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Cultura Tedesca I

Hinweis
1. Was ist Kulturkritik?.........................................................................................................1
1.2. Die Vordenker der Kulturkritik................................................................................4
1.2.1. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778)..................................................................5
2. Kulturkritik und deutsche Kultur..................................................................................14
2.1. 17. Jahrhundert........................................................................................................16
2.2. 18. Jahrhundert........................................................................................................18
2.2.1. Deutsche Kultur und Französische Revolution..............................................23
2.3. 19. Jahrhundert........................................................................................................42
2.3.1. Die Romantik....................................................................................................48
2.3.2. Die Restauration (1815-1848)...........................................................................56
2.3.3. Frühindustrialisierung.....................................................................................60
2.3.4. Die Märzrevolution (1848-1849)......................................................................63
2.3.5. Die deutsche Einigung......................................................................................64
2.4. Die Wilhelminische Ära (1890-1918).......................................................................69

1. Was ist Kulturkritik?

Il termine Kulturkritik è relativamente giovane se comparato all’oggetto che definisce,


tant’è che esso non trova una traduzione definita in altre lingue come inglese, francese o
italiano. In generale, si può affermare che esso indichi “una critica alla condizione del
proprio tempo, la quale inserisce questa condizione in una narrativa di perdita”. 1
Tuttavia, essa è un concetto generale (Sammelbegriff) ed estremamente vago, in quanto
non può essere considerata “né una materia né una disciplina, né un metodo né un
procedimento scientifico con il quale analizzare un problema”. 2 Tuttavia, vi è una serie
di intellettuali che possono essere collocati sotto l’etichetta di Kulturkritik: Esiodo
(VIII-VII Secolo a.C.); Diogene di Sinope (412-323 a.C.), Tito Lucrezio Caro (98-50
a.C.), Johann Gottfried Herder (1744-1803), Johann Christoph Friedlich von Schiller
(1759-1805), Thomas Carlyle (1795-1881), Karl Heinrich Marx (1818-1883), Friedrich
1
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 12.
2
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 8.
Wilhelm Nietzsche (1844-1900), Georg Simmel (1858-1918), Oswald Arnold Gottfried
Spengler (1880-1936), Günther Anders (1902-1992), Paul-Michel Foucault (1926-
1984). Nonostante numerosi intellettuali importanti abbiano di fatto trattato di
Kulturkritik, essa viene spesso ritenuta una disciplina residuale con dei confini non ben
definiti e appartenente a discipline più delineate e canonizzate come la filosofia e la
sociologia: uno dei principali problemi nel delineare confini precisi per la Critica
Culturale è il fatto che tali pensatori non hanno mai sviluppato un pensiero sistematico.
Di fatto non vi è alcun oggetto o tema che possa essere definito come specifico
dell’analisi kulturkritisch: ogni autore, a partire dalla sua esperienza, tratta temi diversi.
La Critica Culturale è “un fenomeno internazionale con delle peculiarità nazionali”. 3
In particolar modo, essa si è sviluppata in due paesi europei: la Germania e l’Inghilterra.
In particolare, il movimento kulturkritisch tedesco ha ottenuto una fama negativa a
causa dell’operato di alcuni intellettuali (tra i quali Spengler), il quale pensiero si
scagliò contro la civiltà occidentale e il suo liberismo, ponendo così le basi per il futuro
sviluppo dell’ideologia nazionalsocialista. Tuttavia, la critica culturale tedesca si era già
sviluppata dal confronto con la cultura illuministica, in particolar modo con la sua
antropologia e la sua filosofia della storia (Geschichtsphilosophie). In questa variante, la
critica culturale diventa un modo di riflessione sulla modernità. I suoi ideologi sono
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) e Schiller: entrambi “criticano con aspettative,
precedentemente rese possibili dallo stesso illuminismo, la propria epoca
(presuntivamente) illuminata.”4 È proprio questo il punto di partenza della critica
culturale: la discrepanza tra aspettative elevate (hochgestimmte Erwartungen) ed
esperienze deludenti (ernüchternde Erfahrungen), la quale, a sua volta, genera
“l’allontanamento (Entfremdung) da sé stessi e dalla società e la difficile conciliazione
tra individuo e società.”5 Da questo punto di vista, quindi, i Kulturkritiker sono sempre
dei public intellectuals i quali sono interessati ad allargare la loro conoscenza per
osservare e comprendere meglio la propria epoca. Una volta constata questa
discrepanza, questi intellettuali rifiutano il proprio tempo con uno sguardo
d’ammirazione verso un’epoca passata (spesso definita come goldenes Zeitalter,
3
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 10.
4
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 11.
5
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 11.
un’ipotetica passata età dell’oro) e progettano degli Ersatzmodelle, delle
rappresentazioni della realtà (che sono sempre costruzioni ideologiche) alternative che
gli intellettuali elaborano come forme di risoluzione possibile alla crisi di senso che
pervade lo spirito del loro tempo. L’intellettuale è allo stesso tempo censore e
profeta/conduttore di masse: da un lato l’intellettuale prende le distanze dalla massa
inconsapevole rappresentata dai propri cittadini, dall’altro egli ricerca il consenso delle
masse per verificare la validità del proprio modello sostitutivo.
Come detto in precedenza, il termine Kulturkritik è estremamente vago. Spesso viene
utilizzato come sinonimo il termine Zivilisationskritik: da questo punto di vista, il
termine Kultur viene accomunato a quello di Zivilisation, il quale indica il grado di
incivilimento di una società nel suo complesso e non la semplice conoscenza
individuale. Tuttavia, il termine Kulturkritik conosce almeno tre connotazioni differenti:

1. Weiter Begriff  esso comprende tutti i commenti, le obiezioni e le accuse


contro sistemi di valori sbagliati, pessime condizioni e comportamenti sbagliati
sin dall’antichità. Come detto, molti intellettuali dell’antichità, come Lucrezio o
Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) e più in generale la corrente filosofica del
Cinismo (sviluppatasi a partire dal IV Secolo a.C.), possono essere considerati
dei Kulturkritiker: in particolar modo i cinici si scagliavano contro le conquiste e
i valori della civiltà affermando che l’uomo doveva vivere secondo la phýsis, la
legge di natura, la quale si contrapponeva al nomòs, le leggi degli uomini.
2. Enger Begriff  concezione che si sviluppa parallelamente allo sviluppo
dell’Illuminismo europeo e anch’essa, come il concetto più ampio, fa riferimento
alla critica nei confronti delle conquiste e dei valori della civiltà. Tuttavia, la
principale differenza consiste nel fatto che gli antichi (soprattutto i cinici)
desideravano un ritorno alla natura (Zurück zur Natur), mentre per Schiller e
Rousseau il processo di civilizzazione era irreversibile: l’uomo non può tornare
allo stato di natura (Naturzustand), ma può solo richiamarsi a quello spirito per
creare qualcosa di nuovo.
3. Spezifisch deutscher Begriff  l’iniziatore del pensiero kulturkritisch
specificamente tedesco è Nietzsche. Esso inizia con il rifiuto, da parte del
filosofo di Röcken, dell’Illuminismo.
Gli effetti del pensiero della Critica Cultura sono evidenti se si pensa al fatto che
Rousseau, Schiller e Nietzsche non hanno fondato alcuna disciplina o scuola di
pensiero, ma allo stesso tempo hanno condizionato il pensiero di altre discipline e
scuole di pensiero. Molti aspetti del loro pensiero sono stati assimilati da discipline
quali la filosofia, la teoria critica e la sociologia. Le loro visioni continuano a spingere
verso la ricerca di un’altra modernità.

1.2. Die Vordenker der Kulturkritik

Come detto in precedenza, “l’Illuminismo costituisce […] il contesto che rende


possibile [la nascita] della critica culturale della modernità”. 6 Il punto di partenza per il
pensiero kulturkritisch è una nuova rappresentazione della storia
(Geschichtsvorstellung): per la prima volta l’antichità greco-romana viene rifiutata
come modello di società ideale (la famosa età dell’oro) in favore di una teoria del
progresso (Fortschrittstheorie), la quale “presuppone, nonostante ostacoli quali la
tradizione, il pregiudizio, le abitudini e le superstizioni, un costante aumento della
conoscenza e dell’esperienza”.7
Da notare che entrambe le parole che costituiscono la parola composta Kulturkritik
ricevono una nuova accezione proprio nel corso dell’Illuminismo:

1. Kritik  essa è un termine fondamentale per l’Illuminismo: ogni uomo può,


richiamandosi alla forza della propria ragione (Vernunft), distinguere, giudicare e
denunciare ogni cosa.
2. Kultur  il complesso delle cognizioni acquisite dall’umanità, che devono essere
trasmesse da una generazione all’altra e accresciute attraverso l’impiego dei
poteri razionali dell’uomo. Questo termine viene collegato al concetto di
progresso: il sapere umano, dopo essere stato acquisito, deve essere ampliato e,
attraverso un percorso progressivo, può arrivare a classificare tutto ciò che si può
sapere.
6
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 22.
7
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 22.
Inoltre, in epoca illuministica, per la prima volta il termine Kultur diventa quasi
sinonimo di civiltà occidentale/europea: l’Europa viene vista come il centro del
progresso. Non si confronta solamente il passato con il presente (che è migliore e
migliorabile), ma anche l’avanzamento (e a volte persino la superiorità)
dell’Europa sul resto del mondo.

Da un punto di vista della storia delle idee, appare chiaro come il pensiero kulturkritisch
sia nato proprio con l’Illuminismo. Già Esiodo, nel poema Le Opere e i Giorni (VIII
Secolo a.C.), parlava di un’ipotetica età dell’oro passata nella quale gli uomini vivevano
perennemente giovani e morivano senza alcun dolore, ma la sua critica “manca [di]
coscienza della storia, la quale […] inizia a riflettere sul fatto che gli uomini fanno la
storia, ma senza poter disporre di essa”. 8 Tale coscienza rende possibile la
consapevolezza che ogni conoscenza umana è provvisoria e che, nel corso del tempo,
essa verrà sostituita da un’altra comprensione della realtà. A tal proposito, la critica dei
valori degli uomini dell’antichità può essere riassunta con la locuzione latina laudator
temporis acti9(lodatore del tempo passato): le vecchie generazioni guardano con
sguardo nostalgico il tempo passato e, facendo ciò, sono incapaci di cogliere le
innovazioni del presente e di adeguarsi al progresso. Al contrario, con l’illuminismo la
diagnosi dei problemi del tempo presente abbandonerà qualsiasi prospettiva apocalittica
(il futuro non sarà mai migliore del passato), in quanto si affermerà la visione della
storia come un disegno più ampio destinato al progresso sia dell’individuo che della
società nel suo insieme. Infatti, sia per Rousseau che per Schiller “la civiltà non viene
più intesa come il garante dell’autoperfezionamento”, tuttavia solo grazie alla civiltà “la
guarigione è possibile”.10 Il loro è un modello triadico, il quale presuppone la presenza
di un tempo presente peggiore, un passato migliore e una salvezza futura.

1.2.1. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778)

8
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 25: “Geschichtsbewusstsein“.
9
Locuzione che si deve al poeta romano Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.), nella sua Ars Poetica (13
a.C.).
10
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 27.
Come detto, il filosofo svizzero Rousseau può essere definito come il vero iniziatore del
pensiero kulturkritisch moderno. Di fatto,

ciò che Rousseau denuncia, come il potere della convenzione, la funzione corruttrice del
lusso oppure, in senso più generale, il decadimento morale, appartiene all’attrezzatura
mentale di un illuminismo sempre più autocritico. Però nel suo pensiero si può trovare una
critica generale alle condizioni del presente e un bilancio storiografico del processo di
incivilimento.11

11
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 28.
Innanzitutto, va sottolineato come il pensiero di Rousseau fosse completamente libero
da ogni logica teleologica: per lui la storia non aveva alcun fine determinato, ma l’uomo
poteva scrivere la propria storia e, allo stesso tempo, era da considerare responsabile
della condizione del mondo in cui viveva. Il suo fu il tentativo di analizzare i
fondamenti della società e, per fare ciò, la dottrina storica era fondamentale: tuttavia, lo
studio della storia doveva servire per chiarire le contraddizioni del tempo presente. Per
lui il processo di civilizzazione appare come “un processo di socializzazione con
conseguenze nefaste”, ma allo stesso tempo con “delle possibilità per gli individui e la
loro convivenza”.12
Il suo pensiero è l’archetipo del pensiero kulturkritisch: egli inizialmente effettua una
diagnosi del decadimento del tempo presente e, in seguito, cerca di mostrare possibili
vie di fuga da questa realtà negativa. Da questo punto di vista, si può osservare come
Rousseau si considerasse un araldo della verità: egli non voleva essere messo sullo
stesso piano degli altri uomini in quanto si riteneva libero di poter esprimere il proprio
malcontento nei confronti della propria epoca, cosa che altri uomini, per paura, non
facevano. Tuttavia, è come se egli si trovasse in una situazione ambivalente: da un lato
egli vuole essere un intellettuale pubblico che si rivolge ai suoi contemporanei (non solo
a un popolo, ma all’intera umanità), ma che allo stesso tempo vuole distanziarsi
chiaramente dal pensiero della sua epoca. La stessa cosa vale per la filosofia: da un lato
egli considera i filosofi come dei ciarlatani, ma dall’altro lato si definiva egli stesso un
filosofo e, in particolar modo, faceva riferimento alla filosofia della Grecia antica (su
tutti a Socrate, Platone e Aristotele). Inoltre, e forse più importante, Rousseau è allo
stesso tempo illuminista, ma anche contrario al pensiero illuminista: egli sostiene
l’importanza della ragione, ma allo stesso tempo la sua è una filosofia che rivaluta il
sentimento e la sensibilità (Sinnlichkeit). La sua, tuttavia, non è una critica alla ragione
illuministica, ma “l’espressione di una filosofia del sentimento che, attraverso il
distacco dall’intelletto, permette un buon uso della ragione”. 13 Gli scritti di Rousseau
più influenti, da questo punto di vista, sono stati due discorsi (termine che nel 1700
indica il Saggio Breve, un testo con finalità analitiche):
12
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 28.
13
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 35.
1. Discours sur les sciences et les arts (1750)  testo che permise a Rousseau
di vincere un concorso bandito dall’Académie de Dijon e che, per la prima
volta, gli conferì fama internazionale. Il saggio doveva rispondere a un tema
prettamente illuministico: se il risanamento delle scienze e delle arti abbia
contribuito a purificare o a corrompere i costumi. La risposta di Rousseau è,
tuttavia, contraria a quello che si potrebbe pensare: Rousseau riprende l’idea
che le scienze siano nate dall’orgoglio umano e la inserisce in una
dimensione sociopolitica, in quanto la cultura maschera l’oppressione a cui è
sottoposto l’individuo, all’interno della civiltà, soffoca il suo sentimento di
libertà, nasconde l’immoralità e l’ingiustizia su cui si fonda la società. Il
progresso scientifico, lungi dall’aumentare la felicità umana, ha incrementato
la corruzione ed in ogni epoca è stato direttamente proporzionale
all’indebolimento della virtù. La civilizzazione migliora le forme esterne
della vita dell’uomo, ma allo stesso tempo getta l’uomo in uno stato di
infelicità dovuto alla sua uscita dallo Stato di natura (Naturzustand): l’uomo
si comporta in maniera cortese, ma questa cortesia è solamente apparenza in
quanto egli vive in una società competitiva (ossia la società borghese). Nello
Stato di natura l’uomo è felice, è tutt’uno con sé stesso e non è turbato dalla
possibilità di contemplare diverse forme di vita. L’uomo nella civilizzazione
diventa straniero a sé stesso (Entfremdung) e perde l’equilibrio spirituale.
Per Rousseau non vi è possibilità di tornare indietro: l’uomo non può più
tornare allo Stato di natura.
Tuttavia, nonostante la sua critica si scagli contro il decadimento morale del
tempo presente, lo fa in una maniera non originale e quindi non si può
ancora parlare di nascita del pensiero kulturkritisch moderno. Egli, come
molti altri intellettuali in epoche passate, contrappone i popoli altamente
civilizzati, caratterizzati da una perdita dei valori, con i popoli non
civilizzati, ma allo stesso tempo più virtuosi: questa è una critica che era già
stata mossa, per esempio, verso il decadimento della società romana da parte
di intellettuali quali Posidonio (135-50 a.C.), Marco Tullio Cicerone (106-43
a.C.), Gaio Sallustio Crispo (86-34 a.C.), Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.),
Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) e Publio Cornelio Tacito (55-120 d.C.),
il quale inoltre aveva lodato la virtù di un popolo ben più arretrato rispetto a
quello romano: i Germani. Gli argomenti portati da Rousseau erano, quindi,
perfettamente inscrivibili al pensiero di molti altri intellettuali del XVIII
Secolo.
2. Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes
(1755)  così come il primo discorso, anche il secondo discorso nasce da un
concorso bandito dall’Accademia di Digione su un tema ben preciso: qual è
l'origine dell'ineguaglianza tra gli uomini e se essa sia autorizzata dalla legge
naturale. Questo discorso rappresenta la nascita del pensiero kulturkritisch
moderno: il primo discorso era caratterizzato da “supposizioni
antropologiche vaghe […] e nessuna logica che mettesse le basi per uno
sviluppo [storico e fondato] della depravazione”. Al contrario, il secondo
discorso “formula un proprio notevole modo di porre un problema dal punto
di vista antropologico e della filosofia della storia, il quale comprende un
ampio orizzonte temporale e rende possibile [trattare] una grande varietà di
temi”. Infatti, nel secondo discorso Rousseau sfrutta una serie di fonti che
provengono da numerose discipline diverse: la filosofia dell’antichità, il
moderno giusnaturalismo, l’etnologia e le moderne scienze naturali.
Quest’espansione delle fonti, sia da un punto di vista temporale che
temporale, è fondamentale per creare un’analisi kulturkritisch. Tuttavia, va
fatto notare che Rousseau non cerca semplicemente di scrivere una storia
universale dell’uomo (il suo interesse non è nella storia in sé), ma piuttosto
che si interessa al passato per ottenere informazioni sulla condizione
originaria dell’uomo e comprendere/prevedere suoi possibili comportamenti
futuri. Egli cerca di capire come vivevano gli uomini nello Stato di natura e
non analizza il seguente sviluppo solo dal punto di vista dell’uomo borghese
e civilizzato.
Innanzitutto, Rousseau individua due tipi di diseguaglianze tra gli uomini:

a) Diseguaglianza naturale, che riguarda unicamente delle minime


differenze fisiche.
b) Diseguaglianza sociale.
L’obiettivo di Rousseau è quello di spiegare l'origine della seconda
diseguaglianza. L'uomo spogliato di tutti i propri caratteri non naturali (tra i
quali la sociabilità) è un uomo isolato dai suoi simili, autosufficiente e dal
corpo reso robusto nel confronto con la natura. La debolezza fisica, difatti,
deriva dall'uso degli strumenti e dagli agi della civiltà: infatti, anche gli
animali domestici sono di gran lunga più deboli degli animali selvatici. La
natura risponde interamente ai bisogni dell'uomo, i quali sono ridotti al
minimo: il cibo per sfamarsi, una donna per soddisfare l'istinto sessuale e il
tempo per riposare. La morte e la malattia non sono un terrore poiché non si
ha un'idea di futuro. L'uomo selvaggio è libero, autosufficiente, sereno e
sano (sono gli uomini civili a lamentarsi costantemente della propria
condizione) e, inoltre, egli non è malvagio (al contrario di ciò che riteneva
Thomas Hobbes14). Ciò che distingue l’uomo dall’animale è la capacità di
perfezionarsi: l'animale non muta mai, l'uomo invece può perfezionarsi.
Quest’ultima è causa al contempo di tutti i progressi e le corruzioni propri
della civiltà. In conclusione, l'uomo in natura è un uomo privo di cultura e
privo di storia e non conosce alcuna forma di progresso o di differenza
temporale.
Va ricordato che la concezione della storia di Rousseau era totalmente priva
di qualsiasi logica teleologica: non esiste un disegno più grande architettato
da un essere armonico e superiore. Perciò, Rousseau individua due
cambiamenti, causati direttamente dall’azione dell’uomo, che hanno causato
un conseguente cambiamento nella storia di quest’ultimo. La prima
rivoluzione che Rousseau individua come il momento decisivo che segna
l’alienazione dell’uomo dallo Stato di natura è la nascita della proprietà
privata:

