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Postilla a "Berua Raeticum oppidum dei Beruenses" di F. Luciani

Nel mio precedente contributo sul percorso Feltria-Ausucum (It. Ant. 280, 7-8) ho fatto
riferimento ad un interessante studio di F. Luciani (Berua Raeticum oppidum dei Beruenses, in
Geographia Antiqua n. 25, Firenze 2016, pp. 99-127). Come s'intuisce dal titolo l'A. si occupa di uno
dei più intriganti misteri che ancora avvolgono le ricerche storico-archeologiche: la collocazione del
centro romano di Berua. In una serrata indagine su testimonianze epigrafiche (tra cui spicca il
ritrovamento in una tomba del quartiere Posmon di una targhetta in bronzo con una dedica ad un
nuovo quattorviro iure dicundo ), centinaia di inumazioni di epoca romana con reperti e iscrizioni
databili tra I sec. a.C. e III sec. d.C., tracce di abitazioni, strutture artigianali e resti di strade,
considerazioni storiche e topografiche, Luciani giunge alla conclusione che l'insieme dei dati finora
acquisiti permette in via ipotetica di interrogarsi circa l'esistenza di un centro dotato di autonomia
amministrativa tra Asolo e Treviso: Montebelluna, che potrebbe essere identificata come lo
scomparso municipium di Berua. Finora ritenuta importante insediamento paleoveneto,
Montebelluna dimostrerebbe di aver avuto un peso non secondario in età romana fino a circa il
terzo secolo d.C., dopodiché sarebbe iniziata una fase di declino proseguita fino all'Altomedioevo.
La molla che ha fatto scattare il processo di identificazione tra il centro montebellunese e quello dei
Beruenses è stato proprio l'esame della lamina bronzea con la seguente scritta su sei righe:
L(ucio) Horatio Longo/ tr(ibuno) c(o)hor(tis) II vigil(um) / IIII vir(o) i(ure) d(icundo) / C(aius) Puḅlicius
Anterọ(s) / Ḷ(ucius) Publicius Pe- / [re]nnis patrono
che potrebbe costituire un indizio della possibile autonomia amministrativa e quindi del rango di
municipium di Montebelluna, accostabile all'oppidum di Berua anche per le analogie tra il cursus
honorum nel corpo dei vigiles del cittadino montebellunese e il medesimo servizio prestato da un
altro Beruense, C. Antonius C. f. Antullus. Ma è dal complesso dei rinvenimenti archeologici che
emerge il quadro di una cittadina romana di durata medio-lunga che sembra aver subito una
contrazione attorno al III sec. d.C., più o meno in linea con quanto sappiamo di Berua; come questa,
che doveva avere le caratteristiche di un insediamento d'altura, Montebelluna sorge su un piccolo
colle, in posizione strategica di raccordo tra pianura e area pedemontana, posta tra il fiume Piave e
assi stradali di origini protostoriche, che ben poteva rappresentare una tappa intermedia nel sistema
commerciale dei tria collegia nominati nella nota iscrizione feltrina di C. Firmius C. f. Menen. Rufinus,
esattamente nel ruolo economico-produttivo attribuibile a Berua.
Questa, succintamente, la tesi avanzata da F. Luciani, al momento l'ultima in ordine di tempo
ma che ritengo possa primeggiare tra quelle che vari specialisti hanno proposto in oltre un secolo di
studi, a prescindere dagli eruditi cinque-seicenteschi. Giustamente, l'A. sottolinea a più riprese
l'aspetto congetturale del proprio saggio, la necessità di ulteriori conferme in ordine alla valutazione
dei materiali esaminati. Mi sentirei di aggiungere anche per quanto concerne le osservazioni
topografiche e toponomastiche nonché, fatto non trascurabile, la poco convincente soluzione
prospettata per la facies retica dell'oppidum beruense, in accordo con quanto tramandato da Plinio
il Vecchio (Nat. Hist, 3, 130).
Tralascio di esporre le ipotesi susseguitesi nei decenni sull'ubicazione di Berua - Monti Berici,
Berga (VI), Pieve e Valle di Cadore, Pergine (TN), Sfufles di Bressanone (BZ), le Prealpi vicentine -
perché è più utile soffermarsi sulle fonti che ci hanno trasmesso il toponimo Berua. Si tratta di
quattro epigrafi, più una interpretata come riferentesi a Berua dal Mommsen, che ne pubblicò per
primo il testo:
1) una stele funeraria trovata a Fossombrone del I sec. d.C.:
C(aio) Corcilio / L(uci) f(ilio) Cla(udia) Spicae, / IIIIvir(o) i(ure) d(icundo) q(uinquennali? uaestori?)
Ber/uae. Locus se/pult(urae) publice/d(ecreto) d(ecurionum);
2) una stele funeraria da Skopje in Macedonia, sempre del I sec. d.C:

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L(ucius) Apuleius L(uci) f(ilius) / Scaptia Valens / Berua vet(eranus) leg(ionis) V / Mac(edonicae) vix(it)
ann(is) L, mil(itavit) / ann(is) XXII, h(ic) s(itus) e(st). / H(eredes) f(aciendum) c(uraverunt) Maxima
f(ilia) / et Hesperis lib(erta) / itemque con(iunx);
3) un frammento tabulare di marmo dal foro traianeo di Roma, del II sec. d.C, riportante la dedica
di alcuni milites, tra i quali fgura: M. Au[rel?]ius Strato Berua (quindi originario di Berua);
4) una base di statua del III sec. d.C, dedicata all’imperatore Caracalla dai vigiles della cohors V, tra i
quali il centurione C(aius) Antonius C(ai) f(ilius) Antullus, Beruae;
5) una lastra funeraria di un soldato di età augustea ( inizio I sec. d.C):
Q(uintus) Vettidius Q(uinti) f(ilius) / Cla(udia), Beria, / mil(es) leg(ionis) VIIII, / stip(endiorum) VIII, /
M(arcus) Petronius / et M(arcus) Attius / heredes posuer(unt). T. Mommsen suppose che ci fosse
stato un scambio di lettere tra Beria e Berua.
