi”. La
preferenza è data alle misure cautelari tipiche però poi interviene questa atipica. Una misura
cautelare atipica è ancora più pericolosa di quella tipica perché non c’è un giudizio preventivo
del legislatore, il contenuto è individuato dall’attore e poi il giudice deve decidere se
concedere o meno la misura. L’importanza della tutela atipica è riconosciuta dalla SENTENZA
CORTE COST. n. 90 del 1985: viene affermato che il provvedimento cautelare atipico
costituisce una conseguenza essenziale ed ineliminabile della tutela giurisdizionale, nei limiti
in cui essa si riveli necessaria per neutralizzare i pericoli che possono provocare un pregiudizio
irreparabile a chi richiede la misura cautelare. Oggi la distinzione tra le misure cautelari
conservative e quelle anticipatorie non è più generale ed astratta ma è concretizzata da una
disciplina per i due tipi di misure. CARATTERI GENERALI DELLA TUTELA CAUTELARE:
1)la strumentalità: consiste nel fatto che la tutela cautelare è servente rispetto a quella
dichiarativa. I provvedimenti cautelari non sono fini a se stessi, ma finalizzati a rendere
effettiva la tutela dichiarativa.
2)la provvisorietà: è una conseguenza della strumentalità e consiste nel fatto che, essendo il
provvedimento cautelare un provvedimento che non è in grado di reggere da solo e per
sempre i propri effetti, deve esser confermato dalla sentenza di merito ed è destinato ad
essere assorbito dalla sentenza di merito che dichiari l’esistenza del diritto per cui è stata
concessa la tutela cautelare. A seguito delle riforme, queste caratteristiche rimangono ma è
stata introdotta, 3)a strumentalità attenuata (cioè si è distinto tra provvedimenti cautelari
conservativi e anticipatori). Per quelli conservativi vale ancora la strumentalità piena e quindi
la provvisorietà, per quelli anticipatori è stata introdotta la strumentalità attenuata.
STRUMENTALITÀ PIENA: il codice ci dice che un provvedimento cautelare è un provvedimento
strumentale. La misura cautelare può esser chiesta sia in pendenza di un processo di merito,
sia in certi casi prima che si è instaurato un processo di merito. Se il provvedimento cautelare
è chiesto prima che si è instaurato un processo di merito ed è stato concesso, in questo caso è
necessario che il processo di merito sia instaurato in termini brevi, perché altrimenti il
provvedimento cautelare concesso ANTE CAUSAM perde i suoi effetti. Ecco la strumentalità al
processo di merito. ART 669 novies c. 3: se dopo che è stato pronunciato il provvedimento
cautelare, il processo dichiarativo pendente si estingue e non giunge a termine, il
provvedimento cautelare perde efficacia. ART 669 novies c. 4: se è stato pronunciato un
provvedimento cautelare e al termine del giudizio di merito viene pronunciata una sentenza
che dichiara il diritto, a cautela del quale era stato concesso il provvedimento, inesistente,
questa sentenza travolge il provvedimento cautelare.
PROVVISORIETÀ: il provvedimento cautelare è inidoneo al giudicato perché non è finalizzato
alla tutela dichiarativa dei diritti, il giudice, cioè, non accerta se il diritto esiste o meno, inoltre,
non è dotato di una sua definitività perché può esser, ai sensi ART 669 deces, modificato e
revocato da p0arte del giudice della causa di merito ove si verificano mutamenti nelle
circostanze o intervengono elementi nuovi che incidono sul convincimento del PERICULUM IN
MORA e del FUMUS BONI IURIS.
Questa disciplina classica è oggi propria dei sistemi cautelari conservativi.
Per i provvedimenti anticipatori è stata introdotta la STRUMENTALITÀ ATTENUATA che
consiste in: ART 669 octies c. 6, se ANTE CAUSAM, prima cioè dell’instaurazione del giudizio di
merito, è richiesto un provvedimento anticipatorio, non c’è l’obbligo par la parte che ha
ottenuto il provvedimento, di instaurare entro breve termine un giudizio di merito, il
provvedimento anticipatorio comunque mantiene i suoi effetti.
ART 669 octies c. 7: se dopo che è stato pronunciato il provvedimento cautelare anticipatorio,
il giudizio di merito si estingue, il provvedimento mantiene i suoi effetti.
In sostanza si allenta la STRUMENTALITÀ tra tutela strumentale anticipatoria e la tutela
dichiarativa. La tutele anticipatoria già soddisfa gli interessi di chi la richiede, perché anticipa il
contenuto della sentenza del processo dichiarativo. Importante è poi sottolineare che esiste
una differenza tra il provvedimento cautelare anticipatorio e la sentenza di merito in quanto,
solo la sentenza di merito accerta il diritto in modo definitivo ed è idonea al giudicato e
all’effetto negativo (impossibilità che su quel diritto si possa instaurare un altro processo) e
positivo. Tutto ciò non è riconducibile all’efficacia del provvedimento anticipatorio perché non
accerta il diritto e non è idoneo al giudicato. Il provvedimento anticipatorio esplica una
EFFICACIA ESECUTIVA, cioè non accerta il diritto ma lo tutela soltanto, questo provvedimento
costituisce titolo esecutivo per dar vita all’esecuzione forzata se il debitore è inadempiente.
Si parla di EFFICACIA ESECUTIVA INDEFINITIVAMENTE PROTRATTA, cioè l’efficacia esecutiva
rimane fintanto che non venga instaurato un giudizio di merito in cui si chiede di accertare
l’esistenza o meno del diritto a tutela del quale era stata concessa la tutela anticipatoria.
Quindi l’efficacia esecutiva del provvedimento anticipatorio, non preclude la possibilità che
venga instaurato un giudizio di merito sullo stesso diritto oggetto del provvedimento
anticipatorio, non opera il NE BIS IN IDEM, quindi se al termine del processo di merito il
giudice statuisce che non esiste il diritto per cui è stata richiesta la tutela cautelare
anticipatoria, allora la sentenza di merito travolgerà il provvedimento cautelare anticipatorio
pronunciato tempo prima. Si dice che i provvedimenti anticipatori anche se caratterizzati
dalla strumentalità attenuata, comunque sono provvedimenti cautelari, perché rimane
necessaria per la loro concessione l’esistenza dei due presupposti tipici dei provvedimenti
cautelari: FUMUS BONI IURIS e PERICULUM IN MORA. I provvedimenti anticipatori si
distinguono a seconda del pericolo che intendono fronteggiare. ART 669 octies c. 6: la
strumentalità piena non può applicarsi, e quindi si applica quella attenuata, ai provvedimenti
idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, ai provvedimenti il cui contenuto è
analogo alla sentenza di merito, ai provvedimenti emessi a seguito di denuncia di danno
temuto e ai provvedimenti di urgenza ex art. 700. Questo richiamo ai provvedimenti di
urgenza ha suscitato problemi di interpretazione, il quesito è: i provvedimenti di urgenza
sono provvedimenti anticipatori o no? Alcuni autori ritengono che, in base al richiamo dell’art
700, al provvedimento di urgenza si applica la strumentalità attenuata.
Altra parte della dottrina (più corretta come impostazione) ritiene che il provvedimento di
urgenza, proprio perché atipico, può assumere di volta in volta sia un contenuto conservativo
che anticipatorio. In base a questa interpretazione si applicherà la disciplina della
strumentalità attenuata quando il provvedimento di urgenza assume contenuto anticipatorio,
viceversa, si applicherà la disciplina della strumentalità piena quando il provvedimento di
urgenza assume contenuto conservativo.

STRUTTURA PROCEDIMENTO CAUTELARE


L’ART 669 bis e ss. Disciplina si applica, in quanto compatibile, a tutte le misure cautelari.
Prima per ciascuna misura era previsto un diverso procedimento. La domanda si propone con
ricorso che dovrà contenere le indicazioni dei presupposti della misura cautelare e la misura
cautelare richiesta. Se il ricorso cautelare è proposto prima dell’instaurazione del processo di
merito, il ricorrente dovrà individuare, nel ricorso cautelare, il diritto a tutela del quale si
chiede il provvedimento. Il giudice competente: se il ricorso è proposto in pendenza di causa
di merito L’ART 669 quater ci dice che il ricorso cautelare deve esser presentato al giudice
della causa di merito, giudice competente è, dunque, quello del processo di merito, con delle
eccezioni: 1)se la causa di merito pende di fronte al giudice di pace, la domanda cautelare si
propone al tribunale; 2) se la causa di merito è pendente di fronte a un giudice straniero e non
vi è un giudice italiano competente a conoscere nel merito la domanda, si deve proporre al
giudice competente nel luogo in cui deve esser eseguito il provvedimento cautelare; 3) se c’è
un giudizio arbitrale, il ricorso cautelare va proposto al giudice statale competente a
conoscere nel merito; 4) se il ricorso è proposto ante causam, il ricorso deve essere
presentato al giudice competente per la causa di merito. Presentato il ricorso deve esser
instaurato il contraddittorio, deve esser depositato e deve esser fissata l’udienza. Vi sono casi
in cui l’instaurazione del contraddittorio è anticipata per ragioni di urgenza, per evitare che il
pericolo che minaccia il diritto del ricorrente si concretizzi, o nei casi in cui è proprio
l’instaurazione del contraddittorio che può causare pregiudizio al ricorrente. Cioè la
instaurazione del contraddittorio può mettere in pericolo la fruttuosità dell’esecuzione del
provvedimento cautelare. Quando la pronuncia del provvedimento è antecedente alla
instaurazione del contraddittorio, viene presentato il ricorso, fissata l’udienza, viene indicato
al ricorrente il termine di 15gg per notificare la misura cautelare, poi si avrà l’udienza in cui il
giudice con ordinanza può confermare o modificare e revocare la misura cautelare.
ART 669 sexies: Procedimento per instaurare contraddittorio. Vi è una attività istruttoria svolta
dal giudice nel contraddittorio tra le parti, è una fase di trattazione de formalizzata. Da un lato,
fatto salvo il principio del contraddittorio, le modalità di svolgimento della trattazione sono
rimesse alla discrezionalità del giudice che sceglie modi e termini della trattazione. Il giudice
può concedere l’assunzione di mezzi di prova atipici o può concedere l’assunzione in forma
atipica di mezzi di prova tipici. Il
provvedimento, pronunciato al termine della fase istruttoria, può essere di rigetto o di
accoglimento , la forma è quella della ordinanza. 1)ART 669 septies: il giudice rigetta l’istanza
cautelare per diversi motivi: a) se rigetta l’istanza cautelare perché si ritiene incompetente
può esser riproposto un novo ricorso cautelare sullo stesso oggetto. L’ordinanza di rigetto,
quindi, non preclude la proposizione di una nuova istanza. b)se il rigetto è fondato su altri
motivi, diversi dall’incompetenza, la riproposizione del ricorso è limitata. È possibile un nuovo
ricorso solo se sopravvengono degli elementi di fatto e di diritto che giustificano la
proposizione della domanda o se a fondamento del nuovo ricorso vengono fatti valere
elementi di fatto e di diritto, esistenti ai tempi del primo procedimento, ma che non erano
stati fatti valere in quella sede. La pronuncia di rigetto è soggetta a RECLAMO.
2)ORDINANZA DI ACCOGLIMENTO: la concessione della misura cautelare può esser
subordinata al pagamento di una cauzione da parte dell’istante, è una garanzia a tutela della
parte che subisce la misura cautelare. Se la cauzione non viene pagata il provvedimento
cautelare perde efficacia EX TUNC. Se il provvedimento cautelare pronunciato ante causam ha
natura conservativa viene imposto al ricorrente di instaurare il giudizio di merito in un termine
indicato dal giudice, comunque non superiore ai 60gg. Laddove il ricorrente non provvede nel
termine indicato, il provvedimento cautelare conservativo perde efficacia.
Le altre ipotesi in cui il provvedimento cautelare perde efficacia sono:
1)quando il giudizio di merito è pendente ma si estingue, il provvedimento cautelare
conservativo nel frattempo pronunciato perde efficacia 2)quando al termine del giudizio di
merito il giudice dichiara inesistente il diritto a tutela del quale era stata concessa la misura
cautelare, perde efficacia sia il provvedimento cautelare conservativo che anticipatorio.
ART 669 octies ultimo comma: L’ EFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE: è un
provvedimento che esplica solo efficacia esecutiva, non anche di giudicato, con la particolarità
che se è un provvedimento conservativo è un’efficacia esecutiva provvisoria perché destinata
ad essere sostituita dalla sentenza del processo dichiarativo. Se è un provvedimento cautelare
anticipatorio, invece, è un’efficacia esecutiva in definitivamente protratta, cioè più stabile,
perché il provvedimento anticipatorio mantiene efficacia sia laddove sia pronunciato ante
causam e il ricorrente non instauri il giudizio di merito, sia se il giudizio di merito instaurato si
estingue. Il provvedimento anticipatorio non impedisce né l’instaurazione del giudizio di
merito in un secondo momento sul diritto oggetto della cautela, né l’instaurazione di un
giudizio di merito nuovo, il provvedimento anticipatorio perde efficacia solo se è pronunciata
una sentenza dichiarativa o se viene pronunciato un provvedimento cautelare che ha
contenuto configgente con quello del primo provvedimento.
Sia L’ORDINANZA DI RIGETTO CHE DI ACCOGLIMENTO possono esse oggetto di RECLAMO.
(ART 669 ter deces SENT. CORTE COST. n 253 del 1994). Il reclamo è un’impugnazione, un
gravame simile all’appello, è un’impugnazione acritica limitata, ha efficacia devolutiva
(oggetto di primo grado viene devoluto nella fase di gravame), ha carattere sostitutivo (cioè il
provvedimento pronunciato al termine del reclamo si sostituisce al provvedimento cautelare),
è un’impugnazione aperta a nuove prove e allegazioni. Il giudice competente è un giudice
diverso da quello che ha pronunciato il provvedimento cautelare, è competente un giudice
superiore, se il provvedimento cautelare è stato pronunciato da un giudice monocratico, il
reclamo deve esser proposto a un giudice in forma collegiale. Proposto il reclamo, entro 15gg
che vanno o dalla pronuncia del provvedimento cautelare se ciò avviene in udienza, o se la
pronuncia del provvedimento cautelare non avviene in udienza, il termine di 15gg decorre
dalla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria. I motivi che possono
fondare il reclamo sono: 1)se sopraggiungono circostanze, fatti, elementi di diritto che
giustificano un nuovo giudizio sull’istanza cautelare, 2)il reclamo può esser fondato anche su
circostanza preesistenti ma non dedotte in primo grado.
Poteri del giudice del reclamo: può disporre e ammettere nuovi mezzi di prova, ma non può
mai rimettere la causa al giudice di primo grado. La proposizione del reclamo non sospende
l’esecuzione del provvedimento cautelare, tuttavia se vi è istanza di parte, e se il giudice
ritiene che l’esecuzione del provvedimento può arrecare danno alla parte che lo subisce, può
sospenderne l’esecuzione, subordinando la sospensione al pagamento di una cauzione.
ART 669 deces: il provvedimento cautelare può esser modificato o revocato se ricorrono
mutamenti nelle circostanze, cioè col sopraggiungere di nuovi elementi o se emergono fatti
preesistenti ma non dedotti in giudizio perché la parte prova che non ne era a conoscenza. Il
giudice competente per la modifica o revoca è il giudice competente a decidere nel merito la
causa se è pendente un giudizio di merito. Se non è pendente un giudizio di merito, o se il
processo di merito si svolge all’estero, l’istanza di modifica o revoca è fatta al giudice che ha
pronunciato l’istanza cautelare. Il legislatore ha previsto che ove sia proposto reclamo o sia
pendente il termine per proporlo non può essere più chiesta la modifica del provvedimento,
ciò per evitare che per lo stesso provvedimento cautelare sia richiesto sia il reclamo, sia la
modifica o revoca. ATTUAZIONE DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE: l’utilità del
provvedimento cautelare deriva dal fatto che esso ha efficacia esecutiva.
Due forme di attuazione: 1) se il provvedimento cautelare ha ad oggetto somme di denaro,
allora l’attuazione del provvedimento cautelare avviene nelle forme dell’esecuzione forzata. Si
applica la disciplina dell’esecuzione forzata contemplata nel III° libro, infatti il giudice
competente è quello competente per l’esecuzione forzata. 2) se il provvedimento cautelare ha
ad oggetto obblighi di consegna o rilascio o obblighi di fare o non fare, l’attuazione del
provvedimento cautelare si fa nelle forme della cd. “esecuzione in via breve”. Non la disciplina
in forma specifica, ma disciplina AD HOC, il giudice competente è lo stesso che ha emanato il
provvedimento cautelare, e le modalità di svolgimento dell’esecuzione sono stabilite dal
giudice competente. In realtà, da un punto di vista pratico, le modalità scelte dal giudice non
sono completamente differenti da quelle dell’esecuzione in forma specifica. Se sorgono
difficoltà il giudice, sentite le parti, dà i rimedi opportuni( cioè se ci sono contestazioni non si
segue la disciplina delle opposizioni esecutive, ma si deve fare istanza al giudice competente
che deve risolvere le questioni). Ogni altra questione va proposta al giudice di merito: la
dottrina sostiene che, 1)se tali questioni riguardano la validità di atti posti in essere nella fase
di attuazione cautelare, tale questione deve esser sottoposta al giudice competente per
l’attuazione cautelare;2)se in sede di attuazione del provvedimento cautelare, emerge una
contestazione circa l’efficacia del provvedimento cautelare, questa questione è rimessa al
giudice che ha pronunciato il provvedimento cautelare. 3)se, in pendenza dell’attuazione del
provvedimento cautelare, sorge una controversia inerente il diritto cautelato la questione
dovrà esser risolta dal giudice competente nel merito.