14
Il pensiero di Hobbes (1588-1679), in estrema sintesi, può essere riassunto con la locuzione latina homo
homini lupus (‘l’uomo è lupo per l’altro uomo’): nel suo Stato di natura l’uomo è profondamente egoista e
cerca di sopraffare l’altro uomo. Solo se gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, regolando i
loro rapporti con delle leggi, possono vivere in pace. Questa è una visione della società diametralmente
opposta a quella di Rousseau.
Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: Questo è mio, e trovò
persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile.
Quanti delitti, guerre, assassini, quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato al
genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse
gridato ai suoi simili: Guardatevi dall’ascoltare quest’impostore; siete perduti,
se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno. 15

15
Rousseau, Jean-Jacques, Discorso sull’origine e il fondamento dell’ineguaglianza tra gli uomini, 1795:
https://digilander.libero.it/bib.sangiuseppe/Sito%20biblioteca/sussidi_file/Rousseau_dialogo.pdf
A questa prima rivoluzione segue una seconda rivoluzione: la proprietà
privata causa la nascita dell'interdipendenza e della divisione del lavoro, in
quanto coloro che lavorano nell’agricoltura lo fanno in modo che altri
possano lavorare nella metallurgia, che a sua volta è fondamentale perché il
villaggio si difenda. A questo punto subentrano le differenze individuali, di
capacità e ingegno, che permettono ad alcuni di produrre di più e ad altri di
meno: nascono i poveri e i ricchi. Nasce, in seguito, anche la necessità di
apparire: si diventa schiavi degli altri e delle altrui opinioni, soggette tra
l'altro al mutare delle mode. La nascita di relazioni stabili (assenti nello Stato
di natura), inoltre, generano sentimenti quali l’amore e il rancore: si giunge
così al diritto del più forte, cioè a uno stato di guerra permanente. Per questo,
è necessaria la nascita del diritto, il quale, tuttavia, è uno specchietto per le
allodole creato e voluto dai più ricchi, poiché sono quest’ultimi che rischiano
di più dall'assenza di leggi, mentre i poveri non avrebbero nulla da perderci,
se non la libertà, che è il bene più prezioso. I potenti (i ricchi) si vedono
legittimare la loro proprietà (che fino a questo momento detenevano solo per
un atto di forza) e i deboli (ossia i poveri) si vedono togliere la loro
possibilità di annullare la diseguaglianza. L'esito finale è l'avvento del
dispotismo: alla fine di esso tutti gli uomini tornano uguali, come nello stato
di natura, con la differenza fondamentale che ora sono tutti privi di tutto,
obbligati a seguire non la propria volontà ma quella del despota, che a questo
punto governa solo in virtù della propria forza (vige la legge del più forte). A
questo punto, Rousseau intuisce il possibile corso degli eventi futuri: una
forza verrà contrastata da una forza contraria. Viene quindi contemplata la
possibilità che avvenga una rivoluzione: ora il contratto che regge il governo
può considerarsi sciolto, e i cittadini hanno il pieno diritto di rovesciare il
despota. Ciò nonostante, non possono più tornare indietro allo stato di
natura, dal momento che le passioni svegliate nel processo non possono più
essere assopite. Il selvaggio vive costantemente in sé stesso, mentre l'uomo
civile vive costantemente fuori di sé, all'interno dell'opinione altrui.
Tuttavia, se la società nel suo complesso è definitivamente corrotta, il
singolo individuo può trovare una via di fuga: il processo di civilizzazione
ha sì depravato l’uomo, ma non è stato in grado di distruggere le sue
caratteristiche innate. L’uomo, infatti, resta per natura buono, mentre la
malvagità è da ricondurre unicamente alla società.

Il pensiero di Rousseau si distingue da quello dei suoi predecessori in quanto egli mira
“non solo a smascherare e far ricredere, ma vuole mostrare anche delle conclusioni nel
campo della prassi”. Al momento di riflessione segue un momento di attività pratica:
dopo aver diagnosticato la malattia, il Kulturkritiker deve anche consigliare una terapia.
È così che Rousseau non si limita a mostrare la realtà pessimistica di un presente in
continua degenerazione, ma elabora dei modelli alternativi (Ersatzmodelle) che
migliorino la realtà. Poiché non è possibile tornare allo Stato di natura (che peraltro per
Rousseau era una finzione finalizzata a fornire un metro di valutazione della corruzione
dello stato presente), è indispensabile edificare uno Stato legittimo. Anche in questo
caso, due sono i testi fondamentali (che rappresentano, tuttavia, delle utopie):

- Du contrat social: ou principes du droit politique (1762)  Già nel suo


Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini,
Rousseau aveva teorizzato come agli inizi della civiltà umana fosse stato
stipulato dagli uomini un primo Contratto sociale, il quale, però, era un patto
iniquo perché basato sulla forza e non sul diritto: non veniva istituito uno Stato
che, con le sue leggi, garantisse i diritti naturali di ciascuno, l'unica legge
vigente era quella del più forte. Rousseau sostiene la necessità di ripristinare
l’uguaglianza iniziale mediante un nuovo contratto sociale, nel quale l’individuo
cede tutto sé stesso al nuovo corpo sociale che esprime la sua sovranità
attraverso la volontà generale, cioè la volontà del popolo volta al bene comune
(da non confondere con la volontà di tutti, ossia la somma degli egoismi
individuali). A questo punto, la legge, espressione della volontà generale
(Gemeinwille), vale così per tutti i cittadini, i quali, obbedendo a essa,
obbediscono in realtà a sé stessi. Da questo punto di vista, Rousseau può essere
considerato come uno dei primi ideatori di uno Stato democratico e repubblicano
basato sulla sovranità popolare: tuttavia, secondo lui era indispensabile che il
popolo non affidasse il potere a dei rappresentanti, poiché in questo caso
sarebbero prevalse le volontà particolari di questi ultimi.

- Émile ou De l'éducation (1762)  questo romanzo di formazione parte da


un’idea di Rousseau ben precisa: l'uomo è naturalmente buono ed è la società
che lo corrompe. Se nella sua opera precedente, Il contratto sociale, egli sostiene
che bisognerebbe rinnovare la società da un punto di vista politico, nell’Émile
egli sostiene che occorre creare uomini nuovi per creare una società nuova e
l’unico modo per raggiungere entrambe le cose è l’educazione dell’uomo.
L'opera è divisa in cinque parti corrispondenti alle cinque fasi fondamentali che
ripercorrono l'educazione del giovane Emilio, allievo immaginario, seguito da
un precettore che è interpretato dallo stesso Rousseau. L'educazione del ragazzo
si svolgerà a contatto con la natura, lontano dagli influssi della vita sociale, e
durerà venticinque anni durante i quali il precettore gli presenterà una serie di
esperienze con lo scopo di fargli raggiungere la maturità; il maestro avrà il
compito di tenere lontano dal bambino qualsiasi forma di corruzione e quindi
lasciando che l'allievo compia da solo le sue esperienze e apprenda a valutare i
suoi desideri a seconda delle sue possibilità.
2. Kulturkritik und deutsche Kultur

La storia degli intellettuali tedeschi è caratterizzata da contraddizioni e ambivalenze nel


rapporto con i grandi processi di modernizzazione. Alcuni eventi della storia politica e
sociale (la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione liberale del 1848, la nascita del
Secondo Reich) marcano dei momenti di svolta che obbligano gli intellettuali a
ridefinire le proprie posizioni e a modificare le categorie concettuali destinate all'analisi
della prassi. Partecipazione e disimpegno, militanza e autonomia della cultura si
alternano in modo ciclico. I principali agenti di trasformazione dell'esistenza collettiva
vengono inquadrati e categorizzati sulla base di alcune coppie di opposti come natura e
cultura, totalità e frammento, civiltà e civilizzazione.
I concetti non sono mai neutri, ma intervengono quando il movimento storico si è
posato, per trarre le somme di ciò che è accaduto. Anzi essi stessi sono promotori e
produttori di una trasformazione. Da un lato rendono più linearmente interpretabile il
movimento storico, ma allo stesso tempo ne sono produttori. Lo storico tedesco
Reinhart Koselleck (1923-2006) dedica particolare attenzione alla categoria di Tempo:
Verzeitlichung ‘temporalizzazione’. Egli riflette sul fatto che il concetto di tempo,
intorno alla metà del 1700, svolge una doppia funzione:

1. Riassume, prende atto e codifica cambiamenti interventi nella percezione del


tempo negli uomini di quell’epoca, soprattutto nell’ambito della tecnica. Una
nuova idea di tempo è alla base della trasformazione economica del XVIII
Secolo: prima un’economia agraria basata sullo sfruttamento di una risorsa
esauribile (la terra), con delle prime forme di organizzazione economica di tipo
capitalistico (seppur ancora ‘primitive’). Il profitto diventa dipendente dalla
capacità di poter permettere a un determinato oggetto di raggiungere un numero
di maggiore di clienti nel minor tempo possibile.
2. Il nuovo concetto di tempo, che nella prima fase si limita a raccontare un
cambiamento nelle condizioni reali, produce a sua volta trasformazioni
materiali, poiché alla base delle rivoluzioni politiche dell’ultimo quarto del 1700
vi è una nuova idea del tempo, la possibilità che sulla storia si possa imprimere
un tempo nuovo. Avviene una riformulazione del tempo storico: si percepisce
che si è entrati in una nuova epoca storica.

Esiste una relazione continua di scambio tra ciò che succede nella prassi e ciò che
succede nella teoria: la teoria viene influenzata dalla prassi, ma a sua volta influenza la
prassi.
Importante è anche il pensiero del sociologo francese Pierre Bourdieu (1930-2002), il
quale ha elaborato, a partire dai primi anni ’80, la cosiddetta teoria del campo culturale
(Feldtheorie). Egli propone un modo differente di osservare le trasformazioni storiche
rispetto alla logica diacronica. Una considerazione diacronica della storia colloca gli
eventi storici lungo un arco temporale basandosi su legami di successione (colloca i fatti
lungo un asse verticale), sfruttando delle categorie di periodizzazione (delle astrazioni e
semplificazioni) che semplifichino l’apprendimento della storia. A questa
considerazione, Bourdieu sostituisce una considerazione di tipo sincronico: essa non
studia i rapporti di successione, ma le relazioni di contemporaneità. Egli ricostruisce
grandi momenti di trasformazione nella storia della cultura posizionandoli su un’asse
orizzontale: esse sono come un campo di forze in contrasto tra loro e segnate dallo
sviluppo di strategie di patteggiamento. Ciò significa che non vi è un continuo
susseguirsi di culture/popoli, ma che nel campo culturale vi possono essere più concetti
ottenuti da un patteggiamento: le idee vecchie vengono assimilate e fatti propri dai
nuovi soggetti, i quali sottopongono queste idee a una parziale correzione di prospettiva
rendendo queste idee nuovamente efficaci e conformi ai bisogni di questi soggetti. Egli
legge la storia della cultura sulla base di un conflitto permanente tra soggetti egemoni
(che hanno il controllo del campo culturale) e soggetti portatori di bisogni differenti da
quelle dei soggetti egemoni (che lui definisce nuovi entranti): tuttavia, non è detto che a
ogni nuovo ingresso vi sia una rivoluzione nelle idee. Al contrario, avviene una
trattativa nelle zone di confine tra i bisogni di un gruppo e i bisogni di un altro gruppo:
qui le idee si mescolano e le esigenze si contaminano ed è proprio qui che vengono a
crearsi nuovi concetti. I nuovi entranti vogliono ottenere l’egemonia del campo culturale
(e della società nel suo insieme), in quanto per ottenere dominio materiale è necessario
avere anche forme ideologiche/simboliche per legittimare il proprio potere: la sovranità
ha necessità di forme di legittimazione che sono prettamente culturali.
Quest’ultimo concetto si lega al concetto di Gründungsmythen (miti di fondazione):
in occasione di un passaggio di egemonia, il nuovo gruppo egemone ha bisogno di
legittimare il proprio potere non solo attraverso l’esercizio materiale della forza, ma ha
bisogno di consolidare la propria egemonia anche sul piano culturale. Ciò avviene
attraverso dei miti, ossia delle forme di narrazione/racconti che permettano di presentare
sé stessi con una forma di continuità con la storia collettiva e i suoi elementi comuni
(tradizione condivisa): per esempio, in diversi momenti della storia tedesca si farà
spesso riferimento al termine Reich, in quanto esso segna una linea di continuità nella
storia tedesca e legittima la sovranità di chi, in quel momento, si richiama a tale
categoria, si agganciano a una tradizione e la costruiscono.

2.1. 17. Jahrhundert

Il XVII Secolo, per lo meno in Europa, viene categorizzato sotto la periodizzazione


storica di primo Periodo Moderno (frühe Neuzeit). A quel tempo l’Europa era divisa in
numerosi Stati cattolici, mentre l’area germanica era ancora caratterizzata dalla presenza
del Sacro Romano Impero (Heiliges Römisches Reich), il quale, tuttavia, avrebbe
definitivamente abbandonato qualsiasi pretesa di tornare a essere un impero universale
proprio nel corso del Secolo.
Infatti, le questioni politiche e religiose, che avevano travagliato l’Europa nel
Cinquecento, raggiunsero il loro culmine proprio nella prima metà del XVII Secolo. Tra
i diversi conflitti che caratterizzarono la prima epoca moderna, il più lungo e sanguinoso
fu la Dreißigjähriger Krieg (1618-1648). Essa nacque inizialmente come un conflitto
religioso limitato all’area boema, ma ben presto si diffuse nell’intero Impero e coinvolse
anche alcune delle più importanti potenze europee dell’epoca e si tramutò in una guerra
di egemonia. La fine della guerra sancirà l’inizio del decadimento dell’influenza
imperiale. Sconfitto, il Sacro Romano Impero degli Asburgo si vide costretto a firmare
la Wetsfälischer Frieden, la quale consistette in tre trattati firmati nelle città della
Vestfalia Münster e Osnabrück. I principi sanciti dalla pace furono i seguenti:

- Cuius regio eius religio  principio già affermato con la pace di Augusta
(1555), ma i cui princìpi furono estesi anche ai calvinisti: indica l'obbligo del
suddito di conformarsi alla confessione del principe del suo Stato, sia essa
protestante o cattolica. Fu stabilito, inoltre, che i sovrani dovessero rispettare le
minoranze religiose e che, se un principe si fosse convertito ad altra religione,
non avrebbe più avuto alcun diritto sulle proprie terre. La pace di Vestfalia,
quindi, determinò la fine di un lungo periodo di guerre di religione.
- Sovranità nazionale  fu riconosciuta ai prìncipi tedeschi la piena sovranità
territoriale e il diritto di stringere alleanze, purché non fossero contro
l'Imperatore e l'Impero, riconoscendo ufficialmente la struttura federale
dell'Impero. Dopo il 1648, quindi, gli Asburgo detennero sull’impero solo
un’autorità formale, mentre continuarono a esercitare una vera sovranità sui
propri domini diretti (Boemia, Ungheria e Austria).

Oltre a sancire questi due principi, la Pace di Vestfalia modificò la cartina dell’Europa:

- Francia  ottenne le città di Metz, Toul e Verdun e i territori asburgici in


Alsazia, la Dodecapoli alsaziana, ma non i territori della città di Strasburgo.
- Svezia  ricevette un risarcimento in denaro di circa 20 milioni di scudi, la
Vorpommern con Stettino, l'isola di Rügen e i vescovati di Bremen e Verden
ottenendo in tal modo l'egemonia sul Mar Baltico.
- Kurpfalz  fu diviso tra il figlio di Federico V, cui fu restituita la dignità
elettorale, e il duca Massimiliano di Baviera, che ottenne l'Alto Palatinato. Il
Duca di Baviera conservò il titolo di elettore garantitogli nel 1628.
- Kurfürstentum Brandeburg (futura Preußen)  ricevette la Hinterpommern e i
vescovati di Magdeburg, Halberstadt, Cammin e Minden.
- Ducato di Savoia  ottenne alcune terre del Monferrato con Alba e Trino.
- Province Unite dei Paesi Bassi e i tredici cantoni svizzeri (Alte
Eidgenossenschfat) furono riconosciuti sovrani e indipendenti dall'Impero.

Fu l’area germanica a subire più pesantemente il peso della guerra: il suo territorio, per
quasi trent’anni, era stato teatro del conflitto, aveva subito saccheggi e devastazioni. La
crisi demografica fu terrificante: si stima che in questo lasso di tempo la popolazione
dell’Impero calò del 40 % e in alcune aree addirittura arrivò al 70% (Pomerania,
Brandeburgo e Palatinato furono le più colpite). Alle devastazioni inflitte dalla guerra
vanno aggiunte le epidemie e le carestie che, nel corso del XVII Secolo, colpirono quasi
tutta l’Europa. In totale, si stima che la popolazione dell’Impero passò da circa 17
milioni prima della guerra a 10 milioni nel 1648. Ovviamente, il calo demografico e la
guerra furono seguiti da una depressione economica e da un calo degli scambi
commerciali: queste condizioni saranno la causa principale dell’arretratezza della
Germania nei confronti di altri paesi come Inghilterra, Francia e Paesi Bassi nel XVIII
Secolo.

