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Tagliata di Bartolomeo Alviano

Presso l'Archivio di Stato di Venezia (Raccolta Terkuz n. 50) è conservata una


carta manoscritta anonima disegnata a penna, di mm. 415 x 540, che rappresenta
buona parte del Cadore e di cui ha scritto E. De Nard (Cartografia bellunese. Saggio
storico, Belluno 1985, pp. 22-24). Il disegno venne esposto nella Mostra "Boschi della
Serenissima utilizzo e tutela" allestita dall'A.S.Ve. (Venezia, 25 luglio-4 ottobre 1987,
p. 40 del relativo catalogo). La peculiarità che a mio avviso rende interessante questo
documento, prima di esaminarne più partitamente le caratteristiche cartografiche, è
una scritta, posta subito al di sotto dei borghi di Valle e Tai e appena sopra Rua Secco,
che recita: Tagliata di Bartolomeo Alviano. È naturale riandare con il pensiero alla
famosa battaglia combattuta il 2 marzo 1508 tra l'esercito veneziano, comandato
appunto da Bartolomeo d'Alviano, e il corpo di spedizione tedesco dell'imperatore
Massimiliano I d'Asburgo agli ordini di Sixt von Trautson. Le operazioni sul campo si
conclusero con la perdita di una decina di effettivi dello schieramento veneziano e di
oltre 1.800 tedeschi dei quali molti furono trucidati e fatti a pezzi. "Percioche seben
si ritrouarono con buon'ordinanza sopra un colle, facendoui honorata difesa,
nulladimeno gittarono alla fin l'armi, nè per ciò poterono trovar pietà negli adirati
animi de’ uincitori, si che non fossero tutti tagliati à pezzi", scrive M. Savorgnan (Arte
militare terrestre e maritima, ed. postuma, Venezia 1599), che continua: "alla qual
seuera uendetta si attribuirono poi gli acerbi danni, che fecero quelle genti, calate in
più grosio numero nello stato della Republica Venetiana" (op. cit., pp. 175-176).
Siccome dell'episodio ho già detto qualcosa altrove, tralascio gli militari
dell'evento per porre in evidenza piuttosto la singolarità della scritta stessa, poiché in
prosieguo di tempo non si trova più traccia del fatto d'arme nelle carte corografiche
della regione.
De Nard, che sorvola sulle notazioni in essa reperibili, dice che "la carta non
porta data, ma, per le caratteristiche del disegno, può ritenersi eseguita nei primi anni
del Seicento, senza escludere che possa appartenere alla fine del secolo precedente.
In questo caso sarebbe la più antica raffigurazione del Cadore." (Cartografia cit., p.
22). Rifacendomi a quanto ho già espresso in altra sede, direi che la prima parte della
frase di De Nard sia azzeccata; non la seconda perché ho motivo di credere che dalla
morfologia di un preciso oggetto geografico non si possa risalire indietro con la
datazione alla fine del '500. Ma, considerato che di questo mi sono occupato nel
precedente contributo, ora mi soffermo proprio su quella breve scritta che ritengo
decisiva ai fini di una cronologia abbastanza stringente della carta. In breve, il tono e
la perentorietà dell'indicazione, la crudezza delle immagini evocate da quattro parole
in tutto lasciano intuire che il crudele fatto di sangue, "lo straggio" come è chiamato
in alcune mappe di poco precedenti, venga avvertito come ancora di una certa
attualità. Non saremo nell'ultimo quarto del '500 ma a una distanza temporale di un
paio di decenni massimo. Anche la toponomastica parrebbe recenziore rispetto a
quella in uso entro la fine del secolo precedente. Ad ulteriore conforto di questa tesi

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c'è la produzione cartografica di G.A. Magini che, nella tavola intitolata Il Territorio di
Trento, mostra ancora l'erronea confluenza dell'Ansiei nel Piave; dato che il Magini
stesso, nella prefazione a un proprio trattato del 1604, sostiene di aver concluso il
disegno di buona parte delle regioni italiane (tra le quali il Trentino) e considerato che
ne Il Cadorino la confluenza è riportata correttamente e tutto lascia intendere che
questa carta sia posteriore al Bellunese con il Feltrino (1598 ca.), è plausibile che la
tavola del territorio di Trento sia sta assemblata originariamente dopo il 1598 e prima
del 1604, poi pubblicata con l'intervento dell'incisore Wright nel 1607 ca.