Sequestro giudiziario

L’ipotesi più importante di sequestro giudiziario è prevista dall’ART 670 n. 1. Essa riguarda
beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando non è controversa la
proprietà o il possesso ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione
temporanea. La esecuzione di tale sequestro avviene nelle forme dell’esecuzione per
consegna e rilascio. L’effetto del sequestro è il trasferimento o la sottrazione al sequestrato
del potere di fatto su un certo bene. I presupposti sono: l’esistenza di un controversia tra le
parti in ordine al possesso o proprietà del bene e l’opportunità, in base al pericolo che
minaccia il bene, di provvedere alla custodia o gestione temporanea del bene. Il giudizio è
fatto in base al PERICULUM IN MORA ( pericolo di distruzione o alienazione del bene). Lo
scopo è quello di conservare il bene onde evitare che un III° acquisti il possesso del bene in
buona fede e ne diventi proprietario a titolo originario (ex art. 1153). Col sequestro, quindi, si
toglie la materiale disponibilità del bene a colui che potrebbe far realizzare al terzo l’acquisto
a titolo originario, infatti se colui il quale il bene è stato tolto col sequestro , lo vende in corso
di causa, il compratore acquista non a titolo originario, ma a titolo derivato, e rimane
soggetto, ex art. 111 c.p.c., agli effetti della sentenza emessa nei confronti del suo dante
causa.

Sequestro probatorio
ART 670 n. 2 : oggetto del sequestro sono quei beni aventi funzione probatoria nel processo, e
lo scopo è quello di garantire la funzionalità della futura istruzione probatoria. Non è
controversa qui la proprietà di tali beni, ma è controverso il diritto alla esibizione o
comunicazione del bene. In tali casi si provvede alla custodia temporanea degli oggetti aventi
funzione probatoria. In sede di processo il soggetto che dispone del bene può scegliere di
esibirlo o no, se si rifiuta accade ciò: 1)se il soggetto è un soggetto terzo può esser condannato
al pagamento di una somma pecuniaria. 2) se è una delle parti in causa: ART 118, il giudice
può desumere dal rifiuto argomenti di prova a favore della controparte.
Sequestro conservativo
ART 671: ha per oggetto beni mobili o immobili del debitore o somme o cose a lui dovute e
tende ad assicurare la garanzia generica sui beni del debitore contro il pericolo di sottrazione
e alterazioni, è in un certo senso un’anticipazione del pignoramento, fondata sui seguenti due
presupposti: 1)la ragionevole apparenza del diritto (fumus boni iuri)
2)il pericolo o fondato timore di perdere la garanzia del credito( periculum in mora); che può
esser desunto sia da elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in
rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi desumibili da un comportamento del
debitore tali da lascia presumere che egli, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere
atti tali da rendere verosimile l’eventuale deprezzamento del suo patrimonio sottraendolo
all’esecuzione forzata. Riassumendo, il creditore ha fondato timore di perdere la garanzia del
proprio credito e la funzione di questo sequestro è quella di conservare integro il patrimonio
del debitore. Il pericolo è quello di depauperamento del patrimonio del debitore, la funzione
del sequestro è quella di garantire la fruttuosità della espropriazione forzata. Il sequestro
conservativo si esegue come un pignoramento. Il sequestro conservativo consiste dunque in
un provvedimento nel quale si stabilisce che, per la tutela cautelare di un certo credito, il
creditore è autorizzato ad eseguire un sequestro conservativo sui beni del debitore. È il
creditore a scegliere quali elementi dell’attivo sottoporre a sequestro, entro il limite massimo
di un valore stabilito dal giudice.
Sequestro liberatorio

ART 678: si suppone che il debitore offre la prestazione dovuta al creditore, qui non è controversa
la prestazione dovuta al creditore, ma controverse sono le modalità della prestazione. Il creditore
rifiuta la prestazione offerta dal debitore e il debitore può chiedere il sequestro liberatorio dei beni
in attesa che venga definito l’aspetto controverso.
PROCEDIMENTO SEQUESTRO

La disciplina tendenzialmente è quella del processo cautelare uniforme con in più norme speciali. I
sequestri rappresentano una tipica misura conservativa: ne consegue che nel caso di
provvedimento di accoglimento, adottato ante causam, il giudice deve assegnare alle parti un
termine perentorio, non superiore a 60gg, per l’instaurazione del giudizio di merito e che, laddove
quest’ultimo si estingua o non venga intrapreso nel termini de quo ,il provvedimento di sequestro
perde efficacia. Disposizioni dirette ad integrare la normativa generale, sono:
ART 675: se il sequestro non viene eseguito entro 30gg dalla pronuncia del provvedimento, il
sequestro perde efficacia. ART 676: dispone che, nel disporre il sequestro giudiziario, il giudice
nomina il custode, stabilisce i criteri e i limiti dell’amministrazione delle cose sequestrate e le
particolari cautele idonea a rendere più sicura la custodia.
ART 677 ss: che regolano la fase dell’esecuzione del sequestro, richiamando la disciplina
dell’esecuzione forzata, in particolare: a)per il sequestro giudiziario, le forme dell’esecuzione per
consegna o rilascio; b)per il sequestro conservativo, le forme proprie del pignoramento.
ART 684: il debitore può ottenere dal giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile, la revoca
del sequestro conservativo, prestando idonea cauzione per l’ammontare del credito che ha dato
causa al sequestro e per le spese, in ragione del valore delle cose sequestrate.

La funzione cautelare del sequestro trova compiuta realizzazione quando il giudizio di merito
accerta la fondatezza del diritto da sequestrare, in tal caso:
1)nel sequestro giudiziario su cose determinate, il sequestrante vittorioso acquista un titolo di
possesso autonomo sulle cose oggetto del procedimento
2)nel sequestro conservativo, esso si converte in pignoramento al momento in cui il creditore
sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva. Per alcuni questa conversione è automatica,
per altra parte della dottrina, invece, il soggetto che ha chiesto il sequestro può rinunciare alla
conversione non depositando la sentenza presso il giudice competente per l’esecuzione forzata.

Denuncia di nuova opera o di danno temuto

Lo scopo di questi provvedimenti è quello di impedire il concretizzarsi di un danno in tempi molto


rapidi, è un provvedimento cautelare anticipatorio. Due ipotesi: ART 1171: denuncia di nuova
opera, il pericolo che si presenta è quello che dall’altrui attività possa derivare un danno al diritto
dell’istante, il quale sostiene che l’attività altrui è illecita e chiede la rimessione in pristino. È
sufficiente il pericolo del pregiudizio.
ART 1172: denuncia di danno temuto, il pericolo deriva da un “non facere” altrui, in questo caso è
illecita l’inattività. È diretta contro il pericolo di un danno grave e prossimo derivante da un
edificio, albero o altre cose già esistenti nel fondo vicino, per ottenere dal giudice un
provvedimento che consenta di ovviare al pericolo. Il diritto che si vuole tutelare è il diritto di
proprietà, possesso o altri diritti reali di godimento che possono subire pregiudizio dall’attività o
inattività illecita. Nella denuncia di nuova opera legittimato attivo è colui che è titolare del diritto
che si vuole cauelare, legittimato passivo è colui che pone in essere l’attività pregiudizievole.
Nella denuncia di danno temuto legittimato attivo è sempre il titolare del diritto che si vuole
tutelare, legittimato passivo, bisogna stabilire il soggetto possessore che ha obblighi di custodia e
manutenzione del bene. Il contenuto del provvedimento è: a) il giudice, nella denuncia di nuova
opera, può impedire la continuazione dell’attività o consentirla, comunque deve disporre le
opportune cautele per chi subisce il provvedimento. Se il giudice consente la prosecuzione
dell’opera subordina ciò a una cauzione, in caso di mancato pagamento l’istante può richiedere il
provvedimento, viceversa, se il giudice impedisce la costruzione dell’opera e subordina ciò al
pagamento di una cauzione, il mancato pagamento fa cadere il provvedimento che impedisce la
costruzione dell’opera.

b) per la denuncia di danno temuto, il legislatore è vago, quindi il rimedio viene stabilito dal
giudice.
Sono dei provvedimenti di natura anticipatoria, quindi, nel caso di emissione del provvedimento
cautelare l’instaurazione del giudizio di merito è facoltativa e il giudice non deve assegnare un
termine ad hoc, e nell’ipotesi di estinzione del giudizio di merito eventualmente intrapreso, il
provvedimento non perde efficacia. Se la domanda è proposta prima del giudizio di merito,
competente è il tribunale del luogo in cui è posto l’immobile, se la domanda è proposta durante il
giudizio di merito si applicano le disposizioni sulla competenza di cui all‘ART 669 quater.
Altra regola particolare è L’ART 691 il quale dispone che, se la parte obbligata dal provvedimento
cautelare viola il divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto, il giudice, su
ricorso dell’altra parte, può disporre con ordianza che le cose siano rimesse al pristino stato a
spese del contravventore.

PROVVEDIMENTI D’URGENZA

Garanzia massima di tutela cautelare, sancita da una SENT della CORTE COST. come atipica e
sussidiaria. È una misura che può essere concessa solo nell’ipotesi in cui non si può chiedere una
misura cautelare tipica. È atipica sotto tre profili: 1)il pregiudizio che minaccia il diritto dell’istante
è imminente e irreparabile ; 2)il legislatore non ci dice il contenuto del provvedimento, infatti è il
soggetto istante che dovrà individuare il contenuto del provvedimento richiesto; 3)il legislatore
non ci dice nulla in ordine al diritto che può esser tutelato con questo provvedimento. La
giurisprudenza per molto tempo ha cercato di individuare il campo di applicazione facendo leva
sulla formula che il legislatore una parlando di danno “IMMINENTE e IRREPARABILE”. La
giurisprudenza ha individuato una serie di diritti che possono essere tutelati dall’ art. 700. Possono
essere tutelate solo situazioni sostanziali finali. È finale quella situazione sostanziale, il cui titolare
è fisiologicamente soddisfatto allorchè è in grado di esercitare i poteri previsti in relazione
all’utilità protetta e i terzi devono limitarsi a non ostacolare l’esercizio di tali poteri. La situazione
finale è utile finchè esiste. Ad es, sono situazioni finali i diritti reali, i diritti personali di godimento e
i diritti della personalità. È strumentale quella situazione sostanziale che realizza il suo scopo
attraverso un comportamento altrui e produce la sua utilità nel momento in cui si estingue. Ad es.
sono situazioni strumentali i diritti di credito e quelli potestativi. Per la dottrina in questione con il
provvedimento di urgenza si potrebbero tutelare solo le situazioni finali, perché per quelle
strumentali non vi sarebbe mai la irreparabilità richiesta dall’art 700. Il diritto di credito non
potrebbe mai essere leso in maniera irreparabile. Tesi che è rimasta minoritaria perché da un
punto di vista strutturale, infatti, l’unico pericolo è la infruttuosità della esecuzione, ma esistono
diritti di credito finalizzati alla realizzazione di certe utilità, le quali possono essere a loro volta
pregiudicate in modo irreparabile, quindi, oltre al pericolo della infruttuosità esiste anche quello
del ritardo nell’adempimento. Es. credito alimentare ha la struttura di una situazione strumentale,
ma una funzione diversa dai crediti ordinari. Può esser pregiudicato non solo dalla infruttuosità,
ma anche dal ritardo nell’adempimento. Così anche il diritto al compenso per i lavoratori
dipendenti, ma anche autonomi. I provvedimenti di urgenza sono idonei ad anticipare gli effetti
della decisione di merito, e pertanto nel caso di emissione del provvedimento cautelare
l’instaurazione del giudizio di merito è facoltativa, e il provvedimento di urgenza non perda
efficacia nel caso di estinzione del processo di merito intrapreso.
Presupposti: 1) probabile esistenza del diritto vantato(fumus boni iuris); 2) un pregiudizio
imminente e irreparabile; 3) l’inesistenza di un altro provvedimento cautelare tipico, idoneo, nel
caso concreto, ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.

I provvedimenti di urgenza perdono efficacia quando sono sostituiti e assorbiti dalla sentenza sul
merito anche di primo grado, inoltre, non perdono efficacia anche se non si arriva ad una sentenza
di merito, o perché le parti non hanno instaurato il giudizio di merito o nel caso in cui il giudizio di
merito si estingue. Il provvedimento di urgenza non può essere impugnato con i mezzi di
impugnazione propri delle sentenze (l’impugnativa specifica è costituita dal RECLAMO). Il
ricorrente che chiede un provvedimento di urgenza deve individuare la situazione sostanziale, il
pericolo e anche gli effetti. Il giudice non può dare effetti che non siano stati richiesti, anche se può
dare effetti minori di quelli richiesti. Es: l’istante chiede la condanna cautelare del debitore
alimentare a pagare 500,00 EURO al mese, il giudice può accogliere la richiesta per 200,00 EURO,
ma non per 600,00 EURO.

