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SOMMARIO
Introduzione
I concetti chiave dell’islam
1. Sottomissione e pace
2. Che dire di Dio?
La concezione dell’uomo nell’islam
1. Soffio originale e luce
2. Dall’innocenza alla responsabilità
3. Cuore e ragione
Il senso della vita
1. La scelta tra l’oblio ed il ricordo
2. Il sacro ed il profano
3. Lo sforzo su sé stessi
L’Universo come libro
1. La via
2. Le diverse dimensioni dell’adorazione
Conclusioni
1. L’amore e l’obbedienza nell’amore
2. Il sapere del cuore e il sapere dello spirito
Introduzione
Per potersi avvicinare all’Islâm e giungere ad una corretta
comprensione esso, è necessario seguire un percorso che
metta in evidenza i suoi elementi essenziali. Elementi che
poggiano su di un messaggio determinato, in relazione col
divino e fondato su un concetto specifico di uomo.
In questo testo, dopo una breve introduzione, vengono date le
definizioni e le spiegazioni di diversi concetti, la prima delle
quali riguarda la parola Islâm. Ciò consente di individuare,
attraverso una riflessione sul Creatore, molti elementi
appartenenti al concetto di uomo nell’Islâm. Risulta così chiaro
che i due concetti sono intrinsecamente legati.
Alcune definizioni si impongono nell’uso comune al punto che ci
si dimentica che le parole usate non hanno per forza il senso a
loro attribuito. Le definizioni di un unico concetto possono
essere molteplici e diverse tra loro, addirittura apposte; per
questo è necessario essere molto chiari ed esigenti sulle
espressioni e sulla termologia da usare, curando anche le
sfumature. La domanda sull’uomo viene sfrontata molto spesso
e merita una definizione chiara, perché la maniera di vedere
l’uomo varia in relazione alla propria sensibilità, alle proprie
tradizioni, alla propria cultura. Anche in tradizioni religiose
vicine, fondate sul monoteismo, come quella musulmana,
cristiana ed ebraica, la conoscenza dell’uomo si articola, si
comprende, si approfondisce, si medita in modo diverso. Per il
proseguimento del dialogo bisogno dunque riscoprire anche il
senso delle piccole sfumature, e scandagliare la complessità di
tutti i concetti, anche di quelli il cui significato di dà per
scontato.
Questo testo affronterà anche un altro tema molto
importante nella tradizione musulmana: quello del progresso.
Nella conclusione saranno spiegate due nozioni fondamentali
della realtà islamica: il sapere e l’amore. Il sapere che non ha
confini e l’amore che ha un ruolo centrale nella fede, anche se
si tende a ricordarlo troppo poco, al punto da dare
l’impressione che esso sia secondario, ma è nell’amore che si
può accedere alla dimensione e alla presenza del divino.
I concetti di base
Spesso, come abbiamo detto, si utilizzano alcuni termini
come se avessero un significato unico, ben definito.
Invece termini “Islâm”, “Allah”, “Nomi divini” hanno talvolta
un senso molto ampio, sono persino polisemie.
1. Islâm: sottomissione e pace
2. Cosa dire di Dio?
Cuore e ragione
L’uomo testimonia in piena coscienza, con la libertà di scelta
che lo caratterizza. Dunque è attraverso questo cammino che
si passa dall’ordine originario del cuore che ci spinge verso il
divino, all’ordine della coscienza, confermata dalla ragione.
Con l‘espressione della shahada[1] il musulmano assume la
testimonianza che Dio è Uno e che non vi è alcun dio al di fuori
di Lui. E’ il passaggio dall’innocenza alla responsabilità, ovvero
il passaggio dall’impulso del cuore alla conferma della ragione;
la fede può essere completa solo se confermata dal ragione
attiva e ragionante.