La cautela è d'obbligo, tuttavia la 'modernità', se così possiamo definirla, della
singola foce sul Piave del torrente Ansiei con i tre ponti che si cominciano a disegnare
in quel modo soltanto a partire dal XVIII secolo, unita al ricordo sempre vivo dello
scontro armato di Rusecco portano concordemente nella direzione di un abbastanza
breve lasso di tempo intercorso tra gli ultimi prodotti cartografici con l'errore sulla
doppia confluenza dell'Ansiei e le nuove mappe più aderenti alla realtà e che via via
abbandoneranno la memoria dell'evento bellico. Una dei primi disegni che fa da
cerniera tra vecchio e nuovo modo di cartografare la media valle del Cadore. In
soldoni, l'Ansiei a foce unica e la scomparsa della testimonianza dello 'straggio'
saranno dal 1600 in avanti i connotati della cartografia cadorina.
Vorrei però mettere nel giusto risalto l'annotazione posta appena sopra la
rosa dei venti: in essa si ribadisce che da Colle di Santa Lucia sono i confini con i
possedimenti dell'Arciduca nell'area tirolese ("Qui soprascritto da Col di / Santa Lucia
sono confini col / Arciduca di Pordenon Arciducal"). È intanto evidente la svista del
cartografo (e non è l'unica: come detto più avanti manca addirittura il lago di
Misurina), in quanto la città di Pordenone all'epoca era già saldamente nelle mani
della Serenissima. Potrebbe trattarsi, in certo senso, di un lapsus calami condizionato
dalla scritta su Bartolomeo d'Alviano: infatti, dopo la vittoria di Rusecco, al
condottiero umbro venne concessa in feudo proprio la città friulana che, dopo averla
persa e riconquistata nel 1514, la mantenne fino al decesso (1515), trasmettendone
la signoria alla moglie e al figlio finché, alla morte di questi, passò definitivamente
sotto il controllo diretto di Venezia. Quindi, preso atto dell'errore - senza dubbio
involontario, altrimenti incomprensibile - bisogna dedurre che il riferimento non
possa che essere al Tirolo (al quale apparteneva il territorio di Colle S.Lucia con Caprile
e Livinallongo segnati tutti e tre appena sopra l'iscrizione) e al suo Arciduca.
Ora, se scartiamo l'idea che reggente del Tirolo fosse Ferdinando d'Austria
d'Asburgo, morto nel 1595 (anno che non risulta compatibile con l'età del disegno),
bisogna congetturare che possa trattarsi di Ferdinando II d'Asburgo (imperatore dal
1619) Arciduca d'Austria dal 1595 al 1618, o di Massimiliano III, Arciduca dell'Austria
Anteriore e governatore del Tirolo dal 1612 al 1618 o ancora di Leopoldo V Arciduca
d'Austria e Tirolo, che subentrò nel 1619, quando il fratello Ferdinando divenne
imperatore e mantenne la carica fino alla morte nel 1632.