ISTRUZIONE PREVENTIVA

La funzione è quella di raccogliere prove quando si presume che possono esser raccolte nel
successivo processo di merito. Questa esigenza sussiste solo per le prove costituende (che sono
quelle prove che necessitano di una valutazione da parte del giudice istruttore come la
confessione, giuramento, testimonianza), e non anche per le prove pre – costituite (che sono
quelle prove che non necessitano di una valutazione da parte del giudice istruttore, come le prove
documentali). È un provvedimento cautelare che ha effetti endo processuali, non anche effetti che
incidono sulla realtà sostanziale, cioè sulla sfera giuridica della controparte, ma limitatamente al
procedimento in corso. La valutazione del giudice in ordine al periculum in mora e fumus boni iuris
sarà più leggera, in quanto il suo giudizio si limita alla rilevanza e ammissibilità della misura
richiesta. La natura del provvedimento è sia anticipatoria (cioè anticipazione nell’assunzione della
prova), sia conservativa ( congela la situazione di fatto al momento dell’istanza).
A questi provvedimenti si applica solo l’ART 669 septies : la parte che ha ottenuto il
provvedimento non ha l’obbligo di instaurare il giudizio di merito, il provvedimento non perde
efficacia. Da ricordare è una recente SENTENZA DELLA CORTE COST. n. 26 del 2010,che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ART 669 quaterdecies nella parte in cui, escludendo
l’applicazione dell’art 669 quinquies ai provvedimenti di istruzione preventiva, impediva, in caso di
clausola compromissoria, la domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe
competente a conoscere del merito.
Le prove che possono essere assunte con l’istruzione preventiva sono: ART 692: prova
testimoniale, quando vi sia fondato timore che stiano per mancare uno o più testimoni. Il giudice
nel concedere il provvedimento non deve valutare se la pretesa che si vuole fare valere sia o meno
fondata, si limita solo a dare una valutazione sulla rilevanza della prova. L’istanza deve indicare i
motivi dell’urgenza e i fatti sui quali i testimoni devono deporre, nonché l’esposizione sommaria
delle domande o delle eccezioni cui la prova è preordinata.
ART 696: ispezione, chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualità
o condizione di cose, può chiedere che sia disposto un accertamento tecnico o un’ispezione
giudiziale. In tal caso il giudice nomina il consulente tecnico e fissa la data dell’inizio delle
operazioni, con la L. 80 del 2005, è stata prevista la possibilità che l’indagine peritale possa essere
disposta anche sulla persona dell’interessato, e con il suo consenso, anche sulla persona della
controparte. Dal rifiuto del consenso del soggetto sottoposto all’accertamento il giudice può trarre
elementi di prova. Prendendo atto di un orientamento affermatosi nella giurisprudenza recente
della Corte di Cassazione, il legislatore ha ammesso che l’accertamento possa concernere non solo
la descrizione dello stato dei luoghi o la condizione o la qualità delle cose (il c.t.u. non deve
limitarsi solo a fotografare l’oggetto), ma può estendersi anche all’accertamento delle cause ed
all’entità dei danni relativi all’oggetto della verifica. L’istruzione preventiva non è ammessa per la
confessione, mentre per il giuramento è necessaria che la causa sia pendente in modo da poter
conoscere i fatti a cui il giuramento si riferisce. La domanda si propone con ricorso: se il ricorso si
propone ante causam il giudice competente è quello che sarebbe competente per il merito. Se
pende già la causa il giudice competente è quello di merito. Non vale nell’istruzione preventiva la
preclusione, prevista per il procedimento cautelare uniforme, per il giudice di pace di pronunciare
un provvedimento, cioè il giudice di pace può provvedere sulla richiesta di istruzione preventiva.
Una volta presentato il ricorso il giudice dovrà fissare l’udienza di comparizione delle parti,
l’istante deve notificare il ricorso alla controparte e all’interno dell’udienza il giudice valuta non
solo i presupposti dell’urgenza, ma anche l’ammissibilità delle prove richieste. Al termine
dell’udienza il giudice pronuncerà un’ordinanza che può essere di accoglimento o di rigetto. 1)Se è
di rigetto (ART 669 septies) l’istanza può esser riproposta quando si verificano mutamenti delle
circostanze o vengono dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Con una sent. Della Corte Cost. si
è detto che il provvedimento di rigetto, e non anche quello di accoglimento, è reclamabile ai sensi
dell’ART. 669 terdecies. 2) se è di accoglimento il giudice autorizza l’assunzione della prova, una
volta assunta deve esser redatto un processo verbale da depositare presso la cancelleria del
giudice in attesa del giudizio di merito. Se viene instaurata la causa di merito, il giudice di merito
deve provvedere a pronunciare un nuovo giudizio di ammissibilità della prova già assunta e
potrebbe ritenere quella prova non ammissibile nel giudizio di merito, questo perché l’istruzione
preventiva non vincola quanto accade nel processo di merito. Se vi è una particolare urgenza di
procedere all’istruzione preventiva le norme da seguire sono: ART 693 c. 2: il ricorso può proporsi
al tribunale del luogo dove la prove deve essere assunta. ART 697: se vi è un’eccezionale urgenza,
il giudice può autorizzare l’assunzione della prova senza l’instaurazione del contraddittorio,
quando è l’instaurazione stessa del contraddittorio a pregiudicare l’assunzione della prova o
quando vi è una particolare urgenza temporale. L’ART 697 trova applicazione solo per l’ispezione o
l’accertamento tecnico. Il legislatore vuole garantire anche la controparte assente. Se la prova è
stata assunta senza contraddittorio e nel giudizio di merito la controparte contesta la legalità
dell’assunzione senza contraddittorio, la prova non è utilizzabile. PREVALE IL PRINCIPIO DEL
CONTRADDITTORIO.
Con la l. 80 del 2005 è stato introdotto l’ART 696 bis, ossia la disciplina della consulenza tecnica
preventiva, la norma prevede che possa richiedersi la consulenza tecnica anche al di fuori dei
presupposti di urgenza previsti dall’ART. 696, quando la causa è incentrata sull’accertamento o
determinazione di crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali
o da fatto illecito (es. incidente stradale dove si discute esclusivamente sul grado di invalidità
riportato dal danneggiato). La consulenza tecnica preventiva non ha funzione cautelare, non vale
per questo la sent. Della Corte Costituzionale che ha ammesso il reclamo avverso il provvedimento
che rigetta un’istanza di istruzione preventiva. Lo scopo è quello di deflazionare il carico dei
contenziosi, è un mezzo di risoluzione della controversia ed è un mezzo di conciliazione che si
fonda su un accordo tra le parti che prescinde dal processo in atto, e in forza di questo accordo tra
le parti la causa in corso si conclude. L’obiettivo è quello di favorire una definizione stragiudiziale
della controversia, evitando che la controversia giunga all’esame del magistrato, in quest’ottica si
ribadisce l’obbligo del consulente di tentare la conciliazione. Dato che l’istanza si basa su un
accordo tra le parti e le spese per la consulenza tecnica preventiva sono a carico di chi la richiede,
Luisio dice che si deve distinguere: 1) se l’oggetto della consulenza rientra nella disponibilità del
richiedente, il giudice dovrà accogliere la richiesta della consulenza tecnica. 2) se l’oggetto
dell’indagine è la persona o un bene della controparte o di un terzo, se questi si oppongono il
giudice dovrà rigettare la domanda. Dopo il ricorso in cui si chiede la consulenza tecnica
preventiva, viene nominato un consulente che dovrà tentare una conciliazione tra le parti, a) se
riesce viene redatto verbale di conciliazione. Il legislatore ha previsto che il verbale di conciliazione
è esente da imposta di registro e costituisce titolo esecutivo per ogni forma di esecuzione ed è
titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale; b) se la conciliazione non riesce il consulente deposita la
sua relazione che diventa prova documentale. Nel giudizio di merito ciascuna parte potrà
richiedere l’assunzione della relazione.

Le azioni possessorie

La tutela del possesso come situazione di fatto, differisce ed è indipendente dalla tutela della
proprietà, che è una situazione di diritto. Il possesso (art. 1140 c.c.) è l’esercizio sulla cosa di poteri
che corrispondono a un diritto reale. L’attività concreta corrisponde all’esercizio dei poteri in
astratto spettanti al titolare di un diritto reale. Questo è il cd. IUS POSSESSIONIS: il diritto che
scaturisce dal possesso, da cui va distinto lo IUS POSSIDENDI che è il diritto di esplicare in concreto
quei poteri che in astratto compongono il suo diritto reale. Ad es, il proprietario che non possiede
il bene ma che ha il diritto di possederlo. Le azioni possessorie riguardano lo IUS POSSESSIONIS e
tutelano chi effettivamente esercita i poteri sul bene e non chi ha il diritto di acquisire il possesso
sul bene. La detenzione invece, è l’esercizio sul bene di poteri che corrispondono non ad un diritto
reale, ma ad un rapporto contrattuale, si avrà IUS DETENTIONIS, cioè l’effettivo esercizio sul bene
di un potere correlato ad un rapporto contrattuale, e lo IUS DETINENDI che è il diritto ad esercitare
quel potere. Quando la situazione di fatto ( lo IUS POSSESSIONIS e lo IUS DETENTIONIS) viene
violata, nascono delle situazioni sostanziali protette. Quindi il fatto che si possiede o detenga un
certo bene protegge contro quelle violazioni del possesso o della detenzione, che si realizzano nei
modo previsti dagli artt. 1168 – 1170 c.c. Le azioni possessorie sono tre: reintegrazione (art. 1168
c.c), manutenzione (art.1170 c. 1 e 2 c.c.), e spoglio semplice ( art. 1170 c. 3 c.c.).
LA REINTEGRAZIONE: protegge dalla sottrazione violenta o clandestina della materiale
disponibilità del bene. La giurisprudenza della Cass. ritiene presunta la violenza, tutte le volte in cui
la lesione possessoria si è verificata senza il consenso del possessore. Quindi non si avrà tutele
possessoria se la disponibilità del bene è stata persa per atto volontario. La sottrazione deve
esistere nel momento in cui viene proposta la domanda e l’illecito non deve esser stato compiuto
da più di un anno, se lo spogli è clandestino l’anno decorre da quando si è venuti a conoscenza
dello spoglio stesso. La legittimazione a chiedere la tutela spetta a qualunque soggetto che esercita
i poteri sul bene corrispondenti ad un diritto reale, anche il detentore ha l’azione di reintegrazione
(si parla in questo casi di detentore autonomo), tranne il caso che detenga per ragioni di servizio e
di ospitalità ( detentore non autonomo). Se la sottrazione è effettuata dal possessore ai danni del
detentore, bisogna distinguere nell’ambito dei detentori autonomi quelli qualificati (cioè colui che
detiene nel proprio interesse, il rapporto contrattuale che fonda la detenzione dà al detentore ha il
diritto di detenere il bene), e quelli non qualificati ( è colui che detiene nell’interesse altrui, il
rapporto contrattuale su cui si fonda la detenzione non dà al detentore un diritto, ma è solo
adempimento di un obbligo nei confronti del possessore). La domanda reintegratoria ha come
finalità quella di ottenere la restituzione del bene sottratto, non ha scopo risarcitorio. La
legittimazione passiva appartiene all’autore dell’illecito, ma non l’autore materiale bensì all’autore
morale (mandante). Es, Caio ha il possesso di una servitù di passo e Tizio incarica un fabbro di
installare un cancello che impedisce l’esercizio del possesso a Caio, la domanda di reintegrazione
va proposta contro Tizio, che ha commissariato il cancello, e non contro il fabbro. L’autore dello
spoglio è sempre obbligato al risarcimento del danno, anche se ha perduto la disponibilità
materiale del bene e non può restituirlo, resterà sempre obbligato al risarcimento dei danni. 1)Se
l’autore dello spoglio ha perso la disponibilità del bene prima che contro di lui sia proposta
domanda di reintegrazione, questa si può proporre contro l’avente causa a titolo particolare (chi
ha la materiale disponibilità del bene) se tra l’autore e il terzo si è avuta la trasmissione del
possesso e l’acquirente del possesso era a conoscenza che il suo dante causa aveva il possesso del
bene, perché l’aveva sottratto in modo violento o clandestino. 2)Se invece l’autore dell’illecito
perde la disponibilità del bene nel corso della causa di reintegrazione, perché il possesso è stato
acquistato a titolo particolare da un terzo che era a conoscenza dell’illecito, trova applicazione
l’art. 111 c.p.c. e la sentenza che dispone la reintegrazione contro l’autore è efficace anche nei
confronti di chi è succeduto nel possesso nel corso del giudizio di reintegrazione, a prescindere
dalla conoscenza che egli abbia avuto dello spoglio. L’azione è concessa rispetto a tutti i beni
suscettibili di possesso ( mobili, universalità di mobili, anche le energie).

LA MANUTENZIONE: presuppone non una sottrazione ma una molestia nel possesso, che consiste
in un impedimento alla piena esplicazione dello stesso, senza che tale possesso sia sottratto. Es,
Tizio deposita la potatura dei suoi alberi sul fondo vicino, posseduto da Caio. L’azione di
manutenzione tutela il possesso e non la detenzione, e tutela il possesso solo degli immobili e
delle universalità di mobili. La tutela è concessa al possessore cd. legittimo : cioè a colui che
possiede il bene da oltre un anno in modo pacifico e ininterrotto. Il possesso deve esser stato
acquistato senza violenza o clandestinità, oppure queste devono esser cessate da oltre un anno. In
sostanza con l’azione di manutenzione è tutelato colui, che non potrebbe esser aggredito da
un’azione di reintegrazione. Questo è il possesso legittimo. La domanda consiste
nell’accertamento della illiceità dei comportamenti di turbativa, e nell’ordine di cessazione degli
stessi.

SPOGLIO SEMPLICE: è una domanda di reintegrazione con le caratteristiche dell’art 1168 ma con
due differenze: la sottrazione non è stata violenta o clandestina, ad es spoglio con inganno, la
tutela è concessa alle stesse condizioni della manutenzione. Questa azione si denomina anche
“manutenzione recuperatoria”, e non può esser concessa al detentore, ma solo al possessore.

Procedimento

Fino al ’90 era pacifico in giurisprudenza che la tutela possessoria si articolava in una fase
interdittale, destinata alla pronuncia di provvedimenti sommari, e una fase a cognizione piena che
proseguiva fino alla pronuncia di una sentenza, impugnabile nei modi ordinari. Dal ’90 in poi la
giurisprudenza di merito e la dottrina sostennero che il cd. “merito possessorio” non aveva ragione
di esistere, in quanto il possesso è un fatto e non un diritto, e le azioni possessorie non hanno la
finalità di tutelare diritti, ma semplicemente la finalità di reprimere quei comportamenti illeciti
previsti dall’art. 1178 ss c.c. Questa ricostruzione è stata rigettata dalla Cass. , che ha ribadito la
soluzione tradizionale, affermando che il processo possessorio è caratterizzato da una duplice fase:
la prima di natura sommaria finalizzata all’emanazione di provvedimenti immediati, la seconda, a
cognizione piena, ha ad oggetto il merito della pretesa possessoria, e cioè il diritto che nasce dalla
lesione del possesso, e si conclude con una sentenza soggetta alle impugnazioni ordinaria. La
riforma del 2006 ha confermato questa impostazione. La
domanda si propone con ricorso, con cui si chiedono anche provvedimenti interdittali, cioè
immediati e la mancata richiesta degli stessi non costituisce motivo di inammissibilità della
domanda possessoria. LART. 703 c. 2 richiama il procedimento cautelare uniforme in quanto
applicabile. Non trova applicazione l’ART 669 octies, in quanto il suo contenuto è sostituito dall’art
703 ultimo comma. E dell’ ART 669 novies trova applicazione solo il terzo comma: quindi il
provvedimento interdittale perde efficacia se con la sentenza di merito è dichiarato inesistente il
diritto a tutela del quale è stato emesso, ma non perde efficacia a causa di estinzione del processo.
ART 703 c. 3: prevede la reclamabilità del provvedimento interdittale ai sensi dell’ art. 669
terdecies.

La loro natura è quella di provvedimenti cautelari anticipatori, quindi, pronunciato il


provvedimento interdittale, il giudice non procede automaticamente a fissare l’udienza ex art 183,
le parti se lo vorranno potranno fare una richiesta in tal senso. L’istanza si propone con deposito in
cancelleria. Non è una nuova fase, ma una prosecuzione della prima, che ha lo stesso oggetto ma
che verrà trattata con le garanzie della cognizione piena. L’istanza deve esser proposta nel termine
perentorio di 60gg dalla comunicazione del provvedimento che definisce la fase interdittale. Quale
è l’efficacia del provvedimento interdittale non seguito dall’istanza di prosecuzione del
processo? Due soluzioni: 1)il provvedimento sommario diventa stabile e vincolante. Se non si ha
una seconda fase il provvedimento acquista un’efficacia superiore a quella che il legislatore dà ai
provvedimenti cautelari anticipatori. Esplica efficacia di accertamento e preclude la possibilità di
instaurare un giudizio sullo stesso oggetto. Questa efficacia può esserle riconosciuta perché siamo
all’interno di un giudizio di merito, perché la domanda di merito è già proposta con il ricorso
iniziale, e questa è la differenza fondamentale con gli altri procedimenti cautelari, e, dunque, i
provvedimenti interdittali si differenziano da quelli cautelari perché non possono esser proposti
ante causam. È un provvedimento che può avere l’efficacia della sentenza a cui si è rinunciato.
2)se non viene fatta istanza di prosecuzione il provvedimento sommario avrà efficacia esecutiva,
ma non di accertamento, non impedisce cioè l’instaurazione con un’altra domanda di una nuova
causa, processo che si concluderà con la pronuncia di una sentenza che si sostituirà al
provvedimento sommario. La soluzione più corretta è la prima, pur senza certezza assoluta, si deve
ritenere che il principio ispiratore della nuova disciplina cautelare anticipatorio deve esser
applicato anche qui ma in diverso senso, mentre negli altri le parti si accontentano degli effetti
minori del provvedimento cautelare, qui si accontentano di una cognizione minore, cioè
sommaria, per ottenere però lo stesso risultato che dà una sentenza pronunciata a seguito di una
cognizione piena. Una disciplina particolare opera nel caso in cui già penda il giudizio petitorio
(cioè azioni a tutela della proprietà). SOSTANZIALMENTE accade ciò: su uno stesso bene un
soggetto chiede la tutela della proprietà e un altro il possesso.
Prima ipotesi: è pendente un giudizio petitorio ex art. 704 e viene compiuto un illecito
possessorio: CASO: Tizio si dichiara proprietario del bene e agisce contro Caio che possiede il bene.
Se nel corso del processo Tizio prende possesso del bene contro la volontà di Caio, Caio agisce per
la rivendicazione del possesso. ART. 704: quando è pendente un giudizio petitorio, le azioni
petitorie devono esser proposte di fronte al giudice del petitorio. C’è però una deroga, ART 704
c.2. Se ricorre una particolare urgenza nell’apprestare la tutela possessoria, l’azione possessoria
può esser presentata di fronte al giudice competente per l’azione possessoria. Questo giudice
emette il provvedimento urgente che ritiene opportuno. La rimessione al giudice del petitorio, una
volta dati i provvedimenti temporanei indispensabili, non è più automatica, ma rimessa
all’iniziativa delle parti. Seconda ipotesi: si verifica un illecito possessorio e non vi è la pendenza di
un giudizio petitorio: CASO: Tizio si afferma proprietario del bene che possiede Caio, Tizio si
impossessa del bene. Caio agisce per l’azione possessoria, può Tizio chiedere un giudizio petitorio
per vanificare l’azione di Caio? Per evitare che Tizio vanifichi l’azione del possesso, L’ART 705
prevede che colui che è convenuto in un giudizio possessorio non può proporre azione petitoria fin
quando il giudizio possessorio non sia finito o la sentenza non sia eseguita. La RATIO è che, chi
viola il possesso non può agire in petitorio, fino a che non ha rimesso le cose al loro posto.
È prevista però una deroga: il principio dell’art 705 non si applica quando il convenuto dimostra
che lui vorrebbe adempiere ma è l’attore che impedisce l’attuazione del provvedimento
possessorio, in questo caso si può proporre il procedimento petitorio anche se la sentenza
possessoria non è stata eseguita. Un’altra deroga è stata introdotta dalla Corte Cost., la quale ha
dichiarato l’illegittimità cost. dell’art 705 nella parte in cui subordina la proposizione della
domanda petitoria alla definizione della controversia e all’esecuzione della decisione, nel caso che
ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto.

