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Dipartimento di Ingegneria Industriale

Dispense
del corso di
Termodinamica Applicata

Docente: Laura Tribioli


Indice

1 Concetti Introduttivi 3
1.1 Grandezze fisiche e unità di misura . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 Concetti generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.2.1 Descrizione di un sistema termodinamico . . . . . . . . 9
1.2.2 Grandezze di stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.2.3 Le scale di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
Capitolo 1

Concetti Introduttivi

Introduzione

La parola termodinamica deriva dalla composizione delle parole greche


therme (θερµη) che significa calore e dynamis (δυναµις) che significa po-
tenza, andando a sottolineare le origini di questa materia come scienza che
studiava la capacità di produrre lavoro meccanico con il calore. Ormai, la
termodinamica ha un significato più ampio e si occupa più generalmente
dello studio di diverse forme di energia, delle relazioni esistenti tra di esse
e della possibilità di convertire l’una nell’altra, così come dello studio dei
fluidi, cosiddetti tecnici, utilizzati nei più comuni sistemi energetici e le loro
proprietà. E’ noto che con il termine fluido si considerano tutte le sostanze
che siano liquide o aeriformi, ovvero quelle sostanze che assumono la forma
del recipiente che le contiene. Una differenza sostanziale, tra i liquidi e gli
aeriformi è, però, che i primi tendono a mantenere pressoché inalterato il
proprio volume (ragione per cui sono generalmente definiti fluidi incompri-
mibili ), mentre i secondi tendo a variare il proprio, andando ad occupare
tutto lo spazio disponibile nel recipiente che li contiene.
In questo capitolo verranno introdotti i primi concetti e le prime definizio-
ni fondamentali che verranno via via riutilizzate e riapprofondite nei capitoli
successivi, ma non prima di un riepilogo generale sulle grandezze fisiche e le
unità di misura.
4 MODULO 1

1.1 Grandezze fisiche e unità di misura


Le grandezze fisiche rappresentano delle proprietà che risultano ogget-
tive. In questo senso, un diametro di un pallone, l’altezza di una casa o
una distanza tra due oggetti possono essere considerate grandezze fisiche e,
nel caso specifico, è anche evidente che sono tutte grandezze fisiche omoge-
nee, ovvero della stessa specie. L’omogeneità di tali grandezze fa sì che esse
siano tra di loro confrontabili, per cui ha senso andare ad individuare delle
grandezze fondamentali che rappresentino tutte le grandezze della stessa
specie e che possano essere utilizzate come riferimento per poter misurare le
grandezze della stessa "famiglia". Una grandezza fisica fondamentale sarà
quindi univocamente descritta da un numero, affiancato da una unità di
misura che sarà utilizzata anche per le altre grandezze ad essa omogenee.
Un’altra implicazione delle grandezze fondamentali è che esse risultano essere
indipendenti da grandezze di altre specie, e di conseguenza, le unità di misu-
ra ad esse associate saranno indipendenti da altre unità di misura. Tuttavia,
da esse possono essere determinate altre grandezze, note come grandezze
derivate.
E’ chiaro che la scelta di quali siano le grandezze fondamentali di rife-
rimento non può essere univoca e, proprio per questa motivazione, esistono
diversi sistemi di misura, e.g. Sistema Internazionale (SI), Sistema imperiale
britannico, Sistema consuetudinario statunitense. In questo corso verrà uti-
lizzato il Sistema Internazionale, introdotto nel 1960 nella undicesima Con-
ferenza Generale dei Pesi e delle Misure e ormai accettato come Standard
Internazionale.
Il Sistema Internazionale è costituito da sette grandezze fisiche fondamen-
tali con sette relative unità di misura, come in Tab.1.1
Esistono anche delle grandezze supplementari, che sono in qualche mo-
do anche esse fondamentali, in quanto non derivabili da altre, riportate in
Tab.1.2:
Infine, vale la pena osservare che esistono anche delle grandezze deriva-
te dalle fondamentali (attraverso operazioni matematiche), alle quali sono
associate unità di misura che assumono tuttavia un nome proprio e non
già la semplice composizione delle unità di misura da cui derivano. Queste
grandezze sono riportate in Tab.1.3:
Esiste poi la possibilità di utilizzare multipli e sottomultipli dell’unità
di misura del Sistema Internazionale. In particolare vengono utilizzate solo
potenze di dieci, il cui esponente sarà ovviamente positivo nel primo caso e
1.1 Grandezze fisiche e unità di misura 5

Tabella 1.1: Grandezze fondamentali e unità di misura nel SI

Grandezza Fondamentale Unità di Misura Simbolo


Lunghezza metro m
Tempo secondo s
Massa chilogrammo kg
Temperatura Kelvin K
Corrente Ampere A
Quantità di sostanza mole mol
Intensità luminosa candela cd

Tabella 1.2: Grandezze supplementari e unità di misura nel SI

Grandezza Supplementare Unità di Misura Simbolo


Angolo Piano radianti rad
Angolo Solido steradianti sr

Tabella 1.3: Grandezze derivate con nome proprio e unità di misura nel SI

Unità di misura
Grandezza Derivata Unità di Misura Simbolo
di derivazione
Frequenza Hertz Hz s− 1
Forza Newton N kg· m/s2
Pressione Pascal Pa N/m2
Lavoro/Energia Joule J N·m
Potenza Watt W J/s

negativo nel secondo caso. La simbologia, ovvero la notazione scientifica, con


cui si rappresentano questi multipli e sottomultipli è riportata in Tab.1.4.
Vale la pena notare che per la pressione esiste un altro multiplo, il bar,
che equivale a 105 Pa e che, sebbene non sia ufficialmente presente nella lista
dei multipli è accettato e largamente utilizzato.
Nonostante il SI internazionale sia quello ufficialmente adottato in questo
6 MODULO 1

Tabella 1.4: Multipli e Sottomultipli nel SI

Prefisso Simbolo Valore


Exa E 1018
Penta P 1015
Tera T 1012
Giga G 109
Mega M 106
kilo k 103
etto h 102
deca da 101
deci d 10−1
centi c 10−2
milli m 10−3
micro µ 10−6
nano n 10−9
pico p 10−12
femto f 10−15
atto a 10−19

corso, è bene tener presente che molte unità di misura di altri sistemi sono
ancora largamente utilizzate. A tal fine, di seguito si riassumono i fattori di
conversione ritenuti più utili ai fini del corso.

