Sei sulla pagina 1di 1002

Martin S. Silberberg • Patricia Amateis Martin S.

Silberberg • Patricia Amateis

CHIMICA
La natura molecolare della materia
CHIMICA

Patricia Amateis
M.S. Silberberg
e delle sue trasformazioni La natura molecolare della materia
Il testo si rivolge agli insegnamenti di tutti i corsi di Chimica, Chimica genera-
e delle sue trasformazioni
le e inorganica, Fondamenti di chimica, in particolare quelli rivolti ai corsi di
laurea di Ingegneria, Chimica, Chimica industriale, Scienze e Tecnologie chimi-
che, Scienze e Tecnologie fisiche, Scienze Biologiche, Biotecnologie, Scienze Edizione italiana a cura di
e Tecnologie farmaceutiche, Scienze e Tecnologie animali, Scienze Naturali e Silvia Licoccia, Università di Roma "Tor Vergata"
Ambientali, e si propone di fornire le nozioni di base fondamentali per
comprendere il comportamento delle molecole.

CHIMICA
e delle sue trasformazioni
La natura molecolare della materia
L’approccio utilizzato descrive i fenomeni prima su scala macroscopica
per poi passare al punto di vista molecolare, grazie a puntuali illustrazioni
che permettono di visualizzare i modelli chimici e le reazioni. Lo studente
viene condotto all’interpretazione chimica dei fenomeni a partire da esempi
semplici e famigliari e l’apprendimento è facilitato dal frequente ricorso
all’esplicazione visiva dei concetti. Ogni capitolo, infine, presenta numerosi
problemi di verifica interamente svolti con soluzione numerica a fine
capitolo.
In questa quarta edizione i capitoli sono stati aggiornati in modo trasver-
sale, intervenendo soprattutto su tematiche in costante evoluzione, come le
energie rinnovabili e lo stato del clima, le nanotecnologie, le applicazioni
Quarta edizione
biomediche; sono state inoltre ampliate le schede dedicate alla Chimica
nelle altre scienze ed è stato aggiunto un nuovo capitolo dedicato agli
Elementi in natura e nell’industria.
Il codice d’accesso alla piattaforma Connect mette inoltre a disposizione
600 esercizi in italiano e 600 esercizi in inglese, a cui si aggiunge lo Smart-
book interamente aggiornato.
McGraw-Hill
di
eserciziari

Nell’eserciziario all’interno
del volume oltre 1900 esercizi
Quarta
edizione r io
iz ia
di cui 1000 con soluzione c
9539-1 er
es
gli

n
ell’industria

€ 74,00 (i.i.)
ISBN 978 -8 8 -3 8 6-953 9-1
c o
www.mheducation.it 9 788838 695391
Martin S. Silberberg
Patricia G. Amateis

CHIMICA
La natura molecolare della materia
e delle sue trasformazioni

00PrPag.indd 1 17/05/19 12:18


00PrPag.indd 2 17/05/19 12:18
CHIMICA
La natura molecolare della materia
e delle sue trasformazioni

Quarta edizione

Martin S. Silberberg
Patricia G. Amateis
Edizione italiana a cura di
Silvia Licoccia, Università di Roma “Tor Vergata”

00PrPag.indd 3 17/05/19 12:18


Titolo originale: CHEMISTRY – The Molecular Nature of Matter and Change, Eight edition
Copyright © 2018, 2015, 2012, 2009, 2006, 2003, 2000, 1996 The McGraw-Hill Companies, Inc.

Copyright © 2019, 2016, 2012, 2008, 2004 McGraw-Hill Education (Italy) s.r.l.
Via Ripamonti, 89 – 20141 Milano

I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento


totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono
riservati per tutti i Paesi.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15%
di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso
previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o


commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a
seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana n. 108,
Milano 20122, e-mail info@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.

Date le caratteristiche intrinseche di Internet, l'Editore non è responsabile per eventuali


variazioni negli indirizzi e nei contenuti dei siti Internet riportati.

L’editore ha fatto tutto il possibile per contattare gli aventi diritto delle immagini che
compaiono nel testo e resta a disposizione di chi non è stato possibile contattare.

Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive
case produttrici.

Portfolio Director: Teresa Massara


Portfolio Manager: Tatjana Pauli
Pre-Press Manager: Chiara Daelli
Traduzione (1a ed.): Alfredo Suvero (a eccezione dei Capp. 19 e 21)
Silvia Licoccia (Capp. 19 e 21)
Traduzione (2a, 3a e 4a ed.): Silvia Licoccia
Realizzazione editoriale: Fotocompos, Gussago (BS)
Grafica di copertina: Feel Italia, Milano
Immagine di copertina: © Efman

ISBN a 13 978-88-386-9788-3

00PrPag.indd 4 20/05/19 11:57


A Ruth e Daniel, con tutto il mio amore, e gratitudine.
MSS

A Ralph, Eric, Samantha e Lindsay: voi siete la mia gioia.


PGA

00PrPag.indd 5 17/05/19 12:18


00PrPag.indd 6 17/05/19 12:18
Indice

Prefazione all’ottava edizione americana XV Come la teoria di Dalton spiega le leggi di massa 36
Ringraziamenti XIX Le masse relative degli atomi 36
Prefazione alla quarta edizione italiana XX 2.4 Le osservazioni che condussero al modello
Gli autori e il curatore XXII nucleare dell’atomo 37
Guida alla lettura XXIII Scoperta dell’elettrone e delle sue proprietà 37
Scoperta del nucleo atomico 38

CAPITOLO 1 2.5 La teoria atomica odierna 41


Struttura dell’atomo 41
Le chiavi per lo studio della chimica 1 Numero atomico, numero di massa e simbolo atomico 42
1.1 Alcune definizioni fondamentali 2 Isotopi e masse atomiche degli elementi 42
Le proprietà della materia 2 Un moderno riesame della teoria atomica 44
I tre stati di aggregazione della materia 3 2.6 Gli elementi: un primo sguardo
Il tema centrale della chimica 5 alla tavola periodica 45
L’importanza dell’energia nello studio della materia 5
SPETTROMETRIA DI MASSA 46
1.2 Arti chimiche e origini della chimica
­moderna 7 2.7 I composti: introduzione al legame chimico 49
Tradizioni prechimiche 8 La formazione di composti ionici 49
L’insuccesso della teoria del flogisto e l’influenza Formazione dei composti covalenti 52
di Lavoisier 8 Ioni poliatomici: legami covalenti entro gli ioni 53
1.3 Il metodo scientifico: costruzione 2.8 I composti: formule, nomi e masse 53
di un modello 10 Tipi di formule chimiche 53
Qualche consiglio sull’apprendimento dei nomi
1.4 Risoluzione dei problemi di chimica 11 e delle formule 54
Unità di misura e fattori di conversione impiegati Nomi e formule dei composti ionici 54
nei calcoli 12 Nomi e formule dei composti covalenti binari 60
Approccio sistematico alla risoluzione dei problemi Deduzione delle masse molecolari dalle formule
di chimica 13 ­chimiche 61
1.5 La misurazione nella scienza 15 2.9 Le miscele: classificazione e separazione 62
Caratteristiche generali del Sistema Internazionale
di Unità 15 RAPPRESENTAZIONE DELLE MOLECOLE 63
Alcune unità SI importanti in chimica 16
1.6 Incertezza di misura: cifre significative 23 TECNICHE DI SEPARAZIONE FONDAMENTALI 66
Determinazione delle cifre significative 24
Come operare con le cifre significative nei calcoli 24
Precisione, accuratezza e taratura degli strumenti 27
CAPITOLO 3
RISOLUZIONE DEI PROBLEMI DI CHIMICA
Stechiometria: relazioni quantità-
NEL MONDO REALE 28 massa-numero nei sistemi chimici 68
3.1 La mole 68
CAPITOLO 2 Definizione della mole 68
Massa molare 70
I componenti della materia 30 Interconversione di quantità di sostanza, massa
2.1 Elementi, composti e miscele: uno sguardo e numero di entità chimiche 71
d’insieme dal punto di vista atomico 31 Percentuale in massa ottenuta dalla formula
2.2 Le osservazioni che condussero ­chimica 74
a una concezione atomica della materia 32 3.2 Determinazione della formula di un
Conservazione della massa 32 composto sconosciuto 76
Composizione definita e costante 33 Formule empiriche 76
Proporzioni multiple 35 Formule molecolari 77
2.3 La teoria atomica di Dalton 35 Analisi per combustione 79
Postulati della teoria atomica 36 Formule chimiche e strutture delle molecole 81

00PrPag.indd 7 17/05/19 12:18


VIII Indice

3.3 Scrittura e bilanciamento delle equazioni 5.2 Pressione di un gas e sua misurazione 140
chimiche 82 Dispositivi di laboratorio per misurare la pressione
di un gas 140
3.4 Calcolo delle quantità di reagenti
Unità di misura della pressione 143
e di prodotti 86
Rapporti molari stechiometricamente equivalenti 5.3 Le leggi dei gas e le loro basi sperimentali 144
ottenuti dall’equazione bilanciata 86 La relazione tra volume e pressione: la legge
Reazioni chimiche in sequenza 90 di Boyle 144
Reazioni chimiche a cui partecipa un reagente La relazione tra volume e temperatura: la legge
limitante 91 di Charles 145
Reazioni chimiche in pratica: resa teorica, resa effettiva La relazione tra volume e quantità: la legge
e resa percentuale 93 di Avogadro 147
3.5 Fondamenti di stechiometria delle reazioni Comportamento di un gas in condizioni normali
in soluzione 95 di temperatura e pressione 148
Espressione delle concentrazioni in termini L’equazione di stato dei gas perfetti 148
di molarità 95 Risoluzione dei problemi sulle leggi dei gas 150
Conversioni quantità-massa-numero 5.4 Ulteriori applicazioni dell’equazione
che implicano soluzioni 96 di stato dei gas perfetti 153
Preparazione e diluizione di soluzioni molari 97 Densità di un gas 153
Stechiometria delle reazioni chimiche in soluzione 99 Massa molare di un gas 155
La pressione parziale di un gas in una miscela di gas 156
CAPITOLO 4 Equazione di stato dei gas perfetti e stechiometria
Le principali classi di reazioni delle reazioni 159

­chimiche 104 5.5 La teoria cinetica dei gas: un modello


del comportamento dei gas 161
4.1 Il ruolo dell’acqua come solvente 104 Come la teoria cinetica dei gas spiega le leggi
La solubilità dei composti ionici 104 dei gas 161
Il carattere polare dell’acqua 106 L’importanza dell’energia cinetica 164
4.2 Scrittura delle equazioni per le reazioni Effusione e diffusione 166
ioniche in soluzione acquosa 109 Il mondo caotico dei gas: cammino libero medio
e frequenza degli urti 167
4.3 Reazioni di precipitazione 110
La forza motrice di una reazione di precipitazione 111 CHIMICA NELLA SCIENZA PLANETARIA 168
Come prevedere se una reazione avverrà o no 111 5.6 I gas reali: deviazioni dal comportamento
4.4 Reazioni acido-base 113 dei gas perfetti 171
La forza motrice e la trasformazione netta: formazione Effetti di condizioni estreme sul comportamento
di H2O a partire da H+ e OH− 113 dei gas 171
Titolazioni acido-base 115 L’equazione di van der Waals: l’equazione di stato
Reazioni acido-base come processi di trasferimento dei gas perfetti corretta 173
protonico 116
4.5 Reazioni di ossidoriduzione CAPITOLO 6
(reazioni redox) 119 Termochimica: flusso di energia
La forza motrice per i processi redox 119
Terminologia essenziale delle reazioni redox 120 e trasformazioni chimiche 176
Impiego dei numeri di ossidazione per monitorare
6.1 Forme di energia e loro interconversione 176
il movimento di carica elettronica 120
Il sistema e l’ambiente 177
Bilanciamento delle equazioni redox 123
Flusso di energia dall’esterno all’interno di un sistema
Titolazioni redox 125
e viceversa 177
4.6 Sostanze elementari nelle reazioni Calore e lavoro: due forme di trasferimento
­redox 127 di energia 178
4.7 Reazioni reversibili: un’introduzione Il principio di conservazione dell’energia 180
all’equilibrio chimico 134 Unità di misura dell’energia 181
Funzioni di stato e indipendenza della variazione
di energia dal cammino percorso 182
CAPITOLO 5
6.2 Entalpia: calori di reazione
I gas e la teoria cinetica dei gas 138 e trasformazioni chimiche 183
5.1 Uno sguardo d’insieme agli stati fisici Significato dell’entalpia 183
della materia 138 Confronto tra ΔE e ΔH 184

00PrPag.indd 8 17/05/19 12:18


Indice IX

Processi esotermici ed endotermici 184 Il principio di esclusione 234


Alcuni tipi importanti Effetti elettrostatici e separazione (splitting) dei livelli
di variazione dell’entalpia 186 energetici 234
Variazioni delle forze di legame, ovvero: da dove
proviene il calore di reazione? 186
8.3 Il modello quantomeccanico e la tavola
periodica 237
6.3 Calorimetria: misura dei calori di reazione Costruzione dei Periodi 1 e 2 237
in laboratorio 188 Costruzione del Periodo 3 240
Calore specifico 189 Configurazioni elettroniche entro i gruppi 241
I due principali tipi di calorimetria 190 La prima serie di transizione con riempimento
degli orbitali d: costruzione del Periodo 4 242
6.4 Stechiometria delle equazioni
Principi generali delle configurazioni elettroniche 244
termochimiche 192
Schemi complessi: gli elementi di transizione
6.5 Legge di Hess dell’additività delle variazioni e gli elementi di transizione interna 246
di entalpia 193 8.4 Tendenze in alcune proprietà atomiche
6.6 Calori standard di reazione (ΔH 0r) 195 periodiche essenziali 247
Equazioni di formazione e loro variazioni standard Tendenze nel raggio atomico 247
di entalpia 196 Tendenze nell’energia di ionizzazione 250
Determinazione di ΔH0r a partire dai valori di ΔH0f Tendenze nell’affinità elettronica 254
dei reagenti e dei prodotti 197
8.5 La connessione tra struttura atomica
CHIMICA NELLE SCIENZE AMBIENTALI 199 e reattività chimica 255
Tendenze nel comportamento metallico 255
CAPITOLO 7 Proprietà degli ioni monoatomici 258

Teoria quantistica e struttura


atomica 204 CAPITOLO 9
7.1 Natura della luce 205
Modelli del legame chimico 265
Natura ondulatoria della luce 205 9.1 Proprietà atomiche e legami chimici 265
Natura particellare della luce 209 Tipi di legame chimico 265
Simboli di Lewis: rappresentazione degli atomi
7.2 Spettri atomici 211 nei legami chimici 267
Il modello di Bohr dell’atomo di idrogeno 213
Limitazioni del modello di Bohr 215 9.2 Il modello del legame ionico 268
Gli stati energetici dell’atomo di idrogeno 215 Considerazioni energetiche nella formazione
del legame ionico: l’importanza dell’energia
SPETTROFOTOMETRIA NELL’ANALISI reticolare 269
CHIMICA 216 Tendenze periodiche nell’energia reticolare 272
7.3 Il dualismo onda-particella di materia Come il modello spiega le proprietà
ed energia 218 dei composti ionici 273
Natura ondulatoria degli elettroni e natura particellare 9.3 Il modello del legame covalente 275
dei fotoni 219 La formazione di un legame covalente 275
Il principio di indeterminazione di Heisenberg 221 Le proprietà di un legame covalente: energia di legame
7.4 Il modello quantomeccanico e lunghezza di legame 276
dell’atomo 222 Come il modello spiega le proprietà dei composti
L’orbitale atomico e la posizione probabile covalenti 279
dell’elettrone 223 9.4 Tra i due estremi: elettronegatività e polarità
Numeri quantici di un orbitale atomico 224 di legame 280
Forme degli orbitali atomici 227 Elettronegatività e numero di ossidazione 281
Livelli energetici dell’atomo di idrogeno 230 Legami covalenti polari e polarità di legame 283
Il carattere ionico parziale dei legami covalenti
CAPITOLO 8 polari 283
Configurazione elettronica Il continuo di legame lungo un periodo 284

e periodicità chimica 231 9.5 Introduzione al legame metallico 286


Il modello del mare di elettroni 286
8.1 Sviluppo della tavola periodica 231 Come il modello spiega le proprietà dei metalli 286
8.2 Caratteristiche degli atomi polielettronici 233
Il numero quantico di spin elettronico 233 SPETTROSCOPIA INFRAROSSA 288

00PrPag.indd 9 17/05/19 12:18


X Indice

CAPITOLO 10 11.3 Teoria degli orbitali molecolari (teoria MO)


e delocalizzazione elettronica 332
Le forme delle molecole 291 I temi centrali della teoria MO 332
10.1 Rappresentazione delle molecole e degli Molecole biatomiche omonucleari di elementi
ioni con strutture di Lewis 291 del Periodo 2 335
Impiego della regola dell’ottetto per scrivere Descrizione di alcune molecole biatomiche
le strutture di Lewis 292 eteronucleari con la teoria MO 341
Risonanza: legame a coppie di elettroni Descrizione dell’ozono e del benzene
delocalizzate 295 con la teoria MO 342
Carica formale: scelta della migliore struttura
di risonanza 297 CAPITOLO 12
Strutture di Lewis per le eccezioni alla regola Forze intermolecolari: liquidi, solidi
dell’ottetto 298
e transizioni di fase 345
10.2 Impiego delle strutture di Lewis 12.1 Uno sguardo d’insieme agli stati fisici
e delle energie di legame per calcolare e alle transizioni di fase 345
i calori di reazione 301
12.2 Aspetti quantitativi delle transizioni
10.3 Teoria VSEPR (Valence-Shell Electron- di fase 348
Pair Repulsion, repulsione tra le coppie di Calore assorbito o rilasciato nelle transizioni di fase:
elettroni del guscio di valenza) e forma un approccio cinetico 349
molecolare 304 Le transizioni di fase come processi di equilibrio
Disposizioni dei gruppi di elettroni e forme dinamico 351
molecolari 304 Diagrammi di fase: l’effetto della temperatura
La forma molecolare con due gruppi di elettroni e della pressione sullo stato fisico 355
(disposizione lineare) 305 12.3 Tipi di forze intermolecolari 357
Forme molecolari con tre gruppi di elettroni Forze ione-dipolo 355
(disposizione planare trigonale) 306 Forze dipolo-dipolo 355
Forme molecolari con quattro gruppi di elettroni Il legame idrogeno 359
(disposizione tetraedrica) 307 Polarizzabilità e forze carica-dipolo indotto 362
Forze di dispersione (forze di London) 362
Forme molecolari con cinque gruppi di elettroni
(disposizione bipiramidale trigonale) 308 12.4 Proprietà dello stato liquido 365
Forme molecolari con sei gruppi di elettroni Tensione superficiale 365
(disposizione ottaedrica) 310 Capillarità 366
Impiego della teoria VSEPR per determinare la forma Viscosità 367
molecolare 310 12.5 L’unicità dell’acqua 367
Forme molecolari con più di un atomo centrale 313 Proprietà solventi dell’acqua 367
Proprietà termiche dell’acqua 368
10.4 Forma molecolare e polarità molecolare 314
Proprietà di superficie dell’acqua 368
Polarità di legame, angolo di legame e momento
di dipolo 315 PROPRIETÀ DEI LIQUIDI  369
L’effetto della polarità molecolare sul comportamento La densità dell’acqua solida e liquida 370
fisico 316
12.6 Lo stato solido: struttura, proprietà
BELLEZZA MOLECOLARE: FORME STRANE e legami 370
CON FUNZIONI UTILI 318 Caratteristiche strutturali dei solidi 371
ANALISI PER DIFFRAZIONE DI RAGGI X
CHIMICA NELLE SCIENZE BIOLOGICHE 319 E MICROSCOPIA ELETTRONICA
A SCANSIONE A EFFETTO TUNNEL 376
CAPITOLO 11
Tipi di solidi cristallini e loro proprietà 378
Teorie del legame covalente 321 Solidi amorfi 382
Legami nei solidi: teoria delle bande di orbitali
11.1 La teoria del legame di valenza (teoria VB)
molecolari 383
e l’ibridazione degli orbitali 321
I temi centrali della teoria VB 321 12.7 Materiali avanzati 385
Materiali elettronici 386
Tipi di orbitali ibridi 322
Cristalli liquidi 388
11.2 Il modo di sovrapposizione degli orbitali Materiali ceramici 392
e i tipi di legami covalenti 328 Materiali polimerici 394
La trattazione VB dei legami singoli e multipli 329 Nanotecnologia: progettazione di materiali atomo
Sovrapposizione di orbitali e rotazione molecolare 331 per atomo 400

00PrPag.indd 10 17/05/19 12:18


Indice XI

CAPITOLO 13 CAPITOLO 14
Le proprietà delle miscele: Andamenti periodici negli
soluzioni e colloidi 403 elementi dei gruppi principali:
13.1 Tipi di soluzioni: forze intermolecolari legami, strutture e reattività 458
e previsione della solubilità 404 14.1 L’idrogeno, l’atomo più semplice 458
Forze intermolecolari nelle soluzioni 404 Dove si colloca l’idrogeno nella tavola periodica? 459
Soluzioni liquide e ruolo della polarità molecolare 405 Punti salienti della chimica dell’idrogeno 459
Soluzioni gassose e soluzioni solide 409 14.2 Tendenze attraverso la tavola periodica:
13.2 Forze intermolecolari e macromolecole gli elementi del periodo 2 460
biologiche 409 14.3 Gruppo 1A(1): I metalli alcalini 461
Le strutture delle proteine 410 Perché i metalli alcalini sono teneri, bassofondenti
La doppia polarità di saponi, membrane e e leggeri? 461
antibiotici 412 Perché i metalli alcalini sono così reattivi? 461
La struttura del DNA 414
Ritratto di famiglia   Gruppo 1A(1) :
13.3 Variazioni di energia nel processo I metalli alcalini 464
di dissoluzione 415 Il comportamento anomalo del litio 466
Calori di soluzione e cicli di dissoluzione 415
14.4 Gruppo 2A(2): I metalli alcalino-terrosi 467
Calori di idratazione: solidi ionici in acqua 416
Un confronto tra le proprietà fisiche dei metalli
Il processo di dissoluzione e la variazione
alcalino-terrosi e quelle dei metalli alcalini 467
di Entropia 418
Un confronto tra le proprietà chimiche dei metalli
13.4 La solubilità come processo alcalino-terrosi e quelle dei metalli alcalini 467
di equilibrio 419 Ritratto di famiglia   Gruppo 2A(2) :
Effetto della temperatura sulla solubilità 420 I metalli alcalino-terrosi 468
Effetto della pressione sulla solubilità 422
Il comportamento anomalo del berillio 470
13.5 Espressioni quantitative Relazioni diagonali: litio e magnesio 470
della concentrazione 423 Guardando indietro e avanti: i gruppi 1A(1), 2A(2)
Molarità e molalità 423 e 3A(13) 471
Parti di soluto per parti di soluzione 424 14.5 Gruppo 3A(13): La famiglia del boro 471
Conversione delle unità di concentrazione 427
Ritratto di famiglia   Gruppo 3A(13) :
13.6 Proprietà colligative delle soluzioni 428 La famiglia del boro 472
Proprietà colligative delle soluzioni di non elettroliti
non volatili 428 In che modo gli elementi di transizione influenzano
Impiego delle proprietà colligative per determinare le proprietà del Gruppo 3A(13)? 474
la massa molare del soluto 434 Quali nuove caratteristiche compaiono nelle proprietà
Proprietà colligative delle soluzioni di non elettroliti chimiche del Gruppo 3A(13)? 475
volatili 436 Punti salienti della chimica del boro 476
Proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti 437 Relazioni diagonali: berillio e alluminio 478
14.6 Gruppo 4A(14): La famiglia
PROPRIETÀ COLLIGATIVE NELL’INDUSTRIA
del carbonio 478
E IN BIOLOGIA 438 In che modo il legame in un elemento influenza
13.7 Struttura e proprietà dei colloidi 440 le proprietà fisiche? 478
CHIMICA NELL’INGEGNERIA SANITARIA 444 Ritratto di famiglia   Gruppo 4A(14) :
La famiglia del carbonio 480
Come cambia il tipo di legame nei composti
UNO SGUARDO D’INSIEME degli elementi del Gruppo 4A(14)? 482
ALLE PROPRIETÀ Punti salienti della chimica del carbonio 482
DEGLI ELEMENTI Punti salienti della chimica del silicio 484
Le principali proprietà atomiche 448 Relazioni diagonali: boro e silicio 485
Guardando indietro e avanti: i Gruppi 3A(13), 4A(14)
Le caratteristiche del legame chimico 450
e 5A(15) 485
Comportamento metallico 452
Il comportamento acido-base degli ossidi MINERALI SILICATICI E POLIMERI SILICONICI 486
degli elementi 453 14.7 Gruppo 5A(15): La famiglia dell’azoto 488
Comportamento redox degli elementi 454 Che cosa spiega l’ampio spettro di comportamento fisico
Stati fisici e cambiamenti di fase 456 nel Gruppo 5A(15)? 488

00PrPag.indd 11 17/05/19 12:18


XII Indice

Quali andamenti regolari si osservano


MISURA DELLE VELOCITÀ DI REAZIONE 524
nel comportamento chimico degli elementi
del Gruppo 5A(15)? 489 16.3 La legge cinetica di reazione
Ritratto di famiglia   Gruppo 5A(15) : e le sue componenti 524
La famiglia dell’azoto 490 Determinazione della velocità iniziale di reazione 526
Terminologia degli ordini di reazione 526
Punti salienti della chimica dell’azoto 492
Determinazione degli ordini di reazione 528
Punti salienti della chimica del fosforo: ossidi
Determinazione della costante di velocità 531
e ossiacidi 495
16.4 Leggi cinetiche integrate:
14.8 Gruppo 6A(16): La famiglia
la concentrazione varia nel tempo 531
dell’ossigeno 497 Leggi cinetiche integrate per reazioni del primo ordine,
Un confronto tra la famiglia dell’ossigeno e la famiglia del secondo ordine e di ordine zero 532
dell’azoto sotto l’aspetto fisico 497 Determinazione dell’ordine di reazione
Ritratto di famiglia   Gruppo 6A(16) : in base alla legge cinetica integrata 533
La famiglia dell’ossigeno 498 Tempo di dimezzamento di una reazione 534
Un confronto tra le proprietà chimiche della famiglia 16.5 L’effetto della temperatura sulla velocità
dell’ossigeno e quelle della famiglia dell’azoto 500 di reazione 537
Punti salienti della chimica dell’ossigeno: lo spettro 16.6 Spiegazione degli effetti della
di proprietà degli ossidi 502 concentrazione e della temperatura 540
Punti salienti della chimica dello zolfo: ossidi, ossiacidi Teoria delle collisioni: basi della legge cinetica 540
e solfuri 502 Teoria dello stato di transizione: natura molecolare
Guardando indietro e avanti: i Gruppi 5A(15), 6A(16) dello stato attivato 543
e 7A(17) 504
16.7 Meccanismi di reazione: stadi
14.9 Gruppo 7A(17): Gli alogeni 504 nella reazione complessiva 546
Che cosa spiega i cambiamenti regolari nelle proprietà Reazioni elementari e molecolarità 546
degli alogeni? 504 Lo stadio determinante la velocità di un meccanismo
Perché gli alogeni sono così reattivi? 504 di reazione 548
Ritratto di famiglia   Gruppo 7A(17) : Correlazione del meccanismo di reazione con la legge
cinetica 549
Gli alogeni 506
16.8 Catalisi: accelerazione di una reazione
Punti salienti della chimica degli alogeni 508
chimica 552
14.10 Gruppo 8A(18): I gas nobili 511 Catalisi omogenea 553
Proprietà fisiche dei gas nobili 511 Catalisi eterogenea 554
In che modo i gas nobili riescono a formare Cinetica e azione dei catalizzatori biologici 555
composti? 511
CHIMICA NELLA SCIENZA ATMOSFERICA 558
Guardando indietro e avanti: i Gruppi 7A(17), 8A(18)
e 1A(1) 512
Ritratto di famiglia   Gruppo 8A(18) :
CAPITOLO 17
I gas nobili 513 L’equilibrio: l’entità delle reazioni
chimiche 560
CAPITOLO 15 17.1 Natura dinamica dello stato
Composti organici e proprietà di equilibrio 561
17.2 Il quoziente di reazione e la costante
atomiche del carbonio 514 di equilibrio 563
Scrittura del quoziente di reazione 564
CAPITOLO 16 Variazioni della forma del quoziente di reazione 565
Cinetica chimica: velocità 17.3 Espressione degli equilibri con termini
e meccanismi delle reazioni di pressione: relazione tra Kc e Kp 569
17.4 Direzione di una reazione: confronto
chimiche 516 di Q e K 571
16.1 I fattori che influenzano la velocità 17.5 Come si risolvono i problemi
di reazione 517 di equilibrio 573
16.2 Espressione della velocità di reazione 518 Uso delle quantità per determinare la costante
Velocità media, istantanea e iniziale di una reazione 519 di equilibrio 573
Espressione della velocità di reazione in funzione Uso della costante di equilibrio per determinare
delle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti 521 le grandezze 576

00PrPag.indd 12 17/05/19 12:18


Indice XIII

17.6 Condizioni di reazione e stato di equilibrio: 18.8 Generalizzazione del concetto di Brønsted-
principio di Le Châtelier 582 Lowry: l’effetto di livellamento 629
L’effetto di una variazione della concentrazione 583
L’effetto di una variazione della pressione 18.9 Donazione di coppie di elettroni e definizione
(del volume) 586 di acidi e basi secondo Lewis 630
L’effetto di una variazione della temperatura 588 Molecole come acidi di Lewis 631
L’assenza di effetto di un catalizzatore 589 Cationi metallici come acidi di Lewis 632
Uno sguardo d’insieme alle definizioni
CHIMICA NELLA PRODUZIONE di acidi e basi 633
INDUSTRIALE 591
CHIMICA NELLE SCIENZE BIOLOCIHE 593
CAPITOLO 19
CAPITOLO 18 Equilibri ionici in soluzione
Equilibri acido-base 595 acquosa 635
18.1 Acidi e basi in acqua 596 19.1 Equilibri dei sistemi tampone acido-base 635
Rilascio di protone o di ione idrossido e definizione Come funziona un tampone: l’effetto ione a comune 636
classica di acidi e basi 597 L’equazione di Henderson-Hasselbalch 640
Variazione della forza degli acidi: la costante Potere tamponante e campo di tamponamento 641
di dissociazione acida (Ka) 597 Preparazione di un tampone 642
Classificazione delle forze relative degli acidi
e delle basi 600 19.2 Curve di titolazione acido-base 644
Monitorare il pH con indicatori acido-base 644
18.2 Autoionizzazione dell’acqua
Curve di titolazione acido forte-base forte 645
e scala del pH 601
Curve di titolazione acido debole-base forte 647
Il carattere di equilibrio dell’autoionizzazione:
Curve di titolazione base debole-acido forte 650
il prodotto ionico dell’acqua (Kw) 602
Curve di titolazione per acidi poliprotici 651
Espressione della concentrazione dello ione idronio:
Amminoacidi come acidi poliprotici biologici 652
la scala del pH 603
18.3 Trasferimento protonico e definizione 19.3 Equilibri di composti ionici poco solubili 653
di acidi e basi secondo Brønsted-Lowry 606 L’espressione del prodotto ionico (Qps) e la costante
La coppia coniugata acido-base 607 prodotto di solubilità (Kps) 653
Forza relativa di acidi e basi e direzione netta Calcoli riguardanti la costante prodotto di solubilità 655
di reazione 608 L’effetto di uno ione a comune sulla solubilità 658
L’effetto del pH sulla solubilità 659
18.4 Risoluzione di problemi che implicano
Predire la formazione di un precipitato: Qps e Kps 660
equilibri coinvolgenti acidi deboli 610
Determinazione di Ka date le concentrazioni 611 19.4 Equilibri degli ioni complessi 661
Determinazione delle concentrazioni data Ka 612 Formazione degli ioni complessi 661
L’effetto della concentrazione sull’entità Ioni complessi e solubilità 664
della dissociazione di un acido 614 Ioni complessi di idrossidi anfoteri 664
Il comportamento degli acidi poliprotici 614 CHIMICA IN GEOLOGIA 667
18.5 Le basi deboli e la loro relazione CHIMICA NELLE SCIENZE AMBIENTALI 668
con gli acidi deboli 617
Molecole come basi deboli: ammoniaca e ammine 617
Anioni di acidi deboli come basi deboli 620 CAPITOLO 20
La relazione tra Ka e Kb di una coppia coniugata Termodinamica: entropia, energia
acido-base 621
libera e direzione delle reazioni
18.6 Proprietà molecolari e forza di un acido 622
Tendenze della forza acida degli idruri
chimiche 673
non metallici 622 20.1 La seconda legge della termodinamica:
Tendenze della forza acida negli ossiacidi 623 prevedere una trasformazione
Acidità degli ioni metallici idrati 624 spontanea 674
18.7 Proprietà acido-base delle soluzioni Limitazioni della prima legge della termodinamica 674
saline 625 Il segno di ΔH non permette di prevedere
Sali che producono soluzioni neutre 625 una trasformazione spontanea 675
Sali che producono soluzioni acide 626 Libertà di moto delle particelle e dispersione
Sali che producono soluzioni basiche 626 della loro energia 676
Sali di cationi debolmente acidi e di anioni Entropia e numero di microstati 677
debolmente basici 628 Entropia e seconda legge della termodinamica 680

00PrPag.indd 13 17/05/19 12:18


XIV Indice

Entropie molari standard e terza legge Protezione del ferro dalla corrosione 741
della termodinamica 681
21.7 Celle elettrolitiche: utilizzare energia
Previsione dei valori relativi di S0 di un sistema 681
elettrica per far avvenire una reazione
20.2 Calcolo della variazione di entropia non spontanea 742
di una reazione 685 Costruzione e funzionamento di una cella
Variazioni di entropia nel sistema: l’entropia standard elettrolitica 742
di una reazione ΔS°r) 685 Predizione dei prodotti di elettrolisi 744
Variazioni di entropia dell’ambiente: l’altra parte La stechiometria dell’elettrolisi: relazione tra quantità
del totale 687 di carica e prodotto 748
La variazione di entropia e lo stato di equilibrio 688 CHIMICA E SCIENZE BIOLOGICHE 751
Reazioni spontanee esotermiche ed endotermiche:
un riepilogo 689
CAPITOLO 22
CHIMICA IN BIOLOGIA 690
Gli elementi in natura
20.3 Entropia, energia libera e lavoro 691
Variazione di energia libera e spontaneità e nell’industria 753
di una reazione 691 22.1 Gli elementi in natura 753
Calcolare le variazioni di energia libera standard 692 La struttura della Terra e l’abbondanza naturale
ΔG e lavoro che un sistema può compiere 694 degli elementi 753
L’effetto della temperatura sulla spontaneità Fonti degli elementi 757
di una reazione 696
22.2 I cicli degli elementi nell’ambiente 758
Accoppiamento di reazioni per favorire
Il ciclo del carbonio 759
una trasformazione non spontanea 699
Il ciclo dell’azoto 760
20.4 Energia libera, equilibrio e direzione Il ciclo del fosforo 762
di una reazione 699
22.3 Metallurgia: estrarre un metallo
CHIMICA E SCIENZE BIOLOGICHE 704
dal suo minerale 765
Pretrattare il minerale 765
CAPITOLO 21 Convertire il minerale nell’elemento 766
Elettrochimica: variazioni chimiche Raffinazione e formazione di leghe 769

e lavoro elettrico 706 22.4 Trivellando la crosta: isolamento


e uso di alcuni elementi 770
21.1 Semireazioni e celle elettrochimiche 707 Produzione dei metalli alcalini: sodio e potassio 771
Riepilogo dei concetti sulle ossidoriduzioni 707 Gli indispensabili tre: ferro, rame e alluminio 772
Bilanciamento delle reazioni redox con il metodo Estrarre il magnesio dal mare 778
delle semireazioni 707 Fonti e usi dell’idrogeno 780
Celle elettrochimiche 712
22.5 L’industria chimica: due casi studio 782
21.2 Celle voltaiche: utilizzare reazioni spontanee L’acido solforico, il composto chimico più
per produrre energia elettrica 713 importante 782
Costruzione e funzionamento di una cella voltaica 713 Il processo cloro-soda 785
Rappresentazione di una cella voltaica 716
Perché funziona una cella voltaica? 717 Appendice A Operazioni matematiche di uso comune
21.3 Potenziale di cella: l’“output” di una cella in chimica 787
voltaica 717 Appendice B Valori termodinamici standard per
Potenziali standard di cella 718 sostanze scelte a 298 K   791
Forza relativa di agenti ossidanti e riducenti 721
Appendice C Costanti di equilibrio a 298 K 794
21.4 Energia libera e lavoro elettrico 726
Potenziale standard di cella e costante di equilibrio 726 Appendice D Potenziali elettrodici (di semicella)
L’effetto della concentrazione sul potenziale di cella 729 standard a 298 K 797
Potenziale di cella e relazione tra Q e K 730 Appendice E Dati e informazioni utili 798
Celle a concentrazione 732
Appendice F Dati e informazioni utili nel volume 799
21.5 Processi elettrochimici nelle batterie 735
Batterie primarie (non ricaricabili) 735 Appendice G Gli elementi 800
Batterie secondarie (ricaricabili) 737
Appendice H Tavola periodica degli elementi 802
Celle a combustibile 738
21.6 Corrosione: un caso di elettrochimica
Indice analitico 803
ambientale 739
La corrosione del ferro 739 Eserciziario 809

00PrPag.indd 14 24/05/19 12:52


Prefazione dell’ottava edizione
americana
La Chimica è una materia così fondamentale per comprendere la medicina, la biologia, le scienze ambientali e molte
aree dell’ingegneria e dei processi industriali da essere diventato un insegnamento obbligatorio per molti Corsi di Laurea.
Inoltre, i principi chimici sono un aspetto cruciale, alla base di alcuni dei temi più sentiti dell’epoca contemporanea,
quali le problematiche legate al cambiamento climatico, la ricerca di fonti alternative di energia, l’esigenza di garantire
materie prime, nutrizione e cure mediche alla sempre crescente popolazione del nostro pianeta.

STABILIRE LO STANDARD QUALITATIVO DI UN TESTO DI CHIMICA


L’ottava edizione americana di Chimica - La natura molecolare della materia e delle sue trasformazioni mantiene il
proprio elevato standard qualitativo tra i manuali di chimica, migliorando ulteriormente per venire incontro alle
esigenze di docenti e studenti. I contenuti sono stati aggiornati, mentre i meccanismi del testo, l’approccio didattico
che tanto è stato apprezzato, sono rimasti gli stessi. Il testo propone ancora una volta accuratissime illustrazioni
molecolari, Problemi di verifica svolti all’interno dei singoli capitoli e un esteso Eserciziario finale. I tre temi essen-
ziali sviluppati nelle prime edizioni – visualizzare i modelli chimici dal livello macroscopico a quello molecolare,
pensare in modo logico per risolvere i problemi e illustrare la stupefacente pertinenza della chimica al mondo reale
– rendono questo manuale un punto di riferimento per lo studio della chimica e appaiono in questa edizione con
una chiarezza senza precedenti.

Visualizzare i modelli chimici


Poiché la chimica studia le trasformazioni osservabili nel mondo che ci circonda che sono causate da eventi su
scala atomica inosservabili, si deve superare un divario di dimensioni di ampiezza sbalorditiva. Uno degli obiettivi
del testo coincide con quello che si prefiggono molti docenti: aiutare gli studenti a visualizzare reazioni chimiche
su scala molecolare. Per questa ragione, in tutto il libro, i concetti sono spiegati prima a livello macroscopico e poi
da un punto di vista molecolare, con illustrazioni innovative poste vicino alla trattazione per catturare l’attenzione
degli studenti di oggi, che hanno una forte propensione alla fruizione di contenuti visivi.

Mg2 2
O
Mg Mg energia elettrica O2
Mg2

O2

energia elettrica
2Mg(s)  O2(g) 2MgO(s)

00PrPag.indd 15 17/05/19 12:18


XVI Prefazione all’ottava edizione americana
316 Capitolo 10

Pensare logicamente Previsione della polarità delle molecole


per risolvere i problemi
PROBLEMA DI VERIFICA 10.10
Il metodo di risoluzione dei problemi, ba- Problema In base ai valori dell’elettronegatività (χ) e alle loro tendenze periodiche (vedi Figu-
sato su un procedimento in quattro tappe ra 9.16), si preveda se ciascuna delle seguenti molecole sia polare e si indichi l’orientamento
dei dipoli di legame e del dipolo molecolare complessivo quando applicabile.
ampiamente accettato, è introdotto nel (a) Ammoniaca, NH3 (b) Trifluoruro di boro, BF3
Capitolo 1 e impiegato coerentemente in (c) Solfuro di carbonile, COS (sequenza degli atomi SCO)
Piano In primo luogo, disegniamo e denominiamo la forma molecolare. Poi, usando i valori
tutto il libro. Incoraggia gli studenti a pia- relativi dell’elettronegatività, decidiamo sull’orientamento di ciascun dipolo di legame.
nificare anzitutto un approccio logico a un Infine, vediamo se i dipoli di legame si bilanciano o si rafforzano nell’intera molecola.
problema, e a procedere soltanto dopo a ri- Risoluzione (a) Per NH3. La forma molecolare è piramidale trigonale. Dalla Figura 9.16
vediamo che N (χ = 3,0) è più elettronegativo di H (χ = 2,1) e quindi i dipoli di legame
solverlo quantitativamente. Ogni Problema sono orientati verso N. I dipoli di legame si rinforzano parzialmente e quindi il dipolo mole-
colare è orientato verso N:
include la verifica, una tappa peculiare di
questo libro e consigliata universalmente
dai docenti, promuove l’abitudine di valu-
tareCapitolo
la ragionevolezza
3 e l’ordine di grandez-
za della risposta a un problema. Per consen-
tire Reazioni
allo studentechimiche in sequenza
di fare pratica e rafforzare Perciò l’ammoniaca è polare .
i concetti appresi, un
In molte situazioni, prodotto
ogni di una reazione
problema diventa un reagente
di verifi- (b) Per BF per la forma
3. La reazio-molecolare è planare trigonale. F (χ = 4,0), essendo più lontano a
ne successiva in una sequenza di reazioni. Ai fini stechiometrici,destraquando
rispetto la (χ = 2,0) nel Periodo 2, è più elettronegativo; perciò, ciascun dipolo di
a Bstessa
ca risolto
sostanza èsi seguito immediatamente
forma in una da un
reazione ed è utilizzata legame è orientato
in quella successiva, eliminiamo verso F. Però, l’angolo di legame è 120° e quindi i tre dipoli di legame
problema di approfondimento
questa sostanza simile,
comune in una reazione per il (netta).
complessiva si controbilanciano e BF3 non ha un dipolo molecolare:

quale1. èScrivere
presentata unadirisoluzione
la sequenza concisa
equazioni bilanciate.
alla 2.fineAggiustare
del capitolo.
aritmeticamente le equazioni per elidere la sostanza comune.
3. Sommare le equazioni aggiustate per ottenere l’equazione bilanciata comples-
siva.
Il Problema di verifica 3.9 illustra il metodo proseguendo il processo di estrazione
del rame iniziato nel Problema di verifica 3.8. Perciò, il trifluoruro di boro è apolare .
(c) Per COS. La forma molecolare è lineare. Con C e S aventi la stessa elettronegatività, il
Calcolo delle quantità di reagenti e di prodotti in una sequenza
legame C S è apolare, mentre il legame C O è piuttosto polare (Δχ = 1,0); quindi è
di reazioni presente un dipolo molecolare netto orientato verso l’atomo di O:

PROBLEMA DI VERIFICA 3.9


Problema L’arrostimento è il primo passaggio nell’estrazione del rame dalla calcocite, il
minerale usato nei problema precedente. Nel passaggio successivo, l’ossido di rame(I) reagi-
sce con carbonio polverizzato per dare rame metallico e monossido di carbonio gassoso. Si
scriva un’equazione complessiva bilanciata per la sequenza in due passaggi.
Perciò, il solfuro di carbonile è polare .
Piano Per ottenere l’equazione complessiva, scriviamo le singole equazioni in sequenza,
PROBLEMA
aggiustiamo i coefficienti per elidere la sostanza (o le sostanze) in comune e sommiamoDI APPROFONDIMENTO
le 10.10 Si indichino i dipoli di legame
equazioni. In questo caso, soltanto Cu2O compare come prodotto in e ilun’equazione e come ammesso che esistano, per i seguenti composti: (a) diclorometano
dipolo molecolare,
reagente in un’altra e quindi è la sostanza in comune. (CH2Cl2); (b) ossopentafluoruro di iodio (IOF5); (c) tribromuro di azoto (NBr3).
Risoluzione Scrittura delle singole equazioni bilanciate:
2Cu2S(s) + 3O2(g) 2Cu2O(s) + 2SO2(g) [equazione 1; vedi Problema di verifica 3.8(a)]
Cu2O(s) + C(s) 2Cu(s) + CO(g) [equazione 2] L’effetto della polarità molecolare sul comportamento fisico
Aggiustamento dei coefficienti: poiché nell’equazione 1 vengono prodotte soltanto 2 mol
Per farci un’idea
di Cu2O, ma nell’equazione 2 reagisce soltanto 1 mol di Cu2O, raddoppiamo tutti i dell’infl
coef- uenza della polarità molecolare sul comportamento fisico,
consideriamo
ficienti nell’equazione 2. Perciò, la quantità di Cu2O formata nell’equazione quale effetto un dipolo molecolare potrebbe avere quando molte mo-
1 è utilizzata
nell’equazione 2: lecole polari sono situate l’una vicina all’altra, come in un liquido. In che modo una
2Cu2S(s) + 3O2(g) 2Cu2O(s) + 2SO2(g) proprietà
[equazione 1] molecolare quale il momento di dipolo elettrico influenza una proprietà
2Cu2O(s) + 2C(s) 4Cu(s) + 2CO(g) macroscopica
[equazione 2, moltiplicataquale
per 2]la temperatura di ebollizione? Un liquido bolle quando le sue
Addizione delle due equazioni ed elisione della sostanza in comune:molecole
manteniamo hanno energia sufficiente per formare bolle di gas. Per entrare nella bolla,
i reagenti
di entrambe le equazioni nel primo membro e i prodotti di entrambe le le
molecole del secon-
reazioni nel liquido devono vincere le forze intermolecolari attrattive deboli. Un
do membro: dipolo molecolare influenza l’intensità di queste attrazioni.
2Cu 2S( s ) + 3O 2 ( g ) + 2Cu 2O( s ) + 2C( s )  o 2Cu 2O( s ) + 2SO 2 ( g ) + 4Cu( s ) + 2CO( g )
Ossia, 2 Cu2S(s) + 3O2(g) + 2C(s) 2SO2(g) + 4Cu(s) + 2CO(g)
Verifica Reagenti (4 Cu, 2 S, 6 O, 2 C) prodotti (4 Cu, 2 S, 6 O, 2 C)
Commento 1. Anche se Cu2O partecipa alla trasformazione chimica, non interviene nella
stechiometria delle reazioni. Un’equazione complessiva può non indicare quali sostanze
reagiscano effettivamente; per esempio, C(s) e Cu2S(s) non interagiscono qui direttamente,
anche se entrambi sono indicati come reagenti.
2. L’SO2 formato nell’estrazione del metallo contribuisce alla pioggia acida (vedi Problema di
approfondimento 3.9). Per aiutare a risolvere il problema della pioggia acida, i chimici hanno
ideato metodi microbici ed elettrochimici per estrarre i metalli senza arrostire i minerali sol-
furi. Questi metodi sono alcuni dei molti esempi di chimica verde, iniziative di collaborazione
tra università, pubblica amministrazione e industria destinate a ridurre le sostanze pericolose
presenti nell’ambiente.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.9 L’SO2 prodotto nell’estrazione del


rame reagisce nell’aria con l’ossigeno e forma triossido di zolfo. Questo gas, a sua volta, reagi-
sce con l’acqua per formare una soluzione di acido solforico che cade sotto forma di pioggia
o neve acida. Si scriva un’equazione complessiva bilanciata per questo processo.

Sequenze di reazioni in più passaggi, note come vie metaboliche, sono comuni nei
sistemi biologici. Nella maggior parte delle cellule, l’energia chimica nel glucosio

00PrPag.indd 16 17/05/19 12:18


Prefazione all’ottava edizione americana XVII

Applicare concetti e abilità al mondo reale


Una comprensione della chimica moderna influenza gli atteggiamenti di una persona riguardo ai problemi di po-
litica pubblica, quali l’ambiente, l’assistenza sanitaria e i cambiamenti climatici, e al tempo stesso spiega i fenomeni
di esperienza quotidia­na, quali l’elasticità di una scarpa da corsa, la visualizzazione sullo schermo di un computer
portatile e il profumo di una rosa. Gli studenti di oggi possono intraprendere una carriera in uno dei campi ibridi
emergenti, correlati attraverso la chimica – per esempio, scienza dei biomateriali, nanotecnologia o geochimica
planetaria – e il loro manuale di chimica dovrebbe tenerli al corrente di questi indirizzi professionali. Le schede La
chimica nelle altre scienze, Strumenti del laboratorio, le Schede di approfondimento e le note a margine costituiscono
apparati didattici aggiornati che completano i contenuti del testo.

La chimica nelle altre scienze Figura S13.2 Scambio ionico per la rimozione dei cationi dell’acqua
dura. Una colonna a scambio ionico installata in un impianto idrico-sanitario
Chimica nell’ingegneria sanitaria domestico. In una tipica resina a scambio ionico, i gruppi carichi di segno
negativo si legano covalentemente alle sferette di resina; le cariche negative
sono neutralizzate da ioni Na+. Gli ioni dell’acqua dura, come Ca2+, si scam-
biano con gli ioni Na+, che vengono asportati nell’acqua corrente.
Soluzioni e colloidi nella depurazione delle acque l’osmosi, l’acqua migra da una soluzione diluita a una
L’acqua “pulita” è una risorsa preziosa e limitata che ab- di dimensioni tra 0,1 e 10 μm. Questa tappa è molto efficace soluzione concentrata attraverso una membrana semiper-
biamo cominciato a tesaurizzare soltanto di recente, dopo nel rimuovere alcuni microrganismi resistenti ai disinfettanti. meabile. La conseguente differenza tra i volumi dell’acqua
decenni di inquinamento e sprechi. A causa della tendenza 5. Sterilizzazione e disinfezione. Dopo che sono state rimosse crea una pressione osmotica. Nell’osmosi inversa, l’acqua
naturale dei sistemi a diventare disordinati, è necessario le particelle sospese e colloidali, l’acqua può ancora conten- effluisce dalla soluzione concentrata quando alla soluzio-
fornire energia per rimuovere le particelle disciolte, disper- nere microorganismi dannosi che vengono uccisi da uno dei ne viene applicata una pressione maggiore della pressione
se o sospese nell’acqua per renderla abbastanza “pulita” per seguenti agenti: osmotica, costringendo l’acqua a rifluire attraverso la mem-
essere idonea agli usi umani. • Il cloro, sotto forma di candeggina acquosa (ClO−) o Cl2, è brana abbandonando gli ioni: in un certo senso, si tratta di
La maggior parte dell’acqua destinata agli usi umani l’agente più comune anche se può formare composti organi- una filtrazione degli ioni a livello molecolare.
proviene da laghi, fiumi e serbatoi che possono servire an- ci clorurati tossici. Questi possono infatti essere rimossi per Nei sistemi domestici di depurazione dell’acqua, l’osmo-
adsorbimento su carbone di legna attivato. si inversa è utilizzata per rimuovere ioni tossici, quali gli
che da discarica finale dopo che l’acqua è stata utilizzata.
• La luce UV emessa da lampade fluorescenti ad alta intensità ioni dei metalli pesanti Pb2+, Cd2+ e Hg2+, presenti a concen-
Molti ioni minerali, quali NO3− e Fe3+, possono essere pre-
esercita l’azione disinfettante distruggendo il DNA dei mi- trazioni troppo basse per consentire la rimozione mediante
senti in concentrazioni elevate. E possono essere presenti croorganismi.
anche composti organici disciolti, alcuni dei quali tossici. scambio ionico. Su scala molto maggiore, l’osmosi inversa è
• L’ozono (O3) agisce come disinfettante grazie alle sue pro-
Particelle di argilla fini e un intero spettro di microrgani- utilizzata negli impianti di desalinizzazione, che rimuovo-
prietà ossidanti.
smi sono dispersi in forma colloidale. Può essere presente no grandi quantità di ioni dall’acqua di mare (Figura S13.3).
in sospensione ogni sorta di particelle e detriti più grandi. Queste tappe attraverso l’impianto di trattamento eliminano Gli impianti a osmosi inversa trovano crescente impiego nel-
i detriti e le sabbie, le argille colloidali, i microrganismi e le regioni aride, per esempio in Medio Oriente. L’acqua di
Impianti di trattamento dell’acqua molta della materia organica ossidabile, ma gli ioni disciolti caldaie e nelle condutture dell’acqua calda i quali interferisco- mare viene pompata sotto alta pressione in tubi contenenti
permangono nell’acqua. Molti di essi possono essere rimossi no con il trasporto del calore e danneggiano le condutture: milioni di fibre cave di membrana semipermeabile, ciascuna
I trattamenti delle acque richiedono una serie di tappe suc-
cessive (Figura S13.1). mediante addolcimento dell’acqua e osmosi inversa. '
Ca 2+ ( aq ) + 2HCO3 ( aq )   o CaCO3 ( s ) + CO 2 ( g ) + H2O( l ) dello spessore di un capello umano. Le molecole d’acqua,
1. Grigliatura e sedimentazione. Le particelle più grandi ven- Addolcimento dell’acqua mediante scambio ionico Questi problemi sono risolti dalla rimozione degli ioni ma non gli ioni, attraversano le membrane ed entrano nelle
gono rimosse fisicamente mediante griglie nel sito di entrata L’acqua che contiene grandi quantità di cationi bivalenti, dell’acqua dura, un processo detto addolcimento dell’ac- fibre per essere raccolte. L’acqua di mare contenente circa
mentre la sedimentazione permette la rimozione di sabbia. quali Ca2+, Mg2+ e Fe2+, è detta acqua dura. Questi ca- qua. Un tipico sistema a scambio ionico domestico contie- 40 000 ppm di solidi disciolti totali può essere depurata a
2. Coagulazione. In questa tappa e nelle due successive ven- tioni causano parecchi problemi. Durante il lavaggio della ne una resina a scambio ionico, un polimero insolubile che una concentrazione di circa 400 ppm (idonea per gli usi po-
gono rimosse le particelle colloidali. Le loro cariche negative biancheria, si combinano con gli anioni degli acidi grassi ha gruppi anionici legati covalentemente, quali SO3− o tabili) in un unico passaggio attraverso questo sistema.
superficiali vengono neutralizzate da ioni Al 3+ e Fe3+ aggiunti COO−, a cui sono legati ioni Na+ per bilanciare le cariche
nei saponi per produrre depositi insolubili sulla biancheria, Trattamento delle acque dopo l’utilizzazione
sotto forma di Al2(SO4)3 e FeCl3: le forze intermolecolari che su parti della lavatrice e negli scarichi: (Figura S13.2). I cationi bivalenti presenti nell’acqua dura
si generano causano la coagulazione delle particelle colloidali. Le acque utilizzate sono dette acque reflue e devono essere
sono attratti verso i gruppi anionici della resina e sostituisco-
3. Flocculazione e sedimentazione. L’aggiunta di agenti floccu- Ca 2+ ( aq ) + 2C17H35 COONa( aq )  o sottoposte a trattamento prima di essere immesse nuovamen-
sapone no gli ioni Na+ trasferendoli nell’acqua: viene scambiato un
lanti vasche di sedimentazione porta alla formazione di una te nelle acque sotterranee, nei fiumi o nei laghi. Il trattamen-
tipo di ione con un altro. La resina viene sostituita quando
massa gelatinosa, soffice a cui si aggiungono polimeri cationici (C17H35COO)2 Ca( s ) + 2Na+ ( aq ) to delle acque reflue è particolarmente importante per le ac-
tutti i suoi siti sono occupati, oppure può essere “rigenerata”
che formano lunghe catene che uniscono le particelle del gel deposito que di rifiuto industriali, che possono contenere componenti
Quando nell’acqua è presente una grande quantità di bicar- mediante trattamento con una soluzione molto concentrata
che fluisce in altre vasche dove sedimenta. tossici. Nel trattamento primario le acque vengono sottoposte
bonato (HCO3−), i cationi dell’acqua dura causano un’accumu- di Na+, che scambia ioni Na+ con ioni Ca2+ legati.
4. Filtrazione. Tra i vari filtri che possono essere utilizzati, è alle stesse tappe di trattamento a cui vengono sottoposte le
molti più comuni sono letti di sabbia o membrane con pori lazione di incrostazioni, depositi insolubili di carbonati nelle Osmosi inversa
Scheda di approfondimento acque che entrano nel sistema. La maggior parte delle cit-

Figura S13.1
Bellezza molecolare: forme strane con funzioni utili
Le tappe di purificazione in un tipico impianto di tratta- serbatoio
di accumulazione
Strumenti di laboratorio
Un altro modo di rimuovere gli ioni e le altre sostanze disciol- tà provvede oggi anche al trattamento secondario delle ac-
te nell’acqua è quello di utilizzare l’osmosi inversa. Nel- que reflue. In questo stadio, batteri appropriati degradano
mento dell’acqua destinata all’approvvigionamento idrico di una città.
Prima che l’acqua venga distribuita agli utenti, (1) l’acqua viene filtrata per Spettrometria di massa biologicamente i composti organici e alcuni microrganismi
ancora presenti in soluzione o nelle sostanze solide uscenti
rimuovere i detriti macroscopici, (2) le particelle più fini vengono catturate dalle vasche di sedimentazione. In certi casi, il trattamento
I chimici
in un gel di vedono unail gel
Al(OH)3, (3) strana bellezza
viene nella complicata
filtrato attraverso un letto digeometria
sabbia, dei più piccoli oggetti La spettrometria di massa, la tecnica più potente Un elettronesecondario
ad alta può essere
1 20
Ne integrato con il trattamento terziario
(4) il filtrato
esistenti in viene aerato
natura. per ossidare
La semplicità i composti
degli organiciscompare
atomi sferici e (5) l’acqua vieneessi si combinano per
quando per misurare la massa e l’abbondanza delle parti- energia urta un 20
disinfettata con cloro. 5 sterilizzazione in un processo
atomo di neon 10e adeguato allo specifico inquinante coinvolto.
Ne con carica 1
formare pentagoni, eliche e innumerevoli altre forme. Inoltre, molte molecole oltre a esseree disinfezione celle elettricamente cariche, nacque dagli studi Per esempio, gli ioni dei metalli pesanti9epossono essere elimi-
nel campione
“belle” hanno impieghi pratici meravigliosi.
2 coagulazione 3 Flocculazione/ aggiunta di cloro sulla deviazione, mediante campi elettrici e ma- gassoso nati cone una tappa di precipitazione prima del trattamento
2 4 3
Al (SO ) sedimentazione agli utenti gnetici, delle particelle cariche costituenti i rag- sorgente di primario e di quello
e additivi 10psecondario. Esistono trattamenti10p terziari
Cl2 gi catodici. Per esempio, quando un elettrone ad elettroni ad anchee
per i fosfati, 10n 0
i nitrati e le sostanze organiche 10n0 tossiche.
Fullereni Il buckminsterfullerene [informalmente polimerici bucky ball, in omag- Nanotubi Questi alta energia urta un atomo di neon-20, determina alta energia e
gio all’architetto R. valvola
Buckminster Fuller, che aveva progettato strutture più giovani cugini l’emissione di uno degli elettroni dell’atomo che, Figura S13.3 Osmosi inversa
di forma simile (cupole geodetiche a moduli pentagonali o esagonali)] dei fullereni sono di conseguenza, diventa una particella (uno ione) 2 L’urto determina per la rimozione di ioni.
m/e 19.992435
è1 un
filtrazione e grigliatura
icosaedro tronco
dei materiali grossolani di atomi di C, un “pallone da calcio” molecolare costituiti da cilindri con una carica positiva, Ne+ (Figura S2.1). Perciò, il l’emissione di un A. Ciascun permeatore contiene
elettrone dall’atomo 3 Viene prodotta una particella di neon carica
con 60 vertici e 32 facce (12 pentagoni e 20 esagoni). Questa struttura estremamente sottili suo rapporto massa/carica (m/e) è numericamente positivamente unchefascio
ha 10pdi fibrecave sottili
e 10n nel nucleo,
tazione di neon
C60, scoperta nella dimen
fuliggine
di se nel 1985 e lunghi, simili alla ma soltanto 9edi membrana semipermeabile.
sc he uguale alla massa divisa per 1+. La misurazione
va
e preparata in grande quantità nel 4 Filtrazione
grafite, con estremità dei rapporti m/e permette di determinare le masse Figura S2.1+ Formazione di una particella pata
B.
di L’acqua
neon (Ne) di mare
caricaviene pom-
positi-
1990, rappresenta una terza di fullerene. Sono attraverso il permeatore ad
di differenti isotopi di un elemento e quindi di vamente (Ne ). alta pressione. La maggior parte
forma di carbonio cristallino (le
entrata dell'acqua spesso “annidati” identificarli. magnetico, le particelle incidonodegli su unionirivelatore, che quindi
viene rimossa, re-
altre due sono la grafite e il l’uno dentro l’altro La Figura S2.2, parti A-C, mostra lo schema di un tipo gistra le loro posizioni e abbondanze relative.
nelle fibre entraPer misura-
acqua molto più
diamante). È il progenitore (come nella fotogra- di spettrometro di massa e i dati che fornisce. Il campione zioni molto accurate, come la determinazione pura, che viene delle masse
raccolta.
di una nuova famiglia di fia). Nonostante il viene introdotto nell’apparecchio e vaporizzato (se liqui- e delle abbondanze isotopiche, lo strumento viene tarato
strutture dette fullereni e ha loro spessore sia di do o solido), poi viene bombardato con elettroni ad alta con una sostanza di quantità e massa note.
generato un nuovo campo qualche nanometro, energia per formare particelle cariche positivamente. Que- La spettrometria di massa è impiegata anche in chimica
di sintesi. Inserendo atomi, queste strutture ste vengono attratte verso una serie di placche cariche strutturale e in scienza delle separazioni per misurare la mas-
come il potassio, all’inter- hanno un’alta conduttività lungo la dimensione negativamente e recanti fenditure che alcune particelle sa pressoché di qualsiasi atomo, molecola, o frammento di
no del “pallone” e legando maggiore e sono circa 40 volte più resistenti attraversano entrando in un tubo evacuato esposto a un molecola. Tra le sue molte applicazioni, la spettrometria di
innumerevoli tipi di gruppi dell’acciaio! Abbondano progetti avveniristici di campo magnetico. Mentre attraversano questa regione, le massa è impiegata in biochimica per determinare la struttura
chimici all’esterno, i ricerca- componenti elettronici su nanoscala fatti con loro traiettorie vengono deviate secondo il loro rapporto delle proteine (Figura S2.2, parte D), in scienza dei materiali
tori hanno scoperto una nuova nanotubi o di fili dello spessore di un atomo m/e: le particelle più “leggere” (con massa più piccola) per esaminare le superfici dei catalizzatori, in chimica foren-
gamma di possibili applicazioni, formati inserendo atomi metallici al loro interno. subiscono la deviazione più grande, quelle più “pesanti” se per analizzare i reperti investigativi, in chimica organica
comprendenti lubrificanti, supercondut- (Foto: © ustas7777/Shutterstock). (con massa più grande) subiscono la deviazione più pic- per la progettazione di nuovi farmaci e in chimica industria-
tori, combustibili per razzi, laser, batterie elettriche, film magnetici, cola. Alla fine della regione in cui è presente il campo le per studiare, per esempio, i componenti del petrolio.
farmaci antineoplastici e anti-AIDS: l’elenco si allunga ogni giorno!
(Foto: © molekuu_be/Shutterstock).
abbondanza delle


rivelatore
particelle Ne

Dendrimeri I dendrimeri, il cui nome deriva dalla similarità 21


Ne
strutturale con la ramificazione degli alberi (déndron in greco), si 20
Ne
particelle più “leggere”
formano quando una molecola con parecchi gruppi leganti reagisce 2 Se necessario, un nel campione
con se stessa. Hanno eccellenti proprietà di superficie e vengono riscaldatore vaporizza
il campione 19 20 21 22
studiati per applicazioni quali film, fibre e leganti per pitture. (L’il- 3 Il fascio di elettroni massa/carica
fascio di particelle cariche B
lustrazione mostra un terzo dello schema circolare. © GiroScience/ determina l’emissione
1 Il campione è di elettroni dagli atomi 22
Ne 20 
Shutterstock). introdotto (vedi Figura S2.1) 100
Ne
(90,5%)
abbondanza percentuale

Cubani Per piegare l’angolo tetraedrico normale del nella camera particelle più
80
carbonio a 90°, si deve fornire energia, che viene im- “pesanti”
nel campione
magazzinata nel legame. Per esempio, il ciclobutano, 60
un anello quadrato di atomi di C con due atomi di H 40
in ciascun vertice, è instabile a temperature superiori Sorgente
22 
di elettroni Ne
a 500 K. Una grande quantità di energia viene imma- 20 21
Ne (9,2%)
(0,3%)
gazzinata nei legami del cubano, un cubo di atomi 5 Il campo magnetico separa
le particelle secondo il loro
di C con un atomo di H in ciascun vertice, sintetiz- rapporto massa/carica
20 21 22
C massa/carica
zato nel 1964. L’energia di tensione dei legami del A
cubano può generare un’enorme potenza esplosiva. 4 Il campo elettrico magnete
Il tetranitrocubano è un esplosivo molto potente, e accelera le particelle
cariche verso la regione
l’octanitrocubano, che è stato sintetizzato nel 2000, è dov’è presente
considerato il più potente esplosivo non nucleare che il campo magnetico
si conosca. Altre proprietà dei cubani, che, a quanto
pare, non sono correlate con l’energia di legame, com- Figure S2.2 Lo spettrometro di massa e i suoi dati. A Le particelle cariche ven-
prendono la capacità di attaccare le cellule cancero- gono separate sulla base dei valori dei loro rapporti m/e. In questo caso il campione è
gene e di inattivare gli enzimi coinvolti nel morbo di costituito da neon (Ne) gassoso. B I dati indicano l’abbondanza di ciascuna particella.
Parkinson. (Foto: © 3divan/Shutterstock). I tre picchi rappresentano tre isotopi del Ne. C Abbondanza percentuale di ciascuna
particella. D Lo spettro di massa di una molecola proteica. Ciascun picco rappresenta
un frammento della molecola. (© James King-Holmes Oxford Centre for Molecular D
Sciences/Science Source).

00PrPag.indd 17 17/05/19 12:18


XVIII Prefazione all’ottava edizione americana

TRATTAZIONE INNOVATIVA DEGLI ARGOMENTI


Uno sguardo all’Indice generale mostra un altro aspetto di questo libro in evoluzione che lo ha aiutato a prosperare
e, quindi, è rimasto invariato: un ordine degli argomenti comune alla maggior parte dei corsi di chimica generale,
che incorpora flessibilità per i docenti per personalizzare il loro approccio.
La sezione Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli elementi e il Capitolo 14 applicano i principi presentati nei
Capitoli 7÷13 (struttura atomica, periodicità, legame, forma e polarità molecolare, stati fisici) a tutti gli elementi
dei gruppi principali, ponendo così in rilievo l’andamento graduale delle proprietà degli elementi, invece di pro-
muovere divisioni fuorvianti tra metalli e non metalli. Il Capitolo 15 (disponibile su web) è un’estensione naturale
della chimica descrittiva, che mostra come la chimica dei composti organici e biologici si origina dalle proprietà
atomiche del carbonio e dei suoi pochi partner di legame.

CHE COSA C’È DI NUOVO NELL’OTTAVA EDIZIONE?


Così come cambiano le applicazioni della chimica, così cambia anche in modo determinante l’approccio degli studenti
allo studio. Per fornire uno strumento di studio moderno, accompagnato da risorse digitali importanti, quali la Test
Bank di Connect e lo Smartbook, il presente testo ha continuato ad evolvere e a essere aggiornato, basandosi anche
sul confronto e coinvolgimento di studenti e docenti. Questi feedback sono stati poi utilizzati per revisionare accu-
ratamente e modellare questa nuova edizione di Chimica - La natura molecolare della materia e delle sue trasformazioni,
migliorando così la copertura di argomenti importanti, rendendo lo stile di presentazione più sintetico e logico ed
espandendo la trattazione di argomenti chiave.

Integrazione di argomenti di chimica organica e biochimica


In risposta al forte interesse degli studenti per gli argomenti di tipo biologico, sono state introdotte in molti capitoli
applicazioni di importanti concetti chimici ad argomenti di bio-organica, incluse nuove discussioni nei Capitoli 2, 3
e 13 (vedere sotto). Tutte queste discussioni sono chiaramente distinte dal testo e possono essere trattate o meno
a propria scelta.

Integrazione della “chimica verde”


Questa nuova linea di ricerca per lo sviluppo di sostanze e processi che abbiano unicamente effetti positivi
sull’ambiente ha trovato spazio nel testo, anche negli esercizi, nei Capitoli 3, 6, 13 e 15 (vedere sotto). Queste dis-
cussioni sono chiaramente distinte dal testo e possono essere trattate o meno a propria scelta.

Problemi di verifica con visualizzazione molecolare


È stato introdotto un nuovo tipo concettuale di problema di verifica, che insegna allo studente come considerare
semplici scenari molecolari e pensare attraverso problemi qualitativi e quantitativi basati su di essi. Questi nuovi
esercizi sono presenti nei Capitoli 2, 3, 5, 13 e 16 e sul sito web dedicato al libro.

Rappresentazione grafica della densità elettronica


Nuove modalità di rappresentazione grafica della densità elettronica, basate su recenti calcoli quantomeccanici, il-
lustrano la distribuzione della densità elettronica nei legami covalenti. Queste illustrazioni compaiono nei Capitoli
7, 9, 11, 14 e 15.

Problemi
Sono stati introdotti nuovi problemi, molti di livello avanzato, con applicazioni legate a biologia, chimica organica,
ingegneria e scienze ambientali. Sono stati inclusi anche numerosi problemi a livello di scenari molecolari.

00PrPag.indd 18 17/05/19 12:18


Ringraziamenti

Non esiste un team più professionale, talentuso e capace di supportarci di quello di McGraw-Hill: Managing Direc-
tor Thomas Timp, Director of Chemistry David Spurgeon, Ph. D., Associate Director of Digital Content Robin Reed,
Program Manager Lora Neyens, Content Project Manager Laura Bies, Designer David Hash, Marketing Manager
Matthew Garcia, e Director of Digital Content Shirley Hino. È un piacere lavorare con loro, la loro guida, la compe-
tenza e l’incoraggiamento costante sono stati di grande importanza per trasformare questa ottava edizione in realtà.
Mara Vorachek-Warren del St. Charles Community College ha effettuato un controllo estremamente accurato
di tutti i nuovi Problemi presenti nel progetto, comprese le Soluzioni agli esercizi.
I contenuti presenti in Smartbook, orientati a fornire strumenti di apprendimento agli studenti, sono stati sti-
lati e revisionati con l’aiuto di Margaret Ruth Leslie della Kent State University e da Adam I. Keller del Columbus
State Community College.
Molti esperti freelance hanno altresì contribuito al lavoro. Jane Hoover ha svolto come sempre in modo eccel-
lente l’editing del testo, mentre Lauren Timmer e Louis Poncz hanno compiuto un meticoloso lavoro di redazione.
E un ringraziamento particolare va a Jerry Marshall che ha pazientemente svolto la ricerca iconografica delle im-
magini nuove.

00PrPag.indd 19 17/05/19 12:18


Prefazione alla quarta
edizione italiana

Quando ho esaminato la prima edizione del testo di Martin Silberberg, qualche hanno fa, mi sono resa conto che,
nel pur ampio panorama dei testi di Chimica Generale esistenti, questo rappresentava un importante contributo
alla didattica della chimica a livello universitario. Il successo che il testo ha avuto ha confermato questa impressione
e ci ha spinto a lavorare per una quarta edizione aggiornata.
La maggior parte degli studenti che affrontano lo studio della chimica di base ha interessi diversi: biologia,
scienza dei materiali, ingegneria, medicina e molto altro ancora. In un mondo in cui l’interdisciplinarietà è ormai
diventata indispensabile requisito per il progresso della scienza e della tecnica moderne, i fondamenti e le principali
applicazioni della chimica sono però conoscenze irrinunciabili.
Nella parte iniziale del testo, vengono proposti e sviluppati i concetti fondamentali della chimica a partire dalle
nozioni più elementari, cosicché non è necessaria una preparazione specifica acquisita a livello di scuola superiore;
anche gli studenti che non hanno mai studiato chimica nella loro carriera scolastica possono acquisire con facilità
familiarità con gli aspetti di base di questa affascinante scienza sperimentale.
Gli argomenti sono trattati in modo chiaro ed esauriente, con una logica molto efficace che permette di identi-
ficare chiaramente i passaggi da seguire nel risolvere problemi non solo strettamente di natura stechiometrica, ma
anche di carattere teorico, spesso contestualizzati in applicazioni reali. Benché rigorosa, la trattazione è condotta
in modo tale da non richiedere alcuna conoscenza specifica di matematica al di là dell’algebra elementare. Inoltre,
i numerosi esempi tratti dalla vita quotidiana rendono più assimilabili e interessanti i concetti trattati.
L’organizzazione del testo è induttiva: si passa dallo studio delle trasformazioni osservabili alla comprensione
delle loro cause non osservabili. Si può così evitare di fornire all’inizio del corso una serie di nozioni che lo studen-
te, ancora privo di sufficienti basi fisico-matematiche, riesce difficilmente a padroneggiare e che possono, pertanto,
apparire dogmatiche. Tuttavia, la relazione tra gli aspetti fenomenologici della chimica e i processi che avvengono
a livello atomico e molecolare è ampiamente sottolineata in tutto il testo, fornendo una chiave di lettura moderna
della chimica come scienza. La suddivisione dei diversi argomenti è strutturata in modo tale da permettere al do-
cente di seguire percorsi logici alternativi, spesso utilizzati nelle università italiane, in cui, talvolta, la trattazione
del legame chimico viene effettuata prima della descrizione delle classiche leggi di combinazione.
La scelta degli argomenti trattati nell’edizione italiana del testo si è basata sull’analisi dei programmi di nume-
rosi corsi di chimica tenuti nel primo anno delle lauree triennali di diversi corsi di laurea delle università italiane.
Questa quarta edizione italiana è stata ampiamente modificata non solo sulla base della mia esperienza didatti-
ca, ma soprattutto di quella dei Colleghi che hanno scelto di utilizzare questo testo. In previsione di un suo utilizzo
nelle lauree triennali in cui sia presente un solo corso di chimica, si è scelto di eliminare dalla versione cartacea
la trattazione della chimica organica e delle reazioni nucleari (e relative applicazioni), ora disponibili sul sito web
dedicato al libro. Benché non previsti in molti corsi di primo anno, tali argomenti, almeno negli aspetti di base, sono
certamente di interesse per tutti quegli studenti che intendono proseguire i loro studi rivolgendosi ad applicazioni
di carattere biomedico ed energetico.
In risposta all’interesse dimostrato dagli studenti per argomenti di tipo biologico e ambientale è stato scelto di
implementare gli approfondimenti di carattere biologico e di inserire un nuovo capitolo che tratta più diffusamente
quegli aspetti della chimica che influenzano il delicato equilibrio del nostro fragile pianeta assieme a esempi delle
più diffuse tecnologie di isolamento, produzione e uso degli elementi.
Lo sviluppo della “chimica verde”, ovvero di quell’insieme di metodologie chimiche innovative a ridotto im-
patto ambientale, trova spazio sia nel testo sia in numerosi esercizi, unitamente a un’approfondita discussione sulle
fonti di energia alternative e sui cambiamenti climatici globali. Per soddisfare il crescente interesse per lo sviluppo
di nuovi materiali il testo mantiene la trattazione riguardante i materiali polimerici e presenta alcune applicazioni
tra le più moderne dei materiali inorganici.

00PrPag.indd 20 17/05/19 12:18


Prefazione alla quarta edizione italiana XXI

Un elemento di pregio del volume è rappresentato dalla grande attenzione rivolta alla visualizzazione dei concetti
attraverso grafici e figure. Tale aspetto è importante per il meccanismo di apprendimento delle nuove generazioni
di studenti, sviluppato attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche.
Il testo è stato inoltre diviso in due sezioni principali. Nella prima si trova la trattazione teorica dei diversi
argomenti con problemi di verifica che permettono allo studente una valutazione progressiva del proprio livello di
apprendimento. Nella seconda, costituita dall’Eserciziario, sono raccolti i riassunti dei paragrafi di testo, gli obiettivi
di apprendimento, le equazioni e le relazioni fondamentali, ovvero tutti quegli elementi indispensabili per affron-
tare la risoluzione degli esercizi.
In conclusione, oltre a fornire agli studenti un metodo che permetta loro di affrontare i problemi che possono
presentarsi in qualsiasi disciplina tecnico-scientifica, questo libro rappresenta, a mio avviso, un valido aiuto per chi
dovrà sostenere un unico esame di chimica e un ottimo punto di partenza per coloro che approfondiranno ulte-
riormente lo studio di questa scienza.

Silvia Licoccia
Professore Ordinario
di Fondamenti Chimici per le Tecnologie
Università di Roma “Tor Vergata”

RINGRAZIAMENTI DELL’EDITORE
L’Editore ringrazia i docenti che hanno partecipato alla review del testo e che, con le loro preziose indicazioni,
hanno contribuito alla realizzazione della quarta edizione di Chimica. La natura molecolare della materia e delle sue
trasformazioni:
Ivano Alessandri, Università degli Studi di Brescia
Andrea Balbo, Università degli Studi di Ferrara
Sonia Lucia Fiorilli, Politecnico di Torino
Dolores Fregona, Università degli Studi di Padova
Graziano Guella, Università degli Studi di Trento
Francesco Savorani, Politecnico di Torino
Sergio Tosoni, Università degli Studi di Milano-Bicocca

00PrPag.indd 21 17/05/19 12:18


Gli autori
Martin S. Silberberg ha ricevuto il B.S. in Chimica dalla City University of New York e il Ph.D. in Chimica dalla
University of Oklahoma. Successivamente ha accettato un incarico di ricerca nell’Albert Einstein College of Medici-
ne, dove ha studiato il metabolismo di neurotrasmissione nel morbo di Parkinson e in altre patologie neurologiche.
Dopo sei anni dedicati alla ricerca neurochimica, è entrato a far parte del corpo docente del Simon’s Rock College of
Bard (Massachusetts), un college noto per la sua eccellenza nell’inse­gnamento a piccole classi di studenti altamente
motivati. In qualità di Head of the Natural Sciences Major e di Director of Premedical Studies, ha tenuto corsi di
Chimica generale, Chimica organica, Biochimica e chimica per non specializzandi. Lo stretto contatto con gli stu-
denti ha permesso a Silberberg di farsi un’idea approfondita di come gli studenti apprendono la chimica, di dove
incontrano difficoltà, e di quali strategie si possono adottare per aiutarli ad avere successo. Silberberg in seguito ha
deciso di applicare queste sue intuizioni in un contesto più ampio e ha fondato un’impresa destinata alla stesura e
alla redazione di manuali. Prima di scrivere il proprio manuale di chimica, ha lavorato come consulente editoriale
a manuali di chimica, biochi­mica e fisica per alcuni importanti editori di manualistica universitaria. Risiede con
la moglie Ruth nella Pioneer Valley vicino ad Amherst, nel Massachusetts, dove può godere della ricca proposta
culturale e accademica della zona e rilassarsi viaggiando, facendo giardinaggio e dedicandosi al canto.

Patricia G. Amateis ha conseguito il B.S. in Chemistry Education alla Concord University in West Virginia e il
Ph. D. in Analytical Chemistry alla Virginia Tech. Ha poi lavorato presso il Dipartimento di Chimica della Virginia
Tech per 31 anni, dedicandosi all’insegnamento della Chimica generale e della Chimica analitica. Negli ultimi 16
anni è stata Direttrice di Chimica generale, responsabile della supervisione sia dei Corsi sia dei laboratori del vasto
programma che afferisce a questa disciplina. Durante la sua carriera è stata docente di migliaia di studenti ed è stata
insignita dello University Sporn Award for Introductory Teaching, dell’Alumni Teaching Award e del William E.
Wine Award per la sua eccellenza nell’insegnamento universitario. Lei e il marito vivono a Blacksburg, Virginia, e
sono genitori di tre ragazzi adulti. Nel tempo libero le piace andare in bicicletta, fare trekking, partecipare occasio-
nalmente allo sprint triathlon e suonare nella banda di percussioni di Blacksburg.

Il curatore
Silvia Licoccia ha ricevuto la Laurea in Chimica Summa cum Laude dall’Università di Roma Sapienza. Ha trascorso
diversi estesi periodi di ricerca in Canada e negli Stati Uniti.
Dal 2001 è Professore Ordinario di Fondamenti Chimici delle Tecnologie presso l’Università degli Studi di
Roma “Tor Vergata”. È Delegato del Rettore per la Ricerca Scientifica di Ateneo, Presidente di AICIng (Associazione
Italiana di Chimica per l’Ingegneria), Direttore del Centro NAST (Nanoscienze, Nanotecnologie e Strumentazione
Avanzata a Tor Vergata), Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, Coordinatore del Dottorato
di Ricerca in “Materials for Health, Environment and Energy”.
La sua attività scientifica è sempre stata orientata verso lo sviluppo sostenibile attraverso la sintesi e caratteriz-
zazione di materiali nanostrutturati e compositi quali componenti in dispositivi ecosostenibili per la conversione
e l’accumulo di energia, per la sensoristica ambientale e per applicazioni biomedicali. Tale attività è testimoniata
da circa 300 pubblicazioni su riviste internazionali e numerose presentazioni a congressi nazionali e internazionali.
Nel 2011 le è stato attribuito l’American Ceramic Society ACerS Ross Coffin Purdy Award. Il premio viene con-
ferito agli autori che hanno prodotto il miglior contributo alla letteratura tecnica sui materiali ceramici nell’anno
precedente alla selezione. Nel 2018 le è stato conferito il Premio biennale AICIng per preclari meriti scientifici e
didattici.
Dal 1984 insegna Chimica nei Corsi di Laurea in Ingegneria dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

00PrPag.indd 22 17/05/19 12:18


Guida alla lettura
Da sapere prima Elenca i concetti
che lo studente deve avere assimi-
lato prima di intraprendere lo stu-
dio del capitolo.

10 relazio
ni qua S
ntità-mtechiometria

3
le a :
moleco nei sist ssa-numero
e delle emi ch
Le form imici

DA S
A APE RE
IM PRIM
E PR • isotopi
APER e
(Paragra massa atomica
A La chimi
DA S iche deg
li ca è un
concetto ni elettron
• nomi fo 2.5) determ
inare la a scienza pratic
lorare un linee e • configurazio gruppi principa
li e formule
(Paragra
ora esp ci, i dei • massa fo 2.8)
dei com vedere formula a. Basta
possiamo simboli atomi ensionale
posti le di
element 8.3) immagin
legano, fo 9.1) mo di essere quantità di sos un composto
in base are quanto po
di fo sto (Par lecolare di un
im (Paragra Lewis (Paragra fo 9.1)
e gli atomi si ata , coperta rea ltà trid di legame boli di (Par agra • signifi agrafo 2.8) compo- quanta un chimico dei
tanze con alle ma trebb
mp acente sim sumate
preso com La pagina sta e prodot sse dei suoi e essere utile
pia • etto cato di
dell’ott zza
re com la stupef , ciascuna cop zio rispetto • regola di legame, lunghe fico (Par di un modell zazione? questa mater polimeri che
Dopo ave per la chimi
ca. enticare n atomo lo spa e e • ordine me, energia di
legame • formula agrafo 1.3) o scienti- O suppo ia plastic sta te in elementi
facile dim , ciascu a posizione nel ze attrattiv i, motore a sarà pro preparando un una reazione. o pre
essenziale punti, rende ogni molecola le for
di lega e polarit
à colare empirica e form di un raz nete di essere dot a nuova Supponet -
pri cle fo 9.3) • leggi (Paragrafo 2.8) ula mo un ta da
di In ha la pro erminata dal tra i nu il (Paragra alenti polari le- miscela zo: che
quantità ingegnere chi una data rea materia plastic e
definite
di mas
coppie lecolare. ia (lone pair) det to legami
cov fo 9.4) chimiche sa nelle reaz combu
stib
ma mo sizione distanze estende in tut le • di legame (Paragra ioni ambienta ile? O im di gas mico zione
maginate di scarico sar che sta studia di polimeriz-
a:
della for pia solitar e coppie, po Con angoli e
(Paragra li
na cop che si pli ci, fo 2.2) inquinant che stanno à prodot no
e ciascu atomi e alle altr ta la materia. indipendente, ni sem esa di ess
ta da un la spinta del
i tut ura ola ri di reazio e del la vita immagin i atmosferici sar minando cam ere un memb tes
agli altr ern ano strutt i partic di sostentaz ion ate di ess à pio ro t di
che gov nuscola considerino antineop ere un rilasciata da qu ni di carbon di un’équipe di questa
repulsive ola è una mi Si cessi lastica ricercato est e
re biochi o campione fossile: che qu chimici
lec spazio. plessi pro cruciale. dotti me da una
una mo o volume di o i com fattore lecole
tabolic pia
i perme nta tropicale mico che quando antità di
col sintetici, lecolare è un delle mo
domand
tte : qual è ha est verrà bru
suo pic dei materiali le forme re di un com
- e
stoicheio e a una miriad rà di stabilire la sua for ratto una nu ciato? O
forma mo zione sul
proprietà e viventi: la ola
o l’atten formula molec uttura di Lew
is,
formule
n, “elem e una
ento”, e di altre simili dose sicura?
mula e
che qu
ova sos
tanza
le cel lul tre rem ma e delle Si antità
del O concen vertire
la detta
str
lecola, reazioni métron, “misu conosc
endo la può rispondere di pro-
O CAPIT
OL e con onale, ro la mo calcola- IN QU chimiche ra”), lo stechi
ere com ura bidimensi all’altro ent per ESTO CA studio
degli asp ometria (dal este
a qu
IN QUESTeremo a ved o Lewis eremo chimic .
inc di strutt o legati l’un strutture di esamin o: mette PITOLO svilupp etti quant greco
e com formula mi son Useremo le e. Poi pie chimic re itativi del
in una e gli ato legam tra cop he (atom in relazione erete alcune
posto a. rgie di ulsione le di ma la ma abi le
stra com ma complessiv i dalle ene ion, rep este formu ssa in i, mo
lecole ssa di lità
una sos essenziali per
che mo la for vandol Pai r Repuls mo qu classi
di equazi una formula o unità
tan
la
non rive di reazione
rica
ll Electr
on-
conver
tire cinque e oni
Tutte que chimiche e
chimic formula)
; conver za con il num
l’attivi
tà del
cal ori len ce-She a), con cui Ved remo le di in cui ess . ste abi
a;
applica leggere, scrive tire i risu ero di
i (Va li. i mo sse ent
re VSEPR di valenz imensi
ona ttano e più comple portan re
za fondamlità si basano le informazi re e pensare ltati dell’analis ità
la teoria ni del guscio in forme trid plici ado lec ole arità entale sul oni nel i di
li ole
di elettro bidimensiona molte molec alle forme di
sem mo una pol in tutta la comprensi quantitative linguaggio del
ura che e e con feriscono 3.1 LA MO
la chimic one del
concet
conten
ute le
strutt ntali re origin tà di legam a; quindi to di mo in esse.
fondame arsi per da ari LE partire le, di im-
forme combin la pol Nella vit mo da
ma e a quoti qui.
possono come la for don diana, misur
COLE
o e la ma
Vedrem molecola. colare sco ssa (“pesand
MOLE WIS
iamo gen
DELLE
ole eralment
all’intera LE o chicch po. È più con ”) e scegliamo e le
NE E DI il metod cose contandol
NTAZION STRUTTUR tire la i ven
è conver effettuare di riso, ed è più iente pesare
i fagioli o più conven e o det
PPRESE CO molecola Lewis). Que- di conteg queste misur conveniente ien ermina
10.1 RADEGLI IONI
o
di una di pre- azi contare il riso che con te per quel par n-
E la forma s (o formula is che rap è dedica gio (1 dozzin oni, si utilizz le uova tare i sin ti-
one del a di uo a un’un o
ualizzazi
wi Lew
ra di Le da simboli di li tengono un
iti, svolgere
ta in par
te alla mi va). An ità di ma le matite che goli fagioli
so la vis sua struttu ita lti una rea sur alogam ssa (1 kg pesarle
passo ver nella costitu ame che .* In mo Gli atomi zione. Per azione ent e, la vit di riso) . Per
Il primo la molecolare ionale è pie di leg ciascun atomo elettroni , di sos a o un’un
bidimens , le cop e quind le molecole o ò, quando si ten tanze per pre quotidiana in ità
sua formula di struttura gli atomi vicini cio esterno
di e degli regola. i si vuole le unità par lab
mu e gus segnazion o la si posso con formula ta di farlo, si inc are una soluzi oratorio
sta for atomo iono il da nell’as i non seguirem no
che e det contare unità
osc ere il nu sono ent ontra un one o fare
ciascun ie che riemp ) ci gui me ità
sen tan o
itar rafo 9.1 lti altr i cas erminarne che son ro di entità che che reagiscon problema ovv
pie sol to (Parag is, ma in mo la massa o cos si o l’una io.
e le cop ola dell’ottet infor- Definizi (pesandol ì piccole? I chi mescolano tra con l’al
reg ura di Lew fornisce o one de e), hanno mi lor tra,
casi, la a strutt is perché li atomi son
lla mo ideato un ci, per contare o. Ma come
mi in un di Lew
formula e e mostra
qua ra” di La mole le le
agli ato mente “struttu a unità
di misur entità chimi-
delle set (mol) è l’unità
ion termine
corretta in uno
mata più moleco
la o , l’uso del te unità a detta mo
essere chia i in una ostante di quant le.
. Cionon fondam ità
Lewis può tiva degli atom imensionale entali del di sostanza
ttura di rela a trid nel Sis
* Una strusulla posizione indica la form . SI). È defi
i
mazion loro, ma non e che seguire
mo nita com tema Intern
e la qua azionale
legati trauna convenzion ntità di (è
Lewis è sostanza una
di un

Risoluzioni A fine capitolo sono


Riso
presenti le risoluzioni ragionate. luzio
i br n
13.1 evi Le
pro
cap (a) L’1 dei prie
a
(b) Il ce di fo ,4-buta prob tà d
elle
form clorofo rmare diolo
n lem mis
rmio più le è più i di cele
13.2
are
forz
e dip è più gami id solub
app : so
luzio
SN o so ro ile r ofon ni e
2 =
[7 × lo-dipo lubile in geno. in acq d ime coll
oidi
10 4
mol/
lo. acqu
a pe
ua
p erch n to
=5 (L rc é
13.4 ×10 4 ˜ atm h éè è
)( c a p 13.3
% in mol/ 0,78 ace mass
mass L atm di a (g) d
aC )] i glu
3H
7 OH cosi 443
= o=
3 × 2,40 × 563
35,0 5,0 g 10 2 g eta
% in g+ nolo 1
mass = 18 150
,0 g ×100 1 kg mol glu × kg
aC = e c
2H O ,9 % in 243 ta nolo osio 10 3
5 H
=1 mass g glu × 180 g
00,0 a cosi ,16
XC  18 o 1 m g gluco
=8 ,9 ol g
luco sio
3 H7 O 1,1%
H = in m sio
¨§
assa
¨3 35,0
©¨ 5, 0 g C gC
3H O
3H O7 H
=0 × 1 mo 7 H
× 1 mo
XC ,152 lC lC
60 ,09 3H 60 3H
2H
5 OH
= 1,0 g C 7 OH ¸· § ,09 g C 7 OH
3H O
00  7 H ¸¸¸ + ¨¨ 3H O
7 H
0,15
2= ¹ ©¨ 150 g
0,84 C2H O
13.5 8 5 H
× 1 mo
Ci so
Mass no 1 46,0 l C2 H O
1,8 7g
C2 H H ¸¸·
a (g 5
) di mol
HCl di H 5 OH ¸¸
Massa ( 11, 8 Cl in 1 ¹
g) d mol ,00
i solu L
=1 zion
HCl 36, 4 di solu
zion
L so
luz × 10 3
e 1m 6g e:
ol H
= 11 m L Cl 430
1L solu gH
90 g solu z Cl
% in
solu
z z × 1,190 g XH
Cl =
solu
mass
a HC
1m
L so z mol mol HC
l= luz = HCl l
ma +m
mass ssa di H = ol H
2O
a di Cl
solu 11,8
= 430 zion ×1 mol § 1 1 ,8 m
% in g e 00 =
119 13.6 + ¨¨7 ol
mass 0 g ×100 ¨ 60 g H
a (k = ' P ©
g) d
iH 36,1 =X 2O ×
2O =
% in acid 1m
mass ol
18,0 · = 0,21
o ac
(119 a etils
2g
HCl H2 O ¸¸¸¸
al
0g icili
co × 0 9
mass solu Pm ¹
a (k zion = etan
g) d =0 e 4 2 ,00 olo
i solu , 760 30 g 180 g
z= kg H HCl) 2 ,00 ,15
1L 2O × 1 1 8 g g/m
solu kg 0,15 ol
mass z × 1,190 100 =0 g/m + 50
×1  0g ol
a (k
g) d = 1,1
90 k 1×1 0 3 kg
,713
mm 32,0 ,0 g ×10
i HC Hg 4 g/ 1m
l =1 g so 0 3
L so
solu
z 13.7 mol mH
1,8 luz lu m = 'T g
mol z s
HCl 3
× 6,46 Kcr =
mola = 13.8 1 178
lità 0,43 g H 3= ,86 °C
di H 0 k 1m Cl M [( °C
Cl = mo gH ol H RT ˜ kg)/
lH Cl Cl × 1 kg mol] = 9
kg a Cl 10 3 = (0
,56
mol/
cqu = g
a m ,30 kg =
= 11,8 kg so ol HCl mol/ § 9, 56
mol luz  L) ¨ m
0,76 HCl kg H =7 ©¨ 0,0821 atm
0 kg Cl ,6 a tm ˜L
H2 O = so mol ¸¸·(
luzio ˜ K ¹¸ 37 °
ne 1 C+
5,5 273
md ,15)
i HC
l

00PrPag.indd 23 17/05/19 12:18


Problemi di verifica e di approfondimento
Inframmezzati al testo, sono un utile
anto.
strumento di autoverifica dell’apprendimento roniche
ono alqu
si riduc indi Fe3+ è
lo 8 i in terelett al nucleo, e qu
dei concetti illustrati nei paragrafi che li Capito
quindi
le repu
meno, e enta, avvicina
lsi on
ndo gli
elettron
i

264 trone in m
precedono. un elet uenza, Z eff au
Di co ns eg
olo di Fe
2+ .
i princi
pali:
ngo un
;
gruppo do, ma aumen
rio
ta
più picc mendo i punt basso lu lungo un pe
Riassu ll’alto al stra re
au m enta da sin ist ra a de (o al diminui
nico da iva
ggio io inuisce a posit
• il ra io ionico dim ; ta re de lla caric tio ni di
gg ni en nti ca
• il ra tioni agli anio uisce all’aum elettronica; r differe
dai ca min iso rica pe
nico di a serie della ca
il ra ggio io ga tiv a) in un l’aumentare
• rica ne minuisc
e al
della ca nico di
ggio io nte
Tabella • il ra to elemento. decresce
il raggio
19.4 Equilib
ri ionici un da
Costan o
second
Ione co ti di fo in soluz l’or-
mplesso spieghi
rmaz ione (K ione ac
gli ioni nte, e si
ento de
quosa
Ag(CN) − f ) di al decresce
Ordinam A 8.8
Kf cuni io raggio
2
ni com IF IC co ndo il
Ione co pl essi a IV ER ni se
EMA D ciascun insieme
Ag(NH + 3,0 × 10 20 25 °C di io i
3 )2 mplesso 663 iamo
Ag(S O 3− Fe(CN) 4− PROBL ni ordi
+ , Au
3+
dica e
applich
2 3 )2 1,7 × 10 7 Kf ma Si − (c) Au la perio
Proble lla tavo
6
+ S2− , Cl ono
AlF63− Fe(CN) 3− to: (b) K , ento ne minuisc
4,7 × 10 13 3 × 10 35 dinamen 2+ , Mg2+ un elem 2A(2), di
6
2+ , Sr
io ne di ciasc al Gruppo
Al(OH) − Hg(CN) 2− (a) Ca siz tti
4 × 10 19 4,0 × 10 43
iam o la po sto. rte ng ono tu ande.
4 4
Tr ov te pa − è più gr
Piano presentati nel ap
2+
2+ , Ca e Sr di Cl ,
2+
Mg .
Ni(NH 2+ 2
Be(OH) 2− 3 × 10 33 9,3 × 10 38
3 )6 concetti é Mg Ca
2
minore K .
) Poich
4
endo Zeff
2 
one (a Sr  Cl
uppo: . S , av S2
2−
Risoluzi
CdI42− 4 × 10 18 Pb(OH) − 2,0 × 10 8 il gr ici ol o: 3+ .
ng o elettron pi cc
dezza lu 2− Cl− sono iso è il più + > Au
3
Co(OH) 2− Sn(OH) − per gran quindi ande: Au
1 × 10 6 8 × 10 13
ioni K
+, S , e
grande, 3+ , è più gr
un insie
-
4 3
(b) Gli Z più a di Au in ciasc
Cr(OH) − Zn(CN) 2− 3 × 10 25 e ha la eff di quell gli ioni
5 × 10 9 catione minore ordinino
4 4
K+ è un ric a 8 Si
TO 8.
una ca
Cu(NH 8,0 × 10 29 Zn(NH 4,2 × 10 19 + , avendo EN
2+
3 )4
2+
3 )4
(c) Au FOND IM
Zn(OH) 2− I APPRO 3+
EMA D
5,6 × 10 11 7,8 × 10 8 2+ , Cr
cente: (c) Cr
PROBLndo il raggio cres + , Mg2+ , F−
4
Calcolar 3 × 10 15
e la co me seco − F− (b) Na
ncentraz − , Br ,
PROBL ione di (a) Cl
EMA D uno ione
Proble I VERIF comples
ma Un ICA 19 so
(Kf = 7,8 chimico .10
soluzio × 10 8) miscela industriale tra
ne di NH ndo 50 sforma
Piano 3 0,15 M ,0 Zn(H
. Si calco L di una solu 2 O)42+ nella to
Sc en
usiamo riviamo la re
ofondim
li la [Zn( zione 0,0 forma pi
i di appr
una tabe azione H2 O) 2+ 020 M ù stabi 4
2 4f 14 5d 6p
le 10
4 ] all’eq
di uilibrio di Zn(H2 O) 2+ Zn(NH3 )42+
problem
volumi lla di re formaz
e
numero le concentra azione per ca ione dello io [Xe] 6s
evi dei
. 4 e 25
,0 L di
di moli zioni m lcolare ne com
on i br
Risoluzi
soluzio ol le pl en o i.
ni. Cons e poi dividere ari iniziali de concen
tra
esso e
l’e Z = 8:
ossig i intern I < Ba
miamo id pe lle zio ni sp re ssi quindi elettron ) Xe <
ch prat erando il gran r il volume to due soluzioni all’equilibrio one di Kf e 8 elettr
oni, Po ha 78 < Se; (b
di [Zn(H e2+ icamen de ecce ta , . Co Cl < Br < Sr <
Ca
2 O)4 ] all te tutto sso di NHle ottenuto do perciò possiam nosciamo i ento ha 8.3 (a) I; (b) Ba 2 6 2 3p1
Risoluzi ’equilib Zn po o 8.1 L’elem < Sb <
one Sc rio è m (H2 O)42+ si sia 3 utilizzato e il mescolamen calcolare il 8.4 (a) Sn 2 2s 2p 3s 
rivere l’e olto picc trasform il valore to inio: 1s 2+ ([Xe]) +
2e
olo, lo
indichiam ato in Zn(NH 2+ elevato delle due 1 l’a llu m
Ne)
quazione
di reaz di K , as +
0, m s = 2 8 8.5 Q è e] 6s )
2  o Ba
ico con
3 )4 . Po
Zn(H O) 2+
2 4 ( aq ) +
ione e
l’e
o con x. iché il f su-
valore 2, l = 1, m l = 2 3d
8. 6 (a) Ba ([X 2 4 ) + 2e  o2 p6 ) (isoelettron
sp n= 4s
4NH ( aq ression
e di K : ttrone: 6 2 3d ; [A
8 r]
e] 2s 2
p 2 e] 2s 2
3 \\\
)[ \\Z
\ Zn(NH 2+ f Sesto ele 6 2 3p 4s
2 2s2 2p 3s (b) O ([H O ([H 10 ) 2e


Calcolar 3 )4 ( aq , 1s 2 )  o 2 4f 14 5d
Kf = [Zn(NH 2+ ) + 4H Per Ni 2 f 14 5d
10 6p e] 6s
Pb ([X
e le co 2 
ncentra 3 )4 ] 2 O( l ) 8.2 (a) e] 6s 4 14 5d10 )
4e
zioni in
iziali de
[Zn(H O) 2+ (c) Pb ([X 4 ([Xe] 4f
i reagen 4 ][NH3 ] 4
2
10 6p )  
2 o Pb
[Zn(H O) 2+ ti: 2 4f 14 5d
2 4 ]iniz = 50,0 L × 6 s ne tic o
Pb ([Xe]
2
0,0020 i. 6 5s2 ; [Kr] 5s 2 paramag
M i intern r] 3d ;
50,0 L + elettron 6 2 3p6 4s2 3d 4p
10 o
25,0 L = 1,3 ×10 3 V3+ : [A 8 agnetic agnetic
o)
Ni ha 18
2+
Scriver [NH3 ] 25,0 L × 2 2 2p 3s 8.7 (a) ; param o (diam+ Cr <
3+ Cr
M 2+ : [Ar] 3d
e una ta iniz = 0,15 M Sr, 1s 2s agnetic F− ; (c)
mato in be (b) Per (b) Ni n param Na <
Zn(NH 2+lla di reazione 50,0 L + 3+ : [Xe]; no Mg <
2+
= 5,0 ×10 2
25,0 L Br ; (b)

ogni m :
ole di Zn3 )4 e poniamo assumiamo ch M (c) La − < Cl <

(H2 O) 2+ x = [Zn( e pratica F
[NH3 ] 4 , perciò H 2 O)4 ]
2+ m ente tu 10 6p4 8.8 (a)
6 6s2 4f 5d
14
reagita 
4 (1,3 × 3 la variazione all’equilibrio. tto Zn
Sono ne (H2 O)42+ si sia i. 6 5s2 4d 5p
10
10 M in
) = 5,2 ×10 3[NH3] è: i intern
Concen elettron 6 2 3p6 4s2 3d 4p
10
cessarie trasfor-
trazione M e 4 moli
di NH Sr ha 36 2 2s2 2p 3s
Valore in (M) Zn [Zn(H O) 2+ , 1s
(H2O) 2+ (c) Per Po
3
iziale 2 4 ]  1,3
Variazio 4 (aq) ×10 3
ne + 4NH M
1,3 × 10 −3 3 (aq)
Valore di ∼(−1,3 Zn(NH
5,0 × 10 −2 3 )4 (aq)
2+
equilibrio × 10 −3) + 4H O
∼(−5,2 2 (l)
Risoluzio x × 10 −3) 0
ne per ∼(+1,3 −
x, [Zn(H 2+ × 10 −3)
4,5 × 10 −2
2 O)4 ] rim −
anen 1,3 × 10 −3
Kf = [Zn(NH 2+ te all’equilib
) rio: −
[Zn(H O) 2+3 4 ]
2 4 ][NH 4 = 7,8 ×
3] 10 8  1,3 ×10 3
x = [Zn( x ( 4, 5 × 2 4
H2 O) 2+ 10 )
4 ]  4,1
× 10 −7
M

Approfondimenti web L’icona rimanda all’ap-


profondimento dell’argomento indicato disponi-
748
bile sul sito web dedicato al libro.
Cap
itolo
21
La st
di ca echiome
rica tr
Com e pro ia dell’e 588
e dott lettro Capitolo 17
form abbiamo o lisi:
az vi
sorgen ione di pr sto, la ca relazi
ric one
acqu te di elet odotti ag a che pa tra q L’effetto di
is tricit li elet ssa at uanti una variazio
l’ano tano e si à Dei tretà ne della tem
IL PA do gl trasfo fornisce trodi. Nel traverso tipi di pertu peratura
DELL DR E il num i el rm el l’e
ero di ettroni ce ano in Na ettroni al ttrolisi di cella elet
le una sione o variazione rbazioni – variazione della conc
E MOL’ELETTROC di della temperatu entrazione, varia 325
TO DI HI Na elet du ti m etal cato NaCl fatrvaria ol ra – soltanto zione della pres-
PIÙ MICA
prim e Cl2 form troni acqu dagli ioni −lico. Allo do, dove fuso, iticarepoK.rt Per vedere perché, la variazione
della te
per es a dobbiamo tene
a
quan volta da
ate. Q istati Cl ne stesso migra
no empi alla re conto del calor temperatura legame
covalen
tali ibrid
i
tit M ue st a da N + l tr as te m io o, PCl (g) e di reazione: Teorie del Gli orbi
di caric à di sostan ichael Fa relazion
a e form ni
arsi in po vengon Na + ch la 3 + Cl2(g) Figura 11.4A. L’orbitale 2s e no
i
e cedu PCl5(g) 3 in CH 4.
a pa za pr ra day ed è st ti da − Cl La reazi o rim e li ΔH 0
r = −111 kJ sp si mes cola
one si ta 2p di C
Ogni ssata attr odotta a è nota ata determ Cl , mag 2 gaèssendo oso. M osdiret dal- è esotermica (rilascia tre orbitali quattro orbitali
prod se av og in gior term
ag or (asso calore; ΔH 0< are i di
otti co mireazio erso la ce ni elettrod come la le ata sper i sono le giica e è rbe calore; ΔH 0 r 0), quindi la reazi per form3 quattro elettron
.I onio
r > 0):
i sp carb
per ris ne bi lla. o è di im one inversa ibrid di
involt rettam gge di Fara entalmen quantità
mo
la dell’ato tali
valenza à gli orbi
data pondere i nella tr nciata mos ente pr da te PCl3(g) + Cl riempion3
o a met , i quat-
una
quan a as
tità di domande formazio tra le qu oporzi y dell’elettr per laPCl (g) + 2(g) PCl5(g) + calor
e (esotermica) ibridi sp
. B. Nel
metano
3 di C sono
orien-
onale ol 3 Cl2(g)
alla qu isi: la tali sp
da ne an PCl5(g) + calor -
legge ta quanti carica?” ov quali: “Q , perciò tità (mol Se cons ideriantit e (endotermica) tro orbi
tati vers
o i vertici
di un tetra
ono agli
di Fa tà ve ua co i) amoà il calore come un appong
raday: di mater ro “Qua le quanti ntiene le di reagendella temperatu comp onente del sistem edro e si sovr
qua ttro atomi di
H.
1. bi iale?”. le qu tà in ti, el ra “aggiunge” 1s di 3 si riempie
Di se antità di di materia formazio“rimu ettron calor a in equilibrio, orbitali tale sp
lancia ni ne ove” calor
i e e dal sistema. e al sistem a e una diminuzi un aumento Cias cun orbi
un elettron
e
per m re la se guito caric le si ce Come nel caso one della temp iunta di entati
m ev a è fo pone
rm nte, ss
ilar eratura per agg H (rappres
2. ut ol idenzi nece à per sistem di una variazione
ire ie da
ilizzar e di prod azione pe ssaria di er a si sposta per nte
amo di qualsiasi altro provenie
i pe temp eratuun ra ridurre l’effetto com- punti).
co e la ot to; r trov passi r prod a (aggiunta di calor della variazione com e
3. ut rrispond costante are il
num
per calor
apple) e urunare diminuzione di
e) favorisce la
direzione endot
. Perciò, un aume
nto e forme
con la
ilizz ente; di Fa ero di esote icare temperatura (sottr ermica (assorbim le di altr una
raday rmica in moleco ina quando
prod are la mas (F = moli (rilas
la cio di calore). azione di calor ento
e) favorisce la azionedidi legami onale di NH3 si origa piegata di H2O
otto. sa mol 9,65× di elet Essendo il sistem direzionemidale trig 3 N, e la form
In pr are pe 10 4 C troniratur a inizialmente stra la form
atica, r trov /mol − necea, il sistema reagi in equilibrio, QLa Figura 11.5 illu a pira
rica. La form quattro orbitali
sp di
itali sp
3 di O.

modo per fo are la e ) pe ss ario sce decomponend c = K c,ion e tetr aed


se si aumepie dei deg li orb
tamen la quantit ire la co
rn caric
a nece r trov un processo che assorbe il o una certadisp quan
osiz
tità tari a riem nta la
uno temp
tari e-
e riem piono due
iram idali trig
onali
rr armera
e la catore decresce, calore aggiunto. coppia soli di PClcop pie soli
5 in PCl3 e Cl osizioni
bip mediant
e
à
tempo te la caric di carica etta quan ssaria
per un in rica quindi il sistem Il denomina ina quando
a raggiunge una si origtore di Qc crescform 2,
e moleco
le con disp con la teoria VB i cen-
a,
rente . L’unità di ma si pu che passa à di elet
tit a data corrispondenza di un mino nuova posizione Le
e ee ildellnu- sono spie
gate no atom
lecole han gli orbitali d
sp ddell’e elettroni è che queste mo
3
associ attrav tricità corri
masspon re rapporto dei idazione dibrio anche
m
ata al isura SI
ò mis
ur er , si de sa di denza di una mino terminiIbrdi conc dei gruppi quili
to nuovo superiori, e quindi orbitali ibridi.
della ar e la so la ce ve zione di temperatura re K . Anal ogamente, il sistem edr iche
entra zione ico pun di
passag c od otta simili. L’un, cioè3 in a periodi p, per formare gli della molecola
gio di corrente corrente lla. Non conoscer Cl2, un processo formando altro PCl5 a parti a reagimentisce iodo o se
1 coul è , la si e in di che rilascia calor re da una ragiona nenti a una
al Perdimi nu- onale
agli orbitali iramidale trig 3p e uno dei cinq
ue
1 am omb l’ampere carica ch può misur decr qualesce,
ch e. appartequan
trali certa no di
tità assieme
la forma
bip itali
i tre orb cinque orbitali
ibridi
are di e e la nuova posizione dell’e Il numeratore di Q
Molti pere cola PCl
=1 attrav (A), ch e pa ici, si mes spie 3 e
gare
bitale 3s, ibrido
plican atomc cresce, mp il io, permina
do la coulom erso IL PRINC
un è defi ssa nell’un
eIPIO • re unt- aumento di quilibrio ha una
Kc più alta. Per ese deno ipotizz a che l’or
tore colino e
formino
Ciascun
orbitale
valenza
corren b/seco DI co
LE nd
CHÂTE
ut ni
LIER to com
ità di temperatura aume , il mo delloò:VB centrale di P si mes
Perci ide trigonale. elet troni di
te pe nd o to re in e po sitivo ; nterà Kc nel caso di PCl 5 ’ato mo iram
di una bip o di Cl, e i cinq
ue i di Cl, si
r il te o un se •la coun i 3d dell
unitalsistem i vertici0 cinque atom ura 11.6.
corren mpo 1A= cond r- aumento di temperatu orb
ntaati conversoun ΔH 3p di un atom cuno dei a Fig
Pertan te × te sp d, orie e a un orbitale r elettrone da cias e è illustrato nell pie solitarie
3
mpo si otti 1 C/ o: ra diminuirà K
Ripa
quale to, possia = caric ene la s ssiamo questi
concetti risolv c nel caso di un
sistem si sov rappon
a conmo
a un
P, 0insieme ue legami P
Cl, com i hanno
cop
si ha mo tr a caric
a: (21.11 endo un ’ato undiΔH ne gativ
cinq ppi di elettron ARI E
prod problema di verifidell r are o. ione dei gru MOLECOLDEGLI
otto passaggio ovare la o
A×s C
)
Previsione dell’ ca. aiano per form
app sta disposiz3 d dell’atomo cen
trale.
tizza che me-
l’orbi- FORME NE
IBRIDAZIO ORBITALI
form ca e in que o VB ipo
ato. La di corren rica mis sulla posizione effetto di una variazione di
I pr = × Altre form degli orbitali sp il modell trale di S
si
massa oblemi Figura te. Q urando s s=C a di SF 6, ’atomo cen di un ottaedro.
ba ue dell’equilibrio temperatura in uno o
più
gare la form orbitali 3d dell
risolv di mater sati sulla 21.26 ria sta è a su la corren ne sp
3 d 2 Per spie
dei cinq ue
nta ti ver so i vertici
ere qu iale o le ss a te PROBLEMA Ibridazio orbitali 3p e due ibridi sp3 d , orie
2

Figu segu esto tempo gge di Fa ume ques volta corr e il tem DI VERIFICA tale 3s, i
tre i
en po du 17.13 sei orbital
ra 21 per pr te è un tipo di pr . La sem raday spes te relazion elata con Problema In formino
untiv .26 Un la qu rantebrio
riass ti che modo un scolino e
ob
tria
dell’
o pe diag nend odurre 3, pico prob lemi pe ireazione so chiedo i. antità il della sostanza sottolineataumento di temperatura infl tali ibrid
i
elettr r la stec ramma o
una da una corr g di Cl
0 lema rc el no di uenza la conce 11.5 Gli orbi
pratic hé correl ettrodica di calcol (a) CaO(s) + H a e Kc per le reazio mi
olisi. hiom
e- en (g 2O(l) ni seguenti? ntrazione di equil
i- Figura e H2O. A. I diagramibri-
ta mas te di 2 ) per o di a la m fornis ar e co Ca(O H)2(aq) sp di NH3 caselle mostran
3 o
elettr ΔH r0 = −82 kJ
oni pe sa, perc 12 A? Il pr elettrolis elettrolis assa alla qu ce la ch rrente, CaCO3(s)
(b) ia . In NH3
CaO(s) + CO (g) orbitalic 3 e in CH4
te pe iò i i: iave sp , com orbitali sp è
3

r trov r trovare , per prim oblema do di una so Quanto antità


di per(c) SO2(g) S(s)
2 ΔH r0 = 178 kJ dazione
uno degli aria.
are il la a m luzion tempo ca + O2(g) (in alto ), ia solit
tempo carica ne cosa, colle anda il è nece rica. Il Piano Scriviamo ciascu ΔH r0 = 297 kJ copp
MAS con una li orbi-
di so
SA (g
) . cessar gh tem e acqu na reazione in
riempito
basso),
due deg
coppie
sta
ossid nza ia; qu iamo la po richie osa di N ssario prodotto. Un aumento di modo da most
rare il calore
In H2O3(in piti con
sono riem rammi delle
indi aC temp tali sp
ata
ridot o M (g
/mol)
QUAN
TI colle massa al nusto per pr l for- da assorbire il calore aggiunto; eratura aggiunge calore, quind come un reage
nte o un solitarie
. B. I
diag
orno mos
trano
ta di so TÀ (mol) ghiam odur reazione dirett cioè avviene una i il sistema si di cont li
sta
ossid nza
o la ca mero di re a è endotermi
ca e diminuirà reazione endo sposta in modo superfici to tetra
edrico deg
osizione
ri m ol Risol termi ca. K entamen app
la co i di L’agg uzione (a) CaO(s) + H2O(l)
ata ca al se è esotermica c aumenterà se l’ori
sp e la
3 sovr
ti. Ciascun
ridot o semi . la orbitali
ta re
bilan azione QUANTI rren- iunta di calore Ca(OH)2(aq) + i di H lega pie
ciata TÀ (m sposta il sistem calore degli atom3 semipieno si riem e
di (b) CaCO (s) + a verso sinistra: sp tron
elettr ol) orbitale un elet
trasfe oni 3 calore [Ca(OH)2] e K iunta di coppie
Costa L’aggiunta di CaO(s) + CO (g) c decrescono. per agg H. (Le
riti nte di calore nte da ie solitarie
(c) SO2(g) + calor sposta il sistema verso destr provenie
2
Fara
da e le copp e punti).
(C/m y CARI e a: [CO2] e K condivise e com
CA (C L’aggiunta di S(s) + O2(g) c crescono. resentat
ol e −
) ) calore sposta sono rapp
tempo il sistem
(s) Co Verifica Si posso a verso destra:
rre no verificare [SO2] decresce
nte (A zione di temp i risultati riper e Kc cresce.
) eratu correndo il ragio
dovrebbero esser ra: si rimuove calore e il
e opposti. verso esotermico namento per una diminu-
è favorito. Tutti
i risultati

00PrPag.indd 24 17/05/19 12:18


rbo nio
el ca
lia d
famig
RITR A (1 4): la ia li
ATTO o4 nz
rupp esse
DI FA IA G iche
M IGLIA MIGL e fis
iche
1086

Prop Grup DI FA atom


ri età po 2 R A TTO tà he C 786

rie ic
LEGEN
atom A(2): RIT om
Prop à at
DA
Nume
iche i me op ri et Si 761

Simbo
ro at
om ico e fis talli del Pr onica stati di Ge
lo iche alca e elettr di 708
Massa
at Prop
esse lino-t ns np
2
2

nfigu
razion2 Il numero verso
Valen omica rietà
nzia erro .
La co è ns2 np sce dall’a tre
lto Sn 715 2500
Gruppo 8A(18):
confi
gu
za e
elettr razione
La co
nfigu atom
iche li siDA
GEN
gruppo ione decre uppo, m eriore
en
1500
2000
(kJ/m
ol)
i gas nobili
on
gr
uppo raz ion
pleto). è ns 2 (so e elettron
LE az gr
ossid lungo il lo stato inf ta più
Pb
1000 azione
LEGENDA RITRATTO DI
Stati ica
ossid di GRUP di os Tutti i m livello
tto ica de mero
atom
ico
il ba sso
(+2) e.
div en 0
500
a di
prima
ionizz

Proprietà ato FAMIGLIA


azion PO 2A l Nu
bolo io Energi Numero atomic
comu e
(2)
sid em
form azione +2 bri hann com-
ns Sim omica Ragg
ionico
co m un
m ico o
miche e fisi
che essenziali
io Simbolo
ni ano co at ) Ragg co gio ato
mposti e, eccettuo stato Massa za e (pm) Il rag gio ioni-
Be
con un ato Be Valenrazione PO 4A(14 atomi) Massa atomic
Ragg o ion , Mg
gu GRUP (pm e il rag entano a
Proprietà atom
io 899 confi ttronica m Valenza e
4 atomi Ragg e E 2+
. Ca
1757
ele co au rso
lto ve o il configurazio iche
(pm) co io Il rag 738 1450 di C
dall’a ne
Stati ione
Be ionico
(pm)
gio
e il rag atomico
gio
Sr 590 1 145 az
ossid ni
77
po
lung a
il basso . A caus
elettronica
Stati di GRUPPO 8A(18
)
La configurazione
elettro-
Be aumen ionico 1064 comu grup erimento ossidazione nica del grupp
9,012 Ba 549 o è 1s2 per
112 sivam tano prog Si
dell’i
ns enti comuni He e ns2np6 per
2s 2
verso ente dall’a res- Ra
965 11 8 elem gli
elementi. Il guscio altri
(+2) Mg il lto
503
degli izione e di valen-
il grup basso lu ns
975
6 di tra enti za è completo.
160 Mg 2+
più pi po, ma so ngo 0
509
Ge elem Per
si conosca, soltan quanto
12 degli izione
C
500
a quellccoli rispe no
72 Ei ns 2 to Kr e
122 ia
1000 di tra a, l’energ e Xe (e forse Rn)
Mg
2
Energi Ei
Ca spon i del corri tto a di
ionizz
1500 1 2+
intern izzazione He composti. Xe,
formano
12,01 2
de azion 2000 Sn
197 Ca 2+ to 1A nte elem - ità più reattivo,
24,30
e (kJ
/mol) 2500
Sn 118 di ion negativ in presenta tutti
2s 2p ,
2
100 (1). en- tro 4,003 gli stati di
3s 2 +4 140 l’elet crescono ossidazione pari
Sr
L’ene
rg (−4, de
non regolare. 1s 2 (+2 ÷ +8).
(+2) zione ia di ion +2) Pb
2+
o Instabi
le
(nessuno)
215 Sr 2+
gativ e l’elettro a- Be
izz mod 4100 Questo grupp
o contiene
ità au Pb 119 0
20 118 ne- 14 ∼328
10 gli atomi più
progre mentan piccol
le energie di ionizz i con
Mg 1,5 146
Ca Ba
222
dall’a ssivamen o
lto
il basso verso
te Ca 1,2 Si C
1420
2850
Ne più alte nei loro azione
perio-
Ba 2+
40,0 lungo 1,0 9 di. Scendendo
8 135 grup
po il Sr 28,0 2 Si 2623 20,18 lungo il
più gr , ma sono gruppo, il raggio
4s 3s 3p )
2 2 945
1,0 T eb 2s 22p 6 atomico
(+2) a quellandi rispe
Ba
+4 e Ge aumenta e l’energ
(−4, fisich rietà (nessu
Ra Tf
no)
1751
ionizzazione diminia di
rietà
(∼22 e del co tto 0,9
Ra 2+ spon Ra Sn 232 4000
38
0) de
to 1A nte elem -
rri 0,9 32 Prop
op
lle pr e della 3000 in modo regola uisce
148 ze ne minuzion a di 18 one) re.
(1). en- nden dell’elettronegativ (I valori
Sr Ge
di ur Pb 327 2000 (°C) di fusi
Le te , quali la temperat
Ar
0 atura
ni 1000 atura
1 riazio Temper temper
dati soltanto per ità sono
fisiche a e della vute a va o del ; Tf =

dell’ossigeno
0
87,6 2 1 llizione Kr e Xe).
2 Elettr 72,6 2 zz
dure , sono do e all’inte
rn di ebo

la famiglia
ra
oneg 3 Si peratu 39,95
ati
4s 4p ) in C, = tem

ppo 6A(16):
5s 2 vità 2 ne
Prop 4 fusio i di legam valente Sn e Pb (T eb
3s 23p 6

FAMIGLIA Gru
(+2) riet +2 co
à fisi (+4, nei tip reticolo allico in (nessuno)
RITRATTO DI enziali
Il leg Be o: et
che solid legame m
e fisiche ess
56 ame
di va m 50 ,
lenza etallico
miche e Ge
Mg
. 36
Ba Proprietà ato Sn
cora . Ques impl testo)
ica 128
(vedi
Kr
re 1 105 7 a2500
molt lativamen ti metalli due e −
Ca 649 rso
o più lto ve
137,3 so
duri te teneri, no an- Sr 1494
118,7 dall’a a causa Proprietà fisic
839
cresce 83,80 he
6s 2
dei m m
etalli a sono
2
5srietà
Prop
2 5p atomiche nsità
po
grup denti
La de lungo il m
Ba 1381 La temperatura
2 en6
+2)
1A(1 768 4spr
(+2) 2,27 4p ento di fusione e la
). (+4, one il basso fattori, co (+2) am temperatura di
Ra 727 1850 LEGENDA La configurazi C va ri ll’i mpacc elementi gassos
ebollizione di
questi
88 1700 Numero atomic
o
82 elettronica del 2,34 di nze ne i sono
differe ino. te basse, ma aumen estremamen-
700
Be 2 4.
0 5,32
Simbolo gruppo è ns np 54
Ra 1,848 1000 Teb
Pb i
Si
cristall basso lungo il tano dall’alto al

(226 Nessu
Mg
1,738
(Teb
temper
atura
Tem
peratu 2000
ra (C)
Tf
Massa atomic
Valenza e
a
2
Come nei Grupp
207, 2 3A(13)
e 5A(15), Ge
7,26 1 1,34
Xe di dispersione
gruppo a causa
più intense. Si
di forze
) n ca Ca di ebo
llizione 3000
ne di ossi- gli intervalli di notino
7s 2 dispon mpione
1,55 ; Tf configurazio ) 2 6p
uno stato 131,3 temperatura estre-
GRUPPO 6A(16 rervato
temper 6s mamente piccol
(+2) ibile Sr atura elettronica +2) dazione inferioosse lta
Sn 12
5s 25p 6 i in cui gli eleme
(+4, vio: a più
di fusi
9 sono allo stato
2,63
La te
one)
Stati di Flero
divent a vo (+8, +6, liquido. nti
Ba
m ossidazione
(+4) la prim o Pb 6
mL)
3,62 tempe peratura comuni 114 comu r dall’alt
pe ne rant
du
e 3 tà (g/ +4, +2)
enti Densi
mente ratura di di fusione
Ra

Fl
basso 0
Foto eboll verso iles perimo. bna,
:© McG 5,5 di so diminui
lit izion e la lungo il gruppa Du
otti 98 86 Mass
sc e nel 19
raw- 0
il basso o aumen ono, e la general- ) cond a, co
Hill Ed
ucat
ion/
3
Densi 6
valor
i
lungo ta dall’a densità
il lto 8
(289 2
in Ru
Il raggio
7s 7p il raggio
2
ssi
atomi
ionico phot
ogra
ph er.
Rn spectral
peak
h,
Step tà (g/ degli sono molt gruppo. Quverso e n Frisc (222) La densità (in
O
9
he n Frisc mL)
elem o più ephe condizioni norma
esti aumentano
ion/St di temperatura
12 non li
h, ph è altre enti 1A(1 alti di qu ucat
6s 26p 6 e di
otog ttant ) e la dall’alto verso
Hill Ed
aumenta in modo pressione)
ra pher
. o rego tend elli 16,00 w-
lungo il (+2) regolare, come
lare. enza 2s2 2p
4 cGra
ilMbasso ci si attende.
: © grupp o, men-
(−1, −2) Foto 118 Oganesson: scopert
tre l’energia di in esperimenti o

16 ionizzazione e Og scienziati russi


condot
in collaborazione ti
da
l’elettronegatività e
nitensi nel 2002 statu-
S diminuiscono.
(294)
7s 27p 6
e
rito ufficialmente inse-
dalla
IUPAC nella tavola
32,06 periodica nel
3s2 3p
4 2015 Foto: © McGr
aw-Hill Educa
tion/Stephen
(−2, +6, Frisch, photo
grapher.
+4, +2)

34

Se
78,96
he
Proprietà fisic
4

Ritratti di famiglia Indicano le pro-


2
4s 4p
ta
(−2, +6, di fusione aumen
La temperatura lega-
+4, +2) sono presenti
fino a Te, in cui nel
e poi diminuisce i
52 mi covalenti,
cui si hanno legam

prietà atomiche e fisiche essenziali dei Te


127,6
caso di Po, in
metallici.

principali gruppi di elementi e le relati-


4
5s2 5p
(−2, +6,
+4, +2)

ve reazioni rappresentative.
84

Po elementi allo
La densità degli progressivamen-
sta-
ta
(209) to solido aumen basso lungo il
il
te dall’alto verso
4
6s2 6p
(+4, +2) gruppo.
to
Livermorio: osservain
116 per la prima volta
Dubna,
esperimenti a
Lv Russia, in collabo
con scienziati
razione
statu-
ce
(293) nitensi del Lawrenal
Livermore Nation
4
7s2 7p 2000
Laboratory, nel grapher.
tion/Stephe n Frisch, photo
aw-Hill Educa
Foto: © McGr

244
Note a margine Propongono esempi
Cap
itolo
8
di applicazioni della materia nella
Nello
transi zinco, i so
zi
vita di tutti i giorni.
poi ri one term ttolivelli
em 4s e
nobile pito ne ina. Com 3d so
succes i sei el e è no
sivo. emen mostrat complet
ti succ o ne am
Princ essivi lla Tab ente pien
ipi g . Il Pe ella 8. i e la
enera riodo 4,
4 term il sottol
prim
Oltre
ai li delle ina co ivello 4p rie di
a se
minia 36 elem c o nfigu n il cr
m
lievo o le confi enti che ab razio ipton, viene
alcuni gu bi ni ele il gas
conc razioni el amo cons tt ronic
Confi etti es et id
senzia troniche erato es he
• A
tavo iuti mne
uno gurazion
de
gli el i temi ce elettro
i
li. degli isto
stati no altri 77
fondam
em n el em
ni elet enti in un ntrali de iche est
la pe mon entali en
a port
ata di riodica
ici pe
lla e per m ti noti. E
dica,
qu mano Se no r la (grup troniche es gruppo ha chimica rne sim ettere sa-
livelli esta disp una tavo n si ha il in ri-
che es i A) – gli terne sim nno prop e la chia i entro
p
osizio la
mem è in grad ne de perio- ve al
l’utilit un grup
elem ili (F ri
or o
to. El ia l’ordin di richiam i sotto- intest terne in enti igura età chim
az u n de l 8. 12). ic he à p o
en
indica cate i
e di
sottol riempim a
are all negli ioni
dei gr gruppo so blocco s Tra gl simili pe della tavo Ripeten
to ne el e del i rc la do
legget lla fi ivelli
come -
en intern ementi uppi
nella
no es
senz blocco elementi
hé ha
nno co periodica
e pa gu
rtendo ra sopr a (blo di
la di
re asta è cco f transizion Figura 8. ialmente p – le dei
confi gruppi p gurazio-
nfi :
Nota zione orie da 1s, se nte e ). e (gru 12 id
te ntata gu Ordin p pi B . Come ve entiche, gura rinc
• i va che: come zioni elet ipali
lori delle endo
frecc mente e di rie , bloc drem
talmen di n sono e. gl i elem m p iment co d) o, es istono è in dicato tr on i-
te; costan te, si e negl
• i va
lori di ti oriz ot ti en ti o de i el al cu da lle
pien gli orb
calm l sono zon- gend ene la riem emen ne va
o se ti di ri
• i va ente; costan si ot la tavola quenza ef do i livel itali Qua transi anti
lori ti ve ti da sini nd zione
costan combina
ti
rti-
Figura ene l’ord fe li
stra a ttiva degl e i sottol o “si co
ti diag in
onalm di n + l
ente. sono impa 8.13. L’or e energe destra, co i elemen ivelli in or struiscono
rare l’o ganizz tico m e si legg ti ne di ne ” pr
rdine az dei lla ta di en ogress
di riem ione della livelli e on vola er iv
Cate
g dei so o le righe periodic gia cresce a-
catego orie di e
pimen ta
lett to de vola period ttolivelli, di una pa a. Perciò n-
rie di gli or gina , leg-
1. E elettr roni Esa bitali ica è di com
certo e è mos ampata,
st
lettro oni. minan degli tr
do la elem il at
sono ni in tavola enti. modo m o nella
quelli terni (o period igliore
di
Rie nel ga elettr ica, si
2. E mpiono s on posson
lettro tutti nobile pr i di core). o dist
(valor ni este i livelli en ecedente Gli elettr inguer
e rn er oni in e tre
distan di n più i. Gli elet getici infe e in ogni te rn
3. E za alto tr rior seri i (o
lettro dal nucl ). Trascor oni estern i di un at e di tran elettron
ni d eo rono i omo. sizion i di
nella
fo i val . la mag sono quel e com core)
valenz rmazione enza. G gior pa li nel liv pletat
a.
li rte de ello en
ne de a sono gl dei compo elettroni l lo er
l i
anno legame in elettroni es sti. Negli
di va ro tempo getico più
verati le nz a sono al la mas alto
Num terven terni. elemen
e tr a gli el go N eg ti de qu el si m a
chie ro del g ettron no spesso li elemen i gruppi pr li che in
inform rup i di va an ti di inci terv
azioni po e nu lenza. che alcuni transizi pali, gli el engono
1. N essenz mero elettr one,
nella ettroni di
egli iali. del p oni d
al nu elementi eriod
o La intern formazio
pio,
mero dei gr tavola i, che so -
il clor degli elettr uppi prin period no
Pe o on cipa ica co
2. Il riodo 5, (Cl; Period i esterni (q li (Grupp ntiene
numer Grupp o 3, uelli i A ), parec-
do 2, o del pe o 6A) ne Gruppo con
il valo numero
il
il livello ri od o è il ha 6 7 A ) re del
n
3. Il = 5. con valore e così vi ha 7 elet di n più gruppo è
n= a. troni ugua
valore 2 ha di n del liv estern alto). Per le
energe di n elev l’ene
rgia ello energe i, il te es
llurio em-
di escl tico. Poic ato al quad più al ti
ta; ne co più al (Te;
us ione hé un ra to 2 l Peri to. C
lo en
ergeti ), 2n 2 dà orbitale no (n ) dà il nu odo
5, è
osì, ne
l
co. Pe il
r esem numero
n può mero il liv Perio-
co to ello
pio, ne massim ntenere tale di or con
l caso o di più bita
del liv elettroni di due el li in quel
ello co (o di ettr livel
n n = elemen oni (princ lo
3, il nu ti) in qu ipio
mero el
di or livel-
bitali
è

00PrPag.indd 25 17/05/19 12:18


Strumen
ti di
Tecnic
he di se laboratorio ienze
ratorio azione altre sc li
ti di labo re
Alcuni parazio
ne fond ica nelleienze ambienta
Strumendelle velocità di La chim
dei pro
più disp cedime
endiosi nti am entali sc
a nelle
scele e di tempo di laboratorio
Misura Chimic
la più imp
da incolo
re qui alcu purificazion implicano la
acida
e dei loro separaz egnativ
ne passa ne è fun- ne delle i e La
pioggia
importa ion
la soluzio orazio nte not tecniche di sep componenti. e delle mi- distill
idazione sità della col ta del blu di proprie are che di volatil azione separa nell’aria,
a della
arazion Descriv
ne di oss ten ida tà tut e iam
avveng fisiche delle sost ti questi me di uso comune o un gas. ità, la tenden i component di CO 2 , il pH
volume
la reazio S16.1B) e l’in della forma oss
lem CO 3
Il prob
ono tras i
tuale in su K a1 per H 2 trasto, il
o- Nel Per za
ura e formazio anze presen todi si basano . È molto più esempio, l’et di una sostanzmediante differen
llo molec - a blu (Fig concentrazion La filtra ni chimic ti nella sulle ere è più a a tras la percen ua e con
a a live Esi la base di zione separa he. miscela bol volatile formarsi ze base del di CO 2 in acq 5,6. In aspro 4, in molte+
zione avv eng
tà di rea
zio ne.
re zio
ne del
diff i compon
; non puòle, il vapore è del cloruro di volatile dell’ac in - Sulla a
su com
e una rea delle veloci devono ottene o metilene. to spesso erenze tra le
dimensioni enti di una
essere con più ricco del sodio.
compon Quando la mis è
qua, che
è illustra la solubilità pioggia è circ ina
198
to nel ntità di H 3O
ure ti riam trici ici, o vi- per ce apparec densato bie nte in del male a, determ è una qua
Le ipotesi basarsi su mis entali, ma tut ile. Conside ttome dotti ion un soli separar
e un delle par miscela chio per e racc ente più cela e e l’am a acida, della nor della pioggi Svezia
ono rim oducib ci. i condu ano pro ttrica della
so- do
filtrazion (particelle più liquido (partic ticelle. È usata
sulla è usato distillaz olto separatam volatile, che industrial la pioggi come 4,2, cio ggia in
lare dev lti metodi spe
ido e ripr Metod ici form ele o- mol- volatil per separar ion
e compon e illustrato ente. Il sempli- la società problema del depositano medio Stati Uniti era mondiale, la pio mio con un
stono moi in modo rap con esempi spe
cifi non ion conduttività misurare la vel filtrazion e semplice di grandi elle più ità, itto tra in pH
reagenti della cela di e un prodot). La Figura S2.3piccole) da Per sep per esempio enti con nella Fig
Il confl chiaramente
dal umane
si
adsorbiti
li
ioni deg eriore. A livello ondo pre a Wheeling
no il sec
ta per sott
i risultat todi comuni
, Quando la variazione ere usa nella mis tività matrac o vuoto, to di reaz mostra arare com l’ac gra
ponent qua dai compos ndi differenze
ura S2.5
attività o come ate reg sup ggia i
me ersa , può ess ttrodi dut
cio la
filtrazion accelera il fluss riduzione del ione solido. la sono nec to molto di derivati da o nebbia te registr 25 volte si divido l’aceto. La pio con un pH par
qua ttro
con- cev po
nel tem Si immergono zione) della
ele con o
qua per e è una tappa o del liqu la pressio Nel ne (come essa rie mo i con piccole ti ionici di aci a, neve sono sta del Rio nsilvania del mio trici
om etr ici mis urare la rbe luzione ne. inu Con sideriam essenzi ido ne ent la vedrem lte tappe di differe disciolt
evaporazio nze di volatil i.
cui gli nel la pioggi itazioni acide bacino e in Pen , circa lo stesso il primo pre i suc chi gas a
i spettr ati per asso di rea zio (o la dim
prodot to.
2-brom
o- usi pot
abili. ale nella attraverso il fi ro il o nel Cap
soluzioni solide. Precip ssic o, nel lte reg io-
di 2,7 A) vin se
limone
e talvolt
Metod o impieg to che la cità ne, e l’aumento azione del co, quale il Figura purificaz ltro. itolo 13) ne-conden ità ada, Me ssia e mo mo pH ginia, US il succo di acida ha ticolato
me trici son o di un prodotper misurare zio la form ani S2.3 Filt ione del La . sazio- partice
lle Uniti, Can l’Europa, la Ru o Sud. Abbia i (West Vir pioggia
preso tra
rea ro org dal par
i spettro te ati
I metod e di un reagen i sono impiegprodotto che zze è correla
assor- to con alogenu (Fot razione l’ac- gli Stati Pol nia, la
di acqua
o: © McG rso itol
tra un qua: Stephen raw-Hil . La misc
ela in tutti oni , attrave o No rd e al ma nei cap i- a 1,8, com co! In Califor ion e
centraz
ion
ttrome
tric o di un lunghe reazione l’ac Frisch, l Educati riscaldata viene
delle Am
azz
fino al
Pol proble cip ma raz volte, è
nello sto perché l’evapo
termome
todi spe un reagente rvallo di en- la etilpropano, e + (aq) + Br
− (aq) photog on/ tro e il com
ia, e per questo delle pre
I me inte ttam rapher ponente etti di effetti erali a 10 000 lluschi
(o e di tto dire 2-m (l) + H ).
ni dell’As numerosi asp eremo alcuni = 1,6 + ], da 10
volatile
trazion uno stre fatta svolgere ostato per ) emi min . ci e mo
sui sist occupanti pH centra l’acido
evapora
concen ette) luce di l) + H 2O(l (CH 3) 3C OH di di [H3O i. Alcuni pes giovani della
essere metro
imp delle (CH3) 3C Br( ndi si dis-- trattato i, adesso esamin acquatica e eccesso
be (o em reazione può uno spettro ristica di una ua, qui A cont ia erosi pre con ent .I
. La o di ti del fort e in acq rere del tem il vetro
atto con
preced
ent la biolog sono num Questo esseri viv si tra 4,5 e 5,0 più sensibili. A
o per gli
atte
d’o nda
partim ent
d’onda
car Stru men
a è un
acid o
il tras cor
ano, qui
ndi freddo,
acide sul prevenirli. Ci compre in generale sono
tazioni
i vapori
scheda di metilene ioni. Con n- distruttiv a valori di pH non pos
te nel comuna lunghezza i anche la
condensa
si form
io, Il blu tessile) è in- L’HBr che pletamente in degli ioni che reazione.
si form per form
distillato are
no o come to pri cie son o pes ci i
ved
misurare ura S16.1A; 7). Per esemp e ved rem i. ), genera oiono le spe te dei a di fium
ti chimic fo (SO 2 ricco di zolfo, mu ggior parte del la maggior par ine di migliai ata già
liquido
are e ta: socia com numero della miscela
di puro
specie
(Fig
Capitol
o aliment forma ossida enta il imputa o di zol e - ma del dec ent
rio nel l’industria la sua po, aum la conduttività . Il diossid ne di carbon ra in contat le uova idificazione di a di pesce è div , grandi
laborato nte usato nel tta e blu nel a solforoso stio o ent e pH = 5 n l’ac enz ltre
ora
(un col la sua forma
rido aum ent
1. Acido e dalla combu SO 3) quand idrogeno o schiudersi. Co il mondo, la car nte. Ino uo-
nel i ero di mo e
li
alm ent oso (H 2 oss ido di ra, son tut to eno preoccupa li acidi, che rim o.
col ore H
me tric num cip for ali per sfe hi in fen om dag ren
i mano iazione
del ne in basra refrigera acido sol Ossidanti qu anti nell’atmo solforoso e lag lto tempo un te danneggiate tossiche nel ter acide
Metod una var ocità di reazio peratuLa raffreddante forma
N implica vel tem crista ad acqu to l’acqua. comMo e ltiinqaltruin o l’acido da mo e sono
sta sostanze e le nuv
ole
reazione erminare la (a volume e manometro solubilit llizzazione to con ti i idrverosston forest
Equ rilasciano ato, la nebbia delle
piomb aree di ilibri ion
a
presen e con idi
superficie
Se una det ssione lega un
à si
o in vol di una sostanz basa su differen ozono, solubili in acq
uao(II ), stagno( poco solubili rienti eici intam
N(CH 3) 2 di gas,
si può
della prepratica, si col noto, immersproun
in II) e zin H 2O( l,) tra cui vono i nut pon
o è soluzion acq iali dalla
il terren nutrienti eess
um aè enz
iazione e esse- ime e fisso di solv la quantità di ze di solubilità. anch’essi solforico: Zn(HH 2SO 4 ( aq ) + sono anfote que
co, lli di se uosa
no diret-
alla var nel tempo. In ne di volum esempio, puòche ced nto illu essa La Anche cadmio ere
)  o 2 O)2 (OH)2 ( s ) + OHida i si esplica osilicati
S e ent
tanti) di reazio tante. Per tra zinco mo lte sost strato nel e a una dat che si scioglie in acido Al con ( aq zio neri e danson no o rimuov , cro mo uos
cos nte ne a SO trar  pos luo (III) acq
(H 3C) 2N ipie ra cos la reazio do che anz
nello stes e sono più
la Figura tem
S2.4 app peratura. Il ) + Ham 2 3 io, gli idr per oss ( aq ) \ go a rea , cobaltori
li equilib allumin estre- 667
H a un rec a temperatu metodo vedere solubili lica H 2O 2 ( aq biente
aci fo sioss idimapoc do solfor[
for \\
ico\\Z\ Zn(fogHlie. ziodeg
pi ni sim , de. Gli
(III)aci
i son o
no sto so solv di zol
do o
aci solu O)( OH pri nci ili:
pio gge ren
lo ione
un bag rata con que il uscit non son o ma nonforma 
che dei ter
2
zione dall il composto
ente fred in
do. Nel un solvente
fatto a
Il triossid o sufficie zolfo in am erica.bili di ferro(II), Mo 3 ( aq
lti) ) + Htti delle
or parte sti materiali plesse
dell’acqu
dazione
re monitotico: pur cal- a entrata
solforico. ssido di nteme atmosfbie nte bas e neg li effe 2 O( l )
riduzion
e ossi sost
) +anzH 2e(g) a soluzione qua ificato si sep la fotografia si dell’acqu
2. Acido a di SO 2. Il trio inclusa quellante acide: ico i-per tamferr ento(II I) eisco la maggi que re com
+
acido ace O− (aq
vi elettronessenziali nei ndo que ara può pallone a
ind ché lecos calnocio si scio ua. In − struttu conici, nel
3CO sta viene per cristallizza , Fe(H O) amente tretitu in acq
di
OH(aq) Zn2+ (aq) + 2CH atmosfericne con l’acqua − e O 2 in
distillazi
microp one 2 3 (OH) ( lessiv si che mo lec olebili
olu lgono sili
2CH 3CO cristallizza ici moderni - Figura ins i OH in e polimeri H O+ nella
Distillato
N
Zn(s) +
roc raff
vengon essori e in altrreddata. Le S2.5 Dist in un matrraccolto
per rea
zio Fe(zot o (comp 3 s) 3HN3O O 2. NO
2 e ( aq ma mente id’ac
ionqua leg ici
zione. La differe idi d’a H2 O) ne tra )  tor i ato agl cat
ate con 3 3+
nerali sili
o purifi illazione separato accio oss 3 (OH moo Fe(H 3+3 è leg tatto
Figura cate con i dispositi- ico. Gli nzano la rea zio)3 ( s )
OH nei dell’Al
eda Mi Il continuo con ioni e parte questi
. nte
N(CH 3) 2 Cristall S2.4
nitrper di nel
solu nciinpalme , nel ( aqpro so Al 2 O)
un tipo Anc 3. Acido NO sep arama i
si for bili
prità ) ceso nes (ve6di ( la aq )sch3H
l ) ).
izzazion di he l’estra
e niox) tall rebus tione,
due metall O 3 solu in aria 2 O(486 questi ieme a
lo e14, p. sa reazioni di si scioglie. Ass che servo-
proced zione zione basverte in suna reaz
S (Foto:
© McG nee. ime si basa cati com anteme la com ico e verNOrà2 e HNi inte,unNO con ica di Al( Cap itoion
x si
azio nto ioni
(H 3C) 2N
Stepte
uen hen
equ raw-Hil
e nel l Educati o anim tipi su
ale) vien co, un materiadifferenze di solu forma dur obili, e forma te dis la notcussa nuo ort
imp
ante ua. Gli OH) a OHacida cau ci,
per i pes da porta via
nci la seg centrazFris ionch, photog on/ za di acq passag 3 eggi
pio Fe( tossico li.
occupa-gio dellaato aci
e
Si bila
1 (a) one della con rap che estr ae (sciogli mac inato le nat urale bilit à. In un
delle aut
om
og. Duran in presenvamentpre , che)3èviene pioggia e anima calcio
ENTO16.
her).
variazi
insolub e) i com in un frullato (spesso vegetal era lo sm za ad HNO3 o la maggiore
e nel Paragrafoleg pro3+ duz cio
ion lti,utila lizz atati per piante carbonato di
ONDIM e della
ile.
l’aggiunta Questo estratto posti solubili re con un solv e gen oliz 22. Al dis e del rien il nica-
APPROF e in funzion
che si idr La chim
O cau
san ioni4. ze l’all
nutum anche o e calcare. Iro ste
inclusi ente
N 2O 5, che H 2SO 4 e HN 3 S19.1). de con e sostan da scii-oglie
MA DI cità di reazion
di un viene
ioni aci rm que
PROBLE velo N 2O 3(g) l/(L ⋅ s)?
primo.
ponent
Dopo agit secondo solv ulteriormente in materiale
ent
i vengon azione in un imb e che non separato con
ti
acidi for bientale (FigCh ura ica nelle
precipitaz a è debolmen-
no com a aci
La pioggi dei monume
nti di ma che distrugge
e si esp rima la a sost anza:
(g) 1,60 × 10 mo
−4
illustra si zione am si confronta li? Laic
imdelnorleama
il pH
inle pioggi altre sc
l’aria: fici e so chimic
o
tempo
per cias
cun
NO(g) +
O2
dec resce alla
velocità
di
un solv
o
l’estrazion estratti nel nuo uto separatore scioglie nel
e di pig vo solv , alcuni Come nat ura CO
ge
der ol
iva nte dal
og ia ienze
degli edi stesso proces
, lo
le acque mente
] ent com- lta 2
menti veg ente.
ndo [NO e organic
etali dall La Figura S2.6 e discio O3 ( aq )
decresc
e [O2] qua La croma o.
’acqua quello del ché contien + ( aq ) + HC
le velocità NE solubilit tografia è una in esan acida per La Z\ Hcr 3O
REAZIO à. o, teLe \\\
O( l ) [ eazion
(b) A qua detto fase La miscela vien terza tecnica grotte
CA DI basata su calc) + 2H 2
2 ( g aree e le e di un
CINETI
sono un’
I (o legge questa mobile,
e i com
e disciolt
a differenz COevi det a grotta
zione ponent in un gas o in ionici acq denza impress tagliate stru
LEGGE MPONENT ge cinetica di rea
fase si e di
reazione perficie mu
liquida ove su una sup i vengono sep un liquido,
ttu calcarea
.3 LA CO ) per la turali son uosi. I pinnac ionante del lavo re al loro inte
16 E ne del le nen
E LE SU i studio cinetico èlla velocità di rea
leg zio visc erfi arat oli e le rno
la rea funzione te con
bassa soluosa), detta fase cie solida (o
i mentre
l’acqua o il prodotto volte di ro degli
de di zione in bilità nel stazion
aria
su una
su-
che di que equilib
è princip è fluita attr reazioni tra roc ste cattedrali ri aument presenza di
Così, la
e di ogn equazione ocità la fase
staziona . Un compo- ave na- CO (aq
central e la vel sto ion almente carbon rso di loro per ce carbonatic ando la
solubili 2 ) porta alla
La parte tà, detta anche velocità esprim ria vi tras
corre ico poc
o ato di calc millen he e CaC tà di CaC formazio
teriale io (CaCO ni. Il calcare O3 ( s ) +
di veloci ne. La legge di (continu roccioso solubile con K CO2 ( aq O3 : ne di H +
3O ,
400 mil cominc ps = 3,3 ), ) + H O(
stio a) × 10 −10 un compo-
3
in que quale la
ioni di
anni fa
iò ad acc
um . Questo Ecc
2 l)[\\\
\\ Z
\ Ca 2+( aq
cav e una gro ula rsi ma o un riep ) + 2HC 
a formarsi erna Howe, tta rela sulla terra più - Man ma ilogo del O3 ( aq
circa 800 nello Sta
to di New
tivame
nte gio di no, inc
no che l’acqua
processo
di [Equazion )
Due 000 ann
York, com vane, modo ontra aria inc filtra attr formazione e 2]
come si fattori princip i fa.
inciò [CO lusa ave rso di una
gro
formano ali 2 (aq)] nel terr le fessure tta.
le grotte ci permettono stra) e
la soluzio aumenta (l’Equaeno con alta nel
1. L’equili calcare
e.
di com
prende ricca ne divent zio PCO . In terre-
re pas di CO2 viene a più acidne 1 si sposta2 questo
naturali: brio tra CO sa in in con a. Quand verso
2 gassos
o e CO questo soluzione (l’Equa tatto con il o quest’a de-
processo calc cqu
2 acquos
o nelle isce altra roc zione 2 si spo are, altro CaC a
acque sec , altra roccia cia sta O
CO2 ( g ) \ H2O( l
[\\ oli la gro si consum viene disciolt verso destra) 3
\\\\ \\
)
Z
\ CO2 ( aq tta iniz a e cos a, altra . In
La con ) Scavan ia len ì via. acqua
pressio
centraz
ione di [Equazion parte del dosi una stra tamente a form Con il passare flu-
ne CO e 1] soluzio la soluzione da attr arsi. dei
di Henry, parziale di CO 2 nell’acqua ne di Ca( acquos averso i tun
Paragrafo 2 (g) in con è pro ta in HC a, prin nel sot
13.4): tatto con porzionale alla ria, formazione. O3 )2 , passa attr cipalmente cos terranei,
Sgoccio
l’acqua in
(legge CO (aq cui PCO2 è min lando si averso la volta tituita da
2 ) si ore trova in della gro
A causa [CO2 ( aq verso sini separa dalla che nel terr contatt t-
)] v P eno, per o con l’a-
del con CO2 zione di stra). A causa soluzione (l’E
ra (degas tinuo rila di questo quazione ciò parte di
maggiore samento), la scio di cadono CaCO3 sulla 1 si spo
della P PCO in CO2 dall’intern passare
le gocce volta e fenom
sul fon eno si ha precip sta
aria ing o della dei dec (l’Equazione
2
CO2 nell’at lobata do
2. Com mosfera. nel terr Ter- CaCO , enni sull 2 si spo della grotta ita-
eno è 3 chi sta dove
aument
e abbiam
o discuss chiamato amato stalatti a volta si form a sinistra).
a o stal agmite, te, me a un Con il
l’anione la solubilità dei nel testo, la pre grotta. ntre un “gh
Asp cre pinnacoloiacciolo” di
di un acid com sen per form ettando un sce verso l’alto
produc
e H3 O + o debole posti ionici za di H3 O +(aq are una tempo dal pav di CaCO ,
: . La rea
zione di
che con
ten
) Lo stesso colonna di sufficiente, essi imento del 3
CO2 con gono sime form proces calcare si incont la
CO2 ( aq acqua, mano e diverse so chimico precipitato. rano
) + 2H “nin . Pol può dar

Schede Ampliano la prospettiva di studio dello studente


2 O( l ) [
\\\ formano fee” o “corall le di soluzio luo
\\ Z
\ H3O +( del icat i” di ne di Ca(go a moltis-
aq ) + HC  grotte, i “merlet calcare HCO )
O3 ( aq ) spe . Cas
senza di sso fantasticamti” di calcare cate di solu3 2 for-
zione
o il ram tracce di ioni ente sulle
e (verde metallici, colorate a cau pareti delle

verso applicazioni della chimica in altre scienze, illustra-


-blu). quali il sa
ferro (ros della pre-
so-brun
o)

no tecniche di laboratorio e approfondiscono in modo


visuale alcuni concetti.