LA GIURISDIZIONE VOLONTARIA
Ambito di applicazione della giurisdizione volontaria:
1)provvedimenti con cui il giudice nomina o rimuove rapporti legali di minori o incapaci
2)provvedimenti con cui il giudice nomina i liquidatori del patrimonio delle persone giuridiche
3)provvedimenti con cui il giudice autorizza i genitori del minore ad alienare i beni pervenuti al
minore a qualsiasi titolo. Questo tipo di processo non ha ad oggetto la tutela dei diritti e non si
presuppone un illecito, quindi, non vi è una controversia tra le parti intervenute.
Luisio parla di giurisdizione sostanzialmente volontaria, ciò significa che il provvedimento del
giudice è un elemento integrativo dell’efficacia di un atto di diritto sostanziale. Es, nel caso in cui il
giudice autorizzi la vendita del bene del minore, il provvedimento del giudice è un elemento
necessario per il compimento della vendita. In altri casi l’ordinamento parla di giurisdizione
formalmente volontaria, casi in cui il provvedimento di giurisdizione volontaria non è un elemento
integrativo di n atto di diritto privato, ma è un vero e proprio elemento che da solo produce gli
effetti di diritto sostanziale.

Procedimento

ART 737 ss: queste norme sono le più lontane dal procedimento ordinario di cognizione. Lo
schema è quello di un processo semplificato a cognizione sommaria dominato da assoluta
discrezionalità del giudice che si conclude von un decreto motivato non idoneo al giudicato perché
revocabile, modificabile e reclamabile. La domanda si propone con ricorso,la decisione avviene,
senza contraddittorio, in camera di consiglio. Se competente a decidere è un giudice collegiale,
deve esser nominato un giudice relatore che riferisce in camera di consiglio. Ai sensi dell’ART 738
c. 3 l’istruzione probatoria è aperta ai poteri inquisitori del giudice e c’è anche la possibilità di
assumere prove atipiche, l’istruttoria è de formalizzata, cioè non sottoposta alla regole e ai limiti
che riguardano l’istruttoria ordinaria. È pur sempre applicata la regola dell’onere della prova, se i
fatti non sono provati il giudice rigetta l’istanza. il provvedimento del giudice assume la forma del
decreto motivato, e contro di esso si può proporre reclamo, cioè un vero e proprio appello, in
quanto il reclamo ha le caratteristiche di un mezzo di gravame. Il reclamo può esser proposto solo
da colui che non si è visto dare ciò che aveva chiesto e si propone contro i decreti del giudice
monocratico, al tribunale collegiale, contro i decreto del tribunale, alla corte di appello. Il decreto
non è ricorribile in cassazione perché non ha natura decisoria e non è definitivo. I provvedimenti
possono essere poi modificati e revocati in ogni tempo, e revoca e modifica si possono avere non
solo allegando circostanze sopravvenute, ma anche allegando circostanze già esistenti al momento
in cui il provvedimento è stato emesso, ma in quella sede non fatte valere. L’unico limite è
costituito dall’acquisto in buona fede di terzi di diritti in virtù di atti computi prima della modifica o
della revoca. Si ammette anche l’annullamento, in sede contenziosa, di questi decreti: coloro che
non hanno preso parte al procedimento e che siano lesi dal provvedimento, possono impugnar, in
un ordinario processo, il decreto per motivi di legittimità. Il problema è questo: può un
procedimento lontano dai canoni del giusto processo esser funzionale alla tutela dichiarativa? NO.
Due soluzioni per cercare di conciliare giusto processo e rito camerale per la tutela dichiarativa dei
diritti: 1)GIURISPRUDENZA: si propone un restauro del procedimento camerale, quando il
procedimento è utilizzato per la tutela dichiarativa bisogna inserire alcune garanzie del giusto
processo: contraddittorio, che il provvedimento pronunciato al termine sia non modificabile o
revocabile, che venga assicurata la possibilità di un ricorso per Cass. ex art. 111 c. 7 Cost., che si
tratti di un provvedimento idoneo al giudicato, (soluzione più pratica). 2)DOTTRINA ( Luisio e
Bove), sostengono che la soluzione sia un’opera di conciliazione in quanto l’opera di restauro non
è sufficiente perché manca il giusto processo. Non si può equiparare la tutela fornita da un
processo dichiarativo per un diritto soggettivo a quella fornita dal rito camerale. Si tratta di una
tutela semplificata sommaria esecutiva e non preclude la possibilità che su quel diritto soggettivo
possa esser successivamente instaurato un processo ordinario di cognizione. Il rito camerale sul
diritto soggettivo, non si sostituisce all’ordinario rito dichiarativo, ma convive con esso ( soluzione
più garantista).

Giurisdizione formalmente volontaria: si tratta di procedimenti che hanno ad oggetto non la cura
di interessi privati, ma situazioni sostanziali protette, cioè diritti indisponibili o status ( filiazione,
matrimonio, etc), e al pari dei procedimenti di volontaria giurisdizione non presuppongono un
illecito. Es: ipotesi in cui il provvedimento del giudice da solo produce effetti di diritto sostanziale.
Status personali: es, figlio legittimo, in base al codice civile si acquisisce nell’atto di nascita in
costituzione di matrimonio, se si vuole intervenire in questo status è necessario un provvedimento
del giudice che lo modifica. Modificazione del sesso: se il soggetto muta sesso, il mutamento
sostanziale di fatto non ha effetti a dare rilevanza al cambiamento, serve una sentenza che
interviene sullo status, quindi sull’atto di nascita.

Queste ipotesi si caratterizzano perché il processo ha ad oggetto situazioni sostanziali protette e


non la cura di interessi privati, come accade nella giurisdizione volontaria in senso stretto. Perciò,
da un lato, essi si avvicinano alla giurisdizione contenziosa, perché hanno ad oggetto situazioni
sostanziali protette, dall’altro si distaccano da quella contenziosa perché non hanno come
presupposto un illecito. Non essendovi un illecito le parti coinvolte non necessariamente sono in
contrasto tra loro. Può darsi che tutti soggetti coinvolti concordino nel chiedere al giudice di
modificare l’atto di stato civile. Il procedimento di giurisdizione formalmente volontaria non è un
procedimento camerale, ma è un procedimento ordinario contenzioso ma alcune regole sono
differenti perché oggetto sono diritti indisponibili. Il procedimento previsto per la giurisdizione
volontaria in senso stretto e che si caratterizza per la uni soggettività non è idoneo perché qui il
processo ha ad oggetto situazioni sostanziali. Si deve utilizzare la struttura del processo
contenzioso ordinario, tenendo conto che qui si ha a che fare con situazioni sostanziali
indisponibili. Diviene qui necessaria la partecipazione del P.M. al processo a garanzia dell’interesse
pubblico e non hanno valore, per quanto attiene l’istruttoria, tutti gli atti dispositivi delle parti (fatti
pacifici, confessione, giuramento). La sentenza, infine, non ha efficacia retroattiva ex tunc, cioè
non produce effetti nemmeno dal momento della proposizione della domanda (caratteristica della
giurisdizione contenziosa). Es: se è in corso un procedimento di rettificazione del sesso, non si può
chiedere un provvedimento cautelare che consenta un matrimonio con un soggetto che, per il
momento e fino a che non diviene definitivo il provvedimento che accoglie la domanda, è
giuridicamente dello stesso sesso di colui che ha chiesto la rettificazione.

SEPARAZIONE E DIVORZIO
Separazione: prima del 1975 erano previste due ipotesi: a) consensuale, b) per colpa. Dopo la
riforma del 1975 si è previsto che la separazione si può richiedere quando si verificano “fatti tali da
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla
educazione della prole, e ciò indipendentemente dalla colpa di uno o entrambi i coniugi. La
impossibilità di proseguire il rapporto matrimoniale forma il presupposto della separazione e tale
presupposto può dipendere dal comportamento dell’altro coniuge, ma anche da fattori estranei e
finanche dal comportamento del coniuge che chiede la separazione. Prima la separazione poteva
esser chiesta solo dalla controparte rispetto a quella che era venuta meno agli obblighi coniugali.
L’ART 151 c. 2 c.c., prevede che il coniuge possa chiedere al giudice anche di individuare quale dei
due è responsabile della intollerabilità della convivenza (cd. “addebito”): è il vecchio criterio della
separazione per colpa. L’addebito è rilevante ai fini dell’art. 156 c.c.(assegno di mantenimento che
non spetta a colui al quale è addebitata la separazione), dell’art 548 c.c. (ai fini successori perché il
coniuge a cui è stata addebitata la separazione ha diritto solo all’assegno vitalizio e non concorre
nell’eredità), e dell’art 585 c.c.. la richiesta di addebito è una domanda ulteriore a quella di
separazione, ed è a quest’ultima necessariamente subordinata. In seguito alla domanda di
separazione ed eventualmente di addebito possono essere proposte ulteriori domande, relative ai
rapporti patrimoniali tra coniugi (principalmente assegno di mantenimento) ed ai rapporti con i
figli maggiorenni non autosufficienti.

Divorzio: la l. 898 del 1970 ha introdotto, lo scioglimento del matrimonio per cause diverse dalla
morte del coniuge. L’art 3 di questa legge individua una seria di ipotesi in presenza delle quali si
può chiedere al giudice lo scioglimento del matrimonio civile o la pronuncia di cessazione degli
effetti civili del matrimonio religioso. Quindi è sempre necessaria l’esistenza di questi presupposti
previsti dalla legge per ottenere lo scioglimento, presupposto che deve essere giudizialmente
accertato. La domanda di separazione si propone con ricorso al tribunale di ultima residenza
comune dei coniugi, se non hanno mai avuto residenza comune in Italia deve esser proposta al
tribunale del luogo dove è residente il coniuge convenuto, se il coniuge convenuto non è residente
in Italia è competente il tribunale del luogo dove è residente l’attore, se l’attore è residente
all’estero è competente il tribunale sul luogo italiano. Stesse regole valevano per il divorzio, poi è
intervenuta la Corte Cost. che ha dichiarato incostituzionale il primo criterio (cioè quello
dell’ultima residenza comune dei coniugi), visto che la convivenza quando si chiede il divorzio è
terminata. La competenza prioritaria è determinata dalla residenza del coniuge convenuto. Scelta
molto criticata. Nella domanda di separazione deve esser contenuta l’esposizione dei fatti su cui si
fonda la domanda, nella domanda di divorzio deve esser contenuta l’esposizione dei fatti e delle
ragioni di diritto su cui si fonda la domanda. Nelle domande deve esser contenuta l’indicazione dei
figli esistenti e le ultime dichiarazioni dei redditi. Nell’ipotesi in cui vi siano figli minori (o
maggiorenni handicappati che sono equiparati ai figli minorenni), il provvedimento del presidente
prima, e la sentenza del tribunale poi, debbono avere ad oggetto le regole di condotta dei coniugi
nei confronti dei figli minori. È dovere del giudice provvedere d’ufficio a determinare i doveri,
patrimoniali e non patrimoniali dei coniugi nei confronti dei figli. Qui siamo nell’ambito della
giurisdizione volontaria in senso stretto, intesa come amministrazione giudiziale di diritto privato.

Procedimento
Una volta depositato il ricorso il presidente del tribunale ha 5 gg di tempo per fissare l’udienza di
comparizione dinanzi a sè, deve esser comunque fissata entro 90gg dal deposito del ricorso. In
udienza può avvenire: 1)il ricorrente non si presenta o rinuncia al ricorso, in questo caso la
domanda non ha effetti, però o gravi e comprovati motivi che impediscono al ricorrente di essere
presente possono giustificare un rinvio dell’udienza (se si tratta di impedimento temporaneo), o
addirittura la possibilità di procedere ugualmente, anche in assenza del ricorrente ( se si tratta di
un impedimento permanente). I coniugi nell’udienza presidenziale devono essere assistiti da un
difensore. Disposizione che si applica al coniuge convenuto, perché il ricorrente nel momento in
cui ha depositato il ricorso, si è dovuto necessariamente costituire in giudizio con il patrocinio di
un difensore tecnico. Il convenuto può: 1) costituirsi nel termine indicato dal giudice, presentando
memorie e documenti ed eventualmente proponendo nuove domande. A tal fine è idoneo che il
convenuto abbia conferito idoneo mandato ad un difensore. 2) se il convenuto non si costituisce
tempestivamente, può sempre comparire all’udienza assistito da un difensore, e depositando fuori
termine memorie e documenti, così come è possibile che compaia con il difensore, senza
depositare niente, oppure che compaia senza difensore. Se non viene rispettata la normativa che
prevede un termine per il deposito di memorie e documenti o la normativa che prescrive
l’assistenza legale dei coniugi all’udienza, se la domanda ha ad oggetto diritti di cui il convenuto è
titolare ( disponibili o indisponibili) non può esser accolta, se, invece, la domanda ha ad oggetto i
doveri della controparte nei confronti dei figli non vi sono decadenze e preclusioni. La cognizione
del giudice viene qui svolta nell’interesse dei figli e tale interesse non può esser pregiudicato da
tardività o irritualità imitabili ad uno dei coniugi. All’udienza il presidente deve sentire i coniugi
prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione (cioè il ripristino della
vita coniugale e non risoluzione consensuale della controversia). Se il tentativo di conciliazione
riesce, perché il presidente fa concordare i coniugi sulle condizioni della separazione o del
divorzio, il procedimento si trasforma in separazione consensuale o in una domanda congiunta di
divorzio. Se il tentativo di conciliazione non riesce il presidente dà, anche d’ufficio, i
provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e dei figli, e
poi fissa l’udienza di comparizione delle parti per la trattazione della causa. Questi provvedimenti
che sono presi nell’interesse dei coniugi o della prole con una ORDINANZA, hanno efficacia fino
alla pronuncia della sentenza. L’ordinanza ha un regime giuridico particolare: l’art 189 disp. att. al
c.p.c prevede che, se anche il procedimento si estingue l’ordinanza presidenziale mantiene i suoi
effetti e continua a regolare i rapporti patrimoniali tra coniugi e figli. È, quindi, un provvedimento
ad efficacia in definitivamente protratta ed è reclamabile di fronte alla Corte di Appello nel
termine di 10 gg dalla notifica dell’ordinanza presidenziale. In mancanza di notificazione il reclamo
si propone nel termine più lungo di 6mesi. La notifica dell’ordinanza presidenziale ha il solo effetto
di far decorrere il termine di 10gg per il reclamo. L’ordinanza presidenziale è poi modificabile e
revocabile da parte del giudice istruttore della causa di merito non più solo in caso di mutamenti
delle circostanze ma anche se vi è una diversa valutazione delle circostanze già esaminate
nell’udienza presidenziale. Il provvedimento emesso dalla Corte di Appello a seguito di reclamo è
anche soggetto a modifica o revoca. Ed è anche possibile reclamare di fronte alla Corte di Appello
il provvedimento del giudice istruttore con cui egli modifica o revoca l’ordinanza presidenziale.
Fase di trattazione: il legislatore è intervenuto nel 2006 per contrastare il “cd. rito ambrosiano”,
secondo cui la fase presidenziale della separazione e del divorzio costituiva a tutti gli effetti la fase
di introduzione della causa, con la conseguenza che il convenuto doveva proporre le sue domande
costituendosi almeno 20 gg prima dell’udienza dinanzi al presidente, conseguenza di tutto ciò era
che, quando si svolgeva l’udienza presidenziale tutte le domande dovevano essere già state
necessariamente proposte. Ora il legislatore ha previsto che il ricorrente deve depositare, entro un
termine assegnato, una memoria integrativa che ha sostanzialmente il contenuto dell’atto di
citazione, dove possono essere formulate domande non inserite nel ricorso. Anche il convenute
deve presentare memorie difensive.
Fase istruttoria: la fase istruttoria della causa di divorzio è quella tipica del processo che ha ad
oggetto diritti indisponibili. Poiché lo scioglimento del matrimonio può esser concesso solo se
ricorrono le ipotesi di cui all’art 3 l. 898 del 1970, oggetto dell’istruttoria è l’esistenza di una di
queste ipotesi, in presenza delle quali il giudice può accogliere la domanda di scioglimento del
matrimonio. Per la separazione il discorso è diverso: a)se la separazione è consensuale il giudice
deve accogliere la domanda e non occorre un’istruzione probatoria per decidere l’accoglimento,
se sono proposte domande accessoria richiedono, però, un’istruzione probatoria per decidere altri
profili. b)se la separazione non è consensuale è necessaria l’istruzione probatoria.
Schematizzando, se si tratta di provare fatti rilevanti in ordine a diritti disponibili valgono le regole
ordinarie, se si tratta di provare fatti rilevanti in ordine a diritti indisponibili valgono le regole
dell’istruzione probatoria sui diritti indisponibili, se il problema riguarda diritti di figli minori, c’è
un’eccezione al principio della domanda, e il giudice decide d’ufficio in base agli interessi dei figli,
la decisione del giudice si fonda sulla opportunità, nel senso che il giudice deve individuare le
regole di condotta dei genitori che realizzano al massimo grado possibile l’interesse del figlio. La
valutazione sull’opportunità del giudice deve esser compiuta nell’ambito delle norme che la
disciplinano. Dopo la riforma del 2006, la scelta del giudice deve orientarsi il linea di principio
verso l’affidamento condiviso, salvo la presenza di circostanze ostativo allo stesso, il giudice deve
poi tener conto di eventuali accordi intercosi tra i coniugi e li può disattendere solo se li ritiene
contrari all’interesse dei figli, infine è resa obbligatoria l’audizione di figli minori perché il giudice
può così reperire ulteriori, fondamentali elementi per compiere le proprie valutazioni in proposito.
Decisione: se vi sono più domande cumulate il giudice può pronunciare una sentenza non
definitiva di separazione o di divorzio e rimettere le parti in istruttoria per le domande accessorie.
Contro la sentenza non definitiva non è ammessa riserva di impugnazione: o la parte che è in
disaccordo la impugna nei termini ordinari, oppure la sentenza passa in giudicato. Il legislatore
qualifica tale pronuncia come una sentenza non definitiva, ma la dizione non deve trarre in
inganno, perché le sentenze non definitive sono quelle che hanno ad oggetto questioni
pregiudiziali di rito o preliminari di merito, mentre quando vi è un processo con cumulo oggettivo,
la sentenza che decide di una delle situazioni sostanziali cumulativamente dedotte nel processo e
rimette la causa di istruttoria per istituire le altre domande proposte, è una sentenza parzialmente
definitiva. Ulteriore particolarità del processo
di divorzio è costituita dal processo di appello, che è deciso in camera di consiglio ed è prevista la
possibilità di appellare le sentenze non definitive. 1)IPOTESI DI SEPARAZIONE CONSENSUALE (ART
711), cioè su istanza di entrambe le parti che si propone con ricorso congiunto dei coniugi al
tribunale, il presidente del tribunale fissa l’udienza di comparizione in cui i coniugi devono
presentarsi e confermare l’esistenza dell’accordo, poi il tribunale decide in camera di consiglio e
può: a)omologare la separazione se c’è accordo tra le parti, b)rifiutare l’omologazione della
separazione anche se c’è l’accordo, quando ritiene che l’accordo a cui sono pervenuti i coniugi in
relazione ai doveri nei confronti dei figli sia in contrasto con l’interesse dei figli. 2)IPOTESI DI
DIVORZIO SU DOMANDA CONGIUNTA: ART 4 l. 898 del 70 , va presentato il ricorso congiunto dei
coniugi al tribunale in composizione collegiale. Deve esser fissata l’udienza di comparizione e si
deve procedere a una verifica di: a) l’esistenza dell’accordo tra i coniugi b) che ricorra una delle
ipotesi di cui all’art 3 l.898 del 70, verificare cioè che ricorre un presupposto di scioglimento del
matrimonio. Dopo questa verifica il tribunale può pronunciare a)sentenza di scioglimento del
matrimonio o b)può ordinare la trasformazione in rito ordinario di divorzio rimettendo la causa al
giudice istruttore, quando non sussistono i presupposti di scioglimento del matrimonio o quando
l’accordo non è corrispondente all’interesse dei figli.