Ma si può andare oltre. La scritta nella parte superiore destra della carta
contiene la frase "[...] l'Arciduca Da Graz nostro nemico" che appare decisiva per lo

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scioglimento del piccolo garbuglio storico: escludendo Massimiliano III, originario di


Wiener Neustadt, gli unici nativi di Graz sono appunto Ferdinando II e il fratello
Leopoldo V. La scritta in questione non può che riferirsi a Ferdinando II d'Asburgo ,
nativo di Graz e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1619: è lui l'Arciduca Da
Graz di cui si parla. Il periodo durante il quale egli mantenne la carica arciducale
austriaca (1595-1618) è perfettamente compatibile con la datazione del disegno del
Cadore sulla scorta delle altre evidenze cartografiche. E le caratteristiche della carta
descritte tra breve, l'astio e l'ostilità rinvenibili nelle didascalie che l'accompagnano,
farebbero pensare ad un preciso momento storico (cfr. la scheda contenuta nel
catalogo della mostra citata all'inizio), vale a dire la guerra di Gradisca (1615/1617) o
guerra del Friuli, combattuta tra Venezia e l'Arciduca Ferdinando, la fase di massima
tensione tra i due antagonisti nel XVIII secolo. Anche la serie di riferimenti ai confini
con la Carnia deporrebbe a favore dell'ipotesi e pertanto bisogna scartare Leopoldo
V, titolare della carica arciducale in un frangente storico durante il quale i nemici per
Venezia erano prima gli spagnoli e poi, nel 1630/31, la peste bubbonica. È invece del
tutto plausibile che la nota al margine destro della carta si riferisca a Ferdinando II,
Arciduca d'Austria durante la guerra con Venezia. Resterebbe ancora sul tappeto il
problema sollevato dalla scritta al margine sinistro della carta. A mio parere, il
marchiano errore relativo all'Arciduca di Pordenone paradossalmente ci mette sulla
traccia giusta per individuare il personaggio. Evidentemente non può trattarsi dello
stesso Arciduca da Graz già nominato, sarebbe inverosimile aver scambiato, seppur
accidentalmente, il governatore dell'intera Austria con una piccola città come
Pordenone.
Se però ci rifacciamo a Massimiliano III, che resse il solo Tirolo esattamente
durante gli anni della guerra di Gradisca, vien fatto di pensare che l'ignoto estensore
delle note a margine abbia inteso alludere a questi parlando dei confini interni del
Tirolo ("da Col di Santa Lucia..."). Il Tirolo, che includeva l'ampezzano, era uno dei
quindici stati componenti la Provincia Austriaca, il quale allo scoppio del conflitto era
retto appunto dall'Arciduca Massimiliano. In buona sostanza, la mia opinione è che le
note apposte sul disegno si riferiscano a due distinti arciduchi: la nota a sinistra al
governatore del Tirolo Massimiliano III e la nota a destra all'Arciduca d'Austria (al
tempo del conflitto di Gradisca) Ferdinando II, nato a Graz.
E' comunque dal combinato disposto delle due annotazioni che possiamo
ottenere con buona attendibilità la datazione del disegno. Ribadisco che tutti gli
elementi, scritti e disegnati, e soprattutto la carica aggressiva che traspare da essi,
inducono a rendere più che credibile il biennio agosto 1615 - agosto 1617 per la
realizzazione della carta. Successivamente, a pace raggiunta, le acque si calmarono
anche per le ottime condizioni spuntate dai veneziani con il trattato di Madrid del 26
settembre 1617. Mi lascia di stucco, piuttosto, che qualcuno all'epoca non abbia
rimediato alle sviste menzionate, qualora il documento sia stato visionato dai
competenti uffici. Forse non se ne fece nulla, all'atto pratico il disegno con le
didascalie rimase lettera morta.

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Altro tratto saliente della carta, che salta all'occhio, è la scrittura in corsivo
calligrafico che deporrebbe a favore di un atto di natura privatistica anziché di un
documento ufficiale di un'autorità amministrativa. Propenderei, invece, proprio per
quest'ultima soluzione. Non un atto pubblico definitivo, forse, piuttosto una bozza
preparatoria comunque destinata al governo veneto. Ecco perché la carta si trova a
Venezia. Ma a farmi scegliere questa alternativa è in special modo la famosa scritta
Tagliata di Bartolomeo Alviano: sembra di sentire un orgogliosa rivendicazione di
supremazia, lo spregio per gli sconfitti. Non credo che i residenti o qualche cartografo
estraneo agli avvenimenti si sbilanciassero così apertamente, crudamente e
crudelmente. Il tutto sa troppo di Realpolitik, non c'è commiserazione per le vittime
e non è certo una targa ricordo asettica per un episodio guerresco. Starò esagerando
ma questa è la sensazione, documento di governo più che carta redatta da abitanti
per dispute intestine. Anche per l'insistita indicazione dei confini esterni (Carnia e
Tirolo), ritengo altamente plausibile che si tratti di un disegno a servizio delle autorità
governative della Serenissima.