È superfluo aggiungere che da queste iscrizioni non si può ricavare granché sulla
localizzazione dell'ignota città romana. Maggiormente informativi sono due documenti, che
riportano il nome dell'etnico beruenses anziché quello dell'oppidum Berua come visto nelle epigrafi
summenziate:
1) una base di statua del II sec. d.C rinvenuta durante gli scavi per le fondazioni del Duomo di Feltre
(CIL V, 2071):
C(aio) Firmio C(ai) f(ilio) / Menen(ia) Rufino, / eq(uo) pub(lico), Lauren(ti) / Lav(inati), dec(urioni),
flamin(i), / patrono colle/giorum fab(rum), cent(onariorum), / dendr(ophororum) Feltriae / itemque
Beruens(ium), / colleg(ium) fabr(um) Alti/natium patrono;
2) un passo di Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 3, 130):
"In mediterraneo regionis decimae coloniae Cremona, Brixia Cenomanorum agro, Venetorum autem
Ateste et oppida Acelum, Patavium, Opitergium, Belunum, Vicetia, Mantua Tuscorum trans Padum
sola reliqua. Venetos Troiana stirpe ortos auctor est Cato, Cenomanes iuxta Massiliam habitasse in
Volcis. Feltrini et Tridentini et Beruenses Raetica oppida, Raetorum et Euganeorum Verona, Iulienses
Carnorum. dein, quos scrupulosius dicere non attineat, Alutrenses, Asseriates, Flamonienses
Vanienses et alii cognomine Carici, Foroiulienses cognomine Transpadani, Foretani, Nedinates,
Quarqueni, Tarvisani, Togienses, Varvari"
In merito all'iscrizione feltrina va precisato che era prassi consolidata a livello epigrafico, sia
in ambito funerario che onorario, segnalare l'appartenenza dei membri a collegi professionali a
scopo onorifico e di prestigio e promozione sociale ovvero di particolari attenzioni dopo la sepoltura,
piuttosto che di mero profilo economico e produttivo. L’età di massima fioritura del fenomeno
associativo si colloca fra I e III secolo d.C., com'è il caso dell'iscrizione feltrina. Anche a Belluno
esistono due epigrafi onorarie a patroni del collegium dendrophororum:
- EDR076560 del III sec. d.C., con il seguente testo:
M(arco) Carminio / M(arci) fil(io) Pap(iria) Pude / nti, equo pub(lico) / sacerdoti Lau(rentium)
La(vinatium) / electo ad causas / fisci tuendas in pro / vincia Alpium Mariti / mar(um), patron(o) rei
p(ublicae) Tergẹ[s] / tinor(um) patrono / pleb(is) urb(anae) / patron(o) colleg(i) dendropho / ror(um)
et fabr(orum) cur(atori) rei p(ublicae) Mantu / anor(um) cur(atori) rei p(ublicae) / Vicetinor(um) /
patrono Catubrinorum / plebs urbana patrono / ob merita. / Statuam a plebe oblatam / Iunia
Valeriana remissa / plebei inpensa / pecunia su / a posuit.
- EDR076561 del III sec. d.C., con il seguente testo:
[I]thaci. // M(arco) Carmi / nio M(arci) fil(io)/ Pap(iria) Puden / ti equo pub(lico) / sacerdoti
Lau(rentium) / Lav(inatium) electo / ad causas fisci / tuendas in pro / vincia Alpium Ma / ritimarum
patro / no rei publ(icae) Ter / gestinorum, pa / trono pleb(is) urb(anae) / patrono colleg(i) /
dendrophoror(um) et / fabr(orum) cur(atori) rei p(ublicae) / Vicetinor(um) / patro / no
Catubrinorum / Iunia Valeriana / marito rarissimo. L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum). // Ithaci.
Esempi affini di epigrafi in altre regioni italiane che riguardano il collegio dei dendrophori
sono:

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- CIL, IX, 939 a Castelmagno (BN) del II sec. d.C


- CIL, IX, 1459 a Ligures Baebiani (BN) del III sec. d.C, con il seguente testo:
Caio) Amar[f]io Q(uinti) f(ilio) / Saturnino veterano / Augg(ustorum) […] collegium dendro/forum
(!) itemque fabrum aere / conlato patrono benignissi/mo posuerunt / l(ocus) d(atus) d(ecreto)
d(ecurionum)
- CIL, IX, 1463 a Ligures Baebiani (BN ) del II - III sec. d.C
- CIL, IX, 5439 a Falerio Picenus del III sec. d.C, con il seguente testo:
T(ito) Cornasidio /T(iti) f(ilio) Fab(ia) Sabino e(gregiae) m(emoriae) v(iro) […]
collegia fabrum centon(ariorium) dendrophor(orum) / in honorem / T(iti) Cornasidi / Vesenni
Clementis / fili(i) eius […] patroni plebis et col/legior(um)
- CIL, XI, 6362 a Pisaurum del II - III sec. d.C, con il seguente testo:
T(ito) Caedio T(iti) f(ilio) Cam(ilia) / Atilio Crescenti […] patr(ono) VIvir(um) August(alium) /
itemq(ue) coll(egiorum) fabr(um), cent(onariorum), navic(ulariorum), / dendr(ophororum),
vicim(agistrorum), iuvenum foren/ sium
- CIL, XI, 6231 a Fanum Fortunae di età imperiale
- CIL, XI, 6235 a Fanum Fortunae del I - III sec. d.C, con il seguente testo:
[patrono] coloniae et IIIIII̅[virum] / Augustali]um, item fabrum, [cen/ tonarioru]m, dendroforu[m]
- CIL, XI, 6520 a Sassina (FC) del II sec. d.C
- CIL, XI, 377 a Ariminum del III sec. d.C con il seguente testo:
C(aio) Cornelio / C(ai) f(ilio) Quirin(a) / Felici Italo […] patrono coloniae, / vicani vicorum VII et /
co[ll] eg(ia) fabr(um), cent(onariorum), dendr(ophororum) urb(is)
- EDR074137 a Faventia (RA) del II sec. d.C, con il seguente testo:
D(is) M(anibus) / G(aio) C(---) Mansuanio Con= / sortio omnib(us) decu= / rionalibus ornament(is)
decorato IIIIviro q(uin)q(uennali) pat(rono) collegiorum fab(rum) et d(en)d(rophorum) procu= / ratori
iuvenum Ioviensium
qui suis inpendis cuncta curiae / suae concessit qui vixit ann(os) LX / {RE} m(enses) XI d(ies) XV
(h)o(ras) II / filios V nepo(tes) IIII lib(ertos) II / fili patri karissimo
- EDR080301 a Ostia del III sec. d.C, con il seguente testo:
C(aius) Iul(ius) C(ai) f(ilius) Cocil(ius) Hermes / patr(onus) et q̅ (uin)q̅ (uennalis) p(er)p(etuus) col(legii)
den(drophorum) Ost(iensium) / signum M(atris) M(agnae) ex argent(o) / p(ondo) III et ((semissis)) et
((sestertios)) VI m(ilia) n(ummum) d(ono) d(edit) ut VI / Kal(endas) Iun(ias) die natalis sui de /
((denariis)) CLXXX usuras eorum epu= / lentur etd̂ iscumbentes / sportulas partiantur / quot si
obserbatum non / erit tunc s(ummas) s(upra) s(criptas) honoratis / coll(egii) fabr(um) tig(nuariorum)
Ost(iensium) dari / volo sub condicione s(upra) s(cripta), / stipulatus est Cocilius / Hermes
ispepond(it) plebs. / Dedicat(um) Idib(us) Ianuari(i)s / Maximo et Glabrione / co(n)s(ulibus), ob cuius
/ d(edicationem) d(ecurionibus) dedit ispor(tulas) ((denarios)) II
- EDR082012 a Parma del II sec. d.C, con il seguente testo:
praef(ecto) leg(ionis)XX Valer(iae) / Victr(icis), primop(ilo) leg(ionis) / X Gemin(ae) Piae Fidel(is) /
cent(urioni) legion(um) IIII Scy= / thic(ae) XI Claud(iae), XIIII Gem(inae) / VII Gemin(ae) / patr(ono)
col(oniae) Iul(iae) Aug(ustae) Parm(ae) / patr(ono) municipiorum / Forodruent(inorum) et Foro=
novanorum patron(o) col= / legior(um) fabr(um) et cent(onariorum) et
dendrophor(orum) Parmens(ium) / Colleg(ium) cent(onariorum) merent(i)
- EDR155324 a Signia (Roma) del II-III sec. d.C., con il seguente testo:
T(ito) Iulio Euticheti patron(o) / et rectori colleg(ii) / dend(rophororum) Sign(inorum)
q(uin)q(uennali) ob / plura saepius bene= / ficia et munificent(iam) / largitionesque que / circa
collegium su= / um exibuerit dignis= / simo ex aere colla= / to statuam colle= / gium dendrophor(um)
/ posuerunt cuius de= / dic(atione) dedit sing(ulis) ((sestertios)) XXXII / et epulum ded(it).
- EDR116587 a Volcei (SA) del II-III sec. d.C., con il seguente testo:
D(is) M(anibus). / M(arco) Casinio / Firmo / collegius / dendrofo= / rorum

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Come si evince dai testi epigrafici riportati, la quasi totalità delle iscrizioni onorifiche sono
omaggi dei dedicanti alle attività evergetiche di patroni collegiarum e provengono, al pari di quella
feltrina, da zone montagnose, transappenniniche o comunque da territori ricchi di boschi dove era
fiorente la lavorazione e il commercio del legno. Quindi viene confermata anche da questa
documentazione che i centri patrocinati con presenza di collegi dendroforari dovevano essere
ubicati in aree montuose oppure pianure dotate di considerevoli patrimoni boschivi. Se Berua,
come lascia intendere senza dubbio l'iscrizione di Feltre, era sede di tria collegia bisognerebbe
propendere per un'ubicazione alternativa a quella di Montebelluna, non proprio abbondante di
boschi e risorse lignee (salvo il Montello). Ci sono tuttavia alcune importanti eccezioni - testimoniate
da CIL, XI, 377, CIL, XI, 6362, EDR080301, EDR074137 - nelle quali il dedicatario risulta essere patrono
del collegio dei dendrophori delle urbes di Rimini, Pesaro, Ostia e di Boncellino di Bagnacavallo (RA).
Ovviamente non si tratta di centri alpini e neanche di località ricche di boschi come le altre; dunque
si può legittimamente pensare che anche la boscosità dell'ambiente o l'essere posta in altura non
sia un requisito indispensabile per la Berua menzionata tramite l'etnico nell'epigrafe feltrina.
Pertanto torna in ballo la possibilità di identificare Berua con Montebelluna.
Esaminiamo adesso il brano di Plinio più sopra trascritto. Per meglio intenderlo è però
opportuno citare anche quanto lo scrittore latino afferma in Nat. Hist., 3, 46: "Nunc ambitum eius
urbesque enumerabimus, qua in re praefari necessarium est auctorem nos Divum Augustum
secuturos discriptionemque ab eo factam Italiae totius in regiones XI, sed ordine eo, qui litorum
tractu fiet; urbium quidem vicinitates oratione utique praepropera servari non posse, itaque inferiore
parte digestionem in litteras eiusdem nos secuturos, coloniarum mentione signata, quas ille in eo
prodidit numero [...]".