Problema: possibile l’impugnazione della sentenza di divorzio pronunciata su istanza congiunta dei
coniugi? L’ART 4 l 898 del 70 non prevede nulla a riguardo. La dottrina, LUISIO, ritiene che la
sentenza di divorzio pronunciata su stanza congiunta dei coniugi, nasce già passata in giudicato e
quindi non può esser impugnata visto che il giudice ha dato ciò che entrambe le parti hanno
chiesto.
È possibile chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni date dal giudice nella sentenza
relativamente all’affidamento dei figli, all’attribuzione della potestà e in relazione alle misure e
modalità di prestazione del contributo economico. Revisione possibile ai sensi dell’ ART 9 l. 898 del
70 e ART 155 ter c.c. L’ART 8 l.898 del 70 disciplina alcuni profili relativi alla tutela esecutiva
correlata al divorzio. Il giudice può disporre che l’obbligato alla corresponsione dell’assegno presti
una garanzia reale o personale, se vi è il pericolo che egli si possa sottrarre dagli obblighi che gli
derivano dall’art 5(assegno per il coniuge) e dall’art 6(assegno per i figli). La sentenza costituisce
anche titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. In caso di mancata ottemperanza degli obblighi
il coniuge creditore può esercitare azione diretta nei confronti di un terzo tenuto alla
corresponsione periodica di denaro al coniuge obbligato ( es, sul datore di lavoro). L’azione diretta
è quella figura, dunque, con cui si consente a un creditore di rivolgersi direttamente, per ottenere
la soddisfazione del suo credito, al debitore del debitore. L’azione diretta è un’azione dichiarativa
che si svolge attraverso un processo di cognizione. Colui che è debitore nei confronti di chi ha
l’azione diretta, e creditore nei confronti del terzo, può avere anche degli altri creditori, i quali
hanno anch’essi diritto di soddisfarsi sul suo patrimonio. L’azione diretta cognitiva esige, perciò,
che non si violini gli att. 2740 – 2741 c.c, e cioè che sia garantito anche agli altri creditori di potersi
soddisfare sul credito oggetto dell’azione. Secondo l’art 8 della l.898 del 70, se il terzo cui sia stato
notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi
confronti per il pagamento delle somme dovute quale assegno di mantenimento. Il coniuge
debitore è assoggettabile ad esecuzione sulla base di un titolo efficace, resta invece incerta
l’esistenza del rapporto credito\debito tra il coniuge obbligato e il terzo. Al terzo si deve assicurare
uno strumento idoneo per poter negare l’esistenza del suo obbligo ed ottenere la sospensione
dell’esecuzione forzata. Inoltre, L’ART 709 ter ha introdotto un meccanismo di risoluzione delle
controversie insorte tra in genitori in ordine all’esercizio delle potestà loro spettanti sui figli, o in
ordine alle modalità di affidamento degli stesse. La disposizione riguarda la risoluzione delle
controversie relative ai minori e handicappati.

PROCESSO ESECUTIVO
La tutele esecutiva serve a dare attuazione a quelle regole di condotta nelle ipotesi in cui non
via sia adempimento spontaneo del soggetto obbligato, attraverso l’impiego di un organo
pubblico che si sostituisce al soggetto obbligato. Di fronte all’inadempimento del soggetto
obbligato si può reagire in sede giurisdizionale in due modi, attraverso: l’esecuzione diretta o
indiretta. A)ESECUZIONE DIRETTA FORZATA: si ha la sostituzione di un organo pubblico al
soggetto obbligato nel compimento della prestazione dovuta, e il presupposto è che la
prestazione da compiere sia fungibile. Es, pagamento di una somma di denaro che può esser
posta in essere sia del soggetto debitore che da un soggetto terzo.
 Per i pagamenti di crediti di denaro abbiamo l’espropriazione forzata ovvero
l’esecuzione forzata in forma generica
 Per le prestazioni di consegna di bene mobile determinato o rilascio del bene immobile
abbiamo esecuzione in forma specifica per consegna o rilascio, o esecuzione forzata di
obblighi di fare o non fare

B)ESECUZIONE INDIRETTA: consiste nella previsione da parte del legislatore di misure


coercitive, sono sanzioni che possono esser civili o penali e che vengono minacciate nei confronti
del soggetto obbligato, laddove questo non ottemperi all’obbligazione dovuta.

Nel nostro ordinamento non era prevista una forma generalizzata di esecuzione forzata indiretta. Il
legislatore del ’40 aveva fatto una scelta a favore dell’esecuzione diretta. Su richiesta di parte della
dottrina, il legislatore ha introdotto una misura coercitiva più generalizzata, il cui ambito di
applicazione è più ampio. Es: ART 612 bis che disciplina obblighi di fare o non fare. Il giudice può,
su istanza delle parti, disporre insieme alla sentenza di condanna al compimento di una certa
prestazione, la condanna anche al pagamento di una somma di denaro nell’ipotesi di violazione o
inosservanza nell’adempimento della prestazione dovuta.
La funzione della misura coercitiva è deterrente perché, con essa, si vuole indurre il debitore
all’adempimento, non è una forma di risarcimento, inoltre, con questa misura coercitiva oggi
possono esser tutelate anche le prestazioni di carattere infungibile.
La misura coercitiva si può applicare quando il debitore è tenuto a una prestazione di fare o non
fare infungibili, ma ci sono anche altre ipotesi, es, il campo delle inibitorie (forma di condanna con
cui si condanna un soggetto ad astenersi dal compiere una nuova violazione di un diritto,
astensione da un comportamento), o quando l’obbligazione di fare è molto difficile. Si cerca di
ampliare l’ambito di applicazione dell’ art. 612 bis. È previsto un limite, nel caso di manifesta
iniquità da che deve esser valutato dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento.
L’esecuzione diretta: i soggetti del processo esecutivo sono, 1)l’organo esecutivo (ufficiale
giudiziario) che opera sotto il controllo del giudice dell’esecuzione; 2) soggetti privati interessati
(chi chiede la tutela esecutiva, il CREDITORE, e colui nei cui confronti è richiesta la tutela esecutiva,
il DEBITORE ESCUTATO). Mentre l’ufficiale giudiziario è un organo del processo esecutivo, il
creditore e debitore son le parti del processo esecutivo e cioè titolare attivo e passivo dell’azione
esecutiva. Accade talvolta che, ad un soggetto venga fatta acquisire la qualità di debitore o
creditore (cioè di parte) pur in difetto di indicazione nel titolo esecutivo. Il fenomeno può
verificarsi o per errore, ipotesi molto improbabile, o in casi espressamente previsti. Ciò serve per
definire ed individuare la posizione del terzo, rispetto al processo esecutivo, posizione che rileva in
diverse iporesi, come nel caso di espropriazione contro il terzo proprietario, per verificare la
legittimazione a spiegare opposizione di terzo nel processo esecutivo, ecc. Quando l’esecuzione
avviene legittimamente, e non per errore, nei confronti di un soggetto diverso da quello che risulta
nel titolo, si realizza un temperamento al principio nulla executio sine titulo.
Il debitore esecutato non è un convenuto, perché non è richiesta l’immediata instaurazione del
contraddittorio, qui abbiamo uno o più soggetti creditori che si rivolgono ad un ufficiale giudiziario
per il compimento di una prestazione. La domanda del creditore è rivolta all’ufficiale giudiziario,
perché questi provveda all’esecuzione. Il giudice svolge funzione di direzione e controllo
dell’attività esecutiva, ed è chiamato a risolvere le controversie solo quando è proposta
opposizione.
L’attività cognitiva, del processo dichiarativo, si fonda sull’affermazione di diritto da parte
dell’attore per arrivare poi all’accertamento di quel diritto. L’attività
esecutiva invece, si fonda sull’accertamento di un diritto per arrivare alla sua concreta attuazione.
All’organo esecutivo non è mai chiesto di accertare se il diritto di credito esiste o meno, l’ufficiale
giudiziario deve solo dare attuazione a quel credito. Se sorge una contestazione, nella forma
dell’opposizione sull’accertamento del diritto di credito, allora si aprirà il giudizio di cognizione che
ha il compito di accertare l’esistenza del diritto di credito. Il creditore può avvalersi di un titolo
esecutivo che è un documento che raffigura l’esistenza del diritto e che è condizione necessaria e
sufficiente affinchè l’organo esecutivo possa operare. La condizione necessaria e sufficiente
per l’esecuzione forzata, quindi, è l’esistenza di un titolo esecutivo che certifica l’interesse ad
agire, e che contiene la legittimazione ad agire, cioè si individua chi è il soggetto titolare del diritto
che deve esser eseguito. Il titolo esecutivo deve esistere per chiedere l’esecuzione forzata e per
tutto il tempo. L’unico compito dell’organo dell’esecuzione forzata è la verifica dell’esistenza di un
valido titolo esecutivo. Ecco perché l’azione esecutiva è un diritto autonomo e astratto rispetto al
diritto di credito vero e proprio, perché l’azione esecutiva è rivolta ad un soggetto differente dal
debitore, è rivolta all’ufficiale giudiziario e tende ad una prestazione differente a quella dovuta nel
rapporto obbligatorio sostanziale. Disciplina titolo esecutivo:
ART 474: diritto rappresentato nel titolo esecutivo deve esser certo, liquido, esigibile. La certezza
consiste nell’individuazione del bene oggetto dell’intervento esecutivo (beni determinati, o
prestazioni di fare individuate). Liquido nell’ipotesi in cui l’oggetto della prestazione sia una
somma di denaro. Esigibile, cioè la prestazione non è soggetta a termini o condizioni.
Categorie: 1)titoli giudiziari, sentenze di condanna anche in primo grado (con cui si condanna
l’obbligato a tenere una certa prestazione), provvedimenti giudiziari a cui la legge attribuisce
efficacia esecutiva (D.I., convalida di sfratto e dal 2006 anche il verbale di conciliazione sottoscritto
in udienza dalle parti e dal giudice). 2)titoli di credito, cambiali ed assegni che devono aver il bollo
fin dal momento della loro emissione, scritture private autenticate che sono titoli esecutivi efficaci
solo per obblighi relativi a somme di denaro, cioè idonee per espropriazione forzata. 3)atti
pubblici, e altre ipotesi espressamente previste dalla legge, come ad esempio la conciliazione
stragiudiziale, quel provvedimento volto a favorire una soluzione negoziale della controversia.
Tutti questi titolo esecutivi sono idonei a dar luogo all’esecuzione forzata nello stesso modo.
Diverso è il profilo della certezza del diritto che certificano tali titoli: si distingue tra, titolo
esecutivo in senso sostanziale: si fa riferimento a un istituto di diritto processuale, cioè alla
fattispecie da cui trae origine il diritto di procedere ad esecuzione forzata. Tale fattispecie è
composta da elementi costitutivi e dall’assenza di elementi modificativi, impeditivi, estintivi; e
titolo esecutivo in senso formale: si fa riferimento al documento che prova la sola esistenza degli
elementi costitutivi della fattispecie. La funzione è quella di provare l’esistenza almeno degli
elementi positivi. Sarà compito del debitore esecutato dimostrare l’esistenza degli elementi
negativi. Tra i vari titoli esecutivi per alcuni è sufficiente il documento cartaceo (scritture private
autenticate, titoli di credito che sono documenti per cui il titolo esecutivo è costituito
dall’originale), per altri titoli (titoli giudiziali e atti pubblici) è possibile che dello stesso documento
cartaceo esistono varie copie ed è necessaria la spedizione in forma esecutiva, che è una formula
apposta sulla sentenza o atto pubblico con cui si dice che quel documento costituisce titolo
esecutivo, se questa spedizione non c’è allora il titolo esecutivo è irregolare e ciò può esser fatto
valere dal debitore con la cd. opposizione agli atti esecutivi: il debitore esecutato contesta il quo
modo dell’esecuzione, cioè la regolarità formale dei vari atti in cui si struttura il procedimento
esecutivo.

PROCEDIMENTO

Ai sensi dell’art 28 la competenza territoriale è inderogabili, quindi il giudice competente per


valore e materia è il tribunale e bisogna distinguere: 1)esecuzione forzata relativa a crediti nel
pagamento di somme di denaro, l’espropriazione può essere, immobiliare o mobiliare, e in questo
caso giudice competente è il tribunale del luogo dove si trova il bene da espropriare, o può essere
di crediti e il giudice competente è il tribunale del luogo dove risiede il terzo debitore.
2)esecuzione forzata di obblighi di fare o non fare, è competente il giudice del luogo dove l’obbligo
deve esser adempiuto. 3)esecuzione forzata per consegna o rilascio, competente è il giudice del
luogo dove si trova il bene che deve esser consegnato o rilasciato.