In aggiunta, dirò che la generica indicazione di Boschi, l'assenza di elementi
confinari precisi e in particopare del lago di Misurina così importante proprio per la
definizione e composizione di liti e dispute sui tagli boschivi, soprattutto la mancanza
di ogni rinvio cartografico alle decisioni prese negli anni '80 del Cinquecento per
dirimere le annose controversie sui diritti di pascolo e sfruttamento dei boschi tra
cadorini e ampezzani, tutto ciò porta ad escludere che il disegno sia stato eseguito
nell'ambito di vertenze in seno alle comunità locali. Risolutiva, per far propendere
verso un documento preparato da organi centrali, mi sembra poi la nota inserita
nell'angolo in alto a destra della mappa: "Lucau solo e della / region della Carintia / et
confina col Arciduca / Da Graz nostro nemico"; di sicuro non sono espressioni che
rinveniamo nella documentazione rimastaci in merito alle dispute, diatribe o
testimonianze che hanno coinvolto gli abitanti della regione. Riunendo le tessere di
questo piccolo mosaico ('Tagliata di Bartolomeo Alviano' e 'l'Arciduca Da Graz nostro
nemico', vie di comunicazione e fortilizi) ne esce la conferma incontrovertibile che
l'anonimo estensore del disegno ha lavorato per gli uffici governativi della Repubblica
veneta. Di più: la presenza delle due Chiuse di Venas e Lozzo, dei castelli di Botestagno
e Pieve di Cadore, la segnalazione dello spalto di Misurina, la scrupolosa attenzione
alle frontiere con i territori contermini, sia interni che esterni, il percorso da Cortina
d'Ampezzo a Lozzo (strada di Ampezzo, nella Viza di san Marco et di la uiene
nell'antico, et poi nella Valle de Rin et a Riua sopra i monti da Lozzo) denotato come
questa è strada secretta, la connotazione degli arciducali come avversari e, non
ultima, la Tagliata di Bartolomeo Alviano sono prove, piuttosto di meri indizi, che il
committente della carta in esame fosse un'autorità militare. Ritengo, a questo punto,
che si possano stabilire senza incertezze i seguenti due fatti:
1) il disegno risale agli anni della guerra di Gradisca (1615-1617);
2) la sua destinazione era per usi precipuamente militari.

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Prima di procedere è opportuna un'osservazione. Ci sono due righe


seghettate nella zona superiore del disegno, in corrispondenza delle quali ci sono le
due annotazioni sopra riportate. La più esterna traccia appunto i confini distali con
l'Austria, da Botestagno a Luggau. La linea interna che corre quasi parallela alla prima
e piega ad angolo acuto in prossimità di Misurina è in apparenza inspiegabile.
Banalmente, si tratta dell'area appartenente all'Ampezzo (annesso al Tirolo nel 1511)
che ha inizio da Colle S.Lucia ("Qui soprascritto da Col di Santa Lucia sono confini...")
e prosegue poi traversando il Boite tra San Vito e Dogana Vecchia e terminando sotto
Luggau. Nella mappa è disegnata proprio Ampezzo (l'odierna Cortina d'Ampezzo) da
cui esce la "strada di Ampezzo nella Viza di San Marco [...]" che per il passo Tre Croci
perviene alla Vizza (bosco comunitario) di San Marco. Pur essendo riportati sulla carta
sia Landro che Misurina (senza lago) non vi sono richiami agli accordi del 1582 e del
1589 che sancirono i limiti territoriali tra Ampezzo e Cadore (indice, vieppiù, di un
documento non preparato per la composizione di controversie tra le collettività
limitrofe).
Guardando la carta dall'angolo in basso a sinistra, sotto la rosa dei venti a
quattro bracci che indica il NNE, troviamo la Muda sul torrente Maè il cui corso inizia
dal paese di Zoldo contrassegnato da una chiesa con campanile e accanto una torre.
Solamente una chiesa con campanile indica, subito a nord est, sulla cima di un colle,
Zoppè. Tornando di nuovo verso il basso e spostandoci ad est, dopo la Muda con
l'immancabile chiesetta, c'è la Gardona dalla possente torre, dove finisce il Confin col
Belluno, poi Termine e, appena al di là del Rio Tovanella, Hospital e Rivalgo, tutti con
le solite chiesine.