Plinio sostiene di voler seguire la suddivisione in undici regioni della penisola fatta da Augusto
nella Discriptio Italiae, percorrendo il contorno costiero e rinunciando, per motivi di brevità, a
indicare la successione geografica delle città nell'interno, optando per la loro elencazione nell'ordine
alfabetico di Augusto. Il che è vero, ad esempio, per la parte finale del paragrafo 130: Alutrenses,
Asseriates, Flamonienses Vanienses et alii cognomine Carici, Foroiulienses cognomine Transpadani,
Foretani, Nedinates, Quarqueni, Tarvisani, Togienses, Varvari. Ma nella prima parte del paragrafo
sembra che Plinio si adegui ad un criterio diverso: In mediterraneo regionis decimae coloniae
Cremona, Brixia Cenomanorum agro, Venetorum autem Ateste et oppida Acelum, Patavium,
Opitergium, Belunum, Vicetia, Mantua Tuscorum trans Padum sola reliqua [...]. L'impressione è che
nell'assegnazione delle stirpi a colonie e oppida l'A. faccia prevalere comunque una linea topografica
che corre da ovest verso est toccando prima il centro posto a sud e poi quello a nord e viceversa
(Cremona↑Brescia, Asolo↓Padova, Oderzo↑Belluno), con inizio e fine in ordine alfabetico
(Vicetia↓Ateste). Per di più ogni progenie viene segmentata e circoscritta nel proprio spazio
"topologico" vale a dire che il peculiare andamento dell’onomastica tra le "coordinate" geografiche
con il "sopra e il sotto" si ripropone per ogni etnìa (Cenomani, Veneti e verosimilmente Reti).
Inoltre, mi pare che l'elenco pliniano manifesti una peculiare figura retorica chiamata
omeottoto (es. nella 'nuga' 1 del Liber di Catullo: "Cui dono lepidum novum libellum [...]"): Acelum,
Patavium, Opitergium, Belunum cui fa seguito l'oppidum di Vicetia con il quale si torna nella
porzione ovest della regione (a nord di Este) e che chiude la digestionem in litteras cominciata con
Ateste e Acelum. Un andamento assolutamente conforme, con orientamento sostanzialmente N-S,
si riscontra anche nella descrizione delle colonie all'interno della Regio I Latium et Campania: Intus
coloniae Capua [...] Aquinum, Suessa, Venafrum, Sora, Teanum Sidicinum cognomine, Nola" (Nat.
Hist., Libro 3, 63). In questo passaggio, tra Lazio e Campania, l'ordinamento alfabetico è soppiantato
da una linea geografica che prende le mosse da Capua e si sposta così: Capua↖Aquino,
Aquino↘Sessa Aurunca, Sessa Aurunca↗Venafro, Venafro↖Sora, Sora↘Teano, Teano↘Nola. Non
credo si possa parlare di cammino randomizzato tra località che non sono neanche limitrofe, ma

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altrettante tappe di una direttrice NNE-SSO nel settore territoriale della Regio (con la sola eccezione
di Venafro - con cui ci si trasferisce nel quadrante ovest - che è l'ultimo toponimo in ordine alfabetico
e chiude la direttrice NE-SO). E non rispettano la serie alfabetica come, ad es., nella Regio II Apulia
et Calabria, "cetera intus in secunda regione Hirpinorum colonia una Beneventum auspicatius
mutato nomine, quae quondam appellata Maleventum, Aeculani, Aquiloni, Abellinates cognomine
Protropi, Compsani, Caudini, Ligures qui cognominantur Corneliani et qui Baebiani, Vescellani" (Nat.
Hist., Libro 3, 105), oppure nella Regio VIII Aemilia: "intus coloniae Bononia, Felsina vocitata tum
cum princeps Etruriae esset, Brixillum, Mutina, Parma, Placentia. 116 oppida Caesena, Claterna, Fora
Clodi, Livi, Popili, Druentinorum, Corneli, Licini, Faventini, Fidentini, Otesini, Padinates, Regienses a
Lepido, Solonates Saltusque Galliani qui cognominantur Aquinates, Tannetani, Veleiates cognomine
Vetti Regiates, Urbanates" (Nat. Hist., Libro 3, 115-116).
La mia sensazione è che in entrambe le Regiones I e X il percorso da una colonia all'altra o da
una città all'altra segua una traiettoria ben precisa poiché l'alternanza tra un nome e il successivo,
che appunto non è alfabetico, non è neanche frutto di mera casualità. La differenza
nell'orientamento geografico tra le Regiones prese in esame si spiega con la disposizione della
penisola italiana che "incedit per maria caeli regione ad meridiem quidem, sed, si quis id diligenti
subtilitate exigat, inter sextam horam primamque brumalem". (Nat. Hist., Libro 3, 45).
Altri giudicherà privo di senso quanto sto scrivendo, ma personalmente non riesco a trovare
una logica diversa nell'ordito testuale di Plinio. Non vi ravviso un semplice ordinamento alfabetico
e neanche un percorso geografico conseguente, semmai una commistione delle due cose. A che pro
questa pseudo analisi delle battute iniziali del paragrafo pliniano? Precisamente per tentare di
orientarci nell'interpretazione della frase che viene subito dopo: Feltrini et Tridentini et Beruenses
Raetica oppida, Raetorum et Euganeorum Verona.