2.2. 18. Jahrhundert

Nella storiografia europea il Sacro Romano Impero “si prese la colpa [del fatto che] la
Germania fosse una nazione in ritardo”.16 Si dice spesso, infatti, che la Germania è una
verspätete Nation: questo perché rispetto ad altre nazioni (come Inghilterra e Francia)
essa ha una tradizione come Stato unitario molto più breve, nonostante almeno dal
XVIII Secolo si potesse riconoscere l’esistenza di una nazione culturale tedesca. Il
difficoltoso percorso della Germania verso la modernità fu una conseguenza indiretta
della difficoltà non solo da parte degli Asburgo, ma di qualsiasi principe o duca
dell’Impero, di creare uno Stato unitario e centralizzato. Dopo la Guerra dei Trent’anni
gli Stati tedeschi erano divisi in 350 stati indipendenti e sovrani. La mancanza di uno
Stato unitario fu una grave fattore di arretratezza, perché non permise la presenza di
alcuni elementi di modernità. Innanzitutto, data la presenza di tanti Stati di dimensioni
più o meno grandi e con sistemi giuridici differenti, non vi era una buona circolazione
delle merci: a ogni frontiera i signori locali richiedevano il pagamento di dazi. Inoltre,
l’assenza di uno Stato assoluto in grado di avere un saldo controllo sul proprio territorio
non favoriva la presenza di uno Stato di diritto. La mancanza di norme che favorissero
la certezza del diritto fu la causa principale del mancato sviluppo del capitalismo nella
Germania dell’epoca: mentre paesi come l’Inghilterra e i Paesi Bassi stavano
sviluppando il proprio capitalismo, la Germania aveva ancora un’economia basata
praticamente solo sull’agricoltura. Inoltre, in confronto all’Inghilterra, dove la nobiltà e
la borghesia avevano già preso parte alle decisioni politiche dello Stato, e alla Francia,
16
Wilson, Peter H., The Holy Roman Empire. A Thousand Years of Europe’s History, Penguin Books,
City of Westminster, 2016, p. 3.
dove la borghesia stava iniziando ad avere margini di attività politica che
raggiungeranno l’apice verso la fine del XVIII Secolo, la borghesia tedesca (o per lo
meno dell’area germanica) non aveva a disposizione lo spazio sociale per mettere in
pratica i propri principi e le proprie idee.
L’aristocrazia in Germania, dal punto di vista culturale, era troppo arretrata e quindi
non si poteva aggregare alla borghesia: questo perché gli Stati tedeschi, dalla pace di
Vestfalia in avanti, adotteranno l’Assolutismo dalla Francia. L’affermazione dello Stato
Assoluto trae le sue origini dalla filosofia di Thomas Hobbes (1588-1679), che
nell’opera Leviathan, or The Matter, Forme and Power of Common Wealth
Ecclesiastical and Civil (1651) affermava che l’uomo deve rinunciare al suo diritto
naturale su tutto, uscire dallo Stato di Natura ed accettare un contratto mediante il quale
ciascun individuo acconsentirà a sottomettersi ad un unico potere supremo, per
l’appunto il monarca, il cui potere era d’origine divina. In quanto l’esercizio del potere
gli veniva garantito da Dio, le uniche leggi che il Sovrano avrebbe dovuto seguire erano
quelle di successione e quelle divine: il Monarca Assoluto accentra su di sé tutti i poteri
dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) e non accetta più alcun corpo
intermedio tra lui e il popolo. Tra gli Stati tedeschi in cui la monarchia assoluta si
affermò vanno ricordati: lo Herzogtum di Sachsen-Weimar-Eisenach (1572-1809) con
Ernst August I. (1688-1748) della dinastia Wettin, il Kurfürstentum Bayern (1623-1806)
con Maximilian III. Joseph (1727-1777) della dinastia Wittelbach e l’Erzherzogtum
Österreich con Maria Theresa (1717-1789) della dinastia degli Asburgo. Tra questi,
tuttavia, la monarchia assoluta fu importante fu la Preußen.
Lo Herzogtum Preußen era dal 1526 uno Stato vassallo della corona polacca e il
primo duca di Prussia fu Albrecht von Hohenzollern (1490-1568): solo nel 1657 i
principi elettori Hohenzollern ne acquisirono la sovranità. Quest’ultimi, dal XIV Secolo,
erano anche Margravi del Kurfürstentum Brandeburg e nel 1618 unirono i loro
possedimenti in un’unione personale con il nome di Brandenburg-Preußen. Alla fine
della Guerra dei Trent’anni (1618-1648) gli Hohenzollern riuscirono a rendere la loro
Prussia uno stato forte: annessero la Pomerania Orientale, il Ducato del Magdeburgo e
alcune zone della Renania. A gettare le basi future del potere della Prussia fu Friedrich
Wilhelm I. (1620-1688), in quanto egli fu in grado, grazie al supporto finanziario degli
Junker, di creare un piccolo esercito permanente per il suo regno e a istituire un
Generalkriegskommissariat: un organo incaricato di riscuotere in tutto lo stato le tasse
di guerra. Federico Guglielmo si preoccupò di risistemare l'economia del Brandeburgo
accogliendo i vari esuli delle nazioni confinanti (in particolare gli ugonotti) e
promuovendo la costruzione di nuove infrastrutture (industrie, strade, dighe, canali,
bonifica delle paludi). Suo figlio, Friedrich I. von Preußen (1657-1713), ottenne
dall’Imperatore il titolo di Re della Prussia e del Brandeburgo (1701) in cambio del suo
supporto nella Guerra di successione spagnola (1701-1714). Monarca interessato alla
cultura e alle arti, durante il suo regno la Prussia divenne un richiamo per molti artisti,
scienziati e letterati e fu proprio poco dopo la sua incoronazione che il Berliner Schloss
divenne una delle residenze più lussuose dell’epoca. Il figlio ed erede Friedrich
Wilhelm I. (1688-1740) fu un uomo totalmente diverso: egli cercò di costruire un
apparato statale centralizzato eliminando le autonomie cittadine e costringendo gli
aristocratici a rinunciare alla loro rappresentanza politica. In cambio, la nobiltà trovò
spazio nella carriera amministrativa e militare e ottenne un’ulteriore estensione della
servitù della gleba. Inoltre, egli istituì un sistema fiscale efficiente che andava a
finanziare l’esercito (che assorbiva due terzi delle rendite dello stato), il quale veniva
rifornito dall’istituzione della leva militare obbligatoria: gli aristocratici dovevano
iniziare la loro carriera nelle fila dell’esercito e i servi della gleba potevano liberarsi
diventando militari. Alla sua morte, il figlio Friedrich II. der Große (1712-1786) si
ritrovò uno Stato pronto a inserirsi nei conflitti geopolitici dell’Europa. Egli fu un vero e
proprio sovrano illuminato e favorì una serie di riforme politiche, culturali e militari che
resero la Prussia uno delle principali potenze d’Europa. Si riteneva un intellettuale e un
artista: parlava perfettamente il francese e si autoproclamava re filosofo, cosa che lo
fece entrare in contatto con molti filosofi illuminati suoi contemporanei (come
Voltaire). Nonostante il disprezzo per la guerra, Friedrich II. continuò l’opera del padre:
rafforzò l’apparato burocratico dello Stato e l’esercito, ora composto da veri e propri
professionisti. Guidò il suo esercito nella Österreichische Erbfolgekrieg (1740-1748),
attraverso la quale ottenne il controllo della Slesia, e riuscì, attraverso un’astuta strategia
diplomatica con Russia e Austria, a conquistare la Pomerania Occidentale (1772).
Inoltre, egli riuscì a conferire uno status di potenza alla Prussia attraverso la netta
vittoria contro la Sassonia nella Siebenjähriger Krieg (1756-1763). Alla sua morte, nel
1786, l’esercito prussiano contava 195.000 uomini (superando l’esercito francese) e la
Prussia era ormai riconosciuta come una potenza europea.
Da questo punto di vista, appare evidente come la borghesia fosse completamente
tagliata da qualunque decisione politica e non avesse alcun margine di azione: il
monarca, gli Junker e l’apparato militare erano i veri protagonisti della vita prussiana.
Una situazione simile, anche se con risultati meno eclatanti, si poteva riscontrare in tutto
l’Impero. La borghesia, di conseguenza, doveva ricorrere a un’alternativa non potendo
affermare sé stessa come stava avvenendo in altri paesi occidentali: in Germania la
borghesia doveva riversare i propri bisogni/aspirazioni nel campo della cultura, la quale
svolgeva una funzione di compensazione, di riequilibrio rispetto al desiderio di
riformare la società e di agire nella società. Si può così affermare che la cultura tedesca
del ‘700 fosse una cultura borghese e lo era in relazione a tutti i soggetti attivi nei
processi di produzione e consumo di cultura: i produttori della cultura tedesca del 1700
appartenevano alla borghesia e alla borghesia apparteneva la maggioranza dei riceventi i
prodotti culturali.
La produzione della cultura nelle mani della borghesia venne favorita dalla Crisi del
Sistema di Protezione Mecenatistica: tra il 1500 e il 1600, in pieno clima di umanesimo,
era comune che i soggetti egemoni appartenenti alla grande aristocrazia e al clero
investissero ingenti capitali nella promozione, nel sostegno e nella tutela di attività
intellettuali. In cambio del loro supporto questi mecenati richiedevano qualcosa in
cambio: l’intellettuale avrebbe dovuto dare in cambio una contropartita, non materiale,
ma simbolica, un sostegno di natura ideologica che alimentasse il potere e l’immagine
del mecenate in questione. Tra fine ‘600 e fine ‘700 questo sistema iniziò a sgretolarsi:
gli intellettuali iniziarono a richiedere spazi sempre più ampi di indipendenza, cosa non
possibile in un regime di libertà condizionata come quello mecenatistico. La fonte di
sostentamento dell’intellettuale cambiò: non più il sostegno del mecenate, ma il
gradimento del pubblico. La finalità dell’intellettuale, così, non coincideva più con
l’appagamento del committente, ma dipendeva dalla capacità dell’individuo di
soddisfare il pubblico e di orientare e anticipare gli interessi del pubblico. Nel 1700 il
campo culturale si ridefinisce e si plasma sugli interessi della borghesia del tempo:
borghesi gli autori, borghesi i destinatari e borghesi i contenuti.
Il luogo in cui i borghesi possono dare vita alle loro idee divenne il teatro, che
tuttavia non era moderno come quello inglese o francese: non vi sono compagnie di
attori professionisti e strutture che ospitano le rappresentazioni teatrali. Le
rappresentazioni teatrali della Germania del 1600 avvenivano in fiere, feste cittadine
con compagnie di attori dilettanti e trattavano temi popolari. Le altre possibilità in cui
poter effettuare delle rappresentazioni teatrali erano rappresentate dalle corti dei diversi
aristocratici degli Stati tedeschi o nei luoghi del clero: ovviamente qui le
rappresentazioni teatrali erano rivolte a pubblici molto più ristrette ed erano vincolate ai
mecenati di turno. Tutto ciò cambiò nel 1700: vennero, infatti, costruiti i primi edifici
adibiti alle rappresentazioni teatrali (per l’appunto i teatri). Esemplare, a tal proposito, la
Französische Komödienhaus (1774-1802) a Berlin.
Parallelamente nacquero anche le prime case editrici moderne: non più officine di
artigiani in grado di produrre libri concepiti per essere oggetti estetici/d’arte, ma
moderne case editrici che non miravano più alla produzione di oggetti unici, ma a
produrre oggetti (libri) in quantità industriale che potessero circolare velocemente sul
mercato. Mercato che allo stesso tempo era sempre più ampio: la quantità di copie
vendute divenne l’indicatore del successo di un autore. Per raggiungere un pubblico più
ampio l’industria editoriale moderna cambiò completamente il suo modo di essere:
produrre oggetti di pronto consumo da vendere immediatamente, con un particolare
occhio al rapporto tra il prezzo di vendita e i materiali di produzione. Cambia la
concezione dell’editore: non più un artista accanto a un artista, ma un imprenditore con
lo scopo di realizzare il massimo profitto. Nella Germania del 1700 vi era una richiesta
pressante di libri: la lettura divenne una pratica non più elitaria e limitata a pochi
individui, ma un atto comune e quotidiano che riguardava un pubblico più vasto.
Cominciarono a formarsi anche le prime biblioteche pubbliche e gli appartamenti
borghesi iniziarono a presentare anche biblioteche domestiche. Importante divenne
anche il mezzo delle riviste: in un secolo di lettura, le riviste divennero lo strumento
attraverso le quali gli intellettuali ritenevano di poter intervenire in maniera immediata
(le riviste hanno cadenza settimanale o mensile solitamente) sugli argomenti e i temi più
importanti del loro tempo. Cambiò anche il modo in cui gli autori si dovevano
esprimere: un trattato è lungo e segue un modello stabilito, mentre l’articolo è molto più
snello e richiede meno impegno da parte dell’autore.
Tutto ciò influisce sul modo in cui gli intellettuali si ricollocano nei confronti della
società e il modo in cui riescono, o provano, a influenzarla: questo perché solo il campo
della cultura, nella Germania del tempo, era un campo aperto in cui la borghesia poteva
provare ad agire e a esprimere il proprio desiderio di cambiare. Il campo della cultura è
l’unico campo nel quale la Germania non è arretrato rispetto ai paesi più avanzati
dell’epoca (Inghilterra e Francia). Le riviste riescono anche a favorire lo sviluppo della
mediazione culturale. Nonostante non vi siano i supporti tecnologici di oggi, le riviste
del tempo riescono a permettere un transfer culturale (Kulturtransfer) tra le più
importanti culture del tempo: vi sono sezioni dedicate all’esposizione di recensioni di
libri o alla pubblicazione di saggi/opere di altre culture in lingua tedesca. Ovviamente,
perché ciò avvenga è necessario che vi sia un personale altamente qualificato. Per
questo, nel 1700 nasce la moderna figura del traduttore: si traduce continuamente, con
avidità, si cerca di avere notizie continue su ciò che sta avvenendo in altre culture. Da
questo punto di vista, il ‘700 può essere considerato il secolo della mediazione culturale
e della traduzione: non solo si traduce/media, ma vi è anche una riflessione
metalinguistica sulla traduzione stessa. Persino nelle università inizia a diffondersi
l’insegnamento delle lingue: vengono reclutati dei professionisti qualificati che
conoscano lingue e culture d’interesse e gli si assegna delle cattedre universitarie.

2.2.1. Deutsche Kultur und Französische Revolution

L’atteggiamento degli intellettuali tedeschi del ‘700 nei confronti della società tedesca
dell’epoca può essere riassunta con il concetto di deutsche Misere: per gli intellettuali,
la società tedesca appare continuamente in crisi, come rimanente in una condizione di
perenne provincialismo e chiusura nei confronti dei mutamenti sociali della modernità.
Gli intellettuali usano questa retorica della crisi per prendere distanza dal loro tempo,
ma essa è sempre spinta da una tensione verso la ricerca di soluzioni e modi con cui
risolvere questa situazione. L’intellettuale rimane in una collocazione marginale rispetto
al campo della prassi, ma allo stesso tempo guarda in due direzioni: da un lato
l’intellettuale è colui che è in grado di diagnosticare i problemi della società tedesca, ma
allo stesso tempo è come un profeta che punta il dito verso i propri concittadini per
mostrar loro le possibili vie che porteranno un cambiamento.
Questo atteggiamento, tipico della Kulturkritik, è evidente in un momento di rottura
della società tardo settecentesca: la Rivoluzione Francese (1789). Alla fine del 1700 la
Francia era lo Stato europeo che più di tutti presentava le caratteristiche di una società
di Ancien Régime: una monarchia assoluto guidata dal Borbone Louis XVI (1754-
1793), il quale governava per diritto divino e concentrava su di sé tutti i poteri, e la
società era rigidamente divisa in ordini (clero, nobiltà e terzo stato), i quali anche al loro
interno erano molto eterogenei. La situazione economica della Francia nella seconda
metà del ‘700 era disastrosa: lo Stato si trovava in una situazione di deficit finanziario
dovuta al costo delle spese militari e del mantenimento della corte reale, cosa che spinse
i monarchi a inasprire la politica fiscale sempre di più. Il problema, tuttavia, era che
clero e nobiltà (gli ordini più importanti) godevano del privilegio di essere esentati dalle
tasse: la pressione fiscale, quindi, veniva riversata completamente sul terzo stato, che
rappresentava il 98% della popolazione francese. La situazione raggiunse un punto di
non ritorno durante il regno di Luigi XVI: il monarca si trovò costretto a dover
estendere la tassazione anche ai ceti privilegiati. Cosa che incontrò la resistenza di
quest’ultimi e la convocazione degli Stati generali: l’assemblea composta dai
rappresentanti dei tre ordini. Attraverso questa assemblea si arrivò all’istituzione di
un’Assemblea Nazionale Costituente (9 luglio 1789), ma ormai era tardi. Il 14 luglio, il
popolo assalì e distrusse la Bastiglia, il carcere politico e simbolo dell’antico regime: la
rivoluzione era iniziata. Parallelamente, nelle campagne i contadini iniziarono a
ribellarsi e ad attaccare i castelli dei nobili. Il risultato fu che venne abolita la servitù
della gleba (che persisterà in forma minore fino al 1792) e vennero proclamati i diritti
inviolabili e naturali di ogni uomo. Luigi XVI riuscì a mantenere il suo status non più
come Re di Francia, ma come Re dei Francesi. Quest’ultimo, nel 1791, cercò di fuggire
per riunirsi a un gruppo di nobili francesi che stavano cercando supporto nelle corti
d’Europa per organizzare un esercito antirivoluzionario. Crebbe la tensione nei
rivoluzionari, in particolare nelle fazioni politiche dei foglianti e dei girondini, i quali
decisero di dichiarare guerra all’Austria (supportata dalla Prussia). L’esercito
rivoluzionario, estremamente disorganizzato, subì inizialmente una serie di sconfitte, ma
riuscì a respingere l’esercito austro-prussiano a Valmy (20 settembre 1792): questa
vittoria diede nuova forza all’ideale rivoluzionario e creò il clima per convincere la
Convenzione Nazionale ad abolire la monarchia. Il re, ormai spoglio di ogni potere,
venne sottoposto a processo e ghigliottinato il 21 gennaio 1793. Pochi mesi dopo, il 24
giugno 1793 venne proclamata la nascita della Repubblica. La rivoluzione entrò nella
sua fase più radicale: si diffuse l’ideale di esportare la rivoluzione ai paesi che erano
ancora oppressi dalla tirannide attraverso la guerra. Questa presa di posizione alienò ai
Francesi la simpatia di numerosi intellettuali dell’epoca e diede iniziò al periodo del
terrore: in questo frangente crebbe il ruolo del giacobino Maximilien-François-Marie-
Isidore de Robespierre (1758-1794), il quale adottò delle misure fortemente repressive
nei confronti dei suoi oppositori. La vittoria della Francia contro la prima coalizione
antifrancese, avvenuta con la vittoria di Fleures (26 giugno 1794), dimostrò al popolo
francese che la Francia non correva più pericoli immediati e che, quindi, la politica del
terrore non era più necessaria: il colpo di Stato del 9 termidoro sancì la fine del governo
giacobino e la fine di Robespierre. Nell’agosto del 1975 venne emanata una nuova
Costituzione (la Costituzione dell’Anno III) e iniziò così il governo del Direttorio
(1795-1799). Nel frattempo, continuava la guerra con l’Austria: le truppe vennero
affidate al giovane generale Napoleone Bonaparte (1769-1821). Egli guidò la campagna
d’Italia, dove fondò una serie di repubbliche filofrancesi (le repubbliche sorelle):

- Repubblica Batava (1795-1806)


- Repubblica Cisalpina (1797-1802)
- Repubblica Ligure (1797-1805)
- Helvetische Republik (1798-1803)
- Repubblica Romana (1798-1799)
- Repubblica Partenopea (1799)

Inoltre, la campagna d’Italia doveva servire a Napoleone per ottenere delle carte da
usare nelle trattative di pace con l’Austria: infatti, con il trattato di Campoformio (17
ottobre 1797), il territorio della Repubblica di Venezia, precedentemente conquistato da
Napoleone, divenne parte integrante dell’Austria. Nel frattempo, tuttavia, l’Impero
Britannico organizzò la seconda coalizione antifrancese (1798), cui aderirono Austria,
Russia, il Regno di Napoli e l’Impero Ottomano (preoccupata dell’interesse francese
sull’Egitto, parte del suo territorio). Le offensive inglesi, russe e austriache furono
respinte dalle armate francesi, ma l'Italia fu in gran parte persa e i risultati della
campagna di Bonaparte resi vani. Era ormai chiaro che il popolo francese cercava un
nuovo uomo forte per difendere le sorti della Repubblica poiché il Direttorio era
inesorabilmente corrotto e cominciava a tramare con Louis XVIII (1755-1824) per
restaurare il trono dei Borbone. Allarmato da queste notizie e conscio che la sua ora era
giunta, Napoleone tornò dall'Egitto e assunse il comando del complotto che mirava a
rovesciare il Direttorio: con il Colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799) il
governo venne affidato a un triumvirato, di cui Napoleone era il leader indiscusso. Ebbe
così fine la Rivoluzione Francese.
Seppur questo fenomeno non colpì direttamente la società tedesca, essa catturò
l’attenzione degli intellettuali tedeschi (convinti che la società tedesca avesse bisogno di
un cambiamento) e rimasero in attesa di vederne gli sviluppi futuri su ciò che era la
società francese. Dopo un iniziale momento d’interesse, tuttavia, vi fu un momento di
rifiuto nei confronti della rivoluzione: a causa della sua progressiva radicalizzazione, la
Rivoluzione non era adatta per cambiare definitivamente la società tedesca. In particolar
modo, portatori di questa opinione saranno i membri del movimento del Classicismo di
Weimar (Weimarer Klassik). Il nome deriva dal toponimo del luogo in cui questo
movimento nacque: il Ducato di Sachsen-Weimar-Eisenach. I regnanti di questo
Herzogtum, constatata la non possibilità di poter emergere come potenza politica e
militare, decisero di rendere Weimar la capitale culturale dell’allora Sacro Romano
Impero. Nel giro di pochi anni, infatti, vennero invitate una serie di personalità di
spicco:

- Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)  dopo la pubblicazione dell’opera


Die Leiden des jungen Werthers (1777), Goethe viene individuato dai granduchi
di Weimar come intellettuale più importante del proprio tempo. Dapprima
invitato per fare da precettore all’erede al trono, Carl August (1757-1828), in
seguito svolgerà una serie di funzioni pubblico per lo Stato.
- Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805)

Nel giro di pochi anni Weimar divenne uno dei più importanti centri culturali del tempo:
il progetto verrà avviato, in particolar modo, dalla Herzogin Anna Amalia von
Braunschweig-Wolfenbüttel (1739-1807). Nel frattempo, a non più di 20 chilometri da
Weimar, a Jena vennero poste le premesse per la nascita dell’altro grande movimento
artistico e culturale destinato ad avere un’influenza mondiale: die Romantik. È curioso
notare come questi grandi movimenti nacquero in un contesto (Weimar e Jena) privo del
benché minimo peso politico.
Gli intellettuali del Weimarer Klassik sentono un forte legame con l’antico, in
particolare con il mondo della Grecia Antica. Dal rapporto tra presente e passato, gli
intellettuali ricavano un modello presente: la finalità non è meramente storiografica, ma
è data dalla necessità che il presente non possa prescindere dal proprio rapporto con
l’antico. L’antichità legittima il presente e lo definisce: si tratta di prendere una
posizione forte sui quesiti del presente sulla base della relazione con l’antichità. Al
contrario, la cultura latina non viene presa in considerazione, o meglio viene considerata
antitetica a quella tedesca, in quanto fu proprio Napoleone, principale rivale del Sacro
Romano Impero agli inizi del 1800, a ispirarsi volontariamente alla cultura romana: egli
si riteneva un novello augusto, l’uomo destinato dal fato a ripristinare i fasti dell’Impero
Romano. La riscoperta dell’arte greca, nel campo culturale tedesco, verrà favorita dagli
studi dello storico dell’arte e archeologo Johan Joachim Winckelmann (1717-1768).
Inizialmente interessati all’ideale della Rivoluzione, sia Goethe che Schiller
elaboreranno un pensiero di aspra critica progressiva che si accentuerà soprattutto con
l’inizio del periodo del terrore. Per entrambi, la Rivoluzione come era avvenuta in
Francia era inadeguata alla società tedesca per una serie di ragioni:

- Manca il soggetto attivo  La Rivoluzione Francese fu una rivoluzione spinta


soprattutto dalla borghesia, la quale voleva poter entrare a far parte del processo
di decisione politica. L’ordine sociale non venne realmente cambiato: a
cambiare fu chi deteneva il potere (non più sovrano e aristocrazia, ma
borghesia). Inoltre, la borghesia nel Sacro Romano Impero non era la stessa
della Francia tardo settecentesca: essa non aveva un’auto percezione di sé né
libertà di azione politica e sociale.
- Manca il soggetto passivo  La Rivoluzione deve essere finalizzata a ribaltare
un ordine precedente che ha già raggiunto il suo apice ed è pronto a tramontare
definitivamente. Se non esiste uno Stato (come nel caso della Germania), non
esiste una rivoluzione.
La Rivoluzione, quindi, non solo sarebbe stata inapplicabile, ma addirittura dannosa: la
dinamica violenta del processo rivoluzionario avrebbe solamente avuto l’effetto di
sopprimere anche quegli Stati tedeschi che, nel tempo, avrebbero potuto favorire la
nascita di uno Stato tedesco. Goethe e Schiller, infatti, identificavano nella Prussia lo
Stato che sarebbe stato in grado di portare a compimento il processo di unificazione
(cosa che avverrà solo nel 1871). Tuttavia, al tempo della Rivoluzione Francese la
Prussia si era leggermente indebolita: nel 1786 Friedrich II. era morto lasciando il trono
al nipote, Friedrich Wilhelm II. (1744-1797), non fu in grado di regnare come il nonno.
La Prussia, quindi, era troppo instabile da un punto di vista politico per poter affrontare
una rivoluzione.
Dopo il momento dell’analisi critica della condizione del tempo presente, arriva il
momento di proporre una correzione: a una rivoluzione politica, Goethe e Schiller
propongono una rivoluzione culturale. Secondo loro la vera rivoluzione che potrebbe
avere effetti reali non deve dispiegarsi nel campo della politica, ma nel campo dello
spirito. Questo perché la prima interviene semplicemente sulle strutture politiche, le
quali modificano solo il perimetro all’interno del quale gli uomini operano. Una volta
‘morta’ la generazione che ha prodotto quei cambiamenti, il campo politico tenderà a
riassumere le caratteristiche precedenti. La rivoluzione ha quindi l’effetto ultimo di
generare movimenti controrivoluzionari che tendono a riportare all’ordine prestabilito
(come nel caso della Francia rivoluzionaria). Il risultato è che si vengono a verificare
condizioni ancora peggiori rispetto a quelle prerivoluzionarie. Solo un cambiamento
della forma mentis, della sfera spirituale e culturale può generare un cambiamento
duraturo e produrre trasformazioni sostanziali e persistenti. Il corpo subisce la violenza,
lo spirito rimane immutato: se esso viene guarito/rigenerato allora il cambiamento sarà
perenne. Sull’istituzione si interviene fisicamente (rivoluzione politica), mentre sullo
spirito si interviene con un lento processo di educazione dell’uomo, incoraggiandolo a
reimpossessarsi della propria totalità. Schiller e Goethe partono dal presupposto che
l’uomo moderno si specializza in un settore, ma allo stesso tempo perde la capacità di
potersi esprimere nella sua globalità: si esercitano solo delle attitudini limitate e si
perseguono solo delle finalità concrete, ma questo permette solo uno sviluppo
unilaterale. Ovviamente, da prendere da modello sarà l’uomo della Grecia antica: esso,
infatti, era in grado di percepire e sviluppare il suo corpo nella totalità (ovviamente si
tratta di un modello ideologico, un semplice mito) e di sviluppare tutto il suo potenziale.
Per rigenerare lo spirito dell’uomo del presente vi è un unico strumento: educare l’uomo
moderno a essere un uomo totale (der ganze Mensch) attraverso l’arte.

2.2.1.1. Johann Gottfried Herder (1744-1803)


Per un breve periodo egli appartiene al gruppo letterario dello Sturm und Drang, del
quale è l’autore più importante insieme a Goethe. Il movimento nacque a partire
dall’incontro tra questi due autori nel 1770 a Strasburgo. Le attività del gruppo, in
seguito, si sposteranno a Francoforte, città natale di Goethe. Il gruppo ebbe una forte
influenza sulla cultura tedesca della seconda metà del 1700 inversamente proporzionale
alla sua durata: il movimento, infatti, si scioglierà già nel 1775, quando Goethe si
trasferirà alla corte di Weimar, evento visto come un tradimento da parte dei membri
dello Sturm und Drang. La stessa dicitura con la quale il gruppo è noto verrà coniata
solo nel 1776: uno degli autori facenti parte del gruppo, Friedrich Maximilian Klinger
(1752-1831), il quale pubblicherà proprio un’opera chiamata Sturm und Drang (1776).
Due sono le categorie fondamentali quando si parla delle posizioni dello Sturm und
Drang:

- Natur  da questo punto di vista è fondamentale l’influenza di Rousseau che


vedeva nella società (e quindi nel processo di civilizzazione) il momento in cui
l’uomo ha iniziato il suo processo di decadimento: egli ha lasciato il suo stato di
natura nel quale era naturalmente felice e si è inserito nella società, cosa che ha
generato tutti i suoi mali.
- Genie  La differenza rispetto al pensiero del filosofo di Ginevra è che,
secondo Herder, solo alcuni uomini, dotati di una capacità di immaginazione
superiore, possono compiere il salto all’indietro. Questi individui sono i
cosiddetti Genie: individui tutt’ora dotati della capacità di concepire sé stessi
come una totalità definita e in grado di esercitare tutte le capacità possibili
all’uomo, senza specializzarsi in una sola di esse.
Nella concezione dello Sturm und Drang, il genio per eccellenza è l’artista (in
particolare il poeta), il quale viene paragonato a un creatore in quanto è in grado
di vedere, ancora prima che gli altri possano immaginarselo, una configurazione
all’interno dell’informità della materia primordiale. Dove gli altri vedono
disordine, il genio vede l’ordine e la forma. L’artista geniale è strettamente
legato alla natura e quindi è slegato dalle regole, le quali sono il prodotto diretto
di quella civilizzazione che ha alienato l’uomo comune. Al contrario, l’unica
legge che il genio segue è quella che gli viene fornita dalla natura: in quanto egli
è in grado di legarsi con la natura, egli può evitare le norme della tradizione.
Solo gli artisti privi di quella forza creatrice tipica del poeta seguono la norma in
quanto necessitano di una stampella che possa sorreggere la propria arte. Le
regole sono artifizi e il risultato di categorizzazioni legati allo sviluppo della
storia e del sapere, mentre nella natura l’uomo può trovare le uniche regole che
sono affini al proprio stato primordiale. Il genio è anche ingenuo in quanto non
ha bisogno di sovrastrutture per intendere il mondo poiché ha una capacità
prerazionale data dalla sua immaginazione di poter fare esperienza della
confluenza cosmica. Infatti, una delle formule più utilizzate per indicare questa
sensibilità è: l’uno è tutto, tutto è l’uno (uno-tutto). Vi è una perpetua mutua
fecondazione tra l’io e il tutto: mondo e soggetto, individuo e realtà non hanno
più confini.

Queste concezioni giustificano il culto nato nella cultura tedesca della seconda metà del
1700 per le opere di William Shakespeare (1564-1616), il genio per eccellenza. Egli,
infatti, era già considerato dai suoi contemporanei come un artista che rompeva con la
tradizione classicista: già nelle sue opere non vi era alcuna traccia della regola
aristotelica della divisione nelle tre unità di tempo, spazio e azione. Egli, nell’ottica
degli Sturm und Dränger, è l’esempio eclatante di come le regole non rispecchino un
principio di verità assoluta, ma siano l’espressione dello spirito di una determinata
epoca storica.
La Natur non è solo una concezione del mondo, ma è anche un motivo letterario portato
avanti con fermezza e costanza dagli Sturm und Dränger. Attraverso la sua stessa opera
l’artista è in grado di tirarsi fuori, almeno a livello spirituale, dalla civilizzazione, di
tornare allo stato di natura e purificarsi. Queste stesse opere sono natura, non hanno
elementi normativi che li costringono alla civilizzazione. Queste opere non coincidono
con la norma di una sola epoca, ma sono in grado di parlare a ogni individuo in ogni
epoca al di là della conoscenza di condizioni storiche specifiche. Questo perché
traggono la loro stessa esistenza da un principio che, per definizione, non è transitorio:
proprio la natura. Non è un caso che una delle opere classiche dello Sturm und Drang è
la prima stesura del Faust (opera che occuperà tutta la vita dell’autore e avrà una
conclusione forzata dovuta alla fine della vita dell’autore stesso) di Goethe: un
individuo che è mosso dal bisogno continuo e atavico di continuare ad aggregare
conoscenza. Tanto più Faust conosce tutto, tanto più Faust non riesce a conoscere il
senso della vita: il nesso che tiene insieme tutto ciò che egli conosce. La sua è una
conoscenza frammentaria, ma non riesce a risalire a una totalità organica.

Ganymed (1774)

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Wie im Morgenglanze Come nello splendore del mattino


Du rings mich anglühst, Tu ardi intorno a me
Frühling, Geliebter! Primavera amata!
Mit tausendfacher Liebeswonne Con molteplice ebrezza d’amore
Sich an mein Herz drängt Il sacro sentimento
Deiner ewigen Wärme Del tuo eterno calore
Heilig Gefühl, Si stringe al mio cuore
Unendliche Schöne! Infinita bellezza!

Daß ich dich fassen möcht' Oh, se potessi stringerti


In diesen Arm! Tra queste braccia!

Ach, an deinem Busen Ah, giaccio sul tuo petto,


Lieg' ich, schmachte, mi consumo
Und deine Blumen, dein Gras e i tuoi fiori, la tua erba,
Drängen sich an mein Herz. si stringono al mio cuore.
Du kühlst den brennenden Tu, amorevole vento del mattino,
Durst meines Busens, appaghi la sete ardente
Lieblicher Morgenwind! del mio petto!
Ruft drein die Nachtigall L’usignolo emette il suo richiamo d’amante
Liebend nach mir aus dem Nebeltal. Dalla valle immersa nella nebbia.
Ich komm', ich komme! Arrivo, arrivo!
Wohin? Ach, wohin? Dove? Ma dove?

Hinauf! Hinauf strebt's. Verso l’altro! Tendi verso l’alto.


Es schweben die Wolken Le nubi aleggiano
Abwärts, die Wolken Verso il basso, le nubi
Neigen sich der sehnenden Liebe. Si piegano verso l’amore desiderante.
Mir! Mir! A me! A me!
In eurem Schosse In alto verso
Aufwärts! Il tuo castello!
Umfangend umfangen! Abbracciando abbracciato!
Aufwärts an deinen Busen, Verso l’alto nel tuo petto,
Alliebender Vater! padre che ami ogni cosa.

Ganimede, nella mitologia greca classica, è il favorito degli Dei e viene


rappresentato da Goethe in un momento di unione con la natura, dalla quale potenza si
lascia pervadere: in questo modo cerca di uscire da sé nel tentativo di entrare in un
ordine superiore (rappresentato dall’incontro con la divinità). Il testo è pervaso da una
certa spiritualità/religiosità cosmica: l’individuo abbandona i limiti del proprio essere e
confluisce in una corrente di senso superiore. Farsi cosa tra le cose: diventare oggetto
tra gli oggetti. Qui si trova chiaramente una fusione con il cosmo, rappresentata dall’atto
d’amore. Il soggetto sente il risvegliarsi di sensi primordiali: è la tipica esperienza
trascendentale del senso primordiale. Si nega l’io, per abbracciare la totalità: qui si nega
la concezione dell’illuminismo, il quale predilige che è il singolo individuo che debba
conoscere il limite delle proprie capacità per conoscere il mondo. L’illuminismo si basa
sull’assioma cartesiano del Cogito ergo sum: atto fondante della conoscenza è
riconoscere l’esistenza dell’individuo. Al contrario, lo Sturm und Drang afferma che
tanto più il confine tra l’individuo e il mondo è labile, tanto più sarà possibile fare
esperienza dell’infinito. Tuttavia, va sottolineato che lo Sturm und Drang non è una
negazione dell’Illuminismo, quanto una sua continuazione che da esso prende vie
distinte: in comune vi è l’obiettivo di costruire un’immagine totale dell’uomo, ma
cambia il criterio con il quale quest’immagine viene costruita. Nella prima l’elemento
dinamico è interno all’uomo (la ragione), nel secondo è l’impulso, il senso dell’infinito
(che si trova nella natura). Mentre la natura, in quest’ultima concezione, è un elemento
repressivo.
Questa concezione del genio, finora vista nelle sue manifestazioni estetiche, è
applicabile tanto a un individuo quanto a un’intera collettività, ad un popolo. Nel loro
periodo a Strasburgo, Herder e Goethe si impegnano nella ricerca di come si manifesta
il genio della nazione tedesca: ossia cercano di delineare un orizzonte di purificazione
per l’intera collettività tedesca (in questo caso essi si trovano in contraddizione con
Rousseau). L’Illuminismo, nella sua filosofia della storia, cercava di trovare dei valori
cosmopoliti (ossia allgemeinmenschlich, validi per ogni uomo). La filosofia della storia
dello Sturm und Drang, invece, si baserà non su valori universali, ma sul concetto di
comunità/nazione. Si possono intravedere le basi ideologiche del successivo
Romanticismo tedesco, il quale cercherà di identificare un’identità nazionale tedesca da
contrapporre a quella francese (alla luce della caduta del Sacro Romano Impero).
Per Herder, il genio della nazione si trova nella spiritualità di un popolo che, seppure
nascoste in profondità, aspirano a riemergere. Il periodo di Strasburgo servirà ai due
intellettuali per cercare quali sono queste fonti nascoste ancora presenti nel popolo
tedesco. Le basi dell’identità collettive vanno riconosciute e bisogna dar loro nuovo
impulso. Così come per i romantici, anche per Herder e Goethe queste basi si trovano
nel Medioevo: l’epoca medioevale va riletta come libera affermazione dell’identità
germanica, in particolare nel momento della Caduta dell’Impero Romano (476 a.C.).
Per loro una prima manifestazione dell’identità tedesca è il gotico: non solo inteso come
forma artistica, ma come intero medioevo. Questa concezione deriva dall’idea di
Rousseau di purificazione, di ritorno a uno Stato originario e primitivo. Per Herder la
storia va intesa in senso biologico: così come gli individui attraversano diverse fasi nel
loro sviluppo, così anche le civiltà seguono questo modello. Il gotico, da questo punto di
vista, rappresenta il momento della nascita di un’identità per il popolo tedesco. Va fatto
notare, però, che nella filosofia di Herder non sono ancora presenti quegli elementi di
esclusività e nazionalismo che saranno tipici dell’epoca romantica e verranno portati
all’esasperazione in un percorso quasi secolare durante il periodo nazionalsocialista. Al
contrario, Herder era convinto di aver trovato una legge che riuscisse a spiegare
l’andamento della storia: ogni popolo seguirà quel processo di sviluppo, senza
necessariamente scontrarsi. Herder e Goethe effettuano una ricerca di oggetti che
testimonino questa identità primordiale della Germania e per costruire una Genealogia
dello Spirito Tedesco:

- Le cattedrali gotiche  delle quali il Duomo di Strasburgo (1015-1439) è


l’archetipo al quale essi fanno riferimento. Esse sono l’espressione del Genio del
Popolo Tedesco.
- Il paesaggio Alsaziano  nella profondità del bosco tedesco Goethe e Herder
riconoscono un luogo nel quale si trova l’identità primordiale tedesca.
Da questo punto di vista, natura e cultura sono sullo stesso piano: l’armonia tra
l’architettura e la natura rappresentano una perfetta forma di equilibrio e totalità dello
spirito tedesco. Herder è interessato a sviluppare un modello di filosofia della storia: un
modello omnicomprensivo che permetta di comprendere la dinamica storica e le forme
dell’operare nella storia dell’uomo. Tutto ciò Herder proverà a elaborarlo in una delle
sue opere fondamentali: Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der
Menschheit (1774). La domanda alla quale vuole rispondere è la seguente: esiste una
natura dell’uomo che sopravvive alle sue forme storiche? Oppure essa non è altro che
una costruzione ideologica e non descrive nulla di concreto? I punti di vista sono due:

- Universale/Generale  si concentra su alcune costanti che appartengono


all’uomo in quanto tale, in quanto attinenti alla condizione umane.
L’illuminismo applica la prima prospettiva in quanto descrive la condizione
dell’uomo sulla base di alcuni elementi che vengono ritenuti universali.
- Particolare  limitato, circoscritto e ridotto a una sfera specifica. Si concentra
su caratteristiche particolari che sono storicamente determinate. Il pensiero di
Herder sarà il terreno di base dal quale si svilupperà la concezione storica del
Romanticismo e dell’Idealismo Tedesco (di cui Hegel è il maggior esponente). È
necessario partire dalla condizione singola di un oggetto per comprenderle nella
sua ottica storica.
Herder segue il secondo punto di vista. Per Herder il classicismo (amato dalla cultura
tedesca del 1700) non è un’epoca superiore alle altre epoche: non vi è alcun dato che
testimoni il fatto che quell’epoca sia stata migliore delle altre e che quindi debba essere
presa come modello. È il risultato di un’astrazione, di un falso storico e di una
narrazione. Non esistono popoli dotati di capacità superiori in quanto tali, non esistono
delle epoche d’oro migliori di altre, ma ogni epoca, ogni stadio della civiltà viene
legittimato e guadagna un certo valore. Herder è convinto che come lo sviluppo del
singolo, così anche quello dell’umanità sia scandito da un processo che va dall’infanzia
alla maturità, per giungere infine alla morte: la storia, così come la natura, è governata
in maniera immanente dalla divina Provvidenza e dunque non si risolve in uno
spaesante succedersi di eventi episodici abbandonati al caso, ma piuttosto è il
dispiegarsi progressivo di un senso presente in ogni epoca storica. Ogni qual volta ci si
illuda di poter elaborare una filosofia della storia universale, si cade nell’errore degli
Illuministi, i quali hanno inteso l’età a loro contemporanea come ulteriore e, per ciò
stesso, superiore rispetto alle età precedenti. Così intesa, la storia è il processo tramite il
quale il genere umano realizza appieno la propria umanità, arricchendosi via via dei
caratteri che vengono incarnati dai vari popoli e dalle loro diverse culture, ai quali
Herder riconosce – col preciso intento di opporsi agli Illuministi – pari dignità e
importanza. Dunque, la pretesa dei philosophes di giudicare le civiltà, le epoche
storiche, i personaggi secondo leggi generali e principi universalmente validi è il frutto
di una violenza concettuale che impiega l’universalismo come vernice per mascherare
un particolarismo etnocentrico. La conseguenza che ne discende è che ciascuna civiltà
può essere veramente compresa e giudicata secondo la propria scala di valori, le sue
regole di pensiero e d’azione. Per Herder, l’Impero Romano rovinò perché volle
distruggere i caratteri nazionali, ignorare le tradizioni dei singoli popoli, organizzare
come un meccanismo la vita umana: dopo la sua caduta vi fu «un mondo
completamente nuovo di lingue, di costumi, di inclinazioni». L'intervento dei Germani
nella scena della storia fu positivo, apportando nuova linfa e nuovi valori.