Scheda
ento biologia appr di
ali silic ofondimento
Miner
ofondimll’industria e in
di appr tinenza atici e
Scheda colligative ne
molta per vita nei
hanno
otica – o più sicura la in tutta polimer
tà ne osm i silicon
Proprie
don ssioni zio
e la pre pico ren applica
scopico samento criosco otica trova sono senza dub
bio
ici
ento crio bas ne osm ortanti
l’abbassam comuni dell’abnica. La pressio ili più imp
mente ni eab I silicat
– special une applicazio dustria elettrorane semiperm i e i sili
ligative l’in
pro pri età col quotidiana. Alc enziali per ché le memb molecola coni illu
strano
Le sono ess iche per re
teressantsi manifesta nel elegantement
vita
con la di. Altre itarie e biolog
pratica
ernali fred san e le e
classi strche entrambi proprietà del come l’organ
mesi inv e nelle scienze viventi. utturali: quest le sos izz
la natura rno alle cellule nto catene, i tipi di ma tanze macroazione a livello
quelle
atto
ll’abb assame strati e ter sco
impalcat iali presentin piche. È in-
zioni de Minera ure. o le ste
Applicapico Silicati li silica sse tre
ngelanti a caten tici
criosco lani e
antico
op H 6O 2) (C 2
La più
quando
e
semplic di tetraedri
per aer ole etilenico e classe (inosilic
cianti legami due dei ciascuna unità strutturale di ati)
Sghiac oli Il glicmediante estesi ione suoi ver
per au
toveic
l’acqua di ebolliz volatile
a una cat tici O contetraedrica SiOsilicati si ha
ile con peratura ialmente non ccianti” ena
per form . Due catene altre uni 4 condiv
è miscib e ha una tem tà SiO ide
o ere essenz e degli “sghia l’anno” Si4 O11 are un nastro pos sono leg 4 , formand
idrogen per ess ent tto 6−
rip ; il arsi o
asta nza alta pal e compon ti di tipo “tu cazione polianion etute. Ioni me nastro più com lateralmente
abb nci
È il pri icongelan di solidifi pe- esercitanoici per formare tallici legano une ha
100 °C. ani. Negli ant temperatura alza la sua tem strati neu tra loro unità
per aer
opl abbassa
la
erno e
inn materiale soltanto forze tri. i nas
oveicoli iatore in inv si presen intermole Fra gli stra tri
per aut nel rad ta in colari ti si
estate. famiglia
dei min filamenti fibro deboli e il
dell’acquaebollizione in erali di si,
ratura di amianto. come nella

Amiant Silicati
a
o La succes strati di tet
rae
traedric siva classe stru dri (fillosili
a
per form SiO4 condivide tturale di silic cati)
are uno tre dei ati
è condiv strato (o suoi qua si ha quando
interag iso con un altr foglio); si form ttro vertici O ciascuna uni
isco o tà
una sen no mediante strato. Nel talcano doppi stra con altre unità te-
sazione forz ti
Al(OH) di scivolo e deboli; per o, il minerale quando il qua SiO4
si più ten rto O
come la3 interfogliano sità. Se Al sos ciò, la polver ero, gli
cao tituisce e strati
le miche. linite. Differe con strati di una par di talco dà al
silic te
allumin Nella musco nti sostituzioni ati, ne risulta di Si, o se stratatto
osil vite
ioniche. icato. La mic , una mica, e/o interstratifi un alluminosil ti di
a si sfal gli caz icato,
da quando ioni giacciono ioni di ioni
vengon tra danno
o sopraff doppi strati
atte le di
e set- attrazio
i artici ni
li invern ica, produco-
ere neg est -
sopravviv la mosca dom struttu
ico Per sa con una
gelante
biolog i, compre – una sostanza miscibile con
e insett ) ssa .
Anticon i, molti pesci erolo (C 3H 8O 3 co e anch’e sangue
trio nal di glic etil eni ent o del loro
ten quantità del glic
ole
congelam
no grandi simile a quella temperatura di
ra molto che abbassa la

l’acqua
alla
addetti e il
adali Gli der
ioni str e CaCl 2, per fon ghiaccio
imentaz NaCl glie nel
o per pav li miscele di di sale si scio scioglie
tighiacci , qua ntità dolo. Si di
Sali an impiegano sali a piccola qua e fonden
cazione vantaggio scia
viabilità sulle strade. Unatura di solidifi io e così via. Un o e quindi rila Musco
vite, una
ghiaccio one la temper de altro ghiacc mente negativ o ghiaccio. mica
abbassand o sale che fon un ΔH soluz
alta e di altr
te fusion
quindi
altr
fatt o che ha con conseguen
nel ,
CaCl 2 sta ndo si scioglie
calore qua

00PrPag.indd 26 17/05/19 12:18


Eserciziario A fine libro raggruppa 1900
esercizi e 1000 problemi con risposte
s­ celte.
812 Eserciziario

ica
chim SERCIZI? proprietà intensive, quali la densità e la temperatura, sono • La precisione (il grado di vicinanza reciproca dei valori

della
indipendenti dalla quantità di sostanza. misurati) e l’accuratezza (il grado di vicinanza dei valori
IE
io S T
stud
misurati al valore “vero”) sono due aspetti della certezza.
QUE 1.6 Incertezza n- di misura: cifre significative
ERE
• Gli errori sistematici danno origine a valori misurati
r lo PER RISOLV
li) co
atura l’ultima
• i nPoiché eno. cifra di una misura è stimata, tutte le

i pe
gg che sono tutti maggiori o tutti minori del valore “vero”.
om
me le n fen hanno ti e un limite alla loro certezza, che è espressa
hiav VE SAPERE
umisure Gli errori casuali danno origine a valori misurati alcuni
olta co avviene dal trolla di cifre significative.
connumero
e talv
c é enti dei quali sono maggiori e alcuni minori del valore
spress o perch perim
e
1 L SA SI DE se rv az ioni (e su come
Le os o a ipotes no verifica
i te in es • La certezza
zaotdei i, si pdiuò un risultato calcolato dipende dalla certez-
es dati e nquindi i.
“vero”.
il risultato ha tante cifre significative •
Le misure precise sono affette da errori casuali piccoli; le
un’ip servazio i
CO
• n
duco esi vengo sario. orano re quante le os fesono nomen quelle nella misura meno certa. misure accurate sono affette da errori sistematici piccoli e
corrob
CHE li ella
ot es
Le ip te se nec raccolti a) per sp •vision
iega Lee cifre di in oeccesso
on
dati vengono eliminate mediante arroton- spesso da errori casuali piccoli. L’entità degli errori casuali
nzia
d • ai
ss e e n ta li priet
à ri
corret tti i dati ello (teo nella pre o sedamento comp nel risultato finale. dipende dall’abilità del ricercatore e dalla precisione dello
e p ro
etti fond
am ne e le od
Se tu ire un m lo è utile erfezionat strumento di misura.
Conc
che • La scelta dello strumento di misura dipende dalla certez-
ioni composizio à fisi e • costru on mod e essere
el p
finiz priet h za richiesta. •
Un errore sistematico è causato spesso da uno strumen-
e de udiano la ioni. di pro à chimic a- u
Un b ati, ma dev ica esatti lore
n vahanno tante cifre significative quante sono
lcun usivo riet si tr • him I numeri
i di c stitrichieste da u
to difettoso e può essere compensato mediante la tara-
1.1 A chimici st loro variaz sieme escl e di prop e con, o ateria • co rrel n ti. le m uita dal calcolo.o tura.
prob ezza è co misura. à si usan n
ta
• I ateria e le za ha un in za stessa) interagiscni della m stan- contr
as
d e i
m
sostan sostan ando azio essa so ne and à di nti unit ne è u
Ogni uti della stanza quLe trasform a della st luzio di una gr priata unit Comprendere iffere conversio la stessa
Riso in a)d La
ione) 1.4 La misu e un’app misura tt
• b so : ra ro
(attri uti della sostanze). rente form ). i
ore d differenza deltra proprietà
dezze rechimiche
-
la “vec - e fisiche.
chimiche e proprietà fisiche e e) Le comuni unità di misura di lunghezza, volume, massa e
b fe /e gregaz e • erico una n fa traan
(attri in, altre siche (dif sostanza ti di ag tteristich num primere rsione. U enti di gr moltiplica conversio
variazioni temperatura e i loro prefissi numerici.
m a re fi n te /i (sta ca ra o la al Lee caratteristiche
sfor
so n
ci
o esse e (differe stati fisi me). Le specchian za. • Per es di conve ure equiv i b) si dev
n it à nella che definiscono i diversi stati di aggre- f) Le differenze tra massa e peso, calore e temperatura, pro-
i cu u
pos
o ch imich te in tre o (aerifor stati ri o la sostan di is
fattor to tra m ore per “nuovgazione a” della materia.libro
es to
prietà intensive ed estensive.
za) is ssos o ques ti n tt in qu o perpotenziale
ateria
es
e ga ituisco aumen una
to rappor ed è il fa tenere la c)a” uLa nità.natura todell’energia
la e dell’energia cinetica e g) Il significato di incertezza di misura, l’uso delle cifre signi-
La m liquido distinguon che cost a da un ot ov i usa pian
• a da specie nità per ” alla “nu i probl laem loro interconversione.
re un rificare se ili.
la ficative e le regole di arrotondamento.
o,
solid abili che ticelle eterminat vertit u ia
chia” la “vecch luzione de d) ) idea i, (3di
Il(1processo ) veapproccio mscientifico a un problema e le dif- h) Le differenze tra accuratezza e precisione e tra errore
le par d re in parti: emi si ipotesi, esperimento e modello.
osserv izione del ne fisica ente esse a soltan
to
ne dal odo di riso quattro no nferenze ei calc tra
ol osservazione,
n probl sistemativo e casuale.
os io alm rt it co
disp asformaz ò gener ra. re inve Il met di solito are il pia p ratica
tr se r- re -
implic one, (2) at nso e (4Saper fare
Una ra p u u • a tu ) fa n
eratu temp
erat uò es trasfo dezze nda-
fo
ica p te da nza ittfattori
temp uzione di ne chim iche. o causa risoluzi e abbia se ie
a) scUtilizzare e grandi à fo ze
conversione
it nei calcoli e sviluppare c) Effettuare la conversione tra scala Celsius e scala Kelvin
in io im e so n d a lla unasaapproccio se
ra (u
n
e de
dim asformaz azioni ch e on su ez la risoluzione dei problemi
opich agnat soluzi isusistematico andper delle temperature.
zion ità (SI) si (piano,
b di m erose gr e).
tr
Una e trasform i macrosc comp
no ac isura unità risoluzione, num à dverifi erivatca) pic- d) Determinare il numero di cifre significative e arrotondare
La m ema di U lle relab)tiveoCalcolare
• tr n e. i- n
da al formazio scopich ateria so a pos edotte ra nit conoscendo
as ro la su o 1.5 n d la (u
densità molto e massa e volume. al corretto numero di cifre significative.
Le tr ni submic i della m ov
st
uta al uta al su , • Il Si tali e su se vengo à di misu isurazioni) ponenzial
• n d e
mazio formazio gia. rpo è o è dov una massa i damen li). Da es tiveEquazioni unit ati di m
e relazioni e es ati sull
as er n co rp la lt azion bas essenziali
Le tr ioni di en ale di u i un co sollevare triche d menta e e le re isure (risu no la not prefissi
deriv primere m and1.1 e al volume (p. 20): 1.2 Conversione di una temperatura da gradi celsius a kelvin
• zi d et a. at Calcolo i
sa della ddensità in base alla I
variaz gia poten cinetica zzata per riche el sistem i si u na serie (mmassa
).
li ca e del uta alle etro o in
L’ener l’energia ergia uti parare enzial Per es molto gr tifica) e u è il m a so n
massa (p. 22): T (in K) = T (in °C) + 273,15

zione; ento. L’en olla o
se a pot anza è d sostanze •
ov o
cole ione scie
n nel SIdensità = −12 m).
ic 1.3 Conversione di una temperatura da kelvin a gradi celsius
nergi st ezza a atom volume
movim re una
m
en ta l’e di una so ticelle. Le a quelle (n otaz di 10. lla lungh sulla scal (1 pm=10 za, è il (p. 22): T (in °C) = T (in K) − 273,15
ga au m ic a p ar to ze ra de sa ti etro gh ez à
allun opposto ale chim delle sue ili rispet poten di misu metro u e il picom ità di lun o le unit
o zi
segn gia poten terazion meno st
i ab una à
L’unit ultipli deESERCIZI
l −9 m)
all’un tro (L) so
n
in o chim
ica,
stabi- •
=10 ata d E PROBLEMI li
L’ener ni e alle ergia son ca o sottom etro (1 nm me, deriv cubo e il mate-
• io a più tà di
posiz he di en ergia. e fisi una form a quantità nanom SI di vo1.1
lu ro
il met definizioni uanti i massa è
cc azion 3 Alcune ica. la qfondamentali Esercizi
più ri ere di en trasform asforma in o una ce ica, capa-
rt
L’ unità bo (m ); te in chim isura del unità SI d il campo
ov d et cu m verifite
più p rso una abile si tr ile quan ergia cin

m etro e p iù usa (Problema
o, una di st an
ca. L’
1.1, a p.
va ri a co5)n
1.2 Descrivete i solidi, i liquidi e i gas in termini di come
lum rp
ve st
Attra za meno za più st verte in
ab en
di vo sa di Domande un co corpriassuntive o, è co un corpo anza
e riempiono un recipiente. Usate le vostre descrizioni per

sostan una sost ziale si co
an n
La mas è 1.1 fa o ilscene
ttLe p esAo ediB rappresentano i u a sost ratte- della mate- identificare lo stato fisico (a temperatura ambiente) di quanto
ntrasformazioni
Il d ca
le o in gia poten voro. h im ica o proces- • a di cu ria
i
m o (kg)scala
su
.
si trova. la massa à fisiche
atomica:
c n . ri i
logram ale in cu porto tr e propriet
a segue:
er
di en compiere
la
i d ella ia crearo VII secolo il ki ca lo re (a) elio in un palloncino;
gin tecnolog a dal X arsa azio n il ra p le su tà di ette
ce di e ori o sc gravit sità (d) è è una del uanti
iche icina e la la chim attribuivan ntrando
ic m (b) mercurio in un termometro;
h im d en e ed d ella q che si tras tem-
rti c ia, la m ortanti per ntifiche ttiva, con e spiega- •
ed ce La m u ra a a (c) minestra in un piatto.
2 A su o volu n a mis è energi ta a uno
1. alchim o imp rescie e ogge o su ll il
he. A (T) è
u
calore più al 1.3 Definite una proprietà fisica e una proprietà chimica.
• L’ che son izioni p entazion za pratica ristic peratura corpo. Il peratura ica, le
si ad erien o alla m
La te uta da un rpo a te
m chim ius
Identificate ciascun tipo di proprietà nei seguenti enunciati:
te tr sperim guard ni • (K). In adi cels
Ques tanza alla e sull’esp ero ri degli an d
posse ) da un sa.
co kelvin ) o in gr ala.
(a) Il cloro, un gas giallo-verde, attacca il sodio, un metallo
impor l’attenzi
on pensi à o, è il argenteo, per formare cristalli bianchi di cloruro di sodio (sale
in ò il a, alla met l’ossigen e (flu is ce
iù b as at u ra lv in (K
d el la sc
vo lu -
invece istiche. ogisto dom anni, m ostrò che mbustion ura p mper in ke zero sa, il da tavola).
m 0 m perat BSI di te o misurate o nello uali la mas stanza; le
zioni ia del fl quasi 10 voisier la co tre que-
L’un(a) ità son riscon o, q di so (b) Un magnete separa una miscela di limatura di ferro nera e
or er La o per en ature al e diffe di un corp antità
La te stione p I secolo, necessari ustibile m •
temp
erQuale(i) sc rappresenta(no) una qutrasformazione fisica? di sabbia bianca.
• u
comb ta del XV dell’aria,
II è comb (b) Le due rappresenta(no)
Quale(i) te nsive ono dallauna trasformazione chimica? 1.4 Quale dei seguenti fenomeni è una trasformazione chi-
dello ,
za C ). es
Settan ponente una sost
an
m o (°
(c) priet a,
Quale(i)
ro
à
d ipendorigine a differenti proprietà fisiche?
dà(nno) mica? Spiegate il vostro ragionamento. (a) Bollitura della
di unda di passi • Le(d) eQuale(i)
p
m
un co mbina co
n
e l’e nergidà(danno) origine differenti proprietà chimiche?
n
ruzio enza rigi spiegare e m e minestra in una pentola. (b) Tostatura di una fetta di pane. (c)
e si co cia. cost (e) Quale(i) causa(no) un cambiamento di stato di aggre- Spaccatura della legna da ardere. (d) Bruciamento della legna
fico: è una sequprefigge d
ru i
sta b n ti
d o scie fico non o che si gazione? da ardere.
meto scienti inam
ic
1.3 Il metodo processo d reali.
• Il ensì è un fenomeni
b i
dere
preve

Sito web
Sul sito web all’indirizzo highered.mheducation.com/sites/8838695393, sono disponibili i seguenti materiali
didattici di supporto:

• Capitolo 15 dedicato ai composti organici e alle proprietà atomiche del carbonio


• Approfondimento sulle reazioni nucleari e loro applicazioni
• Approfondimenti richiamati nel testo dall’icona viola
• 250 Problemi aggiuntivi con soluzione e svolgimento

Nell’area docenti sono inoltre disponibili le slide in PowerPoint per la preparazione delle lezioni.

00PrPag.indd 27 17/05/19 12:18


00PrPag.indd 28 17/05/19 12:18
Le chiavi per lo studio della chimica 1
Il terzo millennio è cominciato e, come sempre, la scienza della chimica è in prima DA SAPERE PRIMA
linea nel cambiamento: creare nuove batterie elettriche e nuove celle (o pile) a • notazione esponenziale (scientifi-
combustibile per fornire energia alla società e sostenere l’ambiente; progettare far- ca) (Appendice A)
maci basati sulla nuova conoscenza della genetica umana per prevenire il flagello di
malattie vecchie e nuove; condurre ricerche sulle origini della vita durante l’esplo-
razione del nostro sistema solare e di sistemi solari vicini per trovare altrove segni
della vita. Per affrontare queste e innumerevoli altre sfide e opportunità si devono
comprendere i concetti che saranno presentati in questo corso.
Come probabilmente sapete già, la chimica ha un impatto sulla vita quotidiana e
l’entità di questo impatto può essere stupefacente. Considerate da un punto di vista
chimico le prime ore di un giorno tipico, forse di questo stesso giorno. Molecole si
allineano nel display a cristalli liquidi del vostro orologio, elettroni fluiscono lungo
i suoi circuiti per generare un suono capace di svegliarvi, e vi togliete di dosso un
isolante termico fatto di un polimero sintetico. Entrate sotto la doccia a emulsionare
sostanze grasse presenti sulla cute e sui capelli con acqua trattata chimicamente e
detergenti formulati. Vi adornate di un’ampia gamma di composti chimici trasfor-
mati: sostanze pigmentate di odore gradevole in sospensione in gel cosmetici, fibre
polimeriche tinte, calze sintetiche e gioielli fatti di leghe metalliche. Oggi la cola-
zione è costituita da una ciotola di cereali e latte arricchiti di nutrienti e sottoposti
a trattamenti che ne ritardano l’alterazione, un frutto coltivato con fertilizzanti e
trattato con pesticidi, e una tazza di soluzione acquosa calda di un alcaloide capace
di stimolare il sistema nervoso. Dopo esservi lavati i denti con agenti aromatizzati
artificialmente e capaci di aumentare la resistenza dei denti, in dispersione in un
abrasivo colloidale, siete pronti per uscire di casa, e quindi prendete alcuni libri —
fatti di cellulosa e plastica trasformate, stampati elettronicamente con inchiostri
resistenti alla luce e all’ossigeno, saltate sul vostro veicolo fatto di metallo, vinile e
ceramica, propulso da idrocarburi, accendete elettronicamente una serie sincroniz-
zata di esplosioni gassose controllate, e via a scuola!
L’influenza della chimica si estende anche all’ambiente naturale. L’aria, l’acqua,
le terre e gli organismi che vi vivono formano un sistema notevolmente complesso
di interazioni chimiche. Anche se i prodotti chimici moderni hanno migliorato la
qualità della nostra vita, la loro fabbricazione e utilizzazione creano pericoli cre-
scenti, quali rifiuti tossici, pioggia acida, riscaldamento globale (planetario) e deple-
zione (“buco”) dell’ozono. Se la nostra applicazione negligente dei principi chimici
ha causato alcuni di questi problemi, l’applicazione diligente di questi stessi princi-
pi potrà aiutare a risolverli.
L’importanza della chimica è forse più evidente quando si considera la natura
chimica della biologia. Gli eventi molecolari che avvengono in voi proprio in que-
sto momento permettono ai vostri occhi di esplorare questa pagina e alle vostre
cellule cerebrali di tradurre in pensieri i flussi di carica elettrica. In ultima analisi,
le domande biologiche più importanti hanno risposte chimiche. Come si è origina-

01txt.indd 1 15/05/19 14:52


2 Capitolo 1

ta e si è evoluta la vita? In che modo un organismo si riproduce, cresce e invecchia?


Qual è l’essenza della salute e della malattia?
Questo corso è accompagnato da un premio: lo sviluppo di due capacità menta-
li che potete applicare a ogni campo correlato con la scienza. La prima capacità, co-
mune in tutti i corsi di discipline scientifiche, vi addestra ad affrontare i problemi si-
stematicamente, specialmente nella pianificazione della risoluzione di un problema
e poi nella sua esecuzione. La seconda capacità è specifica della chimica, in quanto,
quando comprenderete i suoi concetti, gli occhi della vostra mente impareranno a
vedere un livello nascosto dell’Universo, pieno di particelle incredibilmente piccole
Figura 1.1 La distinzione fra
che viaggiano a velocità fantastiche e si urtano miliardi di volte al secondo mentre
trasformazione fisica e trasfor­ si separano e tornano a legarsi in differenti combinazioni. Sono queste particelle e
mazione chimica. le loro interazioni che danno origine a tutto ciò che accade dentro di voi e fuori di
A. Avviene una trasformazione voi.
fisica quando l’acqua allo stato
solido si converte in acqua allo QUESTO PRIMO CAPITOLO contiene le chiavi che vi aiuteranno a entrare in
stato liquido. Come mostrano gli questo nuovo mondo. Comincia presentando alcune definizioni e alcuni concet-
ingrandimenti, la composizione ti fondamentali e poi esamina le origini storiche della chimica e i metodi impie-
delle particelle non varia. B. gati dai chimici per comprendere la natura. Esamineremo i moderni sistemi di
Avviene una trasformazione chi- misurazione e calcolo e considereremo i procedimenti di risoluzione dei proble-
mica quando una corrente elet- mi di chimica. Infine, esamineremo uno dei molti esempi di collaborazione tra
trica passa attraverso l’acqua.
chimica e altre scienze a beneficio della società. Se, a questo punto, vi chiedete
Gli ingrandimenti mostrano che
se la chimica sia importante per voi, vi chiederete presto come una qualsiasi
avviene un cambiamento della
composizione quando l’acqua si persona istruita possa oggi fare a meno della chimica!
decompone in idrogeno e ossi-
geno (Foto: (A) © Paul Morrell/
Stone/Getty Images); (B) © 1.1 ALCUNE DEFINIZIONI FONDAMENTALI
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer). La scienza della chimica studia la costituzione dell’intero universo fisico. Un buon
punto da cui partire è la definizione di alcuni con-
cetti fondamentali, alcuni dei quali possono esser-
vi già familiari. La chimica è lo studio della materia
e delle sue proprietà, delle trasformazioni che subisce e
dell’energia associata a queste trasformazioni.
  La materia è la “sostanza” dell’universo: aria,
vetro, pianeti, studenti, ossia tutto ciò che ha una
massa e un volume. I chimici sono particolarmente
interessati alla composizione della materia, ai tipi
e alle quantità di sostanze più semplici che la costi-
tuiscono. Una sostanza è un tipo di materia che ha
una composizione definita e fissa.

Le proprietà della materia


Per conoscere la materia, osserviamo le sue pro-
prietà, le caratteristiche che conferiscono a ciascuna
sostanza la sua identità esclusiva. Per identificare
una persona, osserviamo proprietà quali l’altezza,
la massa (“peso”), il colore dei capelli e degli occhi,
le impronte digitali, il gruppo sanguigno e così via,
finché non arriviamo a un’identificazione esclusi-
va. Per identificare una sostanza, i chimici osser-
vano due tipi distinti di proprietà — le proprietà
fisiche e quelle chimiche — che sono in stretta
relazione con due tipi di trasformazioni che può
subire la materia. Le proprietà fisiche sono le
proprietà che una sostanza presenta di per sé, senza
trasformarsi in, o interagire con, un’altra sostanza.
Alcune proprietà fisiche sono il colore, la tempe-
ratura (punto) di fusione, la conduttività elettrica

01txt.indd 2 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 3

e la densità. Ne consegue che una sostanza subisce una trasformazione fisica


quando modifica la sua forma fisica, non la sua composizione. Una trasformazione
fisica dà origine a differenti proprietà fisiche. Per esempio, quando il ghiaccio fonde
(liquefa), cambiano parecchie proprietà fisiche, quali la durezza, la densità e la fluidi-
tà. Ma il campione di ghiaccio non ha cambiato la sua composizione: è ancora acqua.
La fotografia nella Figura 1.1A mostra come questa trasformazione si presenta nella
vita quotidiana. Con gli occhi della mente potete vedere un’immagine ingrandita
delle particelle nei cerchi. Si noti che nell’acqua allo stato solido e in quella allo
stato liquido compaiono le stesse particelle:
trasformazione fisica (stessa sostanza prima e dopo):
acqua (stato solido) acqua (stato liquido)
D’altra parte, le proprietà chimiche di una sostanza sono le proprietà che essa pre-
senta quando si trasforma in, o interagisce con, un’altra sostanza (o altre sostanze). Sono
esempi di proprietà chimiche l’infiammabilità, la corrosività e la reattività con gli acidi.
Avviene una trasformazione chimica, detta anche reazione chimica, quando una
sostanza (o più sostanze) si trasforma (trasformano) in una differente sostanza (o in differenti
sostanze). La Figura 1.1B mostra la trasformazione (reazione) chimica che avviene quan-
do si fa passare corrente elettrica attraverso l’acqua: l’acqua si decompone in altre due
sostanze, l’idrogeno e l’ossigeno, ciascuna delle quali ha proprietà fisiche e chimiche
diverse da quelle dell’altra e da quelle dell’acqua. Il campione ha cambiato la sua com-
posizione e non è più acqua, come si può vedere dalle particelle negli ingrandimenti:
trasformazione chimica (differenti sostanze prima e dopo):
corrente elettrica
acqua ⎯ ⎯⎯⎯⎯⎯ → idrogeno gassoso + ossigeno gassoso
Una sostanza è identificata dal proprio insieme di proprietà fisiche e chimiche. Alcune
proprietà del rame sono indicate nella Tabella 1.1. Quando si osserva una sostanza
che ha questo insieme di proprietà, la si identifica come rame.
I tre stati di aggregazione della materia
TRE STATI
La materia si presenta comunemente in tre forme fisiche dette stati di aggregazio- DI AGGREGAZIONE
ne (o semplicemente stati): solido, liquido e gassoso (o aeriforme). Com’è illustrato DELLA MATERIA

Tabella 1.1 Alcune proprietà caratteristiche del rame


Proprietà fisiche Proprietà chimiche
Colore bruno rossastro, lucentezza metallica Forma lentamente
Facilmente un carbonato
trasformabile blu-verde in
in lamine aria umida
(malleabile) e
in fili (duttile)

Buon conduttore del calore e dell’elettricità Reagisce con l’acido


nitrico e con l’acido
Può essere
solforico
miscelato con
zinco per
formare
l’ottone
Forma lentamente
una soluzione
di colore blu
Densità = 8,95 g/cm3
intenso in
Temperatura di fusione = 1083 °C
ammoniaca acquosa
Temperatura di ebollizione = 2570 °C

Foto: (in alto a sinistra) © McGraw-Hill Education/Mark Dierker, photographer; (in basso
a sinistra) © Ruth Melnick; (immagini a destra) © McGraw-Hill Education/ Stephen Frisch,
photographer.

01txt.indd 3 15/05/19 14:52


4 Capitolo 1

Figura 1.2 Gli stati fisici della materia. Gli ingrandimenti


degli stati di aggregazione della materia mostrano la dispo-
sizione su scala atomica delle particelle: ravvicinate e alta-
mente organizzate nel solido, ravvicinate ma disorganizzate
nel liquido, lontane l’una dall’altra e disorganizzate nel gas.

nella Figura 1.2 nel caso di una sostanza generica, cia-


scuno stato è identificato dal modo in cui riempie un
recipiente. Un solido ha una forma fissa che non si adat-
ta alla forma del recipiente. I solidi non sono definiti dalla
rigidità o dalla durezza: il ferro allo stato solido è rigido,
mentre il piombo allo stato solido è flessibile e la cera
solida è tenera. Un liquido si adatta alla forma del reci-
piente, ma ne riempie un volume pari al suo stesso volume;
perciò, un liquido forma una superficie. Un gas (o aeri-
forme) si adatta anch’esso alla forma del recipiente, ma lo
riempie completamente; perciò, un gas non forma una su-
perficie. Osservate ora gli ingrandimenti nella figura. Le
particelle nel solido sono affiancate l’una all’altra in una
di­sposizione tridimensionale regolare con una forma
definita. Anche le particelle nel liquido sono raggruppate, ma si muovono in modo
casuale l’una accanto all’altra. Le particelle nel gas hanno di solito grandi distanze
reciproche mentre si muovono in modo casuale in tutto il recipiente.
A seconda della temperatura e della pressione dell’ambiente circostante, molte
sostanze possono esistere in ciascuno dei tre stati fisici e subire anche cambiamenti
di stato. Quando la temperatura aumenta e raggiunge un particolare valore, l’acqua
• L’incredibile gamma di tra­ allo stato solido fonde (o liquefa) trasformandosi in acqua allo stato liquido, la quale,
quando la temperatura aumenta ulteriormente e raggiunge un altro particolare valo-
sformazioni fisiche Gli scienzia-
ti stu­diano spesso le trasformazioni re, entra in ebollizione e si trasforma in acqua allo stato gassoso (detta vapore acqueo).
fi­
siche in situazioni notevoli, usan- Analogamente, quando la temperatura diminuisce, il vapore acqueo condensa trasfor-
do strumenti che permettono di
compiere osservazioni assai oltre i
mandosi in acqua allo stato liquido e, quando la temperatura diminuisce ulteriormen-
confini del laboratorio. Gli strumenti te, l’acqua allo stato liquido si solidifica (congela) trasformandosi in ghiaccio. Molte
a bordo delle sonde spaziali Voyager altre sostanze si comportano nello stesso modo. Per esempio, quando la temperatura
e Galileo e il telescopio spaziale aumenta fino a raggiungere un particolare valore, il ferro allo stato solido liquefa
Hubble hanno misurato su Io, una
delle lune di Giove, mostrata in que-
(fonde) trasformandosi in ferro allo stato liquido (fuso) e poi, quando la temperatura
sta fotografia, temperature che sono aumenta fino a raggiungere un altro particolare valore, entra in ebollizione trasfor-
alte a sufficienza per mantenere laghi mandosi in ferro allo stato gassoso. Quando la temperatura diminuisce, il ferro allo
di zolfo fuso e basse a sufficienza stato gassoso si trasforma in ferro allo stato liquido e poi in ferro allo stato solido.
per creare vasti “nevai” di diossido
di zolfo e calotte polari coperte di
Da questi esempi si può vedere che i cambiamenti di stato sono trasformazioni
“ghiaccio” di solfuro di idrogeno. fisiche, non chimiche. Infatti, una trasformazione fisica causata da un aumento della
(Sulla Terra, il diossido di zolfo è uno temperatura può essere generalmente invertita da una diminuzione della tempera-
dei gas rilasciati dai vulcani e dalle tura, e viceversa. Ciò non è generalmente vero per una trasformazione chimica. Per
centrali termoelettriche a carbone
fossile, mentre il solfuro di idrogeno
esempio, se si riscalda il ferro in aria umida, si produce una reazione chimica che dà
è presente nel gas di palude). una sostanza rossastra, friabile, detta ruggine. Il raffreddamento non inverte questa
trasformazione; per invertirla occorre invece un’altra trasformazione chimica (o una
serie di trasformazioni chimiche).
Possiamo così riassumere le distinzioni essenziali tra trasformazione fisica e
chimica.
• Una trasformazione fisica dà origine a una differente forma della stessa sostanza
(stessa composizione), mentre una trasformazione chimica dà origine a una
differente sostanza (differente composizione).
• Una trasformazione fisica causata da una variazione di temperatura può essere
generalmente invertita con la variazione opposta di temperatura, ma ciò non è
generalmente vero nel caso di una trasformazione chimica.
Il seguente problema di verifica presenta alcuni esempi che distinguono tra questi
Foto: JPL-NASA. tipi di trasformazioni.

01txt.indd 4 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 5

Distinzione fra trasformazione fisica e trasformazione chimica


PROBLEMA DI VERIFICA 1.1
Problema Decidete se ciascuno dei seguenti processi è principalmente una trasformazione
fisica o una trasformazione chimica e spiegate brevemente la scelta.
(a) La brina si forma quando la temperatura diminuisce in una fredda notte invernale.
(b) Una pannocchia di mais cresce da un seme annaffiato e fertilizzato.
(c) La dinamite esplode per formare una miscela di gas.
(d) Il sudore evapora quando ci si rilassa dopo una corsa.
(e) Una forchetta d’argento si annerisce lentamente se esposta all’aria.
Piano La domanda fondamentale che ci si deve porre per decidere se una trasformazione
sia chimica oppure fisica è la seguente: “La sostanza cambia composizione oppure cambia
semplicemente forma?”.
Risoluzione (a) La formazione della brina è una trasformazione fisica: la variazione di
temperatura trasforma il vapore acqueo (acqua allo stato gassoso) presente nell’aria umida
in cristalli di ghiaccio (acqua allo stato solido).
(b) La crescita di un seme è una trasformazione chimica : il seme sfrutta l’aria, il fertilizzan-
te, il suolo e l’acqua utilizzano l’energia della luce solare per subire cambiamenti complessi
della sua composizione.
(c) L’esplosione della dinamite è una trasformazione chimica: la dinamite si converte in
altre sostanze.
(d) L’evaporazione del sudore è una trasformazione fisica: l’acqua presente nel sudore cam-
bia stato, passando dallo stato liquido allo stato gassoso, ma non cambia la sua composizione.
(e) L’annerimento dell’argento è una trasformazione chimica: l’argento si trasforma in solfu-
ro di argento reagendo con sostanze solforate (contenenti zolfo) presenti nell’aria.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.1 Decidete se ciascuno dei seguenti


processi è principalmente una trasformazione fisica oppure una trasformazione chimica e
spiegate brevemente la scelta.
(a) Compare vapore di iodio blu quando si riscalda lo iodio solido.
(b) I vapori di benzina sono accesi da una scintilla in un cilindro di un motore di automobile.
(c) Si forma una crosta su un taglio cutaneo aperto.

Il tema centrale della chimica


Capire le proprietà di una sostanza e le trasformazioni che subisce conduce al tema
centrale della chimica: le proprietà e il comportamento macroscopici, osservabili, sono
le conseguenze delle proprietà e del comportamento microscopici (livello atomico),
non osservabili. La distinzione fra trasformazione chimica e trasformazione fisica è
definita dalla composizione, studiata macroscopicamente, ma, in definitiva, dipen-
de dalla composizione a livello atomico, com’è illustrato negli ingrandimenti nella
Figura 1.1. Analogamente, le proprietà che definiscono i tre stati di aggregazione
della materia sono macroscopiche, ma derivano dal comportamento a livello atomico
illustrato negli ingrandimenti nella Figura 1.2. In tutto il libro ritorneremo a questo
concetto fondamentale: studiamo le trasformazioni osservabili della materia per com-
prenderne le cause non osservabili. Cosa accade in realtà quando l’acqua bolle? Perché
il ferro e il rame fondono a differenti temperature? Quali sono gli eventi che accado-
no nel mondo invisibile delle piccolissime particelle che causano l’esplosione della
dinamite, l’emissione di luce da una lampada al neon o fanno arrugginire un chiodo?

L’importanza dell’energia nello studio della materia


Le trasformazioni fisiche e chimiche sono accompagnate generalmente da variazio-
ni di energia. L’energia è definita spesso come la capacità di compiere lavoro. Essen-
zialmente, ogni forma di lavoro implica il movimento di qualcosa. Viene compiuto
lavoro quando il nostro braccio solleva un libro, quando il motore di un’automobile
ne fa girare le ruote, o quando un sasso che cade fa muovere il suolo dove atterra.
Il corpo che compie lavoro (il braccio, il motore, il sasso) trasferisce una parte della
sua energia al corpo su cui compie lavoro (il libro, le ruote, il suolo).

01txt.indd 5 15/05/19 14:52


6 Capitolo 1

L’energia totale posseduta da un corpo è la somma della sua energia potenziale e della sua
energia cinetica. L’energia potenziale è l’energia che un corpo possiede in virtù della
sua posizione. L’energia cinetica (o energia di movimento) è l’energia che un
corpo possiede in virtù del suo movimento (o moto). Esaminiamo quattro sistemi che
illustrano la relazione fra queste due forme di energia: (1) una massa sollevata a una
certa quota sopra il suolo; (2) due masse collegate da una molla; (3) due particelle
elettricamente cariche; (4) un combustibile e i suoi prodotti di rifiuto. Un concetto
essenziale illustrato da tutti e quattro i casi è che l’energia si conserva: può essere
convertita da una forma in un’altra, ma non può essere distrutta.
Guardiamo la Figura 1.3A e consideriamo una massa sollevata a una certa quota
sopra il suolo. L’energia impiegata per spostare la massa contro l’attrazione gravitazio-
nale della Terra fa aumentare la sua energia potenziale (l’energia dovuta alla sua posi-
zione). Quando la massa è lasciata cadere, questa variazione di energia potenziale si
converte in energia cinetica (energia dovuta al moto). Una parte di questa energia
cinetica si trasferisce al suolo quando la massa compie lavoro, per esempio conficca
nel suolo un paletto o semplicemente pone in movimento terra e sassi. Come si può
vedere, la variazione di energia potenziale non viene distrutta: viene convertita in
energia cinetica.
In natura, le situazioni a energia più bassa sono generalmente favorite rispetto a
quelle a energia più alta: la massa, avendo meno energia potenziale (e quindi meno
energia totale) quando è ferma (a riposo) sul suolo rispetto a quando è a una certa
quota sopra il suolo, cade quando è abbandonata a se stessa. La situazione in cui la
massa è a una quota più elevata e quindi ha una maggiore energia potenziale è meno

Figura 1.3 L’energia potenziale si converte in energia cinetica. In tutte e quattro le parti della figura, le rette orizzontali trat-
teggiate indicano l’energia potenziale del sistema in ciascuna situazione.

01txt.indd 6 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 7

stabile, mentre la situazione dopo che la massa è caduta al suolo e ha una minore
energia potenziale è più stabile.
Per avvicinare questo concetto alla chimica, consideriamo il sistema composto
dalle due masse collegate da una molla nella Figura 1.3B. Quando si allontano le
masse l’una dall’altra, l’energia che si applica per allungare la molla aumenta l’energia
potenziale del sistema costituito dalle masse e dalla molla. Questa variazione di ener-
gia potenziale si converte in energia cinetica quando si abbandonano le masse a se
stesse ed esse si muovono l’una verso l’altra. Nella posizione in cui la molla è allunga-
ta, il sistema è meno stabile (ha più energia potenziale) rispetto a quando la molla è
rilassata. Si può anche aumentare l’energia potenziale del sistema spingendo le mas-
se l’una verso l’altra e comprimendo (accorciando) la molla. Le masse si allontanano
l’una dall’altra quando sono abbandonate a se stesse, riconvertendo la variazione di
energia potenziale in energia cinetica. Analogamente, quando si carica un orologio
meccanico, l’energia potenziale immagazzinata nella molla di carica aumenta via via
che la molla viene compressa. Via via che la molla si rilassa (si srotola), la sua energia
potenziale si converte lentamente nell’energia cinetica degli ingranaggi e delle lan-
cette che si muovono.
In una sostanza chimica non ci sono molle, ma la seguente situazione è simile in
termini di energia. Gran parte della materia esistente nell’universo è costituita da parti-
celle cariche positivamente e da particelle cariche negativamente. Un comportamento
ben noto delle particelle cariche (simile, sotto questo aspetto, al comportamento dei
poli magnetici) deriva da interazioni note come forze elettrostatiche: cariche di segno
opposto si attraggono e cariche dello stesso segno si respingono. Quando si compie lavoro
per separare una particella positiva da una particella negativa (come quando si allunga
la molla che collega due masse), l’energia potenziale del sistema delle due particelle
aumenta. Come è mostrato nella Figura 1.3C, la variazione di energia potenziale si con-
verte in energia cinetica quando le particelle si avvicinano l’una all’altra. Inoltre, quan-
do due particelle positive (o negative) sono spinte l’una verso l’altra (come quando si
comprime la molla che collega le due masse), l’energia potenziale del sistema delle due
particelle aumenta e, lasciandole libere, esse si allontanano l’una dall’altra, convertendo
la variazione di energia potenziale in energia cinetica. Come nel caso della massa che
è stata posta a una certa quota sopra il suolo e delle due masse collegate da una molla
che è stata allungata o accorciata, le particelle cariche tendono a muoversi verso una
posizione di energia più bassa e quindi di maggiore stabilità.
L’energia potenziale chimica di una sostanza è dovuta alle posizioni relative di tutte le
sue particelle e alle attrazioni e repulsioni che si esercitano tra di esse. Alcune sostanze sono
più ricche di altre di questa energia potenziale chimica. I combustibili e gli alimenti,
per esempio, contengono più energia potenziale rispetto ai prodotti di rifiuto che
formano. La Figura 1.3D mostra che, quando la benzina brucia nel motore di un’au-
tomobile, sostanze con energia potenziale chimica più alta (benzina e aria) formano
sostanze con energia potenziale più bassa (gas di scarico). Questa variazione di energia
potenziale si converte in energia cinetica utilizzata per fare muovere l’automobile,
riscaldare l’abitacolo, accendere le luci del veicolo e così via. Analogamente, la dif-
ferenza di energia potenziale tra il cibo e l’aria che inspiriamo e i prodotti di rifiuto
che eliminiamo è utilizzata per il movimento, la crescita, il riscaldamento corporeo, lo
studio della chimica e così via. Si noti di nuovo il punto essenziale: l’energia non viene
creata né distrutta ma si conserva sempre quando si converte da una forma a un’altra.

1.2 ARTI CHIMICHE E ORIGINI DELLA CHIMICA


MODERNA
La chimica ha una storia ricca e pittoresca. Anche alcuni concetti e alcune scoperte
che indussero temporaneamente a seguire un cammino fuorviante contribuirono
a formare il patrimonio della chimica. Questo breve excursus dei primi progressi e
delle false direzioni permette di farsi un’idea approfondita di come nacque la chi-
mica moderna e di come progredisce la scienza.

01txt.indd 7 15/05/19 14:52


8 Capitolo 1

Tradizioni prechimiche
La chimica ha le sue origini in un passato prescientifico che comprendeva tre tradi-
zioni parzialmente sovrapposte: alchimia, medicina e tecnologia.

La tradizione alchemica Lo studio occulto della natura condotto nel I secolo


d.C. dai Greci che vivevano nell’Egitto settentrionale fu in seguito denominato da-
gli Arabi alchimia [dall’arabo al-kimya “(arte della) pietra filosofale”]. La sua pratica
si diffuse attraverso il vicino Oriente e di qui in Europa, dove dominò il pensiero
occidentale sulla materia per più di 1500 anni! Gli alchimisti erano influenzati dal
concetto greco secondo cui la materia ha una tendenza naturale verso la perfezione e
cercarono procedimenti per trasformare sostanze di minore valore in altre di maggio-
re valore. Ciò che all’inizio era stata una ricerca delle proprietà spirituali della materia
si evolse nel corso di 1000 anni in un’ossessione per gli elisir dell’eterna giovinezza
e per reagenti capaci di trasmutare i metalli “vili”, come il piombo, in metalli “puri”,
come l’oro. La cupidigia indusse alcuni alchimisti europei ad applicare su oggetti di
piombo un sottile rivestimento d’oro per trarre in inganno i ricchi protettori.
L’eredità lasciata dall’alchimia alla chimica può essere considerata, nel migliore
dei casi, mista. Fu molto difficile eliminare la confusione derivante dall’uso, da par-
te degli alchimisti, di differenti nomi per designare la stessa sostanza e dalla loro
credenza che la materia potesse essere trasmutata con procedimenti magici. Cio-
nonostante, nel corso di secoli di indagini di laboratorio, gli alchimisti inventarono
i metodi chimici di distillazione, filtrazione ed estrazione e idearono apparecchi
che oggi i chimici usano di routine. Ciò che più importa, gli alchimisti promossero
la diffusa accettazione dell’osservazione e della sperimentazione, che sostituirono
l’approccio greco allo studio della natura basato unicamente sulla ragione.

La tradizione medica Gli alchimisti ebbero una notevole influenza sulla pratica me-
dica nell’Europa medievale. A partire dal XIII secolo, distillati di radici, erbe e altre so-
stanze vegetali sono stati usati come fonti di medicinali. Il naturalista e medico svizzero
Paracelso (1494-1541) fu un alchimista attivo e un importante medico del suo tempo.
I suoi trattati sono di difficile comprensione ma, a quanto pare, egli considerò il corpo
umano come un sistema chimico il cui bilancio di sostanze poteva essere ripristinato
mediante il trattamento medico. I suoi seguaci introdussero farmaci minerali nella far-
macopea del XVII secolo. Anche se molti di questi farmaci erano inutili e alcuni erano
persino dannosi, i medici successivi impiegarono con crescente successo altri farmaci
minerali. Iniziarono così quell’alleanza tra medicina e chimica che oggi è rigogliosa.

La tradizione tecnologica Da migliaia di anni l’umanità ha sviluppato capacità


tecnologiche di eseguire trasformazioni della materia. La ceramica, la tintura e,
specialmente, la metallurgia (iniziata circa 7000 anni fa) diedero grandi contributi
alla sperimentazione delle proprietà delle sostanze. Queste tecnologie fiorirono nel
medioevo e nel rinascimento. Furono pubblicati e aggiornati regolarmente libri che
descrivevano come purificare, saggiare e coniare l’argento e l’oro e come impiegare
bilance, forni e crogioli. Altri libri esaminavano la preparazione del vetro, delle ce-
ramiche, dei coloranti e della polvere da sparo. Alcuni di questi libri introdussero
persino misurazioni quantitative, assenti nella letteratura alchemica.
Molte creazioni di questi primi artigiani sono ancora insuperate. Tuttavia, anche
se la loro conoscenza pratica delle sostanze era elevata, il loro approccio alla compren-
sione della materia era diverso da quello attuale: le nuove tecniche venivano scoperte
e sviluppate per tentativi (per “prova ed errore”) e i testi scritti mostravano scarso
interesse per l’indagine sul perché una sostanza si trasforma o su come prevedere il com-
portamento della materia.

L’insuccesso della teoria del flogisto e l’influenza di Lavoisier


L’indagine chimica nel senso moderno — lo studio delle cause delle trasformazioni
della materia — cominciò alla fine del XVII secolo. Ma le influenze alchemiche persi-

01txt.indd 8 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 9

stevano e la comprensione era ostacolata da una teoria sbagliata della combustio-


ne, il processo in cui si brucia una sostanza. Anche se il fuoco era utilizzato fin dalla
preistoria, nessuno era in grado di spiegare in modo soddisfacente perché alcune
sostanze bruciano e altre no, o cosa accade realmente quando una sostanza brucia.
Lo scienziato inglese Robert Hooke (1635-1703) ipotizzò che, nella combustio-
ne, le sostanze che vi partecipavano si combinassero con l’aria, ma la maggior parte
degli scienziati rifiutò questa ipotesi per abbracciare la teoria del flogisto che
esercitò il suo dominio nei 100 anni seguenti. Secondo questa teoria, le sostanze
combustibili contengono flogisto (dal greco ϕλογιστο´ς, “arso”), una sostanza impon-
derabile che si libera quando la sostanza combustibile brucia. Una sostanza altamen-
te combustibile, come il carbone di legna, contiene grandi quantità di flogisto, che
si libera quando il carbone brucia e forma cenere di carbone (carbone senza flogisto):
carbone di legna cenere di carbone + flogisto (grande quantità)
Le sostanze debolmente combustibili, quali i metalli, contengono piccole quantità
di flogisto. Quando un metallo brucia nell’aria, forma la sua calce (erano chiamati
calci gli ossidi metallici formati per riscaldamento all’aria di un metallo, ed era chia-
mato calcinazione il processo di riscaldamento per formare le calci), che è il metallo
senza il flogisto:
metallo calce metallica + flogisto (piccola quantità)
Consideriamo come la teoria del flogisto è stata usata per spiegare la fusione metal-
lurgica, un processo industriale che converte una calce metallica nel relativo metallo
mediante riscaldamento della calce con carbone di legna: quando il carbone ricco di
flogisto brucia, trasferisce flogisto alla calce povera di flogisto, e questo trasferimento
di flogisto converte il carbone in cenere di carbone e la calce in metallo puro:
flogisto

calce metallica + carbone metallo + cenere di carbone

Questi schemi sembravano logici, ma trascuravano alcune osservazioni essenziali.


Perché, si chiesero i critici della teoria del flogisto, è necessaria l’aria per la combu-
stione e perché il carbone di legna brucia soltanto per un breve intervallo di tem-
po in un recipiente chiuso? I sostenitori della teoria del flogisto rispondevano che
l’aria è necessaria per “estrarre” il flogisto dal carbone e che la combustione in un
recipiente chiuso cessa quando l’aria è “satura” di flogisto. Poiché la massa di una
calce è maggiore di quella del metallo da cui essa si forma, i critici si chiesero come
la perdita di flogisto che avviene durante la combustione di un metallo potesse de-
terminare un guadagno di massa. I sostenitori della teoria del flogisto trascuravano
l’importanza della pesatura (determinazione della massa) oppure prospettavano la
possibilità che il flogisto avesse una massa negativa! Queste risposte oggi sembrano
alquanto assurde, ma pongono in rilievo che il perseguimento della scienza, come
qualsiasi altro sforzo umano, è soggetto ai difetti umani; ancora oggi, è più facile
scartare i dati conflittuali che rinunciare a un’idea consolidata.
In questo caos di spiegazioni entrò il giovane chimico francese Antoine Laurent UN PENSATORE
SCIENTIFICO
Lavoisier (1743-1794), che mostrò la vera natura della combustione. In una serie STRAORDINARIO
di accurate misurazioni che posero in rilievo l’importanza della massa, Lavoisier
riscaldò la calce di mercurio (ossido mercurico), decomponendola in mercurio e in
un gas. La massa totale dei prodotti era uguale alla massa di partenza della calce. Il
processo inverso — il riscaldamento del mercurio in presenza del gas — riformava la
calce di mercurio e, di nuovo, la massa totale restava costante. Lavoisier ipotizzò che,
quando un metallo forma la sua calce, esso non perda flogisto bensì si combini con
questo gas, che deve essere un componente dell’aria.
Per verificare la sua ipotesi, Lavoisier riscaldò una certa massa di mercurio in
un volume misurato di aria finché cessarono di prodursi ulteriori trasformazioni. Si
formava calce di mercurio e restavano 4/5 del volume di aria, confermando che il
gas era un componente dell’aria. Una candela accesa introdotta nel volume di aria

01txt.indd 9 15/05/19 14:52


10 Capitolo 1

restante si spegneva rapidamente, mostrando che il gas che si era combinato con
il mercurio era necessario per la combustione. Lavoisier denominò ossigeno questo
gas e ossidi metallici le calci metalliche.
La nuova teoria della combustione metteva ordine nella precedente confu-
sione. Una sostanza combustibile come il carbone di legna cessa di bruciare in un
recipiente chiuso dopo che si è combinata con tutto l’ossigeno disponibile. Un
ossido metallico ha una massa maggiore di quella del metallo perché contiene la
massa aggiunta di ossigeno. La vera natura della fusione metallurgica è che, quando
si riscaldano insieme carbone di legna e un ossido metallico, il carbonio presente
nel carbone si combina con l’ossigeno presente nell’ossido metallico per produrre
metallo, cenere di carbone e diossido di carbonio (anidride carbonica) gassoso:
ossigeno

calce metallica (ossido metallico) + carbone (carbonio)


metallo + cenere di carbone + diossido di carbonio
La teoria della combustione di Lavoisier trionfò perché spiegava le osservazioni più
chiaramente e coerentemente rispetto a qualsiasi altra teoria. Ciò che più impor-
UN GRANDE CHIMICO, ta, la nuova teoria si basava su misurazioni quantitative, riproducibili, non su strane
BENCHÉ SOSTENITORE proprietà non osservabili. Poiché questo metodo è al centro della scienza, secondo
DELLA TEORIA DEL
FLOGISTO molti la scienza della chimica ebbe inizio con Lavoisier.

1.3 IL METODO SCIENTIFICO: COSTRUZIONE


DI UN MODELLO
I principi della chimica sono stati modificati nel corso del tempo e si stanno an-
cora evolvendo. Si immagini quanto differente fosse il modo che gli esseri umani
utilizzavano per conoscere il mondo materiale decine di migliaia di anni fa. All’alba
dell’esperienza umana, i nostri progenitori sopravvivevano attraverso conoscenze
acquisite per tentativi: quali tipi di pietre erano così dure da poter essere usate per
modellare altre pietre, quali tipi di legno erano rigidi e quali erano flessibili, quali
pelli potevano essere sottoposte a trattamento per ricavarne capi di abbigliamento,
quali piante erano commestibili e quali velenose. Oggi, la scienza della chimica, con
le sue potenti teorie quantitative, ci aiuta a comprendere la natura essenziale delle
sostanze e dei materiali per farne miglior uso e crearne di nuovi: acciai speciali,
materiali compositi avanzati, polimeri sintetici e innumerevoli altri nuovi materiali.
C’è qualcosa di speciale nel modo in cui gli scienziati pensano? Se potessimo
scomporre i processi di pensiero di uno scienziato moderno “tipico”, potremmo orga-
nizzarli in un approccio allo studio dei fenomeni naturali detto metodo scientifico.
Questo approccio non è una sequenza rigida di passi, bensì un processo flessibile di
pensiero creativo e verifica mirante a scoperte oggettive, verificabili, sul funzionamen-
to della natura. È molto importante rendersi conto che non esistono uno scienziato
tipico e un unico metodo e che la fortuna può avere, e spesso ha avuto, un ruolo
nella scoperta scientifica. In termini generali, il metodo scientifico si compone delle
seguenti parti (vedi Figura 1.4).
1. Osservazioni. Le osservazioni sono fatti che il pensiero scientifico deve spiegare.
L’osservazione è fondamentale per il pensiero scientifico. Le osservazioni più utili
sono quelle quantitative perché possono essere confrontate tra loro e permettono
d’identificare tendenze. Le singole informazioni quantitative sono dette dati.
Quando la stessa osservazione è fatta da molti ricercatori in molte situazioni senza
chiare eccezioni, viene riassunta, spesso in termini matematici, e detta legge
naturale. L’osservazione che la massa resta invariata durante le trasformazioni
chimiche — fatta da Lavoisier e successivamente da molti altri sperimentatori — è
nota come legge di conservazione della massa; la esamineremo nel Capitolo 2.
2. Ipotesi. Un’ipotesi, sia essa dedotta da osservazioni effettive o scaturisca da un
“lampo d’intuizione” (la “lampadina” che si accende all’improvviso nel cervel-

01txt.indd 10 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 11

Figura 1.4 Il metodo scien­


lo), è una congettura o una proposizione enunciata per spiegare una categoria tifico per comprendere la
di osservazioni. Un’ipotesi valida non deve essere necessariamente corretta, natura. È importante notare che
ma deve essere verificabile. Perciò, un’ipotesi è spesso il motivo per eseguire le ipotesi e i modelli sono imma-
un esperimento. Se l’ipotesi è incompatibile con i risultati sperimentali, deve gini mentali che vengono modi-
essere riveduta o rifiutata. ficate in modo che si adattino
alle osservazioni e ai risultati
3. Esperimento. Un esperimento è una serie chiara di procedimenti per verifica- sperimentali, non viceversa.
re un’ipotesi. La sperimentazione è la connessione tra le ipotesi sulla natura e
la natura stessa. Un’ipotesi conduce spesso a un esperimento, che conduce a
un’ipotesi riveduta e così via. Le ipotesi possono essere modificate, i risultati di
un esperimento no. Un esperimento contiene almeno due variabili, grandezze
che possono assumere più di un valore. Un esperimento ben progettato è con-
trollato, in quanto misura l’effetto di una variabile su un’altra mentre tutte le
altre variabili sono mantenute costanti. I risultati sperimentali, per poter essere
accettati, devono essere riproducibili, non soltanto dalla persona che ha progettato
l’esperimento, ma anche dagli altri sperimentatori. Nella progettazione di un espe-
rimento importante intervengono sia l’abilità sia la creatività degli sperimentatori.
4. Modello. La formulazione di modelli concettuali, o teorie, basati su esperimen-
ti, è ciò che distingue il pensiero scientifico dalla congettura o supposizione.
Via via che si rivedono le ipotesi per adeguarle ai risultati sperimentali, emerge
gradualmente un modello che descrive come avviene il fenomeno osservato.
Un modello non è una rappresentazione esatta della natura, bensì ne è una
versione semplificata che può essere utilizzata per formulare previsioni su feno-
meni correlati. Ulteriori indagini perfezionano un modello verificando le sue
previsioni e modificandolo per spiegare nuovi fatti.

Il metodo scientifico è illustrato dalla confutazione della teoria del flogisto da parte
di Lavoisier. Le osservazioni della combustione e della fusione metallurgica avevano
indotto a ipotizzare che la combustione implicasse la perdita di flogisto. Esperimen-
ti condotti da altri che avevano mostrato che è necessaria l’aria per la combustione
e che la massa di un metallo aumenta durante la combustione indussero Lavoisier a
formulare una nuova ipotesi, che egli verificò ripetutamente con esperimenti quan-
titativi. I dati che si andavano accumulando corroboravano il suo modello (teoria) in
via di sviluppo secondo cui la combustione implica la combinazione con un com-
ponente dell’aria (l’ossigeno). Innumerevoli previsioni basate su queste teorie ne
hanno corroborato la validità. Una teoria valida resta utile anche quando compaiono
eccezioni di secondaria importanza. Una teoria non valida, come la teoria del flogi-
sto, finisce per crollare sotto il peso di dati contrari e di perfezionamenti assurdi.

1.4 RISOLUZIONE DEI PROBLEMI DI CHIMICA


Sotto molti aspetti, imparare la chimica è imparare come risolvere i problemi di
chimica, non soltanto quelli assegnati negli esami o per casa, ma anche quelli più
complessi che s’incontrano nella società e nella vita professionale (ne offre un esem-
pio la scheda La chimica nelle altre scienze alla fine del capitolo). Questo libro si pro-
pone di potenziare le vostre capacità di risoluzione di problemi (problem-­solving).

01txt.indd 11 15/05/19 14:52


12 Capitolo 1

Quasi tutti i capitoli contengono problemi di verifica che applicano i concetti e


le abilità appena introdotti e sono risolti in modo particolareggiato. In questo pa-
ragrafo esamineremo il metodo usato nel testo per risolverli. Poiché molti di essi
richiedono calcoli, introduciamo prima alcuni concetti importanti riguardo alle
grandezze misurate.
Unità di misura e fattori di conversione impiegati nei calcoli
La misura di una grandezza (il risultato dell’operazione di misurazione della gran-
dezza) è il valore della grandezza espresso come rapporto tra la grandezza data e
un’altra grandezza della stessa specie assunta come unità di misura. Quindi, una mi-
sura di una grandezza è costituita da un valore numerico accompagnato da un’unità
di misura appropriata; l’altezza di una persona è, per esempio, “1,8 m”, non “1,8”.
L’unità di misura del rapporto tra due grandezze è il rapporto delle rispettive unità
di misura, per esempio “kilometri all’ora” (in simboli: km/h o km · h−1) (esamine-
remo le più importanti unità di misura usate in chimica nel paragrafo seguente).
Per ridurre al minimo gli errori, è consigliabile indicare le unità di misura in tutti i
passaggi di un calcolo.
Le operazioni aritmetiche applicate alle misure (valori numerici accompagnati
da un’appropriata unità di misura) sono le stesse che si applicano ai numeri puri
(non accompagnati da una unità di misura); in altre parole, le unità di misura pos-
sono essere moltiplicate, divise ed elise.
• Un tappeto che misura 0,9 m  ×  1,2 m ha un’area pari a
area = 0,9 m  ×  1,2 m = (0,9  ×  1,2) (m  ×  m) = 1,08 m2
• Un’automobile che percorre 350 km impiegando 7 h (ore) si muove a una
velocità pari a
⎛ 350 km3 ⎞⎟
⎜⎜ ⎟
velocità = ⎝⎜ 7 h ⎟⎟⎠ = 50 km/h = 50 km ⋅ h−1

• In 3 ore, questa automobile percorre una distanza pari a


50 km
distanza = 3 h × = 150 km
1h
Un fattore di conversione è un rapporto usato per cambiare in una nuova unità
di misura della stessa specie l’unità di misura di una grandezza, cambiandone così
anche il valore. Supponiamo di volere esprimere in metri la distanza di 150 km
percorsa dall’automobile in questione. Per convertire la distanza espressa in kilo-
metri nella distanza equivalente espressa in metri (m), moltiplichiamo la prima
per il fattore di conversione appropriato, ottenuto uguagliando 1 km al numero
di metri contenuti in 1 km:
1 km = 1000 m
Da questa identità possiamo ottenere due fattori di conversione. Dividendo en-
trambi i membri per 1000 m otteniamo un fattore di conversione (indicato in blu):
1 km 1000 m
= = 1
1000 m 1000 m
Dividendo entrambi i membri per 1 km, otteniamo l’altro fattore di conversione
(indicato in blu):
1 km 1000 m
= = 1
1 km 1 km
È importante vedere che, essendo il numeratore e il denominatore di un fattore di
conversione equivalenti, il fattore di conversione è uguale a 1; quindi, moltiplicare
una misura per un fattore di conversione significa moltiplicarla per 1, ossia lasciare
invariata la sua entità. Perciò, anche se il valore numerico e l’unità di misura della gran-
dezza misurata cambiano, l’entità della grandezza resta invariata.
Nell’esempio in questione, vogliamo convertire la distanza espressa in kilome-
tri nella distanza equivalente espressa in metri. Perciò, scegliamo il fattore di con-
versione in cui il “metro” figura a numeratore e quindi il “kilometro” che figura a

01txt.indd 12 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 13

denominatore elide il “kilometro” che accompagna il valore numerico della distanza


espressa in kilometri, lasciando come unità di misura il metro:
1000 m
distanza (m) =150 km × =150 000 m
1 km
km =⇒ m
Per scegliere il fattore di conversione appropriato non è necessario mandare a me-
moria i fattori di conversione. Lo scopo principale è che il fattore di conversione scelto
elida tutte le unità di misura tranne quelle necessarie per la risposta. Si deve impostare il
calcolo in modo che l’unità che si vuole convertire (l’unità iniziale) occupi la posizio-
ne opposta nel fattore di conversione (sia al denominatore o al numeratore, a seconda
che l’unità iniziale figuri al numeratore o al denominatore, rispettivamente). Quindi,
l’unità iniziale si eliderà lasciando l’unità in cui la si vuole convertire (l’unità finale):
unità finale m
=
unità iniziale × =
unità finale come in km × m
unità iniziale km
Oppure, nel caso in cui le unità di misura siano elevate a potenza,
unità finale2
unità iniziale × unità iniziale =unità finale2
unità iniziale2
km 2
come in ( m × m )× 2 = km 2
m
Oppure, nel caso di un rapporto tra unità di misura,
unità iniziale unità finale2 unità finale2 km m m
= × =
come in ×
unità finale1 unità iniziale unità finale1 h km h
È anche importante riflettere sull’intero calcolo per decidere se il risultato espresso
nella nuova unità dovrebbe avere un valore numerico più grande o più piccolo e se
il fattore di conversione scelto effettuerà questo cambiamento. Nel caso precedente,
poiché 1 m è minore di 1 km, la distanza espressa in metri dovrebbe avere un valore
numerico più grande di quello della distanza espressa in kilometri (150). È impor-
tante notare che il fattore di conversione scelto ha il valore numerico più grande
(1000) al numeratore e quindi ha dato un valore numerico più grande nella risposta.
L’impiego dei fattori di conversioni nei calcoli in cui intervengono misure di
grandezze è generalmente detta analisi dimensionale (perché le unità di misura
rappresentano dimensioni fisiche). Useremo questo metodo nei problemi quantita-
tivi in tutto il libro.

Approccio sistematico alla risoluzione dei problemi di chimica


L’approccio usato in questo libro è un modo sistematico di risolvere un problema.
Pone in risalto il ragionamento, non il sapere a memoria, e si basa su un concetto
molto semplice: pianificare come risolvere il problema prima di accingersi a risol-
verlo e poi verificare la soluzione (la risposta) ottenuta. Provate a sviluppare un
approccio simile nei problemi assegnati per casa o proposti agli esami. In generale,
i problemi di verifica sono costituiti da più parti.
1. Problema. Questa parte enuncia tutte le informazioni necessarie per risolvere
il problema (di solito formulate in qualche contesto interessante).
2. Piano. La risoluzione complessiva è suddivisa in due parti, piano e risoluzione,
per porre in rilievo un punto: riflettere su come risolvere il problema prima di
manipolare i valori numerici. Se un piano è chiaro nella vostra mente, i calcoli
effettivi avranno senso. Poiché un problema può essere risolto in più modi, il
piano proposto in un dato problema presentato nel testo è soltanto una possi-
bilità. Il piano:
• chiarirà ciò che si conosce e ciò che non si conosce (quali informazioni avete
e quali tentate di trovare);
• suggerirà i passi da compiere per andare da ciò che si conosce a ciò che non
si conosce (quali concetti, conversioni, o equazioni sono necessari per risol-
vere il problema);

01txt.indd 13 15/05/19 14:52


14 Capitolo 1

• presenterà un itinerario della risoluzione di molti problemi proposti nei primi


capitoli (e in alcuni dei successivi). L’itinerario è un riepilogo visivo dei passi
programmati. Ogni passo è indicato con una freccia contrassegnata con le
informazioni sul fattore di conversione necessario o sull’operazione necessaria.
3. Risoluzione. In questa parte, i passi compaiono nello stesso ordine in cui sono
stati pianificati.
4. Verifica. Nella maggior parte dei casi, è presentata una rapida verifica per vede-
re se i risultati abbiano senso. Sono corrette le unità di misura? La soluzione è
dell’ordine di grandezza corretto? La variazione è avvenuta nel verso atteso? È
ragionevole chimicamente? Si esegue spesso un calcolo grossolano per vedere
se il suo risultato sia dello stesso ordine di grandezza del risultato calcolato, per
accertarsi di non avere commesso un grande errore. Verificate sempre le vostre
soluzioni, specialmente in un problema in più parti, in cui un errore in uno dei
primi passi influenzerà quelli successivi.
5. Commento. Talvolta è inclusa questa parte per fornire informazioni addizio-
nali, quali un’applicazione, un approccio alternativo, uno sbaglio comune da
evitare o uno sguardo d’insieme.
6. Problema di approfondimento. Questa parte è costituita soltanto dall’enun-
ciato di un problema e permette di impratichirsi applicando gli stessi concetti
che sono stati impiegati nella risoluzione del problema di verifica. Provate a risol-
verlo prima di guardare la risoluzione succinta presentata alla fine del capitolo.
Ovviamente, non potete imparare a risolvere i problemi di chimica, così come non
potete imparare a nuotare, limitandovi a leggere un metodo per farlo. La pratica è
la chiave della padronanza. Ecco alcuni suggerimenti che possono essere d’aiuto.
• Seguite i passi del problema di verifica tenendo a portata di mano carta, matita
e calcolatrice.
• Risolvete il problema di approfondimento non appena avete terminato di
studiare il problema di verifica. Verificate la vostra risoluzione confrontandola
con quella fornita alla fine del capitolo.
• Rileggete il problema di verifica e le spiegazioni nel testo se incontrate qual-
che difficoltà.
• Risolvete il maggior numero possibile dei problemi proposti alla fine del capi-
tolo. Essi rivedono ed estendono i concetti e le abilità presentati nel testo.
Le soluzioni dei problemi il cui numero è in colore sono fornite alla fine del
libro, ma prima di leggerle provate a risolvere il problema da soli.

Applichiamo ora questo approccio a un problema sulla conversione delle unità di


misura.

Conversione delle unità di misura della lunghezza


PROBLEMA DI VERIFICA 1.2
Problema Qual è il prezzo di un tratto di filo di rame lungo 325 cm (centimetri) che è
venduto al prezzo unitario di 0,15 €/m (euro/metro)?
Piano Conosciamo la lunghezza del filo espressa in centimetri e il prezzo unitario del filo in
euro al metro (€/m). Possiamo trovare il prezzo incognito del tratto di filo convertendo
la lunghezza espressa in centimetri nella lunghezza equivalente espressa in metri. Poi
il prezzo unitario (0,15 €/m) ci permette di calcolare il prezzo del tratto di filo in euro.
L’itinerario parte dalle informazioni note e, procedendo per i passi del calcolo, arriva all’in-
formazione incognita.
Risoluzione Conversione della lunghezza nota espressa in centimetri nella lunghezza
equivalente espressa in metri: le grandezze equivalenti lungo le frecce dell’itinerario sono
quelle necessarie per ottenere il fattore di conversione. Scegliamo (1 m)/(100 cm), anziché
il reciproco, perché ci dà il risultato in metri:
1m
lunghezza (m) = [lunghezza (cm)]  ×  (fattore di conversione) = 325 cm × = 3,25 m
100 cm

01txt.indd 14 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 15

Calcoliamo il prezzo in euro del tratto di filo espresso in metri:


0,15 €
prezzo (€) = [lunghezza (m)]  ×  (prezzo unitario) = 3,25 m × = € 0,4875  € 0,49
m
Abbiamo arrotondato il prezzo di € 0,4875 in € 0,49. Il simbolo  significa “circa uguale a”.
Il procedimento di arrotondamento è descritto più avanti.
Verifica Le unità sono corrette in ciascun passo. I fattori di conversione hanno senso in
termini di ampiezze relative delle unità: il numero di metri è minore del numero di centi-
metri (1 m è maggiore di 1 cm). Il prezzo totale sembra ragionevole: un po’ più di 3 m di
filo a 0,15 €/m dovrebbero costare un po’ più di € 0,45.
Commento 1. Avremmo potuto anche riunire i due passi:
1m 0,15 €
prezzo (€) = 325 cm × × = € 0,49
100 cm m
2. Sono di solito possibili sequenze alternative nei problemi sulle conversioni delle unità di
misura. In questo caso, per esempio, otterremmo lo stesso risultato se prima convertissimo
il prezzo del filo da euro al metro (€/m) in euro al centimetro (€/cm) e mantenessimo la
lunghezza del filo espressa in centimetri. Provate.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.2 Una fabbrica di mobili necessita


di 29 000 cm2 di tessuto per ricoprire una poltrona. Il fornitore fornisce il tessuto in rotoli
di 200 m2. Qual è il numero massimo di poltrone che possono essere rivestite con 3 rotoli
di tessuto?

1.5 LA MISURAZIONE NELLA SCIENZA


Quasi tutto ciò che usiamo — vestiti, case, cibi, veicoli — è fabbricato con parti mi- QUANTI BARLEYCORNS
CI SONO DAL NASO
surate, venduto in quantità misurate e pagato con denaro misurato. La misurazione AL POLLICE
è così comune che è facile darla per scontata, ma essa ha una storia affascinante, DI SUA MAESTÀ
caratterizzata dalla ricerca di campioni esatti, invariabili.
Le origini del sistema di unità di misura usato oggi pressoché universalmente
nella scienza e nella tecnica risalgono al 1790, quando l’Assemblea nazionale di
Francia incaricò una commissione della quale fecero parte illustri scienziati, tra
cui Lavoisier, di fissare le unità di misura e i campioni delle grandezze fondamen-
tali (lunghezza e massa), per potere confrontare i risultati ottenuti da ricercatori
di differenti nazionalità nell’osservazione dello stesso fenomeno fisico. Nacque
così, nel 1795, il sistema metrico decimale. Nel 1960, la IX Conferenza Generale di
Pesi e Misure (CGPM), tenutasi a Parigi, istituì un sistema metrico basato sull’a-
dozione di sei (successivamente sette) grandezze fondamentali e delle relative
unità di misura, che fu denominato Sistema Internazionale di Unità (sigla
internazionale SI, dal francese Système International d’Unités).

Caratteristiche generali del Sistema Internazionale di Unità


Come mostrato nella Tabella 1.2, il Sistema Internazionale di Unità si basa su sette
grandezze fondamentali indipendenti e sulle relative unità di misura, dette
unità fondamentali. Tutte le altre grandezze, dette grandezze derivate, e le
Tabella 1.2 Grandezze fondamentali SI e loro unità di misura
Grandezza fisica Nome dell’Unità Simbolo dell’unità
Massa kilogrammo kg
Lunghezza metro m
Tempo secondo s
Temperatura kelvin K
Intensità di corrente elettrica ampere A
Quantità di sostanza mole mol
Intensità luminosa candela cd

01txt.indd 15 15/05/19 14:52


16 Capitolo 1

• Quanto è lungo un metro?


La storia del metro pone in rilie­
relative unità di misura, dette unità derivate, si ricavano dalle grandezze fonda-
mentali e dalle relative unità di misura. Per esempio, l’unità di velocità, un’unità
vo la tendenza in atto a definire le derivata, si ottiene come rapporto tra l’unità fondamentale di lunghezza, il metro
unità di misura sulla base di cam- (m), e l’unità fondamentale di intervallo di tempo, il secondo (s).
pioni invariabili. Il metro venne
definito nel 1791 dall’Accade- Poiché alcune unità sono di uso scomodo perché troppo grandi o troppo picco­
mia delle Scienze di Parigi come le, oppure per scrivere in modo più sintetico il risultato di una misurazione (una
1/10 000 000 dell’arco di meridiano misura), il Sistema Internazionale contempla un certo numero di prefissi di multipli e
terrestre che collega il polo nord sottomultipli delle unità e i relativi simboli. Nella Tabella 1.3 sono elencati i più im-
con l’equatore e passa nelle vici-
nanze di Parigi. Nel 1875 venne fir- portanti prefissi del SI (se questa notazione per esprimere i numeri non vi è familiare,
mata la Convenzione inter­nazionale o vi serve semplicemente un ripasso, leggete l’Appendice A). Per scrivere in modo
del metro, in cui gli scienziati deci- sintetico una misura si può usare anche la notazione esponenziale (o scientifica).
sero di non riferire più il metro alle
caratteristiche geometriche della Tabella 1.3 Prefissi del Sistema Internazionale più usati
Terra. Si giunse così alla costruzio-
ne di una sbarra lunga 120 cm di Simbolo Notazione
una lega di 90% di platino e di 10% Prefisso* del prefisso Valore numerico esponenziale
di iridio, resistente alla corrosio- tera T 1 000 000 000 000 1  ×  1012
ne, sulla quale vennero incisi due
gruppi di tre righe ravvicinate: la giga G 1 000 000 000 1  ×  109
distanza fra le righe centrali dei due mega M 1 000 000 1  ×  106
gruppi fu assunta pari a 1 metro
kilo k 1000 1  ×  103
alla temperatura di 0 °C. Nel 1889
vennero costruite 30 copie di que- hecto h 100 1  ×  102
sto campione, e il numero 6 venne deka da 10 1  ×  101
assunto come prototipo internazio-
— — 1 1  ×  100
nale del metro. È conservato nei
sotterranei del Bureau International deci d 0,1 1  ×  10−1
des Poids et Mesures (BIPM), a centi c 0,01 1  ×  10−2
Sèvres, presso Parigi. Il timore che
la guerra potesse danneggiare il milli m 0,001 1  ×  10−3
metro campione indusse ad adottare micro μ 0,000001 1  ×  10−6
un cam­pione atomico esatto, inva- nano n 0,000000001 1  ×  10−9
riabile, disponibile universalmente.
Nel 1960 venne definito un nuovo pico p 0,000000000001 1  ×  10−12
metro campione, detto metro otti- femto f 0,000000000000001 1  ×  10−15
co, come 1 650 763,73 volte la lun­ *I prefissi più usati in chimica sono scritti in neretto.
ghezza d’onda nel vuoto della luce
rosso-arancione dagli atomi di crip- Alcune unità SI importanti in chimica
ton-86 (86Kr) nella transizione tra
due particolari livelli quando la Esaminiamo alcune delle unità SI delle grandezze che abbiamo usato fin dall’inizio nel
lampada al cripto è tenuta alla tem- li­bro: lunghezza, volume, massa, densità (detta massa volumica nel SI), temperatura e
peratura di 63,15 K. L’accuratezza
intervallo di tempo. In alcuni Paesi e in alcune discipline tecniche sono talvolta uti-
di questo campione risultò pari
a 200 volte quella del campione lizzate le unità di misura britanniche i cui fattori di conversione con le unità SI sono
precedente. Nel 1983 fu abrogata la riportate in Tabella 1.4. Presenteremo in seguito le unità di misura di altre grandezze.
precedente definizione del metro e
fu adottata la seguente: “Il metro è Lunghezza L’unità di misura della lunghezza nel SI è il metro (m). La sua defi-
la distanza percorsa nel vuoto dalla nizione è basata su due quantità: il secondo e la velocità della luce nel vuoto. Per
luce nell’intervallo di tempo di misurare lunghezze su scala atomica si usano il nanometro (1 nm = 10−9 m) e il
(1/299 792 458) s”.
picometro (1 pm = 10−12 m). Un’unità di misura usata frequentemente in questo
dominio è l’angstrom (Å) (1 Å = 10−10 m = 0,1 nm = 100 pm).
Volume Ogni campione di materia ha un certo volume (V), cioè la quantità di
spazio che occupa. L’unità SI di volume, un’unità derivata, è il metro cubo (m3). In
chimica le unità di volume più usate sono il litro (L), e il millilitro (mL). I medici
e i paramedici usano come unità di misura del volume dei liquidi corporei il deci-
metro cubo (dm3), equivalente al litro:
1 L = 1 dm3 = 10−3 m3
Come indica il prefisso milli-, 1 mL è uguale a (1/1000) di litro ed è uguale esatta-
mente a 1 centimetro cubo (cm3):
1 mL = 1 cm3 = 10−3 dm3 = 10−3 L = 10−6 m3
La Figura 1.5 è una rappresentazione a grandezza naturale della diminuzione di
1000 volte del volume dal decimetro cubo al millimetro cubo.

01txt.indd 16 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 17
Tabella 1.4 Conversioni tra unità SI e unità britanniche di impiego comune
Conversioni da unità
Equivalenti britanniche a
Grandezza Unità SI Equivalenti SI britannici unità SI equivalenti
Lunghezza 1 kilometro (km) 1000 (= 103) metri 0,6214 miglia (mi) 1 miglio (mile) = 1,609 km
1 metro (m) 2
100 (= 10 ) centimetri 1,094 iarde (yd) 1 iarda (yard) = 0,9144 m
1 centimetro (cm) 1000 millimetri (mm) 39,37 pollici (in) 1 piede (foot) = 0,3048 m
0,01 (= 10−2) metri 0,3937 pollici (in) 1 pollice (inch) = 2,54 cm
(esattamente)
Volume 1 metro cubo (m3) 1 000 000 (= 106) 35,31 piedi cubi (ft3) 1 piede cubo (cubic foot)
1 decimetro cubo (dm3) centimetri cubi (cm3) = 0,02832 m3
1000 centimetri cubi (cm3) 0,2642 galloni USA 1 gallone USA (gallon)
(galUSA) (galUSA) = 3,785 dm3
1,057 quart (qt) 1 quart = 0,9464 dm3
1 quart = 946,4 cm3
1 centimetro cubo (cm3) 0,001 dm3 0,03381 once fluide 1 oncia fluida (fluide once)
USA (fl ozUSA) USA (fl ozUSA) = 29,57 cm3
Massa 1 kilogrammo 1000 grammi (g) 2,205 libbre (lb) 1 libbra (pound)
= 0,4536 kg
1 grammo (g) 1000 milligrammi (mg) 0,03527 once (oz) 1 oncia (ounce) = 28,35 g

Figura 1.5 Alcune relazioni tra volumi nel SI. Il cubo a sinistra ha un volume di 1 dm3; ogni spigolo è lungo 1 dm e il cubo è
suddiviso in 10 strati spessi 1 cm. Vi sono 1000 dm3 in 1 m3. Il cubo in centro ha un volume di 1 cm3; ogni spigolo è lungo 1 cm
e il cubo è suddiviso in 10 strati spessi 1 mm; 1000 cm3 = 1 dm3 = 1 L = 1000 mL, e quindi 1 cm3 = 1 mL. Il cubo a destra ha un
volume di 1 mm3; ogni spigolo è lungo 1 mm; 1 mm3 = 1 mL. Vi sono 103 mL in 1 cm3 e 106 μL in 1 dm3 (1 L).

01txt.indd 17 15/05/19 14:52


18 Capitolo 1

Figura 1.6 Vetreria volu­


metrica di laboratorio di uso
comune.
Da sinistra a destra si vedono due
cilindri graduati, una pipetta che
viene vuotata in un becher, una
buretta che eroga liquido un una
beuta (matraccio di Erlenmeyer),
e due matracci volumetrici. A
contatto con il vetro, questo
liquido forma un menisco con-
cavo (superficie curva). (Foto: ©
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).

La Figura 1.6 mostra alcuni degli apparecchi di vetro (vetrerie) da laboratorio de-
stinati a contenere liquidi o a misurarne il volume. Molti hanno una capacità da
qualche millilitro a qualche litro. Beute (o matracci conici o matracci di Erlenmeyer)
e becher sono usati per contenere liquidi. Cilindri, pipette e burette graduati sono
usati per misurare e trasferire liquidi. I matracci volumetrici e molte pipette hanno
una capacità fissa indicata da un segno sul collo. Nel lavoro quantitativo, le soluzio-
ni liquide sono preparate in matracci volumetrici, misurate in cilindri, pipette e
burette graduati, e poi trasferite in becher o in beute per ulteriori operazioni chi-
miche. Le pipette automatiche trasferiscono accuratamente e rapidamente un dato
volume di liquido.

Determinazione del volume di un solido in base al volume



dell’acqua spostata

PROBLEMA DI VERIFICA 1.3


Problema Il volume di un solido di forma irregolare può essere determinato in base al volu-
me dell’acqua che sposta. Un cilindro graduato contiene 19,9 mL di acqua. Quando si intro-
duce nell’acqua un pezzo di galena, un minerale del piombo, il solido affonda e il volume
dell’acqua sale a 24,5 mL. Qual è il volume del pezzo di galena in centimetri cubi e in litri?
Piano Dobbiamo trovare il volume della galena in base al volume dell’acqua che sposta nel
cilindro. Il volume della galena, in millilitri, è la differenza tra i volumi noti prima e dopo
l’introduzione della galena. Il millilitro (mL) e il centimetro cubo (cm3) sono volumi iden-
tici e quindi il volume della galena in millilitri è uguale al suo volume in centimetri cubi.
Costruiamo un fattore di conversione per convertire da millilitri a litri. I passi del calcolo
sono indicati nell’itinerario.
Risoluzione Determinazione del volume della galena:
volume (mL) = volume dopo − volume prima = 24,5 mL − 19,9 mL = 4,6 mL
Conversione del volume da millilitri a centimetri cubi:
1cm 3
volume (cm3) = 4,6 mL × = 4,6 cm3
1 mL
Conversione del volume da millilitri a litri:
10−3 L
volume (L) = 4,6 mL × = 4,6×10−3 L
1 mL
Verifica Le unità e gli ordini di grandezza delle soluzioni sembrano corretti. Ha senso che
il volume espresso in millilitri abbia un valore numerico pari a 1000 volte il volume espres-
so in litri, perché 1 mL è uguale a (1/1000) L.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.3 Se si immerge un cubetto di acciaio
di 15,0 mm di spigolo in 31,8 mL di acqua in un cilindro graduato, qual è il volume totale
finale (in litri) del contenuto del cilindro?

01txt.indd 18 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 19

Massa La massa (m) di un corpo è una grandezza legata alla quantità di materia di
cui è fatto. L’unità di massa nel SI è il kilogrammo (kg), l’unica unità fondamentale
il cui campione è un oggetto fisico: un cilindro di platino-iridio conservato presso
il Bureau International del Poids et Mesures, a Sèvres, nelle vicinanze di Parigi. Il
kilogrammo è anche l’unica unità fondamentale del SI il cui nome abbia un prefisso
(kilo-) (però, a differenza delle altre unità fondamentali, si premettono i prefissi al
termine “grammo”, come in “microgrammo”, anziché al termine “kilogrammo”; per- UN KILOGRAMMO
ciò, non si dice mai “microkilogrammo”). PREZIOSO
Il termine massa e il termine peso si riferiscono a grandezze diverse, che non
devono essere confuse l’una con l’altra. Poiché la quantità di materia di un dato
corpo non può variare (in condizioni ordinarie), la sua massa è costante. Il peso del
corpo, invece, è la forza di gravità (la forza di attrazione gravitazionale esercitata
dalla Terra sul corpo) che deve essere equilibrata affinché il corpo sia in quiete e di-
pende dalla massa del corpo e dall’accelerazione di gravità nella posizione occupata
dal corpo. Poiché l’accelerazione di gravità varia al variare della quota sopra la su-
perficie terrestre, varia anche il peso del corpo. Per esempio, il peso di una persona
è lievemente minore sulla vetta di una montagna che al livello del mare. [Nel SI, il
peso di un corpo, come qualsiasi altra forza, è misurato in newton (N). (N.d.C.)]
Ciò significa forse che, se si pesasse su una bilancia di laboratorio un corpo a
Miami (al livello del mare) e a Denver (a una quota di circa 1,7 km sopra il livello
del mare), si otterrebbero differenti risultati? Per fortuna no. Queste bilance sono
progettate per misurare le masse, non i pesi, e quindi non si ha questa situazione
caotica. Le bilance meccaniche confrontano la massa incognita di un corpo con
masse note incluse nella bilancia e quindi le varie masse sono immerse nello stesso
campo gravitazionale e l’accelerazione di gravità a cui sono soggette è la stessa. Le
bilance analitiche elettroniche determinano la massa generando un campo elettrico
che compensa il campo gravitazionale locale. L’intensità della corrente elettrica
necessaria per ripristinare lo zero della posizione del piatto viene tradotta nella
massa del corpo e visualizzata come massa del corpo.

Conversione di unità di massa


PROBLEMA DI VERIFICA 1.4
Problema Alcune comunicazioni internazionali vengono oggi effettuate mediante fibre
ottiche riunite in cavi stesi sul fondo oceanico. Se una fibra ottica ha una massa riferita all’u-
nità di lunghezza (densità lineare) di 1,19  ×  10−3 kg/m, quanto vale la massa (in kilogrammi)
di un cavo costituito da sei fibre ottiche, ciascuna lunga a sufficienza per collegare New
York e Parigi (distanti 8,84  ×  103 km)?
Piano Dobbiamo trovare la massa del cavo (in kilogrammi) conoscendo la massa della fibra
riferita all’unità di lunghezza (la densità lineare della fibra), il numero di fibre nel cavo e
la distanza tra New York e Parigi. Un metodo per risolvere questo problema (com’è indi-
cato nell’itinerario) è trovare prima la massa di una fibra e poi trovare la massa del cavo.
Convertiamo la lunghezza di una fibra da kilometri a metri e poi troviamo la massa usando
il fattore 1,19  ×  10−3 kg/m. La massa del cavo è 6 volte la massa della singola fibra.
Risoluzione Conversione della lunghezza della fibra da kilometri a metri:
103 m
lunghezza (m) della fibra = 8,84  ×  103 km × = 8,84  ×  106 m
1 km
Calcolo della massa di una fibra:
103 kg
massa (kg) di una fibra = 8,84  ×  106 m × = 1,05  ×  104 kg
1m
Calcolo della massa del cavo (kg):
1, 05×104 kg 6 fibre
massa (kg) del cavo = × = 6,30  ×  104 kg/cavo
1fibra 1cavo
Verifica Le unità sono corrette. Consideriamo gli ordini di grandezza dei risultati per vede-
re se abbiano senso. Il numero di metri dovrebbe essere 1000 volte il numero di kilometri.

01txt.indd 19 15/05/19 14:52


20 Capitolo 1

Se 1 m di fibra ha una massa di circa 10−3 kg, circa 107 m dovrebbero avere una massa di
circa 104 kg. La massa del cavo dovrebbe essere 6 volte tanto, ossia circa 6  ×  104 kg.
Commento La densità lineare di un corpo filiforme è il rapporto tra la sua massa e la sua
lunghezza, ossia è la massa riferita all’unità di lunghezza. Nel SI, l’unità di misura della den-
sità lineare è il kg al metro (kg/m).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.4 Se una goccia di pioggia ha una


massa media di 65 mg e in ogni minuto cadono su un prato 5,1  ×  105 gocce di pioggia,
quanto vale la massa (kg) della pioggia che cade in 1,5 h?

Densità La densità (d) di un corpo è il rapporto tra la sua massa e il suo volume,
ossia è la massa riferita all’unità di volume:

massa
densità = (1.1)
volume

Da questa identità si possono ricavare le seguenti relazioni:


massa = volume  ×  densità
e
massa
volume =
densità

In condizioni date di pressione e temperatura, la densità è una proprietà fisica carat-


teristica di una sostanza e ha un valore fisso: essendo la densità il rapporto tra massa
e volume, se, per esempio, la massa raddoppia, raddoppia anche il volume e il va-
lore della densità rimane invariato. La massa e il volume sono esempi di proprietà
estensive, che dipendono dalla quantità di sostanza presente. La densità, invece, è
una proprietà intensiva, che è indipendente dalla quantità di sostanza presente.
Per esempio, la massa di 1 L di acqua è 10 volte la massa di 1 dL (decilitro) di acqua
e il suo volume è 10 volte maggiore; perciò, la densità dell’acqua, il rapporto tra
la sua massa e il suo volume, è costante a una particolare temperatura e pressione,
indipendentemente dall’estensione del campione.
L’unità SI di densità è il kilogrammo al metro cubo (kg/m3); ma in chimica la
densità è espressa di solito in grammi al litro (g/L) (1 g/L = 1 g/dm3) oppure in
grammi al millilitro (g/mL) (1 g/mL = 1 g/cm3). Per esempio, la densità dell’ac-
qua al­lo stato liquido a pressione atmosferica normale (1 atm) e a temperatura
ambiente (20 °C) è 1,0 g/mL. Le densità di alcune sostanze comuni sono indica-
te nella Tabella 1.5. Come ci si può attendere dall’esame degli ingrandimenti
degli stati fisici (vedi Figura 1.2), le densità dei gas sono molto minori di quelle
dei liquidi e dei solidi.

Tabella 1.5 Densità di alcune sostanze comuni*


Sostanza Stato fisico Densità (g/cm3)
Idrogeno Gas 0,0000899
Ossigeno Gas 0,00133
Alcol etilico (etanolo) Liquido 0,789
Acqua Liquido 0,998
Cloruro di sodio (sale da cucina) Solido 2,16
Alluminio Solido 2,70
Piombo Solido 11,3
Oro Solido 19,3
*A temperatura ambiente (20 °C) e a pressione atmosferica normale (1 atm).

01txt.indd 20 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 21

Calcolo della densità di un corpo in base alla sua massa e alle sue dimensioni
PROBLEMA DI VERIFICA 1.5
Problema Il litio è un metallo solido grigio tenero che ha la densità più bassa tra tutti i
metalli. È un componente essenziale di alcune batterie elettriche. Se un blocchetto di litio a
forma di parallelepipedo ha una massa di 1,49  ×  103 mg e misura 20,9 mm  ×  11,1 mm  ×  11,9
mm, quando vale la densità del litio in grammi al centimetro cubo (g/cm3)?
Piano Per trovare la densità in grammi al centimetro cubo (g/cm3), si devono conoscere
la massa del litio espressa in grammi (g) e il suo volume espresso in centimetri cubi (cm3).
La massa è data in milligrammi e quindi convertiamo i milligrammi in grammi. Il volume
non è dato, ma possiamo convertire le lunghezze degli spigoli da millimetri a centimetri
e poi calcolare il volume in centimetri cubi moltiplicando le lunghezze degli spigoli
espresse in centimetri. Infine, formando il rapporto tra la massa e il volume, otteniamo la
densità. I passi sono indicati nell’itinerario.
Risoluzione Conversione della massa da milligrammi a grammi:
⎛10−3 g ⎞⎟
massa (g) di litio = 1,49  ×  103 mg ⎜⎜ ⎟ = 1,49 g
⎜⎝ 1 mg ⎟⎟⎠

Conversione delle lunghezze degli spigoli da millimetri a centimetri:


1cm
lunghezza (cm) di uno spigolo = 20,9 mm = 2,09 cm
10 mm
Analogamente, le lunghezze degli altri spigoli sono 1,11 cm e 1,19 cm.
Calcolo del volume:
volume (cm3) = 2,09 cm  ×  1,11 cm  ×  1,19 cm = 2,76 cm3
Calcolo della densità:
1,49 g
densità (g/cm3) del litio = 2,76 cm3 = 0,540 g/cm3

Verifica Poiché 1 cm = 10 mm, il numero di centimetri nella lunghezza di ciascuno


spigolo dovrebbe essere 1/10 del numero di millimetri. L’unità di misura delle densità Litio galleggiante in olio gal-
è corretta e l’ordine di grandezza della risposta ( 0,5 g/cm3) sembra corretto perché leggiante sull’acqua. (Foto:
il numero di grammi (1,49) è circa la metà del numero di centimetri cubi (2,76). Come © McGraw-Hill Education/
indica la fotografia (vedi qui a fianco) del litio che galleggia in olio che galleggia sull’acqua Stephen Frisch, photographer).
(d = 1,0 g/cm3), la risposta ha senso. Litio galleggiante in olio galleg­
gian­te sull’acqua.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.5 Il pezzo di galena del Problema di
verifica 1.3 ha un volume di 4,6 cm3. Se la densità della galena è 7,5 g/cm3, quanto vale la
massa (in kilogrammi) di quel pezzo di galena?

Temperatura Le grandezze calore e temperatura sono spesso confuse l’una con


l’altra. La temperatura (T) è la grandezza che misura di quanto una sostanza è “più
calda” o “più fredda” rispetto a un’altra sostanza. Il calore è l’energia che si trasmet-
te (“fluisce”) tra due corpi che sono a differenti temperature. La temperatura è in
relazione con la direzione in cui si trasmette il calore: quando due corpi a differenti
temperature sono posti in contatto, il calore si trasmette da quello a temperatura
più alta a quello a temperatura più bassa finché le loro temperature non sono di-
ventate uguali. Per esempio, quando teniamo in mano un cubetto di ghiaccio, il
suo “freddo” sembra “affluire” nella mano; in realtà, il calore si trasmette dalla nostra
mano al ghiaccio. (Nel Capitolo 6 vedremo come si misura il calore e qual è la sua
relazione con le trasformazioni chimiche e fisiche). L’energia è una proprietà esten-
siva (come il volume), mentre la temperatura è una proprietà intensiva (come la
densità): una pentola di acqua in ebollizione ha più energia di una tazza di acqua in
ebollizione, ma le temperature dei due campioni di acqua sono identiche.
In laboratorio, lo strumento più usato per misurare le temperature è il termo-
metro, un dispositivo che contiene un fluido (generalmente un liquido) che si di-
lata quando viene riscaldato. Quando il bulbo pieno di liquido viene immerso in

01txt.indd 21 15/05/19 14:52


22 Capitolo 1

una sostanza la cui temperatura è più alta di quella del bulbo stesso, si trasmette
4
10 K calore dalla sostanza al liquido attraverso il vetro, e il liquido si dilata e sale nel
cannello (tubo capillare) del termometro. Se una sostanza è a una temperatura più
6 u103 K: superficie del Sole bassa di quella del termometro, si trasmette calore dal liquido termometrico alla
(interno 107 K)
sostanza: il liquido si contrae e scende all’interno del tubo capillare del termometro.
3683 K: massima temperatura
di fusione di un elemento Le scale di temperatura (o scale termometriche) più importanti in chimica sono
metallico (tungsteno) la scala Celsius, precedentemente detta centigrada, in cui l’unità di temperatura è
1337 K: temperatura
di fusione dell’oro
il grado celsius (°C) e la scala Kelvin, in cui l’unità di temperatura è il kelvin (K);
Il kelvin (K) è l’unità di temperatura fondamentale nel SI. La scala Kelvin, detta
600 K: temperatura anche scala assoluta delle temperature, è preferita in tutte le branche della scienza,
103 K di fusione del piombo
anche se è usata spesso la scala Celsius. La scala Celsius, introdotta nel 1742 dal
fisico e astronomo svedese Anders Celsius (1701-1744), si basa sui cambiamenti di
stato fisico dell’acqua: è attribuito valore 0 alla temperatura del ghiaccio fondente in
373 K: temperatura
di ebollizione di H2O
equilibrio con acqua a pressione atmosferica e valore 100 alla temperatura di ebol-
370 K: temperatura diurna
lizione dell’acqua pura a pressione atmosferica. L’intervallo tra questi due “punti”
sulla Luna fissi è suddiviso in 100 parti uguali, ciascuna delle quali è detta grado celsius (°C).
273 K: temperatura La scala Kelvin (o scala assoluta delle temperature) fu introdotta nel 1848 dal
di fusione di H2O
140 K: strato nuvoloso
fisico britannico William Thomson (1824-1907), noto come Lord Kelvin, nel corso
102 K superiore di Giove dei suoi esperimenti sull’espansione e la dilatazione dei gas. La scala Kelvin attribu-
120 K: temperatura isce valore 273,15 alla temperatura del ghiaccio fondente in equilibrio con acqua
notturna sulla Luna
90 K: temperatura di a pressione atmosferica e valore 373,15 alla temperatura di ebollizione dell’acqua
ebollizione dell’ossigeno pura a pressione atmosferica e suddivide l’intervallo tra questi due punti fissi in 100
parti uguali, ciascuna delle quali è detta grado kelvin (K). L’ampiezza del grado kelvin
è uguale all’ampiezza del grado celsius. Lo zero della scala Kelvin, 0 K, è detto zero
assoluto ed è uguale a −273,15 °C. Sulla scala Kelvin, tutte le temperature hanno valori
27 K: temperatura di positivi. L’acqua congela a +273,15 K (0 °C) e bolle a +373,15 K (100 °C). Possiamo
ebollizione del neon
convertire le temperature misurate sulle scale Celsius e Kelvin tenendo presente la
101 K
differenza tra gli zeri delle due scale; poiché 0 °C = 273,15 K,
T (in K) = T (in °C) + 273,15 (1.2)
0K zero assoluto
(temperatura più bassa Risolvendo l’Equazione 1.2 rispetto a T (in °C), otteniamo
raggiunta 109 K)
T (in °C) = T (in K) − 273,15 (1.3)
Figura 1.7 Alcune temperatu­
re interessanti.
Conversione di temperature
PROBLEMA DI VERIFICA 1.6
Problema Un bambino ha una temperatura corporea di 38,7 °C. Quanto vale la tempera-
tura del bambino in kelvin?
Piano Usiamo l’Equazione 1.2 per convertire la temperatura espressa in gradi celsius nella
temperatura equivalente espressa in kelvin.
Risoluzione Conversione della temperatura da gradi celsius a kelvin:
T (in K) = T (in °C) + 273,15 = 38,7 °C + 273,15 = 311,8 K
Verifica Sappiamo che il grado celsius e il kelvin hanno la stessa ampiezza. Perciò possiamo
verificare i calcoli approssimando la temperatura celsius in 40 °C e sommando 273: 40 + 273
= 313, un valore vicino al risultato del nostro calcolo. Quindi non abbiamo commesso un
errore gros­solano.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.6 Il mercurio fonde alla temperatura di


234 K, inferiore a quella di ogni altro metallo puro. Qual è la sua temperatura di fusione in
gradi celsius?

Intervallo di tempo L’unità di misura dell’intervallo di tempo (t) nel SI è il


secondo (s). La definizione del secondo fu riferita inizialmente al moto della Ter-
ra attorno al suo asse, ritenuto regolare e uniforme. Dal 1967, la definizione del
secondo si fonda su un campione basato su un fenomeno atomico, realizzato da

01txt.indd 22 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 23

un dispositivo detto orologio atomico. In laboratorio si studia la velocità di una • L’orologio atomico al
reazione misurando l’intervallo di tempo impiegato da una quantità fissa di una cesio. Il migliore orologio a pendo-
lo può commettere un errore massi-
sostanza per subire una trasformazione chimica. L’intervallo di possibili velocità
mo di 3 s ogni anno, il migliore oro-
di reazione è enorme: una reazione rapida può durare meno di 1 nanosecondo logio al quarzo può commettere un
(1 ns = 10−9 s), mentre le reazioni lente, quali l’arrugginimento e l’invecchiamen- errore massimo 1000 volte più pic-
to, impiegano anni. Oggi i chimici usano il laser per studiare le trasformazioni che colo. La più recente versione dell’o-
rologio atomico al cesio, il NIST-F-1,
durano qualche picosecondo (1 ps = 10−12 s) o persino qualche femtosecondo
realizzato dal Physics Laboratory del
(1 fs = 10−15 s). National Institute of Standard and
Technology (NIST), è 6000 volte
1.6 INCERTEZZA DI MISURA: CIFRE SIGNIFICATIVE più accurato, potendo commettere
un errore massimo di 1 s ogni 20
Poiché gli strumenti di misura sono costruiti per specifiche limitate, e poiché per milioni di anni! Invece di impiegare
le oscillazioni di un pendolo o le
leggerli usiamo i nostri sensi e le nostre capacità imperfette, non siamo mai in grado
vibrazioni di un cristallo di quarzo,
di misurare qualcosa esattamente o di conoscere con certezza assoluta il valore di l’orologio atomico misura le oscilla-
una grandezza, cioè di conoscerne il valore “vero”. In altre parole, ogni misura che zioni della radiazione a microonde
otteniamo da un’operazione di misurazione è affetta da un’incertezza. assorbita dagli atomi di cesio gassosi:
Il particolare strumento di misura che scegliamo in una data situazione dipende 1 secondo è definito come la durata
di 9 192 631 770 oscillazioni della
da quanta incertezza di misura siamo disposti ad accettare. Quando compriamo pata-
radiazione non perturbata emessa
te in un supermercato, la bilancia che misura la massa dei prodotti ortofrutticoli in dall’atomo di cesio-133 (133Cs) nello
incrementi di 0,1 kg è perfettamente accettabile: dice, per esempio, che la massa stato fondamentale nella transizione
delle patate è (2,0 ± 0,1) kg. Il termine “±0,1 kg” esprime l’incertezza di misura: la tra due particolari livelli. In questo
massa delle patate è compresa tra 1,9 kg e 2,1 kg. (Questa bilancia non sarebbe adat- nuovo orologio, gli atomi di cesio
vengono raffreddati con laser a infra-
ta per misurare la massa, per esempio, del prosciutto, in quanto l’incertezza di
rosso a una temperatura di circa
±0,1 kg sarebbe considerata eccessiva, dato il prezzo del prosciutto rispetto a quello 10−6 K sopra lo zero assoluto, il che
delle patate). Per una reazione su grande scala, un chimico potrebbe avere necessità permette tempi di osservazione degli
di una bilancia che misuri le masse in incrementi di 0,001 kg per ottenere, per esem- atomi molto più lunghi e quindi
pio, una massa di (2,036 ± 0,001) kg di una sostanza chimica, cioè una massa compre- un’accuratezza molto maggiore.
sa tra 2,035 kg e 2,037 kg. Il maggior numero di cifre nella misura della massa della
sostanza chimica indica che si conosce la massa con più certezza (o con meno incertez- L’IMPORTANZA
FONDAMENTALE
za) rispetto a quanto si conosca la massa delle patate. Quando si legge uno strumen- DELLA MISURAZIONE
to di misura si stima sempre l’ultima cifra. L’incertezza può essere espressa con il NELLA SCIENZA
simbolo ±, ma, generalmente, si tralascia questo simbolo e si presuppone un’incertezza
di una unità nell’ultima cifra. Le cifre registrate in una misurazione, sia quelle certe sia
quella incerta, sono dette cifre significative. Per esempio, la misura 2,036 kg ha 4
cifre significative, mentre la misura 2,0 kg ne ha 2. Maggiore è il numero di cifre signi-
ficative in una misura, maggiore è la certezza (o minore è l’incertezza). La Figura 1.8 illu-
stra la situazione per due termometri.

40 110
39 100
Figura 1.8 Il numero di cifre
38 90
significative in una misura
37 80 dipende dallo strumento per
36 70 misurazione. Sono mostrati due
termometri che misurano la
35 60
stessa temperatura, con viste
33 34 50 40 espanse di un tratto del cannello
33 40 (tubo capillare) di ciascuno. Il
termometro di sinistra è gradua-
32 32 30 30
to in decimi di grado celsius e
31 20 indica 32,3 °C; quello di destra è
31 30 10 20 graduato in gradi celsius e indica
32 °C. Perciò, il termometro di
0 0
32,3 °C 32 °C sinistra permette di ottenere una
misura con più cifre significative
(più certezza).

01txt.indd 23 15/05/19 14:52


24 Capitolo 1

Determinazione delle cifre significative


Quando si ottiene una misura come risultato di una misurazione o di un calcolo,
si deve conoscere il suo numero di cifre significative. In generale, tutte le cifre del
risultato di una misurazione sono significative, tranne gli zeri che non sono dati dalla
misurazione ma sono usati unicamente per posizionare la virgola decimale (il punto
decimale nella notazione anglosassone). Un semplice procedimento che applica
questa generalizzazione è il seguente.
1. Accertarsi che il valore numerico della misura abbia una virgola decimale.
2. Partire dalla prima cifra del numero e procedere verso destra finché non si
raggiunge la prima cifra diversa da zero.
3. Considerare come significativa quella cifra e ogni cifra alla sua destra.
Può sorgere talvolta qualche complicazione con gli zeri con cui termina un valo-
re numerico. Gli zeri con cui termina un valore numerico e sono situati dopo la
virgola o prima di essa sono significativi; per esempio, 1,030 mL ha 4 cifre signi-
ficative e anche 530,0 L ha 4 cifre significative. Il problema nasce quando non c’è
la virgola decimale, come in 5300 L. In questi casi, si suppone che gli zeri non
siano significativi e quindi si rende necessaria la notazione esponenziale per indi-
care quali zeri sono dati della misurazione e quindi sono significativi. Per esem-
pio, se si traduce 5300 L in 5,300  ×  103 L, le cifre significative sono 4; se lo si
traduce in 5,30  ×  103 L, le cifre significative sono 3; se lo si traduce in 5,3×103, le
cifre significative sono soltanto 2.

Determinazione del numero di cifre significative


PROBLEMA DI VERIFICA 1.7
Problema Per ciascuna delle seguenti misure, sottolineate gli zeri che sono cifre significati-
ve e determinate il numero di cifre significative in ciascuna misura. Per le domande da (d)
a (f), esprimete prima ciascuna misura in notazione esponenziale.
(a) 0,0030 L (b) 0,1044 g (c) 53 069 mL
(d) 0,00004715 m (e) 57 600 s (f) 0,0000007160 cm3
Piano Determiniamo il numero di cifre significative contando le cifre, com’è stato indicato
poc’anzi, e prestando particolare attenzione alla posizione della virgola decimale.
Risoluzione (a) 0,0030 L ha 2 cifre significative
(b) 0,1044 g ha 4 cifre significative
(c) 53 069 mL ha 5 cifre significative
(d) 0,00004715 m = 4,715  ×  10−5 m ha 4 cifre significative
(e) 57 600 s se tradotto in 5,7600  ×  104 s ha 5 cifre significative ; se tradotto in 5,760  ×  104 s
ha 4 cifre significative
(f) 0,0000007160 = 7,160  ×  10−7 cm3 ha 4 cifre significative
Verifica Accertatevi che ogni zero conteggiato come significativo si presenti dopo una o
più cifre diverse da zero nel valore numerico.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.7 Per ciascuna delle seguenti misure,


sottolineate gli zeri che sono cifre significative e determinate il numero di cifre significative
in ciascuna misura. Per (d) ed (e), esprimete prima ciascuna misura in notazione esponenziale.
(a) 31,079 mg (b) 0,06060 g (c) 200,0 mL
(d) 0,0000039 m (e) 0,000401 L

Come operare con le cifre significative nei calcoli


Le misure possono contenere differenti quantità di cifre significative. In un calcolo,
si deve tenere il conto del numero di cifre significative in ciascuna misura per non ri-
portare nel risultato finale del calcolo più cifre significative (più certezza) di quante
fossero nei dati di partenza. Se si hanno troppe cifre significative, si procede al­l’ar­ro­-
tondamento del risultato in modo da ottenerne il numero corretto.

01txt.indd 24 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 25

La regola generale per l’arrotondamento è che la misura meno certa impone il limi-
te di certezza all’intero calcolo e determina il numero di cifre significative nel risultato
finale. Supponiamo di volere trovare la densità di un nuovo materiale ceramico.
Misuriamo la massa di un campione del materiale con una bilancia analitica e ot-
teniamo 3,8056 g; misuriamo il suo volume mediante il volume dell’acqua spo-
stata in un cilindro graduato e otteniamo 2,5 mL. La misura della massa ha 5 ci­-
fre significative, ma la misura del volume ha soltanto 2 cifre significative. Dovrem­mo
esprimere la densità del materiale come (3,8056 g)/(2,5 mL) = 1,5222 g/mL oppure
come 1,5 g/mL? Il risultato con 5 cifre significative implica più certezza in tutte le
misure usate per calcolare la densità rispetto al risultato con 2 cifre significative. Ma
non abbiamo misurato il volume con 5 cifre significative e quindi non possiamo co-
noscere la densità con quella certezza. Perciò, esprimiamo la densità come 1,5 g/mL.

Cifre significative e operazioni aritmetiche Le due regole seguenti dicono


quante cifre significative conservare in base al tipo di operazione aritmetica.
1. Moltiplicazione e divisione. Il risultato contiene lo stesso numero di cifre signifi-
cative che è presente nella misura con il minimo numero di cifre significative. Suppo-
niamo di volere trovare il volume di una lastra di un nuovo materiale composito
a base di grafite. Misuriamo la lunghezza (9,2 cm) e la larghezza (6,8 cm) con una
riga graduata e lo spessore (0,3744 cm) con un micrometro. Il calcolo del volume è
volume (cm3) = 9,2 cm  ×  6,8 cm  ×  0,3744 cm = 23 cm3

La calcolatrice può indicare 23,4225 cm3, ma il risultato deve essere espresso


come 23 cm3, con 2 cifre significative, perché la misura della lunghezza e quella
della larghezza contengono soltanto 2 cifre significative.
2. Addizione e sottrazione. Il risultato ha lo stesso numero di cifre decimali della
misura che ha il minimo numero di cifre decimali. Supponiamo di misurare 83,5 mL
di acqua in un cilindro graduato e di aggiungere 23,28 mL di soluzione proteica da
una buretta. Il volume totale è
volume (mL) = 83,5 mL + 23,28 mL = 106,8 mL

In questo caso la calcolatrice indica 106,78 mL, ma esprimiamo il volume come


106,8 mL, con 1 cifra decimale, perché questo è il numero di cifre decimali nella
misura con il minimo numero di cifre decimali (83,5 mL).

Regole di arrotondamento Nella maggior parte dei calcoli si deve arrotondare il


risultato per ottenere il numero appropriato di cifre significative o di cifre decimali.
È importante notare che nel calcolo del volume del materiale composito a base di
grafite abbiamo soppresso le cifre eccedenti, mentre nel calcolo del volume totale
della soluzione abbiamo soppresso la cifra eccedente e aumentato di 1 l’ultima
cifra. Abbiamo semplicemente applicato le seguenti regole per l’arrotondamento.
1. Se la cifra rimossa è maggiore di 5, si aumenta di 1 la cifra precedente: 5,379 si
arrotonda a 5,38 se si conservano 3 cifre significative, a 5,4 se si conservano 2
cifre significative.
2. Se la cifra rimossa è minore di 5, si lascia invariata la cifra precedente; 0,2413 si
arrotonda a 0,241 se si conservano 3 cifre significative, a 0,24 se si conservano
2 cifre significative.
3. Se la cifra rimossa è 5, si aumenta di 1 la cifra precedente se è dispari e la si
lascia invariata se è pari: 17,75 si arrotonda a 17,8, ma 17,65 si arrotonda a 17,6.
Se la cifra 5 è seguita soltanto da zeri, si segue la regola 3; se il 5 è seguito
da cifre diverse da zero, si segue la regola 1: 17,6500 si arrotonda a 17,6, ma
17,6513 si arrotonda a 17,7.
4. Conservare sempre una o due cifre significative addizionali di passaggio in passag-
gio in un calcolo in più passaggi e arrotondare soltanto il risultato finale. Non

01txt.indd 25 15/05/19 14:52


26 Capitolo 1

preoccupatevi se il risultato che ottenete nel calcolo in più passaggi per con-
trollare un problema di verifica o un problema di approfondimento differisce
da quello indicato nel libro. Nei calcoli svolti nel testo, arrotondiamo i passaggi
intermedi per mostrare il numero corretto di cifre significative, e questo pro-
cedimento può talvolta modificare l’ultima cifra significativa.

Cifre significative e calcolatrici elettroniche Una calcolatrice dà di solito


risultati con troppe cifre significative. Per esempio, se la calcolatrice presenta 10
cifre e dividiamo 15,6 per 9,1, sul display compare 1,714285714. Ovviamente, la
maggior parte di queste cifre non sono significative; il risultato dovrebbe essere
arrotondato a 1,7 affinché abbia lo stesso numero di cifre significative di 9,1. Un
buon metodo per accertarsi che le cifre aggiuntive non sono significative è eseguire
due calcoli, indicati dall’incertezza in ciascuna delle ultime cifre, per ottenere il
risultato più alto possibile e quello più basso possibile. Per (15,6 ± 0,1)/(9,1 ± 0,1),

il valore più alto è 15,7/9,0 = 1,744444… il valore più basso è 15,5/9,2 = 1,684782…
Indipendentemente da quante cifre la calcolatrice presenti, i valori differiscono nel-
la prima cifra decimale e quindi il risultato ha 2 cifre significativa e dovrebbe essere
espresso come 1,7. Molte calcolatrici hanno un tasto FIX che permette di fissare il
numero di cifre presentate sul display.

Cifre significative e scelta dello strumento di misura Lo strumento di misu-


ra che si sceglie determina il numero di cifre significative che si è in grado di otte-
nere. Supponiamo di eseguire un esperimento che richiede la miscelazione di una
sostanza liquida con una sostanza solida. Determiniamo la massa della sostanza soli-
da con la bilancia analitica e otteniamo un valore che ha 5 cifre significative. Sareb-
be ragionevole misurare il liquido con una buretta o una pipetta, che misurano i
volumi con un maggior numero di cifre significative rispetto a un cilindro gradua­to.
Se scegliessimo il cilindro, dovremmo arrotondare un maggior numero di cifre nei
Figura 1.9 Cifre significati­ calcoli e quindi perderemmo certezza nel valore della massa (Figura 1.9). Via via che
ve e strumenti di misura. La acquisterete esperien­za in laboratorio, imparerete a scegliere uno strumento per
misura della massa (6,8605
misurazione sulla base del numero di cifre significative richiesto nel risultato finale.
g) ottenuta con una bilancia
analitica (in alto) ha più cifre
significative rispetto alla misura Numeri esatti Alcuni numeri sono detti numeri esatti perché a essi non è asso-
del volume (68 mL) ottenuta ciata alcuna incertezza. Alcuni numeri esatti fanno parte della definizione di un’uni-
con un cilindro graduato (in tà di misura: vi sono 60 minuti in 1 ora, 1000 microgrammi in 1 milligrammo, e 360
basso). (Foto: © McGraw-Hill gradi sessagesimali in 1 angolo giro. Altri numeri esatti sono il risultato di un con-
Education/Stephen Frisch, pho-
teggio di singoli elementi: vi sono esattamente 3 monete in un borsellino, 26 lettere
tographer).
nell’alfabeto inglese, 6 facce in un cubo, e così via. Essendo privi di incertezza, i
numeri esatti non limitano il numero di cifre significative nel risultato finale. In altri ter-
mini, i numeri significativi hanno tante cifre significative quante un calcolo richiede.

Cifre significative e arrotondamento


PROBLEMA DI VERIFICA 1.8
Problema Eseguite i calcoli seguenti e arrotondate il risultato al numero corretto di cifre
significative:
⎛ 1g ⎞⎟
(4,80 ×104 mg)⎜⎜⎜ ⎟⎟
16,3521cm − 1,448cm
2 2
⎝1000 mg ⎟⎠
(a) (b)
7,085cm 11,55cm 3
Piano Usiamo le regole presentate nel testo. In (a), eseguiamo la sottrazione prima della
divisione. In (b), notiamo che la conversione delle unità implica un numero esatto.
16,3521cm 2 − 1,448cm 2 14,904 cm 2
Risoluzione (a) = = 2,104 cm
7,085cm 7,085 cm

01txt.indd 26 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 27

⎛1g ⎞⎟
(4,80 ×104 mg)⎜⎜⎜ ⎟⎟
⎝1000 mg ⎟⎠ 48,0 g
(b) = = 4,16 g/cm3
11,55cm3 11,55cm3
Verifica È importante notare che in (a) perdiamo una cifra decimale nel numeratore e
in (b) conserviamo 3 cifre significative nel risultato perché vi sono 3 cifre significative
in 4,80. Arrotondare al numero intero più vicino è sempre un buon metodo di verifica:
(a) (16 − 1)/7  2; (b) [(5  ×  104)/(1  ×  103)]/12  4.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 1.8 Eseguite il calcolo seguente e arro­


25,65mL + 37,4 mL
ton­date il risultato al numero corretto di cifre significative:
⎛1min ⎞⎟
73,55s ⎜⎜⎜ ⎟⎟
⎝ 60 s ⎟⎠

Precisione, accuratezza e taratura degli strumenti


La precisione e l’accuratezza sono due aspetti della certezza. Nel linguaggio quoti-
diano questi termini sono usati spesso come sinonimi, ma nella misurazione scien-
tifica hanno differenti significati. La precisione, o riproducibilità, indica quanto le
singole misure in una serie di misure sono vicine tra loro. L’accuratezza indica
quanto una misura è vicina al valore “vero”.
I concetti di precisione e di accuratezza sono legati a due tipi comuni di errore.
1. L’errore sistematico dà origine a valori che sono tutti maggiori o tutti minori
del valore “vero”. Questo tipo di errore fa parte del sistema sperimentale ed è
forse causato da uno strumento di misura difettoso o da uno sbaglio ripetuto
continuamente nell’eseguire una lettura.
2. L’errore casuale (o accidentale), in assenza di errore sistematico, dà origine
ad alcuni valori che sono maggiori del valore “vero” e ad alcuni valori che sono
minori del valore “vero”. L’errore casuale è inevitabile, ma la sua entità dipende
dall’abilità di chi esegue la misurazione e dalla precisione dello strumento.
Le misure precise sono affette da un errore casuale piccolo, cioè da piccole deviazioni
dalla media. Le misure accurate sono affette da un errore sistematico piccolo e, in ge-
nerale, anche da un errore casuale piccolo. In alcuni casi, quando si ottengono molte
misure che sono affette da un errore casuale grande, la media delle misure può
essere tuttavia accurata.
Supponiamo che ciascuno di quattro studenti misuri 25,0 mL di acqua in un
cilindro graduato e poi determini la massa dell’acqua con una bilancia analitica. Se
la densità dell’acqua è 1,00 g/mL alla temperatura dell’esperimento, la massa “vera”
di 25,0 mL di acqua è 25,0 g. Ogni studente esegue l’operazione quattro volte,
sottrae la massa del cilindro vuoto, e ottiene uno dei quattro diagrammi della Figu-
ra 1.10. Nei diagrammi A e B, l’errore casuale è piccolo; cioè, la precisione è alta (le

Figura 1.10 Precisione e accuratezza in una taratura di laboratorio. Ogni diagramma rappresenta i risultati di quattro misura-
zioni effettuate con un cilindro graduato che viene tarato (vedi testo per i particolari). A. Alta precisione, alta accuratezza. B. Alta
precisione, bassa accuratezza (presenza di errore sistematico). C. Bassa precisione, valore medio vicino al valore “vero”. D. Bassa
precisione, bassa accuratezza.

01txt.indd 27 15/05/19 14:52


La chimica nelle altre scienze
Risoluzione dei problemi di chimica nel mondo reale

La risoluzione dei problemi proposti in questo libro au- intensamente molte foreste e molti laghi in Germania, in
menterà notevolmente le possibilità dello studente di una Svezia, in Norvegia e in parecchi Paesi dell’Europa cen-
buona riuscita nel corso, ma in realtà non è questo lo scopo trale e orientale. Precipitazioni acide sono state osservate
finale. Anche se lo studente può non scegliere di diventare persino ai poli!
un chimico, la conoscenza della chimica è essenziale in Chimici e altri scienziati stanno collaborando alla
molti campi, comprendenti la medicina, l’ingegneria e le ri­soluzione di questo problema. Mentre i geochimici
scienze ambientali. È anche essenziale per comprendere cercano giacimenti di carbone fossile a basso tenore di
i problemi com­plessi attinenti alla scienza, quali il riciclo zolfo, i colleghi ingegneri progettano metodi migliori per
delle materie plastiche, la riduzione dello smog urbano e rimuovere gli ossidi di zolfo dai gas di combustione. I chi-
la potenzialità di clonazione genetica, per citarne soltanto mici dell’atmo­sfera e i meteorologi seguono l’andamento
tre dei molti. delle alterazioni attraverso le regioni interessate, svilup-
Un’importante disciplina scientifica come la chimica è pano modelli compu­te­­rizzati per prevedere le alterazio-
costituita da parecchie sottodiscipline che formano connes- ni e coordinano i loro risultati con i chimici ambientali
sioni con altre scienze per generare nuovi campi scientifici. in stazioni al suolo. I chimici ecologici e i biologi delle
La chi­mica ha tradizionalmente cinque branche principali — acque monitorano gli effetti della pioggia acida sugli in-
chimica organica, inorganica, analitica, fisica e biologica — ma setti, sugli uccelli e sui pesci. I chimici agrari e gli agrono-
queste branche hanno formato da lungo tempo interconnes- mi studiano come proteggere le rese delle colture. I bio-
sioni, quali la chimica fisica organica e la chimica bioinorga­ chimici e gli ingegneri genetici sviluppano nuove specie
nica. Per risolvere i problemi del presente e del futuro sono di piante da raccolto più resistenti agli acidi. I chimici
necessarie ulterio­ri connessioni, quali la chimica ecologica, del suolo misurano le variazioni del contenuto di metalli,
la scienza dei materiali, la chimica planetaria e la biologia condividendo i loro dati con gli scienziati specia­lizzati
molecolare. Più complesso è il sistema studiato, maggiore è in selvicoltura per salvare legname di elevato valore eco-
la necessità del pensiero scientifico interdisciplinare. nomico e boschi ricreativi. I chimici organici e gli inge­
I problemi ambientali sono particolarmente complessi, gneri chimici convertono il carbone fossile in combusti-
e uno di quelli di più difficile risoluzione è il problema bili più “puliti”. A questa intensa attività sperimentale si
della piog­gia acida. Vediamo come viene affrontato dai chi- sovrappone quella di esperti di economia e politiche eco-
mici che interagiscono con scienziati in campi correlati. nomiche con preparazione scientifica, i quali forniscono
La pioggia acida è causata in gran parte dalla combustione ai dirigenti delle imprese e delle pubbliche amministra-
di carbone fossile ad alto tenore di zolfo, uno dei princi- zioni le informazioni di cui necessitano per prendere le
pali combustibili utilizzato in gran parte del Nordamerica loro decisioni. Con tutti questi apporti, la comprensione
e dell’Europa. Quando il carbone brucia, i prodotti gassosi interdisciplinare della pioggia acida è aumentata enorme-
della combu­ stione, comprendenti un ossido dello zolfo mente e di certo continuerà ad aumentare.
presente nel carbone come impurezza, vengono asportati Queste professioni sono soltanto alcune di quelle
dai venti prevalenti. A contatto con l’ossigeno e la piog- ­coinvolte nello studio di un singolo problema correlato con
gia, questo ossido di zolfo subisce trasformazioni chimiche, la chimica. I principi della chimica valgono per molte altre
dando origine alla pioggia acida. (Esamineremo i partico- di­scipline, dalla medicina e dalla farmacologia al restauro
lari chimici di questo processo nei capitoli seguenti). Negli delle opere d’arte e alla criminologia, dalla genetica e dalla
Stati Uniti nordorientali e nelle parti adiacenti del Canada, ricerca spaziale all’archeologia e all’oceanografia. La risolu­
la pioggia acida ha provocato morie di pesci, ha decimato zione dei problemi di chimica ha una pertinenza di vasta
le foreste, ha arrecato danni alle colture e ha rilasciato sos- portata in molti aspetti della vita quotidiana e anche nella
tanze nocive nel suolo. La pioggia acida ha danneggiato vostra carriera futura.

pesature sono riproducibili). In A, però, è alta anche l’accuratezza (i valori sperimen-


tali sono vicini al valore “vero” 25,0 g), mentre in B l’accuratezza è bassa (c’è un
errore sistematico). Nei diagrammi C e D c’è un errore casuale grande; cioè, la pre-
cisione è bassa. L’errore casuale grande è detto anche dispersione (scatter). Ma è
importante notare che in D c’è anche un errore sistematico (tutti i valori sono
troppo grandi), mentre in C la media dei valori è vicina al valore “vero”.
L’errore sistematico può essere evitato, o almeno tenuto in conto, mediante la
taratura (detta anche calibrazione, dall’inglese calibration) dello strumento di misu-
ra, nella quale si confronta lo strumento con un campione noto. Per esempio, l’erro-
re sistematico nel diagramma B potrebbe essere causato da un cilindro di mediocre

01txt.indd 28 15/05/19 14:52


Le chiavi per lo studio della chimica 29

fattura, che indica “25,0” quando in realtà contiene circa 27 mL. Se si riuscisse a
identificare questo errore sistematico mediante un procedimento di taratura, si po-
trebbe correggere tutte le misure di volume ottenute con quel cilindro. La taratura
degli strumenti è una parte essenziale della misurazione diligente.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


1.1 (a) Trasformazione fisica. Lo iodio solido si trasforma in 7,5 g 1kg
1.5 Massa (kg) del campione = 4,6 cm × ×
3
iodio liquido.
1 cm 3 103 g
(b) Trasformazione chimica. La benzina brucia in aria per
formare differenti sostanze. = 0,034 kg
(c) Trasformazione chimica. Al contatto con l’aria, la cute lesa
e il sangue reagiscono per formare differenti sostanze. 1.6 T (in °C) = 234 K − 273,15 = −39 °C
1.2 Numero di poltrone Il risultato contiene 2 cifre significative (vedi Paragrafo 1.6)
2 2
200 m 10 000 cm 1poltrona 1.7 (a) 31,0 70 mg, 5 cifre significative
=3 rotoli × × ×
1 rotolo 1 m2 29 000 cm 2
(b) 0,06060 g, 4 cifre significative
= 207 poltrone (c) 2,000×102 mL, 4 cifre significative
13 cm 3 1mL (d) 3,9×10−6 m, 2 cifre significative
1.3 Volume (mL) = 15,0 mm × ×
3 3
103 mm 3 1 cm 3
(e) 4,01×10−4 L, 3 cifre significative
= 3,38 mL
25,65mL + 37,4 mL
1.8 = 51,4 mL/min
1.4 Massa (kg) di pioggia ⎛1min ⎞⎟
73,55 s ⎜⎜⎜ ⎟⎟
60 min 5,1×105 gocce ⎝ 60 s ⎟⎠
=1,5 h × ×
1h 1 min

65 mg 1g 1kg
× × 3 × 3
1 goccia 10 mg 10 g

= 3,0 ×103 kg

01txt.indd 29 15/05/19 14:52


I componenti della materia 2
DA SAPERE PRIMA Quando guardiamo un sasso insolito, una bella conchiglia o persino un oggetto fab-
• trasformazioni fisiche e chimiche
bricato dall’uomo, quale un CD, non sorprende che una delle nostre prime doman-
(Paragrafo 1.1) de possa essere: “Di che cos’è fatto?”. Dopo tutto, porsi domande sulla costituzione
• stati di aggregazione della materia elementare delle cose è un’abitudine che risale a molto tempo fa, anche se oggi af-
(Paragrafo 1.1)
• attrazione e repulsione fra parti-
frontiamo questa domanda in modo molto diverso da come l’affrontavano molti dei
celle cariche (Paragrafo 1.1) filosofi dell’antica Grecia. Essi credevano che ogni cosa fosse costituita da un’unica
• significato di un modello scientifi- sostanza elementare o, al massimo, da un piccolo numero di sostanze elementari.
co (Paragrafo 1.3)
• unità SI e fattori di conversione
Vedendo quanto erano vasti i fiumi e i mari, alcuni credevano che la sostanza ele-
(Paragrafo 1.5) mentare fosse l’acqua. Altri pensavano che fosse l’aria, che poteva “assottigliarsi” per
• cifre significative nei calcoli dare origine al fuoco o “ispessirsi” per formare nubi, pioggia e rocce. Altri ancora
(Paragrafo 1.6)
credevano che esistessero quattro sostanze elementari – fuoco, aria, acqua e terra
– con proprietà in grado di spiegare le capacità di produrre sensazioni di caldo o
freddo, di umido, di dolce e molte altre caratteristiche delle cose.
Il filosofo, fisico e matematico greco Democrito di Abdera (460-370 circa a.C.),
il padre dell’atomismo, adottò un differente approccio. Invece di considerare una
sostanza specifica, concentrò l’attenzione sui componenti ultimi di tutte le sostan-
ze. Il suo ragionamento era all’incirca questo: “Se si taglia, per esempio, un pezzo
di rame in parti sempre più piccole, si deve finire per raggiungere una particella di
rame così piccola che non può più essere tagliata”. Perciò, la materia deve essere
costituita, in ultima analisi, da particelle indivisibili, e tra di esse non c’è altro che
spazio vuoto. Democrito chiamò atomi (dal greco átomos, “indivisibile”) queste par-
ticelle ultime e proclamò: “Secondo la tradizione, esistono un dolce e un amaro, un
caldo e un freddo, e, secondo la tradizione, un ordine. In verità, esistono atomi e
vuoto”. Però, Aristotele (384-322 a.C.), che elaborò il concetto di quattro sostanze
elementari, sosteneva l’impossibilità dell’esistenza del “nulla”. A causa della potente
influenza di Aristotele, il concetto di atomi non fu più preso in considerazione per
2000 anni.
Finalmente, nel XVII secolo, il fisico britannico Robert Boyle (1627-1691) af-
fermò che un elemento è costituito da “corpi semplici, non fatti di altri corpi, da
cui sono costituiti tutti i corpi misti, e in cui essi finiscono per risolversi”, una
descrizione che è notevolmente simile all’odierno concetto di elemento, in cui i
“corpi semplici” sono gli atomi. Fu il punto di partenza del meraviglioso processo
di scoperta, discussione e riscoperta che contraddistingue l’indagine scientifica,
esemplificata dall’opera di Lavoisier. Ulteriori studi condotti nel XVIII secolo die-
dero origine a leggi concernenti le masse relative delle sostanze che reagiscono
l’una con l’altra. Poi, all’inizio del XIX secolo, il chimico e fisico inglese John Dalton
(1766-1844) propose un modello atomico che spiegava queste leggi e che determi-
nò presto rapidi progressi nella chimica. Verso la fine del XIX secolo, però, ulteriori
osservazioni indicarono che era necessario rivedere il modello di Dalton. All’inizio
del XX secolo, un’esplosione di creatività diede origine a un modello dell’atomo
con una struttura interna complessa, dal quale sarebbe nato il modello attuale.

02txt.indd 30 15/05/19 14:55


I componenti della materia 31

IN QUESTO CAPITOLO esamineremo le proprietà e la composizione di tre tipi


di materia – gli elementi, i composti e le miscele – su scala macroscopia e su
scala atomica. Esamineremo le leggi di massa e la teoria proposta da Dalton
per spiegarle. Per farci un’idea approfondita di come funziona la scienza, esa-
mineremo alcuni degli esperimenti essenziali che diedero origine all’attuale
modello dell’atomo. La parte principale del capitolo considererà la struttura
atomica, la classificazione degli elementi, la combinazione degli elementi per
formare composti, la determinazione dei nomi, delle formule e delle masse dei
composti, e la classificazione e separazione delle miscele.

2.1 ELEMENTI, COMPOSTI E MISCELE:


UNO SGUARDO D’INSIEME DAL PUNTO
DI VISTA ATOMICO
La materia può essere generalmente classificata in tre tipi: elementi, composti e
miscele. Un elemento è il tipo di materia più semplice, con proprietà fisiche e chi-
miche esclusive. Un elemento è costituito da una sola specie di atomo. Perciò, non può
essere scomposto in un tipo di materia più semplice con metodi fisici o chimici.
Un elemento è un tipo di sostanza pura (o, più semplicemente, di sostanza), ma-
teria la cui composizione è fissa. Ogni elemento ha un nome, per esempio, silicio,
ossigeno, rame. Un campione di silicio contiene soltanto atomi di silicio. Un punto
essenziale da ricordare è che le proprietà macroscopiche di un campione di silicio,
quali il colore, la densità e la combustibilità, sono diverse da quelle di un campione
di rame perché gli atomi di silicio sono diversi dagli atomi di rame; in altre parole,
ciascun elemento è unico perché sono uniche le sue proprietà atomiche.
La maggior parte degli elementi esistono in natura come popolazioni di singoli
atomi. La Figura 2.1A mostra atomi di un elemento gassoso quale il neon. Però, Figura 2.1 Elementi, compo­
parecchi elementi esisono in natura in forma molecolare: una molecola è u ­ n’unità sti e miscele su scala atomica.
A. La maggior parte degli ele-
strutturale indipendente costituita da due o più atomi legati chimicamente tra
menti è costituita da un grande
loro (Figura 2.1B). Per esempio, l’ossigeno è presente nell’aria sotto forma di mole- insieme di atomi identici. B.
cole biatomiche. Alcuni elementi esistono come
Un composto è un tipo di materia costituito da due o più elementi diversi che molecole. C. Una molecola di
sono legati chimicamente tra loro. Accertatevi di avere compreso che gli elementi in un composto è costituita da
numeri caratteristici di atomi
un composto non sono semplicemente miscelati tra loro; invece, come mostra la
di due o più elementi legati
Figura 2.1C, i loro atomi sono uniti chimicamente. Alcuni composti comuni sono chimicamente tra loro. D. Una
l’acqua, l’ammoniaca e il diossido di carbonio (comunemente detto anidride carbo- miscela contiene le unità indi-
nica). Una caratteristica che definisce un composto è il fatto che in esso gli elementi viduali di due o più elementi
sono presenti in parti fisse in massa (rapporti fissi delle masse). In virtù di questa e/o composti mescolati fisi-
camente. I campioni mostrati
composizione fissa, un composto è considerato anche una sostanza. Una molecola di
in questa figura sono gas, ma
un composto ha le stesse parti fisse in massa essendo costituita da numeri fissi di esistono elementi, composti e
atomi degli elementi componenti. miscele allo stato liquido e allo
stato solido.

A Atomi di un elemento B Molecole di un elemento C Molecole di un composto D Miscela di due elementi


e un composto

02txt.indd 31 15/05/19 14:55


32 Capitolo 2

Tabella 2.1 Alcune proprietà del sodio, del cloro e del cloruro di sodio
Proprietà Sodio + Cloro Cloruro di sodio

Temperatura (punto) di fusione 97,8 °C −101 °C 801 °C


Temperatura (punto) di ebollizione 881,4 °C −234 °C 1413 °C
Colore Argenteo Giallo-verde Incolore (bianco)
Densità 0,97 g/cm3 0,0032 g/cm3 2,16 g/cm3
Comportamento in acqua Reattivo Lievemente solubile Solubile
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

Per esempio:
un campione di ammoniaca è costituito da 14 parti di N e da 3 parti
di H in massa; N
1 atomo di N ha una massa pari a 14 volte la massa di 1 atomo di H;
H
perciò, 1 molecola di ammoniaca è formata da 1 atomo di N e 3 atomi
di H.
Un’altra caratteristica che definisce un composto è il fatto che le sue proprietà sono
diverse da quelle degli elementi componenti. La Tabella 2.1 presenta un esempio sor-
prendente. Il sodio, un metallo tenero di colore argenteo, e il cloro, un gas tossico
di colore giallo-verde, hanno proprietà molto diverse da quelle del composto che
formano: il cloruro di sodio cristallino, bianco, il comune sale da cucina! A differen-
za di un elemento, un composto può essere scomposto in sostanze più semplici: gli
elementi componenti. Per esempio, una corrente elettrica fatta passare attraverso
il cloruro di sodio fuso lo scompone in sodio metallico e in cloro gassoso. È im-
portante notare che questa scomposizione è una trasformazione chimica, non una
trasformazione fisica.
La Figura 2.1D illustra una miscela, un gruppo di due o più sostanze (elementi
e/o composti) che sono mescolati fisicamente. A differenza di un composto, i compo-
nenti di una miscela possono variare nelle loro parti in massa. Una miscela, non avendo
una composizione fissa, non è una sostanza. Per esempio, una miscela dei due com-
posti cloruro di sodio e acqua può avere molti differenti rapporti delle masse sale/
acqua. Poiché i componenti sono miscelati fisicamente, non combinati chimicamente,
una miscela, su scala atomica, è semplicemente un gruppo delle unità individuali che
costituiscono gli elementi e i composti componenti. Perciò, una miscela conserva molte
delle proprietà dei suoi componenti. Per esempio, l’acqua salata è incolore come l’acqua
e ha un sapore salato come il cloruro di sodio. A differenza dei composti, le miscele
possono essere separate nei loro componenti mediante trasformazioni fisiche; non sono
necessarie trasformazioni chimiche. In questo caso, l’acqua presente nell’acqua salata
può essere fatta evaporare mediante ebollizione, un processo fisico che separa il clo-
ruro di sodio dall’acqua.