Premesso che nella frase appena riportata si passa dall'enumerazione degli oppida all'elenco
degli etnici di ascendenza retica (secondo A. Albertini, Tridentini reticum oppidum, in Atti Accademia
Roveretana degli Agiati s. VI vol. XVIII (1978), p. 1 nota 1, l'uso dell'etnico in questo e in altri passi
doveva essere già presente nella Discriptio Italiae augustea), si potrebbe applicare la "griglia
ermeneutica" appena abbozzata anche a questa parte del paragrafo 130. Dagli oppida dei Veneti a
quelli dei Reti la descrizione parrebbe seguire un copione abbastanza simile a quello visto sopra:
invece di un elenco alfabetico di municipia si parte dai Feltrini per passare (insisto ancora!) con un
omeottoto ai Trentini e solamente dopo ai Beruenses che li avrebbero dovuti precedere
nell'elencazione digestionem in litteras. Pure in questo caso non escluderei una linea topografica
approssimativa dal basso verso l'alto (Feltre↑Trento), rectius nord-ovest (Feltre↖Trento).
Rimarrebbe il problema di Berua: dove collocarla nel quadrante geografico? Non penso si possa
spostarla verso est poiché, dopo l'accenno a Verona dalla connotazione ibrida retico-euganea, si
passa senza soluzione di continuità ai Carni e via via alle popolazioni del settore più orientale. Non
reputo accettabile neanche la collocazione verso ovest, dove troviamo appunto Verona e Vicenza
con relative pertinenze. Va detto, infatti, che c'è una sostanziale unanimità tra gli studiosi nel
ritenere che il termine oppidum in età augustea, al quale fa riferimento Plinio, si riferisse pressoché
esclusivamente alle comunità dotate di autonomia amministrativa. Bisognerebbe quindi ipotizzare
un municipium di origine retica, una vera e propria enclave, situato a ridosso di Vicenza o Verona,
piuttosto defilato e tagliato fuori dalle principali tratte viarie dell'epoca, affatto "montanino" e
sparito nel nulla dopo qualche centinaio d'anni. Forse le steli funerarie che citano Berua, così come
i due frammenti lapidei con nomi di soldati e l'iscrizione feltrina, porterebbero a supporre una
comunità non del tutto estranea alla vita politica, militare ed economica nel periodo clou della
romanità tra I sec. a.C e III sec. d.C.
Il suggerimento più9 intrigante è senz'altro quello di S. Pesavento Mattioli (I Raetica oppida
di Plinio e la Via Claudia Augusta, in Via Claudia Augusta, Feltre 2002, pp. 430-431 e La stele
forosemproniense di C. Corcilius Spica e il problema della localizzazione di Berua, in Forum

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Sempronii, I, Scavi e ricerche 1974-2012, Urbino 2012, pp. 263-278.): ubicare Berua nelle valli alto
vicentine (Agno, Leogra, Astico), in particolare a Santorso; per la studiosa il centro dell'Alto
Vicentino, in una zona ricca di minerali e acque, si presterebbe molto bene anche dal punto di vista
toponomastico (stando a A. Zamboni, Berua in "Aquileia nostra" 1974/75, col. 90, il nome potrebbe
derivare dalla radice indoeuropea *bher, "agitarsi violentemente, ribollire", che egli collega alle
acque termali); inoltre, a Santorso sono emersi manufatti di tipo Fritzen-Sanzeno e un paio di case
retiche seminterrate. Queste case sono comunque sparse un po' ovunque alle pendici delle Prealpi
vicentine, almeno fino a Rotzo sull'altopiano dei Sette Comuni, hanno avuto un ruolo preminente
come insediamenti, specie Santorso, dediti allo scambio commerciale tra paleoveneti di pianura e
reti della zona montana nel V sec. a.C.; sembra assodato che dopo il II sec. a.C. tali insediamenti
siano poi collassati in modo generalizzato. Proprio a Santorso in ispecie ci sono evidenze di
commistione tra culture venetiche, euganee e retiche. La scoperta di alcune tombe con tipologia di
inumazione riconducibile agli Euganei, ha fatto propendere per un popolamento delle Prealpi
vicentine da parte di queste genti spintevi dall'invasione dei Veneti nella sottostante pianura
durante l'VIII sec. a.C., ed è tuttora l'opinione più accreditata. D'altronde il rinvenimento sulla
collina di Magrè a Schio di corna di cervo recanti iscrizioni votive in lingua retica nella c.d. 'variante
di Magrè' porta nella direzione di una forte presenza di Reti, rintracciabili lungo l'intera val d'Astico
da Piovene al colle di Meda e oltre. Tutto il distretto pedemontano fu sede di numerosi insediamenti
preromani dediti allo sfruttamento delle abbondanti risorse acquifere, all'attività siderurgica e alle
prospezioni minerarie. Difficile sottostimare l'apporto culturale di popolazioni di origine retica
nell'area, ma la stessa Pesavento Mattioli sottolinea come "si tratta di una situazione molto fluida"
per la mescolanza di elementi delle tre etnie (venetica, retica ed euganea), dovuta al secolare
scambio di merci e materie prime con vicentino, padovano e atesino.
Al momento le scarse evidenze archeologiche non depongono a favore di insediamenti
organizzati di epoca romana, tuttalpiù nuclei abitativi che punteggiavano le propaggini meridionali
del pedemonte, senza addentrarsi molto per le valli salvo che per la transumanza. Va pure ricordato
che durante la romanità l'attuale Santorso era indicato con il toponimo Salzena da un Fundus
Saltieno. e pare riconducibile più che altro allo sfruttamento delle risorse agro-pastorali e iddiche
del territorio. Un insediamento disassato rispetto alle direttrici romane prevalenti, comunque da
tenere nel debito conto piuttosto per il periodo protostorico, difficilmente collegabile a un
municipium come gli altri elencati da Plinio nel paragrafo 3, 130 della Nat. Hist.