2.2.1.2. Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805)


Il Weimarer Klassik, convenzionalmente, si fa iniziare con l’incontro tra Goethe e
Schiller a Weimar nel 1794 (anche se i due intrattenevano rapporti epistolari da qualche
anno) e finisce con la morte di Schiller nel 1805. I due autori non condividevano le
stesse origini: Goethe nacque da una famiglia di borghesi benestanti che gli permise di
seguire la moda del Grand Tour, mentre Schiller nacque da un ufficiale del
Württemberg, cosa che non gli permise di poter seguire la sua vocazione (per questo
fuggirà in Turingia nel 1782). Nell’ambito del Classicismo di Weimar, Schiller è
particolarmente importante per la sua teoria dello Stato Estetico (ästetischer Staat)
concettualizzata nel suo Über die ästhetische Erziehung des Menschen (1795), opera
dedicata a Friedrich Christian von Augustenburg (1765-1814). La prima edizione è
andata perduta a causa di un incendio, ma venne poi riscritta da Schiller stesso. Questo
concetto rappresenta la risposta più articolata alle questioni che vengono poste
nell’ambito della cultura europea alla fine del 1700, in particolar modo dai filosofi
francesi. Una peculiarità di Schiller è quella di aver vissuto sempre all’interno di confini
ristretti: non viaggerà mai al di fuori dell’Impero. Questo non gli prescinderà di poter
scrivere opere importanti e dettagliate: si pensi al Wilhelm Telm (1804), che dagli
svizzeri verrà ritenuto il dramma nazionale.
Va subito chiarita una questione: il classicismo di Weimar non presuppone il rifugio
in un passato volutamente rievocato in opposizione alla condizione presente. Non vi è
alcuna intenzione di creare una relazione di subordinazione tra il passato, eletto a età
aurea, e il presente, simbolo della decadenza. Non è questo il loro obiettivo: l’immagine
della grecità costruita da Goethe e Schiller (che è volutamente stereotipata) deve fornire
delle linee guida per il presente. Alcuni elementi della società greca vengono presi a
modello e riformulati per renderli delle linee guide nel presente. Questi modelli devono
correggere la crisi di civiltà del loro tempo: ossia la mancanza di quell’idea di totalità
dell’uomo. Per loro l’uomo è libero solo se è tutelata la sua capacità di esercitare senza
ostacoli tutte le proprie migliori capacità. A contribuire a questa decadenza sono state
due rivoluzioni:

- La rivoluzione industriale  cambiano i modi di produzione.


- La Rivoluzione francese  cambia il modo di governare e di gestire la cosa
pubblica.

Entrambe hanno la conseguenza di opprimere l’uomo: invece di emanciparlo, questi


fenomeni subordinano l’uomo poiché esse condividono una tendenza di base. La logica
di base di queste rivoluzioni è opposta alla libertà: l’uomo è libero soltanto se viene
portato a sviluppare non solo una porzione limitata delle sue qualità, ma l’intero
ventaglio delle proprie qualità. Sia Goethe che Schiller ritengono che una tendenza
antiumana sia la logica di base del progresso: è evidente l’influenza di Rousseau. C’è
un’eccessiva frammentazione e specializzazione dell’uomo che divide lo spirito
dell’uomo: l’uomo non è unilaterale, ma è totale. L’Uomo è uno con sé stesso e allo
stesso tempo è uno con il tutto, con il cosmo. Le dinamiche della modernità privano
l’uomo del dominio di sé e lo assoggettano a una logica estranea. Lo esiliano da sé
stesso: l’uomo diventa straniero di sé stesso.
Alla base della modernizzazione c’è la tendenza dell’uomo a svolgere ed esercitare
delle mansioni specifiche in vista di un’utilità pratica: Schiller si riferisce in particolar
modo al lavoro nella fabbrica. Egli, in particolare, si scaglia contro la catena di
montaggio, in quanto l’uomo perde la sua capacità creativa: non vi è legame tra l’uomo
e il prodotto finale (alienazione dal prodotto finale). La cultura della seconda metà del
1700, infatti, finirà per conferire quelle capacità demiurgiche tipiche del poeta
romantico all’imprenditore capitalista: la produzione capitalista non si basa più sulla
terra, ma sulla creazione di oggetti (le merci) che non esistono e che vengono congeniati
dall’Imprenditore. La produzione di merci è pervasa da una propensione creativa (in fin
dei conti si tratta di creare un oggetto nuovo), ma i singoli individui che contribuiscono
a tale creazione (gli operai) non partecipano alla finalità creativa: l’operaio si limita a
memorizzare una ripetizione di gesti e di una e una sola mansione. Questa
specializzazione non ha alcuna cosa in comune con lo spirito di creatività del processo
di produzione: al contrario, esse vincolano l’uomo a una logica immotivata di
ripetizione interrotta. Essa è una forma di produzione che aspira a liberare l’uomo dalle
catene del feudalesimo, ma che al contempo mette all’uomo delle nuove catene: la
specializzazione, la quale priva l’uomo della sua totalità.
Per quanto riguarda la rivoluzione politica, il nuovo modo di governare è
intrinsecamente legato alla particolarità: questo perché presuppone il prendere le parti di
una parte della popolazione. Questa è una componente ineliminabile della cosa politica:
un politico, se vuole avere successo, deve necessariamente prendere le parti. La logica
stessa della politica impone l’unilateralità: ci si identifica con una e una sola parte.
Ovviamente, questa è una concezione completamente opposta a quella di totalità
dell’uomo. Totalità e specializzazione: queste sono le categorie che stanno alla base del
pensiero logico di Schiller. La prima è tipica dell’uomo, la seconda è caratteristica della
modernità e disumanizza l’uomo. La libertà si basa sulla capacità dell’uomo di poter
esprimere le sue capacità al massimo delle sue potenzialità, mentre la specializzazione
limita l’uomo: essa spinge l’uomo a raggiungere degli obiettivi predeterminati, che sono
fuori da sé. Da questo punto di vista, la rivoluzione politica persegue un fine
ingannevole: cerca di liberare l’uomo cambiandone le condizioni materiali, ma questo
cambiamento è solo superficiale. Queste trasformazioni riguarderanno solo un livello
superficiale e provvisorio dell’uomo, ma non toccano lo spirito.
Dopo aver mosso la sua critica culturale, Schiller si dedica alla Pars Construens del
suo discorso: lo Stato Estetico (die ästetische Staat). Una trasformazione non più
concentrata sul cambiare le condizioni materiali, ma le condizioni spirituali dell’uomo.
Rieducare l’uomo al senso della totalità attraverso le forme del bello, l’estetica e l’arte.
Solo l’arte può produrre nella psiche umana un cambiamento radicale in quanto essa ha
la capacità di raggiungere ciò che nell’uomo non può mutare: lo spirito. Fondamentale
per il pensiero di Schiller è l’incontro (solamente ideale) con il pensiero di Immanuel
Kant (1724-1804) e alcune delle sue opere fondamentali:

1. Kritik der reinen Vernunft (1781-1787)  Alla base del pensiero di Kant vi è
l’idea che l’oggetto della filosofia non coincida con i grandi concetti legati
all’esistenza dell’uomo (la metafisica: la natura di Dio e dell’Uomo), concezione
che risaliva ai tempi di Aristotele. Kant fa piazza pulita: la conoscenza filosofica
deve concentrarsi solamente sui dati a disposizione della sensibilità umana, tutto
ciò che non è percepibile attraverso i sensi non ha, di per sé, interessi di natura
filosofica (ma ricade nel campo della Teologia). Il compito del filosofo consiste
innanzitutto nel chiarire quali sono i processi di conoscenza che portano il
filosofo a sviluppare una certa concezione della realtà: noi conosciamo
solamente ciò che siamo abilitati a conoscere attraverso le nostre capacità
sensoriali e intellettive.
2. Kritik der praktischen Venrunft (1788)  in quest’opera Kant affronta il
problema della morale: egli non vuole definire quali precetti etici debbano essere
seguiti dall'uomo, bensì come quest'ultimo debba comportarsi per compiere
un'azione autenticamente morale, e quindi in cosa consiste realmente la morale.
3. Kritik der Urteilskraft (1790)  in quest’opera Kant si concentra sul tema della
conoscenza sensibile: quali meccanismi e reazioni si dischiudono nell’uomo
attraverso la percezione sensibile. Secondo Kant, la conoscenza attraverso l’arte
(il contatto con opere d’arte) rappresenta la più alta forma possibile di
conoscenza attraverso i sensi. Il contatto con l’arte non presuppone l’utilizzo
dell’intelletto, ma può essere raggiunta anche solo con i sensi. L’Arte è la forma
di conoscenza sensibile più alta dell’uomo, in quanto nell’incontro con l’opera
d’arte l’uomo viene a contatto con un oggetto dal quale l’artista ha già definito la
forma. Quando facciamo esperienza del mondo esso ci appare come un ordine
caotico di cui non riusciamo a riconoscere una forma, mentre l’opera d’arte ha
già subito questo processo di formazione: ci si presenta in una forma giù
strutturata cosicché l’uomo non deve riordinare i dati acquisiti attraverso i sensi.
Nel fare esperienza sensibile del mondo, ossia nel conoscere la realtà senza
mediazione razionale, l’uomo si ritrova in una condizione di libertà dal fine.
Kant afferma che nell’incontro con l’arte l’uomo può ritrovarsi in uno stato di
Interesselosigkeit (mancanza di interesse/indeterminatezza): ossia indipendenza
da una finalità specifica/libertà dal perseguimento di un obiettivo determinato.

Schiller riprende in particolar modo le idee espresse nella Critica del Giudizio: l’Arte ha
la funzione di liberare l’uomo dalle condizioni di vincolo della modernità e liberandone
il potenziale inespresso. L’arte non ha fine e non ha alcuna utilità pratica: essa non è
vincolata ad alcuna realizzazione materiale e non deve produrre nulla. Per questo
colloca l’uomo in una dimensione di gratuità e di mancanza di fine, permettendogli così,
almeno per un momento, di liberarsi dalle convenzioni del moderno e dalla civiltà.
Schiller indica l’attività estetica con il termine Spielen, verbo che in tedesco è
polivalente (significa sia giocare che rappresentare) e afferma che alla base dell’opera
d’arte vi è un certo Spieltrieb (Impulso Ludico): in entrambi i campi dell’attività umana
vi è l’esigenza di emanciparsi da tutto ciò che vincola e restringe e di poter coltivare,
senza ostacoli, la propria umanità/totalità. Questo impulso è alla base sia dell’esistenza
del bambino che dell’esistenza dell’artista: entrambi caratterizzati dalla mancanza di
fine e di una specifica funzionalità. Esse sono attività del tutto simboliche e non
producono alcunché di concreto: sono le attività prive di utilità per eccellenza.
Si può affermare che con la definizione di Stato Estetico Schiller descriva un’utopia:
la rigenerazione e la liberazione non solo del singolo individuo, ma dell’intero ordine
sociale. Tuttavia, va sottolineato che Schiller non intendeva delineare un programma
politico, ma si limita a descrivere delle categorie che sono, per questa ragione, delle
utopie. Schiller ammette di non avere alcuna idea di come queste categorie si possano
applicare alla realtà dei fatti. Per riferirsi alla condizione ipotetica di un’umanità libera
dalle logiche di sfruttamento della modernizzazione Schiller utilizza un’altra categoria:
l’idillio (Idyll). Egli ricava questo concetto dalla contraddizione tra due categorie:

- Das Naive (l’ingenuo)  termine che riassume la poesia e l’identità dei Greci:
indica la capacità dell’uomo greco di sentirsi parte del tutto e si riferisce alla sua
capacità di sentire sé stesso in una condizione di continuità con il mondo. Egli
non percepisce sé stesso come un soggetto distinto dal mondo circostanze, ma si
concepisce come sostanza tra le cose. Non riflette sulla sua condizione, ma si
limita a godere di questo sentimento d’autonomia.
- Das Sentimentalische (il sentimentale)  qualità che caratterizza la poesia
moderna: si tratta di una poesia riflessa, dove l’armonia con gli elementi naturali
non è più immediata, ma va cercata e costruita. Questo termine indica “una
sensazione interiore perfezionata basato su fenomeni che mettono in agitazione
il sentimento”.17 L’uomo moderno, al contrario dell’uomo greco, ha sviluppato
una riflessione critica su sé stesso e quindi si è separato dalla natura: non gode
più di quello stato di armonia ingenuo, ma idealizza e anela a tornare a quella
condizione.

Queste due categorie saranno superate, in un futuro non precisato, da un terzo stato:
proprio quello dell’idillio. Questa condizione di felicità ripristinata farà riemergere lo
spirito di quella condizione primordiale, ma in una forma nuova e conforme ai bisogni
spirituali di uomini che, per forza di cose, sono portatori di un’identità molto più
complessa/ingenua rispetto all’uomo greco. Schiller usa una metafora: l’individuo sano
e l’individuo che ha riacquistato la salute dopo averla persa, se li si considera allo stato
attuale delle cose, sono entrambi sani. Tuttavia, hanno una sostanziale differenza: quello
che l’ha ritrovata l’apprezza di più perché ne conosce il vero valore. La differenza
consiste nel livello di consapevolezza. L’uomo sano è l’uomo greco, che gode di una
condizione di benessere senza essersela meritata/averla cercata; l’uomo che è stato
malato e ha riacquisito la salute è l’uomo del futuro, colui che sarà riuscito a rigenerarsi.
Quest’ultimo avrà un valore aggiunto rispetto all’uomo greco: la consapevolezza dello
sforzo fatto per ripristinare la condizione di salute. Gli effetti di natura sociale e politica
saranno solo la conseguenza della rigenerazione spirituale attraverso il contatto con il
bello e l’arte.
Nella sua opera, Schiller rappresenta la situazione delle classi sociali della sua epoca:
da un lato, vi sono le classi popolari, dominate da una concezione materiale
dell’esistenza e le quali tendono al soddisfacimento immediato di bisogni di
sopravvivenza, dall’altro vi sono le classi dominanti (zivilizierte Klassen), la cui
condizione è ancora più disgustosa. Questo perché la cultura stessa è l’origine della loro
depravazione: le classi aristocratiche avrebbero le risorse per migliorare la società nel
suo complesso, ma sono troppo concentrati sul loro profitto. Il modello positivo rispetto
al presente è il mondo greco: essi sono superiori all’uomo moderno in ogni campo, non
solo nelle loro caratteristiche tipiche (sentirsi cosa fra le cose), ma in quanto essi sono
spesso i nostri modelli in quelle stesse virtù con le quali noi siamo soliti consolarci per

17
Bollenbeck, Georg, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, Verlag C.H.
Beck, München, 2007, p. 104.
l’innaturalezza/l’artificiosità dei nostri costumi. Wie ganz anders bei uns Neuern18:
come è diversa la situazione di noi moderni. La crisi del presente si esprime nella
perdita della totalità: tutte quelle capacità dei greci si esprimono, nella modernità, in
tanti frammenti.
Infine, Schiller usa due metafore per indicare il funzionamento dello Stato greco e di
quello tedesco:

- Stato greco  è come un polipo: ogni individuo conduceva una vita


indipendente e, se fosse stato necessario, sarebbe potuto diventare un tutto. Il
singolo individuo non è staccato dalla condizione complessiva, ma porta dentro
di sé la condizione di totalità organica del tutto. L’individuo si trova in una
condizione di continuità con il tutto.
- Stato tedesco  è come un orologio ingegnoso, nel quale dalla divisione di
molte parte prive di vita si compone nel complesso un’esistenza meccanica.

Nel mondo greco lo Stato è un organismo naturale nelle quali le parti partecipano in
maniera attiva al tutto, mentre lo Stato moderno è come un meccanismo nel quale ogni
singolo pezzo svolge una funzione. I cittadini dello Stato moderno sono tali in quanto
portatori di una funzione, non condividono alcuno spirito di totalità e organicità proprio
dello Stato. Nello Stato presente lo Stato e la Chiesa, le Leggi e i Costumi, il Godimento
e il Lavoro, il Mezzo e il Fine, la Fatica e il Premio sono state separate l’una dall’altra.
L’uomo, legato eternamente a un singolo frammento del tutto, si sviluppa come
frammento. Eternamente con nelle orecchie il rumore uniforme della ruota non arriva
mai a sviluppare l’armonia della sua natura: così facendo l’uomo diventa il calco/la
copia della sua conoscenza e del suo lavoro.

2.3. 19. Jahrhundert

Dalle ceneri della Rivoluzione Francese emergerà una figura fondamentale per il futuro
della Francia: Napoleone Bonaparte, il quale reintrodurrà quel principio di
concentrazione dei poteri che la Rivoluzione aveva cercato di sradicare. Napoleone
18
Riedel, Wolfgang, Friedrich Schiller Sämtliche Werke Band 5: Erzählungen, Theoretische Schriften,
Carl Hanser Verlag, 2004, p. 582.
riscriverà la cartina dell’Europa del suo tempo e, in un certo senso, favorirà un certo
processo di semplificazione territoriale e dell’apparato amministrativo: per la prima
volta territori che non erano mai stati uniti (Italia e Germania su tutti) diventano
uniformi da un punto di vista giuridico e amministrativo. La sua conquista dell’Europa
partirà con la sconfitta della seconda coalizione antifrancese (1802), cosa che gli
permise di ottenere, tramite un plebiscito, il titolo di console a vita: a tutti effetti la
Francia era diventata una dittatura. Due anni più tardi, nel 1804, egli fu eletto come
Imperatore dei Francesi: l’età napoleonica aveva inizio. Divenuto Imperatore,
Napoleone sferrò il suo attacco all’Europa:

- Terza Coalizione (1805)  l’Impero Britannico organizzò una nuova coalizione


insieme all’Impero Russo, all’Austria, al Regno di Svezia e di Napoli. La flotta
francese subì una disfatta a Trafalgar (21 ottobre 1805) da parte della flotta
britannica guidata dall’ammiraglio Horatio Nelson (1758-1805), ma l’esercito
francese fu in grado di sconfiggere l’Austria ad Austerlitz (2 dicembre 1805).
L’Austria cedette il Veneto alla Francia e dovette rinunciare alla sua sovranità
sui territori tedeschi.
- Quarta Coalizione (1806)  la Prussia, preoccupata di un’egemonia francese in
area germanica, decise di organizzare una nuova coalizione con l’Impero Russo
e l’Impero Britannico. Le conseguenze di questa scelta saranno devastanti per il
Sacro Romano Impero.
- Guerra d’Indipendenza Spagnola (1808-1814)  dopo aver invaso il Portogallo
(1807) e la Spagna (1808), ma l’invasione si tramutò in una logorante guerra: gli
spagnoli contrastarono i francesi sfruttando il sistema della guerrilla e, inoltre,
ottennero il supporto delle forze britanniche.
- Quinta Coalizione (1809)  l’Austria, decisa a rifarsi dopo la sconfitta del
1805, decise di organizzare una nuova coalizione insieme all’Impero Britannico,
ma venne rapidamente sconfitta: fu costretta a riconoscere la sovranità francese
sulla Spagna, cedette il granducato di Salisburgo alla Baviera che diede il
territorio dell'attuale Trentino al Regno d'Italia, parte della Polonia al granducato
di Varsavia, Trieste, la Dalmazia e la Croazia a sud del fiume Sava alla Francia
(che le costituì nelle neonate Province illiriche).
- Campagna di Russia (1812)  dal 1807 l’Impero Francese e quello Russo erano
rimasti in rapporti pacifici, ma la situazione cambiò quando la Russia impose
degli elevati dazi sulle importazioni dall’Europa continentale, cosa che
penalizzava le merci francesi. Senza dichiarare guerra, Napoleone varcò il
confine russo e conquistò Mosca (14 settembre 1812). Tuttavia, Napoleone non
aveva considerato i morsi dell’inverno russo: i russi sfruttarono la tattica della
terra bruciata, bruciando i propri villaggi e non lasciando rifornimenti ai soldati
francesi. Nell’ottobre 1812 Napoleone ordinò la ritirata, ma era tardi: i soldati
francesi furono decimata dalla fame, dal gelo e dagli attacchi dell’esercito russo.
Si stima che mezzo milione di soldati morirono nella campagna di Russia:
l’Impero Napoleonico non si sarebbe più ripreso.
- Sesta Coalizione (1813-1814)  rinvigoriti dalla notizia della sconfitta di
Napoleone, gli Stati europei organizzarono una nuova coalizione composta da
Impero Britannico, Impero Russo, Regno di Svezia, di Prussia e Austria. Gli
eserciti si scontrarono nella Völkerschlacht bei Leipzig (16-19 ottobre 1813):
Napoleone subì una sconfitta definitiva e l’Impero Napoleonico si frantumò.
Napoleone fu costretto a rinunciare al suo titolo e all’esilio sull’Isola d’Elba.
- I Cento Giorni di Napoleone (marzo-giugno 1815)  mai domo, Napoleone
fuggì dall’Elba e riuscì a reinsediarsi sul trono di Francia. Napoleone cercò di
riorganizzare un esercito e di sferrare un attacco alla settima coalizione, ma fu
sconfitto a Waterloo (18 giugno 1815). Napoleone fu esiliato sull’Isola di
Sant’Elena, dove morì il 5 maggio 1821.