2.2 LE OSSERVAZIONI CHE CONDUSSERO


A UNA CONCEZIONE ATOMICA DELLA MATERIA
Qualunque modello della composizione della materia doveva spiegare due osser-
vazioni chimiche estremamente importanti che erano state stabilite alla fine del
XVIII secolo: la legge di conservazione della massa e la legge della composizione definita
e costante. Come vedremo, la teoria atomica di John Dalton spiegava queste leggi e
un’altra osservazione nota come legge delle proporzioni multiple.

Conservazione della massa


La più fondamentale osservazione chimica fatta nel XVIII secolo fu la legge di
conservazione della massa: la massa totale delle sostanze rimane invariata du-

02txt.indd 32 15/05/19 14:55


I componenti della materia 33

cromato di Figura 2.2 La legge


PRIMA DELLA REAZIONE piombo solido DOPO LA REAZIONE di conservazione della
soluzione
in soluzione massa: la massa rima­
di nitrato
di nitrato ne costante durante
di piombo soluzione di sodio una reazione chimica.
di cromato di sodio
La massa totale della
soluzione di nitrato di
piombo e della solu-
zione di cromato di
sodio prima della loro
reazione (a sinistra)
è uguale alla massa
totale dopo la reazione
(a destra) per formare
cromato di piombo
(solido giallo) e soluzio-
rante una reazione chimica. Il numero di sostanze può variare e, per definizione, le ne di nitrato di sodio.
(Foto: © McGraw-Hill
loro proprietà devono variare, ma la quantità totale di materia rimane costante.
Education/Stephen
Lavoisier aveva enunciato per primo questa legge sulla base dei suoi esperimenti Frisch, photographer).
sulla combustione, in cui aveva scoperto che la massa dell’ossigeno più la massa
del mercurio è uguale alla massa dell’ossido di mercurio che essi formano. La
Figura 2.2 illustra la conservazione della massa in una reazione che si svolge
nell’acqua.
La massa si conserva anche in una trasformazione biochimica complessa che av-
viene in un organismo, quale il metabolismo del glucosio, che implica molte reazioni:
180 g di glucosio + 192 g di ossigeno gassoso → 264 g di diossido di carbonio
+ 108 g di acqua
372 g di materia prima della trasformazione → 372 g di materia dopo la trasformazione
La conservazione della massa significa che, sulla base di tutte le osservazioni chimi-
che, la materia non può essere creata né distrutta.

Composizione definita e costante


Un’altra osservazione chimica fondamentale è compendiata come legge della
composizione definita e costante: indipendentemente dalla sua fonte, un particola-
re composto chimico è costituito dagli stessi elementi nelle stesse parti (frazioni) in massa.
• Variazioni di massa
inapprezzabili Grazie all’opera
La frazione in massa è quella parte della massa del composto che è rappresen- di Albert Einstein (1879-1955) oggi
tata da ciascun elemento nel composto. Si ottiene dividendo la massa di ciascun sappiamo che la massa e l’ener-
elemento per la massa totale del composto. La percentuale in massa (massa gia non sono grandezze distinte
percentuale, massa %) è la frazione in massa espressa come percentuale. [La legge bensì costituiscono la grandezza
massa-energia, cioè la massa è una
della composizione definita e costante è nota anche come legge delle proporzioni de- forma di energia. Sappiamo anche
finite e costanti o legge di Proust, dal nome del chimico francese Joseph-Louis Proust che una certa quantità di massa
(1754-1826)]. si converte realmente in energia
Esaminiamo il significato di questi concet- durante ogni reazione chimica, ma
1,0 g 1,0 g 1,0 g questa quantità è assai inferiore al
ti facendo riferimento a una scatola di biglie (a 2,0 g 2,0 g limite di sensibilità delle bilance
destra). La scatola contiene tre tipi di biglie: le 3,0 g 3,0 g 3,0 g moderne. Per esempio, quando 100
biglie gialle hanno ciascuna una massa di 1,0 g, g di carbonio bruciano in ossigeno,
le biglie viola hanno ciascuna una massa di 2,0 soltanto 0,000000036 g (3,6 × 10−8
16,0 g di biglie
g e le biglie rosse hanno ciascuna una massa g) di massa si convertono in energia
di 3,0 g. Ciascun tipo costituisce una frazione e, quindi, non se ne tiene conto nel
prodotto, il diossido di carbonio.
della massa totale di biglie, 16,0 g. La frazione in massa delle biglie gialle è data dal La resa energetica delle reazioni
loro numero moltiplicato per la massa di ciascuna biglia divisa per la massa totale: chimiche ordinarie è relativamente
(3 × 1,0 g)/(16,0 g) = 0,19. La percentuale in massa (parti su 100 parti) delle biglie piccola e quindi, per tutti gli scopi
gialle è data da 0,19 × 100/100 = 0,19 × 100% = 19% in massa. Le biglie viola han- pratici, la massa si conserva. (Al
no una frazione in massa pari a 0,25 e una percentuale in massa pari a 25%; le contrario di ciò che avviene nelle
reazioni nucleari dove le variazioni
biglie rosse hanno una frazione in massa pari a 0,56 e una percentuale in massa di energia sono così grandi che le
pari a 56%. Analogamente, in un composto, ciascun elemento ha una frazione in variazioni di massa possono essere
massa (e una percentuale in massa) fissa. misurate facilmente).

02txt.indd 33 15/05/19 14:55


34 Capitolo 2

Consideriamo il carbonato di calcio, il principale composto presente in un campio-


ne di gesso. Si ottengono i seguenti risultati per la composizione in massa elemen-
tare di 20,0 g di carbonato di calcio:

Analisi in massa Frazione in massa Percentuale in massa


(grammi/20,0 g) (parti/1,00 parte) (parti/100 parti)
8,0 g calcio 0,40 calcio 40% calcio
2,4 g carbonio 0,12 carbonio 12% carbonio
9,6 g ossigeno 0,48 ossigeno 48% ossigeno
CARBONATO DI CALCIO
40% in massa di calcio 20,0 g 1,00 parte in massa 100% in massa
12% in massa di carbonio
48% in massa di ossigeno

Come si può vedere, la somma delle frazioni in massa (o delle percentuali in massa)
è uguale a 1,00 parte (o a 100%) in massa. La legge della composizione definita e
costante dice che i campioni puri di carbonato di calcio contengono sempre gli
stessi elementi nelle stesse percentuali in massa (Figura 2.3).
Poiché un dato elemento costituisce sempre la stessa frazione in massa di un
dato composto, possiamo usare la frazione in massa per trovare la massa effettiva
dell’elemento in qualsiasi campione del composto:

Figura 2.3 La legge della parte in massa dell’elemento


=
massa dell’elemento massa del composto ×
composizione definita e costan­ 1 parte in massa del composto
te. Il carbonato di calcio esiste in
natura in molte forme, compren- Ossia, più semplicemente, poiché l’analisi in massa indica parti in massa, possiamo
denti il marmo (in alto), lo sche-
letro delle madrepore o coralli
usarla direttamente con qualsiasi unità di massa e tralasciare la necessità di trovare
(in basso), il gesso e le conchiglie. prima la frazione in massa:
Le percentuali in massa degli ele-
menti componenti restano inva- massa dell’elemento nel campione
riate indipendentemente dalla
fonte del =
massa dell’elemento nel composto
composto. (Foto statua: massa del composto nel campione × (2.1)
© Atthiam/123RF; foto corallo: massa del composto
© Alexander Cherednichenko/
Shutterstock.com).

Calcolo della massa di un elemento in un composto


PROBLEMA DI VERIFICA 2.1
Problema La pechblenda è il composto dell’uranio più importante industrialmente. L’analisi
indica che 84,2 g di pechblenda contengono 71,4 g di uranio e che l’unico altro elemento è
l’ossigeno. Quanti grammi di uranio si possono ottenere da 102 kg di pechblenda?
Piano Dobbiamo trovare la massa dell’uranio in una massa nota di pechblenda, data la
massa dell’uranio in una differente massa di pechblenda. Il rapporto in massa uranio/pech-
blenda è lo stesso per ogni campione di pechblenda. Perciò, com’è indicato dall’Equazione
2.1, moltiplichiamo la massa (in kilogrammi) del campione di pechblenda per il rapporto
uranio/pechblenda ottenuto dall’analisi in massa. Otteniamo così la massa (in kilogrammi)
dell’uranio e convertiamo semplicemente i kilogrammi in grammi.
massa (kg) della pechblenda
Risoluzione Determinazione della massa (kg) dell’uranio in 102 kg di pechblenda:
moltiplicare per il rapporto tra la
massa (kg) di uranio nella pechblenda
massa dell’uranio e la massa della =
massa (kg) di uranio massa (kg) di pechblenda×
pechblenda ottenuto dall’analisi massa (kg) di pechblenda
massa (kg) dell’uranio 71,4 kg di uranio
massa (kg) di uranio =102 kg di pechblenda × =86, 5 kg di uranio
84, 2 kg di pechblenda
1 kg 1000 g
Conversione della massa da kilogrammi a grammi:
massa (g) dell’uranio 1000 g
massa (g) di uranio = 86,5 kg di uranio × =8,65 × 104 g di uranio
1 kg

02txt.indd 34 15/05/19 14:55


I componenti della materia 35

Verifica L’analisi ha mostrato che la maggior parte della massa della pechblenda è dovuta
all’uranio e quindi la grande massa di uranio ha senso. Arrotondando per verificare il proce-
dimento matematico, otteniamo:
70
 100 kg pechblenda × = 82 kg uranio
85
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.1 Quante tonnellate (t) di ossigeno
sono combinate in un campione di pechblenda che contiene 2,3 t di uranio? (Suggerimento:
si ricordi che l’ossigeno è l’unico altro elemento presente).

Proporzioni multiple
Dalton descrisse un fenomeno che si produce quando due elementi formano più
di un composto. La sua osservazione è detta oggi legge delle proporzioni mul-
tiple: se gli elementi A e B reagiscono per formare due composti, le differenti masse di
B che si combinano con una massa fissa di A possono essere espresse come rapporti di
numeri interi piccoli. Consideriamo, per esempio, due composti che si formano a
partire da carbonio e ossigeno; per il momento li chiamiamo ossidi di carbonio I e
II. Questi composti hanno proprietà molto diverse. Per esempio, la densità, misurata
alla stessa temperatura e alla stessa pressione, dell’ossido di carbonio I è 1,25 g/L,
mentre quella dell’ossido di carbonio II è 1,98 g/l. Inoltre, l’ossido di carbonio I
è tossico e infiammabile, mentre l’ossido di carbonio II non ha queste proprietà.
L’analisi indica che le loro composizioni in massa sono
ossido di carbonio I: 57,1% in massa di ossigeno e 42,9% in massa di carbonio
ossido di carbonio II: 72,7% in massa di ossigeno e 27,3% in massa di carbonio
Per osservare il fenomeno delle proporzioni multiple, usiamo le percentuali in mas-
sa di ossigeno e di carbonio in ciascun composto per trovare le masse di questi
elementi in una data massa, per esempio 100 g, di ciascun composto. Poi dividiamo
la massa di ossigeno per la massa di carbonio in ciascun composto per ottenere la
massa di ossigeno che si combina con una massa fissa di carbonio:

Ossido di carbonio I Ossido di carbonio II


g ossigeno/100 g composto 57,1 72,7
g carbonio/100 g composto 42,9 27,3
g ossigeno/g carbonio 57,1/42,9 = 1,33 72,7/27,3 = 2,66

Se poi dividiamo i grammi di ossigeno per grammo di carbonio dell’ossido di car-


bonio II per i grammi di ossigeno per grammo di carbonio dell’ossido di carbonio I,
otteniamo un rapporto di numeri interi piccoli:
2, 66 g ossigeno/g carbonio in II 2
=
1,33 g ossigeno/g carbonio in I 1

La legge delle proporzioni multiple dice che in due composti degli stessi due ele-
menti la frazione in massa di uno dei due elementi rispetto all’altro varia in incre-
menti basati su rapporti di numeri interi piccoli. In questo caso, il rapporto è 2:1; per
una data massa di carbonio, l’ossido di carbonio II contiene 2 volte la massa di ossi-
geno contenuta nell’ossido di carbonio I, non 1,583 volte o 1,716 volte, né qualsiasi
altra quantità intermedia. Come vedremo tra poco, la teoria di Dalton permette di
spiegare su scala atomica la composizione degli ossidi di carbonio I e II.

2.3 LA TEORIA ATOMICA DI DALTON


Con quasi 200 anni di “senno di poi” può essere facile vedere come le leggi di massa
potrebbero essere spiegate con un modello atomico – la materia esiste in unità indi-

02txt.indd 35 15/05/19 14:55


36 Capitolo 2

struttibili, ciascuna con una particolare massa – ma questa spiegazione fu un decisivo


progresso nel 1808, quando il chimico e fisico inglese John Dalton (1766-1844)
enunciò la sua teoria atomica della materia in A New System of Chemical Philosophy.

Postulati della teoria atomica


Dalton espresse la sua teoria in una serie di postulati. Come la maggior parte dei
grandi pensatori, Dalton fece propri i concetti di altri per creare una nuova teoria.
DALTON RIPORTA IN VITA Nel percorrere i postulati, che sono presentati qui in termini moderni, vedremo
L’ATOMISMO quali concetti erano originali e quali erano mutuati da altri scienziati. (Più avanti,
saremo in grado di esaminare le differenze essenziali tra i postulati di Dalton e la
conoscenza attuale).
1. Tutta la materia è costituita da atomi, piccolissime particelle indivisibili di un
elemento che non possono essere create né distrutte. (Questo postulato deriva
dagli “atomi eterni, indistruttibili” proposti da Democrito più di 2000 anni
prima ed è conforme alla conservazione della massa enunciata da Lavoisier).
2. Gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di un altro
elemento. Nelle reazioni chimiche, le sostanze originali si separano in atomi,
che si ricombinano per formare differenti sostanze. (Questo postulato rifiuta la
credenza alchemica nella trasmutazione magica degli elementi).
3. Gli atomi di un elemento sono identici nella massa e nelle altre proprietà e
sono diversi dagli atomi di ogni altro elemento. (Questo postulato contiene
i principali nuovi concetti di Dalton: massa e proprietà esclusive di tutti gli
atomi di un dato elemento).
4. I composti sono formati dalla combinazione chimica di uno specifico rapporto
di atomi di differenti elementi. (Questo postulato è una diretta conseguenza
del fatto della composizione definita e costante).

Come la teoria di Dalton spiega le leggi di massa


Vediamo come i postulati di Dalton spiegano le leggi di massa.
• Conservazione della massa. Gli atomi non possono essere creati o distrutti
(postulato 1) o convertiti in altre specie di atomi (postulato 2). Poiché ogni
specie di atomo ha una massa fissa (postulato 3), una reazione chimica, in cui
gli atomi si combinano semplicemente in differenti modi l’uno con l’altro, non
può determinare una variazione di massa.
• Composizione definita e costante. Un composto è una combinazione di uno
C O
specifico rapporto di differenti atomi (postulato 4), ciascuno dei quali ha una
ossido di carbonio I
particolare massa (postulato 3). Perciò, ogni elemento presente in un composto
(monossido di carbonio) costituisce una frazione fissa della massa totale.
• Proporzioni multiple. Gli atomi di un elemento hanno la stessa massa (postulato
3) e sono indivisibili (postulato 1). Poiché differenti numeri di atomi B si com-
binano con ciascun atomo A in differenti composti, le masse di elemento B che
O C O
si combinano con una massa fissa di elemento A danno un rapporto di numeri
ossido di carbonio II
interi piccoli.
(diossido di carbonio)
La disposizione più semplice, compatibile con i dati relativi alle masse per gli ossi-
di di carbonio I e II del precedente esempio, è che 1 atomo di ossigeno si combina
Figura 2.4 Le basi atomiche
con 1 atomo di carbonio nel composto I (monossido di carbonio) e che 2 atomi
della legge delle proporzioni
multiple. Il carbonio e l’ossige- di ossigeno si combinano con 1 atomo di carbonio nel composto II (diossido di
no si combinano per formare carbonio) (Figura 2.4).
ossido di carbonio I (monossido
di carbonio) e ossido di car-
bonio II (diossido di carbonio).
Le masse relative degli atomi
Le masse di ossigeno nei due Dopo la pubblicazione della teoria atomica, i ricercatori cercarono di determinare le
composti relativamente a una
massa fissa di carbonio stanno
masse degli atomi ricavandole dalle frazioni in massa degli elementi nei composti.
in un rapporto di numeri interi Ma un singolo atomo è così piccolo che la massa di tutti gli atomi di un elemento
piccoli. può essere determinata soltanto relativamente alla massa di tutti gli atomi di un altro

02txt.indd 36 15/05/19 14:55


I componenti della materia 37

elemento. Come base per queste masse relative, Dalton assegnò massa 1 all’atomo di
idrogeno, la sostanza di massa più piccola (“più leggera”) che si conosca. Poi, basan-
dosi sull’opera di Lavoisier, che aveva mostrato che l’acqua contiene 8 g di ossigeno
per ogni grammo di idrogeno, Dalton assegnò massa relativa 8 all’atomo di ossigeno.
Ma questa massa relativa sarebbe corretta soltanto se una molecola d’acqua avesse 1
atomo di ossigeno per ogni atomo di idrogeno:
1 atomo di ossigeno (massa relativa 8) 8
equivale a (rapporto delle masse)
1 atomo di idrogeno (massa 1) 1

Però, alcuni altri ricercatori, misurando i volumi di gas che reagiscono tra loro, tro-
varono che 2 L di idrogeno gassoso reagivano con 1 L di ossigeno gassoso. Questo
risultato implicava che una molecola d’acqua aveva 1 atomo di ossigeno per ogni 2
atomi di idrogeno e, perciò, che l’ossigeno aveva massa relativa 16:
1 atomo di ossigeno (massa relativa 16) 16 8
= equivale a (rapporto delle masse)
2 atomi di idrogeno (massa 1 ciascuno) 8 1

Quale delle due masse relative era quella corretta? Sorsero molti conflitti simili con
altri elementi e occorsero decenni per risolverli. Infine, poco dopo il Congresso di
Karls­ruhe nel settembre del 1860, a cui parteciparono oltre 140 dei più eminenti
chimici dell’epoca, venne accettato un elenco di elementi con masse atomiche rela-
tive accurate – 16 per l’ossigeno, 12 per il carbonio e così via – e furono introdotte
nell’uso comune formule chimiche quali H2O per l’acqua, NH3 per l’ammoniaca e
CH4 per il metano. Il modello atomico di Dalton ebbe un’importanza cruciale per
questo sviluppo della conoscenza chimica perché propose l’ipotesi che le masse
degli elementi reagenti potessero essere spiegate in termini di atomi.
Poco dopo, però, il modello di Dalton si dimostrò troppo limitato. Non era in
grado di spiegare perché gli elementi si combinano come fanno: perché, per esem-
pio, 2, non 3, atomi di H si combinano con 1 atomo di O in una molecola d’acqua?
Inoltre, il modello dell’atomo di Dalton, basato su “palle da biliardo”, non era in gra-
do di spiegare le particelle elettricamente cariche che sarebbero presto comparse
in molti esperimenti. Per comprendere queste osservazioni era necessario un più ATOMI? ALLUCINAZIONI!
complesso modello dell’atomo.

2.4 LE OSSERVAZIONI CHE CONDUSSERO


AL MODELLO NUCLEARE DELL’ATOMO
Il cammino della scoperta è spesso tortuoso e imprevedibile. La ricerca di base
sulla natura dell’elettricità condusse alla fine alla scoperta degli elettroni, particelle
cariche negativamente che fanno parte di tutti gli atomi. Poco tempo dopo, altri
esperimenti svelarono che l’atomo ha un nucleo: un piccolo “nocciolo” centrale con
una sua massa e una carica positiva. In questo paragrafo esamineremo alcuni degli
esperimenti essenziali che condussero all’attuale modello dell’atomo.

Scoperta dell’elettrone e delle sue proprietà


Nel XIX secolo gli studiosi dell’elettricità sapevano che la materia e la carica elettrica
erano in qualche modo in relazione. Quando l’ambra viene strofinata con una pellic-
cia, o il vetro con un tessuto di seta, si generano cariche positive e cariche negative:
le stesse cariche che fanno crepitare e aderire i capelli quando ci si pettina in una
giornata secca. Sapevano anche che una corrente elettrica fatta passare attraverso
certi composti era capace di decomporli negli elementi da cui erano costituiti.
Ma ciò che non sapevano era che i fenomeni elettrici potevano essere studiati
in assenza di materia. Era stata inventata da poco una potente pompa da vuoto, e
così alcuni ricercatori provarono a far passare una corrente elettrica attraverso tubi
di vetro in cui era stato realizzato un vuoto spinto. Nei tubi erano inseriti elettrodi
collegati a un generatore esterno di tensione. Quando il generatore era acceso, si

02txt.indd 37 15/05/19 14:55


38 Capitolo 2

poteva osservare un “raggio” che andava a incidere sulla superficie t­erminale del
tubo rivestita internamente di un fosfòro, che emetteva luce nel punto colpito
dal raggio. Questi “raggi” furono chiamati raggi catodici in quanto si originavano
all’elettrodo negativo (catodo) e si propagavano fino all’elettrodo positivo (anodo).
Si osservò che essi si propagavano rettilineamente e potevano essere deviati (o
deflessi) da un campo magnetico o da un campo elettrico, ed erano identici, indi-
pendentemente da quale fosse il metallo di cui era fatto il catodo. Le indagini sulle
proprietà dei raggi catodici sono riassunte nella Figura 2.5. Si giunse alla conclusio-
ne che i raggi catodici sono costituiti da particelle cariche negativamente, che sono

• La familiare luce delle


presenti in tutta la materia, e che i raggi si manifestano quando queste particelle
urtano contro le poche molecole di gas residue nei tubi in cui è stato fatto il vuoto.
particelle collidenti Le pro-
prietà e­let­triche e magnetiche delle
Le particelle costituenti i raggi catodici (radiazioni corpuscolari) furono in seguito
particelle cariche che urtano par- chiamate elettroni.
ticelle gas­ sose o colpiscono uno Poco più di 100 anni fa, il fisico e matematico inglese Joseph John Thomson
schermo rivestito di fosfòri (sostan- (1856-1940) impiegò campi magnetici ed elettrici per misurare il rapporto massa/
ze capaci di emettere luce quando
so­no ec­citate in modo appropriato)
carica delle particelle costituenti i raggi catodici. Confrontando il valore di questo
trovano applicazioni familiari. Un’in­ rapporto con quello del rapporto massa/carica delle particelle di massa più piccola
segna “al neon” emette luce perché (“più leggere”) in soluzione, Thomson stimò che le particelle dei raggi catodici
gli elettroni urtano le particelle gas- avessero una massa minore di 1/1000 di quella dell’atomo di idrogeno, l’atomo
sose nel tubo, inducendole a emet-
tere luce. Si produce il fenomeno
di massa più piccola (“più leggero”). Questa scoperta sorprese Thomson perché
dell’aurora polare quan­do il campo ­implicava che, contrariamente alla teoria atomica di Dalton, gli atomi sono divisibili
magnetico terrestre devia fasci di in particelle ancora più piccole.
particelle cariche provenienti dal Nel 1909, il fisico statunitense Robert Andrews Millikan (1868-1953) misurò
Sole, le quali van­no poi a urtare i
gas presenti nell’atmosfera. (Foto:
la carica dell’elettrone. Lo fece osservando il movimento di piccolissime gocce
Insegna luminosa con chitarre in di “olio da orologi di prima qualità” in un apparecchio che conteneva placche
Beale Street a Memphis: © Tetra elettricamente cariche e una sorgente di raggi X, com’è illustrato nella Figura 2.6.
Images/Getty Images). L’esperimento era condotto fondamentalmente come segue. I raggi X determina-
vano l’emissione di elettroni dalle molecole di gas nell’aria sulle quali incidevano e
una goccia d’olio cadeva attraverso un foro nella placca positiva (quella superiore),
gli elettroni venivano catturati dalla goccia e le conferivano una carica negativa.
Operando in assenza di campo elettrico, Millikan misurò la massa della goccia in
base alla sua velocità di caduta. Attivando il campo elettrico e variandone l’inten-
sità, Millikan era in grado di fare cadere la goccia più lentamente, di farla salire o
di arrestarla in sospensione. In base a questi dati, Millikan calcolò la carica totale
della goccia.
Dopo avere studiato molte gocce, Millikan confermò la sua previsione che
le loro varie cariche fossero sempre un multiplo di una carica minima secondo un
numero intero. In base al suo ragionamento, differenti gocce d’olio catturavano un
differente numero di elettroni e quindi questa carica minima doveva essere quella
dell’elettrone stesso. Il valore della carica dell’elettrone, calcolato da Millikan più
di 90 anni fa, differisce meno dell’1% dal valore moderno: −1,602 × 10−19 C (dove
C è il simbolo del coulomb, l’unità SI di carica elettrica). Usando il rapporto massa/
carica dell’elettrone determinato da Thomson e da altri e questo valore della carica
dell’elettrone, calcoliamo la massa estremamente piccola dell’elettrone come fece
Millikan:
massa ⎛ ⎞
massa dell’elettrone = × carica = ⎜⎜−5,686 ×10−12 kg ⎟⎟ (−1,602 ×10−19 C)
carica ⎜⎝ C ⎟⎠

=9,109 ×10−31 kg =9,109 ×10−28 g

Scoperta del nucleo atomico


Le proprietà dell’elettrone sollevavano chiaramente problemi riguardo alla struttura
interna degli atomi. Poiché la materia macroscopica è elettricamente neutra, devono
essere elettricamente neutri anche gli atomi da cui è costituita. Però, se gli atomi con-
tengono elettroni carichi negativamente, quali cariche positive neutralizzano le cariche

02txt.indd 38 15/05/19 14:55


I componenti della materia 39

estremità del tubo rivestita di fosfòri

1
raggio catodico
OSSERVAZIONE CONCLUSIONE

− 1 Il raggio devia Costituito


in presenza di da particelle
N
un campo cariche
anodo 2 magnetico
+ esterno
S
3 2 Il raggio devia Costituito
+ verso la placca da particelle
− tubo evacuato positiva in presenza cariche
di un campo negativamente
elettrico
catodo
esterno
3 Il raggio è identico Le particelle
placca caricata per qualunque fanno parte
positivamente materiale usato di tutta
magnete per il catodo la materia

Figura 2.5 Esperimenti per determinare le proprietà dei raggi catodici. Si genera un raggio catodico quando si applica
un’elevata differenza di potenziale elettrico (tensione elettrica) tra gli elettrodi inseriti in un tubo in cui è stato fatto un vuoto
spinto. Un foro nell’anodo permette al raggio catodico di attraversare questo elettrodo e di andare a colpire l’estremità del tubo
rivestita di fosfòri in un punto che, di conseguenza, emette luce. In assenza di un campo elettrico o magnetico esterno, il raggio
catodico si propaga in linea retta. 1. Il raggio catodico devia in presenza di un campo magnetico esterno e quindi deve essere
costituito da particelle cariche.
2. In presenza di un campo elettrico esterno, il raggio catodico devia verso la placca positiva, e quindi la carica delle particelle
da cui è costituito deve essere negativa. 3. Qualunque sia il materiale di cui è fatto il catodo, il raggio catodico generato è identi-
co e quindi queste particelle devono far parte di tutta la materia: particelle universali cariche negativamente.

Vengono nebulizzate nell’apparecchio


minute gocce d’olio

Alcune gocce d’olio cadono


attraverso il foro
nella placca
carica
positivamente

I raggi X determinano
l’emissione di elettroni
dalle molecole di gas
nell’aria, e gli elettroni vengono
catturati dalla goccia

Le placche
()
elettricamente cariche
influenzano il moto
della goccia

()

L’osservatore Sorgente
cronometra il moto di raggi X
della goccia e regola
l’intensità del campo elettrico

Figura 2.6 Esperimento della goccia d’olio di Millikan per misurare la carica dell’elettrone. Il moto di una data goccia d’o-
lio dipende dalla variazione del campo elettrico e dalla carica totale che essa porta, la quale, a sua volta, dipende dal numero
di elettroni catturati dalla goccia. Secondo il ragionamento di Millikan, la carica totale della goccia doveva essere un multiplo,
secondo un numero intero, della carica dell’elettrone.

02txt.indd 39 15/05/19 14:55


40 Capitolo 2

negative? E, se un elettrone ha una massa estremamente piccola, cosa spiega la massa


di un intero atomo, molto maggiore di quella dell’elettrone? Per rispondere a queste
domande, Thomson propose un modello di un atomo sferico costituito da materia dif-
fusa, carica positivamente, in cui gli elettroni sono immersi come “chicchi di uvetta in
un plum pudding”. [Il plum pudding, letteralmente “budino di prugne”, è un dolce na-
talizio tradizionale britannico nel cui impasto sono dispersi chicchi di uvetta. (N.d.C.)].
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, scienziati francesi scoprirono la radioattività,
ESPERIMENTO l’emissione di particelle e/o radiazioni dagli atomi di certi elementi. Alcuni anni
DI RUTHERFORD
dopo, nel 1910, il fisico inglese di origine neozelandese Ernest Rutherford (1871-
1937) usò un tipo di particella radioattiva in una serie di esperimenti che risolsero
Figura 2.7 Esperimento il dilemma della struttura atomica. La Figura 2.7 è una rappresentazione in tre
di Rutherford di diffusione
delle particelle α e sco­
parti dell’esperimento di Rutherford. Particelle α (alfa) piccole, dense, cariche posi-
perta del nucleo atomico. tivamente, emesse dal radio, erano dirette, co­me minuscoli proiettili, su un sottile
A. Nell’esperimento, le particelle foglio d’oro. La figura illustra (A) l’apparecchio usato per misurare la deviazione
α dirette contro il foglio d’oro (diffusione o scattering) delle particelle α in base ai lampi di luce emessi quando le
determinano l’emissione di un particelle colpivano uno schermo circolare rivestito di un fosfòro costituito da sol-
lampo di luce quando attraver-
sano gli atomi dell’oro e vanno a
furo di zinco, (B) l’ipotesi del “plum-pudding” e (C) il risultato effettivo.
colpire uno schermo rivestito di Rutherford, avendo presente il modello di Thomson, si attendeva soltanto de-
fosfòri. B. Secondo l’ipotesi basa- viazioni piccole o nulle delle particelle α perché esse avrebbero dovuto compor-
ta sul modello a “plum pudding”, tarsi come “proiettili” piccoli, densi, carichi positivamente, e attraversare in linea
gli atomi sono costituiti da elet- retta gli atomi d’oro. Secondo il modello, gli elettroni immersi nella sfera di carica
troni immersi in materia diffusa,
carica positivamente, e quindi
positiva uniformemente distribuita avrebbero dovuto deviare le particelle α in
le particelle α in moto ad alta misura non superiore a quella in cui una pallina da ping-pong avrebbe deviato una
velocità dovrebbero attraversare palla da baseball in movimento a velocità elevata. Ciò che accadde realmente è de-
il foglio d’oro subendo, al massi- scritto nel modo migliore dalle parole dello stesso Rutherford «Ricordo che due o
mo, piccole deviazioni. C. I risul- tre giorni dopo Geiger [uno dei suoi collaboratori] venne da me e mi disse, in preda
tati reali mostrano piccole devia-
zioni sporadiche e grandi devia-
all’eccitazione: “Siamo riusciti a ottenere alcune particelle α che tornavano indietro
zioni molto infrequenti. Questo [...]”. Era l’evento più incredibile che mi sia mai capitato nel corso della mia vita. Era
comportamento delle particelle quasi tanto incredibile quanto l’avere sparato un proiettile di 15 pollici contro un
α potrebbe aver luogo soltanto foglio di carta velina ed essere stati colpiti dal proiettile rimbalzato sulla carta».
se una massa molto grande e I dati indicavano che pochissime particelle α venivano deviate in una qualche
una carica positiva fossero con-
centrate in una piccola regione
misura e che soltanto 1 particella α su 20 000 era deviata di più di 90° (“tornava
entro l’atomo, il nucleo. indietro”). Sembrava che queste poche particelle α venissero respinte da qualcosa di

A Esperimento B Ipotesi: il risultato atteso sulla base


del modello dell’atomo a “plum pudding”
Il fascio di particelle D particelle D
Il campione radioattivo
incide sul foglio d’oro incidenti
emette un fascio
di particelle D
I lampi di luce emessi quando le particelle D
incidono sullo schermo rivestito di solfuro
di zinco (un fosfòro) indicano che la maggior
parte delle particelle Dattraversa il foglio deviazione
Blocco quasi nulla
di piombo

sezione trasversale del foglio d’oro


costituito da atomi a “plum pudding”

C Risultato reale
Foglio d’oro
particelle D
Si osservano incidenti
assai raramente
grandi deviazioni
delle particelle D Si osservano
deviazioni molto
Si osservano sporadicamente piccole o nulle
grande piccola
piccole deviazioni delle delle particelle D deviazione deviazione
particelle D

sezione trasversale del foglio d’oro costituito da atomi


con un nucleo piccolo, massivo, elettricamente positivo

02txt.indd 40 15/05/19 14:55


I componenti della materia 41

piccolo, denso, carico positivamente, presente all’interno degli atomi dell’oro. Con-
siderando la massa, la carica elettrica e la velocità delle particelle α, la frequenza di
• Le tre particelle suba­
tomiche più importanti in
queste deviazioni secondo un grande angolo e le proprietà degli elettroni, Rutherford chimica Di tutte le particelle
calcolò che un atomo è costituito in prevalenza da spazio occupato da elettroni, ma in po- subatomiche scoperte (secondo il
conteggio più recente, oltre 40),
sizione centrale in questo spazio c’è una piccola regione, da lui chiamata nucleo, che
l’elettrone, il protone e il neutrone
contiene tutta la carica positiva ed essenzialmente tutta la massa dell’atomo. Rutherford sono le più importanti in chimi-
formulò l’ipotesi che nel nucleo fossero presenti particelle positive che chiamò pro- ca perché sono molto longeve. La
toni e poi calcolò con notevole accuratezza il valore della carica nucleare. Il modello teoria ipotizza che il protone e il
di Rutherford spiegava la natura elettricamente carica della materia, ma non era in neutrone, quando sono legati nel
nucleo, siano stabili almeno per
grado di spiegare tutta la massa dell’atomo. Questo problema fu risolto soltanto 20
1030 anni. L’e­lettrone è considerato
anni dopo, nel 1932, quando il fisico inglese James Chadwick (1891-1974) scoprì il eterno.
neutrone, una particella densa, elettricamente neutra, situata anch’essa nel nucleo.

2.5 LA TEORIA ATOMICA ODIERNA


Da quasi 200 anni gli scienziati sanno che tutta la materia è costituita da atomi e
hanno molte conoscenze al loro riguardo. Le sfere dure e impenetrabili di Dalton
sono state sostituite da atomi con confini indistinti, “confusi”, e una complessa
architettura interna di particelle subatomiche. In questo paragrafo esamineremo
il modello attuale e cominceremo a vedere come le proprietà di queste particelle
influenzano le proprietà degli atomi. Poi riesamineremo la teoria atomica alla luce
delle conoscenze attuali.

Struttura dell’atomo
Un atomo è un’entità sferica, elettricamente neutra, costituita da un nucleo cen-
trale carico positivamente, circondato da uno o più elettroni carichi negativa-
mente (Figu­ra 2.8). Gli elettroni si muovono rapidamente nel volume atomico
disponibile, ivi trattenuti dall’attrazione esercitata su di essi dal nucleo. Il nucleo
è estremamente denso: contribuisce in misura del 99,97% alla massa dell’atomo
ma occupa soltanto circa un decimillesimo di miliardesimo del suo volume. (Un
nucleo che avesse il diametro di un punto in questa pagina avrebbe una massa di
circa 100 t, pari a quella di 50 automobili!). Il diametro di un atomo (10−10 m)
è pari a circa 10 000 volte il diametro del suo nucleo (10−14 m).
Un nucleo atomico è costituito da protoni e neutroni, eccettuato il nucleo più sem-
plice, quello dell’idrogeno, che è costituito da un singolo protone. Il protone (p+) ha
una carica positiva e il neutrone (n0) è privo di carica; perciò, la carica positiva del
nucleo è dovuta alla carica complessiva dei suoi protoni. Il valore assoluto della carica
posseduta da un protone è uguale a quello della carica di un elettrone (e−), ma i
segni delle due cariche sono opposti. Un atomo è neutro perché il numero di protoni nel
nucleo è uguale al numero di elettroni attorno al nucleo. Alcune proprietà di queste tre
particelle subatomiche sono elencate nella Tabella 2.2. Figura 2.8 Caratteristiche
generali dell’atomo. A. Una
“nuvola” di elettroni carichi
negativamente, in rapido movi-
| 1010 m | 1014 m mento, occupa pressoché tutto
il volume atomico e circonda il
minuscolo nucleo centrale. B. Il
nucleo contiene pressoché tutta
la massa dell’atomo ed è costi-
tuito da protoni carichi positiva-
mente e da neutroni elettrica-
mente neutri. Se il nucleo aves-
protone, p se effettivamente le dimensioni
nucleo elettroni, e (carica positiva)
(carica negativa) indicate nella figura (diametro
neutrone, n0 1 cm), l’atomo avrebbe un
(neutro)
diametro di circa 100 m, lieve-
mente superiore alla lunghezza
A Atomo B Nucleo
di un campo di calcio.

02txt.indd 41 15/05/19 14:55


42 Capitolo 2

Tabella 2.2 Proprietà delle tre particelle subatomiche principali


Carica Massa
Nome (simbolo) Relativa Assoluta (C)* Relativa (u)** Assoluta (g) Posizione nell’atomo

Protone (p+) 1+ +1,602218 × 10−19 1,00727 1,67262 × 10−24 Nucleo


Neutrone (n0) 0 0 1,00866 1,67493 × 10−24 Nucleo
Elettrone (e−) 1− −1,60218 × 10−19 0,00054858 9,10939 × 10−28 All’esterno del nucleo
* Il coulomb (C) è l’unità SI di carica elettrica. Per definizione, 1 C è la quantità di elettricità trasportata in 1 s da una corrente di intensità
1 A (ampere): 1 C = 1 A · s.
** L’unità di massa atomica (u) è uguale a 1,660540 × 10−24 g; è esaminata più avanti in questo paragrafo.

Numero atomico, numero di massa e simbolo atomico


Il numero atomico (Z) di un elemento è uguale al numero di protoni nel nucleo
di ciascuno dei suoi atomi. Tutti gli atomi di un particolare elemento hanno lo stesso
numero atomico, e ciascun elemento ha un numero atomico diverso da quello di ogni altro
elemento. Per esempio, tutti gli atomi di carbonio (Z = 6) hanno 6 protoni, tutti gli
atomi di ossigeno (Z = 8) hanno 8 protoni e tutti gli atomi di uranio (Z = 92) hanno
92 protoni. Si conoscono attualmente 118 elementi, di cui 90 esistono in natura; i
restanti 28 sono stati sintetizzati con processi nucleari.
Il numero totale di protoni e di neutroni nel nucleo di un atomo è il suo nu-
mero di massa (A). Ogni protone e ogni neutrone contribuisce con 1 unità al
numero di massa. Per esempio, un atomo di carbonio, con 6 protoni e 6 neutroni
nel nucleo, ha numero di massa 12, mentre un atomo di uranio, con 92 protoni e
146 neutroni nel nucleo, ha numero di massa 238.
Le informazioni sulla massa e sulla carica nucleare sono spesso incluse nel
simbolo atomico (o simbolo dell’elemento). Ogni elemento è indicato con un
simbolo basato sul suo nome in una lingua moderna, in latino o in greco; per
esempio, C indica il carbonio, O l’ossigeno, S lo zolfo (latino sulphur o sulfur) e Na
il sodio (latino natrium). Il numero atomico (Z) è scritto come pedice a sinistra
del simbolo e il numero di massa (A) è scritto come apice a sinistra del simbolo;
quindi il simbolo dell’elemento X, completo di numero atomico e di numero di
massa, sarebbe AZ X. Poiché il numero di massa è la somma del numero di protoni
• Nome di un elemento
nomi degli elementi hanno varie ori-
I
e del numero di neutroni, il numero di neutroni (N) è uguale al numero di massa
meno il numero atomico:
gini. Il nome del carbonio deriva da
numero di neutroni = numero di massa − numero atomico, ossia N = A − Z (2.2)
“carbone” (latino car­bo). Il nome del
mercurio (Hg) deriva da quello del
pianeta; ma il suo simbolo, Hg, deri- 17Cl ha A = 35, Z = 17 e
Per esempio, un atomo di cloro designato con il simbolo 35
va dal la­tino hydrargyrium, (“argento N = 35 −17 = 18. Poiché ogni elemento ha il proprio numero atomico, possiamo
acqueo”). Alcuni nomi deriva­­no da ottenere il numero atomico dal simbolo. Per esempio, ogni atomo di carbonio ha 6
un’azione chimica, come l’idrogeno protoni, e quindi possiamo scrivere 12C (letto come “carbonio dodici”), con Z = 6
(dal greco hydor, “acqua”, e –genés,
“che genera, che produce”), o da sottinteso, per indicare il carbonio con numero di massa 12. Un altro modo di scri-
una proprietà palese, come il cloro vere questo atomo è “carbonio-12”.
(dal greco chlorós, “verde”). Talvolta
il no­me di un elemento deriva da
quello di un Paese, per esempio
Isotopi e masse atomiche degli elementi
germanio da Germania e americio Tutti gli atomi di un elemento hanno lo stesso numero atomico ma non lo stesso numero di
da America. I nomi degli elementi
itterbio, ittrio, erbio e terbio deri-
massa. Per esempio, tutti gli atomi di carbonio hanno 6 protoni nel nucleo (Z = 6),
vano da quello della città svedese ma soltanto il 98,89% degli atomi di carbonio esistenti in natura ha 6 neutroni nel
di Ytterby, dove furono scoperti. nucleo (A = 12). Una piccola percentuale (1,11%) ha 7 neutroni nel nucleo (A = 13), e
I nomi di alcuni degli elementi di una percentuale ancora minore (inferiore allo 0,01%) ne ha 8 (A = 14). Gli isotopi di
sintesi sono stati attribuiti in omag-
gio a grandi scienziati; per esem-
un elemento sono atomi dell’elemento che hanno differenti numeri di neutroni e quin-
pio, einsteinio da Albert Einstein e di differenti numeri di massa. Il carbonio ha tre isotopi naturali 12C, 13C e 14C. Altri
curio da Marie e Pierre Curie. cinque isotopi del carbonio, 9C, 10C, 11C, 15C e 16C, sono stati osservati in laboratorio.

02txt.indd 42 15/05/19 14:55


I componenti della materia 43

Tutti questi isotopi del carbonio hanno 6 protoni e 6 elettroni. La Figura 2.9 indica il numero
numero atomico, il numero di massa e il simbolo di quattro atomi, due dei quali sono di massa
A
X
(numero di
isotopi dello stesso elemento. Un punto essenziale che noteremo molte volte è che le simbolo
p numero
atomico
proprietà chimiche di un elemento sono determinate principalmente dal numero di di n0)
Z
elettroni, e quindi tutti gli isotopi di un elemento hanno un comportamento chimico quasi numero
identico, anche se hanno differenti masse. atomico
(numero di p)
6e
Determinazione del numero di particelle subatomiche negli isotopi 6p 12
di un elemento 6n0
6 C

PROBLEMA DI VERIFICA 2.2 un atomo di carbonio-12

Problema Il silicio (Si) è essenziale per l’industria dei computer come principale compo-
8e
nente dei chip (piastrine) di semiconduttore su cui vengono realizzati i microprocessori. Ha
tre isotopi naturali: 28Si, 29Si e 30Si. Si determini il numero di protoni, neutroni ed elettroni 8p 16
8n0 O
8
in ciascun isotopo del silicio.
Piano Il numero di massa (A) di ciascuno dei tre isotopi è dato, quindi conosciamo la somma un atomo di ossigeno-16
del numero di protoni e del numero di neutroni. Consultando la tavola periodica degli ele-
menti riportata nell’Appendice H, troviamo il numero atomico (Z, il numero di protoni), che
è uguale al numero di elettroni. Otteniamo il numero di neutroni mediante l’Equazione 2.2. 92e

Risoluzione In base all’elenco degli elementi, il numero atomico del silicio è 14. Perciò,
92p
28
Si ha 14p+, 14e−, 14n0 (dati da 28 − 14) 143n0
235
92 U
29
Si ha 14p+, 14e−, 15n0 (dati da 29 − 14)
30
Si ha 14p+, 14e−, 16n0 (dati da 30 − 14)
un atomo di uranio- 235
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.2 Quanti protoni, neutroni ed elet-
11 41 131
troni vi sono in (a) 5Q? (b) 20X? (c) 53Y? Quali simboli atomici sono rappresentati da Q, X e Y? 92e

La massa di un atomo è misurata in modo più facile relativamente alla massa di un 92p 238
campione atomico prescelto. Il moderno campione di massa atomica è la massa 146n0 92 U
dell’atomo di carbonio-12. Per definizione, essa è pari esattamente a 12 unità di
1
massa atomica. Perciò, l’unità di massa atomica (u) è 12 della massa dell’atomo
1
di carbonio-12. In base a questo campione, l’atomo di H ha una massa di 1,008 u; un atomo di uranio- 238
in altre parole, un atomo di 12C ha una massa quasi 12 volte quella di un atomo di
1
H. L’unità di massa atomica è chiamata anche dalton (Da); perciò, 1 atomo di 12C Figura 2.9 Rappresentazione
dell’atomo. Sono mostrati gli
ha una massa di 12 Da (o di 12 u). L’unità di massa atomica, che è un’unità di massa
atomi di carbonio-12, ossige-
relativa, equivale a una massa assoluta di 1,66054 × 10−24 g. no-16, uranio-235 e uranio-238
La costituzione isotopica di un elemento viene determinata mediante la spet- (i nuclei non sono rappresentati
trometria di massa, un metodo per misurare con grande accuratezza le masse e in scala) con le loro rappresen-
le abbondanze relative delle particelle su scala atomica (vedi scheda Strumenti di tazioni simboliche. La somma
del numero di protoni (Z) e del
laboratorio a pagina 46). Per esempio, usando uno spettrometro di massa, si misura
numero di neutroni (N) è ugua-
il rapporto delle masse 28Si/12C come le al numero di massa (A). Un
massa dell’atomo di 28 Si atomo è elettricamente neutro,
= 2,331411 e quindi il numero di protoni
massa dell’atomo di 12 C assunta come campione
nel nucleo è uguale al numero
Da questo rapporto delle masse si ottiene la massa isotopica dell’atomo di 28Si, la di elettroni attorno al nucleo. I
massa dell’isotopo relativa alla massa dell’isotopo carbonio-12 assunto come campione: due atomi di uranio sono isotopi
dell’elemento.
massa isotopica di 28
Si = rapporto delle masse misurato × massa di 12
C
= 2,331411  × 12 u = 27,97693 u
Insieme alla massa isotopica, lo spettrometro di massa dà l’abbondanza (frazione) re-
lativa di ciascun isotopo in un campione dell’elemento. Per esempio, l’abbondanza
percentuale di 28Si è pari a 92,23%. Queste misurazioni forniscono dati per ottenere
la massa atomica (detta anche peso atomico) di un elemento, la media delle masse
dei suoi isotopi naturali ponderata secondo le rispettive abbondanze.
Ogni isotopo naturale di un elemento contribuisce con una certa percentuale
alla massa atomica. Per esempio, abbiamo detto che il 92,23% degli atomi di Si è

02txt.indd 43 15/05/19 14:55


44 Capitolo 2

costituito da atomi di 28Si. Usando questa abbondanza percentuale come frazione e


moltiplicando per la sua massa isotopica otteniamo il contributo di 28Si alla massa
atomica di Si:
contributo di Si alla massa atomica di Si = 27,97693 u × 0,9223 = 25,8031 u
28

(dove sono conservate 2 cifre significative addizionali)


Con calcoli simili si ottengono i contributi di 29Si (28,976495 u×0,0467 = 1,3532 u) e
di 30Si (29,973770 u × 0,0310 = 0,9292 u), e, sommando i tre contributi (arroton-
dando a 2 cifre decimali alla fine), si ottiene la massa atomica del silicio:
massa atomica di Si = 25,8031 u + 1,3532 u + 0,9292 u
= 28,0855 u = 28,09 u

Calcolo della massa atomica di un elemento

PROBLEMA DI VERIFICA 2.3


Problema L’argento (Ag; Z = 47) ha 46 isotopi noti, ma soltanto 2 esistono in natura:
107
Ag e 109Ag. Dati i seguenti dati ottenuti con la spettrometria di massa, si calcoli la
massa atomica di Ag.

Isotopo Massa (u) Abbondanza (%)


107
Ag 106,90509 51,84
109
Ag 108,90476 48,16

Piano Partendo dalla massa e dall’abbondanza dei due isotopi di Ag, dobbiamo trovare la
massa (g) di ciascun isotopo massa atomica di Ag (media ponderata delle masse isotopiche). Moltiplichiamo ciascuna
massa isotopica per la sua abbondanza frazionaria per trovare il contributo di ciascun isoto-
moltiplicare per l’abbondanza po alla massa atomica. La somma dei contributi dei due isotopi è la massa atomica.
frazionaria di ciascun isotopo
Risoluzione Determinazione del contributo di ciascun isotopo alla massa atomica:
contributo alla massa atomica contributo di Ag alla massa atomica = massa isotopica × abbondanza frazionaria
107
di ciascun isotopo = 106,90509 u × 0,5184 = 55,42 u
contributo di 109Ag alla massa atomica = 108,90476 u × 0,4816 = 52,45 u
sommare i contributi
isotopici Determinazione della massa atomica dell’argento:

massa atomica massa atomica dell’Ag = 55,42 u + 52,45 u = 107,87 u


Verifica I singoli contributi sembrano giusti: 100 u × 0,50 = 50 u. I contributi sono quasi
uguali perché le due abbondanze isotopiche sono quasi uguali. Ogni contributo è stato arro-
tondato a 4 cifre significative perché questo è il numero di cifre significative nei valori delle
abbondanze. Questa è la massa atomica corretta (fino a due cifre decimali), com’è indicato
nella tavola periodica degli elementi (Appendice H).
Commento Le medie devono essere interpretate attentamente. Il numero medio di bam-
bini in una famiglia statunitense nel 1985 era 2,4. Sappiamo che nessuna famiglia statuni-
tense ha in realtà 2,4 bambini; quindi dovremmo sapere anche che nessun singolo atomo
d’argento ha una massa di 107,87 u. Però, per la maggior parte degli scopi di laboratorio,
consideriamo che un campione d’argento sia costituito da atomi con questa massa media.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.3 Il boro (B;  Z = 5) ha due isoto-


pi naturali. Si calcolino le abbondanze percentuali di 10B e di 11B in base ai seguenti dati:
massa atomica del B = 10,81 u; massa isotopica di 10B = 10,0129 u; massa isotopica di
11
B = 11,0093 u. (Suggeri­mento: la somma delle abbondanze frazionarie è 1. Se x = abbondanza
di 10B, allora 1 − x = abbondanza di 11B).

Un moderno riesame della teoria atomica


Abbiamo cominciato a esaminare le basi atomiche della materia con il modello di Dal-
ton, che si è dimostrato inaccurato sotto più aspetti. Cosa accade a un modello i cui
postulati risultano sbagliati sulla base di esperimenti successivi? Nessun modello è in
grado di prevedere ogni possibile osservazione futura, ma un modello potente si evolve

02txt.indd 44 15/05/19 14:55


I componenti della materia 45

in modo da conservare la sua utilità. Riesaminiamo la teoria atomica alla luce di ciò che
conosciamo oggi.
• L’eresia della “trasmuta­
zione” radioattiva Nel 1902,
Ru­ ther­
ford eseguì una serie di
1. Tutta la materia è costituita da atomi. Oggi sappiamo che gli atomi sono divisibili esperimenti con elementi radio-
e sono costituiti da particelle subatomiche più piccole (elettroni, protoni e attivi che sconvolsero il mondo
neutroni), ma l’atomo è ancora la particella ultima di ogni elemento, la quale scientifico. Quando un atomo
mantiene inalterata la sua identità nelle reazioni chimiche. radioatti­­vo di torio (Z = 90) emet-
te una particella α (Z = 2), diventa
2. Gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di un altro elemento un atomo di radio (Z = 88), che
in una reazione chimica. Oggi sappiamo che nelle reazioni nucleari gli atomi di poi emette un’altra particella α e
un elemento si convertono spesso in atomi di un altro elemento, ma ciò non di­venta un atomo di radon (Z = 86).
avviene mai in una reazione chimica. Rutherford ipotizzò che, quando un
3. Tutti gli atomi di un elemento hanno lo stesso numero di protoni e di elettroni, che atomo emette una particella α, si
trasformi in un atomo differente: un
determina il comportamento chimico dell’elemento. Oggi sappiamo che gli isotopi elemento si trasforma in un altro!
di un elemento differiscono nel numero di neutroni, e quindi nel numero di Molti considerarono questa conclu-
massa, ma un campione dell’elemento è trattato come se i suoi atomi avessero sione come un ritorno al­l’alchimia
una massa media. e, come nel caso della sco­perta di
4. I composti sono formati dalla combinazione chimica di due o più elementi in rapporti Thomson del fatto che gli atomi
contengono particelle più piccole, i
specifici. Oggi sappiamo che alcuni composti possono presentare lievi varia- risultati di Rutherford furono accol-
zioni dei rapporti dei loro atomi, ma questo postulato rimane essenzialmente ti con scetticismo.
invariato.
Il modello continua a essere riveduto. Anche se abbiamo fiducia nella distribuzione REAZIONI NUCLEARI
degli elettroni nell’atomo (Capitoli 7 e 8), le interazioni tra protoni e neutroni nel E LORO APPLICAZIONI
nucleo sono ancora sulla frontiera della ricerca.

2.6 GLI ELEMENTI: UN PRIMO SGUARDO


ALLA TAVOLA PERIODICA
Alla fine del XVIII secolo, Lavoisier compilò un elenco dei 23 elementi noti allora;
nel 1870, se ne conoscevano 65; nel 1925, 88; oggi, se ne conoscono 118 e l’elenco
si sta allungando! Questi elementi si combinano per formare milioni di composti
e, quindi, è chiaramente necessario adottare uno schema per organizzare ciò che si
conosce riguardo al loro comportamento. Alla metà del XIX secolo, si erano accu-
mulate enormi quantità di informazioni concernenti le reazioni, le proprietà e le
masse atomiche degli elementi. Parecchi ricercatori notarono regolarità ricorrenti, o
periodiche, del comportamento degli elementi e proposero schemi per organizzare
gli elementi secondo alcune proprietà fondamentali.
Nel 1871, il chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev (1834–1907) pubblicò
lo schema di organizzazione degli elementi che ebbe più successo, una tavola
che elencava gli elementi secondo la massa atomica crescente, disposta in modo
che gli elementi con proprietà chimiche simili occupassero la stessa colonna. La
moderna tavola periodica (o sistema periodico) degli elementi, basata sulla
precedente versione di Mendeleev, è uno dei più grandi schemi di classificazione
usati in scienza ed è diventata uno strumento indispensabile per i chimici. In tutto
il nostro studio della chimica, la tavola periodica ci guiderà attraverso una quantità
di informazioni sul comportamento chimico e fisico degli elementi e dei loro com-
posti che altrimenti sarebbe sconcertante.
Una versione moderna della tavola periodica è presentata nella Figura 2.10 e
nell’Appendice H. La tavola è organizzata come segue.
1. Ogni elemento ha una casella che contiene il numero atomico, il simbolo ato-
mico e la massa atomica. Le caselle sono disposte in ordine di numero atomico
crescente mentre ci si muove da sinistra a destra.
2. Le caselle sono disposte in un reticolato di periodi (righe orizzontali) e di
gruppi (colonne verticali). Ogni periodo ha un numero da 1 a 7. Ogni gruppo
ha un numero da 1 a 8 e la lettera A o la lettera B. Un nuovo sistema, con i
gruppi numerati da 1 a 18 ma senza lettere, compare tra parentesi sotto le

02txt.indd 45 15/05/19 14:55


Strumenti di laboratorio
Spettrometria di massa
La spettrometria di massa, la tecnica più potente Un elettrone ad alta 20
1 Ne
per misurare la massa e l’abbondanza delle parti- energia urta un

20
Ne con carica 1
atomo di neon 10e
celle elettricamente cariche, nacque dagli studi 9e
nel campione
sulla deviazione, mediante campi elettrici e ma- gassoso
e
gnetici, delle particelle cariche costituenti i rag- 10p
sorgente di 10p
gi catodici. Per esempio, quando un elettrone ad e
elettroni ad 10n0 10n0
alta energia urta un atomo di neon-20, determina alta energia e
l’emissione di uno degli elettroni dell’atomo che,
di conseguenza, diventa una particella (uno ione) 2 L’urto determina m/e 19.992435
l’emissione di un
con una carica positiva, Ne+ (Figura S2.1). Perciò, il elettrone dall’atomo 3 Viene prodotta una particella di neon carica
suo rapporto massa/carica (m/e) è numericamente di neon positivamente che ha 10p e 10n  nel nucleo,
uguale alla massa divisa per 1+. La misurazione ma soltanto 9e
dei rapporti m/e permette di determinare le masse Figura S2.1+ Formazione di una particella di neon (Ne) carica positi­
di differenti isotopi di un elemento e quindi di vamente (Ne ).
identificarli. magnetico, le particelle incidono su un rivelatore, che re-
La Figura S2.2, parti A-C, mostra lo schema di un tipo gistra le loro posizioni e abbondanze relative. Per misura-
di spettrometro di massa e i dati che fornisce. Il campione zioni molto accurate, come la determinazione delle masse
viene introdotto nell’apparecchio e vaporizzato (se liqui- e delle abbondanze isotopiche, lo strumento viene tarato
do o solido), poi viene bombardato con elettroni ad alta con una sostanza di quantità e massa note.
energia per formare particelle cariche positivamente. Que- La spettrometria di massa è impiegata anche in chimica
ste vengono attratte verso una serie di placche cariche strutturale e in scienza delle separazioni per misurare la mas-
negativamente e recanti fenditure che alcune particelle sa pressoché di qualsiasi atomo, molecola, o frammento di
attraversano entrando in un tubo evacuato esposto a un molecola. Tra le sue molte applicazioni, la spettrometria di
campo magnetico. Mentre attraversano questa regione, le massa è impiegata in biochimica per determinare la struttura
loro traiettorie vengono deviate secondo il loro rapporto delle proteine (Figura S2.2, parte D), in scienza dei materiali
m/e: le particelle più “leggere” (con massa più piccola) per esaminare le superfici dei catalizzatori, in chimica foren-
subiscono la deviazione più grande, quelle più “pesanti” se per analizzare i reperti investigativi, in chimica organica
(con massa più grande) subi­scono la deviazione più pic- per la progettazione di nuovi farmaci e in chimica industria-
cola. Alla fine della regione in cui è presente il campo le per studiare, per esempio, i componenti del petrolio.
abbondanza delle


rivelatore
particelle Ne

21
Ne
20
Ne
particelle più “leggere”
2 Se necessario, un nel campione
riscaldatore vaporizza
il campione 19 20 21 22
3 Il fascio di elettroni fascio di particelle cariche B massa/carica
determina l’emissione
1 Il campione è di elettroni dagli atomi 22
Ne 20
Ne 
introdotto (vedi Figura S2.1) 100 (90,5%)
abbondanza percentuale

nella camera particelle più


“pesanti” 80
nel campione
60

40
Sorgente
22 
di elettroni Ne
20 21
Ne (9,2%)
(0,3%)
5 Il campo magnetico separa
le particelle secondo il loro 20 21 22
rapporto massa/carica C massa/carica
A
4 Il campo elettrico magnete
accelera le particelle
cariche verso la regione
dov’è presente
il campo magnetico

Figure S2.2 Lo spettrometro di massa e i suoi dati. A Le particelle cariche


vengono separate sulla base dei valori dei loro rapporti m/e. In questo caso il cam-
pione è costituito da neon (Ne) gassoso. B I dati indicano l’abbondanza di ciascuna
particella. I tre picchi rappresentano tre isotopi di Ne. C Abbondanza percentuale di
ciascuna particella. D Lo spettro di massa di una molecola proteica. Ciascun picco
rappresenta un frammento della molecola. (Foto: © James King-Holmes Oxford Cen- D
tre for Molecular Sciences/Science Source).

02txt.indd 46 15/05/19 14:55


I componenti della materia 47

notazioni alfanumeriche. (La maggior parte dei chimici continua a usare il


sistema alfanumerico e quindi il libro lo conserva, ma indica tra parentesi il
nuovo sistema di numerazione).
3. Gli 8 gruppi A (2 a sinistra e 6 a destra) contengono gli elementi dei gruppi
principali, o rappresentativi. I 10 gruppi B, situati tra i Gruppi 2A(2) e 3A(13),
contengono gli elementi di transizione. Due serie orizzontali di elementi di
transizione interna, i lantanidi e gli attinidi, si inseriscono tra gli elementi del
Gruppo 3B(3) e gli elementi del Gruppo 4B(4) e sono di solito posti sotto il
corpo principale della tavola.
A questo punto del libro, la distinzione più chiara tra gli elementi è la loro classifica-
zione come metalli, non metalli o metalloidi. La linea a “scalinata” a tratto spesso che
decorre dalla sommità del Gruppo 3A(13) al fondo del Gruppo 6A(16) è una linea di

ELEMENTI DEI GRUPPI metalli (gruppi principali) ELEMENTI DEI GRUPPI


PRINCIPALI metalli (transizione) PRINCIPALI
metalli (transizione interna)
1A metalloidi 8A
(1) non metalli (18)
1 2
1 H 2A 3A 4A 5A 6A 7A He
1,008 (2) (13) (14) (15) (16) (17) 4,003
3 4 5 6 7 8 9 10
2 Li Be B C N O F Ne
6,941 9,012 10,81 12,01 14,01 16,00 19,00 20,18
ELEMENTI DI TRANSIZIONE
11 12 13 14 15 16 17 18
3 Na Mg 3B 4B 5B 6B 7B 8B 1B 2B Al Si P S Cl Ar
22,99 24,31 (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12) 26,98 28,09 30,97 32,07 35,45 39,95
19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
periodo

4 K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr
39,10 40,08 44,96 47,88 50,94 52,00 54,94 55,85 58,93 58,69 63,55 65,39 69,72 72,61 74,92 78,96 79,90 83,80
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
5 Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe
85,47 87,62 88,91 91,22 92,91 95,94 (98) 101,1 102,9 106,4 107,9 112,4 114,8 118,7 121,8 127,6 126,9 131,3
55 56 57 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
6 Cs Ba La Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn
132,9 137,3 138,9 178,5 180,9 183,9 186,2 190,2 192,2 195,1 197,0 200,6 204,4 207,2 209,0 (209) (210) (222)
87 88 89 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117
118
7 Fr Ra Ac Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn Nh Fl Mc Lv Ts Og
(223) (226) (227) (265) (268) (271) (270) (277) (276) (281) (280) (285) (284) (289) (288) (293) (294) (294)

ELEMENTI DI TRANSIZIONE INTERNA


58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
6 lantanidi Ce Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lu
140,1 140,9 144,2 (145) 150,4 152,0 157,3 158,9 162,5 164,9 167,3 168,9 173,0 175,0
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103
7 attinidi Th Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No Lr
232,0 (231) 238,0 (237) (242) (243) (247) (247) (251) (252) (257) (258) (259) (260)

Figura 2.10 La tavola periodica moderna. La tavola periodica è costituita da caselle degli elementi organizzate secondo il
numero atomico crescente in gruppi (colonne verticali) e periodi (righe orizzontali). Ogni casella contiene il numero atomico, il
simbolo atomico e la massa atomica. (Una massa tra parentesi è il numero di massa dell’isotopo più stabile di quell’elemento). I
periodi sono numerati da 1 a 7. I gruppi (detti anche famiglie) hanno una designazione alfanumerica e un nuovo numero del grup-
po tra parentesi. I gruppi A sono gli elementi dei gruppi principali; i gruppi B sono gli elementi di transizione. Due serie di elementi
di transizione interna sono poste sotto il corpo principale della tavola ma in realtà si inseriscono tra gli elementi indicati. I metalli
sono situati al di sotto e a sinistra della linea a “scalinata” a tratto spesso [che decorre dalla sommità di 3A(13) al fondo di 6A(16)]
e comprendono i metalli dei gruppi principali (violetto-blu), gli elementi di transizione (blu) e gli elementi di transizione interna
(grigio-blu). I non metalli (giallo) sono situati a destra della linea. I metalloidi (verde) sono situati lungo la linea. Esamineremo la
posizione dell’idrogeno nel Capitolo 14.

02txt.indd 47 15/05/19 14:55


48 Capitolo 2

divisione per questa classificazione. I metalli (tre sfumature di blu) compaiono nella
parte grande, in basso a sinistra, della tavola. Circa 3/4 degli elementi sono metalli,
comprendenti molti elementi dei gruppi principali e tutti gli elementi di transizio-
ne e gli elementi di transizione interna. I metalli sono generalmente solidi lucenti a
temperatura ambiente (il mercurio è l’unico liquido) che conducono bene il calore e
l’elettricità e possono essere lavorati e trasformati in lamine (sono malleabili) e in fili
(sono duttili). I non metalli (in giallo) compaiono nella parte piccola, in alto a destra,
della tavola. Sono di solito gas o solidi fragili, di colore smorto, a temperatura ambien-
te (il bromo è l’unico liquido) che conducono male il calore e l’elettricità. Lungo la
linea a scalinata sono situati i metalloidi (o semimetalli) (in verde), elementi che
hanno proprietà che si situano tra quelle dei metalli e quelle dei non metalli. Parecchi
metalloidi svolgono ruoli importanti nell’elettronica moderna. La Figura 2.11 mostra
alcuni esempi di queste tre classi di elementi.
Due branche principali della chimica possono essere definite mediante gli ele-
menti che ciascuna di esse studia. La chimica organica studia i composti del carbo-
nio, specialmente quelli che contengono idrogeno e spesso anche ossigeno, azoto e
qualche altro elemento. Questa branca della chimica studia i combustibili, i farmaci,
i coloranti, i polimeri e simili. La chimica inorganica, d’altra parte, concentra l’atten-
zione principalmente sui composti di tutti gli altri elementi. Studia i catalizzatori,
i materiali elettronici, le leghe metalliche, i sali minerali e simili. Con la crescita
esplosiva della ricerca biomedica e della ricerca sui materiali, la distinzione tra que-
ste branche tradizionali sta scomparendo rapidamente.
È importante imparare alcuni dei nomi dei gruppi (delle famiglie). Il Gruppo
1A(1), eccettuato l’idrogeno, è costituito dai metalli alcalini, e il Gruppo 2A(2) è
costituito dai metalli alcalino-terrosi. Entrambi i gruppi di metalli sono elementi
altamente reattivi. Gli alogeni, Gruppo 7A(17), sono non metalli altamente reattivi,
mentre i gas nobili, Gruppo 8A(18), sono non metalli relativamente non reattivi.
Gli altri gruppi principali [3A(13) ÷ 6A(16)] sono spesso denominati con il primo
elemento del gruppo; per esempio, il Gruppo 6A è la famiglia dell’ossigeno.

Cadmio

Rame Piombo

Cromo Bismuto

METALLI

Arsenico

Silicio Antimonio Cloro Bromo

Tellurio Zolfo
Boro
Carbonio
(grafite) Iodio

METALLOIDI NON METALLI

Figura 2.11 Metalli, metalloidi e non metalli. (© McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).

02txt.indd 48 15/05/19 14:55


I componenti della materia 49

Il punto essenziale su cui ritorneremo molte volte è che, in generale, gli elementi in
un gruppo hanno proprietà chimiche simili e gli elementi in un periodo hanno proprietà
chimiche differenti. Cominceremo ad applicare il potere organizzatore della tavola
periodica nel paragrafo seguente, dove vedremo come gli elementi si combinano
per formare composti.

2.7 I COMPOSTI: INTRODUZIONE AL LEGAME


CHIMICO
La grande maggioranza degli elementi esistono in combinazione chimica con altri elemen-
ti. In realtà, soltanto pochi elementi esistono allo stato libero in natura. I gas nobili
– elio (He), neon (Ne), argon (Ar), cripton (Kr), xenon (Xe) e radon (Rn) – esistono
come atomi separati. Oltre a essere presenti nei composti, l’ossigeno (O), l’azoto (N)
e lo zolfo (S) sono presenti comunemente anche come molecole non combinate,
quali O2, N2 e S8, e il carbonio (C) esiste allo stato quasi puro in vasti giacimenti di
carbone fossile. Alcuni dei metalli, quali il rame (Cu), l’argento (Ag), l’oro (Au) e il
platino (Pt), possono esistere anche non combinati con altri elementi. Ma queste
poche eccezioni rafforzano la regola generale secondo cui gli elementi esistono
combinati in composti.
Gli elettroni degli atomi degli elementi interagenti intervengono nella formazio-
ne dei composti. Gli elementi si combinano in due modi generali:
1. trasferimento di uno o più elettroni dagli atomi di un elemento a quelli di un
altro per formare composti ionici;
2. condivisione di elettroni tra atomi di differenti elementi per formare composti
covalenti.
Questi processi generano legami chimici, le forze che tengono uniti gli atomi
degli elementi in un composto.

La formazione di composti ionici


I composti ionici sono costituiti da ioni, particelle cariche che si formano quando
un atomo (o un piccolo gruppo di atomi) acquista o cede uno o più elettroni. Il tipo
più semplice di composto ionico è un composto ionico binario, costituito sol-
tanto da due elementi. Si forma generalmente quando un metallo reagisce con un non
metallo. Ogni atomo metallico cede un certo numero dei suoi elettroni e diventa un
catione, uno ione carico positivamente. Gli atomi non metallici acquistano gli elet-
troni ceduti dagli atomi metallici e diventano anioni, ioni carichi negativamente.
Quindi, gli atomi metallici trasferiscono elettroni agli atomi non metallici. I cationi e
gli anioni così formati si attraggono reciprocamente mediante forze elettrostatiche
e formano il composto ionico. Un catione o un anione che deriva da un singolo
atomo è detto ione monoatomico; esamineremo più avanti gli ioni poliatomici,
gli ioni che derivano da un piccolo gruppo di atomi.
La formazione del cloruro di sodio (l’ordinario sale da cucina), un composto
ionico binario, è illustrata nella Figura 2.12, dagli elementi al composto tramite il
trasferimento di un elettrone su scala atomica. Nel trasferimento dell’elettrone, un
atomo di sodio, che è neutro perché ha lo stesso numero di protoni e di elettroni,
cede 1 elettrone e forma un catione sodio, Na+. (La carica sullo ione è scritta come
apice in alto a destra del simbolo atomico). Un atomo di cloro acquista l’elettrone
ceduto dal sodio e diventa uno ione cloruro, Cl−. (Il cambiamento del nome dal­
l’atomo non metallico allo ione è esaminato nel paragrafo seguente). Anche il più
piccolo granello visibile di sale da cucina contiene un numero enorme di ioni sodio
e cloro. Gli ioni di carica opposta (Na+ e Cl−) si attraggono reciprocamente, mentre
gli ioni carichi di stesso segno (Na+ e Na+, o Cl− e Cl−) si respingono reciprocamen-
te. Il risultante aggregato è una disposizione regolare di ioni Na+ e Cl− alternati che
si estende in tutte e tre le dimensioni.

02txt.indd 49 15/05/19 14:55


50 Capitolo 2

A Gli elementi Figura 2.12 Formazione di un composto ionico. A. I due ele-


(visti in laboratorio) menti visti in laboratorio. B. Gli elementi come potrebbero apparire
su scala atomica. C. L’atomo di sodio, elettricamente neutro, cede
un elettrone per diventare un catione sodio (Na+), e l’atomo di
cloro acquista un elettrone per diventare un anione cloruro (Cl−)
(è importante notare che gli atomi, quando cedono elettroni,
diventano ioni che sono più piccoli e, quando acquistano elet-
troni, diventano ioni che sono più grandi). D. Gli ioni Na+ e Cl− si
attraggono reciprocamente e assumono una disposizione cristallina
cloro gassoso tridimensionale. E. Questa disposizione cubica si riflette nella strut-
tura di NaCl cristallino, che è presente in natura sotto forma di
sodio metallico minerale alite (più noto come salgemma), da cui il nome di alogeni
B Gli elementi per gli elementi del Gruppo 7A(17). (Foto: (A) ed (E) © McGraw-Hill
(visti su Education/ Stephen Frisch, photographer).
scala
atomica)

ione cloruro (Cl)


Cl Na
17e 18e
acquista un
17p elettrone
18n0 17p
18n0

atomo di cloro (Cl)


e

11p
12n0
11p
cede un elettrone 10e
12n0

ione sodio (Na )
11e D Il composto (visto su E Il composto (visto
atomo di sodio (Na) C Trasferimento scala atomica): in laboratorio):
di un elettrone Na e Cl nel cristallo cristallo di cloruro di sodio

La forza del legame ionico dipende in larga misura dall’entità complessiva di queste
attrazioni e repulsioni ed è descritta dalla legge di Coulomb, secondo cui due cariche
elettriche puntiformi esercitano l’una sull’altra una forza diretta secondo la loro con-
giungente, attrattiva o repulsiva a seconda che esse abbiano segno opposto oppure
lo stesso segno, di intensità direttamente proporzionale al valore di esse e inversa-
mente proporzionale al quadrato della loro distanza reciproca. L’energia d’interazio-
ne coulombiana (attrazione o repulsione) corrispondente a questa forza è direttamente
FORMAZIONE DI UN
COMPOSTO IONICO proporzionale al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale alla loro distanza
reciproca:
carica 1× carica 2
energia ∝
distanza

dove il simbolo ∝ significa “proporzionale a”. In altre parole, gli ioni con cariche
maggiori si attraggono (o si respingono) più intensamente rispetto agli ioni con ca-
riche minori. Analogamente, gli ioni più piccoli si attraggono (o si respingono) più
intensamente rispetto agli ioni più grandi, perché le loro cariche sono più vicine
tra loro. Questi effetti sono riassunti nella Figura 2.13.

02txt.indd 50 15/05/19 14:55


I componenti della materia 51

l’attrazione aumenta Figura 2.13 Fattori che influenzano la


forza del legame ionico. Nel caso di ioni
l’attrazione aumenta

1+ 1− 2+ 2− di date dimensioni, la forza di attrazione


(frecce) aumenta all’aumentare della
carica ionica (da sinistra a destra). Nel
caso di ioni di una data carica, la forza
di attrazione aumenta al diminuire delle
dimensioni ioniche (dal basso all’alto).
1+ 1− 2+ 2−

I composti ionici sono elettricamente neutri; cioè, la loro carica netta è nulla. Affinché
ciò avvenga, essi devono contenere numeri uguali di cariche positive e di cariche
negative. Ma ciò non significa che devono contenere numeri uguali di ioni positivi
e di ioni negativi. Poiché gli ioni Na+ e Cl− hanno ciascuno una carica unitaria (1+
o 1−), nel cloruro di sodio sono presenti numeri uguali di ioni positivi e di ioni
negativi. Però, nell’ossido di sodio, per esempio, la carica degli ioni ossido, O2−, è
neutralizzata da un numero doppio di ioni Na+.
Siamo in grado di prevedere il numero di elettroni che un dato atomo cederà o
acquisterà quando forma uno ione? Nella formazione del cloruro di sodio, per esempio,
perché ciascun atomo di sodio cede soltanto 1 dei suoi 11 elettroni? Perché ciascun
atomo di cloro non acquista 2 elettroni, invece di acquistarne soltanto 1? Nel caso di
un elemento del gruppo A, la tavola periodica offre una risposta. Si trova generalmente
che i metalli cedono elettroni e i non metalli acquistano elettroni per formare ioni con
lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino [Gruppo 8A(18)]. I gas nobili hanno
una stabilità (bassa reattività) che è correlata con il numero (e la disposizione) dei loro
elettroni. Un atomo di sodio (11e−) può raggiungere la stabilità del neon (10e−), il
gas nobile più vicino, cedendo 1 elettrone. Analogamente, un atomo di cloro (17e−),
acquistando un elettrone, raggiunge la stabilità dell’argon (18e−), il gas nobile più vici- 3A
2A )
no. Perciò, quando un elemento vicino a un gas nobile forma uno ione monoatomico, 7A 8A 1A (1 3
(1 7) (1 8) (1 ) (2)
acquista o cede elettroni in numero tale da raggiungere lo stesso numero di elettroni di quel 5A
6A
gas nobile. Specificamente, gli elementi del Gruppo 1A(1) cedono 1 elettrone, quelli
(1 5)
(1 6) H He Li


3
del Gruppo 2A(2) cedono 2 elettroni e l’alluminio nel gruppo 3A(13) ne cede 3; gli N3 2 Al
O2 F 
Ne Na
 Mg
elementi del Gruppo 7A(17) acquistano 1 elettrone, l’ossigeno e lo zolfo nel Gruppo
2
S2
6A(16) acquistano 2 elettroni e l’azoto nel Gruppo 5A(15) ne acquista 3. Cl Ar K
 Ca
Con la tavola periodica stampata su una superficie bidimensionale, come nel- 2
la Figura 2.10, è facile formarsi la falsa impressione che gli elementi del Gruppo Br Kr Rb
 Sr

7A(17) siano “più vicini” ai gas nobili di quanto siano gli elementi del Gruppo 2

1A(1). In realtà, i due gruppi distano soltanto 1 elettrone dall’avere lo stesso nu-
I Xe Cs
 Ba

mero di elettroni dei gas nobili. Per chiarire questo punto, la Figura 2.14 presenta
una tavola periodica modificata che è stata tagliata e ricongiunta, con i gas nobili Figura 2.14 La relazione tra
nel centro. Ora si può vedere che il fluoro (F; Z = 9) ha 1 elettrone in meno e il ioni formati e il gas nobile
sodio (Na; Z = 11) ha 1 elettrone in più rispetto al gas nobile neon (Ne; Z = 10); più vicino. La tavola periodi-
perciò, essi formano gli ioni F− e Na+. Analogamente, l’ossigeno (O; Z = 8) acquista ca è stata qui ridisegnata per
mostrare le posizioni relative
2 elettroni e il magnesio (Mg; Z = 12) cede due elettroni per formare gli ioni O2− e dei non metalli (giallo) e i
Mg2+ e raggiungere lo stesso numero di elettroni del neon. metalli (blu) rispetto ai gas
nobili e per mostrare gli ioni
formati da questi elementi. La
Previsione dello ione formato da un elemento carica ionica è uguale al nume-
ro degli elettroni ceduti (+) o
PROBLEMA DI VERIFICA 2.4 acquistati (−) per raggiungere
Problema Quali ioni monoatomici sono formati dai seguenti elementi? lo stesso numero di elettroni
(a) Iodio (Z = 53) (b) Calcio (Z = 20) (c) Alluminio (Z = 13) del gas nobile più vicino. Le
Piano Usiamo il valore dato di Z per trovare l’elemento nella tavola periodica e vedere dove specie situate nella stessa riga
è ubicato il suo gruppo rispetto ai gas nobili. Gli elementi dei gruppi situati dopo i gas nobili hanno lo stesso numero di elet-
troni. Per esempio, H−, He e Li+
cedono elettroni per raggiungere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino e
hanno 2 elettroni. [È importante
diventare ioni positivi; quelli dei gruppi situati prima dei gas nobili acquistano elettroni e
notare che H è collocato qui nel
diventano ioni negativi.
Gruppo 7A(17)].

02txt.indd 51 15/05/19 14:55


52 Capitolo 2

e e Risoluzione (a) I− Lo iodio (53I) è un non metallo del Gruppo 7A(17), uno degli alogeni.
Come qualunque membro di questo gruppo, acquista 1 elettrone per avere lo stesso numero
p p di elettroni del membro del Gruppo 8A(18) più vicino, in questo caso 54Xe.
(b) Ca2+ Il calcio (20Ca) è un membro del Gruppo 2A(2), i metalli alcalino-terrosi. Come ogni
membro del Gruppo 2A, cede 2 elettroni per raggiungere lo stesso numero di elettroni del
A Nessuna interazione gas nobile più vicino, in questo caso 18Ar.
(c) Al3+ L’alluminio (13Al) è un metallo della famiglia del boro [Gruppo 3A(13)] e quindi cede
3 elettroni per raggiungere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino, 10Ne.
e e
p p PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.4 Quale ione monoatomico è forma-
to da ciascuno dei seguenti elementi?
(a) 16S (b) 37Rb (c) 56Ba
B Comincia l’attrazione

Formazione dei composti covalenti


e
p p I composti covalenti si formano quando gli elementi condividono (mettono in comparteci-
e  pazione) elettroni, il che avviene di solito tra non metalli. Anche se i non metalli sono
relativamente pochi, essi interagiscono in molte combinazioni per formare un gran-
C Legame covalente
dissimo numero di composti covalenti.
Il caso più semplice di condivisione di elettroni ha luogo non in un composto
e ma tra due atomi di idrogeno (H; Z = 1). Immaginiamo due atomi di H separati,

p p che si avvicinano l’uno all’altro, come nella Figura 2.15. Via via che i due atomi

e si avvicinano, il nucleo di ciascuno attrae sempre più intensamente un elettrone
D Composizione delle forze dell’altro atomo, e gli atomi separati cominciano a interpenetrarsi. A una certa di-
stanza ottimale tra i nuclei, i due atomi formano un legame covalente, costituito
Figura 2.15 Formazione di dall’attrazione reciproca tra una coppia di elettroni e i due nuclei. Il risultato è una
un legame covalente tra due molecola di idrogeno, in cui ciascun elettrone non “appartiene” più a un particolare
atomi di H. A. La distanza atomo di H: i due elettroni sono condivisi dai due nuclei. Avvengono anche repul-
reciproca dei due atomi è trop-
sioni tra i nuclei e tra gli elettroni, ma la risultante delle attrazioni è maggiore della
po grande perché essi possano
influenzarsi reciprocamente. risultante delle repulsioni. (Esamineremo le proprietà dei legami covalenti in modo
B. Al diminuire della distanza, più particolareggiato nel Capitolo 9).
il nucleo di ciascun atomo Un campione di idrogeno gassoso è costituito da queste molecole biatomi-
comincia ad attrarre l’elettrone che (H2) – coppie di atomi che sono legati chimicamente e si comportano come
dell’altro atomo. C. Si forma
­un’unità indipendente – e non da atomi di H separati. Altri non metalli che esistono
il legame covalente quando i
due nuclei e i due elettroni si come molecole biatomiche a temperatura ambiente sono l’azoto (N2), l’ossigeno
attraggono reciprocamente a (O2) e gli alogeni [fluoro (F2), cloro (Cl2), bromo (Br2) e iodio (I2)]. Il fosforo esiste
una certa distanza ottimale. sotto forma di molecole tetraatomiche (P4), e lo zolfo e il selenio sotto forma di
D. La molecola H2 è più stabile molecole octaatomiche (S8 e Se8) (Figura 2.16).
degli atomi separati perché le
forze attrattive (frecce nere) 1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
tra ciascun nucleo e i due elet- (1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)
troni sono maggiori delle forze 1 molecole biatomiche
repulsive (frecce rosse) tra gli molecole tetraatomiche
2 N2 O2 F2 molecole octaatomiche
elettroni e tra i nuclei.
3 P4 S8 Cl2
4 Se8 Br2
5 I2
Figura 2.16 Elementi che for­ 6
mano molecole poliatomiche.
7

Analogamente, gli atomi di differenti elementi condividono elettroni per formare le mo-
lecole di un composto covalente. Per esempio, un campione di fluoruro di idrogeno
è costituito da molecole in cui un atomo di H forma un legame covalente con un
atomo di F; l’acqua è costituita da molecole in cui un atomo di O forma legami
covalenti con due atomi di H:

fluoruro di idrogeno, HF acqua, H2O

02txt.indd 52 15/05/19 14:55


I componenti della materia 53

Come vedremo nel Capitolo 9, il legame covalente offre agli atomi un altro modo
di raggiungere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino.

Distinzione tra le entità che intervengono nel legame covalente e nel


legame ionico Esiste una distinzione essenziale tra le entità chimiche nelle so-
stanze covalenti e in quelle ioniche. La maggior parte delle sostanze covalenti è
costituita da molecole. Per esempio, una tazza d’acqua è costituita da un insieme
di singole molecole d’acqua, ciascuna circondata da altre molecole d’acqua. Ogni
molecola d’acqua è costituita da un atomo di O unito da legami covalenti a due
atomi di H. Per contro, in condizioni ordinarie, non esistono molecole in un campione
Ca2 CO32
di un composto ionico. Per esempio, un granulo di cloruro di sodio è una disposizio-
ne continua di ioni sodio e ioni cloro carichi di segno opposto, non un insieme di
singole “molecole di cloruro di sodio”.
Esiste un’altra distinzione essenziale tra le entità chimiche che intervengono
nelle interazioni stesse. Il legame covalente si basa sull’attrazione reciproca tra
due nuclei (carichi positivamente) e due elettroni (carichi negativamente) che
risiedono tra di essi. Il legame ionico si basa sull’attrazione reciproca tra ioni po-
sitivi e ioni negativi.

Ioni poliatomici: legami covalenti entro gli ioni 2

Molti composti ionici contengono ioni poliatomici, costituiti da due o più atomi
legati covalentemente e hanno una carica netta positiva o negativa. Per esempio, il
composto ionico carbonato di calcio è una disposizione di anioni carbonato poli­
atomici e di cationi calcio monoatomici che si attraggono reciprocamente. Lo ione
carbonato è costituito da un atomo di carbonio legato covalentemente a tre atomi ione carbonato
di ossigeno, e due elettroni addizionali conferiscono allo ione la sua carica 2− (Fi- CO32

gura 2.17). In molte reazioni, uno ione poliatomico resta unito come un tutt’uno
durante le interazioni con altri ioni. Figura 2.17 Uno ione poli­
atomico. Il carbonato di
calcio è una di­sposizione tri-
dimensionale di cationi calcio
2.8 I COMPOSTI: FORMULE, NOMI E MASSE monoatomici (sfere violette) e
anioni carbonato poliatomici.
I nomi e le formule dei composti costituiscono il vocabolario del linguaggio chi- Come mostra la struttura in
mico; è giunto il momento di cominciare a parlare e scrivere questo linguaggio. In basso, ciascuno ione carbonato
questo paragrafo imparerete i nomi e le formule dei composti ionici e dei composti è costituito da quattro atomi
covalenti semplici e come si calcola la massa di un’unità di un composto partendo legati covalentemente. (Foto: ©
papa1266/Shutterstock.com).
dalla sua formula.

Tipi di formule chimiche


In una formula chimica, i simboli degli elementi e i pedici numerici indicano la
specie e il numero di atomi presenti nella più piccola unità della sostanza. Esistono
più tipi di formule chimiche di un composto.
1. La formula empirica mostra il numero relativo di atomi di ciascun elemento
nel composto. È il tipo di formula più semplice ed è dedotta dalle masse degli
elementi componenti. Per esempio, nel perossido di idrogeno, vi è 1 parte in
massa di idrogeno ogni 16 parti in massa di ossigeno. Perciò, la formula empi-
rica del perossido di idrogeno è HO; 1 atomo di H ogni atomo di O.
2. La formula molecolare mostra il numero reale di atomi di ciascun elemento
in una molecola del composto. La formula molecolare del perossido di idroge-
no è H2O2; vi so­no in realtà 2 atomi di H e 2 atomi di O in ciascuna molecola
di perossido di idrogeno.
3. Una formula di struttura mostra il numero di atomi e i legami tra di essi;
cioè, le posizioni reciproche e le connessioni degli atomi nella molecola. La
formula di struttura del perossido di idrogeno è H ⎯ O ⎯ O ⎯ H; ciascun H è
legato a un O e gli O sono legati l’uno all’altro.

02txt.indd 53 15/05/19 14:55


54 Capitolo 2

Tabella 2.3 Ioni monoatomici Qualche consiglio sull’apprendimento dei nomi e delle formule
comuni*
Forse nel futuro i nomi sistematici dei composti saranno usati da tutti. Però,
Carica Formula Nome molti manuali di consultazione, cataloghi di prodotti chimici e i chimici di pro-
Cationi fessione continuano a usare molti nomi comuni e quindi è opportuno imparare
1+ H+ Idrogeno anche quest’ultimi.
Li+ Litio Ecco alcuni punti da notare riguardo alle formule ioniche.
Na+ Sodio
K+ Potassio • I membri di un gruppo della tavola periodica hanno la stessa carica ionica;
Cs+ Cesio per esempio, Li, Na e K appartengono al Gruppo 1A e hanno una carica 1+.
Ag+ Argento • Nel caso dei cationi del Gruppo A, carica ionica = numero del gruppo; per
2 +
Mg 2+ Magnesio esempio, Na+ appartiene al Gruppo 1A, Ba2+ al Gruppo 2A. (Le eccezioni
Ca2+ Calcio nella Figura 2.18 sono Sn2+ e Pb2+).
Sr2+ Stronzio • Nel caso degli anioni, carica ionica = numero del gruppo meno 8; per
Ba2+ Bario esempio, S appartiene al Gruppo 6A (6 − 8 = −2), e quindi lo ione è S2−.
Zn2+ Zinco
Cd2+ Cadmio Ecco alcuni suggerimenti su come imparare i nomi e le formule.
3+ 3+
Al Alluminio 1. Memorizzate gli ioni monoatomici del Gruppo A della Tabella 2.3 (eccet-
Anioni tuati Ag+, Zn2+ e Cd2+) secondo le loro posizioni nella tavola periodica
1− H− Idruro della Figura 2.18. Questi ioni hanno lo stesso numero di elettroni di un
F− Fluoruro atomo del gas nobile più vicino.
Cl− Cloruro 2. Consultate la Tabella 2.4 per alcuni metalli che formano due differenti ioni
Br− Bromuro monoatomici.
I− Ioduro
3. Dividete le tabelle dei nomi e delle cariche in parti più piccole e imparate
2− O2− Ossido una parte al giorno. Provate a usare “schede” con il nome scritto su una fac-
S2− Solfuro
cia e la formula ionica sull’altra. Gli ioni più comuni sono scritti in neretto
3− N3− Nitruro nelle Tabelle 2.3, 2.4 e 2.5 affinché possiate impararli per primi.
* Elencati in ordine di carica; quelli
scritti in neretto sono i più comuni. Nomi e formule dei composti ionici
La formula di un composto ionico pone per primo lo ione positivo (catione),
seguito dallo ione negativo (anione). Il nome del composto ionico pone per
primo il nome dell’anione, seguito da quello del catione (con l’interposizione
della preposizione “di”).

Figura 2.18 Alcuni ioni monoatomici comuni degli elementi.


1A Gli elementi dei gruppi principali formano di solito un singolo 7A 8A
(1) ione monoatomico. È importante notare che i membri di un (17) (18)
gruppo hanno ioni con la stessa carica. [L’idrogeno è indicato
1 H 2A sia come catione H+ nel Gruppo 1A(1) sia come anione H− nel 3A 4A 5A 6A H
(2) gruppo 7A(17)]. Molti elementi di transizione formano due diffe- (13) (14) (15) (16)
renti ioni monoatomici. (Anche se Hg22+ è uno ione biatomico, è
incluso con Hg2+ a fini di confronto).
2 Li N3 O2 F

3 Na Mg2 3B 4B 5B 6B 7B 8B 1B 2B Al3 S2 Cl


(3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12)
periodo

Cr2 Fe2 Co2 Cu


4 K Ca2 Mn2 Zn2 Br
Cr2 Fe2 Co2 Cu2

Sn2
5 Rb Sr2 Ag Cd2 I
Sn4

Hg22 Pb2
6 Cs Ba2
Hg 2 Pb4

02txt.indd 54 15/05/19 14:55


I componenti della materia 55

Composti formati a partire da ioni monoatomici Consideriamo per primi i


composti ionici binari, quelli costituiti dagli ioni di due elementi.
• Il nome del catione è uguale al nome del metallo. I nomi di molti metalli terminano
in -o o in -io.
• Il nome dell’anione prende la radice del nome del non metallo e aggiunge il suffisso
-uro.
Per esempio, l’anione formato a partire dal bromo è denominato bromuro
(brom + uro). Perciò, il composto formato a partire dal metallo calcio e dal non
metallo bromo è denominato “bromuro di calcio”.

Nomenclatura dei composti ionici binari


PROBLEMA DI VERIFICA 2.5
Problema Denominate il composto ionico formato a partire dalle seguenti coppie di ele-
menti:
(a) magnesio e azoto (b) iodio e calcio
(c) stronzio e fluoro (d) zolfo e cesio
Piano La chiave alla nomenclatura di un composto ionico binario è riconoscere quale
elemento è il metallo e quale è il non metallo. In caso di dubbio, si deve controllare sulla
tavola periodica. Aggiungiamo il suffisso -uro alla radice del nome del non metallo, ponia-
mo per primo il nome dell’anione, seguito dal nome del catione (con l’interposizione dalla
preposizione “di”).
Risoluzione (a) “nitr-” è la radice del nome del non metallo (latino nitrogenus); il magnesio
è il metallo: nitruro di magnesio .
(b) “iod-” è la radice del nome del non metallo; il cadmio è il metallo: ioduro di cadmio .
(c) “fluor-” è la radice del nome del non metallo; lo stronzio è il metallo: fluoruro di stronzio .
(d) “solf-” è la radice del nome del non metallo (nella forma “solfo”); il cesio è il metallo: solfuro
di cesio .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.5 Per i seguenti composti ionici, dite


il nome e il numero del gruppo nella scala periodica di ciascuno degli elementi presenti:
(a) ossido di zinco; (b) bromuro di argento; (c) cloruro di litio; (d) solfuro di alluminio.

Poiché i composti ionici sono disposizioni di ioni carichi di segno opposto anziché
di unità molecolari separate, scriviamo una formula per l’unità formula, che in-
dica i numeri relativi di cationi e di anioni nel composto. Perciò, i composti ionici
hanno generalmente soltanto formule empiriche.* Il composto ha carica netta nulla,
e quindi le cariche positive dei cationi devono neutralizzare le cariche negative
degli anioni. Per esempio, il bromuro di calcio è costituito da ioni Ca2+ e ioni Br−;
perciò, 2 ioni Br− neutralizzano ciascuno ione Ca2+. La formula è CaBr2, non Ca2Br.
In questa e in tutte le altre formule:

• il pedice si riferisce all’elemento che lo precede;


• il pedice 1 è sottinteso dalla presenza del simbolo dell’elemento (cioè, non si
scrive Ca1Br2);
• la carica (senza il segno) di uno ione diventa il pedice dell’altro:

Ca 2 + Br 1 − dà Ca1Br2 o CaBr2

• si riducono i pedici ai numeri interi più piccoli che conservano il rapporto


degli ioni. Perciò, per esempio, partendo dagli ioni Ca2+ e O2− si ottiene Ca2O2,
che riduciamo alla formula CaO.*

* I composti dello ione mercurio(I), come Hg2Cl2, e i perossidi dei metalli alcalini, come Na2O2,
sono le uniche due eccezioni comuni. Le loro formule empiriche sono HgCl e NaO, rispettivamente.

02txt.indd 55 15/05/19 14:55


56 Capitolo 2

Determinazione delle formule dei composti ionici binari


PROBLEMA DI VERIFICA 2.6
Problema Si scrivano le formule empiriche dei composti denominati nel Problema di
verifica 2.5.
Piano Scriviamo la formula empirica trovando il più piccolo numero di ciascuno ione che
dà un composto elettricamente neutro. Questi numeri compaiono come pedici a destra del
simbolo dell’elemento.
Risoluzione
(a) Mg2+ e N3−; 3 ioni Mg2+ (6+) neutralizzano 2 ioni N3− (6−): Mg3N2
(b) Cd2+ e I−; 1 ione Cd2+ (2+) neutralizza 2 ioni I− (2−): CdI2
(c) Sr2+ e F−; 1 ione Sr2+ (2+) neutralizza 2 ioni F− (2−): SrF2
(d) Cs+ e S2−; 2 ioni Cs+ (2+) neutralizzano 1 ione S2− (2−): Cs2S
Commento Si noti che le cariche ioniche non compaiono nella formula del composto. Cioè,
nel caso dello ioduro di cadmio, non si scrive Cd2+I2−.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.6 Si scrivano le formule dei composti


denominati nel Problema di approfondimento 2.5.

Composti con metalli che formano più di uno ione Molti metalli, in par-
ticolare gli elementi di transizione (gruppi B), possono formare più di uno ione,
ciascuno con una particolare carica. La Tabella 2.4 presenta alcuni esempi. I nomi
dei composti contenenti questi elementi comprendono un numero romano tra
parentesi tonde immediatamente dopo il nome dello ione metallico per indicare la
carica ionica. Per esempio, il ferro può formare gli ioni Fe2+ e Fe3+. I due composti
formati dal ferro con il cloro sono FeCl2, denominato cloruro di ferro(II), e FeCl3,
denominato cloruro di ferro(III).
Nei nomi comuni, la radice latina del nome del metallo è seguita da uno di due
suffissi.

• Il suffisso -oso per lo ione con la carica più bassa.


• Il suffisso -ico per lo ione con la carica più alta.

Perciò, il cloruro di ferro(II) è detto anche cloruro ferroso e il cloruro di ferro(III) è


detto anche cloruro ferrico.

Tabella 2.4 Alcuni metalli che formano più di uno ione monoatomico*
Elemento Formula ionica Nome sistematico
− Nome comune
2+
Cromo Cr Cromo(II) Cromoso
Cr3+ Cromo(III) Cromico
Cobalto Co2+ Cobalto(II) Cobaltoso
Co3+ Cobalto(III) Cobaltico
Rame Cu+ Rame(I) Rameoso
Cu2+ Rame(II) Rameico
Ferro Fe2+ Ferro(II) Ferroso
Fe3+ Ferro(III) Ferrico
Piombo Pb2+ Piombo(II) Piomboso
Pb4+ Piombo(IV) Piombico
Mercurio Hg22+ Mercurio(I) Mercurioso
Hg2+ Mercurio(II) Mercurico
Stagno Sn2+ Stagno(II) Stannoso
Sn4+ Stagno(IV) Stannico
* Elencati alfabeticamente per nome del metallo; quelli scritti in neretto sono i più comuni.

02txt.indd 56 15/05/19 14:55


I componenti della materia 57

Determinazione dei nomi e delle formule dei composti ionici Tabella 2.5 Ioni polioatomici
degli elementi che formano più di uno ione comuni*

PROBLEMA DI VERIFICA 2.7 Formula Nome


Problema Si indichino i nomi sistematici per le formule, o le formule per i nomi, dei Cationi
seguenti composti: NH4+ ammonio
(a) fluoruro di stagno(II) (b) CrI3 H3O+ idronio
(c) ossido ferrico (d) CoS
Anioni
Risoluzione (a) Lo stagno(II) è Sn2+; lo ione fluoruro è F−. Due ioni F− neutralizzano uno
ione Sn2+: il fluoruro di stagno(II) è SnF2 . (Il nome comune è fluoruro stannoso). CH3COO− Acetato
(b) L’anione è I−, ione ioduro, e la formula indica 3 ioni I−. Perciò, il catione deve essere Cr3+, (o C2H3O2−)
cromo(III): CrI3 è lo ioduro di cromo(III) . (Il nome comune è ioduro cromico). CN− Cianuro
(c) Ferro ferrico è il nome comune del ferro(III), Fe3+; lo ione ossido è O2−. Per neutralizzare OH− Idrossido
le cariche ioniche, la formula dell’ossido ferrico è Fe2O3 . [Il nome sistematico è ossido di ClO− Ipoclorito
ferro(III)]. ClO2− Clorito
(d) L’anione è lo ione solfuro, S2−, il che richiede che il catione sia Co2+. Il nome è solfuro ClO3− Clorato
di cobalto(II) .
ClO4− Perclorato
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.7 Si determinino i nomi sistematici NO2− Nitrito
per le formule, o le formule per i nomi, dei seguenti composti: (a) ossido di piombo(IV); (b) Cu2S; NO3− Nitrato
(c) FeBr2; (d) cloruro mercurico. MnO4− Permanganato
CO32− Carbonato
HCO3− Idrogenocarbo-
Composti formati a partire da ioni poliatomici I composti ionici in cui uno nato (o
dei due ioni o entrambi sono poliatomici sono molto comuni. La Tabella 2.5 pre- bicarbonato)
senta le formule e i nomi di alcuni ioni poliatomici comuni. Si ricordi che lo ione CrO42− Cromato
poliatomico rimane unito come un’unità elettricamente carica. La forma del nitrato di Cr2O72− Dicromato
potassio è KNO3: ciascuno ione K+ neutralizza uno ione NO3−. La formula del carbo- O22− Perossido
nato di sodio è Na2CO3: 2 ioni Na+ neutralizzano uno ione CO32−. Quando nell’unità PO43− Fosfato
formula sono presenti due o più ioni poliatomici identici, questo ione è scritto tra paren- HPO42− Idrogenofosfato
tesi e il pedice è scritto fuori della seconda parentesi. Per esempio, il nitrato di calcio,
che contiene uno ione Ca2+ e due ioni NO3−, ha la formula Ca(NO3)2. Non si usano H2PO4− Diidrogenofo-
le parentesi e il pedice se è presente un solo ione poliatomico; così, il nitrato di sfato
sodio è NaNO3, non Na(NO3). SO32− Solfito
SO42− Solfato
Famiglie di ossoanioni Come mostra la Tabella 2.5, la maggior parte degli ioni HSO4− Idrogenosolfato
poliatomici sono ossoanioni, ioni in cui un elemento, di solito un non metallo, è (o bisolfato)
legato a uno o più atomi di ossigeno. In parecchi casi, esistono famiglie di due o * Gli ioni scritti in neretto sono i
più comuni.
quattro ossoanioni che differiscono soltanto nel numero di atomi di ossigeno. Nel
caso di questi ioni si usa una semplice convezione di nomenclatura.
Con due ossoanioni nella famiglia:
• lo ione con più atomi di O prende la radice del nome del non metallo e il suffisso
-ato;
• lo ione con meno atomi di O prende la radice del nome del non metallo e il
suffisso -ito.
prefisso radice suffisso
Per esempio, SO42− è lo ione solfato e SO32− è lo ione solfito; analogamente, NO3− è lo
numero di atomi di O

per- radice -ato


ione nitrato e NO2− è lo ione nitrito.
Con quattro ossoanioni nella famiglia (di solito un alogeno legato a O), com’è radice -ato
mostrato nella Figura 2.19:
radice -ito
• lo ione con il massimo numero di atomi di O ha il prefisso per-, la radice del
ipo- radice -ito
nome del non metallo e il suffisso -ato;
• lo ione con un atomo di O in meno ha soltanto la radice e il suffisso -ato;
Figura 2.19 Nomenclatura
• lo ione con due atomi di O in meno ha soltanto la radice e il suffisso -ito; degli ossoanioni. I prefissi e i
• lo ione con il minimo numero di atomi di O (tre in meno) ha il prefisso ipo-, la suffissi indicano il numero di
radice e il suffisso -ito. atomi di O nell’anione.

02txt.indd 57 15/05/19 14:55


58 Capitolo 2

Tabella 2.6 Prefissi numerici Per esempio, per i quattro ossoanioni del cloro,
per gli idrati
ClO4− è il perclorato, ClO3− è il clorato, ClO2− è il clorito, ClO− è l’ipoclorito
e i composti
covalenti binari Composti ionici idrati I composti ionici denominati idrati hanno un numero
Numero Prefisso specifico di molecole d’acqua associate a ciascuna unità formula. Nelle loro for-
1 mono- mule, questo numero è indicato dopo un punto a metà altezza della riga. Nel
2 di- nome sistematico è indicato con un prefisso numerico greco prima del nome idrato.
3 tri- Questi prefissi sono indicati nella Tabella 2.6. Per esempio, il minerale epsomite
4 tetra-
5 penta- (“sale inglese”) ha la formula MgSO4 ⋅ 7H2O e il nome solfato di magnesio eptaidrato.
6 esa- Analogamente, il minerale gesso ha la formula CaSO4 ⋅ 2H2O e il nome solfato di
7 epta- calcio diidrato. Le molecole d’acqua, dette “acqua di idratazione”, fanno parte della
8 octa- (otta-) struttura dell’idrato. Il riscaldamento è in grado di rimuoverne una parte o la tota-
9 nona-
lità, dando origine a una differente sostanza. Per esempio, le fotografie sottostanti
10 deca-
illustrano la conversione ottenuta per riscaldamento del solfato di rame(II) penta­
idrato (CuSO4 ⋅ 5H2O) blu (a sinistra) in solfato di rame(II) (CuSO4) bianco (a destra).

© McGraw-Hill Education/ Charles Winters/Timeframe Photography, Inc.

Determinazione dei nomi e delle formule dei composti ionici


contenenti ioni poliatomici
PROBLEMA DI VERIFICA 2.8
Problema Si determinino i nomi sistematici per le formule, o le formule per i nomi, dei
seguenti composti:
(a) Fe(ClO4)2 (b) solfito di sodio (c) Ba(OH)2 ⋅ 8H2O

Risoluzione (a) ClO4 è lo ione perclorato; poiché ha carica 1−, il catione deve essere Fe2+.
Il nome è perclorato di ferro(II) . (Il nome comune è perclorato ferroso).
(b) Lo ione sodio è Na+; lo ione solfito è SO32−. Perciò, 2 ioni Na+ neutralizzano 1 ione SO32−.
La formula è Na2SO3 .
(c) Ba2+ è lo ione bario; OH− è lo ione idrossido. In ciascuna unità formula vi sono 8 (octa-)
molecole d’acqua. Il nome è idrossido di bario octaidrato .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.8 Si determinino i nomi sistematici


per le formule, o le formule per i nomi, dei seguenti composti:
(a) nitrato rameico triidrato (b) idrossido di zinco (c) LiCN

Talvolta è buona pratica correggere i nomi o le formule che si sanno essere sbagliati.

Identificazione dei nomi e delle formule sbagliati dei composti ionici


PROBLEMA DI VERIFICA 2.9
Problema Nella seconda parte di ciascun enunciato c’è qualcosa di sbagliato. Si indichi il
nome o la formula corretti.
(a) Ba(C2H3O2)2 è detto diacetato di bario.
(b) Il solfuro di sodio ha la formula (Na)2SO3.

02txt.indd 58 15/05/19 14:55


I componenti della materia 59

(c) Il solfato di ferro(II) ha la formula Fe2(SO4)3.


(d) Il carbonato di cesio ha la formula Cs2(CO3).
Risoluzione (a) La carica dello ione Ba2+ deve essere neutralizzata da 2 ioni C2H3O2−, e
quindi il prefisso di- non è necessario. Nel caso dei composti ionici, non si indica il numero
di ioni con prefissi numerici. Il nome corretto è acetato di bario .
(b) Vi sono due sbagli. Lo ione sodio è monoatomico e quindi non richiede parentesi. Lo
ione solfuro è S2−, non SO32− (solfito). La formula corretta è Na2S .
(c) I numeri romani si riferiscono alla carica dello ione, non al numero di ioni nella formula.
Fe2+ è il catione; è quindi necessario uno ione SO42− per neutralizzare la sua carica. La for-
mula corretta è FeSO4 .
(d) Le parentesi non sono necessarie quando è presente soltanto una specie di ione poliato-
mico. La formula corretta è Cs2CO3 .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.9 Si spieghi perché la seconda parte


di ciascun enunciato è sbagliata, e la si corregga.
(a) Il fosfato di ammonio è (NH3)4PO4.
(b) L’idrossido di alluminio è AlOH3.
(c) Mg(HCO3)2 è il carbonato di manganese(II).
(d) Cr(NO3)3 è il nitruro cromico(III).
(e) Ca(NO2)2 è il nitrato di cadmio.

Nomenclatura degli acidi Gli acidi sono un gruppo importante di composti con-
tenenti idrogeno che sono impiegati nelle reazioni chimiche da molto prima del­
l’epoca degli alchimisti. In laboratorio, gli acidi sono impiegati di solito in soluzio­ne
acquosa. Nella nomenclatura degli acidi e nella scrittura delle loro formule si può
considerarli come anioni legati a ioni idrogeno (H+) nel numero necessario per la
neutralità elettrica. I due tipi comuni di acidi sono gli acidi binari e gli ossiacidi.
1. Si forma una soluzione di un acido binario quando certi composti gassosi si
sciolgono in acqua. Per esempio, quando il cloruro di idrogeno gassoso (HCl)
si scioglie in acqua, forma una soluzione denominata acido cloridrico. Il nome
è formato dalle seguenti parti:
nome separato acido + radice del nome del non metallo + suffisso-idrico
acido + clor + idrico

ossia acido cloridrico. Questo schema di nomenclatura è valido per molti com-
posti in cui l’idrogeno si combina con un anione che ha un suffisso -uro.
2. I nomi degli ossiacidi sono simili a quelli degli ossoanioni, eccettuati due cam-
biamenti dei suffissi:

• -ato nell’anione diventa -ico nell’acido;


• -ito nell’anione diventa -oso nell’acido.

Sono conservati i prefissi ipo- e per- degli ossoanioni. Per esempio,

BrO4− è perbromato, e HBrO4 è l’acido perbromico


IO2− è lo iodito, e HIO2 è l’acido iodoso

Determinazione dei nomi e delle formule degli anioni e degli acidi


PROBLEMA DI VERIFICA 2.10
Problema Si determino i nomi dei seguenti anioni e i nomi e le formule degli acidi derivati
da essi:
(a) Br− (b) IO3− (c) CN− (d) SO42− (e) NO2−
Risoluzione (a) L’anione è lo ione bromuro; l’acido è l’ acido bromidrico, HBr .
(b) L’anione è lo ione iodato ; l’acido è l’ acido iodico, HIO3 .

02txt.indd 59 15/05/19 14:55


60 Capitolo 2

(c) L’anione è lo ione cianuro ; l’acido è l’ acido cianidrico, HCN .


(d) L’anione è lo ione solfato ; l’acido è l’ acido solforico, H2SO4 . (In questo caso, il suffisso è
aggiunto alla radice solfor, dal latino sulphur, non alla radice solf-).
(e) L’anione è lo ione nitrito ; l’acido è l’ acido nitroso, HNO2 .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.10 Si scrivano le formule per i nomi,


o i nomi per le formule, dei seguenti acidi: (a) acido clorico; (b) HF; (c) acido acetico;
(d) acido solforoso; (e) HBrO.

Nomi e formule dei composti covalenti binari


I composti covalenti binari si formano mediante la combinazione di due ele-
menti, di solito non metalli. Parecchi di essi, quali l’ammoniaca (NH3), il metano
(CH4) e l’acqua (H2O), sono così noti che si usano i loro nomi comuni, ma la maggior
parte di essi sono denominati in modo sistematico.
1. Nella scrittura della formula di un composto covalente binario, l’elemento
con il numero del gruppo più basso nella tavola periodica è posto per primo,
seguito dall’elemento con il numero del gruppo più alto. [Eccezione impor-
tante: quando il composto contiene ossigeno e un alogeno, Gruppo 7A(17),
l’alogeno è posto per primo].
2. Se i due elementi appartengono allo stesso gruppo, quello con il numero del
periodo più alto è posto per primo nella formula.
3. Il nome di un composto covalente binario si ottiene dalla formula ponendo
per primo il nome dell’elemento che compare per secondo nella formula,
generalmente con il suffisso -uro aggiunto alla sua radice, seguito dal nome
dell’elemento che compare per primo nella formula (con l’interposizione della
preposizione “di”).
4. I composti covalenti hanno prefissi numerici greci (vedi Tabella 2.6) per indi-
care il numero di atomi di ciascun elemento nel composto.
5. La prima parola del nome ha di solito un prefisso numerico; la seconda parola
ha un prefisso soltanto quando è presente più di un atomo dell’elemento.

Determinazione dei nomi e delle formule dei composti covalenti


binari
PROBLEMA DI VERIFICA 2.11
Problema (a) Qual è la formula del disolfuro di carbonio?
(b) Qual è il nome di PCl5?
(c) Si scrivano il nome e la formula del composto le cui molecole sono costituite da 2 atomi
di N e da 4 atomi di O.
Risoluzione (a) Il prefisso di- significa “due”. La formula è CS2 .
(b) P è il simbolo del fosforo; vi sono 5 atomi di cloro, che sono indicati dal prefisso penta-.
Il no­me è pentacloruro di fosforo .
(c) L’azoto (N) è scritto per primo nella formula (numero del gruppo più basso). La formula
del composto è N2O4 ; il nome è tetraossido di diazoto .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.11 Si scriva il nome o la formula di


(a) SO3; (b) SiO2; (c) monossido di diazoto; (d) esafluoruro di selenio.

Identificazione dei nomi e delle formule sbagliati dei composti


covalenti binari
PROBLEMA DI VERIFICA 2.12
Problema Si spieghi cosa c’è di sbagliato nel nome o nella formula nella seconda parte di
ciascun enunciato e la si corregga.
(a) SF4 è il pentafluoruro di monozolfo.

02txt.indd 60 15/05/19 14:55


I componenti della materia 61

(b) La formula dell’eptaossido di dicloro è Cl2O6. Tabella 2.7 I primi 10 alcani


(c) N2O3 è il diazotriossido. a catena lineare
Risoluzione (a) Vi sono due sbagli. Il prefisso per “quattro” è tetra-, non penta-; il prefisso
mono- non è necessario se c’è soltanto un atomo del primo elemento. Il nome corretto è Nome Formula
tetrafluoruro di zolfo . Metano CH4
(b) Il prefisso epta- indica “sette”, non “sei”. La formula corretta è Cl2O7 . Etano C2H6
(c) È necessario il nome completo del primo elemento nella formula, che deve comparire Propano C3H8
per secondo nel nome del composto. Il nome corretto è triossido di diazoto . Butano C4H10
Pentano C5H12
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.12 Si spieghi cosa c’è di sbagliato Esano C6H14
nella seconda parte di ciascun enunciato e la si corregga. Eptano C7H16
(a) S2Cl2 è il dicloruro disolforoso.
Ottano C8H18
(b) La formula del monossido di azoto è N2O.
Nonano C9H20
(c) BrCl3 è il bromuro di tricloro.
Decano C10H22

Nomenclatura degli alcani Molti composti organici hanno formule di struttura


complesse costituite da catene e/o anelli di atomi di carbonio con rami (catene
laterali) di atomi di carbonio o di altri elementi. Gli idrocarburi, il tipo più semplice
di composti organici, contengono soltanto carbonio e idrogeno. Gli alcani sono il
tipo più semplice di idrocarburi, e gli alcani più semplici sono detti alcani a catena
lineare perché sono costituiti da catene di atomi di carbonio senza catene laterali.
In tutti gli alcani, ogni atomo di carbonio forma quattro legami covalenti. Gli alcani
sono altamente combustibili e parecchi sono combustibili importanti, quali il me-
tano, il propano, il butano e la miscela di alcani nella benzina.
Gli idrocarburi sono composti covalenti binari, ma la loro nomenclatura non
segue le regole enunciate per questi composti. Gli alcani sono denominati con un
prefisso più il suffisso -ano. I nomi e le formule dei primi 10 alcani a catena linea-
re sono elencati nella Tabella 2.7. Si noti che soltanto i prefissi dei quattro alcani
più piccoli sono nuovi; quelli degli alcani più grandi sono identici ai prefissi greci
elencati nella Tabella 2.6. Incontreremo composti organici in tutto il libro. Esamine-
remo nel Capitolo 15 disponibile sul sito web dedicato al volume la nomenclatura
dei composti organici con struttura più complessa.

Deduzione delle masse molecolari dalle formule chimiche


Nel Paragrafo 2.5 abbiamo calcolato la massa atomica di un elemento. Usando
la formula di un composto per vedere il numero di atomi di ciascun elemento
in esso presente e la tavola periodica, possiamo calcolare la massa molecolare
(detta anche peso molecolare) di un’unità formula del composto come somma
delle masse atomiche:
massa molecolare = somma delle masse atomiche (2.3)

La massa molecolare di una molecola d’acqua (usando le masse atomiche con 4 cifre
significative prese dalla tavola periodica) è
massa molecolare di H2O = [2 × (massa atomica di H)] + [1 × (massa atomica di O)]
= (2 × 1,008 u) + 16,00 u
= 18,02 u
I composti ionici sono trattati nello stesso modo; però, poiché non sono costituiti
da molecole, per un composto ionico si usa il termine massa formula. Consideriamo
il nitrato di bario, Ba(NO3)2. Per calcolare la sua massa formula, si moltiplica il numero
di atomi di ciascun elemento tra parentesi per il pedice fuori delle parentesi:
massa formula di Ba(NO3)2 = [1 × (massa atomica di Ba)] + [2 × (massa atomica di N)]
+ [6 × (massa atomica di O)]
= 137,3 u + (2 × 14,01 u) + (6 × 16,00 u)
= 261,3 u

02txt.indd 61 15/05/19 14:55


62 Capitolo 2

È importante notare che si usano masse atomiche, non masse ioniche. Anche se le
masse degli ioni differiscono da quelle dei rispettivi atomi per le masse degli elettroni,
il numero di elettroni ceduti è uguale al numero di elettroni acquistati nel composto e
quindi la massa degli elettroni ceduti e quella degli elettroni acquistati si compensano.

Calcolo della massa molecolare di un composto


PROBLEMA DI VERIFICA 2.13
Problema Usando i dati contenuti nella tavola periodica, si calcoli la massa molecolare (o
la massa formula) dei seguenti composti:
(a) trisolfuro di tetrafosforo (b) nitrato di ammonio
Piano Prima scriviamo la formula, poi moltiplichiamo il numero di atomi (o di ioni) di cia-
scun elemento per la sua massa atomica e calcoliamo la somma.
Risoluzione (a) La formula è P4S3.
massa molecolare = [4 × (massa atomica di P)] + [3 × (massa atomica di S)]
= (4 × 30,97 u) + (3 × 32,06 u)
= 220,06 u
(b) La formula è NH4NO3. Contiamo il numero totale di atomi di N anche se appartengono
a differenti ioni:
massa formula =
= [2 × (massa atomica di N)] + [4 × (massa atomica di H)] + [3 × (massa atomica di O)]
= (2 × 14,01 u) + (4 × 1,008 u) + (3 × 16,00 u)
= 80,05 u
Verifica Si riesce spesso a trovare gli errori grandi arrotondando le masse atomiche al 5
più vicino e poi sommando.
(a) (4 × 30) + (3 × 30) = 210  220,06. La somma ha due cifre decimali perché ne hanno
due le masse atomiche.
(b) (2 × 15) + 4 + (3 × 15) = 79  80,05.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.13 Si determinino la formula e la massa


molecolare (o la massa formula) di ciascuno dei seguenti composti: (a) perossido di idrogeno;
(b) cloruro di cesio; (c) acido solforico; (d) solfato di potassio.

La Scheda di approfondimento presentata alla pagina successiva illustra alcuni dei


modi con cui i chimici rappresentano le molecole e l’enorme intervallo di dimen-
sioni molecolari.

2.9 LE MISCELE: CLASSIFICAZIONE E SEPARAZIONE


Anche se è essenziale conoscere le caratteristiche delle sostanze pure, quasi mai
esse sono presenti nel nostro ambiente. Nel mondo naturale, la materia esiste di
solito sotto forma di miscele. Per esempio, un campione di aria “pulita” è costituito
da molti elementi e composti miscelati fisicamente, comprendenti ossigeno (O2),
azoto (N2), diossido di carbonio (CO2), i sei gas nobili [Gruppo 8A(18)] e vapore
acqueo (H2O). Gli oceani e i mari sono miscele complesse di ioni disciolti e sostan-
ze covalenti, comprendenti Na+, Mg2+, Cl−, SO42−, O2, CO2 e, ovviamente, H2O. Le
rocce e i suoli sono miscele di numerosi composti – carbonato di calcio (CaCO3),
diossido di silicio (SiO2), ossido di alluminio (Al2O3), ossido di ferro(II) (Fe2O3) – e
possono contenere alcuni elementi (oro, argento e carbonio sotto forma di dia-
mante), petrolio e carbone fossile; questi ultimi, a loro volta, sono costituiti da
miscele complesse. Gli esseri viventi contengono migliaia di sostanze: carboidrati,
lipidi, proteine, acidi nucleici e molti composti ionici e covalenti più semplici.
Esistono due classi generali di miscele. Una miscela eterogenea ha una o più
superfici di separazione visibili tra i suoi componenti. Perciò, la sua composizione
non è uniforme. Molte rocce sono eterogenee e mostrano singoli granuli e particel-
le di differenti minerali. In alcuni casi, come nel latte e nel sangue, le superfici di
separazione sono visibili soltanto al microscopio. Una miscela omogenea non ha
superfici di separazione visibili perché i componenti sono miscelati come singoli
atomi, ioni e molecole. Perciò, la sua composizione è uniforme. Per esempio, una

02txt.indd 62 15/05/19 14:55


Scheda di approfondimento
Rappresentazione delle molecole
L’aspetto più entusiasmante dello studio della chimica è l’addestramento ozono (O3, 48,00 u) contribuisce
della mente a immaginare un mondo molecolare, pieno di piccolissimi alla formazione dello smog; è un
componente naturale della stratosfera,
oggetti di varie forme. Le molecole sono rappresentate in diversi modi,
dove assorbe le radiazioni solari nocive
come viene illustrato qui sotto per la molecola d’acqua.
Le formule chimiche mostrano soltanto
i numeri relativi di atomi. H2O Tutte le molecole sono molto piccole e le loro dimensioni relative
Le formule di struttura di Lewis in cui dipendono dalla composizione. Una molecola d’acqua è piccola perché
una coppia di elettroni condivisa tra è costituita soltanto da tre atomi. Anche la maggior parte degli inquinanti
H:O:H atmosferici, quali l’ozono, il monossido di carbonio, il diossido di zolfo
due atomi è rappresentata con una
coppia di punti o con una lineetta. e il diossido di azoto, è costituita da piccole molecole.
I modelli ball and stick rappresentano H—O—H
monossido di carbonio (CO, 28,01 u), componente
gli atomi come sferette (ball) e i legami tossico dei gas di scarico dei veicoli a motore
come bastoncini (stick), con angoli e a combustione interna e del fumo di tabacco
dimensioni relative accurati, ma
con distanze esagerate. diossido di azoto (NO2, 46,01 u) si forma N
I modelli space-filling (a “riempimento dai gas di scarico dei veicoli a motore O O
dello spazio”) sono versioni accuratamente a combustione interna e contribuisce
ingrandite delle molecole, allo smog e alla pioggia acida
ma non rappresentano i legami.
Molte sostanze di uso domestico, quali
I modelli a densità elettronica mostrano
il butano, l’acido acetico e l’acido
il modello ball-and-stick entro il modello
acetilsalicilico sono costituite
space-filling e pongono in evidenza con
da molecole un po’ più
il colore le regioni di alta (rosso) e di bassa
grandi. L’eme, una molecola
(blu) carica elettronica.
biologicamente essenziale, è ancora più grande.
H H H H butano (C4H10, 58,12 u), diossido di zolfo (SO2, 64,07 u) si forma
combustibile impiegato dalla combustione del carbone fossile nelle S
H
C C C C
H
negli accendini e nei fornelli O O
centrali termoelettriche a carbone;
H H H H da camping. contribuisce alla pioggia acida

H
acido acetico H O
O O
(CH3COOH, 60,05 u), C H
H C C H
componente dell’aceto
H C O C
O
H H
C C C
H
C C O
H C H

H
acido acetilsalicilico
eme (C34H32FeN4O4, 616,49 u), (C9H8O4, 180,15 u), l’analgesico
componente della proteina più usato nel mondo
ematica emoglobina,
deputata al trasporto
dell’ossigeno ai tessuti
del corpo

Le molecole molto grandi,


dette macromolecole, possono
essere sintetiche, come il nylon,
o naturali, come il DNA, e sono
costituite tipicamente
da migliaia di atomi. acido deossiribonucleico
nylon-66 (15 000 u), (DNA, 10 000 000 u),
macromolecola di sintesi, macromolecola cellulare
relativamente piccola, che contiene informazioni
impiegata nell’industria tessile genetiche

02txt.indd 63 15/05/19 14:55


64 Capitolo 2

miscela di zucchero disciolto in acqua è omogenea perché le molecole di zucche-


ro e le molecole di acqua sono uniformemente mescolate a livello molecolare. È
impossibile stabilire visivamente se un corpo sia una sostanza (un elemento o un
composto) oppure una miscela omogenea.
Una miscela omogenea è detta anche soluzione. Anche se di solito si pensa
che le soluzioni siano liquide, possono esistere soluzioni in tutti e tre gli stati di
aggregazione della materia. Per esempio, l’aria è una soluzione gassosa costituita in
A prevalenza da molecole di ossigeno e di azoto e la cera è una soluzione solida di
S8
molte sostanze grasse. Le soluzioni in acqua, dette soluzioni acquose, sono par-
ticolarmente importanti in chimica e costituiscono gran parte dell’ambiente e di
tutti gli organismi.
Si ricordi che le miscele differiscono fondamentalmente dai composti sotto tre
Fe aspetti: (1) le proporzioni dei componenti possono variare; (2) le proprietà indivi-
duali dei componenti sono osservabili; (3) i componenti possono essere separati
con mezzi fisici. In alcuni casi, se si applica energia sufficiente ai componenti della
miscela, essi reagiscono tra loro chimicamente e formano un composto, dopo di che
le loro proprietà individuali non sono più osservabili. La Figura 2.20 illustra un caso
del genere con una miscela di ferro e zolfo.
Per studiare le proprietà delle sostanze, i chimici hanno ideato molti procedi-
menti per separare una miscela negli elementi e nei composti da cui è costituita. In
realtà, le leggi e i modelli della chimica non avrebbero mai potuto essere formulate
senza questa capacità. Molti dei critici di Dalton, che ritenevano di avere trovato
B composti con composizione variabile, avevano studiato inconsapevolmente misce-
le! La scheda Strumenti di laboratorio (alla fine di questo capitolo) descrive alcuni dei
S2 metodi di separazione di laboratorio più comuni.
La Figura 2.21 (a pagina seguente) presenta un ripasso visivo di molti dei ter-
Fe2 mini e dei concetti essenziali introdotti in questo capitolo.

Figura 2.20 La distinzione tra miscele e composti. A. Una miscela di ferro e zolfo può
essere separata con un magnete perché soltanto il ferro è magnetico. L’ingrandimento
mostra regioni separate dei due elementi. B. In seguito a un forte riscaldamento si forma il
composto solfuro di ferro(II), che non è più magnetico. L’ingrandimento mostra la struttu-
ra del composto, in cui non vi sono regioni separate degli elementi. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, photographer).

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


2.1 Massa (t) della pechblenda 2.5 (a) zinco [Gruppo 2B(12)] e ossigeno [Gruppo 6A(16)]
84,2 t pechblenda (b) argento [Gruppo 1B(11)] e bromo [Gruppo 7A(17)]
= 2,3 t uranio × (c) litio [gruppo 1A(1)] e cloro [Gruppo 7A(17)]
71,4 t uranio
(d) alluminio [Gruppo 3A(13)] e zolfo [Gruppo 6A(16)]
= 2,7 t pechblenda 2.6 (a) ZnO; (b) AgBr; (c) LiCl; (d) Al2S3
massa (t) dell’ossigeno 2.7 (a) PbO2; (b) solfuro di rame(I) (solfuro rameoso); (c) bro-
(84,2 − 71,4) t ossigeno muro di ferro(II) (bromuro ferroso); (d) HgCl2
= 2,7 t peehblendah × 2.8 (a) Cu(NO3)2 ⋅ 3H2O; (b) Zn(OH)2; (c) cianuro di litio
84,2 t peehblenda
2.9 (a) (NH4)3PO4; lo ione ammonio è NH4+ e lo ione fosfato è
= 0,41 t ossigeno PO43−
2.2 (a) Q = B; 5p+, 6n0, 5e− (b) Al(OH)3; è necessario racchiudere tra parentesi lo ione
(b) X = Ca; 20p+, 21n0, 20e− poliatomico OH−
(c) idrogenocarbonato di magnesio; Mg2+ è lo ione magnesio
(c) Y = I; 53p+, 78n0, 53e− e può avere soltanto una carica 2+ quindi non richiede (II);
2.3 10,0129x + [11,0093(1 − x)] = 10,81; 0,9964x = 0,1993; HCO3− è lo ione idrogenocarbonato (o bicarbonato)
x = 0,2000 e 1 − x = 0,8000; % abbondanza di 10B = 20,00%; (d) nitrato di cromo(III); non è usata la desinenza -ico con
% abbondanza di 11B = 80,00% numeri romani; NO3− è lo ione nitrato
2.4 (a) S2−; (b) Rb+; (c) Ba2+ (e) nitrito di calcio; Ca2+ è lo ione calcio e NO2− è lo ione nitrito

02txt.indd 64 15/05/19 14:55


I componenti della materia 65

MATERIA
Qualunque cosa che abbia una massa e un volume
Esiste in tre stati di aggregazione: solido, liquido, gassoso

MISCELE
Due o più elementi o composti in proporzioni variabili
I componenti conservano le loro proprietà

Miscele eterogenee Miscele omogenee (soluzioni)


• Parti visibili • Assenza di parti visibili
• Differente composizione locale • Stessa composizione dovunque

TRASFORMAZIONI
FISICHE
Filtrazione
Estrazione
Distillazione
Cristallizzazione
Cromatografia

SOSTANZE PURE
Composizione fissa dovunque

Elementi Composti
• Costituiti da una sola specie di atomo • Due o più elementi combinati in
• Classificati come metalli, non frazione fissa in massa
metalli, o metalloidi • Le proprietà differiscono da quelle
• Il tipo più semplice di materia che ne degli elementi componenti
conserva le proprietà caratteristiche • La massa molecolare è la somma
• Possono esistere come singoli delle masse atomiche
atomi o come molecole
• La massa atomica è la media delle
masse isotopiche ponderata con
l’abbondanza
TRASFORMAZIONI CHIMICHE

Atomi Composti ionici


• Protoni (p) e neutroni • Solidi costituiti da cationi e
(n0) nel nucleo molto piccolo, anioni
massivo, positivo; numero di • Si formano ioni per trasferimento
p = numero atomico (Z) di e da metallo a non metallo
• Gli elettroni (e) occupano
il volume attorno al nucleo; Composti covalenti
numero di p = numero di e • Sono costituiti spesso da
molecole separate
• Atomi (di solito non metalli)
legati da coppie di e condivise

Figura 2.21 Classificazione della materia da un punto di vista chimico. Le miscele vengono separate in elementi e composti
mediante trasformazioni fisiche. Sono necessarie trasformazioni chimiche per convertire gli elementi in composti e viceversa.

2.10 (a) HClO3; (b) acido fluoridrico; (c) CH3COOH (o C2H4O2); (c) tricloruro di bromo; Br è in un periodo superiore nel
(d) H2SO3; (e) acido ipobromoso Gruppo 7A(17) e quindi il suo nome è scritto per primo nella
2.11 (a) triossido di zolfo; (b) diossido di silicio; (c) N2O; (d) formula (e posto per secondo nel nome del composto)
SeF6 2.13 (a) H2O2, 34,02 u; (b) CsCl, 168,4 u; (c) H2SO4, 98,09 u;
2.12 (a) dicloruro di dizolfo; non è usato il suffisso -oso (d) K2SO4, 174,27 u
(b) NO; il nome indica 1 atomo di azoto

02txt.indd 65 15/05/19 14:55


Strumenti di laboratorio
Tecniche di separazione fondamentali
Alcuni dei procedimenti di laboratorio più impegnativi e La distillazione separa i componenti mediante differenze
più dispendiosi di tempo implicano la separazione delle mi- di volatilità, la tendenza di una sostanza a trasformarsi in
scele e la purificazione dei loro componenti. Descriviamo un gas. Per esempio, l’etere è più volatile dell’acqua, che è
qui alcune delle tecniche di separazione di uso comune. È molto più volatile del cloruro di sodio. Quando la miscela
importante notare che tutti questi metodi si basano sulle bolle, il vapore è più ricco del componente più volatile, che
proprietà fisiche delle sostanze presenti nella miscela; non può essere condensato e raccolto separatamente. Il sempli-
avvengono trasformazioni chimiche. ce apparecchio per distillazione illustrato nella Figura S2.5
La filtrazione separa i componenti di una miscela sulla è usato per separare componenti con grandi differenze di
base di differenze tra le dimensioni delle particelle. È usata mol- volatilità, per esempio l’acqua dai composti ionici d­ isciolti.
to spesso per separare un liquido (particelle più piccole) da Per separare componenti con piccole differenze di volatilità
un solido (particelle più grandi). La Figura S2.3 mostra la sono necessarie molte tappe di evaporazione-condensazio-
filtrazione semplice di un prodotto di reazione solido. Nella ne (come vedremo nel Capitolo 13).
filtrazione sotto vuoto, la riduzione della pressione entro il
matraccio accelera il flusso del liquido attraverso il filtro. La La miscela viene
filtrazione è una tappa essenziale nella purificazione dell’ac- riscaldata
e il componente
qua per usi potabili. termometro volatile evapora

A contatto con
Figura S2.3 Filtrazione. il vetro freddo,
(Foto: © McGraw-Hill Education/ i vapori condensano
Stephen Frisch, photographer). per formare
distillato liquido
puro

refrigerante
raffreddato
ad acqua

La cristallizzazione si basa su differenze di solubilità. La


uscita
solubilità di una sostanza è la quantità di essa che si scioglie dell’acqua entrata
in un volume fisso di solvente a una data temperatura. Il dell’acqua
Distillato raccolto
procedimento illustrato nella Figura S2.4 applica il fatto in un matraccio
che molte sostanze sono più solubili in un solvente cal- pallone di separato
distillazione
do che nello stesso solvente freddo. Nella fotografia si può
vedere che il composto purificato si separa per cristallizza- Figura S2.5 Distillazione.
zione dalla soluzione quando questa viene raffreddata. Le
sostanze essenziali nei microprocessori e in altri dispositi- Anche l’estrazione si basa su differenze di solubilità. In un
vi elettronici moderni vengono purificate con un tipo di procedimento tipico, un materiale naturale (spesso vegeta-
­cristallizzazione. le o animale) viene macinato in un frullatore con un sol-
Figura S2.4 vente che estrae (scioglie) i composti solubili inclusi in
Cristallizzazione. materiale insolubile. Questo estratto viene ulteriormente
(Foto: © McGraw-Hill Education/ separato con l’aggiunta di un secondo solvente che non
Stephen Frisch, photographer). si scioglie nel primo. Dopo agitazione in un imbuto se-
paratore, alcuni componenti vengono estratti nel nuovo
solvente.
La cromatografia è una terza tecnica basata su differenze
di solubilità. La miscela viene disciolta in un gas o in un
liquido, detto fase mobile, e i componenti vengono separati
mentre questa fase si muove su una superficie solida (o su
una superficie liquida viscosa), detta fase stazionaria. Un
componente con bassa solubilità nella fase stazionaria vi
trascorre meno tempo, e quindi si muove più velocemente,
(continua)

02txt.indd 66 15/05/19 14:55


rispetto a un componente che è altamente solubile in essa.
La Figura S2.6 illustra la separazione di una miscela di pig-
menti presenti in un inchiostro. Sono usati molti tipi di cro- 1 La miscela di inchiostri
solvente viene collocata delicatamente
matografia per separare un’ampia gamma di sostanze, da gas (fase mobile) sulla fase stazionaria
semplici a macromolecole biologiche. Nella cromatografia
gas-liquido (Gas-Liquid Chromatography, GLC), la fase mobile 2 Il solvente fluisce
è un gas inerte, come l’elio, che trasporta i componenti, attraverso la colonna

precedentemente vaporizzati, in un lungo tubo contenente solvente 3 I componenti si


la fase stazionaria (Figura S2.7, parte A). I componenti esco- muovono attraverso
no separatamente e raggiungono un rivelatore per creare la colonna a differenti
fase
velocità
un cromatogramma. Un cromatogramma tipico presenta stazionaria
4 Il componente
impaccata
numerosi picchi di specifica posizione e altezza, ciascuno nella colonna
meno solubile si
dei quali rappresenta la quantità di un dato componente muove più velocemente

(Figura S2.7, parte B). Il principio della cromatografia liqui- tempo


da ad alte prestazioni (o ad alta pressione) [High-Performance 1 2 3 successivo 1 2 3
(high-pressure) Liquid Chromatography, HPLC] è molto simi-
le, ma la miscela non viene vaporizzata, permettendo di beute di raccolta 5 I componenti separati
separare un gruppo più diverso di miscele, che possono sono divisi in base
a come si trovano
comprendere composti non volatili. nella colonna

Figura S2.6 Procedimento di cromatografia su colonna.

20
18

risposta del rivelatore


16
14
He gassoso He gassoso
12
10
prima dell’interazione con la fase stazionaria 8
6
4
He gassoso He gassoso 2
0
22 24 26 28 30 32 34 36
dopo l’interazione con la fase stazionaria tempo (minuti)
A B

Figura S2.7 Principio della cromatografia gas-liquido (GLC). A. La fase mobile (freccia violetta) trasporta il campione di
miscela in un tubo riempito della fase stazionaria (profilo grigio su sfere gialle), e ciascun componente si scioglie nella fase stazio-
naria in differente misura. Un componente (rosso) che si scioglie meno facilmente di un altro (blu) esce dal tubo più presto. B.Un
tipico cromatogramma gas-liquido di una miscela complessa presenta ciascun componente come un picco.

02txt.indd 67 15/05/19 14:55


3
Stechiometria:
relazioni quantità-massa-numero
nei sistemi chimici

DA SAPERE PRIMA La chimica è una scienza pratica. Basta immaginare quanto potrebbe essere utile
• isotopi e massa atomica
determinare la formula di un composto in base alle masse dei suoi elementi o pre-
(Paragrafo 2.5) vedere le quantità di sostanze consumate e prodotte in una reazione. Supponete
• nomi e formule dei composti di essere un chimico dei polimeri che sta preparando una nuova materia plastica:
(Paragrafo 2.8)
• massa molecolare di un compo-
quanta di questa materia plastica sarà prodotta da una data reazione di polimeriz-
sto (Paragrafo 2.8) zazione? O supponete di essere un ingegnere chimico che sta studiano la spinta del
• significato di un modello scienti- motore di un razzo: che quantità di gas di scarico sarà prodotta da un test di questa
fico (Paragrafo 1.3)
• formula empirica e formula mole-
miscela combustibile? O immaginate di essere un membro di un’équipe di chimici
colare (Paragrafo 2.8) ambientali che stanno esaminando campioni di carbone fossile: che quantità di
• leggi di massa nelle reazioni inquinanti atmosferici sarà rilasciata da questo campione quando verrà bruciato? O
chimiche (Paragrafo 2.2)
immaginate di essere un ricercatore biochimico che ha estratto una nuova sostanza
antineoplastica da una pianta tropicale: qual è la sua formula e che quantità di pro-
dotti metabolici permetterà di stabilire una dose sicura? Si può rispondere a queste
domande e a una miriade di altre simili conoscendo la stechiometria (dal greco
stoicheion, “elemento”, e métron, “misura”), lo studio degli aspetti quantitativi delle
formule e delle reazioni chimiche.
IN QUESTO CAPITOLO svilupperete alcune abilità essenziali per l’attività del
chimico: mettere in relazione la massa di una sostanza con il numero di entità
chimiche (atomi, molecole o unità formula); convertire i risultati dell’analisi di
massa in una formula chimica; leggere, scrivere e pensare nel linguaggio delle
equazioni chimiche e applicare le informazioni quantitative contenute in esse.
Tutte queste abilità si basano sulla comprensione del concetto di mole, di im-
portanza fondamentale in tutta la chimica; quindi partiremo da qui.

3.1 LA MOLE
Nella vita quotidiana, misuriamo generalmente le cose contandole o determinan-
done la massa (“pesandole”) e scegliamo il metodo più conveniente per quel parti-
colare scopo. È più conveniente pesare i fagioli o il riso che contare i singoli fagioli
o chicchi di riso, ed è più conveniente contare le uova o le matite che pesarle. Per
effettuare queste misurazioni, si utilizza un’unità di massa (1 kg di riso) o un’unità
di conteggio (1 dozzina di uova). Analogamente, la vita quotidiana in laboratorio
è dedicata in parte alla misurazione di sostanze per preparare una soluzione o fare
svolgere una reazione. Però, quando si tenta di farlo, si incontra un problema ovvio.
Gli atomi, le molecole o le unità formula sono entità che reagiscono l’una con l’altra,
e quindi si vuole conoscere il numero di entità che si mescolano tra loro. Ma come
si possono contare unità che sono così piccole? I chimici, per contare le entità chimi-
che e determinarne la massa (pesandole), hanno ideato un’unità di misura detta mole.

Definizione della mole


La mole (mol) è l’unità di quantità di sostanza nel Sistema Internazionale (è una
delle sette unità fondamentali del SI). È definita come la quantità di sostanza di un

03txt.indd 68 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 69

sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbo-
nio-12 (12C). Questo numero è detto numero di Avogadro, in onore del fisico e
chimico italiano Amedeo Avogadro (1776-1856), e, com’è suggerito dalla definizio-
ne, ha un valore enorme:
1 mol contiene 6,022 × 1023 entità (con 4 cifre significative) (3.1)
Perciò,
1 mol di carbonio-12 contiene 6,022  ×  1023 atomi di carbonio-12
1 mol di H2O contiene 6,022  ×  1023 molecole di H2O
1 mol di NaCl contiene 6,022  ×  1023 unità formula di NaCl
Però, la mole non è semplicemente un’unità di conteggio, come la decina o la doz- • Immaginate una mole di ...
Una mole di qualsiasi oggetto ordi-
zina, che specifica soltanto il numero di oggetti. La definizione della mole specifica il nario è una quantità sbalorditiva:
numero di oggetti in una massa fissa di sostanza. Perciò, 1 mol di una sostanza rappre- 1 mol di punti di interpunzione (.)
senta un numero fisso di entità chimiche e ha una massa fissa. Per vedere perché ciò è allineati consecutivamente avrebbe
una lunghezza pari al raggio della
importante, consideriamo le biglie nella Figura 3.1A, che useremo come analogia per
nostra Galassia; 1 mol di biglie
gli atomi. Supponiamo di avere un gruppo di biglie rosse e uno di biglie gialle, e che impilate l’una sull’altra coprirebbe
ciascuna biglia rossa abbia una massa di 7 g e ciascuna biglia gialla abbia una massa gli Stati Uniti con uno strato spesso
di 4 g. Sappiamo immediatamente che vi sono 12 biglie in 84 g di biglie rosse o in circa 115 km. Però, gli atomi e le
molecole non sono oggetti ordinari:
48 g di biglie gialle. Inoltre, poiché 1 biglia rossa ha una massa pari a 7/4 di quella
1 mol di molecole d’acqua (circa
di 1 biglia gialla, ogni dato numero di biglie rosse e di biglie gialle ha sempre questo 18 mL) può essere deglutita in un
rapporto delle masse 7:4. Per la stessa ragione, ogni data massa di biglie rosse e di solo sorso!
biglie gialle ha sempre un rapporto dei numeri 4:7. Per esempio, 280 g di biglie rosse
contengono 40 biglie, e 280 g di biglie gialle contengono 70 biglie. Come si può
vedere, le masse fisse delle biglie permettono di contarle determinandone la massa.
Anche gli atomi hanno masse fisse, e la mole offre un metodo pratico per
determinare il numero di atomi, di molecole o di unità formula in un campione
determinandone la massa. Concentriamo l’attenzione prima sugli elementi e tenia-
mo presente un punto essenziale presentato nel Capitolo 2: la massa atomica di
un elemento (che compare sulla tavola periodica) è la media ponderata delle masse
dei suoi isotopi naturali. Ai fini della determinazione della massa, si considera che
tutti gli atomi di un elemento abbiano questa massa atomica. Cioè, tutti gli atomi Figura 3.1 Conteggio di
oggetti di massa relativa fissa.
di ferro (Fe) hanno una massa atomica di 55,85 u, tutti gli atomi di zolfo (S) hanno A. Se le biglie avessero una
una massa atomica di 32,07 u e così via. massa fissa, potrem­mo contarle
La relazione fondamentale tra la massa di 1 atomo e la massa di 1 mol di quegli determinandone la massa (“pe-
atomi è che la massa atomica di un elemento, espressa in unità di massa atomica (u) sandole”). Ogni biglia rossa ha
una massa di 7 g e ogni biglia
è numericamente uguale alla massa di 1 mol di atomi dell’elemento espressa in grammi.
gialla ha una massa di 4 g; quin-
Lo si può vedere dalla definizione della mole, che è riferita al numero di atomi in di una massa di 84 g di biglie
“12 g di carbonio-12”. Analogamente, rosse e una massa di 48 g di
1 atomo di Fe ha una e 1 mol di atomi di Fe ha una biglie gialle sono costituite l’una
  massa di 55,85 u   massa di 55,85 g e l’altra da 12 biglie. Numeri
1 atomo di S ha una e 1 mol di atomi di S ha una uguali delle due specie di biglie
hanno sempre un rapporto 7 : 4
  massa di 32,07 u   massa di 32,07 g
delle masse delle biglie rosse e
1 atomo di O ha una e 1 mol di atomi di O ha una delle biglie gialle. B. Poiché gli
  massa di 16,00 u   massa di 16,00 g atomi di una sostanza hanno una
1 molecola di O2 ha una e 1 mol di molecole di O2 ha una massa fissa, possiamo determi-
  massa di 32,00 u   massa di 32,00 g nare la massa della sostan­za
(“pesarla”) per contare gli atomi.
Come è mostrato qui, 55,85 g di
Fe (piatto sinistro della bilancia)
e 32,07 g di S (piatto destro)
sono costituiti, gli uni e gli altri,
da 6,022  ×  1023 atomi (1 mol di
atomi). Due campioni qualsiasi
di ferro e di zolfo che contenga-
no numeri uguali di atomi hanno
un rapporto 55,85 : 32,07 delle
masse di ferro e di zolfo. (Foto:
© McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch).