STRUTTURA PROCEDIMENTO

ART 479: prima dell’inizio dell’esecuzione il creditore deve notificare al debitore il titolo esecutivo
e contestualmente alla notifica o successivamente deve notificare il PRECETTO ART 480 che è
un’intimazione che il creditore rivolge al debitore di adempiere all’obbligo in un termine non
inferiore ai 10gg, salvo che ai sensi dell’ART482 sia autorizzato l’inizio immediato dell’esecuzione
con esonero dal rispetto di questo termine. Elementi essenziali del precetto ex art 480 sono:
a)parti del processo esecutivo (creditore e debitore), b) oggetto dell’adempimento (indicato nel
titolo esecutivo), c) beni oggetto dell’esecuzione individuati (per quando riguarda l’espropriazione
è necessario che si indichi l’ammontare del credito che si vuole tutelare), d) data della
notificazione e del titolo esecutivo se è stata precedente alla notificazione del precetto, e)
residenza o domicilio, f) sottoscrizione. La natura del precetto: ha funzione di domanda giudiziale,
individua il diritto di cui si chiede la tutela e da questo momento decorrono gli effetti sostanziali
della domanda. Il precetto perde efficacia se, entro 90gg dalla notificazione, ove non c’è stato
spontaneo adempimento, non viene dato inizio all’esecuzione forzata.
Lo scopo dell’esecuzione forzata è di procurare la soddisfazione di diritti correlati ad obblighi non
adempiuti, dando per scontata l’esistenza di tali diritti e obblighi. L’ufficio esecutivo si muove
accertando la sussistenza dei presupposti per la propria attività, quindi i soggetti interessati prima
di compiere un’attività fanno la “ricognizione” della situazione esistente per vedere se e come
debbono agire. L’ufficio esecutivo, prima di emettere una misura esecutiva, fa la ricognizione della
sussistenza dei presupposti per emetterla, quello che rimane escluso dalla ricognizione del giudice
è l’effettiva esistenza del diritto da tutelare, che è dato come esistente. L’ufficio esecutivo di fronte
alla domanda di tutela esecutiva procede all’accertamento dei presupposti per la concessione
della tutela stessa, e deve dare una risposta che sarà positiva o negativa. Non essendo propria di
tale processo la funzione di accertare il modo di essere della realtà sostanziale e non avendo il
processo esecutivo una struttura idonea a decidere, le risposte dell’ufficio sono sempre due
(affermativa o negativa) e quella negativa non si distingue in rifiuto per ragioni di rito o in rifiuto
per ragioni di merito, tale rifiuto ha sempre gli stessi effetti. Nel processo dichiarativo la forma dei
provvedimenti è quella di una sentenza, nel processo esecutivo la forma è diversa a seconda che
l’ufficio esecutivo risponda positivamente ed emette la misura esecutiva (pignoramento, ordinanza
di vendita, etc), o che risponda negativamente, in questo caso il rifiuto è un non provvedimento. Il
processo esecutivo non è finalizzato a statuire circa il modo di essere della realtà sostanziale e
quindi non è strutturato in modo idoneo a decidere neppure delle questioni processuali che
possono sorgere al suo interno. La cognizione dell’organo esecutivo è strumentale ad un
provvedimento che non ha natura decisoria. Per procedere all’esecuzione, secondo la dottrina,
occorre che ricorrano determinati requisiti che sono: le condizioni dell’azione esecutiva e cioè,
1)esistenza e possesso del titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. 2)la
legittimazione attiva e passiva, 3)l’oggetto dell’esecuzione idoneo a soddisfare la pretesa
esecutoria, e i presupposti processuali e sono: la competenza, la capacità di esser parte, la
capacità processuale, la spedizione del titolo in forma esecutiva, ecc.

ESPROPRIAZIONE FORZATA

Consiste nel complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti
parte del suo patrimonio ed a convertirli. Essa non è una esecuzione diretta sul bene dovuto, ed è
una esecuzione non solo liquidativa, ma anche satisfattiva, con cui possono essere soddisfatti
coattivamente i crediti aventi ad oggetto una somma di denaro. ART 2740 . l’espropriazione
forzata si compone di tre fasi: prima fase, il pignoramento, con cui si vuole individuare e
sottoporre a vincolo elementi dell’attivo del patrimonio del debitore. GARANZIA SPECIFICA.
La seconda fase, in cui si ha la trasformazione del diritto pignorato, cioè quell’elemento dell’attivo
del patrimonio del debitore individuato viene sottoposto a vincolo, viene liquidato e trasformato
in una somma di denaro. Liquidazione mediante vendita o assegnazione del bene pignorato.
La terza fase è caratterizzata dal soddisfacimento del creditore attraverso la distribuzione del
ricavato, tutto ciò che si è ricavato con la vendita o l’assegnazione dei beni, viene distribuito al
creditore procedente o anche ad ulteriori creditori intervenuti nel procedimento esecutivo.

PIGNORAMENTO: esistono tre forme a seconda sella natura del diritto del debitore che viene
pignorato: mobiliare, immobiliare, di crediti. Pignoramento
immobiliare: ART 513: ha per oggetto il diritto che il debitore vanta su beni mobili (diritto di
proprietà e qualunque diritto reale purchè sia trasferibile). Il creditore domanda in forma libera
all’ufficiale giudiziario di dar vita al procedimento. Una volta proposta DOMANDA l’ufficiale
giudiziario procede al pignoramento dei beni del debitore. Il legislatore propone il criterio di
semplificazione: cioè l’ufficiale giudiziario deve ricercare i beni in senso di appartenenza. Il bene si
deve trovare in luoghi di appartenenza del debitore, in luoghi di cui il debitore abbia la
disponibilità. Oggetto del pignoramento: sono bene mobili che si trovano in beni immobili di
appartenenza del debitore, bene che si trovano in luoghi di cui il debitore può disporre, beni del
debitore che si trovano verso terzi, nella misura in cui il terzo consente di esibire tali beni
all’ufficiale giudiziario, se il terzo si rifiuta di esibire tali beni, l’ufficiale giudiziario dovrà procedere
nelle forme del pignoramento presso terzi che equivale al pignoramento di crediti. Non tutti i beni
sono pignorabili. Gli art 515, 515, 516, individua i bene impignorabili (beni di prima necessità per il
debitore, che sono di scarso valore economico).
Come si effettua il pignoramento? L’ufficiale giudiziario si reca nei luoghi di disponibilità del
debitore e procede ad individuare i beni utili ai fini del pignoramento, una volta individuati li
descrive in un verbale, deve poi attribuire un valore al bene pignorato,e procederà a pignorare una
quantità di beni che corrisponda al valore del credito da tutelare, più la metà. L’ufficiale giudiziario
affida poi i beni in custodia e li colloca in deposito per impedire che il bene pignorato possa esser
sottratto all’esecuzione. ART 521: il debitore può esser nominato custode dei beni se vi è
consenso del creditore. Pignoramento immobiliare: ART 545 ss, è il diritto che il debitore ha
sull’immobile, diritto suscettibile di trasferimento (proprietà, usufrutto), la servitù non può esser
pignorata. Il criterio di appartenenza si desume dall’affermazione del creditore procedente. RATIO:
qui è più semplice verificare se esiste il diritto del debitore sull’immobile, facendo ricorso ai
pubblici registri. ART 545: descrizione dei beni fatta dal creditore, il creditore chiede all’ufficiale
giudiziario di procedere a pignoramento così come individuato e descritto in un atto da lui redatto
e sottoscritto. L’ufficiale giudiziario, aggiunge a tale atto la sua ingiunzione, notifica il tutto al
debitore e poi trascrive l’atto di pignoramento nel registro immobiliare. Gli effetti del
pignoramento nei confronti del debitore decorrono dalla notifica dell’atto.
Pignoramento di crediti: ART 543, due ipotesi, 1) pignoramento dei crediti che il creditore vanta
verso terzi, 2) pignoramento di cose del debitore che sono in possesso di terzi e il terzo non
acconsente. Il pignoramento si effettua notificando al debitore e al terzo un atto che deve avere
un certo contenuto. S’istaura il contraddittorio. Contenuto dell’atto notificato: deve esser indicato
il credito per cui si procede, il diritto del creditore, il titolo esecutivo e il precetto notificato
precedentemente, devono esser individuate le somme o cose dovute dal terzo al debitore
esecutato, deve contenere l’ingiunzione al debitore di non disporre del credito, la citazione del
debitore e del terzo a comparire davanti al giudice dell’esecuzione per rendere una dichiarazione.
Dal momento della notifica di tale atto si producono tutti gli effetti del pignoramento e il terzo
diviene custode (non può più adempiere al debitore). In udienza cosa accade: il terzo deve
confermare l’esistenza di un credito del debitore nei suoi confronti, se il terzo effettua
dichiarazione conforme il pignoramento si consolida. Se il terzo non si presenta all’udienza, o si
presenta e tace, o rende dichiarazione non conforme, si procede all’accertamento dell’esistenza
del credito, altrimenti il pignoramento perde efficacia.
ART 548: giudice deve procedere all’accertamento del credito del debitore esecutato nei confronti
del terzo si apre la fase cognitiva nel processo esecutivo e si ha la sospensione automatica ex lege
del processo esecutivo ( non è detto che ogni qual volta si apre la fase cognitiva il processo
esecutivo si sospende automaticamente), qui lo prevede il legislatore. Il terzo dovrà dimostrare
l’inesistenza del diritto di credito e il creditore dovrà provare i fatti costitutivi del diritto nei
confronti del terzo. Che efficacia ha la sentenza che definisce questo giudizio? La questione è
stata discussa fino al 2006, poi il legislatore ha fatto una scelta precisa nel senso di limitare
l’efficacia dell’accertamento del credito nell’ambito del procedimento dell’esecuzione forzata.
Quindi la sentenza non accerta l’esistenza del diritto di credito nei rapporti tra debitore e terzo
erga omnes. Può essere instaurato un altro giudizio sullo stesso diritto.
Gli effetti conservativi del pignoramento: ART 2912 ss c.c.: con il pignoramento si congela la
situazione di fatto esistente per evitare che i beni del debitore destinati a soddisfare le ragioni del
creditore possano esser venduti, danneggiati, dispersi.
Si vuole quindi evitare la trasformazione della realtà sostanziale.
Fra il pignoramento e la vendita forzata intercorre necessariamente un certo periodo di tempo
durante il quale il creditore corre essenzialmente due rischi: 1) la modificazione della realtà
materiale del bene oggetto del diritto pignorato; 2) la modificazione attinente alla titolarità del
diritto pignorato. L'ordinamento fa fronte a queste problematiche con alcune modifiche alla
disciplina di diritto comune. Ai sensi dell'art. 2912 il pignoramento comprende le pertinenze, gli
accessori e i frutti del bene pignorato. L'art. successivo ci dice che gli atti di alienazione dei beni
pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori
che intervengono nell'esecuzione (l'eccezione prevista riguarda i beni mobili posseduti in buona
fede). L'art. 2914 prevede quattro ipotesi che sostanzialmente risolvono il conflitto fra creditore
procedente e il terzo attraverso gli stessi criteri con i quali l'ordinamento risolve il conflitto fra
due aventi causa dello stesso dante causa, cioè fra due atti di alienazione, posti in essere dallo
stesso alienante, equiparando il creditore procedente, nel conflitto con gli aventi causa del
debitore esecutato, ad un avente causa del debitore stesso. Pertanto non hanno effetto in
pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, sebbene
anteriori al pignoramento:

1. le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, che siano state
trascritte successivamente al pignoramento;

2. le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo
successivamente al pignoramento;

3. le alienazioni di universalità di mobili che non abbiano data certa;

4. le alienazioni de beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al
pignoramento, salvo che risultino da atte avente data certa.

Riassumendo: art 2912 dice che il pignoramento di un bene comprende gli accessori e i frutti della
cosa pignorata. L’art 2913 dice che gli atti di alienazione successivi al pignoramento non hanno
effetto in pregiudizio del creditore procedente ed eventuali creditori intervenuti. Però lo stesso
articolo prevede un’eccezione, ossia, laddove il trasferimento del bene è consistito in un
trasferimento del possesso del bene mobile in buona fede, si ha acquisto a titolo originario e il
diritto del terzo prevale sulle ragioni dell’esecuzione forzata. L’art 2914 individua, invece, i criteri
che devono essere utilizzati per risolvere il conflitto che si viene a creare tra le ragioni
dell’esecuzione forzata ed eventuali terzi aventi causa del debitore esecutato.
Questo conflitto si risolve facendo ricorso alle regole generali del diritto civile: 1)se è un bene
immobile: tra l’esecuzione e il terzo avente causa del debitore esecutato, prevale chi per primo ha
trascritto. 2) se è un credito: si deve vedere chi per primo ha notificato la cessione del credito al
debitore ceduto, al cd. terzo debitore debitoris. Se il debitore esecutato a ceduto crediti nei
confronti del terzo a una quarta persona, prevarrà chi per prima ha notificato la cessione del
credito.
3)se è un bene mobile: se si tratta di acquisto del possesso in buona fede, chi per prima ha
acquistato in buona fede il possesso è preferita all’altra parte.
Se nessuno degli acquirenti acquisisce in buona fede il possesso del bene mobile, vale il criterio
generale dell’atto di data certa anteriore. L’art 2915 dice che eventuali atti che limitano la
disponibilità dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente o dei
creditori intervenuti. Bisogna vedere quale tipo di bene riguardano questi atti che creano il
vincolo di indisponibilità. Se si tratta di:
1)beni immobili o mobili registrati: prevalgono le ragioni dell’esecuzione forzata se il
pignoramento è trascritto prima dell’atto che ha creato il vincolo di indisponibilità sul bene

2)beni mobili: prevalgono le ragioni dell’esecuzione forzata se l’atto con cui si è creato il vincolo di
indisponibilità sul bene ha data certa successiva al pignoramento.

INTERVENTO DEI CREDITORI:

L’ordinamento prevede la possibilità che altri creditori, oltre al creditore procedente, dello stesso
debitore, possono intervenire nel processo esecutivo. Pignoramento successivo, ART 493 c. 2: si
ha quando i beni su cui è stato compiuto il pignoramento, vengono successivamente pignorati su
istanza di 40 o più creditori. In caso di pignoramento successivi, se gli effetti del primo
pignoramento si caducano, questo non pregiudica i creditori del secondo pignoramento, vengono
soltanto meno gli effetti del primo pignoramento.
Intervento dei creditori: qui gli altri creditori si limitano ad intervenire senza compiere un
pignoramento. La materia è stata riformata nel 2006. Per il principio della par condicio creditorum,
prima tutti i creditori del debitore potevano intervenire. Oggi questa possibilità è stata limitata a
tre categorie: ai, 1)creditori muniti di titolo esecutivo: prima della riforma potevano intervenire
anche i creditori privi di titolo esecutivo.
2)creditori che non hanno un titolo esecutivo ma che al momento del pignoramento vantano un
credito garantito da pegno, prelazione scritta o sequestro. Crediti garantiti.
3) creditori che al momento del pignoramento sono titolari di un credito risultante da scritture
contabili.

Queste limitazioni sollevano delle perplessità. Ci sono dubbi di incostituzionalità per la violazione
del principio della par condicio creditorum, perché con questa riforma il legislatore ha infranto un
principio fondamentale della strumentalità del processo al diritto sostanziale. Abbiamo un articolo
che garantisce la par condicio creditorum e una legge processuale che, invece, non lo garantisce.
Al fine di assicurare coloro che sono garantiti da prelazione scritta, il legislatore prevede un onere
a carico del creditore procedente: ART 498, i creditori titolari di una prelazione scritta devono
esser avvertiti che è stato pignorato il bene sul quale hanno la prelazione. L’avviso deve
contenere: il creditore procedente, credito, titolo esecutivo ed elenco dei beni pignorati. Senza la
notifica il giudice non potrà procedere alla vendita.
Perché garantire questi creditori? La ragione deriva da un effetto della vendita:
l’EFFETTO PURGATIVO: una volta che il bene pignorato viene venduto si estinguono i diritti di
garanzia che gravano su quel bene. Questa garanzia viene riconosciuta solo ai creditori per i quali
la prelazione risulta da pubblici registri.
Procedimento: il creditore che vuole intervenire deposita un ricorso contenente l’indicazione del
credito e la domanda per partecipare alla distribuzione del ricavato. Una disciplina particolare
riguarda i creditori che non hanno titolo esecutivo: deve notificare al debitore l’atto di intervento e
si rende necessaria una verifica del credito, ART 499: il giudice quando fissa la vendita dei beni
pignorati, deve fissare una udienza nella quale devono comparire creditori e debitori. Due ipotesi:
1)debitore compare e riconosce i crediti vantati, in questo casi i creditori senza titolo esecutivo
hanno diritto ad esser soddisfatti. 2)se il debitore compare e contesta l’esistenza del credito, i
creditori senza titolo esecutivo devono instaurare un procedimento al fine di munirsi di un titolo
esecutivo, e se lo fa ha diritto all’accantonamento delle somme. Questo onere non riguarda i
creditori sequestratari. L’effetto principale è che il creditore intervenuto partecipa alla
distribuzione del ricavato. Per esercitare alcuni poteri si deve distinguere tra creditore con o senza
titolo esecutivo. I creditori con titolo esecutivo possono revocare i singoli atti dell’esecuzione
forzata e possono sostituirsi al creditore procedente nel compiere gli atti necessari d’impulso
processuale, il più importante è l’istanza di vendita. Fino al momento della vendita , nelle eventuali
udienze devono esser presenti o il creditore procedente o i creditori con titolo, l’assenza comporta
l’estinzione del procedimento esecutivo. La distinzione dei poteri tra creditori non titolati e titolati
sussiste fino al momento della vendita, dopo questo momento la distinzione si perde. Altra
distinzione è quella tra: creditori tempestivi o tardivi: il discrimine è dato dall’udienza nella quale
vengono stabilite le modalità della vendita. Se l’intervento avviene prima dell’udienza si parla di
creditore tempestivo, se avviene dopo l’udienza di creditore tardivo. Questa differenza rivela nella
terza fase di distribuzione del ricavato. Differenza che rileva in ordina ai creditori chirografari, cioè
non muniti di un diritto di prelazione. I creditori chirografari tempestivi sono soddisfatti (dopo i
creditori con prelazione) in ragione percentuale del loro credito, mentre quelli tardivi solo sul
residuo che eventualmente avanza. Abbiamo quindi tre categorie di creditori: creditori con diritto
di prelazione, chirografari tempestivi, e chirografari tardivi. Il termine ultimo per l’intervento è la
distribuzione del ricavato. ART 627: estensione del pignoramento, una volta che intervengono i
creditori, il creditore procedente può indicare ad essi altri beni del debitore che possono esser
pignorati. Il creditore ha tutto l’interesse ad indicare beni del debitore sui quali estendere il
pignoramento. Lo possono fare solo se hanno titolo esecutivo, condizione necessaria per il
pignoramento, se non sono titolati il creditore procedente può lui stesso estendere il
pignoramento facendosi anticipare le spese. Se i creditori titolati rifiutano di pignorare altri beni,
finiscono per esser postergati al creditore procedente nella distribuzione del ricavato.