L’avvio del dominio Napoleone pose gli intellettuali tedeschi di fronte a problemi
totalmente nuovi. Questo perché in Germania, il dominio Napoleonico raggiungerà il
suo apice nel 1806, anno in cui, quasi 1000 anni dopo la sua istituzione, venne dissolto
il Sacro Romano Impero Germanico. Dopo aver sconfitto Austria e Russia, Napoleone
impose alle due potenze la Friede von Pressenburg (26 dicembre 1805): l'Austria fu
obbligata a riconoscere Napoleone come imperatore e a riconoscere la sovranità dei
nuovi re di Baviera e del Württemberg, nonché del granduca del Baden. Inoltre, dovette
dare il suo assenso preventivo alla costituzione della Rheinbund (1806-1814), un nuovo
stato creato da Napoleone grazie all'alleanza tra vari principi tedeschi. Il 12 luglio 1806
16 principi tedeschi (tra i quali proprio i principi di Baviera, Baden e Württemberg)
ratificarono il Rheinbundakte lasciando di fatto l’impero e sancendo la nascita della
Confederazione del Reno. Preoccupato che Napoleone potesse conquistare l’impero e
mettere le mani anche sui suoi possedimenti, l’Imperatore Franz II. (1768-1835)
proclamò ufficialmente lo scioglimento del Sacro Romano Impero. L’esercito
Prussiano, l’unico Stato tedesco in grado di poter provare a far fronte alla potenza
francese, venne completamente sbaragliato nella Schlacht bei Jena (14 ottobre 1806).
Anche l’ultimo speranza di salvare l’Impero era perduta: il mito del Reich, tuttavia,
continuerà a persistere nella memoria di molti intellettuali tedeschi fino alla prima metà
del XX Secolo.
Come detto, Napoleone introdurrà una serie di riforme all’interno dei territori
occupati: in particolar modo verranno introdotte nuove forme di governo, politiche e di
amministrazione. L’influenza francese in Germania consentì di inserire l’economia
tedesca in un contesto europeo, di rendere più efficiente il sistema fiscale e
l’organizzazione amministrativa, di riorganizzare l’istruzione: Napoleone, pur
conquistando l’Europa, liberò diversi paesi dall’Ancien Régime contribuendo a
svecchiare e modernizzare quelle società. Inoltre, le truppe napoleoniche esportarono i
valori democratici e liberali della Rivoluzione e l’idea della nazione, la quale si sarebbe
sviluppata per tutto il XIX Secolo dando vita ai diversi movimenti patriottici e
nazionalistici europei.
L’età Napoleonica aveva sancito un momento di strappo con la società dell’Ancien
Régime: nulla sarebbe tornato come prima, anche se gli Stati usciti vittoriosi dalle
guerre napoleoniche speravano di poter tornare allo status quo ante bellum. Ciò fu
ancora più chiaro con il Wiener Kongress (1° novembre 1814-9 giugno 1815), nel quale
si riunirono le principali potenze del tempo per ripristinare l’assetto prenapoleonico:
l’Impero Britannico, il Kaisertum Österreich, il Königreich Preußen, l’Impero e la
sconfitta Francia. Accanto a queste potenze, che di fatto furono le principali
protagoniste del congresso, vi furono rappresentanti dei Regni di Spagna, Portogallo,
Svezia, il Königreich Hannover (1814-1866), Bayern (1806-1918), Württemberg (1806-
1918) e lo Stato Pontificio, il Regno di Sardegna e di Napoli. A distinguersi fu la figura
del Primo Ministro austriaco Klemens Wenzel Lothar principe di Metternich (1773-
1859). Il congresso stabilì due principi:
- Equilibrio  era necessario bilanciare il rapporto di forza tra i diversi Stati
europei onde evitare situazioni di egemonia come era successo con la Francia
napoleonica.
- Legittimità  riassegnare il trono ai legittimi sovrani deposti durante il periodo
napoleonico: venne così ripristinata la monarchia, anche se Costituzionale.
Questo principio non venne sempre adottato, come nel caso della Repubblica di
Venezia.

L’assetto territoriale europeo venne nuovamente modificato:

- Francia  essenzialmente tornò ad avere i territori posseduti fino al 1791 con


Louis XVIII come sovrano.
- Regno Unito dei Paesi Bassi (1815-1830)  Stato formato dalla Repubblica
delle Sette Province Unite e dai Paesi Bassi del Sud (che nel 1830 secederanno
formando il Regno del Belgio).
- Preußen  acquisì i territori della Sassonia e della Pomerania, ma perse la
Polonia, della quale mantenne solamente la città di Danzica e il distretto di
Poznań.
- Regno di Sardegna  ottenne la Repubblica di Genova e ritornò alla dinastia dei
Savoia.
- Impero Russo  ottenne tre quarti della Polonia, la Finlandia e la Bessarabia.
- Kaisertum Österreich  perse definitivamente il Belgio, perdita che venne
compensata con nuovi territori nei Balcani e gran parte della Penisola Italiana
(direttamente sul Lombardo-Veneto e indirettamente sui Ducati di Modena e
Parma e del Granducato di Toscana).
- Regno delle Due Sicilie  nato dall’unione del Regno di Napoli e della Sicilia.
Infine, il Congresso di Vienna fu decisivo per decretare le sorti dell’area germanica:
l’Impero era stato sciolto per la stessa volontà del suo Imperatore, il quale aveva
conferito la sovranità di fatto ai suoi membri, e così non venne ricostituito. Così, il
Großherzogtum Baden (1806-1871), il Königreich Württemberg, il Königreich Bayern,
il Königreich Sachsen (1806-1918), la Prussia e l’Austria sottoscrissero il Deutsche
Bundesakte (10 giugno 1815) sancendo la nascita della Deutscher Bund. Essa era
un’alleanza tra gli Stati membri, i quali si organizzavano come una vera e propria
Confederazione di Stati: ogni membro riconosceva la superiorità della legge federale,
anche se le decisioni adottate nella Bundesversammlung richiedevano l’unanimità dei
voti. La Confederazione Germanica riconosceva la Presidenza dell’Austria, ma di fatto
la storia della Confederazione verrà segnata dalla rivalità tra Preußen e Österreich
(deutscher Dualismus). Tuttavia, non si può parlare di Stato unitario: all’interno di essa,
ogni Stato manteneva la propria sovranità.
2.3.1. Die Romantik

I primi decenni dell’Ottocento furono caratterizzate dalla diffusione delle idee del
Romanticismo: movimento sorto in Germania negli ultimi decenni del 1700, da dopo la
Restaurazione si diffuse in tutta Europa assumendo dei caratteri nazionali. La principale
caratteristica del Romanticismo è l’esaltazione della spontaneità dei sentimenti e il
completo rifiuto del razionalismo dell’Illuminismo.
2.3.1.1. Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg ‘Novalis‘ (1772-1801)

Cronologicamente vicino a Schiller, ma concettualmente lontano. Egli è uno dei


principali esponenti della corrente del Frühromantik (Primo Romanticismo), un vero e
proprio movimento organizzato basato sulla collaborazione sistematica di intellettuali
accomunati da concezioni comuni. Questo movimento si sviluppa a partire dal 1797 a
Jena dalla collaborazione di nuovi autori (nuovi entranti: coloro che entrano in un
campo culturale con l’obiettivo di usurpare il predominio degli occupanti o per lo meno
di inserirsi nel dibattito patteggiando):

- August Wilhelm Schlegel von Gottleben (1767-1845)


- Karl Wilhelm Friedrich Schlegel (1772-1829)  il più importanti dal punto di
vista speculativo: è lui che pubblica gli scritti in cui vengono esposte le categorie
concettuali del movimento. È il grande teorico del movimento romantico. Nel
1795, Schlegel rimase spiazzato dal fatto che un autore così importante come
Schiller aveva scritto un trattato concernenti gli stessi argomenti di un trattato
che Schlegel stava per pubblicare. Schlegel aspetterà un paio di anni a
pubblicare tale trattato: Über das Studium der griechischen Poesie (1797), noto
anche come Studium-Aufsatz. Schiller aveva scritto che lo spirito di armonia
della società greca poteva essere riportato in vita nei suoi aspetti ancora vitali
(quelli congeniali a uomini più progrediti rispetto al mondo greco), anche se
sarebbe rinata in una forma diversa rispetto all’antichità. Schlegel è contrario a
questa posizione: la grecità è perduta e non potrà più essere recuperata, ma
questa non è una debolezza della società presente poiché, nella tensione
insoddisfatta dello slancio nel cercare di raggiungere quell’obiettivo, esprime a
pieno la sua tensione vitale/il suo desiderio. Se raggiungesse quell’obiettivo
perderebbe il suo impulso: l’uomo deve rimanere insoddisfatto (die blaue
Blume/Sehnsucht/Streben). Nel rimanere in questa eterna propensione di slancio,
l’uomo del presente ha la possibilità di esprimere il massimo delle sue energie e
del suo vigore. L’antico è destinato a rimanere lontano e non potrà rinascere
nemmeno in un ipotetico futuro, ma l’uomo dovrà rimanere continuamente e
perennemente in una situazione di non soddisfacimento. La cultura del primo
romanticismo si basa sul dinamismo e sull’infinita progressione della poesia
romantica: l’energia dell’uomo romantico continua a sprigionarsi in quanto
l’uomo romantico, nel momento in cui si avvicina all’oggetto del suo desiderio,
non riesce a raggiungerlo.
Schlegel definisce le caratteristiche fondamentali della poesia romantica sulla
base di due aggettivi: progressive Universalpoesie. La poesia deve fondere tra di
loro i generi tradizionali della letteratura per poter creare dei nuovi generi adatti
alla poesia romantica. L’aggettivo progressivo si riferisce al fatto che la poesia
romantica non deve raggiungere un obiettivo, ma deve persistere in uno stato di
indeterminatezza e di mancata chiusura. Importante è l’esercizio di uno slancio e
l’espressione di un desiderio. La poesia romantica deve rappresentare la
condizione umana come una condizione priva di compimento/chiusura: una
visione diametralmente opposta all’idea di compiutezza dell’uomo greco esaltata
dal Classicismo. Il frammento diventa la forma espressiva più congeniale
all’idea del dinamismo perenne. Non è un caso che le opere di Novalis, autore
più rappresentativo del primo romanticismo, siano incompiute: per esempio
Heinrich von Ofterdingen (1800-1802). Tale romanzo rimane, per stessa volontà
dell’autore, rimane incompiuto: tutto ciò rappresenta il dinamismo della poesia
del primo romanticismo.
- Johann Gottlieb Fichte (1762-1814)
- Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (1775-1854)
- Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834)
- Johann Ludwig Tieck (1773-1853)
- Novalis

Essi fondarono una rivista: Athenäum, che per tre anni sarà il ‘luogo’ nel quale esporre
le loro opere funzionali, ma anche i manifesti teorici del loro movimento. Questo primo
romanticismo si differenzia dallo Spätromantik in quanto non vi è quella importanza che
gli autori della seconda generazione avrà la questione nazionale. In questa prima fase è
importante il concetto di synphilosophieren: il filosofare insieme. Le idee di un autore
influenzano gli altri e finiscono con l’ibridarsi tra di loro.
Dove il classicismo di Weimar puntava a trattazioni schematiche, nel Primo
Romanticismo si tende a presentare i concetti in saggi brevi e si predilige la forma
dell’aforismo così da poter suggestionare il lettore. Tuttavia, entrambi hanno una
posizione comune: non hanno interesse nella questione nazionale. Il loro obiettivo non
era trovare dei modelli sostitutivi che riguardassero una comunità ristretta (ossia quella
nazionale), ma per l’umanità nel suo complesso. Il punto focale è cercare una strategia
per favorire la rigenerazione dell’umanità e strapparla da uno Stato di crisi
indipendentemente dagli aspetti contingenti della loro identità. La crisi che cercano di
scacciare è quella della civiltà.
I secondi romantici, come Clemens Maria Brentano (1778-1842), invece vedranno gli
aspetti della crisi in un’ottica di comunità nazionale: essi dovranno far fronte alle
invasioni napoleoniche e inizieranno a chiedersi come poter salvare la comunità tedesca.
Inizialmente, anche i romantici furono interessati alla Rivoluzione Francese, ma quando
essa si tramutò nel terrore la rifiutarono completamente. La situazione peggiorò
ulteriormente quando, nel 1806, le forze napoleoniche invasero il Sacro Romano Impero
(di fatto sancendone la sua fine) e imposero su di essa la propria sovranità. La questione
per i romantici non era più fornire un’opzione a un modello di governo inefficiente, ma
una contromossa per poter contrastare la minaccia data dalla possibilità di un destino di
sottomissione (o addirittura di estinzione, data l’invasione francese). Si trattava, quindi,
di elaborare un modello culturale che fosse in grado di dare voce a un’identità collettiva
e di contrastare l’egemonia politica, militare e culturale della Francia. La battaglia,
ancora una volta, andava combattuta nel campo culturale in quanto era evidente
all’epoca come gli Stati Tedeschi non rappresentassero alcuna minaccia militare per la
Francia. La questione che si posero gli intellettuali era la seguente: come si costruisce
un modello identitario di cultura tedesca che possa essere contrapposta a quello
francese. Inizierà quindi a delinearsi il problema della questione nazionale (deutsche
Frage): la Kulturnation deve essere sostenuta da una Staatsnation e quindi, per la prima
volta, sorse il problema di come raggiungere un’unificazione di tutti i territori abitati da
popolazioni di lingua tedesca. Se per gli intellettuali del Classicismo la questione
nazionale non rappresentava una necessità immediata, per gli intellettuali del
Romanticismo essa divenne preponderante a causa dell’occupazione francese. Il
confronto con la Francia era impari su diversi livelli:
- Militare  l’esercito appare imbattibile: in qualche mese conquisterà l’Europa
- Politico-amministrativa  in Francia vi è una secolare cultura politica che
permette di esercitare un controllo efficacie ed effettivo sul proprio territorio e sui
territori successivamente conquistati.

L’unico campo in cui era possibile combattere ad armi pari era quello culturale. Per
tutelare l’identità tedesca è necessario creare un modello identitario contrario a quello
francese:

- Modello Francese  per legittimare la sua sovranità, l’Impero Napoleonico si


rimanda a un mito fondativo: l’Impero Romano. Napoleone viene rappresentato come
un novello augusto, colui che sarà in grado di federare l’Europa e riportare in auge i
fasti dell’Impero Romano, che nei primi secoli dopo cristo aveva riunificato quasi tutta
l’Europa sotto un governo unitario. Lo stesso nome Impero Napoleonico richiama a un
passato glorioso che sta per tornare.
- Modello Tedesco  se il modello di riferimento della cultura francese era quella
romana, gli intellettuali romantici, nella costruzione dell’identità tedesca, devono
trovare dei miti fondanti e una tradizione che sia concorrente: il legame identificato sarà
quello tra il presente e il Medioevo. Il Medioevo viene idealizzato come la base
dell’identità nazionale: vi sono dei valori che sono rimasti nascosti e che devono essere
rievocati dall’intellettuale romantico.
Il Medioevo (das Mittelalter) veniva inteso dai romantici come un punto di rottura con
l’Impero Romano (modello di riferimento francese), tant’è che, nella storiografia, il suo
inizio viene posto nell’anno della caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 DC).
Se i Francesi si ispiravano alla civiltà romana, allora i Tedeschi dovevano costruire la
propria identità su una civiltà nata dalla rottura con il dominio imperiale. Gli intellettuali
romantici identificano il medioevo come il momento in cui il domino della cultura latina
ha lasciato spazio alla cultura germanica: ovviamente, si tratta solo di una ricostruzione
storica e idealizzata con la finalità di creare un mito fondante per creare l’identità
tedesca. Il Medioevo viene identificato come l’età dell’oro della Germanicità e allo
stesso tempo viene destoricizzato e idealizzato conferendogli una certa positività. Nel
Romanticismo vi è una forte tendenza a idealizzare determinate epoche storiche
nell’ottica del Primitivismo: si cerca di collegare l’identità tedesca a momenti storici in
cui essa era ancora in condizioni primitive, di purezza e di fervore. L’identità tedesca,
nell’ottica dei romantici, ha raggiunto il suo apice nel medioevo ed è stata poi appannata
dai fenomeni della modernità. Per salvare l’identità tedesca bisogna invertire il corso
della storia e tornare indietro nel tempo al momento in cui essa era fresca e pura.
L’obiettivo è ritornare alle origini e ritornare a una condizione primordiale.
È evidente il contrasto tra Classicismo e Romanticismo: il primo ha uno sguardo al
futuro in uno slancio finalizzato a educare l’umanità e portarla al suo stadio finale, il
secondo ha l’obiettivo di tornare indietro e ripristinare la memoria di un passato solo
apparentemente perduto nel quale giacciono le forze della collettività tedesca. Nel caso
del Romanticismo non si tratta di un’utopia progressiva, ma di un’utopia regressiva:
un’utopia finalizzata a risvegliare una coscienza di senso che, nel corso della
civilizzazione, è andata perduta. Bisogna ringiovanire lo spirito della collettività e
ripristinare lo spirito del popolo tedesco.
Perciò si tratta di ringiovanire, svecchiare l’anima tedesca per poter liberare le energie
necessarie a produrre una rigenerazione culturale, spirituale, ma soprattutto politica. La
giovinezza deve sovrastare i popoli invecchiati: è giunto il momento, per il popolo
tedesco, di risplendere e di ottenere il proprio posto al sole (il cosiddetto Lebensraum).
Dal punto di vista degli intellettuali tedeschi, la nazione francese è così sviluppata nelle
sue forme in quanto è ormai giunta allo stadio finale della propria esistenza ed è ora che
lasci spazio a altri popoli e per questo cerca di riempire il suo spazio vuoto attraverso
una serie di artifici (ossia le strutture statali). Oltre alla Francia, l’altro popolo che viene
visto come vecchio è quello ebraico, la cui esistenza è attestata nelle sacre scritture da
millenni (addirittura dai tempi dell’Antico Egitto). Nella concezione dei romantici, i
giovani popoli devono prendere il sopravvento sui popoli antichi: Francesi ed Ebrei
vengono rappresentati come infecondi, piegati e ormai paralizzati dalla vecchiaia. Non è
un caso che il primo Stato Tedesco attuerà una serie di politiche antisemite. Al
contrario, il tedesco viene rappresentato sempre giovane, muscolarmente esuberante,
con i capelli volutamente incolti, con delle forze che non riesce a gestire, mentre l’ebreo
è sempre tipizzato come un individuo vecchio, stanco, sterile (perché vecchio o perché
pervertito) e brutto.
La concezione dell’incompiutezza e della mancata chiusura dell’uomo romantico si
concentrano anche nella loro concezione della storia: alla base della cultura romantica vi
è l’idea della perennità/eternità del cambiamento. La loro filosofia si basa sull’idea di
un’energia che si sprigiona perennemente: ne segue che la storia sia caratterizzata al
cambiamento perenne e alla trasformazione continua delle forme. La vitalità dell’uomo
trova nella storia il suo luogo perfetto: se l’individuo è caratterizzato dallo slancio
illimitato, la storia è tantopiù pervasa da questo streben alla trasformazione e
ristrutturazione degli ordinamenti presenti. Ogni ordinamento è destinato a essere
superato da un altro ordinamento. Ogni movimento di trasformazione storica porta
dentro di sé.