Di fronte a Caralte, sulla sponda opposta del Piave vediamo due Sieghe con
i caratteristici capannoni aperti su tutti i lati e sul lato orientale il borgo di Caralte. In
destra idrografica del Piave si prosegue con Peraruol presso il quale scorre il Buoite F.
Qui, traversando il torrente sul ponte ben segnato, si vedono Vodo, Peaio e la Chiusa
simboleggiata da una torre con apertura ad arco sul fondo, adiacente a, paese di
Venas; poi ci s'imbatte nel Rio Secco, sopra il quale sta la scritta più volte menzionata.
Vicinissimo, a destra sopra un dirupo, c'è il Castello di Pieve, sotto il quale è disegnata
la chiesa di Sotto Castello. Superato il torrente Molinà appare, con il consueto
binomio chiesa+campanile, l'abitato di Valisella e nel versante in destra Piave, vicino
al torrente Cridola che nasce nei pressi di Forno (Borca), Lorenzago e alquanto più a
sud, segnato con una 'V' il Confine della Mauria. Rientrando verso nord, sulla destra
idrografica del Cridola, troviamo Laggio, Pelos, Vigo e i celebri Tre Ponti,
correttamente disegnati come un triangolo di comunicazione stradale anziché un
circuito triangolare formato dalla congiunzione di due inesistenti foci dell'Ansiei nel
Piave (indizio, questo, di una datazione 'bassa' della mappa, da inizio Seicento in poi,
dopo che l'errore nella doppia confluenza dell'Ansiei, perdurato per tutto l'ultimo
quarto del secolo precedente, venne definitivamente cancellato). Da qui torniamo
indietro verso ovest, perché in seconda fascia, sopra il corso plavense notiamo -
all'altezza del Boite - Vodo, Vinigo, Peaio, la Chiusa di Venas con la torre e passando il

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torrente Rite giungiamo a Valle e Tai, posti sopra la scritta di Bartolomeo d'Alviano,
e poi Pieve di Cadore con ampia vignetta fatta di mura, torri, chiesa e case;
traversando il Molinà c'è subito una chiesa con le iniziali S e M ai due lati (per San
Martino, patrono di Valle di Cadore) e ancora Domegie, Lozzo e la Chiusa tra questo
paese e Tre Ponti; fu la Comunità di Cadore che negli anni 1499-1500 decise di
edificare le fortificazioni della Chiusa in località Loreto, in previsione di un’invasione
delle truppe di Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero, come poi
effettivamente avvenne. Di fronte a Tre Ponti, in sinistra Piave, troviamo Pelos (altro
segno di "modernità" relativo della mappa, se messo a confronto con il toponimo
Peloso che caratterizza le carte più antiche), Vigo e Laggio raggiunto dalla strada che
da Lozzo, scavalcato il ponte sul Piave, conduce al "Confin Cargna". Appena più a valle
un'altra strada dalla riva sinistra del Piave sfiora Lorenzago e giunge a Forni "Confin
Mauria", segnato con una 'V'.
Superata ad est la zona di Tre Ponti si perviene a Santa Caterina, sotto la
quale è riportata la scritta Gogna Porto de legname (il noto cidolo utilizzato per
arrestare la fluitazione dei tronchi gettati in acqua dai boscaioli, in modo da poterlo
recuperare). A nord di Santa Caterina troviamo S. Lugano, cioè Villa di S. Lucano che
in passato designava il gruppo di piccole borgate che adesso formano Villapiccola
d'Auronzo. La chiesa è menzionata già in un documento del 1352, venne consacrata
nel settembre 1439 e poi demolita e ricostruita nel corso dell'Ottocento. Ancora più
a nord di Villa S. Lucano si estendono quelli che l'ignoto cartografo chiama Monti da
pascolare, esattamente come quelli che sono ad oriente di Colle S. Lucia, sopra Pescul.