OPPOSIZIONI

Sono istituti particolari che hanno natura dichiarativa: distinguiamo tra:


opposizione all’esecuzione: si contesta il diritto di procedere all’esecuzione forzata. Strumento
con cui è possibile contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata, si contesta l’AN
dell’esecuzione, e tale contestazione può avvenire: 1)quando si contesta l’effettiva esistenza di un
valido titolo esecutivo , 2)quando si contesta l’esistenza del diritto di credito incorporato nel titolo
esecutivo, 3)nel caso di impignorabilità dei beni: riguarda la legalità del procedimento esecutivo.
1)difetto originario del titolo esecutivo, i titoli possono essere di origine giudiziale o no. Nel primo
caso, ART 161 c. 1, prevede la conversione dei motivi di nullità in mezzi di impugnazione, cioè chi
contesta la nullità del titolo che è provvedimento giudiziale, tale nullità può esser fatta valere solo
impugnando il provvedimento. Se si è formato il giudicato formale, il vizio non potrà più esser
fatto valere a meno che è un vizio che sopravvive al giudicato o può esser fatto valere con un
mezzo di impugnazione straordinario, allora il vizio può esser fatto valere con opposizione
all’esecuzione. Nel secondo caso, quando il titolo esecutivo è privo dei requisiti richiesti dalla legge
a pena di nullità, l’originario difetto non è sanabile nel corso dell’esecuzione forzata. Il difetto può
esse anche sopravvenuto e può esser fatto valere in ogni stato e grado del giudizio e l’esecuzione
prima giusta diventa ingiusta per la mancanza di un elemento fondamentale.
2) titolo esecutivo giudiziale per ipotesi di sentenza di condanna passata in giudicato, è possibile
contestare il diritto di credito riconosciuto nella sentenza? Non si può contestare, però, se si è
verificato successivamente al formarsi del giudicato un evento che ha modificato la situazione, si
potrà far valere l’evento estintivo del diritto verificatosi successivamente. Non potranno esser fatti
valere tutti quei fatti che potevano esser fatti valere nel processo che ha dato luogo alla sentenza
del titolo esecutivo. Per i titoli esecutivi stragiudiziali, il debitore potrà far valere quei fatti che
avrebbe dovuto far valere in un eventuale processo dichiarativo.
Procedimento: si apre in seno all’esecuzione forzata un procedimento dichiarativo, volto a
decidere se esiste o no il diritto di procedere all’esecuzione forzata.
Il primo atto dell’esecuzione è il pignoramento, per le altre forme di esecuzione ( esecuzione per
rilascio, il primo atto è la notifica del preavviso di rilascio, esecuzione per consegna il primo atto è
il primo atto dell’ufficio esecutivo dopo la notifica del precetto, esecuzione per obblighi di fare o
non fare il primo atto è il provvedimento con cui i l giudice fissa l’udienza per determinare le
modalità di esecuzione). Se l’esecuzione non è ancora iniziata si parla di opposizione a precetto
che si ha quando la domanda, per contestare il diritto all’esecuzione forzata non ancora iniziata,è
proposta dopo la notificazione del precetto e assume la forma dell’atto di citazione. Giudice
competente è individuato dall’opponente. Se l’esecuzione è già iniziata si parla di opposizione a
pignoramento o esecuzione vera e propria e la domanda si propone con ricorso al giudice
dell’esecuzione. Il giudice deve fissare l’udienza di comparizione e indicare il termine entro cui
l’opponente deve notificare l’opposizione. È un’udienza che si svolge eccezionalmente nelle forme
del rito in camera di consiglio. Solo questa udienza si svolge col rito camerale. In questa udienza il
giudice deve decidere su una eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione perché l’opponente
può presentare domanda di sospensione dell’esecuzione forzata, questa ipotesi di sospensione
può esser concessa dal giudice solo se ricorrono giustificati motivi. Il giudice, inoltre, deve
individuare chi è il giudice competente a decidere nel merito la domanda di opposizione, perché se
il giudice competente a decidere nel merito appartiene allo stesso ufficio giudiziario del giudice
dell’esecuzione forzata, dovrà fissare un termine perentorio per la trattazione della causa,
viceversa, si dovrà fissare un termine perentorio per la riassunzione della causa di fronte al giudice
competente. Si passa poi alla fase della trattazione e l’opponente deve proporre un atto
introduttivo che è un atto che segna il passaggio dalla prima fase di comparizione a quella di
trattazione. L’atto introduttivo può contenere elementi nuovi, non presenti nella domanda iniziale.
Legittimato a proporre opposizione è il debitore e in generale colui contro il quale l’esecuzione
forzata è minacciata. Legittimato passivo è il creditore procedente. Vi è un’ipotesi di litisconsorzio
necessario tra il creditore procedente e i creditori intervenuti purchè muniti di titolo ( è
riconosciuta la possibilità di non subire pregiudizi per la soccombenza del creditore procedente).
Oggetto dell’opposizione: è l’esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata. La
giurisprudenza e la dottrina ammettono la possibilità da parte del creditore procedente di
ampliare l’oggetto del processo proponendo domanda riconvenzionale, attraverso cui far valere
ulteriori ragioni creditorie al fine di conseguire un nuovo titolo esecutivo giudiziale in aggiunta a
quello già fatto valere o in sua sostituzione, se quello già fatto valere risulta invalido. L’opposizione
è decisa con sentenza. In origine questa sentenza era appellabile, con la riforma del 2006 il
legislatore dice che tale sentenza non è impugnabile. Nel 2009 è intervenuto nuovamente il
legislatore e ha riammesso la impugnabilità della sentenza che decide sull’opposizione
al’esecuzione. La sentenza può esser di accoglimento o di rigetto. a)se è di accoglimento, la
sentenza nega l’esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata. In questo caso gli atti
esecutivi già posti in essere saranno invalidati e il processo esecutivo non può iniziare o
proseguire. b)se è di rigetto, la sentenza accerta la legittimità dell’esecuzione forzata e il
procedimento esecutivo va avanti.

Opposizione agli atti esecutati: qui si contesta la regolarità formale degli atti dell’esecuzione, il
quo modo dell’esecuzione, si tratta di atti irregolari. ART 317: parla di irregolarità formale degli
atti, manca un elemento che contraddistingue il singolo atto. Si può contestare:
1)la regolarità formale del titolo esecutivo e della sua notificazioni , 2)la mancanza della formula
esecutiva, 3)mancanza della notifica del titolo, 4)erroneità dell’intestazione del titolo, 5)regolarità
formale del precetto (se manca la data di notifica del titolo esecutivo avvenuta in precedenza),
6)regolarità formale degli atti di esecuzione (incompetenza dell’ufficiale giudiziario che ha
proceduto a pignoramento), 7)censure di incongruità o inopportunità dell’atto esecutivo posto in
essere (di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale).
Procedimento: è un ordinario giudizio di cognizione, se l’opposizione è proposta prima dell’inizio
dell’esecuzione la domanda si propone con un atto di citazione, se la domanda è proposta dopo
l’inizio dell’esecuzione , l’opposizione si propone con ricorso. Se è un’opposizione relativa alla
regolarità formale dell’atto di opposizione o precetto, l’atto di citazione deve esser notificato entro
20gg dalla notifica del titolo esecutivo o del precetto. Se è un’ipotesi di opposizione agli atti
successivi alla proposizione del ricorso la domanda va presentata entro 15gg. L’inosservanza di tali
termini è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e comporta l’inammissibilità degli
atti di esecuzione (giurisprudenza).
Legittimato attivo è il debitore e tutti i soggetti destinatari degli atti di esecuzione che sono
interessati a rimuoverli, non può proporre opposizione all’esecuzione il soggetto che ha compiuto
l’atto che si vuole impugnare. Legittimato passivo è il creditore procedente e i creditori intervenuti
e altri eventuali soggetti interessati (ipotesi di litisconsorzio necessario cioè la partecipazione
necessaria nel processo civile di una pluralità di soggetti). Giudice competente per l’opposizione
agli atti esecutivi non può esser lo stesso giudice che ha conosciuto gli atti esecutivi, cioè che ha
sovrainteso l’atto impugnato. Il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti e indica un
termine entro cui la parte istante deve notificare la domanda di opposizione. Durante questa
udienza il giudice può decidere sull’istanza di opposizione o concedere i provvedimenti
indilazionabili, cioè può disporre dei provvedimenti necessari per la prosecuzione dell’esecuzione (
rinnovazione dell’atto o sanatoria se si tratta di vizi sanabili). Poi fissa un termine per
l’introduzione del giudizio de merito. Il giudizio si conclude con una sentenza di rigetto o
accoglimento. 1)se la sentenza è di rigetto, essa accerta la validità degli atti impugnati e diviene
stabile.
2)se la sentenza è di accoglimento, dichiara la invalidità degli atti di esecuzione. La conseguenza è
che se l’atto impugnato è un atto necessario per la prosecuzione dell’esecuzione forzata, il
processo esecutivo si chiude. Se la irregolarità riguarda il singolo atto non necessario alla
prosecuzione del processo esecutivo, la sanatoria del singolo atto comporta la sanatoria degli atti
da esso dipendente. La sentenza che decide sulla opposizione agli atti esecutivi è una sentenza non
impugnabile.
Opposizione di terzo all’esecuzione: riguarda l’ipotesi in cui per errore vengono toccati
dall’esecuzione dei beni che fanno capo ad un terzo, cioè un soggetto che non è tenuto in alcun
modo a rispondere con i propri beni. Accade quando nell’ambito dell’espropriazione, l’ufficiale
giudiziario si reca nei luoghi del debitore e sottopone a pignoramento beni che si trovano in quel
luogo ma che appartengono a terzi. Se ciò avviene la legge prevede che l’iniziativa per far valere
questa irregolarità spetta al terzo. Problema: l’opposizione di terzo trova applicazione solo nella
espropriazione o anche nelle altre forme di esecuzione specifica? Trova applicazione solo
nell’espropriazione perché è volta a tutelare crediti a pagamento di una somma di denaro e qui si
può verificare la fattispecie che giustifica l’opposizione di terzo. La dottrina ammette che anche nel
campo dell’esecuzione in forma specifica si può verificare la fattispecie che giustifica l’opposizione
di terzo, quando si ha un’attuazione errata, quando l’oggetto dell’esecuzione in forma specifica è
diverso da quello indicato nel titolo esecutivo.
Procedimento: il giudice dell’esecuzione fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione
delle parti e il termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto. La domanda è proposta
dal terzo. Anche qui abbiamo litisconsorzio necessario tra creditore procedente e creditori
intervenuti, e secondo la giurisprudenza anche litisconsorzio necessario del debitore esecutato.
Si può raggiungere un accordo tra il terzo e il creditore procedente, accordo sulla continuazione
dell’esecuzione o sulla sua cessazione. Se l’accordo non viene raggiunto il procedimento prosegue
presso il giudice competente per luogo o per valore e materia. Se questo giudice coincide con
quello dell’esecuzione, quest’ultimo istruisce la causa, altrimenti se non coincide col giudice
dell’esecuzione la causa verrà assegnata al giudice competente. Il procedimento ha natura di
giudizio di cognizione. L’opposizione di terzo non può esser proposta prima dell’inizio del
pignoramento, o dopo la vendita o l’assegnazione dei beni. In realtà può avvenire anche dopo, ma
in questo caso il diritto del terzo è limitato al ricavato della vendita. Ci sono poi delle limitazioni
probatorie in capo al terzo, egli ad es non può provare il suo diritto attraverso testimoni. Con la
riforma del 2006 il legislatore ha stabilito che: 1)la sentenza di accoglimento o di rigetto,
dell’opposizione del terzo, statuisce esclusivamente sulla possibilità o non possibilità
dell’esecuzione di investire quel determinato bene. Ha efficacia di accertamento limitata
nell’ambito del processo di esecuzione forzata, al di fuori del processo esecutivo la sentenza non
accerta in modo assoluto che quel diritto spetta al terzo e non al debitore esecutato.

SOSPENSIONE PROCESSO ESECUTIVO

Può esser importante quando c’è la pendenza delle varie opposizioni, per evitare che l’esecuzione
forzata vada avanti e dopo si scopre che non c’era il diritto di procedere ad esecuzione forzata o
che alcuni atti erano irregolari. Esistono anche altre ipotesi di sospensione:
1)ipotesi in cui la sospensione è disposta dalla legge, quindi è necessaria e automatica perché è
nell’interesse del creditore. IPOTESI EX LEGE: a)espropriazione beni indivisi: espropriazione di una
comunione di beni, si deve procedere a divisione di questa comunione, quindi il processo di
esecuzione è sospeso fino a quando non c’è una divisione.
b)espropriazione di crediti, ART 548.

2)ipotesi di sospensione disposta dal giudice, siamo nel campo dell’opposizione all’esecuzione. In
tutte queste ipotesi sta al giudice decidere se sospendere o meno il processo di esecuzione, e lo
farà se esistono giustificati motivi. 3)ipotesi di sospensione concordata, può esser chiesta prima
della vendita e deve esse chiesta da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, può esser chiesta
una sola volta, ha durata massima di 2 anni e la revoca è possibile su istanza anche di un solo
creditore.
Effetto dell’ordinanza di sospensione: non possono esser compiuti atti del processo esecutivo,
salvo gli atti di natura conservativa. La sospensione cessa o nel termine fissato dal giudice o
comunque nel termine di sei mesi da quando passa in giudicato la sentenza che ha definito una
opposizione, ovviamente si tratta di sentenza di rigetto dell’opposizione. La riassunzione si effettua
con ricorso al giudice dell’esecuzione che convoca le parti, deve constatare che è venuta meno la
causa che aveva giustificato la sospensione e fissa un termine entro cui le parti devono compiere
tale atto, altrimenti, se non viene compiuto in questo termine il processo si estingue.

L’espropriazione si compone, come già detto, di tre fasi: PIGNORAMENTO, FASE DI LIQUIDAZIONE
e DISTRIBUZIONE DEL RIVAVATO. Avendo già parlato di pignoramento, passerò ora allo studio
della seconda fase che è la fase di: LIQUIDAZIONE: il diritto sul bene pignorato viene liquidato e
trasformato in una somma di denaro. Fase non necessaria se l’oggetto del pignoramento è una
somma di denaro. Questa fase si apre a seguito di un atto di impulso processuale che è l’istanza di
vendita o di assegnazione. L’istanza va proposta al giudice da parte del creditore procedente o
altri creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, nei seguenti termini: ART 501, termine
dilatorio dal pignoramento, cioè termine minimo che deve decorrere dal pignoramento che è di
10gg. Decorsi 10gg si può procedere all’istanza di vendita o assegnazione. ART 497, termine
massimo, il pignoramento perde efficacia se decorsi 90gg dal suo compimento non sia pervenuta
istanza di vendita o assegnazione. Il creditore procedente ha 80gg di tempo che vanno da 10gg
dopo il pignoramento a 90gg.