Unità di misura della temperatura


Come si vedrà nella sezione seguente, specificatamente dedicata alle scale
di temperatura, esistono diverse scale di misurazione di questa grandezza.
Le più utilizzate sono: la scala dei gradi centigradi o scala Celsius, la scala
Kelvin (del SI) e la scala Fahrenheit.
La scala Celsius è un’altra scala del SI, che viene a volte impiegata al
posto della scala Kelvin. L’intervallo unitario della scala Celsius corrisponde
all’intervallo unitario della scala Kelvin, per cui una differenza di temperatura
può essere equivalentemente espressa in gradi Celsius o in Kelvin.
E’ possibile passare dall’una all’altra scala di misura, attraverso le se-
guenti conversioni:
1.1 Grandezze fisiche e unità di misura 7

T (K) = t(◦ C) + 273, 15 ⇒ t(◦ C) = T (K) − 273, 15 (1.1)


La scala Fahrenheit è invece una scala di temperature del sistema di
misura anglosassone e, in questo caso, non si ha più un rapporto 1:1 tra le
unità delle diverse scale:
 
9 5
T (F ) = · t(◦ C) + 32 ⇒ ◦
t( C) = · T (F ) − 32 (1.2)
5 9

Unità di misura della forza


Per quanto riguarda la forza, viene a volte utilizzato il sistema metrico
gravitazionale o tecnico ed è possibile passare dall’uno all’altro sistema di
misura, attraverso le seguenti conversioni:

1 kgf = 9, 80665 kg m/s2 ' 9, 81 kg m/s2 (1.3)


kgf si legge chilogrammo-forza, ma è altre volte sostituito con chilogrammo-
peso, kgp , o anche con chilo-pond, kp.
Da Tab.1.3, sappiamo che 1 kg m/s2 = 1 N , mentre, dal corso di fisica,
sappiamo che il valore 9,81 è circa pari all’accelerazione di gravità (sul livello
del mare e a 45◦ di latitudine). Infatti, questa unità di misura deriva proprio
dalla seconda legge di Newton (1 ) e rappresenta la forza d’attrazione eserci-
tata dalla Terra su una massa unitaria (m = 1 kg), sul livello del mare e a
45◦ di latitudine (ovvero dove si abbia ~g ' 9, 8066 m/s2 ).
Nel sistema anglosassone, in maniera analoga, si utilizza il lbf , dove si
sostituiscano le libre ai chili e per cui vale la relazione:

1 lbf = 0, 454 kg · 9, 81 m/s2 = 0, 454 kgf (1.4)

Si osservi, tuttavia, che questa definizione non fa perdere di generalità


all’unità di misura sopra citata.

Unità di misura della pressione


Per quanto riguarda la pressione, risultano di diffuso utilizzo:
1~
P = m · ~g
8 MODULO 1

1. il torr (o mmHg), dal nome del fisico e matematico italiano Torricelli


che inventò il primo strumento di misura della pressione (il tubo di
Torricelli). 1 torr, proprio in virtù di tale strumento, rappresenta la
pressione esercitata, in certe condizioni di densità del fluido, da una
colonna di mercurio alta 1 mm. Oggigiorno, è molto più frequente
incontrare il simbolo mmHg, piuttosto che il simbolo torr;

2. i mmH2 O, sono l’analogo dei mmHg, laddove il fluido utilizzato nel


tubo di Torricelli sia acqua in luogo di mercurio. Rappresentano dunque
la pressione esercitata da una colonna di acqua alta 1 mm, in certe
condizioni di densità del fluido;

3. i bar che, come già accennato, sono un multiplo dei P a;

4. l’atmosfera standard, atm, che rappresenta la pressione esercitata dal-


l’atmosfera sul suolo terrestre al livello del mare;

5. l’atmosfera tecnica, ata, che è l’unità di misura della pressione nel


sistema tecnico ed è quindi pari a 1 kgf /cm2

6. gli psi (pounds per square inch), che sono l’analogo dell’atmosfera tec-
nica, ma nel sistema imperiale britannico. Si ha che 1 psi = 1 lbf /in2

In Tab.1.5 è possibile trovare i fattori di conversione di queste unità di


misura d’uso comune, rispetto all’unità di misura utilizzata nel SI.

Tabella 1.5: Fattori di conversione della pressione rispetto ai P a

Unità di misura Pa
1 Pa 1
1 bar 105
1 torr 133,322
1 mmH2 O 9,80665
1 atm 101325
1 ata 98066,5
1 psi 6894,76
1.2 Concetti generali 9

Unità di misura dell’energia


L’unità di misura dell’energia, nel Sistema Internazionale, è il J (Joule),
ma per molte applicazioni comuni vengono spesso utilizzate unità di misu-
ra diverse, quali le chilocalorie (kcal), i chilowattora (kW h), i cavalli-ora
(CV h) o i BT U (British Thermal Units), utilizzati nei sistemi di misura
anglosassoni.
In Tab.1.6 è possibile trovare i fattori di conversione di queste unità di
misura d’uso comune, rispetto all’unità di misura utilizzata nel SI.

Tabella 1.6: Fattori di conversione dell’energia rispetto ai J

Unità di misura J
1J 1
1 kW h 3600 · 103
1 CV h 2,648· 106
1 kcal 4816
1 BT U 1055,06

Unità di misura della potenza


Anche per la potenza, sono d’uso comune altre unità di misura a parte
il W (Watt), utilizzano nel SI. In particolare, è frequente incontrare i cavalli
vapore europei, CV , o i cavalli vapore anglosassoni, HP (Horse Power ), le
chilocalorie-ora (kcal/h), o i BT U/h.
In Tab.1.7 è possibile trovare i fattori di conversione di queste unità di
misura d’uso comune, rispetto all’unità di misura utilizzata nel SI.

1.2 Concetti generali


1.2.1 Descrizione di un sistema termodinamico
Nell’analisi di un fenomeno, soprattutto in una scienza quale l’ingegne-
ria, è di fondamentale importanza saper descrivere con esattezza cosa vuole
studiare. A tal fine, nella scienza della termodinamica, risulta molto utile
10 MODULO 1

Tabella 1.7: Fattori di conversione dell’energia rispetto ai J

Unità di misura W
1W 1
1 CV 735,5
1 HP 745,6
1 kcal/h 1,163
1 BT U/h 0,293

definire un sistema che identifichi il soggetto proprio dell’analisi: tale si-


stema può essere un corpo libero, un insieme di corpi o semplicemente una
porzione dello spazio e, soprattutto, la forma del sistema può essere fissa o
variabile nel tempo. Tutto ciò che è esterno al sistema, viene considerato
parte dell’ambiente esterno, da cui il sistema è separato da confini specifi-
ci, che possono essere fissi o mobili, reali o fittizi. Solitamente, l’insieme dei
due sistemi viene definito universo (Fig. 1.1).