Questo principio è centrale per una comprensione profonda
dell’uomo nella tradizione musulmana. Entrambe queste
dimensioni della vita sono necessarie: la fede come soffio e la
ragione come radicamento, l’uomo ha bisogno di entrambe le
dimensioni per trovare l’equilibrio del suo essere. Nell’Islâm
non c’è opposizione tra cuore e ragione, tra rivelazione e
intelligenza. Questa teoria entra in contraddizione con quella
di Camus, ma anche con quella di Kant[2], figura emblematica
della tradizione filosofica occidentale che affermò: “ho
dovuto lasciare il sapere per la fede”. Il suo pensiero
s’inserisce in una concezione dell’uomo dove il sapere ha un
limite e la fede si pone al di là di questo limite e lo supera.
Quando la ragione non è capace di dare delle risposte, il credo
e la fede prendono le redini. Questo concetto può essere
riassunto in una frase: “credo quando non so più”.
“Nell’Islâm non vi è contraddizione tra cuore e ragione,
tra rivelazione e intelligenza”
La tradizione musulmana evoca la fede come un soffio che
precede una ragione che rinforza, aumenta e conferma la
certezza intima che arde nel profondo del cuore dell’uomo. I
concetti sono diversi e per questo bisogna elaborare una
riflessione fondamentale sul concetto di uomo nella nostra
cultura pluralista, per evitare il rischio di sbagliarsi, o di far
sembrare che si vive superficialmente e non nella profondità
delle nostre convinzioni.
Esiste una formula coranica che ritorna in modo sistematico
sul tema della responsabilità dell’uomo tra l’innocenza che
diventa responsabilità e la ragione che conferma l’ispirazione
fondamentale:
“e nessuno porterà il peso di un altro”. (Corano XVII, 15)
Se si afferma che ogni essere umano risponde solo delle sue
azioni, ci si può interrogare sulla reale autonomia dell’individuo
presso le collettività dei musulmani, tenendo presente il
grande e radicato peso del concetto di comunità. Se è vero
che l’Islâm dà un senso al concetto di comunità, di umma[3] ne
deduciamo che i musulmani debbano vivono in una dimensione
collettiva, ma con una coscienza individuale ben sviluppata. La
comunità permette di alleggerire il peso dell’individualità in
modo costante; è uno spazio propizio per la dignità degli
individui, ma mai dell’individualismo. Tale visione permette lo
sbocciare della propria individualità, senza mai cadere negli
eccessi dell’essere, o del diventare, “ego-centrato”,
egocentrico.
Lo sforzo su sé stessi
Sapere trovare un equilibrio tra ciò che è la situazione, quello
che dovrebbe essere e ciò che noi siamo è certamente la
battaglia più difficile e lodevole dell’essere umano: è questo
che nella tradizione musulmana viene chiamato jihad.
L’uso dei termini giusti, e la conoscenza del loro significato, è
molto importante; riporto qui, come esempio concreto, un
episodio che mi è accaduto durante una conferenza: mentre
facevo riferimento alla parola jihad, entrarono nella sala
alcune persone che erano in ritardo; avevo già spiegato il vero
significato della parola nella tradizione musulmana, prima del
loro arrivo. Quando venne chiesta un’opinione ad una della
persone arrivate in ritardo, disse che fin quando i musulmani
avessero parlato di jihad, di “guerra santa”, i non musulmani
non avrebbero potuto che essere in conflitto con loro. Quella
persona non aveva sentito tutta la spiegazione del termine,
che era stata fatta in sua assenza, ovvero di jihad inteso
come sforzo. Ciò dimostra che non si può pretendere di aver
capito un termine, se non si approfondiscono tutte le sue
definizioni, le sue sfumature, ed anche la sua stessa storia.
“Il jihad è anzitutto lo sforzo spirituale che ci eleva a una
maggiore umanità davanti a Dio.”