03txt.indd 69 16/05/19 18:35


70 Capitolo 3

Inoltre, in virtù delle loro masse atomiche fisse, sappiamo che 55,85 g di atomi di
Fe e 32,07 g di atomi di S contengono, gli uni e gli altri, 6,022  ×  1023 atomi. Come
nel caso delle biglie di massa fissa, 1 atomo di Fe ha una massa pari a 55,85/32,07
di quella di 1 atomo di S, e 1 mol di atomi di Fe ha una massa pari a 55,85/32,07
di quella di 1 mol di atomi di S (Figura 3.1B).
Una relazione simile vale per i composti: la massa molecolare (o la massa formula)
di un composto, espressa in unità di massa atomica (u) è numericamente uguale alla
massa di 1 mol del composto espressa in grammi. Perciò, per esempio,
1 molecola di H2O ha una e 1 mol di H2O (6,022  ×  1023 molecole) ha una
  massa di 18,02 u   massa di 18,02 g
1 unità formula di NaCl e 1 mol di NaCl (6,022  ×  1023 unità formula)
   ha una massa di 58,44 u    ha una massa di 58,44 g

Figura 3.2 Una mole di Riassumendo i due punti essenziali riguardo all’utilità del concetto di mole:
alcune sostanze familiari. Una • la mole conserva la stessa relazione delle masse tra campioni macroscopici che
mole di una sostanza è la quan-
tità di sostanza che contiene
esiste tra singole entità chimiche;
6,022  ×  1023 atomi, molecole, • la mole mette in relazione il numero di entità chimiche con la massa di un
o unità formula. Da sinistra a campione di quelle entità.
destra: 1 mol (63,55 g) di rame,
1 mol (18,02 g) di H2O liquida, Un negoziante non è in grado di ottenere 1 dozzina di uova pesandole e un ti-
1 mol (58,44 g) di cloruro di sodio pografo non è in grado di ottenere 1 risma (500 fogli) di carta pesandoli, perché
(sale), 1 mol (342,3 g) di saccaro- le singole uova e i singoli fogli di carta non hanno la stessa massa. Ma un chimi-
sio (zucchero) e 1 mol (26,98 g) co è in gra­do di ottenere 1 mol di atomi di rame (6,022  ×  1023 atomi) pesando
di alluminio.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
semplicemen­te 63,55 g di rame. La Figura 3.2 mostra 1 mol di alcuni elementi e
Charles Winters/Timeframe composti familiari.
Photography, Inc.).
Massa molare
La massa molare (M) di una sostanza è la massa di una mole delle sue entità
(atomi, molecole, unità formula). Perciò, la massa molare è espressa in grammi su
mole (g/mol). La Tabella 3.1 riassume il significato delle unità di massa impiegate
in questo libro.
Per il calcolo della massa molare di una sostanza è indispensabile la tavola pe-
riodica. Ecco come si eseguono i calcoli:
1. Elementi. Per trovare la massa molare di un elemento si cerca semplicemente
la sua massa atomica nella tavola periodica e poi si nota se l’elemento esiste in
natura sotto forma di singoli atomi o di molecole.
• Elementi monoatomici. Nel caso degli elementi che esistono in natura sotto
forma di insiemi di singoli atomi, la massa molare è il valore numerico

Tabella 3.1 Sommario della terminologia delle masse*


Termine Definizione Unità
Massa isotopica Massa di un isotopo di un elemento Unità di massa atomica (u)
Massa atomica Media delle masse degli isotopi Unità di massa
(detta anche naturali di un elemento, ponderata atomica (u)
peso atomico) secondo la loro abbondanza
Massa molecolare Somma delle masse atomiche degli Unità di massa
(detta anche atomi (o degli ioni) in una atomica (u)
peso molecolare) molecola (o in una unità formula)
Massa molare (M) Massa di 1 mol di entità chimiche Grammo per
(detta anche grammomo- (atomi, ioni, molecole, mole (g/mol)
lecola o peso molecolare unità formula)
espresso in grammi)
* Tutti i termini sono basati sull’unità di massa atomica definita esattamente come 1/12
della massa dell’atomo dell’isotopo del carbonio-12 (C).

03txt.indd 70 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 71

Tabella 3.2 Informazioni contenute nella formula chimica del glucosio, C6H12O6 (M = 180,16 g/mol)
Carbonio (C) Idrogeno (H) Ossigeno (O)
Atomi/molecola di composto 6 atomi 12 atomi 6 atomi
Moli di atomi/mole di composto 6 mol di atomi 12 mol di atomi 6 mol di atomi
Atomi/mole di composto 6(6,022 × 1023) atomi 12(6,022 × 1023) atomi 6(6,022 × 1023) atomi
Massa/molecola di composto 6(12,01 u) = 72,06 u 12(1,008 u) = 12,10 u 6(16,00 u) = 96,00 u
Massa/mole di composto 72,06 g 12,10 g 96,00 g

ottenuto dalla tavola periodica espresso in grammi/mole (g/mol).* Per


esempio, la massa molare del neon è 20,18 g/mol, la massa molare del ferro
è 55,85 g/mol e la massa molare dell’oro è 197,0 g/mol.
• Elementi molecolari. Nel caso degli elementi che esistono in natura sotto
forma di molecole, per determinare la massa molecolare si deve conoscere
la formula molecolare. Per esempio, l’ossigeno esiste normalmente nell’a-
ria sotto forma di molecole biatomiche, O2 (detto diossigeno), e quindi la
massa molare delle molecole di O2 è il doppio di quella degli atomi di O:
massa molare (M) di O2 = 2  ×  M di O = 2  ×  16,00 g/mol = 32,00 g/mol
La forma di zolfo più comune è costituita da molecole ottaatomiche, S8:
M di S8 = 8  ×  M di S = 8  ×  32,07 g/mol = 256,6 g/mol
2. Composti. La massa molare di un composto è la somma delle masse molari degli
atomi degli elementi nella formula. Per esempio, la formula del diossido di zolfo
(SO2) dice che 1 mol di molecole di SO2 contiene 1 mol di atomi di S e 2 mol
di atomi di O:
M di SO2 = M di S + (2  ×  M di O)
= 32,07 g/mol + (2  ×  16,00 g/mol)
= 64,07 g/mol
Analogamente, nel caso dei composti ionici, come il solfuro di potassio (K2S),
abbiamo:
M di K2S = (2  ×  M di K) + M di S
= (2  ×  39,10 g/mol) + 32,07 g/mol
= 110,27 g/mol
Un punto essenziale da notare è che i pedici in una formula si riferiscono sia a
singoli atomi (o ioni) sia a moli di atomi (o di ioni). La Tabella 3.2 illustra questo
concetto per il glucosio (C6H12O6).

Interconversione di quantità di sostanza, massa


e numero di entità chimiche
Uno dei motivi per cui la mole è un’unità di misura così conveniente per il lavoro
di laboratorio è il fatto che permette di calcolare la massa (o il numero di entità
chimiche) di una sostanza in un campione se si conosce la quantità (il numero di
moli) della sostanza. Viceversa, se si conosce la massa (o il numero di entità) di una
sostanza, si può calcolare il numero di moli.
La massa molare, che esprime la relazione equivalente tra 1 mol di una sostanza
e la sua massa espressa in grammi, può essere usata come fattore di conversione.

* Il valore della massa indicato nella tavola periodica è adimensionale perché si tratta di una massa ato-
mica relativa, data dalla massa atomica [in unità di massa atomica (u)] divisa per 1 u (1/12 della massa di
1 atomo di 12C, espressa in unità di massa atomica):
massa atomica (u)
massa atomica relativa = 1
12 massa di 1 atomo di 12 C (u)

Perciò, si usa lo stesso valore numerico per la massa atomica [massa media ponderata di 1 atomo in unità
di massa atomica (u)] e per la massa molare [massa di 1 mol di atomi in grammi (g)].

03txt.indd 71 16/05/19 18:35


72 Capitolo 3

Si moltiplica per la massa molare di un elemento o di un composto [M, espressa


in grammi per mole (g/mol)] per convertire una data quantità di sostanza (in moli)
nella massa (in grammi) equivalente:
numero di grammi
=
massa (g) numero di moli × (3.2)
1 mol
Oppure, si divide per la massa molare (si moltiplica per 1/M) per convertire una
data massa (in grammi) nella quantità di sostanza (in moli):
1 mol
numero =
di moli massa (g) × (3.3)
numero di grammi
Analogamente, si usa come fattore di conversione il numero di Avogadro, che espri-
me la relazione equivalente tra 1 mol di una sostanza e il numero di entità che con-
tiene. Si moltiplica per il numero di Avogadro per convertire la quantità di sostanza
(in moli) nel numero di entità (atomi, molecole, unità formula):
6,022 ×1023 entità
=
numero di entità numero di moli × (3.4)
1 mol
Oppure, si divide per il numero di Avogadro per fare l’inverso:
1 mol
=
numero di moli numero di entità × (3.5)
6, 022 ×1023 entità

Conversione di moli di elementi Per i problemi in cui figurano relazioni massa-


quantità-numero di elementi si devono tenere presenti questi punti.
• Per convertire tra quantità di sostanza (mol) e massa (g), si usi la massa molare
[M (g/mol)].
• Per convertire tra quantità di sostanza (mol) e numero di entità, si usi il nume-
ro di Avogadro (6,022  ×  1023 entità/mol). Nel caso degli elementi che esistono
come molecole, si usi la formula molecolare per trovare gli atomi/mol.
• La massa e il numero di entità sono in diretta relazione con il numero di moli,
ma non in reciproca relazione. Perciò, per convertire tra numero di entità e
massa, prima si deve convertire in numero di moli. Per esempio, per trovare il
numero di atomi in una data massa:
1 mol 6,022 ×1023 atomi
numero di atomi =
massa (g) × ×
numero di grammi 1 mol
Queste relazioni sono riassunte nella Figura 3.3A e illustrate nel Problema di ve-
rifica 3.1.

Calcolo della massa e del numero di atomi in un dato numero di moli


di un elemento
PROBLEMA DI VERIFICA 3.1
Problema (a) L’argento (Ag) è usato nella produzione di gioielli e posate. Quanti grammi
di Ag sono contenuti in 0,0342 mol di Ag?
(b) Il ferro (Fe), il principale componente dell’acciaio, è il metallo più importante nella
società industriale. Quanti atomi di Fe sono presenti in 95,8 g di Fe?
(a) Determinazione della massa (g) di Ag
quantità (mol) di Ag
Piano Conosciamo il numero di moli di Ag (0,0342 mol) e dobbiamo trovare la massa (in
grammi). Per convertire le moli di Ag in grammi di Ag, moltiplichiamo per la massa molare
moltiplicare per '
di Ag (107,9 g/mol) di Ag, che troviamo nella tavola periodica (vedi l’itinerario a fianco).
Risoluzione Conversione dalle moli ai grammi di Ag:
massa (g) di Ag 107,9 g Ag
=
massa (g) di Ag 0,0342 mol Ag × = 3,69 g Ag
1 mol Ag

03txt.indd 72 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 73

Verifica Abbiamo arrotondato la massa a 3 cifre significative perché il numero di moli ne


ha 3. Le unità sono corrette. Circa 0,03 mol  ×  100 g/mol danno 3 g; la massa piccola ha senso
perché 0,0342 è una frazione piccola di 1 mol.
(b) Determinazione del numero di atomi di Fe
Piano Conosciamo i grammi di Fe (95,8 g) e vogliamo conoscere il numero di atomi di Fe.
Non possiamo convertire direttamente dai grammi agli atomi e quindi prima convertiamo i massa (g) di Fe
grammi in moli dividendo i grammi di Fe per la sua massa molare. [È l’inverso dell’esercizio
(a)]. Poi moltiplichiamo il numero di moli per il numero di Avogadro per trovare il numero dividere per '
di Fe (55,85 g/mol)
di atomi (vedi l’itinerario a fianco).
Risoluzione Conversione dai grammi alle moli di Fe:
quantità (mol) di Fe
1 mol Fe
moli di Fe =95,8 g Fe × =1,72 mol Fe
55,85 g Fe moltiplicare per
6,022 u1023 atomi/mol
Conversione dalle moli al numero di atomi di Fe:
numero di atomi di Fe
6,022 ×1023 atomi Fe
=
numero di atomi di Fe 1, 72 mol Fe ×
1 mol Fe
=
10,4 ×1023 atomi Fe = 1,04 ×1024 atomi Fe
Verifica Se approssimiamo sia la massa di Fe sia la massa molare di Fe, si ottiene
100g/50 g/mol = 2 mol. Perciò, il numero di atomi dovrebbe essere circa il doppio del
numero di Avogadro: 2(6  ×  1023) = 1,2  ×  1024.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.1 (a) La grafite è la forma cristallina


del carbonio, utilizzata per fabbricare le mine delle matite. Quante moli di carbonio vi sono
in 315 mg di grafite?
(b) Il manganese (Mn) è un elemento di transizione essenziale per la crescita del tessuto
osseo. Quanto vale la massa in grammi di 3,22  ×  1020 atomi di Mn, il numero presente in 1
kg di tessuto osseo?

Conversione di moli di composti La risoluzione dei problemi di massa-quan-


tità-numero riguardanti i composti richiede un approccio assai simile a quello
adottato per gli elementi. Si deve conoscere la formula chimica per trovare la Figura 3.3 Sommario delle
massa molare e determinare le moli di un dato elemento nel composto. Queste relazioni massa-quantità-nu-
relazioni sono mostrate nella Figura 3.3B, e un esempio è risolto nel Problema di mero per elementi e composti.
verifica 3.2. A. La quantità [in moli (mol)] di
un elemento è in relazione con
la sua massa [in grammi (g)] at-
traverso la massa molare [M in
grammi per mole (g/ mol)] e con
MASSA (g) MASSA (g)
il numero di atomi attraverso il
di elemento di composto numero di Avogadro (6,022  ×  1023
atomi/mol). Nel caso degli
elementi che esistono come mo-
lecole, il numero di Avogadro dà
M (g/mol) M (g/mol) il numero di molecole per mole.
B. Analogamente la quantità (in
moli) di un composto è in rela-
formula
QUANTITÀ (mol) zione con la sua massa (in gram-
QUANTITÀ (mol) QUANTITÀ (mol) chimica
di elementi mi) attraverso la massa molare
di elemento di composto
nel composto [M in grammi per mole (g/mol)]
e con il numero di molecole (o
di unità formula) attraverso il
numero di numero di numero di Avogadro (6,022  ×  1023
Avogadro Avogadro molecole/mol). Per trovare il
(atomi/mol) (molecole/mol) numero di atomi (o di molecole
o di unità formula) in una data
massa, o viceversa, si deve prima
MOLECOLE
ATOMI convertire le informazioni in moli.
(o unità formula)
di elemento Con la formula chimica, si pos-
di composto
sono calcolare le informazioni su
massa-quantità-numero riguardo
A Per un elemento B Per un composto a ciascun elemento componente.

03txt.indd 73 16/05/19 18:35


74 Capitolo 3

Calcolo delle moli e del numero di unità formula in una massa data
di un composto
PROBLEMA DI VERIFICA 3.2
Problema Il carbonato di ammonio [(NH4)2CO3] è una sostanza solida bianca che si decom-
massa (g) di (NH4)2CO3 pone per riscaldamento. Tra i suoi molti impieghi, è un componente del lievito in polvere,
della carica degli estintori d’incendio e dei “sali ammoniacali”. Quante unità formula vi sono
dividere per in 41,6 g di carbonato di ammonio?
' (g/mol)
Piano Conosciamo la massa del composto (41,6 g) e vogliamo conoscere il numero di unità
formula. Come abbiamo visto nel Problema di verifica 3.1(b), per convertire i grammi in
quantità (mol) di (NH4)2CO3
numero di entità, dobbiamo prima trovare il numero di moli e quindi dobbiamo dividere
moltiplicare per i grammi per la massa molare (M). A questo scopo, dobbiamo conoscere M, e, quindi,
6,022 u1023 determiniamo la formula (vedi Tabella 2.5) e calcoliamo la somma delle masse molari degli
unità di formula/mol elementi. Ottenuto il numero di moli, lo moltiplichiamo per il numero di Avogadro per
numero di (NH4)2CO3 in unità trovare il numero di unità formula.
di formula Risoluzione La formula è (NH4)2CO3. Calcolo della massa molare:
M = (2  ×  M di N) + (8  ×  M di H) + (1  ×  M di C) + (3  ×  M di O)
= (2  ×  14,01 g/mol) + (8  ×  1,008 g/mol) + 12,01 g/mol + (3  ×  16,00 g/mol)
= 96,09 g/mol
Conversione dai grammi alle moli:
1 mol (NH4 ) 2 CO3
=
moli di (NH 4 ) 2 CO3 41, 6 g (NH4 ) 2 CO3 ×
96, 09 g (NH4 ) 2 CO3
= 0, 433 mol (NH4 ) 2 CO3
Conversioni dalle moli alle unità formula:
unità formula di (NH4 )2CO3 = 0,433 mol (NH4 )2 CO3
6,022 ×1023 unità formula (NH4 )2 CO3
×
1 mol (NH4 ) 2 CO3
= 2,61×1023 unità formula (NH4 ) 2 CO3
Verifica Le unità sono corrette. Poiché la massa è minore della metà della massa molare
(42/96 < 0,5), il numero di unità formula dovrebbe essere minore della metà del numero
di Avogadro [(2,6  ×  1023/6,0  ×  1023) < 0,5].
Commento Uno sbaglio comune è dimenticare il pedice 2 fuori delle parentesi in (NH4)2CO3,
in tal caso si otterrebbe una massa molare molto minore.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.2 Il decaossido di tetrafosforo reagi-
sce con l’acqua per formare acido fosforico, un importante acido industriale. In laboratorio,
l’ossido è usato come agente essiccante.
(a) Quanto vale la massa (in grammi) di 4,65  ×  1022 molecole di decaossido di tetrafosforo?
(b) Quanti atomi di P sono presenti nel campione?

Percentuale in massa ottenuta dalla formula chimica


La massa di ciascun elemento in un composto rappresenta una particolare percen-
tuale della massa del composto. Nel caso di una singola molecola (o unità formula),
si usano la massa molecolare (o la massa formula) e la formula chimica per trovare
la percentuale in massa di ogni elemento X nel composto:
percentuale in massa dell’elemento X
atomi di X nella formula × massa atomica di X (u)
= ×100
massa molecolare (o massa formula) del composto (u)
Poiché la formula dice anche il numero di moli di ciascun elemento nel composto,
usiamo la massa molare per trovare la percentuale in massa di ciascun elemento su
base molare:
percentuale in massa dell’elemento X
moli di X nella formula × massa molare di X (g/mol)
= ×100 (3.6)
massa (g) di 1 mol di composto

03txt.indd 74 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 75

Come sempre, la somma delle singole percentuali in massa degli elementi presenti
nel composto deve essere uguale a 100% (entro l’arrotondamento). Com’è illustrato
nel Problema di verifica 3.3, la percentuale in massa trova un importante impiego
pratico nella determinazione della quantità di un elemento in un campione di qual-
siasi grandezza di un composto.

Calcolo delle percentuali in massa e delle masse degli elementi


in un campione di un composto
PROBLEMA DI VERIFICA 3.3
Problema Il glucosio (C6H12O6) è il più importante nutriente nella cellula vivente per la
quantità (mol) di elemento X
generazione di energia potenziale chimica. in 1 mol di composto
(a) Quanto vale la percentuale in massa di ciascun elemento nel glucosio?
(b) Quanti grammi di carbonio sono presenti in 16,55 g di glucosio? moltiplicare per ' (g/mol) di X

(a) Determinazione della percentuale in massa di ciascun elemento


Piano Conosciamo il numero relativo di moli di ciascun elemento nel glucosio in base alla massa (g) di X in 1 mol di composto
formula (6 C, 12 H, 6 O). Moltiplichiamo il numero di moli di ciascun elemento per la sua
massa molare per trovare i grammi. Dividendo la massa di ciascun elemento per la massa dividere per la massa (g) di
di 1 mol di glucosio, otteniamo la frazione in massa di ciascun elemento e, moltiplicando 1 mol di composto
ciascuna frazione per 100%, otteniamo la percentuale in massa. I passi del calcolo per ogni
elemento X sono indicati nell’itinerario. frazione in massa di X
Risoluzione Calcolo della massa di 1 mol di C6H12O6:
M = (6  ×  M di C) + (12  ×  M di H) + (6  ×  M di O) moltiplicare per 100%
= (6  ×  12,01 g/mol) + (12  ×  1,008 g/mol) + (6  ×  16,00 g/mol)
= 180,16 g/mol
Conversione delle moli di C in grammi: vi sono (6 mol C)/(1 mol glucosio) e quindi percentuale in massa di X

12,01 g C
massa (g) di C =6 mol C × =72,06 g C
1 mol C
Determinazione della frazione in massa di C nel glucosio:
massa totale C 72,06 g
=
frazione in massa di C = = (0,4000 g) / (g glucosio)
massa di 1 mol glucosio 180,16 g
Determinazione della percentuale in massa di C:
percentuale in massa di C= frazione in massa di C ×100= 0,4000 ×100= 40,00 in massa C
Combinazione dei passi per ciascuno degli altri due elementi:
1, 008 g H
12 mol H ×
mol H ×  di H 1 mol H ×100
percentuale in massa di H = ×100 =
massa 1 mol glucosio 180,16 g
= 6, 714% in massa H
16,00 g O
6 mol O ×
mol O ×  di O 1 mol O ×100
percentuale in massa di O = ×100 =
massa 1 mol glucosio 180,16 g
= 53,29% in massa O

Verifica Le risposte hanno senso: la percentuale in massa di O è maggiore della percentua-


le in massa di C perché, anche se sono presenti numeri uguali di moli di ciascun elemento
nel composto, la massa molare di O è maggiore della massa molare di C. La percentuale in
massa di H è piccola perché la massa molare di H è piccola. Il totale è pari al 100%.
(b) Determinazione della massa (g) di carbonio
Piano Per trovare la massa di C nel campione di glucosio, moltiplichiamo la massa del
campione per la frazione in massa di C ottenuta nella parte (a).
Risoluzione Determinazione della massa di C in una massa data di glucosio (è indicata
l’unità della frazione in massa):
=massa (g) di C massa di glucosio × frazione in massa di C
0,4000 g C
= 16,55 g glucosio ×
1 g glucosio
= 6,620 g C

03txt.indd 75 16/05/19 18:35


76 Capitolo 3

Verifica L’arrotondamento mostra che la risposta è dell’ordine di grandezza giusto: 16 g


moltiplicati per meno di 0,5 parti in massa dovrebbero dare meno di 8 g.
Commento 1. Un metodo più diretto per trovare la massa di un elemento in qualsiasi massa
di composto è simile al metodo che abbiamo usato nel Problema di verifica 2.1 ed elimi-
na la necessità di calcolare la frazione in massa. È sufficiente moltiplicare la massa data di
composto per il rapporto tra la massa totale di elemento e la massa di 1 mol di composto:
72,06 g C
massa (g) di C =16,55 g glucosio × =6,620 g C
180,16 g glucosio
2. Da qui in poi, dovreste essere in grado di determinare la massa molare di un composto e
quindi il calcolo non sarà più mostrato.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.3 Il nitrato di ammonio è usato


come fertilizzante e nella fabbricazione degli esplosivi. L’efficacia dei fertilizzanti dipende
dal loro contenuto di azoto.
(a) Calcolate la percentuale in massa di N nel nitrato di ammonio.
(b) Quanti grammi di N sono presenti in 35,8 kg di nitrato di ammonio?

3.2 DETERMINAZIONE DELLA FORMULA


DI UN COMPOSTO SCONOSCIUTO
Nel Problema di verifica 3.3 conoscevamo la formula chimica e l’abbiamo usata
per trovare la percentuale in massa (o la frazione in massa) di un elemento in un
composto e la massa dell’elemento in una massa data di composto. In questo para-
grafo, eseguiremo l’operazione inversa: usare le masse degli elementi presenti in un
composto per determinare la sua formula.

Formule empiriche
Un chimico analitico che studia un composto lo decompone in sostanze più semplici,
trova la massa di ciascun elemento componente, converte queste masse in numeri di
moli e poi converte matematicamente le moli in pedici costituiti da numeri interi.
Questo procedimento dà la formula empirica, il rapporto di numeri interi più semplici di
moli di ciascun elemento nel composto (vedi Paragrafo 2.8, p. 53). Segue un esempio
in cui è mostrato come si ottengono i pedici dalle moli di ciascun elemento.
L’analisi di un composto sconosciuto indica che il campione contiene 0,21 mol di
zinco, 0,14 mol di fosforo e 0,56 mol di ossigeno. Poiché i pedici in una formula rap-
presentano singoli atomi o singole moli di atomi, scriviamo una formula preliminare
che contiene pedici frazionari: Zn0,21P0,14O0,56. Poi convertiamo questi pedici frazionari
in numeri interi usando uno o due semplici passi aritmetici (arrotondando quando è
necessario).
1. Dividiamo ciascun pedice per il pedice più piccolo:
Zn 0,21P0,14 O 0,56 → Zn1,5P1,0O 4 ,0
0,14 0,14 0,14


Questo passo dà spesso pedici interi.
Una rosa con un altro 2. Se uno o più dei pedici non sono ancora numeri interi, moltiplichiamo tutti
no­me... I chimici che studiano le i pedici per il numero intero più piccolo che trasforma tutti i pedici in numeri
sostanze naturali di origine vegetale
e animale isolano i composti e ne interi. In questo caso, moltiplichiamo tutti i pedici per 2, il numero intero più
determinano le formule. Il geraniolo piccolo che trasforma 1,5 (il pedice di Zn) in un numero intero:
(C10H18O) è il principale componen-
te che conferisce a una rosa il suo Zn(1,5×2)P(1,0×2)O(4 ,0×2) → Zn 3,0P2,0O8,0 , ossia Zn 3P2O8
profumo. È usato in molti profumi
È importante notare che, poiché abbiamo moltiplicato tutti i pedici per 2, il nu-
e cosmetici. È presente anche nella
citronella (Cymbopogon nardus, C. mero relativo di moli è rimasto invariato. Ed è importante verificare sempre che i
citratus) e, come parte di un com- pedici siano l’insieme di numeri interi più piccoli con gli stessi rapporti dei numeri
posto più grande, nelle foglie di originali di moli; cioè, 3:2:8 sono negli stessi rapporti di 0,21:0,14:0,56. Una notazio-
geranio, da cui prende il nome.
ne più tradizionale per questa formula è Zn3(PO4)2; il composto è il fosfato di zinco,
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer). usato come cemento in odontoiatria.

03txt.indd 76 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 77

I seguenti tre problemi di verifica (3.4, 3.5 e 3.6) illustrano altri metodi comuni
per determinare le formule chimiche. Nel primo problema, si determina la formula
empirica partendo da dati analitici espressi come grammi di ciascun elemento an-
ziché come moli.

Determinazione di una formula empirica a partire dalle masse degli elementi


PROBLEMA DI VERIFICA 3.4
Problema L’analisi elementare di un campione di un composto ionico ha dato i seguenti
risultati: 2,82 g di Na, 4,35 g di Cl e 7,83 g di O. Quali sono la formula empirica e il nome
del composto?
Piano Questo problema è simile a quello che abbiamo appena esaminato, tranne che ora
sono date masse di elementi e quindi dobbiamo convertire le masse in pedici interi. Prima
dividiamo ciascuna massa per la massa molare dell’elemento per trovare il numero di moli.
Poi costruiamo una formula preliminare e convertiamo i numeri di moli in numeri interi.
Risoluzione Determinazione delle moli di elementi:
massa (g) di ciascun elemento
1 mol Na
moli di Na =2,82 g Na × =0,123 mol Na
22,99 g Na dividere ' (g/mol)
1 mol Cl
moli di Cl =4,35 g Cl × =0,123 mol Cl
35, 45 g Cl
quantità (mol) di ciascun elemento
1 mol O
moli di O =7,83 g O × =0,489 mol O
16,00 g O usare numeri di moli come pedici

Costruzione di una formula preliminare:


Na0,123Cl0,123O0,489 formula preliminare

Conversione in pedici interi (mediante divisione per il pedice più piccolo):


convertire in pedici interi
Na 0,123 Cl 0,123 O 0,489 ⎯ ⎯→ Na1,00Cl1,00O3,98  Na1Cl1O 4 , ossia NaClO 4
0,123 0,123 0,123

formula empirica
Abbiamo arrotondato il pedice di O da 3,98 a 4. La formula empirica è NaClO4 ; il nome
è perclorato di sodio .
Verifica I numeri di moli sembrano corretti perché le masse di Na e di Cl sono lievemente
maggiori di 0,1 delle loro masse molari. La massa di O è la più grande mentre la sua massa
molare è la più piccola, quindi è corretto che abbia il numero più alto di moli. I rapporti
dei pedici, 1:1:4, sono uguali ai rapporti delle moli, 0,123:0,123:0,489 (con arrotondamento).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.4 Un metallo sconosciuto M reagisce


con lo zolfo per formare un composto con formula M2S3. Se 3,12 g di M reagiscono con
2,88 g di S, quali sono i nomi di M e di M2S3? (Suggerimento: determinate il numero di moli
di S e usate la formula per trovare il numero di moli di M).

Formule molecolari
Se conosciamo la massa molare di un composto, possiamo usare la formula em-
pirica per ottenere la formula molecolare, il numero effettivo di moli di ciascun
elemento in 1 mol di composto. In alcuni casi, quali l’acqua (H2O), l’ammoniaca
(NH3) e il metano (CH4), la formula empirica e la formula molecolare sono identi-
che, ma, in molti altri casi, la formula molecolare è un multiplo secondo un numero
intero della formula empirica. Per esempio, il perossido di idrogeno ha la formula
empirica HO e la formula molecolare H2O2. Dividendo la massa molare di H2O2
(34,02 g/mol) per la massa della formula empirica (17,01 g/mol) otteniamo il
multiplo secondo un numero intero:
massa molare (g/mol)
multiplo secondo un numero intero =
massa della formula empirica (g/mol)

34,02 g/mol
= = =
2,000 2
17,01 g/mol

03txt.indd 77 16/05/19 18:35


78 Capitolo 3

I laboratori analitici commerciali forniscono spesso i dati di composizione come


percentuale in massa di ciascun elemento. Queste informazioni ci permettono di
determinare la formula empirica: (1) supponendo di avere 100,0 g di composto, il
che ci permette di esprimere la percentuale in massa direttamente come massa;
(2) convertendo la massa in numero di moli; (3) costruendo la formula empirica.
Infine, disponendo della massa molare per trovare il multiplo secondo un numero
intero, possiamo determinare la formula molecolare.

Determinazione di una formula molecolare a partire dall’analisi


elementare e dalla massa molare
PROBLEMA DI VERIFICA 3.5
Problema Durante un’attività fisica eccessiva, nel tessuto muscolare si forma acido lattico
(M = 90,08 g/mol), responsabile dei dolori muscolari. L’analisi elementare indica che esso
contiene le seguenti percentuali in massa: 40,0% di C, 6,71% di H e 53,3% di O.
(a) Si determini la formula empirica dell’acido lattico.
(b) Si determini la formula molecolare.
(a) Determinazione della formula empirica
Piano Conosciamo la percentuale in massa di ciascun elemento e dobbiamo convertire
ciascun valore in un pedice intero. La massa di acido lattico non è data, ma, poiché
la percentuale in massa è la stessa per ogni massa di composto, supponiamo di avere
100,0 g di acido lattico ed esprimiamo ciascuna percentuale in massa direttamente
in grammi. Poi convertiamo i grammi in moli e costruiamo la formula empirica come
abbiamo fatto nel Problema di verifica 3.4.
Risoluzione Espressione della percentuale in massa in grammi, supponendo di avere 100,0 g
di acido lattico:
40,0 parti di C in massa
=
massa (g) di C ×100,0 g
100 parti in massa
= 40,0 g C
Analogamente, abbiamo 6,71 g di H e 53,3 g di O.
Conversione dai grammi di ciascun elemento alle moli:
1 1 mol C
moli di C = massa di C × = 40,0 g C ×
 di C 12,01 g C
= 3,33 mol C
Analogamente, abbiamo 6,66 mol di H e 3,33 mol di O.
Costruzione della formula preliminare: C3,33H6,66O3,33
Conversione in pedici interi:

C 3,33 H 6,66 O 3,33 → C1,00H2,00O1,00  C1H2O1; la formula empirica è CH2O


3,33 3,33 3,33

Verifica I numeri di moli sembrano corretti: le masse di C e di O sono lievemente maggiori


di 3 volte le loro masse molari [per esempio, nel caso di C, (40 g)/(12 g/mol) > 3 mol] e la
massa di H è maggiore di 6 volte la sua massa molare.
(b) Determinazione della formula molecolare
Piano I pedici nella formula molecolare sono multipli secondo un numero intero dei pedici
nella formula empirica. Per trovare questo numero intero, dividiamo la massa molare data
(90,08 g/mol) per la massa della formula empirica, che ricaviamo dalla somma delle masse
molari degli elementi. Poi moltiplichiamo il numero intero per ciascun pedice che com-
pare nella formula empirica.
Risoluzione La massa molare della formula empirica è 30,03 g/mol. Determinazione del
multiplo secondo un numero intero:
 di acido lattico 90,08 g/mol
=
multiplo secondo un numero intero =
 della formula empirica 30,03 g/mol
= 3,000= 3

03txt.indd 78 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 79

Determinazione della formula molecolare:


C(1×3)H(2×3)O(1×3) = C3H6O3

Verifica La formula molecolare calcolata ha gli stessi rapporti delle moli di elementi (3:6:3)
della formula empirica (1:2:1) e corrisponde alla massa molare data:

M di acido lattico = (3  ×  M di C) + (6  ×  M di H) + (3  ×  M di O)


= (3  ×  12,01 g/mol) + (6  ×  1,008 g/mol) + (3  ×  16,00 g/mol) = 90,08 g/mol

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.5 Una delle sostanze cancerogene


am­bien­tali più diffuse è il benzo[a]pirene (M = 252,30 g/mol). È presente nella polvere
di carbone fossile, nel fumo di tabacco e persino nella carne cotta alla brace. L’analisi di
questo idrocarburo indica le seguenti percentuali in massa: 95,21% di C e 4,79% di H. Qual Figura 3.4 Apparecchio di
è la formula molecolare del benzo[a]pirene? combustione per la deter-
minazione delle formule dei
composti organi­ci. Un campio-
Analisi per combustione ne di un composto contenente C
e H (e forse altri elementi) viene
Un terzo metodo per determinare una formula chimica è l’analisi per combu- bruciato in una corrente di O2
stione, un metodo impiegato per misurare le quantità di carbonio e idrogeno in gassoso. Il CO2 e l’H2O formati
a partire da C e H presenti nel
un composto organico combustibile. Il combustibile sconosciuto viene bruciato in campione vengono assorbiti se-
O2 puro in un apparecchio costituito da una camera di combustione e da una serie paratamente, mentre gli ossidi
di camere contenenti composti che assorbono H2O oppure CO2 (Figura 3.4). Tutto di ogni altro elemento vengono
l’H presente nel composto viene convertito in H2O, che viene assorbita nella prima asportati dalla corrente di O2
camera, e tutto il C viene convertito in CO2, che viene assorbito nella seconda ca- gassoso. H2O viene assorbi-
ta da Mg(ClO4)2; CO2 viene
mera. Determinando la massa del contenuto delle camere prima della combustione assorbito da NaOH su amianto.
e dopo, si trovano le masse di CO2 e di H2O e le si usa per calcolare le masse di C e Gli aumenti della massa degli
di H nel composto, dalle quali si ricava la formula empirica. Molti composti organi- assorbitori di CO2 e di H2O
ci contengono anche ossigeno, azoto o un alogeno. Purché questo terzo elemento dovuti ai prodotti della combu-
non interferisca con l’assorbimento di CO2 e di H2O, si può calcolare la sua massa stione permettono di calcolare
le quantità (in moli) di C e H
sottraendo le masse di C e di H dalla massa iniziale del composto. presenti nel campione.

forno
corrente di O2

altre sostanze
assorbitore di CO2
assorbitore di H2O non assorbite

campione di composto contenente


C, H e altri elementi

Determinazione di una formula molecolare mediante l’analisi


per combustione
PROBLEMA DI VERIFICA 3.6
Problema La vitamina C (M =176,12 g/mol) è un composto di C, H e O presente in molte
fonti naturali, specialmente negli agrumi. Quando un campione di 1,000 g di vitamina C
viene posto in una camera di combustione e bruciato, si ottengono i seguenti dati:
massa dell’assorbitore di CO2 dopo la combustione = 85,35 g
massa dell’assorbitore di CO2 prima della combustione = 83,85 g
massa dell’assorbitore di H2O dopo la combustione = 37,96 g
massa dell’assorbitore di H2O prima della combustione = 37,55 g
Qual è la formula molecolare della vitamina C?
Piano Troviamo le masse di CO2 e di H2O sottraendo le masse degli assorbitori prima della rea-
zione dalle loro masse dopo la reazione. In base alla massa di CO2, usiamo la frazione in massa di
C in CO2 per trovare la massa di C (vedi Commento nel Problema di verifica 3.3). Analogamente,
ricaviamo la massa di H dalla massa di H2O. La massa della vitamina C (1,000 g) meno la somma

03txt.indd 79 16/05/19 18:35


80 Capitolo 3

delle masse di C e H dà la massa di O, il terzo elemento presente nella vitamina C. Poi proce-
diamo come nel Problema di verifica 3.5: calcolare i numeri di moli usando le masse molari
degli elementi, costruire la formula empirica, determinare il multiplo secondo un numero
intero in base alla massa molare data e costruire la formula molecolare.
Risoluzione Determinazione delle masse dei prodotti della combustione:
massa (g) di CO2 = (massa dell’assorbitore di CO2 dopo) − (massa prima)
= 85,35 g − 83,85 g
= 1,50 g CO2
massa (g) di H2O = (massa dell’assorbitore di H2O dopo) − (massa prima)
= 37,96 g − 37,55 g
= 0,41 g H2O
Calcolo delle masse di C e di H mediante le loro frazioni in massa:
massa di elemento nel composto
=
massa dell’elemento massa del composto ×
massa di 1 mol di composto
1 mol C ×  di C
=
massa (g) di C massa di CO 2 ×
massa di 1 mol CO 2
12,01 g C
=1,50 g CO 2 × = 0,409 g C
44,01 g CO 2
2 mol H ×  di H
=
massa (g) di H massa di H2O ×
massa di 1 mol H2O
2,016 g H
=0,41 g H2O × =0,046 g H
18,02 g H2O
Calcolo della massa di O:
massa (g) di O = (massa del campione di vitamina C) − (massa di C + massa di H)
=1,000 g − (0,409 g + 0,046 g) = 0,545 g O
Determinazione delle quantità (mol) di elementi: dividendo i grammi di ciascun elemento
per la sua massa molare otteniamo 0,0341 mol di C, 0,046 mol di H e 0,0341 mol di O.
Costruzione della formula preliminare: C0,0341H0,046O0,0341
Determinazione della formula empirica: dividendo tutti i pedici per il pedice più picco-
lo, otteniamo
C 0,0341H 0,046 O 0,0341 = C1,00H1,3O1,00
0,0341 0,0341 0,0341

Troviamo per tentativi che 3 è il minimo numero intero che converte approssimativamente
tutti i pedici in numeri interi:
C(1,00×3)H(1,3×3)O(1,00×3) = C3,00H3,9O3,00  C3H4O3
Determinazione della formula molecolare:
 della vitamina C 176,12 g/mol
=
multiplo secondo un numero intero = = =
2,000 2
 della formula empirica 88,06 g/mol
C(3×2)H(4×2)O(3×2) = C6H8O6
Verifica Le masse degli elementi sembrano corrette: il carbonio costituisce un po’ più
dello 0,25 della massa di CO2 [(12 g)/(44 g) > 0,25], così come le masse nel problema
[(0,409 g)/(1,50 g) > 0,25]. L’idrogeno costituisce un po’ più dello 0,10 della massa di H2O
[(2 g)/(18 g) > 0,10], così come le masse nel problema [(0,046 g)/(0,41 g) > 0,10]. La formula
molecolare ha gli stessi rapporti dei pedici (6 : 8 : 6) della formula empirica (3 : 4 : 3) e dà come
somma la massa molare data:
(6  ×  M di C) + (8  ×  M di H) + (6  ×  M di O) = M della vitamina C
(6  ×  12,01 g/mol) + (8  ×  1,008 g/mol) + (6  ×  16,00 g/mol) = 176,12 g/mol
Commento Nella determinazione del pedice di H, se compendiamo i passi del calcolo,
otteniamo il pedice 4,0, anziché 3,9, e non abbiamo bisogno di arrotondare:
2,016 g H 1 mol H 1
=
pedice di H 0,41 g H2O × × × = ×3 4,0
18,02 g H2O 1,008 g H 0,0341 mol
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.6 Si sospetta che un solvente per
pulitura a secco (M = 149,99 g/mol) contenente C, H e Cl, contenga un agente canceroge-
no. Quando un campione di 0,250 g è stato studiato con l’analisi per combustione, si sono
formati 0,451 g di CO2 e 0,0617 g di H2O. Si calcoli la formula molecolare.

03txt.indd 80 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 81

Tabella 3.3 Alcuni composti con formula empirica CH2O (composizione in massa: 40,0% C, 6,71% H, 53,3% O)
Multiplo
secondo
Formula un numero M
Nome molecolare intero (g/mol) Impiego o funzione
Formaldeide CH2O 1 30,03 Disinfettante; conservante di preparati biologici
Acido acetico C2H4O2 2 60,05 Polimeri acetati; aceto (soluzione al 5%)
Acido lattico C3H6O3 3 90,08 Causa l’inacidimento del latte; si forma nei muscoli durante l’esercizio fisico
Eritrosio C4H8O4 4 120,10 Si forma durante il metabolismo degli zuccheri
Ribosio C5H10O5 5 150,13 Componente di molti acidi nucleici e della vitamina B2
Glucosio C6H12O6 6 180,16 Importante nutriente per l’apporto di energia alle cellule

CH2O C2H4O2 C3H6O3 C4H8O4 C5H10O5 C6H12O6

Formule chimiche e strutture delle molecole


Facciamo una breve pausa nei calcoli per ricordare un punto essenziale: una for-
mula rappresenta un oggetto tridimensionale reale. Quante informazioni riguardo alla
struttura dell’oggetto sono contenute nella sua formula? La formula empirica indica
il numero relativo di ciascun tipo di atomo. Però, come si può vedere nella Tabel-
la 3.3, composti diversi possono avere la stessa formula empirica.
Una formula molecolare, che indica il numero effettivo di atomi di ciascuna spe-
cie, fornisce tante informazioni quante è possibile ottenere da un’analisi di massa.
Tuttavia, differenti composti possono anche avere la stessa formula molecolare perché
le stesse specie e gli stessi numeri di atomi possono legarsi in più di una disposi-
zione, cioè, in più di una formula di struttura. [Questi composti sono detti isomeri
costituzionali (o strutturali o di struttura) l’uno dell’altro; li esamineremo in modo più
esauriente più avanti nel libro]. Soltanto conoscendo la struttura di una molecola
– le posizioni relative degli atomi e le distanze e gli angoli tra di essi – possiamo
cominciare a prevedere il suo comportamento. Per esempio, come mostrato nella
Tabella 3.4, due composti molto diversi fra loro hanno la medesima formula mo-
lecolare C2H6O. I loro comportamenti fisici e chimici distinti derivano dalle loro
differenti strutture molecolari.
Via via che aumenta la complessità molecolare (il numero e le specie di atomi),
aumenta anche il numero di formule di struttura che si può scrivere per una data
formula molecolare: C2H6O ha due possibili formule di struttura, C3H8O ne ha tre e
C4H10O ne ha sette. Si provi a immaginare quante sono le possibili formule di struttura

Tabella 3.4 Due composti con formula molecolare C2H6O


Proprietà Etanolo Dimetiletere
M (g/mol) 46,07 46,07
Colore Incolore Incolore
Temperatura di fusione −117 °C −138,5 °C
Temperatura di ebollizione 78,5 °C −25 °C
Densità (a 20 °c) 0,789 g/mL (liquido) 0,00195 g/mL (gas)
Impiego Inebriante nelle bevande alcoliche Nella refrigerazione
H H H H
Formula di struttura e
H C C O H H C O C H
modello space-filling
H H H H

03txt.indd 81 16/05/19 18:35


82 Capitolo 3

H per C16H19N3O4S! Di tutte le possibili formule di struttura per questa formula moleco-
C lare, soltanto una è l’antibiotico ampicillina (Figura 3.5). Quando scrivete una formula
o riflettete su di essa, provate a ricordare che essa rappresenta un oggetto reale.

O
3.3 SCRITTURA E BILANCIAMENTO
N
DELLE EQUAZIONI CHIMICHE
S
Il motivo più importante per pensare in termini di moli è forse il fatto che chiarisce
le quantità di sostanze che partecipano a una reazione. Un confronto delle masse
non indica il rapporto delle sostanze reagenti, mentre il confronto dei numeri di
moli lo indica e ci permette di considerare le sostanze come grandi popolazioni di
particelle interagenti anziché come numeri di grammi di sostanze. Per chiarire que-
sto concetto, consideriamo la formazione del fluoruro di idrogeno gassoso a partire
Figura 3.5 L’ampicillina. da H2 e F2, una reazione che avviene esplosivamente a temperatura ambiente. Se
Delle molte possibili formule
di struttura corrispondenti alla determiniamo le masse dei gas, troviamo che
formula molecolare C16H19N3O4S, 2,016 g di H2 e 38,00 g di F2 reagiscono per formare 40,02 g di HF
soltanto questa particolare
disposizione degli atomi è l’anti- Questa informazione dice poco, tranne che la massa si conserva. Però, se conver-
biotico ampicillina, ampiamente tiamo queste masse (espresse in grammi) in quantità di sostanza (espresse in moli),
usato nella terapia antibatterica. troviamo che
1 mol di H2 e 1 mol di F2 reagiscono per formare 2 mol di HF
Questa informazione rivela che popolazioni di uguale ammontare di molecole di
H2 e di F2 si combinano per formare una popolazione di ammontare doppio di mo-
lecole di HF. Dividendo tutti i termini per il numero di Avogadro, si può mostrare
l’evento chimico tra singole molecole:
1 molecola di H2 e 1 molecola di F2 reagiscono per formare 2 molecole di HF
La Figura 3.6 mostra che, quando si esprime la reazione in termini di moli, la
trasformazione macroscopica (molare) corrisponde alla trasformazione submicroscopica
(molecolare). Come vedremo, un’equazione chimica bilanciata mostra entrambe le
trasformazioni.
Un’equazione chimica è un enunciato, in formule, che esprime le identità
e le quantità delle sostanze che partecipano a una trasformazione chimica o fisica.
Le equazioni sono i “periodi” della chimica, così come le formule chimiche sono le
“parole” e i simboli chimici sono le “lettere”. Il primo membro di un’equazione chi-
mica mostra la quantità di ciascuna sostanza presente prima della trasformazione,
e il secondo membro mostra le quantità presenti dopo la trasformazione. Affinché
un’equazione rappresenti accuratamente queste quantità, deve essere bilanciata; cioè, nei
due membri dell’equazione deve comparire lo stesso numero di atomi di ciascuna specie.
Questa condizione deriva direttamente dalle leggi di massa e dalla teoria atomica.
• In un processo chimico, gli atomi non possono essere creati, distrutti o trasfor-
mati, ma possono essere soltanto riorganizzati in differenti combinazioni.

1 mol H2 1 mol F2 2 mol HF


2,016 g 38,00 g 40,02 g

Figura 3.6 La formazione
divisione per divisione per divisione per
di HF gassoso a livello macro-
il numero di il numero di il numero di
scopico e a livello molecolare.
Avogadro Avogadro Avogadro
Quando 1 mol di H2 (2,016 g)
e 1 mol di F2 (38,00 g) rea- 
giscono, si formano 2 mol di
HF (40,02 g). Dividendo per il 1 molecola H2 1 molecola F2 2 molecole HF
numero di Avogadro, si può ve- 2,016 u 38,00 u 40,02 u
dere la trasformazione a livello
molecolare. H2(g)  F2(g) 2HF(g)

03txt.indd 82 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 83

• Una formula rappresenta rapporti fissi degli elementi in un composto e quindi


rapporti diversi rappresentano composti diversi.
Consideriamo la trasformazione chimica che ha luogo nella lampada di un flash foto-
grafico di vecchio tipo: il filamento di magnesio e l’ossigeno gassoso reagiscono per
dare ossido di magnesio in polvere. (Vengono prodotti anche luce e calore, ma qui
concentriamo l’attenzione soltanto sulle sostanze coinvolte). Convertiamo questo
enunciato chimico in un’equazione chimica bilanciata attraverso i seguenti 5 passi.
1. Traduzione dell’enunciato. Prima traduciamo l’enunciato chimico in un’equazione
“scheletro”: formule chimiche disposte in forma di equazione. Tutte le sostanze che
reagiscono durante la trasformazione, dette reagenti, sono scritte a sinistra di una
freccia orientata verso le sostanze prodotte, dette prodotti (si dice che i reagenti
“danno” i prodotti):
reagenti dà prodotto
_Mg + _O2 _MgO
magnesio e ossigeno dà ossido di magnesio

All’inizio del procedimento di bilanciamento, collochiamo uno spazio vuoto da-


vanti a ciascuna sostanza per ricordare che dobbiamo tenere conto dei suoi atomi.
2. Bilanciamento degli atomi. Nel passo successivo spostiamo l’attenzione avanti e
indietro da destra a sinistra e viceversa per uguagliare il numero di atomi di ciascuna
specie in ciascun membro dell’equazione. Alla fine di questo passo, ogni spazio vuoto
conterrà un coefficiente stechiometrico (coefficiente di bilanciamento), un
moltiplicatore numerico di tutti gli atomi nella formula che lo segue. In generale, il
bilanciamento è più facile quando:

• si parte dalla sostanza più complessa, quella con il massimo numero di atomi
o di differenti specie di atomi;
• si arriva alla sostanza meno complessa, quale un elemento da solo.

In questo caso, MgO è la sostanza più complessa, e quindi collochiamo un coeffi-


ciente 1 davanti al composto:

Per bilanciare Mg in MgO nel secondo membro, collochiamo un 1 davanti a Mg


nel primo membro:

L’atomo di O nel secondo membro deve essere bilanciato da un atomo di O nel


primo membro. Una metà di una molecola di O2 fornisce un atomo di O:

In termini di numero e di specie di atomi, l’equazione è bilanciata.


3. Aggiustamento dei coefficienti. La forma finale dei coefficienti è regolata da alcune
convenzioni.

• Nella maggior parte dei casi, si preferiscono i coefficienti costituiti dai numeri interi
più piccoli. I numeri interi permettono di trattare come particelle indivise le
entità come le molecole di O2. Non può esistere una metà di una molecola di
O2 e quindi moltiplichiamo l’equazione per 2:

03txt.indd 83 16/05/19 18:35


84 Capitolo 3

• Abbiamo usato il coefficiente 1 per ricordare di bilanciare ogni sostanza. Nella


forma finale, un coefficiente 1 è reso implicito dalla formula della sostanza e
quindi non dobbiamo scriverlo:

(Questa convenzione è simile a quella di non scrivere un pedice 1 in una for-


mula).
4. Verifica. Dopo avere bilanciato e aggiustato i coefficienti, si deve sempre verifica-
re che l’equazione sia bilanciata:

5. Specificazione degli stati di aggregazione della materia. L’equazione finale indica an-
che lo stato fisico di ciascuna sostanza o se essa sia disciolta in acqua. I simboli usati
per denotare questi stati sono: solido (s), liquido (l), gas (g) e soluzione acquosa (aq).
Con riferimento all’enunciato iniziale, Mg sotto forma di “filo” è solido, O2 gassoso è
un gas, e MgO sotto forma di “polvere” è un solido. L’equazione bilanciata è
2Mg(s) + O2(g) 2MgO(s)

Ovviamente, il punto essenziale di cui rendersi conto è che, come è stato messo in
evidenza nella Figura 3.6, i coefficienti stechiometrici si riferiscono sia a singole entità
chimiche sia a moli di entità chimiche. Così, 2 mol di Mg e 1 mol di O2 danno 2 mol
di MgO. La Figura 3.7 presenta questa reazione da tre punti di vista: come il lettore
può vederla a livello macroscopico, come i chimici (e il lettore!) possono immagi-
narla a livello atomico (gli atomi di colore più scuro rappresentano la stechiometria)
e a livello simbolico dell’equazione chimica.
Si devono tenere presenti altri punti essenziali riguardo al procedimento di
bilanciamento.
• Un coefficiente opera su tutti gli atomi nella formula che lo seguono: 2MgO
significa 2  ×  (MgO), ossia 2 atomi di Mg e 2 atomi di O; 2Ca(NO3)2 significa
2  ×  [Ca(NO3)2], ossia 2 atomi di Ca, 4 atomi di N e 12 atomi di O.
• Nel bilanciamento di un’equazione, le formule chimiche non possono essere modi-
ficate. Nel passo 2 dell’esempio, non possiamo bilanciare gli atomi di O modifi-
cando MgO in MgO2 perché MgO2 ha una differente composizione elementare
e quindi è un differente composto.
• Non si possono aggiungere altri reagenti o prodotti per bilanciare l’equazione
perché questa modificazione rappresenterebbe una differente reazione chimi-
ca. Per esempio, non si possono bilanciare gli atomi di O cambiando O2 in O o
aggiungendo un atomo di O ai prodotti perché l’enunciato chimico non dice
che la reazione coinvolge atomi di O.
• Un’equazione bilanciata rimane bilanciata anche se si moltiplicano tutti i coef-
ficienti per lo stesso numero. Per esempio, anche l’equazione
4Mg(s) + 2O2(g) 4MgO(s)
è bilanciata: è semplicemente l’equazione bilanciata iniziale moltiplicata per 2.
Però, bilanciamo un’equazione con i coefficienti interi più piccoli.

Bilanciamento delle equazioni chimiche


PROBLEMA DI VERIFICA 3.7
Problema Nei cilindri del motore a combustione interna di un’automobile, l’idrocarburo
ottano (C8H18), uno dei molti componenti della benzina, si miscela con l’ossigeno atmosferico
e brucia per formare diossido di carbonio e vapore acqueo. Si scriva un’equazione bilanciata
per questa reazione.

03txt.indd 84 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 85

Mg2 2
O
Mg Mg energia elettrica O2
Mg2

O2

energia elettrica
2Mg(s)  O2(g) 2MgO(s)

Figura 3.7 Una vista su tre livelli della reazione chimica dalle frecce presentano una vista su scala atomica, una rap-
nella lampada di un flash fotografico. Le fotografie presen- presentazione dell’immagine della reazione nella mente del
tano l’immagine macroscopica visibile a occhio nudo. Prima chimico. Le sferette di colore più scuro mostrano la stechio-
che avvenga la reazione, un filamento sottile di alluminio è metria. Conoscendo le sostanze prima della reazione e dopo,
circondato da ossigeno (a sinistra). Dopo la reazione, uno stra- possiamo scrivere ­un’equazione bilanciata (in basso), la steno-
to sottile di ossido di magnesio in polvere riveste la superficie grafia simbolica della trasformazione usata dal chimico. (Foto:
interna della lampada (a destra). Gli ingrandimenti indicati © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).

Risoluzione
1. Traduzione dell’enunciato in un’equazione scheletro (con spazi vuoti per i coefficienti).
L’ottano e l’ossigeno sono reagenti; “ossigeno atmosferico” implica ossigeno molecolare, O2.
Il disossido di carbonio e il vapore acqueo sono prodotti:
C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ + CO 2 + H2O
2. Bilanciamento degli atomi. Partiamo dalla sostanza più complessa, C8H18, e bilanciamo per
ultima la sostanza meno complessa, O2:
1 C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ CO 2 + H 2O
Gli atomi di C in C8H18 finiscono in CO2. Ciascuna molecola di CO2 contiene un atomo
di C, quindi sono necessarie 8 molecole di CO2 per bilanciare gli 8 atomi di C in ciascuna
molecola di C8H18:
1 C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ 8 CO 2 + H2O
Gli atomi di H in C8H18 finiscono in H2O. I 18 atomi di H in C8H18 richiedono un coefficiente
9 davanti a H2O:
1 C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ 8 CO 2 + 9 H2O
Vi sono 25 atomi di O nel secondo membro (16 in 8CO2 più 9 in 9H2O), quindi poniamo
25
il coefficiente   davanti
2 a O2:
25
1 C8H18 + 2 O 2 ⎯ ⎯→ 8 CO 2 + 9 H2O

03txt.indd 85 16/05/19 18:35


86 Capitolo 3

3. Aggiustamento dei coefficienti. Moltiplichiamo per 2 tutti i coefficienti per ottenere numeri
interi:
2C8H18 + 25O2 16CO2 + 18H2O
4. Verifica del bilanciamento dell’equazione:
reagenti (16 C, 36 H, 50 O) prodotti (16 C, 36 H, 50 O)
5. Specificazione degli stati di aggregazione della materia. C8H18 è liquido; O2, CO2 e il vapore
di H2O sono gassosi.

2C8H18(l) + 25O2(g) 16CO2(g) + 18H2O(g)

+ +

Commento Questo è un esempio di reazione di combustione. Ogni composto contenente


C e H che brucia in un eccesso di aria produce CO2 e H2O.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.7 Si scrivano equazioni bilanciate per


ciascuno dei seguenti enunciati chimici.
(a) Una reazione caratteristica di elementi del Gruppo 1A(1): pezzetti di sodio reagiscono
violentemente con l’acqua per formare idrogeno gassoso e soluzione di idrossido di sodio.
(b) La distruzione delle statue di marmo per opera della pioggia acida: l’acido nitrico acquoso
reagisce con il carbonato di calcio per formare diossido di carbonio, acqua e nitrato di calcio
acquoso.
(c) Composti alogenati che scambiano partner di legame: il trifluoruro di fosforo viene pre-
parato mediante la reazione del tricloruro di fosforo e del fluoruro di idrogeno; il cloruro di
idrogeno è l’altro prodotto. Alla reazione partecipano soltanto gas.
(d) Decomposizione esplosiva della dinamite: la nitroglicerina (C3H5N3O9) liquida esplode
producendo una miscela di gas (diossido di carbonio, vapore acqueo, azoto e ossigeno).

3.4 CALCOLO DELLE QUANTITÀ DI REAGENTI


E DI PRODOTTI
Un’equazione bilanciata contiene una grande quantità di informazioni quantitative
concernenti singole entità chimiche, quantità di entità chimiche e masse di sostan-
ze. La Tabel­la 3.5 presenta queste informazioni per la combustione del propano,
un idrocarburo com­­bustibile impiegato per la cottura dei cibi e per il riscaldamen-
to dell’acqua e degli ambienti. Per tutti i calcoli in cui intervengono quantità di
­reagenti e di prodotti è essenzia­le un’equazione bilanciata: se conosciamo il numero
di moli di una sostanza, l’equazione bi­lanciata ci dice il numero di moli di tutte le altre
sostanze che partecipano alla reazione.

Rapporti molari stechiometricamente equivalenti ottenuti


dall’equazione bilanciata
In un’equazione bilanciata, il numero di moli di una sostanza è stechiometricamente
equivalente al numero di moli di ogni altra sostanza. Il termine stechiometricamente
equivalente significa che una quantità definita di una sostanza si forma partendo,
producendo o reagendo con una quantità definita dell’altra. Queste relazioni quan-
titative sono espresse come rapporti molari stechiometricamente equivalenti, che si
possono usare come fattori di conversione per calcolare queste quantità. Usiamo
come esempio la reazione di combustione del propano (Tabella 3.5):
C3H8(g) + 5O2(g) 3CO2(g) + 4H2O(g)

03txt.indd 86 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 87

Tabella 3.5 Informazioni contenute in un’equazione bilanciata


Vista in termini Reagenti Prodotti
molecolari C3H8(g) + 5O2(g) 3CO2(g) + 4H2O(g)
Molecole 1 molecola C3H8 + 5 molecole O2 3 molecole CO2 + 4 molecole H2O

+ +

Quantità (mol) 1 mol C3H8 + 5 mol O2 3 mol CO2 + 4 mol H2O

Massa (u) 44,09 u C3H8 + 160,00 u O2 132,03 u CO2 + 72,06 u H2O

Massa (g) 44,09 g C3H8 + 160,00 g O2 132,03 g CO2 + 72,06 g H2O

Massa totale (g) 204,09 g 204,09 g

Se consideriamo la reazione quantitativamente riferendola a C3H8, vediamo che


1 mol di C3H8 reagisce con 5 mol di O2
1 mol di C3H8 produce 3 mol di CO2
1 mol di C3H8 produce 4 mol di H2O
Perciò, in questa reazione,
1 mol di C3H8 è stechiometricamente equivalente a 5 mol di O2
1 mol di C3H8 è stechiometricamente equivalente a 3 mol di CO2
1 mol di C3H8 è stechiometricamente equivalente a 4 mol di H2O
Abbiamo scelto di considerare C3H8, ma anche confrontando due qualsiasi delle
altre sostanze queste sono stechiometricamente equivalenti l’una all’altra. Perciò,
3 mol di CO2 sono stechiometricamente equivalenti a 4 mol di H2O
5 mol di O2 sono stechiometricamente equivalenti a 3 mol di CO2
e così via.
Ecco un problema tipico che mostra come si usa l’equivalenza stechiometrica
per creare fattori di conversione: nella combustione del propano, quante moli di
O2 si consumano quando si producono 10,0 mol di H2O? Per risolvere questo pro-
blema, dobbiamo trovare il rapporto molare tra O2 e H2O. Dall’equazione bilanciata
vediamo che, per ogni 5 mol di O2 consumate, si formano 4 mol di H2O:
5 mol di O2 sono stechiometricamente equivalenti a 4 mol di H2O
Da questa equivalenza possiamo ottenere due fattori di conversione, a seconda
della quantità che vogliamo trovare:
5 mol O 2 4 mol H2O
oppure
4 mol H2O 5 mol O2
Poiché vogliamo trovare moli di O2 e conosciamo moli di H2O, risulta ovvio sceglie-
re “5 mol O2/4 mol H2O” per elidere “mol H2O”:

5 mol O 2
moli di O 2 consumate= 10,0 mol H2O × = 12,5 mol O2
4 mol H2O
mol H2O =====⇒ mol O 2
rapporto molare
come fattore di conversione

03txt.indd 87 16/05/19 18:35


88 Capitolo 3

Ovviamente, non avremmo potuto risolvere questo problema senza l’equazione


bilanciata. Un metodo generale per risolvere qualsiasi problema stechiometrico che
implichi una reazione chimica è il seguente:
1. scrivere un’equazione bilanciata per la reazione;
2. convertire la massa data (o il numero di entità) della prima sostanza in quantità
Figura 3.8 Sommario delle (mol) della sostanza stessa;
relazioni massa-quantità-
numero in una reazione chimi-
3. usare il rapporto molare appropriato tratto dall’equazione bilanciata per calco-
ca. La quantità di una sostanza lare la quantità (mol) della seconda sostanza;
in una reazione è in relazione 4. convertire la quantità della seconda sostanza nella massa desiderata (o nel
con quella di ogni altra sostan- numero di entità desiderato).
za. Le grandezze sono espresse
in grammi, in moli o in numero Questo metodo è rappresentato nella Figura 3.8 e illustrato nei seguenti problemi
di entità (atomi, molecole, unità di verifica.
formula). Partendo da qualsiasi
casella (nota) nel diagramma si
MASSA (g) MASSA (g)
può pervenire a qualsiasi altra
di composto A di composto B
casella (incognita) usando come
fattori di conversione le informa-
zioni indicate sulle frecce. Per
esempio, se si conosce la massa '(g/mol) '(g/mol)
(in grammi) di A e si vuole di composto A di composto B
conoscere il numero di molecole rapporto molare
di B, il percorso implica tre passi dall’equazione
di calcolo. QUANTITÀ (mol) bilanciata QUANTITÀ (mol)
1. Da grammi di A a moli di A, di composto A di composto B
usando la massa molare (M)
di A.
2. Da moli di A a moli di B, numero di numero di
usando il rapporto molare otte- Avogadro Avogadro
nuto dall’equazione bilanciata. (molecole/mol) (molecole/mol)
3. Da moli di B a molecole di B,
usando il numero di Avogadro. MOLECOLE MOLECOLE
I passi 1 e 3 si riferiscono ai cal- (o unità formula) (o unità formula)
coli esaminati nel Paragrafo 3.1 di composto A di composto B
(vedi Figura 3.3).

Calcolo delle quantità di reagenti e di prodotti


PROBLEMA DI VERIFICA 3.8
Problema Nell’arco della vita, un cittadino statunitense utilizza 794 kg di rame in mone-
te, tubature e fili conduttori dell’elettricità. Il rame si ottiene da minerali solfuri, come la
calcocite (o calcosina) [solfuro di rame(I)], con un processo in più passaggi. Dopo uno stadio
di macinazione iniziale, il primo passaggio è l’“arrostimento” del minerale (riscaldamento a
temperatura elevata in presenza di ossigeno gassoso) per formare ossido di rame(I) allo stato
di polvere e diossido di zolfo gassoso (vedi Capitolo 22).
(a) Quante moli di ossigeno sono necessarie per arrostire 10,0 mol di solfuro di rame(I)?
(b) Quanti grammi di diossido di zolfo si formano quando si arrostiscono 10,0 mol di solfuro
Foto: © McGraw-Hill Education/ di rame(I)?
Stephen Frisch, photographer. (c) Quanti kilogrammi di ossigeno sono necessari per formare 2,86 kg di ossido di rame(I)?
(a) Determinazione del numero di moli di O2 necessario per arrostire 10,0 mol
di Cu2S
Piano Scriviamo sempre per prima l’equazione bilanciata. Le formule dei reagenti sono
Cu2S e O2, e le formule dei prodotti sono Cu2O e SO2:
2Cu2S(s) + 3O2(g) 2Cu2O(s) + 2SO2(g)
Quantità (mol) di Cu2S
Conosciamo le moli di Cu2S e dobbiamo trovare le moli di O2. L’equazione bilanciata indica
che sono necessarie 3 mol di O2 ogni 2 mol di Cu2S consumate, e quindi il fattore di con-
rapporto molare
(2 mol Cu2S 3 mol O2) versione è “(3 mol O2)/(2 mol Cu2S)” (vedi l’itinerario).
Risoluzione Calcolo del numero di moli di O2:
Quantità (mol) di O2 3 mol O 2
moli di O 2 = 10,0 mol Cu 2S × = 15,0 mol O 2
2 mol Cu 2S

03txt.indd 88 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 89

Verifica Le unità sono corrette e la risposta è ragionevole perché questo rapporto molare
O2/Cu2S (15:10) è equivalente al rapporto nell’equazione bilanciata (3:2).
Commento Uno sbaglio comune è quello di usare il fattore di conversione sbagliato; il cal-
colo che ne deriverebbe sarebbe
2 mol Cu 2S 6,67 mol 2 Cu 2S
moli di O 2 = 10,0 mol Cu 2S × =
3 mol O 2 1 mol O 2
Queste unità strane evidenziano che è stato commesso uno sbaglio nella costruzione del fat-
tore di conversione. Inoltre, il valore numerico della risposta, 6,67, è minore di 10,0, mentre
l’equazione bilanciata indica che il numero di moli di O2 necessario è maggiore del numero di
moli di Cu2S. È molto importante riflettere a fondo sul calcolo quando si costruisce il fattore
di conversione e si elidono le unità.
(b) Determinazione della massa (g) di SO2 formata a partire da 10,0 mol di Cu2S
quantità (mol) di Cu2S
Piano In questo caso si vuole conoscere il numero di grammi di prodotto (SO2) che si for-
mano a partire dal numero dato di moli di reagente (Cu2S). Prima troviamo le moli di SO2
rapporto molare
usando il rapporto molare ottenuto dall’equazione bilanciata [(2 mol SO2)/(2 mol Cu2S)] e (2 mol Cu2S 2 mol SO2)
poi moltiplichiamo per la sua massa molare (64,07 g/mol) per trovare i grammi di SO2. I
passi sono indicati nell’itinerario.
quantità (mol) di SO2
Risoluzione Combinando i due passi di conversione in un unico calcolo, otteniamo
2 mol SO 2 64, 07 g SO 2 moltiplicare per ' (g/mol)
massa (g) di SO 2= 10,0 mol Cu 2S × × (1 mol SO2 64,07 g SO2)
3 mol Cu 2S 1 mol SO 2
= 641 g SO 2
massa (g) di SO2
Verifica La risposta ha senso, perché il rapporto molare indica che si formano 10,0 mol di
SO2 e che ciascuna ha una massa di circa 64 g. Abbiamo arrotondato a 3 cifre significative.

(c) Determinazione della massa (kg) di O2 che dà 2,86 kg di Cu2O


massa (kg) di Cu2O
Piano In questo caso conosciamo la massa di prodotto (Cu2O) e vogliamo trovare la massa
di reagente (O2) che reagisce per formarlo. Prima convertiamo la quantità di Cu2O da kilo-
grammi a moli (in due passi, come indicato nell’itinerario). Poi usiamo il rapporto molare [(3 1 kg 103 g
mol O2)/(2 mol Cu2O)] per trovare le moli di O2 necessarie. Infine, convertiamo le moli di
O2 in kilogrammi (in due passi).
massa (g) di Cu2O
Risoluzione Conversione da kilogrammi di Cu2O a moli di Cu2O. Combinando la conversio-
ne delle unità di massa (kilogrammi in grammi) con la conversione massa-quantità (grammi
dividere per ' (g/mol)
in moli), otteniamo: (143,10 g Cu2O 1 mol Cu2O)
103 g 1 mol Cu 2O
moli di=
Cu 2O 2,86 kg Cu 2O × × = 20,0 mol Cu 2O quantità (mol) di Cu2O
1 kg 143,10 g Cu 2O
Conversione da moli di Cu2O a moli di O2: rapporto molare
(2 mol Cu2O 3 mol O2)
3 mol O 2
moli di O 2 = 20,0 mol Cu 2O × = 30,0 mol O 2
2 mol Cu 2O
quantità (mol) di O2
Conversione da moli di O2 a kilogrammi di O2: combinando la conversione quantità-massa
con la conversione delle unità di massa otteniamo: moltiplicare per ' (g/mol)
32, 00 g O 2 1 kg (1 mol O2 32,00 g O2)
massa (kg) di O 2 = 30,0 mol O 2 × × 3
1 mol O 2 10 g
massa (g) di O2
= 0,960 kg O 2
Verifica Le unità sono corrette. Arrotondiamo per verificare la matematica: per esempio,
103 g 1 kg
nel passo finale, ∼30 mol  ×  30 g/mol  ×  1 kg/103 g = 0,90 kg. La risposta sembra ragionevole:
anche se la quantità (mol) di O2 è maggiore della quantità (mol) di Cu2O, la massa di O2 è
minore della massa di Cu2O perché M di O2 è minore di M di Cu2O. massa (kg) di O2
Commento Questo problema mette in evidenza un punto essenziale per la risoluzione
dei problemi stechiometrici: convertire in moli le informazioni date. Poi, usare il rapporto
molare appropriato e ogni altro fattore di conversione per portare a termine la risoluzione
del problema.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.8 La termìte è una miscela di ossido


di ferro(III) e di polvere di alluminio che era usata un tempo per saldare le rotaie ferroviarie.
(a) Quanti grammi di ferro si formano quando reagiscono 135 g di alluminio?
(b) Quanti atomi di alluminio reagiscono ogni 1,00 g di ossido di alluminio che si forma?

03txt.indd 89 16/05/19 18:35


90 Capitolo 3

Reazioni chimiche in sequenza


In molte situazioni, un prodotto di una reazione diventa un reagente per la reazio-
ne successiva in una sequenza di reazioni. Ai fini stechiometrici, quando la stessa
sostanza si forma in una reazione ed è utilizzata in quella successiva, eliminiamo
questa sostanza comune in una reazione complessiva (netta).
1. Scrivere la sequenza di equazioni bilanciate.
2. Aggiustare aritmeticamente le equazioni per elidere la sostanza comune.
3. Sommare le equazioni aggiustate per ottenere l’equazione bilanciata comples-
siva.
Il Problema di verifica 3.9 illustra il metodo proseguendo il processo di estrazione
del rame iniziato nel Problema di verifica 3.8.

Calcolo delle quantità di reagenti e di prodotti in una sequenza


di reazioni
PROBLEMA DI VERIFICA 3.9
Problema L’arrostimento è il primo passaggio nell’estrazione del rame dalla calcocite, il
minerale usato nei problema precedente. Nel passaggio successivo, l’ossido di rame(I) reagi-
sce con carbonio polverizzato per dare rame metallico e monossido di carbonio gassoso. Si
scriva un’equazione complessiva bilanciata per la sequenza in due passaggi.
Piano Per ottenere l’equazione complessiva, scriviamo le singole equazioni in sequenza,
aggiustiamo i coefficienti per elidere la sostanza (o le sostanze) in comune e sommiamo le
equazioni. In questo caso, soltanto Cu2O compare come prodotto in un’equazione e come
reagente in un’altra e quindi è la sostanza in comune.
Risoluzione Scrittura delle singole equazioni bilanciate:
2Cu2S(s) + 3O2(g) 2Cu2O(s) + 2SO2(g) [equazione 1; vedi Problema di verifica 3.8(a)]
Cu2O(s) + C(s) 2Cu(s) + CO(g) [equazione 2]
Aggiustamento dei coefficienti: poiché nell’equazione 1 vengono prodotte soltanto 2 mol
di Cu2O, ma nell’equazione 2 reagisce soltanto 1 mol di Cu2O, raddoppiamo tutti i coef-
ficienti nell’equazione 2. Perciò, la quantità di Cu2O formata nell’equazione 1 è utilizzata
nell’equazione 2:
2Cu2S(s) + 3O2(g) 2Cu2O(s) + 2SO2(g) [equazione 1]
2Cu2O(s) + 2C(s) 4Cu(s) + 2CO(g) [equazione 2, moltiplicata per 2]
Addizione delle due equazioni ed elisione della sostanza in comune: manteniamo i reagenti
di entrambe le equazioni nel primo membro e i prodotti di entrambe le reazioni nel secon-
do membro:
2Cu 2S( s ) + 3O 2 ( g ) + 2Cu 2O( s ) + 2C( s ) ⎯ ⎯→ 2Cu 2O( s ) + 2SO 2 ( g ) + 4Cu( s ) + 2CO( g )
Ossia, 2 Cu2S(s) + 3O2(g) + 2C(s) 2SO2(g) + 4Cu(s) + 2CO(g)
Verifica Reagenti (4 Cu, 2 S, 6 O, 2 C) prodotti (4 Cu, 2 S, 6 O, 2 C)
Commento 1. Anche se Cu2O partecipa alla trasformazione chimica, non interviene nella
stechiometria delle reazioni. Un’equazione complessiva può non indicare quali sostanze
reagiscano effettivamente; per esempio, C(s) e Cu2S(s) non interagiscono qui direttamente,
anche se entrambi sono indicati come reagenti.
2. L’SO2 formato nell’estrazione del metallo contribuisce alla pioggia acida (vedi Problema di
approfondimento 3.9). Per aiutare a risolvere il problema della pioggia acida, i chimici hanno
­ideato metodi microbici ed elettrochimici per estrarre i metalli senza arrostire i minerali sol-
furi. Questi metodi sono alcuni dei molti esempi di chimica verde, iniziative di collaborazione
tra università, pubblica amministrazione e industria destinate a ridurre le sostanze pericolose
presenti nell’ambiente.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.9 L’SO2 prodotto nell’estrazione del


rame reagisce nell’aria con l’ossigeno e forma triossido di zolfo. Questo gas, a sua volta, reagi-
sce con l’acqua per formare una soluzione di acido solforico che cade sotto forma di pioggia,
o neve, acida. Si scriva un’equazione complessiva bilanciata per questo processo.

Sequenze di reazioni in più passaggi, note come vie metaboliche, sono comuni nei
sistemi biologici. Nella maggior parte delle cellule, l’energia chimica nel glucosio

03txt.indd 90 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 91

viene rilasciata mediante una sequenza di circa 30 singole reazioni. Il prodotto di


ciascuna reazione è il reagente della reazione successiva e, quindi, tutte le sostanze
in comune si elidono. L’equazione complessiva è
C6H12O6(aq) + 6O2(g) 6CO2(g) + 6H2O(l)
Assumiamo alimenti contenenti glucosio, inaliamo O2 ed eliminiamo CO2 e H2O.
Nelle nostre cellule, questi reagenti e prodotti possono essere distanti molti pas-
saggi: O2 non reagisce mai direttamente con il glucosio. Però, i rapporti molari sono
uguali a quelli che si avrebbero se il glucosio bruciasse in un apparecchio di com-
bustione riempito di O2 puro e formasse direttamente CO2 e H2O.

Reazioni chimiche a cui partecipa un reagente limitante


Nei problemi presentati finora, la quantità di un reagente era data e si supponeva
che la quantità di ogni altro reagente fosse sufficiente per consumare completa-
mente il primo rea­gen­te. Per esempio, per trovare la quantità di SO2 che si for-
ma quando reagiscono 100 g di Cu2S, convertiamo i grammi di Cu2S in moli e
supponiamo che Cu2S reagisca con tanto O2 quanto è necessario. Poiché viene
consumato tutto il Cu2S, la sua quantità iniziale determina, o limita, la quantità di
SO2 che si può formare. Cu2S è detto reagente limitan­te perché la reazione si ar-
resta quando Cu2S si è esaurito, indipendentemente da quanto O2 sia presente. Ma
supponiamo che le quantità sia di Cu2S sia di O2 siano date e vogliamo co­­noscere
quanto SO2 si formi. Prima dobbiamo determinare quale tra Cu2S e O2 sia il reagente
limitante (cioè, quale dei due verrà consumato completamente) perché la quantità
di quel reagente limita la quantità di SO2 che si potrà formare. L’altro reagente è
presente in ec­cesso, e qualunque quantità di esso venga utilizzata resterà allo stato
non combinato.
Per chiarire il concetto di reagente limitante, consideriamo una situazione mol-
to più stuzzicante. Supponiamo di essere addetti alla preparazione di coppe di
gelato guarnite in una gelateria. Ogni coppa richiede due palline (360 g) di gelato,
una ciliegia e 50 mL di cioccolata: • Reagenti limitanti nella
vita quotidiana Situazioni in cui
2 palline (360 g) + 1 ciliegia + 50 mL cioccolata 1 coppa sono presenti “reagenti” limitanti si
incontrano frequentemente nell’at-
Entra nella gelateria una torma di scolari affamati, ognuno dei quali vuole una coppa
tività economica. Un dirigente di un
di gelato alla vaniglia. Siamo in grado di soddisfarli tutti? Abbiamo 9 kg (= 9000 g) impianto di montaggio di automobili
di gelato alla vaniglia, 30 ciliegie e 1 L di cioccolata, e quindi un calcolo rapido deve ordinare pneumatici addizio-
indica il numero di coppe che siamo in grado di preparare con ciascun ingrediente: nali se vi sono 1500 carrozzerie
e soltanto 4000 pneumatici, e un
2 palline 1 coppa fabbricante di vestiario deve tagliare
gelato: numero di coppe = 9000 g × × = 25 coppe maniche addizionali se vi sono 320
360 g 2 palline
maniche per 170 busti di camicie. E
1 coppa situazioni simili si incontrano anche
ciliegie: numero di coppe = 30 ciliegie × = 30 coppe
1 ciliegia nella vita quotidiana. Per esempio,
una ricetta per focaccine richiede
1 coppa 2 tazze di farina e 1 tazza di zuc-
cioccolata: numero di coppe = 1000 mL cioccolata × = 20 coppe
50 mL cioccolata chero, ma si dispone di 3 tazze di
farina e soltanto di 3/4 di tazza di
La cioccolata è il “reagente” limitante perché limita la quantità totale di “prodotto” zucchero. Chiaramente, la farina è
che si può “formare”: dei tre ingredienti, è la cioccolata che determina il numero in eccesso e lo zucchero limita il
numero di fo­caccine che si possono
massimo di coppe che possiamo preparare.
preparare. Oppure, dobbiamo prepa-
Una certa quantità di gelato e un certo numero di ciliegie non hanno “reagito” rare panini imbottiti per un picnic e
quando si è esaurita tutta la cioccolata e quindi sono presenti in eccesso: sono disponibili 10 panini, 12 fette
di prosciutto e 15 fette di formaggio.
9000 g (50 palline) + 30 ciliege + 1 L cioccolata In questo caso, il numero di panini
20 coppe + 1800 g (10 palline) + 10 ciliegie limita il numero di panini imbottiti
che si possono preparare. Oppure, in
Nei problemi in cui compare un reagente limitante, essendo note le quantità dei un laboratorio di biologia cellulare
due (o più) reagenti, si deve determinare quale di essi sia limitante. A questo sco- vi sono 26 studenti e soltanto 23
po, scegliamo il reagente che dà la quantità minore di prodotto. Un metodo, illustrato microscopi. Il numero di volte che si
incontrano situazioni in cui è presen-
nel Problema di verifica 3.10, consiste nell’eseguire due calcoli, ciascuno dei quali te un reagente limitante è pressoché
presuppone un eccesso dell’uno o dell’altro reagente. illimitato.

03txt.indd 91 16/05/19 18:35


92 Capitolo 3

Calcolo delle quantità di reagenti e di prodotti nelle reazioni


a cui partecipa un reagente limitante
PROBLEMA DI VERIFICA 3.10
Problema Una miscela combustibile impiegata nei primi tempi della missilistica è costi-
tuita da due liquidi, l’idrazina (N2H4) e il tetraossido di diazoto (N2O4), che si accendono
per contatto per formare azoto gassoso e vapore acqueo. Quanti grammi di azoto gassoso si
formano quando si miscelano 1,00  ×  102 g di N2H4 e 2,00  ×  102 g di N2O4?
Piano Come sempre, prima scriviamo l’equazione bilanciata. Il fatto che le quantità dei due
REAGENTE LIMITANTE reagenti siano date indica che si tratta di un problema in cui interviene un reagente limitante. Per
determinare quale dei due reagenti sia quello limitante, calcoliamo la massa di N2 che si
forma a partire da ciascun reagente supponendo un eccesso dell’altro. Convertiamo la massa
massa (g) massa (g) di ciascun reagente in numero di moli e usiamo il rapporto molare appropriato per trovare
di N2H4 di N2O4 il numero di moli di N2 formato da ciascun reagente. Quello dei due reagenti che dà meno
N2 è il reagente limitante. Poi convertiamo questo numero minore di moli di N2 in massa.
dividere per dividere per
L’itinerario mostra i passi del calcolo.
' (g/mol) ' (g/mol)
Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata:
quantità (mol) quantità (mol)
2N2H4(l) + N2O4(l) 3N2(g) + 4H2O(g)
di N2H4 di N2O4
Determinazione del numero di moli di N2 a partire dal numero di moli di N2H4 (se N2H4 è
rapporto rapporto
molare
il reagente limitante):
molare
1 mol N 2H4
moli di N2H4 = 1,00 ×102 g N 2H4 × =3,12 mol N 2H4
quantità (mol) quantità (mol) 32,05 g N 2H4
di N2 di N2
3 mol N 2
moli di N2 = 3,12 mol N 2H4 × =
4,68 mol N2
scegliere 2 mol N 2H4
il minore
numero di moli Determinazione del numero di moli di N2 a partire dal numero di moli di N2O4 (se N2O4 è
di N2 il reagente limitante):
e moltiplicare
1 mol N 2O 4
per ' (g/mol) moli di N2O4 = 2,00 ×102 g N 2O 4 × =
2,17 mol N 2O 4
92,02 g N 2O 4
massa (g) di N2 3 mol N 2
moli di N2 = 2,17 mol N 2O 4 × = 6,51 mol N2
1 mol N 2O 4
Perciò, N2H4 è il reagente limitante, perché dà meno moli di N2.
Conversione dalle moli ai grammi di N2:
28,02 g N 2
massa (g) di N2 = 4,68 mol N 2 × = 131 g N2
1 mol N 2
Verifica Anche se la massa di N2O4 è maggiore di quella di N2H4, vi sono meno moli
perché la M di N2O4 è molto maggiore. Arrotondiamo per verificare la matematica; per
ese­mpio, per N2H4, 100 g N2H4  ×  1 mol/32 g  3 mol; ∼3 mol  ×  32  4,5 mol N2;
∼4,5 mol  ×  30 ­g/mol  135 g N2.
Commento 1. Nella risoluzione dei problemi in cui interviene un reagente limitante pos-
sono essere commessi due sbagli comuni:
• il reagente limitante non è il reagente presente in numero minore di moli (2,17 mol di
N2O4 rispetto a 3,12 mol di N2H4), ma è il reagente che forma meno moli di prodotto;
• analogamente, il reagente limitante non è il reagente con massa minore, ma è il reagente
che forma la massa minore di prodotto.
2. Di seguito è presentato un metodo alternativo per determinare quale dei due reagenti sia
quello limitante. Determiniamo le moli di ciascun reagente che sarebbero necessarie per
reagire con l’altro reagente. Vediamo, poi, quale delle due quantità date nel problema sia
effettivamente sufficiente. La sostanza corrispondente è in eccesso e l’altra è limitante. Per
esempio, l’equazione bilanciata indica che 2 mol di N2H4 reagiscono con 1 mol di N2O4. Le
moli di N2O4 necessarie per reagire con le moli date di N2H4 sono
1 mol N 2O 4
moli di N 2O 4 necessarie= 3,12 mol N 2H4 × = 1,56 mol N 2O4
2 mol N 2H4
Le moli di N2H4 necessarie per reagire con le moli date di N2O4 sono
2 mol N 2H4
moli di N 2H4 necessarie= 2,17 mol N 2O 4 × = 4,34 mol N 2H4
1 mol N 2O 4
Sono date 2,17 mol di N2O4, maggiori della quantità di N2O4 che è necessaria (1,56 mol) per
reagire con la quantità data di N2H4, e sono date 3,12 mol di N2H4, minori della quantità di

03txt.indd 92 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 93

N2H4 necessaria (4,34 mol) per reagire con la quantità data di N2O4. Perciò, N2H4 è limitante
e N2O4 è in eccesso. Determinato questo, proseguiamo con il calcolo finale per trovare la
quantità di N2.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.10 Quanti grammi di solfuro di allu-


minio solido si possono preparare con la reazione di 10,0 g di alluminio e 15,0 g di zolfo?
Quanto del reagente non limitante è in eccesso?

AB
Reazioni chimiche in pratica: resa teorica, resa effettiva (reagenti)
e resa percentuale
C
Finora siamo stati ottimisti riguardo alla quantità di prodotto ottenuta da una reazione. (prodotto
Abbiamo supposto che il 100% del reagente limitante diventi prodotto, che esistano principale)

metodi ideali di separazione e purificazione per isolare il prodotto e che usiamo tec-
niche di laboratorio perfette per raccogliere tutto il prodotto formato. In altri termini, D
(prodotto collaterale)
abbiamo supposto di ottenere la resa teorica (o rendimento teorico), la quantità in-
dicata dal rapporto molare stechiometricamente equivalente nell’equazione bilanciata. Figura 3.9 L’effetto delle
Ma è giunto il momento di guardare in faccia la realtà. La resa teorica non si reazioni collaterali sulla resa.
ottiene mai, per motivi in gran parte incontrollabili. Tanto per cominciare, anche se Un motivo per cui non si può
predomina la reazione principale, molte miscele di reagenti percorrono anche una o mai ottenere la resa teorica è il
fatto che altre reazioni condu-
più reazioni collaterali che formano minori quantità di differenti prodotti, come cono alcuni dei reagenti lungo
mostrato nella Figura 3.9. Per esempio, nella precedente reazione del combustibile cammini collaterali per formare
per razzi i reagenti potrebbero formare una certa quantità di NO nella seguente prodotti indesiderati.
reazione collaterale:
2N2O4(l) + N2H4(l) 6NO(g) + 2H2O(g)
Questa reazione diminuisce le quantità di reagenti disponibili per la produzione
di N2. Ancora più importante è il fatto che, come vedremo nel Capitolo 4, molte
reazioni sembrano arrestarsi prima di completarsi, lasciando inutilizzata una certa
quantità di reagente limitante. Però, anche quando una reazione si svolge completa-
mente fino al prodotto, in pratica si verificano perdite in ogni passaggio di un pro-
cedimento di separazione (vedi Paragrafo 2.9 e la scheda Strumenti del laboratorio,
pag. 66-67): una piccola quantità di prodotto resta attaccata alla carta da filtro, un
po’ di distillato evapora, una piccola quantità di estratto resta nell’imbuto separa-
tore e così via. Adottando tecniche accurate, si possono ridurre al minimo queste
perdite ma non si riuscirà mai a eliminarle completamente. La quantità di prodotto
che si ottiene effettivamente è detta resa effettiva (o rendimento effettivo). La
resa percentuale (o rendimento percentuale) è la resa effettiva espressa come
percentuale della resa teorica:

resa effettiva (3.7)


resa =
percentuale ×100
resa teorica
Poiché la resa effettiva è sempre minore della resa teorica, la resa percentuale è
sempre minore del 100%. La resa teorica e la resa effettiva sono espresse in unità di
quantità di sostanza (moli) o in unità di massa (grammi).

Calcolo della resa percentuale


PROBLEMA DI VERIFICA 3.11
Problema Il carburo di silicio (SiC) è un importante materiale ceramico che viene prodotto
facendo reagire a temperatura elevata la sabbia (diossido di silicio, SiO2) con carbonio polve-
rizzato. Nella reazione si forma anche monossido di carbonio, e quando si trasformano 100,0
kg di sabbia, si ottengono 51,4 kg di SiC. Qual è la resa percentuale di SiC in questo processo?
Piano Conoscendo la resa effettiva di SiC (51,4 kg), possiamo conoscere la resa teorica e quin-
di calcolare la resa percentuale. Dopo avere scritto l’equazione bilanciata, convertiamo la massa
data di SiO2 (100,0 kg) in quantità (mol). Usiamo il rapporto molare per trovare la quantità
di SiC formata e convertiamo questa quantità in massa (kg) per ottenere la resa teorica [vedi
Problema di verifica 3.8(c)]. Poi usiamo l’Equazione 3.7 per trovare la resa percentuale.

03txt.indd 93 16/05/19 18:35


94 Capitolo 3

Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata:


SiO2(s) + 3C(s) SiC(s) + 2CO(g)
Conversione da kilogrammi a moli di SiO2:
1000 g 1 mol SiO 2
=
moli di SiO 2 100,0 kg SiO 2 × × = 1664 mol SiO2
1 kg 60,09 g SiO 2
Conversione da moli di SiO2 a moli di SiC: il rapporto molare è (1 mol SiC)/(1 mol SiO2) e quindi
moli di SiO2 = moli di SiC = 1664 mol di SiC
Conversione da moli a kilogrammi di SiC:
40,10 g SiC 1 kg
massa (kg) di =
SiC 1664 mol SiC × × = 66,73 kg SiC
1 mol SiC 1000 g
Calcolo della resa percentuale:
resa effettiva 51,4 kg
resa percentuale di=
SiC ×=
100 ×=
100 77,0%
resa teorica 66,73 kg
Verifica Arrotondando, si vede che la massa di SiC sembra corretta: ∼1500 mol  ×  40 g/mol  ×
(1 kg)/(1000 g) = 60 kg. Il rapporto molare di SiC:SiO2 è 1 : 1, e la M di SiC è circa 2/3 (40/60)
della M di SiO2, quindi 100 kg di SiO2 dovrebbero formare circa 66 kg di SiC.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.11 Il marmo (carbonato di calcio)


reagisce con una soluzione di acido cloridrico per formare una soluzione di cloruro di cal-
cio, acqua e diossido di carbonio. Qual è la resa percentuale di diossido di carbonio se si
raccolgono 3,65 g del gas quando reagiscono 10,0 g di marmo?

Nelle sequenze di reazioni in più passaggi, le rese percentuali dei passaggi sono espresse
come frazioni e moltiplicate tra loro per dare la resa percentuale complessiva. Anche
quando la resa di ciascun passaggio è elevata, il risultato finale può essere sorpren-
dentemente basso. Supponiamo, per esempio, che una sequenza di reazioni in 6
passaggi abbia una resa del 90,0% per ciascun passaggio; cioè, in ciascun passaggio
si riesce a ottenere il 90,0% della resa teorica di prodotto. La resa percentuale com-
plessiva è soltanto lievemente maggiore del 50%:
resa percentuale complessiva =
(0,900  ×  0,900  ×  0,900  ×  0,900  ×  0,900  ×  0,900)  ×  100 = 53,1%
Queste sequenze in più passaggi sono comuni nella sintesi dei farmaci, dei colo-
ranti, dei pesticidi e di molti altri composti organici. In una sintesi tipica, grandi
quantità di reagenti semplici, poco costosi, vengono convertite in piccole quantità
di prodotti complessi, costosi; perciò, la resa percentuale complessiva influenza
notevolmente le potenzialità commerciali di un prodotto.
Economia atomica: la resa dal punto di vista della “chimica verde” Du-
rante ogni passaggio di una sintesi, i reagenti sono spesso consumati in reazioni
collaterali non desiderate, cosicché la resa complessiva del processo diminuisce
sensibilmente. Inoltre molti prodotti collaterali possono essere dannosi. Un approc-
cio ambientalmente favorevole a questo problema è quello fornito dalla “chimica
verde”, ovvero lo sviluppo di processi chimici innovativi che riducano o eliminino
l’uso o la produzione di sostanze pericolose nella progettazione, fabbricazione e uso
di prodotti chimici.
Per valutare completamente nuovi processi si devono considerare diversi prin-
cipi della “chimica verde” tra cui, per esempio, la quantità di energia necessaria e
la natura dei solventi utilizzati. Quando questi elementi sono simili, la scelta di un
processo sintetico più efficiente si basa sul criterio dell’economia atomica, ovvero
della quantità di atomi dei reagenti che compaiono nei prodotti desiderati. L’effi-
cienza di una sintesi si misura come economia atomica percentuale:

numero di moli × massa molare del prodotto desiderato


% economia atomica = ×100
somma del numero di moli × massa molare di tutti i prodotti

03txt.indd 94 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 95

Consideriamo due vie sintetiche per la produzione dell’anidride maleica (C4H2O3),


un importante prodotto chimico utilizzato per la produzione di polimeri, coloranti,
farmaci e pesticidi. La prima sintesi utilizza come reagente il benzene (C6H6) e la
seconda il butano (C4H10).
Sintesi 1 2C6H6 ( l ) + 9O 2 ( g ) →  → 2C4 H2O3 ( l ) + 4H2O( l ) + 4CO2 ( g )
Sintesi 2 2C4 H10 ( g ) + 7O 2 ( g ) →  → 2C4 H2O3 ( l ) + 8H2O( l )
Confrontiamo l’efficienza delle due sintesi in termini di economia atomica percentuale.
Sintesi 1
2 ×  di C4 H2O3
% economia atomica = ×100
(2 ×  di C4 H2O3 ) + (4 ×  di H2O) + (4 ×  di CO2 )
2 × 98,06 g
= ×100 =
44,15%
(2 × 98,06 g ) + (4 ×18,02 g ) + (4 × 44, 01 g )
Sintesi 2
2 ×  di C4 H2O3
% economia atomica = ×100
(2 ×  di C4 H2O3 ) + (8 ×  di H2O)
2 × 98,06 g
= ×100 =
57,63%
(2 × 98,06 g ) + (8 ×18,02 g )
Chiaramente dal punto di vista dell’economia atomica, la sintesi 2 è preferibile
perché una maggiore percentuale degli atomi reagenti viene inglobata nel prodot-
to desiderato. La sintesi 2 rappresenta, inoltre, un processo più verde perché evita
l’uso del benzene, un reagente altamente tossico, e non produce CO2, un gas che
contribuisce al riscaldamento globale.

3.5 FONDAMENTI DI STECHIOMETRIA


DELLE REAZIONI IN SOLUZIONE
Nei media un chimico può essere raffigurato come una persona in camice bianco,
circondato da vetreria di forma strana, intento a versare una soluzione colorata in
un’altra, generando bollicine spumeggianti e nubi di esalazioni. Anche se la maggior
parte delle reazioni in soluzione non sono così appariscenti e la buona tecnica offre
metodi di miscelazione più sicuri, l’immagine dei media è vera nella misura in cui
la chimica in soluzione acquosa è una parte centrale dell’attività di laboratorio. Le
soluzioni liquide possono essere conservate e miscelate più comodamente rispetto
ai solidi e ai gas, e le quantità di sostanze in soluzione possono essere misurate
con grande accuratezza. Poiché molte reazioni ambientali e quasi tutte le reazioni
biochimiche si svolgono in soluzione, la comprensione delle reazioni in soluzione
è estremamente importante in chimica e nelle scienze affini.
Esamineremo la chimica delle reazioni in soluzione in molti punti del testo,
ma qui concentriamo l’attenzione sulla stechiometria delle reazioni in soluzione. La
stechiometria delle sostanze disciolte si differenzia soltanto per un aspetto rispetto
a quella che abbiamo visto finora. Se finora conoscevamo le quantità di sostanze
pure convertendo le loro masse direttamente in moli, nel caso delle sostanze di-
sciolte, dobbiamo conoscere la concentrazione – il numero di moli presenti in un
certo volume di soluzione – per trovare il volume che contiene un dato numero di
moli. Dei molti modi in cui si può esprimere la concentrazione, il più importante è
la molarità, che analizzeremo di seguito rinviando l’esame degli altri al Capitolo 13.
Vediamo quindi come si prepara una soluzione di una specifica molarità e come si
usano le soluzioni nei calcoli stechiometrici.

Espressione delle concentrazioni in termini di molarità


Una soluzione tipica è costituita da una più piccola quantità di una sostanza, il so-
luto, disciolta in una più grande quantità di un’altra sostanza, il solvente. Quando

03txt.indd 95 16/05/19 18:35


96 Capitolo 3

si forma una soluzione, le singole entità chimiche del soluto si disperdono uniforme-
mente in tutto il volume disponibile e si circondano di molecole di solvente. La con-
centrazione di una soluzione è espressa di solito come la quantità di soluto disciolta
in una data quantità di soluzione. La concentrazione è una grandezza intensiva (come
lo sono la densità o la temperatura) e quindi è indipendente dal volume di soluzione:
un recipiente di 50 L di una data soluzione ha la stessa concentrazione [(quantità di so-
luto)/(quantità di soluzione)] di un becher di 50 mL di quella soluzione. La molarità
(M) esprime la concentrazione in moli di soluto per litro di soluzione:

moli di soluto mol soluto


=molarità = ossia (in simboli) M (3.8)
litri di soluzione L soluzione

Calcolo della molarità di una soluzione


PROBLEMA DI VERIFICA 3.12
Problema L’acido bromidrico (HBr) è una soluzione di bromuro di idrogeno gassoso in
acqua. Si calcoli la molarità della soluzione di acido bromidrico se 455 mL contengono
1,80 mol di bromuro di idrogeno.
Piano La molarità è il numero di moli di soluto in ogni litro di soluzione. Conosciamo il
quantità (mol) di HBr numero di moli (1,80 mol) e il volume (455 mL), quindi dividiamo il numero di moli per il
volume e convertiamo in litri il volume espresso in millilitri per trovare la molarità.
dividere per volume (mL) Risoluzione
1,80 mol HBr 1000 mL
molarità = ×
concentrazione (mol/mL) di HBr 455 mL soluzione 1L
=
3,96 M HBr
103 mL 1L Verifica Un rapido sguardo alla matematica indica che ci sono quasi 2 mol di HBr e circa
0,5 L di soluzione, quindi la concentrazione dovrebbe essere circa 4 mol/L ossia 4 M.
molarità (mol/L) di HBr
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.12 Quante moli di KI vi sono in
84 mL di 0,50 M KI?

Conversioni quantità-massa-numero che implicano soluzioni


La molarità può essere considerata come un fattore di conversione impiegato per
effettuare conversioni tra volume di soluzione e quantità (mol) di soluto, da cui
ricavare la massa o il numero di entità di soluto. La Figura 3.10 mostra questa nuova
relazione stechiometrica che viene poi applicata nel Problema di verifica 3.13.

MASSA (g)
di composto
in soluzione

Figura 3.10 Sommario


delle relazioni massa-quantità- M (g/mol)
numero/­volume in una
soluzione. La quantità (in moli)
di un composto in soluzione è QUANTITÀ (mol)
in relazione con il volume di di composto
soluzione (in litri) attraverso la in soluzione
molarità (M) (in moli per litro).
Le altre relazioni indicate sono
identiche a quelle presentate numero di
Avogadro M (mol/L)
nella Figura 3.3, tranne che qui
esse si riferiscono alle grandezze (molecole/mol)
in soluzione. Come nei casi prece-
denti, per trovare la quantità di MOLECOLE
(o unità formula) VOLUME (L)
sostanza espressa in una qualsiasi
di composto di soluzione
forma, si devono prima convertire in soluzione
in moli le informazioni date.

03txt.indd 96 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 97

Calcolo della massa di soluto in un dato volume di soluzione


PROBLEMA DI VERIFICA 3.13
Problema Quanti grammi di soluto vi sono in 1,75 L di soluzione 0,460 M in monoidro-
volume (L) di soluzione
genofosfato di sodio?
Piano Conosciamo il volume di soluzione (1,75 L) e la molarità (0,460 M) e vogliamo cono-
moltiplicare per M (mol/L)
scere la massa di soluto. Usiamo le grandezze note per trovare la quantità (mol) di soluto e
poi convertiamo le moli in grammi attraverso la massa molare di soluto.
Risoluzione Calcolo delle moli di soluto in soluzione: quantità (mol) di soluto
0,460 mol Na 2HPO 4
=
moli di Na 2HPO4 1,75 L soluzione ×
1 L soluzione moltiplicare per ' (g/mol)
= 0,805 mol Na 2HPO 4
Conversione dalle moli ai grammi di soluto: massa (g) di soluto
141,96 g Na 2HPO 4
=
massa (g) Na 2HPO 4 0,805 mol Na 2HPO 4 ×
1 mol Na 2HPO 4
= 114 g Na2HPO4
Verifica La risposta sembra essere corretta: ∼1,8 L di 0,5 mol/L contengono 0,9 mol, e
150 g/ mol  ×  0,9 mol = 135 g, che sono vicini a 114 g di soluto.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.13 Nei laboratori di biochimica si
usano soluzioni di saccarosio (zucchero da tavola, C12H22O11) nelle centrifughe ad alta
velocità per separare le parti di una cellula biologica. Quanti litri di soluzione 3,30 M in
saccarosio contengono 135 g di soluto?

Preparazione e diluizione di soluzioni molari


Quando si prepara una soluzione di specifica molarità, si deve tenere presente che
il volume che compare nel denominatore dell’espressione della molarità è il volume
di soluzione, non il volume di solvente. Il volume di soluzione comprende i contri-
buti dati dal soluto e dal solvente e quindi non si può semplicemente sciogliere
1 mol di soluto in 1 L di solvente e attendersi una soluzione 1 M. Il soluto aumen-
terebbe il volume della soluzione al di sopra di 1 L, dando origine a una concentra-
zione minore di quella attesa. La preparazione corretta di una soluzione contenente
un soluto solido si svolge in quattro passaggi. Percorriamoli al fine di preparare
0,500 L di soluzione 0,350 M in nitrato di nichel(II) esaidrato [Ni(NO3)2⋅6H2O]:
1. Determinare la massa del solido necessario. Calcoliamo anzitutto la massa di solido
necessaria per convertire dai litri alle moli e dalle moli ai grammi:
0,350 mol Ni(NO3 )2 ⋅6H2O
=
massa (g) di soluto 0, 500 L soluzione ×
1 L soluzione
290,82 g Ni(NO3 )2 ⋅6H2O
×
1 mol Ni(NO3 )2 ⋅6H2O
= 50,9 g Ni(NO3 )2 ⋅6H2O
2. Trasferire accuratamente il solido in un matraccio volumetrico che contenga circa la
metà del volume finale di solvente. Poiché vogliamo 0,500 L di soluzione, scegliamo
un matraccio volumetrico di 500 mL. Aggiungiamo circa 250 mL di acqua distillata
e poi trasferiamo il solido. Usando una piccola quantità di solvente, asportiamo ogni
traccia di solido che abbia aderito al collo del matraccio.
3. Sciogliere completamente il solido mediante agitazione. Se una parte del soluto rimane
non disciolta, la soluzione sarà meno concentrata del previsto, e quindi si deve badare
che il soluto si sciolga completamente. Se necessario, si deve attendere che la soluzio-
ne raggiunga la temperatura ambiente. (Come vedremo nel Capitolo 13, il processo di
dissoluzione è spesso accompagnato da aumento o diminuzione della temperatura.)
4. Aggiungere solvente finché la soluzione non raggiunge il suo volume finale. Aggiungia-
mo acqua distillata fino a portare il volume esattamente alla linea segnata sul collo
del matraccio, poi tappiamo il matraccio e mescoliamo di nuovo accuratamente.

03txt.indd 97 16/05/19 18:35


98 Capitolo 3

Figura 3.11 Preparazione di


soluzioni molari in laboratorio.
Dopo che è stata determinata
(“pesata”) la massa desiderata
di solido, si prepara la soluzione:
A. versando accuratamente il
soli­do in un matraccio volume-
trico pieno di solvente circa
fino a metà; B. agitando fino a
sciogliere completamente il so-
lido; C. versando il solvente fino
al segno sul collo del matraccio,
mostrato in D. Non sarebbe cor-
retto aggiungere il solido all’in-
tero volume di solvente, perché $ %
il volume totale supererebbe il
volume desiderato e determine-
rebbe una concentrazione infe-
riore a quella calcolata. (Foto: ©
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).

& '

Gli ultimi tre passi sono illustrati nella Figura 3.11.


Come mostra la Figura 3.12, quando si diluisce una soluzione si aggiunge soltanto
solvente, e quindi il soluto si disperde in un volume finale maggiore. Perciò, un dato

aggiunta
di solvente

Figura 3.12 Conversione di


una soluzione concentrata in
una soluzione diluita. Quando si
diluisce una soluzione, si aggiun-
ge soltanto solvente. Il volume
della soluzione aumenta mentre
il numero totale di moli di soluto
rimane invariato. Perciò, come
mostrato negli ingrandimenti,
un’unità di volume di soluzio-
ne concentrata contiene più
particelle di soluto rispetto alla
stessa unità di volume di solu-
soluzione concentrata: soluzione diluita:
zione diluita. (Foto: © McGraw-
più particelle di soluto meno particelle di soluto
Hill Education/Stephen Frisch, per unità di volume per unità di volume
photographer).

03txt.indd 98 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 99

volume della soluzione finale contiene un numero minore di particelle di soluto e


ha una concentrazione più bassa. Se si usano frequentemente varie concentrazioni
basse di una soluzione, è pratica comune preparare una soluzione più concentrata
(detta soluzione stock o soluzione madre), che viene conservata e diluita secondo
necessità.

Distinzione fra trasformazione fisica e trasformazione chimica


PROBLEMA DI VERIFICA 3.14
Problema Una “soluzione salina isotonica” è una soluzione acquosa 0,15 M in NaCl la quale
simula la concentrazione totale degli ioni presenti in molti liquidi cellulari. I suoi impieghi
van­no da una soluzione detergente per lenti a contatto a un mezzo di lavaggio per gli eri-
trociti (globuli rossi). Come si preparerebbero 0,80 L di soluzione salina isotonica a partire
da una soluzione stock 0,6 M?
Piano Per diluire una soluzione concentrata, aggiungiamo soltanto solvente, e quindi le moli di
soluto sono le stesse in entrambe le soluzioni. Conosciamo il volume (0,80 L) e la molarità (0,15 M)
PREPARAZIONE
della soluzione diluita (dil.) di NaCl richiesta, quindi troviamo le moli di NaCl che contiene e DI UNA SOLUZIONE
poi troviamo il volume incognito di soluzione concentrata di NaCl (conc.; 6,0 M) che contie­-
ne lo stesso numero di moli. Infine, diluiamo questo volume con solvente puro fino al
volume finale.
Risoluzione Determinazione delle moli di soluto nella soluzione diluita:
0,15 mol NaCl
moli di NaCl in soluz. dil. =0,80 L soluz. × =0,12 mol NaCl
1 L soluz.
Determinazione delle moli di soluto nella soluzione concentrata; poiché aggiungiamo sol-
tanto solvente per diluire la soluzione risulta,
moli di NaCl in soluz. dil. = moli di NaCl in soluz. conc. = 0,12 mol NaCl
Determinazione del volume di soluzione concentrata che contiene 0,12 mol di NaCl:
1 L soluz.
volume (L) di soluz. conc. di NaCl = 0,12 mol NaCl × = 0,020 L soluz.
6,0 mol NaCl
Per preparare 0,80 L di soluzione diluita, versare 0,020 L di soluzione 6,0 M in NaCl in un cilin-
dro di 1,0 L, aggiungere acqua distillata (780 mL) fino al segno 0,80 L e agitare accuratamente .
Verifica La risposta sembra ragionevole perché un piccolo volume di soluzione concen- volume (L) di soluzione diluita
trata è usato per preparare un grande volume di soluzione diluita. Inoltre, il rapporto dei
volumi (0,020 L : 0,80 L) è uguale al rapporto delle concentrazioni (0,15 M : 6,0 M). moltiplicare per M (mol/L)
di soluzione diluita
Commento Un metodo alternativo per risolvere i problemi di diluizione impiega la formula
Mdil  ×  Vdil = numero di moli = Mconc  ×  Vconc (3.9) quantità (mol) di NaCl
in soluzione diluita =
dove Mdil e Vdil sono, rispettivamente, la molarità e il volume della soluzione diluita, e Mconc quantità (mol) di NaCl
e Vconc sono, rispettivamente, la molarità e il volume della soluzione concentrata. Dobbiamo in soluzione concentrata
conoscere il volume di soluzione concentrata da usare e quindi risolviamo rispetto a Vconc: dividere per M (mol/L)
di soluzione concentrata
M × Vdil 0,15 M × 0,80 L
Vconc = dil = = 0,020 L
Mconc 6,0 M volume (L) di soluzione
Il metodo applicato nella Risoluzione (sopra) è in realtà lo stesso calcolo suddiviso in due concentrata
parti per mettere in evidenza la logica su cui si basa:
0,15 mol NaCl 1L
Vconc =
0,80 L × × =
0,020 L
1 L 6,0 mol NaCl
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.14 Se 25,0 mL di soluzione 7,50 M
in acido solforico vengono diluiti esattamente a 500,0 mL, qual è la massa di acido solforico
per millilitro?

Stechiometria delle reazioni chimiche in soluzione


Per risolvere i problemi di stechiometria delle reazioni chimiche in soluzione si
applica lo stesso metodo di prima, con il passo aggiuntivo consistente nel con-
vertire in moli il volume di reagente o di prodotto: (1) bilanciare l’equazione;

03txt.indd 99 16/05/19 18:35


100 Capitolo 3

­(2) ­trovare il numero di moli di una sostanza; (3) metterlo in relazione con il nu-
mero stechiometricamente equivalente di moli di un’altra sostanza; (4) convertire
nell’unità desiderata.

Calcolo delle quantità di reagenti e di prodotti per una reazione


in soluzione
PROBLEMA DI VERIFICA 3.15
Problema Cellule specializzate dello stomaco rilasciano HCl per facilitare la digestione.
Se ne rilasciano troppo, l’eccesso può essere neutralizzato con antiacidi. Un antiacido di
uso comune contiene idrossido di magnesio, che reagisce con l’acido per formare acqua e
soluzione di cloruro di magnesio. Un chimico della pubblica amministrazione incaricato di
saggiare gli antiacidi in commercio impiega una soluzione 0,10 M in HCl per simulare la
concentrazione di acido nello stomaco. Quanti litri di “acido gastrico” reagiscono con una
compressa di antiacido contenente 0,10 g di idrossido di magnesio?
Piano Conosciamo la massa di Mg(OH)2 (0,10 g) che reagisce e la concentrazione dell’acido
massa (g) di Mg(OH)2 (0,10 M) e dobbiamo trovare il volume di acido. Dopo avere scritto l’equazione bilanciata,
convertiamo i grammi di Mg(OH)2 e poi usiamo il rapporto molare per trovare le moli di HCl
dividere per ' (g/mol) che reagiscono con queste moli di Mg(OH)2, quindi usiamo la molarità di HCl per trovare il
volume che contiene questo numero di moli. I passi sono indicati nell’itinerario.
Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata:
quantità (mol) di Mg(OH)2
Mg(OH)2(s) + 2HCl(aq) MgCl2(aq) + 2H2O(l)
rapporto molare
Conversione da grammi a moli di Mg(OH)2:

quantità (mol) di HCl 1 mol Mg(OH) 2


=
moli di Mg(OH) 2 0,10 g Mg(OH) 2 ×
58,33 g Mg(OH) 2
dividere per M (mol/L) = 1,7 ×10 −3 mol Mg(OH) 2

Conversione da moli di Mg(OH)2 a moli di HCl:


volume (L) di HCl
2 mol HCl
1,7 ×10 −3 mol Mg(OH) 2 ×
moli di HCl =
1 mol Mg(OH) 2
= 3,4 ×10−3 mol HCl
Conversione da moli a litri di HCl:

1L
3,4 ×10−3 mol HCl ×
volume (L) di HCl =
0,10 mol HCl
= 3,4  ×  10−2 L

Verifica Il valore numerico della risposta sembra ragionevole: un piccolo volume di acido
diluito (0,034 L di soluzione 0,10 M in HCl) reagisce con una piccola quantità di antiacido
(0,0017 mol).
Commento La reazione scritta è un’eccessiva semplificazione in quanto HCl e MgCl2
esistono come ioni separati in soluzione. Questi punti verranno esaminati in modo più par-
ticolareggiato nei Capitoli 4 e 18.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.15 Un altro componente attivo


presente in alcuni antiacidi è l’idrossido di alluminio. Quale dei due componenti è più
efficace nel neutralizzare l’acido gastrico: l’idrossido di magnesio o l’idrossido di alluminio?
[Suggerimento: l’efficacia si riferisce alla quantità di acido che reagisce con una data massa di
antiacido. Conoscete già l’efficacia di 0,10 g di Mg(OH)2].

Nei problemi sulle reazioni in soluzione in cui un reagente è limitante, prima si


determina quale reagente sia quello limitante e poi si determina la resa, come viene
illustrato nel seguente problema di verifica.

03txt.indd 100 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 101

Risoluzione di problemi sulle reazioni in soluzione in cui è presente un reagente limitante


PROBLEMA DI VERIFICA 3.16
Problema Il mercurio e i suoi composti hanno molti impieghi, dall’otturazione denta-
le (sotto forma di amalgama con argento, rame e stagno) alla produzione industriale del
cloro. Però, a causa della loro tossicità, i composti solubili del mercurio, come il nitrato di
mercurio(II), devono essere rimossi dalle acque reflue industriali. In un metodo di rimozione,
l’acqua di rifiuto è fatta reagire con una soluzione di solfuro di sodio per produrre solfuro di
mercurio(II) solido e soluzione di nitrato di sodio. In una simulazione in laboratorio, 0,050 L
di soluzione 0,010 M in nitrato di mercurio(II) reagisce con 0,020 L di soluzione 0,10 M in
solfuro di sodio. Quanti grammi di solfuro di mercurio(II) si formano?
Piano Questo è un problema in cui interviene un reagente limitante perché sono date volume (L) volume (L)
le quantità di due reagenti. Dopo avere bilanciato l’equazione, dobbiamo determinare il di soluzione di soluzione
reagente limitante. La molarità (0,010 M) e il volume (0,050 L) della soluzione di nitra- di Hg(NO3)2 di Na2S
to di mercurio(II) indicano le moli di un reagente, e la molarità (0,10 M) e il volume
moltiplicare moltiplicare
(0,020 L) della soluzione di solfuro di sodio indicano le moli dell’altro. Usiamo, infine, il per M (mol/L) per M (mol/L)
rapporto molare per trovare le moli di HgS che si formano a partire da ciascun reagente,
nell’ipotesi che l’altro reagente sia presente in eccesso. Il reagente limitante è quello che quantità (mol) quantità (mol)
forma meno moli di HgS, che convertiamo in massa usando la massa molare di HgS. Il di Hg(NO3)2 di Na2S
procedimento è mostrato nell’itinerario.
rapporto rapporto
Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata: molare molare

Hg(NO3)2(aq) + Na2S(aq) HgS(s) + 2NaNO3(aq) quantità (mol) quantità (mol)


di HgS di HgS
Determinazione delle moli di HgS nell’ipotesi che Hg(NO3)2 sia limitante: combinando i
scegliere il
passi, otteniamo numero
0,010 mol Hg(NO3 )2 1 mol HgS minore
moli di HgS =
0,050 L soluz. × × di moli
1 L soluz. 1 mol Hg(NO3 ) 2 di HgS e
moltiplicare
= 5, 0 ×10−4 mol HgS per '
(g/mol)
Determinazione delle moli di HgS nell’ipotesi che Na2S sia limitante: combinando i passi
otteniamo massa (g) di HgS
0,10 mol Na 2S 1 mol HgS
moli di HgS =0,020 L soluz. × ×
1 L soluz. 1 mol Na 2S
= 2, 0 ×10 −3 mol HgS
Hg(NO3)2 è il reagente limitante perché forma meno moli di HgS.
Conversione delle moli di HgS formate a partire da Hg(NO3)2 in grammi:
232,7 HgS
5,0 ×10 −4 mol HgS ×
massa (g) di HgS =
1 mol HgS
= 0,12 g MgS

Verifica Come verifica, usiamo il metodo alternativo per trovare il reagente limitante (ve-
di Commento nel Problema di verifica 3.10). Determinazione delle moli di reagenti
disponibili:
0,010 mol Hg(NO3 ) 2
moli =di Hg(NO3 ) 2 0,050 L soluz. ×
1 L soluz.
= 5,0 ×10 −4 mol Hg(NO3 ) 2
0,10 mol Na 2S
=
moli di Na 2S 0,020 L soluz. ×
1 L soluz.
= 2,0 ×10 −3 mol Na 2S

Il rapporto molare dei reagenti è [1 Hg(NO3)2]/(1 Na2S). Perciò, Hg(NO3)2 è limitante perché
ci sono meno moli di quante sono necessarie per reagire con le moli di Na2S.
Determinazione dei grammi di prodotto in base alle moli di reagente limitante e al rap-
porto molare:
1 mol HgS 232,7 g HgS
massa (g) di HgS = 5,0 ×10 −4 mol Hg(NO3 ) 2 × ×
1 mol Hg(NO3 ) 2 1 mol HgS
= 0,12 g HgS

03txt.indd 101 16/05/19 18:35


102 Capitolo 3

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.16 Nonostante la loro tossicità, molti


composti del piombo sono usati come pigmenti.
(a) Quale volume di soluzione 1,50 M in acetato di piombo(II) contiene 0,400 mol di ioni Pb2+?
(b) Quando questo volume reagisce con 125 mL di soluzione 3,40 M in cloruro di sodio,
quanti grammi di cloruro di piombo(II) solido si possono formare? (Si forma anche soluzione
di acetato di sodio).

Figura 3.13 Uno sguardo d’in- La Figura 3.13 combina i singoli diagrammi stechiometrici riassuntivi in un unico
sieme alle relazioni stechiome- diagramma complessivo.
triche quantità-massa-numero
essenziali.

MASSA (g) MASSA (g) MASSA (g) MASSA (g)


di elemento di composto A di composto B di elemento

M (g/mol) M (g/mol) M (g/mol) M (g/mol)

formula rapporto formula


QUANTITÀ (mol) chimica molare chimica QUANTITÀ (mol)
QUANTITÀ (mol) QUANTITÀ (mol)
di ciascun elemento di ciascun elemento
di composto A di composto B
nel composto A nel composto B

numero di M (mol/L) di numero di numero di M (mol/L) di numero di


Avogadro soluzione di A Avogadro Avogadro soluzione di B Avogadro

ATOMI VOLUME (L) MOLECOLE MOLECOLE VOLUME (L) ATOMI


(unità formula) (unità formula)
di elemento di soluzione A di soluzione B di elemento
di composto A di composto B

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento

1 g 1 mol C 10 3 g 0,3500 g N
3.1 (a) moli di C = 315 mg C × × (b) massa=
(g) di N 35,8 kg NH4 NO3 × ×
10 3 mg 12,01 g C 1 kg 1 g NH4 NO3
= 2,62 ×10 −2 mol C = 1,25×10 4 g N

=
(b) massa (g) di Mn 3,22 ×1020 atomi Mn 1 mol S
3.4 moli di S =2,88 g S × =0,0898 mol S
1 mol Mn 54,94 g Mn 32, 07 g S
× ×
6,022 ×1023 atomi Mn 1 mol Mn 2 mol M
moli di =
M 0,0898 mol S × = 0,0599 mol M
= 2,94 ×10 −2
g Mn 3 mol S
3,12 g M
3.2 (a) massa (g) di P4 O=
10 4,65×1022 molecole P4 O10 massa=
molare di M = 52,1 g/mol
0,0599 mol M
1 mol P4O10 283,88 g P4O10 M è il cromo, e M2S3 è il solfuro di cromo(III).
× ×
6,022 ×10 23 molecole P4O10 1 mol P4O10 3.5 Supponendo 100,00 g di composto, abbiamo 95,21 g di
= 21,9 g P4O10 C e 4,79 g di H:
1 mol C
=
moli di C 95,21 g C ×
(b) numero di atomi=
P 4,65×10 22 molecole P4 O10 12,01 g C
4 atomi P = 7,928 mol C
× =1,86 ×10 23 atomi P
1 molecola P4O10 Allo stesso modo si ottiene 4,75 mol H.
Formula preliminare: C7,928H4,75  C1,67H1,00
14,01 g N Formula empirica: C(3  ×  1,67)H(3  ×  1,00) = C5H3
2 mol N ×
1 mol N 252,30 g/mol
3.3 (a) percentuale in massa di N = ×100 =
multiplo secondo un numero intero = 4
80,05 g NH4 NO3 63,07 g/mol
= 35,00% in massa N Formula molecolare = C20H12

03txt.indd 102 16/05/19 18:35


Stechiometria: relazioni quantità-massa-numero nei sistemi chimici 103

12,01 g C 3.11 2HCl(aq) + CaCO3(s) CaCl2(aq) + H2O(l) + CO2(g)


3.6 massa
= (g) di C 0,451 g CO 2 ×
44,01 g CO 2 rendimento teorico (g) di CO2
= 0,123 g C 1 mol CaCO3 1 mol CO 2
= 10,0 g CaCO3 × ×
Allo stesso modo si ottiene 0,00690 g H 100,09 g CaCO3 1 mol CaCO3
massa (g) di Cl = 0,250 g − (0,123 g + 0,00690 g) 44,01 g CO 2
=0,120 g Cl × = 4,40 g CO 2
1 mol CO 2
Moli di elementi: 0,0102 mol C; 0,00685 mol H;
0,00339 mol Cl 3,65 g CO 2
=
rendimento percentuale =×100 83,0%
Formula empirica: C3H2Cl; multiplo: 2 4,40 g CO 2
Formula molecolare: C6H4Cl2
3.7 (a) 2Na(s) + 2H2O(l) H2(g) + 2NaOH(aq) 1 L 0,50 mol KI
3.12 moli di =
KI 84 mL soluz. × ×
(b) 2HNO3(aq) + CaCO3(s) H2O(l) + CO2(g) + Ca(NO3)2(aq) 103 mL 1 L soluz
(c) PCl3(g) + 3HF(g) PF3(g) + 3HCl(g) = 0,042 mol KI
(d) 4C3H5N3O9(l) 12CO2(g) + 10H2O(g) + 6N2(g) + O2(g)
3.8 Fe2O3(s) + 2Al(s) Al2O3(s) + 2Fe(l) 3.13 volume (L) di soluz.
1 mol saccarosio 1 L soluz.
(a) massa (g) di Fe =
135 g saccarosio × ×
342,30 g saccarosio 3,30 mol saccarosio
1 mol Al 2 mol Fe 55,85 g Fe
=135 g Al × × × = 0,120 L soluz.
16,98 g Al 2 mol Al 1 mol Fe
= 279 g Fe 7,50 M × 25,0 mL
3.14 Mdil di H2SO 4 = = 0,375 M H2SO 4
500,0 mL
(b) numero di atomi Al
massa (g) di H2SO4/(mL di soluz.)
1 mol Al 2O3 2 mol Al
=
1,00 g Al 2O3 × × 0,375 mol H 2SO 4 1 L 98,09 g H2SO 4
101,96 g Al 2O3 1 mol Al 2O3 = × 3 ×
1 L Soluz. 10 mL 1 mol H2SO 4
6,022 ×1023 atomi Al
× = 1,18 ×1023 atomi Al = 3,68 ×10−2 g/mL soluz.
1 mol Al
3.15 Al(OH)3(s) + 3HCl(aq) AlCl3(aq) + 3H2O(l)
3.9 2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2SO3 ( g )
volume (L) di HCl consumato
2SO3 ( g ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯→ 2H 2SO 4 ( aq ) 1 mol Al(OH) 3 3 mol HCl
2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) + 2H 2O( l ) ⎯ ⎯→ 2H 2SO 4 ( aq ) = 0,10 g Al(OH) 3 × ×
78,00 g Al(OH) 3 1 mol Al(OH) 3
3.10 2Al(s) + 3S(s) Al2S3(s) 1 L soluz.
massa (g) di Al2S3 formata a partire da Al × 3,8 ×10−2 L soluz.
=
0,10 mol HCl
1 mol Al 1 mol Al 2S3 150,17 g Al 2S3
=10, 0 g Al × × ×
26, 98 g Al 2 mol Al 1 mol Al 2S3 Perciò, Al(OH)3 è più efficace di Mg(OH)2.
= 27, 8 g Al 2S3 3.16 (a) volume (L) di soluz.
1 mol Pb(C 2H3O 2 ) 2
Analogamente, massa (g) di Al2S3 formata a partire da S = 23,4= g 0,400 mol Pb 2+ ×
Al2S3. Perciò, S è il reagente limitante e si possono formare 23,4 1 mol Pb 2+
g di Al2S3 1 L soluz.
× =
0,267 L soluz.
massa (g) di Al in eccesso 1,50 mol Pb(C 2H3O 2 ) 2
= massa totale di Al − massa di Al utilizzata (b) Pb(C2H3O2)2(aq) + 2NaCl(aq)
= 10,0 g Al PbCl2(s) + 2NaC2H3O2(aq)
⎛ 1 mol S 2 mol Al 26,98 A ⎞⎟ Massa (g) di PbCl2 a partire dalla soluzione di Pb(C2H3O2)2:
− ⎜⎜15,0 g S × × × ⎟⎟ 111 g PbCl2
⎜⎝ 32,07 g S mol S 1 mol A ⎟⎠
Massa (g) di PbCl2 a partire dalla soluzione di NaCl soluz.:
= 1,8 g Al 59,1 g PbCl2
(Otterremmo lo stesso risultato se lo zolfo fosse indicato più Perciò, NaCl è il reagente limitante e si possono formare 59,1 g
correttamente come S8). di PbCl2.

03txt.indd 103 16/05/19 18:35


Le principali classi di reazioni chimiche 4
DA SAPERE PRIMA La stupefacente varietà che possiamo osservare in natura è in gran parte una conse-
guenza della stupefacente varietà di reazioni chimiche. Avvengono trasformazioni
• nomi e formule dei composti
(Paragrafo 2.8) chimiche rapide tra molecole di gas quando la radiazione solare investe l’atmosfera o
• natura del legame ionico e del il fulmine l’attraversa in un temporale. Gli oceani e i mari sono giganteschi recipienti
legame covalente (Paragrafo 2.7) in cui si svolgono continuamente reazioni chimiche in soluzione acquosa. In ogni
• conversioni quantità-massa-
numero (Paragrafo 3.1) cellula del nostro corpo, avvengono in ogni momento migliaia di reazioni chimiche.
• molarità e conversioni quantità- Dei milioni di reazioni chimiche che avvengono dentro di noi e attorno a noi
volume (Paragrafo 3.5) ne abbiamo esaminate finora soltanto una minuscola frazione e sarebbe impossibi-
• bilanciamento delle equazioni
chimiche (Paragrafo 3.3) le esaminarle tutte. Per fortuna, non è necessario catalogare ogni reazione perché,
• calcolo delle quantità di reagenti quando se ne esamina sia pure una piccola percentuale, emergono alcuni schemi
e prodotti (Paragrafo 3.4) generali.
IN QUESTO CAPITOLO esamineremo le caratteristiche che stanno alla base dei
tre processi di reazione chimica più comuni. Poiché uno dei nostri temi prin-
cipali è la chimica delle reazioni in soluzione acquosa, inizieremo subito esa-
minando il ruolo cruciale svolto dall’acqua come solvente per molte reazioni.
Basandoci su questi concetti, concentreremo l’attenzione su due dei principali
processi di reazione chimica – le reazioni di precipitazione e le reazioni acido-
base – esaminando perché avvengono e descrivendo l’impiego delle equazioni
ioniche per rappresentarle. Poi affronteremo la natura di un terzo processo: le
reazioni di ossidoriduzione (o reazioni redox); forse il processo più importante di
tutti. Classificheremo alcuni importanti tipi di reazioni di ossidoriduzione a cui
partecipano sostanze elementari come reagenti o come prodotti. Alla fine del
capitolo daremo uno sguardo d’introduzione al carattere reversibile di tutte le
reazioni chimiche.

4.1 IL RUOLO DELL’ACQUA COME SOLVENTE


Molte reazioni si svolgono in un ambiente acquoso e quindi il nostro primo passo
verso la lo­ro comprensione è capire il ruolo dell’acqua come solvente. Il ruolo svol-
to da un sol­vente in una reazione dipende dalla sua natura chimica. Alcuni solventi
svolgono un ruo­lo passivo: disperdono le sostanze disciolte in essi in singole mole-
cole ma non interagisco­no con esse in altri modi. L’acqua, invece, svolge un ruolo
molto più attivo: interagisce for­­­te­­mente con i reagenti e, in alcuni casi, influenza
anche i loro legami. Per capirne la funzione cru­ciale, ne esamineremo la struttura e
le intera­zio­ni con i soluti ionici e covalenti.

La solubilità dei composti ionici


Quando l’acqua scioglie un solido ionico, quale il bromuro di potassio (KBr), avviene
un’importante trasformazione. La Figura 4.1 illustra questa trasformazione con un
semplice apparecchio che misura la conduttività elettrica, cioè il grado di attitudine a
condurre corrente elettrica. Quando gli elettrodi sono immersi in acqua pura o inseri-
ti in KBr solido, non fluisce corrente elettrica. Ma ciò avviene in modo rilevante nella
soluzione acquosa di KBr, come si può riscontrare dalla luce intensa emessa dalla

04txt.indd 104 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 105



 
 
   
 
   
  
   
    
   
   
     
   
   
  
  
 
   
    
   all’elettrodo all’elettrodo
 () ()

A L’acqua distillata non B Gli ioni positivi e negativi, C In soluzione, gli ioni positivi
conduce corrente elettrica essendo fissi in un solido, non e negativi si muovono e
conducono corrente elettrica conducono corrente elettrica

lampada che viene attraversata dalla corrente. La corrente elettrica che fluisce nella Figura 4.1 La conduttività
soluzione implica il movimento di particelle cariche: quando KBr si scioglie nell’acqua, elettrica delle soluzioni ioni-
gli ioni K+ e Br− nel solido si separano (si dissociano) e si muovono verso l’elettrodo che.
A. Quando gli elettrodi collegati
la cui carica è di segno opposto alla loro. Una sostanza che conduce corrente elettrica a una sorgente di differenza di
quando è sciolta in acqua è denominata elettrolita. I composti ionici solubili che potenziale sono inseriti nell’ac-
si dissociano completamente in ioni e conducono corrente di elevata intensità sono qua distillata, non fluisce alcuna
detti elettroliti forti. corrente e la lampada non si
Mentre il KBr si scioglie, ogni ione si circonda di molecole di solvente, questo accende. B. Un composto ionico
solido, quale KBr, non conduce
processo è detto solvatazione. Esprimiamo questa dissociazione in ioni solvatati corrente elettrica perché gli ioni
in acqua con la seguente equazione: sono fortemente legati tra loro.
H2O
KBr( s ) ⎯ ⎯⎯ → K + ( aq ) + Br− ( aq ) C. Quando si scioglie KBr in H2O,
gli ioni si separano e si muovono
“H2O” scritta sopra la freccia indica che l’acqua è necessaria ma non è un reagente attraverso la soluzione verso gli
nel senso consueto del termine. Quando un qualsiasi composto ionico idrosolubile elettrodi carichi di segno oppo-
(solubile in acqua) si scioglie, gli ioni carichi di segno opposto si separano l’uno dall’al- sto, conducendo così corrente
tro, si circondano di molecole d’acqua (si solvatano) e si disperdono in modo casuale in elettrica. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tutta la soluzione.
tographer).
La formula del composto indica il numero di moli di differenti ioni che si for-
mano quando il composto si scioglie. Nel caso in questione, 1 mol di KBr si dissocia
in 2 mol di ioni: 1 mol di K+ e 1 mol di Br−.

Determinazione delle moli di ioni in soluzioni ioniche acquose


PROBLEMA DI VERIFICA 4.1
Problema Quante moli di ciascuno ione sono presenti nelle seguenti soluzioni?
(a) 5,0 mol di solfato di ammonio sciolto in acqua.
(b) 78,5 g di bromuro di cesio sciolto in acqua.

04txt.indd 105 16/05/19 18:47


106 Capitolo 4

(c) 7,42 × 1022 unità formula di nitrato di rame(II) sciolto in acqua.


(d) 35 mL di soluzione 0,84 M in cloruro di zinco.
Piano Scriviamo un’equazione che mostri i numeri di moli di ioni rilasciati quando 1 mol
di composto si scioglie. In (a), moltiplichiamo per 5,0 le moli di ioni rilasciati. In (b), prima
convertiamo i grammi in moli. In (c), prima convertiamo le unità formula in moli. In (d),
prima convertiamo la molarità e il volume in quantità di sostanza (espressa in moli).
Risoluzione (a) (NH4 ) 2 SO 4 ( s ) ⎯ ⎯⎯H 2O
→ 2NH+4 ( aq ) + SO 42− ( aq )
Si ricordi che, in generale, gli ioni poliatomici rimangono come unità intatte in soluzione.
Calcolo delle moli di ioni NH4+
A 2 mol NH+4
moli di NH+4 = 5,0 mol (NH4 ) 2 SO 4 × = 10 mol NH+4
1 mol (NH4 ) 2 SO 4
G Sono presenti anche 5,0 mol of SO42−
(b) CsBr( s ) ⎯ ⎯⎯
H2O
→ Cs+ ( aq ) + Br− ( aq )
Conversione da grammi a moli:
1 mol CsBr
moli di CsBr = 78,5 g CsBr × = 0,369 mol CsBr
212,8 g CsBr

B G G Perciò, sono presenti, 0,369 mol di Cs+ e 0,369 mol di Br− .


(c) Cu(NO3 ) 2 ( s ) ⎯ ⎯⎯
H2O
→ Cu 2+ ( aq ) + 2NO−3 ( aq )
G
Conversione da unità formula a moli:
moli di Cu(NO3= ) 2 7,42 ×1022 unità formula Cu(NO3 ) 2
G G 1 mol Cu(NO3 ) 2
×
C 104,5° 6,022 ×1023 unità formula Cu(NO3 ) 2
= 0,123 mol Cu(NO3 ) 2
G 2 mol NO−3

moli di NO=
3 0,123 mol Cu(NO3 ) 2 × = 0,246 mol NO3−
1 mol Cu(NO3 ) 2
Sono presenti anche 0,123 mol di Cu2+ .
(d) ZnCl2(aq) Zn2+(aq) + 2Cl−(aq)
Conversione da litri a moli:
D G 1L 0,84 mol ZnCl 2
moli di ZnCl 2 = 35 mL × 3 × 2,9 ×10−2 mol ZnCl 2
=
10 mL 1L
Figura 4.2 Distribuzione 2 mol Cl−
degli elettroni di H2 e di H2O. moli di Cl− =
2,9 ×10−2 mol ZnCl 2 × 5,8 × 10−2 mol Cl−
=
Con A. In H2, i nuclei sono iden- 1 mol ZnCl 2
tici, e quindi attraggono con Sono presenti anche 2,9 × 10−2 mol di Zn2+ .
uguale intensità gli elettroni.
Verifica Dopo avere arrotondato, per verificare la matematica si deve vedere se le moli
Si noti che la regione centrale
relative di ioni siano compatibili con la formula. Per esempio, in (a), (10 mol NH4+)/(5,0 mol
di più alta densità elettronica
(in rosso) è bilanciata dalle due
SO42−) = (2 NH4+)/(1 SO42−), ossia (NH4)2SO4. In (d), (0,029 mol Zn2+)/(0,058 mol Cl−) =
regioni esterne di più bassa (1 Zn2+)/(2 Cl−), ossia ZnCl2.
densità elettronica (in azzurro).
B. In H2O, il nucleo di O attrae
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.1 Quante moli di ciascuno ione sono
gli elettroni condivisi più inten-
presenti nelle seguenti soluzioni?
samente rispetto al nucleo di (a) 2 mol di perclorato di potassio sciolte in acqua.
H, creando una distribuzione di (b) 354 g di acetato di magnesio sciolti in acqua.
carica disuniforme in ciascun (c) 1,88 × 1024 unità formula di cromato di ammonio sciolte in acqua.
legame. L’estremità di O par- (d) 1,32 L di soluzione 0,55 M in bisolfato di sodio.
zialmente negativa è indicata
con δ− e l’estremità di H parzial-
mente positiva è indicata con δ+.
C. In questo modello ball-and- Il carattere polare dell’acqua
stick di H2O, una freccia polare
è orientata verso l’estremità L’acqua separa gli ioni in un processo che riduce notevolmente la forza elettrostatica
negativa di ciascun legame O di reciproca attrazione. Per vedere come, esaminiamo da vicino la molecola d’acqua.
H. D. I due legami polari O H e Il potere dell’acqua quale solvente ionizzante deriva da due caratteristiche della sua
la forma “piegata” della mole- molecola: la distribuzione dei suoi elettroni di legame e la sua forma complessiva.
cola danno origine alla moleco- Come abbiamo visto nel Paragrafo 2.7, gli elettroni in un legame covalente
la polare di H2O, con l’estremità
parzialmente positiva localizzata sono condivisi (in compartecipazione) tra gli atomi legati. In un legame covalente
tra i due atomi di H. tra atomi identici (per es., H2, Cl2, O2 ecc.), la condivisione è uguale. Come mo-
strato nella Figura 4.2A, gli elettroni condivisi in H2 sono distribuiti ugualmente e

04txt.indd 106 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 107

quindi non è presente uno squilibrio di carica. D’altra parte, nei legami covalenti
tra atomi non identici, la condivisione è disuguale: un atomo attrae la coppia di
• Solventi solidi per gli
ioni In virtù delle sue cariche par-
elettroni più intensamente rispetto all’altro. Per motivi che verranno esaminati ziali, l’acqua è un eccellente solven-
nel Capitolo 9, un atomo di O attrae gli elettroni più intensamente rispetto a te liquido per le specie ioniche, ma
alcuni solidi si comportano in modo
un atomo di H. Perciò, in ciascuno dei legami O H dell’acqua, gli elettroni tra-
simile. Per esempio, il poli(etilene
scorrono più tempo più vicino a O (Figura 4.2B). Questa distribuzione disuguale ossido) (PEO) è un polimero con
della carica negativa della coppia di elettroni crea “poli” parzialmente carichi alle una struttura ripetitiva scritta come
estremità di ciascun legame O H. L’estremità O si comporta come un polo lie-
vemente negativo (rappresentato dall’ombreggiatura rossa e dal δ−), e l’estremità
H si comporta come un polo lievemente positivo (rappresentato dalla sfumatura
blu e dal δ+). Nella Figura 4.2C, la polarità del legame è indicata anche con una
freccia polare (la punta è orientata verso il polo negativo e la coda è attraversata da
dove n indica molti gruppi identi-
una sbarretta per formare un segno “più”). Le cariche parziali, come quelle sugli
ci legati tra loro covalentemente.
atomi di O e di H nell’acqua, sono molto minori delle cariche ioniche complete. Le cariche negative parziali sugli
Per esempio, in un composto ionico quale KBr, l’elettrone si è trasferito dall’atomo atomi di ossigeno possono circon-
di K all’atomo di Br ed esistono due ioni. In un composto covalente, quale l’acqua, dare cationi metallici, come Li+, e
solvatarli mentre rimangono allo
non esistono ioni; in ogni legame O H polare, gli elettroni hanno semplicemente
stato solido. Il poli(etilene ossido)
spostato la loro posizione media avvicinandola all’atomo di O. e i polimeri correlati fanno parte di
La molecola d’acqua, inoltre, ha una forma “piegata”: gli atomi in H O H for- alcune batterie agli ioni litio usate
mano un angolo, non una linea retta. Per gli effetti combinati della forma piegata e nei computer portatili e in altri
apparecchi e dispositivi elettronici
dei legami polari, la molecola d’acqua è una molecola polare. Come si può vedere
portatili.
nella Figura 4.2D, la porzione O della molecola è il polo parzialmente negativo, e la
regione a metà strada tra gli atomi di H è il polo parzialmente positivo.

Composti ionici in acqua Immaginiamo ora un granulo di un composto ionico


circondato da molecole d’acqua polari, piegate. Esse si aggregano in prossimità della
disposizione ordinata di ioni alla superficie del granulo; le estremità negative di alcu-
ne molecole d’acqua sono attratte verso i cationi, e le estremità positive di altre sono
attratte verso gli anioni (Figura 4.3). Avviene un “tiro alla fune” elettrostatico mentre
gli ioni si solvatano parzialmente. L’attrazione tra ciascuno ione e le molecole d’acqua
supera gradualmente la reciproca attrazione degli ioni carichi di segno opposto. Gli
ioni si solvatano mentre si separano l’uno dall’altro e si muovono in modo casuale in
tutta la soluzione. Una scena simile si osserva quando un composto ionico si scioglie
in acqua.
Anche se molti composti ionici si sciolgono in acqua, molti altri non lo fan-
no. In questi casi, l’attrazione elettrostatica tra gli ioni nel composto è maggiore
dell’attrazione tra gli ioni e le molecole d’acqua, e quindi la sostanza rimane intatta.
In realtà, queste cosiddette sostanze insolubili si sciolgono in piccolissima misura,
di solito di parecchi ordini di grandezza minore rispetto alle cosiddette sostanze

Figura 4.3 Dissoluzione di


un composto ionico. Quando
un composto ionico si scioglie
 nell’acqua, le molecole di H2O
 
 separano, circondano e disper-
 
 dono gli ioni nel liquido. Si noti
   che le estremità negative delle

  molecole di H2O sono rivolte
 verso gli ioni positivi e le estre-

  mità positive sono rivolte verso
gli ioni negativi.

04txt.indd 107 16/05/19 18:47


108 Capitolo 4

solubili. Si confrontino, per esempio, la solubilità di NaCl (un composto “solubile”)


e quella di AgCl (un composto “insolubile”):
solubilità di NaCl in H2O a 20 °C = 365 g/L
solubilità di AgCl in H2O a 20 °C = 0,009 g/L
In realtà, il processo di dissoluzione è più complesso di una semplice “gara” tra le ener-
gie di attrazione relative delle particelle l’una per l’altra o delle particelle per il solven-
te. Nel Capitolo 13 vedremo che nel processo di dissoluzione interviene anche la ten-
denza naturale delle particelle a disperdersi in modo casuale attraverso la soluzione.
Composti covalenti in acqua L’acqua scioglie anche molti composti covalen-
ti. Lo zucchero da tavola (saccarosio, C12H22O11), l’alcol etilico (etanolo, C2H6O),
e il liquido anticongelante (antigelo) per radiatori d’automobile (glicole etilenico,
C2H6O2) sono alcuni esempi familiari. Tutti contengono propri legami O H polari,
che interagiscono con quelli dell’acqua. Però, anche se queste sostanze si sciolgono,
esse non si dissociano in ioni, bensì rimangono come molecole intatte.
H 2O
DISSOLUZIONE DI UN HOCH2CH2OH( l ) ⎯ ⎯⎯ → HOCH2CH2OH( aq )
COMPOSTO IONICO
E DI UN COMPOSTO Poiché le loro soluzioni acquose non conducono corrente elettrica, queste sostanze
COVALENTE sono dette non elettroliti. Molti altri composti covalenti, quali il benzene (C6H6) e
l’ottano (C8H18), non contengono legami polari, e non si sciolgono in misura rilevante
nell’acqua.
Un gruppo piccolo ma molto importante di composti covalenti idrogenati (con-
tenenti H) interagiscono così fortemente con l’acqua che le loro molecole si dissociano
in ioni. In soluzione acquosa, queste sostanze sono tutte acidi, come vedremo tra
poco. Le molecole contengono legami polari con l’idrogeno, in cui l’atomo legato a H
esercita un’attrazione più intensa sulla coppia di elettroni condivisa. Un buon esem-
pio è il cloruro di idrogeno gassoso. L’estremità Cl della molecola di HCl è parzialmen-
te negativa, e l’estremità H è parzialmente positiva. Quando HCl si scioglie in acqua,
i poli parzialmente carichi delle molecole di H2O sono attratti verso i poli carichi di
segno opposto di HCl. Il legame H Cl si rompe: H diventa il catione solvatato H+(aq)
(ma vedi il testo dopo il problema di verifica) e Cl diventa l’anione solvatato Cl−(aq).
Il bromuro di idrogeno si comporta in modo simile quando si scoglie in acqua:
H2O
HBr( g ) ⎯ ⎯⎯ → H+ ( aq ) + Br− ( aq )

Determinazione della molarità degli ioni H+ in soluzioni acquose


di acidi
PROBLEMA DI VERIFICA 4.2
Problema L’acido nitrico è un composto chimico importante nelle industrie dei fertilizzan-
ti e degli esplosivi. In soluzione acquosa, ciascuna molecola si dissocia e l’H diventa uno ione
H+ solvatato. Qual è la molarità di H+(aq) in una soluzione 1,4 M in acido nitrico?
Piano Conosciamo la molarità dell’acido (1,4 M) e quindi è sufficiente conoscere la formula
per trovare il numero di moli di H+(aq) presenti in 1 L di soluzione.
Risoluzione Lo ione nitrato è NO3−, e quindi l’acido nitrico è HNO3. Perciò, viene rilasciata
1 mol di H+(aq) per ogni mole di acido
H 2O
HNO3 ( l ) ⎯ ⎯⎯ → H+ ( aq ) + NO−3 ( aq )
Quindi, la soluzione 1.4 M in HNO3 contiene 1,4 mol di H+(aq)/L ed è 1,4 M in H+(aq) .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.2 Quante moli di H+(aq) sono pre-


senti in 451 mL di soluzione 3,20 M in acido bromidrico?