Figura 1.1: Rappresentazione esemplificativa di un universo termodinamico

Una volta definito il sistema da studiare e l’ambiente che lo circonda, sarà


possibile identificare le interazioni che intercorrono tra i due e scrivere delle
opportune leggi fisiche che le rappresentano, così come le leggi che regolano
ciò che avviene all’interno del sistema stesso. E’ importante sottolineare
che la scelta dei confini tra il sistema e l’ambiente che lo circonda è del
tutto arbitraria e spesso dettata solo dal buon senso, che dipende in primis
dall’obiettivo dello studio e dalla quantità di informazioni che si hanno a
1.2 Concetti generali 11

disposizione e poi anche dall’esigenza di semplificare al massimo la descrizione


analitica del problema.
Generalmente, si distinguono due diverse tipologie di sistema:

- sistema chiuso: un sistema è chiuso se non si ha trasferimento di


massa con l’ambiente esterno. Un sistema chiuso si riferisce quindi
ad un sistema caratterizzato da una quantità costante di materia, che
non può passare attraverso i confini (o pareti) del sistema, che possono
tuttavia essere fissi o mobili (Fig. 1.2). In generale, un sistema chiuso
può scambiare calore o lavoro con l’esterno;
. un sistema isolato è un caso particolare di sistema chiuso, in cui
non si abbia neanche trasferimento di energia con l’esterno (calore
e/o lavoro meccanico), ovvero non si hanno interazioni di alcuna
natura tra ambiente esterno e sistema.
- sistema aperto: un sistema è aperto è invece caratterizzato da scambi
di materia con l’ambiente esterno. Anche in questo caso, gli scambi di
materia, possono essere accompagnati da scambi di lavoro e/o calore
(ovvero di energia) e le pareti del sistema possono essere reali (fisse o
mobili) o fittizie (Fig. 1.3).

Figura 1.2: Rappresentazione esemplificativa di un sistema chiuso

Quando si parla di sistema aperto, risulta particolarmente utile introdurre


il concetto di volume di controllo (indicato con VC in Fig. 1.3). Il volume
12 MODULO 1

di controllo corrisponde a quella regione di spazio, che può o meno essere


delimitata da confini fisici, attraverso cui si ha un flusso di massa e che
identifica il nostro sistema.

Figura 1.3: Rappresentazione esemplificativa di due sistemi aperti

La Fig. 1.2 rappresenta un sistema cilindro-pistone che non ammette


scambi di massa con l’esterno (nel caso del cilindro di un motore, questo
sistema rappresenterebbe il caso particolare in cui le valvole sono entrambe
chiuse). I confini del sistema possono dunque essere rappresentati dall’area
tratteggiata. La parete superiore è mobile, mentre la parete inferiore e le
laterali sono fisse. Nonostante non vi sia scambio di massa con l’esterno e
quindi la massa rimane costante, si possono avere variazioni di volume del-
la stessa, eventualmente correlate agli scambi di energia con l’esterno. La
Fig. 1.3 mostra invece due diverse tipologie di sistemi aperti: nuovamente
un sistema cilindro-pistone (a), che però permette stavolta uno scambio di
massa con l’esterno attraverso le valvole, e un condotto a sezione variabi-
le (b), anche detto ugello. Altri esempi di sistemi aperti, che incontreremo
molto frequentemente, sono le turbine, i compressori e le pompe. E’ quindi
evidente che l’approccio più semplice è quello di considerare una certa regio-
ne di spazio, con dei confini predefiniti, attraverso la quale passa il flusso di
materia: il volume di controllo, appunto.

I sistemi possono essere descritti sia a livello macroscopico che micro-


1.2 Concetti generali 13

Figura 1.4: Rappresentazione del volume di controllo per l’analisi di una turbina
assiale

scopico. L’approccio macroscopico riguarda un’analisi di insieme, conside-


rando il sistema nella sua globalità, senza introdurre anche un modello della
struttura della materia a livello molecolare, atomico o addirittura subato-
mico, come invece avviene nell’approccio microscopico. Il primo approccio,
adottato nella termodinamica classica, consente di valutare importanti aspet-
ti del sistema, pur trascurando le implicazioni a livello microscopico e, poiché
per la maggior parte delle applicazioni pratiche di sistemi termodinamici, for-
nisce validi risultati, richiedendo molte meno complicazioni dal punto di vista
matematico, questo approccio verrà adottato nel seguito.

Proprietà e stato termodinamico


La descrizione macroscopica del sistema, non può prescindere dalla co-
noscenza delle proprietà macroscopiche dello stesso. Esempi di proprietà
macroscopiche sono la massa, il volume, l’energia, la pressione, la temperatu-
ra e tutte quelle altre grandezze, che descrivono il sistema, a cui possa essere
affiancato un valore numerico per ogni istante di tempo.

Le proprietà termodinamiche di un sistema possono essere genericamente


suddivise in due classi:

1. proprietà estensive, se il valore della proprietà per un sistema glo-


bale è la somma dei valori delle proprietà di diversi sottosistemi nei
quali il sistema globale può essere suddiviso. Massa, volume, energia
e molte altre sono esempi di questa tipologia di proprietà. Dunque, le
14 MODULO 1

proprietà estensive dipendono dalle "dimensioni" di un sistema, ovvero


dalla massa o dal volume dello stesso e, per questo, possono variare nel
tempo, ma non nello spazio;

2. proprietà intensive, quando non sono più additive nel senso sopra
spiegato. Queste proprietà sono quindi indipendenti dalla massa o dal
volume del sistema e possono variare con lo spazio e con il tempo,
all’interno del sistema. Volume specifico, pressione e temperatura sono
importanti esempi di proprietà intensive.

Se una proprietà viene poi riferita all’unità di massa, allora prende il no-
me di proprietà specifica.

Si definisce stato termodinamico la condizione di un sistema carat-


terizzato da certi valori di queste proprietà. Un sistema può trovarsi in stati
termodinamici diversi in diversi istanti di tempo, ma anche nello stesso stato,
in diversi istanti di tempo.