Interessante che nella foresta che si estende da Saure (Sauris) fino a
Tersaga (Transacqua di Santo Stefano di Cadore, che il cartografo ha collocato troppo
a ovest) compaiono per alcune volte le scritte confin con la Cargna. Poi finalmente il
primo tratto del Piave fino a Sapada. Ancora più a nord, sotto Lucau (Luggau, in
Carinzia come specificato nella annotazione), c'è il confine con la Carnia e scendendo
verso sud ovest la foresta di Visdende è la Val de Comelego, sotto cui sono posti (tutti
sbagliati, perché dovrebbero stare più ad ovest, all'altezza di Santo Stefano) Costa
alta, Costalissoio, Casamazan. Vicino a Tersaga è nominato come tributario del Puave
il subaffluente Digon (fiume Digion va nella Cargna) che in realtà dovrebbe essere sul
torrente Padola, in tutt'altra posizione geografica. Il cartografo ha confuso il Digon
con il Frison che attraversa l'omonima valle fino a casera Razzo. A destra di Presena (
Presenaio) una 'V' indica il limite territoriale con la Cargna. Sono tracciate le due
strade parallele che si staccano in Val Visdende dalla via diretta a Sapada e conducono
l'una a Cercenà e l'altra a Vincle (Vincole), quest'ultima denominata proprio "Strada".
Lasciando il Comelico e la val Visdende, che abbondano di toponimi
(Presenai, San Nicolò, Candide, Padola ecc.) e inoltrandosi verso Misurina colpisce la
mancanza dell'omonimo lago: una svista o una dimenticanza? In ogni caso un fatto
assai grave per un cartografo, anche dilettante, e accompagnato per di più a un
inverosimile corso del torrente Ansiei. È notabile che la sola cosa giusta del torrente
è la foce. Se eccettuiamo qualche errore veniale e i due imperdonabili appena visti,

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nel complesso il disegno delle sedi umane con ricca nomenclatura piuttosto moderna
e dell'idrografia, variegata e non del tutto scorretta, appare decisamente ben
impostato. Anche per tali caratteristiche salienti è verosimile che la carta sia stata
realizzata nel '600, pur se nei primi decenni. Sempre nella zona di Misurina (non
esattamente a Mesurina origine del fiume dell'Antiei, come sarebbe stato più
corretto) è segnalato lo spalto di mesurina de S.Lucan allo scopo di difendere dai
nemici questo lembo estremo del Cadore: fu eretta allo scopo,appunto, una palizzata
di tronchi d’albero, che univa il Popena al monte Piana. Una strada da San candi (San
Candido), seghettata nel primo tronco, si biforca presso lo spalto di mesurina: un
ramo si dirige a sud est a Padola e termina a S. Stefano; l'altro ramo va sud ovest per
la Val de Rin e si conclude a Domegie con l'ultimo tratto seghettato. Nei pressi di
questa strada, sul lati orientale è disegnato con la vignetta di un centro abitato il paese
di Sesto, che è rovesciato come l'intera compagine dei boschi ("Boschi di Tirol") nella
parte nord-est della carta tra le due linee confinarie.
Sotto Misurina vediamo la Val di Marzon, che durante la Grande Guerra fu
sede di un villaggio militare e logistico molto importante al servizio del fronte delle
Tre Cime e della Val D’Onge, da dove partivano truppe, vettovaglie e armi. Altra valle
segnalata è la Val de Rin che consente di raggiungere il rinomato punti panoramico di
Pian dei Buoi sopra Lozzo.