- Una componente distruttiva  l’ordinamento deve essere superato e verrà


perciò destrutturato
- Un impulso alla riorganizzazione  tale spinta alla distruzione sprigiona la
forza per il cambiamento e l’affermazione di un nuovo ordine.
La storia, per i romantici, è caratterizzata da una dinamica molto simile a quella
dell’individuo: l’uomo è caratterizzato da uno slancio verso un cambiamento che lo
porterà a raggiungere una condizione differente. La storia, perciò, applica questa
concezione a livello universale. Nella concezione romantica tutti gli ambiti dell’operare
umano sulla base della tendenza all’esercizio di un’infinità progressività: questa
condizione è destinata a non esaurirsi mai. E così prosegue la storia: la storia passa da
un momento di distruzione a uno di riorganizzazione. La storia funzione sulla base di
una logica di rivoluzione permanente.
Il loro atteggiamento nei confronti della Rivoluzione Francese è diverso rispetto a quella
dei classicisti. Infatti, si presuppone che in base alla loro concezione di rivoluzione
permanente, la Rivoluzione francese sia qualcosa di perfettamente conciliabile.
Tuttavia, la Rivoluzione francese ha come obiettivo la sostituzione di un ordinamento
con un altro ordinamento, che dal punto di vista dei rivoluzionari francesi avrebbe
dovuto essere un ordinamento definitivo: questa concezione si scontra con il moto
perpetuo della dinamica storica del Romanticismo. Non c’è nulla di definitivo, ma tutto
cambia sempre. La Rivoluzione come principio di cambiamento è la legge fondamentale
della storia. Per loro la Rivoluzione francese è senz’altro qualcosa di positivo, ma i
romantici, a tale modello di rivoluzione, i romantici sostituiscono l’idea di una
rivoluzione regressiva. Una rivoluzione che sostituendo incessantemente un
ordinamento/regime/assetto con un ordinamento/regime/assetto alternativo, lasciando
inalterata questa dinamica insolubile alla modifica dello stato presente e al
cambiamento, arrivi procedendo da uno stato all’altro, distruggendo e costruendo,
magicamente/misticamente a ricreare uno Stato di equilibrio perduto ricreandolo però a
un livello di sensatezza/energia/potenza infinitamente più elevato che all’inizio. È un
paradosso: procedendo perennemente in avanti, il percorso della storia si ritorcerà su sé
stesso tornando a un punto di partenza ricreando non solo la condizione iniziale, ma la
ricreerà in una forma più energica/potente/avanzata.
Secondo Novalis, la storia è permeata dalla dinamica progressiva, e quindi l’idea tipica
della Rivoluzione francese di raggiungere uno Stadio ultimo della storia umana mal si
sposa con i romantici. Novalis passa di una rivoluzione conservatrice: il moto dinamico
ristabilirà un assetto iniziale, il quale, risorgendo, si manifesterà a un livello di energia
infintamente più elevato. Nel saggio Christenheit oder Europa (1799), Novalis afferma
che l’andamento storico deve tendere a far rinascere quella cultura dell’universalismo
cristiano che ha avuto il suo massimo storico nell’Alto Medioevo. Secondo i romantici,
il Cristianesimo dell’Alto medioevo, non ancora colpito dallo scisma protestante,
rappresentava il massimo stadio di universalismo. Nell’Alto Medioevo l’uomo viveva di
una totalità he poi verrà distrutta da una spinta alla disgregazione. Secondo Novalis la
forza del Papato si trovava nella capacità di mantenere la segretezza della religione,
sulla cieca fiducia del cristiano al prestigio e al potere del Papa. Nel Papa si riconosceva
un potere indiscutibile e non bisognoso di essere analizzato e compreso: il Sacro si
manifestava al fedele nella sua potenza non razionalizzabile. La religione esercita il suo
massimo potere quando non viene sottoposta a un’analisi storica e filologica, in quanto
le sue basi restano volutamente occulte e l’uomo si accontentava di credere ciecamente.
L’uomo viene mantenuto in una condizione di ignoranza che, per Novalis, è necessario
per mantenere la stabilità e la totalità dell’uomo.
Nello schema storico di Novalis questa condizione di positiva ignoranza viene meno
con la rivoluzione luterana, la quale promuove una concezione razionale e individuale
della sfera religiosa. La Riforma Luterana trasferisce al singolo individuo la capacità di
farsi un’immagine del divino. La forza del Papato, al contrario, si basava sull’assenza di
mediazione tra autorità religiosa e credente. Questo slittamento di paradigma cancella
quell’assetto universale che era alla base della società dell’Alto Medioevo. Per Novalis,
si tratta di re-istituire quell’ordine compatto, spingere la storia a ritornare alle origini
seppure su un livello di potenza più elevato rispetto alle origini. Come può rinascere?
Novalis pensa al concetto di Europa, ad una sorta di rifondazione dell’assetto
geopolitico del continente europeo non sulla base del concetto di umanità tipico
dell’Illuminismo, ma a una rinascita dello spirito cristiano dell’Europa. Novalis pensa al
superamento degli Stati nazionali e alla ricostruzione dell’Europa in un assetto simile a
quello dell’Alto Medioevo: l’Impero, sottoposto al primato della Chiesa. È evidente
come essa sia una Rivoluzione Regressiva. La rinascita dello spirito del cristianesimo
delle origini attraverso un nuovo assetto politico europeo a sua volta sottoposto al
primato del Pontefice.

2.3.2. Die Restauration (1815-1848)

La Rivoluzione Francese (e i suoi princìpi) e la Restaurazione avranno degli effetti sulla


società di inizio ‘800. Si possono infatti identificare due tendenze:

- Conservatrice/Reazionaria  condannò l’Illuminismo e la Rivoluzione


Francese, esaltò la tradizione passata e si pose in contrasto con le spinte
democratiche e liberali. Ciò accadde particolarmente in Prussia e in Austria,
dove entrambi i governi cercarono di reprimere ogni forma di cambiamento e
reagì, attraverso la censura o in maniera violenta, a qualsiasi spinta progressista.
- Progressista  affonda le sue idee nell’Illuminismo, ma ne interpreta alcuni
princìpi in modo diverso: in particolar modo i princìpi di uguaglianza, fraternità
e libertà (tipici della Rivoluzione) saranno alla base della nascita dell’idea di
nazione e del pensiero liberale, democratico e socialista.
Il risultato fu che nell’età della Restaurazione il dissenso politico era vietato o
sottoposto a gravi limitazioni in tutta Europa (anche se il livello di censura variava da
paese a paese). In quest’epoca, a mantenere vivi gli ideali della Rivoluzione furono le
società segrete (tra le quali la massoneria e la carboneria erano le più importanti):
tuttavia, esse avevano una base popolare troppo ristretta e questo portò al fallimento di
numerose insurrezioni. Nella Confederazione Germanica, tuttavia, tali insurrezioni non
si verificarono in quanto, sia Austria che Prussia adottarono una linea altamente
repressiva. In particolare, l’Impero Austriaco, sotto la dinastia degli Asburgo-Lorena, da
sempre era stato governato in maniera autoritaria con la finalità di restringere la libertà
di pensiero, di espressione e di organizzazione: in quanto nella prima metà
dell’Ottocento l’Austria era lo Stato tedesco più forte, tali misure vennero estese anche
alla Confederazione Tedesca. In questo periodo si possono riconoscere due forme di
censura (parola che riassume lo spirito dell’epoca):

- Una più morbida  effettuata su opere già pubblicate: vengono ritirate le copie
e vengono rivendute in una nuova edizione rivisitata.
- Una più dura  Quest’ultima colpisce le opere ancora da pubblicare e quindi
limita la libertà di stampa.

A risultarne più colpita è la vita universitaria: vengono selezionati e assunti i professori


più idonei al regime austriaco e vengono soppresse molte organizzazioni giovanili (le
corporazioni studentesche) con aperti sentimenti antiasburgici. Nell’epoca della
restaurazione l’attenzione degli intellettuali tedeschi è rivolta contro le rigide restrizioni
assunte dal governo di Vienna.

- Vormärz  termine che letteralmente significa ‘prima di marzo’ e fa riferimento


alla Rivoluzione del marzo del 1848. Questa categoria storiografica pone
l’accento sull’aspetto politico di quest’epoca: gli intellettuali appartenenti a
questa corrente sono legati da un interesse e da un impegno politico (militanti),
ossia la protesta antiaustriaca. A questa prima corrente appartengono alcuni
importanti autori:
1. Christian Johann Heinrich Heine (1797-1856)
2. Karl Georg Büchner (1813-1837)

È curioso notare come questi due autori verranno colpiti da una risoluzione del
Bundestag (1835), che vieterà la pubblicazione di qualsiasi opera di questi autori
in quanto li taccerà di far parte di un gruppo rivoluzionario noto come la Junges
Deutschland: quest’ultima fu una totale invenzione del governo tedesco
filoaustriaco in quanto entrambi gli autori si distanziarono sempre da tale
movimento. Per questo sia Heine che Büchner scriveranno le loro opere in esilio,
il primo a Parigi e il secondo in Svizzera. Essi ritengono che il compito degli
intellettuali e della cultura non sia solo l’espressione del bello, ma consista nel
chiarimento delle relazioni tra la realtà sociale e la politica. Relazioni che non
devono essere passivamente accettate, ma devono essere superate, modificate,
trasformate.

- Biedermeier  questa nomenclatura deriva dalla terminologia del mondo


dell’arte, in particolar modo dell’architettura: il Biedermeier è uno stile
architettonico e di arredamento degli appartamenti borghesi di interni che si
diffuse negli Stati Tedeschi nella prima metà del 1800. Esso è composto da due
termini: Bieder (onesto, inteso come primo di particolare acutezza, molto più
simile all’ingenuità/innocenza) e Meier (il cognome più diffuso nella Germania
meridionale). Questo termine rimanda a una vita mediocre, completamente priva
del minimo impegno politico e del benché minimo interesse al conflitto. Cosa,
quest’ultima, che permette di vivere un’esistenza isolata e tranquilla. Tra questi
autori che prendono implicitamente (lo ignorano) le distanze dalla cosa pubblica:

1. Adalbert Stifter (1805-1868)  le sue opere sono sempre ambientate in


luoghi lontani dalla vita e dalla sfera pubblica, bloccati in una dimensione
premoderna e, così facendo, protetti dai grandi processi di trasformazione
della modernità.
In entrambi i casi non si tratta di movimenti organizzati come lo erano stati il
Classicismo di Weimar o il Romanticismo, ma intellettuali che sono accomunati da un
certo atteggiamento nei confronti della censura asburgica.
Solo alla vigilia del 1848 si intensificherà l’interesse per i temi politici, tendenza
dimostrata dalla diffusione di un genere in particolare (tra le metà degli anni ’30 e il
1848): la lirica politica. Le opere appartenenti a questo genere si moltiplicano nel giro di
pochi anni e sono finalizzate a fornire modelli correttivi che forniscano nuovi modelli
che si sostituiscano alla desolante realtà del tempo. Infatti, è a questo periodo che risale
la scrittura dell’inno tedesco: Das Lied der Deutschen (1841) von August Heinrich
Hoffmann von Fallersleben (1798-1874).

Deutschland, Deutschland über alles,


Über alles in der Welt,
Wenn es stets zu Schutz und Trutze
Brüderlich zusammenhält,
Von der Maas bis an die Memel,
Von der Etsch bis an den Belt –
Deutschland, Deutschland über alles,
Über alles in der Welt!

Deutsche Frauen, deutsche Treue,


Deutscher Wein und deutscher Sang
Sollen in der Welt behalten
Ihren alten schönen Klang,
Uns zu edler Tat begeistern
Unser ganzes Leben lang –
Deutsche Frauen, deutsche Treue,
Deutscher Wein und deutscher Sang!

Einigkeit und Recht und Freiheit


Für das deutsche Vaterland!
Danach lasst uns alle streben
Brüderlich mit Herz und Hand!
Einigkeit und Recht und Freiheit
Sind des Glückes Unterpfand –
Blüh im Glanze dieses Glückes,
Blühe, deutsches Vaterland!

Dalla sua scrittura, il Canto dei Tedeschi è stato riutilizzato e reinterpretato in diversi
modi dai diversi governi tedeschi che si sono susseguiti dal 1848 in poi. Questa strofa
indica tre parole che deve seguire lo Stato Tedesco:
- Einigkeit  subito viene identificato il problema della mancata unità degli Stati
tedeschi.
- Recht  qui il riferimento è alla mancanza di uno Stato di Diritto e si attacca in
particolar modo la politica di repressione e di censura dell’Impero Asburgico
- Freiheit  tali diritti corrispondono e sono la base per la libertà dell’individuo.

Questi tre valori sono valori nutriti e nati dalla cultura giusnaturalistica/liberale tipica
del 1700: lo Stato viene presentato come il garante dei diritti collettivi, sociali e
fondamentali. Non vi è alcun riferimento a una natura marziale dello Stato e a nessun
conflitto con altre nazioni. Viene esaltato il fatto che lo Stato deve essere una casa, un
focolare, una patria per il proprio popolo. La prima strofa (Deutschland über alles) non
venne concepita da Hoffman in chiave esclusiva, ossia come la superiorità dei tedeschi
su ogni altro popolo, ma fa riferimento allo stato politico della Germania degli anni ’40
del 1800: l’obiettivo che deve precedere qualsiasi altro è quello di creare uno Stato
tedesco. Sopra ogni altro obiettivo deve esserci l’obiettivo di costituire una Germania,
non più solo come Kulturnation, ma anche come soggetto politico, ossia come
Staatsnation. Si potrebbe tradurre come: ‘Germania sopra ogni pensiero’. La prima
strofa è intrisa dei valori universali di diritti e libertà da attribuire a ogni individuo tipici
del 1848: dopo il fallimento della Rivoluzione apparirà chiaro anche agli intellettuali
tedeschi che il corso della storia sta procedendo su un’altra via. Sfortunatamente, questa
formula è stata reinterpretata in chiave nazionalistica dalla seconda metà del 1800 (in
particolar modo dal 1871) in chiave di politica di potenza: la Germania, ormai una
nazione, deve competere e prevalere sulle altre nazioni. Peraltro, la nascita di una
nazione tedesca sarà caratterizzata dall’assenza di una partecipazione da parte degli
intellettuali tedeschi e dall’assenza di quelle spinte liberali da esse foraggiate.
Ciò che è storico è, per sua natura, reversibile attraverso dei processi tipici della
storia. Heine esordisce in ambito letterario affermando che con la sua generazione inizia
una nuova epoca: Goethe e Schiller erano esponenti di movimenti letterari privi di
qualsiasi aggancio alla realtà sociale. Infatti, alla morte di Goethe, Heine proclamerà
che con la morte di quest’ultimo ha luogo das Ende der Kunstperiode: la fine del
periodo estetico. D’ora in avanti, secondo Heine, gli intellettuali dovranno rivolgersi
con spirito critico alla realtà in vista di una correzione degli aspetti arretrati/sbagliati
individuati: al contrario, tutti i movimenti precedenti avevano avuto solo una finalità del
bello/estetica. Classicismo e Romanticismo sono diversissimi, ma Heine li individua
come la stessa cosa. Tuttavia, Goethe e Schiller, al contrario di ciò che pensava Heine,
ritenevano di essere strettamente legati alla loro realtà storica: la posizione di Heine è
estrema, ma è giustificata dal fatto che con la sua generazione cambiarono i modi di
rapportarsi con il potere. Tuttavia, tutti gli intellettuali che vengono ricondotte al
Vormärz sono ancora profondamente influenzati da quell’atteggiamento universalistico
che è retaggio diretto dell’Illuminismo settecentesco.

2.3.3. Frühindustrialisierung

La Rivoluzione Industriale fu un processo di innovazione economica e di


industrializzazione della società che si verificò in Inghilterra nella seconda metà del
XIX Secolo e che, solo in seguito, si sarebbe diffusa in tutti i Paesi occidentali. In
Germania, un tale processo inizierà a verificarsi solamente nella prima metà del 1800.
La Rivoluzione Industriale in Germania si distinse da quella in Gran Bretagna in quanto
in quest’ultima a trainare l’industrializzazione fu il settore tessile (favorito da alcune
innovazioni tecnologiche), mentre per l’industrializzazione della Germania furono
fondamentali i settori della siderurgia (fondamentale per la costruzione di ferrovie) e
dell’estrazione mineraria. Convenzionalmente, si distingue tra due fasi
dell’industrializzazione tedesca: la Frühindustrialisierung (1815-1871) e la
Hochindustrialisierung (1871-1914). La prima fase dell’industrializzazione tedesca
ebbe un carattere estremamente regionale, in quanto vi erano zone della Confederazione
Germanica che per tradizione o per delle condizioni più favorevoli (per esempio la
presenza di infrastrutture o di risorse per le materie prime) riuscirono a intraprendere
questo processo in maniera più immediata.
Inizialmente la Germania si trovò svantaggiata nella corsa all’industrializzazione in
quanto le sue condizioni di partenza, in particolar modo nei confronti dell’Inghilterra,
erano molto peggiori. Innanzitutto, mancava un mercato unitario che permettesse la
libera circolazione delle merci (i vincoli feudali erano stati aboliti in Inghilterra già nel
1660): i risparmi realizzati nel settore agricolo fornirono agli imprenditori i capitali
necessari da reinvestire nell’industria. Al contrario, la Germania, anche dopo la
dissoluzione del Sacro Romano Impero, era ancora divisa in numerosi Stati sovrani e
indipendenti che si imponevano i propri dazi doganali. Inoltre, il settore agricolo, che in
Inghilterra aveva avuto una continua serie di innovazioni durante il XVIII, era arretrato
e la Germania, al contrario dell’Inghilterra, non aveva a disposizione un grande mercato
internazionale per la vendita dei suoi prodotti. Tuttavia, va sottolineato che anche in
Germania intorno al 1800 il settore tessile era abbastanza sviluppato: si stima che
almeno 1 milione di persone fosse impegnato in tale settore (in particolar modo nella
lavorazione del lino) in Vestfalia, Sassonia (dove si distingueva la città Chemnitz) e
Slesia. Lo stesso si può dire per l’industria mineraria, che già al principio del 1800
presentava alcuni importanti centri: la Renania (al tempo appartenente alla Prussia),
varie zone della Vestfalia (Siegerland e Sauerland) e l’Alta Slesia. A garantire un primo
impulso all’industrializzazione tedesca sarà l’istituzione della deutsche Zollverein
(1834): tra gli Stati tedeschi (ad eccezione dell’Austria) venne creata un’unione
doganale per favorire la libera circolazione delle merci e si venne a creare, per la prima
volta, un mercato interno nazionale (anche se non si poteva parlare ancora di nazione
tedesca).
Anche nel processo di industrializzazione la Prussia ebbe un ruolo fondamentale:
infatti, dal 1807 vennero varate una serie di riforme atte a trasformare il regno prussiano
da Stato agricolo a potenza industriale. In quest’ambito si distinsero i ministri Karl
Freiherr vom Stein (1757-1831) e Carl August von Hardenberg (1750-1822):

- Oktoberedikt (1807)  venne eliminata la servitù della gleba.


- L’Amminsitrazione autonoma delle città attraverso die rappresentanti eletti dal
popolo.
- Venne riformata l’amministrazione statale in modo da rendere la Prussia uno
Stato centralizzato.
- L’introduzione della libertà di svolgere un’attività lavorativa (Gewerbefreiheit)
- Una serie di riforme nel campo dell’educazione  misure volute fortemente da
Wilhelm von Humboldt (1767-1835), tra le quali si ricorda l’introduzione
dell’obbligo scolastico e la fondazione dell’Università di Berlino.
Altri Stati tedeschi nel corso del XIX Secolo, anche se in forme diverse e più o meno
intense, seguiranno l’esempio della Prussia. Così come in Inghilterra, la concorrenza
delle industrie inizialmente mise in crisi il settore degli artigiani, in particolar modo
quando il settore tessile iniziò a introdurre dei macchinari più efficienti da un punto di
vista produttivo. Coloro che avevano perso il lavoro furono costretti ad abbandonare le
campagne ad inurbarsi: nacque così il proletariato tedesco. Tuttavia, le città non erano
sempre pronte ad accogliere un numero sempre crescente di lavoratori nel settore
industriale: per di più coloro che trovavano lavoro nelle industrie dovevano lavorare in
condizioni disumane. Ad aggravare la situazione contribuirono, tra il 1845 e il 1846,
due cattivi raccolti. Si verificarono così delle insurrezioni che erano sintomo del
malcontento della popolazione: tra di esse si ricorda la Kartoffelrevolution (1847) che si
verificò a Berlino. Simili rivolte si verificarono in tutta la Confederazione Germanica
durante il 1847: si stava preparando il terreno per una rivoluzione più grande.