Nè si può immaginare un centro abitato assurto al rango di municipium nella Vallagarina tra
Rovereto e Verona (città retico-euganea secondo Plinio): difatti tale scenario è recisamente
smentito dalla contiguità tra gli agri di Trento e Verona (il confine tra i due municipia si ritiene
dovesse passare poco a nord dell’odierna città di Rovereto, grossomodo all’altezza dell’abitato di
Volano); senza dimenticare i cinque miliari rinvenuti in Vallagarina tra i quali il miliare di Volano
(dedicato all’imperatore Giuliano con l’indicazione della distanza di LVI miglia); quello di Marani a
nord di Ala (dedicato a Costantino con l’indicazione di XXXVII miglia) e un frammento rinvenuto nella
chiesa di S. Maria di Avio che reca incisa la cifra XXIX: distanze che non possono conciliarsi con un
centro intermedio tra Verona e Trento.
Se la "griglia" funzionasse si potrebbero escludere anche zone più a nord di Trento e si
verrebbe ricondotti a un'alternativa che avrebbe il pregio di allogarsi molto bene nello schema
pseudo topografico evidenziato, ossia un'area che (eliminando peraltro la Valsugana, fino a
Primolano avara di centri potenzialmente idonei a parte quelli riportati negli Itineraria romani e con
Pergine troppo a ridosso di Trento per esserne autonoma e da cui non sono emerse finora vestigia
di edifici romani) verrebbe a trovarsi all'incirca a sud di Feltre (Feltre↓Berua), rectius sud-est
(Feltre↘Berua): ugualmente ai centri venetici elencati prima anche per quelli retici l'ordinamento
alfabetico si completa dopo aver tracciato una linea topografica discendente (Vicetia↓Ateste e

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Trentini↓Beruenses) rispettando la topologia dei ceppi etnici e lasciando a sé Verona dalle


componenti miste (retiche ed euganee) .
Tutto ciò potrebbe calzare con un quadro d'insieme che si accorderebbe al meglio con la
narrazione di un letterato enciclopedico e fine osservatore della geografia fisico-politica quale
Plinio. E soprattutto, scartate le alternative atesina, valsuganese e vicentina, darebbe ulteriore forza
all'ipotesi dell'identità Berua = Montebelluna. Un piccolo centro alle porte delle Prealpi e della prima
dorsale dolomitica. Giustamente A. Albertini, nella nota cit., pone in risalto il fatto che l'uso
dell'etnico al posto del toponimo è solitamente riservato a comunità mancanti di un centro cittadino
notevole. Sia nel passo di Plinio che nell'iscrizione di Feltre viene utilizzato l'etnonimo Beruense,
evidentemente per rimarcare le modeste dimensioni dell'insediamento, non dissimile da quanto
sappiamo sui perimetri cittadini di Feltre e Trento in epoca romana, forse, aggiungo, ancora più
ristretto della stessa Feltre se badiamo alla scelta di un aggettivo invece del nome della città Berua.
Caratterittiche appropriate per un abitato come Montebelluna, piccolo e inserito come un cuneo
tra la zona retica a monte e il "confine" venetico rappresentato da Asolo a ovest e Oderzo a est.
Ritengo molto significativa l'assenza di Treviso nell'elenco di Plinio; potrebbe essere la spia
di un'assetto viario che, come a suo tempo già affermato da L. Bosio (Il fiume Sile in età romana:
problemi e prospettive di ricerca, in Quaderni del Sile e di altri fiumi, n. 1, Treviso 1978 p. 33),
escludeva Treviso dai principali assi stradali. Si può ragionevolmente ipotizzare che in età augustea
Treviso non avesse ancora raggiunto una fase di sviluppo urbano tale da farla diventare un polo
commerciale di prim'ordine. Un esordio lento, facilitato dal corso del Sile con sbocco nel porto di
Altino che sarebbe stato il volano di un espansione economica inarrestabile; nel giro di qualche
secolo Treviso avrebbe oscurato l'importanza relativa di Montebelluna: più che alle maggiori strade
(F. Luciani pensa alla Claudia Augusta), che comunque gravitavano nel comprensorio trevigiano, mi
sembra che determinante per il declino di Montebelluna e l'ascesa di Treviso sia stata proprio la
presenza all'interno di quest'ultima città di un asse fluviale di collegamento con Altino, sulla falsariga
di quanto sostenuto dal Bosio.
In piena età augustea il centro montebellunese poteva risentire gli effetti di un nucleo
abitativo protostorico solido e consolidato anche se non enorme, verrebbe da dire "vivendo di
rendita". Del resto l'importanza di Montebelluna non è mai venuta meno, considerato che pure a
tutt'oggi è uno snodo primario per il trasporto ferroviario interregionale. Concordo con F. Luciani
che probabilmente in tarda epoca imperiale e fino all'Altomedioevo sia avvenuto un cambiamento
nella fisionomia urbana di Montebelluna connesso all'ormai maturo e stabile sviluppo di Treviso,
che ricalca ciò che sappiamo della scomparsa Berua. Consento del pari con le sue congetture in
merito all'apertura verso nord dell'ager municipale di Montebelluna, adiacente a quello di Feltre
con cui doveva esserci una contiguità non solo topografica, giusta il testo di CIL V, 2 071; meno
d'accordo sarei sul miliario di Fener, che mi pare più ragionevole indicasse la distanza da Feltre
(pendant di quello ritrovato a Tenna) anziché da Montebelluna, non attraversata direttamente da
una strada di grande comunicazione e non menzionata dagli Itineraria pervenutici. Ciò non toglie
efficacia all'ipotesi di Montebelluna/Berua, in quanto la cittadina era pur sempre vicinissima a
tronchi stradali quali la Opitergium-Tridentum e la Postumia, nonché al Piave da sempre fiume
privilegiato per la fluitazione del legname. E non mi sembra un caso che nella lista di Plinio
compaiano soltanto oppida e colonie raggiunte da un saldo reticolo viario. Ci sono, a mio avviso,
parecchi tasselli che inducono a prendere in seria considerazione la proposta di F. Luciani.