L'orografia è da dimenticare, una distesa di serie ordinate di pani di zucchero:
appare bizzarra la scelta di capovolgere l'intera fila di coni montani in riva sinistra del
Piave e sul versante nord, dove è riportato il centro di Sesto; la parola boschi compare
qua e là nella sequela di cupolette (ossia montagne), inframmezzate da qualche
alberello, simili a tanti soldatini con lo schioppo a piedarm. Mentre più convincenti
sono le strade che percorrono vallate e dorsali dolomitiche toccando i principali centri
abitati. L'area più suggestiva a tal proposito - e l'unica dove le montagne assumono
un aspetto diverso che simula in certo modo le guglie e le frastagliate cime dell'arco
alpino - è quella alle spalle di Pieve di Cadore. Sopra le cime più aguzze è scritto Crota
d'Antelau doue è Giatio perpetuo e ancora più sopra, nello spazio vuoto tra una fila di
monti e la seguente, è riportata la dicitura strada de san Vido per dietro le Crode et
arriua Val di Calalzo (tragitto oggi riservato agli escursionisti, da S. Vito alla Val
d'Oten); più a nord strada di Ampezzo, nella Viza di san Marco et di la uiene
nell'antico, et poi nella Valle de Rin et a Riua sopra i monti da Lozzo, anche questo ora
un tracciato di montagna. All'interno del triangolo formato dalla strada di Ampezzo e
dalla sede di Misurina è posto il Bosco V. S. marco, la famosa Vizza. Sono messi in
evidenza i paesini di Nebbiù e Pozzale e sopra di loro, sul fianco dell'Antelao, è scritto
M. di San Dionisio e ancora sopra s'intravvede la chiesetta omonima costruita nel
1508 dopo la battaglia del Rusecco, a quota m. 1946 s.l.m. San Dionisio è il patrono
del Cadore e la chiesetta ha assunto nel tempo una valenza e un auspicio di pace, che
sulla carta in esame stride troppo con la scritta sottostante e non sembra prevalere
sulla crudezza delle parole di questa. Con una battuta, direi che lo sguardo del
cartografo è molto laico e distaccato, poco fideistico, traccia gli edifici come li trova

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ma, in questo caso, preferisce riferirsi al Monte con il nome del santo piuttosto che
alla chiesetta dominante il paesaggio. Un po' dappertutto sono segnate strade e
mulattiere o semplici sentieri che conducono da un capo all'altro del Cadore. Notevole
la strada che si stacca dalla via tra Vigo e Tre Ponti e attraversando il Piave in
prossimità di Campolongo arriva a Luggau e al santuario di Maria Luggau, eretto nel
1536 e meta costante di pellegrinaggio che porta colà ancor oggi circa 40.000 fedeli
l'anno. Molto vicino a Luggau è posta una scritta trasversale "strada da Boschi di cima"
Poco discosta, a sinistra e ruotata di altri 90 0 la parola Selva. Nella parte più a destra
e settentrionale della carta, alle spalle di Cercenà e Vincle, è rappresentata la città di
Salisburgo. All'incrocio con l'edificio di Luggau è la dicitura confine con la Carinzia, da
dove si dipartono due segmenti a dente di sega. Al proposito vorrei puntualizzare che
quasi tutte le vie di comunicazione sono segnate con linee continue che a tratti
diventano seghettate, al pari di quelle che delimitano i confini, rendendo di fatto
ardua la distinzione tra strade e linee confinarie astratte. Tra le poche eccezioni c'è la
strada che, provenendo da Belluno, attraversa tutto il Cadore toccando Pie ve,
oltrepassando il Comelico e Sapada in direzione della Carnia. In qualche caso
l'andamento sinusoidale dei segmenti stradali avranno senz'altro a che fare con tratti
più impervi o comunque disagevoli.
Due sono i tracciati confinari senza soluzione di continuità: uno è quello più
esterno che da Luggau, congiungendo Vincle (Untertilliach), Cercena (Obertilliach),
Silian, Villetta (storpiatura di Virsach, italianizzato nel 1923 in Versciaco), San candi
(San Candido) arriva a Dubiaco (Dobbiaco) e con un angolo acuto piega a sud, rasenta
il castello di Butistagno e si congiunge a nord di san Vito con il secondo limite
confinario, interno, che da Colle S. Lucia si stacca da una "frontiera" che delimita i
Boschi ai piedi della rupe di Butistagno e prosegue verso nord ovest fino a Mesurina;
qui piega bruscamente verso sud ovest e si prolunga per convergere sulla via che dal
Comelico sale a Maria Luggau; nel tratto da Misurina alla strada per Luggau il tracciato
confinario resta sempre parallelo a quello esterno soprastante. Poco sotto lo spalto
di Misurina, nel punto in cui incrociano le strade, è scritto Strada di sopra con accanto
il simbolo 'V' utilizzato per marcare i confini. In effetti la stranezza delle montagne
invertite nei settori NE è SSE è dovuta alla rappresentazione, mediante tale artificio,
delle aree frontaliere con i domini arciducali.