Natura di H+ e di altri ioni in acqua L’acqua interagisce fortemente con molti


ioni, ma più fortemente con il catione idrogeno, H+, una specie molto insolita.
­L’atomo di H è costituito da un protone circondato da un elettrone, e quindi lo ione
H+ è semplicemente un protone. Poiché tutta la sua carica positiva è concentrata
in un volume molto piccolo, ogni H+ attrae così fortemente il polo negativo delle

04txt.indd 108 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 109

molecole d’acqua circostanti che in effetti forma un legame covalente con una di 
esse. Di solito si rappresenta questa interazione scrivendo lo ione H+ in soluzione
acquosa come H3O+ (ione idronio). Per esempio, per rappresentare più accurata-
mente ciò che avviene quando HBr(g) si scioglie, si scrive
H3O
HBr(g) + H2O(l) H3O+(aq) + Br−(aq)
Per mettere in risalto l’interazione con l’acqua, scriviamo lo ione idronio come
(H2O)H+. Lo ione idronio si associa ad altre molecole d’acqua in una miscela che Figura 4.4 Il protone idra-
comprende H5O2+ [o (H2O)2H+], H7O3+ [o (H2O)3H+], H9O4+ [o (H2O)4H+] e aggregati tato. La carica dello ione H+ è
altamente concentrata perché lo
ancora più grandi; H7O3+ è mostrato nella Figura 4.4. Queste varie specie coesistono, ione è molto piccolo. In soluzio-
ma usiamo H+(aq) come notazione semplificata generale. Più avanti in questo capi- ne acquosa, esso forma un lega-
tolo e in gran parte del resto del libro, rappresenteremo il protone solvatato come me covalente con una molecola
H3O+(aq) per porre in risalto il ruolo dell’acqua. L’acqua interagisce covalentemente d’acqua ed esiste come ione
anche con molti ioni metallici. Per esempio, Fe3+ esiste in acqua come Fe(H2O)63+, H3O+ strettamente associato
ad altre molecole di H2O. Qui è
cioè uno ione Fe3+ legato a sei molecole di H2O. mostrato lo ione H7O3+.

4.2 SCRITTURA DELLE EQUAZIONI


PER LE REAZIONI IONICHE
IN SOLUZIONE ACQUOSA
Delle molte migliaia di reazioni che avvengono nell’ambiente e negli organismi, la
schiacciante maggioranza avviene in soluzione acquosa, e a molte di esse partecipa-
no ioni. Per rappresentare le reazioni ioniche in soluzione acquosa i chimici impie-
gano tre tipi di equazioni: equazioni molecolari, equazioni ioniche totali ed equa-
zioni ioniche nette. Nei due tipi di equazioni ioniche, gli atomi e le cariche devono
bilanciarsi; come vedremo, bilanciando gli atomi, si bilanciano anche le cariche.
Esaminiamo una reazione per vedere quali informazioni fornisce ciascuna di
queste equazioni. Quando si miscelano soluzioni di nitrato d’argento e di cromato
di sodio, si forma cromato d’argento (Ag2CrO4) solido, di colore rosso mattone. La
Figura 4.5 mostra tre rappresentazioni di questa reazione: la trasformazione che si
osserverebbe se si miscelassero queste soluzioni in laboratorio, l’immagine mentale
della trasformazione a livello atomico tra gli ioni e la rappresentazione simbolica
della trasformazione con i tre tipi di equazioni.
L’equazione molecolare (in alto) è quella che fornisce meno informazioni
sulle specie in soluzione e in realtà è alquanto fuorviante perché mostra tutti i rea-
genti e tutti i prodotti come se fossero composti intatti, indissociati:
2AgNO3(aq) + Na2CrO4(aq) Ag2CrO4(s) + 2NaNO3(aq)
L’equazione ionica totale (in centro) rappresenta la reazione in modo molto
più accurato perché mostra tutte le sostanze ioniche solubili dissociate in ioni. Ora
Ag2CrO4(s) spicca come l’unica sostanza indissociata:
2Ag+(aq) + 2NO3−(aq) + 2Na+(aq) + CrO42−(aq)
Ag2CrO4(s) + 2Na+(aq) + 2NO3−(aq)
È importante notare che gli ioni Na+(aq) e NO3−(aq) compaiono nella stessa forma
in entrambi i membri dell’equazione. Sono detti ioni spettatori perché non par-
tecipano all’effettiva trasformazione chimica. Questi ioni sono presenti come parte
dei reagenti per bilanciare le cariche. Cioè, non possiamo aggiungere ioni Ag+ senza
aggiungere anche un anione, in questo caso NO3−. Ed è importante notare anche che
le cariche si bilanciano: nel primo membro vi sono quattro cariche positive e quattro
cariche negative che danno una carica netta nulla, e nel secondo membro vi sono due
cariche positive e due cariche negative che danno una carica netta nulla.
L’equazione ionica netta (in basso) è la più utile perché elimina gli ioni spet-
tatori e mostra la trasformazione chimica che avviene effettivamente:
2Ag+(aq) + CrO42−(aq) Ag2CrO4(s)

04txt.indd 109 16/05/19 18:47


110 Capitolo 4

Figura 4.5 Una reazione di


precipitazione e l’equazio-
ne che la descrive. Quando
si miscelano una soluzione di
nitrato d’argento e una soluzio-
ne di cromato di sodio, avviene
una reazione che forma cro-
mato d’argento solido e una
soluzione di nitrato di sodio. Le
fotografie presentano l’immagi-
ne macroscopica della reazione,
quella che il chimico osserva in
laboratorio. Le frecce indica-
no un ingrandimento su scala
atomica, una rappresentazione 
NO3 2
dell’immagine dei reagenti e CrO4
dei prodotti nella mente del
chimico. (Gli ioni chiari sono ioni Na
spettatori, presenti per assicu-
rare la neutralità elettrica, ma Ag
non partecipanti alla reazione).
Tre equazioni rappresentano la

reazione in simboli. L’equazione
molecolare mostra tutte le
sostanze intatte. L’equazione Equazione molecolare
ionica totale mostra tutte le 2AgNO3 (aq)  Na2CrO4 (aq) Ag2CrO4 (s )  2NaNO3(aq)
sostanze solubili come ioni nitrato d’argento cromato di sodio cromato d’argento nitrato di sodio
solvatati separati. L’equazione
ionica netta elimina gli ioni Equazione ionica totale
spettatori per mostrare soltan- 2Ag(aq)  2NO  2
Ag2 CrO4 (s )  2Na(aq)
3 (aq)  2Na (aq)  CrO4 (aq)
to le specie reagenti. (Foto: ©  2NO 3 (aq)
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).
Equazione ionica netta
2Ag(aq)  CrO42(aq) Ag2 CrO4 (s )

La formazione di cromato d’argento solido a partire da ioni argento e ioni cromato


è l’unica trasformazione. In realtà, se avessimo miscelato inizialmente soluzioni di
cromato di potassio, K2CrO4(aq), e di acetato d’argento, AgC2H3O2(aq), al posto di
cromato di sodio e nitrato d’argento, si sarebbe prodotta la stessa trasformazione.
Soltanto gli ioni spettatori sarebbero stati diversi: K+(aq) e C2H3O2−(aq) invece di
Na+(aq) e NO3−(aq). Perciò, scrivere l’equazione ionica netta è un modo eccellente
di isolare l’evento chimico essenziale.
Esaminiamo ora i tre tipi più importanti di processi di reazione chimica — le
reazioni di precipitazione, le reazioni acido-base e le reazioni di ossidoriduzione
(reazioni redox) — e applichiamo questi metodi di scrittura delle equazioni.

4.3 REAZIONI DI PRECIPITAZIONE


Le reazioni di precipitazione sono comuni sia in natura sia nell’industria. Molte for-
mazioni geologiche, comprendenti le scogliere madreporiche (“coralline”), alcune
gemme e alcuni minerali e strutture nel mare profondo, si formano in parte attra-
verso questo tipo di processo chimico. E, come vedremo, l’industria chimica impie-
ga metodi di precipitazione per produrre parecchi composti inorganici essenziali.
Nelle reazioni di precipitazione, due composti ionici solubili reagiscono per
formare un prodotto insolubile, un precipitato. Ne è un esempio la reazione tra
nitrato d’argento e cromato di sodio che abbiamo appena visto. I precipitati si forma-
no per lo stesso motivo per cui alcuni composti ionici non si sciolgono: l’attrazione

04txt.indd 110 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 111

elettrostatica tra gli ioni sopraffà la tendenza degli ioni a solvatarsi e a muoversi in
modo casuale in tutta la soluzione. Quando si miscelano soluzioni di questi ioni, gli
ioni si urtano e si uniscono, e la sostanza che ne deriva “si separa dalla soluzione”
sotto forma di solido.

La forza motrice di una reazione di precipitazione


Poiché queste reazioni sono molto comuni, può sembrare che si formi un precipita-
to ogniqualvolta si mescolano soluzioni acquose di due composti ionici, ma non è
così. In molte reazioni ioniche in soluzione acquosa, specialmente nelle reazioni di
precipitazione e nelle reazioni acido-base, la forza motrice per la reazione, l’evento
che fa svolgere la reazione, è la rimozione netta di ioni dalla soluzione per formare il
prodotto. Consideriamo due esempi. Quando si sciolgono in acqua separatamente
ioduro di sodio solido e nitrato di potassio solido, ciascuna soluzione è costituita da
ioni separati dispersi in tutta la soluzione:
H2O
NaI( s ) ⎯ ⎯⎯ → Na+ ( aq ) + I− ( aq )
H2O
KNO3 ( s ) ⎯ ⎯⎯ → K + ( aq ) + NO−3 ( aq )

Si produce una reazione se si miscelano queste soluzioni? Per rispondere a questa


domanda, si devono esaminare le possibili combinazioni di ioni per vedere se alcuni degli
ioni si separino dalla soluzione; cioè, se alcuni dei possibili prodotti siano insolubili.
Gli ioni reagenti sono
Na+(aq) + I−(aq) + K+(aq) + NO3−(aq) ?
Oltre ai due reagenti iniziali, NaI e KNO3, che sappiamo essere solubili, le altre
possibili combinazioni catione-anione sono NaNO3 e KI. Non avviene una reazione
quando si miscelano queste soluzioni iniziali perché anche NaNO3 e KI sono com-
posti ionici solubili. Perciò, tutti gli ioni rimangono semplicemente in soluzione.
(Vedremo tra poco come stabilire se un prodotto sia solubile o no).
Sostituiamo ora una soluzione di nitrato di piombo(II), Pb(NO3)2, alla soluzione
di KNO3; quando si miscela una soluzione di Pb(NO3)2 con una soluzione di NaI, si
forma un solido giallo (Figura 4.6). Oltre ai due reagenti solubili, le altre due possibi-
li combinazioni di ioni sono NaNO3 e PbI2, quindi il solido deve essere lo ioduro di
piombo(II). Perciò, in questo caso, avviene effettivamente una reazione perché dalla
soluzione si separano ioni per formare PbI2:
2Na+(aq) + 2I−(aq) + Pb2+(aq) + 2NO3−(aq) 2Na+(aq) + 2NO3−(aq) + PbI2(s)
Se usiamo il colore ed esaminiamo attentamente l’equazione molecolare per questa
reazione, vediamo che gli ioni si scambiano partner:
2NaI(aq) + Pb(NO3)2(aq) PbI2(s) + 2NaNO3(aq)
Queste reazioni sono dette reazioni di doppio scambio o di metatesi. Parec-
chie di esse sono importanti nell’industria, come la preparazione del bromuro d’ar-
gento per la fabbricazione delle emulsioni fotografiche in bianco e nero:
AgNO3(aq) + KBr(aq) AgBr(s) + KNO3(aq)

Come prevedere se una reazione avverrà o no


Come abbiamo appena visto, tre passi permettono di prevedere se si formerà o no
un precipitato.
Figura 4.6 La reazione di
1. Notare gli ioni presenti nei reagenti. Pb(NO3)2 e NaI. Quando si
2. Considerare le possibili combinazioni catione-anione. miscelano soluzioni acquose di
3. Decidere se qualcuna delle combinazioni sia insolubile. questi composti, si forma PbI2
solido, di colore giallo. (Foto: ©
Sorge una difficoltà con l’ultimo passo perché non è disponibile un metodo sempli- McGraw-Hill Education/Stephen
ce per decidere se una data combinazione sia insolubile o no. È opportuno, invece, Frisch, photographer).

04txt.indd 111 16/05/19 18:47


112 Capitolo 4

Tabella 4.1 Regole di solubilita


` dei composti ionici in acqua

Composti ionici solubili Composti ionici insolubili


1. Tutti i composti comuni degli ioni del Gruppo 1A(1) (Li+, 1. Tutti gli idrossidi metallici comuni sono insolubili,
Na+, K+ ecc.) e dello ione ammonio (NH+ 4 ) sono solubili. eccettuati quelli dei metalli del Gruppo 1A(1) e dei più
2. Tutti i nitrati (NO− −
3 ), gli acetati (CH3COO o C2H2O2 )

grandi membri del Gruppo 2A(2) (a cominciare da Ca2+).

comuni e la maggior parte dei perclorati (ClO4 ) sono 2. Tutti i carbonati (CO32−) e i fosfati (PO43−) comuni sono
solubili. insolubili, eccettuati quelli degli elementi del Gruppo
3. Tutti i cloruri (Cl−), i bromuri (Br−) e gli ioduri (I−) comuni 1A(1) e di NH+ 4.
sono solubili, eccettuati quelli di Ag+, Pb2+, Cu+ e Hg22+. 3. Tutti i solfuri comuni sono insolubili, eccettuati quelli
4. Tutti i fluoruri (F−) sono solubili, eccettuati quelli di Pb2+ degli elementi del Gruppo 1A(1), del Gruppo 2A(2)
e degli ioni del Gruppo 2A(2). e di NH+ 4.
5. Tutti i solfati (SO42−) comuni sono solubili, eccettuati quelli
di Ca2+, Sr2+, Ba2+ e Pb2+.

REAZIONI
memorizzare un breve elenco di regole di solubilità (Tabella 4.1). Queste regole
DI PRECIPITAZIONE non coprono ogni possibilità ma, conoscendole, si è in grado di prevedere il risulta-
to di molte reazioni di precipitazione.

Come prevedere se avverrà una reazione di precipitazione; scrittura


di equazioni ioniche
PROBLEMA DI VERIFICA 4.3
Problema Si preveda se avverrà una reazione quando si miscela ciascuna delle seguenti
coppie di soluzioni. Se avviene effettivamente una reazione, si scrivano le equazioni mole-
colare, ionica totale e ionica netta bilanciate, e si identifichino gli ioni spettatori.
(a) Solfato di sodio(aq) + nitrato di stronzio(aq)
(b) Perclorato di ammonio(aq) + bromuro di sodio (aq)
Piano Per ciascuna coppia di soluzioni, notiamo gli ioni presenti nei reagenti, scrivia-
mo le combinazioni catione-anione e consultiamo la Tabella 4.1 per vedere se qualcuna
sia insolubile. Per l’equazione molecolare, prevediamo i prodotti. Per l’equazione ionica
totale, scriviamo i composti solubili come ioni separati. Per l’equazione ionica netta, eli-
miniamo gli ioni spettatori.
Risoluzione (a) Oltre ai reagenti, le altre due combinazioni di ioni sono il solfato di stron-
zio e il nitrato di sodio. La Tabella 4.1 indica che il solfato di stronzio è insolubile e quindi
avviene effettivamente una reazione. Scrittura dell’equazione molecolare:
Na2SO4(aq) + Sr(NO3)2(aq) SrSO4(s) + 2NaNO3(aq)

Scrittura dell’equazione ionica totale:


2Na+(aq) + SO42−(aq) + Sr2+(aq) + 2NO3−(aq) SrSO4(s) + 2Na+(aq) + 2NO3−(aq)

Scrittura dell’equazione ionica netta:


Sr2+(aq) + SO42−(aq) SrSO4(s)

Gli ioni spettatori sono Na+ e NO3−.


(b) Le altre combinazioni di ioni sono il bromuro di ammonio e il perclorato di sodio. La
Tabella 4.1 indica che tutti i compositi dell’ammonio, del sodio e i perclorati sono solubili
e che tutti i bromuri sono solubili eccettuati quelli di Ag+, Pb2+, Cu+, e Hg22+. Perciò, non
avviene alcuna reazione . I composti rimangono dissociati in soluzione, come ioni solvatati.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.3 Si preveda se avverrà o no una


reazione e si scrivano le equazioni ioniche totali e nette bilanciate:
(a) Cloruro di ferro(III)(aq) + fosfato di cesio(aq)
(b) Idrossido di sodio(aq) + nitrato di cadmio(aq)
(c) Bromuro di magnesio(aq) + acetato di potassio(aq)
(d) Solfato d’argento(aq) + cloruro di bario(aq)

04txt.indd 112 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 113

4.4 REAZIONI ACIDO-BASE Tabella 4.2 Acidi e basi


selezionati
L’acqua partecipa alle reazioni acido-base in soluzione acquosa non soltanto come
solvente ma anche nei ruoli più attivi di reagente e di prodotto. Queste reazioni Acidi
sono eventi chimici essenziali in processi molto diversi tra loro, come la sintesi bio- Forti
chimica delle proteine, la produzione industriale di parecchi fertilizzanti e alcuni
dei metodi proposti per la rivitalizzazione dei laghi danneggiati dalle pioggie acide. Acido cloridrico, HCl
Ovviamente, avviene una reazione acido-base, detta anche reazione di Acido bromidrico, HBr
Acido iodidrico, HI
neutralizzazione, quando un acido reagisce con una base, ma le definizioni di
Acido nitrico, HNO3
questi termini e l’ambito di questo processo di reazione sono cambiati notevolmen- Acido solforico, H2SO4
te nel corso degli anni. Per i nostri scopi a questo punto, useremo definizioni che Acido perclorico, HClO4
valgano per le sostanze chimiche che si incontrano comunemente in laboratorio.
Deboli
• Un acido è una sostanza che produce ioni H+ quando è sciolta in acqua.
Acido fluoridrico, HF
HX ⎯ ⎯⎯H2O +
→ H ( aq ) + X ( aq )− Acido fosforico, H3PO4
Acido acetico, CH3COOH
• Una base è una sostanza che produce ioni OH− quando è sciolta in acqua. (o HC2H3O2)

H2O Basi
MOH ⎯ ⎯⎯ → M+ ( aq ) + OH− ( aq )
Forti
(Altre definizioni di acido e di base saranno presentate più avanti in questo pa- Idrossido di sodio, NaOH
ragrafo e di nuovo nel Capitolo 18, insieme a una definizione più completa di Idrossido di potassio, KOH
neutralizzazione). Gli acidi e le basi sono gli ingredienti attivi in molti prodotti di Idrossido di calcio, Ca(OH)2
uso quotidiano: la maggior parte dei detergenti per scarichi di lavelli e lavandini, Idrossido di stronzio, Sr(OH)2
finestre e forni contengono basi; l’aceto e il succo di limone contengono acidi. Idrossido di bario, Ba(OH)2
Gli acidi e le basi sono elettroliti e vengono spesso classificati secondo la
loro “forza”, intendendo con questo termine il loro grado di dissociazione in ioni Deboli
Ammoniaca, NH3
in soluzione acquosa. Gli acidi forti e le basi forti si dissociano completamente in
ioni quando si sciolgono in acqua. Perciò, come i composti ionici solubili,
sono elettroliti forti e conducono bene corrente elettrica (vedi immagine
a lato, a sinistra). Per contro, gli acidi deboli e le basi deboli si dissociano così
poco che la maggior parte delle loro molecole rimane intatta. Di conseguen-
za, conducono soltanto una corren­te di piccola intensità (vedi immagine
a lato, a destra) e sono elettroliti deboli. Nel­la Tabella 4.2 sono elencati
alcuni acidi e alcune basi con riferimento alla loro forza.
Sia gli acidi forti sia quelli deboli hanno uno o più atomi di H come
parte della loro struttura. Le basi forti hanno lo ione OH− oppure lo ione
O2− come parte della loro struttura. Gli ossidi ionici solubili, come K2O, si
comportano come basi forti perché lo ione ossido non è stabile in acqua e
reagisce immediatamente per formare lo ione idrossido: elettrolita forte elettrolita debole

K2O(s) + H2O(l) 2K+(aq) + 2OH−(aq) Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen


Le basi deboli, come l’ammoniaca, non contengono ioni OH−, ma li produ- Frisch, photographer.
cono in una reazione con acqua che si svolge in piccola misura:
NH3(g) + H2O(l) NH4+(aq) + OH−(aq)
(Si noti la freccia di reazione nell’equazione precedente. Questo tipo di freccia indi-
ca che la reazione procede in entrambi i versi; esamineremo ulteriormente questo
importante concetto nel Paragrafo 4.7).

La forza motrice e la trasformazione netta: formazione di H2O


a partire da H+ e OH−
Usiamo ora le equazioni ioniche per vedere perché avvengono le reazioni acido-
base. Partiamo dall’equazione molecolare per la reazione tra l’acido forte HCl e la
base forte Ba(OH)2:
2HCl(aq) + Ba(OH)2(aq) BaCl2(aq) + 2H2O(l)

04txt.indd 113 16/05/19 18:47


114 Capitolo 4

Poiché HCl e Ba(OH)2 si dissociano completamente e H2O rimane indissociata,


l­’equazione ionica totale è
2H+(aq) + 2Cl−(aq) + Ba2+(aq) + 2OH−(aq) Ba2+(aq) + 2Cl−(aq) + 2H2O(l)
Nell’equazione ionica netta eliminiamo gli ioni spettatori Ba2+(aq) e Cl−(aq) e vedia-
mo l’equazione effettiva:
2H+(aq) + 2OH−(aq) 2H2O(l)  ossia  H+(aq) + OH−(aq) H2O(l)
Perciò, la trasformazione essenziale in tutte le reazioni in soluzione acquosa tra acidi
forti e basi forti è che uno ione H+ proveniente dall’acido e uno ione OH− proveniente
dalla base formano una molecola d’acqua; soltanto gli ioni spettatori differiscono da
reazione a reazione.
Ora è facile comprendere la forza motrice per queste reazioni: le reazioni acido-
base sono favorite dall’attrazione elettrostatica degli ioni e dalla loro separazione dalla
soluzione nella formazione del prodotto. In questo caso, gli ioni sono H+ e OH− e
il prodotto è H2O, che è costituita quasi interamente da molecole indissociate. (In
realtà, le molecole d’acqua si dissociano molto lievemente, come vedremo nel Capi-
tolo 18, ma la formazione di acqua in una reazione di neutralizzazione rappresenta
una rimozione netta enorme di ioni H+ e OH−).
Se facciamo evaporare l’acqua dalla precedente miscela di reazione, resta il
cloruro di bario ionico solido. Un composto ionico derivante dalla reazione di un
acido e di una base è detto sale. Perciò, in una tipica reazione di neutralizzazione
in soluzione acquosa, i reagenti sono un acido e una base e i prodotti sono una soluzione
di un sale e acqua:
HX( aq ) + MOH( aq ) ⎯ ⎯
→ MX( aq ) + H2O( l )
acido base sale acqua

Il colore indica che il catione del sale proviene dalla base e l’anione proviene dall’acido.
Questa equazione generale mostra che le reazioni acido-base, come le reazioni
di precipitazione, sono reazioni di doppio scambio (reazioni di metatesi). L’equazio-
ne molecolare per la reazione dell’idrossido di alluminio, l’ingrediente attivo in al-
cune compresse di antiacido, con HCl, il principale componente dell’acido gastrico,
lo evidenzia chiaramente:
3HCl(aq) + Al(OH)3(s) AlCl3(aq) + 3H2O(l)

Reazioni acido-base avvengono frequentemente nella sintesi e nella degradazione


(demolizione) delle macromolecole biologiche.

Scrittura delle equazioni ioniche per le reazioni acido-base


PROBLEMA DI VERIFICA 4.4
Problema Si scrivano l’equazione molecolare, l’equazione ionica totale e l’equazione ionica
netta bilanciate per ciascuna delle seguenti reazioni acido-base e si identifichino gli ioni
spettatori.
(a) Idrossido di stronzio(aq) + acido perclorico(aq)
(b) Idrossido di bario(aq) + acido solforico(aq)
Piano Questi acidi e queste basi sono tutti forti (vedi Tabella 4.2) e quindi la reazione
essenziale è quella tra H+ e OH−. I prodotti sono H2O e una soluzione salina costituita dagli
ioni spettatori. Si noti che in (b) il sale (BaSO4) è insolubile (vedi Tabella 4.1) e quindi quasi
tutti gli ioni sono rimossi dalla soluzione.
Risoluzione (a) Scrittura dell’equazione molecolare:
Sr(OH)2(aq) + 2HClO4(aq) Sr(ClO4)2(aq) + 2H2O(l)

Scrittura dell’equazione ionica totale:

Sr2+(aq) + 2OH−(aq) + 2H+(aq) + 2ClO4−(aq) Sr2+(aq) + 2ClO4−(aq) + 2H2O(l)

04txt.indd 114 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 115

Scrittura dell’equazione ionica netta:


2OH−(aq) + 2H+(aq) 2H2O(l)  ossia  OH−(aq) + H+(aq) H2O(l)

Sr2+(aq) e ClO4−(aq) sono gli ioni spettatori.


(b) Scrittura dell’equazione molecolare:
Ba(OH)2(aq) + H2SO4(aq) BaSO4(s) + 2H2O(l)

Scrittura dell’equazione ionica totale:


Ba2+(aq) + 2OH−(aq) + 2H+(aq) + SO42−(aq) BaSO4(s) + 2H2O(l)

L’equazione ionica netta è identica all’equazione ionica totale. Si tratta di una reazione di
precipitazione e di neutralizzazione. Non vi sono ioni spettatori perché tutti gli ioni sono
utilizzati per formare i due prodotti.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.4 Si scrivano l’equazione molecolare,


l’equazione ionica totale e l’equazione ionica netta bilanciate per la reazione tra soluzioni
acquose di idrossido di calcio e di acido nitrico.

Titolazioni acido-base
I chimici studiano quantitativamente le reazioni acido-base mediante le titolazio-
ni. In ogni titolazione, si usa una soluzione di concentrazione nota per determinare
la concentrazione di un’altra soluzione mediante una reazione monitorata. In una ti-
pica titolazione acido-base si aggiunge lentamente una soluzione standardizzata
di una base, la cui concentrazione è nota, a una soluzione di un acido, la cui
concentrazione è incognita.
Il procedimento di laboratorio è semplice, ma richiede una tecnica accurata
(Figu­ra 4.7). Si versa in un matraccio un volume noto della soluzione dell’acido e si
aggiungono alcune gocce di soluzione di indicatore. Un indicatore acido-base è una
sostanza il cui colore in un acido è diverso da quello in una base. (Esamineremo gli
Figura 4.7 Titolazione acido-
indicatori nei Capitoli 18 e 19). Si aggiunge al matraccio la soluzione standardizzata base. A. In questo procedimen-
di base lasciandola scendere lentamente da una buretta. Quando la titolazione si to, un volume misurato della
avvicina alla fine, le molecole di indicatore cambiano colore in prossimità di una soluzione incognita di acido è
goccia di base aggiunta per effetto di un eccesso temporaneo di ioni OH− in questa posto in un matraccio sotto una
regione. Però, non appena si agita la soluzione, si ripristina il colore dell’indicatore buretta contenente la soluzione
nota (standardizzata) di base. Si
in acido. Si ha il punto di equivalenza della titolazione quando tutte le moli di aggiungono al matraccio alcune
gocce di indicatore; l’indicatore
usato qui è la fenolftaleina, che
è incolore in soluzione acida e
Eccesso Eccesso rosa in soluzione basica. Dopo
OH temporaneo permanente una lettura iniziale della buretta,
di OH di OH si aggiunge lentamente la base
(ioni OH−) all’acido (ioni H+).
B. Verso la fine della titolazione,
l’indicatore cambia momenta­
neamente colore, assumendo
quello che ha in soluzione basi-
H ca, ma ritorna al colore che ha
indicatore in soluzione acida in seguito
all’agitazione. C. Quando è stato
raggiunto il punto finale, è pre-
sente un piccolo eccesso di OH−,
indicato dal cambiamento per-
manente del colore dell’indicato-
A Prima della titolazione B Verso la fine della titolazione C Alla fine della titolazione re. La differenza tra l’indicazione
finale e l’indicazione iniziale
della buretta indica il volume di
H(aq)  X(aq)  M(aq)  OH(aq) H2O(l)  M(aq)  X(aq)
base usato. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, photo-
grapher).

04txt.indd 115 16/05/19 18:47


116 Capitolo 4

ioni H+ derivate dall’acido presente nel volume iniziale di soluzione hanno reagito con un
numero equivalente di moli di ioni OH− aggiunte dalla buretta:
moli di H+ (derivate dall’acido nel matraccio) = moli di OH− (aggiunte dalla buretta)
Si ha il punto finale della titolazione quando un piccolo eccesso di ioni OH− fa
assumere permanentemente all’indicatore il colore che ha in una base. Nei calcoli,
supponiamo che questo piccolo eccesso sia trascurabile e, quindi, la quantità di base
necessaria per raggiungere il punto finale è uguale alla quantità necessaria per raggiun-
gere il punto di equivalenza.

Determinazione della concentrazione di un acido mediante


una titolazione acido-base
PROBLEMA DI VERIFICA 4.5
Problema Si esegue una titolazione acido-base per standardizzare una soluzione di HCl
versando 50,00 mL di HCl in un matraccio con qualche goccia di soluzione di indicatore.
Si versa nella buretta una soluzione 0,1524 M in NaOH e l’indicazione iniziale sulla scala
della buretta è 33,87 mL. Nel punto finale, l’indicazione della buretta è 0,55 mL. Qual è la
concentrazione della soluzione di HCl?
volume (L) di base Piano Dobbiamo ricavare la molarità dell’acido dal volume di acido (50,00 mL), dal volu-
(differenza tra le indicazioni me iniziale (33,87 mL) e dal volume finale (0,55 mL) della base, e dalla molarità della
della buretta)
base (0,1524 M). Prima bilanciamo l’equazione. Determiniamo il volume di base aggiunta
moltiplicare per M (mol/L) ricavandolo dalla differenza tra le indicazioni della buretta e usiamo la molarità della base
della base
per calcolare la quantità (in moli) di base aggiunta. Poi usiamo il rapporto molare ricavato
dall’equazione bilanciata per trovare la quantità (in moli) di acido presente inizialmente e
quantità (mol) di base
dividiamo per il volume iniziale di acido per trovare la molarità.
Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata:
rapporto molare
NaOH(aq) + HCl(aq) NaCl(aq) + H2O(l)
Determinazione del volume (in litri) di soluzione di NaOH aggiunta:
quantità (mol) di acido 1L
volume (L) di soluzione = (33, 87 mL soluz. − 0,55 mL soluz.)×
1000 mL
dividere per il volume (L)
di acido = 0,03332 L soluz.
Determinazione della quantità (in moli) di NaOH aggiunto:
M (mol/L) dell’acido 0,1524 mol NaOH
= moli di NaOH 0,03332 L soluz . ×
1 L soluz .
= 5,078 ×10−3 mol NaOH
Determinazione della quantità (in moli) di HCl presente inizialmente: poiché il rapporto
molare è 1 : 1,
1 mol HCl
5,078 ×10−3 mol NaOH ×
moli di HCl = 5,078 ×10−3 mol HCl
=
1 mol NaOH
Calcolo della molarità di HCl:
5,078 ×10−3 mol HCl 1000 mL
molarità di HCl = × =
0,1016 M HCl
50,00 mL 1L
Verifica La risposta ha senso: un maggiore volume di acido meno concentrato ha neutra-
lizzato un minore volume di base più concentrata. Arrotondando, si vede che le moli di H+
e di OH− sono all’incirca uguali: 50 mL × 0,1 M H+ = 0,005 mol = 33 mL × 0,15 M OH−.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.5 Quale volume di soluzione


0,1292 M Ba(OH)2 neutralizzerebbe 50,00 mL di soluzione di HCl standardizzata nel pro-
blema di verifica precedente?

Reazioni acido-base come processi di trasferimento protonico


Possiamo farci un’idea più approfondita delle reazioni acido-base se esaminiamo più
da vicino le specie effettive presenti in soluzione. Vediamo cosa accade quando
HCl gassoso si scioglie in acqua. Come abbiamo visto precedentemente, le moleco-

04txt.indd 116 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 117

le d’acqua polari scindono la molecola di HCl e lo ione H+ si lega a una molecola


d’acqua. Essenzialmente, possiamo dire che HCl trasferisce il suo protone a H2O:
trasferimento
di H+
HCl( g ) + → H3O+ ( aq ) + Cl− ( aq )
H2O( l ) ⎯ ⎯

Perciò, l’acido cloridrico (una soluzione acquosa di HCl gassoso) è costituito in real-
tà dallo ione H3O+ solvatato e dallo ione Cl− solvatato.
Quando si aggiunge una soluzione di idrossido di sodio, lo ione H3O+ trasferisce
un protone allo ione OH− della base (con l’acqua prodotto indicata qui come HOH):
trasferimento di H+

[H3O+ ( aq ) + Cl− ( aq )] + [Na+ ( aq ) + OH− ( aq )] ⎯ ⎯



H2O( l ) + Na+ ( aq ) + Cl− ( aq ) + HOH( l )

Senza gli ioni spettatori, è evidente il trasferimento di un protone da H3O+ a OH−:


trasferimento
di H+
H3O+ ( aq ) + OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ H2O( l ) + HOH( l ) [o 2H2O( l )] Figura 4.8 Una reazione
tra un acido forte e una base
Confrontando la seguente equazione ionica netta con quella che abbiamo visto forte in soluzione acquosa
su scala atomica. Quando
precedentemente (vedi p. 114): si miscelano una soluzione
H+(aq) + OH−(aq) H2O(l) acquosa di un acido forte (HX)
e una soluzione acquosa di
si vedrà che le due equazioni sono identiche, con la molecola di H2O addizionale
una base forte (MOH), lo ione
proveniente da H3O+. Chiaramente, una reazione acido-base è un processo di trasferi- H3O+ proveniente dall’acido
mento protonico. Gli ioni Na+ e Cl− rimangono in soluzione e, se si fa evaporare l’acqua, trasferisce un protone allo ione
cristallizzano come sale NaCl. La Figura 4.8 illustra questo processo a livello atomico. OH− proveniente dalla base per
All’inizio del XX secolo, il chimico-fisico danese Johannes Brønsted e il chimico- formare una molecola di H2O.
L’evaporazione dell’acqua lascia
fisico inglese Thomas Lowry si resero conto che le reazioni acido-base erano pro-
gli ioni spettatori, X− e M+,
cessi di trasferimento protonico. Definirono un acido come una molecola (o uno ione) come un composto ionico solido
che dona un protone, e una base come una molecola (o uno ione) che accetta un protone. detto sale.

l’evaporazione
gli ioni M e X dell’acqua
rimangono in soluzione lascia il sale
X solido
come ioni spettatori

H 3O
miscelazione di una
acido forte soluzione acquosa di acido
HX(aq) M
forte e di una soluzione
 acquosa di base forte ' cristallo di sale

trasferimento di H  X

M 
M X

OH la trasformazione chimica


è il trasferimento di H
da H3O a OH
base forte con formazione di H2O
MOH(aq)

H3O(aq)  X(aq)
miscelazione '
 2H2O(l )  M(aq)  X(aq) 2H2O(g)  MX(s)
M(aq)  OH(aq)

04txt.indd 117 16/05/19 18:47


118 Capitolo 4

Perciò, nella reazione in soluzione acquosa tra un acido forte e una base forte, lo ione
H3O+ funge da acido e lo ione OH− funge da base. Poiché l’acido forte e la base forte si
ionizzano completamente, una data quantità di acido forte (o di base forte) crea una
quantità equivalente di H3O+ (o di OH−) quando si scioglie in acqua. (Esamineremo
più a fondo il concetto di Brønsted-Lowry nel Capitolo 18).
Considerare le reazioni acido-base come processi di trasferimento protoni-
co aiuta a comprendere un altro tipo comune di reazioni ioniche in soluzione
acquosa, quelle che formano un prodotto gassoso. Per esempio, quando un car-
bonato ionico, quale K2CO3, viene trattato con un acido, quale HCl, uno dei pro-
dotti è il diossido di carbonio. La forza motrice per questa reazione e per reazioni
simili è la formazione di un gas e di acqua perché entrambi i prodotti rimuovono ioni
reagenti dalla soluzione:
2HCl(aq) + K2CO3(aq) 2KCl(aq) + [H2CO3(aq)]
   [H2CO3(aq)] H2O(l) + CO2(g)
Il prodotto H2CO3 è scritto tra parentesi quadre per indicare che è molto instabile.
Infatti, si decompone immediatamente in acqua e diossido di carbonio. Combinan-
do queste due equazioni, otteniamo l’equazione complessiva:
2HCl(aq) + K2CO3(aq) 2KCl(aq) + H2O(l) + CO2(g)

Quando indichiamo gli ioni H3O+ provenienti da HCl come la specie effettiva in
soluzione e scriviamo l’equazione ionica netta, gli ioni Cl− e K+ si eliminano. È
importante notare che ciascuno dei due ioni H3O+ trasferisce un protone allo ione
carbonato:
trasferimento
di 2H+
2H3O+ (aq) + CO32− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( l ) + [H2CO3 ( aq )] ⎯ ⎯
→ 3H2O( l ) + CO2 ( g )

Perciò, si tratta essenzialmente di una reazione acido-base, in cui lo ione carbonato


Figura 4.9 Una reazione accetta i protoni e, quindi, funge da base.
acido-base che forma un Parecchi altri ioni poliatomici si comportano similmente quando reagiscono
prodotto gassoso. I carbonati
con un acido, come nella formazione di SO2 a partire da solfiti ionici. Nel caso della
e gli idrogenocarbonati reagi-
scono con gli acidi per formare reazione di un acido forte con un solfito ionico, l’equazione ionica netta è
CO2 gassoso e acqua. Qui, una trasferimento
di 2H+
soluzione diluita di acido ace-
tico (aceto) è aggiunta a una 2H3O+ ( aq ) + SO32− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 3H2O( l ) + SO2 ( g )
soluzione di idrogenocarbonato
di sodio (lievito in polvere) for-
Nel caso delle reazioni degli acidi deboli, le equazioni ioniche si scrivono in modo
mando bollicine di CO2 gassoso. diverso. La Figura 4.9 mostra un esempio domestico della reazione, con sviluppo
(Si noti che l’equazione ionica di gas, tra l’aceto (una soluzione acquosa di acido acetico al 5%) e una soluzione
netta include l’acido acetico di lievito in polvere (idrogenocarbonato di sodio). Si osservino attentamente le
perché esso è un acido debole e equazioni. L’acido acetico, essendo un acido debole (vedi Tabella 4.2), si dissocia
non si dissocia in ioni in misura
rilevante). (Foto: © McGraw-Hill
pochissimo. Per indicarlo, gli acidi deboli compaiono indissociati nell’equazione ionica
Education/Charles Winters/ netta; si noti che H3O+ non compare. Perciò, soltanto Na+(aq) è uno ione spettatore,
Timeframe Photography, Inc.). mentre CH3COO−(aq) non lo è.

Equazione molecolare
NaHCO3(aq)  CH3COOH(aq) CH3COONa(aq)  CO2(g)  H2O(l )

Equazione ionica totale


Na(aq)  HCO3(aq)  CH3COOH(aq) CH3COO(aq)  Na(aq)  CO2(g)  H2O(l )

Equazione ionica netta


HCO3(aq)  CH3COOH(aq) CH3COO(aq)  CO2(g)  H2O(l )

04txt.indd 118 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 119

4.5 REAZIONI DI OSSIDORIDUZIONE


(REAZIONI REDOX)
Le reazioni di ossidoriduzione (o reazioni redox) sono il terzo tipo di trasformazio­
ni chimiche, forse il più importante di tutti. Comprendono la formazione di un
composto a partire dai suoi elementi (e viceversa), tutte le reazioni di combu-
stione, le reazioni che generano corrente elettrica nelle batterie, le reazioni che
generano energia cellulare e molte altre. In questo paragrafo esamineremo in
modo particolareggiato il processo redox e impareremo alcuni termini essenziali.
Vedremo un metodo per bilanciare le equazioni redox e un metodo per appli-
carle quantitativamente.

La forza motrice per i processi redox


Nelle reazioni di ossidoriduzione (o reazioni redox), l’evento chimico essen-
ziale è il movimento netto di elettroni da un reagente all’altro. La forza motrice per
queste reazioni è il fatto che il movimento di elettroni avviene in un verso speci-
fico: dal reagente (o dall’atomo nel reagente) con minore attrazione per gli elettroni al
reagente con maggiore attrazione per gli elettroni.
Questo movimento di carica elettronica avviene nella formazione sia dei com-
posti ionici sia dei composti covalenti. Come esempio, riconsideriamo la reazione
nel flash fotografico (vedi Figura 3.7, p. 85), in cui si forma un composto ionico,
MgO, a partire dai suoi elementi:
2Mg(s) + O2(g) 2MgO(s)

La Figura 4.10A mostra che, durante la reazione, ogni atomo di Mg cede due
elettroni e ogni atomo di O li acquista; cioè, due elettroni si muovono da ciascun
atomo di Mg a ciascun atomo di O. Questa trasformazione rappresenta un tra-
sferimento di carica elettronica da ciascun atomo di Mg verso ciascun atomo di
O, con la conseguente formazione degli ioni Mg2+ e O2−. Gli ioni si aggregano e
formano un solido ionico.
Anche durante la formazione di un composto covalente a partire dai suoi ele-
menti si ha un movimento netto di elettroni; ma si tratta più di uno “spostamento”
di carica elettronica che di un trasferimento e, quindi, non è sufficiente per formare Figura 4.10 Il processo
redox nella formazione di un
ioni. Consideriamo la formazione di HCl gassoso: composto. A. Nella formazione
del composto ionico MgO, ogni
H2(g) + Cl2(g) 2HCl(g)
atomo di Mg trasferisce due
elettroni a ciascun atomo di O.
2e (Si noti che gli atomi si rimpic-
Mg2 cioliscono quando cedono elet-
trasferimento troni e si ingrandiscono quando
di elettroni molti acquistano elettroni). I risultanti
 ioni
Mg  O ioni Mg2+ e O2− si aggregano
con molti altri per formare un
solido ionico. B. Nei reagenti H2
O 2
e Cl2, le coppie di elettroni sono
A Formazione di un composto ionico solido ionico localizzate in posizione centrale
per indicare che sono ugual-
mente condivisi. Nel composto
covalente HCl, Cl attrae gli elet-
G G troni condivisi più intensamente
H H H Cl rispetto a H. In effetti, l’elet-
spostamento
distribuzione di elettroni distribuzione trone di H si sposta verso Cl.
uniforme  disuniforme Si noti il carattere polare della
degli elettroni 
degli elettroni molecola di HCl, mostrata dalla
G G più alta densità elettronica (in
Cl Cl H Cl rosso) in prossimità dell’estremi-
tà Cl e dalla più bassa densità
elettronica (in blu) in prossimità
B Formazione di un composto covalente dell’estremità H.

04txt.indd 119 16/05/19 18:47


120 Capitolo 4

Per vedere il movimento di elettroni in questo caso, confrontiamo la distribuzio-


ne di carica elettronica nei legami dei reagenti e nei legami dei prodotti. Come
è mostrato nella Figu­ra 4.10B, la molecola di H2 e la molecola di Cl2 sono tenu­-
te unite da legami covalenti puri; cioè, gli elettroni sono ugualmente condivisi tra
gli atomi legati. Nella molecola di HCl, gli elettroni non sono ugualmente condi-
visi perché l’attrazione esercitata dall’atomo di Cl è più intensa di quella esercita-
ta dall’atomo di H. Perciò, nella molecola di HCl, l’atomo di H ha una carica
elettronica minore (ombreggiatura blu) di quella che aveva nella molecola di H2,
mentre l’atomo di Cl ha una carica elettronica maggiore (ombreggiatura rossa) di
quella che aveva nella molecola di Cl2. In altre parole, nella formazione di HCl,
vi è stato uno spostamento relativo di carica elettronica dall’atomo di H verso
l’atomo di Cl. Questo spostamento elettronico non è tanto cospicuo quanto il
trasferimento elettronico durante la formazione di MgO. In realtà, in alcuni casi,
il movimento netto di elettroni può essere molto lieve, ma la reazione è ancora
un processo redox.

Terminologia essenziale delle reazioni redox


Per descrivere il movimento di elettroni che avviene nelle reazioni di ossidori-
duzione i chimici usano alcuni termini importanti. L’ossidazione è la cessione
di elettroni e la riduzione è l’acquisto di elettroni. (Il termine riduzione era usato
inizialmente per designare il processo di riduzione di grandi quantità di minerale
metallifero a minori quantità di metallo, ma vedremo tra poco perché il termine
riduzione è usato per designare l’acquisto di elettroni). Per esempio, durante la for-
mazione di ossido di magnesio, Mg subisce ossidazione (cessione di elettroni) e O2
subisce riduzione (acquisto di elettroni). La cessione e l’acquisto di elettroni sono
simultanei, ma possiamo immaginare che avvengano in passaggi separati:

ossidazione (cessione di elettroni da parte di Mg): Mg Mg2+ + 2e−


1 −
riduzione (acquisto di elettroni da parte di O2): 2 O2 + 2e O2−

Poiché O2 ha acquistato gli elettroni che Mg ha ceduto quando è stato ossidato, si


dice che O2 ha ossidato Mg. Perciò, O2 è l’agente ossidante (o, più semplicemen-
te, l’ossidante), la specie che effettua l’ossidazione. Analogamente, poiché Mg ha
ceduto gli elettroni che O2 ha acquistato quando è stato ridotto, si dice che Mg ha
ridotto O2. Perciò, Mg è l’agente riducente (o, più semplicemente, il riducente),
la specie che effettua la riduzione.
Chiarita questa relazione, ci si rende conto che l’agente ossidante viene ridotto
perché rimuove gli elettroni (e quindi li acquista), mentre l’agente riducente viene
ossidato perché cede gli elettroni (e quindi li perde). Nella formazione di HCl, Cl2
ossida H2 (H cede una certa carica elettronica e Cl l’acquista), il che equivale a dire
che H2 riduce Cl2. L’agente riducente, H2, viene ossidato, e l’agente ossidante, Cl2,
viene ridotto.

Impiego dei numeri di ossidazione per monitorare il movimento


di carica elettronica
I chimici hanno ideato un utile sistema di “contabilità” per monitorare quale ato-
mo ceda carica elettronica e quale atomo l’acquisti. A ogni atomo in una molecola
(o in un composto ionico) è assegnato un numero di ossidazione (o stato di
ossidazione), che corrisponde alla carica che l’atomo avrebbe se gli elettroni non
fossero condivisi bensì fossero trasferiti completamente. I numeri di ossidazione
vengono determinati con la serie di regole esposte nella Tabella 4.3. [È importante
notare che un numero di ossidazione ha il segno prima del numero (+2), mentre
una carica ionica ha il segno dopo il numero (2+)].

04txt.indd 120 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 121

Tabella 4.3 Regole per assegnare un numero di ossidazione


Regole generali
1. Per un atomo nella sua forma elementare (Na, O2, Cl2 ecc.): numero di ossidazione = 0
2. Per uno ione monoatomico: numero di ossidazione = carica dello ione
3. La somma dei valori dei numeri di ossidazione degli atomi in un composto è uguale a
zero. La somma dei valori dei numeri di ossidazione degli atomi in uno ione poliatomico è
uguale alla carica dello ione.
Regole per specifici atomi o gruppi della tavola periodica
1. Per il Gruppo 1A(1): numero di ossidazione = +1 in tutti i composti
2. Per il gruppo 2A(2): numero di ossidazione = +2 in tutti i composti
3. Per l’idrogeno: numero di ossidazione = +1 in combinazione con non metalli
numero di ossidazione = −1 in combinazione con metalli e boro
4. Per il fluoro: numero di ossidazione = −1 in tutti i composti
5. Per l’ossigeno: numero di ossidazione = −1 nei perossidi
numero di ossidazione = −2 in tutti gli altri composti (eccettuati
quelli con F)
6. Per il gruppo numero di ossidazione = −1 in combinazione con metalli, non
7A(17): metalli (eccettuato O) e altri alogeni
in posizione inferiore nel gruppo

Determinazione del numero di ossidazione di un elemento


in un composto
PROBLEMA DI VERIFICA 4.6
Problema Si determini il numero di ossidazione di ciascun elemento in questi composti: 1 numero del gruppo

/
1
(a) cloruro di zinco (b) triossido di zolfo (c) acido nitrico numero di numero di
1 H ossidazione ossidazione
Piano Applichiamo la Tabella 4.3, notando le regole generali secondo cui la somma dei più alto più basso
valori dei numeri di ossidazione in un composto è zero e la somma dei valori dei numeri di
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A
ossidazione in uno ione poliatomico è uguale alla carica dello ione. 1 2 3 44 53 62 71
Risoluzione (a) ZnCl2. La somma dei numeri di ossidazione per gli ioni monoatomici nel Li Be B C N O F
2
composto deve essere uguale a zero. Il numero di ossidazione dello ione Zn2+ è +2. Il nume-
ro di ossidazione di ciascuno ione Cl− è −1, per un totale di −2. La somma dei numeri di 3 Na Mg Al Si P S Cl
ossidazione è +2 + (−2), o 0.
(b) SO3. Il numero di ossidazione di ciascun atomo di ossigeno è −2, per un totale di −6. 4 K Ca Ga Ge As Se Br
periodo

Poiché la somma dei numeri di ossidazione deve essere uguale a zero, il numero di ossida-
zione di S è +6. 5 Rb Sr In Sn Sb Te I
(c) HNO3. Il numero di ossidazione di H è +1, e quindi la somma dei numeri di ossidazione
del gruppo NO3 deve essere uguale a −1 affinché la somma dei numeri di ossidazione del 6 Cs Ba Tl Pb Bi Po At
composto sia zero. Il numero di ossidazione di ciascun O è −2, per un totale di −6. Perciò,
il numero di ossidazione di N è +5. 7 Fr Ra Nh Fl Mc Lv Ts

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.6 Si determini il numero di ossida- Figura 4.11 Numero di ossi-
zione di ciascun elemento nei seguenti composti: dazione più alto e numero di
(a) ossido di scandio (Sc2O3) (b) cloruro di gallio (GaCl3) ossidazione più basso degli
(c) ione idrogenofosfato (d) trifluoruro di iodio elementi reattivi dei gruppi
principali. Il numero del gruppo
A indica il numero di ossida-
La tavola periodica è di grande aiuto nell’apprendimento dei numeri di ossidazione zione più alto possibile per un
più alti e più bassi della maggior parte degli elementi dei gruppi principali, come elemento dei gruppi principali.
è mostrato nella Figura 4.11. (Due eccezioni importanti sono
O, che non ha mai il numero di
• Per la maggior parte degli elementi dei gruppi principali, il numero del gruppo ossidazione +6, e F, che non
A (1A, 2A e così via) è il numero di ossidazione più alto (sempre positivo) di ha mai il numero di ossidazione
+7). Nel caso dei non metalli
ogni elemento del gruppo. Le eccezioni sono O e F (vedi Tabella 4.3).
(in giallo) e dei metalloidi (in
• Per i non metalli e alcuni metalloidi dei gruppi principali, il numero del grup- verde), il numero del gruppo A
po A meno 8 è il numero di ossidazione più basso (sempre negativo) di ogni meno 8 dà il numero di ossida-
elemento del gruppo. zione più basso possibile.

04txt.indd 121 16/05/19 18:47


122 Capitolo 4

Per esempio, il più alto numero di ossidazione di S (Gruppo 6A) è +6, come in SF6,
e−
e il più basso è 6 − 8 = −2, come in FeS e in altri solfuri metallici.
Come si può vedere, il numero di ossidazione di un elemento in un composto
trasferimento o
spostamento Y ionico binario ha un valore realistico, perché di solito è uguale alla carica ionica. D’al-
X
di elettroni tra parte, il numero di ossidazione ha un valore irrealistico nel caso di un elemento
in un composto covalente (o in uno ione poliatomico) perché non esistono cariche
X cede uno o Y acquista uno
intere sugli atomi di queste specie.
più elettroni o più elettroni Una reazione redox può essere definita anche come una reazione in cui i numeri
X viene ossidato Y viene ridotto di ossidazione delle specie variano, e i numeri di ossidazione trovano il più importante
X è l’agente Y è l’agente impiego nel monitoraggio di queste variazioni.
riducente ossidante
• Se un dato atomo ha un numero di ossidazione più alto (più positivo o meno
X aumenta il Y diminuisce il
suo numero suo numero di negativo) nel prodotto che nel reagente, la molecola o lo ione reagente che
di ossidazione ossidazione conteneva l’atomo è stata ossidata (ha ceduto elettroni). Perciò, l’ossidazione è
rappresentata da un aumento del numero di ossidazione.
Figura 4.12 Sommario della
terminologia per le reazioni • Se un atomo ha un numero di ossidazione più basso (più negativo o meno posi-
di ossidoriduzione (reazioni tivo) nel prodotto che nel reagente, la molecola o lo ione reagente che conte-
redox). neva l’atomo è stata ridotta (ha acquistato elettroni). Perciò, l’acquisto di elettroni
è rappresentato da una diminuzione (una “riduzione”) del numero di ossidazione. (Il
termine riduzione, come abbiamo detto poc’anzi, si riferisce alla “riduzione” di
un minerale metallifero al metallo. Gli agenti riducenti impiegati forniscono
elettroni che convertono lo ione metallico nella sua forma elementare).
La terminologia delle reazioni redox è riassunta nella Figura 4.12. Poiché i numeri di
ossidazione sono assegnati secondo l’attrazione relativa di un atomo per gli elettroni,
in ultima analisi essi si basano sulle proprietà atomiche, come vedremo nei Capitoli
8 e 9. (Nel resto di questo paragrafo e in quella seguente, i numeri di ossidazione blu
indicano ossidazione, e i numeri di ossidazione rossi indicano riduzione).

Riconoscimento degli agenti ossidanti e degli agenti riducenti


PROBLEMA DI VERIFICA 4.7
Problema Si identifichino l’agente ossidante e l’agente riducente in ciascuna delle seguenti
reazioni:
(a) 2Al(s) + 3H2SO4(aq) Al2(SO4)3(aq) + 3H2(g)
(b) PbO(s) + CO(g) Pb(s) + CO2(g)
(c) 2H2(g) + O2(g) 2H2O(g)
Piano Prima assegniamo un numero di ossidazione a ciascun atomo (o ione) in base alle
regole enunciate nella Tabella 4.3. Il reagente è l’agente riducente se contiene un atomo
che viene ridotto (diminuzione del numero di ossidazione).
Risoluzione (a) Assegnazione dei numeri di ossidazione:
ossidazione
+6 +6
0 +1 −2 +3 −2 0

2Al( s ) + 3H2SO4 ( aq ) ⎯ ⎯
→ Al 2 (SO4 )3 ( aq ) + 3H2 ( g )
riduzione
Il numero di ossidazione di Al è aumentato da 0 a +3 (Al ha ceduto elettroni), quindi Al è
stato ossidato; Al è l’agente riducente .
Il numero di ossidazione di H è diminuito da +1 a 0 (H ha acquistato elettroni), quindi H+
è stato ridotto; H2SO4 è l’agente ossidante .
(b) Assegnazione dei numeri di ossidazione:
ossidazione
−2 −2 −2
+2 +2 0 +4
PbO( s ) + CO( g ) ⎯ ⎯
→ Pb( s ) + CO 2 ( g )
riduzione
Il numero di ossidazione di Pb è diminuito da +2 a 0, quindi PbO è stato ridotto; PbO è
l’agente ossidante .
Il numero di ossidazione di C è aumentato da +2 a +4, quindi CO è stato ossidato; CO è
l’agente riducente .

04txt.indd 122 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 123

In generale, quando una sostanza (quale CO) si lega a più atomi di O (come in CO2), viene ossi-
data; e, quando una sostanza (come PbO) si lega a meno atomi di O (come in Pb), viene ridotta.
(c) Assegnazione dei numeri di ossidazione:
ossidazione
0 0 +1 −2

2H2 ( g ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( g )
riduzione
O2 è stato ridotto (il numero di ossidazione di O è diminuito da 0 a −2); O2 è l’agente
ossidante .
H2 è stato ossidato (il numero di ossidazione di H è aumentato da 0 a +1); H2 è l’agente
riducente .
L’ossigeno è sempre l’agente ossidante in una reazione di combustione.
Commento 1. Si confrontino i valori dei numeri di ossidazione in (c) con quelli in un’altra
reazione comune che forma acqua. Come si può notare, nella seguente equazione ionica
netta per una reazione acido-base
+1 +1−2
+1 −2

H+ ( aq ) + OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ H2O( l )
i valori dei numeri di ossidazione rimangono invariati in entrambi i membri dell’equazione
acido-base. Perciò, una reazione acido-base non è una reazione redox.
2. Se una sostanza è presente nella sua forma elementare in un membro di un’equazione,
essa non può essere nella sua forma elementare anche nell’altro membro, e quindi la reazione
deve essere un processo redox. Si noti che compaiono elementi in tutti e tre i casi precedenti.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.7 Si identifichi ciascun agente ossi-


dante e ciascun agente riducente nelle seguenti reazioni:
(a) 2Fe(s) + 3Cl2(g) 2FeCl3(s)
(b) 2C2H6(g) + 7O2(g) 4CO2(g) + 6H2O(g)
(c) 5CO(g) + I2O5(s) I2(s) + 5CO2(g)

Bilanciamento delle equazioni redox


È essenziale rendersi conto che l’agente riducente cede elettroni e l’agente ossidante li
acquista simultaneamente. Una trasformazione chimica può essere una “reazione di
ossidoriduzione” ma non una “reazione di ossidazione” o una “reazione di riduzio-
ne”. Gli elettroni trasferiti non sono mai liberi, la qual cosa significa che possiamo
bilanciare una reazione redox assicurando che il numero degli elettroni ceduti dal­
l’agente riducente sia uguale al numero degli elettroni acquistati dall’agente ossidante.
Due metodi usati per bilanciare le equazioni redox sono il metodo dei numeri di
ossidazione e il metodo delle semireazioni. In questo paragrafo descriviamo in modo
particolareggiato il metodo dei numeri di ossidazione; descriveremo il metodo delle
semireazioni nel Capitolo 21.
Il metodo dei numeri di ossidazione per bilanciare le equazioni redox è
costituito da cinque passi che usano le variazioni dei numeri di ossidazione per ge-
nerare coefficienti stechiometrici (di bilanciamento). I primi due passi sono identici
a quelli nel Problema di verifica 4.7.
Passo 1. Assegnare i numeri di ossidazione a tutti gli elementi che partecipano alla
reazione.
Passo 2. In base alle variazioni dei numeri di ossidazione, identificare la specie os-
sidata e la specie ridotta.
Passo 3. Calcolare il numero di elettroni ceduti nell’ossidazione e acquistati nella
riduzione in base alle variazioni dei numeri di ossidazione. (Tracciare linee
di collegamento tra questi atomi per indicare le variazioni).
Passo 4. Moltiplicare uno di questi numeri o entrambi per fattori appropriati per far
sì che il numero di elettroni ceduti sia uguale al numero di elettroni acqui-
stati, e usare i fattori come coefficienti stechiometrici (di bilanciamento).
Passo 5. Completare il bilanciamento per esame diretto, aggiungendo gli stati di
aggregazione della materia.

04txt.indd 123 16/05/19 18:47


124 Capitolo 4

Bilanciamento delle equazioni redox con il metodo dei numeri


di ossidazione
PROBLEMA DI VERIFICA 4.8
Problema Si bilancino le equazioni seguenti con il metodo dei numeri di ossidazione:
(a) Cu(s) + HNO3(aq) Cu(NO3)2(aq) + NO2(g) + H2O(l)
(b) PbS(s) + O2(g) PbO(s) + SO2(g)
Risoluzione (a) Passo 1. Assegnare numeri di ossidazione a tutti gli elementi:

+5 +5 −2
0 +1 −2 +2 −2 +4 +1 −2
Cu + HNO3 ⎯ ⎯
→ Cu(NO3 )2 + NO 2 + H2O

Passo 2. Identificare la specie ossidata e la specie ridotta. Il numero di ossidazione di Cu è


aumentato da 0 (in Cu metallico) a +2 (in Cu2+); Cu è stato ossidato. Il numero di ossida-
zione di N è diminuito da +5 (in HNO3) a +4 (in NO2); HNO3 è stato ridotto. Si noti che
NO3− funge anche da ione spettatore, comparendo immodificato in Cu(NO3)2; ciò è comune
Rame in acido nitrico (Foto: nelle reazioni redox.
5DPHLQDFLGRQLWULFR
© McGraw-Hill Education/ Passo 3. Calcolare gli elettroni ceduti e gli elettroni acquistati e tracciare linee di collega-
Stephen Frisch, photographer). mento tra gli atomi. Nell’ossidazione sono stati ceduti 2e− da Cu. Nella riduzione è stato
acquistato 1e− da N:
cede 2e−

Cu + HNO3 ⎯ ⎯
→ Cu(NO3 )2 + NO 2 + H2O

acquista 1e−

Passo 4. Moltiplicare per fattori tali da rendere il numero degli elettroni ceduti uguale al
numero degli elettroni acquistati e usare i fattori come coefficienti stechiometrici. Cu ha
ceduto 2e− e quindi 1e− acquistato da N dovrebbe essere moltiplicato per 2. Scriviamo il
coefficiente 2 davanti a NO2 e a HNO3:

Cu + 2HNO3 Cu(NO3)2 + 2NO2 + H2O

Passo 5. Completare il bilanciamento per esame diretto. Il bilanciamento degli atomi di N


richiede un fattore 4 davanti a HNO3 in Cu(NO3)2:

Cu + 4HNO3 Cu(NO3)2 + 2NO2 + H2O

Quindi, il bilanciamento degli atomi di H richiede un fattore 2 davanti a H2O; aggiungiamo


gli stati di aggregazione della materia:

Cu(s) + 4HNO3(aq) Cu(NO3)2(aq) + 2NO2(g) + 2H2O(l)

Verifica
reagenti (1 Cu, 4 H, 4 N, 12 O) prodotti [1 Cu, 4 H, (2 + 2) N, (6 + 4 + 2) O]
(b) Passo 1. Assegnare i numeri di ossidazione:
−2 −2 −2
+2 0 +2 +4

PbS + O 2 ⎯ ⎯
→ PbO + SO 2

Passo 2. Identificare le specie che sono ossidate e ridotte. PbS è stato ossidato: il numero
di ossidazione di S è aumentato da −2 in PbS a +4 in SO2. O2 è stato ridotto: il numero di
ossidazione di O è diminuito da 0 in O2 a −2 in PbO e in SO2.
Passo 3. Calcolare gli elettroni ceduti e gli elettroni acquistati e tracciare le linee di colle-
gamento. S ha ceduto 6e− e ciascun O ha acquistato 2e−:

cede 6e−

PbS + O 2 ⎯ ⎯→ PbO + SO 2

acquista 4e− (2e− per O)

04txt.indd 124 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 125

Passo 4. Moltiplicare per fattori che rendano il numero degli elettroni ceduti uguale al
numero degli elettroni acquistati. L’atomo di S cede 6e−, e ciascun O in O2 acquista 2e−,
per un acquisto totale di 4e−. Perciò, premettendo il coefficiente 3/2 a O2 si ottengono 3
atomi di O ciascuno dei quali acquista 2e−, per un acquisto totale di 6e−:

PbS + 32 O 2 ⎯ ⎯→ PbO + SO 2

Passo 5. Completare il bilanciamento per esame diretto. Gli atomi sono bilanciati, ma tutti
i coefficienti devono essere moltiplicati per 2 per ottenere numeri interi; aggiungiamo gli
stati di aggregazione della materia:
2PbS(s) + 3O2(g) 2PbO(s) + 2SO2(g)

Verifica reagenti (2 Pb, 2 S, 6 O) prodotti [2 Pb, 2 S, (2 + 4) O]

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.8 Si bilanci la seguente equazione


usando il metodo dei numeri di ossidazione:
K2Cr2O7(aq) + HI(aq) KI(aq) + CrI3(aq) + I2(s) + H2O(l)

Titolazioni redox
In una titolazione acido-base, si usa una concentrazione nota di una base per tro-
vare una concentrazione incognita di un acido (o viceversa). Analogamente, in una
titolazione redox, si usa una concentrazione nota di un agente ossidante per trovare
una concentrazione incognita di un agente riducente (o viceversa). Questa applica-
zione della stechiometria è usata in un’ampia gamma di situazioni, comprendenti
per esempio la misurazione del contenuto di ferro nell’acqua per usi potabili e del
contenuto di vitamina C nei prodotti ortofrutticoli.
Lo ione permanganato, MnO4−, è un agente ossidante comune in queste titola-
zioni perché è intensamente colorato e quindi serve anche da indicatore. Nella Figu­
ra 4.13, MnO4− è usato per ossidare lo ione ossalato, C2O42−, al fine di determinarne la
concentrazione. Purché C2O42− sia presente a qualunque concentrazione, esso riduce
lo ione MnO4−, di colore violetto scuro, allo ione Mn2+, di colore rosa molto tenue
(quasi incolore) (Figura 4.13, a sinistra). Non appena tutto il C2O42− disponibile è stato
ossidato, la goccia successiva di MnO4− fa diventare di colore violetto chiaro la solu-
zione (Figura 4.13, a destra). Questo cambiamento di colore indica il punto finale, os-
sia il punto in cui il numero di elettroni ceduti dalla specie ossidata (C2O42−) è uguale
al numero degli elettroni acquistati dalla specie ridotta (MnO4−). Poi calcoliamo la
concentrazione della soluzione di C2O42− in base al suo volume noto, al volume e alla
concentrazione noti della soluzione di MnO4− e all’equazione bilanciata.

KMnO4(aq)

Figura 4.13 Una titolazione


redox. L’agente ossidante nella
Na2C2O4(aq) buretta, KMnO4, è intensamente
colorato e quindi serve anche da
indicatore. Quando reagisce con
l’agente riducente, C2O42−, nella
beuta, il suo colore cambia da
violetto scuro a quasi incolore (a
sinistra). Quando tutto il C2O42− è
stato ossidato, la goccia succes-
siva di KMnO4 non subisce rea-
zione e fa assumere alla solu-
zione un colore violetto chiaro
Equazione ionica netta: (a destra), segnalando il punto
7 3 2 4 finale della titolazione. (Foto: ©
2MnO4(aq)  5C2O42(aq) 
 16H (aq) 2
2Mn (aq)  10CO2(g)  8H2O(l) McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).

04txt.indd 125 16/05/19 18:47


126 Capitolo 4

La preparazione di un campione per una titolazione redox richiede parecchie tappe


di laboratorio. Nel Problema di verifica 4.9, per esempio, è determinata la concen-
trazione ematica dello ione Ca2+. Prima si fa precipitare lo ione Ca2+ sotto forma
di ossalato di calcio (CaC2O4), usando ossalato di sodio (Na2C2O4) in eccesso. Il pre-
cipitato viene filtrato e trattato con una soluzione diluita di H2SO4, che lo scioglie
rilasciando lo ione C2O42−, che poi viene titolato con una soluzione standardizzata
di KMnO4. Determinata la concentrazione di C2O42−, la si usa per determinare la
concentrazione ematica iniziale di Ca2+.

Determinazione della concentrazione incognita mediante titolazione


redox
PROBLEMA DI VERIFICA 4.9
Problema Lo ione calcio (Ca2+) è necessario per la coagulazione del sangue e per molti
altri processi cellulari. Una concentrazione anormale di Ca2+ è indicativa di una condizione
patologica. Per misurare la concentrazione di Ca2+, 1,00 mL di sangue umano vengono trat-
tati con una soluzione di Na2C2O4. Il precipitato di CaC2O4 che si è formato è stato filtrato e
disciolto in H2SO4 diluito. Questa soluzione ha richiesto 2,05 mL di soluzione 4,88 × 10−4 M
in KMnO4 per raggiungere il punto finale. L’equazione non bilanciata è
KMnO4(aq) + CaC2O4(s) + H2SO4(aq)
MnSO4(aq) + K2SO4(aq) + CaSO4(s) + CO2(g) + H2O(l)
2+
(a) Si calcoli la quantità (in moli) di Ca .
(b) Si calcoli la concentrazione dello ione Ca2+ espressa in mg Ca2+/100 mL di sangue.
(a) Calcolo delle moli di Ca2+
volume (L) di soluzione
Piano Come sempre, prima bilanciamo l’equazione. Tutto lo ione Ca2+ presente nel campio-
di KMnO4 ne di 1,00 mL di sangue è stato fatto precipitare e poi è stato sciolto in H2SO4. Troviamo il
numero di moli di KMnO4 necessarie per raggiungere il punto finale in base al volume (2,05
moltiplicare per M (mol/L) mL) e alla molarità (4,88 × 10−4 M) e usiamo il rapporto molare per calcolare il numero di moli
di CaC2O4 sciolte in H2SO4. Poi, in base alla formula chimica, troviamo le moli di ioni Ca2+.
quantità (mol) di KMnO4 Risoluzione Bilanciamento dell’equazione:
2KMnO4(aq) + 5CaC2O4(s) + 8H2SO4(aq)
rapporto molare 2MnSO4(aq) + K2SO4(aq) + 5CaSO4(s) + 10CO2(g) + 8H2O(l)
Conversione da millilitri e molarità a moli di KMnO4 per raggiungere il punto finale:
quantità (mol) di CaC2O4
1 L 4,88 ×10 −4 mol KMnO 4
=
moli di KMnO 4 2,05 mL soluz. × ×
rapporto degli elementi
1000 mL 1 L soluz.
nella formula chimica = 1,00 ×10 −6 mol KMnO 4

quantità (mol) di Ca2 Conversione da moli di KMnO4 a moli di CaC2O4 titolato:


5 mol CaC2O4
1,00 ×10 −6 mol KMnO 4 ×
moli di CaC2O4 =
2 mol KMnO 4
= 2,50 ×10 −6 mol CaC2O 4

Determinazione delle moli di Ca2+ presente:


1 mol Ca 2+
moli di Ca2+ = 2,50 ×10 −6 mol CaC 2O 4 ×
1 mol CaC 2O 4
= 2,50 × 10−6 mol Ca2+
Verifica È necessario un volume molto piccolo di KMnO4 diluito, e quindi 10−6 mol di
KMnO4 sembrano ragionevoli. Il rapporto molare (5CaC2O4)/(2KMnO4) dà 2,5 × 10−6 mol di
CaC2O4 e quindi 2,5 × 10−6 mol di Ca2+.
(b) Espressione della concentrazione di Ca2+ come mg/100 mL sangue
Piano La quantità nella parte (a) rappresenta le moli di ione Ca2+ presenti in 1,00 mL di
sangue. Moltiplichiamo per 100 per ottenere le moli di ione Ca2+ in 100 mL di sangue e poi
usiamo la massa atomica di Ca per convertire in grammi e poi in milligrammi di Ca2+/100 mL
sangue.

04txt.indd 126 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 127

Risoluzione Determinazione delle moli di Ca2+/100 mL sangue:


2,50 ×10 −6 mol Ca 2+ [quantità (mol) di Ca2]/
moli di Ca 2+ /100 mL sangue = ×100
1,00 mL sangue (1 mL sangue)

= 2,50 ×10 −4 mol Ca 2+ /100 mL sangue moltiplicare per 100

Conversione da moli a milligrammi di Ca2+:


−4 [quantità (mol) di Ca2]/
2,50 ×10 molCa 2+ 40,08 g Ca 2+ 1000 mg (100 mL sangue)
massa (mg) Ca2+/100 mL sangue = × ×
100 mL sangue 1 mol Ca 2+ 1 g
2+
= 10,0 mg Ca /100 mL sangue moltiplicare per ' (g/mol)

Verifica Le quantità relative di Ca2+ hanno senso. Se vi sono 2,5 × 10−6 mol/mL sangue, [massa (g) di Ca2]/
vi sono 2,5 × 10−4 mol/100 mL sangue. Una massa molare di circa 40 g/mol per Ca2+ dà (100 mL sangue)
100 × 10−4 g, ossia 10 × 10−3 g/100 mL sangue. In questo tipo di calcolo è facile commet-
tere uno sbaglio di ordine di grandezza (potenza di 10), e quindi si deve badare a includere 1g 1000 mg
tutte le unità.
Commento 1. L’intervallo normale di concentrazione ematica dello ione Ca2+ in un adulto [massa (mg) di Ca2]/
umano è di 9,0-11,5 mg Ca2+/100 mL sangue, e quindi il valore trovato sembra ragionevole. (100 mL sangue)
2. Durante una donazione di sangue, il sacco ricevente contiene una soluzione di Na2C2O4
che fa precipitare lo ione Ca2+ impedendo la coagulazione del sangue.
3. Una titolazione redox è analoga a una titolazione acido-base: nei processi redox vengono
ceduti e acquistati elettroni, mentre nei processi acido-base vengono ceduti e acquistati
ioni H+.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.9 Un campione di 2,50 mL di latte


“magro” (a basso tenore di grassi) è stato trattato con ossalato di sodio e il precipitato è stato
filtrato e sciolto in H2SO4. Questa soluzione ha richiesto 6,53 mL di soluzione 4,56 × 10−3 M
in KMnO4 per raggiungere il punto finale.
(a) Si calcoli la molarità di Ca2+ nel latte.
(b) Qual è la concentrazione di Ca2+ espressa in grammi al litro (g/L)? Questo valore è
compatibile con il valore tipico nel latte, pari a circa 1,2 g Ca2+/L?

4.6 SOSTANZE ELEMENTARI NELLE REAZIONI


R
­ EDOX
Come abbiamo visto in questo capitolo, il metodo moderno per classificare le rea­
zioni si ba­sa sul processo chimico che dà origine alla reazione: reazioni di precipita-
zione, reazioni a­­cido-base o reazioni di ossidoriduzione (reazioni redox). Un metodo
usato un tempo comunemente per classificare le reazioni si basava sul confronto
tra il numero dei reagenti e il numero dei prodotti. Secondo questo metodo, si
riconoscevano tre tipi di reazioni.
• Le reazioni di combinazione erano quelle in cui due o più reagenti formavano
un solo prodotto:
X+Y Z
• Le reazioni di decomposizione erano quelle in cui un solo reagente formava due
o più prodotti:
Z X+Y
• Le reazioni di scambio o di spostamento erano quelle in cui nei due membri
dell’equazione compariva lo stesso numero di sostanze, ma gli atomi (o gli ioni)
si scambiavano il posto, come nella seguente reazione di scambio semplice:
X + YZ XZ + Y
Una caratteristica di questa precedente classificazione che è particolarmente perti-
nente ai processi di ossidoriduzione è che quando una sostanza elementare compare
come reagente oppure come prodotto, la trasformazione è una reazione redox.
Esistono molte reazioni redox a cui non partecipano elementi liberi, come quella
tra MnO4− e Ca2O42− che abbiamo visto poc’anzi, ma qui concentreremo l’attenzione
su quelle reazioni a cui partecipano elementi come sostanze libere, non combinate.

04txt.indd 127 16/05/19 18:47


128 Capitolo 4

Combinazione di due elementi Due elementi possono reagire per formare com-
posti ionici binari o composti covalenti. In ogni caso, avviene una variazione netta
della di­stribuzione della carica elettronica e quindi variano i numeri di ossidazione
degli elementi. Ecco alcuni esempi importanti.
1. Un metallo e un non metallo formano un composto ionico. La Figura 4.14 mostra
la reazione tra un metallo alcalino e un alogeno su scala osservabile e su scala
atomica. Si noti la variazione dei numeri di ossidazione. Come si può vedere, K
Figura 4.14 Combinazione viene ossidato e quindi è l’agente riducente; Cl2 viene ridotto e quindi è l’agente
di elementi per formare un
composto ionico. Quando il ossidante.
metallo potassio e il non metal- L’alluminio reagisce con O2, come fa pressoché ogni metallo, per formare ossidi
lo cloro reagiscono, formano il ionici:
composto ionico solido cloruro 0 0 +3 −2
di potassio. Le fotografie (in
alto) presentano l’immagine 4Al( s ) + 3O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2Al 2O3 ( s )
che il chimico vede in labo-
ratorio. Le frecce indicano gli
ingrandimenti che rappresenta- 2. Due non metalli formano un composto covalente. In uno tra migliaia di esempi, l’am-
no il processo su scala atomica
(in centro); la stechiometria
moniaca si forma a partire da azoto e idrogeno in una reazione che nell’industria si
è indicata dalle sferette di svolge su scala enorme:
colore più scuro. L’equazione +1
redox bilanciata è presentata 0 0 −3
con i numeri di ossidazione (in N 2 ( g ) + 3H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NH3 ( g )
basso). (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tographer).

+
K −
Cl K+ −
K K Cl

Cl2

0 0 +1 −1
2K(s) + Cl2(g) 2KCl(s)
potassio cloro cloruro di potassio

04txt.indd 128 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 129

Gli alogeni formano molti composti con altri non metalli, come nella formazione
di tricloruro di fosforo, un importante reagente nella produzione di pesticidi e altri
composti organici:
−1
0 0 +3

P4 ( s ) + 6Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4PCl3 ( l )

Quasi tutti i non metalli reagiscono con O2 per formare un ossido covalente, come
quando si forma monossido di azoto alle altissime temperature generate nell’aria dai
fulmini: −2
0 0 +2

N2 ( g) + O2 ( g) ⎯ ⎯
→ 2NO( g )

Combinazione di un composto e un elemento Molti composti covalenti bi-


nari reagiscono con non metalli per formare composti più grandi. Molti ossidi non
metallici reagiscono con O2 addizionale per formare ossidi “superiori” (ossidi con un
maggior numero di atomi di O in ogni molecola). Per esempio, una tappa essenziale
nella generazione dello smog urbano è
−2 −2
+2 0 +4
2NO( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NO 2 ( g )

Analogamente, molti alogenuri di non metalli si combinano con alogeno addizionale:


−1 −1
+3 0 +5

PCl3 ( l ) + Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ PCl5 ( s )

Decomposizione di composti in elementi Avviene una reazione di decompo-


sizione quando un reagente assorbe energia sufficiente per la rottura di uno o più
dei suoi legami. L’energia assorbita può assumere molte forme – energia termica
(calore), energia elettrica, energia luminosa, energia meccanica e così via – ma in
questo contesto concentreremo l’attenzione sul calore e sull’energia elettrica. I pro-
dotti sono elementi, oppure elementi e composti più piccoli. Ecco alcuni esempi
comuni.

1. Decomposizione termica. Quando l’energia assorbita è energia termica (calore),


la reazione è una decomposizione termica. [Il simbolo Δ (lettera delta maiuscola
dell’alfabeto greco), al di sopra di una freccia di reazione, indica che la reazione
richiede calore]. Molti ossidi, clorati e perclorati di metalli rilasciano ossigeno
quando vengono riscaldati fortemente. La Figura 4.15 mostra la decomposizione,
su scala macroscopica e su scala atomica, dell’ossido di mercurio(II), usato da
Lavoisier e Priestley nei loro esperimenti, diventati classici. Il riscaldamento del
clorato di potassio è un metodo moderno per la formazione di piccole quantità
di ossigeno in laboratorio:
+5 −1
+1 −2 +1 0
Δ
2KClO3 ( s ) ⎯ ⎯→ 2KCl( s ) + 3O 2 ( g )

È importante notare che, in questi casi, il reagente solitario è l’agente ossidante e


riducente. Per esempio, nel caso di HgO, O2− riduce Hg2+ (e Hg2+ ossida O2−).
2. Decomposizione elettrolitica. In molti casi, un composto può assorbire energia
elettrica e decomporsi nei suoi elementi, in un processo noto come elettrolisi.

04txt.indd 129 16/05/19 18:47


130 Capitolo 4

O2  Hg
O2 
Hg2  Hg2  Hg

'
 O2

2 2 0 0
2HgO(s) ' 2Hg(l )  O2(g)
ossido di mercurio(II) mercurio ossigeno

Figura 4.15 Decomposizione ­L’osservazione dell’elettrolisi dell’acqua ebbe un’importanza cruciale per la deter-
di un composto nei suoi ele-
minazione delle masse atomiche:
menti. In seguito a riscalda-
mento, l’ossido di mercurio(II) +1 −2 0 0
solido si decompone in mercurio elettricità
liquido e ossigeno gassoso; 2H2O( l ) ⎯ ⎯⎯⎯→ 2H2 ( g ) + O2 ( g )
immagine macroscopica (vista
in laboratorio) (in alto); rappre- Molti metalli attivi, quali sodio, magnesio e calcio, vengono prodotti industrialmen-
sentazione su scala atomica, te mediante elettrolisi dei loro alogenuri fusi:
in cui le sferette di colore più
scuro mostrano la stechiometria +2 −1 0 0
(in centro); equazione redox elettricità
MgCl 2 ( l ) ⎯ ⎯⎯⎯ → Mg( l ) + Cl 2 ( g )
bilanciata (in basso). (Foto: ©
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).
Esamineremo i dettagli dell’elettrolisi nel Capitolo 21.

Spostamento di un elemento da parte di un altro; serie di attività Come


abbiamo messo in rilievo precedentemente, nelle reazioni di scambio (o di sposta-
mento) il numero dei reagenti è uguale al numero dei prodotti. Abbiamo menzionato
le reazioni di doppio scambio (reazioni di metatesi) quando abbiamo esaminato le
reazioni di precipitazione e le reazioni acido-base. Qui consideriamo le cosiddette
reazioni di scambio semplice, che sono tutte processi di ossidoriduzione. Avvengono
quando un atomo sposta lo ione di un differente atomo dalla soluzione. Quando alla
reazione partecipano metalli, l’atomo riduce lo ione; quando partecipano non metalli
(specificamente alogeni), l’atomo ossida lo ione. I chimici classificano vari elementi
in serie di attività – una per i metalli e una per gli alogeni – ordinandoli secondo la
capacità di spostarsi l’un l’altro.
1. La serie di attività dei metalli. I metalli possono essere classificati secondo la loro
capacità di spostare H2 da varie fonti o di spostare un altro metallo dalla soluzione.

04txt.indd 130 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 131

H2O
OH−
Li Li Li+

Li+

H2
OH−
H2O

0 +1 −2 +1 −2 +1 0
2Li(s) + 2H2O(l ) 2LiOH(aq) + H2(g)
litio acqua idrossido di litio idrogeno

Figura 4.16 Un metallo attivo sposta l’idrogeno dall’ac- da un’equazione bilanciata (in basso). (Per chiarezza, la rap-
qua. Il litio sposta l’idrogeno dall’acqua in una reazione presentazione dell’acqua su scala atomica è stata molto sem-
vigorosa che dà una soluzione acquosa di idrossido di litio e plificata, e soltanto le molecole d’acqua che partecipano alla
idrogeno gassoso. Il processo è mostrato su scala macroscopi- reazione sono colorate in rosso e in blu). (Foto: © McGraw-Hill
ca (in alto) e su scala atomica (in centro) ed è rappresentato Education/Stephen Frisch, photographer).

(a) Un metallo sposta H2 dall’acqua o da un acido. I metalli più reattivi, come


quelli del Gruppo 1A(1) e Ca, Sr e Ba del Gruppo 2A(2), spostano H2 dall’ac-
qua, e lo fanno vigorosamente. La Figura 4.16 mostra questa reazione nel
caso del litio. È necessario fornire calore per accelerare la reazione dei me-
talli lievemente meno reattivi, quali Al e Zn, affinché essi spostino H2 dal
vapore acqueo:
+1
0 +1 −2 +3 −2 0

2Al( s ) + 6H2O( g ) ⎯ ⎯
→ 2Al(OH)3 ( s ) + 3H2 ( g )

I metalli ancora meno reattivi, quali il nichel e lo stagno, non reagiscono


con l’acqua ma reagiscono con gli acidi, dai quali è più facile spostare H2
(Figu­ra 4.17). L’equazione ionica netta è la seguente:

0 +1 +2 0
+ 2+
Ni( s ) + 2H ( aq ) ⎯ ⎯
→ Ni ( aq ) + H2 ( g )

Si noti che in tutte queste reazioni il metallo è l’agente riducente (il nume-
ro di ossidazione del metallo aumenta) e l’acqua o l’acido è l’agente ossidan-
Figura 4.17 Lo spostamento
te (il numero di ossidazione di H diminuisce). I metalli meno reattivi, quali di H2 dall’acido per opera del
l’argento e l’oro, non sono in grado di spostare H2 da qualunque fonte. nichel. (Foto: © McGraw-Hill
(b) Un metallo sposta lo ione di un altro metallo dalla soluzione. I confronti diretti Education/Stephen Frisch, pho-
delle reattività dei metalli sono più chiari in queste reazioni. Per esempio, lo tographer).

04txt.indd 131 16/05/19 18:47


132 Capitolo 4

Figura 4.18 Scambio di un


metallo con un altro. I metalli
più reattivi sono capaci di spo-
stare i metalli meno reattivi
dalla soluzione. In questa rea-
zione, gli atomi di Cu diventano
ioni Cu2+ e abbandonano il filo,
mentre trasferiscono elettroni
filo di rame
ai due ioni Ag+ che diventano filo di rivestito
atomi di Ag e rivestono il filo. rame d’argento
La reazione è mostrata su scala
soluzione
macroscopica (in laboratorio) soluzione di nitrato
(in alto) e su scala atomica di nitrato di rame
(in centro) ed è rappresentata d’argento
come equazione redox bilancia-
ta (in basso). (Foto: © McGraw- Ag
Hill Education/Stephen Frisch, 2e Cu2
photographer).

Ag

atomi di Ag
che rivestono
il filo atomi di Cu
nel filo

15 2 0 25 2 0
2AgNO3(aq)  Cu(s) Cu(NO3)2(aq)  2Ag(s)

Li
K zinco metallico sposta lo ione rame(II) dalla soluzione di solfato di rame(II),
possono spostare
Ba H dall’acqua come indica l’equazione ionica totale:
2
Ca
Na +6 +6
+2 −2 0 0 +2 −2
Mg
Al Cu 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq ) + Zn( s ) ⎯ ⎯
→ Cu( s ) + Zn 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq )
Mn
potere riducente

possono spostare H2
Zn La Figura 4.18 illustra a livello atomico che il rame metallico è capace di
dal vapore acqueo
Cr spostare lo ione argento dalla soluzione. Perciò, lo zinco è più reattivo del
Fe
rame, il quale è più reattivo dell’argento.
Cd
Co Sui risultati di molte di queste reazioni tra metalli e acqua, acidi in soluzione ac-
Ni possono spostare quosa e soluzioni di ioni metallici si basa la serie di attività dei metalli, la quale
Sn H2 dagli acidi
è mostrata nella Figura 4.19 in forma di elenco ordinato: gli elementi che occupano
Pb
H2
le posizioni superiori sono agenti riducenti più forti rispetto a quelli che occupano
Cu le posizioni inferiori. L’elenco indica anche se il metallo sia capace di spostare H2 e,
Hg non possono in caso affermativo, quale sia la sua fonte. Usando semplicemente gli esempi appena
Ag spostare H2 esaminati, si può vedere che Li, Al e Ni sono situati al di sopra di H2, mentre Ag si
Au da qualsiasi fonte trova sotto, e che Zn è posizionato sopra Cu, il quale a sua volta è situato sopra Ag.
2. La serie di attività degli alogeni. La reattività decresce dall’alto al basso lungo il
Figura 4.19 La serie di attivi- Gruppo 7A(17), e quindi possiamo ordinare gli alogeni nella loro serie di attività:
tà dei metalli. Questo elenco di
metalli (e di H2) è ordinato con F2 > Cl2 > Br2 > I2
il metallo più attivo (l’agente
riducente più forte) alla sommità Un alogeno che occupa una posizione superiore nella tavola periodica è un agente
e il metallo meno attivo (l’agente ossidante più forte di uno che occupa una posizione inferiore. Così, il cloro è capace
riducente più debole) al fondo. I
di ossidare gli ioni bromuro o gli ioni ioduro in soluzione, e il bromo è capace di
quattro metalli al di sotto di H2
non sono capaci di spostarlo da ossidare gli ioni ioduro. In questo caso, il cloro sposta il bromo:
qualsiasi fonte. (La classificazione
−1 0 0 −1
si riferisce al com­­­­­portamento in

soluzione acquosa). → Br2 ( aq ) + 2Cl− ( aq )
2Br ( aq ) + Cl 2 ( aq ) ⎯ ⎯

04txt.indd 132 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 133

Reazioni di combustione La combustione è il processo di combinazione con


l’ossigeno che di solito avviene con il rilascio di grandi quantità di calore e luce,
• Combustione senza
fiamma nell’era spaziale Le
spesso sotto forma di fiamma. reazioni di combustione sono usate
Ne è un esempio comune la combustione nell’aria. Anche se non sempre rien- per generare grandi quantità di
energia. Nella maggior parte delle
trano chiaramente in classi basate sul numero di reagenti e di prodotti, tutte le rea- applicazioni comuni, il combustibi-
zioni di combustione sono processi redox perché l’ossigeno elementare è un reagente: le vie­ne bruciato e l’energia viene
rilasciata sotto forma di calore (in
S8(s) + 8O2(g) 8SO2(g) un forno) o sotto forma di lavoro e
calore (in un motore a combustio-
Le reazioni di combustione che utilizziamo per generare energia impiegano come ne interna). A bordo delle navet-
reagenti miscele organiche quali il carbone fossile, la benzina e il gas naturale (i te spaziali, dispositivi denominati
combustibili fossili). Queste miscele sono costituite da sostanze con molti legami celle a combustibile generano e­ner­gia
car­bonio-carbonio e carbonio-idrogeno. Durante la reazione, questi legami si rom- elettrica dalla combustione senza
fiamma dell’idrogeno gassoso. H2 è
pono, e ogni atomo di C e di H si combina con l’ossigeno. Perciò i prodotti sono l’agente riducente e O2 è l’agente
costituiti tipicamente da CO2 e H2O. La combustione dell’idrocarburo butano, im- ossidante in un processo di reazione
piegato negli accendini, ne è un tipico esempio: controllato complesso, che produce
acqua, che gli astronauti usano per
2C4H10(g) + 13O2(g) 8CO2(g) + 10H2O(g) scopi potabili. Si stanno studiando
celle a combustibile basate sulla
La respirazione cellulare può essere considerata come un processo di combustione reazione di H2 o di metanolo (alcol
che avviene nelle cellule del nostro corpo – per fortuna senza fiamma – quando metilico; CH3OH) con O2 da impie-
“bruciamo” sostanze organiche alimentari, come il glucosio, per ricavarne energia: gare nei motori automobilistici.

C6H12O6(s) + 6O2(g) 6CO2(g) + 6H2O(g) + energia

Identificazione del tipo di reazione redox


PROBLEMA DI VERIFICA 4.10
Problema Si classifichi ciascuna delle seguenti reazioni redox come una reazione di com-
binazione, una reazione di decomposizione o una reazione di scambio (o di spostamento),
si scriva un’equazione molecolare bilanciata per ciascuna di esse, nonché l’equazione ionica
totale e l’equazione ionica netta per la parte (c), e si identifichino l’agente ossidante e
­l’agente riducente:
(a) magnesio(s) + azoto(g) nitruro di magnesio(s)
(b) perossido di idrogeno(l) acqua + ossigeno gassoso
(c) alluminio(s) + nitrato di piombo(II)(aq) nitrato di alluminio(aq) + piombo(s)
Piano Per decidere sul tipo di reazione, teniamo presente che le reazioni di combinazione
generano un numero di prodotti minore del numero di reagenti, che le reazioni di decom-
posizione generano un numero di prodotti maggiore del numero di reagenti e che nelle rea-
zioni di scambio (o di spostamento) il numero dei reagenti è uguale al numero dei prodotti.
Il numero di ossidazione dell’agente riducente diventa più positivo e quello dell’agente
ossidante diventa meno positivo.
Risoluzione (a) Reazione di combinazione : due sostanze formano una sostanza sola.
Questa reazione avviene, insieme alla formazione di ossido di magnesio, quando il magnesio
brucia nell’aria:
0 0 +2 −3
3Mg(s) + N 2(g) ⎯ ⎯→ Mg 3N 2(s)

Mg è l’agente riducente; N2 è l’agente ossidante .


(b) Reazione di decomposizione : una sostanza forma due sostanze. Questa reazione avvie-
ne in ogni bottiglia di questo antisettico di uso comune (acqua ossigenata). Il perossido di
idrogeno è molto instabile e si decompone quando è esposto al calore o alla luce o viene
semplicemente agitato:
−1
+1 −1 +1 −2 0
2 H2O 2 (l ) ⎯ ⎯→2 H2O (l ) + O 2 ( g)

H2O2 è l’agente sia ossidante sia riducente . Il numero di ossidazione di O nei perossidi è −1.
Aumenta a 0 in O2 e diminuisce a −2 in H2O.

04txt.indd 133 16/05/19 18:47


134 Capitolo 4

(c) Reazione di scambio (o di spostamento): due sostanze formano due sostanze. Come
mostrato nella Figura 4.19, Al è più attivo di Pb e, quindi, lo sposta dalla soluzione acquosa:
−2 −2
0 +2 +5 +3 +5 0
2Al (s ) + 3Pb (NO3 ) 2 (aq) ⎯→ 3Al ( NO3)3(aq) + 3Pb(s)

Al è l’agente riducente; Pb(NO3)2 è l’agente ossidante . L’equazione ionica totale è

2Al(s) + 3Pb2+(aq) + 6NO3−(aq) 2Al3+(aq) + 6NO3−(aq) + 3Pb(s)

L’equazione ionica netta è


2Al(s) + 3Pb2+(aq) 2Al3+(aq) + 3Pb(s)

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.10 Si classifichi ciascuna delle seguen-


ti reazioni redox come una reazione di combinazione, una reazione di decomposizione o
una reazione di scambio (o di spostamento), si scriva un’equazione molecolare bilanciata per
ciascuna, nonché l’equazione ionica totale e l’equazione ionica netta per le parti (b) e (c), e si
identifichino l’agente ossidante e l’agente riducente:
(a) S8(s) + F2(g) SF4(g)
(b) CsI(aq) + Cl2(aq) CsCl(aq) + I2(aq)
(c) Ni(NO3)2(aq) + Cr(s) Cr(NO3)3(aq) + Ni(s)

4.7 REAZIONI REVERSIBILI: UN’INTRODUZIONE


ALL’EQUILIBRIO CHIMICO
Abbiamo considerato finora reazioni che si svolgono “da sinistra a destra”, dai rea­
genti ai prodotti, e proseguono fino al completamento, cioè, finché non è stato
consumato il reagente limitante. Però, molte reazioni sembrano arrestarsi prima
che ciò avvenga. Il motivo è che si svolge anche un’altra reazione, l’inversa della
prima. La reazione diretta (da sinistra a destra) non si è arrestata, ma si svolge alla
stessa velocità anche la reazione inversa (da destra a sinistra). Perciò, non avvengono
ulteriori variazioni delle quantità di reagenti o di prodotti. A questo punto, le miscela di
reazione ha raggiunto l’equilibrio dinamico. Su scala macroscopica, la reazione è
statica; su scala molecolare, però, è dinamica. In linea di principio, tutte le reazioni
sono reversibili e finiranno per raggiungere l’equilibrio dinamico purché tutti i
prodotti rimangano disponibili per la reazione inversa.
Esaminiamo l’equilibrio con un particolare insieme di sostanze. Il carbonato di
calcio, quando viene riscaldato, si dissocia in ossido di calcio e diossido di carbonio:
Δ
CaCO3 ( s ) ⎯ ⎯ → CaO( s ) + CO 2 ( g )  [dissociazione]
Però il carbonato di calcio può formarsi quando l’ossido di calcio e il diossido di
carbonio reagiscono:
CaO(s) + CO2(g) CaCO3(s)  [formazione]
La formazione è semplicemente l’inverso della dissociazione. Supponiamo di por-
re 10 g di CaCO3 in un recipiente di reazione d’acciaio aperto e di riscaldarlo fino
a circa 900 °C, come indicato nella Figura 4.20A. Il CaCO3 comincia a dissociarsi
in CaO e CO2, e il CO2 fugge dal recipiente aperto. La reazione prosegue fino al
completamento perché la reazione inversa (formazione) può volgersi soltanto se è
presente CO2.
Nella Figura 4.20B è eseguito lo stesso esperimento in un recipiente d’acciaio
chiuso, affinché il CO2 rimanga in contatto con il CaO. Comincia la dissociazione
(reazione diretta); ma all’inizio, quando si è dissociato pochissimo CaCO3, sono
presenti soltanto piccolissime quantità di CO2 e CaO; perciò, la formazione (rea-
zione inversa) comincia a malapena. Via via che il CaCO3 continua a dissociarsi, le
quantità di CO2 e CaO nel recipiente di reazione aumentano. Essi reagiscono fra
loro più frequentemente, e la formazione avviene a velocità lievemente maggiore.

04txt.indd 134 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 135

Figura 4.20 Lo stato di


equilibrio. A. In un recipiente
di reazione d’acciaio aperto,
il forte riscaldamento dissocia
' completamente CaCO3 perché il
la reazione prodotto CO2 fugge e non è pre-
CaCO3 CO2 sente per reagire con l’altro pro-
procede fino al si forma
viene completamento dotto, CaO. B. Quando CaCO3 si
riscaldato e fugge CaO dissocia in un recipiente chiuso,
il CO2 è presente per reagire con
CaO e riformare CaCO3 in una
CaCO3(s) CaO(s)  CO2(g) reazione che è l’inverso della
A Sistema non in equilibrio dissociazione. A una data tem-
peratura, il fatto che le quantità
di prodotti e reagenti restino
invariate significa che la reazio-
ne ha raggiunto l’equilibrio.

'
la reazione CO2 si miscela di
CaCO3 raggiunge forma e CaO e CaCO3
viene l’equilibrio permane
riscaldato

CaCO3(s) CaCO3(s) CaO(s)  CO2(g)

B Sistema in equilibrio

Via via che le quantità di CaO e CO2 aumentano, la reazione di formazione accelera
gradualmente. La reazione inversa (formazione) finisce per svolgersi alla stessa ve-
locità della reazione diretta (dissociazione), e le quantità di CaCO3, CaO e CO2 non
variano più: il sistema ha raggiunto l’equilibrio. Questa situazione è indicata con
una coppia di frecce orientate in versi opposti:
CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)

Si deve tenere presente che l’equilibrio può instaurarsi soltanto quando tutte le
sostanze partecipanti alla reazione sono mantenute a reciproco contatto. La scissione
di CaCO3 prosegue fino al completamento nel recipiente aperto perché CO2 fug-
ge dal recipiente.
Le reazioni acido-base in soluzione acquosa che formano un prodotto gassoso
proseguono fino al completamento in un recipiente aperto, per lo stesso motivo:
il gas fugge e quindi la reazione inversa non può avvenire. Anche le reazioni di
precipitazione e altre reazioni acido-base proseguono in gran parte fino al comple-
tamento, anche se tutti i prodotti rimangono nel recipiente di reazione. In questi
casi, gli ioni non sono disponibili in misura rilevante per partecipare al processo
inverso, perché sono legati o come solido insolubile (reazione di precipitazione) o
come molecole d’acqua (reazione acido-base).
Il concetto di reversibilità di una reazione è in relazione anche con il compor-
tamento degli acidi e delle basi che sono elettroliti deboli, cioè, sono elettroliti che
si dissociano in ioni soltanto in piccola misura. La dissociazione viene rapidamente
bilanciata da una riassociazione, cosicché viene raggiunto l’equilibrio in presenza
di pochissimi ioni. Per esempio, quando l’acido acetico si scioglie in acqua, alcune
delle molecole di CH3COOH trasferiscono un protone a H2O e formano gli ioni
H3O+ e CH3COO−. Quando si formano altri di questi ioni, essi reagiscono tra loro
più frequentemente per riformare acido acetico e acqua:
CH3COOH(aq) + H2O(l) H3O+(aq) + CH3COO−(aq)

04txt.indd 135 16/05/19 18:47


136 Capitolo 4

In realtà, in una soluzione 0,1 M in CH3COOH a 25 °C, soltanto circa l’1,3% delle
molecole di acido è dissociato in ogni dato momento. Analogamente, l’ammoniaca,
una base debole, reagisce con acqua per formare ioni. Quando gli ioni prodotti
interagiscono, riformano ammoniaca e acqua, e la velocità della reazione inversa e
quella della reazione diretta si bilanciano presto:
NH3(aq) + H2O(l) NH4+(aq) + OH−(aq)
Si può quindi vedere che alcune reazioni procedono di pochissimo prima di rag-
giungere l’equilibrio, mentre altre procedono pressoché fino al completamento.
E anche due reazioni che procedono pochissimo, come quelle che abbiamo ap-
pena esaminato tra acido acetico o ammoniaca e acqua, procedono in differenti
misure. Sorge quindi una domanda fondamentale: perché ciascun processo, anche
nelle stesse condizioni, raggiunge l’equilibrio con il proprio particolare rapporto
tra concentrazioni dei prodotti e concentrazioni dei reagenti. Si avrà una risposta
esauriente nei capitoli successivi, qui possiamo suggerire i fattori che intervengono.
L’energia disponibile per lo svolgimento di una reazione è la sua energia libera. Il
punto in cui un processo raggiunge l’equilibrio si ha quando la miscela di reazione
ha la sua energia libera più bassa. Due componenti di questa energia libera sono il
calore che una reazione rilascia (o assorbe) e la variazione del grado di ordine del-
le particelle: i solidi sono più ordinati dei gas, le sostanze pure sono più ordinate
delle soluzioni e così via. Una particolare combinazione di questi fattori, esaminata
quantitativamente nel Capitolo 20, determina l’energia libera e, quindi, il punto di
equilibrio per una data miscela di reagenti e di prodotti a una data temperatura.
Molti aspetti dell’equilibrio dinamico sono pertinenti ai sistemi naturali, dal
riciclo dell’acqua nell’ambiente, all’equilibrio di leoni e antilopi sulle pianure afri-
cane, ai processi nucleari che si svolgono nelle stelle. Esamineremo l’equilibrio nei
sistemi chimici e fisici nei Capitoli 12, 13 e dal 17 al 21.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


4.1 (a) KClO 4 ( s ) ⎯ ⎯⎯
H2O
→ K + ( aq ) + ClO−4 ( aq ); L’equazione ionica totale e l’equazione ionica netta sono
identiche.
2 mol di K+ e 2 mol di ClO4−
4.4 Ca(OH)2(aq) + 2HNO3(aq) Ca(NO3)2(aq) + 2H2O(l)
H2O
(b) Mg(C 2H3O 2 ) 2 ( s ) ⎯ ⎯⎯ → Mg 2+ ( aq ) + 2C 2H3O−2 ( aq ); Ca2+(aq) + 2OH−(aq) + 2H+(aq) + 2NO3−(aq)
Ca2+(aq) + 2NO3−(aq) + 2H2O(l)
2,49 mol di Mg2+ e 4,97 mol di C2H3O2−
H+(aq) + OH−(aq) H2O(l)
H O
(c) (NH4 ) 2 CrO 4 ( s ) ⎯ ⎯⎯
2
→ 2NH+4 ( aq ) + CrO 24− ( aq ); 4.5 Ba(OH)2(aq) + 2HCl(aq) BaCl2(aq) + 2H2O(l)
6,24 mol di NH4+ e 3,12 mol di CrO42− volume (L) di soluz.
1L 0,1016 mol HCl
H O
(d) NaHSO 4 ( s ) ⎯ ⎯⎯
2
→ Na + ( aq ) + HSO−4 ( aq ) ; = 50,00 mL HCl soluz. × ×
103 mL 1 L soluz.
0,73 mol di Na+ e 0,73 mol di HSO4− 1 mol Ba (OH)2 1 L soluz.
1 L
× ×
di H+ 451 mL × 3
4.2 Moli = 2 mol HCl 0,1292 mol Ba (OH)2
10 mL = 0,01966 L
3,20 mol HBr 1 mol H+
× × 4.6 (a) numero di ossidazione di Sc = +3; numero di ossida-
1 L soluz . 1 mol HBr
zione di O = −2
= 1, 44 mol H+ (b) numero di ossidazione di Ga = +3; numero di ossidazio-
4.3 (a) Fe3+(aq) + 3Cl−(aq) + 3Cs+(aq) + PO43−(aq) ne di Cl =−1
FePO4(s) + 3Cl−(aq) + 3Cs+(aq) (c) numero di ossidazione di H = +1; numero di ossidazione
di P = +5; numero di ossidazione di O = −2
Fe3+(aq) + PO43−(aq) FePO4(s)
(d) numero di ossidazione di I = +3; numero di ossidazione
(b) 2Na+(aq) + 2OH−(aq) + Cd2+(aq) + 2NO3−(aq) di F = −1
2Na+(aq) + 2NO3−(aq) + Cd(OH)2(s) 4.7 (a) Fe è l’agente riducente; Cl2 è l’agente ossidante.
2OH−(aq) + Cd2+(aq) Cd(OH)2(s) (b) C2H6 è l’agente riducente; O2 è l’agente ossidante.
(c) Non avviene alcuna reazione (c) CO è l’agente riducente; I2O5 è l’agente ossidante.
(d) 2Ag+(aq) + SO42−(aq) + Ba2+(aq) + 2Cl−(aq) 4.8 K2Cr2O7(aq) + 14HI(aq)
2AgCl(s) + BaSO4(s) 2KI(aq) + 2CrI3(aq) + 3I2(s) + 7H2O(l)

04txt.indd 136 16/05/19 18:47


Le principali classi di reazioni chimiche 137

1 L
4.9 (a) moli
= di Ca 2+ 6,53 mL soluz. × 4.10 (a) Reazione di combinazione:
103 mL S8(s) + 16F2(g) 8SF4(g)
4,56 ×10−3 mol KMnO 4 S8 è l’agente riducente; F2 è l’agente ossidante.
×
1 L soluz. (b) Reazione di scambio:
5 mol CaC 2O 4 1 mol Ca 2+ 2CsI(aq) + Cl2(aq) 2CsCl(aq) + I2(aq)
× ×
2 mol KMnO 4 1 mol CaC 2O 4 Cl2 è l’agente ossidante; CsI è l’agente riducente.
= 7,44 ×10−5 mol Ca 2+ 2Cs+(aq) + 2I−(aq) + Cl2(aq)
2Cs+(aq) + 2Cl−(aq) + I2(aq)
7,44 ×10−2 mol Ca 2+ 103 mL
molarità di Ca 2+ = × 2I−(aq) + Cl2(aq) 2Cl−(aq) + I2(aq)
2, 50 mL latte 1L
= 2,98 ×10−2 M Ca 2+ (c) Reazione di scambio:
(b) concentrazione di Ca2+ (g/L) 3Ni(NO3)2(aq) + 2Cr(s) 3Ni(s) + 2Cr(NO3)3(aq)
2,98 ×10−2 mol Ca 2+ 40,08 g Ca 2+ 3Ni2+(aq) + 6NO3−(aq) + 2Cr(s)
= × 3Ni(s) + 2Cr3+(aq) + 6NO3−(aq)
1L 1 mol Ca 2+
1,19 g Ca 2+ 3Ni2+(aq) + 2Cr(s) 3Ni(s) + 2Cr3+(aq)
= Cr è l’agente riducente; Ni(NO3)2 è l’agente ossidante.
1L

04txt.indd 137 16/05/19 18:47


I gas e la teoria cinetica dei gas 5
DA SAPERE PRIMA I gas sono dovunque. L’uomo osserva il loro comportamento, e quello degli altri
stati della materia, fin dall’antichità – tre dei quattro “elementi” degli antichi Greci
• stati fisici della materia
(Paragrafo 1.1) erano l’aria (un gas), l’acqua (un liquido) e la terra (un solido) – ma molti problemi
• conversioni delle unità SI restano irrisolti. In questo e nel Capitolo 12 esamineremo questi stati di aggregazio-
(Paragrafo 1.5) ne della materia e le loro interrelazioni, ma, mentre nel Capitolo 12 affronteremo lo
• conversioni quantità-massa-
numero (Paragrafo 3.1) stato liquido e solido, qui concentreremo l’attenzione su quello gassoso (o aerifor-
me), quello che comprendiamo meglio.
L’atmosfera terrestre – l’involucro gassoso che circonda il nostro pianeta – è una
miscela incolore e inodore di quasi 20 elementi e composti che si estende dalla
superficie terrestre fino a una quota di oltre 500 km. Alcuni dei suoi componenti –
N2
O2, N2, vapore di H2O e CO2 – sono essenziali per la vita perché partecipano a cicli
H2O complessi di reazioni di ossidoriduzione (reazioni redox) in tutto l’ambiente, e noi
CO2 partecipiamo a questi cicli con ogni atto respiratorio. I gas hanno ruoli essenziali
anche nell’industria (Tabella 5.1).
O2
Anche se il comportamento chimico di un gas dipende dalla sua composizione,
tutti i gas hanno un comportamento fisico notevolmente simile. Per esempio, seb-
bene i vari gas implicati nei seguenti casi differiscano tra loro, operano tutti con
lo stesso comportamento fisico: nel funzionamento di un’automobile, nella cottura
del pane, nella spinta del motore di un razzo e nell’esplosione di un chicco di mais
nella preparazione del popcorn. Un altro eclatante esempio: il processo della respi-
H2O razione implica gli stessi principi fisici che presiedono alla generazione di un tuono.
IN QUESTO CAPITOLO prima confronteremo i gas con i liquidi e i solidi e poi

• Interconnessioni redox
esamineremo la pressione dei gas. Considereremo alcune leggi naturali che de-
scrivono il comportamento dei gas e poi esamineremo l’equazione di stato dei
tra atmosfera e biosfera I gas perfetti, che racchiude le altre leggi, e l’applicheremo alla stechiometria
differenti or­ganismi che costituisco- delle reazioni. Spiegheremo il comportamento osservabile dei gas con un mo-
no la biosfera interagiscono intima-
dello molecolare semplice, ma poi troveremo che gli studi dei gas reali, special-
mente con i gas dell’atmosfera. Le
piante ver­ di, utilizzando l’energia mente in condizioni estreme, richiede perfezionamenti dell’equazione di stato
solare, riducono il CO2 atmosferico dei gas perfetti e del relativo modello. Infine, applicheremo questi principi alle
e in­ cor­porano gli atomi di C nella proprietà delle atmosfere planetarie.
propria sostanza. In questo processo,
gli atomi di O nelle molecole di
H2O vengono ossidati e rilasciati 5.1 UNO SGUARDO D’INSIEME
nel­­l’aria sotto forma di O2. Certi mi­­­­
crorganismi che vivono sulle ra­ dici
AGLI STATI FISICI DELLA MATERIA
delle piante riducono N2 a NH3 e for- In opportune condizioni di pressione e temperatura, la maggior parte delle sostan-
mano composti che la pianta utilizza
ze possono esistere allo stato solido, liquido o gassoso. Nei Capitoli 1 e 2 abbiamo
per sintetizzare le proprie pro­teine.
Altri microrganismi che si alimen- descritto questi stati fisici facendo riferimento al modo in cui ciascuno riempie un
tano di piante e di animali morti recipiente e abbiamo cominciato a costruire un modello molecolare che spieghi
ossidano le proteine e rilasciano di questo comportamento macroscopico: un solido ha una forma fissa indipendente-
nuovo N2. Gli animali con­­ sumano
mente dalla forma del recipiente perché le sue particelle sono mantenute rigida-
piante e altri animali, utilizzano O2
per ossidare il proprio alimento, e mente nelle loro posizioni; un liquido assume la forma del recipiente che lo contie-
restituiscono CO2 e H2O all’aria. ne ma ha un volume definito e una superficie libera perché le sue particelle sono

05txt.indd 138 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 139

Tabella 5.1 Alcuni gas industriali importanti


Nome (formula) Origine e uso
Metano (CH4) Giacimenti naturali; combustibile per usi domestici
Ammoniaca (NH3) Dalla reazione N2 + H2; fertilizzanti, esplosivi
Cloro (Cl2) Elettrolisi dell’acqua di mare; sbiancante e disinfettante
Ossigeno (O2) Aria liquefatta; siderurgia
Etilene (C2H4) Decomposizione ad alta temperatura del gas naturale; materie plastiche

vicine l’una all’altra ma libere di muoversi l’una rispetto all’altra; un gas riempie il
recipiente che lo contiene perché le sue particelle sono lontane l’una dall’altra e si
muovono in modo casuale. Parecchi altri aspetti del loro comportamento distinguo-
no i gas dai liquidi e dai solidi.
1. Il volume di un gas varia notevolmente al variare della pressione. Quando un cam-
pione di gas è racchiuso in un recipiente di volume variabile, per esempio in
un sistema stantuffo-cilindro di un motore a combustione interna, una forza
esterna è in grado di comprimere il gas. Eliminando la forza esterna, il volume
del gas aumenta di nuovo. Per contro, un liquido e un solido si oppongono a
rilevanti variazioni del loro volume.
2. Il volume di un gas varia notevolmente al variare della temperatura. Quando un
campione di gas a pressione costante viene riscaldato (se ne aumenta la tempe-
ratura), il suo volume aumenta; quando viene raffreddato, il suo volume dimi-
nuisce. Questa variazione di volume nei gas è 50 ÷ 100 volte maggiore rispetto
ai liquidi e ai solidi.
3. I gas hanno una viscosità relativamente bassa. I gas fluiscono molto più facilmen-
te dei liquidi e dei solidi. Grazie alla loro bassa viscosità, i gas possono fluire
in tubi a grandi distanze e di effondere rapidamente da piccoli fori.
4. La maggior parte dei gas ha densità relativamente basse in condizioni normali di
temperatura e di pressione. Le densità dei gas sono di solito espresse in grammi
al litro (L), mentre le densità dei liquidi e dei solidi sono espresse di solito in
grammi al millilitro (mL), un’unità di densità 1000 volte maggiore (Tabella 1.5).
Per esempio, alla temperatura di 20 °C e a pressione atmosferica normale, la den-
sità di O2(g) è 1,3 g/L, mentre quella di H2O(l) è 1,0 g/mL e quella di NaCl(s) è
2,2 g/mL. Quando si raffredda un gas (se ne diminuisce la temperatura), la sua
densità aumenta perché il suo volume diminuisce: a 0 °C, la densità di O2(g)
aumenta a 1,4 g/L.
5. I gas sono miscibili. Le sostanze miscibili si miscelano l’una con l’altra in qual­
siasi rapporto per formare una soluzione. Per esempio, l’aria secca “pulita” (non
inquinata) è una soluzione di circa 18 gas. Due liquidi, però, possono essere o
no miscibili: l’acqua e l’etanolo sono miscibili, mentre l’acqua e la benzina non
lo sono. Due solidi generalmente non formano una soluzione, salvo che non
vengano miscelati come liquidi fusi e poi lasciati solidificare. • Le espansioni compiono
la­voro Un martello pneumatico
Ciascuna di queste proprietà osservabili offre un indizio per giungere alle proprietà utilizza la forza esercitata dalla rapi-
da espansione dell’aria compressa
molecolari dei gas. Consideriamo, per esempio, questi dati relativi alla densità. A 20 °C per frantumare le rocce e il calce-
e a pressione atmosferica normale, N2 gassoso ha una densità di 1,25 g/L. Se viene raf- struzzo. Quando si preme la valvola
freddato al di sotto di −196 °C, N2 gassoso condensa trasformandosi in N2 liquido e la dell’ugello di una bomboletta di
sua densità sale a 0,808 g/mL. (Si noti il cambiamento di unità). La stessa quantità di pittura spray, i gas propellenti pres-
surizzati che contiene si espandono
azoto occupa ora uno spazio 600 volte più piccolo. Un ulteriore raffreddamento al di nell’aria ambiente a pressione più
sotto di −210 °C produce N2 solido (d = 1,03 g/mL), che è soltanto un po’ più denso bassa ed espellono goccioline di
di N2 liquido. Questi valori mostrano nuovamente che in un gas le molecole sono molto pittura. La rapida espansione di gas
più distanti l’una dall’altra che in un liquido o in un solido. Inoltre, una grande quantità di riscaldati genera fenomeni quali la
distruzione causata da una bomba,
spazio tra le molecole è compatibile con la miscibilità, la bassa viscosità e la comprimi- il decollo di un razzo e lo scoppio
bilità (o compressibilità) dei gas. Nella Figura 5.1 sono messe a confronto le immagini dei chicchi di mais nella preparazio-
macroscopica e molecolare degli stati fisici di una sostanza reale. ne del popcorn.

05txt.indd 139 16/05/19 19:13


140 Capitolo 5

Figura 5.1 I tre stati di


aggregazione della materia.
Molte sostanze pure, come il
bromo (Br2), possono esiste-
re, in appropriate condizioni
di temperatura e pressione,
allo stato gassoso (A), liquido
(B) o solido (C). In A, il bromo
partendo dallo stato liquido è
stato vaporizzato, mentre in C
è stato solidificato. Le rappre-
sentazioni molecolari mostrano
A Gas: le molecole B Liquido: le molecole C Solido: le molecole sono
che la distanze intermolecolari
sono lontane l’una sono vicine l’una impaccate in modo compatto
sono molto maggiori in un gas in una disposizione regolare
dall’altra e occupano all’altra ma si muovono
che in un liquido o in un solido. e si muovono pochissimo
tutto lo spazio disponibile l’una rispetto all’altra
(Foto: © McGraw-Hill Education/ l’una rispetto all’altra
Stephen Frisch, photographer).

5.2 PRESSIONE DI UN GAS E SUA MISURAZIONE


Gonfiando un palloncino si ha una chiara prova che un gas esercita una pressione
sulle pareti del suo recipiente. La pressione (P) è, per definizione, la forza esercita-
ta su una superficie riferita alla sua area:
forza
pressione =
area della superficie
L’attrazione gravitazionale esercitata dalla Terra sui gas atmosferici li attrae verso
la superficie terrestre, dove esercitano una forza su tutti i corpi. La forza esercitata
da questi gas – il loro peso – sulla superficie terrestre costituisce una pressione di
circa 100 000 N/m2 [newton per metro quadrato, l’unità di pressione nel Sistema
Internazionale, denominata pascal (Pa); vedi oltre].
• Racchette da neve e Come vedremo più avanti, le molecole in un gas si muovono in ogni direzione
e quindi la pressione atmosferica si esercita uniformemente sul pavimento, sulle
significato della pressione
Le racchette da neve permettono di pareti, sul soffitto e su ogni corpo presente in una stanza. La pressione atmosferica
camminare sulla neve farinosa senza
che si esercita sulla superficie del nostro corpo dall’esterno è compensata dalla
sprofondare perché distribuiscono
il peso del corpo su una superficie pressione che il nostro corpo esercita sulla superficie dall’interno e quindi la pres-
di area molto maggiore rispetto a sione netta risultante è nulla. Cosa accadrebbe se così non fosse? Come analogia,
quella di uno scarpone, diminuendo consideriamo il recipiente metallico vuoto collegato a una pompa da vuoto della
così notevolmente il peso esercitato
Figura 5.2. Quando la pompa non è attiva, il recipiente conserva la sua forma per-
sull’unità di superficie. L’area di una
racchetta da neve è di solito circa ché la pressione atmosferica che si esercita sulla sua superficie esterna è uguale
10 volte quella della suola di uno a quella che si esercita sulla sua superficie interna. Quando la pompa è attiva, la
scarpone e quindi la racchetta eser- pressione interna diminuisce notevolmente e la pressione esterna, sempre presente,
cita sulla neve una pressione pari a
schiaccia facilmente il recipiente. Un matraccio per filtrazione (e il relativo tubo di
1/10 di quella esercitata dallo scar-
pone. Anche le zampe provviste di collegamento alla pompa da vuoto), usato in laboratorio, ha pareti spesse capaci di
larghi cuscinetti del leopardo delle resistere alla pressione esterna quando nel matraccio è fatto il vuoto.
nevi svolgono questa funzione. Per
lo stesso motivo, le scarpe con tac- Dispositivi di laboratorio per misurare la pressione di un gas
chi a spillo esercitano una pressione
molto maggiore di quella esercitata Il barometro è un dispositivo per misurare la pressione atmosferica. Inventato
dalle scarpe con tacchi larghi. nel XVII sec. dal matematico e fisico italiano Evangelista Torricelli (1608-1647),

05txt.indd 140 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 141

Figura 5.2 Effetto della


pressione atmosferica sui cor-
pi sulla superficie terrestre.
A. In un recipiente metallico
pieno d’aria, la pressione
atmosferica esercitata sulla
superficie interna è ugua-
le a quella esercitata sulla
superficie esterna. B. Quando
di estrae l’aria dal recipiente,
la pressione atmosferica lo
schiaccia. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Charles Winters/
A B Timeframe Photography, Inc.).

il barometro è ancora fondamentalmente un tubo di vetro lungo circa 1 m, chiu-


so a un’estremità, riempito di mercurio e capovolto in una vaschetta contenente
mercurio (Figura 5.3). Quando si capovolge il tubo nella vaschetta una parte del
mercurio defluisce dal tubo, creando il vuoto sopra il mercurio rimasto nel tubo.
Al livello del mare, in condizioni atmosferiche ordinarie, il deflusso del mercurio
dal tubo si arresta quando il dislivello tra la superficie libera del mercurio nel tubo
e la superficie libera del mercurio nella vaschetta è pari a circa 760 mm. Il deflus-
so del mercurio si arresta a 760 mm perché in corrispondenza di questo livello
la colonna di mercurio nel tubo esercita sulla superficie libera del mercurio nella
vaschetta una pressione [(peso della colonna)/(area della sezione della colonna)]
uguale a quella esercitata dalla colonna d’aria che si estende dalla superficie libera
del mercurio nella vaschetta al limite esterno dell’atmosfera. La pressione esercitata
dall’atmosfera sulla superficie del mercurio nella vaschetta, trasmettendosi in tutte
le direzioni, impedisce al mercurio nel tubo di defluire ulteriormente. Analogamen-
te, se si introduce un tubo chiuso a un’estremità, in cui è stato fatto il vuoto, in una
vaschetta piena di mercurio, questo sale nel tubo fino a un’altezza di circa 760 mm
perché la pressione atmosferica lo spinge fino a quell’altezza.
Parecchi secoli fa, le misteriose forze di “aspirazione” erano attribuite al vuoto.
Oggi sappiamo che non è il vuoto che “aspira” il mercurio nel tubo del barometro,
così come non è il vuoto che “aspira” verso l’interno le pareti del recipiente della
Figura 5.2, schiacciandolo. Soltanto la materia – in questo caso, i gas atmosferici – è
capace di esercitare una forza.

vuoto sopra
la colonna
di mercurio

pressione
pressione atmosferica, Patm
esercitata dalla
colonna di mercurio

'h 760 mmHg

vaschetta piena Figura 5.3 Un barometro a


di mercurio mercurio.

05txt.indd 141 16/05/19 19:13


142 Capitolo 5

È importante notare che non abbiamo specificato il diametro del tubo del barometro.
Se il mercurio in un tubo di 1 cm di diametro sale a un’altezza di 760 mm, esso sale alla
stessa altezza anche in un tubo di 2 cm di diametro. Il peso del mercurio è maggiore nel
tubo di diametro maggiore, ma è maggiore anche l’area della sezione del tubo; perciò,
la pressione, il rapporto tra il peso e l’area della superficie su cui si esercita, è la stessa.
Poiché la pressione della colonna di mercurio è direttamente proporzionale
alla sua altezza, un’unità di pressione di uso comune (ammessa tra le unità fuori del
Sistema Internazionale) è l’altezza della colonna di mercurio (simbolo atomico: Hg)
espressa in millimetri: il millimetro di mercurio (mmHg). Esamineremo tra poco
questa e altre unità di pressione. Alla temperatura di 0 °C e al livello del mare, la
pressione atmosferica normale è pari a 760 mmHg, ma sulla vetta del Monte Eve-
rest (8848 m), la pressione atmosferica è pari a soltanto circa 270 mmHg. Perciò,
la pressione diminuisce all’aumentare della quota: la colonna d’aria sopra il livello del
mare è più alta e pesa di più rispetto alla colonna d’aria sopra il Monte Everest.
I barometri da laboratorio contengono mercurio invece di qualche altro liquido
IL MISTERO DELLA
perché l’elevata densità del mercurio permette di realizzare uno strumento di di-
POMPA ASPIRANTE mensioni contenute. Per esempio, la pressione atmosferica a livello del mare sarebbe
uguale alla pressione di una colonna d’acqua alta circa 10 300 mm, ossia circa 10 m.
È importante notare che, per una data pressione, il rapporto delle altezze (h) delle
colonne dei due liquidi è uguale al reciproco del rapporto delle loro densità (d):
hH2O dHg
=
hHg dH2O
Il manometro è un dispositivo per misurare la pressione di un gas in un recipien-
te in un esperimento. La Figura 5.4 mostra due tipi di manometro. Figura 5.4A-B
mostra un manometro a tubo chiuso, esso è costituito da un tubo curvo pieno di
Figura 5.4 Due tipi di mano- mercurio che è chiuso a un’estremità e collegato a un recipiente all’altra. Quando
metro. A. In un manometro nel recipiente è fatto il vuoto (Figura 5.4A), i livelli del mercurio nei due rami
a tubo chiuso collegato a un del tubo sono uguali perché nessun gas esercita una pressione sull’una o sull’altra
recipiente in cui è stato fatto il superficie del mercurio. Quando il recipiente contiene un gas (Figura 5.4B), esso
vuoto i livelli del mercurio nei
due rami sono uguali. B. Un gas
fa scendere il livello del mercurio nel ramo collegato con il recipiente, e quindi il
esercita una pressione sul mer- livello del mercurio sale nel ramo chiuso. La differenza tra le altezze delle colonne
curio nel braccio collegato al (Δh) indica la pressione del gas. Si noti che, se si apre il rubinetto inferiore del re-
recipiente. Il dislivello del mercu- cipiente evacuato, affluendo l’aria nel recipiente Δh indica la pressione atmosferica
rio tra i due rami (Δh) è assunto e il manometro a tubo chiuso diventa un barometro.
come misura della pressione del
gas. C–E. Un manometro a tubo
Il manometro a tubo aperto (o ad aria libera), illustrato nella Figura 5.4C-E, è
aperto (o ad aria libera) in cui costituito anch’esso da un tubo curvo pieno di mercurio, ma in questo caso un’e-
la pressione del gas è uguale stremità del tubo è aperta, ossia in comunicazione con l’atmosfera, mentre l’altra è
alla pressione atmosferica (C), collegata al recipiente contenente il campione di gas. La pressione atmosferica si
la pressione del gas è minore esercita su una superficie del mercurio e la pressione del gas sull’altra. Poiché Δh
della pressione atmosferi­ca
(D), e la pressione del gas è
indica la differenza tra le due pressioni, per calcolare la pressione di un gas con un
maggiore della pressione atmo­ manometro a tubo aperto si deve misurare la pressione atmosferica separatamente
sferica (E). tramite un barometro.

Patm Patm Patm


estremità chiusa
estremità
aperta
vuoto
uguali
livelli del
mercurio 'h 'h 'h

pallone
evacuato Pgas Pgas Pgas Pgas

A B C Pgas Patm D Pgas  Patm E Pgas ! Patm


Pgas Patm  'h Pgas Patm  'h

05txt.indd 142 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 143

Unità di misura della pressione


La pressione, per definizione, è la forza esercitata su una superficie riferita all’area
della superficie. Nel Sistema Internazionale (SI), l’unità di misura della forza è il
newton (N): 1 N è l’intensità di una forza che, applicata a un corpo di massa 1
kg, gli imprime un’accelerazione di 1 m/s2 nella stessa direzione della forza, ossia
1 N = 1 kg ⋅ m/s2. L’unità di misura della pressione nel SI è il pascal (Pa): 1 Pa è la
pressione esercitata dalla forza di 1 N applicata normalmente (perpendicolarmente)
a una superficie di area 1 m2:
1 Pa = 1 N m 2
Un’unità molto più grande (il cui uso è ancora ampiamente diffuso) è l’atmosfera
(atm), definita inizialmente come la pressione esercitata da una colonna di mercurio
alta 760 mm, al livello del mare, a 45° di latitudine e alla temperatura di 0 °C. Oggi
l’atmosfera è definita esattamente come
1 atm = 101325 Pa
Valgono le relazioni
= =
1 atm 101325 = 1,01325×105 Pa
Pa 101,325 kPa (kilopascal)
Un’altra unità di misura della pressione (ammessa tra le unità fuori del SI e impie-
gata principalmente per la pressione sanguigna) è il millimetro di mercurio
(mmHg). (Precedentemente, il simbolo del millimetro di mercurio era “torr”, in
onore di Torricelli). Valgono le relazioni
1 101,325
1,3 ×10−3 atm = kPa =
1 mmHg =atm = 133,322 Pa
760 760
Un’altra unità di misura della pressione (ammessa legalmente tra le unità fuori del
SI) è il bar:
1 bar =
1×102 kPa =
1×105 Pa
Il bar è molto usato in meteorologia (specialmente il suo sottomultiplo millibar;
1 mbar = 10−3 bar).
Nonostante che il SI sia universalmente adottato nella scienza e nella tecnica
(nella UE il suo impiego è obbligatorio per legge), molti chimici continuano a espri-
mere la pressione in millimetri di mercurio e in atmosfere; quindi in questo libro
vengono usate anche queste unità, accanto al pascal, l’unità del SI. Nella Tabella 5.2
sono elencate alcune importanti unità di misura della pressione impiegate in vari
campi scientifici.

Conversione delle unità di misura della pressione


PROBLEMA DI VERIFICA 5.1
Problema Un geochimico riscalda un campione di calcare (CaCO3) e raccoglie il CO2 rila-
sciato in un pallone evacuato, a cui è collegato un manometro a tubo chiuso (vedi Figura
5.4B). Dopo aver portato il sistema a temperatura ambiente, Δh = 291,4 mmHg. Si calcoli
la pressione del CO2 in atmosfere e in kilopascal.

05txt.indd 143 16/05/19 19:13


144 Capitolo 5

Piano La pressione del CO2 è espressa in millimetri di mercurio (mmHg) e quindi costruia­
mo i fattori di conversione in base alla Tabella 5.2 per esprimere la pressione nelle altre
unità di misura.
Risoluzione Conversione da millimetri di mercurio ad atmosfere:
1 atm
PCO2 (atm) = 291, 4 mmHg × = 0,3834 atm
760 mmHg
Conversione da atmosfere a kilopascal:
101,325 kPa
PCO2 (kPa) = 0,3834 atm × = 38,85 kPa
1 atm
Verifica Vi sono 760 mmHg in 1 atm e quindi 300 mmHg dovrebbero essere <0,5 atm.
Vi sono 100 kPa in 1 atm e quindi <0,5 atm dorrebbero essere <50 kPa.
Commento 1. Nella conversione da millimetri di mercurio ad atmosfere, abbiamo conser-
vato 4 cifre significative perché questo fattore di conversione contiene numeri esatti; cioè,
760 mmHg ha tante cifre significative quante sono richieste dal calcolo.
2. Da questo punto in poi, tranne che in situazioni particolarmente complesse, l’elisione delle
unità di misura nei calcoli non sarà più indicata.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.1 Il CO2 rilasciato da un altro campio-


ne di minerale è stato raccolto in un pallone evacuato collegato a un manometro a tubo
aperto (vedi Figura 5.4C). Se l’indicazione del barometro è 753,6 mmHg, Pgas < Patm e Δh è
174,0 mmHg, si calcoli PCO2 in millimetri di mercurio e in pascal.

5.3 LE LEGGI DEI GAS E LE LORO BASI


SPERIMENTALI
Il comportamento fisico di un campione di gas può essere descritto completamente
con quattro variabili: pressione (P), volume (V), temperatura (T) e quantità (numero
di moli, n). Queste variabili sono interdipendenti: ciascuna di esse può essere determi-
nata misurando le altre tre. Oggi sappiamo che questo comportamento prevedibile
quantitativamente è una conseguenza diretta della struttura dei gas a livello mo-
lecolare. Tuttavia, fu scoperto per la maggior parte prima che fosse pubblicata la
teoria atomica di Dalton!
Tra le quattro variabili dei gas intercorrono tre relazioni essenziali: la legge di
Boyle, la legge di Charles e la legge di Avogadro. Ciascuna di queste leggi esprime
l’effetto di una variabile su un’altra mantenendo costanti le altre due variabili. Poi-
ché il volume di un gas può essere misurato facilmente, le leggi dei gas sono tradi-
zionalmente espresse come effetto esercitato sul volume di un gas dalle variazioni
della pressione, della temperatura o della quantità di gas.
Queste tre leggi sono casi particolari di un’unica relazione generale nota come
equazione di stato dei gas perfetti. Questa equazione descrive quantitativamente lo
stato di un cosiddetto gas perfetto (o gas ideale), cioè un gas che presenta relazioni
lineari semplici tra volume, pressione, temperatura e quantità. Anche se in realtà non
esiste un gas perfetto, la maggior parte dei gas semplici, quali N2, O2, H2 e i gas nobili,
presentano un comportamento quasi ideale in condizioni normali di temperatura e di
pressione. Esamineremo l’equazione di stato dei gas perfetti dopo i tre casi particolari.

La relazione tra volume e pressione: la legge di Boyle


Dopo l’invenzione del barometro da parte di Torricelli, il grande chimico e fisico
britannico Robert Boyle (1627-1691) condusse una serie di esperimenti che lo
condussero a concludere che, a una data temperatura, il volume occupato da un gas
è inversamente proporzionale alla sua pressione. La Figura 5.5 mostra l’esperimento
di Boyle e alcuni dati tipici che egli avrebbe potuto raccogliere. Boyle costruì
un tubo di vetro a forma di J, sigillò il ramo più corto e versò mercurio nel ramo
più lungo, intrappolando così nel ramo più corto una certa quantità di aria, il gas
oggetto dell’esperimento. In base all’altezza della colonna d’aria intrappolata e al
diametro del tubo, Boyle calcolò il volume dell’aria. La pressione totale applicata

05txt.indd 144 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 145

P (mmHg) PV
V (mL) 1/Ptotale
'h  Patm Ptotale (mmHg ˜ mL)

Patm
Patm
20,0 20,0 760 780 0,00128 1,56u104
Hg 15,0 278 760 1038 0,000963 1,56u104
10,0 800 760 1560 0,000641 1,56u104
Ptotale Ptotale 5,0 2352 760 3112 0,000321 1,56u104
C
780 mmHg 1560 mmHg
campione di gas
(aria intrappolata) 20 20

volume (mL)

volume (mL)
'h 800 mm 15 15

V 10 mL 10 10
V 20 mL 5 5
'h 20 mm
0 0
1000 2000 3000 0,0005 0,0010 0,0015
A B D Ptotale (mmHg) E 1/Ptotale (mmHg1)

all’aria intrappolata era la pressione atmosferica (misurata con un barometro) più Figura 5.5 La relazione tra
quella esercitata dalla colonna di mercurio (Figura 5.5A). Versando mercurio nel vo­lume e pressione di un gas.
ramo lungo del tubo, Boyle aumentava la pressione totale esercitata sull’aria, e il vo- A. Una piccola quantità di aria
(il gas) è intrappolata nel brac-
lume dell’aria diminuiva (Figura 5.5B). Poiché la temperatura e la quantità dell’aria cio corto di un tubo a J; n e T
erano costanti, Boyle era in grado di misurare direttamente l’effetto della pressione sono fisse. La pressione totale
applicata sul volume dell’aria. sul gas (Ptotale) è la somma della
Si notino i seguenti risultati (Figura 5.5): pressione dovuta al dislivello
delle colonne di mercurio (Δh)
• il prodotto dei valori corrispondenti di P e di V è costante (Figura 5.5C, ultima e della pressione atmosferica
colonna a destra); (Patm). Se Patm = 760 mmHg,
• V è inversamente proporzionale a P (Figura 5.5D); Ptotale = 780 mmHg. B. Quando
si aggiunge mercurio, la pres-
• V è direttamente proporzionale a 1/P (Figura 5.5E) e genera una relazione sione totale sul gas aumenta
lineare (rappresentata da una retta) tra V e 1/P. Questa relazione lineare tra due e il volume (V) diminuisce. Si
variabili dei gas è una caratteristica del comportamento dei gas perfetti. noti che, se si raddoppia Ptotale
(portandola a 1560 mmHg), V
La generalizzazione delle osservazioni di Boyle è nota come legge di Boyle: a si dimezza. (I livelli del mer-
temperatura costante, il volume occupato da una quantità fissa di gas è inversamente curio non sono rappresentati
proporzionale alla pressione applicata (alla pressione esterna); ossia, in simboli, in scala). C. Alcuni tipici dati
sulla relazione volume-pressione
1 ottenuti dall’esperimento. D. Un
V∝ [T e n fisse ] (5.1) diagramma di V in funzione di
P Ptotale mostra che V è inversa-
Questa relazione può essere espressa nelle forme mente proporzionale a P. E. Un
diagramma di V in funzione di
costante 1/Ptotale è un segmento di retta
=PV =
costante ossia V [T e n fisse ]
P la cui pendenza (coefficiente
angolare) è una costante carat-
La costante è la stessa per la grande maggioranza dei gas. Per esempio, se si triplica teristica di ogni gas che abbia
la pressione esterna, si riduce il volume a 1/3 del suo valore iniziale; se si dimezza un comportamento ideale (si
la pressione esterna si raddoppia il volume; e così via. comporti come un gas perfetto).
L’enunciato della legge di Boyle concentra l’attenzione sulla pressione esterna.
Nel suo esperimento, però, l’aggiunta di altro mercurio ne fa salire il livello finché
la pressione dell’aria intrappolata non cessa di aumentare in corrispondenza di un
certo nuovo livello. A questo punto, la pressione esercitata sul gas è uguale alla
pressione esercitata dal gas. In altre parole, misurando la pressione applicata, Boyle
misurava anche la pressione del gas. Per esempio, quando la pressione del gas rad-
doppia, il volume del gas si dimezza. In generale, se Pgas aumenta, Vgas diminuisce,
e viceversa.

La relazione tra volume e temperatura: la legge di Charles


Gli esperimenti condotti da Boyle suscitarono una domanda: perché la relazione
pressione-volume è valida soltanto a temperatura costante? L’esperienza aveva in-
dicato che il volume di un gas dipende dalla temperatura, ma questa relazione fu

05txt.indd 145 16/05/19 19:13


146 Capitolo 5

termometro

3,0

Patm Patm

tubo di 2,0
vetro

volume (L)
n 0,04 mol
P 1 atm
n 0,02 mol
tappo di P 1 atm
mercurio 1,0

campione
d’aria n 0,04 mol
intrappolato P 4 atm

riscaldatore 273 200 100 0 100 200 300 400 500 (qC)
0 73 173 273 373 473 573 673 773 (K)
A Bagno di acqua B Bagno di acqua C temperatura
ghiacciata: in ebollizione:
0qC (273 K) 100 qC (373 K)

Figura 5.6 La relazione tra chiaramente compresa soltanto all’inizio del XIX secolo, grazie all’opera indipendente
volume e temperatura di un degli scienziati francesi J. A. C. Charles (1746-1823) e J. L. Gay-Lussac (1778-1850).
gas. A pressione costante, il volu-
Esaminiamo questa relazione misurando il volume di una quantità fissa di un
me di una data quantità di gas
è direttamente proporzionale gas soggetto a pressione costante, ma a differenti temperature, come mostrato nella
alla sua temperatura assoluta. Figura 5.6. Un tubo diritto, chiuso a un’estremità, intrappola una quantità fissa di aria
Una quantità fissa di gas (aria) sotto un piccolo tappo di mercurio. Il tubo è immerso in un bagno d’acqua che può
è intrappolata sotto un piccolo essere riscaldato con un riscaldatore o raffreddato con ghiaccio. Dopo ogni variazione
tappo di mercurio a pressione
della temperatura dell’acqua, misuriamo la lunghezza della colonna d’aria, che è diret-
fissa. Il campione viene immerso
in un bagno di acqua ghiacciata tamente proporzionale al suo volume. La pressione esercitata sul gas è costante perché
(A) portata poi in ebollizione (B). il tappo di mercurio e la pressione atmosferica non variano (vedi Figura 5.6A e B).
Al­l’au­menta­re della temperatura, Nella Figura 5.6C sono mostrati alcuni dati tipici per differenti quantità e pres-
il volume del gas aumenta (C). sioni del gas. Si noti di nuovo la relazione lineare, ma questa volta le variabili sono
Le tre linee (segmenti di retta)
direttamente proporzionali: per una data quantità di gas a una data pressione, il volu-
rappresentano l’effetto della
quantità (n) di gas (si confronti- me aumenta all’aumentare della temperatura. Per esempio, il segmento di retta rosso
no la linea rossa e la linea verde) mostra come varia il volume di 0,04 mol di gas alla pressione di 1 atm al variare
e della pressione (P) del gas (si della temperatura. Prolungando (estrapolando) il segmento di retta a temperature
confrontino la linea rossa e la inferiori (linea tratteggiata) si vede che il volume si contrae finché il gas non occupa
linea blu). Le linee tratteggiate
un volume teorico zero a −273 °C (esattamente −273,15 °C) (l’intercetta con l’asse
e­stra­polano i dati a temperature
inferiori. Per qualsiasi quantità di delle temperature). Diagrammi simili, per una differente quantità di gas (in verde) e
un gas perfetto a qualsiasi pres- una differente pressione del gas (in blu), mostrano segmenti di retta con differenti
sione, il volume, in teoria, è zero pendenze (coefficienti angolari), ma tutti, quando vengono prolungati, convergono
alla temperatura di −273 °C sempre verso la temperatura (−273 °C).
(0 K).
Cinquant’anni dopo le ricerche di Charles e di Gay-Lussac, il fisico britannico
William Thomson (Lord Kelvin) (1824-1907) usò questa relazione lineare tra volume
e temperatura di un gas per ideare la scala assoluta delle temperature (scala Kelvin)
(Paragrafo 1.5). In questa scala, lo zero (chiamato zero assoluto, 0 K = −273,15 °C)
è la temperatura a cui un gas perfetto avrebbe volume zero. (Lo zero assoluto non
è mai stato raggiunto, ma i fisici hanno raggiunto temperature molto basse come
10−9 K). Ovviamente, nessun campione di materia può mai avere volume zero, e
ogni gas reale condensa trasformandosi in un liquido a una certa temperatura supe-
riore a 0 K. Ciononostante, questa dipendenza lineare del volume dalla temperatura as-
soluta è valida per la maggior parte dei gas comuni in un ampio intervallo di temperature.
L’enunciato moderno della relazione volume-temperatura è nota come legge
di Charles (o prima legge di Gay-Lussac): a pressione costante, il volume occupato

05txt.indd 146 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 147

da una quantità fissa di gas è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta;
ossia, in simboli,
V ∝T [P e n fisse] (5.2)
Questa relazione può anche essere espressa nelle forme
V
= =
costante ossia V costante ×T [P e n fisse]
T
Se T aumenta, V aumenta, e viceversa. Ancora una volta, per dati P e n, la costante
è la stessa per la grande maggioranza dei gas.
La dipendenza del volume di un gas dalla temperatura assoluta significa che nei
calcoli riguardanti le leggi dei gas si deve usare la scala Kelvin. Per esempio, se la tem-
peratura aumenta da 200 K a 400 K, il volume di 1 mol di gas raddoppia. Però, se
la temperatura aumenta da 200 °C a 400 °C, il volume aumenta secondo un fattore
1,42, dato da (400 °C + 273,15)/(200 °C + 273,15) = 673/473 = 1,42.
Altre relazioni basate sulla legge di Boyle e sulla legge di Charles Dalla
legge di Boyle e dalla legge di Charles conseguono altre due relazioni importanti.
1. La relazione pressione-temperatura. La legge di Charles è espressa come effetto di
una variazione della temperatura sul volume di un gas. Però, il volume e la pressione
sono interdipendenti, e quindi l’effetto della temperatura sul volume è in stretta re-
lazione con il suo effetto sulla pressione (legge di Amontons sui gas: a volume e massa
costanti, un dato aumento di temperatura causa in tutti i gas lo stesso aumento di
pressione). Se misuriamo la pressione negli pneumatici di un’automobile prima di
un lungo percorso e dopo, troviamo che è aumentata. Il riscaldamento per attrito
tra lo pneumatico e la strada fa aumentare la temperatura dell’aria all’interno dello
pneumatico stesso; però, poiché il volume dello pneumatico non varia in misura
rilevante, l’aria esercita una maggiore pressione. Perciò, a volume costante, la pressio-
ne esercitata da una quantità fissa di gas è direttamente proporzionale alla temperatura
assoluta:
P ∝T [V e n fisse] (5.3)
ossia
P
= =
costante ossia P costante ×T
T
2. La legge combinata dei gas. Una semplice combinazione della legge di Boyle e del-
la legge di Charles dà la legge combinata dei gas, che è valida nelle situazioni in cui
due delle tre variabili (V, P, T) variano e si deve trovare l’effetto sulla terza:
T T PV
V∝ ossia V =
costante × ossia =
costante
P P T

La relazione tra volume e quantità: la legge di Avogadro


La legge di Boyle e la legge di Charles specificano entrambe una quantità fissa di
gas. Vediamo perché. La Figura 5.7 illustra un esperimento in cui sono usate due Figura 5.7 Un esperimento
provette, ciascuna collegata a un sistema stantuffo-cilindro. Introduciamo 0,10 mol per studiare la relazione tra
volume e quantità di un gas. A
una data pressione esterna (P) e
a una data temperatura esterna
(T), viene introdotta nel tubo
Patm
B una massa di CO2(s) pari al
doppio di quella introdotta nel
Patm Pgas tubo A. Dopo che il solido si è
trasformato in gas, il volume del
Patm Patm tubo B è il doppio di quello del
Pgas 0,10 mol 0,20 mol
V1 CO2(g) V2 2uV1 CO2(g) tubo A. Perciò, a una pressione
(P) e a una temperatura (T)
fisse, il volume (V) di un gas è
0,10 mol 0,20 mol
A CO2 solido (n1) B
CO2 solido
direttamente proporzionale alla
(n2 2un1) quantità di gas (n).