Rimane sul tappeto la questione dell'inserimento dei Beruenses tra i retica oppida da parte
di Plinio. Non mi pare molto soddisfacente la tesi di C. Anti (Altino e il commercio del legname con il
Cadore, Venezia 1956, p. 24) che riconosce nell'aggettivo retico "il carattere alpino comune alle
gentes del Trentino e del Bellunese", stante la pliniana Raetorum et Euganeorum Verona che tutto
è fuorché un luogo di genti alpine. Non sarebbe pertanto problematico ascrivere Montebelluna a
una cultura retica lato sensu, non fosse per gli incontrovertibili materiali di stampo venetico venuti

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alla luce nelle necropoli di Posmon e Santa Maria in Colle. Come dicevo all'inizio, questo è un aspetto
che dovrà essere scrupolosamente monitorato in prosieguo di tempo per verificare se, come
prospettato dal Luciani per Castelcies e altri sporadici ritrovamenti nel centro montebellunese,
emergeranno probanti indizi di una generica cultura assimilabile alla Fritzen-Sanzeno, assimilabili a
quelli rinvenuti a Feltre e ovviamente nel Trentino.
Poi c'è il ruolo della toponomastica. Più sopra ho accennato all'analisi del poleonimo Berua
condotta da A. Zamboni, che ha congetturato all'origine del nome una "diffusa radice indoeuropea,
non priva di riflessi toponomastici: *bh(e)reu-, *bh(e)ru-, ampliamento di *bhĕr- [/*bhŏr-] ‘agitarsi
violentemente, ribollire’ «con allusione a fonte o acque termali» (op. cit., coll. 90-92) passata al
latino per il tramite del gallico con «l’evoluzione fonetica di bh-» > gall. b-. Per tale motivo lo
Zamboni ha fatto il nome di Pergine, in un area di fonti termali e di sicuri ambito retico o nei pressi
dei Monti Berici a sud di Vicenza (op. cit., col. 89). Il nome di Monti o Colli Berici ha origine da Monte
Berico (monte Bericano nel 126), un colle nelle immediate vicinanze di Vicenza; nel medioevo sono
attestati Berica (983), loco q. vulgo Berga dicitur [...] porta Bergae (1000), Beriga (1068), Beregam
(1212), in Berica (1215), versus Bericam (1262) che corrispondono a «Berga, nome di un quartiere
della zona urbana di Vicenza chiamata tuttora Borgo di Berga, che è documentato dal 1460 (D.
Olivieri, Toponomastica veneta, 1961, p. 29)». Berga venne già indiziata come l'ignota Berua in un
primo momento da G.B. Pellegrini (L’agro di Iulium Carnicum e le iscrizioni confinarie su roccia,
ASBFC, 1957, pp. 121-131 e G.B. Pellegrini- A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, Le iscrizioni,
Padova-Firenze, 167, p. 455-456). Berica, attraverso una forma *Ber(u)ica, forse aggettivo in -ica
(concordato con un sostantivo femminile: «urbs o civitas»). Alla forma Berua sono con buona
probabilità accostabili i nomi personali Beruus, Beruius, dal celt. *beru-, *beruo- ‘sorgente, fontana’.
Secondo X. Delamarre (Dictionnaire de la langue gauloise, Parigi 2008, p. 73; Noms de lieux
celtiques de l’Europe ancienne (- 500 / + 500). Dictionnaire, Arles 2012, p. 76) la Berua delle iscrizioni
deriverebbe da un beruā significante ‘la fonte’ oppure ‘podere (o possedimenti) di Bervos’
(antroponimo attestato nella forma Bervus). In tutti i casi, tolto forse l'ultimo, il collegamento con
risorse idriche escluderebbe dai siti proponibili per l'antico centro retico proprio Montebelluna,
caratterizzata proprio dalla penuria di corsi d'acqua naturali. Un ulteriore, grosso ostacolo per
l'identificazione di Berua con Montebelluna è dato proprio da quest'ultimo toponimo.