Fase di liquidazione: due modalità, VENDITA O ASSEGNAZIONE: tra le due non esiste una vera e
propria differenza perché in entrambi i casi si trasferisce il bene pignorato ad un altro soggetto.
Assegnazione: il diritto pignorato viene trasferito a uno dei creditori del debitore.
Vendita: chi diventa titolare del diritto pignorato può esser qualunque soggetto, oltre ai creditori
anche soggetti terzi estranei, ma mai il debitore esecutato. ASSEGNAZIONE: attribuzione del
diritto sul bene pignorato a un creditore sulla base di un valore assegnato dal giudice. Esistono due
tipi di assegnazione: a)assegnazione satisfattiva, è una sorta di datio in solutum. Il creditore
soddisfa il suo credito con l’attribuzione del diritto pignorato. Con l’assegnazione si realizzano due
effetti:1)l’effetto traslativo del diritto pignorato, 2)l’effetto estintivo del credito. b)assegnazione
vendita: il creditore assegnatario paga una somma di denaro per rendersi tale, e questa somma di
denaro sarà oggetto di distribuzione. È come se il bene pignorato fosse stato venuto. Ipotesi che
trova applicazione quando oltre al creditore procedente ci sono altri creditori intervenuti. ART
506, valore minimo per l’assegnazione. L’assegnazione può esser fatta solo per un valore che non
sia inferiore alle spese dell’esecuzione, nonché ai crediti aventi diritti di prelazione anteriori.
VENDITA: ha la funzione di trasformare il bene pignorato in una somma di denaro da distribuire
tra i creditori. Esistono due tipi di vendita, FORZATA e COMUNE:
1)vendita forzata: che prescinde dalla volontà del debitore esecutato. ART 2922 c.c., questa
vendita non è accompagnata dalla garanzia sui vizi della cosa, a differenza della vendita comune, e
tale vendita non può esser impugnata per causa di lesione. La rescissione per lesione presuppone
lo stato di lesione di una parte e l’altra parte che ne ha tratto giovamento. Nella vendita forzata
non c’è meccanismo di approfitta mento. La vendita forzata comporta l’estinzione dei diritti reali di
garanzia sui beni oggetto della vendita. Quale è il rapporto tra vendita e assegnazione?
Legislatore dà delle indicazioni, si distinguono varie ipotesi: 1)beni che devono esser assegnati
senza un previo tentativo di vendita. ART 533 c 1, crediti pignorati scaduti o che stanno per
scadere entro 90gg. 2)beni che possono essere assegnati senza previo tentativo di vendita. ART
629, (titoli di credito o cose il cui valore risulti dal listino di borsa o di mercato)
3)beni che devono esser assegnati dopo un tentativo di vendita fallito. ART 535, (oggetti d’oro o di
argento). 4)tutti gli altri beni possono esser assegnati dopo un primo tentativo di vendita fallito,
non si è raggiunto il prezzo di stima del bene e se procede alla assegnazione.
Procedimento: ha inizio con l’istanza di vendita o assegnazione, poi il giudice deve fissare l’udienza
per l’audizione delle parti, c’è una sorta di contraddittorio tra le parti, qui non si discute circa l’AN
dell’esecuzione, ma sulle modalità dell’esecuzione del diritto. Le parti possono fare osservazioni
circa le modalità e il tempo di assegnazione, e questo è il momento in cui le parti posso opporsi
agli atti esecutivi (con cui si contesta la regolarità formale degli atti compiuti fino a tale momento),
A PENA DI DECADENZA. Se non è proposta in questa fase l’opposizione c’è una preclusione circa la
possibilità di contestare la regolarità formale degli atti antecedenti a questo momento. Se viene
sollevata opposizione agli atti esecutivi e le parti di fronte al giudice raggiungono un accordo sulla
nullità dell’atto, il giudice è tenuto a rispettare l’accordo e può disporre per la vendita o
assegnazione. Se le parti non raggiungono un accordo il giudice deve definire l’opposizione prima
di disporre la vendita o l’assegnazione. Se non è proposta opposizione, o si è raggiunto un accordo,
o è stato definito il giudizio sorto intorno agli atti esecutivi, il giudice dispone la vendita forzata o
l’assegnazione. Le modalità della vendita variano a seconda dei diversi tipi di espropriazione:
1)espropriazione mobiliare: si può avere la cd. vendita a mezzo di commissario ( un soggetto viene
incaricato della vendita e gli viene attribuito l’incarico di procedere alla vendita dopo che sia stato
stabilito dal giudice un prezzo minimo del bene, dopo di ciò il soggetto incaricato procede alla
vendita del bene. È un atto che ha la sostanza di una compravendita. Il commissario ha diritto ad n
compenso e dovrà documentare la vendita. 2)vendita all’incanto o asta, ART 534 ss: viene
stabilito il prezzo minimo per l’asta, viene fissata la data dell’asta e l’aggiudicazione verrà fatta al
miglior offerente. Se la vendita fallisce: a) si può procedere all’assegnazione del bene su richiesta
di uno o più creditori sulla base del prezzo stabilito prima dal giudice, b) il giudice può disporre una
seconda vendita all’incanto senza prezzo minimo di offerta. 3) espropriazione di crediti: ipotesi in
cui sono stati pignorati crediti che il creditore vanta nei confronti del debitore del debitore
(debitor debitoris). Si ha quindi il trasferimento del credito del debitore esecutato ad un soggetto
diverso, il trasferimento del credito costituisce una cessione di credito:
a) se il credito è già scaduto o sta per scadere si ha l’assegnazione coattiva.
b) se il credito non è scaduto, se i creditori ne fanno domanda i crediti sono assegnati, viceversa, vi
sarà la vendita. 4) espropriazione immobiliare: pignoramento di beni immobili. Dopo l’istanza di
vendita o assegnazione, il giudice incarica un esperto per la stima del bene e fissa l’udienza. Si
deve procedere, in un primo momento, con la vendita senza incanto. Viene pubblicizzato un invito
agli interessati di procedere a formulare la propria offerta in busta chiusa presso la cancelleria del
giudice dell’esecuzione. Se l’offerta maggiore pervenuta non supera di almeno 1\5 il valore di
stima del bene, è sufficiente che anche uno dei creditori intervenuti dissenta e il giudice
dell’esecuzione deve disporre la vendita all’incanto. Se l’offerta maggiore supera di almeno 1\5 il
valore di stima di un bene o non supera tale valore e nessun creditore si oppone il giudice deve
valutare se accettare l’offerta o disporre la vendita all’incanto. La vendita all’incanto è la seconda
modalità di vendita nell’espropriazione immobiliare. Inizia con il bando di vendita che ha anche
esso la sua pubblicità. Il bando stabilisce il giorno e l’ora in cui, nell’udienza pubblica, in presenza
del giudice, si procederà alla vendita sulla base di offerte orali presentate dai soggetti legittimati.
Trascorsi tre minuti dall’ultima offerta, senza che ne siano fatte di maggiori, il bene viene
aggiudicato all’ultimo offerente. Si sono individuati, cos’, l’offerente e il prezzo di vendita. L’ART
584 prevede che entro 10gg dall’incanto che ha avuto successo possono essere fatte offerte in
aumento di almeno 1\5 del prezzo raggiunto nell’aggiudicazione. A questo punto il giudice deve
convocare chi ha fatto un’offerta maggiore e il soggetto che si era aggiudicato l’asta, per una
nuova gara. L’ultimo atto è il decreto di trasferimento con cui si trasferisce all’acquirente il diritto
pignorato. Se la vendita all’incanto fallisce ciascun creditore può chiedere l’assegnazione del bene.
Se nessun creditore fa istanza di assegnazione del bene, il giudice può:
1)disporre l’amministrazione giudiziaria del bene immobile, bene che può produrre frutti che da
soli possono soddisfare io creditori, allora tale bene è affidato ad un custode, il quale lo gestisce,
ne prende i frutti, che possono esser distribuiti nel corso dell’amministrazione giudiziaria ai
creditori. Se con l’amministrazione giudiziaria si soddisfano tutti i creditori, l’amministrazione
giudiziaria cessa e il bene viene restituito al debitore; se, viceversa ciò non accade, nel termini
massimo di tre anni bisogna procedere a un’ulteriore vendita all’incanto a un prezzo ribassato.
EFFETTI SOSTANZIALI DELLA VENDITA: la peculiarità della vendita forzata è che si distingue dalla
vendita comune in quanto il venditore (debitore) non presta il consenso perché sostituito da un
soggetto pubblico. Tuttavia lo stato non sottrae al debitore il bene, ma solo il potere di alienare
tale bene. Prova di ciò è che con il ricavato della vendita del bene, una volta che vengono
soddisfatti tutti i creditori e pagate le spese processuali, tutto quello che rimane va restituito al
debitore esecutato.
ART 2919 c. 1: con la vendita forzata si trasferiscono all’acquirente i diritti che sulla cosa
spettavano a colui che ha subito l’espropriazione (che può esser il debitore o un soggetto
differente). La vendita forzata è una vendita a titolo derivato, cioè si presuppone l’esistenza del
diritto in capo al dante causa e l’avente causa (chi acquista). Sul piano sostanziale il diritto
dell’avente causa dipende da quello di colui che ha subito l’espropriazione. La conseguenza è che,
se colui che ha subito l‘espropriazione non era effettivamente il titolare del diritto pignorato, chi
ha acquistato non può farlo in pregiudizio di colui che è l’effettivo titolare del diritto del bene
pignorato. Il terzo, vero proprietario, non può esser pregiudicato dalla vendita forzata. Esiste però
un’eccezione a questo principio generale: ART 2919 ultimo comma, per l’acquirente in buona fede,
cioè colui che si è aggiudicato la vendita è in buona fede perché non era a conoscenza del fatto che
il bene non apparteneva al debitore esecutato. Acquisto fondato sull’art 1153 c.c. Tra le ragioni del
terzo vero proprietario e quelle dell’aggiudicatario in buona fede, prevalgono le ragioni di
quest’ultimo, perché è un acquirente a titolo originario.
ART 2919 c. 2 c.c.: questa norma sta a significare che, l’acquisto con vendita forzata è a titolo
derivato, ciò che acquista l’aggiudicatario, è ciò che spettava al debitore esecutato al momento del
pignoramento. Visto che il pignoramento congela la situazione di fatto sul bene, gli atti di
disposizione successivi al pignoramento, non possono pregiudicare il creditore, quindi, non può
esser opposto a chi acquista il bene con vendita forzata, un diritto acquistato sul bene da una
quarta persona successivamente al pignoramento.

A)creditore procedente, B)debitore esecutato, C)acquirente del debitore esecutato, D)acquirente


nella vendita forzata………………………….Facciamo un esempio:
Il 3 – 3 – 2005 c’è stata una trascrizione del pignoramento a favore di A contro B, in data 4 – 4 –
2006 B trasferisce il bene a favore di C, in data 12 – 12 – 2007 viene emesso decreto di
trasferimento con cui il bene pignorato è trasferito a favore di D. In questo caso D acquista un
bene libero, come era al momento del pignoramento. Chi prevale tra aggiudicatario e terzo
proprietario se la vendita forzata dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo? Il presupposto è che
il debitore esecutato non è titolare del diritto pignorato e poi trasferito. Se seguiamo l’ ART 2919 c.
1, prevalgono le ragioni di D (l’acquirente nella vendita forzata), e allora in che modo trova tutela il
terzo vero titolare del diritto pignorato e poi venduto? Bisogna distinguere tra: 1)se l’oggetto
della vendita è una cosa mobile(art 2920), il terzo deve far valere le proprie ragioni sulla somma
ricavata dalla vendita, se non è ancora stata distribuita. Dopo la distribuzione il terzo proprietario
non può far valere le proprie ragioni né contro i creditori cui è stata distribuita la somma, né
contro gli aggiudicatari in buona fede. Cosa può fare il terzo proprietario allora?

a)può, se riesce a provare la mala fede dell’acquirente della vendita forzata, agire in rivendicazione
e ottenere la restituzione del bene. b)se riesce a provare la mala fede del creditore procedente
può agire nei suoi confronti e chiedere il risarcimento dei danni.
c)può agire nei confronti del debitore esperendo azione di arricchimento.
2)se oggetto dell’assegnazione è una cosa mobile (art 2926), il terzo proprietario può, entro 60gg
dalla assegnazione, rivolgersi all’assegnatario che ha ottenuto in buona fede il possesso del bene
per ottenere la ripetizione della somma corrispondente al credito soddisfatto. Se l’assegnatario
versa la somma al terzo proprietario, torna ad essere creditore del debitore.

Come ottiene tutele l’aggiudicatario che risulta soccombente nei confronti del terzo vero
proprietario? ART 2921: l’acquirente della cosa espropriata, se subisce evizione a favore del terzo
proprietario, può farsi consegnare il ricavato della vendita, o se c’è già stata distribuzione del
ricavato può andare dai creditori per farsi ripetere da ciascuno la somma corrispondente a quella
assegnata.

Terza fase: DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO

Dopo la liquidazione si procede alla distribuzione del ricavato, si soddisfano le ragioni creditorie.
Da cosa è composta la somma ricavata: ART 509: il ricavato è composto da quanto proviene dalla
vendita o assegnazione o da multe o risarcimento dei danni a cui è tenuto l’aggiudicatario. ORDINE
DISTRIBUZIONE:
1)devono essere soddisfatte le spese della procedura, 2)i creditori con diritto di prelazione, il
creditore procedente che anche se ha dato avvio all’esecuzione forzata non ha diritto di
prelazione, 3) creditori chirografari (tempestivi intervenuti nell’udienza in cui sono terminate le
modalità della vendita o assegnazione, o tardivi che vengono soddisfatti sul residuo), 4)debitore
esecutato, quello che rimane va restituito ad esso.

Nelle modalità di distribuzione ciò che rileva è il piano di riparto e si svolge a seconda che siamo
nel campo dell’espropriazione immobiliare o mobiliare.
Espropriazione mobiliare: PRIMA POSSIBILITÀ,creditori presentano al giudice un piano di riparto
concordato, cioè un accordo tra creditori. Se non c’è opposizione da parte del debitore il giudice
deve provvedere in conformità al piano di riparto concordato. Se c’è opposizione si apre un
processo di cognizione che deve definire questa controversia. SECONDA POSSIBILITÀ: non c’è un
piano di riparto concordato e ciascun creditore intervenuto può chiedere che si proceda alla
distribuzione del ricavato. Il giudice deve procedere a formare un piano di riparto e sottoporlo alle
parti le quali possono approvarlo o se qualcuno lo contesta si apre una controversia di cui art. 512.
Espropriazione immobiliare: il giudice deve procedere d’ufficio a formare il piano di riparto e lo
sottopone all’approvazione delle parti. Deposita il piano di riparto in cancelleria e fissa l’udienza in
cui può succedere: 1)creditori non compaiono o compaiono e non si oppongono al piano di riparto
approvato, 2)creditori intervengono, qualcuno si oppone ma si raggiunge un accordo tra le parti e
il giudice deve adeguare il piano all’accordo, 3)creditori contestano il piano e non raggiungono
l’accordo, si apre controversia ai sensi dell’art 512.

Problema: ipotesi in cui intervenga nell’ambito dell’esecuzione forzata un creditore privo di titolo
esecutivo, quando ciò avviene è possibile che il debitore contesti l’esistenza del loro diritto di
credito.
ART 510: prevede che il giudice dell’esecuzione in questa ipotesi deve disporre l’accertamento
delle somme vantate dal creditore contestato nel piano di riparto, in attesa che venga definito un
giudizio che il creditore contestato è obbligato a instaurare al fine di munirsi di un titolo esecutivo.
La contestazione del debitore deve avvenire nell’udienza che viene fissata dal giudice quando
stabilisce le modalità di vendita o assegnazione. Il termine massimo entro cui il creditore
contestato può beneficiare di questo accertamento è di 3 anni, se il creditore contestato non è
riuscito a munirsi di un titolo esecutivo, la somma accantonata va distribuito al creditore
postergato, cioè quello successivo. Secondo Luiso questa è una norma incostituzionale, cioè la
durata del processo non può andare in danno alla parte che ha ragione, cioè al creditore
contestato.
Effetti delle distribuzione: che effetti hanno l’approvazione del piano di riparto e la distribuzione
del ricavato? Una volta realizzata la distribuzione, il debitore può contestare l’esistenza di un
credito insoddisfatto e agire in ripetizione di indebito? La dottrina prevalente ritiene che sarebbe
inopportuno riconoscere un’efficacia preclusiva che l’adempimento spontaneo non ha. Il debitore
può agire in ripetizione di indebito perché il piano di riparto e la distribuzione non hanno efficacia
di accertamento. Art 512: controversie che sorgono da una contestazione: si può contestare la
sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti, o la sussistenza di un diritto di prelazione.
Chi ha interesse a formulare una contestazione?

1)il debitore che può contestare l’ammontare o la sussistenza di uno o più crediti e non la
sussistenza di un diritto di prelazione

2)i creditori che però non hanno interesse, cioè la contestazione sia per loro utile. Un creditore
può contestare l’esistenza o l’ammontare di un credito o l’esistenza di un diritto di prelazione in
relazione solo a quel creditori che hanno un diritto ad esser preferiti in sede di distribuzione del
ricavato.
Procedimento: il giudice istruisce la causa se è competente, o rimette le parti al giudice
competente e il procedimento è un ordinario procedimento di cognizione. Il creditore contestato
ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto e chi contesta ha l’onere di provare i fatti
modificativi, estintivi e impeditivi.

Il processo esecutivo in questo caso può esser sospeso ma questo è rimesso alla valutazione
discrezionale del giudice. La sentenza che definisce il procedimento costituisce accertamento in
ordine al piano di riparto, ma non spetta a questa sentenza il compito di disporre modifiche al
piano di riparto.

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