In lingua araba jihad an-nafs significa lo sforzo che ogni
uomo deve compiere su se stesso per essere degno della sua
umanità, lottando contro la propria violenza, la collera, la
cupidigia, e l’egoismo e l’egoismo. È importante sottolineare la
grande distanza di ciò dalla traduzione comune di “guerra
santa”. È sbagliato prendere un concetto così come un
determinato momento della storia ce l’ha consegnato,
ignorando l’epoca ed il contesto. Le Crociate erano
considerate guerre sante, da una parte e dall’altra. I
musulmani, che erano stati aggrediti, usavano allora il termine
jihad, che significava sforzarsi a resistere di fronte a tali
aggressioni e assedi. Così si è finiti per tradurre, in modo
precipitoso e superficiale, la parola jihad con “guerra santa”,
facendo una trasposizione del senso delle crociate
nell’orizzonte cristiano. Se la parola jihad può voler dire
“guerra” (nel senso di guerra di resistenza), essa ha però un
significato molto più importante, più ampio e pregnante:
rappresenta verbalmente il combattimento che si attua nel
nostro essere, tra il soffio che ci richiama a Dio e tutto ciò
che vorrebbe farci dimenticare il Creatore. E’ questo sforzo
spirituale che ci fa accedere ad un livello di umanità superiore
davanti a Dio.
Da questo concetto di sforzo si sviluppano due punti
importanti: il primo è che non si può ignorare il concetto di
rigore che c’è presso i musulmani. Il rigore del cuore e quello
della coscienza sono le due dimensioni fondamentali della vita
quotidiana dei musulmani in generale. Questo richiamo al
rigore si traduce in un senso profondo di responsabilità e in un
impegno costante. Bisogna saper vivere nel mondo, nella
società, come attori, e non come spettatori. Il musulmano è
responsabile di un’etica da rispettare, di un messaggio da
trasmettere, egli ha un dovere, una missione, un impegno
attivo nella società in cui vive, deve sapere farsi carico delle
esigenze della sua comunità religiosa, e più in generale, della
comunità di tutti gli esseri umani.
Il secondo punto esige un cammino inverso, perché si tratta
di consacrare il proprio essere alla vita interiore ed
all’autodisciplina. L’Islâm, contrariamente ad alcune culture
che non accettano un simile prospettiva, lo rivendica, come
nella tradizione induista o buddista, o quella dello yoga, e in
tutte le spiritualità in cui il lavoro sul proprio essere e sul
proprio cuore sono alla base di ogni riforma.
Nell’Islâm questa disciplina si attua in una pratica, che è
quella del ricordo e da un rigore, disciplina fatta di preghiera,
cinque volte al giorno e di digiuno, di elemosina obbligatoria
(zakat) e del pellegrinaggio.
Ognuno di questi pilastri[1] esige un’attenzione, un controllo
del proprio corpo, del proprio denaro, del proprio tempo, e
prima ancora del proprio essere. Ciò che l’uomo fa del suo
essere, rivela il suo modo di essere davanti a Dio.
[1]
I cinque pilastri dell’islam.
La shahada: testimonianza di fede: “ashhadu an la ilaha illa
Allah ,wa ashhadu anna Muhammadan rasulul Llah” ( testimonio
che non c’è alcun Dio all’infuori di Allah e che Muhammad è
Suo inviato). Quando vi si aderisce con sincerità ne deriva la
sottomissione (Islâm) a Dio. È il fondamento, l’asse e la
determinazione dell’ “essere musulmano”. È il primo pilastro
dell’Islâm.
La salat, la preghiera, cinque volte al giorno: all’alba, (salat al
subh), prima dell’apparizione del sole; a mezzogiorno, dopo lo
zenith (salat adh dhor); a metà pomeriggio (salat al asr); al
tramonto del sole (salat al magrib) dopo la scomparsa del sole
all’orizzonte; e durante la prima parte della notte (salat al
isha). È il secondo pilastro.
La zakat, l’imposta sociale purificatrice, è un prelievo
annuale sui beni che il credente possiede (oro, argento,
bestiame, prodotti agricoli, merce commerciale) a partire da
un minimo stabilito. Viene distribuita ad otto categorie di
persone specificate nel Corano, nella Sura IX,60. È il terzo
pilastro.