Fasi e Sostanze Pure


Il termine fase si riferisce a una quantità di materia omogenea2 , sia in
termini di composizione chimica che di struttura fisica. Omogeneità della
struttura fisica significa che il mezzo si trova tutto in uno dei tre stati della
materia: solido, liquido o aeriforme. Un sistema può contenere anche diverse
fasi. Si immagini dell’acqua che bolle in una pentola coperta: il sistema che
ha per confini le pareti della pentola, sarà composto contemporaneamente da
acqua e vapore, che sono due fasi distinte separate da un’interfaccia.

Una sostanza pura è invece una sostanza che non vari la propria compo-
sizione chimica, sebbene possa variare la propria fase. Tornando all’esempio
di prima, la sostanza nella pentola è H2 O e passa dalla fase di acqua liquida
alla fase di vapore acqueo (e viceversa), pur mantenendo la stessa formula
chimica. In generale, anche una miscela di componenti (ad esempio di gas)
può essere considerata una sostanza pura, nei limiti in cui non si abbiano
reazioni chimiche e che quindi possa essere individuata una formula chimica
che la caratterizzi e che resti invariata.
2
Il concetto di omogeneità può essere esteso anche al sistema termodinamico, che sarà
omogeneo se le proprietà fisiche sono uniformi in tutti i punti o eterogeneo se tali proprietà
variano all’interno del sistema
1.2 Concetti generali 15

Equilibrio e trasformazioni termodinamiche


In termodinamica, uno stato è di equilibrio se si hanno, contemporanea-
mente, equilibrio meccanico, termico, di fase e chimico:
1. L’equilibrio meccanico impone che nel sistema non vi siano variazioni di
pressione nel tempo, pur tuttavia ammettendo variazioni di pressione
con la quota che controbilancino la forza peso, dovuta alla gravità3 . Si
osservi che, nella maggior parte dei sistemi termodinamici di interesse
di questo corso, queste variazioni di pressione sono così piccole che
possono essere trascurate;

2. L’equilibrio termico impone che all’interno del sistema la temperatura


sia uniforme.

3. L’equilibrio di fase, richiesto nel caso di sistemi con più fasi, impone
che ogni fase sia in equilibrio, ovvero che non ci sia la trasformazione
di una fase nell’altra e viceversa, per cui la massa di ogni fase rimane
costante;

4. L’equilibrio chimico impone l’assenza di reazioni chimiche.


Anche un sistema isolato, che non interagisce con l’esterno, può non essere
in equilibrio se, ad esempio avvengono eventi spontanei per cui le proprietà
intensive che lo descrivono variano. Queste proprietà però tenderanno ad
assumere valori uniformi e, quando non si avranno più variazioni, il sistema
avrà raggiunto l’equilibrio.

E’ ovvio che un sistema aperto, nel suo complesso, non può essere in
equilibrio termodinamico poiché almeno la prima e/o la seconda condizione
non sono rispettate. Si prenda ad esempio una turbina, ovvero una mac-
china che sia in grado di espandere un fluido. E’ intuitivo che la pressione
del fluido all’ingresso e all’uscita della turbina dovrà essere necessariamente
diversa e, con essa, varieranno verosimilmente anche altre proprietà termodi-
namiche dello stesso (e.g. temperatura e densità). Allo stesso tempo, però, le
condizioni all’ingresso e le condizioni all’uscita possono rimanere costanti nel
tempo e, in questo caso, il sistema è detto stazionario, ovvero in equilibrio
3
Si consideri, ad esempio, un liquido: negli strati inferiori la pressione è maggiore per
via del maggior peso del fluido. Tuttavia, l’aumento di pressione bilancia l’aumento della
forza peso, per cui non si ha squilibrio di forze e il sistema è in equilibrio meccanico.
16 MODULO 1

dinamico. Nelle singole sezioni di ingresso e di uscita della turbina, tutta-


via, è ancora possibile fare l’ipotesi di stato di equilibrio. In Fig. 1.5 si può
osservare una turbina in cui espande aria: nella sezione di ingresso si hanno
sempre 300◦ C e 5 bar, mentre, nella sezione di uscita si avranno sempre 89◦ C
e 1 bar. Queste due sezioni, saranno quindi in stato di equilibrio termodi-
namico, mentre tutta la turbina, nel complesso, non lo è. Questi concetti
verranno ripresi più nel dettaglio in seguito.

Figura 1.5: Rappresentazione di un sistema stazionario

Il fluido che attraversa la turbina ha subito una trasformazione termo-


dinamica, ovvero un processo di interazione con l’esterno che porta a una
variazione delle proprietà termodinamiche del sistema. Una trasformazione
termodinamica rappresenta dunque il passaggio da uno stato di equilibrio ad
un altro, a prescindere che questa avvenga nel tempo o nello spazio. Infatti,
mentre in un sistema aperto, si può supporre che il fluido si trasformi passan-
do dalla sezione di ingresso a quella di uscita, pur mantenendo inalterate, nel
tempo, le proprie condizioni in ingresso e in uscita, in un sistema chiuso la
massa rimane costante, ma può variare le proprie caratteristiche nel tempo.
Si prenda stavolta l’esempio di un sistema cilindro-pistone mobile di Fig. 1.6,
che non ha la possibilità di scambiare massa con l’esterno. Uno spostamento
del pistone verso sinistra comporta una riduzione del volume a disposizione
del fluido contenuto al suo interno e, intuitivamente un aumento della pres-
1.2 Concetti generali 17

sione dello stesso, come rappresentato qualitativamente nel piano p-V in alto,
nella stessa figura. Il sistema si trova quindi, alla fine del processo, in uno
stato diverso da quello iniziale.

Figura 1.6: Rappresentazione di una compressione in un cilindro

E’ importante sottolineare che una trasformazione termodinamica da uno


stato ad un altro, in generale, non è detto che avvenga attraverso stati di
equilibrio4 . Se avviene in modo che lo stato successivo sia infinitesimamente
vicino al precedente stato di equilibrio, allora si può supporre che il processo
sia quasi-statico e avvenga con un passaggio attraverso stati di equilibrio.
Sebbene una trasformazione quasi-statica resti una pura idealizzazione della
realtà, questa approssimazione è lecita, con un errore trascurabile, nel caso
in cui la trasformazione avvenga molto lentamente.

Il sistema può anche subire una serie di trasformazioni in sequenza, tali


per cui, lo stato iniziale e lo stato finale coincidano. In questo caso si parla
di ciclo termodinamico e le proprietà del fluido, alla fine di questa serie di
4
In seguito si utilizzerà solo il termine "equilibrio", sottintendendo il termine "termodi-
namico", pur continuando a considerare un equilibrio che rispetti le condizioni di equilibrio
meccanico, termico, di fase e chimico
18 MODULO 1

trasformazioni, devono essere necessariamente identiche alle proprietà che il


fluido aveva all’inizio, con una variazione netta nulla (Fig. 1.7).