Sebbene le prime attestazioni del nome risalgano al Medioevo, non si può dubitare circa la
vetustà dello stesso, verosimilmente attribuibile all'invasione gallo-celtica nei secoli precedenti la
romanizzazione dell'area tra Belluno e Treviso, città che nel proprio toponim o manifestano una
matrice gallica (celto-venetica per Treviso (*tarwo-< *taur-wo-),. E nel mezzo c'è Feltre, poleonimo
etrusco (< Fel-th[u]ri). Si cfr. J. Bassett Trumper - G.Tomasi (Residui celtici nella toponomastica
altoveneta, Cenedese e Bellunese in particolare: appunti sulla teoria e sulla realizzazione dei 'Cover
Names', Atti del convegno "Ceneda e il suo territorio nei secoli" (Ceneda, 22 maggio 2004), pp. 10-
14, il primo grassetto è mio): "[...] Belluno, cui non sono estranei i toponimi viciniori Beline (1440,
1494), Biline (Vidor, TV, 1542), Bellina (Serravalle, TV 1548), Belin (Valdobbiadene, 1499), Bolontus
(853) = manso de Belonto ( 1181) = Belont (1376, Feletto), Calbelonega, Col de Beluogn (1534, Mel),
calle armentareza de Bellogno Ceneda 1439, Monte Belluna ecc. [...] Pellegrini (già dal 1962 in poi)
riallaccia tramite la grafia pliniana di Belunum ad una probabile forma gallo-latina *Belodunum,
toponimo derivato dalla base *BEL-'splendente' (Pellegrini 1962: 27-28 "la frequenza del tema *BEL
nei nomi locali e nell'onomastica celtica", ricollegato con Belluno della Val d'Adige, Verona, e
conclusione ibid. "non è teoricamente impossibile un'origine celtica", Pellegrini et al. 1992 [Oronimi
Bellunesi (Belluno-Alpago-Agordo-Zoldo), Padova, n.d.r.]1992: 8-9). Si veda anche Pellegrini
[Toponomastica celtica nell'Italia settentrionale, in E. Campanile (ac. di), n.d.r.]1981: 47 sulla
presenza di Bel[l]unum già in Plinio NH 3. 130 e nelle iscrizioni, con deriva proposta *Belo-d num >
*Beld num (passo suggerito da G. Bonfante, con sincope e successiva assimilazione progressiva l'd
> 11) > Bell num "da un gall. bel-(< bhel-) 'splendente' ... ". Non riteniamo che Belluno sia qui lo

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sviluppo diretto di un aggettivo simile, bensì indiretto, cioè del nome divino Belo-= Beleno-= Apollo
adulto (Marte, dio della guerra), una divinità Lupo, essendo 'bianco; grigio' il nome secondario del
lupo, che poi degrada, nel celtico insulare, nella martora ed in altre mustelidi reperibili nelle Isole
Britanniche. Si tratterebbe, a mio parere, di una 'cittadella di Lugo'. Per dimostrare ciò occorre
indagare a lungo ed in dettaglio su Belo-, Bel-eno-come divinità del mondo celtico, la sua probabile
identità con Lugo, come divinità della 2a funzione duméziliana, la zoomorfia della divinità e la sua
remota etimologia. [...] Tutto ciò tende a sottolineare il ruolo centrale di Belos/ Belenos nella vita
cultuale e rituale, vale a dire in senso storico, come dio della seconda funzione indoeuropea, simbolo
e garante dell'antica confederazione bellica; un fatto simile, cioè l'importanza della divinità,
potrebbe facilmente spiegare la diffusione del nome divino. Riassumeremmo quanto segue, in
termini di 'divinità' Belenos = Lugos, il santuario federativo, insieme all'area processionale de l 'dio'
che passa anche per i fiumi viciniori, nei posti seguenti dell'antica diffusione celtica, andando prima
da oriente ad occidente (a-d), aggiungendo in fondo ciò che possiamo ricostruire per il Veneto
settentrionale: (a) Aquileia-Beligne ( < Belenus) -Ansi ola ( < * Ans-); (b) Lugudunum (< Lugo-)-Ansa
(< *Ans-); (c) Camulodunum (*Camulo-=Lugo-): Cunobelinus (< Cuno-+ Beleno-)-Adansam (< *Ans-
); (d) Galles: Dinlleu (< Lugo-)-Yr-As (< *Ans-); (e) Belluno(< Belo-dunum)-Ansuga (< *Ans-)."

Quello presentato più sopra è anche una specie di gioco, tutto sommato. Quando ho letto
per la prima l'articolo di F. Luciani e la documentazione sulla sepoltura n. 339 della necropoli di
Posmon, via Cima Mandria a Montebelluna, mi sono subito chiesto se l'ipotesi del Luciani fosse
sostenibile alla luce del fatto che la tomba conteneva i resti osteologici di una donna cremata. Il
dubbio che sorge spontaneo è se realmente la targhetta bronzea trovata all'interno della sepoltura,
che riporta il cursus honorum di un uomo di sicuro prestigio, si riferisca a un individuo residente a
Montebelluna (inizialmente si pensò a un cittadino di Montebelluna quattorviro nel municipium di
Asolo). Che rapporto c'era tra i due? Si è parlato di prossimità sociale o parentale tra la defunta e il
patronus L. Horatius Longus, dedicatario della targa onoraria e tra i cives più in vista anche per aver
ricoperto la carica di tribunus vigilum a Roma. È possibile, mi domandavo, che questo personaggio
provenisse da un ambito territoriale estraneo a Montebelluna? Dopotutto la mobilità tra centri
abitati era un tratto distintivo allora come oggi e quindi potrebbe darsi che Lucio Orazio Longo
provenisse da altre città o regiones, magari a Roma era arrivato da luoghi a questa più vicini. Questo
è stato solamente il primo impatto, per non voler cedere alla tentazione di identificare
Montebelluna, non dico con Berua, ma sia pure con un municipium "strangolato" tra quelli di Asolo
e Treviso; poi ho compreso che le possibilità in entrambi i sensi ci sono: la cittadina potrebbe essere
stata il municipium che Plinio ha definito come la sede dei Beruenses, il quattorviro della targa in
bronzo potrebbe essere stato uno dei più prestigiosi membri della loro comunità (rimane però la
fragilità di una prova indiretta di appartenenza...), uno dei pochi nella Venetia et Histria e il secondo
beruense attestato nelle iscrizioni ad aver ottenuto la carica di tribunus vigilum. Anche se, bisogna
pur dirlo, l'indizio esibito dal Luciani ha le pericolose sembianze di una nota fallacia argomentativa,
l'errore genetico o affermazione del conseguente: a Montebelluna è stata trovata una plachetta con
la menzione di uno sconosciuto quattorviro, quindi Montebelluna era un municipium...
Ma la vera sfida per portare avanti la candidatura di Montebelluna, tra mille difficoltà e con
buona pace della toponomastica, è ovviamente accumulare quante più prove possibili, in primis
archeologiche, e poi storiche in senso ampio, al di là di analogie suadenti e speculazioni troppo
ardite su Mons Beruenses→Montebelluna, accattivanti ma non dimostrabili congetture sul miliario
di Fener o su attività produttive specialmente del settore laterizio eclissate nel tempo dal presunto
tracciato della Claudia Augusta, che pur sfiorando il centro abitato ne sarebbe passata
sufficientemente distante da dirottare altrove i grossi traffici commerciali e far calare
definitivamente il sipario su Berua.

Silvano Salvador

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