Il sawm, digiuno, consiste nell’astensione dal bere, dal
mangiare e dall’avere rapporti sessuali durante il giorno,
dall’alba al tramonto. Si svolge durante il mese di Ramadan,
nono mese del calendario lunare islamico. E’ il quarto pilastro.
Il hajj, il pellegrinaggio maggiore, si compie alla Mecca (oggi
in Arabia Saudita) almeno una volta nella vita, in un periodo
preciso dell’anno, se si hanno le condizioni fisiche ed
economiche per farlo. È il quinto pilastro.
[1]
Sharia Non esiste una sola definizione del concetto di
sharia. I sapienti hanno circoscritto il suo senso generale
attraverso le loro competenze nelle specializzazioni negli studi
islamici, e partendo dall’accettazione più ampia a quella più
riduttiva, possiamo dare le seguenti definizioni:
Ash sharia, sulla base della radice della parola significa
“la via, il cammino che porta all’origine” ed esprime i contorni
di una concezione globale della creazione, dell’esistenza, della
morte, del modo di vivere che ne deriva, nato dalla lettura e
dalla comprensione delle norme espresse nelle scritture.
Stabilisce “come essere musulmani”.
Ash sharia, per gli usuliyyn (sapienti che si dedicano
alla conoscenza dei fondamenti della legge islamica) ed i
giuristi, è il corpus dei principi generali della legge islamica
estratta dalle due fonti fondamentali, il Corano e la Sunna,
con l’utilizzo di altre fonti principali “al ijma e al qiyas” e
secondarie “al istihsan istislah, istishad, ‘urf” (ijma: consenso
unanime o maggioritario d’opinione; qiyas: ragionamento
giuridico per analogia; istihsan: giudicare una cosa buona, è
l’applicazione della “preferenza giuridica”; istislah:
considerazione legata all’interesse pubblico; istishab;
presunzione di continuità di ciò che fu anteriormente
prescritto; ‘urf: costume).
La via
La sharia, letteralmente, si traduce come “il cammino che
porta alla fonte”, ma viene invece intesa da molti, come
l’applicazione di una sistema di legge, che inizia col tagliare le
mani ai ladri o lapidare gli adulteri. È una traduzione che viene
utilizzata persino da alcuni musulmani, il quali sono conventi
che una società non diventi islamica se non quando inizi una
repressione brutale delle colpe. Questa accettazione è
lontana da ciò che pensa e comprende la maggioranza dei
musulmani. Secondo la tradizione islamica Dio mette a nostra
disposizione molti “strumenti”. Il primo strumento che ha
messo a disposizione della coscienza umana consiste in una
Rivelazione che si realizza in due modalità. Leggendo
Montaigne[1], Rabelais[2], o la letteratura del
Rinascimento[3], incontriamo un nuovo modo di dire, e cioè “il
libro del mondo”.
Questa formula deriva dall’incontro storico tra la tradizione
occidentale, partendo dalle università italiane e spagnole, con
l’università islamica e la sua concezione del rapporto con la
Rivelazione. Questa espressione è in realtà molto più antica, in
quanto già nel IX secolo dell’Islâm si parlava del “Libro
spiegato”, “al Kitab al Manshur”. Quando Dio enumera nella
Rivelazione coranica gli elementi della natura, usa il termine
“segno”, e ovunque ci sono segni della Sua presenza:
“I sette cieli e la terra e tutto ciò che in essi si trova Lo
glorificano, non c’è nulla che non Lo glorifichi lodandoLo…”
(Corano XVII, 44)
Per esemplificare questa visione immaginiamo un albero. Chi
lo guarda non potrà che vedere un semplice albero. Ma l’uomo
si è avvicinato alla luce della Rivelazione divina, vedrà in
questo albero la manifestazione e la presenza del Creatore; ci
coglierà un segno, così come in tutti gli altri elementi della
creato, se guardati dalla profondità della fede.
L’essenziale non consiste nella diversità della pratica dei riti,
ma si trova nel soffio divino e nel senso della fede.