05txt.indd 147 16/05/19 19:13


148 Capitolo 5

(4,4 g) di ghiaccio secco (CO2 solido) nella provetta A e 0,20 mol (8,8 g) nella pro-
vetta B. Quando il solido si riscalda, si trasforma direttamente in CO2 gassoso, che
si espande nel cilindro sovrastante e spinge verso l’alto lo stantuffo. Quando tutto il
solido si è trasformato in gas e la temperatura ha raggiunto un valore costante, tro-
viamo che il volume del gas nel cilindro B è il doppio del volume di gas nel cilindro
A. (Possiamo trascurare il volume di ciascuna provetta perché è molto minore del
volume di ciascun cilindro).
Questo risultato indica che la quantità (in moli) doppia di gas occupa il volume
doppio. Si noti che, per entrambi i cilindri, la temperatura T del gas è uguale alla
temperatura ambiente e la pressione P del gas è uguale alla pressione atmosferica.
Perciò, a una temperatura fissa e a una pressione fissa, il volume occupato da un gas è
direttamente proporzionale alla quantità (in moli) di gas:
V ∝n [ P e n fisse] (5.4)
Al crescere di n, V cresce, e viceversa. Questa relazione può essere espressa anche
nelle forme
V
= costante =
ossia V costante × n
n
PROPRIETÀ DEI GAS La costante è la stessa per tutti i gas a una data temperatura e a una data pressione.
Questa relazione è un altro modo di esprimere la legge di Avogadro secondo cui,
a una temperatura fissa e a una pressione fissa, volumi uguali di ogni gas perfetto con-
tengono numeri uguali di particelle (o di moli).
Molti fenomeni familiari si basano sulla relazione tra volume, temperatura e
quantità di un gas. Per esempio, in un cilindro di un motore a combustione interna
(come quello di un’automobile) avviene una reazione in cui un minor numero di
moli di benzina e O2 formano un maggior numero di moli di CO2 e vapore di H2O,
che si espandono in conseguenza del calore rilasciato ed esercitano una spinta sullo
stantuffo (pistone) mobile nel cilindro. La dinamite esplode perché un solido si de-
compone rapidamente per formare gas a temperatura elevata. L’impasto per la pre-
parazione del pane si rigonfia in una stanza calda perché il lievito forma bollicine di
LA RESPIRAZIONE
CO2 nell’impasto stesso, che si espande durante la cottura nel forno per conferire al
E LE LEGGI DEI GAS pane un volume ancora maggiore.

Comportamento di un gas in condizioni normali di temperatura


e pressione
Per comprendere meglio i fattori che influenzano il comportamento dei gas, i chi-
mici usano un insieme di condizioni normali (o standard), dette condizioni norma-
li (o standard) di temperatura e pressione (Normal Temperature and Pressure,
NTP; oppure Standard Temperature and Pressure, STP):
condizioni normali: 0 °C (273,15 K) e 1 atm (760 mmHg) (5.5)
In queste condizioni, il volume di 1 mol di un gas perfetto è detto volume mola-
re normale (o standard):
volume molare normale = 22,4141 L o 22,4 L [con 3 cifre significative] (5.6)

Nella Figura 5.8 sono messe a confronto le proprietà di tre gas semplici in condizio-
ni normali di temperatura e pressione.
L’equazione di stato dei gas perfetti
Ciascuna delle leggi dei gas concentra l’attenzione sull’effetto delle variazioni di
una delle variabili dei gas sul loro volume.
• La legge di Boyle concentra l’attenzione sulla pressione (V ∝ 1/P).
• La legge di Charles concentra l’attenzione sulla temperatura (V ∝ T).
• La legge di Avogadro concentra l’attenzione sulla quantità (in moli) di gas (V ∝ n).

05txt.indd 148 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 149

Figura 5.8 Volume molare


nor­male (o standard). Una mole
22,4 L 22,4 L 22,4 L di un gas perfetto occupa 22,4 L
in condizioni normali di tempe-
ratura e pressione (0 °C e 1 atm).
In condizioni normali, l’elio,
l’azoto, l’ossigeno e la maggior
parte degli altri gas semplici
presentano un comportamento
ideale (si comportano come i gas
perfetti). Si noti che la massa di
He N2 O2
un gas, e quindi la sua densità
(d), dipende dalla sua massa
molare.

n 1 mol n 1 mol n 1 mol


P 1 atm (760 mmHg) P 1 atm (760 mmHg) P 1 atm (760 mmHg)
T 0 qC (273 K) T 0 qC (273 K) T 0 qC (273 K)
V 22,4 L V 22,4 L V 22,4 L
numero di particelle di gas numero di particelle di gas numero di particelle di gas
6,022 u 1023 6,022 u 1023 6,022 u 1023
massa 4,003 g massa 28,02 g massa 32,00 g
d 0,179 g/L d 1,25 g/L d 1,43 g/L

Possiamo combinare queste singole relazioni in un’unica relazione, nota come


equazione di stato dei gas perfetti:
nT PV
V∝ ossia PV ∝ nT ossia =R
P nT
dove R è una costante di proporzionalità detta costante universale dei gas (o,
più semplicemente, costante dei gas):
PV = nRT (5.7)
Possiamo ottenere un valore di R misurando il volume, la temperatura e la pressio-
ne di una data quantità di gas e sostituendo i valori ottenuti nell’equazione di stato
dei gas perfetti. Per esempio, usando condizioni normali per le variabili del gas e
1 mol di gas, otteniamo
PV 1 atm × 22,4141 L atm ⋅ L atm ⋅ L ⎡ 3 cifre ⎤
=
R = = 0,082058 = 0, 0821 ⎢ ⎥ (5.8)
nT 1 mol × 273,15 K mol ⋅ K mol ⋅ K ⎣ significative ⎦

Il valore numerico di R trovato corrisponde alle variabili dei gas P, V e T espresse


in queste unità. Il valore numerico di R è diverso quando si usano unità diverse. Per
esempio, più avanti in questo capitolo, R ha il valore 8,314 J/(mol⋅K), dove J è il
simbolo del joule, l’unità di misura dell’energia nel SI.
La Figura 5.9 stabilisce un punto fondamentale: l’equazione di stato dei gas
perfetti diventa una delle singole leggi dei gas quando due delle quattro variabili

Figura 5.9 Relazione tra l’e-


quazione di stato dei gas per-
fetti e le singole leggi dei gas.
La legge di Boyle, la legge di
Charles e la legge di Avogadro
sono contenute nell’equazione
di stato dei gas perfetti.

05txt.indd 149 16/05/19 19:13


150 Capitolo 5

sono mantenute costanti. Quando le condizioni iniziali [denotate con il pedice (1)]
variano diventando le condizioni finali [denotate con il pedice (2)], otteniamo
=P1V1 n1=
RT1 e P2V2 n2RT2

P1V1 P2V2 P1V1 P2V2


Perciò, = R=
e R, da =
cui
n1T1 n2T2 n1T1 n2T2

Si noti che, se due delle variabili, per esempio P e T, rimangono costanti, allora
P1 = P2 e T1 = T2 e si ottiene l’espressione per la legge di Avogadro:
P1 V1 P2 V2 V1 V2
= = ossia
n1 T1 n2 T2 n1 n2

Useremo riordinamenti dell’equazione di stato dei gas perfetti come questo per ri-
solvere i problemi sulle leggi dei gas, come vedremo tra poco. Il punto da ricordare
è che non è necessario memorizzare le singole leggi dei gas.

Risoluzione dei problemi sulle leggi dei gas


I problemi sulle leggi dei gas sono enunciati in vari modi, ma di solito sono raggrup-
pabili in due tipi principali.
1. Una variazione di una delle quattro variabili causa una variazione di un’altra varia-
bile, mentre le altre due variabili sono mantenute costanti. In questo tipo di problemi,
l’equazione di stato dei gas perfetti si riduce a una delle singole leggi dei gas, e si
può risolvere rispetto alla variabile incognita per determinarne il valore. Le unità
di misura devono essere coerenti: T deve essere sempre espressa in kelvin, ma R
non interviene. I Problemi di verifica 5.2÷5.4 sono di questo tipo. [Una variante di
questo tipo implica la legge combinata dei gas (p. 147) per le variazioni simultanee
di due delle variabili che fanno variare una terza variabile].
2. Una variabile è incognita, ma le altre tre sono note e rimangono invariate. In questo
tipo di problemi, esemplificato dal Problema di verifica 5.5, si applica direttamente
l’equazione di stato dei gas perfetti per trovare il valore della variabile incognita, e
le unità di misura devono essere conformi all’unità in cui è espressa R.
Questi problemi si possono risolvere più facilmente seguendo un metodo
sistematico.
• Riassumere le informazioni: identificare le variabili del gas che variano – quelle
note e quelle incognite – e quelle mantenute costanti.
• Prevedere il verso della variazione, e in seguito verificare la risposta confron-
tandola con la previsione.
• Eseguire le eventuali conversioni di unità necessarie.
• Riordinare l’equazione di stato dei gas perfetti per ottenere la relazione appro-
priata delle variabili del gas e risolvere rispetto alla variabile incognita.
La seguente serie di problemi di verifica si applica a ciascuno di questi comporta-
menti dei gas.

Applicazione della relazione pressione-volume


PROBLEMA DI VERIFICA 5.2
Problema L’assistente di Boyle trova che l’aria intrappolata in un tubo a J occupa un
volume di 24,8 cm3 alla pressione di 1,12 atm. Aggiungendo mercurio al tubo, aumenta la
pressione sull’aria intrappolata portandola a 2,64 atm. Se si suppone che la temperatura sia
costante, quanto vale il nuovo volume dell’aria intrappolata (in litri)?
Piano Dobbiamo trovare il volume finale (V2) in litri, dati il volume iniziale (V1), la pres-
sione iniziale (P1) e la pressione finale (P2). La temperatura e la quantità di gas sono fisse.
Convertiamo l’unità di V1 dai centimetri cubi ai millilitri e poi al litri, riordiniamo l’equa-
zione di stato dei gas perfetti conferendole la forma appropriata, e risolviamo rispetto a V2.

05txt.indd 150 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 151

Siamo in grado di prevedere il verso della variazione: poiché P aumenta, V diminuirà; quindi,
V2 < V1. (Si noti che l’itinerario è suddiviso in due parti.)
Risoluzione Riassunto delle variabili del gas:
P1 = 1,12 atm P2 = 2,64 atm
V1 = 24,8 cm3 (convertire in litri) V2 = incognito   T e n rimangono costanti
Conversione dell’unità di V1 dai centimetri cubi ai litri:
1 mL 1L
V=
1 24,8 cm 3 × × = 0,0248 L
1 cm 3 1000 mL
Riordinamento dell’equazione di stato dei gas perfetti e risoluzione rispetto a V2: con n e
T fisse, otteniamo
P1V1 P2V2
= = da cui P1V1 P2V2
n1 T1 n2 T2
P1 1,12 atm
V2 =V1 × = 0,0248 L × = 0,0105 L
P2 2,64 atm
Verifica Come abbiamo previsto, V2 < V1. Riflettiamo sui valori relativi di P e di V mentre
verifichiamo la matematica. P è più che raddoppiata, e quindi V2 dovrebbe essere minore di
(1/2)V1 (0,0105/0,0248 < 1/2).
Commento La previsione del verso della variazione fornisce un’altra verifica sull’imposta-
zione della risoluzione del problema: per rendere V2 < V1, dobbiamo moltiplicare V1 per
un numero minore di 1. Ciò significa che il rapporto delle pressioni deve essere minore di 1,
e quindi la pressione maggiore (P2) deve figurare nel denominatore, P1/P2.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.2 Un campione di argon gassoso


occupa 105 mL alla pressione di 0,871 atm. Se la temperatura rimane costante, quanto vale il
volume (in litri) alla pressione di 26,3 kPa?

Applicazione della relazione pressione-temperatura


PROBLEMA DI VERIFICA 5.3
Problema Un recipiente d’acciaio di 1 L è provvisto di una valvola di sicurezza che si apre
se la pressione interna supera 1,00  ×  103 mmHg. Viene riempito di elio alla temperatura di
23 °C e alla pressione di 0,991 atm e immerso in acqua bollente esattamente alla tempera-
tura di 100 °C. Si aprirà la valvola di sicurezza?
Piano La domanda “Si aprirà la valvola di sicurezza?” si traduce in “La pressione P2 è mag-
giore di 1,00  ×  103 mmHg alla temperatura T2?” Perciò, P2 è l’incognita, e T1, T2 e P1 sono
date, con V (volume del recipiente d’acciaio) e n fissi. Convertiamo entrambi i valori di T in
kelvin e il valore di P1 in millimetri di mercurio per confrontare P2 con la pressione limite
di sicurezza. Riordiniamo l’equazione di stato dei gas perfetti per conferirle la forma appro-
priata e risolviamo rispetto a P2. Poiché T2 > T1, prevediamo che P2 > P1.
Risoluzione Sommario delle variabili del gas:
P1 = 0,991 atm (da convertire in mmHg) P2 = incognita
T1 = 23 °C (da convertire in K) T2 = 100 °C (da convertire in K)
V e n rimangono costanti
Conversione di T da gradi celsius a kelvin:
T1 (K) = 23 °C + 273,15 = 296 K
T2 (K) = 100 °C + 273,15 = 373 K
Conversione di P da atmosfere a millimetri di mercurio:
760 mmHg
P1 (mmHg) =0,991 atm × =753 mmHg
1 atm
Riordinamento dell’equazione di stato dei gas perfetti e risoluzione rispetto a P2: in corri-
spondenza di n e V fissi, otteniamo
P1 V1 P2 V2 P1 P2
= = da cui
n1 T1 n2 T2 T1 T2
T2 373 K
P2 =P1 × =753 mmHg × =949 mmHg
T1 296 K
P2 è minore di 1,00  ×  103 mmHg; quindi, la valvola non si aprirà .

05txt.indd 151 16/05/19 19:13


152 Capitolo 5

Verifica La nostra previsione è corretta; poiché T2 > T1, abbiamo P2 > P1. Perciò, il rappor-
to delle temperature dovrebbe essere >1 (T2 a numeratore). Il rapporto delle temperature
è circa 1,25 (dato da 373/296), quindi il rapporto delle pressioni dovrebbe essere anch’esso
pari a circa 1,25 (infatti 950/750  1,25).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.3 Un ingegnere pompa aria a 0 °C in


un sistema stantuffo-cilindro di nuova progettazione. Il volume misura 6,83 cm3. A quale
temperatura (in kelvin) il volume sarebbe pari a 9,75 cm3?

Applicazione della relazione volume-quantità


PROBLEMA DI VERIFICA 5.4
Problema Un modello di dirigibile realizzato in scala sale nell’aria quando è riempito di
elio fino a un volume di 55,0 dm3. Quando si introducono nel dirigibile 1,10 mol di He,
il volume è 26,2 dm3. Quanti altri grammi di He si devono aggiungere per farlo salire? Si
supponga che T e P siano costanti.
Piano Conosciamo la quantità iniziale di elio (n1), il volume iniziale del dirigibile (V1) e il
volume finale (V2) che si deve fare assumente al dirigibile e vogliamo conoscere la massa addi-
zionale di elio necessaria per farlo salire. Quindi dobbiamo trovare anzitutto n2. Riordiniamo
l’equazione di stato dei gas perfetti per conferirle la forma appropriata, risolviamo rispetto a
n2, sottraiamo n1 per trovare la quantità addizionale (nadd) e poi convertiamo le moli in gram-
mi. Prevediamo che n2 > n1 perché V2 > V1.
Risoluzione Sommario delle variabili del gas:
n1 = 1,10 mol n2 = incognita (si deve trovarla e poi sottrarre n1 da essa)
V1 = 26,2 dm3 V2 = 55,0 dm3      
P e T rimangono costanti
Riordinamento dell’equazione di stato dei gas perfetti e risoluzione rispetto a n2: in corri-
spondenza di P e T fisse, otteniamo
P1 V1 P2 V2 V1 V2
= = da cui
n1 T1 n2 T2 n1 n2
V2 55,0 dm3
n2 =n1 × =1,10 mol He × =2,31 mol He
V1 26,2 dm3
Determinazione della quantità addizionale di He:
nadd = n2 − n1 = 2,31 mol He − 1,10 mol He = 1,21 mol He
Conversione da moli a grammi di He:
4,003 g He
massa=(g) di He 1,21 mol He ×
1 mol He
= 4,84 g He
Verifica Poiché V2 è circa il doppio di V1 (55/26  2), n2 dovrebbe essere circa il doppio
di n1 (2,3/1,1  2). Poiché n2 > n1, è stato corretto moltiplicare n1 per un numero >1 (cioè,
V2/V1). Circa 1,2 mol  ×  4 g/mol  4,8 g.
Commento 1. Una differente sequenza di passi darà la stessa risposta: prima si trova il
volume addizionale (Vadd = V2 − V1), e poi si risolve direttamente rispetto a nadd. Provate
per vostro conto.
2. Abbiamo visto che la legge di Charles (V ∝ T per P e n fisse) si traduce in una relazione
simile tra P e T per V e n fisse. Il problema di approfondimento seguente mostra che la
legge di Avogadro (V ∝ n per P e T fisse) si traduce in una relazione analoga per V e T fisse.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.4 Un recipiente di plastica rigida


contiene 35,0 g di etilene (C2H4) gassoso a una pressione di 793 mmHg. Quanto vale la
pressione se si rimuovono 5,0 g di etilene a temperatura costante?

Risoluzione rispetto a una variabile dei gas incognita in condizioni fisse


PROBLEMA DI VERIFICA 5.5
Problema Un recipiente d’acciaio ha un volume di 438 L e contiene 0,885 kg di O2. Si
calcoli la pressione di O2 alla temperatura di 21 °C.

05txt.indd 152 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 153

Piano Conosciamo V, T e la massa di O2 e vogliamo conoscere P. Poiché le condizioni non


variano, applichiamo l’equazione di stato dei gas perfetti senza riordinarla. Usiamo il volume
V dato espresso in litri, convertiamo la temperatura T in kelvin e la massa di O2 in moli, e
risolviamo rispetto a P.
Risoluzione Sommario delle variabili del gas:
V = 438 L T = 21 °C (da convertite in kelvin)
n = 0,885 kg O2 (da convertire in moli) P = incognita
Conversione di T da gradi celsius a kelvin:
T (K) = 21 °C + 273,15 = 294 K
Conversione dalla massa di O2 alla sua quantità (in moli):
1000 g 1 mol O 2
=
n moli di O= 2 0,885 kg O 2 × × = 22,7 mol O 2
1 kg 32,00 g O 2
Risoluzione rispetto a P (si notino le elisioni delle unità in questo caso):
atm ⋅ L
27,7 mol × 0,0821 × 294 K
nRT mol ⋅ K
=P = = 1,53 atm
V 438 L
Verifica La quantità di O2 sembra corretta: (900 g)/(30 g/mol) = 30 mol. Per verificare
l’ordine di grandezza approssimato del valore calcolato finale, arrotondiamo i valori, com-
preso quello di R:
atm ⋅ L
30 mol O 2 × 0,1 × 300 K
P= mol ⋅K = 2 atm
450 L
che è ragionevolmente vicino a 1,53 atm.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.5 Nel recipiente del Problema di


verifica 5.5 si crea una lenta fuga di gas che viene scoperta e chiusa. La nuova pressione
misurata è 1,37 atm. Quanti grammi di O2 restano nel recipiente?

5.4 ULTERIORI APPLICAZIONI DELL’EQUAZIONE


DI STATO DEI GAS PERFETTI
L’equazione di stato dei gas perfetti può essere riformulata in altri modi per determi-
nare altre proprietà dei gas. In questo paragrafo, la useremo per determinare la densità • Densità dei gas e disastri
di un gas, la massa molare di un gas e la pressione di ciascun gas in una miscela. umani Molti gas che sono più
densi dell’aria sono stati coinvolti
in disastri naturali e antropici. I
Densità di un gas densi gas nello smog che sovrasta i
Poiché 1 mol di qualunque gas occupa all’incirca lo stesso volume a una data tem- centri urbani, come Pechino (vedi
fotografia), danno un grande con-
peratura e pressione, le differenze di densità (d = m/V) di un gas dipendono dalle tributo alle malattie respiratorie. Su
differenze di massa molare (vedi Figura 5.8). Per esempio, in condizioni normali di una scala molto più terrificante, il
temperatura e pressione, 1 mol di O2 occupa lo stesso volume di 1 mol di N2; però, fosgene (COCl2) fu usato nella Prima
poiché ogni molecola di O2, ha una massa maggiore di quella di ciascuna molecola guerra mondiale contro le truppe
nelle trincee. Più re­ cen­temente, il
di N2, la densità di O2 è maggiore. rilascio involontario di metilisocia-
Tutti i gas sono miscibili quando vengono miscelati intimamente; ma, in assen- nato (utilizzato per la produzione di
za di miscelazione, un gas meno denso sovrasterà un gas più denso. Esistono molti pesticidi) da un im­ pianto chimico
esempi familiari di questo fenomeno. Alcuni tipi di estintori d’incendio rilasciano della Union Car­ bi­
de India Ltd. a
Bhopal, in India, uc­ ci­
se migliaia di
CO2 poiché, essendo più denso dell’aria, si depositerà sull’incendio, impedendo che persone quando i vapori si diffu-
altro O2 raggiunga il materiale che sta bruciando. Enormi masse d’aria di differenti sero dalla periferia all’interno della
densità che si muovono l’una accanto all’altra attorno al pianeta danno origine a città. Nel 1986, nel Camerun, il CO2
gran parte delle condizioni meteorologiche. rilasciato con un processo natura-
le dal Lago Nyos soffocò migliaia
Possiamo riordinare l’equazione di stato dei gas perfetti per calcolare la densità di di persone quando defluì lungo le
un gas in base alla sua massa molare. Teniamo presente che la quantità di gas (il numero valli penetrando nei villaggi. Alcuni
di moli, n) è il rapporto tra la massa (m) del gas e la sua massa molare (M), n = m/M. paleontologi han­ no prospettato la
Sostituendo questa espressione di n nell’equazione di stato dei gas perfetti, otteniamo possibilità che un processo simile
nei laghi vulcanici abbia contribuito
m
PV = RT alla scomparsa dei dinosauri. (Foto:
 © Shutterstock/designbydx).

05txt.indd 153 16/05/19 19:13


154 Capitolo 5

Riordinando per isolare m/V, otteniamo


m × P
= d= (5.9)
V RT
L’Equazione 5.9 esprime tre concetti importanti.
• La densità di un gas è direttamente proporzionale alla sua massa molare perché
una data quantità di un gas “più pesante” occupa lo stesso volume della stessa
quantità di un gas “più leggero” (legge di Avogadro).
• La densità di un gas è inversamente proporzionale alla temperatura. Poiché il
volume di un gas aumenta all’aumentare della temperatura (legge di Charles),
la stessa massa occupa più spazio; quindi la sua densità è minore.
• La densità di un gas è direttamente proporzionale alla pressione. Aumentando la
pressione, il volume di gas diminuisce (legge di Boyle) e, poiché la stessa massa
è confinata in un volume minore, la densità è maggiore.
I progettisti edili e termotecnici applicano il secondo concetto quando dispongono
le bocche d’uscita dell’impianto di riscaldamento ad aria calda vicino al pavimento
di una stanza: l’aria calda meno densa che esce dalle bocche sale e riscalda l’aria
della stanza. Gli esperti di sicurezza raccomandano di rimanere vicino al pavimento
quando si fugge da un incendio, per evitare i gas nocivi, più caldi e quindi meno
densi. Useremo l’Equazione 5.9 per trovare la densità di un gas a qualsiasi tempera-
tura e pressione nell’intorno delle condizioni normali.

Calcolo della densità di un gas


PROBLEMA DI VERIFICA 5.6
Problema Si calcoli la densità (in grammi per litro) del diossido di carbonio e il numero
di molecole per litro (a) in condizioni normali di temperatura e pressione (0 °C e 1 atm) e
(b) in condizioni ambiente ordinarie (20 °C e 1,00 atm).
Piano Dobbiamo trovare la densità (d) e il numero di molecole di gas conoscendo il nome
della sostanza, conoscendo i dati relativi a P e T. Il nome ci dà la formula e quindi possiamo
trovare M; convertiamo T da gradi celsius a kelvin e calcoliamo d con l’Equazione 5.9. Poi
convertiamo la massa per litro in molecole per litro con il numero di Avogadro.
Risoluzione (a) Densità e molecole per litro di diossido di carbonio in condizioni normali
di temperatura e pressione. Sommario delle proprietà del gas:
T = 0 °C + 273,15 = 273 K      P = 1 atm      M di CO2 = 44,01 g/mol
Calcolo della densità (si notino le elisioni delle unità in questo caso):
× P 44,01 g/ mol ×1 atm
d= = = 1,96 g/L
RT atm ⋅ L
0,0821 × 273 K
mol ⋅ K
Conversione da massa per litro a molecole per litro:
1,96 g CO2 1 mol CO 2 6,022 ×1023 molecole CO2
molecole CO 2 /L = × ×
1L 44,01 g CO 2 1 mol CO2
= 2,68 ×1022 molecole CO2 /L
(b) Densità e numero di molecole di diossido di carbonio per litro in condizioni ambiente.
Sommario delle proprietà del gas:
T = 20 °C + 273,15 = 293 K      P = 1,00 atm      M di CO2 = 44,01 g/mol
Calcolo della densità:
× P 44,01 g/mol ×1,00 atm
d= = = 1,83 g/L
RT atm ⋅ L
0,821 × 293 K
mol ⋅ K
Conversione da massa per litro a molecole per litro:
1,83 g CO 2 1 mol CO 2 6,022 ×1023 molecole CO 2
molecole CO 2 /L = × ×
1L 44,01 g CO 2 1 mol CO 2
= 2,50 ×10 molecole CO 2 /L
22

05txt.indd 154 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 155

Verifica Arrotondiamo per verificare i valori della densità; per esempio, in (a), in condizio-
ni normali di temperatura e pressione:
50 (g/mol) ×1 atm
= 2 g/L  1,96 g/L
atm ⋅ L
0,1 × 250 K
mol ⋅ K
Alla temperatura più alta in (b), la densità dovrebbe diminuire, il che può avvenire soltanto
se c’è un minore numero di molecole al litro, quindi la risposta è ragionevole.
Commento 1. Un metodo alternativo per trovare la densità della maggior parte dei gas
semplici, ma soltanto in condizioni normali di temperatura e pressione, consiste nel dividere la
massa molare per il volume molare normale, 22,4 L:
 44,01 g /mol
=d = = 1,96 g /L
V 22,4 L / mol
Quindi, poiché conosciamo la densità a una temperatura (0 °C), possiamo trovarla a qualsiasi
altra temperatura con la seguente relazione: d1/d2 = T2/T1 (se la pressione è costante).
2. Si noti che abbiamo differenti numeri di cifre significative per i valori della pressione.
In (a), “1 atm” fa parte della definizione di “condizioni normali di temperatura e pressione”,
e quindi è un numero esatto. In (b), abbiamo specificato “1,00 atm” per consentire 3 cifre
significative nella risposta.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.6 Si confronti la densità di CO2 a


0 °C e 380 mmHg con la sua densità in condizioni normali di temperatura e pressione.

Massa molare di un gas


Mediante un altro semplice riordinamento dell’equazione di stato dei gas perfetti
possiamo determinare la massa molare di un gas o di un liquido volatile (facilmente
vaporizzabile) sconosciuto:
m PV mRT dRT
=
n = da cui =
 ossia =
 (5.10) Patm
 RT PV P
tubo
Si noti che questa equazione è semplicemente un riordinamento dell’Equazione 5.9. capillare
Il chimico francese J.B.A. Dumas (1800-1884) ideò un metodo pionieristico e in-
gegnoso per determinare la massa molare di un liquido volatile. L’apparecchio usato
da Dumas è illustrato nella Figura 5.10. Si colloca un piccolo volume del liquido in
un pallone di massa e volume noti. Si chiude il pallone con un tappo attraversato da Pgas
un foro in cui è inserito un tubo sottile (tubo capillare) e lo si immerge in un bagno
d’acqua la cui temperatura fissa sia superiore alla temperatura di ebollizione del V noto
liquido. Quando il liquido evapora, il gas riempie il pallone e una parte effluisce dal T nota >
temperatura
tubo. Quando tutto il liquido si è trasformato in gas, la pressione del gas che riempie di ebollizione
il pallone è uguale alla pressione atmosferica. Si toglie il pallone dal bagno d’acqua del liquido
e lo si raffredda: il gas condensa ritrasformandosi in liquido. Si determina di nuovo
la massa del pallone per ottenere la massa del liquido, che è uguale alla massa del gas riscaldatore
rimasto nel pallone.
Questo procedimento permette di misurare direttamente tutte le variabili ne-
cessarie per calcolare la massa molare del gas: la massa del gas (m) occupa il volume Figura 5.10 Determinazione
(V) del pallone a una pressione (P) uguale alla pressione barometrica e alla tempe- della massa molare di un liqui-
ratura (T) del bagno d’acqua. do volatile sconosciuto. Una
piccola quantità di un liquido
sconosciuto viene vaporizzata,
Determinazione della massa molare di un liquido volatile e il gas riempie il pallone di
volume noto alla temperatura
PROBLEMA DI VERIFICA 5.7 nota del bagno. Il gas in eccesso
Problema Un chimico organico isola da un campione di petrolio un liquido incolore con fugge attraverso il tubo capilla-
le proprietà del cicloesano (C6H12). Usa il metodo di Dumas e ottiene i seguenti dati per re finché non si è instaurata la
determinare la sua massa molare: condizione Pgas = Patm. Quando il
volume (V) del pallone = 213 mL T = 100,0 °C    P = 754 mmHg pallone viene raffreddato, il gas
massa del pallone + massa del gas = 78,416 g massa del pallone = 77,834 g condensa, si determina la massa
del liquido e si usa l’equazione
La massa molare calcolata è compatibile con la possibilità che il liquido analizzato sia il
di stato dei gas perfetti per cal-
cicloesano? colare M (vedi testo).

05txt.indd 155 16/05/19 19:13


156 Capitolo 5

Piano Conosciamo i dati riguardanti V, T, P e la massa e dobbiamo trovare la massa molare


(M) del liquido per vedere se sia vicina alla M del cicloesano. Convertiamo il volume V
in litri, la temperatura T in kelvin e la pressione P in atmosfere, troviamo la massa del gas
sottraendo la massa del pallone vuoto, e usiamo l’Equazione 5.10 per risolvere rispetto a
M. Una volta determinata la confrontiamo con la M basata sulla formula del cicloesano.
Risoluzione Sommario delle proprietà dei gas:
1 atm
m = 78,416 g − 77,834 g =0,582 g P =754 mmHg × =0,992 atm
760 mmHg
1L
= 213 mL ×
V (L) = 0,213 L = 100,0 °C + 273,15
T (K) = 373,2 K
1000 mL
Risolvendo rispetto a M:
atm ⋅ L
0,582 g × 0,0821 × 373,2 K
mRT mol ⋅ K
=
 = = 84,4 g/mol
PV 0,992 atm × 0,213 L
Calcolando M dalla formula del cicloesano:
M di C6H12 = (6  ×  12,01 g/mol) + (12  ×  1,008 g/mol) = 84,16 g/mol
Entro l’errore sperimentale, la massa molare è consistente con la possibilità che il liquido
sia il cicloesano.
Verifica Arrotondando per verificare l’aritmetica, otteniamo
atm ⋅ L
0,6 g × 0,08 × 375 K
mol ⋅ K = 90 g/mol che è vicino a 84,4 g/mol
1 atm × 0, 2 L

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.7 Alla temperatura di 10,0 °C e alla


pressione di 102,5 kPa, la densità dell’aria secca è 1,26 g/L. Quanto vale la “massa molare”
media dell’aria secca in queste condizioni?

La pressione parziale di un gas in una miscela di gas


È importante notare che tutti i comportamenti dei gas che abbiamo esaminato
finora sono stati osservati con esperimenti condotti sull’aria, che è una complessa
miscela di gas. L’equazione di stato dei gas perfetti è valida pressoché per tutti i gas,
siano essi puri o una miscela di gas, in condizioni ordinarie, per due motivi:
• i gas si miscelano in modo omogeneo (formano una soluzione) in qualsiasi
rapporto;
• ogni gas presente in una miscela si comporta come se fosse l’unico gas presen-
te (nell’ipotesi che non avvengano interazioni chimiche).
Legge di Dalton delle pressioni parziali Il secondo dei due punti precedenti
fu scoperto da John Dalton nei suoi studi sull’umidità. Dalton osservò che, quando
si aggiunge vapore acqueo all’aria secca, la pressione totale dell’aria aumenta di un
incremento uguale alla pressione del vapore acqueo:
Paria umida = Paria secca + Pvapore acqueo aggiunto
In altre parole, ogni gas presente nella miscela esercita una pressione parziale,
che è una parte della pressione totale della miscela e che è uguale alla pressione
che il gas eserciterebbe se fosse presente da solo. Questa osservazione è formulata
come legge di Dalton delle pressioni parziali: in una miscela di gas non reagenti,
la pressione totale è la somma delle pressioni parziali dei singoli gas:
Ptotale = P1 + P2 + P3 + . . . (5.11)
Come esempio, supponiamo di avere un recipiente di volume fisso che contiene
azoto gassoso a una certa pressione e di introdurre nel recipiente un campione di
idrogeno gassoso. Ciascuno dei due gas si comporta indipendentemente e quindi
possiamo scrivere un’equazione di stato dei gas perfetti per ciascuno di essi:
nN2 RT nH2 RT
=PN2 = e PH2
V V

05txt.indd 156 16/05/19 19:13


I gas e la teoria cinetica dei gas 157

Poiché ciascuno dei due gas occupa lo stesso volume totale ed è alla stessa tempe-
ratura, la pressione di ciascun gas dipende soltanto dalla sua quantità, n. Perciò, la
pressione totale è n RT n RT N2 H2
Ptotale = PN2 + PH2 = +
V V
(nN2 + nH2 ) RT ntotale RT
= =
V V
= nN2 + nH2 .
con ntotale
Ciascun componente di una miscela fornisce una frazione del numero totale
di moli presenti nella miscela, che è la frazione molare (X) di quel componente.
Moltiplicando X per 100 si ottiene la percentuale in moli (percentuale molare). Si
deve tenere presente che la somma delle frazioni molari di tutti i componenti in
ogni miscela deve essere 1 e che la somma delle percentuali in moli deve essere
100%. Nel caso di N2, la frazione molare è
nN2 nN2
=
X N2 =
ntotale nN2 + nH2
Poiché la pressione totale è dovuta al numero totale di moli, la pressione parziale
del gas A è data dalla pressione totale moltiplicata per la frazione molare di A, XA:
PA = XA  ×  Ptotale (5.12)
L’Equazione 5.12 è un risultato molto importante. Per vedere che è valida per la
miscela di N2 e H2, teniamo presente che X N2 + X H2 = 1 per ottenere
Ptotale =PN2 + PH2 =( X N2 × Ptotale ) + ( X H2 × Ptotale ) =( X N2 + X H2 ) Ptotale =
1× Ptotale

Applicazione della legge di Dalton delle pressioni parziali


PROBLEMA DI VERIFICA 5.8
Problema In uno studio dell’acquisizione di O2 da parte del tessuto muscolare ad alta
quota, un fisiologo prepara un’atmosfera costituita dalle seguenti percentuali in moli: 79%
N2, 17% 16O2 e 4,0% 18O2. (L’isotopo 18O verrà misurato per determinare l’acquisizione di
O2). La pressione della miscela è 0,75 atm per simulare l’alta quota. Si calcolino la frazione
molare e la pressione parziale di 18O2 nella miscela.
Piano Dobbiamo trovare X18o e P18o ricavandole dalla Ptotale (0,75 atm) e dalla percentuale
2 2
in moli di 18O2 (4,0%). Dividendo la percentuale in moli per 100 otteniamo la frazione molare,
X18o . Poi, usando l’Equazione 5.12, moltiplichiamo X18o per Ptotale per trovare P18o .
2 2 2
Risoluzione Calcolo della frazione molare di 18
O2:
4,0% in moli di 18O 2
=X 18 O2 = 0,040
100
18
Risoluzione rispetto alla pressione parziale di O2:
P18 O2 = X 18 O2 × Ptotale = 0,040 × 0, 75 atm = 0,030 atm

Verifica X 18 O2 è piccola perché la percentuale in moli è piccola, e quindi anche P18 O2


dovrebbe essere piccola.
Commento A quote elevate, cellule cerebrali specializzate, sensibili alle concentrazioni
ematiche di O2 e CO2, determinano un aumento della frequenza e della profondità degli atti
respiratori per parecchi giorni, finché il soggetto non si è acclimatato.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.8 Una miscela di gas nobili costi­


tuita da 5,50 g di He, 15,0 g di Ne e 35,0 g di Kr è posta in un sistema stantuffo-cilindro in
condizioni normali di temperatura e pressione. Si calcoli la pressione parziale di ciascun gas.

Raccolta di un gas in un bagno pneumatico ad acqua La legge delle pressioni


parziali è usata spesso per determinare la resa di un gas insolubile in acqua formato
in una reazione. Il prodotto gassoso gorgoglia attraverso l’acqua contenuta in un
recipiente e viene raccolto in un cilindro capovolto nell’acqua (bagno pneumatico ad

05txt.indd 157 16/05/19 19:13


158 Capitolo 5

Tabella 5.3 Pressione 2 Pgas si somma alla pressione di vapore


di vapore dell’acqua (PH2O) per dare Ptotale.
Come mostrato, Ptotale  Patm Molecole di acqua
dell’acqua penetrano nelle bolle di gas
(PH2O) 3 Ptotale è resa uguale
a differenti a Patm regolando
l’altezza del recipiente
temperature finché il livello dell’acqua
Ptotal non è uguale a quello
T P T P 1 Il prodotto gassoso
nel becher.

(°C) (mmHg) (°C) (mmHg) insolubile in acqua


gorgoglia attraverso Pgas
0 4,6 30 31,8 l’acqua ed entra Patm Ptotal Patm Ptotal PH2O
5 6,5 35 42,2 nel recipiente
di raccolta
10 9,2 40 55,3 4 Ptotale è uguale
11 9,8 45 71,9 a Pgas più PH2O
12 10,5 50 92,5 alla temperatura
dell’esperimento.
13 11,2 55 118,0 Perciò,
14 12,0 60 149,4 Pgas Ptotale  PH2O
15 12,8 65 187,5
16 13,6 70 233,7
18 15,5 75 289,1 Figura 5.11 Raccoltadi un prodotto di reazione gassoso, insolubile in acqua, mediante
20 17,5 80 355,1 un bagno pneumatico ad acqua, e determinazione della sua pressione.
22 19,8 85 433,6
24 22,4 90 525,8 acqua), come illustrato nella Figura 5.11. Il vapore acqueo che si miscela con il gas
26 25,2 95 633,9 fornisce una parte della pressione parziale, detta pressione di vapore, che dipende sol-
28 28,3 100 760,0 tanto dalla temperatura dell’acqua.
Per determinare la resa del prodotto gassoso, ricaviamo il valore appropriato
della pressione di vapore da un elenco, come quello presentato nella Tabella 5.3,
e lo sottraiamo dal valore della pressione totale del gas (resa uguale alla pressione
barometrica) per ottenere la pressione parziale del prodotto gassoso. Conoscendo V
e T, possiamo calcolare la quantità di prodotto.

Calcolo della quantità di gas raccolto in un bagno pneumatico ad acqua


PROBLEMA DI VERIFICA 5.9
Problema L’acetilene (C2H2), un combustibile importante nella saldatura dei metalli (saldatura
ossiacetilenica), è prodotto in laboratorio dalla reazione del carburo di calcio (CaC2) con l’acqua:
CaC2(s) + 2H2O(l) C2H2(g) + Ca(OH)2(aq)
Per un campione di acetilene raccolto in un bagno pneumatico ad acqua, la pressione totale
del gas (resa uguale alla pressione barometrica) è 738 mmHg e il volume è 523 mL. Alla
temperatura del gas (23 °C), la pressione di vapore dell’acqua è 21 mmHg. Quanti grammi
di acetilene vengono raccolti?
Piano Per trovare la massa di C2H2, prima dobbiamo trovare il numero di moli di C2H2, nC2H2
che possiamo ottenere dall’equazione di stato dei gas perfetti calcolando PC2H2 . L’indicazione
barometrica ci dà Ptotale, che è la somma di PC2H2 e di PH2O; quindi sottraiamo PH2O da Ptotale
per ottenere PC2H2 . Conosciamo anche V e T che convertiamo in unità coerenti per ricavare
nC2H2 dall’equazione di stato dei gas perfetti. Poi convertiamo le moli in grammi usando la
massa molare ottenuta dalla formula.
Risoluzione Sommario delle variabili dei gas:
PC2H2 (mmHg) = Ptotale − PH2O = 738 mmHg − 21 mmHg = 717 mmHg
1 atm
PC2H2 (atm) =717 mmHg × =0,943 atm
760 mmHg
1L
V (L) =523 mL × =0,523 L
1000 mL
T (K) = 23 °C + 273,15 = 296 K
nC2H2 = incognita
Risoluzione rispetto a nC2H2 :
PV 0,943 atm × 0,523 L
nC2= = = 0,0203 mol
H2
RT atm ⋅ L
0,0821 × 296 K
mol ⋅ K

05txt.indd 158 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 159

Conversione di nC2H2 in massa:


26,04 g C2H2
=
massa (g) di C2H2 0,0203 mol C2H2 ×
1 mol C2H2
= 0,529 g C2H2

Verifica Arrotondando a 1 cifra significativa, una rapida verifica aritmetica per n dà


1 atm × 0,5 L
n = 0,02 mol  0,0203 mol
atm ⋅ L
0,08 × 300 K
mol ⋅ L
Commento Lo ione C22− (detto ione carburo o acetiluro) è un anione interessante. È sempli-
cemente −C C−, che agisce come base in acqua, rimuovendo uno ione H+ da due mole-
cole di H2O per formare acetilene, H C C H.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.9 Un pezzetto di zinco reagisce con


HCl diluito per formare H2, che viene raccolto in un grande bagno pneumatico ad acqua
alla temperatura di 16 °C. La pressione totale è resa uguale alla pressione barometrica (752
mmHg) e il volume è 1495 mL. Usando la Tabella 5.3, si calcolino la pressione parziale e
la massa di H2.

Equazione di stato dei gas perfetti e stechiometria delle reazioni


Nei Capitoli 3 e 4 abbiamo incontrato molte reazioni a cui partecipavano gas come
reagenti (per esempio, combustione con O2) o come prodotti (per esempio, tratta-
mento di un carbonato con un acido). Partendo dall’equazione bilanciata, abbiamo
usato rapporti molari stechiometricamente equivalenti per calcolare le quantità
(in moli) di reagenti e di prodotti e abbiamo convertito queste quantità in masse,
numeri di molecole o volumi di soluzioni (vedi Figure 3.10 e 3.13). La Figura 5.12
mostra come si può espandere il repertorio di risoluzione di problemi usando
­l’equazione di stato dei gas perfetti per effettuare conversioni tra le variabili dei
gas (P, T, V) e quantità (in moli) di reagenti e prodotti gassosi. In effetti, si com- Figura 5.12 Sommario delle
bina un problema sulle leggi dei gas con un problema di stechiometria. Questo relazioni stechiometriche tra
approccio rispecchia situazioni più realistiche perché di solito si misura il volume, la quantità (mol, n) di reagen-
te o di prodotto gassoso e le
la temperatura e la pressione di un gas anziché la sua massa. variabili dei gas pressione (P),
volume (V) e temperatura (T).

Impiego delle variabili dei gas per trovare le quantità di reagenti


o di prodotti
PROBLEMA DI VERIFICA 5.10
Problema Un metodo di laboratorio per ridurre un ossido metallico consiste nel riscaldarlo
in presenza di H2. I prodotti sono il metallo puro e H2O. Quanto vale il volume di H2 alla
pressione di 765 mmHg e alla temperatura di 225 °C necessario per formare 35,5 g di Cu
a partire da ossido di rame(II)?
Piano Si tratta di un problema sulla stechiometria e sulle leggi dei gas. Per trovare VH2 ,
prima dobbiamo trovare nH2 . Scriviamo e bilanciamo l’equazione. Poi convertiamo la massa
data di Cu (35,5 g) in quantità (moli) e usiamo il rapporto molare per trovare le moli di H2
necessarie (parte del problema relativa alla stechiometria). Quindi usiamo l’equazione di
stato dei gas perfetti per convertire le moli di H2 in litri (parte del problema relativa alle
leggi dei gas). Alla pagina successiva viene riportato l’itinerario, ma tutti i passi dovrebbero
essere già noti.

05txt.indd 159 16/05/19 19:14


160 Capitolo 5

Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata:


CuO(s) + H2(g) Cu(s) + H2O(g)
Calcolo di nH2 :
1 mol Cu 1 mol H2
nH2 =35,5 Cu × × =0,559 mol H2
63,55 g Cu 1 mol Cu
Sommario delle altre variabili del gas:
1 atm
V =incognito P (atm) =765 mmHg × =1,01 atm
760 mmHg
T (K)= 225 °C + 273,15= 498 K
Risoluzione rispetto a VH2 :
atm ⋅ L
0,559 mol × 0,0821 × 498 K
nRT mol ⋅ K
=
V = = 22,6 L
P 1,01 atm
Verifica Un modo di verificare la risposta è confrontarla con il volume molare di un gas
perfetto in condizioni normali di temperatura e pressione (22,4 L a 273,15 K e 1 atm). Poiché
1 mol di H2 in condizioni normali di temperatura e pressione occupa ∼22 L, ∼0,5 mol occu-
perebbero ∼11 L. T è circa il doppio di 273 K e quindi V dovrebbe essere circa il doppio di
11 L. In questo caso, la diminuzione di n e l’aumento di T quasi si compensano.
Commento Il punto principale in questo contesto è che la stechiometria fornisce una
variabile del gas (n), altre due variabili sono date nell’enunciato del problema, ed è usata
l’equazione di stato dei gas perfetti per trovare la quarta variabile.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.10 L’acido solforico reagisce con


il cloruro di sodio per formare solfato di sodio in soluzione acquosa e cloruro di idrogeno
gassoso. Quanti millilitri di gas si formano in condizioni normali di temperatura e pressione
quando 0,117 kg di cloruro di sodio reagiscono con acido solforico in eccesso?

Impiego dell’equazione di stato dei gas perfetti in un problema


in cui interviene un reagente limitante
PROBLEMA DI VERIFICA 5.11
Problema I metalli alcalini [Gruppo 1A(1)] reagiscono con gli alogeni [Gruppo 7A(17)] per
formare alogenuri metallici ionici. Quanto vale la massa di potassio che si forma quando
5,25 L di cloro gassoso alla temperatura di 293 K e alla pressione di 0,950 atm reagiscono
con 17,0 g di potassio?
Piano L’unica differenza tra questo problema e precedenti problemi in cui interveniva un
reagente limitante (vedi Problema di verifica 3.10, p. 92) è che qui usiamo l’equazione di
stato dei gas perfetti per trovare la quantità (n) di reagente gassoso deducendola dai valori
noti di V, P e T. Prima scriviamo l’equazione bilanciata e poi la usiamo per trovare il reagente
limitante e la quantità di prodotto.
Risoluzione Scrittura dell’equazione bilanciata:
2K(s) + Cl2(g) 2KCl(s)
Sommario delle variabili del gas:
P = 0,950 atm V = 5,25 L
T = 293 K n = incognita
Risoluzione rispetto a nCl2 :
PV 0,950 atm × 5,25 L
n= = = 0,207 mol
Cl 2
RT atm ⋅ L
0,821 × 283 K
mol ⋅ K
Conversione da grammi a moli di potassio (K):
1 mol K
moli di K =17,0 g K × =0,435 mol K
39,10 g K
Reazione del cloro Determinazione del reagente limitante: se Cl2 è limitante,
gassoso con il potassio. (Foto: ©
McGraw-Hill Education/Stephen 2 mol KCl
moli di KCl= 0,207 mol Cl 2 × = 0,414 mol KCl
Frisch, photographer). 1 mol Cl 2

05txt.indd 160 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 161

Se K è limitante,
2 mol KCl
moli di KCl = 0,435 mol K × = 0,435 mol KCl
2 mol K
Cl2 è il reagente limitante perché forma meno KCl.
Conversione da moli a grammi di KCl:
74,55 g KCl
=
massa (g) di KCl 0,414 mol KCl × = 30,9 g KCl
1 mol KCl
Verifica Il calcolo basato sull’equazione di stato dei gas perfetti sembra corretto. In con-
dizioni normali di temperatura e pressione, 22 L di Cl2 gassoso contengono circa 1 mol, e
quindi un volume di 5 L conterrebbe un po’ meno di 0,25 mol di Cl2. Inoltre, poiché P (nel
numeratore) è lievemente minore e T (nel denominatore) è lievemente maggiore dei valori
in condizioni normali, il valore di n calcolato dovrebbe essere ulteriormente minore del
valore ideale. La massa di KCl sembra corretta: meno di 0,5 mol di KCl danno <0,5  ×  M
(30,9 g < 0,5  ×  75 g).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.11 L’ammoniaca gassosa e il cloruro di


idrogeno gassoso reagiscono per formare cloruro di ammonio solido. Un recipiente di reazio-
ne di 10,0 L contiene ammoniaca alla temperatura di 22 °C e alla pressione di 0,452 atm; vi
vengono introdotti 155 mL di cloruro di idrogeno alla temperatura di 271 K e alla pressione
di 7,50 atm. Dopo che è avvenuta la reazione e la temperatura è ritornata a 22 °C, quanto
vale la pressione all’interno del recipiente? (Si trascuri il volume del prodotto solido).

5.5 LA TEORIA CINETICA DEI GAS: UN MODELLO


DEL COMPORTAMENTO DEI GAS
Abbiamo esaminato finora osservazioni di campioni macroscopici di gas: dimi-
nuzione del volume del cilindro, aumento della pressione nel recipiente e così
via. Questo paragrafo presenta il modello centrale che spiega il comportamento
macroscopico dei gas a livello delle singole particelle: la teoria cinetica dei
gas (nota anche come teoria cinetico-molecolare dei gas). La teoria cinetica trae
conclusioni mediante deduzioni matematiche rigorose, ma la nostra trattazione
sarà in gran parte qualitativa.

Come la teoria cinetica dei gas spiega le leggi dei gas


La teoria cinetica dei gas, elaborata da alcuni grandi scienziati del XIX secolo, in
particolare dal fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) e dal fisico austria-
co Ludwig Boltzmann (1844-1906), è stata capace di spiegare le leggi dei gas a cui
i grandi scienziati del XVIII secolo erano pervenuti empiricamente.

Questioni riguardanti il comportamento dei gas Per costruire un modello del


comportamento dei gas, dobbiamo spiegare razionalmente certe questioni a livello
molecolare.
1. Origine della pressione. La pressione è una misura della forza che un gas eser-
cita su una superficie, riferita all’area della superficie. In che modo le singole
particelle gassose esercitano questa forza?
2. Legge di Boyle. Una variazione della pressione di un gas in un verso determina
una variazione del volume del gas nel verso opposto. Cosa accade alle particel-
le quando una pressione esterna comprime il volume del gas? E perché i liquidi
e i solidi sono incomprimibili?
3. Legge di Dalton. La pressione di una miscela di gas è la somma delle pressioni
dei singoli gas. Perché ciascun gas contribuisce alla pressione totale proporzio-
nalmente alla sua frazione molare?
4. Legge di Charles. Una variazione della temperatura è accompagnata da una
corrispondente variazione del volume. Qual è l’effetto di un aumento della
temperatura sulle particelle gassose che aumenta il volume, o aumenta la

05txt.indd 161 16/05/19 19:14


162 Capitolo 5

pressione se il volume è fisso? Questa domanda ne solleva una più fondamen-


tale: che cosa misura la temperatura su scala molecolare?
5. Legge di Avogadro. Il volume (o la pressione) di un gas dipende dal numero di
moli presenti, non dalla natura del particolare gas. Ma 1 mol di molecole più
grandi dovrebbe forse occupare più spazio rispetto a 1 mol di molecole più
piccole? E perché 1 mol di molecole di maggiore massa (“più pesanti”) non
esercita una pressione maggiore di quella esercitata da 1 mol di molecole di
minore massa (“più leggere”)?
Postulati della teoria cinetica dei gas La teoria cinetica si basa su tre postulati.
Postulato 1. Volume delle particelle. Un gas è costituito da un grande insieme di
singole particelle. Il volume di una singola particella è estremamente piccolo
rispetto al volume del recipiente. Essenzialmente, nel modello si suppone
che le particelle abbiano una massa ma siano prive di volume.
Postulato 2. Moto delle particelle. Le particelle gassose sono soggette a moto
rettilineo casuale continuo, tranne che quando urtano contro le pareti del
recipiente o l’una contro l’altra.
Postulato 3. Urti delle particelle. Gli urti (o collisioni) sono elastici, la qual cosa
significa che le molecole collidenti, assimilate a microscopiche palle da bi-
liardo (sfere rigide), si scambiano energia ma non perdono energia attraverso
processi di attrito. Perciò, la loro energia cinetica totale (Ek) è costante. Tra
due urti consecutivi, le molecole non si influenzano reciprocamente.
La scena contemplata dai postulati è la seguente: innumerevoli particelle in moto
in ogni direzione, che urtano contro le pareti del recipiente e l’una contro l’altra.
Ogni data particella varia la propria velocità in ogni urto, forse restando quasi im-
mobile dopo un urto frontale contro un’altra particella a un certo istante e forse
allontanandosi a grande velocità dopo un urto contro una parete del recipiente
all’istante successivo. Perciò, le particelle hanno una velocità media: la maggior parte
di esse si muove a velocità vicine a quella media, alcune si muovono a velocità
maggiori e altre a velocità minori.
La Figura 5.13 rappresenta la distribuzione delle velocità delle molecole (u) di
N2 gassoso a tre temperature. Le curve si appiattiscono e si allargano all’aumentare
della temperatura. Si noti, in particolare, che la velocità più probabile (il massimo di
ciascuna curva) aumenta all’aumentare della temperatura. La velocità più probabile au-
menta perché l’energia cinetica media delle molecole ( Ek ; la sopralineatura indica
il valore medio di una grandezza), che comprende la velocità più probabile, è diret-
tamente proporzionale alla temperatura assoluta: Ek ∝ T, ossia Ek = c  ×  T , dove
c è una costante che è la stessa per ogni gas. (Ritorneremo su questa equazione tra
poco). Perciò, una conclusione importante basata sulla distribuzione delle velocità,
che scaturisce direttamente dal Postulato 3, è che a una data temperatura, tutti i gas
hanno la stessa energia cinetica media.

Figura 5.13 Distribuzione


delle velocità molecolari a
tre temperature. A una data
temperatura, il diagramma del
numero relativo di molecole
di N2 in funzione della veloci-
tà molecolare (u) è una curva
a campana asimmetrica, il
cui massimo corrisponde alla
velocità più probabile. Si noti
che le curve si allargano all’au-
mentare della temperatura e
che la velocità più probabile è
direttamente proporzionale alla
temperatura.

05txt.indd 162 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 163

Pest Figura 5.14 Descrizione mo-


lecolare della legge di Boyle.
A una data temperatura T, le
Pgas Pest aumenta, un aumento di Pest molecole gassose urtano contro
Pest
Pgas Pest T e n sono fa diminuire V, le pareti del recipiente (d1)
fisse aumentando la e danno origine a una pres-
frequenza degli urti sione (Pgas) che è uguale alla
finché Pgas Pest pressione esterna (Pest). Se Pest
d2
d1 Pgas aumenta, V diminuisce e quindi
la distanza media tra una mole-
cola e le pareti del recipiente è
più corta (d2 < d1). Le moleco-
le urtano contro le pareti più
Le leggi dei gas da un punto di vista molecolare Continuiamo a visualizzare
frequentemente, e Pgas aumenta
le particelle per vedere come la teoria cinetica spiega il comportamento macrosco- finché non è diventata di nuovo
pico dei gas e risponde alle precedenti domande. uguale a Pest. Perciò, V diminui-
sce all’aumentare di P.
1. Origine della pressione. Quando un corpo in moto urta contro una superficie,
esercita su di essa una forza. Dal Postulato 2, che descrive il moto delle particel-
le, traiamo la conclusione che quando una particella urta contro una parete del
recipiente esercita su di essa una forza. Un gran numero di questi urti dà origine
alla pressione osservata. Maggiore è il numero di molecole in un dato recipiente,
maggiore è la frequenza dei loro urti contro le pareti, e maggiore è la pressione.
2. Legge di Boyle (V ∝ 1/P). Le molecole gassose sono masse puntiformi (punti
Figura 5.15 Descrizione
materiali) separate da spazio vuoto (Postulato 1) e quindi, quando la pressione molecolare della legge di
esercitata sul campione di gas aumenta a temperatura costante, la distanza Dalton delle pressioni parziali.
reciproca delle molecole diminuisce con conseguente diminuzione del volu- Un sistema stantuffo-cilindro
me del campione. La pressione esercitata dal gas aumenta simultaneamente contenente 0,30 mol di gas A
perché, al diminuire del volume del gas, diminuiscono le distanze tra le alla pressione di 0,50 atm è col-
legato a un recipiente di volume
molecole gassose e le pareti del recipiente e tra le pareti stesse; perciò, gli fisso contenente 0,60 mol di
urti diventano più frequenti (Figura 5.14). Il fatto che i liquidi e i solidi siano gas B alla pressione di 1,0 atm.
pressoché incomprimibili significa che è piccolissimo lo spazio libero tra le Quando lo stantuffo viene
molecole sia dei liquidi sia dei solidi. abbassato a temperatura fissa,
3. Legge di Dalton delle pressioni parziali (Ptotale = PA + PB). Aggiungendo una data il gas A è spinto nel recipiente
del gas B, i due gas si miscela-
quantità di gas A a una data quantità di gas B, si determina un aumento del no, e la nuova pressione totale,
numero totale di molecole proporzionale alla quantità aggiunta di A. Questo 1,5 atm, è uguale alla somma
aumento determina un corrispondente aumento del numero di urti al secondo delle pressioni parziali, che è in
contro le pareti del recipiente (Postulato 2), che determina un corrispondente relazione con la nuova quantità
aumento della pressione (Figura 5.15). Perciò, ciascun gas esercita una frazione totale di gas, 0,90 mol. Perciò,
ciascun gas subisce una frazione
della pressione totale sulla base della frazione di molecole (o della frazione di del totale degli urti in relazione
moli, cioè della frazione molare) di quel gas nella miscela. con la sua frazione del numero
4. Legge di Charles (V ∝ T). Al crescere della temperatura, crescono la velocità totale di molecole (moli), che è
molecolare più probabile e l’energia cinetica media (Postulato 3). Perciò, le uguale alla sua frazione molare.

1,0 atm 1,5 atm


gas A gas B Quando il gas A è spinto
Quando i due gas, A e B, nel recipiente del gas B,
sono separati, ciascuno miscela di i due gas si miscelano
esercita la pressione AeB e Ptotale PA  PB.
totale nel recipiente Il numero di collisioni
che lo contiene A T costante
con le pareti del recipiente
si apre
per ciascun gas è proporzionale
il rubinetto
alla quantità (mol) di gas
e si abbassa
rubinetto lo stantuffo rubinetto
chiuso aperto
stantuffo
abbassato

PA Ptotale PB Ptotale Ptotale P A  PB 1,5 atm


0,50 atm 1,0 atm ntotale 0,90 mol
nA 0,30 mol nB 0,60 mol XA 0,30 mol
XB 0,60 mol

05txt.indd 163 16/05/19 19:14


164 Capitolo 5

Figura 5.16 Descrizione mo- Patm


lecolare della legge di Charles.
A una data temperatura (T1),
Pgas = Patm. Quando la tempera-
Pgas
tura del gas viene innalzata a Patm Patm T2 T2
T2, le molecole si muovono più
T1
velocemente e urtano contro
le pareti del recipiente più T aumenta V aumenta
Pgas Pgas
frequentemente, con un conse-
n è fissa
guente aumento di Pgas. Ciò fa
aumentare V e quindi le moleco-
le urtano meno frequentemen-
te, finché Pgas non è ritornata A T1 Pgas Patm All’aumentare di T A T2 V aumenta finché
aumenta la frequenza Pgas Patm
uguale a Patm. Perciò, V aumenta
degli urti: Pgas ! Patm
all’aumentare di T.

molecole urtano contro le pareti più frequentemente e più energeticamente.


All’aumentare della frequenza degli urti, aumenta la pressione interna. Di con-
seguenza, le pareti si muovono verso l’esterno, il che fa aumentare il volume
e ripristina la pressione iniziale (Figura 5.16).
5. Legge di Avogadro (V ∝ n). Aggiungendo molecole a un recipiente, si aumenta il
numero totale di urti contro le pareti e, quindi, si aumenta la pressione interna.
Di conseguenza, il volume si espande finché il numero di urti riferito all’unità di
area della parete non diventa uguale al numero prima dell’aggiunta (Figura 5.17).

L’importanza dell’energia cinetica


Dobbiamo ancora spiegare perché numero uguali di molecole di due gas diversi,
quali O2 e H2, occupano lo stesso volume. A questo scopo, dobbiamo prima com-
prendere perché le particelle di O2 di massa maggiore (“più pesanti”) non urtano le
pareti del recipiente con maggiore energia rispetto alle particelle di H2 di massa
minore (“più leggere”). Il motivo è in relazione con il significato di energia cinetica.
Come abbiamo visto nel Capitolo 1, l’energia cinetica di un corpo è l’energia asso-
ciata al suo moto. Questa energia è in relazione con la massa e la velocità del corpo:
=Ek 1
2 massa × velocità 2
Questa equazione indica che, se un corpo di massa maggiore e un corpo di massa
minore hanno la stessa energia cinetica, il corpo di massa maggiore deve avere velocità
minore. Nel caso di un gran numero di molecole, l’energia cinetica media è
Ek = 12 mu 2
dove m è la massa molecolare e u 2 è la media dei quadrati delle velocità mo-
lecolari. La radice quadrata di u 2 è detta velocità quadratica media (uqm).
Una molecola che si muove alla velocità quadratica media ha energia cinetica media.

Figura 5.17 Descrizione Patm


molecolare della legge di
Avogadro. gas
A una data temperatura (T), Pgas
Patm Patm
una certa quantità (n) di gas
dà origine a una pressione
(Pgas) uguale a Patm. Quando si
aggiunge altro gas, n aumenta, Pgas Pgas
n aumenta V aumenta
e quindi gli urti contro le pareti
diventano più frequenti e Pgas T è fissa
aumenta. Ciò determina un
aumento di V finche non si rista-
Pgas Patm Un aumento del numero V aumenta finché
bilisce la condizione Pgas = Patm.
di molecole aumenta la Pgas Patm
Perciò, V aumenta all’aumenta-
frequenza degli urti: Pgas ! Patm
re di n.

05txt.indd 164 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 165

Figura 5.18 La relazione


tra massa molare e velocità
molecolare. A una data tempe-
ratura, i gas con massa molare
più bassa (numero tra parentesi)
hanno velocità più probabile
più alta (massimo di ciascuna
curva).

La velocità quadratica media è legata alla temperatura e alla massa molare dalla
seguente relazione:

3RT
uqm = (5.13)

dove R è la costante dei gas, T è la temperatura assoluta e M è la massa molare. [Poi-


ché vogliamo che u sia espressa in metri al secondo (m/s), e l’unità di R comprende
il joule (definito come 1 J = 1 kg⋅m2/s2), usiamo il valore R = 8,314 J/ (mol⋅K) ed
esprimiamo M in kilogrammi per mole (kg/mol)].
Dal Postulato 3 discende la conclusione che gas diversi alla stessa temperatura
hanno la stessa energia cinetica media. Perciò, la legge di Avogadro richiede che,
in media, le molecole di massa maggiore abbiano una velocità minore. In altre parole,
alla stessa temperatura, le molecole di O2 si muovono, in media, più lentamente
rispetto alle molecole di H2. La Figura 5.18 mostra che, in generale, alla stessa tem-
peratura i gas di massa minore hanno velocità più alte. Ciò significa che le molecole
di H2 urtano contro le pareti del recipiente più frequentemente rispetto alle mole-
cole di O2, ma l’urto di ogni molecola di H2 esercita una forza minore sulle pareti.
Poiché alla stessa temperatura T sia le molecole di massa minore sia quelle di massa
maggiore urtano contro le pareti del recipiente con la stessa energia cinetica media,
esse esercitano la stessa pressione e i gas occupano lo stesso volume.

Il significato di temperatura Abbiamo detto precedentemente che l’energia


cinetica media di una particella è uguale al prodotto della temperatura assoluta per
=
una costante, cioè Ek costante ×T . Una deduzione della relazione completa dà la
seguente equazione:
⎛ R ⎞⎟
Ek = 23 ⎜⎜ ⎟T
⎜⎝ N A ⎟⎟⎠

dove R è la costante dei gas e NA è il numero di Avogadro. Questa equazione esprime


il fatto importante che la temperatura è in relazione con l’energia media del moto mole-
colare. È importante notare che è in relazione non con l’energia totale, che dipende
dalla grandezza del campione, bensì con l’energia media: al crescere di T, Ek cresce.
Cosa avviene quando, per esempio, un becher d’acqua in cui è inserito un termome-
tro viene riscaldato su una fiamma? Le particelle gassose in rapido movimento nella
fiamma urtano più energeticamente contro gli atomi del becher, trasferendo loro una
parte della propria energia cinetica. Gli atomi del becher vibrano più velocemente e
trasferiscono energia cinetica alle molecole d’acqua, che si muovono più velocemen-
te e trasferiscono energia cinetica agli atomi nel bulbo del termometro. Questi, a loro
volta, trasferiscono energia cinetica agli atomi di mercurio, i quali, di conseguenza,
si urtano più frequentemente e più energeticamente, il che fa aumentare il volume
del mercurio e salire il suo livello nel cannello del termometro. Nel mondo macro-
scopico, vediamo questo processo come un aumento della temperatura; nel mondo
molecolare, esso è una sequenza di trasferimenti di energia cinetica da particelle di
energia superiore a particelle di energia inferiore, con la conseguenza che ciascun
gruppo di particelle aumenta la sua energia cinetica media.

05txt.indd 165 16/05/19 19:14


166 Capitolo 5

• Preparazione del
bustibile nucleare
com- Effusione e diffusione
Una delle
Il movimento dei gas, l’uno attraverso l’altro oppure da regioni di alta pressione a
più importanti applicazioni della
legge di Graham è l’arricchimen- regioni di bassa pressione, ha molte applicazioni importanti.
to del combustibile per reattori
nu­ cleari; separazione dell’isotopo Il processo di effusione Uno dei primi trionfi della teoria cinetica dei gas fu la
238
U non fissile, più abbondante, spiegazione dell’effusione, il processo con cui un gas fugge dal suo recipiente at-
dall’isotopo 235U, fissile, per au­men­ traverso un piccolo orifizio trasferendosi in uno spazio in cui è stato fatto il vuoto.
tare la percentuale di 235U nella Il chimico e fisico scozzese Thomas Graham (1805-1869) studiò questo processo e
miscela. Poiché i due isotopi hanno
proprietà chimiche identiche, ven- giunse alla conclusione che la velocità di effusione era inversamente proporzionale
gono separati in base alle differenze alla radice quadrata della densità del gas. La velocità di effusione è il numero di
delle velocità di effusione dei loro moli (o di molecole) di gas che effondono nell’unità di tempo. Poiché la densità è
composti gassosi. Il minerale urani- direttamente proporzionale alla massa molare, enunciamo la legge di Graham
fero viene convertito in UF6 gassoso
238 235
(una miscela di UF6 e UF6), che sull’effusione come segue: la velocità di effusione di un gas è inversamente propor-
viene pompato attraverso una serie zionale alla radice quadrata della sua massa molare.
di camere con diaframmi porosi. Le 1
molecole di 235UF6 (M = 349,03), velocità di effusione ∝
muovendosi a una velocità lievis- 
simamente maggiore, effondono L’argon (Ar) ha una massa molare minore di quella del cripton (Kr) e quindi la sua ve-
attraverso ciascun diaframma a una
velocità 1,0043 volte maggiore di locità di effusione è maggiore di quella del cripton. Perciò, il rapporto delle velocità è
quella delle molecole di 238UF6
(M = 352,04). Vengono effettuati velocità Ar Kr velocità A B
molti passaggi, ciascuno = dei quali = ossia, in generale,   (5.14)
velocità Kr Ar velocità B A
au­menta la frazione di 235UF6, fin-
ché non si ottiene una miscela con-
tenente una quantità sufficiente di La teoria cinetica dei gas spiega che, a una data temperatura e a una data pressione, il
235
UF6. Questo processo di arricchi- gas con la massa molare minore effonde più velocemente perché la velocità più probabile del-
mento isotopico fu sviluppato negli le sue molecole è più alta; perciò, fugge un maggior numero di molecole nell’unità di tempo.
ultimi anni della Seconda guerra
La legge di Graham è usata anche per determinare la massa molare di un gas
mondiale e produsse una quantità
235
di U sufficiente per le prime tre sconosciuto, X, confrontando la sua velocità di effusione con quella di un gas noto,
bombe nucleari del mondo. quale He:
velocità X He
=
velocità He X
Elevando al quadrato entrambi i membri e risolvendo rispetto alla massa molare di
X, otteniamo
⎛ velocità He ⎞⎟2
=
 He ×⎜⎜ ⎟
X
⎜⎝ velocità X ⎟⎟⎠

Applicazione della legge di Graham sull’effusione


PROBLEMA DI VERIFICA 5.12
Problema Si calcoli il rapporto tra la velocità di effusione dell’elio e quella del metano
(CH4).
Piano La velocità di effusione è inversamente proporzionale a ; quindi ricaviamo la
massa molare di ciascuna sostanza dalla formula e ne estraiamo la radice quadrata. Il recipro-
co del rapporto delle radici quadrate è il rapporto delle velocità di effusione.
Risoluzione
M di CH4 = 16,04 g/mol      M di He = 4,003 g/mol
Calcolo del rapporto delle velocità di effusione:
velocità He CH4 16,04 g/mol
= = = 4,007 = 2,002
velocità CH4 He 4,003 g/mol
Verifica Un rapporto >1 è ragionevole perché He, avendo una massa molare minore,
dovrebbe effondere più velocemente rispetto a CH4, che ha una massa molare maggiore.
Poiché la massa molare di He è pari a circa 1/4 di quella di CH4, He dovrebbe effondere a
una velocità pari a circa il doppio di quella di CH4 (il reciproco di 14 ).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 5.12 Se 0,010 mol di He impiegano 1,25


min per effondere, quanto tempo impiegherà per effondere la stessa quantità di etano (C2H6)?

05txt.indd 166 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 167

Figura 5.19 Diffusione di una


particella gassosa attraverso
uno spazio pieno di altre par-
ticelle. Nell’attraversare uno
spazio, una molecola gassosa
urta contro molte altre mole-
cole, e quindi percorre un cam-
mino tortuoso. Per chiarezza, è
mostrato soltanto il cammino
(linea spezzata rossa) di una
sola particella (punto nero).

Il processo di diffusione In stretta relazione con il processo di effusione gassosa


è il processo di diffusione gassosa, il movimento di un gas attraverso un altro gas.
Anche le velocità di diffusione sono descritte generalmente dalla legge di Graham:
1
velocità di diffusione ∝

Nel caso di due gas a uguali pressioni, quali NH3 e HCl, che si muovono l’uno attra-
verso l’altro o attraverso una miscela di gas, quale l’aria, si trova
velocità NH3 HCI
=
velocità HCI NH3
Il motivo di questa dipendenza dalla massa molare è uguale a quello per le velocità
di effusione: le molecole di massa molare minore (“più leggere”) hanno velocità mo-
lecolari più alte rispetto alle molecole di massa molare maggiore (“più pesanti”) e,
quindi, percorrono un cammino maggiore in un dato intervallo di tempo.
Se le molecole gassose si muovono a velocità dell’ordine delle centinaia di metri
al secondo a temperature ordinarie (vedi Figura 5.13), perché, quando si apre una
bottiglia di profumo, devono trascorrere 1÷2 secondi prima che si percepisca l’odore?
Anche se la convezione svolge un ruolo importante, una molecola che si muove per
diffusione non percorre un lungo cammino prima di urtare contro una molecola del­
l’aria. Come si può vedere dalla Figura 5.19, il cammino di ciascuna molecola è tortuo-
so. Per farsene un’idea, si immagini di camminare attraverso una stanza vuota e poi di
camminare attraverso una stanza affollata di altre persone che si muovono anch’esse.
La diffusione ha luogo anche nei liquidi (e anche nei solidi, sebbene in piccola
misura). Però, poiché le distanze intermolecolari sono molto più corte in un liquido
che in un gas, gli urti sono molto più frequenti e, quindi, la diffusione è molto più
lenta. La diffusione di un gas attraverso un liquido è un processo di fondamentale
importanza nei sistemi biologici. Per esempio, svolge un ruolo essenziale nel movi-
mento di O2 dai polmoni al sangue. Molti organismi hanno evoluto modi elaborati
di accelerare la diffusione dei nutrienti (per esempio, dello zucchero e degli ioni
metallici) attraverso le membrane cellulari e di rallentare, o persino arrestare, la
diffusione delle sostanze tossiche.

Il mondo caotico dei gas: cammino libero medio


e frequenza degli urti
Perfezionamenti della teoria cinetica fondamentale permettono di spingere lo
sguardo nel mondo caotico, stupefacente, delle molecole di un gas. Seguiamo una
molecola “media” di N2 in una stanza alla temperatura di 20 °C e alla pressione di
1 atm, forse la stanza in cui il lettore si trova in questo momento.
Distribuzione delle velocità molecolari La nostra molecola sfreccia attraverso
la stanza a una velocità media di 0,47 km/s (velocità quadratica media = 0,51 km/s)
e varia continuamente la sua velocità quando urta contro altre molecole. A un certo
istante può muoversi a una velocità di 4000 km/s o essere immobile mentre com-
pie un urto frontale, ma queste velocità estreme sono molto meno probabili della
velocità più probabile (vedi Figura 5.18).

05txt.indd 167 16/05/19 19:14


La chimica nelle altre scienze
Chimica nella scienza planetaria

Struttura e composizione dell’atmosfera terrestre


L’atmosfera di un pianeta è l’involucro di gas che si estende varia tra 700 K e 2000 K, a seconda dell’intensità della ra-
con continuità dalla superficie del pianeta verso l’esterno, fi- diazione solare e dell’attività delle macchie solari. L’esosfera,
nendo per diradarsi fino al punto da diventare indistinguibile la regione più esterna, mantiene queste temperature e si
dallo spazio interplanetario. Sulla Terra avvengono comples- fonde con lo spazio esterno.
se variazioni di pressione, temperatura e composizione in Cosa significa realmente una temperatura di 2000 K
questa miscela di gas, e l’atmosfera attuale è molto diversa da alla quota di 500 km sopra la superficie terrestre? Un pezzo
quella che esisteva all’inizio della storia del nostro pianeta. di ferro (temperatura di fusione 1700 K) si arroventereb-
be e fonderebbe se posto nella termosfera? Nel linguaggio
Variazione di pressione quotidiano, i termini “caldo” e “freddo” si riferiscono a mi-
I gas sono comprimibili (legge di Boyle) surazioni effettuate in prossimità della superficie terrestre,
e quindi la pressione atmosferica dimi-
nuisce con andamento regolare all’au-
mentare della distanza dalla superficie ESOSFERA
terrestre (ossia della quota), con una
diminuzione più rapida alle quote più 500
basse (Figura S5.1). Anche se non esi-
ste un confine esterno specifico dell’at-
mosfera, la densità e la composizione a
una quota di 10 000 km dalla superficie
terrestre sono identiche a quelle nello
TERMOSFERA
spazio esterno. Circa il 99% della mas-
sa dell’atmosfera è situata entro 30 km
dalla superficie terrestre e il 75% è si- 90
tuato entro 11 km.
0,001
Variazione della temperatura
pressione (mmHg)

A differenza della variazione della

quota (Km)
pressione, la temperatura non dimi- 70
nuisce in modo regolare all’aumenta- MESOSFERA
re della quota, e l’atmosfera viene di
solito classificata in regioni basate sul
verso della variazione della tempera-
tura (Figura S5.1). Nella troposfera, la 2 50
regione dell’atmosfera compresa fra
la superficie terrestre e una quota di
circa 11 km, la temperatura diminui-
sce di 7 °C al kilometro fino a −55 °C STRATOSFERA
(218 K). Tutti i fenomeni meteorologi- linea dell’Ozono 30
ci si producono nella troposfera, e qua-
si tutti gli aeromobili volano in questa
regione. Poi la temperatura aumenta 150
nella stratosfera, salendo da −55 °C a
circa 7 °C (280 K) alla quota di 50 km; 10
esamineremo la causa tra poco. TROPOSFERA
Nella mesosfera, la temperatura
760
diminuisce di nuovo in modo regolare 150 180 218 273 280 300 2000
scendendo a −93 °C (180 K) alla quo- temperatura (K)
ta di circa 80 km. Nella termosfera, che
si estende fino alla quota di 500 km, Figura S5.1 Variazioni di pressione, temperatura e composizione dell’atmosfera
la temperatura torna ad aumentare, ma terrestre

05txt.indd 168 16/05/19 19:14


dove la densità dell’atmosfera è 106 volte maggiore che nel-
la termosfera. A una quota di 500 km, dove la frequenza
degli urti è estremamente bassa, un termometro, o qualsiasi
altro corpo, è soggetto a un trasferimento di energia cinetica
molto piccolo. Perciò, il corpo non diventa “caldo” nel si-
gnificato corrente del termine; in realtà, è molto “freddo”.
Si ricordi che la temperatura è direttamente proporzionale
all’energia cinetica media delle particelle. La radiazione so-
lare ad alta energia che raggiunge queste regioni esterne
dell’atmosfera si trasferisce a un numero relativamente pic-
colo di particelle e quindi la loro energia cinetica media
diventa estremamente alta, come è indicato dall’alta tem-
peratura. Per questo motivo, gli aerei supersonici, come il
Concorde SST (Super Sonic Transport) (che il 14 ottobre
2003 ha effettuato l’ultimo volo transatlantico dopo il qua-
le è “andato in pensione” per antieconomicità), non rag-
giungono la velocità massima finché non hanno raggiunto
la quota massima, dove l’aria è meno densa, e quindi gli urti
contro le molecole gassose sono meno frequenti e il mate-
riale del­­l’a­viogetto si scalda meno.
Variazione della composizione
In termini di composizione chimica, l’atmosfera terrestre
viene di solito suddivisa in due grandi regioni: l’omosfera e
l’eterosfera. Sovrapponendo a queste regioni quelle definite
in termini di temperatura, si vede che l’omosfera compren- Eterosfera  L’eterosfera ha una composizione variabile,
de la troposfera, la stratosfera e la mesosfera, mentre l’etero- essendo costituita da regioni dominate da un piccolo nu-
sfera comprende la termosfera e l’esosfera. mero di specie atomiche o molecolari. Il riscaldamento con-
vettivo non raggiunge queste quote e quindi le particelle
Omosfera   L’omosfera ha una composizione relativamen- gassose si stratificano secondo la massa molare: molecole di
te costante, contenendo, in volume, circa il 78% di N2, il azoto e di ossigeno negli strati inferiori, atomi di ossigeno
21% di O2 e l’1% di una miscela di altri gas (in prevalenza (O) nello strato superiore, poi atomi di elio (He), infine ato-
argon). Nelle condizioni esistenti nell’omosfera, i gas hanno mi di idrogeno libero (H) negli strati più alti.
un comportamento ideale, e quindi la percentuale in volu- L’eterosfera inferiore comprende la ionosfera, conte-
me è uguale alla percentuale in moli (legge di Avogadro), e nente specie ioniche quali O+, NO+, O2+, N2+ ed elettroni
la frazione molare di un componente è direttamente pro- liberi. La chimica ionosferica implica numerosi processi di
porzionale alla sua pressione parziale (legge di Dalton). La rottura di legami indotta dalla luce (fotodissociazione) e di
Tabella S5.1 mostra i componenti di un campione di aria rimozione di elettroni indotta dalla luce (fotoionizzazione).
secca, pulita, a livello del mare. Per esempio, uno dei modi più semplici in cui si formano
La composizione dell’omosfera è uniforme in virtù del- gli atomi di O implica una sequenza in quattro tappe che
la miscelazione convettiva. L’aria a contatto diretto con le assorbe energia:
terre emerse è più calda dell’aria sovrastante. L’aria, riscal-
dandosi, si espande (legge di Charles), la sua densità dimi- → N+2 + e− [ fotoionizzazione ]
N2 ⎯⎯
nuisce, e l’aria più calda sale attraverso l’aria più fredda, più N+2 + e− ⎯ ⎯
→N + N
densa, miscelando così i componenti. L’aria, raffreddandosi,
scende, torna a riscaldarsi per contatto con le terre emerse, N + O2 ⎯ ⎯
→ NO + O
e il processo di convezione prosegue. Le correnti d’aria cal- N + NO ⎯ ⎯
→ N2 + O
da che salgono dal suolo, dette termiche, sono sfruttate dagli
uccelli veleggiatori e dai piloti degli alianti per mantenersi → O + O [ fotodissociazione complessiva ]
O2 ⎯ ⎯
in volo.
Un effetto importante della convezione è che l’aria so- Quando gli atomi di O ad alta energia che così si formano
pra le aree industrializzate si depura perché l’aria ascen- urtano contro altre specie neutre o ioniche, l’energia cine-
dente in prossimità della superficie trasporta verso l’alto tica media delle particelle termosferiche aumenta.
gli inquinanti presenti al livello del suolo, che vengono poi Importanza dell’ozono stratosferico  Anche se la
dispersi dai venti. Però, in certe condizioni meteorologiche maggior parte delle radiazioni solari ad alta energia viene
e geografiche, una massa d’aria calda resta stazionaria su assorbita dalla termosfera, una piccola quantità raggiunge
una massa d’aria fredda. La conseguente inversione di tem- la stratosfera e dissocia le molecole di O2 in atomi di O.
peratura blocca la convezione normale, con conseguente Gli atomi di O energetici urtano contro altre molecole di
accumulazione di inquinanti nocivi, che causano gravi pro-
blemi sanitari. (continua)

05txt.indd 169 16/05/19 19:14


170 Capitolo 5

O2 per formare ozono (O3), un’altra forma molecolare di evolsero i cianobatteri (“alghe azzurre”). Questi organismi
ossigeno: unicellulari utilizzavano l’energia solare per produrre glu-
radiazioni ad alta energia
O 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ → 2O( g ) cosio mediante la fotosintesi:
energia solare
M + O( g ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ O3 ( g ) + M 6CO 2 ( g ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯⎯⎯ → C6H12O6 (glucosio) + 6O 2 ( g )
dove M denota qualsiasi particella capace di asportare ener-
Grazie a questa reazione, il contenuto di O2 dell’atmosfe-
gia in eccesso. Questa reazione rilascia calore, ed è questo
ra aumentò e il contenuto di CO2 diminuì. L’aumento del
uno dei motivi per cui la temperatura stratosferica aumenta
contenuto di O2 permise un aumento dell’ossidazione, che
all’aumentare della quota.
L’ozono stratosferico è essenziale per la vita sulla su- mutò la costituzione geologica e biologica della Terra. I mi-
perficie terrestre perché assorbe una grande percentuale nerali del ferro(II) si trasformarono in minerali del ferro(III), i
delle radiazio­ni solari ultraviolette (UV), con conseguente solfiti si trasformarono in solfati, e alla fine si evolsero orga-
de­com­­po­sizione dell’ozono: nismi capaci di utilizzare O2 per ossidare altri organismi per
procurarsi energia. Affinché questi organismi potessero so-
radiazioni UV
O3 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → O( g ) + O( g ) + O( g ) pravvivere all’esposizione alle forme più energetiche di ra-
Le radiazioni ultraviolette sono estremamente nocive per- diazione solare (in particolare alle radiazioni ultraviolette),
ché sono tanto intense da rompere i legami chimici, inter- dovette formarsi una quantità di O2 sufficiente per c­ reare
rompendo così i normali processi biologici. In assenza di uno strato di ozono protettivo. Le stime indicano che la
ozono stratosferico, una quantità molto maggiore di queste percentuale in moli di O2 aumentò e raggiunse il valore
radiazioni raggiungerebbe la superficie terrestre, causando attuale (20%) circa 1,5 miliardi di anni fa.
un aumento dei tassi di mutazione e di cancro. La deplezio-
Uno sguardo d’insieme alle atmosfere planetarie
ne dello strato di ozono (“buco dell’ozono”) causata dai gas
industriali è esaminata nel Capitolo 16. La combinazione di pressione e temperatura della Terra, la
sua atmosfera ricca di ossigeno e la sua superficie coperta in
L’atmosfera terrestre primitiva gran parte da acqua sono uniche nel sistema solare (in effetti,
La composizione dell’atmosfera terrestre attuale somiglia se si scoprissero condizioni e composizione simili su un pia-
poco a quella dell’atmosfera che copriva la giovane Terra, ma neta in orbita attorno a un’altra stella, la possibilità di vita su
gli scienziati non sono d’accordo su quale fosse realmente la questo pianeta susciterebbe enorme entusiasmo). Le atmo-
composizione primitiva. Il carbonio e l’azoto avevano numeri sfere sugli altri pianeti del sistema solare sono molto diverse
di ossidazione bassi, come in CH4 (numero di ossidazione di dall’atmosfera terrestre. In alcune, in particolare quelle sui
C = −4) e in NH3 (numero di ossidazione di N = −3)? Oppu- pianeti esterni (Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone),
re questi atomi avevano numeri di ossidazione più alti, come esistono condizioni tali da causare estreme deviazioni dal
in CO2 (numero di ossidazione di C = +4) e in N2 (numero comportamento dei gas perfetti (Paragrafo 5.7). La Tabella
di ossidazione di N = 0)? Un punto generalmente accettato è S5.2, basata su dati attuali forniti dai veicoli spaziali della
che la miscela primitiva non conteneva O2 libero. NASA e su osservazioni compiute dalla superficie terrestre,
I modelli dell’origine della vita ipotizzano che, circa elenca le condizioni e la composizione delle atmosfere dei
1 miliardo di anni dopo la comparsa dei primi organismi, si pianeti del sistema solare e di alcune delle loro lune.

05txt.indd 170 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 171

Cammino libero medio Usando la teoria cinetica e il diametro di una molecola, • Pericoli sulle autostrade
possiamo ottenere il cammino libero medio, il cammino medio che la molecola molecolari Per farci un’idea di
percorre tra due urti consecutivi a una data temperatura e a una data pressione. La quanto siano stupefacenti gli eventi
nel mondo molecolare, possiamo
nostra molecola media di N2 (diametro: 3,7  ×  10−10 m) percorre 6,6  ×  10−8 m prima esprimere la frequenza degli urti di
di urtare contro una molecola della stessa specie, la qual cosa significa che percorre una molecola in termini di un’espe-
un cammino pari a 180 diametri molecolari tra due urti consecutivi. (Un’analogia rienza comune nel mondo macro-
nel mondo macroscopico sarebbe una molecola di N2 di diametro uguale a quello scopico: viaggiare in automobile
su un’autostrada. Poiché un’auto-
di una palla da biliardo, che percorre circa 9 m prima di urtare contro un’altra mobile è molto più grande di una
palla). Perciò, anche se le molecole gassose non sono masse puntiformi (punti ma- molecola di N2, per uguagliare la
teriali), un campione di gas è costituito in prevalenza da spazio vuoto. Il cammino frequenza degli urti della molecola
libero medio è un fattore essenziale nella velocità di diffusione e nella velocità di dovremmo viaggiare a una velo-
cità di 4,5 miliardi di kilometri al
trasmissione del calore attraverso un gas. secondo (un’impossibilità, dato che
questa velocità è molto maggiore di
Frequenza degli urti Dividendo la velocità più probabile (cammino percorso ri- quella della luce) e urteremmo con-
ferito all’unità di tempo, espresso in metri al secondo) per il cammino libero medio tro un’altra automobile ogni 700 m!
(cammino medio percorso tra due urti consecutivi, espresso in metri), si ottiene la
frequenza degli urti (o delle collisioni) (espressa in secondi alla meno uno),
ossia il numero medio di urti che ogni molecola compie in 1 secondo:
4,7 ×102 m/s
frequenza degli urti = = 7,1×109 collisioni/s
6,6 ×10−8 m/collisione
La distribuzione delle velocità (e delle energie cinetiche) e la frequenza degli urti sono
con­cetti essenziali per comprendere la velocità di una reazione chimica, come vedremo
nel Capitolo 16. Com’è illustrato nella scheda La chimica nelle altre scienze (pp. 168-170)
la teoria cinetica si applica direttamente al comportamento dell’atmosfera terrestre.

5.6 I GAS REALI: DEVIAZIONI DAL


COMPORTAMENTO DEI GAS PERFETTI
Un principio fondamentale della scienza è che i modelli più semplici sono più
utili di quelli più complessi purché siano capaci di spiegare i dati sperimentali. La
teoria cinetica dei gas è indubbiamente utile: con postulati semplici, spiega il com-
portamento dei gas perfetti in termini di particelle assimilate a “palle da biliardo”
infinitesime (punti materiali) che si muovono a velocità governate dalla tem-
peratura assoluta e compiono soltanto urti perfettamente elastici.
In realtà, però, sappiamo che le molecole non sono masse puntiformi (punti
Tabella 5.4 Volume molare
di alcuni gas comuni
materiali). Hanno un volume determinato dalle dimensioni dei loro atomi e in condizioni normali
dalle lunghezze dei loro legami. Sappiamo anche che gli atomi contengono di temperatura
particelle cariche, che danno origine a forze intermolecolari attrattive e repul- e pressione
sive. (In realtà, queste forze fanno sì che le sostanze subiscano cambiamenti (0 °C e 1 atm)
di stato; le esamineremo in modo particolareggiato nel Capitolo 12). Perciò,
Punto
ci attendiamo che in certe condizioni queste proprietà reali delle molecole
(tempe-
causino deviazioni dal comportamento dei gas perfetti, e questo è proprio ratura) di
ciò che si osserva. Dobbiamo quindi modificare il modello semplice e l’equa­ Volume conden-
zione di stato dei gas perfetti per prevedere il comportamento dei gas a molare sazione
temperature molto basse e a pressioni molto alte. Gas (L/mol) (°C)

Effetti di condizioni estreme sul comportamento dei gas He 22,435 −268,9


H2 22,432 −252,8
In condizioni ordinarie – temperatura relativamente alte e pressioni relativa- Ne 22,422 −246,1
mente basse – la maggior parte dei gas semplici presenta un comportamento Gas perfetto 22,414 −
quasi ideale. Però, anche in condizioni normali di temperatura e pressione (0 Ar 22,397 −185,9
°C e 1 atm) i gas deviano lievemente dal comportamento ideale. La Tabella 5.4 N2 22,396 −195,8
presenta i volumi molari normali di alcuni gas con 5 cifre significative. È im- O2 22,390 −183,0
portante notare che essi si discostano lievemente dal valore che compete a CO 22,388 −191,5
Cl2 22,184 −34,0
un gas perfetto. I fenomeni che causano queste lievi deviazioni in condizioni NH3 22,079 −33,4
normali esercitano un’influenza che cresce al decrescere della temperatura

05txt.indd 171 16/05/19 19:14


172 Capitolo 5

Figura 5.20 Il comportamen-


to di alcuni gas reali al cresce-
re della pressione esterna.
La semiretta orizzontale rap-
presenta il comportamento di
1 mol di gas perfetto: PV/RT = 1
in corrispondenza di ogni valo-
re della Pest. A pressioni molto
alte, tutti i gas reali si disco-
stano notevolmente da questo
comportamento ideale. Queste
deviazioni cominciano a manife-
starsi anche a pressioni ordina-
rie (vedi particolare ingrandito).

verso il punto di condensazione del gas, la temperatura a cui esso liquefa. Come si
può vedere nella tabella, le deviazioni più grandi riguardano Cl2 e NH3, che sono già
vicini al relativo punto di condensazione alla temperatura normale di 0 °C.
A pressioni maggiori di 10 atm, si cominciano a osservare rilevanti deviazioni
dal comportamento ideale in molti gas. La Figura 5.20 presenta un diagramma di
PV/ RT in funzione di Pest per 1 mol di alcuni gas reali e di un gas perfetto. Nel caso
di 1 mol di un gas perfetto, il rapporto PV/RT è uguale a 1 a qualsiasi pressione.
I valori indicati sull’asse x sono le pressioni esterne a cui sono calcolati i rapporti
PV/ RT e si estendono da valori normali (PV/RT = 1 a 1 atm) a valori molto alti
(PV/ RT  1,6 ÷ 2,3 a 1000 atm).
La curva PV/RT per 1 mol di metano (CH4) è tipica della maggior parte dei gas
reali: scende al di sotto del valore ideale a pressioni moderatamente alte e poi sale
al di sopra di questo valore all’ulteriore crescere della pressione. Questo andamento
è dovuto a due effetti parzialmente sovrapposti delle due caratteristiche delle mo-
lecole reali menzionate poc’anzi.
1. A pressioni moderatamente elevate, i valori di PV/RT minori del valore ideale
(<1) sono dovuti in prevalenza alle attrazioni intermolecolari.
2. A pressioni molto alte, i valori di PV/RT maggiori del valore ideale (>1) sono
dovuti in prevalenza al volume molecolare.
Esaminiamo questi effetti a livello molecolare.
1. Attrazioni intermolecolari. Le forze attrattive intermolecolari sono molto più de-
boli delle forze di legame covalente che tengono unite le molecole. La maggior
parte delle attrazioni intermolecolari è causata da lievi squilibri nelle distribuzioni
elettroniche e sono importanti soltanto su distanze relativamente corte. A pressioni
ordinarie, gli spazi tra le molecole gassose sono così grandi che le attrazioni sono
trascurabili, e il gas presenta un comportamento quasi ideale. Però, all’aumentare
della pressione e al diminuire del volume del campione, la distanza intermolecolare
media diminuisce e aumenta l’effetto delle attrazioni.
Raffiguriamo una molecola a queste pressioni più alte (Figura 5.21). Quando
la molecola si avvicina alla parete del recipiente, le molecole vicine l’attraggono,
il che diminuisce la forza del suo urto. Questo effetto ripetuto in tutto il campione fa
diminuire la pressione del gas e, quindi, fa diminuire il numeratore nel rapporto PV/RT.
Una rilevante diminuzione della temperatura ha lo stesso effetto perché rallenta le

05txt.indd 172 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 173

Pest
Figura 5.21 Effetto delle
attrazioni intermolecolari sulla
pressione misurata di un gas.
A pressioni ordinarie, il volume
è grande e le molecole gasso-
Pest Pest se sono troppo lontane l’una
aumenta
dall’altra per essere soggette
ad attrazioni rilevanti. A pres-
sioni esterne moderatamente
elevate, il volume diminuisce a
sufficienza affinché le molecole
Pest ordinaria: le Pest moderatamente elevata: le attrazioni diminuiscono la si influenzino reciprocamente.
molecole sono troppo le molecole sono abbastanza forza dell'urto contro la parete Come mostra l’ingrandimento,
lontane per interagire vicine per interagire una molecola gassosa che si
avvicina alla parete del reci-
piente è soggetta ad attrazioni
molecole, e quindi le forze attrattive esercitano la loro influenza più a lungo. A una intermolecolari da parte delle
molecole vicine, attrazioni che
temperatura abbastanza bassa, le attrazioni intermolecolari diventano prevalenti e
riducono la forza del suo urto.
il gas condensa trasformandosi in un liquido. Di conseguenza, i gas reali eser-
citano una pressione minore di
2. Volume molecolare. A pressioni normali, lo spazio tra le molecole (volume libero)
quella prevista dall’equazione di
è enorme rispetto al volume delle molecole stesse (volume molecolare), e quindi il stato dei gas perfetti.
volume libero è essenzialmente uguale al volume del recipiente. Però, all’aumenta-
re della pressione applicata e al diminuire del volume libero, il volume molecolare
costituisce una maggiore percentuale del volume del recipiente, come si può vede-
re nella Figura 5.22. Perciò, a pressioni molto alte, il volume libero diventa notevol-
mente minore del volume del recipiente. Continuando però a usare il volume del
recipiente quale volume V nel rapporto PV/RT, risulta che il numeratore diventa
artificiosamente più grande aumentando di conseguenza anche il rapporto finale.
L’effetto del volume molecolare diventa sempre più importante all’aumentare della
pressione finendo per sopraffare l’influenza delle attrazioni intermolecolari e fare
salire il rapporto PV/RT al di sopra del valore ideale.
Nella Figura 5.20, le curve relative a H2 e a He non presentano la tipica discesa a
pressioni moderate. Questi gas sono costituiti da particelle con attrazioni intermole-
colari così deboli che l’effetto del volume molecolare predomina a tutte le pressioni.

L’equazione di van der Waals: l’equazione di stato


dei gas perfetti corretta
Per descrivere più accuratamente il comportamento dei gas reali dobbiamo correg-
gere l’equazione di stato dei gas perfetti per ottenere due scopi.
1. Correggere in aumento la pressione misurata addizionando un fattore che
tenga conto delle attrazioni intermolecolari.
2. Correggere in diminuzione il volume misurato sottraendo dall’intero volume
del recipiente un fattore che tenga conto del volume molecolare.
Nel 1873 Johannes van der Waals (1837-1923) si rese conto delle limitazioni del­
l’equazione di stato dei gas perfetti e propose un’equazione capace di descrivere
Figura 5.22 L’effetto del
volume molecolare sul volume
misurato di un gas. A pressioni
Pest ordinarie, il volume intermole-
colare (volume libero) è prati-
camente uguale al volume del
Pest recipiente perché le molecole
occupano soltanto una minusco-
Pest ordinaria: Pest molto alta:
Pest aumenta la frazione dello spazio dispo-
volume libero volume libero 
 volume del volume del recipiente nibile. Però, a pressioni esterne
recipiente molto alte, il volume libero è
notevolmente minore del volume
del recipiente a causa del volu-
me delle molecole stesse.

05txt.indd 173 16/05/19 19:14


174 Capitolo 5

il comportamento dei gas reali. L’equazione di van der Waals per n moli di un
gas reale è
⎛ 2 ⎞
⎜⎜P + n a ⎟⎟ (V − nb) = nRT
⎝⎜ V 2 ⎟⎟⎠ coregge V
corregge p in diminuzione
in aumeto

dove P è la pressione misurata, V è il volume del recipiente, n e T hanno i significati


consueti, e a e b sono le costanti di van der Waals, numeri positivi determinati
sperimentalmente specifici di un dato gas. I valori di queste costanti per alcuni gas
sono elencati nella Tabella 5.5. La costante a è in relazione con il numero di elettroni,
che a sua volta è in relazione con la complessità di una molecola e con l’intensità delle
sue attrazioni intermolecolari. La costante b è in relazione con il volume molecolare.
Consideriamo la seguente tipica applicazione dell’equazione di van der Waals
per calcolare una variabile dei gas. Un recipiente di 1,98 L contiene 215 g (4,89
mol) di ghiaccio secco. Dopo una permanenza a 26 °C (299 K), CO2(s) si trasforma
in CO2(g). Si misura la pressione (Preale) e la si calcola con l’equazione di stato dei
gas perfetti (PESGP) e, usando valori appropriati di a e b, con l’equazione di van der
Waals (PEVDW). I risultati sono significativi:
Preale = 44,8 atm      PESGP = 60,6 atm      PEVDW = 45,9 atm
Confrontando il valore reale con ciascun valore calcolato si vede che PESGP è del
35,3% maggiore di Preale, mentre PEVDW è soltanto del 2,5% maggiore di Preale. In que-
ste condizioni, CO2 si discosta così tanto dal comportamento ideale che l’equazione
di stato dei gas perfetti non è molto utile.
Un punto finale di cui ci si deve rendere conto è il seguente: secondo la teoria
cinetica dei gas, le costanti a e b sono nulle per un gas perfetto perché le particelle
non si attraggono reciprocamente e non hanno volume. Tuttavia, anche per un gas
reale a pressioni ordinarie, le molecole sono molto distanti l’una dall’altra. Perciò:
n 2a
• le forze attrattive sono molto piccole, quindi P + P;
V2
• il volume molecolare è una frazione molto piccola del volume del recipiente,
quindi V − nb  V .
Quindi in condizioni ordinarie, l’equazione di van der Waals diventa l’equazione di stato
dei gas perfetti.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


5.1 PV 1,37 atm × 438 L
5.5=
n = = 24,9 mol O 2
PCO2 (mmHg) = (753,6 mmHg − 174,0 mmHg ) = 579,6 mmHg RT atm ⋅ L
0,0821 × 294 K
1 atm 1,01325×105 Pa mol ⋅ K
PCO2 (Pa) = 579,6 mmHg × × 32,00 g O 2
760 mmHg 1 atm massa=
(g) di O 2 24,9 mol O 2 ×
1 mol O 2
= 7,727 ×104 Pa
1 atm = 7,97 ×102 g O 2
5.2 P2 (atm) =
26,3 kPa × = 0,260 atm
101,325 kPa
380 mmHg
1L 0,871 atm 44,01 g/mol ×
V2 (L) =105 mL × × =0,352 L 760 mmHg/atm
1000 mL 0,260 atm 5.6 d = = 0,982 g/L
atm ⋅ L
0,0821 × 273 K
9,75 cm 3 mol ⋅ K
5.3 T2 (K) =
273 K × = 390 K
6,83 cm 3 La densità è minore in corrispondenza di P minore perché V
35,0 g − 5,0 g è maggiore. In questo caso, d si dimezza perché P si dimezza.
5.4 P2= (mmHg) 793 mmHg × = 680 mmHg
35,0 g atm ⋅ L
1,26 g × 0,0821 × 283,2 K
[Non è necessario convertire le masse (grammi) in quantità 5.7  = mol ⋅K = 29,0 g/mol
(moli) perché il rapporto delle masse è uguale al rapporto delle 102,5 kPa
×1,00 L
quantità]. 101,325 kPa/1 atm

05txt.indd 174 16/05/19 19:14


I gas e la teoria cinetica dei gas 175

⎛ 1 mol He ⎞⎟ 103 g 1 mol NaCl 2 mol HCl


5.8
= ntotale ⎜⎜⎜5,50 g He × ⎟⎟ =
nHCl 0,117 kg NaCl × × ×
⎝ 4,003 g He ⎟⎠ 1 kg 58,44 g NaCl 2 mol NaCl
= 2,00 mol HCl
⎛ 1 mol Ne ⎞⎟
+ ⎜⎜15,0 g Ne × ⎟⎟ In condizioni normali di temperatura e pressione:
⎜⎝ 20,18 g Ne ⎟⎠
22,4 L 103 mL
⎛ 1 mol Kr ⎞⎟ V (mL) = 2,00 mol × ×
+ ⎜⎜⎜35,0 g Kr × ⎟⎟ 1 mol 1L
⎝ 83,80 g Kr ⎟⎠ = 4,48 ×104 mL
= 2,53 mol 5.11 NH3 ( g ) + HCl( g ) ⎯ ⎯→ NH4 Cl( s )
⎛ ⎞
⎜⎜ 5,50 g He × 1 mol He ⎟⎟ nNH3 = 0,187 mol        nHCl = 0,0522 mol
⎜⎜ 4,003 g He ⎟⎟⎟
PHe = ⎜⎜ ⎟⎟×1 atm =
0,543 atm
nNH3 dopo la reazione
⎜⎜ 2,53 mol ⎟⎟
⎜⎝ ⎟⎟ ⎛ 1 mol NH3 ⎞⎟

= 0,187 mol NH3 − ⎜⎜⎜0,0522 mol HCl × ⎟
= =
PNe 0,294 atm Pkr 0,165 atm ⎝ 1 mol HCl ⎟⎠
= 0,135 mol NH3
5.9 PH2 = 752 mmHg − 13,6 mmHg = 738 mmHg
atm ⋅ L
⎛ 738 mmHg ⎞ 0,135 mol × 0,0821 × 295 K
⎜⎜ ×1,495 L ⎟⎟⎟ P= mol ⋅ K = 0,327 atm
⎜⎜ 760 mmHg/atm ⎟⎟ 2,016 g H2
massa (g) di H2 = ⎜ ⎟⎟× 10,0 L
⎜⎜ atm ⋅ L
⎜⎜ 0,0821 × 289 K ⎟⎟⎟ 1 mol H2 Velocità di He 30,07 g/mol
⎝ mol ⋅ K ⎟⎠ 5.12 = = 2,741
Velocità di C 2H6 4,003 g/mol
= 0,123 g H2
intervallo di tempo impiegato da C2H6 per effondere
5.10 H2SO 4 ( aq ) + 2NaCl( s ) ⎯ ⎯→ Na 2SO 4 ( aq ) + 2HCl( g ) = 1,25 min + 2,741 = 3,43 min

05txt.indd 175 16/05/19 19:14


Termochimica: flusso di energia
e trasformazioni chimiche 6
DA SAPERE PRIMA Tutte le trasformazioni della materia, siano esse chimiche o fisiche, sono accom­
pagnate da variazioni del contenuto energetico della materia stessa. Nell’inferno
• forme di energia e loro intercon­ dell’incendio di una foresta, mentre il legno si converte in cenere e gas, il suo
versione (Paragrafo 1.1)
• distinzione tra calore e tempera­ contenuto energetico varia, e la differenza tra il contenuto energetico prima della
tura (Paragrafo 1.5) variazione e quello dopo la variazione viene rilasciata sotto forma di calore e luce.
• natura del legame chimico (Para­ Per contro, una parte dell’energia di un fulmine viene assorbita quando N2 e O2
grafo 2.7)
• calcoli stechiometrici delle reazio­ atmosferici reagiscono per formare NO. Viene assorbita energia quando la neve
ni (Paragrafo 3.4) fonde e viene rilasciata energia quando il vapore acqueo condensa trasformandosi
• proprietà dello stato gassoso (Para­ in pioggia.
grafo 5.1)
• relazione tra energia cinetica e La generazione e l’utilizzazione dell’energia nelle sue molte forme hanno un
temperatura (Paragrafo 5.6) enorme impatto sulla società. Alcune delle maggiori industrie fabbricano prodotti
che rilasciano o assorbono energia o ne limitano il flusso. I combustibili di uso co­
mune – petrolio, carbone fossile, gas naturale e legna da ardere – rilasciano energia
chimica per il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua e per l’alimentazione dei
motori a combustione interna e dei generatori di vapore che azionano le turbine. I
fertilizzanti aiutano le piante ad assorbire l’energia solare e a convertirla in energia
chimica degli alimenti, che il nostro organismo converte in altre forme di energia.
Molti isolanti termici costituiti da materie plastiche, vetroresina e materiali cerami­
ci limitano il flusso di energia.
IN QUESTO CAPITOLO studieremo il calore, o energia termica, associato alle
trasformazioni della materia. Prima esamineremo alcuni concetti fondamentali
della termodinamica, lo studio del calore e delle sue trasformazioni (la tratta-
zione continuerà nel Capitolo 20). Quindi focalizzeremo la nostra attenzione sulla
termochimica, la branca della termodinamica che studia il calore scambiato nelle
reazioni chimiche e introdurremo il concetto di entalpia.
Descriveremo come si misura il calore in un calorimetro e come la quantità di
calore rilasciato o assorbito sia correlata alle quantità delle sostanze coinvolte in
una reazione. Il capitolo termina con uno sguardo d’insieme alle fonti energetiche
attuali e future e ai conflitti tra domanda di energia e qualità dell’ambiente.

6.1 FORME DI ENERGIA


E LORO INTERCONVERSIONE
Come abbiamo visto nel Capitolo 1, tutte le forme di energia sono costituite da
energia potenziale o da energia cinetica e possono essere convertite l’una nell’altra.
Un corpo ha un’energia potenziale in virtù della sua posizione e un’energia cinetica
in virtù del suo movimento. L’energia potenziale di una massa sollevata a una certa
quota sopra il suolo si converte in energia cinetica quando la massa è abbandonata
a se stessa e cade al suolo (vedi Figura 1.3). Quando la massa colpisce il suolo, trasfe­
risce una parte della sua energia cinetica al suolo e ai ciottoli nel punto di caduta,
ponendoli in movimento e compiendo così lavoro. Inoltre, una parte dell’energia
cinetica trasferita si manifesta sotto forma di calore, poiché riscalda lievemente il

06txt.indd 176 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 177

suolo e i ciottoli nel punto d’impatto. Perciò, l’energia potenziale della massa si
converte in energia cinetica, che si trasferisce al suolo sotto forma di lavoro e calore.
• Ovunque guardiamo,
vedia­­mo un sistema
La moderna teoria atomica ci permette di considerare altre forme di energia – Nel­l’e­sem­pio della massa che col­
solare, elettrica, nucleare e chimica – come esempi di energia potenziale ed energia pisce il suolo, se definiamo come
sistema la massa in caduta, il suolo
cinetica su scale atomica e molecolare. Quali che possano essere i particolari della
e i ciottoli spostati e riscaldati in
situazione, quando si trasferisce energia da un corpo a un altro, essa si manifesta come seguito all’urto costituiscono l’am­
lavoro e/o come calore. In questo paragrafo, esamineremo questo concetto in termini biente. Un astronomo può definire
della cessione o dell’acquisto di energia che avvengono durante una trasformazione come sistema una galassia e come
chimica o fisica. ambiente le galassie vicine. Un
ecologo che studia gli animali sel­
Il sistema e l’ambiente vatici in Africa può definire come
sistema un branco di zebre e come
Per compiere osservazioni e misurazioni significative di una variazione di energia, ambiente gli altri animali, le piante
dobbiamo prima definire il sistema, quella parte dell’Universo la cui trasformazio­ e le fonti d’acqua. Un microbiologo
può definire co­me sistema una
ne vogliamo osservare. Nel momento in cui definiamo il sistema, ogni altro elemen­
certa cellula e co­me ambiente la
to pertinente alla trasformazione è definito come ambiente. soluzione extracellulare. Perciò, in
La Figura 6.1 mostra un tipico sistema chimico e il suo ambiente: il sistema è il generale, sono l’e­sperimento e lo
contenuto del matraccio; il matraccio stesso, gli altri apparecchi e forse il resto del sperimentatore che definiscono il
laboratorio sono l’ambiente del sistema. In linea di principio, l’ambiente di un si­ sistema e l’ambiente.
stema è il resto dell’Universo, ma, in pratica, si devono considerare soltanto le parti
dell’Universo che sono pertinenti al sistema. Cioè, è improbabile che un temporale
nell’Asia centrale o una bufera di metano su Nettuno influenzino il contenuto del
matraccio, ma la temperatura, la pressione e l’umidità del laboratorio potrebbero
influenzarlo.

Flusso di energia dall’esterno all’interno di un sistema


e viceversa
Ogni particella presente in un sistema ha un’energia potenziale e un’energia cine­
tica, e la somma di queste energie estesa a tutte le particelle esistenti nel sistema
costituisce l’energia interna E (indicata in altri testi con il simbolo U). Quando i
reagenti di un sistema chimico, quale il contenuto del matraccio nella Figura 6.1,
si trasformano in prodotti e il sistema è ritornato alla temperatura iniziale, la sua
energia interna è variata. Per determinare questa variazione, ΔE, misuriamo la diffe­
renza tra l’energia interna del sistema dopo la variazione (Efinale) e l’energia interna
prima della variazione (Einiziale):
E = E finale − Einiziale = E prodotti − E reagenti (6.1)
dove il simbolo Δ (lettera delta maiuscola dell’alfabeto greco) significa “variazione
di” o “differenza tra”. Si noti, in particolare, che Δ si riferisce allo stato finale del
sistema meno lo stato iniziale.
Una variazione dell’energia del sistema è sempre accompagnata da una variazione
opposta dell’energia dell’ambiente. Questa variazione viene rappresentata spesso con

Figura 6.1 Un sistema chi­


mico e il suo ambiente. Dopo
che il contenuto del matraccio
(la soluzione di colore arancio)
è stato definito come sistema, il
matraccio e il laboratorio sono
definiti come ambiente. (Foto: ©
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).

06txt.indd 177 16/05/19 20:05


178 Capitolo 6

Figura 6.2 Diagrammi ener­


getici per il trasferimento (o
scambio) di energia interna stato stato
(E) tra un sistema e il suo iniziale finale

energia, E

energia, E
ambiente. A. Quando l’energia Einiziale Efinale
interna di un sistema diminuisce,
Efinale < Einiziale Efinale > Einiziale
la variazione di energia interna ΔE < 0 energia che il ΔE > 0 energia che il
(ΔE) viene ceduta all’ambiente; sistema cede sistema acquista
stato all’ambiente stato dall’ambiente
perciò, ΔE del sistema (Efinale −
Einiziale) è negativa. B. Quando finale iniziale
Efinale Einiziale
l’energia interna del sistema
aumenta, il sistema acquista la A L’energia del sistema diminuisce B L’energia del sistema aumenta
variazione dell’energia interna
(ΔE) dall’ambiente e ΔE è posi-
un diagramma dell’energia (o diagramma energetico) in cui lo stato finale e lo stato ini­
tiva. Si noti che la freccia ver-
ticale gialla, che indica il verso ziale sono rappresentati con segmenti rettilinei orizzontali lungo un asse verticale
della variazione di energia, ha su cui è rappresentata l’energia. La variazione di energia interna, ΔE, è la differenza
sempre la coda nello stato inizia- tra le quote dei due segmenti orizzontali. Un sistema chimico reagente può variare
le e la punta nello stato finale. la sua energia interna in due modi:
1. cedendo una certa quantità di energia all’ambiente, come è mostrato nella Figu­
ra 6.2A:
E finale < Einiziale ΔE < 0
2. acquisendo una certa quantità di energia dall’ambiente, come è mostrato nella
Figura 6.2B:
E finale > Einiziale ΔE > 0
Si noti che la variazione è un trasferimento di energia dal sistema al suo ambiente,
e viceversa.
Calore e lavoro: due forme di trasferimento di energia
Come abbiamo visto nel caso in cui una massa colpisce il suolo, il trasferimento di
energia dal sistema all’ambiente o dall’ambiente al sistema può manifestarsi in due
forme: calore e lavoro. Il calore (o energia termica, q) è l’energia che si trasferisce
tra un sistema e l’ambiente in virtù di una differenza tra le loro temperature. Per
esempio, si trasferisce energia sotto forma di calore da una minestra calda (il siste­
ma) al piatto, all’aria e al tavolo (l’ambiente) perché la temperatura dell’ambiente
è inferiore a quella della minestra. Tutte le altre forme di trasferimento di energia
(meccanica, elettrica e così via) implicano qualche tipo di lavoro (w), cioè l’energia
trasferita quando un oggetto viene spostato da una forza. Per esempio, quando una
persona (il sistema) dà un calcio a un pallone (l’ambiente), si trasferisce energia
sotto forma di lavoro per spostare il pallone. Se il pallone deve essere gonfiato, l’a­
ria interna (il sistema) esercita una forza sulla parete esterna e sull’aria circostante
(l’ambiente) e compie lavoro per spostarle verso l’esterno.
Poiché l’energia può essere trasferita sotto forma di calore e/o di lavoro, la va­
riazione totale dell’energia interna di un sistema è
ΔE = q+w (6.2)
I valori numerici di q e w possono essere positivi o negativi, a seconda della trasforma­
zione subita dal sistema. In altre parole, definiamo il segno del trasferimento di energia dal
punto di vista del sistema. L’energia uscente dal sistema è negativa. Delle innumerevoli
variazioni possibili dell’energia interna del sistema, esaminiamo quattro casi semplici:
due che implicano soltanto calore e due che implicano soltanto lavoro.
Trasferimento di energia soltanto sotto forma di calore Nel caso di un si­
stema che non compie lavoro, ma trasferisce energia soltanto sotto forma di calore
(q), sappiamo che w = 0. Perciò, dall’Equazione 6.2 otteniamo che ΔE = q + 0 = q.
1. Calore uscente da un sistema. Supponiamo che il sistema sia costituito da
un campione di acqua calda; allora il becher che la contiene e il resto del
laboratorio sono l’ambiente. L’acqua trasferisce energia sotto forma di calore
all’ambiente finché la temperatura dell’acqua non è diventata uguale a quella

06txt.indd 178 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 179

Figura 6.3 Un sistema che


trasferisce energia soltan­
Tsis > Tamb Tsis = Tamb
to sotto forma di calore.
A. L’acqua calda (il sistema, sis)
H2O
H2O a temp.
trasferisce energia sotto forma
calda di calore (q) all’ambiente (amb)
ambiente
Tsis Tamb finché non si realizza la condi-
Tsis Tamb
energia, E

energia, E
zione Tsis =Tamb. Poiché
Einiziale Efinale Einiziale > Efinale e w = 0, ΔE < 0
Tsis = Tamb Tsis < Tamb e il segno di q è negativo.
calore (q) che il calore (q) che il
B. L’acqua ghiacciata acquista
H2O a temp. ΔE < 0 sistema cede ΔE > 0 sistema acquista
H2O energia sotto forma di calore
ambiente all’ambiente (q < 0) ghiacciata dall’ambiente (q > 0)
Tsis Tamb Tamb (q) dall’ambiente finché non si
Tsis
realizza la condizione Tsis =Tamb.
Efinale Einiziale Poiché Einiziale < Efinale e w = 0,
A Energia ceduta sotto forma di calore B Energia acquistata sotto forma di calore ΔE > 0 e il segno di q è nega-
tivo.

dell’ambiente. L’energia del sistema diminuisce mentre il calore esce dal siste-
ma e quindi l’energia finale del sistema è minore della sua energia iniziale. Il
sistema ha ceduto calore; quindi, q è negativa e, di conseguenza, ΔE è negativa.
Questa situazione è illustrata nella Figura 6.3A.


2. Calore entrante in un sistema. D’altra parte, se il sistema è costituito da acqua
ghiacciata, esso acquista energia sotto forma di calore dall’ambiente finché la Termodinamica in cuci­
temperatura dell’acqua non è diventata uguale a quella dell’ambiente. In questo na L’aria racchiusa in un frigorifero
(l’ambiente) ha una temperatura più
caso, si trasferisce energia nel sistema e quindi l’energia finale del sistema è supe­ bassa di quella di un cibo appena
riore alla sua energia iniziale. Il sistema ha acquistato calore; quindi, q è positiva introdotto (il sistema) e quindi il
e, di conseguenza, ΔE è positiva. Questa situazione è illustrata nella Figura 6.3B. cibo cede energia sotto forma di
calore all’aria nel frigorifero, q < 0.
Trasferimento di energia soltanto sotto forma di lavoro Nel caso di un L’aria in un forno caldo (l’ambien­
sistema che trasferisce energia soltanto sotto forma di lavoro (w) e non sotto forma te) ha una temperatura più alta di
di calore, sappiamo che q = 0; perciò, ΔE = 0 + w = w. quella di un cibo appena introdotto
(il sistema) e quindi il cibo acquista
1. Lavoro compiuto da un sistema. Consideriamo la reazione tra zinco e acido energia sotto forma di calore dall’aria
cloridrico che si svolge in un recipiente isolato termicamente e collegato a nel forno, q > 0.
un sistema stantuffo-cilindro. Per definizione, il sistema consiste negli atomi
Figura 6.4 Un sistema che
che costituiscono le sostanze. Nello stato iniziale, l’energia interna del sistema cede energia soltanto sotto
è quella degli atomi sotto forma di reagenti: Zn metallico e ioni H+ e Cl− in forma di lavoro. L’energia
soluzione acquosa. Nello stato finale, l’energia interna del sistema è quella degli interna del sistema diminuisce
atomi sotto forma di prodotti: H2 gassoso e ioni Zn2+ e Cl− in soluzione acquosa: quando i reagenti formano pro-
dotti perché H2(g) compie lavoro
Zn(s ) + 2H+ ( aq ) + 2CI− ( aq ) ⎯ ⎯
→ H2 ( g ) + Zn 2+ ( aq ) + 2CI− ( aq ) sull’ambiente spingendo all’in-
dietro lo stantuffo. Il recipiente
Mentre si forma H2 gassoso, una parte dell’energia interna viene utilizzata dal
di reazione è termicamente iso-
sistema per compiere lavoro sull’ambiente e spingere lo stantuffo verso l’ester­ lato, quindi q=0. Poiché Einiziale
no. Il sistema cede energia sotto forma di lavoro, e quindi w è negativo e ΔE > Efinale, ΔE < 0 e il segno di w
è negativa, come si può vedere nella Figura 6.4. L’H2 gassoso compie lavoro è negativo.

Patm Pambiente

Psys
sistema sistema H2(g)
HCl(aq)
energia, E
energia, E

Zn(s)
Einiziale Efinale
H2(g) PH2 Patm H2(g) Pambiente

il sistema compie Psys ΔE > 0


ΔE < 0 lavoro fatto
sistema lavoro (w) sull’ambiente sistema L’ambiente perde
(w < 0) sul sistema (w > 0)
energia comprimendo
ZnCl2(aq) i prodotti gassosi
(il sistema)
Efinale Einitial
A Energia rilasciata sotto forma di lavoro B Energia acquistata sotto forma di lavoro

06txt.indd 179 16/05/19 20:05


180 Capitolo 6

Tabella 6.1 Convenzioni sui segni* per q, w e ΔE


q + w = ΔE
+ + +
+ − Dipende dai valori di q e di w
− + Dipende dai valori di q e di w
− − −
* Per q: + significa che il sistema acquista calore; − significa che il sistema cede calore.
Per w: + significa lavoro compiuto sul sistema; − significa lavoro compiuto dal sistema.

pressione × volume (lavoro PV), il tipo di lavoro in cui un volume varia


contro una pressione esterna. Il lavoro compiuto in questo caso non è molto
utile perché spinge semplicemente all’indietro lo stantuffo e l’aria esterna. Però,
se il sistema è costituito da 1 tonnellata di carbone fossile che brucia in pre­
senza di O2 e l’ambiente è la macchina a vapore di una locomotiva, gran parte
dell’energia interna ceduta dal sistema compie il lavoro di far muovere il treno.
2. Lavoro compiuto su un sistema. Se si aumenta la pressione esterna sullo stantuf­
fo nella Figura 6.4, il sistema acquista energia perché viene compiuto lavoro
sul sistema dall’ambiente; w è positivo e, quindi, ΔE è positiva.
La Tabella 6.1 riassume le convenzioni sui segni di q e w e il loro effetto sul segno
di ΔE.

Il principio di conservazione dell’energia


Come abbiamo visto, quando un sistema acquista energia, l’ambiente gliela cede, e,
quando un sistema cede energia, l’ambiente l’acquista. Durante questi trasferimenti,
l’energia può convertirsi da un forma in un’altra, ma non può semplicemente com­
parire o scomparire: non può essere creata né distrutta. Il principio di conserva-
LA TRAGICA VITA DELLO zione dell’energia enuncia così questa osservazione fondamentale: l’energia totale
SCOPRITORE DELLA dell’Universo è costante. Questo principio è noto anche come prima legge (o primo
PRIMA LEGGE
DELLA TERMODINAMICA principio) della termodinamica.
La conservazione dell’energia è valida dovunque. Per esempio, quando la ben­
zina brucia nel motore a combustione interna di un’automobile, l’energia rilasciata
compare come una quantità equivalente di calore e lavoro. Il calore rilasciato riscal­
da le parti dell’automobile, il vano passeggeri e l’aria circostante. Il lavoro compare
come energia meccanica per fare girare le ruote dell’automobile. Quell’energia si
converte ulteriormente nell’energia elettrica impiegata per azionare l’orologio e la
radio, nell’energia raggiante emessa dalle luci del veicolo, nell’energia chimica della
batteria, nel calore sviluppato per attrito e così via. Se sommassimo le quantità di
tutte queste forme di energia, troveremmo che la somma è uguale alla variazione
di energia tra i reagenti e i prodotti durante la combustione della benzina. Anche
i processi biologici complessi ubbidiscono alla conservazione dell’energia. Le pian­
te verdi, attraverso la fotosintesi, convertono l’energia raggiante solare in energia
chimica, utilizzando CO2 e H2O a bassa energia per sintetizzare carboidrati ad alta
energia (come il legno) e O2. Quando il legno viene bruciato nell’aria, si riformano
questi composti a bassa energia, e la differenza di energia viene ceduta all’ambiente.
Perciò, i trasferimenti di energia tra il sistema e l’ambiente possono avvenire
sotto forma di calore e/o di vari tipi di lavoro (meccanico, elettrico, raggiante, chi­
mico), ma la somma dell’energia del sistema e dell’energia dell’ambiente rimane costan-
te: l’energia si conserva. Un’espressione matematica del principio di conservazione
dell’energia (prima legge della termodinamica) è
ΔE universo = ΔE sistema + ΔE ambiente = 0 (6.3)

Questo profondo concetto riguarda tutti i sistemi, dalla combustione di un fiammi­


fero al movimento dei continenti, dal funzionamento interno del cuore alla forma­
zione del sistema solare.

06txt.indd 180 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 181

Unità di misura dell’energia


L’unità di misura dell’energia nel Sistema Internazionale (SI) è un’unità derivata 1024 J
detta joule (J): energia solare
1 J = 1 kg ⋅ m 2 /s2 incidente giornalmente
1021 J sulla superficie terrestre
energia di un forte
Sia il calore sia il lavoro sono espressi in joule. Vediamo come si origina il joule nel 1018 J
terremoto
caso del lavoro. Il lavoro (w) compiuto da una forza su una massa è il prodotto della energia elettrica generata
giornalmente dalla centrale
forza (F) per lo spostamento (d) della massa nella direzione della forza: w = F  ×  d. 15
10 J della Diga Hoover (USA)
Una forza varia la velocità di una massa (l’accelera). L’unità di misura della velocità è energia rilasciata
dalla combustione
il metro al secondo (m/s), e quindi l’unità di misura dell’accelerazione (a) è il metro 1012 J di 1000 t di
carbone fossile
al secondo, ossia il metro al secondo quadrato (m/s2). Perciò, l’unità di misura della energia rilasciata
forza, definita come prodotto della massa per l’accelerazione che la forza le impri­ dall'esplosione
109 J di 1 t di TNT (tritolo)
me, è data dall’unità di massa (m) [il kilogrammo (kg)] per l’unità di accelerazione [il 1 kWh (kilowattora)
di energia elettrica
metro al secondo quadrato (m/s2)]:* 106 J
quantità di calore
F = m  ×  a unità di misura: kg ⋅ m/s2 3
rilasciata dalla combustione
10 J di 1 mol di glucosio
Perciò, w = F  ×  d unità di misura: (kg ⋅ m/s2) ⋅ m = kg ⋅ m2/s2 = J
L’energia potenziale, l’energia cinetica e il lavoro PV sono combinazioni delle stesse 100 J 1 cal (4,184 J)
grandezze fisiche e sono espresse in joule.
La caloria (cal) è l’unità di misura della quantità di calore nel sistema cgs (centi­ 10−3 J
metro, grammo, secondo): 1 cal è la quantità di calore che si deve fornire alla massa
di 1 g di acqua per innalzarne la temperatura di 1 °C, da 14,5 °C a 15,5 °C. (L’uso 10−6 J
della caloria è vietato nei Paesi dell’Unione Europea, ma è ancora diffuso nella scien­
10−9 J quantità di calore assorbita
za e nella tecnica). Oggi la caloria è definita in funzione del joule: durante la divisione di una
cellula batterica
1 energia rilasciata dalla
1 cal ≡ 4,184 J ossia
= 1J = cal 0,2390 cal 10−12 J
4,184 fissione di un atomo
di 238U
10−15 J
Poiché le quantità di energia implicate nelle reazioni chimiche sono di solito piut­
tosto grandi, i chimici usano il kilojoule (kJ) o, talvolta, la kilocaloria (kcal):
10−18 J
= =
1 kJ 1000 J 0,2390=
kcal 239,0 cal
10−21 J energia cinetica media di una
La “caloria” dei nutrizionisti, detta anche grande caloria o Caloria, è in realtà la kiloca­ molecola di aria a 300 K
loria. Alcune interessanti quantità di energia compaiono nella Figu­ra 6.5.
Figura 6.5 Alcune interes­
santi quantità di energia. Si
* L’unità di misura della forza nel SI è il newton (N); 1 N = 1 kg ⋅ m/s2 (N.d.C.). noti che la scala sull’asse verti-
cale è esponenziale.

Determinazione della variazione dell’energia interna di un sistema


PROBLEMA DI VERIFICA 6.1
Problema Quando la benzina brucia nel motore a combustione interna di un’automobile,
il calore rilasciato fa espandere i prodotti gassosi CO2 e H2O e questa espansione spinge
i pistoni verso l’esterno. Il calore in eccesso viene rimosso dal sistema di raffreddamento
dell’automobile. Se i gas in espansione compiono 451 J di lavoro sui pistoni e il sistema
cede 325 J all’ambiente sotto forma di calore, si calcoli la variazione di energia (ΔE) in joule,
kilojoule e kilocalorie.
Piano Dobbiamo definire il sistema e l’ambiente, assegnare segni a q e w, e poi calcolare
ΔE con l’Equazione 6.2. Il sistema è costituito dai reagenti e dai prodotti, e l’ambiente è
costituito dai pistoni, dal sistema di raffreddamento e dal resto dell’automobile. Il sistema
cede calore e quindi q è negativa. Il sistema compie lavoro per spingere i pistoni verso
­l’esterno, e quindi anche w è negativo. Otteniamo la risposta in joule e poi la convertiamo
in kilojoule e in kilocalorie.
Risoluzione Calcolo di ΔE (con l’Equazione 6.2) in joule:
q = −325 J
w = −451 J
ΔE =q + w =−325 J + (−451 J)
= −776 J

06txt.indd 181 16/05/19 20:05


182 Capitolo 6

Conversione da joule a kilojoule:


1 kJ
ΔE = −776 J ×
1000 J
= −0,776 kJ
Conversione da kilojoule a kilocalorie:
1 kcal
ΔE = −0,776 kJ ×
4,184 kJ
= −0,185 kcal
Verifica La risposta è ragionevole: la combustione rilascia energia dal sistema; quindi Efinale
< Einiziale e ΔE dovrebbe essere negativa. Arrotondando, si vede che, essendo 4 kJ  1 kcal,
quasi 0,8 kJ dovrebbero essere quasi 0,2 kcal.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.1 In una reazione, i reagenti gassosi
formano un prodotto liquido. La quantità di calore assorbita dall’ambiente è 26,0 kcal e il
lavoro compiuto sul sistema è 15,825 kJ. Calcolare ΔE in kJ.

Funzioni di stato e indipendenza della variazione di energia


dal cammino percorso
Un punto importante da comprendere è che non esiste una particolare sequenza
in cui l’energia interna (E) di un sistema deve variare. Ciò è dovuto al fatto che E è
una funzione di stato, una proprietà dipendente soltanto dallo stato attuale del
sistema (la sua composizione, il suo volume, la sua pressione e la sua temperatura),
non dal cammino percorso dal sistema per raggiungere quello stato.
In realtà, la variazione di energia di un sistema può avvenire mediante innume­
revoli combinazioni di calore (q) e lavoro (w) e complessivamente è indipendente
da quale sia la combinazione, perché ΔE non dipende da come avviene la variazione
ma solo dalla differenza tra lo stato finale e quello iniziale. Come esempio, definia­
mo un sistema nel suo stato iniziale come 1 mol di ottano (un componente della
benzina) insieme a una quantità di O2 sufficiente per la sua combustione. Nel suo
stato finale, il sistema è costituito dal CO2 e dall’H2O che si formano (è necessario
un coefficiente frazionario per O2 perché abbiamo specificato 1 mol di ottano):
C8H18 ( l ) + 25
2 O2 ( g) ⎯ ⎯
→ 8CO 2 ( g ) + 9H2O( g )
stato iniziale ( Einiziale ) stato finale ( E finale )

È rilasciata energia per riscaldare l’ambiente e/o compiere lavoro su di esso, e quin­
di ΔE è negativa. Due dei modi in cui può avvenire la variazione sono illustrati
nella Figura 6.6. Se bruciamo l’ottano in un recipiente aperto, ΔE si manifesta quasi
completamente sotto forma di calore (con una piccola quantità di lavoro compiuto
Figura 6.6 Due differenti per spingere all’indietro l’atmosfera). Se lo bruciamo nel motore di un’automobile,
cammini per la variazione di una percentuale molto maggiore (30%) di ΔE si manifesta sotto forma di lavoro
energia di un sistema. La varia- che fa muovere l’automobile, mentre il resto è utilizzato per riscaldare l’automobi­
zione di energia interna durante
le, l’aria e i gas di scarico. Se bruciamo l’ottano nel motore a combustione interna di
la combustione di una data
quantità di ottano nell’aria è la una falciatrice da giardino o in quello di un aeroplano, ΔE si manifesta come altre
stessa indipendentemente da combinazioni di lavoro e calore.
come l’energia viene trasferita. A
sinistra, il combustibile viene bru-
ciato in un recipiente aperto e C8H18 (ottano)
l’energia viene ceduta quasi inte- + 25 O2
2
ramente sotto forma di calore. A Einiziale
energia, E

destra, il combustibile viene bru-


ciato nel motore a combustione
interna di un’automobile, quindi E ceduta sotto
E ceduta sotto
una parte dell'energia viene forma di calore
forma di lavoro
e di calore
ceduta sotto forma di lavoro per 8CO2 + 9H2O
spostare l'automobile e solo una
parte sotto forma di calore. Efinale

06txt.indd 182 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 183

Perciò, anche se le quantità distinte di lavoro e di calore rese disponibili dalla varia­
zione dell’energia interna dipendono separatamente da come avviene la variazione,
la sua variazione interna (la somma del calore e del lavoro) non dipende da come
avviene tale variazione. In altre parole, per una data variazione dell’energia interna,
ΔE (la somma di q e w) è costante, anche se q e w possono variare. Perciò, il calore e
il lavoro non sono funzioni di stato perché i loro valori dipendono dal cammino LA NOSTRA PERSONALE
seguito dal sistema nel subire la variazione di energia. FUNZIONE DI STATO
FINANZIARIO
La pressione (P) di un gas perfetto o il volume (V) dell’acqua in un becher
sono altri esempi di funzioni di stato. Questa indipendenza dal cammino significa
che le variazioni delle funzioni di stato (ΔE , ΔP e ΔV) dipendono soltanto dal loro
stato iniziale e dal loro stato finale. (Si noti che i simboli delle funzioni di stato,
quali E, P e V, sono scritti in caratteri maiuscoli).

6.2 ENTALPIA: CALORI DI REAZIONE


E TRASFORMAZIONI CHIMICHE
La maggior parte delle trasformazioni fisiche e chimiche avviene a pressione atmo­
sferica pressoché costante: una reazione in un matraccio aperto, il congelamento di
un lago, la reazione di un organismo a un farmaco. La definizione di una variabile
termodinamica detta entalpia, che tiene conto di questa pressione costante, rende
molto più facile misurare le variazioni di energia.

Significato dell’entalpia
Per determinare ΔE, dobbiamo misurare sia il calore sia il lavoro. I due tipi più
importanti di lavoro chimico sono il lavoro elettrico [il lavoro compiuto spostando
particelle cariche (Capitolo 21)] e il lavoro PV (il lavoro compiuto da un gas in
espansione). Per trovare la quantità di lavoro PV compiuto si moltiplica la pressione
esterna (P) per la variazione del volume del gas (Vfinale − Viniziale = ΔV). In un ma­
traccio aperto (o in un cilindro munito di uno stantuffo supposto privo di massa e
di attrito), un gas compie lavoro spingendo all’indietro l’atmosfera. Come mostrato
nella Figura 6.7, questo lavoro compiuto sull’ambiente è negativo per definizione
perché il sistema cede energia:
w = −P ΔV (6.4)
Nel caso delle reazioni che si svolgono a pressione costante, una variabile termodi­
namica detta entalpia (H) elimina la necessità di considerare il lavoro PV. L’ental­ ambiente
pia di un sistema è, per definizione, l’energia interna più il prodotto della pressione P
per il volume:
P
H = E + PV

La variazione di entalpia (ΔH) è la variazione dell’energia interna più il prodotto ΔV


della pressione costante per la variazione del volume:
sistema sistema
ΔH = ΔE + P ΔV (6.5)
Risolvendo rispetto a ΔE il sistema formato dall’Equazione 6.2 (ΔE = q + w) e stato stato
iniziale
dall’Equazione 6.4, otteniamo un punto essenziale riguardo a ΔH: finale
w = −P ΔV
ΔE = q + w = q + (−P ΔV) = q − P ΔV
Figura 6.7 Lavoro pres­
A pressione costante, denotando q con qP e risolvendo rispetto a esso, otteniamo: sione  ×  volume (lavoro PV)
Quando il volume (V) di un siste-
qP = ΔE + P ΔV ma aumenta di un incremento
ΔV contro una pressione ester-
Si noti che il secondo membro di questa equazione è identico al secondo membro na (P), il sistema esercita una
dell’Equazione 6.5; cioè, spinta sul suo ambiente e quindi
compie il lavoro PV sull’ambien-
qP = ΔE + P ΔV = ΔH (6.6) te (w = −P ΔV).

06txt.indd 183 16/05/19 20:05


184 Capitolo 6

Perciò, la variazione dell’entalpia è uguale alla quantità di calore acquistata o ceduta a


pressione costante. Poiché la maggior parte delle trasformazioni avvengono a pressio­
ne costante, ΔH è più pertinente di ΔE ed è più facile da determinare: per trovare
ΔH, si misura qP.
Esamineremo nel Paragrafo 6.3 il metodo di laboratorio per misurare il calore
acquistato o ceduto in una trasformazione fisica o chimica.

Confronto tra ΔE e ΔH
Conoscendo la variazione dell’entalpia di un sistema abbiamo molte informazioni
anche sulla variazione della sua energia. In realtà, poiché molte reazioni implicano
poco (o nessun) lavoro PV, la maggior parte (o la totalità) delle variazioni di energia
avviene come trasferimento di calore. Seguono tre casi.
1. Reazioni a cui non partecipano gas. Non compaiono gas in molte reazioni (rea­
zioni di precipitazione, molte reazioni acido-base e molte reazioni di ossidori­
duzione). Per esempio,
2KOH(aq) + H2SO4(aq) K2SO4(aq) + 2H2O(l)
Dato che i liquidi e i solidi subiscono soltanto piccolissime variazioni di volu­
me, ΔV  0; perciò, P ΔV  0 e ΔH  ΔE.
2. Reazioni in cui la quantità (in moli) di gas non varia. Quando la quantità totale di
reagenti gassosi è uguale alla quantità totale di prodotti gassosi, ΔV = 0, quindi
P ΔV = 0 e ΔH = ΔE. Per esempio,
N2(g) + O2(g) 2NO(g)
3. Reazioni in cui la quantità (in moli) di gas varia. In questi casi, P ΔV ≠ 0. Però, qP
è di solito tanto maggiore di P ΔV che ΔH è molto vicino a ΔE. Per esempio,
nella combustione di H2, 3 mol di gas danno 2 mol di gas:
2H2(g) + O2(g) 2H2O(g)
In questa reazione, ΔH = −483,6 kJ e P ΔV = −2,5 kJ, quindi (dall’Equazio­
ne 6.5)
ΔE = ΔH − P ΔV = −483,6 kJ − (−2,5 kJ) = −481,1 kJ
Ovviamente, la maggior parte di ΔE si presenta come trasferimento di calore,
quindi ΔH  ΔE.
Il punto essenziale che scaturisce da questi tre casi è che per molte reazioni, ΔH è
uguale, o è molto vicino, a ΔE.

Processi esotermici ed endotermici


Dato che E, P e V sono funzioni di stato, anche H è una funzione di stato, il che
significa che ΔH dipende soltanto dalla differenza tra Hfinale e Hiniziale. La variazione
di entalpia di una reazione, detta anche calore di reazione, ΔHr, indica sempre
Hfinale meno Hiniziale:
ΔH = Hfinale − Hiniziale = Hprodotti − Hreagenti
Perciò, poiché Hprodotti può essere maggiore o minore di Hreagenti, il segno di ΔH indi­
ca se nella trasformazione venga assorbito oppure rilasciato calore. Determiniamo il
segno di ΔH immaginando che il calore sia un “reagente” o un “prodotto”. Per esempio,
quando il metano brucia nell’aria, sappiamo che viene generato calore e quindi lo
rappresentiamo come un “prodotto” (nel secondo membro dell’equazione):
CH4(g) + 2O2(g) CO2(g) + 2H2O(g) + calore
Poiché viene ceduto calore all’ambiente, i prodotti (1 mol di CO2 e 2 mol di H2O)
devono avere meno entalpia rispetto ai reagenti (1 mol di CH4 e 2 mol di O2). Per­
ciò, ΔH (= Hfinale − Hiniziale) è negativa, come mostra il diagramma dell’entalpia

06txt.indd 184 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 185

Figura 6.8 Diagrammi


CH4 + 2O2 H2O(l) dell’entalpia per un processo
Hiniziale Hfinale esotermico e uno endotermico.
A. Il metano brucia con una
entalpia, H

entalpia, H
ΔH < 0 calore ΔH > 0 calore diminuzione dell’entalpia
uscente entrante perché una certa quantità di
calore esce dal sistema. Essendo
CO2 + 2H2O H2O(s) Hfinale < Hiniziale, il pro­ces­so è
Hfinale Hiniziale
esotermico: ΔH < 0. B. Il ghiac­cio
A Processo esotermico B Processo endotermico fonde con un aumento di entalpia
perché una certa quantità di
calore entra nel sistema. Poiché
nella Figura 6.8A. Un processo esotermico rilascia calore e determina una dimi- Hfinale > Hiniziale, il processo è
nuzione dell’entalpia del sistema: endotermico: ΔH > 0.
processo esotermico: Hfinale < Hiniziale ΔH < 0
Un processo endotermico assorbe calore e determina un aumento dell’entalpia
del sistema. Per esempio, quando il ghiaccio fonde, affluisce calore nel ghiaccio
dall’ambiente, e quindi rappresentiamo il calore come un “reagente” (nel primo
membro dell’equazione):
calore + H2O(s) H2O(l)
Poiché viene assorbito calore, l’entalpia dell’acqua allo stato liquido è maggiore
di quella dell’acqua allo stato solido, come indicato nella Figura 6.8B. Perciò, ΔH
(= Hacqua − Hghiaccio) è positiva:
processo endotermico: Hfinale > Hiniziale ΔH > 0
In generale, il valore di una variazione dell’entalpia si riferisce a reagenti e prodotti FLUSSO DI ENERGIA
alla stessa temperatura.