La vittoriosa guerra lampo combattuta da Bartolomeo d'Alviano nel 1508 fu
resa vana nei due anni seguenti per le vicende della Lega di Cambrai che consentirono
all'imperatore Massimiliano I di riconquistare la rocca di Botestagno il 18 ottobre
1511 e di sottomettere l'Ampezzo il 21 ottobre, lasciando nella potestà veneziana il
solo Cadore. Questo spiega perché nella carta qui esaminata Butistagno costituisca
uno dei nodi limite della linea confinaria con il Tirolo.
Da mettere in risalto che Selva di Cadore rimane fuori della linea di
demarcazione con il Tirolo, mentre Pescul rientra nel comprensorio cadorino. Il Tirolo
viene nominato come regione confinante soltanto nell'annotazione in alto a sinistra
della carta: "li confini del Tirol cominciano / da Ampezo fino a Vincle arrivato / che sia

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a Villa vicino a Lucau". Da Pescul una via scende in diagonale tra i monti della val
zoldana e arriva a Forno. Una linea seghettata come quelle confinarie parte da Zoldo,
tocca Cibiana scavalca il Boite su un ponticello disegnato con due linee parallele e
termina alla Chiusa di Venas. Anche questo particolare, assieme a tutti i segmenti con
creste ondulate (che in molti casi sono senz'altro decorsi di confine ma altrove
lasciano alquanto perplessi sul loro senso perche spesso di breve lunghezza), possono
far propendere per una carta disegnata con finalità non esclusivamente topografiche,
bensì al servizio di superiori interessi amministrativi e/o di apparati militari della
Republica veneta. In conclusione si tratta di una carta molto interessante, tra le più
antiche del Cadore, anche se non la prima carta manoscritta che inaugura il s ecolo
diciassettesimo nel distretto cadorino: per questo il primato spetta ancora al disegno
realizzato nel 1604 dal notaio Leonardo Bernabò, ora conservato nell'archivio della
Magnifica Comunità Cadorina. Ma si tratta di un disegno sui generis, che non è
possibile far rientrare nella categoria delle carte corografiche, perché illustra in
maniera molto 'infantile' la dislocazione dei porti, ossia le stazioni di raccolta del
legname tra Cadore e Comelico.
Permane il dubbio da chi sia stata realizzata la carta riprodotta in calce ma
penso di aver fornito tutti gli elementi in base ai quali la si possa far rientrare
nell'ambito delle iniziative della repubblica veneta in campo militare in una fase di
acuta crisi militare tra Venezia e Austria, culminata nello scontro passato alla storia
come guerra di Gradisca. La scrittura corsiva in calligrafia alquanto trascurata e una
certa sbrigatività nel tratto del disegno, ma soprattutto i due grossolani errori
(l'Arciduca di Pordenone e la mancanza del lago di Misurina) fanno supporre che
siamo in presenza di una bozza di lavoro ancora da rifinire o riversare in qualche
compilazione più ufficiale. Anche così è comunque una bella testimonianza
cartografica, in cui rinveniamo una buona perizia nel ritratto prospettico dei paesini,
delle chiuse e dei castelli. Soprattutto mi pare degna di speciale attenzione per la
compresenza di un tratto 'moderno' come il trivio stradale ai Tre Ponti, vicino alla
singola foce dell'Ansiei, e la scritta Tagliata di Bartolomeo Alviano che riconduce a un
fatto storico avvenuto molto prima e che riecheggia, ma piuttosto alla lontana e con
finalità affatta diverse, la scritta Valle doue fu fatto quel straggio che contrassegnò
una stagione cartografica nell'ultimo quarto del secolo XVI.
Le prerogative essenziali di questa rappresentazione del Cadore, a mio
avviso, la rendono uno specimen per il momento unico nella topografia provinciale
sullo spartiacque tra vecchio e nuovo, un concentrato prezioso di elementi
cartografici e storici. Non tanto una carta settoriale, un artefatto di ausilio a qualche
vertenza locale, o soltanto un'illustrazione a beneficio di episodi politico-militari. Nella
sua rozza intelaiatura corografica contiene informazioni che hanno superato la prova
del tempo e la sua entropia (intesa come autoinformazione del messaggio), permane
significativa e superiore a quella di molte prove artistiche che si sono susseguite nel
campo della cartografia regionale a grande scala.

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