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Angelo Di Felice

L’istante del fantasma1

Come si legge ($♢a)? Come lo si è letto, un istante fa? Come si pronuncia questa cosa che, diversamente da
quanto la precede e da quanto la segue, mentre la scrivo, non è accompagnata da alcun suono? Ma quale
“questa”? Quali sono, e dove, queste invisibili indicazioni? E in che modo sarebbe invece diverso chiedere:
come si legge “legge”? Forse perché vi sarebbero lettere e non simboli come in ($♢a)? Sono anch’esse
“simboli”, ma la cui la pronuncia sorge immediata, mantenendo cioè invisibile il proprio sorgere.
Lacan scrive che il «contenuto è da pronunciare: S barrata punzone a»2. Ma qual è la funzione di
questa indicazione? Perché Lacan specifica come ($♢a) debba esser pronunciato? Cosa accade se ($♢a) non
lo si pronuncia? Torno dunque a quelle domande che hanno preceduto questa indicazione (risposta) lacania-
na, perché anche dopo di essa resta che ($♢a), in quanto tale, pone questioni di pronuncia.
($♢a) è percepibile, è leggibile; soltanto, tende come a silenziare per un istante la pronuncia o a ral-
lentarla. Somiglia, in questo, ad un oggetto: è come se tentassi di leggere un pezzo di legno, o di leggere “|”:
posso pronunciare “barra”, ma questa somiglierebbe piuttosto alla descrizione dell’oggetto “|”, non alla sua
lettura. Leggere “|” non è lo stesso che leggere “barra”. Ugualmente, scrivo “♢” e pronuncio “punzone”. E
dunque perché non scrivere “punzone”? Quando scrivo “Scrivo ‘♢’”, peraltro, penso sarebbe quasi più ap-
propriato scrivere “Disegno ‘♢’”. E come si legge un disegno? Come si legge un’immagine, come si legge
un oggetto? Ma non sto forse, in questo stesso momento3, leggendo (scrivendo) un’immagine (queste lette-
re), e quindi leggendo (scrivendo) un oggetto (queste lettere su questo foglio)? Davanti a ($♢a), come da-
vanti a ♢, la lingua si arresta, lascia lavorare al suo posto gli occhi (muto movimento), per poi riprendere a
pronunciare; tuttalpiù, pronuncia qualcosa come un “Hmm”: “Come si legge hmm…?”.
Alludo, in particolare, ad un elemento di ($♢a), cioè ad “a” quale oggetto in quanto tale impronun-
ciabile e fuori dall’ordine del significante. L’allusione riguarda anche gli elementi $ e ♢, ma non li rappre-
senta, piuttosto li fa lavorare, li riproduce, li mette in esercizio4, li mostra, li fa apparire5. Si può dire cioè
che ad alludere, forse, più che chi scrive, è ($♢a) in quanto scritto proprio così (colà). Leggere ($♢a) è scri-
verlo, è l’azione di leggerlo. Si percepisce, si attua un movimento, l’interruzione di un piano a (s)favore di
un altro, un silenzio, uno scambio lingua\occhio, una barra: quasi viene da portare il segno sul foglio con
l’indice, quando la lingua, lì, non dice ($♢a). L’atto del leggere, ostacolato, per un istante è cosciente.
L’ostacolo allude a ♢ e alla risultante “/” di $. Ma non nel senso in cui il risultato verrebbe alla fine,
dopo l’inizio. Se $ sta all’inizio, e se la direzione in cui leggo e scrivo è da sinistra verso destra, leggo prima
$, e poi ♢a. La direzione porta con sé, nello spazio, l’indicazione del prima e del poi. Anche questa direzio-
nalità e questa temporalità sono ostacolate e quindi esercitate, da ($♢a). In che direzione si legge una for-
mula il cui risultato è distribuito, e dove l’operatore “♢” porta e riporta tanto a destra quanto a sinistra? Che
temporalità è quella dell’istante? E quella dell’istante del fantasma?
Quanto scritto vuole essere commento ai seguenti passi lacaniani:

«Questo enunciato gioca sull’equivoco del termine senso. Che rapporto c’è fra il senso e ciò che si inscrive
qui come orientamento? È una domanda che possiamo porci, e possiamo anche suggerire una risposta: è il tempo»6.
«Tuttavia non bisogna mascherare che ognuna di queste operazioni è già lo zero prodotto da ciò che ha inseri-
to nel reale quel che essa tratta, ovvero quel tempo peculiare al campo che essa analizza, quello che Freud ha colto
dicendo che è ripetizione. La preterizione che essa contiene è cosa ben diversa da quel comandamento del passato con
cui la si intende futile»7.

1 Espressione usata da Lacan nello scritto Posizione dell’inconscio (1966), in Scritti, Einaudi, Torino 2002. p. 839.

2 JACQUES LACAN, La logica del fantasma (1969), in Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013. p. 321.

3 Ma, ancora: quale “questo”? Quale “momento”?

4 “Allusione”: il latino Ludus è sì scherzo, ma anche esercizio. Riporta pure a “spettacolo” (vedi nota successiva). L’esercizio, come un’analisi, è
qualcosa che non si può fare soltanto, per così dire, a parole (e proprio questo “a parole” è esercizio). Ad alludere, a mettere in esercizio, non è
tanto chi scrive, non è il senso della formula in questione ovvero il suo essere la “formula del fantasma”, ma è proprio il suo essere scritta come
è scritta, cioè così: ($♢a). L’allusione di questa azione di lettura-scrittura di ($♢a) è sì allusione al suo senso, cioè a quel che ($♢a)
“significa” (ad esempio, l’impossibilità di dire l’oggetto a); ma lo è proprio perché quel senso è da ($♢a) messo in esercizio e non semplicemen-
te rappresentato. È per questo, anche, che qui si ripete volentieri ($♢a), senza troppe perifrasi.

5 La derivazione greca di Fantasma riporta a phaìnomai, apparire.

6 JACQUES LACAN, Il Seminario, Libro XXIII. Il Sinthomo (1975-1976), Astrolabio Ubaldini, Roma 2006. p. 112.

7 JACQUES LACAN, La logica del fantasma (1969), in Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013. p. 321.

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