Figura 1.7: Rappresentazione di un ciclo termodinamico

Trasformazioni reversibili e irreversibili


Si prenda l’esempio di un sistema adiabatico cilindro-pistone mobile in
equilibrio termodinamico, ovvero caratterizzato da certi valori di pressione,
volume e temperatura. Si consideri di muovere il pistone al fine di comprimere
il gas contenuto all’interno del cilindro dal punto con volume VA al punto con
volume VB , in riferimento alla Fig. 1.8.
Durante il processo, se esso non è quasi-statico, ovvero sufficientemente
lento da poter supporre che la trasformazione avvenga attraverso stati di
equilibrio, si osserva l’aumento della pressione prima negli strati più vicini
alla superficie del pistone e poi, gradualmente, anche negli strati più distanti.
Questa differenza di pressione interna del gas provocherà dei moti del fluido
caratterizzati da vortici e turbolenze e questo moto del gas farà aumentare la
temperatura del fluido di un’aliquota maggiore rispetto al solo effetto della
compressione. Inoltre, se si suppone anche che vi sia attrito tra il pistone e
le pareti interne del cilindro (supposto adiabatico) ci saranno anche aumen-
1.2 Concetti generali 19

Figura 1.8: Esempi di trasformazioni irreversibili

ti locali della temperatura del gas a ridosso dell’interfaccia pistone-cilindro.


Ora si supponga di voler ritornare al volume iniziale VC = VA , muovendo il
pistone al fine di decomprimere il fluido con la stessa velocità con cui il fluido
era stato compresso. Anche in questo caso, si avrà che la pressione diminuirà
prima laddove il gas trova più spazio a disposizione da occupare e le differenze
di pressione interne al fluido genereranno moti vorticosi, che comporteran-
no un aumento della temperatura in contrasto con la diminuzione, dovuta
alla decompressione. A causa di questo effetto e dell’effetto dell’attrito, è
intuitivo che il gas si ritroverà, alla fine del processo in un punto C, diverso
da A, caratterizzato da una temperatura maggiore e quindi anche da una
pressione maggiore5 . Questo tipo di trasformazioni è quindi, evidentemente,
irreversibile, poiché non è possibile riportare il fluido nello stato iniziale
invertendo la trasformazione. Viceversa, se fosse possibile riportare il gas
esattamente nello stato iniziale, invertendo il processo come rappresentato in
Fig. 1.9 (ripassando attraverso i medesimi stati di equilibrio), la trasforma-
zione sarebbe reversibile ed è evidente come questo possa avvenire solo se
la trasformazione è quasi-statica.

5
Per capire meglio il fatto che si abbia una pressione maggiore, si consideri che il volume
a disposizione del gas è lo stesso sia in A che in C, ma la temperatura in C è più elevata
della temperatura in A e quindi il gas tenderebbe ad espandersi, in un volume ristretto,
andando così a generare delle forze di pressione maggiori.
20 MODULO 1

Figura 1.9: Esempi di trasformazioni reversibili

Si badi bene, però, che, anche se una trasformazione reversibile è ne-


cessariamente quasi-statica, una trasformazione quasi-statica non è necessa-
riamente reversibile. Infatti se si pensa di miscelare due gas, inizialmente
contenuti in due recipienti separati, ma alla stessa pressione e alla stessa
temperatura, il processo avviene molto lentamente e senza generazione di
differenze di pressione e/o di temperatura all’interno dei fluidi, né si hanno
corpi mobili che generano attrito, per cui la trasformazione è quasi-statica,
ma non reversibile. Inoltre, in generale, la presenza dell’attrito è una fonte di
irreversibilità anche per processi che avvengono molto lentamente e al limite
quasi-staticamente, per cui, la reversibilità si avrebbe solo nella condizione
in cui fosse possibile trascurare questo effetto.
Un’ultima osservazione riguarda l’assunzione che il sistema fosse adiaba-
tico. Se così non fosse stato e ci fosse stata una differenza di temperatura
tra l’interno e l’esterno del cilindro e, in particolare, la temperatura interna
fosse stata, ad esempio, maggiore di quella esterna, si sarebbe osservato un
passaggio di calore dall’interno all’esterno che sarebbe stata causa di una
ulteriore irreversibilità. Questo aspetto verrà però approfondito nel capitolo
relativo al secondo principio della termodinamica.
Riepilogando, le condizioni per cui una trasformazione è considerabile
reversibile sono:

1) Trasformazione quasi-statica (ovvero distribuzione uniforme di pressio-


ne e temperatura)
1.2 Concetti generali 21

2) Differenza di temperatura infinitesima (al limite nulla) tra ambiente e


sistema

3) Assenza di attrito

1.2.2 Grandezze di stato


Nel paragrafo precedente si è visto che un sistema può trovarsi in stati
termodinamici diversi, in diversi istanti di tempo o anche in diversi punti
dello spazio, allo stesso istante. Si è inoltre visto che un determinato stato
di equilibrio del sistema è indipendente da come il sistema abbia raggiunto
quello stesso stato, ovvero, le proprietà termodinamiche del sistema in uno
stato di equilibrio sono indipendenti dal tipo di trasformazione che il sistema
abbia subito. Queste proprietà che descrivono lo stato di un sistema vengono
quindi definite grandezze di stato. Ne consegue che, se una grandezza non
è determinabile solamente dagli stati iniziale e finale della trasformazione,
essa non è una grandezza di stato del sistema.
Nello studio della termodinamica, queste grandezze vengono identificate
con tre proprietà intensive: densità, pressione e temperatura. Si osservi
che, come si è già detto, nel prosieguo di questa trattazione la materia viene
considerata da un punto di vista macroscopico e, secondo questo approccio,
tali proprietà varieranno in maniera continua e omogenea nel mezzo e non
discreta, come avviene invece a livello molecolare. Questa ipotesi, detta
ipotesi del mezzo continuo, è dunque quella che verrà considerata nel seguito.