Una notte il Profeta Muhammad (*) passò tutto il tempo a
piangere, e quando Bilal[4], il muezzin[5], incontrandolo al
mattino all’ora della preghiera, gli chiese la ragione del suo
stato, il Profeta rispose:
“Come potrei non piangere avendo ricevuto dall’alto dei
sette cieli: “In verità nella creazione dei Cieli e della
Terra, nell’alternarsi della notte e del giorno, ci sono dei
segni per coloro che hanno intelletto”. (Corano III 180)
Tutta la natura parla di Lui, tutto ci dimostra la Sua
presenza. La parola araba aya[6] indica sia il “versetto
coranico” che il “segno”. Lo stesso termine per due definizioni
diverse, come se Dio avesse voluto dire che se la Rivelazione
coranica è un segno, i segni della natura sono una rivelazione,
un libro aperto allo sguardo ed alla coscienza dell’uomo.
Esistono, dunque, due rivelazioni, quella della creazione e
quella della profezia. Il ciclo della profezia nell’Islâm
comprende tutti i profeti, da Adamo a Muhammad, passando
per Noè , Abramo, Mosé e Gesù, e tutti gli altri che sono stati
inviati da Dio per trasmettere un messaggio e compiere una
missione. Nella tradizione islamica tutti i profeti, nonostante
la loro particolarità di essere inviati di Dio, non hanno perso la
loro dimensione umana. La loro esemplarità è legata al fatto
che siano umani, e ciò implica che la grandezza di questi esseri
non si è sviluppata solo attraverso il loro carattere di
messaggeri, ma anche e sopratutto, attraverso il giungere ad
una padronanza, ad un rigore, ad una disciplina del loro essere.
“Nell’Islâm i profeti formano una catena unica e tutti i
loro messaggi fanno parte della Rivelazione divina,
proclamata nella sua forma più completa da Muhammad
(*)”.
“E in precedenza guidammo Noè; tra i suoi discendenti
[guidammo]: Davide, Salomone, Giobbe, Giuseppe, Mosè e
Aronne. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene. E
[guidammo] Zaccaria, Giovanni, Gesù ed Elia. Era tutta
gente del bene. E [guidammo] Ismaele, Eliseo, Giona e Lot.
Concedemmo a tutti loro eccellenza sugli uomini”. (Corano
VI, 84-86)
Il profeta è, tra l’altro, anche il modello di chi è riuscito ad
elevarsi e a trasformare i suoi difetti in pregi, gestendo la sua
natura umana, ciò che lo rende accessibile agli altri uomini. I
profeti sono stati inviati per insegnare il senso del cammino, il
modo di trovare l’equilibrio e la pace interiore: tra il corpo e il
cuore, saper nutrire senza dimenticare l’altro, saper
ricordarsi di Dio senza tralasciare gli impegni quotidiani.
Questo è stato anche l’insegnamento del Profeta Muhammad
(*) che ha insistito sull’importanza della fede e del cuore,
mettendo in evidenza che si può essere al contempo pii e
nutrirsi, sposarsi e svagarsi, vivere pienamente la propria vita
di esseri umani insomma. Accettare l’umiltà della propria
condizione umana, rinforza l’idea di un rispetto e di una
sottomissione riconoscente al Creatore.
Conclusioni
In queste poche pagine, non tutto è stato detto e ci è stato
possibile solo affrontare qualche questione prioritaria, senza
che quelle trascurate siano effettivamente secondarie, anzi!
In questa conclusione affronteremo ancora il tema dell’amore
e del sapere che ci spronano a vivere senza mai chiuderci in
noi stessi. È la sola conclusione possibile, perché tutti i
concetti studiati, con la comprensione che richiedono, hanno
una finalità esplicita: mettersi in strada, dirigerci nelle
prossimità dell’Unico. Amare e sapere, per adorarLo e per
servire gli esseri umani.
1. L’amore e l’obbedienza nell’amore
2. Il sapere del cuore e il sapere dello spirito