Costruzione dei diagrammi dell’entalpia e determinazione del segno di ΔH


PROBLEMA DI VERIFICA 6.2
Problema In ciascuno dei casi seguenti, si determini il segno di ΔH, si determini se la rea­
zione sia esotermica o endotermica, e si costruisca un diagramma dell’entalpia:
(a) H2 ( g ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ H2O( l ) + 285,8 kJ
(b) 40,7 kJ + H2O (l ) ⎯ ⎯→ H2O( g )
Piano Esaminiamo ciascuna equazione per vedere se il calore sia un “prodotto” (reazione
esotermica: ΔH < 0) oppure un “reagente” (reazione endotermica: ΔH > 0). Nel caso delle
reazioni esotermiche, i reagenti sono sopra i prodotti sul diagramma dell’entalpia; nel caso
delle reazioni endotermiche, i reagenti sono sotto i prodotti. La freccia contrassegnata ΔH
è orientata sempre dai reagenti ai prodotti.
Risoluzione (a) Il calore è un “prodotto” (compare nel secondo membro dell’equazione),
quindi ΔH < 0 e la reazione è esotermica. Il diagramma dell’entalpia è presentato a lato
(in alto). H2(g) + 12 O2(g)
(b) Il calore è un “reagente” (compare nel primo membro dell’equazione), quindi ΔH > 0 e (reagenti)
entalpia, H

la reazione è endotermica. Il diagramma dell’entalpia è presentato a lato (in basso). ΔH = −285,8 kJ


reazione
Verifica Le sostanze che compaiono nello stesso membro dell’equazione dove compare il esotermica
calore hanno meno entalpia di quelle che compaiono nell’altro membro e quindi devono
H2O(l)
essere poste sulla linea inferiore del diagramma. (prodotti)
(a)
Commento I valori di ΔH dipendono dalle condizioni. Per esempio, in (b), ΔH = 40,7 kJ a
100 °C e 1 atm; a 25 °C e 1 atm, ΔH = 44,0 kJ.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.2 Quando 1 mol di nitroglicerina si H2O(g)


decompone, provoca una violenta esplosione e rilascia 5,72  ×  103 kJ di calore: (prodotti)
entalpia, H

C3H5 (NO3 )3 ( l ) ⎯ ⎯
→ 3CO2 ( g ) + 25 H2O( g ) + 14 O2 ( g ) + 23 N 2 ( g ) ΔH = +40,7 kJ
reazione
La reazione è esotermica o endotermica? Si costruisca un diagramma dell’entalpia per questa endotermica
H2O(l)
reazione. (b) (reagenti)

06txt.indd 185 16/05/19 20:05


186 Capitolo 6

E k(traslazione) Alcuni tipi importanti di variazione dell’entalpia


Certe variazioni dell’entalpia sono studiate frequentemente e sono indicate con
nomi particolari.
• Quando 1 mol di una sostanza si combina con O2 in una reazione di com­
E k(rotazione) bustione, come nella reazione seguente, il calore di reazione è il calore di
combustione (ΔHcomb):
C4 H10 ( l ) + 13
2 O2 ( g) ⎯ ⎯
→ 4CO 2 ( g ) + 5H2O( l ) ΔH = ΔH comb

E k(vibrazione)
• Quando 1 mol di un composto viene prodotta a partire dai suoi elementi, il
calore di reazione è il calore di formazione (ΔHf):
K( s ) + 12 Br2 ( l ) ⎯ ⎯
→ KBr( s ) ΔH = ΔH f
• Quando 1 mol di una sostanza fonde, la variazione di entalpia è il calore di
E k(elettroni)
fusione (ΔHfus):
NaCl(s) NaCl(l) ΔH = ΔHfus
• Quando 1 mol di una sostanza vaporizza, la variazione di entalpia è il calore
di vaporizzazione (o di evaporazione) (ΔHvap):
A Contributi all’energia cinetica (Ek)
C6H6(l) C6H6(g) ΔH = ΔHvap
E p(vibrazione)
Incontreremo tra poco il calore di combustione e il calore di formazione; esamine­
remo in altri capitoli a seguire altre particolari variazioni di entalpia.

e− e−
Variazioni delle forze di legame: da dove proviene il calore
e− di reazione?
E p(atomo) e− 9+ e− Soffermiamoci brevemente a considerare un importante problema riguardo al ca­
e− e− lore di reazione. Quando 2 g di H2 (1 mol) e 38 g di F2 (1 mol) reagiscono a 298 K
e− e− (25 °C), si formano 40 g di HF (2 mol) e sono rilasciati 546 kJ di calore:
H2(g) + F2(g) 2HF(g) + 546 kJ
La quantità (in moli) di gas non varia e quindi la variazione di entalpia è uguale alla
9+ variazione di energia interna. Da dove proviene questo calore?
E p(nucleo)

Componenti dell’energia interna Scomponiamo l’energia interna del sistema


nelle componenti energia cinetica (Ek) ed energia potenziale (Ep) ed esaminiamo i
contributi a queste componenti per vedere quale vari durante la reazione. Concen­
triamo l’attenzione sulla molecola di HF, ma un’analisi simile può essere condotta
per H2 e F2.
+
Esistono parecchi contributi a Ek e a Ep, alcuni maggiori e altri minori, ma i più
E p(legame) 9+
importanti sono elencati qui di seguito e rappresentati schematicamente nella Figu­
ra 6.9.
1. Contributi all’energia cinetica.
B Contributi all’energia • La molecola si muove attraverso lo spazio, Ek(traslazione).
potenziale (Ep)
• La molecola ruota, Ek(rotazione).
Figura 6.9 Componenti • Gli atomi legati vibrano, Ek(vibrazione).
dell’energia interna (E). • Gli elettroni si muovono entro ciascun atomo, Ek(elettrone).
L’energia totale di un sistema è 2. Contributi all’energia potenziale.
la somma dell’energia cinetica
Ek (A) e dell’energia potenziale
• Forze tra gli atomi legati vibranti, Ep(vibrazione).
Ep (B) delle sue particelle. Sono • Forze tra nucleo ed elettroni e tra elettroni in ciascun atomo, Ep(atomo).
indicati i contributi a Ek ed Ep • Forze tra protoni e neutroni in ciascun nucleo, Ep(nucleo).
per una molecola di fluoruro di • Forze tra i nuclei e la coppia di elettroni condivisa in ciascun legame,
idrogeno (o, dove appropriato, Ep(legame).
per un atomo di fluoro). Soltanto
Ep(legame) varia notevolmente Vediamo ora quali contributi possiamo eliminare perché non variano notevolmente
durante una reazione chimica. durante la reazione.
1. Tra i contributi all’energia cinetica, i primi tre [Ek(traslazione), Ek(rotazione),
Ek(vibrazione)] sono direttamente proporzionali alla temperatura assoluta, che è

06txt.indd 186 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 187

costante al valore 298 K (25 °C), e quindi non variano. Il moto degli elettroni
non è influenzato dalla reazione, quindi non varia neppure Ek(elettrone). Perciò,
Ek totale resta pressoché invariata durante la reazione.
2. Tra i contributi all’energia potenziale, possiamo eliminare Ep(atomo) ed Ep(nuclei)
perché gli atomi e i nuclei non variano. L’energia potenziale di vibrazione,
Ep(vibrazione), varia lievemente perché gli atomi legati variano, ma questa variazio­
ne è piccola. L’unico contributo all’energia potenziale che varia notevolmente
in una reazione chimica è Ep(legame), l’energia potenziale della forza di attrazione
tra i nuclei e la coppia di elettroni condivisa che costituisce il legame covalente.

Rottura e formazione dei legami Possiamo considerare una reazione come un


processo in cui i legami dei reagenti assorbono energia quando si rompono e i legami dei
prodotti rilasciano energia quando si formano. Quando 1 mol di legami H H e 1 mol
di legami F F assorbono energia e si rompono, gli atomi formano 2 mol di legami
H F, con rilascio di energia. Questa reazione ha un rilascio netto di energia sotto
forma di calore (reazione esotermica), il che significa che l’energia rilasciata quando
si formano i legami in HF è maggiore dell’energia assorbita quando si rompono i
legami in H2 e in F2. I chimici parlano di forze relative dei legami. I legami più de-
boli sono più facili da rompere rispetto ai legami più forti perché hanno un’energia più
alta (sono meno stabili, più reattivi). Come mostrato nel diagramma seguente, viene
rilasciato calore quando si forma HF a partire dai suoi elementi perché i legami nei
reagenti H2 e F2 sono più deboli (meno stabili) rispetto ai legami nel prodotto HF
(più stabile). D’altra parte, se una reazione assorbe più calore per rompere i legami
nei reagenti rispetto a quanto rilascia per formare i legami nei prodotti, avviene un
assorbimento netto di energia sotto forma di calore (reazione endotermica). In en­
trambi i casi, questa differenza di energia si manifesta come calore di reazione, ΔHr.

F F
H H
entalpia, H

legami più deboli


F H F H
ΔHr =
−546 kJ

legami più forti

In altre parole, la risposta alla nostra domanda iniziale è che in realtà il calore non
“proviene” da qualche parte: l’energia rilasciata o assorbita durante una trasformazione
chimica è dovuta a differenze tra le forze dei legami dei reagenti e le forze dei legami dei
prodotti. Esamineremo quantitativamente questi concetti nel Capitolo 9.

Legami nei combustibili e negli alimenti I combustibili più comuni per le


macchine termiche sono gli idrocarburi e il carbone fossile, e quelli più comuni
per gli organismi sono i grassi e i carboidrati. Entrambi i tipi di combustibili sono
costituiti da grandi molecole organiche in prevalenza con legami C C e C H.
Quando il combustibile reagisce con O2, i legami si rompono, e gli atomi di C, H
e O formano legami C O e O H nei prodotti CO2 e H2O. Poiché la combustione
di questi combustibili rilascia energia, sappiamo che la forza totale dei legami nei
prodotti è maggiore della forza totale dei legami nel combustibile e in O2.
I combustibili con un maggior numero di legami deboli (meno stabili, più ric­
chi di energia) rilasciano più energia rispetto ai combustibili con un minor numero
di legami deboli. La Tabella 6.2 illustra questo aspetto nel caso di alcuni piccoli
composti organici. Via via che il numero di legami C C e C H diminuisce e/o
il numero di legami C O e O H (rappresentati in rosso) aumenta, diminuisce la
quantità di energia rilasciata dalla combustione; cioè, ΔHcomb diventa meno negati­

06txt.indd 187 16/05/19 20:05


188 Capitolo 6

Tabella 6.2 Calori di combustione (ΔHcomb) di alcuni composti del carbonio


Composti a 2 atomi di carbonio Composti a 1 atomo di carbonio
Etano (C2H6) Etanolo (C2H5OH) Metano (CH4) Metanolo (CH3OH)
H H H H H H
Formula di struttura H C C H H C C O H H C H H C O H

H H H H H H
Somma dei legami C⎯C e C⎯H 7 6 4 3
Somma dei legami C⎯O e O⎯H 0 2 0 2
ΔHcomb (kJ/mol) −1560 −1367 −890 −727
ΔHcomb (kJ/g) −51,88 −29,67 −55,5 −22,7

va. In altre parole, minore è il numero di legami con O in un combustibile, maggiore


è la quantità di energia rilasciata quando il combustibile viene bruciato.
Sia i grassi sia i carboidrati sono composti che fungono da alimenti ricchi di
energia. I grassi sono costituiti da catene di atomi di carbonio (legami C C) legati
ad atomi di idrogeno (legami C H), con pochissimi legami (o nessun legame) C O

un carboidrato un grasso

Tabella 6.3 Calori e O H (rappresentati in rosso nella figura in alto). I carboidrati hanno un numero
di combustione molto maggiore di legami C O e O H. Entrambi i tipi di alimenti vengono meta­
di alcuni grassi bolizzati nell’organismo a CO2 e H2O. Perché i grassi “contengono più kilocalorie”
e carboidrati per grammo ri­spetto ai carboidrati? Avendo un minor numero di legami con O (le­
Sostanza ΔHcomb (kJ/g) gami rossi nella figura in alto), i grassi rilasciano più energia rispetto ai carboidrati,
come è confermato dalla Tabella 6.3.
Grassi
Oli vegetali −37,0
Margarina −30,1 6.3 CALORIMETRIA: MISURA DEI CALORI
Burro −30,0
DI REAZIONE IN LABORATORIO
Carboidrati
Zucchero −16,2 È chiaro che è importante misurare i valori energetici dei combustibili e degli
da tavola alimenti. Per esempio, la Tabella 6.3 mostra che, quando brucia 1 g di zucchero
(saccarosio) da tavola (saccarosio, C12H22O11), vengono rilasciati 16,2 kJ di calore. Ma come si
Riso integrale −14,9 può misurarlo? Potrebbe sembrare che si possano misurare semplicemente le en­
Sciroppo di acero −10,4
talpie dei reagenti (saccarosio e O2) e sottrarle dalle entalpie dei prodotti (CO2 e
H2O). Il problema è che l’entalpia (H) di un sistema (in questo caso, certe quantità
di sostanze) in un dato stato non può essere misurata perché non si ha un punto
iniziale con cui confrontarla: non si ha un’entalpia zero. Però, si è in grado di mi­
surare la variazione di entalpia (ΔH) di un sistema. In questo paragrafo, vedremo
come si determinano i valori di ΔH.
Si ricordi che ΔH è il calore rilasciato o assorbito dal sistema a pressione costante
(qP). Per misurare accuratamente qP, costruiamo un “ambiente” che non disperda il
calore e misuriamo la variazione di temperatura su un termometro immerso in que­
sto ambiente. Quindi dobbiamo mettere in relazione la quantità di calore rilasciata

06txt.indd 188 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 189

(o a­ ssorbita) con questa variazione di temperatura. Questa relazione implica una pro­ Tabella 6.4 Calori specifici
prietà fisica di una sostanza detta calore specifico (o capacità termica specifica). di alcuni
elementi,
Calore specifico composti
Come indica l’esperienza quotidiana, maggiore è la quantità di calore assorbita da e materiali
un corpo, più alta è la temperatura che esso raggiunge; cioè, la quantità di calore (q) Calore
assorbita da un corpo è direttamente proporzionale alla variazione di temperatura: specifico
q [J/(g · K)]*
q ∝ ΔT =
ossia q constante ×ΔT ossia = costante
ΔT Elementi
Ogni corpo ha la propria particolare capacità di assorbire calore, la propria capacità Alluminio, Al 0,900
termica (C), la quantità di calore necessaria per variare di 1 K la sua temperatura. Grafite, C 0,711
La capacità termica è la costante di proporzionalità nell’equazione precedente: Ferro, Fe 0,450
Rame, Cu 0,387
q Oro, Au 0,129
capacità termica = [unità di misura: joule su kelvin (J/K ) ]
ΔT
Composti
Una proprietà correlata è il calore specifico (o capacità termica specifica) (c), la Acqua, H2O(l) 4,184
capacità termica riferita all’unità di massa, definita come la quantità di calore neces­ Alcol etilico
saria per variare di 1 K la temperatura dell’unità di massa di una sostanza e quindi (etanolo),
misurata, in unità SI, in joule su kilogrammo e su kelvin [J/(kg ⋅ K)]. Per evitare C2H5OH(l) 2,46
valori numerici molto piccoli, in questo libro riferiremo la capacità termica a 1 g di Glicole etilenico,
sostanza e quindi definiremo il calore specifico come la quantità di calore necessaria (CH2OH)2(l) 2,420
per variare di 1 K la temperatura di 1 grammo di una sostanza, misurandolo in joule Tetracloruro
di carbonio,
su grammo e su kelvin [J/(g ⋅ K)]:
CCl4(l) 0,862
q
calore specifico ( c ) = [unità di misura: J/(g ⋅ K)] Materiali solidi
massa ×ΔT
Legno 1,76
Se conosciamo c della sostanza riscaldata (o raffreddata), possiamo misurare la sua mas­ Cemento 0,88
sa e la variazione di temperatura e calcolare la quantità di calore assorbita o rilasciata: Vetro 0,84
Granito 0,79
q = c  ×  massa  ×  ΔT (6.7) Acciaio 0,45
Si noti che quando un corpo si riscalda, ossia aumenta la sua temperatura, ΔT * A 298 K (25 °C).
(= Tfinale − Tiniziale) è positiva. Il corpo acquista calore, e quindi q > 0, come ci si
attende. Analogamente, quando un corpo si raffredda, ossia diminuisce la sua tem­
peratura, ΔT è negativa; quindi, q < 0 perché il corpo cede calore. Nella Tabella 6.4
sono elencati calori specifici di alcune sostanze comuni.
Strettamente correlato con il calore specifico è il calore specifico molare (o
capacità termica molare) (Cm; si noti il simbolo in carattere maiuscolo), la quantità di
calore necessaria per variare di 1 K la temperatura di 1 mole di una sostanza, espres­
sa in joule su mole e su kelvin [J/(mol ⋅ K)]:
q
calore specifico molare (C m ) = [unità di misura: J/(mol ⋅ K)]
moli ×ΔT

Il calore specifico molare dell’acqua allo stato liquido è 4,184 J/(g ⋅ K), quindi
J 18,02 g J
C m di H2O( l ) = 4,184 × =
75,40
g ⋅ K 1 mol mol ⋅ K

Calcolo della quantità di calore in base al calore specifico


PROBLEMA DI VERIFICA 6.3
Problema Una lamina di rame saldata al fondo di una pentola ha una massa di 125 g.
Quanto calore è necessario per innalzare la temperatura della lamina di rame da 25 °C a
300 °C? Il calore specifico (c) del rame è 0,387 J/(g ⋅ K).
Piano Conosciamo la massa e il calore specifico c del rame e possiamo trovare ΔT in gradi
celsius, che è uguale a ΔT in kelvin. Usiamo questa ΔT e l’Equazione 6.7 per risolvere
rispetto alla quantità di calore.

06txt.indd 189 16/05/19 20:05


190 Capitolo 6

agitatore
Risoluzione Calcolo di ΔT e di q:
ΔT = Tfinale − Tiniziale = 300 °C − 25 °C = 275 °C = 275 K
termometro
q = c × massa (g)  ×  ΔT = 0,387 J/(g ⋅ K)  ×  100 g  ×  275 K = 1,33  ×  104 J
tappo
di sughero Verifica Il fondo di rame (il sistema) assorbe calore e quindi q è positiva. Arrotondando,
recipiente si vede che l’aritmetica sembra ragionevole: q  0,4 J/(g ⋅ K)  ×  100 g  ×  300 K = 1,2  ×  104 J.
di polistirolo
espanso PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.3 Si calcoli la quantità di calore tra­
(isolante sferita quando un chiodo di ferro di massa 5,5 g viene raffreddato da 37 °C a 25 °C (vedi Tabel-
termico)
la 6.4).
acqua
(ambiente)
campione
(sistema) I due principali tipi di calorimetria
Il calorimetro è un dispositivo usato per misurare la quantità di calore rilasciata (o
assorbita) da un processo fisico o chimico. Sappiamo che il calore si trasferisce dal
sistema all’ambiente (e viceversa). Il calorimetro è l’“ambiente” che costruiamo per
Figura 6.10 Calorimetro a
pressione costante. Questo misurare la variazione di temperatura determinata da questo trasferimento di calo­
semplice apparecchio è usato re. Due tipi di calorimetro di uso comune sono il calorimetro a pressione costante
per misurare le quantità di e il calorimetro a volume costante.
calore a pressione costante (qP).
È costituito da una massa nota Calorimetria a pressione costante Il calorimetro a pressione costante illustrato
di acqua (o di soluzione) in un nella Figura 6.10 è usato per misurare la quantità di calore trasferita (qP) in molti
recipiente termicamente isolato, processi che si svolgono in comunicazione con l’atmosfera del laboratorio. Un im­
provvisto di un termometro e di piego comune è la determinazione del calore specifico di un solido, purché esso
un agitatore. Si misura Tiniziale
non reagisca con l’acqua o non si sciolga in essa. Si determina la massa del solido (il
dell’acqua, si lascia svolgere il
processo (introduzione di un cor- sistema), lo si riscalda innalzandone la temperatura a un valore noto, e lo si introdu­
po riscaldato, di un sale solubile, ce in un campione di acqua (l’ambiente) di massa e temperatura note nel calorime­
di una soluzione ecc.), si agita tro. Si distribuisce il calore rilasciato agitando l’acqua nel calorimetro e si misura la
il contenuto e si misura Tfinale temperatura finale dell’acqua, che è uguale alla temperatura finale del solido.
dell’acqua.
La quantità di calore ceduta dal sistema (−q) all’ambiente è uguale in valore
assoluto ma opposta in segno alla quantità di calore (+q) acquistata dall’ambiente:
−qsolido = qH2O
Sostituendo l’Equazione 6.7 a ciascun membro di questa uguaglianza, si ottiene
−( csolido × massa solido ×ΔTsolido ) =
cH 2 O × massa H 2 O ×ΔTH2O
I valori di tutte le grandezze sono noti o misurati, tranne quello di csolido:
cH2O × massa H 2 O ×ΔTH2O
csolido = −
massa solido ×ΔTsolido

Determinazione del calore specifico di un solido


PROBLEMA DI VERIFICA 6.4
Problema Un campione di 25,64 g di un solido è stato riscaldato a 100,00 °C in una pro­
vetta immersa in acqua in ebollizione ed è stato introdotto con cautela in un calorimetro
a pressione costante contenente 50,00 g di acqua. La temperatura dell’acqua è aumentata
da 25,10 °C a 28,49 °C. Quanto vale il calore specifico del solido? (Si supponga che tutto il
calore ceduto sia acquistato dall’acqua).
Piano Conosciamo la massa dell’acqua (50,00 g) e quella del solido (25,64 g) e la tempe­
ratura iniziale e quella finale dell’acqua e del solido. Sottraendo dalla temperatura finale la
temperatura iniziale, otteniamo ΔT dell’acqua e quella del solido e convertiamo direttamen­
te ΔT (°C) in ΔT (K). Conosciamo cH 2 O e quindi possiamo trovare csolido.
Risoluzione E utile riassumere le informazioni date:

Massa (g) c (J/g⋅K) Tiniziale (°C) Tfinale (°C) ΔT (K)


Solido 25,64 ? 100,00 28,49 −71,51
H2O 50,00 4,184 25,10 28,49 3.39

06txt.indd 190 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 191

Calcolo di csolido:
c × massa H 2 O ×ΔTH2O 4,184 J/(g ⋅ K) × 50,00 g × 3,39 K
csolido = − H2O =−
massa solido ×ΔTsolido 25,64 g × (−71,51 K)
= 0,387 J/(g ⋅ K)
Verifica Poiché − qsolido = qH2O , possiamo controllare se i valori numerici siano uguali:
qH2O = 4,184 J/(g ⋅ K) × 50, 00 g × 3, 39 K =709 J
qsolido = 0,387 J/(g ⋅ K) × 25,64 g ×(−71,51 K ) = −710 J.
La lieve differenza è causata dall’arrotondamento.
Commento 1. Un errore comune è attribuire il segno sbagliato a ΔT: si ricordi che il sim­
bolo Δ significa “valore finale − valore iniziale”.
2. Nell’enunciato del problema è stato detto di supporre che tutto il calore rilasciato sia
assorbito dall’acqua, ma questa ipotesi non è valida per una misura accurata perché una
certa quantità di calore deve essere acquistata anche dalle altre parti del calorimetro (agita­
tore, termometro, tappo, pareti del recipiente). Per misure più accurate, si deve conoscere
la capacità termica dell’intero calorimetro.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.4 Come controllo di purezza dei


diamanti industriali, un diamante di 10,25 carati (1 carato = 0,2000 g) viene riscaldato a
74,21 °C e immerso in 26,05 g di acqua in un calorimetro a pressione costante. La tem­
peratura iniziale dell’acqua è 27,20 °C. Si calcoli ΔT dell’acqua e del diamante [cdiamante =
0,519 J/(g ⋅ K)].

Calorimetria a volume costante Un tipo comune di calorimetro a volume


costante è la bomba calorimetrica, impiegata per misurare con grande accuratezza
la quantità di calore rilasciata in una reazione di combustione. Come sarà mostrato
nel Problema di verifica 6.5 e come si è già detto, per ottenere questa maggiore
accuratezza si deve conoscere (o determinare) la capacità termica del ca­lo­rimetro.
La Figura 6.11 mostra un campione di combustibile di massa predeterminata in
un recipiente con pareti metalliche (“bomba”), riempito di ossigeno e immerso in
un bagno d’acqua termicamente isolato e provvisto di un agitatore motorizzato e di
un termometro. Una spirale scaldante collegata a un generatore di corrente elettri­
ca accende il campione, e il calore sviluppato innalza la temperatura della bomba,
dell’acqua e delle altre parti del calorimetro. Conoscendo la massa del campione
e la capacità termica del calorimetro, si può usare la ΔT misurata per calcolare la
quantità di calore rilasciata.

agitatore generatore di corrente


motorizzato elettrica
_ +
termometro

bagno cavo
d’acqua di accensione Figura 6.11 Bomba calorime­
trica. Questo apparecchio (non
disegnato in scala) è usato per
misurare il calore di combustione
sistema spaccato
a volume costante (qV). Mentre
(sostanza della “bomba”
d’acciaio si agita continuamente il bagno
combustibile
d’acqua la cui massa è già stata
e ossigeno
compresso) determinata, se ne determina la
O2 temperatura iniziale. La spirale
spaccato riscaldata elettricamente accen-
della camicia spirale
di accensione de il sistema (sostanza combusti-
isolante
bile in O2) racchiuso nella “bom-
ba” d’acciaio. Il calore rilasciato
dalla reazione di combustione si
trasferisce al resto del calorime-
tro, e si misura la temperatura
calore trasferito
massima raggiunta.

06txt.indd 191 16/05/19 20:05


192 Capitolo 6

Calcolo del calore di combustione


PROBLEMA DI VERIFICA 6.5
Problema Un produttore sostiene che il suo nuovo dessert dietetico ha “meno di 10 kiloca­
lorie per porzione”. Per verificare questa affermazione, un chimico di un laboratorio chimico
merceologico colloca una porzione di dessert in una bomba calorimetrica e la brucia in O2
(capacità termica del calorimetro = 8,151 kJ/K). La temperatura aumenta di 4,937 °C. È
corretta l’affermazione del produttore?
Piano Quando il dessert brucia, il calore rilasciato è acquistato dal calorimetro:
−qcampione = qcalorimetro
Per trovare la quantità di calore, moltiplichiamo la capacità termica data del calorimetro
(8,151 kJ/K) per ΔT (4,937 °C).
Risoluzione Calcolo della quantità di calore acquistata dal calorimetro:
qcalorimetro = capacità termica  ×  ΔT = 8,151 (kJ/K)  ×  4,937 K = 40,24 kJ
Si ricordi che = 1 kcal = 4,184 kJ. Perciò, 10 kcal = 41,84 kJ, e, quindi l’affermazione è
corretta.
Verifica Un rapido controllo dell’aritmetica mostra che la risposta alla quale si è pervenuti
è ragionevole: 8 (kJ/K)  ×  5 K= 40 kJ.
Commento Poiché il volume della bomba d’acciaio è fisso, ΔV = 0 e quindi P ΔV = 0.
Perciò, la variazione di energia misurata è il calore a volume costante (qV), che è uguale a ΔE,
non a ΔH:
ΔE = q + w = qV + 0 = qV
Ma si ricordi che, come abbiamo visto nel Paragrafo 6.2, anche se il numero di moli di gas
può variare, ΔH è di solito molto vicino a ΔE. Per esempio, ΔH è soltanto dello 0,5% mag­
giore di ΔE nel caso della combustione di H2 e soltanto dello 0,2% minore nel caso della
combustione dell’ottano (vedi Problema 6.9 alla fine del capitolo).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.5 Un chimico brucia 0,8650 g di


grafite (una forma di carbonio) in una nuova bomba calorimetrica formando CO2. Se vengo­
no rilasciati 393,5 kJ di calore alla mole di grafite e T aumenta di 2,613 K, quanto vale la
capacità termica della bomba calorimetrica?

6.4 STECHIOMETRIA DELLE EQUAZIONI


TERMOCHIMICHE
Un buon metodo per registrare la variazione di entalpia per una particolare reazione è
un’equazione termochimica, un’equazione bilanciata che indica anche il calore di
reazione (ΔHr). Un fatto che si deve tenere sempre presente è che il valore di ΔHr in­
• Provate a immaginare la
dicato si riferisce alle quantità (in moli) di sostanze e ai loro stati di aggregazione in quella
particolare equazione. La variazione di entalpia di qualunque processo ha due aspetti.
Terra senz’acqua L’acqua allo
stato liquido ha un calore spe­ 1. Segno. Il segno di ΔH dipende dal fatto che la reazione sia esotermica oppure
cifico eccezionalmente alto, quasi
endotermica. Una reazione diretta ha segno opposto a quello della reazione
4,2 J/ (g ⋅ K), circa 6 volte quello
delle rocce [0,7 J/(g ⋅ K)]. Se la inversa. Ecco due esempi.
Terra fosse priva di oceani e mari, Decomposizione di 2 mol di acqua nei suoi elementi (reazione endotermica):
l’energia solare riscalderebbe un pia­ 2H2O(l) 2H2(g) + O2(g) ΔHr = 572 kJ
neta costituito soltanto da rocce.
Occorrerebbero soltanto 0,7 J di Formazione di 2 mol di acqua a partire dai suoi elementi (reazione esotermica):
energia per aumentare di 1 K la
2H2(g) + O2(g) 2H2O(l) ΔHr = −572 kJ
temperatura di 1 g di roccia. Le tem­
perature diurne salirebbero a valori 2. Valore assoluto. Il valore assoluto di ΔH è direttamente proporzionale alla quan-
molto alti. Gli oceani e i mari limi­ tità di sostanza reagente.
tano anche la diminuzione di tem­
peratura quando il Sole tramonta,
Per esempio, per la formazione di 1 mol di acqua a partire dai suoi elementi
perché rilasciano durante la notte (metà della quantità del­l’equazione precedente):
l’energia assorbita durante il giorno. H2 ( g ) + 12 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ H2O( l ) ΔH r = −286 kJ
Se la Terra avesse una superficie
rocciosa, le temperature notturne È importante notare che nelle equazioni termochimiche si usano coefficienti frazio­
scenderebbero a valori molto bassi. nari quando è necessario per specificare il valore assoluto di ΔHr per una particolare

06txt.indd 192 16/05/19 20:05


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 193

quantità di sostanza. Si trova inoltre che, in una particolare reazione, una certa quantità
di sostanza è termodinamicamente equivalente a una certa quantità di energia. Riguar-
do all’ultima reazione,
286 kJ sono termochimicamente equivalenti a 1 mol di H2(g)
286 kJ sono termochimicamente equivalenti a 12 mol di O2(g)
286 kJ sono termochimicamente equivalenti a 1 mol di H2O(l)

Così come si usano rapporti molari stechiometricamente equivalenti per determi­


nare quantità di sostanze, allo stesso modo si usano quantità termodinamicamente
equivalenti per determinare il calore di reazione di una data quantità di sostanza.
Inoltre, come si usano rapporti molari [espressi in grammi per mole (g/mol) di so­
stanza] per convertite le moli di sostanza in grammi, così si usa il calore di reazione
[espresso in kilojoule per mole (kJ/mol) di sostanza] per convertire le moli di sostan­
za in una quantità equivalente di calore [espresso in kilojoule (kJ)]. Questa nuova re­
lazione è illustrata nella Figura 6.12 ed è applicata nel problema di verifica seguente.
rapporto
molare ottenuto
dall’equazione
bilanciata ∆Hr (kJ/mol) Figura 6.12 Sommario della
QUANTITÀ (moli) QUANTITÀ (moli) CALORE (kJ)
relazione tra quantità di
di composto A di composto B acquistato
o ceduto sostanza (in moli) e quantità
di calore (in kilojoule) trasferi­
to durante una reazione.

Impiego del calore di reazione (ΔHr) per determinare quantità di sostanza


PROBLEMA DI VERIFICA 6.6
Problema La principale fonte di alluminio nel mondo è la bauxite (costituita in prevalenza da
ossido di alluminio). La sua decomposizione termica può essere rappresentata con l’equazione
Δ
Al 2O3 ( s ) ⎯ ⎯ → 2Al( s ) + 23 O 2 ( g ) ΔH r = 1676 kJ
Se l’alluminio è prodotto con questo procedimento (vedi Commento), quanti grammi di
alluminio si possono formare quando si trasferiscono 1,000  ×  103 kJ di calore?
Piano Dall’equazione bilanciata e dalla variazione di entalpia vediamo che si formano
2 mol di Al quando vengono assorbiti 1676 kJ di calore. Con questa quantità equivalente, calore (kJ)
convertiamo i kilojoule trasferiti dati in moli formate e poi convertiamo le moli in grammi.
Risoluzione Combinazione dei passi per convertire da quantità di calore trasferito a massa 1676 kJ = 2 mol Al
di Al:
2 mol Al 26,98 g Al
massa (g) di Al =(1,000 ×10 3 kJ)× × = 32,20 g Al quantità (mol) di Al
1676 kJ 1 mol Al
Verifica La massa di alluminio sembra corretta: 1700 kJ formano circa 2 mol di Al (54 g),
moltiplicare per M (g/mol)
quindi 1000 kJ dovrebbero formare un po’ più della metà di quella quantità (27 g).
Commento In pratica, l’alluminio si ottiene fornendo al minerale non calore bensì energia
elettrica. Però, poiché ΔH è una funzione di stato, l’energia totale necessaria per questa massa (g) di Al
trasformazione chimica è la stessa quale che sia la forma in cui è fornita.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.6 Come Lavoisier, Priestley e altri


sapevano, l’ossido di mercurio(II) si decompone facilmente in seguito a riscaldamento. Se
occorrono 90,8 kJ per decomporre 1 mol di HgO, quanto calore è necessario per produrre
907 kg di Hg?

6.5 LEGGE DI HESS DELL’ADDITIVITÀ


DELLE VARIAZIONI DI ENTALPIA
Molte reazioni sono difficili, persino impossibili, da fare svolgere come una singola
trasformazione. Una reazione può far parte di un processo biochimico complesso,
oppure svolgersi soltanto in condizioni ambientali estreme, oppure può persino
richiedere un cambiamento delle condizioni mentre si sta svolgendo. Se non sia­
mo in grado di fare svolgere una reazione in laboratorio, possiamo trovare la sua

06txt.indd 193 16/05/19 20:06


194 Capitolo 6

variazione di entalpia? Una delle più potenti applicazioni dell’entalpia (H) come
funzione di stato ci permette di farlo, di trovare la variazione di entalpia ΔH di
qualsiasi reazione per la quale si sia in grado di scrivere un’equazione, anche se è
impossibile farla svolgere.
Questa applicazione si basa sulla legge di Hess dell’additività delle varia-
zioni di entalpia: la variazione di entalpia di un processo complessivo è la somma
delle variazioni di entalpia delle sue singole tappe. Per applicare la legge di Hess, imma­
giniamo una reazione complessiva come la somma di una serie di tappe di reazione,
si svolga o no in questo modo. Ciascuna tappa è scelta perché se ne conosce la ΔH.
Poiché la ΔH complessiva dipende soltanto dallo stato iniziale e dallo stato finale,
la legge di Hess dice che possiamo sommare i valori noti delle ΔH delle singole tap­
pe per ottenere la ΔH della reazione complessiva. Analogamente, se conosciamo i
valori delle ΔH della reazione complessiva e di tutte le tappe tranne una, possiamo
trovare la ΔH incognita di quella tappa.
Vediamo come si applica la legge di Hess nel caso dell’ossidazione dello zolfo a
triossido di zolfo, il processo fondamentale nella produzione industriale di acido solfo­
rico e nella formazione della pioggia acida. (Per introdurre il metodo, semplificheremo
le equazioni denotando lo zolfo con S, anziché con S8, più corretto). Quando si brucia
S in eccesso di O2, si forma diossido di zolfo (SO2), non triossido di zolfo (SO3). L’Equa­
zione 1 mostra questa tappa e la sua ΔH. Se cambiamo le condizioni e poi aggiungia­
mo altro O2, possiamo ossidare SO2 a SO3 (Equazione 2). In altre parole, non possiamo
porre S e O2 in un calorimetro e trovare ΔH per la reazione complessiva di S a SO3
(Equazione 3). Però possiamo trovarla con la legge di Hess. Le tre equazioni sono:
Equazione 1: S( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯→ SO 2 ( g ) ΔH1 = −296,8 kJ
Equazione 2: 2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2SO3 ( g ) ΔH2 = −198,4 kJ
Equazione 3: S( s ) + 2 O2 ( g ) ⎯ ⎯
3
→ SO3 ( g ) ΔH3 = ?
La legge di Hess dice che, se siamo in grado di manipolare l’Equazione 1 e/o l’Equa­
zione 2 in modo che la loro somma dia l’Equazione 3, allora ΔH3 sarà la somma dei
valori di ΔH manipolati delle Equazioni 1 e 2.
In primo luogo, identifichiamo l’Equazione 3 come equazione “obiettivo”, quel­
la di cui vogliamo trovare la ΔH, e notiamo accuratamente il numero di moli di
reagenti e di prodotti che contiene. Notiamo anche che ΔH1 e ΔH2 sono i valori
per le Equazioni 1 e 2 così come sono scritte. Ora manipoliamo l’Equazione 1 e/o
l’Equazione 2 come segue, per far sì che la loro somma corrisponda all’Equazione 3.
• Le Equazioni 1 e 3 contengono la stessa quantità di S, quindi lasciamo invariata
l’Equazione 1.
• L’Equazione 2 contiene una quantità di SO3 pari al doppio di quella contenuta
nell’Equazione 3, quindi la moltiplichiamo per 12 , badando di dimezzare anche
ΔH2.
• Con le quantità obiettivo di reagenti e di prodotti presenti, sommiamo l’Equa­
zione 1 invariata all’Equazione 2 dimezzata ed elidiamo i termini che com­
paiono in entrambi i membri:
Equazione 1: S(s) + O2(g) SO2(g) ΔH1 = −296,8 kJ
1
2 Equazione 2: SO2(g) + 12 O2(g) SO3(g) 1
2(ΔH2) = −99,2 kJ
Equazione 3: S( s ) + O 2 ( g ) + SO 2 ( g ) + 12 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ SO2 ( g ) + SO3 ( g ) ΔH 3 = ?
da cui S(s) + 32 O2(g) SO3(g)
Poiché l’Equazione 1 invariata più l’Equazione 2 dimezzata è uguale all’Equazio­
ne 3, abbiamo:
ΔH3 = ΔH1 + 12(ΔH2) = −296,8 kJ + (−99,2 kJ) = −396,0 kJ
Ancora una volta, il punto essenziale è che H è una funzione di stato e, quindi,
ΔH complessiva dipende soltanto dalla differenza fra l’entalpia iniziale e l’entalpia
finale. La legge di Hess dice che la differenza tra l’entalpia dei reagenti (1 mol di S
e 32 mol di O2) e l’entalpia del prodotto (1 mol di SO3) ha lo stesso valore, sia che S

06txt.indd 194 16/05/19 20:06


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 195

venga ossidato direttamente a SO3 (impossibile) sia che l’ossidazione avvenga prima
attraverso la formazione di SO2 (effettiva).
Riassumendo, per calcolare una ΔH incognita sono necessari tre passaggi.
1. Identificare l’equazione obiettivo, il passo la cui ΔH è incognita, e notare il
numero di moli di reagenti e di prodotti.
2. Manipolare le equazioni la cui ΔH è nota in modo che i numeri obiettivo di moli
di reagenti e di prodotti si trovino dalla parte corretta dell’equazione. Ricordare di:
• cambiare il segno di ΔH quando si inverte un’equazione;
• moltiplicare il numero di moli e ΔH per lo stesso fattore.
3. Sommare le equazioni manipolate per ottenere l’equazione obiettivo. Tutte le
sostanze, eccettuate quelle nell’equazione obiettivo, devono elidersi. Sommare
i loro valori di ΔH per ottenere la ΔH incognita.

Impiego della legge di Hess per calcolare una ΔH incognita


PROBLEMA DI VERIFICA 6.7
Problema Due inquinanti gassosi che si formano nello scarico del motore di un’automobile
sono CO e NO. Un chimico ambientale sta studiando metodi per convertirli in gas meno
nocivi mediante la seguente equazione:
CO( g ) + NO( g ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + 12 N 2 ( g ) ΔH = ?
Date le informazioni seguenti, si calcoli la ΔH incognita:
Equazione A: CO( g ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ CO 2 ( g ) ΔH A = −283,0 kJ
Equazione B: N 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2NO( g ) ΔH B = 180,6 kJ
Piano Notiamo i numeri di moli di sostanze nell’equazione obiettivo, manipoliamo l’Equa­
zione A e/o l’Equazione B e i loro valori di ΔH, poi le sommiamo per ottenere l’equazione
obiettivo e la ΔH incognita.
Risoluzione Registrazione dei numeri di moli di sostanze nell’equazione obiettivo: l’Equazio­
ne A ha lo stesso numero di moli di CO e di CO2 dell’equazione obiettivo, quindi la lasciamo
invariata. Nell’Equazione B le quantità di N2 e di NO sono pari al doppio di quelle necessarie e,
inoltre, N2 e NO compaiono in membri opposti rispetto all’equazione obiettivo; quindi, inver­
tiamo l’Equazione B, cambiamo il segno di ΔHB e moltiplichiamo entrambi i membri per 12:
1
2 [2NO( g ) ⎯ ⎯→ N 2 ( g ) + O 2 ( g )] ΔH = − 12 ( ΔH B ) = − 12 (180,6 kJ)
NO( g ) ⎯ ⎯→ 1
2 N 2 (g ) + 12 O 2 ( g ) ΔH = −90,3 kJ
Addizione delle equazioni manipolate per ottenere l’equazione obiettivo:
Equazione A: CO( g ) + 1
2 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ CO 2 ( g ) ΔH = −283, 0 kJ
1
2 (Equazione B invertita): NO( g ) ⎯ ⎯→ N 2 ( g ) +
1
2
1
2 O2 ( g)  ΔH = −90,3 kJ

Equazione obiettivo: CO( g ) + NO( g ) ⎯ ⎯→ CO 2 ( g ) + 12 N 2 ( g ) ΔH = −373,3 kJ


Verifica La determinazione dell’equazione obiettivo desiderata è di per sé la verifica. Si
ricordi di cambiare il segno di ogni equazione che si inverte.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.7 Gli ossidi di azoto subiscono molte


reazioni interessanti. Si calcoli ΔH per l’equazione complessiva 2NO2(g) + 12 O2(g)
N2O5(s) in base alle seguenti informazioni:
N 2O5 ( s ) ⎯ ⎯→ 2NO( g ) + 32 O 2 ( g ) ΔH = 223,7 kJ
NO( g ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) ΔH = −57,1 kJ

6.6 CALORI STANDARD DI REAZIONE (ΔH 0r)


In questo paragrafo, vedremo come si usa la legge di Hess per determinare i valori
di ΔH di un numero enorme di reazioni. Anzitutto, dobbiamo tenere conto che
le variabili termodinamiche, come ΔH, variano molto al variare delle condizioni.
Perciò, per usare i calori di reazione e altri dati termodinamici, i chimici hanno
istituito gli stati standard, un insieme di condizioni e concentrazioni specifiche.

06txt.indd 195 16/05/19 20:06


196 Capitolo 6

Tabella 6.5 Calori • Nel caso di un gas, lo stato standard è 1 atm e si assume che il gas abbia un
di formazione comportamento ideale.
standard • Nel caso di una sostanza in soluzione acquosa, lo stato standard è una concen­
scelti a 25 °C trazione 1 M (soluzione contenente 1 mol/L).
(298 K) • Nel caso di una sostanza pura (elemento o composto), lo stato standard è di
solito la forma più stabile della sostanza a 1 atm e alla temperatura di interesse.
Formula ΔH 0f (kJ/mol)
In questo libro, la temperatura è normalmente di 25 °C (298 K).*
Argento Uno zero ad apice (0) posto a destra del simbolo indica che la variabile è stata de­
Ag(s) 0 terminata con tutte le sostanze nei loro stati standard. Per esempio, quando ΔHr
AgCl(s) −127,0
è stata misurata con tutte le sostanze nei loro stati standard, essa è il calore stan-
Azoto
N2(g) 0 dard di reazione (ΔH 0r).
NH3(g) −45,9
NO(g) 90,3 Equazioni di formazione e loro variazioni standard di entalpia
Calcio
Ca(s) 0 In un’equazione di formazione, si forma 1 mol di un composto a partire dai suoi
CaO(s) −635,1 elementi. Il calore standard di formazione (ΔH 0f ) è la variazione di entalpia per
CaCO3(s) −1206,9 l’equazione di formazione quando tutte le sostanze sono nei loro stati standard. Per
Carbonio esempio, l’equazione di formazione per il metano (CH4) è
C(grafite) 0
C(diamante) 1,9 C(grafite) + 2H2(g) CH4(g) ΔH 0f = −74,9 kJ
CO(g) −110,5
Perciò, il calore standard di formazione del metano è −74,9 kJ/mol. Alcuni altri
CO2(g) −393,5
CH4(g) −74,9 esempi sono i seguenti:
CH3OH(l) −238,6
Na( s ) + 12 Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ NaCl( s ) ΔH 0f = −411,1 kJ
HCN(g) 135
CS2(l) 87,9 2C (grafite) + 3H2 ( g ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ C2H5OH( l ) ΔH 0f = −277,6 kJ
Cloro
Cl(g) 121,0 I calori standard di formazione sono stati tabulati per molti composti. La Tabella 6.5
Cl2(g) 0 presenta i valori di ΔH 0f per parecchie sostanze mentre una tabella molto più ampia
HCl(g) −92,3 è riportata nell’Appendice B.
Idrogeno
H(g) 218,0
I valori presentati nella Tabella 6.5 sono stati scelti in modo da mettere in rilie­
H2(g) 0 vo due punti.
Ossigeno 1. A un elemento nel suo stato standard è assegnata una ΔH 0f uguale a zero. Per
O2(g) 0
O3(g)
esempio, si noti che ΔH 0f = 0 per Na(s), ma ΔH 0f = 107,8 kJ/mol per Na(g).
143
H2O(g) −241,8 Ciò significa che lo stato gassoso non è lo stato più stabile del sodio a 1 atm
H2O(l) −285,8 e 298,15 K e che si deve fornire calore per formare Na(g). Si noti anche che
Sodio lo stato standard del cloro è costituito dalle molecole di Cl2, non dagli atomi
Na(s) 0 di Cl. Parecchi elementi esistono in differenti forme, delle quali soltanto una è
Na(g) 107,8 lo stato standard. Per esempio, lo stato standard del carbonio è la grafite, non
NaCl(s) −411,1 il diamante, e quindi ΔH 0f di C(grafite) = 0. Analogamente, lo stato standard
Zolfo
S8(rombico) 0
dell’ossigeno è il diossigeno (O2), non l’ozono (O3), e lo stato standard dello
S8(monoclino) 2 zolfo è S8, disposto sotto forma di cristalli rombici, anziché sotto forma di cri­
SO2(g) −296,8 stalli monoclini.
SO3(g) −396,0 2. La maggior parte dei composti ha una ΔH 0f negativa. Cioè, la maggior parte dei
composti ha reazioni di formazione esotermiche in condizioni standard. Ciò
significa che, nella maggior parte dei casi, il composto è più stabile dei suoi elementi
componenti.

Scrittura delle equazioni di formazione


PROBLEMA DI VERIFICA 6.8
Problema Si scrivano equazioni bilanciate per la formazione di 1 mol dei seguenti compo­
sti a partire dai loro elementi nei loro stati standard e si includa ΔH 0f.
(a) Cloruro d’argento, AgCl, un solido in condizioni standard.

* Nel caso del fosforo, la forma più comune, il fosforo bianco (P4), è scelta come stato standard, anche se il
fosforo rosso è più stabile a 1 atm e 298 K.

06txt.indd 196 16/05/19 20:06


Termochimica: flusso di energia e trasformazioni chimiche 197

(b) Carbonato di calcio, CaCO3, un solido in condizioni standard.


(c) Cianuro di idrogeno, HCN, un gas in condizioni standard.
Piano Scriviamo gli elementi come reagenti e 1 mol del composto come prodotto, badando
che tutte le sostanze siano nei loro stati standard. Poi bilanciamo gli atomi e otteniamo i
valori di ΔH 0f dalla Tabella 6.5.
Risoluzione (a) Ag( s ) + 12 Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯→ AgCl( s ) ΔH f0 = −127,0 kJ

(b) Ca( s ) + C (grafite) + 32 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ CACO3 ( s ) ΔH f0 = −1206,9 kJ

(c) 1
2 H2 ( g ) + C (grafite) + 12 N 2 ( g ) ⎯ ⎯→ HCN( g ) ΔH f0 = 135 kJ

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.8 Si scrivano equazioni bilanciate per


la formazione di 1 mol di (a) CH3OH(l), (b) CaO(s) e (c) CS2(l) a partire dagli elementi nei
loro stati standard. Si includa ΔH 0f per ciascuna reazione.

Determinazione di ΔH 0r a partire dai valori di ΔH 0f dei reagenti


e dei prodotti
Applicando la legge di Hess, possiamo usare i valori di ΔH 0f per determinare ΔH 0r
per qualsiasi reazione. Tutto ciò che dobbiamo fare è considerare la reazione come
un immaginario processo in due tappe.
Tappa 1. C iascun reagente si decompone nei suoi elementi. Questa tappa è l’inverso
della reazione di formazione per ciascun reagente, e quindi la variazione
standard di entalpia è −ΔH 0f.
Tappa 2. Ciascun prodotto si forma a partire dai suoi elementi. Questa tappa è la
reazione di formazione per ciascun prodotto, e quindi ciascuna variazione
standard di entalpia è +ΔH 0f.
Secondo la legge di Hess, sommiamo le variazioni di entalpia di queste tappe per otte­
nere la variazione di entalpia complessiva della reazione (ΔH 0r). La Figura 6.13 illustra
il procedimento concettuale. Supponiamo di volere determinare ΔH 0r per la reazione
TiCl4(l) + 2H2O(g) TiO2(s) + 4HCl(g)
Scriviamo questa equazione come se fosse la somma di quattro singole equazioni,
una per ciascun composto. Le prime due di queste equazioni mostrano la decompo­
sizione dei reagenti nei loro elementi (l’inverso della loro formazione), e le seconde
due mostrano la formazione dei prodotti a partire dai loro elementi:
TiCl 4 ( l ) ⎯ ⎯
→ Ti( s ) + 2Cl 2 ( g ) − ΔH f0 [TiCl 4 ( l )]
2H2O( g ) ⎯ ⎯
→ 2H2 ( g ) + O 2 ( g ) − 2ΔH f0 [H2O( g )]
Ti( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ TiO 2 ( s ) ΔH f0 [TiO 2 ( s )]
2H2 ( g ) + 2Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4HCl( g ) 4ΔH f0 [HCl( g )] Figura 6.13 Procedimento
TiCl 4 ( l ) + 2H2O( g ) + Ti( s ) + O 2 ( g ) + 2H2 ( g ) + 2Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯ → generale per determinare
ΔH 0r in base ai valori di ΔH 0f.
Ti( s ) + 2Cl 2 ( g ) + 2H2 ( g ) + O 2 ( g ) + TiO 2 ( s ) + 4HCl( g )
Per qualsiasi reazione, si può
considerare ΔH 0r come la somma
Ossia, TiCl 4 ( l ) + 2H 2O( g ) ⎯ ⎯→ TiO 2 ( s ) + 4HCl( g )
delle variazioni di entalpia per la
decomposizione dei reagenti nei
elementi loro elementi [−ΣnΔH 0f(reagenti)]
e la formazione dei prodotti
a partire dai loro elementi
decompo-
sizione

[ΣmΔH 0f(prodotti)] [I coefficienti


−ΔH 0f ΔH 0f
entalpia, H

m e n sono le quantità (in moli)


formazione

reagenti
dei prodotti e dei reagenti
Hiniziale
e sono uguali ai coefficienti
ΔH 0r nel­l’equazione bilanciata, e il
simbolo Σ (lettera sigma maiu-
prodotti scola dell’alfabeto greco), detto
Hfinale sommatoria, significa “somma
ΔH 0r = ΣmΔH 0f (prodotti) − ΣnΔH 0f (reagenti) di”].

06txt.indd 197 16/05/19 20:06


198 Capitolo 6

È importante rendersi conto che, quando il cloruro di titanio(IV) e l’acqua reagi­


scono, i reagenti non si decompongono effettivamente nei loro elementi, che poi si
ricombinano per formare i prodotti. Ma questa è la grande utilità della legge di Hess
e del concetto di funzione di stato. Poiché ΔH 0r è la differenza tra due funzioni di
stato, H 0prodotti − H 0reagenti, non importa come la trasformazione avvenga realmente.
Sommiamo semplicemente le singole variazioni di entalpia per trovare ΔH 0r:
ΔH r0 = ΔH f0 [TiO 2 ( s )] + 4ΔH f0 [HCl( g )] + {−ΔH f0 [TiCl 4 ( l )]} + {−2ΔH f0 [H2O( g )]}
= {Δ H f0 [TiO2 ( s )] +
 4ΔH f0 [HCl( g )]} − {Δ
 H f0 [TiCl 4 ( l )]+
 2ΔH f0 [H2O( g )]}
 
prodotti reagenti

Si noti lo schema. Generalizzandolo, possiamo affermare che il calore standard di


reazione è la somma dei calori standard di formazione dei prodotti meno la somma dei
calori standard di formazione dei reagenti (vedi Figura 6.13):

ΔH r0 = ∑ mΔH f0(prodotti) − ∑ nΔH f0(reagenti) (6.8)

dove m e n sono le quantità (moli) dei prodotti e dei reagenti indicate dai coeffi­
cienti tratti dall’equazione bilanciata.

Calcolo del calore di reazione in base ai calori di formazione


PROBLEMA DI VERIFICA 6.9
Problema L’acido nitrico, la cui produzione annua mondiale ammonta a circa 8 miliardi
di kilogrammi, è usato nella fabbricazione di molti prodotti, comprendenti fertilizzanti,
coloranti ed esplosivi. La prima tappa nel processo di produzione industriale è l’ossidazione
dell’ammoniaca:
4NH3(g) + 5O2(g) 4NO(g) + 6H2O(g)
Si calcoli ΔH 0r in base ai valori di ΔH 0f.
Piano Cerchiamo i valori di ΔH 0f nella Tabella 6.5 e applichiamo l’Equazione 6.8 per tro­
vare ΔH 0r.
Risoluzione Calcolo di ΔH 0r:
ΔH r0 = ∑ mΔH f0(prodotti) − ∑ nΔH f0(reagenti)
= {4H f0 [NO( g )] + 6ΔH f0 [H2O( g )]} − {4H f0 [NH3 ( g )] + 5ΔH f0 [O 2 ( g )]}
= (4 mol)(90,3 kJ/mol) + (6 mol)(−241,8 kJ/mol)
− [(4 mol)(−45,9 kJ/mol) + (5 mol)(0 kJ/mol)]
= 361 kJ − 1451 kJ + 184 kJ + 0 kJ = − 906 kJ
Verifica Un metodo di verifica è scrivere equazioni di formazione per le quantità dei sin­
goli composti nel verso corretto ed eseguire la loro somma:
4NH3 ( g ) ⎯ ⎯→ 2N 2 ( g ) + 6H2 ( g ) − 4 (−45,9 kJ) = 184 kJ
2N 2 ( g ) + 2O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 4NO( g ) 4 (90,3 kJ) = 361 kJ
6H2 ( g ) + 3O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 6H2O( g ) 6 (−241,8 kJ) = −1451 kJ
4NH3 ( g ) + 5O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 4NO( g ) + 6H2O( g ) − 906 kJ
Commento In questo problema conosciamo i singoli valori di ΔH 0f e
ne troviamo la somma,
ΔH 0r. Nel problema di approfondimento conosciamo la somma e vogliamo trovare un singolo
valore.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.9 Si usino le informazioni seguenti


per trovare ΔH 0f del metanolo [ CH3OH( l ) ]:
CH3OH( l ) + 23 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + 2H2O( g ) ΔH comb
0
= −638,5 kJ

ΔH f0 di CO2 ( g ) = −393,5 kJ/mol ΔH f0 di H2O( g ) = −241,8 kJ/mol

Nella seguente scheda La chimica nelle altre scienze i concetti essenziali presentati
in questo capitolo sono applicati ai nuovi approcci sull’utilizzazione dell’energia.

06txt.indd 198 16/05/19 20:06


La chimica nelle altre scienze
Chimica nelle scienze ambientali

Il futuro dell’utilizzazione dell’energia


La necessità ci spinge a ripensare su scala mondiale il proble­ lazione nel pesce. Due processi – desolforizzazione e gassifica­
ma dell’utilizzazione dell’energia. La disponibilità in via di zione – sono progettati per ridurre questo inquinante nocivo.
esaurimento dei combustibili su scala mondiale e l’impatto I dispositivi di desolforizzazione dei gas di combustione
ambientale della loro combustione minacciano il nostro te­ (depuratori) riscaldano calcare (CaCO3) in polvere o spruzza­
nore di vita e sono diventati questioni di sopravvivenza per no poltiglie di idrossido di calcio [Ca(OH)2] per rimuovere
centinaia di milioni di persone nei Paesi meno sviluppati. SO2 dalla miscela di prodotti gassosi della combustione del
Gli aspetti chimici della produzione e dell’utilizzazione del­ carbone fossile:
l’energia lanciano ai leader politici, agli scienziati e agli inge­ Δ
CaCO3 ( s ) + SO2 ( g ) ⎯ ⎯ → CaSO3 ( s ) + CO2 ( g )
gneri alcune delle più impegnative sfide del nostro tempo. 2CaSO3 ( s ) + O2 ( g ) + 4H2O( l ) ⎯ ⎯ →
L’utilizzazione dell’energia (i “consumi” energetici, nel­ 2CaSO 4 ⋅ 2H2O( s ; gesso)
la terminologia degli economisti) aumentò enormemente
2Ca (OH)2 ( aq ) + 2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯

durante la rivoluzione industriale nel XIX secolo e di nuovo
dopo la Seconda Guerra Mondiale e continua ad aumenta­ 2CaSO 4 ⋅ 2H2O( s )
re. Avvenne un passaggio dall’utilizzazione della legna da Il costo di gestione più lo smaltimento dei prodotti di rifiu­
ardere a quella del carbone fossile e poi del petrolio. I com- to solidi (quasi 1 tonnellata all’anno per ogni utente delle
bustibili fossili (carbone fossile, petrolio e gas naturale) centrali elettriche) presenta gravi problemi per questo ap­
restano le principali fonti di energia, ma i prodotti inqui­ proccio. Una soluzione innovativa per lo smaltimento del
nanti della loro combustione e il loro esaurimento finale gesso prodotto è rappresentata dalla costruzione di una fab­
sono gravi inconvenienti della loro utilizzazione. brica per la produzione di cartongesso accanto a una cen­
I processi naturali formano i combustibili fossili a una trale elettrica alimentata a carbone. Nel 2002, il 20% della
velocità molto più bassa di quella con cui li consumiamo produzione del cartongesso ha utilizzato gesso sintetico.
rendendo queste risorse non rinnovabili: dopo che sono state Nella gassificazione del carbone fossile, i legami
utilizzate, non esistono più. Le stime al riguardo indicano nelle grandi molecole presenti nel carbone fossile vengono
che le riserve note di petrolio potrebbero esaurirsi per il 90% rotti per formare molecole molto più piccole di combusti­
entro il 2040. Le riserve di carbone fossile sono molto più bili gassosi privi di zolfo. La reazione del carbone con una
abbondanti, e quindi la ricerca chimica cerca nuove forme di quantità limitata (sub-stechiometrica) di ossigeno e con
utilizzo per il carbone fossile. Ma la maggior concentrazione acqua a temperature elevate (800 °C ÷ 1500 °C) produce
delle attività di ricerca è focalizzata su processi di produzio­ un flusso di gas costituito principalmente da una miscela
ne di energia che utilizzino fonti rinnovabili quali biomasse 2 : 1 di CO e H2. In queste condizioni riducenti, lo zolfo
  

(materia organica vegetale e animale), idrogeno, luce solare, presente nel carbone è convertito in H2S, che viene poi
vento, energia geotermica e maree. La seguente trattazione rimosso dalla miscela con una reazione acido-base, utiliz­
pone in rilievo alcuni approcci a una più razionale utilizza­ zando come base un’ammina, quale per esempio etanolam­
zione dell’energia e include alcuni aspetti della chimica “ver- mina (OHCH2CH2NH2). Il prodotto di questa reazione viene
de”, lo sforzo, promosso dalla pubblica amministrazione in poi scaldato per rilasciare H2S che viene successivamente
collaborazione con l’industria e le istituzioni accademiche, trasformato in zolfo elementare, un prodotto collaterale di
di ideare processi che evitino il rilascio di prodotti nocivi elevato valore, mediante il processo Claus.
nell’ambiente: conversione del carbone fossile in combustibi­ Le principali reazioni sono l’ossidazione esotermica del
li più “puliti” (meno inquinanti), produzione di combustibili carbone a CO e la reazione del carbone con il vapor d’acqua
dalle biomasse, sviluppo di un sistema economico alimen­ nella reazione del gas d’acqua (o reazione vapor acqueo-carbo-
tato dall’idrogeno, comprensione dell’effetto esercitato sul nio), una reazione endotermica che produce una miscela di
clima dai combustibili a base di carbonio, utilizzazione di CO e H2 chiamata gas d’acqua:
fonti energetiche che non richiedano la combustione e, ciò
che più importa, il risparmio dei com­bu­stibili disponibili. C( s ) + 12 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO( g ) ΔH 0 = −110 kJ
Approcci chimici a combustibili più puliti C( s ) + H2O( g ) ⎯ ⎯
→ CO( g ) + H2 ( g ) ΔH 0 = 131 kJ
Carbone fossile Le riserve statunitensi di carbone fossile Per produrre il syngas (synthesis gas, gas di sintesi), che è
sono enormi, ma il carbone fossile è un combustibile alta­ utilizzato nella produzione di reagenti chimici, si aumenta il
mente inquinante perché quando brucia produce non solo contenuto in H2 del gas d’acqua, mediante la reazione di sposta­-
CO2 ma anche SO2, polveri sottili e rilascia tracce di mercu­ men­to del CO (o reazione di spostamento del gas d’acqua):
rio nell’atmosfera. L’esposizione a SO2 e polveri sottili può
causare malattie respiratorie, inoltre SO2 può essere ossidato CO( g ) + H2O( g ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + H2 ( g ) H0 =
−41 kJ
producendo H2SO4, il principale composto responsabile del
fenomeno delle piogge acide. Hg è una neurotossina, si diffon­ Il syngas, però, ha un valore energetico molto più basso di
de sotto forma di vapori di mercurio e dà luogo a bioaccumu­ quello del metano. Per esempio, una miscela contenente

06txt.indd 199 16/05/19 20:06


0,5 mol di CO e 0,5 mol di H2 (cioè, 1,0 mol di syngas) fossile, il biodiesel riduce le emissioni tossiche (fuliggine,
rilascia una quantità di energia pari a circa 1/3 di quella zolfo ecc.) e il rischio di cancro ai polmoni del 90%. Come
rilasciata da 1,0 mol di metano (ΔH 0comb = −802 kJ/mol): per ogni altra miscela organica, la combustione del biodie­
1 H ( g) + 1 O ( g) ⎯⎯ sel produce CO2, un gas serra, ma questa emissione ha ef­
4 2 2 2 → 12 H2O( g ) ΔH 0 = −121 kJ
fetti minimi sulla quantità complessiva di CO2 in atmosfera
1 CO( g ) + 1 O ( g ) ⎯ ⎯
2 4 2 → 12 CO 2 ( g ) ΔH 0 = −142 kJ perché viene assorbita dalle piante che vengono coltivate
1 H ( g ) + 1 CO + 1 O ( g ) ⎯⎯
→ 12 H2O( g ) + 12 CO 2 ( g ) per produrre ulteriore biodiesel. Si crea in questo modo un
2 2 2 2 2
ciclo a breve termine che ricicla il carbonio.
ΔH 0 = −263 kJ
Per aumentare il suo valore energetico, si può convertire il Effetto serra e riscaldamento globale
syngas in altri combustibili, come il metano. Nella reazione
di spostamento del CO (o reazione di spostamento del gas d’ac- Molti processi naturali producono CO2, che svolge un ruo­
qua), una parte del CO reagisce con altro vapore acqueo per lo termoregolatore essenziale nell’atmosfera. Una grande
formare CO2 e H2 addizionale: quantità delle radiazioni solari che incidono sulla superficie
terrestre viene assorbita dalle terre emerse, dagli oceani e
CO(g) + H2O(g) CO2(g) + H2(g) ΔH 0 = −41 kJ dai mari e convertita in calore (Figura S6.1). Il CO2 atmo­
Il CO2 viene rimosso e la miscela arricchita di H2 reagisce sferico non assorbe la luce solare (la regione visibile dello
per formare metano e vapore acqueo: spettro solare), ma assorbe il calore. Perciò, una parte del
CO(g) + 3H2(g) CH4(g) + H2O(g) ΔH 0 = −206 kJ calore emesso dalla superficie terrestre è intrappolata dal
L’essiccazione del prodotto dà il gas naturale sintetico CO2 e trasferito all’atmosfera.
(Synthetic Natural Gas, SNG). Perciò, mediante un processo Nel corso di miliardi di anni, in gran parte a causa della dif­
che implica la rimozione dei prodotti volatili e tre tappe di fusione della vita vegetale che utilizza il CO2 nella fotosintesi,
reazione, il carbone viene convertito in metano. la grande quantità di CO2 presente inizialmente nell’atmo­
Il gas di sintesi viene anche utilizzato per produrre sfera terrestre diminuì a una percentuale in volume rela­ti­va­-
combustibili liquidi mediante il processo Fischer-Tropsch, mente costante dello 0,028%. Però, negli ultimi 150 anni,
che potrà in futuro essere più ampiamente utilizzato per questa quantità è andata aumentando in conseguenza
sopperire alla diminuzione delle scorte petrolifere: dell’utilizzazione umana dei combustibili fossili e oggi è lie­
vemente maggiore dello 0,036%. Perciò, anche se la stessa
nCO( g ) + (2n + 1) H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CnH2n+2 ( l ) + nH2O( g ) quantità di energia solare attraversa l’atmosfera, è aumentata
la quantità intrappolata sotto forma di calore in un processo
Legna da ardere e altri tipi di biomasse Quasi la metà detto effetto serra, che ha cominciato a causare un riscalda-
della popolazione mondiale ottiene l’energia di cui neces­ mento globale (planetario) (Figura S6.2). In base all’attuale
sita dalla legna da ardere. In linea di principio, la legna e le utilizzazione dei combustibili fossili, è stato previsto che le
altre forme di biomasse sono rinnovabili, ma la deforesta­ concentrazioni di CO2 raggiungeranno lo 0,049% ÷ 0,126%
zione su scala mondiale per ricavare combustibile nei Paesi entro il 2100. Però, anche se avverranno questi aumenti
meno sviluppati e legname e carta in quelli più sviluppati, previsti della concentrazione di CO2, restano due domande
ha fatto sì che le foreste si depauperino a una velocità mol­ strettamente correlate: (1) Di quanto aumenterà la tempe­
to maggiore di quella a cui sono capaci di ricrescere. ratura dell’atmosfera terrestre? (2) Quale sarà l’effetto di un
Un migliore impiego delle piante da raccolto (canna aumento della temperatura sulla vita terrestre?
da zucchero, barbabietola da zucchero, mais) e dei rifiuti Molti laboratori accademici, pubblici e privati stanno
dell’utilizzazione forestale è la conversione delle bio- costruendo modelli computerizzati per simulare gli effetti
masse, che combina metodi chimici e microbici per con­ di crescenti quantità di CO2 e di altri gas a effetto serra (il
vertire lo zucchero, la cellulosa e altre sostanze vegetali più importante dei quali è CH4) sulla temperatura dell’at­
in combustibili. Uno di questi combustibili da biomasse è mosfera. Però, il sistema è così complesso che è difficile
l’etanolo (o alcol etilico; C2H3OH), che viene miscelato con ottenere una risposta definitiva. Si deve tenere conto delle
la benzina per formare il gasohol. Un altro è il metano, che fluttuazioni naturali della temperatura, nonché delle varia­
viene prodotto in generatori di biogas mediante la degra­ zioni cicliche dell’attività solare, che, secondo le previsioni,
dazione microbica di rifiuti di origine vegetale e animale. determineranno un aumento addizionale della temperatura
In Cina sono in attività impianti che applicano queste tec­ nel corso di questo secolo. Inoltre, all’aumentare della quan­
niche. Negli Stati Uniti, il DOE (U.S. Department of Ener­ tità di CO2 rilasciato dalla combustione dei combustibili
gy) e l’EPA (Environmental Protection Agency) finanziano fossili, aumenta la quantità di fuliggine, che può intercet­
programmi di vasta portata che impiegano tecnologie simili tare la radiazione solare e fare diminuire la temperatura.
per produrre combustibili gassosi a partire da rifiuti solidi Anche il vapore acqueo intrappola il calore e, all’aumentare
urbani e acque di rifiuto e combustibili liquidi attraverso della temperatura, aumenta la quantità di vapore acqueo
la degradazione chimica (depolimerizzazione termica) di che si forma. L’aumento della quantità di vapore acqueo
piante e rifiuti di origine vegetale. può aumentare lo spessore della copertura di nubi e fare
Un utile approccio è la conversione chimica degli oli diminuire la temperatura. Dati recenti indicano che la di­
vegetali (soia, semi di cotone, semi di girasole e anche olio minuzione dell’attività vulcanica abbinata alle innovazioni
per cucina già utilizzato) in una miscela di acidi grassi chia­ nelle centrali elettriche può ridurre le particelle atmosferi­
mata biodiesel, che può sostituire il combustibile diesel nei che a base di SO2, con una conseguente diminuzione della
motori a combustione interna. Rispetto al diesel di origine temperatura dell’atmosfera.

06txt.indd 200 16/05/19 20:06


EFFETTO SERRA NATURALE EFFETTO SERRA AMPLIFICATO
CFC
Radiazione 8%
Ozono
solare riflessa
Radiazione solare 12%
dall’atmosfera.
riflessa dalla
superficie . Ossido nitroso
terrestre 5%

Metano
15%
Monossido
di carbonio
60%

Più CO2
Radiazione IR in atmosfera
(calore) emessa intrappola
Radiazione IR
dalla Terra più calore
intrappolata
dall’atmosfera
.
La radiazione assorbita Più calore in atmosfera
dalla superficie terrestre scalda maggiormente.
è trasformata in calore la superficie terrestre

Figura S6.1 Intrappolamento del calore da parte dell’atmosfera. Circa il 25% della radiazione solare è riflesso dall’atmosfera.
Il resto attraversa l’atmosfera e raggiunge la superficie terrestre e viene convertito in calore dall’atmosfera e dalla superficie ter-
restre. Una parte del calore emesso dalla superficie terrestre viene intrappolato dai gas atmosferici, in prevalenza CO2, e una parte
viene ceduta allo spazio esterno.

Nonostante questi fattori antagonisti, la maggior parte dei


modelli prevede comunque un aumento netto della tempe­
ratura dell’atmosfera, i cui effetti sulle variazioni climatiche
sono già evidenti. La temperatura media dell’atmosfera è
aumentata di 0,6 ± 0,2 °C dalla fine del XIX secolo e di
0,2-0,3 °C negli ultimi 25 anni. A livello planetario, si è re­
gistrato che il decennio 2001-2010 è stato il più caldo mai
documentato, una tendenza che sta proseguendo nel de­
cennio attuale. Il dicembre 2014 è stato il 358esimo mese
in sequenza in cui si sono registrate temperature medie
superiori alla media del XX secolo. Quando le elevate con­
centrazioni dei gas a effetto serra intrappolano calore addi­
zionale, il 20% del calore intrappolato riscalda l’atmosfera e
l’80% fa evaporare l’acqua. Altri eventi documentati recen­
temente comprendono una diminuzione del 10% della co­
pertura nevosa planetaria, un assottigliamento del 40% del
ghiaccio del Mare Artico, una diminuzione del 20% dell’e­
stensione dei ghiacciai, e un aumento quasi del 10% delle
precipitazioni nell’emisfero settentrionale. Su scala globale,
nel secolo scorso il livello del mare è salito di 17 cm e sono
aumentate le inondazioni catastrofiche.
Quindici anni fa, i modelli più accettati prevedevano un
aumento della temperatura di 1,0 ÷ 3,5 °C. Oggi, le previsio­
ni migliori sono di circa il 50% maggiori. Un aumento medio
di 1 °C nel Midwest degli Stati Uniti potrebbe fare diminuire
Figura S6.2 Le crescenti conferme dell’effetto serra. A. del 20% la resa delle colture di cereali; un aumento di 3 °C
In conseguenza dell’aumento dell’utilizzazione dei combustibili potrebbe alterare l’andamento delle precipitazioni e le rese
fossili dalla metà del XIX secolo in poi, sono aumentate le con- delle colture in tutto il mondo; un aumento del 5% potrebbe
centrazioni atmosferiche di CO2. B. In coincidenza con questo fondere vaste parti delle calotte glaciali polari, aumentando
aumento delle concentrazioni di CO2, la temperatura globale
di 9÷86 cm il livello del mare, causando l’inondazione delle
(planetaria) media è aumentata di circa 0,6 °C. (È posta uguale
a zero la temperatura globale media nel periodo 1957 ÷ 1970).
regioni a basse altitudini quali l’Olanda, la metà della Florida
In entrambi i diagrammi, le proiezioni (linee tratteggiate) si e gran parte dell’India, e sommergendo alcuni Paesi insulari
basano sui consumi attuali di combustibili fossili e sulla prosecu- del Pacifico. Per peggiorare le cose, quando bruciamo com­
zione della deforestazione (linea superiore) o sulla sua riduzione bustibili fossili e legna da ardere che rilasciano CO2, abbattia­
(linea inferiore). mo le foreste che assorbono naturalmente il CO2.

06txt.indd 201 16/05/19 20:06


Una soluzione proposta per risolvere il problema delle emis­ del carbonio. L’idrogeno necessario per una reale economia
sioni di CO2 è la sequestrazione (intrappolamento). Il meto­ sostenibile dovrebbe essere prodotto da risorse rinnovabili,
do, naturalmente applicato dalle piante, consiste nell’im­ decomponendo l’acqua elettroliticamente utilizzando ener­
magazzinare CO2 liquido nel sottosuolo (per esempio nelle gia eolica, solare o fotovoltaica.
cavità sotterranee generate dall’estrazione del petrolio) o
immetterlo nelle profondità oceaniche. Energia solare
Conferenze internazionali, quali la Conferenza sulle va­
riazioni climatiche di Kyoto, tenuta in Giappone nel 1997, La quantità di energia solare che incide ogni anno sugli
hanno offerto un forum per politici, interessi aziendali e Stati Uniti è circa 600 volte maggiore del fabbisogno ener-
scienziati per giungere a un accordo su come ridurre le getico del Paese. Nonostante questa stupefacente abbon­
emissioni di gas a effetto serra. Gli Stati Uniti, il maggior danza, l’energia solare è difficile da raccogliere, im­ ma­-
produttore di emissioni di CO2, non hanno ratificato il gaz­zinare e convertire in altre forme di energia. L’emissione
protocollo di Kyoto. Di conseguenza, molti si attendono totale del Sole è enorme, ma non concentrata, e quindi si
un’accelerazione del riscaldamento globale e degli effetti devono destinate vaste aree della superficie terrestre alla
sul clima terrestre che l’accompagnano. sua raccolta.
Nel 2010, al termine della XVI conferenza internazio­ L’immagazzinamento dell’energia solare è necessario
nale sul clima tenutasi a Cancun (Messico) si è arrivati a un perché nella maggior parte delle regioni la radiazione solare
“pacchetto di accordi” accettato da 195 Paesi che prevede intensa è disponibile soltanto 6 ÷ 8 ore al giorno, ed è note­
che entro il 2020 i Paesi più avanzati taglino le emissioni di volmente ridot­ta nelle condizioni meteorologiche piovose
gas serra in modo da ridurre il riscaldamento globale a 1,5 °C o nuvolose. Oltre all’utilizzo delle biomasse che derivano
e si sono poi impegnati a studiare nuovi meccanismi per dai processi di fotosintesi, altre importanti tecnologie che
aiutare anche i Paesi in via di sviluppo a ridurre le loro emis­ permettono di utilizzare l’energia solare sono quelle che
sioni. Nel 2018 la COP24 si è tenuta a Katowice (Polonia) e utilizzano materiali elettronici e i sistemi termici.
ha visto la partecipazione di 196 Paesi. Dopo due settimane
di negoziazioni sono stati decisi i criteri con cui misurare le Materiali elettronici Le celle fotovoltaiche converto­
emissioni di CO2 e valutare le misure per contrastare il cam­ no l’energia solare direttamente in energia elettrica, ma la
biamento climatico dei singoli Paesi. quantità di energia elettrica generata è pari a soltanto al
10% dell’energia raggiante incidente sulla cella. Però, nuo­
Idrogeno Anche se la combustione di H2 (ΔH comb 0
= ve combinazioni di elementi dei Gruppi 3A(13) e 5A(15),
−242kJ/mol) produce soltanto circa 1/3 dell’energia per come l’arseniuro di gallio (GaAs), assicurano rese di conver­
mole che è prodotta dalla combustione di CH4 (ΔH comb 0
= sione più elevate e si stanno avvicinando alla parità econo­
−802kJ/mol), la combustione di H2 produce vapore ac­ mica con certi tipi di utilizzazione dei combustibili fossili.
queo non inquinante. Però, la formazione di H2 a partire Studi recenti su dispositivi basati su semiconduttori di
dalla decomposizione dell’acqua è endotermica dimensione nanometrica (quantum dots) fanno prevedere la
( ΔH r0 con H2O liquida = 286 kJ/mol), e i metodi diretti possibilità di raggiungere efficienze fino al 70%.
sono ancora molto costosi. Per esempio, la decomposizione
dell’acqua con l’energia elettrica è attualmente troppo co­ Solare termico Le celle fotovoltaiche producono calore
stosa; però, se i metodi futuri di generazione dell’energia durante il loro funzionamento e questa energia dissipata ne
elettrica si dimostreranno più economici, gli oceani e i mari diminuisce l’efficienza. La combinazione delle celle foto­
forniranno una fonte inesauribile di materia prima. [A diffe­ voltaiche con una tubazione di un metallo conduttivo con­
renza dei combustibili fossili, che sono fonti energetiche tenente acqua o liquido antigelo genera un sistema ibrido
primarie, in quanto esistenti in natura in una forma accessi­ fotovoltaico-termico in cui il calore può essere trasferito a
bile e utilizzabile direttamente, l’idrogeno, come l’energia un sistema di riscaldamento dell’acqua sanitaria.
elettrica, è una fonte energetica secondaria, o vettore energe- Il principale metodo termico di immagazzinamento
tico, che deve essere prodotta utilizzando fonti energetiche dell’energia solare sfrutta le proprietà di sali idrati, come
primarie. (N.d.C.)]. Na2SO4 ⋅ 10H2O. Quando sono riscaldate dalla radiazione so­
Il trasporto e lo stoccaggio del combustibile H2 po­ lare a oltre 32 °C, le 3 mol di ioni si sciolgono nelle 10 mol
trebbero essere effettuati con le tecnologie utilizzate at­ di acqua in un processo endotermico:
tualmente dalle aziende di pubblici servizi. Però, il metodo
>32°C
con cui H2 alimenterà, per esempio, un’autovettura è una Na 2SO 4 ⋅10H2O( s ) ⎯ ⎯⎯

⎯→ Na 2SO4 ( aq ) ΔH 0 = 354 kJ
questione aperta. Ricerche precedenti hanno mostrato che
molti metalli, quali il palladio e il niobio, assorbono grandi Quando si raffredda sotto 32 °C dopo il tramonto, la solu­
quantità di H2 negli spazi tra i loro atomi, e si è sperato che zione ricristallizza, rilasciando l’energia assorbita che può
potessero essere utilizzati come “cartucce” di combustibile. essere utilizzata per il riscaldamento:
Ma studi più recenti hanno mostrato che i metalli rilascia­ <32°C
no H2 troppo lentamente per essere di impiego pratico. Na 2SO4 ⎯ ⎯⎯

⎯→ Na 2SO4 ⋅10H2O( s ) ΔH 0 = −354 kJ
L’impiego di H2 nelle celle a combustibile, è comunque un
settore attivo di ricerca elettrochimica. Energia nucleare C’è un diffuso utilizzo di energia nucle­
È possibile produrre idrogeno utilizzando energia nu­ are derivante da processi di fissione, nonostante i problemi
cleare (attraverso processi termici o elettrochimici), ma la associati alla produzione delle scorie radioattive, inclusi
produzione dal carbone richiederebbe poi sequestrazione quelli derivanti dalla produzione di plutonio fissile che può

06txt.indd 202 16/05/19 20:06


essere utilizzato in armi nucleari, aumentando così i rischi domestico. Il suo progetto convoglia attraverso la “caldaia” i
della proliferazione nucleare. Il processo di fusione nucleare gas di scarico a elevata temperatura per trasferire una mag­
elimina i rischi della fissione ma, allo stato attuale, i ricerca­ giore quantità di calore agli ambienti della casa e a un siste­
tori sono riusciti a ottenere fusione solo a spese di un netto ma collegato di riscaldamento domestico dell’acqua. Inol­
consumo di energia. Le applicazioni pratiche della fusione tre, il cammino di convogliamento raffredda i gas a meno
nucleare sembrano dunque essere ancora lontane. di 100 °C, cosicché il vapore acqueo condensa, rilasciando
così circa il 10% di calore in più:
Risparmio energetico: più da meno
Tutti i sistemi esistenti sulla Terra, siano essi organismi vi­ → CO 2 ( g ) + 2H2O( g ) ΔH0r =−802 kJ
CH4 ( g ) + 2O 2 ( g ) ⎯ ⎯
venti o centrali elettriche industriali, sprecano una certa 2H2O( g ) ⎯ ⎯ → 2H2O( l ) ΔH0r = −88 kJ
quantità di energia, in effetti uno spreco di combustibile.
Per esempio, in termini dell’energia utilizzata per produrlo, CH4 ( g ) + 2O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO 2 ( g ) + 2H2O( l ) ΔH r0 = −890 kJ
ogni barattolo di alluminio scartato equivale a 0,25 L di
benzina. Il risparmio energetico abbassa i costi di produzio­ Anche se gli ingegneri e i chimici saranno in prima linea
ne, amplia la disponibilità di combustibili fossili e riduce nell’esplorazione di nuove direzioni energetiche, un futuro
l’inquinamento. dell’energia più promettente dipende in ultima analisi dal­
Un esempio di dispositivo atto a risparmiare energia la nostra saggezza nell’ottenere e risparmiare le risorse del
è una “caldaia” a gas ad alta efficienza per il riscaldamento nostro pianeta.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


⎛ 4,184 kJ ⎞⎟ Δ
6.1 ΔE =q + w =⎜⎜−26,0 kcal × ⎟ 6.6 HgO( s ) ⎯ ⎯ → Hg( l ) + 12 O 2 ( g ) ΔH = 90,8 kJ
⎜ ⎝ 1 kcal ⎟⎠
103 g 1 mol Hg 90,8 kJ
+ 15,825 kJ =−93 kJ =
calore (kJ) 907 kg Hg × × ×
1 kg 200,6 g Hg 1 mol Hg
6.2 La reazione è esotermica
= 4,11×105 kJ
6.7 2NO( g ) + 32 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ N 2O5 ( s ) ΔH = −223,7 kJ
2NO 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2NO( g ) + O 2 ( g )
ΔH = 114,2 kJ
2NO( g ) + 1 3
2 2 O 2 ( g ) + 2NO 2 ( g ) ⎯ ⎯→
N 2O5 ( s ) + 2NO( g ) + O 2 ( g )
2NO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ N 2O5 ( s )
1
2 ΔH = −109,5 kJ
6.3 ΔT = 25 °C − 37 °C = −12 °C = −12 K
q = 0,450 J/(g ⋅ K)  ×  5,5 g  ×  (−12 K) = −30 J 6.8 (a) C(grafite) + 2H2 ( g ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ CH3OH( l )
6.4 − qsolido = qacqua ΔH f0 = −238,6 kJ
− {[ 0,519 J/(g ⋅ K) ](2,050 g )( x − 74,21)} (b) Ca( s ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ CaO( s ) ΔH f0 = −635,1 kJ
= {[ 4,184 J/(g ⋅ K) ](26,05 g )( x − 27,20)} (c) C(grafite) + 14 S8 (rombico) ⎯ ⎯→ CS 2 ( l ) ΔH f0 = 87,9 kJ
x = 27,65 K
ΔTdiamante = −46,56 K e ΔTacqua = 0,45 K 6.9 ΔH f0 di CH3OH( l )
6.5 − qcampione = qcalorimetro = −ΔH comb
0
+ 2ΔH f0 [ H2O( g ) ] + ΔH f0 [ CO 2 ( g ) ]
⎛ 1 mol C ⎞⎟ = 638,5 kJ + (2 mol)(−241,8 kJ/mol)
−(0,8650 g C)⎜⎜ ⎟(−393,5 kJ/mol C) = (2,613 K) x
⎜⎝12,01 g C ⎟⎟⎠ + (1 mol)(−393,5 kJ/mol)
x = 10,85 kJ/K = −238,6 kJ

06txt.indd 203 16/05/19 20:06


Teoria quantistica e struttura atomica 7
DA SAPERE PRIMA
Nel corso di alcuni decenni memorabili – da circa il 1890 a circa il 1930 – avvenne
una rivoluzione nella concezione della costituzione del­l’Uni­ver­so. Ma nella scienza
• scoperta dell’elettrone e del
nucleo atomico (Paragrafo 2.4)
le rivoluzioni non sono i violenti sconvolgimenti che accompagnano le rivoluzioni
• principali caratteristiche della politiche. Si sviluppano invece gradualmente, manifestando difetti in un modello
struttura atomica (Paragrafo 2.5) consolidato via via che si accumulano dati contrastanti, una o due scoperte sorpren­
• variazioni dello stato energetico
di un sistema (Paragrafo 6.1)
denti allargano i difetti trasformandoli in crepe, e la struttura concettuale crolla a
poco a poco sotto il peso di incoerenze e incompatibilità. Poi nuove intuizioni,
verificate dall’esperimento, guidano la costruzione di un modello più compatibile
con la realtà. Fu quanto accadde quando la teoria della combustione di Lavoisier ro­
vesciò il modello del flogisto, quando la teoria atomica di Dalton stabilì il concetto

• I successi
umana
della mente
di unità individuali di materia, e quando il modello nucleare dell’atomo di Ruther­
ford sostituì atomi con una complessa struttura interna agli atomi assimilati a “palle
L’invenzione dell’auto­mo­
bi­
le, della radio e dell’aeroplano
da biliardo” o a “plum pudding”. In questo capitolo vedremo come il dispiegarsi di
favori­rono un sentimento di capa­ questo processo ha condotto allo sviluppo della moderna teoria atomica.
cità u­ ma­ na illi­mitata, e la sco­ Non appena Rutherford propose il suo modello nucleare dell’atomo, sorse
perta dei rag­ gi X, del­la radioatti­ un importante problema. Un nucleo e un elettrone si attraggono reciprocamente
vità, dell’elettrone e del nucleo e quindi, affinché rimangano separati, l’energia associata al moto degli elettroni
atomico fece pensare che la mente
umana avrebbe presto svelato tutti
(energia cinetica) deve bilanciare l’energia di attrazione (energia potenziale). Però,
i mi­steri della natura. In real­­tà, alcu­ le leggi della fisica classica avevano stabilito che una particella negativa in moto in
ni erano persuasi che re­stassero ben una traiettoria curva attorno a una particella positiva doveva emettere radiazione
pochi misteri da svelare. e quindi perdere energia. Se questo requisito valeva anche per gli atomi, perché
1895 Röntgen scopre i raggi X l’elettrone orbitante non perdeva continuamente energia e non cadeva sul nucleo
1896 Becquerel scopre la radioattività
1897 Thomson scopre l’elettrone seguendo una traiettoria a spirale? Chiaramente, se gli elettroni si comportassero
1898 Curie scopre il radio nel modo previsto dalla fisica classica, tutti gli atomi sarebbero crollati moltissimo
1900 Freud presenta la teoria dell’incon­
scio tempo fa! Il comportamento della materia subatomica sembrava violare l’esperien­
1901 Planck formula la teoria quantistica za del mondo reale e i principi accettati.
1903 I fratelli Wright fanno volare un
aeroplano I progressi decisivi che seguirono costrinsero a un completo ripensamento del
1905 Ford impiega la catena di mon­ modello classico della materia e dell’energia. Nel mondo macroscopico, la materia
taggio nella costruzione delle
automo­bi­li e l’energia sono entità distinte. La materia si presenta in campioni che possiamo
1905 Rutherford spiega la radioattività contenere in un recipiente e pesare, e possiamo variare gradualmente la quantità
1905 Einstein pubblica la teoria della
relatività e la teoria del fotone di materia in un campione. Per contro, l’energia è “priva di massa” e la sua quantità
1906 Saint-Denis crea la danza moderna varia in modo continuo. La materia si muove in traiettorie specifiche, mentre la
1908 Matisse e Picasso creano la pittura
moderna luce e gli altri tipi di energia si propagano in onde diffuse. Però, non appena gli
1909 Schönberg e Berg creano la musi­ scienziati del XX secolo sondarono il mondo subatomico, queste nette distinzioni
ca moderna
1911 Rutherford presenta il modello tra materia particellare (o corpuscolare) ed energia ondulatoria cominciò a venire
nucleare dell’atomo meno.
1913 Bohr presenta il modello atomico
1914 –1918 Prima Guerra Mondiale
1923 Compton dimostra l’esistenza
IN QUESTO CAPITOLO e in quello seguente esamineremo la meccanica quanti-
della quantità di moto del fotone stica, la teoria che spiega l’attuale modello della struttura atomica. Dopo avere
1924 De Broglie pubblica la teoria considerato le proprietà ondulatorie dell’energia, esamineremo le teorie e gli
ondulatoria della materia
1926 Schrödinger formula l’equazione esperimenti che condussero a un modello quantizzato, o particellare (o corpu-
del­le onde scolare), della luce. Vedremo perché la luce emessa da un atomo di idrogeno
1927 Heisenberg presenta il principio (H) eccitato – il suo spettro atomico – suggerisce un atomo con livelli energetici
di indeterminazione
1932 Chadwick scopre il neutrone distinti e considereremo brevemente come si applicano oggi gli spettri atomici

07txt.indd 204 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 205

all’analisi chimica. Poi esamineremo il dualismo onda-particella (o dualismo


onda-corpuscolo), il concetto centrale della meccanica quantistica. Nell’ultimo
paragrafo descriveremo il modello attuale dell’atomo di idrogeno e presentere-
mo i numeri quantici usati per identificare le regioni di spazio occupate da un
elettrone in un atomo. Nel capitolo seguente considereremo atomi polielettroni-
ci (con più di un elettrone) e metteremo in relazione il numero e la distribuzione
degli elettroni con il comportamento chimico.

7.1 NATURA DELLA LUCE


La luce visibile è un tipo di radiazione elettromagnetica (detta anche energia
elettromagnetica o energia raggiante). Altri tipi familiari di radiazioni elettromagneti­
che sono i raggi X, le microonde e le radioonde. Tutte le radiazioni elettromagneti­
che sono costituite da energia che si propaga mediante campi elettrici e magnetici
la cui intensità aumenta e diminuisce alternativamente durante la propagazione
attraverso lo spazio. Questo modello ondulatorio classico distingue chiaramen­
te tra onde e particelle ed è essenziale per comprendere perché si formano gli
arcobaleni, come funziona una lente di ingrandimento, perché i corpi immersi
nell’acqua appaiono deformati, e molte altre osservazioni quotidiane. Però, non è
in grado di spiegare le osservazioni su scala atomica perché, in questi casi, l’energia
si comporta come se fosse costituita da particelle!

Natura ondulatoria della luce


Le principali proprietà ondulatorie delle radiazioni elettromagnetiche sono descrit­
te da due variabili interdipendenti, la frequenza e la lunghezza d’onda, come illu­
strato nella Figura 7.1.
• La frequenza (ν; lettera ni minuscola dell’alfabeto greco) di un’onda è il
numero di cicli subiti dall’onda nell’unità di tempo ed è espressa in secondi
alla meno uno [s−1; nel Sistema Internazionale (SI) il secondo alla meno uno è
denominato hertz (Hz)]. Più in generale, la frequenza di un fenomeno periodico
è il numero di volte che esso si ripete nell’unità di tempo.
• La lunghezza d’onda (λ; lettera lambda minuscola dell’alfabeto greco) è la
distanza tra un punto qualsiasi di un’onda e il punto corrispondente dell’onda
successiva, per esempio tra una cresta e la cresta successiva; cioè, è la distanza,
lungo la direzione di propagazione, percorsa dall’onda durante un ciclo. L’unità
di misura della lunghezza d’onda nel SI è il metro (m); nel caso di lunghezze
d’onda molto piccole si usano i sottomultipli: nanometro (nm; 1 nm = 10−9
m), picometro (pm; 1 pm = 10−12 m). Un’unità di misura della lunghezza
d’onda fuori del SI, usata comunemente in spettroscopia, è l’ångström (Å;
1 Å = 10−10 m).
La velocità di propagazione di un’onda, la distanza percorsa dall’onda nell’unità di
tempo [espressa in metri su secondo (m/s)], è data dal prodotto della sua frequenza
(espressa in cicli su secondo, ossia in hertz) per la sua lunghezza d’onda (espressa
in metri su ciclo): Figura 7.1 Frequenza e lun-
ghezza d’onda. La figura mostra
cicli m m tre onde con differenti lunghezze
unità di misura della velocità di propagazione di un’onda: × =
s ciclo s d’onda (λ) e quindi con tre dif-
ferenti frequenze (ν). È impor-
Nel vuoto, tutti i tipi di radiazioni elettromagnetiche si propagano alla velocità di tante notare che, al diminuire
2,99792458  ×  108 m/s (3,00 × 108 m/s con 3 cifre significative), una costante fisica della lunghezza d’onda, la fre-
fondamentale detta velocità della luce (c): quenza aumenta, e viceversa. La
lunghezza d’onda in (A) è 2 volte
c = ν×λ (7.1) quella dell’onda in (B) e 4 volte
quella dell’onda in (C). Perciò la
Dato che, come indica l’Equazione 7.1, il prodotto ν  ×  λ è una costante, i singoli frequenza dell’onda in (A) è 1/2
fattori sono legati da una relazione di proporzionalità inversa: una radiazione con di quella dell’onda in (B) e 1/4 di
frequenza alta ha una lunghezza d’onda piccola e viceversa. quella dell’onda in (C).

07txt.indd 205 15/05/19 15:16


206 Capitolo 7

Un’altra caratteristica di un’onda è la sua ampiezza. Come mostrato nella Figu­ra


7.2, l’ampiezza di un’onda è l’altezza di una sua cresta (o la profondità di una sua
val­le). L’ampiezza di un’onda elettromagnetica è una misura dell’intensità dei suoi
campi elettrico e magnetico. Perciò, l’ampiezza è in relazione con l’intensità della
radiazione, che percepiamo come “brillantezza” nel caso della luce. La luce di un
particolare colore, per esempio il rosso dei veicoli antincendio dei vigili del fuoco,
ha una particolare frequenza e una corrispondente lunghezza d’onda, ma può essere
più tenue (ampiezza minore) o più brillante (ampiezza maggiore).
Lo spettro elettromagnetico La luce visibile costituisce una piccola regione
del continuo di energia raggiante noto come spettro elettromagnetico (Figu­
Figura 7.2 Ampiezza (inten-
ra 7.3). Le onde dello spettro elettromagnetico si propagano tutte alla stessa veloci-
sità) di un’onda. L’ampiezza tà nel vuoto ma differiscono nella frequenza e, quindi, nella lunghezza d’onda. Alcu­-
di un’onda è rappresentata ne regioni dello spettro sono utilizzate da particolari dispositivi; per esempio,
dall’altezza di una cresta (o la regione delle grandi lunghezze d’onda e basse frequenze è rappresentata dal­
dalla profondità di una valle) le microonde e dalle radioonde. Ciascuna regione è parzialmente sovrapposta a
dell’onda. Le due onde mostrate
nella figura hanno la stessa
quella successiva. Per esempio, la regione dell’infrarosso (IR) è parzialmente
lunghezza d’onda (lo stesso sovrapposta alla regione delle microonde a un estremo e alla regione visibile
colore nel caso di onde luminose) all’altro estremo.
ma differenti ampiezze e, quindi, L’occhio umano percepisce differenti lunghezze d’onda (o frequenze) della luce
differenti intensità (“brillantezze” (della regione visibile dello spettro) come differenti colori, dal rosso (λ  750 nm)
nel caso di onde luminose).
al violetto (λ  400 nm). La luce di una singola lunghezza d’onda è detta monocro-
matica, mentre quella di molte lunghezze d’onda è detta policromatica. La luce
bianca è policromatica. La regione adiacente alla regione visibile dal lato delle pic­
cole lunghezze d’onda è detta ultravioletto (UV) (o luce ultravioletta). Le lunghez­
ze d’onda ancora più piccole (frequenze ancora più alte) costituiscono le regioni
dei raggi X e dei raggi γ (gamma). Per esempio, un segnale televisivo, la luce
verde di un semaforo e un raggio γ emesso da un elemento radioattivo si pro­
pagano tutti alla stessa velocità, ma differiscono nella frequenza (e quindi nella
lunghezza d’onda).

• Le emissioni elettroma-
netiche sono dovunque Siamo
im­mersi in un bagno di radiazio­
ni elettroma­gne­tiche provenienti
dal Sole. Sia­ mo bombardati anche
dalle ra­diazio­ ni generate dalle atti­
vità umane: segnali radiotelevisivi;
radia­zioni a microonde ge­nerate dai
sistemi ra­ dar per il controllo del
traffico vei­co­lare e dalle stazioni di
tra­
smissione e ritrasmissione (ripe­
titori) del­la rete telefonica cellula­
re; radia­zioni e­mes­se dalle lampade
elettriche, da­gli apparecchi per raggi
X per usi diagnostici e terapeutici,
dai motori elettrici degli autovei­
coli e così via. Siamo bombarda­
ti anche da fonti naturali terrestri:
fulmini, de­ cadimento radioattivo e
persino la luce emessa dalle lucciole!
Otteniamo quasi tutta la nostra cono­ Figura 7.3 Regioni dello spettro elettromagnetico. Lo spettro del­le radiazioni elettromag-
scenza dell’Universo lontano dalle netiche (spet­tro elettromagnetico) si estende dalle lunghezze d’onda mol­to corte (frequenze
radiazioni che entrano nei nostri molto alte) dei rag­gi γ (gamma) alle lunghezze d’onda molto lunghe (frequenze molto alte)
telescopi ottici, telescopi a raggi X e delle radioonde, passando per la regione visibile. La regione visibile, relativamente stretta, è
radiotelescopi. espansa (e la scala è resa lineare) per mostrare i colori componenti.

07txt.indd 206 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 207

Interconversione di lunghezza d’onda e frequenza


PROBLEMA DI VERIFICA 7.1
Problema Un dentista impiega i raggi X (λ = 1,00 Å) per eseguire una serie di radiografie
dentali, mentre il paziente ascolta una stazione radio (λ = 235 cm) e guarda fuori della
finestra il cielo azzurro (λ = 473 nm). Quanto vale la frequenza [in secondi alla meno uno
(s−1), ossia in hertz (Hz)] della radiazione elettromagnetica emessa da ciascuna sorgente? (Si
supponga che la radiazione si propaghi alla velocità della luce, 3,00  ×  108 m/s).
Piano Sono date le lunghezze d’onda, quindi usiamo l’Equazione 7.1 per trovare le frequen­
ze. Però, dobbiamo prima convertire le lunghezze d’onda in metri, perché c è misurata in
metri al secondo.
Risoluzione Per i raggi X: conversione da ångström a metri,
10−10 m
λ= 1,00 Å × 1,00 10−10 m


Calcolo della frequenza:
c 3,00 ×108 m/s
ν= = = 3,00  ×  1018 s−1 = 3,00  ×  1018 Hz
λ 1,00 ×10−10 m
Per la stazione radio: combinando i passaggi per calcolare la frequenza,
c 3,00 ×108 m/s
ν= = = 9,23  ×  107 s−1 = 9,23  ×  107 Hz
λ 10−2 m
325 cm ×
1 cm
Per il cielo azzurro: combinando i passaggi per calcolare la frequenza,
c 3,00 ×108 m/s
ν= = = 6,34  ×  1014 s−1 = 6,34  ×  1014 Hz
λ 10−9 m
473 nm ×
1 nm
Verifica Gli ordini di grandezza sono corretti per le regioni dello spettro elettromagneti­
co (vedi Figura 7.3): raggi X (1019 ÷ 1016 s−1 = 1019 ÷ 1016 Hz), radioonde (109 ÷ 104 s−1 =
109 ÷ 104 Hz), luce (7,5  ×  1014 ÷ 4,0  ×  1015 s−1 = 7,5  ×  1014 ÷ 4,0  ×  1015 Hz).
Commento Questa stazione radio diffonde i suoi programmi alla frequenza di 92,3  ×  106 s−1
= 92,3  ×  106 Hz = 92,3 MHz (megahertz; 1 MHz = 106 Hz), all’incirca nel centro della
gamma FM (Frequency Modulation, modulazione di frequenza).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.1 Alcuni diamanti appaiono gial­


li perché contengono composti dell’azoto che assorbono la luce violetta di frequenza
7,23  ×  1014 Hz. Si calcoli la lunghezza d’onda (in nanometri e in ångström) della luce assorbita.

La distinzione tra energia e materia Nel mondo quotidiano in cui viviamo,


l’energia e la materia hanno comportamenti molto diversi. Esaminiamo alcune osser­
vazioni importanti riguardo alla luce e vediamo come contrastano con il comporta­
• Arcobaleni e diamanti
Pos­siamo vedere un arcobaleno sol­
mento delle particelle. La luce di una data lunghezza d’onda si propaga a differenti tanto quando il Sole è alle nostre
velocità attraverso differenti mezzi trasparenti: vuoto, aria, acqua, quarzo e così via. spalle. La luce che entra nella super­
Perciò, quando un’onda luminosa passa da un mezzo a un altro, per esempio dall’aria ficie vicina di una goccia d’acqua
viene rifratta e riflessa dalla superfi­
all’acqua, la sua velocità di propagazione varia. La Figura 7.4A illustra il fenomeno
cie lontana. La luce rossa, subendo
della rifrazione. Se l’onda incide sulla superficie di separazione (interfaccia) tra i la rifrazione minima, raggiunge il
due mezzi, per esempio aria e acqua, con un angolo di incidenza diverso da 0°, la nostro occhio provenendo da gocce
variazione della velocità di propagazione determina una variazione della direzione più alte nel cielo, mentre la luce
di propagazione, e l’onda prosegue in una direzione diversa da quella di incidenza. violetta, subendo la ri­fra­zione mas­
sima, raggiunge l’occhio pro­ve­nen­
L’angolo formato dalla nuova direzione di propagazione con la normale alla superficie
do da gocce più basse nel cielo. I
di separazione (angolo di rifrazione) dipende dai materiali da ambo i lati della super­ colori nello sfavillio di un diamante
ficie di separazione e dalla lunghezza d’onda della luce. Nel processo di dispersione, la sono dovuti alle sue fac­ce, che sono
luce bianca si separa (si disperde) nei colori componenti, come quando attraversa un sfaldate secondo angoli che rifran­
prisma, perché ciascuna lunghezza d’onda incidente viene rifratta a un angolo lieve­ gono e riflettono la luce incidente,
al­lun­gandone il cam­mino tanto
mente diverso. Le particelle, per contro, non subiscono rifrazione quando passano da
quanto basta affinché le differenti
un mezzo a un altro. La Figura 7.4B mostra che, quando un sasso lanciato attraverso lunghezze d’onda (colori) si se­ pa­
l’aria entra in un lago, la sua velocità varia bruscamente e poi esso continua a rallen­ rino. (Foto: © Anthony McAulay/
tare gradualmente percorrendo una traiettoria curva. Shutterstock.com).

07txt.indd 207 15/05/19 15:16


208 Capitolo 7

Figura 7.4 Differenti com-


portamenti di onde e particel-
le. A. Un’onda che si propaga
dall’aria all’acqua si rifrange
(varia la propria direzione di
propagazione). B. Per contro, una
particella di materia (quale un
sasso) che entra in uno stagno
segue una traiettoria curva per-
ché la maggiore resistenza del
mezzo in cui si muove (l’acqua)
ne rallenta gradualmente il moto.
C. Un’onda piana si diffrange
attraverso una piccola apertura,
dando origine a un’onda circo-
lare oltre l’apertura. (Le linee
rappresentano le creste delle
onde in acqua viste dall’alto).
D. Per contro, quando un fascio
di particelle in moto incontra
una piccola apertura, come
quando una manciata di sabbia
è lanciata contro un foro in una
tavola verticale, alcune particelle
attraversano il foro e proseguono Quando un’onda incide sul bordo di un oggetto, devia attorno a esso (lo “aggira”),
lungo le loro traiettorie iniziali. un fenomeno noto come diffrazione. Se un’onda piana in acqua attraversa una
fenditura la cui larghezza è circa uguale alla lunghezza d’onda dell’onda stessa,
essa devia attorno ai bordi della fenditura e forma un’onda circolare dall’altra parte
della fenditura, come è illustrato nella Figura 7.4C. Ancora una volta, le particelle
si comportano in modo molto diverso. La Figura 7.4D mostra che, se un fascio
di particelle è diretto verso una piccola apertura, alcune particelle colpiscono il
bordo dell’apertura, mentre altre, meno numerose, l’attraversano e proseguono in
linea retta dall’altra parte dell’apertura.
Se onde luminose piane attraversano due fenditure adiacenti, le onde sferiche
(rappresentate come onde circolari) emergenti dalle fenditure interagiscono me­
diante il processo di interferenza per generare una figura di diffrazione di regioni
più chiare (più luminose) e più oscure (più buie) (Figura 7.5). Per contro, fasci
di particelle che attraversano aperture adiacenti proseguono in linea retta; forse
alcune di esse urtano contro i bordi delle aperture e proseguono in differenti
direzioni. Alla fine del XIX secolo, tutte le osservazioni sperimentali sembravano

Figura 7.5 La figura di


diffrazione generata dalla luce
che attraversa due fenditure
adiacenti. A. Dopo che le onde
luminose piane hanno attraver-
sato due fenditure ravvicinate,
le onde sferiche emergenti
interferiscono l’una con l’altra,
generando su una pellicola
fotografica su cui incidono una
figura di diffrazione (interferen-
za). Compaiono regioni chiare
(luminose) dove le creste delle
onde si sovrappongono l’una
all’altra rafforzandosi reciproca-
mente (onde in accordo di fase)
e regioni oscure (buie) dove le
creste si sovrappongono alle val-
li e si elidono con queste (onde
in opposizione di fase). B. La
figura di interferenza formata
sulla pellicola.

07txt.indd 208 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 209

Figura 7.6 Radiazione del


corpo nero. Esempi familiari
della varia­zione di intensità e
lunghezza d’onda della radia­
zione emessa da corpi riscaldati.
(Foto: (A) © Ravi/Shutterstock.
com; (B) © McGraw-Hill Educa-
A B tion/Charles Winters/Timeframe
Photography, Inc.).

confermare queste distinzioni classiche tra la natura ondulatoria dell’energia e la


natura particellare (o corpuscolare) della materia.

Natura particellare della luce


Tre fenomeni riguardanti la materia e la luce erano particolarmente sconcertanti
per i fisici dell’inizio del XX secolo: (1) la radiazione del corpo nero, (2) l’effetto fo­
toelettrico; (3) gli spettri atomici. Per spiegarli si doveva ricorrere a una concezione
radicalmente nuova dell’energia.
Radiazione del corpo nero e quantizzazione dell’energia Quando un corpo
solido viene riscaldato a una temperatura di circa 1000 K, esso comincia a emettere
luce (radiazione visibile), come si può vedere nel bagliore di colore rosso smorto
del carbone che brucia senza fiamma (Figura 7.6, a sinistra). A una temperatura di
circa 1500 K, la luce è più intensa e più arancio, come quella emessa dalla spirale
scaldante di un fornello elettrico (Figura 7.6, a destra). A temperature superiori a
2000 K, la luce è ancora più intensa e più bianca, come quella emessa dal filamento
incandescente di una lampada elettrica. Queste variazioni di intensità e di lunghez­
za d’onda della luce emessa da un corpo riscaldato sono caratteristiche della radia-
zione del corpo nero, la luce emessa da un corpo nero a temperatura elevata. [È detto
corpo nero un corpo ideale che assorbe completamente tutte le radiazioni incidenti
su di esso (assorbitore perfetto); un corpo nero perfetto è anche un radiatore termico
perfetto]. Tutti i tentativi di spiegare le variazioni osservate applicando la teoria
elettromagnetica classica non ebbero successo.
Nel 1900, il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) ideò una formula che si
adattava perfettamente ai dati; però, per trovare una spiegazione fisica della sua
formula, Planck fu costretto a proporre un’ipotesi radicale, che finì per condurre a
una concezione completamente nuova dell’energia. Planck ipotizzò che un corpo a
temperatura elevata sia in grado di emettere (o di assorbire) soltanto certe quantità
di energia:
E = nhν
dove E è l’energia della radiazione emessa, ν è la sua frequenza, n è un numero in­
tero positivo (1, 2, 3 ecc. ) detto numero quantico, e h è una costante di propor­
zionalità detta oggi costante di Planck. Nel SI, in cui l’energia è misurata in joule
(J) e la frequenza in hertz (1 Hz = 1 s−1), h è espressa in joule per secondo (J ⋅ s):
=h 6,626 ×10−34 J ⋅ s
Successive interpretazioni dell’ipotesi di Planck stabilirono che la radiazione emes­
sa da un corpo a temperatura elevata è emessa dagli atomi da cui è costituito. Se
un atomo può emettere soltanto certe quantità di energia, ne consegue che l’atomo
stesso può avere soltanto certe quantità di energia. Perciò, l’energia di un atomo è quan-
tizzata: esiste soltanto in certe quantità fisse, invece di essere continua. Ogni varia­
zione dell’energia dell’atomo è determinata dall’acquisto o dalla cessione di uno o
più “pacchetti” di energia. Ogni “pacchetto” di energia è detto quanto (“quantità
fissa”) e la sua energia è data da hν. In altri termini, un atomo varia il suo stato ener-
getico emettendo (o assorbendo) uno o più quanti di energia. Perciò, l’energia della ra­
diazione emessa (o assorbita) è uguale alla differenza tra gli stati energetici dell’atomo:
=ΔE atomo E=
radiazione emessa (o assorbita) Δnhν

07txt.indd 209 15/05/19 15:16


210 Capitolo 7

Figura 7.7 L’effetto fotoelet- Luce incidente Tubo evacuato


trico. Quando un fascio di luce
monocromatica di frequenza ab- hν
bastanza alta illumina una lami-
na metallica, da questa vengono
emessi elettroni che raggiungono
l’elettrodo positivo e poi fluiscono
Elettrone emesso e−
nel circuito esterno: il movimento dalla lamina metallica
degli elettroni emessi per ef- Lamina metallica
fetto fotoelettrico (fotoelettroni) fotosensibile
costitui­sce una corrente elettrica
(corrente fotoelettrica).

Elettrodo positivo


+
Amperometro

Batteria

Poiché n è un numero intero positivo, l’atomo può variare la propria energia soltanto
di multipli di hν secondo numeri interi. Perciò, la minima variazione di energia di un
atomo in un dato stato energetico avviene quando l’atomo passa in uno stato energe­
tico adiacente, cioè quando Δn = 1:
ΔE = hν
(7.2)

Effetto fotoelettrico e teoria fotonica della luce Nonostante l’ipotesi che


l’energia fosse quantizzata, Planck e altri fisici continuarono a immaginare che
­l’energia emessa si propagasse sotto forma di onde. Ma il modello ondulatorio non
era in grado di spiegare l’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni (fotoe-
lettroni) dalla superficie di un metallo illuminata da luce monocromatica di energia
sufficiente, con la conseguente generazione di una corrente elettrica (corrente foto-
elettrica) (Figura 7.7). L’esistenza dell’effetto fotoelettrico non era sconcertante: si
poteva spiegarlo ipotizzando che si originasse quando la luce trasferiva energia agli
elettroni nella superficie metallica, elettroni che diventavano liberi ed erano raccolti
dall’elettrodo positivo, generando la corrente fotoelettrica. Ma l’effetto fotoelettrico
aveva alcune caratteristiche che destavano perplessità, in particolare la presenza di
una frequenza di soglia (o soglia fotoelettrica) e l’assenza di un ritardo temporale.
1. Presenza di una frequenza di soglia. La luce che illumina il metallo deve avere
una frequenza minima, altrimenti non fluisce alcuna corrente. (Metalli diversi
hanno frequenze minime diverse.) Ma la teoria ondulatoria associa l’energia
della luce all’ampiezza (intensità) dell’onda, non alla sua frequenza (colore).
Perciò, la teoria ondulatoria prevede che venga emesso un elettrone quando
esso abbia assorbito energia sufficiente dalla luce di qualsiasi colore.
2. Assenza di ritardo temporale. Si ha flusso di corrente dall’istante in cui questa
luce di frequenza minima illumina la superficie metallica, indipendentemente
dalla sua intensità. Ma la teoria ondulatoria prevede che, quando la superficie
metallica è illuminata da luce di bassa intensità, debba trascorrere un certo
intervallo di tempo prima che fluisca una corrente, perché gli elettroni dovreb­
bero assorbire energia sufficiente per essere emessi.
Sviluppando ulteriormente l’ipotesi di Planck dell’energia quantizzata, Albert Ein­
stein ipotizzò che la luce stessa sia di natura particellare, ossia esista in quanti
di energia elettromagnetica, detti in seguito fotoni. Con riferimento all’opera di
Planck, possiamo dire che ogni atomo varia la propria energia quando assorbe o

07txt.indd 210 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 211

emette un fotone, una “particella” di luce, la cui energia è determinata dalla sua
frequenza:
• Fotoni come palline da
ping-pong Consideriamo questa
E fotone = hν = ΔE atomo analogia del fatto che la luce di
energia insufficiente non è capace
Vediamo come la teoria fotonica di Einstein spiega l’effetto fotoelettrico. di determinare l’emissione di un
elettrone dalla superficie metal­
1. Presenza di una frequenza di soglia. Secondo la teoria fotonica, un fascio di luce lica. Se una singola pallina da ping-
è costituito da un numero enorme di fotoni. L’intensità (brillantezza) della luce pong non ha energia sufficiente per
è in relazione con il numero di fotoni che incidono sulla superficie metallica spostare un libro da uno scaffale,
nell’unità di tempo, ma non con la loro energia. Perciò, affinché sia emesso un non l’ha neppure una serie di pal­
line, perché il libro non è capace di
elettrone, deve essere assorbito un fotone di una certa energia minima. Poiché immagazzinare l’energia comunicata
l’energia dipende dalla frequenza (E = hν), la teoria prevede una frequenza di a esso dai singoli urti. Però, una palla
soglia (soglia fotoelettrica). da baseball che si muova alla stessa
2. Assenza di un ritardo temporale. Un elettrone non è capace di “immagazzinare” velocità di una pallina da ping-pong
ha energia sufficiente per spostare il
l’energia ricevuta da parecchi fotoni di energia inferiore a quella minima finché libro. Mentre l’energia di una palla
non ne ha accumulato una quantità sufficiente per essere emesso. Invece, un elet­ dipende dalla sua massa e dalla
trone viene emesso nell’istante in cui assorbe un fotone di energia sufficiente. La sua velocità, l’e­ner­gia di un fotone
corrente fotoelettrica è più debole in luce meno intensa che in luce più intensa dipende dalla sua frequenza.
perché nella prima è presente un minor numero di fotoni di energia sufficiente e,
quindi, viene emesso nell’unità di tempo un minor numero di elettroni. Ma una
certa corrente fluisce nell’istante in cui i fotoni raggiungono la lamina metallica.

Calcolo dell’energia della radiazione in base alla sua lunghezza d’onda


PROBLEMA DI VERIFICA 7.2
Problema Un cuoco si serve di un forno a microonde per riscaldare un cibo. La lunghezza
d’onda della radiazione è 1,20 cm. Quanto vale l’energia di un fotone di questa radiazione a
microonde?
Piano Conosciamo la lunghezza d’onda λ in centimetri (1,20 cm) e quindi convertiamo i
centimetri in metri, troviamo la frequenza con l’Equazione 7.1 e poi troviamo l’energia di
un fotone con l’Equazione 7.2.
Risoluzione Combinando i passaggi per trovare l’energia:
hc (6,626 ×10 J ⋅ s)(3,00 ×108 m/s)
−34
E = hν = = = 1,66  ×  10−23 J
λ ⎛10−2 m ⎞⎟
(1,20 cm)⎜ ⎜ ⎟
⎜⎝ 1 cm ⎟⎠
(10−33 J ⋅ s)(108 m/s)
Verifica La verifica dell’ordine di grandezza dà = 10−23 J.
10−2 m
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.2 Si calcolino l’energia di un foto­
ne della radiazione ultravioletta (λ = 1  ×  10−8 m), di un fotone della radiazione visibile (λ =
5  ×  10−7 m) e di un fotone della radiazione infrarossa (λ = 1  ×  10−4 m). Che cosa indicano le rispo­
ste riguardo alla relazione tra lunghezza d’onda ed energia della radiazione elettromagnetica?

La teoria quantistica di Planck e la teoria fotonica di Einstein assegnavano all’energia


proprietà che fino ad allora erano state riservate alla materia: quantità fissa e particelle
discrete. Da allora, queste proprietà si sono dimostrate essenziali per spiegare le inte­
razioni tra materia ed energia a livello atomico. Ma come si può adattare un modello
particellare dell’energia ai fatti sperimentali della diffrazione e della rifrazione, fenome­
ni spiegati soltanto in termini di onde? Come vedremo tra poco, il modello fotonico
non sostituisce il modello ondulatorio. Invece, si deve accettarli entrambi per compren­
dere la realtà. Però, prima di esaminare questo concetto stupefacente, vediamo come
la nuova ipotesi dell’energia quantizzata condusse a una comprensione fondamentale
del comportamento atomico.

7.2 SPETTRI ATOMICI


La terza osservazione essenziale concernente la materia e l’energia che i fisici del XIX
secolo non erano in grado di spiegare riguardava la luce che un elemento emette
quando è vaporizzato e poi eccitato termicamente o elettricamente, come si può

07txt.indd 211 15/05/19 15:16


212 Capitolo 7

Figura 7.8 Gli spettri a righe 434,1 nm


di alcuni elementi. A. Un cam- 410,1 nm 486,1 nm 656,3 nm
pione di H2 gassoso è dissociato H
negli atomi componenti ed
eccitato da una scarica elettrica. 400 450 500 550 600 650 700 750 nm
La luce emessa attraversa una
fenditura e un prisma, che
disperde la luce nelle lunghezze
d’onda componenti. È mostrato Film
lo spettro a righe (spettro dis- Tubo Fenditura Prisma
continuo) dell’idrogeno atomico a scarica
(in alto). B. Lo spettro continuo in gas
contenente
della luce bianca è confron-
idrogeno
tato con gli spettri a righe del
mercurio, dello stronzio e del
neon. È importante il fatto che
ogni spettro a righe sia diverso A
dagli altri.
Spettro
visibile
λ (nm)
400 450 500 550 600 650 700 750 nm

Hg

400 450 500 550 600 650 700 750 nm

Sr

400 450 500 550 600 650 700 750 nm

Ne

B 400 450 500 550 600 650 700 750 nm

vedere in un’insegna al neon. La Figura 7.8A illustra il risultato che si ottiene quando
la luce emessa dagli atomi di idrogeno eccitati attraversa una fenditura sottile e poi
viene rifratta da un prisma. È importante notare che questa luce non genera uno
spettro continuo, o arcobaleno, come fa invece la luce solare. Al contrario, genera uno
spettro a righe (o spettro discontinuo o spettro discreto), una serie di righe sottili corri­
spondenti ai singoli colori, separate da spazi incolori (oscuri).* Le lunghezze d’onda di
queste righe spettrali sono caratteristiche dell’elemento che le genera (Figura 7.8B).
Gli spettroscopisti che studiavano lo spettro dell’idrogeno atomico avevano
identificato alcune serie di queste righe in differenti regioni dello spettro elettro­
magnetico. La Figura 7.9 presenta tre di queste serie di righe. È stato constatato che
equazioni della forma generale seguente, detta equazione di Rydberg, prevedono la
posizione e la lunghezza d’onda di ogni riga in una data serie:

1 ⎛1 1 ⎞⎟
= R ⎜⎜⎜ 2 − 2 ⎟⎟⎟ (7.3)
λ ⎜⎝ n1 n2 ⎟⎠

dove λ è la lunghezza d’onda di una riga spettrale, n1 e n2 sono numeri interi posi­
tivi con n2 > n1 e R è la costante di Rydberg (1,096776  ×  107 m−1).
Figura 7.9 Tre serie di righe
spettrali dell’idrogeno ato­
mico. Queste serie compaiono
in differenti regioni dello spettro
elettro­magne­tico. Lo spettro
del­l’idrogeno mo­strato nella
Figura 7.8A è la serie spettrale
visibile.
*
L’aspetto dello spettro come serie di righe è dovuto alla struttura dell’apparecchio usato per generarlo.
Se la luce attraversasse un forellino, anziché una fenditura sottile, lo spettro si presenterebbe come un
campo circolare di punti anziché come una serie orizzontale di righe. Il punto essenziale è che lo spettro
è discreto, invece che continuo.

07txt.indd 212 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 213

Nel caso della serie di righe visibile, n1 = 2:


1 ⎛1 1⎞
= R ⎜⎜ 2 − 2 ⎟⎟⎟ , =
dove n2 3, 4, 5, …
λ ⎜
⎝2 n2 ⎟⎠
L’equazione di Rydberg e il valore della costante si basano su dati sperimentali
anziché sulla teoria. Nessuno sapeva perché le righe spettrali dell’idrogeno si pre­
sentassero secondo questo schema. (L’Esercizio 7.20 è uno dei molti che applicano
l’equazione di Rydberg).
L’osservazione degli spettri a righe non era correlata con la teoria classica per
un motivo essenziale. Come abbiamo detto nell’introduzione a questo capitolo,
­l’elettrone, nel cadere sul nucleo seguendo una traiettoria a spirale, dovrebbe emette­
re radiazione. Inoltre, la frequenza della radiazione emessa è in relazione con il tempo
di rivoluzione attorno al nucleo. Sulla traiettoria a spirale verso l’interno, il tempo di
percorrenza dovrebbe diminuire in modo regolare e quindi la frequenza della radia­
zione dovrebbe variare in modo regolare e generare uno spettro continuo. Il modello
nucleare di Rutherford sembrava in completo contrasto con questi spettri atomici.

Il modello di Bohr dell’atomo di idrogeno


Subito dopo che fu proposto il modello nucleare dell’atomo, Niels Bohr (1885-
1962), un giovane fisico danese che lavorava nel laboratorio di Rutherford, propose
un modello dell’atomo di idrogeno che prevedeva l’esistenza di spettri a righe. Nel
suo modello, Bohr u­sò le ipotesi di Planck e di Einstein sulla quantizzazione dell’e­
nergia e propose tre postulati.
1. L’atomo di idrogeno ha soltanto certi livelli energetici permessi, che Bohr chiamò
stati stazionari. Ciascuno di questi stati è associato a un’orbita circolare fissa
dell’elettrone attorno al nucleo.
2. L’atomo non irraggia energia mentre è in uno dei suoi stati stazionari. Cioè, anche
se viola i concetti della fisica classica, l’atomo non varia la sua energia mentre
l’elettrone si muove in un’orbita.
3. L’atomo compie una transizione in un altro stato stazionario (l’elettrone si trasfe­
risce in un’altra orbita) soltanto assorbendo o emettendo un fotone la cui energia è
uguale alla differenza di energia tra i due stati:
E fotone = E stato A − E stato B = hν
dove l’energia dello stato A è superiore a quella dello stato B. Si genera una
riga spettrale quando viene emesso un fotone di energia specifica (e quindi di
frequenza specifica) mentre l’elettrone compie una transizione da uno stato
energetico superiore a uno inferiore.
Perciò, il modello di Bohr spiega che uno spettro atomico non è continuo perché
l’energia dell’atomo ha soltanto certi livelli, o stati, discreti.
Nel modello di Bohr, il numero quantico n (= 1, 2, 3, ...) è associato al raggio di
un’orbita dell’elettrone, che è in diretta relazione con l’energia dell’elettrone: più basso
è il valore di n, minore è il raggio dell’orbita e più basso è il livello energetico. Quando l’elet­
trone è nella prima orbita (n = 1), l’orbita più vicina al nucleo, l’atomo di idrogeno è nel
suo livello energetico più basso (nel suo primo livello energetico), detto stato fonda-
mentale. Se l’atomo di idrogeno assorbe un fotone la cui energia è uguale alla differen-
za tra il primo e il secondo livello energetico, l’elettrone compie una transizione nella
seconda orbita (n = 2), l’orbita successiva alla prima a partire dal nucleo. Quando l’elet­
trone è nella seconda orbita o in qualsiasi altra orbita superiore, l’atomo è in uno stato
eccitato. Se l­’atomo di idrogeno nel primo stato eccitato (con l’elettrone nella seconda
orbita) emette un fotone della stessa energia, ritorna nello stato fondamentale. La Figu­­-
ra 7.10 presenta un’analogia di questo comportamento.
La Figura 7.11A mostra come il modello di Bohr spiega i tre spettri a righe
dell’idrogeno. Quando un campione di atomi di idrogeno gassoso è eccitato, atomi
differenti assorbono quantità differenti di energia. Ciascun atomo ha un solo elet­
trone, ma sono presenti così tanti atomi che tutti i livelli energetici (tutte le orbite)

07txt.indd 213 15/05/19 15:16


214 Capitolo 7

Figura 7.10 La “scalinata


quanti­ca”. In questa analogia
per i livelli e­nergetici dell’atomo
di idrogeno, un elettrone può
assorbire un foto­ne e salire su
un “gradino” (stato sta­zionario)
più alto o emettere un fotone
e scendere su un “gradino”
(stato stazionario) più basso. Ma
­l’e­lettrone non può situarsi in
una posizione intermedia tra i
due gradini.

Figura 7.11 La spiegazione di Bohr delle tre serie di righe spettrali. A. Secondo il modello di Bohr, quando un elettrone cade
da un’orbita esterna (più lontana dal nucleo) in un’orbita interna (più vicina al nucleo), esso emette un fotone di specifica ener-
gia. È importante notare che ciascuna delle tre serie è caratterizzata da una particolare orbita interna (un particolare valore di n1
nell’equazione di Rydberg). Il raggio dell’orbita è direttamente proporzionale a n2. Sono mostrate soltanto le prime sei orbite. B. Un
diagramma energetico mostra come si origina la serie ultravioletta. Quando un elettrone cade da una particolare orbita esterna in
una particolare orbita interna, la differenza di energia (rappresentata con una freccia orientata verso il basso) si manifesta come un
fotone di particolare lunghezza d’onda e dà origine a una delle righe spettrali nella serie. Entro ciascuna serie, maggiore è la dif-
ferenza tra i raggi delle orbite, maggiore è la differenza tra i livelli energetici, e maggiore è l’energia del fotone emesso. Per esem-
pio, nella serie ultravioletta, in cui n1 = 1, quando un elettrone cade da n = 5 a n = 1, esso emette un fotone con energia maggiore
(λ minore, ν maggiore) di quella del fotone che l’elettrone emette quando cade da n = 2 a n = 1. [Sull’asse verticale sono indicati
valori negativi perché n = ∞ (l’elettrone completamente separato dal nucleo) è, per definizione, l’atomo con energia zero].

07txt.indd 214 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 215

sono popolati di elettroni. Quando l’elettrone cade dalle orbite esterne nell’orbita
con n = 3 (il secondo stato eccitato), i fotoni emessi generano la serie di righe in­
frarossa. La serie visibile si origina quando gli elettroni cadono nell’orbita con n = 2
(il primo stato eccitato). La Figura 7.11B mostra che la serie ultravioletta si origina
quando gli elettroni cadono nell’orbita con n = 1 (lo stato fondamentale).
SPETTRI DI EMISSIONE
Limitazioni del modello di Bohr
Nonostante il grande successo nello spiegare le righe spettrali dell’atomo di idroge­
no, il modello di Bohr non era in grado di prevedere lo spettro di nessun altro ato­
mo, neppure quello dell’elio, l’elemento più semplice successivo. Il modello di Bohr
è essenzialmente un modello a un solo elettrone. Funziona magnificamente per
l’atomo di idrogeno e per altre specie monoelettroniche, come le numerose specie
create in laboratorio od osservate negli spettri stellari: He+ (Z = 2), Li2+ (Z = 3), Be3+
(Z = 4), B4+ (Z = 5), C5+ (Z = 6), N6+ (Z = 7) e O7+ (Z = 8). Però, non funziona nel
caso degli atomi polielettronici perché in questi sistemi sono presenti addizionali
attrazioni tra nucleo ed elettroni e repulsioni interelettroniche (elettrone-elettrone).
Però, esiste un motivo più fondamentale per le limitazioni del modello: gli elettro­
ni non si muovono in orbite fisse. Come vedremo, il movimento degli elettroni è
definito molto meno chiaramente. Come modello dell’atomo, quello di Bohr non è
corretto, ma continueremo a usare i termini “stato fondamentale” e “stato eccitato” e
conserveremo nel modello attuale una delle sue ipotesi centrali: l’energia di un atomo
si presenta in livelli discreti.

Gli stati energetici dell’atomo di idrogeno


Un utilissimo risultato dell’opera di Bohr è un’equazione per calcolare i livelli ener­
getici di un atomo, che egli dedusse dai principi classici dell’attrazione elettrosta­
tica e del moto circolare:
⎛Z2 ⎞
E = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 ⎟⎟⎟
⎜⎝ n ⎟⎠
dove Z è la carica del nucleo. Nel caso dell’atomo di idrogeno, Z = 1 e quindi
⎛ 12 ⎞ ⎛1⎞
E = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 ⎟⎟⎟ = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 ⎟⎟⎟ E=0
⎜⎝ n ⎟⎠ ⎝n ⎠
Perciò, l’energia dello stato fondamentale (n = 1) è
⎛1⎞
E = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 ⎟⎟⎟ = −2,18 ×10−18 J
⎝1 ⎠
Il segno negativo dei valori dell’energia non deve destare confusione (vedi l’asse ver­
E

ticale nella Figura 7.11B). Il segno negativo compare perché definiamo il livello zero
dell’energia dell’atomo quello in cui l’elettrone è completamente separato dal nucleo.
Perciò, E = 0 quando n = ∞ e, quindi, E < 0 per ogni n minore (Figura 7.12). E = −x
Poiché n compare nel denominatore dell’equazione dell’energia, quando l’elettro­
ne si avvicina al nucleo (n diminuisce), l’atomo diventa più stabile (meno energetico) Figura 7.12 L’analogia del
e la sua energia diventa un numero negativo maggiore in valore assoluto (ossia, più ne- piano di un tavolo per l’ener-
gativo). Quando l’elettrone si allontana dal nucleo (n aumenta), l’energia dell’atomo gia dell’atomo di idrogeno. Se
si assegna, per definizione, ener-
aumenta [diventa un numero negativo minore in valore assoluto (ossia, meno negativo)].
gia potenziale zero al sistema
Questa equazione può essere facilmente adattata per trovare la differenza di quando il libro è appoggiato
energia tra due livelli qualsiasi: sul tavolo, il si­stema ha energia
negativa quando il libro giace
⎛ 1 1 ⎞⎟
E = E finale − Einiziale = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 − 2 ⎟ (7.4) sul pavimento. Analogamente,
⎜⎝ nfinale niniziale ⎟⎟⎠ l’atomo di idrogeno, per
definizione, ha energia zero
Questa equazione ci permette di prevedere le lunghezze d’onda delle righe spet­ quando l’elettrone è completa-
mente separato dal nucleo, e
trali dell’atomo di idrogeno. (In realtà, Bohr ottenne un valore della costante di quindi la sua energia è negativa
Rydberg che differiva soltanto dello 0,05% da quello determinato dagli spettroscopisti!) quando l’elettrone è attratto dal
Si noti che, risolvendo il sistema formato dall’Equazione 7.4 e dall’Equazione 7.2, nucleo.

07txt.indd 215 15/05/19 15:16


Strumenti di laboratorio
Spettrofotometria nell’analisi chimica

Per l’analisi chimica moderna è essenziale l’impiego di dati


spettrali per identificare e quantificare le sostanze. I termini
spettroscopia, spettrometria e spettrofotometria designano
un grande gruppo di tecniche strumentali per ottenere spet­
tri corrispondenti ai livelli energetici atomici e molecolari
di una sostanza.
I due tipi di spettri che si ottengono più frequente­
mente sono gli spettri di emissione e gli spettri di assor­
bimento. Uno spettro di emissione, quale lo spettro a
righe dell’atomo di idrogeno, viene generato quando gli
atomi in uno stato eccitato emettono fotoni caratteristi­
ci dell’elemento nel ritornare in stati energetici inferio­
ri. Alcuni elementi producono una riga spettrale, o più
righe spettrali ravvicinate, molto intense, che servono
da “marcatore” della loro presenza. Su una riga spettrale
Figura S7.1 Saggi alla fiamma. In generale, il colore della
così intensa si basano i saggi alla fiamma, procedimenti
fiamma è generato da una forte emissione nello spettro a
qualitativi rapidi eseguiti introducendo in una fiamma un righe dell’elemento e quindi è assunto spesso come una prova
gra­nulo di un composto ionico o una goccia di una sua prelimi­nare della presenza dell’elemento nel campione. Qui sono
soluzione (Figura S7.1). Alcuni dei colori dei fuochi d’arti­ mostrati il rosso dello stronzio e il blu-verde del rame. (Foto: ©
ficio e dei razzi usati come segnali luminosi sono dovuti a McGraw-Hill Education, Stephen Frisch, photographer).
emissioni dagli stessi elementi mostrati nei saggi alla fiam­
ma: rosso dai sali di stronzio e blu-verde dai sali di rame.
I colori caratteristici delle lampade elettriche a vapore di Gli strumenti basati sugli spettri di assorbimento sono
sodio e a vapore di mercurio usate nell’illuminazione stra­ molto più comuni di quelli basati sugli spettri di emis­
dale sono dovuti a una riga o ad alcune righe intense nei sione, per vari motivi. Quando un solido, un liquido o un
loro spettri di emissione. gas denso viene eccitato emette un numero così grande di
Viene prodotto uno spettro di assorbimento quan­ righe che lo spettro è continuo (si ricordi il continuo di
do gli atomi assorbono fotoni di certe lunghezze d’onda e si colori nella luce solare). Inoltre, la generazione di spettri
eccitano trasferendosi da uno stato energetico inferiore in di assorbimento è meno distruttiva per le fragili molecole
uno superio­re. Perciò, lo spettro di assorbimento di un ele­ organiche e biologiche.
mento si presenta come un insieme di righe oscure (buie) Nonostante differenze che dipendono dalla regione
contro uno sfondo chiaro (luminoso). Per esempio, quando dello spettro elettromagnetico usata per irradiare il cam­
la luce bianca attraversa il vapore di sodio, dà origine a uno pione, tutti gli spettrometri moderni hanno componenti
spettro di assorbimento del sodio, e le righe oscure compa­ che eseguono le stesse funzioni fondamentali (Figura S7.3).
iono in corrispondenza delle stesse lunghezza d’onda a cui [Esamineremo in capitoli successivi la spettroscopia infra­
compaiono le righe giallo-arancio nello spettro di emissione rossa e la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (o
del sodio (Figu­­ra S7.2). spettroscopia NMR)].

Figura S7.2 Spettro di emissione e spettro di assorbimento degli atomi di sodio. Le lunghezze d’onda delle righe di emissione
chiare (luminose) corrispondono a quelle delle righe di assorbimento oscure (buie) perché le une e le altre sono generate dalla stessa
variazione di energia: ΔEemissione = −ΔEassorbimento. (Qui sono mostrate soltanto le due righe più intense negli spettri atomici del sodio).

07txt.indd 216 15/05/19 15:16


Il campione Un rivelatore
Una sorgente in un compartimento converte la
emette radiazioni Un monocromatore assorbe una Un computer
Lenti, fenditure radiazione
nella regione (selettore di lunghezze d’onda) quantità caratteristica converte il
e collimatori trasmessa
di interesse. disperde la radiazione di ciascuna segnale in
restringono in segnale
Essa deve incidente in un continuo lunghezza dati presentati
e dirigono elettrico
essere stabile di lunghezze d’onda d’onda incidente. su un monitor.
il fascio. amplificato.
e riproducibile. componenti che vengono
Nella maggior esplorate o selezionate
parte dei casi, singolarmente.
la sorgente emette
molte lunghezze
d'onda.

Figura S7.3 I principali componenti di un tipico spettrometro.

È usata spesso la luce visibile per studiare le sostanze co­ i liquidi puri, assorbono un numero molto maggiore di lun­
lorate, che assorbono dalla luce bianca soltanto alcune delle ghezze d’onda essendo maggiori i numeri e i tipi di li­velli
lunghezze d’onda. Per esempio, una foglia appare ver­de per­ energetici in una molecola, tra molecole, e tra molecole e
ché la sua clorofilla assorbe fortemente le lunghezze d’onda solvente.
rosse e blu e debolmente quelle verdi, e quindi viene riflessa Oltre che per identificare una sostanza, uno spettrome­
la maggior parte della luce verde. Lo spettro di assorbimento tro può essere impiegato per misurarne la concentrazione
della clorofilla a sciolta in etere è presentato nella Figura S7.4. perché l’assorbanza, la quantità di luce di una data lunghezza
L’andamento complessivo della curva e le lunghezze d’onda assorbita da una sostanza, è direttamente proporzionale
d’onda dei massimi (picchi) principali sono caratteristici al numero di molecole. Supponiamo di volere determinare la
della clorofilla a, quindi il suo spettro serve come mezzo concentrazione della clorofilla in una soluzione in etere di
per identificarla da una fonte sconosciuta. La curva varia e­stratto di foglie. A questo scopo, scegliamo dallo spettro
in altezza perché la clorofilla a assorbe a differenti gradi della clorofilla una lunghezza d’onda che sia assorbita for­
le lunghezze d’onda incidenti. Gli assorbimenti si presen­ temente (come la lunghezza d’onda di 663 nm nella Figura
tano come bande larghe, anziché come le righe distinte S7.4), mi­suriamo l’assorbanza della soluzione di estratto di
che abbiamo visto precedentemente nel caso dei singoli foglie, e la confrontiamo con l’assorbanza di una serie di
atomi gassosi, perché le sostanze disciolte, nonché i solidi e soluzioni in etere con concentrazioni note di clorofilla.
assorbanza

assorbanza a 663 nm

663 nm
assorbanza
della specie incognita

concentrazione della specie


incognita
400 500 600 700
lunghezza d’onda (nm) concentrazione di clorofilla a
A B

Figura S7.4 Lo spettro di assorbimento della clorofilla a. A. La clorofilla a è uno dei numerosi pigmenti delle foglie. Assorbe
fortemente le lunghezze d’onda rosse e blu, ma molto debolmente quelle verdi o gialle. Perciò, le foglie contenenti grandi quantità
di clorofilla a appaiono di colore verde. Il forte assorbimento a 663 nm può essere usato per quantificare la quantità di clorofilla a
presente in un e­stratto di foglie. B. L'assorbanza dell'estratto di foglie viene confrontata con quella di una serie di standard noti.

07txt.indd 217 15/05/19 15:16


218 Capitolo 7

l’espressione di Planck per la variazione dell’energia di un atomo, otteniamo la


­costante di Rydberg (Equazione 7.3):
hc ⎛ 1 1 ⎞⎟
• Di cosa
stelle.
sono fatte le
Nel 1868, l’astronomo fran­
ΔE = hν =
λ
= (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 − 2


⎝ nfinale niniziale ⎟⎟⎠
cese Pierre Janssen individuò una 1 2,18 ×10−18 J ⎛⎜ 1 1 ⎞⎟
Da cui, =− ⎜⎜ 2 − 2 ⎟
riga gialla brillante nello spettro di λ hc ⎝ nfinale niniziale ⎟⎟⎠
emissione solare. Dopo che egli e
altri scienziati non riuscirono a ripro­ ⎛ 1
2,18 ×10−18 J ⎜⎜ 1 ⎞⎟
durre quella riga con ogni elemento =− − 2 ⎟
noto sulla Terra, pensarono che essa (6,626 ×10 J ⋅ s)(3,00 ×10 m/s) ⎝ nfinale niniziale ⎟⎟⎠
−34 8 ⎜ 2

fosse dovuta a un elemento pecu­


liare del Sole e lo chiamarono elio ⎛ 1 1 ⎞
= (1,10 ×107 m−1 )⎜⎜ 2 − 2 ⎟⎟⎟
(dal greco hélios, “Sole”). Nel 1888, ⎜⎝ niniziale nfinale ⎟⎠
il chimico scoz­zese William Ramsay
esaminò lo spettro di un gas inerte dove nfinale = n2, niniziale = n1, e 1,10  ×  107 m−1 è la costante di Rydberg (1,096776  ×  107 m−1)
ottenuto riscaldando mi­ nerali ura­ con 3 cifre significative. Perciò, dalle relazioni classiche della carica e del moto, combi­
niferi, e identificò la stes­sa riga gialla
brillante. L’analisi del­la luce emessa nate con l’ipotesi che l’atomo di idrogeno possa avere soltanto certi valori dell’energia,
dalle stelle ha identificato molti otteniamo un’equazione che conduce direttamente a quella empirica!
degli elementi già conosciuti sulla Possiamo usare l’Equazione 7.4 per trovare la quantità di energia necessaria
Terra, ma l’elio è l’unico elemento per rimuovere completamente l’elettrone dall’atomo di idrogeno. In altre parole,
a essere stato scoperto prima in una
stella che sulla Terra. quanto vale ΔE per la seguente trasformazione?
H(g) H+(g) + e−
Sostituendo nfinale = ∞ e niniziale = 1, otteniamo
⎛ 1 1⎞
ΔE = E finale − Einiziale = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 − 2 ⎟⎟⎟
⎝∞ 1 ⎠
= −2,18 ×10−18 J (0 −=1) 2,18 ×10−18 J
ΔE è positiva perché viene assorbita energia per rimuovere l’elettrone dalle vici­
nanze del nucleo. Per 1 mol di atomi di H,
⎛ J ⎞⎟⎛ 23 atomi ⎞
⎛ ⎞⎟
Δ
=E ⎜⎜2,18 ×10−18 ⎟⎜6,022 ×10 ⎟⎟⎜⎜ 1 KJ= ⎟ 1,31×103 kJ/mol
⎝ atomo ⎟⎠⎜⎝ mol ⎟⎠⎜⎝103 J ⎟⎟⎠
Questa è l’energia di ionizzazione dell’atomo di idrogeno, la quantità di energia ne­
cessaria per formare 1 mol di ioni H+ gassosi a partire da 1 mol di atomi di H gassosi.
Ritorneremo su questo concetto nel capitolo seguente.
L’analisi spettroscopica dell’atomo di idrogeno condusse al modello di Bohr, il
primo passo verso il modello attuale dell’atomo. Grazie all’impiego da parte dei chimi­
ci del XIX secolo come mezzo per identificare elementi e composti, la spettroscopia
è diventata un importante strumento della chimica moderna (vedi scheda Strumenti
del laboratorio, pp. 216-217).

7.3 IL DUALISMO ONDA-PARTICELLA DI MATERIA


ED ENERGIA
Il 1905 fu un anno di intensa attività per Albert Einstein. Oltre a presentare la teoria
fotonica della luce e a spiegare l’effetto fotoelettrico, Einstein trovò il tempo per spie­
gare il moto browniano (Capitolo 13), che aiutò a costruire il modello molecolare della
materia, e per introdurre una nuova branca della fisica con la sua teoria della relatività.
Una delle molte rivelazioni sorprendenti fu che la materia e l’energia sono forme alter­
native della stessa entità. Questo concetto è insito nella sua famosa equazione E = mc2,
che mette in relazione la quantità di energia con la quantità di massa a essa equivalen­
te e viceversa. La teoria della relatività non dipende dalla teoria quantistica, ma le due
"NON RIUSCIRÀ MAI IN teorie, insieme, hanno completamente offuscato le nette divisioni che normalmente
NIENTE" percepiamo tra materia (concentrata e massiva) ed energia (diffusa e priva di massa).
I primi proponenti della teoria quantistica dimostrarono che l’energia è di natura
particellare. I fisici che svilupparono la teoria capovolsero questa proposizione e mo­
strarono che la materia è di natura ondulatoria. Questo concetto, per quanto strano
possa apparire, è la chiave per giungere al moderno modello atomico.

07txt.indd 218 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 219

Natura ondulatoria degli elettroni e natura particellare dei fotoni


Gli sforzi di Bohr furono un caso perfetto di adattamento della teoria ai dati spe­
rimentali: per spiegare lo spettro a righe osservato, Bohr ipotizzò che un atomo
avesse soltanto certi livelli energetici. Ma questa ipotesi non aveva basi nella
teoria fisica. Poi, all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso, il fisico francese Louis-
Victor de Broglie (1892-1987) propose nella tesi di dottorato una spiegazione
sorprendente dei livelli energetici fissi: se l’energia è di natura particellare, forse la
materia è di natura ondulatoria. De Broglie aveva pensato ad altri sistemi che pre­
sentano soltanto certi moti permessi, come le onde che si instaurano in una corda
di chitarra pizzicata. La Figura 7.13 mostra che, essendo fisse le estremità della
corda, sono possibili soltan­to certe frequenze (e lunghezze d’onda) di vibrazione.
Secondo il ragionamento di de Broglie, se gli elettroni si muovessero di moto ondu-
latorio e fossero limitati a orbite di raggi fissi, ciò spiegherebbe perché possono
avere soltanto certe frequenze ed energie.
Formando un sistema tra l’equazione dell’equivalenza tra massa ed energia
(E = mc2) e quella dell’energia di un fotone (E = hν = hc/λ), de Broglie dedusse
un’equazione per la lunghezza d’onda di qualsiasi “particella” di massa m – qualsiasi
massa assimilata a un punto materiale, sia essa un pianeta, una palla da baseball o
un elettrone – in moto a velocità u:
h
λ= (7.5)
mu
Secondo questa equazione per la lunghezza d’onda di de Broglie, la materia
si comporta come se si muovesse di moto ondulatorio. Si noti anche che la lunghezza
d’onda di un corpo è inversamente proporzionale alla sua massa, e quindi i corpi
massivi quali i pianeti o le palle da baseball hanno lunghezze d’onda che sono
di mol­ti ordini di grandezza più piccole del corpo stesso, come si può vedere
nella Tabella 7.1.

Figura 7.13 Moto ondulato-


rio in sistemi ristretti.
A. In un’analogia acustica delle
Calcolo della lunghezza d’onda di de Broglie di un elettrone onde associate all’elettrone, una
semilunghezza d’onda (λ/2) è il
PROBLEMA DI VERIFICA 7.3 “quanto” della vibrazione della
corda della chitarra. La lunghez­
Problema Si trovi la lunghezza d’onda di de Broglie di un elettrone con velocità di
za L della corda è fissa e quindi
1,00  ×  106 m/s (massa dell’elettrone = 9,11  ×  10−31 kg; h = 6,626  ×  10−34 kg ⋅ m2/s).
le uniche vibrazioni permesse si
Piano Conosciamo la velocità (1,00  ×  106 m/s) e la massa (9,11  ×  10−31 kg) dell’elettrone, instaurano quando L è uguale a
quindi sostituiamo questi valori noti nell’Equazione 7.5 per trovare λ. un multiplo di λ/2 secondo un
Risoluzione numero intero (n). B. Se un
h 6,626 ×10−34 kg ⋅ m 2 /s elettrone occupa un’orbita circo-
=λ = = 7,27  ×  10−10 m lare, sono permessi soltanto
mu (9,11×10−31 kg )(1,00 ×106 m/s)
numeri interi di lunghez­ze
Verifica L’ordine di grandezza e l’unità sembrano corrette: d’onda (qui sono mostrati n = 3
e n = 5). Un’onda con un numero
10−33 kg ⋅ m 2 /s
λ = 10−9 m frazionario di lunghezze d’onda
(10−30 kg)(106 m/s) (quale n = 3 31 ) è “proibita” per-
ché si estingue rapidamente
Commento Come vedremo nella trattazione seguente, gli elettroni in moto a velocità molto mediante la sovrapposizione di
alte, con lunghezza d’onda dell’ordine delle dimensioni atomiche, presentano notevoli proprietà. creste e valli.

07txt.indd 219 15/05/19 15:16


220 Capitolo 7

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.3 Quanto vale la velocità di un elet­


trone che ha una lunghezza d’onda di de Broglie di 1,00  ×  102 nm?