Regola delle fasi di Gibbs


In generale, nelle più comuni applicazioni di interesse ingegneristico, le so-
pra citate grandezze di stato non risultano essere tutte indipendenti tra loro.
Più precisamente, per conoscere quante proprietà intensive sono sufficienti
ad individuare uno stato termodinamico in maniera univoca, ovvero, per co-
noscere i gradi di libertà di un sistema termodinamico, è possibile ricorrere
alla regola delle fasi di Gibbs:

V =N −X +2 (1.5)
dove V è la varianza del sistema, ovvero il numero di gradi di libertà, N
rappresenta il numero di componenti chimici indipendenti del sistema, mentre
22 MODULO 1

X rappresenta il numero delle fasi. Se, ad esempio, abbiamo un sistema che


è solo costituito da O2 (o, in generale da un unico gas), si avrà:

V =1−1+2=2 (1.6)

ovvero il sistema è bivariante e solo due proprietà intensive bastano a definirlo


completamente. Se prendiamo, invece, l’esempio di un sistema costituito
da vapore d’acqua in equilibrio di fase con l’acqua liquida, si avrà un solo
componente chimico indipendente (H2 O)e due fasi (vapore e liquido), per cui
la varianza sarà pari a:
V =1−2+2=1 (1.7)
ovvero il sistema è monovariante e basterà un’unica grandezza a definirlo
completamente.

In generale, si consiglia sempre di scegliere un valore di N più piccolo


possibile. Nel caso dell’aria, ad esempio, questa può, per semplicità, essere
considerata un’unicum, per cui N =1. Infatti, si potrebbe pensare di scegliere
N =2, o anche un numero più grande se si decidesse di tener conto di tutti
i componenti chimici che costituiscono la miscela. Se prendiamo il caso di
N =2, si otterrebbe V=3 (la fase resterebbe sempre F=1, perché si ha solo
lo stato aeriforme), il che implicherebbe la necessità di tre variabili intensive
indipendenti. Tuttavia, la terza non sarebbe altro che la concentrazione in
massa dei vari gas costituenti l’aria, che è un parametro costante che, quin-
di, nella realtà, non aggiunge nessuna informazione al sistema. Per cui, per
l’aria, è lecito considerare una varianza V=2. Ciò implica che è possibile
definire un legame funzionale tra le grandezze intensive pressione, volume e
temperatura del tipo

f (p, V, T ) = 0 (1.8)
che viene generalmente chiamata equazione di stato del sistema. Questo
argomento verrà opportunamente approfondito nei prossimi capitoli.
Un’altra cosa che vale la pena osservare, in questo contesto, è che un
sistema termodinamico costituito da un solo componente presente contem-
poraneamente in tutte le tre fasi (solida, liquida, gassosa) ha V = 1 - 3 + 2
= 0 (sistema invariante). Ciò significa che tale sistema non ha alcun grado
di libertà, per cui, appena viene variato il valore di una delle proprietà che lo
caratterizzano, una delle tre fasi presenti scompare. Questo stato si definisce
1.2 Concetti generali 23

punto triplo della sostanza e anche questo argomento verrà opportunamente


ripreso più avanti.

Densità
Come anticipato, la densità di una sostanza, ρ, risulta essere una proprietà
molto importante nell’analisi di un sistema termodinamico. Questa è definita
come la massa, m, contenuta nell’unità di volume, V :
m
ρ= (1.9)
V
Altrettanto frequentemente è possibile incontrare anche il volume speci-
fico che è invece definito come il volume nell’unità di massa. Dalla definizione
appena data, è immediato verificare che il volume specifico non è nient’altro
che il reciproco della densità:

V 1
v= = (1.10)
m ρ
Inoltre, sempre dalla definizione, può dedursi che la densità, e quindi il
volume specifico, non sono grandezze fondamentali, bensì derivate e le loro
unità di misura, nel SI, saranno, rispettivamente, kg/m3 e m3 /kg.

Pressione
La pressione è definita come la forza esercitata da un fluido su una su-
perficie di area unitaria, diretta normalmente all’area stessa. Generalmente
si parla di pressione solo nel caso di fluidi (liquidi o gas), mentre per i mezzi
solidi si fa riferimento alla tensione.
Se un fluido è in quiete, la pressione in un determinato punto del fluido
risulta essere la stessa in tutte le direzioni, come conseguenza dell’equilibrio
delle forze che agiscono su quella porzione di fluido (Fig. 1.10). Tuttavia,
anche in un fluido in quiete, la pressione può variare in diversi punti del
fluido. Questo avviene, ad esempio, a causa delle variazioni di quota: per
effetto del peso del fluido negli strati superiori, la pressione del fluido negli
stati inferiori aumenta, come si può vedere in Fig. 1.11.
Si consideri il parallelepipedo in Fig. 1.12, di altezza ∆y, larghezza ∆x e
profondità ∆z, di cui è riportata la vista frontale in Fig. 1.13. Si consideri
che tale parallelepipedo di fluido sia in equilibrio, per cui:
24 MODULO 1

Figura 1.10: Pressione in un punto di un fluido

Figura 1.11: Variazione della pressione con la quota

Figura 1.12: Elemento di fluido di dimensioni ∆x, ∆y e ∆z

ΣFy = may = 0 (1.11)


ma, poiché,
1.2 Concetti generali 25

Figura 1.13: Faccia frontale del parallelepipedo di Fig. 1.12. Variazione della
pressione con la quota

Fy = P + p1 · ∆x∆z − p2 · ∆x∆z (1.12)

e, nell’ipotesi che ρ sia costante nello spazio6 :

P = mg = (ρV )g = (ρ∆x∆y∆z)g (1.13)

allora, si ottiene:

ρg∆x∆y∆z = (p2 − p1 ) · ∆x∆z = ∆p∆x∆z (1.14)

ovvero, dividendo entrambi i membri per ∆x e ∆z:

∆p = ρg∆y = γ∆y (1.15)

dove γ rappresenta il peso specifico del fluido e dipende dal tipo di fluido,
per via della densità7 . Dall’Eq. (1.16) è evidente che, nel caso di densità
uniforme, la variazione di pressione ∆p è direttamente proporzionale alla
6
i liquidi sono sostanze che possono essere considerate incomprimibili, per cui ρ =
cost(x, y, z) e ciò può essere esteso anche ai gas, per piccole variazioni di quota. Si tenga
però presente che la densità può invece variare significativamente se il fluido subisce un
processo che comporta una variazione della temperatura o, in generale, anche per i fluidi,
se le variazioni di quota sono molto importanti (e.g. oceani, mari, ecc.).
7
La relazione di Eq. (1.16) è generalmente nota come legge di Stevino
26 MODULO 1

variazione di quota ∆y, che, per un dato fluido, è denominata altezza pie-
zometrica. In generale, è lecito dire che se ∆y o γ sono sufficientemente
piccoli, la variazione della pressione con la quota è trascurabile e si osservi
che la seconda condizione è frequentemente verificata nel caso dei gas, poiché
la densità ρ assume valori molto bassi.
Nel caso particolare in cui p1 = patm (superficie a pelo libero), allora la
pressione p, ad una certa profondità h, diventa (dall’eq. (1.16)):

p = patm + ρgh ⇒ p − patm = pr = ρgh (1.16)


Un’altra implicazione importante dell’Eq. (1.16) è che la pressione di un
fluido è la stessa su tutti i punti appartenenti ad un piano immaginario
orizzontale, a quella data profondità.