2.3.4. Die Märzrevolution (1848-1849)

Nonostante la Restaurazione e la conseguente politica di repressione della libertà


d’espressione, la tendenza comune degli intellettuali era quella di avere ancora il ruolo
di fornire un servizio alla collettività e plasmare i propri modelli con la finalità di
raggiungere il benessere collettivo. Essi, pur non partecipando all’organizzazione
politica, fornivano le proprie idee e i propri modelli di rappresentazione mostrare vie
alternative per la società. Come al solito nell’analisi kulturkritisch, il momento della
critica era seguito sempre dal momento della riflessione per favorire la crescita
complessiva della società (Pubblica Felicità). Questa pubblica felicità doveva essere
sempre legata e correlata alla felicità dell’individuo (tipica idea dell’Illuminismo): il
benessere del singolo era sterile se non collaborava al benessere collettivo, che a sua
volta deve essere mirato al bene dell’individuo. Tuttavia, questa idea dell’intellettuale
militante è solo un’utopia e, a tal proposito, un punto di rottura arriverà con il 1848.
Ancora una volta, il vento della Rivoluzione soffiò dalla Francia, dove nel febbraio
del 1848 il popolo parigino insorse per proclamare la nascita della Seconda Repubblica
Francese. Ben presto, la notizia della rivoluzione giunse negli Stati tedeschi, prima a
Vienna (13 marzo) e poi a Berlino (14 marzo). L’Impero Asburgico, dopo aver dovuto
concedere delle spinte liberali ai protestanti, riuscì a reprimere le rivolte anche grazie
all’aiuto delle forze russe. In Germania, le prime insurrezioni si registrarono nel Baden
e ben presto si diffusero in tutti gli Stati tedeschi: il risultato fu che venne eletta la
Frankfurter Nationalversammlung (maggio 1848-maggio 1849), per dare una
costituzione e un assetto unitario alla Confederazione germanica creando di fatto uno
stato unitario tedesco. Tuttavia, l’assemblea era divisa su quale modello da seguire per
un’unificazione degli Stati tedeschi:

- Kleindeutsche Lösung  quest’ultimo cercherà di perseguire la creazione di uno


Stato che riesca a inglobare tutti gli Stati di lingua tedesca, tranne l’Impero
Asburgico. Questa proposta era sostenuta in particolar modo dal Regno di
Prussia.
- Großdeutsche Lösung  quest’ultimo cercherà di promuovere l’idea di uno
Stato tedesco in grado di inglobare sotto la sua bandiera tutti i territori di lingua
e cultura tedesca. A favorire questo modello era l’Impero Asburgico.

La decisione della Frankfurter Nationalversammlung fu di prediligere la nascita di una


piccola Germania. A quel punto, la corona imperiale venne offerta a Friedrich Wilhelm
IV. (1795-1861), il quale, contrario al principio della sovranità popolare, la rifiutò: egli
non poteva accettare che il potere gli venisse offerto da una delegazione di borghesi. A
pesare, probabilmente, fu anche la non volontà di indispettire l’Imperatore d’Austria
Franz Joseph I. (1830-1916). Così i delegati austriaci e prussiani lasciarono
l’Assemblea: la possibilità di unificare la Germania era scemata. A quel punto
l’Assemblea costituente si spostò a Stoccarda, ma era ormai troppo tardi: il tentativo di
creare uno stato nazionale unificato e democratico fu violentemente represso nel luglio
del 1849 dalle truppe prussiane e austriache.
Come detto, questo momento segnerà un momento di rottura: la via liberale al
rinnovamento e all’unificazione risultò un completo fallimento. Da quel momento gli
intellettuali tedeschi rinunceranno alla pretesa di poter elaborare modelli generali che
condizionino la società: le idee non possono correggere la prassi/l’azione. Si può quindi
dire che l’intellettuale si rifugia in una torre d’avorio: a rimanere sarà solamente la
critica della società e un sentimento di forte disillusione e frustrazione.
2.3.5. Die deutsche Einigung

L’unificazione tedesca fu portata avanti dal più potente tra gli Stati tedeschi: la Prussia.
Nel 1861 morì Friedrich Wilhelm IV. e salì al trono suo fratello, Wilhelm I. (1797-
1888), il quale come prima scelta politica decise di nominare un nuovo Kanzler: Otto
von Bismarck (1815-1898), che passerà alla storia come l’Eiserner Kanzler (il
cancelliere di ferro). Quest’ultimo era fermamente convinto che dovesse essere la
Prussia a guidare il processo di unificazione tedesca con l’unico strumento che la guerra
mette a disposizione in questi casi, la guerra:

“Nicht auf Preußens Liberalismus sieht Deutschland, sondern auf seine Macht; […] nicht
durch Reden und Majoritätsbeschlüsse werden die großen Fragen der Zeit entschieden – das
ist der große Fehler von 1848 und 1849 gewesen –, sondern durch Eisen und Blut.“
(Otto von Bismarck, Berlino, 20 settembre 1962)

La Rivoluzione non può venire dal basso, ma può solo essere guidata dall’alto. Nel giro
di dieci anni, Bismarck riuscirà a realizzare ciò che nessun altro era riuscito a fare nei
secoli precedenti: l’unificazione della Germania. Ciò avverrà attraverso tre guerre (che
nella storiografia tedesca vengono ricordate come deutsche Einigungskriege):

- Deutsch-Dänischer Krieg (1° febbraio 1864-30 ottobre 1864)  la Prussia,


alleata con l’Impero Austriaco, dichiarò guerra alla Danimarca riuscendo a
strapparle il controllo i ducati dello Schleswig e dello Holstein: il primo andò
sotto l’amministrazione dell’Austria, il secondo della Prussia.
- Deutscher Krieg (14 giugno 1866-23 agosto 1866)  dopo aver stretto
un’alleanza con il Regno d’Italia, che nel frattempo voleva completare la
riunificazione della penisola (il Veneto era ancora sotto il controllo
dell’Austria), la Prussia dichiarò guerra all’Austria. La campagna militare della
Prussia durò appena 15 giorni e si concluse il 3 luglio 1866 con la Schlacht bei
Königgrätz, nella quale l'esercito austriaco subì una pesante sconfitta. Il 23
agosto 1866 fu stipulato a Praga il trattato di pace. L’Italia ottenne il Veneto,
mentre la Germania veniva divisa in due Confederazioni:
1. Norddeutscher Bund  inizialmente nata come unione militare, nel 1867
divenne un vero e proprio Stato federale.
2. Süddeutsche Staaten  gli Stati della Germania rimasero fuori dalla
Confederazione, ma erano collegate ad essa da un’unione doganale e
un’alleanza militare. Questi Stati non si erano potuti unire alla
Confederazione del Nord in quanto la Francia e l’Impero Russo avevano
imposto che essi mantenessero la loro autonomia temendo l’eccessivo
rafforzamento della Prussia.

- Deutsch-Französischer Krieg (19 luglio 1870-10 maggio 1871)  le relazioni


tra Francia e Germania nella seconda metà del 1800 erano tese soprattutto
perché Bismarck aveva più volte manifestato il proprio interesse per due regioni
francesi abitate da popolazioni di lingua tedesca: l’Alsazia e la Lorena. Il Casus
Belli non tardò ad arrivare: con il dispaccio di Ems, il governo prussiano riuscì a
far credere alla Francia che avrebbe acconsentito a proporre un parente di
Wilhelm I. come futuro Re di Spagna. La Francia, così, sarebbe stata circondata
da una possibile alleanza tra la Spagna a ovest e la Prussia e est: su queste basi il
governo francese dichiarò guerra alla Prussia il 19 luglio 1870. La superiorità
dell’esercito prussiano fu immediatamente evidente tanto che la vittoria non
tardò ad arrivare: con la Schlacht von Sedan (1°/2° settembre 1870) l’esercito
francese, ormai accerchiato, fu completamente sbaragliato. L'esito vittorioso
spinse gli stati tedeschi del Sud a iniziare le trattative con la Prussia per il loro
ingresso nella Confederazione. Il 18 gennaio 1871, nella Sala degli Specchi del
Palazzo di Versailles nasceva il Deutsches Kaiserreich di cui, su proposta di
Ludwig II. von Bayern (1845-1886), Wilhelm I. fu proclamato imperatore

Il nuovo Stato riprese a grandi linee quella che era stata la Costituzione della Germania
del Nord del 1866. La Germania divenne quindi una monarchia costituzionale:
- Gesetzgebung  era esercitato dal Reichstag, eletto direttamente con suffragio
maschile ogni cinque anni, le quali leggi diventavano esecutive previa
approvazione del Bundesrat, il consiglio federale dei deputati degli Stati.
- Exekutive  Il potere esecutivo era investito dall'Imperatore, il Kaiser, che
nominava il Reichskanzler e i suoi segretari di Stato, i quali, di conseguenza,
dipendevano unicamente dall’Imperatore.

Mentre gli Stati minori mantenevano i loro governi, le forze armate erano controllate del
Governo federale. In totale, l'Impero era una federazione di 25 Stati sovrani e del
territorio del Reichsland Elsaß-Lothringen sotto il governo del re di Prussia: come
capitale venne scelta la città di Berlino, per sottolineare l’importanza del Regno di
Prussia nell’unificazione.
La Germania si era unificata, ma non su quelle spinte liberali che avevano permesso
la nascita di altri Stati in Europa (il Regno d’Italia) o nuovi governi democratici
(Francia e Impero Britannico). La nazione tedesca nacque ‘meramente’ dalla forza
materiale di esercitare il proprio dominio e non sugli ideali illuministici. I principi
dell’Illuminismo si manifestarono definitivamente come immateriali e astratti, mentre il
mondo della politica appariva come qualcosa orientato da valori materiali propri. Il ’71
pose fine alle aspirazioni secolari degli intellettuali: lo Stato era nato, ma si era costruito
su principi diametralmente opposti. Da quel momento in avanti, l’atteggiamento degli
intellettuali tedeschi sarà di disimpegno e di depoliticizzazione: il Biedermeier diventa
l’atteggiamento universalmente accettato e condiviso dagli intellettuali tedeschi.
La seconda metà del 1800, dal punto di vista culturale, sarà importante per la
riscoperta della filosofia di un intellettuale fino a quel momento dimenticato: Arthur
Schopenhauer (1788-1860), con la sua celeberrima opera Die Welt als Wille und
Vorstellung (1818). Egli, quasi 30 anni prima, era giunto alla conclusione, similmente a
quello che pensava Leopardi, che ogni individuo fosse mosso dalla volontà/desiderio,
dalla quale noi siamo prederminati ad agire, di voler raggiungere un determinato
oggetto, ma, nel momento in cui lo raggiungiamo, non proviamo alcuna soddisfazione.
Il circolo in seguito ricomincia, portando l’individuo a sperimentare quella sensazione
che è la noia. È il nostro destino di specie, la nostra legge biologica e noi, in quanto
viventi, non possiamo liberarcene. La filosofia consiste nella cura da questa volontà: è
necessario reprimere questa volontà di vita per poter migliorare la propria vita. Il suo
obiettivo è ricavare una filosofia di vita. Per liberarsi dal dominio della volontà,
Schopenhauer individua tre modi:

- Ascesi  Egli fu lo scopritore della cultura indiana e introdurrà concetti


interessanti dal misticismo indiano. L’individuo tende a negare la propria
individualità e tende a scorrere all’interno di una corrente universale. Secondo
Schopenhauer è proprio l’esistenza individuale che genera questo Wille:
sentendomi parte di un ordine superiore, senza la possibilità di essere
identificato come soggetto e sacrificando me stesso mi posso liberare dal peso
della volontà.
- Arte  secondo Schopnehauer la musica agisce come farmaco alla volontà di
vita in quanto è la meno razionale delle arti. Avvicinandosi al mondo dell’arte,
l’uomo purifica sé stesso e si avvicina a una dimensione superiore.
- Aprirsi con gli altri  il modo migliore per negare sé stessi e superare il proprio
egoismo è provare empatia per l’altro. Dal sanscrito Schopenhauer ricava il
principio del Tat twam asi: questo sei tu. Fino a quando ci si sente come un
individuo staccato dal tutto si è mossi dalla volontà di appagare il proprio
interesse personale, ma se ci si considera componenti di una comunità legati da
una finalità comune si può raggiungere la pace.

Il pensiero di Schopenhauer ben si sposa con il sentimento di disillusione e distacco che


gli intellettuali usciti sconfitti dalla Rivoluzione del 1848 proveranno in quel periodo.

2.4. Die Wilhelminische Ära (1890-1918)

Bismarck, dopo aver raggiunto l’unificazione, guiderà la Germania ancora per un


ventennio (1870-1890), durante il quale divenne un gigante della politica europea, di
fatto facendo in modo che la Prussia si stabilizzasse definitivamente come una grande
potenza. Il suo governo fu caratterizzato dal rafforzamento dell’autorità centrale dello
Stato e dalla lotta a quelli che lui riteneva nemici della Germania:
- Kulturkampf  Bismarck vedeva nel cattolicesimo, presente soprattutto negli
Stati del Sud, un elemento che poteva compromettere l’unità Statale. Per questo
favorì una secolarizzazione della società volta a togliere il controllo della Chiesa
cattolica: tuttavia, la sua lotta al cattolicesimo ebbe poco successo.
- I Socialisti  nel 1875 venne fondato il più antico partito tedesco, il
Sozialistische Arbeiterpartei Deutschlands (SAPD), del quale August Ferdinand
Bebel (1840-1913). Da un lato, Bismarck adottò una politica repressiva
ostacolandone la libertà di stampa, dall’altro introdusse un vero e proprio
sistema di previdenza sociale, con l’obiettivo di allentare le tensioni sociali e
favorire una migliore integrazione dei lavoratori all’interno dello Stato. Anche
questa politica si rivelò un fallimento.

Bismarck perse quindi la sua popolarità e, con la morte di Wilhelm I. avvenuta nel
1888, la Germania si avviava verso un nuovo corso politico: il nuovo sovrano, Wilhelm
II. (1859-1941), mirava a creare un governo personale che perseguisse una Weltpolitik e
così, nel 1890, convinse Bismarck alle dimissioni. Il periodo compreso tra le dimissioni
di Bismarck e l’abdicazione di Wilhelm II. (10 novembre 1918) viene comunemente
chiamato Wilhelminische Ära (Era Guglielmina). Globalmente il termine
wilhelminismus viene considerato sinonimo di modernizzazione: ancora dopo il 1871
l’unico Stato tedesco che si poteva ritenere moderno era la Prussia, ma nel giro di pochi
anni la situazione cambiò radicalmente. Tuttavia, la conseguenza diretta fu che si
vennero a creare delle diseguaglianze estese nella popolazione. La Germania doveva
recuperare quel gap che si era venuto a creare già dalla prima metà del 1800, in
particolar modo con quelle potenze occidentali come Impero Britannico, Francia e USA
che vevano avviato un processo di rapidissima industrializzazione. Il Kaiserreich
doveva attraversare un processo di Prussianizzazione. Il processo di industrializzazione
che l’Impero sarà tanto veloce quanto traumatico.
Tipico di questo periodo è il fenomeno delle Binnenwanderungen: già solo tra 1850 e
il 1860 migrarono all’incirca 1,1 milioni di persone dalle campagne alla città, dove
entrarono a far parte di quella classe sociale conosciuta come Proletariato. La regione
più interessata da questo fenomeno fu il Bacino della Ruhr: città come Düsseldorf, Köln
e Duisburg saranno il luogo in cui nascerà la Germania del futuro. A questo periodo
risalgono anche i primi partiti di massa che nasceranno per rispondere alla cosiddetta
questione sociale: le condizioni di vita miserabili in cui vivevano le migliaia di persone
che, a causa dell’industrializzazione, si trasferivano dalla campagna e si inurbavano.
Questi partiti furono:

- Nationalliberale Partei (NLP)


- Sozialdemokratische Partei (SP)

Nella cultura tedesca, si parla anche di Jahrhundertwende: un periodo di radicali


cambiamenti sociali e politici che, sempre nell’ambito della cultura tedesca, è
completamente sovrapponibile a quello di guglielminismo, ma con qualche accezione in
più. Essa è una traduzione del francese Fin de Siècle. Tipico di questo periodo è la
completa chiusura degli intellettuali nei confronti della realtà del presente: questi
sviluppano forme identitarie e di esistenza in completa contrapposizione con le forme di
esistenza collettive. Questi modelli di esistenza non sono più mirati alla collettività, ma
sono create e apprendibili solo da un gruppo di élite, le quali adotta questi modelli per
andare contro lo spirito del tempo. In questo periodo gli intellettuali abbandonano il
rapporto con la società e si radunano in circoli ristretti (Kreis) estremamente selettivi:
spesso questi cenacoli si articolano intorno a un grande intellettuale dotato di una
grande personalità.
Fondamentale per questo periodo è la filosofia di Friedrich Wilhelm Nietzsche
(1844-1900) e l’opera più importante dell’ultima fase del suo filosofare: Also sprach
Zarathustra. Ein Buch für Alle und Keinen (1883-1885). In questo libro Nietzsche
propone la teoria del vitalismo: l’uomo dovrebbe dire sì alla vita (ja sagen zu Leben).
L’uomo deve essere in grado di raggiungere una vita potenziata. Egli criticò in
particolar modo la visione lineare della storia e del tempo, fondamento dell’idea di
progresso, la quale veniva criticata in quanto un’illusoria rilettura della tradizione
ebraico-cristiana. Come alternativa egli proponeva una visione ciclica dell’eterno
ritorno dell’uguale (Ewige Wiederkunft des Gleichen), nella quale ogni progresso è
annullato. A questa nuova concezione potevano adattarsi soltanto coloro che Nietzsche
definisce Übermensch: una figura in grado di fondare nuovi valori su cui realizzare la
propria individualità.
Intellettuali e artisti sviluppano forme di rappresentazione della propria identità che
portano chiaramente il segno della protesta e del distacco dal tempo presente.
L’intellettuale di questo periodo diventa un Flâneur: termine francese coniato da
Baudelaire il quale indica un gentiluomo che vaga oziosamente per le vie cittadine,
senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell'osservare il paesaggio.
L’intellettuale si pone così in contrapposizione con i ritmi della modernità, caratterizzati
da una politica economica industriale tipicamente molto veloce e finalizzata solo alla
produzione. Poeti, artisti e intellettuali sperimentano invece l’estetismo, in quanto essi si
concentrano sul bello, slegandosi completamente da qualsiasi dimensione reale o
sociale.
Nella cultura del 1800 vediamo riattiva quella poetica tipicamente romantica del
Poeta come dissidente, come rinnegato, come separato dalla società e interessato a una
dimensione slegata dal reale e profondamente improduttiva rispetto agli standard della
modernità. L’intellettuale sente di appartenere a una dimensione superiore, dotato di una
sensibilità completamente diversa, e anzi deve evitare il contatto con la realtà sociale
per poter difendere questa sua sensibilità: il contatto con la realtà viene visto come un
inquinamento della propria sensibilità. Prima del Romanticismo si riteneva che l’artista
fosse colui in grado di riprodurre una tecnica codificata da norme tradizionali, mentre da
dopo il Romanticismo gli si richiede di avere delle caratteristiche individuali che lo
distinguano (delle eccezionalità) dagli altri individui. Lo slittamento di paradigma è
dall’oggetto (l’opera d’arte) al soggetto (l’artista in sé), il quale viene visto come avente
una sensibilità superiore. L’arte viene intesa come un destino: non si può apprendere,
essa è predeterminata. Si rivedono in questo contesto le caratteristiche del vitalismo di
Nietzsche: alla banalità della vita comune viene opposta la costruzione di una vita
potenziata, ossia pervasa da una traboccante ricchezza di senso che si oppone alla
banalità della vita comune. Tutta l’arte di fine secolo a livello europeo contempla la
possibilità di una vita nuova, potenziata, non ancora corrotta dal modernismo presente.
Il movimento letterario tedesco più vicino a questo pensiero è il Simbolismo tedesco,
nel quale si diffonde il topos letterario della schönes Leben, in autori come:

- Hugo von Hofmannsthal (1874-1929)


- Reiner Maria Rilke (1875-1926)
- Stefan George (1868-1933)  fondatore di uno dei più conosciuti cenacoli
letterari della Germania guglielmina: il George-Kreis, nel quale riconosciamo
chiaramente l’intento di sostituire la società del presente con rituali alternativi. Il
cenacolo non si limita a offrire un mero luogo di discussione, ma funziona come
una vera e propria società in scala ridotta: vi sono rituali di ammissione, pratiche
sociali e codici di condotta (un programma di letture). Il leader del cenacolo non
viene visto solo come un amministratore, ma un individuo al quale i membri
riconoscono il possesso di capacità superiori nelle quali esse riconoscono un
primo embrione di quella potenzialità raccontata da Nietzsche. Il leader del
cenacolo diventa così una figura sacerdotale, di mediatore tra due realtà
posizionate su piani distinti dell’esistenza.

Solo con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) molti intellettuali
riterrano fosse giunto il momento in cui tornare ad avere quella funzione di guida della
collettività che avevano perso definitivamente nel 1848.

Herder, Ancora Una Filosofia Della Storia Per L'educazione Dell'umanità | PDF (scribd.com)

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