Figura 1.14: Applicazione della legge di Pascal

Da qui, nasce la legge di Pascal che afferma che la pressione esercitata


su una superficie qualsiasi di un liquido confinato si trasmette, con lo stesso
valore, su ogni altra superficie a contatto con il liquido. In Fig. 1.14, è
possibile osservare un’applicazione pratica di questo principio: sui due pistoni
(posti alla stessa quota) agiscono due forze F1 = p1 A1 e F2 = p2 A2 ; ma poiché
risulta p1 = p2 , allora si avrà:
F2 A2
= (1.17)
F1 A1
ovvero, sfruttando un rapporto delle aree favorevole (A2 > A1 ), applicando
una piccola forza F1 , si può ottenere una forza F2 molto maggiore.
1.2 Concetti generali 27

Il primo strumento di misurazione della pressione è dovuto al fisico Tor-


ricelli, che ha misurato la pressione atmosferica grazie ad un barometro8 a
mercurio simile a quello raffigurato in Fig. 1.15.

Figura 1.15: Barometro a mercurio di Torricelli

Nel punto B c’è il vapore di mercurio in equilibrio di fase con il liquido


sottostante, mantenuto alla stessa temperatura. La pressione esercitata dal
vapore di mercurio è trascurabile per cui è possibile considerarla nulla (i.e.
si considera che vi sia il vuoto). Dal bilancio delle forze, nel punto C, si ha:

patm A = P = ρghA ⇒ patm = ρgh (1.18)


E’ importante osservare che l’altezza h è l’altezza della colonna di mercu-
rio e non l’altezza del tubo, che anzi è indipendente dall’altezza h raggiunta
dal fluido per controbilanciare la pressione atmosferica agente sul pelo libero.
L’altezza della colonna di fluido, dato un certo fluido (quindi una certa den-
sità ρ), dipende solo dalle condizioni di pressione atmosferica e accelerazione
di gravità che regnano nel luogo in cui si sta facendo la misura e, ovviamente,
è indipendente anche dalla sezione trasversale del tubo (che nemmeno com-
pare nell’Eq. (1.18). Da questo strumento di misura derivano diverse unità
di misura della pressione (già incontrate nel Par. 1.1) che sono i millimetri
di colonna di mercurio (mmHg o torr) e e l’atmosfera standard (atm) che
rappresenta la pressione esercitata da una colonna di mercurio di 760 mm a
8
Con barometro ci si riferisce, infatti, a uno strumento che misura la pressione
atmosferica.
28 MODULO 1

0◦ C (ρHg = 13595 kg/m3 ) per effetto dell’accelerazione di gravità standard


(g = 9, 807 m/s2 ). Quando al posto del mercurio si utilizza dell’acqua, la
pressione atmosferica (pari a 1 atm) è controbilanciata da una colonna d’ac-
qua di 10,3 m.

Un altro strumento di misurazione della pressione è il manometro diffe-


renziale (o semplicemente manometro) che sfrutta l’Eq. (1.16) per misurare
le differenze di pressione tra due fluidi. Si prenda l’esempio in Fig. 1.16, che
rappresenta lo schema di manometro per la misurazione della pressione di un
gas in un serbatoio. Dal bilancio delle forze si ha:

Figura 1.16: Manometro differenziale

p2 A = patm A + P = patm A + ρghA ⇒ p2 = patm + ρgh (1.19)


ma la pressione nel punto 2 (p2 ) sarà uguale alla pressione nel punto 1
(p1 ), ovvero, alla pressione all’interfaccia liquido-gas. Poiché, in un gas, gli
effetti della quota sono trascurabili, si può supporre che la pressione del gas
(pgas ) coincida con p1 in tutti i punti. Per cui:

pgas = patm + ρgh (1.20)


Poiché in questi strumenti l’errore nella misura della pressione è diret-
tamente correlato all’errore della misura dell’altezza h, spesso si realizzano
1.2 Concetti generali 29

i cosiddetti manometri inclinati in cui il tubo su cui avviene la misura è


inclinato, in maniera da aumentare l’altezza del liquido e quindi diminuire
l’incertezza.

Temperatura

Solitamente si associa la temperatura di un corpo con la sensazione di


"caldo" o di "freddo" che il corpo stesso ci trasmette al tatto. Tuttavia,
questa sensazione, che già di per sé è soggettiva, può trarre in inganno: si
considerino infatti due piastre, una in marmo e una in legno; esse se non so-
no soggette a fonti di calore, si troveranno ad una temperatura pari a quella
ambiente, eppure al tatto, noi percepiremmo la piastra in marmo come molto
più fredda di quella in legno. E’ quindi evidente come dare una definizione
di temperatura sia molto difficile. Per questa ragione, anziché definire la
temperatura di un corpo, si può definire quand’è che due corpi hanno la stes-
sa temperatura, introducendo quello che comunemente è riconosciuto come
principio zero della termodinamica: due corpi in equilibrio termico con
un terzo corpo, sono in equilibrio termico tra loro. Questo principio pone le
basi di validità degli strumenti di misura della temperatura, poiché permet-
te di asserire che tutti i sistemi in equilibrio termico tra di loro hanno una
proprietà in comune che è proprio la temperatura.
L’equilibrio termico è stato già definito nel Par. 1.2.1. Tuttavia, si ripor-
ta qui di seguito un altro esempio per la comprensione di tale concetto. Si
consideri un recipiente a pareti mobili contenente un gas e lo si ponga in un
certo ambiente a una certa temperatura. Si osserverà, allora, una variazione
del volume del gas, con uno spostamento delle pareti del contenitore. Solo
quando tale variazione (e, quindi, anche quella della pressione) sarà termi-
nata, il sistema avrà raggiunto l’equilibrio termico con l’ambiente, ovvero
la temperatura potrà considerarsi omogenea in ogni punto del gas e pari a
quella dell’ambiente. La velocità con cui avviene tale processo dipende poi
dalle proprietà delle pareti del contenitore. Se la parete consente consente il
massimo della velocità è detta diabatica (dal greco διαβατ ικoς), mentre se
rallenta infinitamente il processo (al limite la velocità è nulla) è detta adia-
batica (dal greco α − διαβατ ικoς, con α privativo). Più frequentemente si
definisce diabatica una parete che permette il passaggio di calore e, viceversa,
adiabatica una parete isolante, che non può essere attraversata dal calore.
30 MODULO 1

1.2.3 Le scale di temperatura


Particolare attenzione va rivolta a questa grandezza e alle sue modalità
di misura.
Le scale che vengono attualmente utilizzate nel sistema internazionale so-
no le scale Celsius e Kelvin, dove la scala Kelvin è definita come scala di
temperatura termodinamica. Questa definizione verrà meglio compresa
nel capitolo in cui si introdurrà il secondo principio della termodinamica.
Nel frattempo, per una prima comprensione, si consideri solo che la scala
Celsius è direttamente correlata ai punti di fusione del ghiaccio a pressio-
ne atmosferica (a cui si assegna il valore di 0◦ C) ed ebollizione dell’acqua
a pressione atmosferica (a cui si assegna il valore di 100◦ C). La scala Kel-
vin, d’altro canto, non dipende dalle proprietà della sostanza impiegata per
misurare la temperatura e per questo è più consona all’impiego nella termo-
dinamica. Proprio per tale motivazione, la scala Kelvin è anche denominata
scala assoluta di temperatura.

La temperatura è una grandezza che non viene misurata direttamente,


ma sfrutta il legame relazionale che ha con altre grandezze (dette variabili
termometriche), quali, ad esempio: l’altezza della colonna liquida in un ter-
mometro a liquido9 , la resistenza elettrica in un termometro a resistenza, la
forza elettromotrice in una termocoppia o la pressione o il volume di un gas
in un termometro a gas.

Si consideri, ad esempio, un termometro a gas a volume costante, co-


stituito da un bulbo rigido contenente un gas a bassa pressione. In questo
caso, si sfrutta la proprietà per cui a basse pressioni10 e volume costante,
la temperatura di un gas può essere considerata proporzionale alla pressione
dello stesso, secondo una relazione del tipo:

T = k1 + k2 · p (1.21)

dove le costanti k1 e k2 sono derivate sperimentalmente. Si osservi che k1


rappresenta nient’altro che la temperatura del gas nel caso in cui esso si trovi
ad una pressione assoluta nulla per cui resta T = k1 .
9
Si consideri banalmente un termometro a mercurio per uso sanitario
10
In queste condizioni il gas può essere considerato un gas perfetto, concetto a cui si
dedicherà un’intera sezione di queste dispense.
1.2 Concetti generali 31

Nella pratica, per effettuare la misurazione, si mette il bulbo in cui è con-


tenuto il gas a contatto con il corpo di cui si vuol misurare la temperatura.
Al raggiungimento dell’equilibrio termico, si misura la pressione del gas nel
bulbo11 e si ricava la temperatura dalla relazione sopra citata12 . Per determi-
nare le due costanti, si utilizzano degli stati di riferimento riproducibili, quali
il punto di fusione normale e il punto di ebollizione normale di una sostanza,
ai quali vengano associati idonei valori di temperatura. Ovviamente le due
costanti dipenderanno dalla strumentazione utilizzata per determinarli (i.e.
tipo di gas, volume, temperature assegnate, ecc.). Se, nel caso dell’acqua,
come stati di riferimento si scelgono quelli sopra citati e come temperature
di riferimento si scelgono i valori 0 e 100, rispettivamente, la scala termome-
trica determinata con il termometro a gas coincide con la scala termometrica
Celsius. In questo caso, il valore di k1 è pari a -273,15◦ C, indipendentemente
dal tipo di gas scelto e dalla quantità. In Fig. 1.21 si osserva come per diverse
misure sperimentali, eseguite su diversi gas, tutte le rette ricavate intersecano
l’asse delle ascisse in questo valore.

Figura 1.17: Diagrammi p-T sperimentali per un termometro a gas a volume


costante e diversi gas.

Questo è dunque il valore più basso di temperatura che è possibile ottenere


con un termometro a gas perfetto (essendo il valore che si ottiene con il vuoto
11
Vedi il paragrafo precedente, per le modalità di misura della pressione di un gas.
12
Occorre che il volume del bulbo sia costante, poiché come spiegato nell’esempio sopra
riportato, se il volume fosse variabile, la variazione di temperatura comporterebbe, in
generale, una contemporanea variazione della pressione e del volume del gas, rendendo
difficile una separazione dei due effetti e quindi la determinazione di una relazione univoca
come quella in Eq. (1.21).
32 MODULO 1

spinto, ovvero con p = 0). Assegnando un valore pari a 0 a k1 , si ottiene la


scala assoluta di temperatura del termometro a gas e l’Eq. (1.21) si riduce a
T = k2 ·p, per cui, per definire k2 , basta scegliere un unico stato di riferimento
a cui assegnare un valore della temperatura. Lo stato che viene solitamente
scelto è lo stato in cui coesistono tutte e tre le fasi dell’acqua, ovvero il punto
triplo, a cui viene assegnata una temperatura di 273, 16 K.
E’ importante osservare che la scala assoluta di temperatura di un ter-
mometro a gas perfetto non è la scala di temperatura termodinamica, poiché
non è estensibile a temperature troppo basse, oltre le quali il gas condensa, o
troppo alte, oltre le quali il gas diventa rarefatto. Tuttavia, i valori di tem-
peratura per cui tale scala è determinabile, coincidono con quelli della scala
termodinamica (scala Kelvin), che non è nient’altro che una scala estrapo-
lata da questa che fa l’assunzione di utilizzare un gas "immaginario" che si
comporti come gas perfetto per qualsiasi valore della temperatura.
Come già evidenziato nel Par. 1.1, la scala Kelvin è legata alla scala
Celsius tramite la seguente relazione:

T (K) = T (◦ C) + 273, 15 ⇒ T (◦ C) = T (K) − 273, 15 (1.22)

e, è facile verificare che l’intervallo unitario della scala Celsius corrisponde


all’intervallo unitario della scala Kelvin, per cui una differenza di temperatura
può essere equivalentemente espressa in gradi Celsius o in Kelvin, ovvero:

∆T (K) = ∆T (◦ C) (1.23)

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