• Il microscopio elettronico
In un microscopio elettronico a tra­
Se le particelle si muovessero di moto ondulatorio, gli elettroni dovrebbero pre­
sentare diffrazione e interferenza (vedi Paragrafo 7.1). Poiché un elettrone in
smissione, un fascio di elettroni viene moto ad alta velocità ha una lunghezza d’onda di circa 10−10 m, gli spazi inte­
focalizzato da una lente ma­ gnetica
ratomici in un cristallo servono da perfette “fenditure adiacenti”. Nel 1927, i fi­
(lente obiettivo) e, attraversata una
sezione sottile del cam­ pione, rag­ sici statunitensi Clinton J. Davisson e Lester H. Germer diressero un fascio di
giunge una seconda lente magnetica. elettroni su un cristallo di nichel e ottennero una figura di diffrazione. La Figu­
L’immagine così formata viene poi ra 7.14 mostra la figura di diffrazione che si ottiene quando un fascio di raggi
ingrandita da una terza lente mag­
netica (lente di ingrandimento) in
X o di elettroni incide su un foglio d’alluminio. A quanto pare, gli elettroni –
modo da formare l’immagine finale. particelle dotate di massa e di carica elettrica – generano figure di diffrazione,
Le differenze tra un microscopio così come le generano le onde elettromagnetiche! Anche se gli elettroni non
elettronico e un microscopio ottico si muovono in orbite di raggio fisso, come pensava invece de Broglie, i livelli
sono che il primo impiega un fascio
di elettroni ad alta velocità invece
energetici dell’atomo sono in relazione con la natura ondulatoria dell’elettrone.
di un fascio di fotoni luminosi, e Se gli elettroni hanno proprietà tipiche dell’energia, i fotoni hanno proprietà
lenti costituite da elettromagneti tipiche della materia? L’equazione di de Broglie indica che possiamo calcolare la
invece di lenti di vetro ottico. Il quantità di moto (p), il prodotto della massa per la velocità, di un fotone di una data
microscopio elettronico a trasmis­
sione è capace di ingrandimenti fino
lunghezza d’onda. Sostituendo la velocità della luce (c) alla velocità u nell’Equazio­
a 200 000  × e di una risoluzione di ne 7.5 e risolvendo rispetto a p, otteniamo
0,5 nm. In un microscopio elettro­ h h h
nico a scansione, il fascio di elettroni =
λ = da cui =
p
esplora il campio­­ne, determinandovi mc p λ
l’emissione di elettroni che generano Si noti la proporzionalità inversa tra p e λ. Ciò significa che i fotoni di lunghezza
una corrente la cui intensità dipende
dalle irregolarità superficiali. La cor­ d’onda minore (energia più alta) hanno maggiore quantità di moto. Perciò, una
rente genera un’immagine simile diminuzione della quantità di moto di un fotone dovrebbe manifestarsi come un
alla superficie dell’oggetto. Il gran­de aumento della sua lunghezza d’onda. Nel 1923, il fisico statunitense Arthur H.
vantaggio della microscopia e­let­tro­ Compton diresse un fascio di fotoni dei raggi X (fotoni X) su un campione di grafite
ni­ca sta nel fatto che gli elettroni
ad alta velocità hanno lun­ ghezze e osservò che la lunghezza d’onda dei fotoni riflessi era maggiore di quella dei fo­
d’onda molto minori di quelle delle toni incidenti. Questo risultato significava che i fotoni trasferivano una parte della
radiazioni luminose e quindi permet­ loro quantità di moto agli elettroni negli atomi di carbonio della grafite, così come
tono risoluzioni dell’immagine molto le palle da biliardo collidenti trasferiscono quantità di moto l’una all’altra. In questo
maggiori.
esperimento, i fotoni si comportano come particelle dotate di quantità di moto!
Per gli scienziati di quel tempo, questi risultati erano sconvolgenti. Gli esperimen­
ti classici avevano mostrato che la materia è di natura particellare e che l’energia è di

A B

Figura 7.14 Confronto tra figure di diffrazione dei raggi X e degli elettroni. A. Figura
di diffrazione dei raggi X generata da un foglio di alluminio. B. Figura di diffrazione degli
elettroni generata da un foglio di alluminio. Il fatto che sia i raggi X, che sono radiazioni
elettroma­gnetiche, sia gli elettroni, che sono particelle, diano origine a figu­re di diffrazione
indica che essi si muovono di moto ondulatorio. (Foto: Copyright 2016 Education Development
Center, Inc. Riprodotta con permesso, tutti i diritti sono riservati).

07txt.indd 220 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 221

Figura 7.15 Sommario delle


prin­cipali osservazioni e teorie
che hanno condotto dalla teo-
ria classica alla teoria quan-
tistica. Come accade spesso
nella scien­za, un’osservazione
(un esperimen­to) stimola la
necesateoria), e/o un’intuizione
teorica impartisce l’impulso per
una verifica sperimentale.

natura ondulatoria, ma questi nuovi studi mostravano proprio l’opposto. Il cerchio su


cui aveva proceduto la comprensione della materia e dell’energia si era chiuso: ogni
caratteristica utilizzata per definire l’una definiva ora anche l’altra. La Figura 7.15 rias­
sume i fondamentali progressi teorici e sperimentali che condussero a questa chiusura.
La verità è che sia la materia sia l’energia presentano entrambi i comportamen­
ti: ciascuna possiede entrambe le “facce”. In alcuni esperimenti, osserviamo una fac­
cia, in altri l’altra. La distinzione tra una particella e un’onda è significativa soltanto
nel mondo macroscopico, non nel mondo atomico. La distinzione tra materia ed
energia esiste nella nostra mente e nelle nostre definizioni limitanti, non in natura.
Questo carattere duale della materia e dell’energia è noto come dualismo onda-
particella (o dualismo onda-corpuscolo).
Il principio di indeterminazione di Heisenberg
Nel mondo macroscopico, una particella in moto ha in ogni istante una posizione
definita, mentre un’onda è sparpagliata nello spazio. Se un elettrone ha le proprietà
sia di una particella sia di un’onda, cosa si può determinare riguardo alla sua posizio­
ne nell’atomo? Nel 1927, il fisico tedesco Werner Heisenberg formulò il principio
di indeterminazione, secondo cui è impossibile conoscere simultaneamente la
posizione esatta e la quantità di moto esatta di una particella. Nel caso di una par­
ticella con massa costante m, il principio di indeterminazione è espresso matema­
ticamente dalla relazione
h
Δx ⋅ mΔu ≥ (7.6)

07txt.indd 221 15/05/19 15:16


222 Capitolo 7

dove Δx è l’indeterminazione (o incertezza) nella posizione e Δu è l’indetermina­


zione (o incertezza) nella velocità. Maggiore è l’accuratezza con cui conosciamo la
posizione della particella (Δx minore), minore è l’accuratezza con cui conosciamo
la sua velocità (Δu maggiore), e viceversa.
Conoscendo la posizione e la velocità di una palla da baseball lanciata e usando le
leggi classiche del moto, siamo in grado di prevedere la sua traiettoria. Nel caso di una
palla da baseball, Δx e Δu sono trascurabili perché la sua massa è enorme rispetto
a h/4π. Ma conoscere la posizione e la velocità di un elettrone e dedurre da questa
conoscenza la sua traiettoria è tutt’altra cosa, come mostra il Problema di verifica 7.4.

Applicazione del principio di indeterminazione


PROBLEMA DI VERIFICA 7.4
Problema Un elettrone in moto in prossimità di un nucleo atomico ha una velocità di
(6 ×106 m/s ± 1%) . Quanto vale l’indeterminazione nella sua posizione (Δx)?
Piano L’indeterminazione nella velocità (Δu) è espressa come 1% e quindi moltiplichiamo
u (= 6  ×  106 m/s) per Δu (= 0,01) per calcolare il suo valore, sostituiamo il valore trovato
nell’Equazione 7.6, e risolviamo rispetto all’indeterminazione nella posizione (Δx).
Risoluzione Calcolo dell’indeterminazione nella velocità, Δu:
Δu =1% di u =(0,01)(6 ×106 m/s) =6 ⋅104 m/s
Calcolo dell’indeterminazione nella posizione, Δx:
h
Δx ⋅ mΔu ≥

h 6,626 ×10−34 kg ⋅ m 2 /s
Perciò, Δx ≥ ≥ ≥ 1  ×  10−9 m
4πmΔu 4π (9,11×10−31 kg )(6 ×104 m/s)
Verifica Badate di arrotondare e verificare l’ordine di grandezza della risposta:
10−33 kg ⋅ m 2 /s
x ≥ = 10−9 m
(10 )(10−30 kg)(105 m/s)
1

Commento L’indeterminazione nella posizione dell’elettrone è pari a circa 10 volte il dia­


metro dell’intero atomo (10−10 m)! Perciò, non sappiamo con esattezza dove sia l’elettrone
nell’atomo. Nel problema di approfondimento, vedremo se un arbitro in una partita di base­
ball abbia una migliore idea di dove sia la palla.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.4 Con quale accuratezza un arbitro


conosce la posizione di una palla da baseball (massa = 0,142 kg) che si muove alla velocità di
(44,7 m/s ± 1,00%)?

• L’indeterminazione
inaccettabile?
è
Anche se il prin­
Come mostrano i risultati del Problema di verifica 7.4, il principio di indetermina­
zione ha profonde implicazioni per un modello atomico. Significa che non si possono
cipio di indeterminazione è univer­ assegnare agli elettroni traiettorie fisse, quali le orbite circolari del modello di Bohr.
salmente accettato dai fisici odierni,
Come vedremo nel paragrafo seguente, il massimo che possiamo sperare di conoscere
per Einstein alcuni dei suoi aspetti
erano difficili da accettare, come è è la probabilità di trovare un elettrone in una data regione di spazio. Però, non siamo
riflesso nella sua affermazione, diven­ sicuri che sia lì più di quanto un giocatore d’azzardo sia sicuro dell’esito del prossimo
tata famosa, “Dio non gioca a dadi lancio dei dadi.
con l’Universo”. Anche Rutherford
era scettico al riguardo. Quando Niels
Bohr, che era diventato un difensore 7.4 IL MODELLO QUANTOMECCANICO
della nuova fisica, tenne una confer­
enza nel laboratorio di Rutherford DELL’ATOMO
sul principio di indeterminazione,
L’accettazione della natura duale della materia e dell’energia e del principio di inde­
Rutherford disse: “Bohr, le vostre
conclusioni mi sembrano incerte terminazione è culminato nella meccanica quantistica, la quale esamina il moto
come il principio su cui si basano”. ondulatorio dei corpi su scala atomica. Nel 1926, il fisico austriaco Erwin Schrödin­
Accettare idee rivoluzionarie non è ger dedusse un’equazione su cui si basa il modello quantomeccanico dell’atomo di
facile, neppure da parte di altri geni.
idrogeno. Il modello descrive un atomo che ha certe quantità permesse di energia
in virtù del moto ondulatorio permesso di un elettrone di cui è impossibile cono­
scere la posizione esatta.

07txt.indd 222 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 223

L’orbitale atomico e la posizione probabile dell’elettrone


La materia-onda associata all’elettrone si muove nello spazio tridimensionale in
prossimità del nucleo ed è soggetta a un’influenza continua, ma variabile, esercitata
dalla carica nucleare. Di conseguenza, l’equazione di Schrödinger è assai com­
plessa, ma una forma semplificata è
HΨ = EΨ
dove E è l’energia dell’atomo. Il simbolo Ψ (lettera greca psi dell’alfabeto greco)
denota la funzione d’onda, una descrizione matematica del moto della materia-
onda associata all’elettrone in termini di tempo e di posizione. Il simbolo H, det­
to operatore hamiltoniano, rappresenta un insieme di operazioni matematiche che,
quando viene effettuato su una particolare Ψ, dà uno stato energetico permesso.*
Ogni soluzione dell’equazione (cioè, ogni stato energetico dell’atomo) è associata
a una data funzione d’onda, detta anche orbitale atomico. È importante tenere
presente che nel modello quantomeccanico un “orbitale” non ha alcuna somiglianza
con un’“orbita” nel modello di Bohr: l’orbita era una traiettoria che si supponeva fosse
seguita dall’elettrone, mentre l’orbitale è una funzione matematica priva di significato
fisico.
Non possiamo sapere dove l’elettrone sia esattamente in ogni istante, ma siamo
in grado di descrivere dov’è probabilmente, cioè, dove è più probabile che sia, o dove
trascorre la maggior parte del suo tempo. Anche se la funzione d’onda (l’orbitale
atomico) è priva di significato fisico, è attribuito un significato fisico al quadrato
della funzione d’onda, Ψ2. Il quadrato della funzione d’onda, Ψ2, esprime la probabili-
tà che l’elettrone sia in un particolare punto (o, più precisamente, in un particolare
piccolissimo volume) entro l’atomo. (Mentre Ψ può assumere valori positivi o nega­
tivi, Ψ2 è sempre positiva, il che è ragionevole per un valore che esprime una pro­
babilità.) Per un dato livello energetico, si può rappresentare questa probabilità con
un diagramma della densità di probabilità elettronica, detto anche, più semplicemente,
diagramma della densità elettronica. Nella Figura 7.16A, il valore di Ψ2 per un
dato volume è rappresentato con una certa densità di punti (la densità elettronica):
maggiore è la densità di punti, maggiore è la probabilità di trovare l’elettrone entro
quel volume.
I diagrammi della densità elettronica sono detti anche rappresentazioni della
nuvola elettronica. Se riuscissimo a eseguire una fotografia dell’elettrone in
moto ondulatorio attorno al nucleo, essa si presenterebbe come una “nuvola” di
posizioni dell’elettrone. La nuvola elettronica è una rappresentazione immagina-
ria dell’elettrone che varia rapidamente la sua posizione nel tempo; non significa
che l’elettrone è una nuvola diffusa di carica. È importante notare che la densità
elettronica diminuisce all’aumentare della distanza dal nucleo lungo una semiretta r
uscente dal nucleo. Lo stesso concetto è rappresentato graficamente nel diagramma
di Ψ2 in funzione di r nella Figura 7.16B. Anche se lo spessore della linea stampata
mostra che la curva tocca l’asse orizzontale, la probabilità che l’elettrone sia lontano
dal nucleo è molto piccola, ma non nulla.
È importante anche la probabilità totale di trovare l’elettrone a qualsiasi distanza
r dal nucleo. Per trovarla, dividiamo mentalmente il volume attorno al nucleo in
strati sferici sottili concentrici, come gli strati di una cipolla (rappresentati in sezione
trasversale nella Figura 7.16C) e ci chiediamo in quale strato sferico sia più probabile
trovare l’elettrone. È come chiedersi quale sia la somma dei valori di Ψ2 entro ciascuno

*
La forma completa dell’equazione di Schrödinger in tre dimensioni (in coordinate cartesiane ortogonali) è
⎡ 2 ⎛⎜ d 2 d2 d 2 ⎞⎟ ⎤
⎢− h ⎟ ⎥
⎢ 8π 2m ⎜⎜⎝ dx 2 + dy2 + dz 2 ⎟⎟⎠ + V ( x , y , z)⎥ Ψ ( x , y , z) = E Ψ ( x , y , z)
⎢⎣ e ⎥⎦
dove Ψ è la funzione d’onda; i primi tre termini descrivono come Ψ varia nello spazio; me è la massa
dell’elettrone; E è l’energia quantizzata totale del sistema atomico; e V è l’energia potenziale nel punto
(x, y, z). La risoluzione dell’equazione per quasi tutte le applicazioni pratiche richiede molto tempo di
calcolo al computer.

07txt.indd 223 15/05/19 15:16


224 Capitolo 7

strato sferico. La ripida diminuzione della densità elettronica all’aumentare della di­
stanza (vedi Figura 7.16B) ha un effetto importante. In prossimità del nucleo, il volu­
me di ciascuno strato aumenta più rapidamente di quanto diminuisca la sua densità
elettronica. Di conseguenza, la probabilità totale di trovare l’elettrone nel secondo
strato è maggiore di quella di trovarlo nel primo. Ma la densità elettronica diminuisce
così rapidamente che questo effetto diminuisce presto all’aumentare della distanza.
Perciò, anche se il volume di ciascuno strato continua ad aumentare, la probabilità
totale in un dato strato finisce per diminuire. A causa di questi effetti antagonisti
della diminuzione della densità elettronica e dell’aumento del volume degli strati, la
probabilità totale raggiunge un massimo (un picco) in qualche strato in prossimità
del nucleo, ma oltre il primo. Questo andamento è rappresentato nella Figura 7.16D
come un diagramma della distribuzione di probabilità radiale.
Il massimo della distribuzione di probabilità radiale per l’atomo di idrogeno
nello stato fondamentale compare alla stessa distanza dal nucleo (0,529 Å, ossia
5,29 ⋅ 10−11 m) dell’orbita di Bohr più vicina al nucleo. Perciò, almeno per lo stato
fondamentale, il modello di Schrödinger prevede che l’elettrone trascorra la mag-
gior parte del suo tempo alla stessa distanza a cui l’elettrone trascorre la totalità del
suo tempo secondo la previsione del modello di Bohr. La differenza tra “maggior
parte” e “totalità” rispecchia l’indeterminazione della posizione dell’elettrone nel
• Una distribuzione di
probabilità radiale di mele
modello di Schrödinger.
A quale distanza dal nucleo possiamo trovare l’elettrone? Porsi questa domanda
Un’analogia potrebbe chiarire perché è come chiedersi: “Quanto è grande l’atomo?” Si ricordi che, come è mostrato nella
il diagramma della distribuzione di Figura 7.16B, la probabilità di trovare l’elettrone lontano dal nucleo non è nulla.
pro­babilità radiale sale fino a un
Perciò, non possiamo assegnare un volume definito a un atomo. Però, visualizziamo
mas­­si­
mo e poi scende. Si consideri
la raffigurazione delle mele cadute spesso gli atomi con una superficie di contorno a probabilità costante del
attorno alla base di un melo: la den­ 90%, come nella Figura 7.16E, che definisce il volume in cui l’elettrone dell’atomo
sità numerica di mele è massima vici­ di idrogeno trascorre il 90% del suo tempo.
no alla base dell’albero e de­cresce al
crescere della distanza. Immaginia­mo
di suddividere il suolo sotto l’albero
in anelli concentrici larghi 30 cm
Numeri quantici di un orbitale atomico
e di raccogliere le mele in ciascun Finora abbiamo esaminato la densità elettronica per lo stato fondamentale dell’atomo
anello. La densità numerica di mele
è massima nel primo anello, ma l’area
di idrogeno. Quando l’atomo assorbe energia, esso esiste in uno stato eccitato e il
del secondo anello è maggiore di moto ondulatorio dell’elettrone è descritto da un differente orbitale atomico (una
quella del primo e quindi il secondo differente funzione d’onda atomica). Come vedremo, ciascun orbitale atomico ha
anello contiene un maggior numero una distribuzione di probabilità radiale e una superficie di contorno a probabilità
totale di mele. Via via che aumenta
la distanza degli anelli dalla base
costante caratteristiche.
dell’albero, aumenta l’a­rea degli anelli Un orbitale atomico è specificato da tre numeri quantici. Uno è in relazione con
ma diminuisce la densità numerica la dimensione dell’orbitale, un altro con la sua forma, e il terzo con il suo orienta­
di mele e quindi il numero totale mento nello spazio.* I numeri quantici hanno una relazione gerarchica: il numero in
di mele diminuisce. Un diagramma
del “numero di mele in un anello”
relazione con la dimensione limita il numero in relazione con la forma, che limita
in funzione della “di­stanza dell’anello il numero in relazione con l’orientamento. Esaminiamo questa gerarchia e poi con­
dalla base dell’albero” presenta un sideriamo le forme e gli orientamenti.
massimo in cor­ rispondenza di una
certa distanza dalla base dell’albero, 1. Il numero quantico principale (n) è un numero intero positivo (1, 2, 3, …). Esso
come nella Figura 7.16D. indica la dimensione relativa dell’orbitale e quindi la distanza relativa dal nucleo
del massimo del diagramma della distribuzione di probabilità radiale. Il numero
quantico principale specifica il livello energetico dell’atomo di idrogeno: maggiore è
il valore di n, più alto è il livello energetico. Quando l’elettrone occupa un orbitale con
n = 1, l’atomo di idrogeno è nel suo stato fondamentale e ha un’energia inferiore a
quella che ha quando l’elettrone occupa l’orbitale con n = 2 (primo stato eccitato).
2. Il numero quantico del momento angolare (l) è un numero intero compreso tra
0 e n − 1. È in relazione con la forma dell’orbitale ed è detto anche numero quanti-
co della forma dell’orbitale. È importante notare che il numero quantico principale
*
Per facilitare la trattazione, parliamo di dimensione, forma e orientamento di un “orbitale atomico”, an­
che se in realtà intendiamo la dimensione, la forma e l’orientamento di una “distribuzione di probabilità
radiale di un orbitale atomico”. Questa terminologia è comune sia nei testi propedeutici sia in quelli a
livello avanzato.

07txt.indd 224 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 225

Figura 7.16 Probabilità elettronica nell’atomo di idroge- sentati in sezione trasversale) e contando i puntini in ciascuno
no nello stato fondamentale. A. Un diagramma della densità strato, si ottiene la probabilità totale di trovare l’elettrone in
elettronica presenta una sezione trasversale dell’atomo di quello strato. D. Un diagramma della distribuzione di probabi­
idrogeno. I puntini, ciascuno dei quali rappresenta la probabi- lità radiale rappresenta la densità elettronica totale in ciascu-
lità che l’elettrone sia in un punto (in realtà, in un piccolissimo no strato sferico in funzione di r. Poiché la densità elettronica
volume), si diradano lungo una semiretta uscente dal nucleo. decresce più lentamente di quanto cresca il volume di cia-
B. Un diagramma dei dati presentati in A mostra che la pro- scuno strato concentrico, il diagramma presenta un massimo.
babilità (Ψ2) in un punto qualsiasi lungo la semiretta decresce E. Una superficie di contorno a probabilità costante del 90%
al crescere della distanza dal nucleo, ma non si annulla (lo mostra lo stato fondamentale dell’atomo di idrogeno (l’orbita-
spessore della linea fa apparire che lo faccia). C. Suddividendo le di energia minima) e rappresenta il volume in cui l’elettrone
il volume dell’atomo in strati sferici concentrici sottili (rappre- trascorre il 90% del suo tempo.

impone un limite ai valori del numero quantico del momento angolare; cioè, n limi­
ta l. Per un orbitale con n = 1, l può assumere soltanto il valore 0. Per gli orbitali con
n = 2, l può assumere il valore 0 o il valore 1; per gli orbitali con n = 3, l può
assumere i valori 0, 1 o 2, e così via. È importante notare che il numero dei valori
possibili di l è uguale al valore di n.
3. Il numero quantico magnetico (ml) è un numero intero compreso tra −l e + l,
passando per 0. Esso impone l’orientamento dell’orbitale nello spazio attorno al
nucleo ed è detto anche numero quantico dell’orientamento dell’orbitale. I valori pos­
sibili del numero quantico magnetico di un orbitale sono determinati dal numero
quantico del momento angolare (cioè, l determina ml). Un orbitale con l = 0 può
avere soltanto ml = 0. Però, un orbitale con l = 1 può avere ciascuno di tre valori
di ml, −1, 0, o +1; perciò, esistono tre orbitali possibili con l = 1, ciascuno con il
proprio orientamento. È importante notare che il numero dei valori possibili di
ml è uguale al numero degli orbitali, che è 2l + 1 per un dato valore di l.
La Tabella 7.2 riassume le relazioni fra i tre numeri quantici. Il numero totale di
orbitali per un dato valore di n è n2.

07txt.indd 225 15/05/19 15:16


226 Capitolo 7

Determinazione dei numeri quantici per un livello energetico


PROBLEMA DI VERIFICA 7.5
Problema Quali valori del numero quantico del momento angolare (l) e del numero quanti­
co magnetico (ml) sono permessi per un numero quantico principale (n) di valore 3? Quanti
orbitali sono permessi per n = 3?
Piano Determiniamo i numeri quantici permessi con le regole presentate nel testo: i valori
di l sono numeri interi compresi tra 0 e n − 1, e i valori di ml sono numeri interi compresi
tra −l e +l passando per 0. A ciascun orbitale è assegnato un valore di ml, e quindi il nume­
ro di valori di ml dà il numero di orbitali.
Risoluzione Determinazione dei valori di l: per n = 3, l = 0, 1, 2
Determinare ml per ogni valore di l:
Per l = 0, ml = 0
Per l = 1, ml = −1, 0, +1
Per l = 2, ml = −2, −1, 0, +1, +2
Esistono 9 valori di ml e quindi esistono 9 orbitali con n = 3.
Verifica La Tabella 7.2 mostra che il risultato è corretto. Il numero totale di orbitali per un
dato valore di n è n2, e quindi, per n = 3, n2 = 9.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.5 Si specifichino i valori di l e di ml per


n = 4.

Gli stati energetici e gli orbitali dell’atomo sono descritti con termini specifici e
associati a uno o più numeri quantici.
1. Livello. I livelli (o gusci) energetici dell’atomo sono dati dal valore di n: minore
è il valore di n, più basso è il livello energetico e maggiore è la probabilità che
l’elettrone sia più vicino al nucleo.
2. Sottolivello. I livelli dell’atomo contengono sottolivelli (o sottogusci), che desi­
gnano la forma dell’orbitale. Ciascun sottolivello è designato con una lettera:
l = 0 è un sottolivello s
l = 1 è un sottolivello p
l = 2 è un sottolivello d
l = 3 è un sottolivello f
(Le lettere derivano dai nomi delle righe spettroscopiche: sottile, principale,
diffusa e fondamentale). I nomi dei sottolivelli si ottengono abbinando il valore
di n e la designazione letterale. Per esempio, il sottolivello con n = 2 e l = 0
è detto sottolivello 2s.
3. Orbitale. Ciascuna combinazione permessa di valori di n, l e ml specifica uno degli
orbitali dell’atomo. Perciò, i tre numeri quantici che descrivono un orbitale ne
esprimono la dimensione (l’energia), la forma e l’orientamento spaziale. Si posso­
no determinare facilmente i numeri quantici degli orbitali in ogni sottolivello se
si conoscono la designazione letterale del sottolivello e la gerarchia dei numeri
quantici. Per esempio, la gerarchia prescrive che il sottolivello 2s abbia un solo
orbitale, e i suoi numeri quantici sono n = 2, l = 0 e ml = 0. Il sottolivello 3p ha
tre orbitali: uno con n = 3, l = 1 e ml = −1, un altro con n = 3, l = 1 e ml = 0,
e un terzo con n = 3, l = 1 e ml = +1.
Determinazione dei nomi dei sottolivelli e dei numeri quantici
degli orbitali
PROBLEMA DI VERIFICA 7.6
Problema Si determinino il nome, i numeri quantici magnetici e il numero di orbitali per
ciascun sottolivello con i seguenti numeri quantici:
(a) n = 3, l = 2 (b) n = 2, l = 0 (c) n = 5, l = 1 (d) n = 4, l = 3
Piano Per determinare il nome del sottolivello, combiniamo il valore di n e la designazione
letterale l. Poiché conosciamo l, possiamo trovare i valori possibili di ml, il cui numero totale
è uguale al numero di orbitali.

07txt.indd 226 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 227

Risoluzione
n l Nome del sottolivello Valori possibili di ml Numero di orbitali
(a) 3 2 3d −2, −1, 0, +1, +2 5
(b) 2 0 2s 0 1
(c) 5 1 5p −1, 0, +1 3
(d) 4 3 4f −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3 7

Verifica Verifichiamo il numero di orbitali in ciascun sottolivello usando la relazione


numero di orbitali = numero di valori di ml = 2l +1

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.6 Quali sono i valori di n, i valori di


l e i possibili valori di ml per i sottolivelli 2p e 5f  ?

Identificazione dei numeri quantici non corretti


PROBLEMA DI VERIFICA 7.7
Problema Cosa c’è di sbagliato in ciascuna delle seguenti designazioni dei numeri quantici
e/o dei seguenti nomi dei sottolivelli?
n l ml Nome
(a) 1 1 0 1p
(b) 4 3 +1 4d
(c) 3 1 −2 3p

Risoluzione (a) Un sottolivello con n = 1 può avere soltanto l = 0, non l = 1. L’unico


nome possibile del sottolivello è 1s.
(b) Un sottolivello con l = 3 è un sottolivello f , non un sottolivello d. Il nome dovrebbe
essere 4f.
(c) Un sottolivello con l = 1 può avere soltanto ml = −1, 0, +1, non −2.
Verifica Verifichiamo che l sia sempre minore di n, e che ml sia sempre ≥−l e ≤+l.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 7.7 Si scrivano i numeri quantici e i


nomi dei sottolivelli mancanti.
n l ml Nome
(a) ? ? 0 4p
(b) 2 1 0 ?
(c) 3 2 −2 ?
(d) ? ? ? 2s

Forme degli orbitali atomici


Ogni sottolivello dell’atomo di idrogeno corrisponde a orbitali con forme caratteristi­
che. Come vedremo nel Capitolo 8, gli orbitali degli altri atomi hanno forme simili.
L’orbitale s Un orbitale con l = 0 ha una forma sferica con il nucleo nel centro
ed è detto orbitale s. Per esempio, lo stato fondamentale dell’atomo di idrogeno
ha l’elettrone nell’orbitale 1s. La Figura 7.17A mostra che la densità elettronica è
massima in corrispondenza del nucleo, sia essa rappresentata come un diagramma
(in alto) oppure come una sezione di una nuvola elettronica tridimensionale (in cen-
tro). D’altra parte, la distribuzione di probabilità radiale (in basso), che rappresenta
la probabilità totale di trovare l’elettrone (cioè, dove l’elettrone trascorre la maggior
parte del tempo), è massima lievemente all’esterno del nucleo. Entrambi i diagram­
mi scendono in modo regolare all’aumentare della distanza.
L’orbitale 2s, mostrato nella Figura 7.17B, ha due regioni di densità elettronica
più alta. La distribuzione di probabilità radiale (probabilità totale; in basso) della
regione più lontana è più alta di quella della regione più vicina perché la somma di

07txt.indd 227 15/05/19 15:16


228 Capitolo 7

Figura 7.17 Gli orbitali 1s, tutte le Ψ2 è estesa a un volume molto maggiore. Tra le due regioni esiste un nodo
2s e 3s. Le informazioni per sferico, una regione a forma di guscio in cui la probabilità si annulla (Ψ2 = 0 nel
cia­scuno degli orbitali s sono
rappresentate in tre modi:
nodo, analogamente all’ampiezza zero di un’onda). Poiché l’orbitale 2s è più grande
come diagramma della den- dell’orbitale 1s, un elettrone in questo orbitale trascorre più tempo più lontano dal
sità elettronica (in alto), come nucleo rispetto a quando occupa l’orbitale 1s.
nuvola elettronica (in centro), in L’orbitale 3s, mostrato nella Figura 7.17C, ha tre regioni di densità elettronica
cui l’ombreggiatura più intensa più alta e due nodi. Di nuovo, la probabilità radiale è massima alla massima distanza
coincide con i massimi del dia-
gramma sovrastante, e come
dal nucleo perché la somma di tutte le Ψ2 è estesa a un volume maggiore. Questo
distribuzione di probabi­lità radi- andamento di aumento del numero di nodi e della probabilità all’aumentare della
ale (in basso), in cui è mostrato distanza prosegue per gli orbitali s con maggiore valore di n. Poiché un orbitale s
dove l’elettrone trascorre il ha una forma sferica, esso può avere un solo orientamento e, quindi, un solo valore
suo tempo. A. L’orbitale 1s. del numero quantico magnetico: per ogni orbitale s, ml = 0.
B. L’orbitale 2s. C. L’orbitale
3s. Si notino i nodi (regioni di
probabilità zero) negli orbitali L’orbitale p Un orbitale con l = 1 ha due regioni (lobi) di alta probabilità, da parti
2s e 3s. opposte rispetto al nucleo, ed è detto orbitale p. Perciò, come si può vedere nella
Figura 7.18, il nucleo giace sul piano nodale di questo orbitale a forma di “manubrio
da ginnastica”. Poiché il valore massimo di l è n − 1, soltanto i livelli con n = 2
o maggiore possono avere un orbitale p. Perciò, l’orbitale p di energia più bassa
(quello più vicino al nucleo) è l’orbitale 2p. È importante tenere presente che un

07txt.indd 228 15/05/19 15:16


Teoria quantistica e struttura atomica 229

Figura 7.18 Gli orbitali 2p. A. Un diagramma della un orbitale 2p e trascorre il 90% del suo tempo in questo
di­stribuzione di probabilità radiale dell’orbitale 2p presenta volume. L’orbitale 2px e l’orbitale 2py hanno la stessa forma,
un singolo massimo. Que­sto massimo è situato all’incirca ma giacciono lungo l’asse x e l’asse y, rispettivamente.
alla stessa distanza dal nucleo a cui è situato il massimo C. Raffigurazione schematizzata della superficie di contorno
maggiore nel diagramma relativo all’orbitale 2s (mo­strato a probabilità costante degli orbitali 2p impiegata in tutto
nella Figura 7.17B). B. Una rappresentazione accurata della il libro. D. Nell’atomo, i tre orbitali 2p occupano regioni di
superficie di contorno a probabilità costante dell’orbitale spazio mutuamente ortogonali, con­tribuendo alla forma
2pz. Si noti il piano nodale in corrispondenza del nucleo. Un sferica complessiva dell’atomo.
elettrone occupa in uguale misura entrambe le regioni di

orbitale p è costituito da entrambi i lobi e che l’elettrone trascorre lo stesso tempo Figura 7.19 Gli orbitali 3d.
in entrambi. Come ci si attende dallo schema degli orbitali s, un orbitale 3p è più A. Un diagramma della di­
stribuzione di probabilità radiale.
grande di un orbitale 2p, un orbitale 4p è più grande di un orbitale 3p e così via.
B. Una rappresentazione accurata
A differenza di un orbitale s, ciascun orbitale p ha un orientamento specifico della superficie di contorno a
nello spazio. Il valore l = 1 ha tre possibili valori di ml: −1, 0 e +1, che si riferiscono probabilità costante dell’orbitale
a tre orbitali p mutamente ortogonali (perpendicolari). Essi sono identici in dimensio­ 3dyz. Si notino i tre piani nodali
ne, forma ed energia, e differiscono soltanto in orientamento. Per comodità, asso­ mutuamente ortogonali e i lobi
tra gli assi. C. La rappresenta­
ciamo gli orbitali p alla terna di assi mutuamente ortogonali x, y, z (ma non esiste
zione schematizzata dell’orbitale
alcuna relazione necessaria tra un asse spaziale e un dato valore di ml): l’orbitale px 3dyz impiegata in tutto il libro.
giace lungo l’asse x, l’orbitale py lungo l’asse y e l’orbitale pz lungo l’asse z. D. L’orbitale 3dxz. E. L’orbitale
3dxy. F. I lobi dell’orbitale 3d x 2− y 2
L’orbitale d Un orbitale con l = 2 è detto orbitale d. Sono possibili cinque valori sono situati sull’asse x e sull’asse
y. G. L’orbitale 3d z 2 ha due lobi
di ml per il valore l = 2: −2, −1, 0, +1, +2. Perciò, un orbitale d può avere ciascuno
e una regione centrale a forma di
di cinque differenti orientamenti, come è mostrato nella Figura 7.19. Quattro dei ciambella. H. Una rappresentazi-
cinque orbitali d hanno quattro lobi (“forma a quadrifoglio”) determinati da due piani one composita dei cinque orbitali
nodali mutuamente ortogonali, con il nucleo situato nella giunzione dei lobi. Tre di 3d, che contribuiscono anch’essi
alla forma sferica complessiva di
un atomo.

07txt.indd 229 15/05/19 15:16


230 Capitolo 7

questi orbitali giacciono nei piani mutuamente ortogonali xy, xz, yz, con i loro lobi
tra gli assi e sono denominati orbitali dxy, dxz e dyz. Un quarto orbitale, l’orbitale d x 2 −y2 ,
giace anch’esso nel piano xy, ma i suoi lobi sono diretti lungo gli assi. Il quinto orbita­
le d, l’orbitale dz2, ha una forma diversa: due lobi principali giacciono lungo l’asse z, e
una regione di densità elettronica a forma di ciambella circonda il centro. Un elettro­
ne associato a un dato orbitale d ha uguale probabilità di essere in qualsiasi dei lobi
dell’orbitale.
Come abbiamo detto per gli orbitali p, le designazioni degli assi non sono as­
sociate a un dato valore di ml. In accordo con le regole dei numeri quantici, un
orbitale d (l = 2) deve avere un numero quantico principale n = 3 o maggiore. Gli
orbitali 4d si estendono più lontano dal nucleo di quanto si estendano gli orbitali
3d, e gli orbitali 5d si estendono ancor più lontano.
Figura 7.20 Uno dei sette
possibili orbitali 4f. L’orbitale Orbitali con valori di l superiori Gli orbitali con l = 3 sono orbitali f e devono
4fxyz ha otto lobi e tre piani avere un numero quantico principale pari almeno a n = 4. Esistono sette orbitali f
ra­diali. Anche gli altri sei orbita- (2l  +  l = 7), ciascuno con una forma complessa, multilobata; la Figura 7.20 ne mostra
li 4f hanno superfici di contorno
uno. Gli orbitali con l = 4 sono orbitali g, ma non li esamineremo ulteriormente per­
multilobate.
ché non svolgono un ruolo noto nel legame chimico.

Livelli energetici dell’atomo di idrogeno


Lo stato energetico dell’atomo di idrogeno dipende soltanto dal numero quantico
principale n. Un elettrone in un orbitale con un valore di n superiore trascorre il suo
tempo (in media) più lontano dal nucleo e quindi ha un’energia superiore. Come
vedremo nel capitolo seguente, lo stato energetico di un atomo polielettronico
dipende sia dal valore di n sia dal valore di l degli orbitali occupati. Perciò, soltanto
nel caso dell’atomo di idrogeno, tutti e quattro gli orbitali con n = 2 (un orbitale
2s e tre orbitali 2p) hanno la stessa energia, e tutti e nove gli orbitali con n = 3 (un
orbitale 3s, tre orbitali 2p e cinque orbitali 3d) hanno la stessa energia (Figu­ra 7.21).

Figura 7.21 I livelli energetici dell’atomo di idro-


geno. Nell’atomo di idrogeno, il livello energetico
di­pende soltanto dal valore di n del­l’or­bitale. Per esem-
pio, l’orbitale 2s e i tre orbitali 2p (rappresentati co­me
lineette) hanno la stessa energia.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


3,00 ×108 m/s 109 nm 6, 626 ×10−34 kg ⋅ m 2 /s
7.1 λ (nm) = × =
415 nm 7.4 Δr ≥ ≥ 8,31×10−34 m
7,23 ×1014 s−1 1m 4π (0,142 kg )(0,447 m/s)
10 Å
λ (Å)= 415 nm × = 4150 Å 7.5 n = 4, quindi l = 0, 1, 2, 3. Oltre ai valori di ml nel Prob­
1 nm lema di verifica 7.5, abbiamo quelli per l = 3:
7.2 UV: E = hc / λ
ml = −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3
(6,626 ×10−34 J ⋅ s)(3,00 ×108 m/s) −17
= = 2 ×10 J
1×10−8 m 7.6 P er 2p: n = 2, l = 1, ml = −1, 0, +1
visible: E = 4 ×10−19 J; IR: E =2 ×10−21 J Per 5f: n = 5, l = 3, ml = −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3
Al crescere di λ, E decresce. 7.7 (a) n = 4, l = 1; (b) il nome è 2p; (c) il nome è 3d;
(d) n = 2, l = 0, ml = 0
h 6,626 ×10−34 kg ⋅ m 2 /s
7.3 u = =
mλ ⎛ 1m ⎞
(9,11×10−31 kg)⎜⎜⎝100 nm × 9 ⎟⎟⎟⎠
10 nm
= 7,27 ×103 m/s

07txt.indd 230 15/05/19 15:16


Configurazione elettronica
e periodicità chimica 8
Nel capitolo precedente abbiamo visto che una rigogliosa creatività scientifica da DA SAPERE PRIMA
parte dei fisici dell’inizio del XX secolo condusse a una nuova comprensione del-
• struttura della tavola periodica
la materia e dell’energia, che, a sua volta, condusse al modello quantomeccanico (Paragrafo 2.6)
dell’atomo. Si può comunque essere certi che i chimici della seconda metà del XIX • caratteristiche dei metalli e dei
secolo non rimasero oziosi in attesa che i colleghi fisici costruissero quel modello. non metalli (Paragrafo 2.6)
• applicazione della legge di Cou-
Quei chimici indagavano la natura degli elettroliti, elaboravano la teoria cinetica lomb all’attrazione elettrostatica
dei gas e sviluppavano la termodinamica chimica. Nascevano i campi della chimica (Paragrafo 2.7)
organica e della biochimica e le industrie dei fertilizzanti, degli esplosivi, dei vetri, • caratteristiche degli acidi e delle
basi (Paragrafo 4.4)
dei saponi, degli sbiancanti e dei coloranti. E, per la prima volta, la chimica diven- • regole per assegnare i numeri
tava una disciplina universitaria in Europa e negli Stati Uniti. A questa attività si quantici (Paragrafo 7.4)
sovrapponeva l’acquisizione di una una grande quantità d’informazioni riguardo
agli elementi, che venivano organizzate nella tavola periodica.

IN QUESTO CAPITOLO ci proponiamo di mostrare come l’organizzazione del-


la tavola periodica, in cui erano concentrati i risultati di innumerevoli ore di
lavoro di laboratorio, veniva spiegata perfettamente dal nuovo modello quan-
tomeccanico dell’atomo. Questo modello risponde a una delle domande fon-
damentali in chimica: perché gli elementi si comportano come fanno? Oppure,
riformulando la domanda per adattarla all’argomento principale di questo ca-
pitolo: qual è la relazione tra la configurazione elettronica di un elemento – la
distribuzione degli elettroni negli orbitali dei suoi atomi – e le sue proprietà
chimiche e fisiche?
Esamineremo brevemente lo sviluppo storico della tavola periodica. Esten-
deremo il modello quantomeccanico, sviluppato nel capitolo precedente per
l’atomo di idrogeno, agli atomi polielettronici. Vedremo come il modello de-
finisce un insieme unico di numeri quantici per ogni elettrone negli atomi di
ogni elemento. Considereremo l’ordine di riempimento degli orbitali da parte
degli elettroni e vedremo che esso è correlato con l’ordine degli elementi
nella tavola periodica. Tutto ciò ci permetterà di comprendere come la confi-
gurazione elettronica e la carica nucleare danno origine alle tendenze nelle
proprietà atomiche e come queste tendenze spiegano la periodicità della re-
attività chimica. Infine, applicheremo questa comprensione a una trattazione
dei metalli, dei non metalli e dei loro ioni.

8.1 SVILUPPO DELLA TAVOLA PERIODICA


Un requisito essenziale per la stupefacente crescita della chimica teorica e applicata
nella seconda metà del XIX secolo fu la capacità di organizzare i fatti conosciuti
riguardo al comportamento degli elementi. Il primo tentativo di organizzazione fu
compiuto dal chimico tedesco Johann W. Döbereiner, che ordinò in “triadi” (legge
delle triadi) gruppi di tre elementi con proprietà simili, quali il calcio, lo stronzio e
il bario. In seguito, il chimico inglese John A. R. Newlands osservò che, quando gli
elementi sono ordinati secondo valori crescenti della massa atomica, le proprietà

08txt.indd 231 15/05/19 15:17


232 Capitolo 8

dell’ottavo elemento sono analoghe a quelle del primo, quelle del nono sono analo-
ghe a quelle del secondo e così via (legge delle ottave, in analogia con le scale musicali).
Però, quando furono scoperti nuovi elementi, questi primi schemi numerici persero
gran parte della loro validità.
Nel Capitolo 2 abbiamo visto che lo schema di organizzazione che ebbe più
successo fu proposto dal chimico russo Dmitrij I. Mendeleev. Nel 1870, egli ordi-
nò i 65 elementi allora noti in una tavola periodica (sistema periodico degli elementi)
e riassunse il loro comportamento nella legge periodica: quando sono ordinati
secondo valori crescenti della massa atomica, gli elementi presentano una ricor-
renza periodica di proprietà simili. È un curioso capriccio della storia il fatto che
IL GRANDE CONTRIBUTO
Mendeleev e il chimico tedesco Julius Lothar Meyer (1830-1895) fossero arrivati
DI MEN­DELEEV pressoché si­mul­tanea­men­te, ma indipendentemente, alla stessa organizzazione de-
gli elementi. Mendeleev concentrò l’attenzione sulle proprietà chimiche, Meyer
sulle proprietà fisiche. Il merito maggiore è stato attribuito a Mendeleev perché
egli fu capace di prevedere le proprietà di parecchi elementi allora sconosciuti, per
i quali aveva lasciato caselle vuote nella sua tavola. La Tabella 8.1 mette a confronto
le proprietà effettive del germanio, a cui Mendeleev attribuì il nome di “ekasilicio”
(“primo sotto il silicio”), con le sue previsioni.
La tavola periodica odierna, presentata nell’Appendice H, somiglia nella maggior
parte dei particolari a quella di Mendeleev, anche se include 53 elementi che erano
sconosciuti nel 1870. L’unica differenza essenziale è che oggi gli elementi sono ordi-
nati secondo il numero atomico (il numero di protoni) crescente, invece che secondo
la massa atomica crescente. Questo cambiamento si è basato sulle ricerche condotte

08txt.indd 232 15/05/19 15:17


Configurazione elettronica e periodicità chimica 233

dal fisico inglese Henry G.J. Moseley, che scoprì una dipendenza diretta tra la carica
nucleare di un elemento e la sua posizione nella tavola pe­rio­dica.
• Moseley e il numero ato­
mico Quando un metallo viene
bombardato con elettroni di alta
energia, un elettrone interno viene
8.2 CARATTERISTICHE DEGLI ATOMI emesso dall’atomo, un elettrone
POLIELETTRONICI esterno scende a riempire lo spazio
lasciato libero e vengono emes-
Come il modello di Bohr, l’equazione di Schrödinger non fornisce soluzioni esatte si raggi X. Bohr aveva ipotizzato
per gli atomi polielettronici. Però, a differenza del modello di Bohr, l’equazione di che lo spettro dei raggi X di un
Schrödinger fornisce ottime soluzioni approssimate. Queste mostrano che gli orbi- elemento avesse lunghezze d’onda
direttamente proporzionali alla ca­ri­
tali atomici degli atomi polielettronici sono idrogenoidi, cioè, sono simili a quelli ca nucleare. Nel 1913, Moseley
dell’atomo di idrogeno. Questa conclusione significa che, per descrivere gli orbitali studiò gli spettri dei raggi X di una
degli altri atomi, si possono usare gli stessi numeri quantici che si usano per l’atomo serie di metalli e riuscì a correlare
di idrogeno. la radice quadrata della frequen-
Ciononostante, l’esistenza di più di un elettrone in un atomo ci impone di za della riga di minore lunghezza
d’onda nello spettro dei raggi X di
considerare tre caratteristiche che non erano pertinenti nel caso dell’atomo di idro- ciascun metallo con il suo ordine
geno: (1) la necessità di un quarto numero quantico; (2) un limite al numero di nella tavola periodica (con il suo
elettroni permessi in un dato orbitale; (3) un più complesso insieme di livelli ener- numero atomico): la radice quadrata
getici degli orbitali. Esaminiamo queste nuove caratteristiche e poi determiniamo della frequenza è direttamente pro­
la configurazione elettronica di ciascun elemento. por­zionale a Z (legge di Moseley).
Dimostrò che la carica nucleare
aumentava di 1 unità per ciascun
Il numero quantico di spin elettronico elemento (vedi il seguente diagram-
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, i tre numeri quantici n, l e ml descri- ma di Moseley). Tra gli altri risultati,
le osservazioni sperimentali con-
vono, rispettivamente, la dimensione (l’energia), la forma e l’orientamento di un fermarono la collocazione di Co
orbitale atomico. Ma è necessario un numero quantico addizionale per descrivere (Z = 27) prima di Ni (Z = 28), nono-
una proprietà dell’elettrone stesso, detta spin, che non è una proprietà dell’orbitale. stante la maggiore massa atomica
Lo spin dell’elettrone diventa importante quando è presente più di un elettrone. del cobalto, e confermaro­no anche
Quando un fascio di atomi di idrogeno attraversa un campo magnetico non che nell’intervallo tra Cl (Z = 17) e
K (Z = 19) si inserisce Ar (Z = 18).
uniforme, come illustrato nella Figura 8.1, esso si separa in due fasci che deviano Moseley si arruolò come pilota allo
l’uno dall’altro. La spiegazione della separazione (o splitting) del fascio è che l’elet- scoppio della prima guerra mon-
trone genera un minuscolo campo magnetico, come se fosse una carica che ruota diale e morì tragicamente solo un
(spin in inglese) su se stessa. Il singolo elettrone in ciascun atomo di idrogeno può anno dopo questa scoperta, all’età
ruotare su se stesso in uno di due versi opposti, ciascuno dei quali genera un campo di 26 anni.
magnetico. Le opposte direzioni di orientamento di questi campi magnetici fanno
sì che metà degli elettroni sia attratta verso la regione del grande campo magnetico
esterno e l’altra metà ne sia respinta; quindi il fascio di atomi di idrogeno si separa.
Il numero quantico di spin (ms) indica il verso di rotazione dell’elettrone at-
torno al proprio asse e può assumere uno di due valori possibili: + 12 o − 12 . Di conse-
guenza, ciascun elettrone in un atomo è descritto completamente da un insieme di quattro

Figura 8.1 Osservazione dell’effetto dello spin dell’elettrone. Un campo magnetico non
uniforme, generato da magneti con espansioni di differenti forme, separa in due parti un
fascio di atomi di idrogeno. La separazione (splitting) del fascio è dovuta ai due possibili
orientamenti dello spin dell’elettrone in ciascun atomo.

08txt.indd 233 15/05/19 15:17


234 Capitolo 8

numeri quantici: i primi tre descrivono il suo orbitale e il quarto descrive il suo spin. I numeri
quantici sono riassunti nella Tabella 8.2.
Ora siamo in grado di scrivere un insieme di quattro numeri quantici per ogni elet-
trone nello stato fondamentale di qualsiasi atomo. Per esempio, i quattro numeri quan-
tici per il singolo elettrone nell’atomo di idrogeno (H; Z = 1) è n = 1, l = 0, ml = 0 e
ms = + 12 . (Il numero quantico di spin di questo elettrone avrebbe potuto essere anche
− 12 , ma, per convenzione, si attribuisce il valore + 2 al primo elettrone in un orbitale).
1

Il principio di esclusione
L’elemento successivo all’idrogeno è l’elio (He; Z = 2), il primo elemento il cui atomo
ha più di un elettrone. Il primo elettrone nello stato fondamentale di He ha lo stes-
so insieme di quattro numeri quantici dell’elettrone nell’atomo di H, ma il secondo
elettrone di He no. Basandosi sull’osservazione degli stati eccitati degli atomi, il fisico
teorico svizzero di origine austriaca Wolfgang Pauli formulò il principio di esclu-
sione: in un atomo non possono esistere due elettroni aventi lo stesso insieme dei quattro
numeri quantici. Cioè, ciascun elettrone deve avere un’“identità” unica, espressa dai
suoi quattro numeri quantici. Perciò, il secondo elettrone di He occupa lo stesso or­
UN’ANALOGIA PER I NUMERI
QUANTICI ISPIRATA A UN
bitale del primo, ma ha spin orientato nel verso opposto (antiparallelo): n = 1, l = 0,
ANFITEATRO ROMANO ml = 0 e ms = − 12
Poiché il numero quantico di spin (ms) può assumere soltanto due valori, la
principale conseguenza del principio di esclusione è che un orbitale atomico può
contenere al massimo due elettroni e questi devono avere spin antiparalleli. Si dice che
l’orbitale 1s nell’atomo di elio è occupato (o pieno o completo) e che gli elettroni
hanno spin appaiati (o accoppiati). Perciò, un fascio di atomi di He non si separa in
un esperimento come quello nella Figura 8.1.

Effetti elettrostatici e separazione (splitting) dei livelli energetici


Gli effetti elettrostatici svolgono un ruolo importante nella determinazione degli
stati energetici degli atomi polielettronici. Questi effetti danno origine a un insie-
me di stati energetici più complesso di quello esistente nell’atomo di idrogeno e
a una separazione (splitting) dei livelli energetici. Per vedere questo risultato, pas-
siamo al terzo elemento, il litio, continuando ad aggiungere elettroni agli orbitali.
I primi due elettroni nello stato fondamentale del litio (Li; Z = 3) hanno gli stessi
insiemi di quattro numeri quantici degli elettroni nell’atomo di elio, quindi l’orbitale
1s del litio è occupato. Per definizione, gli elettroni di un atomo nel suo stato fondamentale
occupano gli orbitali di energia più bassa. Perciò, quando l’orbitale di energia più bassa
(l’orbitale 1s) è occupato, il terzo elettrone dell’atomo di litio deve andare nell’orbita-
le di energia più bassa successiva: l’orbitale 2s. I quattro numeri quantici per questo
elettrone sono n = 2, l = 0, ml = 0 e ms = + 12 . Ma il livello energetico con n = 2 ha
orbitali 2s e 2p; quindi, perché l’orbitale 2s ha energia inferiore a quella dell’orbitale 2p?
Come abbiamo notato alla fine del capitolo precedente, lo stato energetico
dell’atomo di idrogeno è determinato soltanto dal valore di n dell’orbitale occupato.

08txt.indd 234 15/05/19 15:17


Configurazione elettronica e periodicità chimica 235

Figura 8.2 Osservazioni


spettrali a conferma della
separazione (splitting) dei
livelli energetici negli atomi
polielettronici. Il fatto che le
righe spettrali di He sono più
numerose di quelle di H indica
Tutti i sottolivelli di un dato livello, quali 2s e 2p, hanno la stessa energia perché che un atomo di He ha dispo-
nibile un maggior numero di
l’unica interazione elettrostatica è l’attrazione nucleo-elettrone. D’altra parte, gli energie orbitaliche. Questa
stati energetici degli atomi polielettronici si originano da attrazioni nucleo‑elet- osservazione è compatibile con
trone e da repulsioni interelettroniche (elettrone-elettrone). Un’importante con- la separazione (splitting) dei
seguenza di queste attrazioni elettrostatiche addizionali è la separazione (splitting) livelli energetici in sottolivelli
dei livelli energetici in sottolivelli di differenti energie: l’energia di un orbitale in un atomo negli atomi polielettronici (con
più di un elettrone).
polielettronico dipende principalmente dal suo valore di n (dalla dimensione dell’orbitale)
e in parte dal suo valore di l (dalla forma dell’orbitale).
La prova a favore della separazione dei livelli energetici si osserva nel comples-
so spettro a righe degli atomi polielettronici. La Figura 8.2 mostra che l’elio, pur
avendo un solo elettrone in più rispetto all’idrogeno, presenta un numero molto
maggiore di righe spettrali, la qual cosa indica che nei suoi stati eccitati sono dispo-
nibili più energie orbitaliche.
Due fattori necessari per comprendere la separazione dei livelli energetici sono
descritti dalla legge di Coulomb (Paragrafo 2.7).
1. Maggiore è la distanza reciproca di due cariche di segno opposto, più debole
è la loro attrazione reciproca. Quando il nucleo e l’elettrone sono a grande
distanza reciproca, l’energia è più alta (il sistema è meno stabile) rispetto a
quando la loro distanza reciproca è piccola. (Vedi anche la Figura 1.3C).
2. Maggiori sono le due quantità di carica di segno opposto, più forte è l’attrazione.
Quando un nucleo di carica maggiore attrae un elettrone, l’energia è più bassa
(il sistema è più stabile) rispetto a quando un nucleo di carica minore attrae un
elettrone.
Applichiamo questi fattori, insieme alla regola fondamentale secondo cui cariche
di segno opposto si attraggono e cariche di stesso segno si respingono, per vedere
perché i livelli energetici si separano e, quindi, perché l’energia dell’orbitale 2s è
inferiore a quella dell’orbitale 2p.
I chimici misurano l’energia di un orbitale in termini dell’energia necessaria per
rimuovere un elettrone da quell’orbitale in un atomo [espressa come l’energia, in
kilojoule per mole (kJ/mol), necessaria per rimuovere 1 mol di elettroni da 1 mol di
atomi]. È necessaria più energia per rimuovere un elettrone in un orbitale più stabile
(di energia più bassa) che per rimuovere un elettrone in un orbitale meno stabile (di
energia più alta). È importante ricordare che, per definizione, l’energia di un atomo ha
un valore negativo. Più stabile è un orbitale, più bassa (più negativa) è la sua energia.
Confronteremo ora alcuni sistemi atomici per isolare l’effetto esercitato sul­ Questo e−
l’energia di un orbitale dalla carica nucleare, dalle repulsioni interelettroniche e dalla − è più facile
da rimuovere
forma dell’orbitale.
+ Questo orbitale
L’effetto della carica nucleare (Z) sull’energia dell’orbitale Per isolare l’ef- −1311
H 1s
è meno stabile
Energia (kJ/mol)

fetto della carica nucleare, confrontiamo l’atomo di H e lo ione He+. Entrambi


questi sistemi atomici hanno un solo elettrone nell’orbitale 1s, ma hanno differenti
Questo e− è
cariche nucleari: l’atomo di H ha una carica nucleare 1+ e lo ione He+ ha una carica − più difficile
nucleare 2+ (Figura 8.3). Le energie degli orbitali sono da rimuovere

E di 1s in He+ = −5250 kJ/mol e E di 1s in H = −1311 kJ/mol 2+


Questo orbitale
+ −5250 He+ 1s è più stabile
Come indica l’energia dell’orbitale più negativa, l’elettrone in He è più difficile
da rimuovere perché esso è in un orbitale più stabile (di energia più bassa), in Figura 8.3 L’effetto della
conseguenza della sua più forte attrazione verso il nucleo. Perciò, la maggiore carica cari­ca nucleare. L’aumento
nucleare abbassa l’energia dell’orbitale (stabilizza il sistema) aumentando le attrazioni della carica nucleare fa diminui-
nucleo-elettrone. re l’energia dell’orbitale.

08txt.indd 235 15/05/19 15:17


236 Capitolo 8

− Un e− rende Schermatura: l’effetto delle repulsioni interelettroniche sull’energia degli


l'altro e− orbitali Consideriamo ora l’effetto di elettroni addizionali. Esaminiamo separata-
più facile
− da rimuovere mente gli effetti di altri elettroni nello stesso orbitale e in orbitali interni.
2+ Questo orbitale
−2372 è meno stabile 1. Elettrone addizionale nello stesso orbitale. Per isolare l’effetto di un altro elettrone nel-
He 1s lo stesso orbitale, confrontiamo l’atomo di He e lo ione He+. Entrambi questi sistemi
Energia (kJ/mol)

atomici hanno una carica nucleare 2+, ma He ha due elettroni nell’orbitale 1s mentre

Questo e− He+ ne ha soltanto uno (Figura 8.4). Le energie degli orbitali sono
è più difficile
da rimuovere E di 1s in He+ = −5250 kJ/mol e E di 1s in He = −2372 kJ/mol
2+ Questo orbitale Per rimuovere un elettrone da He occorre all’incirca la metà dell’energia che è ne-
−5250 è più stabile
He 1s+ cessaria per rimuoverlo da He+. Perché il secondo elettrone nell’atomo di He rende
molto più facile rimuovere un elettrone? Ciascun elettrone “percepisce” non soltanto
Figura 8.4 L’effetto di un l’attrazione nucleare, ma anche la repulsione esercitata dall’altro elettrone. Questa
elettrone addizionale nello
stesso orbitale. Ciascuno dei
repulsione compensa in parte l’attrazione e facilita la rimozione di ciascun elettro-
due elettroni scherma parzial- ne, cosicché l’orbitale 1s di He è meno stabile (ha un’energia più alta). Si potrebbe
mente l’altro nei confronti della pensare che questo elettrone spinga via l’altro. Perciò, un elettrone addizionale innalza
carica nucleare completa e l’energia dell’orbitale mediante repulsioni interelettroniche. È quasi come se ciascun elet-
aumenta l’energia dell’orbitale. trone “schermasse” l’altro elettrone dall’influenza esercitata dall’intera carica nuclea­re.
Questa schermatura (o schermaggio o effetto di schermo) riduce l’intera carica nucle-
are a una carica nucleare effettiva (o efficace) (Zeff), cioè la carica nucleare a cui un
elettrone è soggetto effettivamente. (Gli altri elettroni nello stesso sottolivello hanno un
2s effetto simile). Perciò, la rimozione di un elettrone è facilitata dalla schermatura per opera
1s
Questo e− degli altri elettroni.
− è più facile

da rimuovere 2. Elettroni addizionali in orbitali interni. Per isolare l’effetto di elettroni addizionali
− negli orbitali interni, confronteremo sistemi atomici un po’ insoliti: l’atomo di Li
3+ Questo orbitale
−520 è meno stabile nello stato fondamentale e lo ione Li2+ nel primo stato eccitato. Entrambi i sistemi
Li 2s
hanno una carica nucleare 3+. L’atomo di Li ha due elettroni interni (1s) e un elet-
trone esterno (2s); lo ione Li2+ ha un solo elettrone che, nel primo stato eccitato,
Energia (kJ/mol)

2s

Questo e−
occupa l’orbitale 2s (Figura 8.5). Le energie degli orbitali sono
1s − è più difficile
da rimuovere E di 2s in Li 2+ = −2954 kJ/mol e E di 2s in Li = −520 kJ/mol

3+ Questo orbitale
Per rimuovere l’elettrone 2s dall’atomo di Li è necessaria una quantità di energia
−2954 è più stabile pari a circa 1/6 di quella che occorre per rimuoverlo dallo ione Li2+. Gli elettroni
Li2+ 2s
interni (1s), trascorrendo quasi tutto il loro tempo tra l’elettrone esterno (2s) e il
Figura 8.5 L’effetto di altri nucleo, schermano molto efficacemente l’elettrone 2s dall’attrazione nucleare; ciò
elettroni in orbitali interni. rende molto più facile rimuovere l’elettrone 2s nell’atomo di Li. Chiaramente, gli
Gli elettroni interni schermano elettroni interni schermano gli elettroni esterni più efficacemente di quanto facciano gli
molto efficacemente gli elettroni
esterni e aumentano notevol-
elettroni presenti nello stesso sottolivello.
mente l’energia dell’orbitale.
Penetrazione: l’effetto della forma dell’orbitale sulla sua energia Per iso-
lare l’effetto della forma dell’orbitale, confronteremo l’atomo di Li nel suo stato
fondamentale e l’atomo di Li nel suo primo stato eccitato. I due sistemi atomici
sono identici, eccettuato il fatto che l’elettrone esterno occupa orbitali con dif-
ferenti valori di l. Oltre all’orbitale 1s occupato, l’atomo di Li nello stato fonda-
mentale ha un elettrone nell’orbitale 2s, mentre l’atomo di Li nel suo primo stato
eccitato ha il suo terzo elettrone in un orbitale 2p. Le energie degli orbitali sono
E di 2s nel Li = −520 kJ/mol e E di 2p nel Li = −341 kJ/mol
Perché l’orbitale 2s è più stabile (ha un’energia più bassa)? Sulle prime, ci si potreb-
be attendere che l’elettrone 2s possa essere rimosso più facilmente perché, come
mostra il diagramma nella Figura 8.6, un elettrone 2s (curva blu) è, in media, un po’
più lontano dal nucleo rispetto a un elettrone 2p (curva arancio). Ma è importante
notare che una piccola porzione della distribuzione di probabilità radiale dell’orbi-
tale 2s compare molto vicino al nucleo. In effetti, l’elettrone 2s trascorre una parte
del suo tempo molto vicino al nucleo. Questa penetrazione aumenta l’attrazione

08txt.indd 236 15/05/19 15:17


Configurazione elettronica e periodicità chimica 237

Figura 8.6 L’effetto


della for­­ma dell’orbitale.
Le distribuzioni di probabilità
radiale indicano che un elet-
trone 2s trascorre la mag-
gior parte del suo tempo più
lontano dal nucleo rispetto
a un elettrone 2p, ma pene-
tra in prossimità del nucleo
per una piccola fra­zione del
tempo. Questa penetrazione
da parte del­l’elettrone 2s
aumenta la sua attrazione
verso il nucleo e, quindi,
abbassa l’energia dell’orbi-
tale.

complessiva dell’elettrone 2s verso il nucleo e gli permette di schermare meglio


­l’elettrone 2p. Al tempo stesso, l’elettrone 2p è meno capace di schermare l’elettrone
2s. Di conseguenza, è più facile rimuovere l’elettrone 2p che l’elettrone 2s.
In generale, la penetrazione e il conseguente effetto sulla schermatura fanno sì che
un livello energetico si separi in sottolivelli. Minore è il valore di l di un orbitale, mag-
giore è la penetrazione dei suoi elettroni e quindi maggiore è la loro attrazione ver-
so il nucleo. Perciò, per un dato valore di n, minore è il valore di l più bassa è l’energia
dei sottolivelli:
ordine delle energie dei sottolivelli: s < p < d < f

Perciò, l’energia dell’orbitale 2s (l = 0) è inferiore a quella dell’orbitale 2p (l = 1),


l’energia dell’orbitale 3p (l = 1) è inferiore a quella dell’orbitale 3d (l = 2), e così via.
La Figura 8.7 mostra l’ordine generale delle energie in cui i livelli e i sottolivelli
si riempiono di elettroni. È importante notare come un dato livello energetico (va-
lore di n) si separa in più sottolivelli (valori di l) di differenti energie. Useremo più
avanti questo ordine delle energie per riempire di elettroni gli orbitali e costruire
Figura 8.7 Ordine di riempi­
una tavola periodica degli atomi nello stato fondamentale. mento dei sottolivelli energe­
tici con elettroni. Per il riempi-
mento degli atomi polielettroni-
8.3 IL MODELLO QUANTOMECCANICO ci, le e­nergie relative dei sotto-
E LA TAVOLA PERIODICA livelli aumentano all’aumentare
del numero quantico principale
La meccanica quantistica fornisce le basi teoriche per la tavola periodica basata sulle n (1 < 2 < 3 ecc.) e all’aumen-
osservazioni sperimentali. In questo paragrafo riempiremo di elementi la tavola e tare del numero quantico del
determineremo le loro configurazioni elettroniche: le distribuzioni degli elettroni momento angolare l (s < p < d
< f ). È importante notare anche
negli orbitali dei loro atomi. Si noti, in particolare, la periodicità ricorrente nelle con-
che, all’aumentare di n, le ener-
figurazioni elettroniche, che è la base della periodicità ricorrente nel comportamento degli gie dei sottolivelli si ravvicinano.
elementi. L’effetto di penetrazione, insie-
me a questa diminuzione delle
Costruzione dei Periodi 1 e 2 differenze di energia, determina
la parziale sovrapposizione di
Un metodo utile per determinare le configurazioni elettroniche degli elementi è alcuni sottolivelli; per esempio,
partire dall’inizio della tavola periodica e aggiungere un elettrone per elemento il sottoli­vello 4s ha un’energia
all’orbitale di energia più bassa disponibile. (Ovviamente, si aggiungono al nucleo an- lievemente inferiore a quella
del sottolivello 3d e, quindi,
che un protone e uno o più neutroni.) Questo approccio, noto come principio di viene riempito per primo. (Le
Aufbau (“costruzione” in tedesco), fornisce le configurazioni elettroniche dello sta- linee sono rappresentate con un
to fondamentale. Assegniamo gli insiemi dei numeri quantici agli elettroni nello stato codice a colori secondo il tipo
fondamentale dei primi 10 elementi, quelli nei primi due periodi (righe orizzontali). di sottolivello e hanno differenti
Per l’elettrone in H, come abbiamo visto, l’insieme dei quattro numeri quantici è lunghezze soltanto per facilitare
la scrittura delle rispettive deno-
H (Z = 1): n = 1, l = 0, ml = 0, ms = + 12 minazioni).

08txt.indd 237 15/05/19 15:17


238 Capitolo 8

Abbiamo visto anche che il primo elettrone in He ha lo stesso insieme dell’elet-


trone in H, ma il secondo elettrone in He ha spin antiparallelo (per il principio di
esclusione):
=
He (Z 2):=
n 1,=l =l
0, m 0, m=
s − 12
Quando presentiamo un elemento e il suo numero atomico (Z) in questa trat-
tazione, i numeri quantici che seguono si riferiscono all’ultimo elettrone aggiunto
all’elemento. [Ovviamente, un atomo è elettricamente neutro, e quindi il numero
di protoni (Z) è uguale al numero totale di elettroni].
Prima di procedere, presentiamo due metodi comuni per rappresentare l’occu-
pazione degli orbitali.
1. La configurazione elettronica. Questa notazione concisa comprende il livello
energetico principale (valore di n), la designazione letterale del sottolivello
(valore di l) e il numero di elettroni (#) nel sottolivello, scritto come apice: nl#.
La configurazione elettronica di H è 1s1 (che si legge “uno esse uno”); quella di
He è 1s2 (che si legge “uno esse due”, non “uno esse quadrato”). Questa nota-
zione non indica lo spin elettronico ma presuppone che si sappia che i due
elettroni 1s hanno spin appaiati (antiparalleli).
2. Il diagramma degli orbitali. Un diagramma degli orbitali è costituito da una
casella (o da un cerchio o semplicemente da una linea) per ciascun orbitale in
un dato livello energetico, con i livelli raggruppati per sottolivelli, e con una
freccia che indica la presenza di un elettrone e la direzione orientata del suo
spin. [Tradizionalmente, la freccia ↑ orientata all’insù indica + 12 e la freccia ↓
orientata all’ingiù indica − 12 , ma queste convenzioni sono arbitrarie; è suffi-
ciente essere coerenti. In tutto il libro, l’occupazione degli orbitali è indicata
anche con l’intensità del colore: un orbitale senza colore è vuoto, il colore
chiaro significa che l’orbitale è semipieno (o semioccupato) e il colore scuro
significa che è pieno (od occupato)].
Le configurazioni elettroniche e i diagrammi degli orbitali per i primi due elementi
sono
H (Z = 1) 1s1 He (Z = 2) 1s2
1s 1s
Il principio di esclusione ci dice che un orbitale può contenere soltanto due
elettroni, quindi l’orbitale 1s in He è pieno, ed è pieno anche il livello con n =
1. Poi viene riempito il livello con n = 2, a cominciare dall’orbitale 2s, il succes-
sivo orbitale di energia più bassa. Come abbiamo detto precedentemente, i primi
due elettroni nel Li riempiono l’orbitale 1s e l’ultimo elettrone aggiunto al Li ha
numeri quantici n = 2, l = 0, ml = 0, ms = + 12 . La configurazione elettronica del
Li è 1s22s1. Si noti che il diagramma degli orbitali mostra tutti gli orbitali per
n = 2, siano o no occupati:
Li (Z = 3) 1s22s1
1s 2s 2p
Si tenga presente che l’energia dei sottolivelli (ciascun gruppo di caselle è un sotto-
2p
livello) aumenta da sinistra a destra. La Figura 8.8 mette in evidenza questo ordine
delle energie disponendo verticalmente i sottolivelli.
2s
Con l’orbitale 2s soltanto semipieno nel Li, il quarto elettrone del berillio lo
Energia, E

riempie con lo spin elettronico antiparallelo: n = 2, l = 0, ml = + 12 .

1s

Figura 8.8 Un diagramma Il successivo sottolivello di energia più bassa è il sottolivello 2p. Il sottolivello p ha
verticale degli orbitali per lo
stato fondamentale del Li.
l = 1, quindi i valori di ml (orientamento) possono essere −1, 0 o +1. I tre orbitali nel
L’energia dei sottolivelli aumen- sottolivello 2p hanno uguale energia (stessi valori di n e di l), la qual cosa significa che
ta dal basso verso l’alto. il quinto elettrone del boro può andare in qualsiasi degli orbitali 2p. Per comodità,

08txt.indd 238 15/05/19 15:17


Configurazione elettronica e periodicità chimica 239

contrassegniamo le caselle da sinistra a destra, −1, 0, +1. Per convenzione, collochia-


mo l’elettrone nell’orbitale con ml = −1:= n 2,= l 1, m=l −1, ms = + 12 .

Per ridurre al minimo le repulsioni interelettroniche, l’ultimo elettrone aggiunto (il


sesto) del carbonio entra in uno degli orbitali 2p non occupati; per convenzione, lo
collochiamo nell’orbitale con ml = 0. I dati sperimentali indicano che lo spin di
questo elettrone è parallelo (stessa direzione e stesso verso) allo spin dell’altro elet-
trone 2 p: n = 2, l = 1, ml = 0, ms = + 12 .

La collocazione degli elettroni per il carbonio esemplifica la regola di Hund:


quando sono disponibili orbitali della stessa energia, la configurazione elettronica
di energia più bassa ha il numero massimo di elettroni spaiati con spin paralleli. In
base alla regola di Hund, il settimo elettrone dell’azoto entra nell’ultimo orbitale
2p vuoto, con il suo spin parallelo agli spin degli altri due elettroni 2 p: n = 2,
l= 1, ml = +1, ms = + 12 .

L’ottavo elettrone nell’ossigeno deve entrare in uno di questi tre orbitali 2p semi-
pieni e “appaiarsi” con l’elettrone già presente ossia avere spin antiparallelo a quello
di questo elettrone. Poiché gli orbitali 2p hanno tutti la stessa energia, procediamo
come prima e collochiamo l’elettrone nell’orbitale precedentemente de­ signato
ml =−1. I numeri quantici sono= n 2,= =l −1, ms = − 12 .
l 1, m

Il nono elettrone del fluoro entra nell’uno o nell’altro dei due orbitali 2p semipieni
restanti:=
n 2,= l 1, m= l =
0, m s − 12 .

Nel sottolivello 2p rimane un solo orbitale non occupato e quindi viene occupato
dal decimo elettrone del neon: n ==2, l 1, ml = +1, ms =− 12 . Con il neon, il livello
con n = 2 è pieno.

Determinazione dei numeri quantici in base ai diagrammi


degli orbitali
PROBLEMA DI VERIFICA 8.1
Problema Si scriva un insieme di quattro numeri quantici per il terzo elettrone e un insie-
me per l’ottavo elettrone dell’atomo di F.
Piano Basandoci sul diagramma degli orbitali, contiamo fino all’elettrone di interesse e notia-
mo il suo livello (n), il sottolivello (l), l’orbitale (ml) e la direzione orientata dello spin (ms).
Risoluzione Il terzo elettrone è nell’orbitale 2s. La freccia orientata all’insù indica uno spin
pari a + 12 :
n = 2, l = 0, ml = 0, ms = + 12

08txt.indd 239 15/05/19 15:18


240 Capitolo 8

L’ottavo elettrone è nel primo orbitale 2p, designato con ml = −1, e ha una freccia orientata
all’ingiù:
=
n 2,= =
l 1, ml −1, ms = − 12

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.1 Usando la tavola periodica, si iden-


tifichi l’elemento con la configurazione elettronica 1s22s22p4. Si scrivano il diagramma degli
orbitali e i quattro numeri quantici del suo sesto elettrone.

Dopo avere dedicato così tanta attenzione a queste notazioni, è facile dimenticare
che gli atomi sono corpi sferici reali e che gli elettroni occupano volumi con for-
me e orientamenti specifici. La Figura 8.9 mostra i primi 10 elementi organizzati
in forma di tavola periodica, con la raffigurazione delle superfici di contorno degli
orbitali.
Anche in questo stadio iniziale di completamento della tavola periodica, sia-
mo in grado di stabilire un’importante correlazione tra comportamento chimico e
configurazione elettronica: gli elementi nello stesso gruppo hanno configurazioni
elettroniche esterne simili. Per esempio, l’elio (He) e il neon (Ne) nel Gruppo 8A(18)
hanno livelli esterni occupati (n = 1 nel caso dell’elio e n = 2 nel caso del neon)
e nessuno dei due elementi forma composti. A quanto pare, i livelli esterni occupati
rendono non reattivi questi elementi.

Figura 8.9 Occupazione Costruzione del Periodo 3


de­­gli orbitali per i primi 10
elementi, da H a Ne. I primi Gli elementi del Periodo 3, dal sodio all’argon, sono situati direttamente sotto gli
10 elementi sono disposti in una elementi del Periodo 2, dal litio al neon. Via via che gli orbitali si riempiono, si
forma della tavola periodica notino le similarità di gruppo nella configurazione elettronica esterna. I sottolivelli del
in cui in ciascuna casella sono
indicati il numero atomico, il
livello con n = 3 vengono riempiti nell’ordine 3s, 3p, 3d. La Tabella 8.3 presenta i
simbolo atomico, la configura- diagrammi parziali degli orbitali (soltanto i sottolivelli 3s e 3p) e le configurazioni
zione elettronica dello stato fon- elettroniche per gli otto elementi nel Periodo 3 (con i livelli interni occupati tra
damentale, e una raffigurazione parentesi quadre e il sottolivello a cui è aggiunto l’ultimo elettrone in caratteri in
dell’a­to­mo basata sulle super- colore).
fici di contorno a probabilità
costante dei suoi orbitali.
Nel sodio (il secondo metallo alcalino) e nel magnesio (il secondo metallo alca-
L’occupazione degli orbitali è lino-terroso) si aggiungono elettroni al sottolivello 3s, che contiene soltanto l’orbi-
rappresentata con l’ombreggia- tale 3s, così com’è avvenuto per il sottolivello 2s nei sovrastanti litio e berillio. Poi,
tura: il colore più chiaro indica come nel caso del boro, del carbonio e dell’azoto nel Periodo 2, l’ultimo elettrone
orbitali semipieni (un solo e−) e aggiunto all’alluminio, al silicio e al fosforo nel Periodo 3 riempie parzialmente
il colore più scuro indica orbitali
pieni (due e−). Per chiarezza, è
ciascuno degli orbitali 3p con spin paralleli (regola di Hund). Gli ultimi elettroni ag-
inclusa soltanto la regione ester- giunti allo zolfo, al cloro e all’argon entrano in ciascuno degli orbitali 3p semipieni,
na dell’orbitale 2s. riempiendo così il sottolivello 3p. Con l’argon, il gas nobile successivo dopo l’elio e

08txt.indd 240 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 241

il neon, si giunge alla fine del Periodo 3. (Come vedremo tra poco, gli orbitali 3d si
riempiono nel Periodo 4).
L’ultima colonna nella Tabella 8.3 presenta la configurazione elettronica conden-
sata. In questa notazione semplificata, la configurazione elettronica del gas nobile
precedente è rappresentata con il simbolo del suo elemento tra parentesi qua-
dre ed è seguita dalla configurazione elettronica del livello energetico che vie-
ne riem­pito. Per esempio, la configurazione elettronica condensata dell’ossigeno è
[He] 2s22p4, dove [He] rappresenta 1s2; quella del sodio è [Ne] 3s1, dove [Ne] rappre-
senta 1s22s22p6 (come mostra la Tabella 8.3); e così via.

Configurazioni elettroniche entro i gruppi


Uno dei punti centrali in tutta la chimica è il fatto che configurazioni elettroniche
esterne simili sono correlate con comportamenti chimici simili. La Figura 8.10 mostra le
configurazioni elettroniche condensate dei primi 18 elementi. Si notino le similari-
tà entro ciascun gruppo. Seguono alcuni esempi tratti da due soli gruppi.
• Nel Gruppo 1A(1), il litio e il sodio hanno la configurazione elettronica con-
densata [gas nobile] ns1 (dove n è il numero quantico del livello energetico più
esterno), così come l’hanno tutti gli altri metalli alcalini (K, Rb, Cs, Fr). Tutti
questi elementi sono metalli altamente reattivi che formano composti ionici
Figura 8.10 Configurazioni
elettroniche condensate dello
stato fondamentale nei primi
tre periodi. I primi 18 elemen-
ti, da H ad Ar, sono disposti in
tre periodi contenenti 2, 8 e 8
elementi. In ciascuna casella
sono indicati il numero atomico,
il simbolo atomico e la configu-
razione elettronica condensata
dello stato fondamentale. È im-
portante notare che gli elementi
in un gruppo hanno configura-
zioni elettroniche esterne simili
(in colore).

08txt.indd 241 15/05/19 15:18


242 Capitolo 8

Figura 8.11 Reattività simili


in un gruppo. A. Reazione del
metallo potassio con l’acqua.
Tutti i metalli alcalini [Gruppo
1A(1)] reagiscono vi­gorosamente
con l’acqua e sostituiscono H2.
B. Reazione del cloro col metallo
potassio. Tutti gli alogeni [Grup-
po 7A(17)] reagiscono con i me-
talli per formare alogenuri ionici.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

con non metalli con formule quali MCl, M2O e M2S (dove M rappresenta il
metallo alcalino) e tutti reagiscono vigorosamente con l’acqua per sostituire H2
(Figura 8.11A).
• Nel Gruppo 7A(17), il fluoro e il cloro hanno la configurazione elettronica
condensata [gas nobile] ns2np5, così come l’hanno gli altri alogeni (Br, I, At).
L’astato (At), raro e radioattivo, è poco conosciuto, ma tutti gli altri elementi
sono non metalli reattivi che esistono come molecole biatomiche, X2 (dove X
rappresenta l’alogeno). Tutti formano composti ionici con i metalli (KX, MgX2)
(Figura 8.11B), composti covalenti con l’idrogeno (HX) i quali danno soluzioni
acide in acqua, e composti covalenti con il carbonio (CX4).
Riassumendo, l’importante connessione tra meccanica quantistica e periodicità chi-
mica è questa: gli orbitali si riempiono in ordine di energia crescente, dando origine a
configurazioni elettroniche esterne che ricorrono periodicamente, dando origine a proprie-
tà chimiche che ricorrono periodicamente.

La prima serie di transizione con riempimento degli orbitali d :


costruzione del Periodo 4
Il riempimento degli orbitali 3d avviene con gli elementi del Periodo 4. Ma è impor-
tante notare che l’orbitale 4s è riempito prima dell’orbitale 3d. Questo cambiamento
nell’ordine di riempimento è dovuto agli effetti di schermatura e penetrazione
che abbiamo esaminato nel Paragra­fo 8.2. La distribuzione di probabilità radiale
dell’orbitale 3d è maggiore all’esterno dei livelli interni pieni con n = 1 e n = 2 e
quindi un elettrone 3d è schermato molto efficacemente nei confronti della carica
nucleare. Per contro, la penetrazione da parte dell’elettrone 4s significa che esso
trascorre una parte rilevante del suo tempo in prossimità del nucleo e “percepisce”
una maggiore attrazione nucleare. Perciò, l’orbitale 4s ha un’energia lievemente
inferiore a quella dell’orbitale 3d e, quindi, si riempie per primo. Analogamente,
l’orbitale 5s si riempie prima dell’orbitale 4d, e l’orbitale 6s si riempie prima dell’or-
bitale 5d. Quindi, in generale, il sottolivello ns si riempie prima del sottolivello (n − 1)d.
Però, quando percorreremo la serie di transizione, incontreremo eccezioni a questo
schema perché le energie dei sottolivelli ns e (n − 1)d diventano estremamente
vicine all’aumentare del valore di n.
La Tabella 8.4 mostra i diagrammi parziali degli orbitali e le configurazioni
elettroniche dello stato fondamentale dei 18 elementi del Periodo 4 (di nuovo
con i livelli interni pieni tra parentesi quadre e il sottolivello a cui è stato ag-
giunto l’ultimo elettrone in caratteri in colore). I primi due elementi del periodo,
il potassio e il calcio, sono, rispettivamente, il successivo metallo alcalino e il
successivo metallo alcalino-terroso e i loro elettroni riempiono il sottolivello 4s.

08txt.indd 242 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 243

Il terzo elemento, lo scandio (Z = 21), è il primo degli elementi di transizio-


ne, quelli in cui vengono riempiti gli orbitali d. Nello scandio, l’ultimo elettrone
occupa uno qualsiasi dei cinque orbitali 3d perché essi hanno la stessa energia. Lo
scandio ha la configurazione elettronica [Ar] 4s23d1.
Il riempimento degli orbitali 3d procede uno alla volta, come negli orbitali p,
tranne che in due casi: il cromo (Z = 24) e il rame (Z = 29). Il vanadio (Z = 23),
l’elemento prima del cromo, ha tre orbitali d semipieni ([Ar] 4s23d3). Nel cromo non
Cr (Z = 24) [Ar] 4s13d5
avviene che l’ultimo elettrone entri in un quarto orbitale d vuoto per dare
[Ar] 4s23d4; invece, vi sono un elettrone nel sottolivello 4s e cinque elettroni nel
sottolivello 3d. Perciò, sia il sottolivello 4s sia il sottolivello 3d sono semipieni (vedi 4s 3d 4p
figura a margine).
L’altro schema di riempimento anomalo è rappresentato dal rame. Dopo il ni-
chel ([Ar] 4s23d8), ci si attenderebbe che il rame abbia la configurazione [Ar] 4s23d9.
Invece, l’orbitale 4s del rame è semipieno (1 elettrone) e gli orbitali 3d sono pieni
Cu (Z = 29) [Ar] 4s13d10
di 10 elettroni (vedi figura a margine). Gli schemi di riempimento anomali nel Cr e
nel Cu inducono a concludere che i livelli semipieni e pieni sono inaspettatamente
stabili. Sono i primi due casi di uno schema che si osserva con molti altri elementi. 4s 3d 4p

08txt.indd 243 15/05/19 15:18


244 Capitolo 8

Nello zinco, i sottolivelli 4s e 3d sono completamente pieni e la prima serie di


tran­sizione termina. Come è mostrato nella Tabella 8.4, il sottolivello 4p viene
poi riempito nei sei elementi successivi. Il Periodo 4 termina con il cripton, il gas
nobile successivo.

Principi generali delle configurazioni elettroniche


Oltre ai 36 elementi che abbiamo considerato esistono altri 77 elementi noti. Esa-
miniamo le configurazioni elettroniche degli stati fondamentali per mettere in ri-
lievo alcuni concetti essenziali.

Configurazioni elettroniche esterne simili entro un gruppo Ripetendo


uno dei temi centrali della chimica e la chiave all’utilità della tavola periodica:
gli elementi in un gruppo hanno proprietà chimiche simili perché hanno configurazio-
ni elettroniche esterne simili (Figura 8.12). Tra gli elementi dei gruppi principali
• Aiuti mnemonici per la (gruppi A) – gli elementi del blocco s e del blocco p – le configurazioni elettroni-
che esterne in un gruppo sono essenzialmente identiche, come è indicato dalle
ta­vo­la periodica Se non si ha
a portata di mano una tavola perio­ intestazioni dei gruppi nella Figu­ra 8.12. Come vedremo, esistono alcune varianti
dica, questa disposizione dei sotto- negli elementi di transizione (grup­pi B, blocco d) e negli elementi di transizione
livelli è in grado di richiamare alla
interna (blocco f ).
memoria l’ordine di riempimen-
to. Elencate i sottolivelli come è
indicato nella figura soprastante e Ordine di riempimento degli orbitali Quando “si costruiscono” progressiva-
leggete partendo da 1s, seguendo mente gli elementi riempiendo i livelli e i sottolivelli in ordine di energia crescen-
la direzione orientata delle frecce. te, si ottiene la sequenza effettiva degli elementi nella tavola periodica. Perciò, leg-
Notate che:
gendo la tavola da sinistra a destra, come si leggono le righe di una pagina stampata,
• i valori di n sono costanti orizzon-
talmente; si ottiene l’ordine energetico dei livelli e dei sottolivelli, come è mostrato nella
• i valori di l sono costanti verti- Figura 8.13. L’organizzazione della tavola periodica è di certo il modo migliore di
calmente; imparare l’ordine di riempimento degli orbitali degli elementi.
• i valori combinati di n + l sono
costanti diagonalmente. Categorie di elettroni Esaminando la tavola periodica, si possono distinguere tre
categorie di elettroni.
1. Elettroni interni (o elettroni di core). Gli elettroni interni (o elettroni di core)
sono quelli nel gas nobile precedente e in ogni serie di transizione completata.
Riempiono tutti i livelli energetici inferiori di un atomo.
2. Elettroni esterni. Gli elettroni esterni sono quelli nel livello energetico più alto
(valore di n più alto). Trascorrono la maggior parte del loro tempo alla massima
distanza dal nucleo.
3. Elettroni di valenza. Gli elettroni di valenza sono quelli che intervengono
nella formazione dei composti. Negli elementi dei gruppi principali, gli elettroni di
valenza sono gli elettroni esterni. Negli elementi di transizione, nella formazio-
ne del legame intervengono spesso anche alcuni elettroni d interni, che sono
annoverati tra gli elettroni di valenza.
Numero del gruppo e numero del periodo La tavola periodica contiene parec-
chie informazioni essenziali.
1. Negli elementi dei gruppi principali (Gruppi A), il numero del gruppo è uguale
al numero degli elettroni esterni (quelli con il valore di n più alto). Per esem-
pio, il cloro (Cl; Periodo 3, Gruppo 7A) ha 7 elettroni esterni, il tellurio (Te;
Periodo 5, Gruppo 6A) ne ha 6 e così via.
2. Il numero del periodo è il valore di n del livello energetico più alto. Così, nel Perio­
do 2, il livello con n = 2 ha l’energia più alta; nel Periodo 5, è il livello con
n = 5.
3. Il valore di n elevato al quadrato (n2) dà il numero totale di orbitali in quel livello
energetico. Poiché un orbitale non può contenere più di due elettroni (principio
di esclusione), 2n2 dà il numero massimo di elettroni (o di elementi) in quel livel-
lo energetico. Per esempio, nel caso del livello con n = 3, il numero di orbitali è

08txt.indd 244 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 245

n2 = 9: un orbitale 3s, tre orbitali 3p e cinque orbitali 3d. Il numero di elettroni


è 2n2, ossia 18: due elettroni 3s e sei elettroni 3p sono presenti negli 8 elementi
del Pe­rio­do 3, e dieci elettroni 3d sono aggiunti nei 10 elementi di transizione
del Perio­do 4.

Elementi dei Figura 8.12 Una tavola periodica di configurazioni elettro­


niche parziali dello stato fondamentale. Queste configurazioni Elementi dei gruppi principali
gruppi principali
(blocco p)
(blocco s) elettroniche dello stato fondamentale mostrano gli elettroni
oltre il gas nobile precedente nel blocco di sottolivelli che viene
1A 8A
riempito (esclusi i sottolivelli interni occupati). Per gli elementi
(1) (18)
dei gruppi principali, l’intestazione del gruppo identifica la
ns1 ns2np6
configurazione esterna generale. Sono presenti spesso configu-
1 2A razioni elettroniche anomale tra gli elementi dei blocchi d e f; 3A 4A 5A 6A 7A 2
1 H (2) le prime due compaiono per Cr (Z = 24) e Cu (Z = 29). L’elio è (13) (14) (15) (16) (17) He
Numero del periodo: più alto livello energetico occupato

1s1 ns2 colorato come elemento del blocco s ma è collocato con gli altri ns2np1 ns2np2 ns2np3 ns2np4 ns2np5 1s2

3 4 membri del Gruppo 8A(18). 5 6 7 8 9 10


2 Li Be B C N O F Ne
2s1 2s2 Elementi di transizione 2s22p1 2s22p2 2s22p3 2s22p4 2s22p5 2s22p6
(blocco d)
11 12 13 14 15 16 17 18
3 Na Mg 3B 4B 5B 6B 7B 8B 1B 2B Al Si P S Cl Ar
3s1 3s2 (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12) 3s23p1 3s23p2 3s23p3 3s23p4 3s23p5 3s23p6

19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
4 K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr
4s1 4s2 4s23d1 4s23d2 4s23d3 4s13d5 4s23d5 4s23d6 4s23d7 4s23d8 4s13d10 4s23d10 4s24p1 4s24p2 4s24p3 4s24p4 4s24p5 4s24p6

37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
5 Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe
5s1 5s2 5s24d1 5s24d2 5s14d4 5s14d5 5s24d5 5s14d7 5s14d8 4d10 5s14d10 5s24d10 5s25p1 5s25p2 5s25p3 5s25p4 5s25p5 5s25p6

55 56 57 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
6 Cs Ba La* Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn
6s1 6s2 6s25d1 6s25d2 6s25d3 6s55d4 6s25d5 6s25d6 6s25d7 6s15d9 6s15d10 6s25d10 6s26p1 6s26p2 6s26p3 6s26p4 6s26p5 6s26p6

87 88 89 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118
7 Fr Ra Ac** Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn Nh Fl Mc Lv Ts Og
7s1 7s2 7s26d1 7s26d2 7s26d3 7s26d4 7s26d5 7s26d6 7s26d7 7s26d8 7s26d9 7s26d10 7s27p1 7s27p2 7s27p3 7s27p4 7s27p5 7s27p6

Elementi di transizione interna (blocco f)


58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
6 *Lantanidi Ce Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lu
6s24f 15d1 6s24f 3 6s24f 4 6s24f 5 6s24f 6 6s24f 7 6s24f 75d1 6s24f 9 6s24f 10 6s24f 11 6s24f 12 6s24f 13 6s24f 14 6s24f 145d1

90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103


7 **Attinidi Th Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No Lr
7s26d2 7s25f 26d1 7s25f 36d1 7s25f 36d1 7s25f 6 7s25f 7 7s25f 76d1 7s25f 9 7s25f 10 7s25f 11 7s25f 12 7s25f 13 7s25f 14 7s24f 146d1

Figura 8.13 La relazione tra riempimento degli orbitali e tavola periodica. Se “leggiamo” i periodi come le parole di una
pagina stampata, gli elementi sono disposti in blocchi di sottolivelli che si presentano in ordine di energia crescente. Questa for-
ma della tavola periodica mostra i blocchi di sottolivelli. (I blocchi f si inseriscono tra il primo e il secondo elemento dei blocchi d
nei Perio­di 6 e 7). Riquadro in verde: una versione semplice dell’ordine dei sottolivelli.

08txt.indd 245 15/05/19 15:18


246 Capitolo 8

Schemi complessi: gli elementi di transizione e gli elementi


di transizione interna
I Periodi 4, 5, 6 e 7 comprendono gli elementi di transizione del blocco d. Lo sche-
ma generale, come abbiamo visto, è che gli orbitali (n − 1)d si riempiono dopo gli
orbitali ns e prima degli orbitali np. Perciò, il Periodo 5 segue lo stesso schema ge-
nerale del Periodo 4. Nel Periodo 6, il sottolivello 6s si riempie nel cesio (Cs) e nel
bario (Ba); segue il lantanio (La; Z = 57), il primo membro della serie di transizione
5d. A questo punto, si inserisce la prima serie di elementi di transizione inter-
na, quelli in cui si riempiono gli orbitali f (Figura 8.13). Gli orbitali f hanno l = 3,
quindi i valori possibili di ml sono −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3; cioè, esistono 7 orbi-
tali f per un totale di 14 elementi in ciascuna delle due serie di transizione interna.
La serie di transizione interna del Periodo 6 riempie gli orbitali 4f ed è costi-
tuita dai lantanidi (o terre rare), così chiamati perché seguono il lantanio e hanno
proprietà simili a esso. L’altra serie di transizione interna contiene gli attinidi, che
riempiono gli orbitali 5f che compaiono nel Periodo 7 dopo l’attinio (Ac; Z = 89).
In entrambe le serie, si riempiono gli orbitali (n − 2)f, dopo di che procede il ri-
empimento degli orbitali (n − 1)d. Il Periodo 6 termina riempiendo gli orbitali 6p,
come negli altri elementi del blocco p. Il Periodo 7 è ancora incompleto perché
attualmente si conoscono soltanto due elementi con elettroni 7p.
Parecchie irregolarità nello schema di riempimento si osservano sia nel blocco d
sia nel blocco f. Due già menzionate si osservano nel cromo (Cr) e nel rame (Cu) nel
Periodo 4. L’argento (Ag) e l’oro (Au), i due elementi sotto il Cu nel Grup­po 1B(11),
seguono lo schema del rame. Il molibdeno (Mo) segue lo schema del Cr nel Grup-
po 6B(6), il tungsteno (W) no. Altre configurazioni anomale compaiono negli ele-
menti di transizione nei Periodi 5 e 6. Si noti, però, che, anche se esistono varianti
minori rispetto alle configurazioni attese, la somma degli elettroni ns e degli elettro-
ni (n − 1)d è sempre uguale al nuovo numero del gruppo. Per esempio, nonostante le
variazioni nelle configurazioni elettroniche nel Gruppo 6B(6) – Cr, Mo, W e Sg – la
somma degli elettroni ns e degli elettroni (n − 1)d è 6; nel Gruppo 6B(10) – Ni, Pd
e Pt – la somma è 10.
Qualora le osservazioni differiscano dalle aspettative, si tenga presente che il fat-
to ha sempre la precedenza sul modello; in altre parole, agli elettroni “non interessa”
quali orbitali essi dovrebbero occupare secondo noi. Quando gli orbitali atomici negli
atomi più grandi si riempiono di elettroni, le energie dei sottolivelli differiscono di
pochissimo, il che genera queste variazioni rispetto allo schema atteso.

Determinazione delle configurazioni elettroniche


PROBLEMA DI VERIFICA 8.2
Problema Usando la tavola periodica riportata nell’Appendice H (non la Figura 8.12 né la
Tabella 8.4), si scrivano la configurazione elettronica completa e quella condensata, i dia-
grammi parziali degli orbitali indicando gli elettroni di valenza e il numero degli elettroni
interni per i seguenti elementi:
(a) potassio (K; Z = 19) (b) molibdeno (Mo; Z = 42) (c) piombo (Pb; Z = 82)
Piano Il numero atomico ci dice il numero di elettroni e la tavola periodica indica l’ordine
per il riempimento dei sottolivelli. Nei diagrammi parziali degli orbitali, includiamo tutti gli
elettroni dopo quelli del gas nobile precedente eccettuati quelli nei sottolivelli interni pieni.
Risoluzione (a) Per K (Z = 19), la configurazione elettronica completa è 1s22s22p63s23p64s1.
La configurazione condensata è [Ar] 4s1.
Il diagramma parziale degli orbitali per gli elettroni di valenza è

K è un elemento dei gruppi principali nel Gruppo 1A(1) del Periodo 4, quindi esisto-
no 18 elettroni interni .

08txt.indd 246 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 247

(b) Per Mo (Z = 42), ci si aspetterebbe che la configurazione elettronica completa fosse


1s22s22p63s23p64s23d104p65s24d 4. Però, Mo è situato sotto Cr nel Gruppo 6B(6) e presenta
la stessa variazione nello schema di riempimento nei sottolivelli ns e (n − 1)d:
1s22s22p63s23p64s23d 104p65s14d 5.
La configurazione elettronica condensata è [Kr] 5s14d 5.
Il diagramma parziale degli orbitali per gli elettroni di valenza è

Mo è un elemento di transizione nel Gruppo 6B(6) del Periodo 5, quindi vi sono 36 elettroni
interni.
(c) Per Pb (Z = 82), la configurazione elettronica completa è
1s22s22p63s23p64s23d104p65s24d105p66s24f 145d106p2.
La configurazione elettronica condensata è
[Xe] 6s24f 145d106p2.
Il diagramma parziale degli orbitali per gli elettroni di valenza
(assenza di sottolivelli interni pieni) è
Pb è un elemento dei gruppi principali nel Gruppo 4A(14) del Periodo 6, quindi vi sono 54
(nello Xe) + 14 (nella serie 4f  ) + 10 (nella serie 5d) = 78 elettroni interni.
Verifica Ci si deve accertare che la somma degli apici (elettroni) nella configurazione elet-
tronica completa sia uguale al numero atomico e che il numero degli elettroni di valenza
nella configurazione elettronica condensata sia uguale al numero di elettroni nel diagramma
parziale degli orbitali.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.2 Senza fare riferimento alla Tabella 8.4


o alla Figura 8.12, si scrivano la configurazione elettronica completa e quella condensata, il
diagramma parziale degli orbitali in cui sono indicati gli elettroni di valenza, e il numero
degli elettroni interni per ciascuno dei seguenti elementi:
(a) Ni (Z = 28) (b) Sr (Z = 38) (c) Po (Z = 84)

8.4 TENDENZE IN ALCUNE PROPRIETÀ ATOMICHE


PERIODICHE ESSENZIALI
Tutto il comportamento fisico e chimico degli elementi si basa in ultima analisi sulle
configurazioni elettroniche dei loro atomi. In questo paragrafo concentreremo l’at-
tenzione su tre proprietà degli atomi che sono influenzate direttamente dalla
configurazione elettronica: il raggio atomico (la dimensione atomica), l’energia di
ionizzazione (l’energia necessaria per rimuovere un elettrone da un atomo gasso-
so) e l’affinità elettronica (la variazione di energia che interviene nell’aggiunta di
un elettrone a un atomo gassoso). Queste proprietà sono periodiche: generalmente
aumentano e diminuiscono in modo ricorrente in tutta la tavola periodica. Di
conseguenza, le loro entità relative sono spesso prevedibili e presentano spesso
variazioni coerenti, o tendenze, in un gruppo o in un periodo che sono correlate
con il comportamento degli elementi.

Tendenze nel raggio atomico


Nel capitolo precedente abbiamo notato che un elettrone in un atomo può essere
relativamente lontano dal nucleo e quindi gli atomi si rappresentano comunemen-
te come sfere in cui gli elettroni trascorrono il 90% del loro tempo. Però, definiamo
il raggio atomico (la dimensione atomica) in termini di distanza reciproca tra un
atomo e un atomo vicino. In pratica, misuriamo la distanza tra nuclei atomici adia-
centi identici in un campione di un elemento e dimezziamo questa distanza (vedi il
metodo sperimentale descritto nel Capitolo 12). Poiché gli atomi non hanno super-
fici rigide, la dimensione di un atomo in un composto dipende in parte dagli atomi
adiacenti. In altre parole, il raggio atomico varia lievemente da sostanza a sostanza.

08txt.indd 247 15/05/19 15:18


248 Capitolo 8

Figura 8.14 Definizione di


raggio metallico e di raggio La Figura 8.14 presenta due definizioni comuni di raggio atomico. Il raggio me-
covalente. A. Il raggio metallico
è la metà della distanza tra i
tallico è la metà della distanza tra i nuclei di atomi adiacenti in un cristallo del­
nuclei di atomi adiacenti in un l’elemento; utilizziamo generalmente questa definizione per i metalli. Nel caso de-
cristallo dell’elemento, come qui gli elementi che esistono comunemente come molecole, in prevalenza non metalli,
mostrato nel caso dell’alluminio. definiamo il raggio atomico con il raggio covalente, la metà della distanza tra i
B. Il raggio covalente è la metà nuclei di atomi identici legati covalentemente.
della distanza tra nuclei legati
in una molecola dell’elemento,
Tendenze negli elementi dei gruppi principali Il raggio atomico ha una gran-
come qui mostrato nel caso del
cloro. In effetti, è la metà della de influenza su varie proprietà atomiche e ha importanza fondamentale per la
lunghezza di legame. comprensione del comportamento degli elementi. La Figura 8.15 presenta i raggi
C. In un composto covalente, la atomici degli elementi dei gruppi principali e la maggior parte degli elementi di
lunghezza di legame e i raggi transizione. È importante notare che, tra gli elementi dei gruppi principali, il raggio
covalenti noti sono usati per
atomico varia sia in un gruppo sia in un periodo. Queste variazioni del raggio ato-
determinare gli altri raggi. In
questo caso, la lunghezza di le- mico sono dovute a due influenze opposte.
game C—Cl (177 pm) e il raggio
1. Variazioni di n. All’aumentare del numero quantico principale (n), aumenta il
covalente di Cl (100 pm) sono
usati per trovare il valore del tempo che gli elettroni trascorrono più lontano dal nucleo e quindi aumenta
raggio covalente di C (177 pm − il raggio atomico.
100 pm = 77 pm). 2. Variazioni di Zeff. All’aumentare della carica nucleare effettiva (Zeff) – la carica
positiva “percepita” da un elettrone – gli elettroni esterni sono attratti più
vicino al nucleo e quindi il raggio atomico diminuisce.
L’effetto netto di queste influenze dipende dalla schermatura della carica nucleare
crescente per opera degli elettroni interni.
1. Scendendo lungo un gruppo, predomina n. Quando si scende lungo un gruppo
principale, ogni membro del gruppo ha un livello addizionale di elettroni inter-
ni, i quali schermano molto efficacemente gli elettroni esterni. I calcoli indicano
che Zeff varia poco, aumentando soltanto lievemente per ciascun elemento;
quindi il raggio atomico aumenta all’aumentare del valore di n. In un gruppo, il
raggio atomico generalmente aumenta dall’alto al basso.
2. Percorrendo un periodo, predomina Zeff. Via via che si percorre un periodo
di elementi dei gruppi principali, si aggiungono elettroni allo stesso livel-
lo esterno, quindi la schermatura per opera degli elettroni interni rimane
invariata. Poiché gli elettroni esterni si schermano reciprocamente poco, Zeff
aumenta notevolmente, quindi gli elettroni esterni sono attratti più vicino al
nucleo. In un periodo, il raggio atomico generalmente diminuisce da sinistra a
destra.
Tendenze tra gli elementi di transizione Come si può vedere dalla Figu-
ra 8.15, queste tendenze generali valgono piuttosto bene per gli elementi dei
gruppi principali, ma non per gli elementi di transizione. Si ricordi che in una serie
di transizione vengono riempiti gli orbitali d interni. Via via che ci si muove da

08txt.indd 248 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 249

1A 8A Figura 8.15 Raggi atomi­


(1) (18) ci degli elementi dei gruppi
H 37 He 31 principali e degli elementi
di transizione. I raggi atomici
1 2A 3A 4A 5A 6A 7A (in picometri) sono rappre-
(2) (13) (14) (15) (16) (17) sentati come cerchi di raggio
Li 152 Be 1 12 B 85 C 77 N 75 O 73 F 72 Ne 71 proporzionale per gli elementi
dei gruppi principali (marrone
2
chiaro) e gli elementi di transi-
zione (azzurro). Negli elementi
Na 186 Mg 160 Al 143 Si 1 18 P 1 10 S 103 Cl 100 Ar 98 dei gruppi principali, il raggio
atomico generalmente aumenta
3
dall’alto al basso e diminuisce
da sinistra a destra. Gli elementi
K 227 Ca 197 Ga 135 Ge 122 As 120 Se 1 19 Br 1 14 Kr 1 12 di transizione non presentano
Periodo

4
questa tendenza.

Rb 248 Sr 215 In 167 Sn 140 Sb 140 Te 142 I 133 Xe 131


5

Cs 265 Ba 222 Tl 170 Pb 146 Bi 150 Po 168 At 140 Rn 140


6

Fr 270 Ra 220
7

3B 4B 5B 6B 7B 8B 1B 2B
(3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12)
Sc 162 Ti 147 V 134 Cr 128 Mn 127 Fe 126 Co 125 Ni 124 Cu 128 Zn 134
4

Y 180 Zr 160 Nb 146 Mo 139 Tc 136 Ru 134 Rh 134 Pd 137 Ag 144 Cd 151
5

La 187 Hf 159 Ta 146 W 139 Re 137 Os 135 Ir 136 Pt 138 Au 144 Hg 151
6

sinistra a destra, il raggio atomico diminuisce nei primi due o tre elementi per-
ché aumenta la c­ arica nucleare. Procedendo ulteriormente, però il raggio atomico
rimane relativamente costante perché la schermatura per opera di questi elettroni
d interni compensa l’aumento di Zeff. Per esempio, il vanadio (V; Z = 23), il terzo
metallo di transizione del Periodo 4, ha lo stesso raggio atomico dello zinco (Zn;
Z = 30), l’ultimo metallo di transizione. Questo schema si osserva anche nei Perio-
di 5 e 6 nelle serie di transizione del blocco d e in entrambe le serie di elementi
di transizione interna.
Il riempimento intermedio di elettroni d determina una notevole diminuzione
del raggio atomico dal Gruppo 2A(2) al Gruppo 3A(13), i due gruppi principali che
fiancheggiano le serie di transizione. La diminuzione del raggio atomico nei Periodi 4,
5 e 6 (con una serie di transizione) è molto maggiore che nel Periodo 3 (senza una
serie di transizione). Poiché gli elettroni negli orbitali np penetrano più di quelli negli
orbitali (n = 1)d, il primo elettrone np “percepisce” una Zeff aumentata da tutti i proto-
ni aggiunti durante le serie di transizione. La variazione massima si osserva nel Perio-
do 4, in cui il calcio (Ca; Z = 20) è di quasi il 50% più grande del gallio (Ga; Z = 31).

08txt.indd 249 15/05/19 15:18


250 Capitolo 8

Figura 8.16 Periodicità del 300


raggio atomico. Questo dia-
Cs
gramma del raggio atomico in
funzione del numero atomico Rb

Periodo 6
Periodo 1

Periodo 2

Periodo 4

Periodo 5
Periodo 3
250
per gli elementi nei Periodi 1 ÷ 6 K
mostra una variazione periodica:
il raggio generalmente diminui-
sce lungo un periodo fino al gas

Raggio atomico (pm)


200 Na
nobile [Gruppo 8A(18); violetto]
e poi aumenta bru­scamente fino
al metallo alcalino successivo Li
[Gruppo 1A(1); marrone]. Negli 150
elementi di transizione si osser-
Rn
vano deviazioni dalla diminuzio- Xe
ne generale. 100 Kr
Gruppo 1A(1)
Ar
Gruppo 8A(18)
Ne Elementi dei gruppi principali
50
Elementi di transizione
He
Elementi di transizione interni
0
10 20 30 40 50 60 70 80
Numero atomico, Z

In realtà, il gallio è lievemente più piccolo dell’alluminio (Al; Z = 13), anche se è più
lontano scendendo lungo lo stesso gruppo!
La Figura 8.16 mostra la variazione complessiva del raggio atomico al crescere
del numero atomico. Si noti il ricorrente andamento crescente e decrescente men-
tre il raggio atomico scende lungo un periodo fino al gas nobile e poi salta in su
fino al metallo alcalino che inizia il periodo successivo. Si noti anche come ciascuna
serie di transizione, a partire da quella nel Periodo 4 (da K a Kr), interrompe la di-
minuzione regolare del raggio atomico.

Ordinamento degli elementi secondo il raggio atomico


PROBLEMA DI VERIFICA 8.3
Problema Usando soltanto la tavola periodica (non la Figura 8.15), si ordini ciascun insieme
di elementi dei gruppi principali secondo il loro raggio atomico decrescente.
(a) Ca, Mg, Sr (b) K, Ga, Ca (c) Br, Rb, Kr (d) Sr, Ca, Rb
Piano Per ordinare gli elementi secondo il raggio atomico, li cerchiamo nella tavola periodi-
ca. Sono elementi dei gruppi principali e quindi il raggio atomico aumenta quando si scende
• Impacchettamento La lungo un gruppo e diminuisce quando si percorre un periodo.
carica nucleare crescente contrae lo Risoluzione (a) Sr > Ca > Mg. Questi tre elementi sono nel Gruppo 2A(2) e il raggio ato-
spazio in cui ciascun elettrone può mico diminuisce quando si sale lungo il gruppo.
muo­ver­si. Per esempio, nel Gruppo (b) K > Ca > Ga. Questi tre elementi sono nel Periodo 4 e il raggio atomico diminuisce
1A(1), il raggio atomico del cesio quando si percorre un periodo.
(Cs; Z = 55) è soltanto 1,7 volte
(c) Rb > Br > Kr. Rb è il più grande perché ha un livello energetico in più ed è più lontano
quel­lo del litio (Li; Z = 3); quindi il
a sinistra. Kr è più piccolo di Br perché Kr è più lontano a destra nel Periodo 4.
volume di Cs è circa 5 volte quello
di Li, anche se Cs ha un numero di (d) Rb > Sr > Ca. Ca è il più piccolo perché ha un livello energetico in meno. Sr è più
elettroni 18 volte superiore. Alle piccolo di Rb perché è più lontano a destra.
e­stremità opposte del Periodo 2, il Verifica Dalla Figura 8.15 vediamo che l’ordinamento è corretto.
neon (Ne; Z = 10) ha all’incirca lo
stesso volume del Li (Z = 3), ma Ne PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.3 Usando soltanto la tavola periodica,
ha un numero di elettroni 3 volte si ordinino gli elementi in ciascun insieme secondo il raggio atomico crescente: (a) Se, Br, Cl;
superiore. Perciò, sia che il raggio (b) I, Xe, Ba.
atomico aumenti dall’alto al basso
lungo un gruppo sia che diminuisca
da sinistra a destra lungo un perio­ Tendenze nell’energia di ionizzazione
do, l’attrazione causata dal maggior
numero di protoni nel nucleo “affol- L’energia di ionizzazione (Ei) è l’energia necessaria per la rimozione completa di
la” notevolmente gli elettroni. 1 mol di elettroni da 1 mol di atomi o di ioni gassosi. Per allontanare un elettrone

08txt.indd 250 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 251

da un nucleo è necessaria energia per vincere la reciproca attrazione tra il nucleo e


l’elettrone. Poiché affluisce energia nel sistema, l’energia di ionizzazione è sempre
positiva (come la ΔH di una reazione endotermica).
Nel capitolo precedente abbiamo visto che l’energia di ionizzazione dell’atomo
di idrogeno è la differenza di energia tra n = 1 e n = ∞, il punto in cui l’elettrone è
completamente rimosso dall’atomo. Gli atomi polielettronici possono cedere più di
un elettrone. L’energia di prima ionizzazione (Ei1) rimuove un elettrone più esterno
(sottolivello energetico più alto) dall’atomo gassoso:
→ ione+ ( g ) + e−
atomo( g ) ⎯ ⎯ Δ=
E Ei1 > 0
L’energia di seconda ionizzazione (Ei2) rimuove un secondo elettrone. Questo elet-
trone è allontanato da uno ione carico positivamente e quindi Ei2 è sempre mag-
giore di Ei1:
ione+ ( g ) ⎯ ⎯
→ ione2+ ( g ) + e− =ΔE Ei2 (sempre > Ei1 )
L’energia di prima ionizzazione è un fattore essenziale nella reattività chimica di
un elemento perché, come vedremo, gli atomi con una bassa Ei1 tendono a formare
cationi durante le reazioni, mentre quelli con un’alta Ei1 (eccettuati i gas nobili) formano
spesso anioni.
Variazioni dell’energia di prima ionizzazione Gli elementi presentano un an-
damento periodico dell’energia di prima ionizzazione, come è mostrato nella Figu­-
ra 8.17. Confrontando questa figura con la Figura 8.16, si può vedere una gros-
solana relazione inversa tra Ei1 e il raggio atomico: via via che il raggio atomico
diminuisce, aumenta l’energia necessaria per rimuovere un elettrone. Questa relazione
inversa compare in tutti i gruppi e i periodi della tavola. Esaminiamo le due ten-
denze e le loro eccezioni.
1. Scendendo lungo un gruppo. Quando si scende lungo un gruppo principale, il raggio
atomico aumenta. All’aumentare della distanza tra il nucleo e l’elettrone più ester-
no, la loro reciproca attrazione diminuisce e quindi diventa più facile rimuovere
l’elettrone. La Figura 8.18 mostra che l’energia di ionizzazione generalmente diminui-
sce dall’alto al basso lungo un gruppo.
L’unica eccezione rilevante a questo andamento si osserva nel Gruppo 3A(13),
subito dopo la serie di transizione, ed è dovuta all’effetto della serie sul raggio ato-
mico: Ei1 decresce dal boro (B) all’alluminio (Al), ma non per il resto del gruppo. Il

2500 He
Gruppo 1A(1)

Ne Gruppo 8A(18)
Periodo 4

Periodo 6
Periodo 3

Periodo 5
Periodo 2
Energia di prima ionizzazione (kJ/mol)

2000

Ar
1500
Kr

O Xe
Rn Figura 8.17 Periodicità del­
1000 l’e­ner­gia di prima ionizzazione
S
(Ei1). Un diagramma di Ei1 in
B funzione del numero atomico per
gli elementi dei Periodi 1 ÷ 6 pre-
500 Al senta un andamen­to periodico:
Li Na i valori più bassi si osservano
Periodo 1

K Rb per i metalli alcalini (mar­­ro­ne)


Cs
e i valori più alti per i gas nobi-
li (violetto). Questa tendenza
0 nell’energia di prima ionizzazio-
10 20 30 40 50 60 70 80 ne è l’inverso di quella nel rag-
Numero atomico, Z gio ato­mico (vedi Figura 8.16).

08txt.indd 251 15/05/19 15:18


252 Capitolo 8

Figura 8.18 Energie di prima


ionizzazione degli elementi dei
gruppi principali. ­I valori di Ei1
[in kilojoule per mole
(kJ/mol)] sono rappresenta-
ti come colonne di altezza
variabile. Si notino l’aumento
generale entro un periodo e la
diminuzione generale entro un
gruppo. Così, il valore più basso
è al fondo del Gruppo 1A(1) e il
va­lore più alto è alla sommità
del Gruppo 8A(18).

riempimento dei sottolivelli d nei Periodi 4, 5 e 6 determina una Zeff maggiore di


quella attesa, che trattiene gli elettroni esterni più fortemente nei più grandi mem-
bri del Gruppo 3A.
2. Percorrendo un periodo. Via via che si percorre un periodo da sinistra a destra,
Zeff aumenta e quindi il raggio atomico diminuisce. Di conseguenza, la reciproca
attrazione fra il nucleo e gli elettroni esterni aumenta e, quindi, diventa più difficile
rimuovere un elettrone. L’energia di ionizzazione generalmente aumenta da sinistra
a destra lungo un periodo. Chiaramente, è più facile rimuovere un elettrone da un
metallo alcalino che da un gas nobile.
Si osservano parecchie piccole “inflessioni” nell’aumento altrimenti regolare
dell’energia di ionizzazione. Sono presenti nel Gruppo 3A(13) per B e Al e nel
Gruppo 6A(16) per O e S. Le “inflessioni” nel Gruppo 3A sono dovute al fatto che
questi elettroni sono i primi nel sottolivello np. Questo sottolivello ha un’energia
più alta di quella del sottolivello ns; quindi l’elettrone può essere rimosso più fa-
cilmente, lasciando un sottolivello ns pieno, stabile. Le “inflessioni” nel Gruppo 6A
sono dovute al fatto che l’elettrone np4 è il primo ad appaiarsi con un elettrone np,
e le repulsioni interelettroniche aumentano l’energia dell’orbitale. La rimozione di
questo elettrone attenua le repulsioni e lascia un sottolivello np semipieno stabile;
quindi il quarto elettrone p può essere rimosso più facilmente rispetto al terzo.

Ordinamento degli elementi secondo l’energia di prima ionizzazione


PROBLEMA DI VERIFICA 8.4
Problema Usando soltanto la tavola periodica, si ordinino gli elementi in ciascuno dei
seguenti insiemi secondo la Ei1 decrescente:
(a) Kr, He, Ar (b) Sb, Te, Sn (c) K, Ca, Rb (d) I, Xe, Cs

08txt.indd 252 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 253

Piano Come nel Problema di verifica 8.3, prima troviamo gli elementi nella tavola periodi-
ca e poi applichiamo le tendenze generali della Ei1 decrescente dall’alto al basso lungo un
gruppo e della Ei1 crescente da sinistra a destra lungo un periodo.
Risoluzione (a) He > Ar > Kr. Questi tre elementi sono nel Gruppo 8A(18) e Ei1 diminu-
isce dall’alto al basso lungo un gruppo.
(b) Te > Sb > Sn. Questi elementi sono nel Periodo 5 e Ei1 aumenta da sinistra a destra
lungo un periodo.
(c) Ca > K > Rb. Ei1 di K è maggiore di Ei1 di Rb perché K occupa una posizione più
alta nel Gruppo 1A(1). Ei1 di Ca è maggiore di Ei1 di K perché Ca è più lontano a destra
nel Periodo 4.
(d) Xe > I > Cs. Ei1 di I è minore di Ei1 di Xe perché I è più lontano a sinistra. Ei1 di I è
maggiore di Ei1 di Cs perché I è più lontano a destra e nel periodo precedente.
Verifica Poiché le tendenze in Ei1 sono generalmente opposte a quelle nel raggio atomico,
si possono ordinare gli elementi secondo il raggio atomico e si può verificare che si ottiene
l’ordinamento inverso.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.4 Si ordinino gli elementi in ciascu-


no dei seguenti insiemi secondo la Ei1 crescente: (a) Sb, Sn, I; (b) Sr, Ca, Ba.

Variazioni nelle energie di ionizzazione successive Le energie di ionizzazio­-


ne successive (Ei1, Ei2, ...) di un dato elemento aumentano perché ciascun elet-
trone viene rimosso da uno ione con una carica positiva sempre maggiore. Ma
si no­ti nella Figu­ra 8.19 che questo aumento non è regolare, bensì include un
enorme salto.
Un quadro più completo è presentato nella Tabella 8.5, che mostra energie
di ionizzazione successive per gli elementi nel Periodo 2 e il primo elemento
nel Periodo 3. Se si percorrono orizzontalmente i valori per un dato elemento, Figura 8.19 Le prime tre
si raggiunge un punto che separa valori di Ei relativamente bassi da valori relati- energie di ionizzazione del
vamente alti (l’area azzurra a destra della linea). Questo salto compare dopo che berillio [in megajoule per mole
sono stati rimossi gli elettroni esterni (elettroni di valenza) e, quindi, rispecchia (MJ/mol)]. Le energie di ionizza-
l’energia molto maggiore necessaria per rimuovere un elettrone interno (elettro- zione successive aumentano sem-
pre, ma si osserva un aumento
ne di core). Seguiamo, per esempio, i valori per il boro (B): Ei1 è minore di Ei2, eccezionalmente grande quando
che è minore di Ei3, che è molto minore di Ei4. Perciò, il boro ha tre elettroni nel viene rimosso il primo elettrone
livello energetico più alto (1s22s22p1). Essendo necessaria un’energia notevol- interno. Nel caso del Be, ciò av-
mente maggiore per rimuovere gli elettroni interni, essi non intervengono nelle viene con il terzo elettrone (Ei3).
reazioni chimiche. (Vedi anche Tabella 8.5).

08txt.indd 253 15/05/19 15:18


254 Capitolo 8

Identificazione di un elemento in base alle energie di ionizzazione


successive
PROBLEMA DI VERIFICA 8.5
Problema Si identifichi l’elemento del Periodo 3 con le seguenti energie di ionizzazione
[in kilojoule per mole (kJ/mol)] e si scriva la sua configurazione elettronica:
Ei1 Ei2 Ei3 Ei4 Ei5 Ei6
1012 1903 2910 4956 6278 22 230

Piano Cerchiamo un grande salto nei valori di Ei, che si produce dopo che tutti gli elettro-
ni di valenza sono stati rimossi. Poi consultiamo la tavola periodica per trovare l’elemento
del Periodo 3 con questo numero di elettroni di valenza e scriviamo la sua configurazione
elettronica.
Risoluzione Questo salto eccezionalmente grande si produce dopo Ei5; quindi, l’elemento
ha cinque elettroni di valenza e, perciò, è nel Gruppo 5A(15). Questo elemento del
Periodo 3 è il fosforo (P; Z = 15). La sua configurazione elettronica è 1s22s22p63s23p3.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.5 L’elemento Q è nel Periodo 3 e ha


le seguenti energie di ionizzazione [in kilojoule per mole (kJ/mol)]:
Ei1 Ei2 Ei3 Ei4 Ei5 Ei6
577 1816 2744 11 576 14 829 18 375

Si identifichi l’elemento Q e si scriva la sua configurazione elettronica.

Tendenze nell’affinità elettronica


L’affinità elettronica (Eea) è la variazione di energia che accompagna l’aggiunta
di 1 mol di elettroni a 1 mol di atomi o di ioni gassosi. Come nel caso dell’energia
di ionizzazione, esistono una prima affinità elettronica, una seconda e così via. La
prima affinità elettronica (Eea1) accompagna la formazione di 1 mol di anioni gassosi
monovalenti (1−):
atomo( g ) + e− ⎯ ⎯
→ ione− ( g ) ΔE = Eea1
Nella maggior parte dei casi, viene rilasciata energia quando viene aggiunto il primo
elettrone perché esso viene attratto verso la carica nucleare dell’atomo. Perciò, Eea1
è generalmente negativa (così come è negativa ΔH per una reazione esotermica).*
D’altra parte, la seconda affinità elettronica (Eea2) è sempre positiva perché deve es-
sere assorbita energia per vincere le repulsioni elettrostatiche e aggiungere un altro
elettrone a uno ione negativo.
Le affinità elettroniche sono influenzate anche da fattori diversi da Zeff e dal rag-
gio atomico e quindi le tendenze non sono regolari come quelle per le due proprietà
precedenti. Per esempio, ci si potrebbe attendere che le affinità elettroniche diminui­
scano in modo regolare dall’alto al basso lungo un gruppo (numero negativo minore)
perché il nucleo è più lontano dall’elettrone aggiunto. Però, come mostra la Figu­­-
ra 8.20, soltanto il Gruppo 1A(1) presenta questo comportamento. Ci si potrebbe
aspettare anche un aumento regolare delle affinità elettroniche lungo un periodo
(numero negativo maggiore) perché il raggio atomico diminuisce e il crescente Zeff
dovrebbe attrarre più fortemente l’elettrone aggiunto. Si osserva un aumento com-
plessivo del valore da sinistra a destra, ma non si può dire che vi sia un aumento
regolare. Queste eccezioni sono dovute a variazioni dell’energia dei sottolivelli e
della repulsione interelettronica.

* Le tabelle delle prime affinità elettroniche le elencano spesso come valori positivi, indicando la quantità
di energia rilasciata, invece della differenza tra il valore finale e il valore iniziale dell’energia. Si tenga
presente questa convenzione quando si cercano questi valori in manuali di consultazione. Essendo più
difficile misurare le affinità elettroniche che le energie di io­nizzazione, i valori vengono corretti frequen-
temente quando diventano disponibili metodi più accurati.

08txt.indd 254 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 255

Figura 8.20 Affinità elettro­


niche degli elementi dei gruppi
principali. Sono mostrate le affi-
nità elettroniche [in kilojoule per
mole (kJ/mol)] degli elementi
dei gruppi principali. I valori
negativi indicano che viene rila-
sciata energia quando si forma
l’anione. I valo­ri positivi, che
si osservano nei Gruppi 2A(2)
e 8A(18), indicano che viene
assorbita energia per formare
l’anione; in realtà, questi anioni
sono instabili e i valori sono solo
stimati.

Nonostante le irregolarità, quando si esaminano i valori delle energie di ionizzazio-


ne e delle affinità elettroniche emergono tre punti essenziali:
1. Non metalli reattivi. Gli elementi del Gruppo 6A(16) e specialmente quelli
del Gruppo 7A(17) (alogeni) hanno energie di ionizzazione elevate e affini-
tà elettroniche altamente negative (esotermiche). Questi elementi cedono
elettroni con difficoltà, ma li attraggono fortemente. Perciò, nei loro composti
ionici, formano ioni negativi.
2. Metalli reattivi. Gli elementi del Gruppo 1A(1) hanno basse energie di ioniz-
zazione e affinità elettroniche lievemente negative (esotermiche). Quelli del
Gruppo 2A(2) hanno basse energie di prima e di seconda ionizzazione e affi-
nità elettroniche positive (endotermiche). Entrambi i gruppi cedono elettroni
facilmente, ma li attraggono soltanto debolmente, o non li attraggono affatto.
Perciò, nei loro composti ionici, formano ioni positivi.
3. Gas nobili. Gli elementi del Gruppo 8A(18) hanno energie di ionizzazione
molto alte e affinità elettroniche lievemente positive (endotermiche). Perciò,
questi elementi non tendono a cedere o ad acquistare elettroni. In realtà, soltanto i
più grandi membri del gruppo (Kr, Xe, Rn) formano composti.
Le tendenze delle tre proprietà atomiche che sono state analizzate sono riassunte
nella Figura 8.21.
Nel paragrafo seguente continueremo a concentrare l’attenzione sulla relazione
fra proprietà atomiche e comportamento chimico.

8.5 LA CONNESSIONE TRA STRUTTURA ATOMICA


E REATTIVITÀ CHIMICA
Figura 8.21 Tendenze delle
Lo scopo principale nell’esaminare le proprietà atomiche è, ovviamente, quello di tre proprietà atomiche. Le ten-
vedere come esse influenzano il comportamento degli elementi. In questo para- denze periodiche sono rappre-
grafo, vedremo come le proprietà che abbiamo appena esaminato influenzano il sentate come gradazioni della
sfumatura in tavole periodiche
comportamento metallico e determineremo il tipo di ione che un elemento può in miniatura, con frecce che
formare, nonché la relazione tra configurazione elettronica e proprietà magnetiche. indicano il verso dell’aumento
generale in un gruppo o in un
Tendenze nel comportamento metallico periodo. [Per l’affinità elettro-
nica, il Gruppo 8A(18) non è
I metalli sono localizzati nei tre quarti in basso a sinistra della tavola periodica. rappresentato, e le frecce trat-
Essi sono tipicamente solidi lucenti che hanno temperature (punti) di fusione da teggiate implicano le numerose
moderate ad alte, sono buoni conduttori termici ed elettrici, e tendono a cedere eccezioni alle tendenze attese].

08txt.indd 255 15/05/19 15:18


256 Capitolo 8

elettroni nelle reazioni con non metalli. I non metalli sono localizzati nel quarto
in alto a destra della tavola. Sono tipicamente non lucenti, hanno temperature di
fusione relativamente basse, sono cattivi conduttori termici ed elettrici, e tendono
ad acquistare elettroni nelle reazioni con i metalli. I metalloidi sono localizzati nella
regione compresa tra le altre due classi e hanno anche proprietà intermedie tra
quelle delle due classi. Perciò, il comportamento metallico aumenta da destra verso
sinistra e dall’alto verso il basso nella tavola periodica (Figura 8.22).
Figura 8.22 Tendenze nel È importante però tenere presente che non tutti gli elementi possono inserirsi
comportamento metallico. La chiaramente nella nostra classificazione. Per esempio, il carbonio è un non metallo,
tendenza al comportamento ma, sotto forma di grafite, è un buon conduttore elettrico. Lo iodio, un altro non
metallico tra gli elementi è metallo, è un solido lucente. Il gallio e il cesio sono metalli, ma fondono a tempe-
rappresentata come gradazione
dell’ombreggiatura che partendo
rature inferiori alla temperatura corporea umana, e il mercurio è un liquido a tem-
da in alto a destra va verso il peratura ambiente. Anche se esistono queste eccezioni, possiamo formulare alcune
basso a sinistra, con frecce che generalizzazioni riguardo al comportamento metallico.
indicano il verso dell’aumento.
Gli elementi che si comportano Tendenza relativa a cedere elettroni I metalli tendono a cedere elettroni du-
come metalli compaiono nei 3/4 rante le reazioni chimiche perché hanno energie di ionizzazione basse rispetto a
in basso a sinistra. (L’idrogeno, quelle dei non metalli. L’aumento del comportamento metallico dall’alto al basso lun-
essendo un non metallo, compa-
re vicino all’elio in questa tavola
go un gruppo è più evidente nel comportamento fisico e chimico degli elementi dei
periodica). Gruppi 3A(13) ÷ 6A(16), che contengono più di una classe di elementi. Conside-
riamo, per esempio, gli elementi del Gruppo 5A(15), che compaiono verticalmente
nella Figu­­ra 8.23. In questo caso, il cambiamento è così grande che, rispetto agli
ioni monoatomici, gli elementi in alto tendono a formare anioni e quelli in basso tendono
a formare cationi. L’azoto (N) è un non metallo gassoso, mentre il fosforo (P) è un non
metallo solido. Entrambi si presentano talvolta come anioni 3− nei loro composti.
L’arsenico (As) e l’antimonio (Sb) sono metalloidi, e Sb è il più metallico dei due;

Figura 8.23 La variazione del


comportamento metallico nel Grup­
po 5A(15) e nel Periodo 3. Muoven-
dosi dall’alto al basso, dall’azoto al
bismuto, si osserva un aumento del
comportamento me­talli­co (e una
diminuzione dell’energia di ioniz-
zazione). Muovendosi sa sinistra a
destra, dal sodio al cloro, si osserva
una diminuzione del comportamento
metallico (e un aumento generale
dell’energia di ionizzazione). In ogni
casella dell’elemento sono indicati il
numero atomico, il simbolo atomico
e l’energia di prima ionizzazione [in
kilojoule per mole (kJ/mol)]. (Foto:
© McGraw-Hill Education/ Stephen
Frisch, photographer).

08txt.indd 256 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 257

nessuno dei due forma facilmente ioni. Il bismuto (Bi), il membro più grande, è un
metallo tipico, che forma in prevalenza composti ionici in cui compare come catione
3+. Anche nel Gruppo 2A(2), costituito interamente da metalli, la tendenza a forma-
re cationi aumenta dall’alto al basso lungo il gruppo. Per esempio, il berillio (Be) for-
ma composti covalenti con non metalli, mentre i composti del bario (Ba) sono ionici.
Mentre ci si muove da sinistra a destra lungo un periodo, diventa sempre più
difficile cedere un elettrone (Ei aumenta) e più facile acquistarne uno (Eea diventa
più negativa). Perciò, riguardo agli ioni monoatomici, gli elementi a sinistra tendono
a formare cationi e quelli a destra tendono a formare anioni. La diminuzione tipica del
comportamento metallico da sinistra a destra lungo un periodo è chiara negli ele-
menti del Periodo 3, che compaiono orizzontalmente nella Figura 8.23. Il sodio e
il magnesio sono metalli. Il sodio è lucente quando è stato tagliato di recente sotto
un olio minerale, ma cede così facilmente un elettrone a O2 che, se tagliato nel­
l’aria, la sua superficie si riveste immediatamente di un ossido opaco. Questi metalli
esistono in natura sotto forma di ioni Na+ e Mg2+ nel mare, nei minerali e negli
organismi. L’alluminio è metallico nelle proprietà fisiche e forma lo ione Al3+ in al-
cuni composti, ma si lega covalentemente nella maggior parte degli altri composti.
Il silicio (Si) è un metalloide lucente che non esiste come ione monoatomico. La
forma più comune di fosforo è un non metallo bianco e ceroso che, come abbiamo
notato prima, forma lo ione P3− in alcuni composti. Lo zolfo è un non metallo giallo
fragile che forma lo ione solfuro (S2−) in molti composti. Il cloro biatomico (Cl2) è
un non metallo gassoso giallastro che attrae avidamente elettroni ed esiste in natura
sotto forma di ione Cl−.
La tendenza di un elemento a cedere o acquistare elettroni è strettamente cor-
relata al suo comportamento redox, ovverso al suo comportarsi da agente ossidante o
riducente.
A causa dei loro bassi valori di Ei e di Eea gli elementi dei gruppi 1A(1) e 2A(2)
perdono facilmente elettroni, pertanto tendono a ossidarsi comportandosi come
forti agenti riducenti.
Al contrario, a causa dei loro elevati valori di Ei e di Eea gli elementi non metal-
lici dei gruppi 6A(16) e 7A(17) acquistano facilmente elettroni, pertanto tendono a
ridursi comportandosi come forti agenti ossidanti.

Comportamento acido-base degli ossidi degli elementi I metalli si distin-


guono dai non metalli anche per il comportamento acido-base dei loro ossidi in
acqua.
• La maggior parte dei metalli dei gruppi principali trasferiscono elettroni

all’os­sigeno, quindi i loro ossidi sono ionici. In acqua, questi ossidi agiscono come
ba­si, producendo ioni OH− e reagendo con gli acidi. Ne è un esempio l’os-
sido di calcio (fa virare al rosa l’indicatore nella fotografia a lato, a sini­stra).
• I non metalli condividono elettroni con l’ossigeno, quindi gli ossidi dei non CaO (basico)
P4O10 (acido)
metalli sono covalenti. In acqua, agiscono come acidi, producendo ioni H+
e reagendo con le basi. Ne è un esempio il decaossido di tetrafosforo (fa
virare al giallo l’indicatore nella fotografia a lato, a de­stra).
Alcuni metalli e molti metalloidi formano ossidi anfoteri: sono capaci di
agire come acidi e come basi in acqua.
La Figura 8.24 classifica il comportamento acido-base di alcuni ossidi
comuni, concentrando l’attenzione ancora una volta sugli elementi del Grup-
po 5A(15) e del Perio­do 3. È importante notare che, quando gli elementi diven-
tano più metallici dall’alto al basso lungo un gruppo, i loro ossidi diventano più
basici. Nel Gruppo 5A(15), il pentossido di diazoto, N2O5, forma acido nitrico: Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer.
N 2O5 ( s ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2HNO3 ( aq )
Il decaossido di tetrafosforo, P4O10, forma l’acido più debole H3PO4:
P4 O10 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 4H3PO 4 ( aq )

08txt.indd 257 15/05/19 15:18


258 Capitolo 8

Figura 8.24 La tendenza nel


comportamento acido-base
degli ossidi degli elementi.
La tendenza nel comporta-
mento acido-base degli ossidi
comuni degli elementi del
Gruppo 5A(15) e del Periodo 3 è
rappresentato come una gra­da­
zione di colore (rosso = acido;
blu = basico). Si noti che i
metalli formano ossidi basici e i
non metalli formano ossidi acidi.
L’alluminio forma un ossido (vio­­
let­to) capace di reagire come
un acido e co­me una base.
Perciò, all’aumentare del raggio
atomico, aumenta la basicità
degli ossidi.
L’ossido del metalloide arsenico è debolmente acido, mentre quello del metalloide
antimonio è debolmente basico. Il bismuto, il più metallico del gruppo, forma un
ossido basico che è insolubile in acqua ma forma un sale e acqua con un acido:
Bi 2O3 ( s ) + 6HNO3 ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2Bi(NO3 )3 ( aq ) + 3H2O( l )

È importante notare che, via via che gli elementi diventano meno metallici da sinistra
a destra lungo un periodo, i loro ossidi diventano più acidi. Nel Periodo 3, il sodio e il
magnesio formano gli ossidi fortemente basici Na2O e MgO. L’alluminio metallico
forma ossido di alluminio anfotero (Al2O3), che reagisce con un acido e una base:
Al 2O3 ( s ) + 6HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ 2AlCl3 ( aq ) + 3H2O( l )
Al 2O3 ( s ) + 2NaOH( aq ) + 3H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2NaAl(OH)4 ( aq )

Il diossido di silicio è debolmente acido, formando un sale e acqua con una base:
SiO2 ( s ) + 2NaOH( aq ) ⎯ ⎯
→ Na 2SiO3 ( aq ) + H2O( l )

Gli ossidi comuni del fosforo, dello zolfo e del cloro formano acidi di forza crescen-
te: H3PO4, H2SO4 e HClO4.

Proprietà degli ioni monoatomici


Finora abbiamo concentrato l’attenzione sui reagenti nel processo di cessione e ac-
quisto di elettroni: gli atomi. Ora concentreremo l’attenzione sui prodotti: gli ioni.
In particolare, esamineremo le configurazioni elettroniche, le proprietà magnetiche
e i raggi degli ioni rispetto a quelli degli atomi da cui si originano.

Configurazioni elettroniche degli ioni degli elementi dei gruppi principali


Nel Capitolo 2 abbiamo presentato i simboli e le cariche di molti ioni monoatomici.
Ma perché uno ione ha quella carica nei suoi composti? Perché uno ione sodio è
Na+ e non Na2+, e perché uno ione fluoro è F− e non F2−? Nel caso degli elementi
all’estremità sinistra e all’estremità destra della tavola periodica, la spiegazione ri-
guarda la bassissima reattività dei gas nobili. Come abbiamo detto precedentemen-
te, i gas nobili, in virtù delle loro alte energie di ionizzazione e delle loro affinità
elettroniche positive (endotermiche), generalmente non formano ioni e rimangono
chimicamente stabili con un livello energetico esterno pieno (ns2np6). Gli elementi
Figura 8.25 Ioni degli ele­ dei Gruppi 1A(1), 2A(2), 6A(16) e 7A(17) che formano facilmente ioni cedono oppure
menti dei gruppi principali e acquistano elettroni per raggiungere un livello esterno pieno e quindi la configurazione
configurazioni elettroniche dei di un gas nobile. I loro ioni sono detti isoelettronici con il gas nobile più vicino
gas nobili. La maggior parte
(Figura 8.25; vedi anche Figura 2.14).
degli elementi che formano ioni
monoatomici isoelettronici con Quando un atomo di un metallo alcalino [Gruppo 1A(1)] cede il suo singolo
un gas nobile sono localizzati elettrone di valenza, diventa isoelettronico con il gas nobile precedente. Per esem-
nei quattro gruppi che fiancheg- pio, lo ione Na+ è isoelettronico con il neon (Ne):
giano il Gruppo 8A(18), due per
parte. → Na+ (1s 2 2s 2 2 p 6 ) [isoelettronico con Ne (1s 2 2s 2 2 p 6 )] + e−
Na (1s 2 2s 2 2 p 6 3s1 ) ⎯ ⎯

08txt.indd 258 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 259

Quando un atomo di un alogeno [Gruppo 7A(17)] aggiunge un singolo elettrone


ai cinque presenti nel suo sottolivello np, diventa isoelettronico con il gas nobile
successivo. Per esempio, lo ione bromuro è isoelettronico con il cripton (Kr):
Br ([Ar] 4s 2 3d 10 4 p 5 ) + e− ⎯ ⎯
→ Br− ([Ar] 4s2 3d10 4 p 6 ) [isoelettronico con Kr ([Ar] 4s2 3d10 4 p 6 )]
L’energia necessaria per rimuovere gli elettroni dai metalli per raggiungere la configu-
razione del gas nobile precedente è fornita durante le loro reazioni esotermiche con
non metalli. Rimuovere più di un elettrone da Na o più di due elettroni da Mg signi-
fica rimuovere elettroni interni, il che richiede una quantità di energia pari a 5÷10
volte quella disponibile in una reazione. È questo il motivo per cui non si formano
ioni Na2+ o Mg3+. Analogamente, aggiungere più di un elettrone a F per formare F2−
o più di due elettroni a O per formare O3− significa collocare questi elettroni in un
livello energetico esterno più alto, il che richiede anche in questo caso una quantità
di energia molto maggiore di quella disponibile in una tipica reazione.
I più grandi metalli dei Gruppi 3A(13), 4A(14) e 5A(15) formano cationi attra-
verso un differente processo, perché per essi sarebbe energeticamente impossibile
cedere elettroni in numero sufficiente per raggiungere la configurazione di un gas
nobile. Per esempio, lo stagno (Sn; Z = 50) dovrebbe cedere 14 elettroni (2 elettro-
ni 5p, 10 elettroni 4d e 2 elettroni 5s) per diventare isoelettronico con il cripton
(Kr; Z = 36), il gas nobile precedente. Invece, lo stagno cede molto meno elettroni e
raggiunge due differenti configurazioni stabili. Nello ione stagno(IV) (Sn4+), l’atomo
metallico vuota il suo livello energetico esterno e raggiunge la stabilità dei sottoli-
velli 5s e 5p vuoti e di un sottolivello 4d pieno. Questa configurazione (n − 1)d10 è
detta configurazione elettronica pseudonobile:
→ Sn 4+ ([Kr] 4 d10 ) + 4e−
Sn ([Kr] 5s2 4 d10 5p 2 ) ⎯ ⎯
Alternativamente, nel più comune ione stagno(II) (Sn2+), l’atomo cede soltanto i
due elettroni 5p e raggiunge la stabilità dei sottolivelli 5s e 4d pieni:
→ Sn 2+ ([Kr] 5s2 4 d10 ) + 2e−
Sn ([Kr] 5s 2 4 d10 5p 2 ) ⎯ ⎯
Gli elettroni ns2 conservati sono detti coppia inerte perché sembrano difficili da
rimuovere. Il tallio, il piombo e il bismuto, i più grandi e più metallici membri dei
Gruppi 3A(13) ÷ 5A(15), formano comunemente ioni che conservano la coppia di
elettroni ns2: Tl+, Pb2+ e Bi3+.
Il costo energetico eccessivamente alto è anche il motivo per cui alcuni ele-
menti non formano ioni monoatomici nelle loro reazioni. Per esempio, il carbonio
dovrebbe cedere quattro elettroni per formare C4+ e raggiungere la configurazione
di He oppure acquistare quattro elettroni per formare C4− e raggiungere la configu-
razione di Ne, ma non si forma alcuno dei due ioni. (Però, questi ioni polivalenti si
osservano realmente negli spettri delle stelle, dove le temperature superano 106 K).
Come vedremo nel capitolo seguente, il carbonio e altri atomi che non formano
ioni raggiungono un livello pieno condividendo elettroni mediante la formazione di
legami covalenti.

Determinazione delle configurazioni elettroniche degli ioni


degli elementi dei gruppi principali
PROBLEMA DI VERIFICA 8.6
Problema Usando configurazioni elettroniche condensate, si scrivano reazioni per la forma-
zione degli ioni comuni dei seguenti elementi:
(a) iodio (Z = 53) (b) potassio (Z = 19) (c) indio (Z = 49)
Piano Identifichiamo la posizione dell’elemento nella tavola periodica e teniamo presenti
due punti generali.
• Gli ioni degli elementi dei Gruppi 1A(1), 2A(2), 6A(16) e 7A(17) sono tipicamente
isoelettronici con il gas nobile più vicino.
• I metalli dei Gruppi 3A(13) ÷ 5A(15) possono cedere gli elettroni ns e np o soltanto gli
elettroni np.

08txt.indd 259 15/05/19 15:18


260 Capitolo 8

Risoluzione (a) Lo iodio appartiene al Gruppo 7A(17); quindi acquista un elettrone diven-
tando isoelettronico con lo xenon:
I ([Kr] 5s2 4 d10 5p 5 ) + e− ⎯ ⎯→ I− ([Kr] 5s 2 4 d10 5p 6 ) (isoelettronico con lo xenon)
(b) Il potassio appartiene al Gruppo 1A(1); quindi cede un elettrone diventando isoelettro-
nico con l’argon:
→ K + ([Ar]) + e−
K ([Ar] 4s1 ) ⎯ ⎯
(c) L’indio appartiene al Gruppo 3A(13); quindi cede tre elettroni per formare In3+ (configu-
razione pseudonobile) oppure ne cede soltanto uno per formare In+ (coppia inerte):
→ In 3+ ([Kr] 4 d10 ) + 3e−
In ([Kr] 5s 2 4 d10 5p1 ) ⎯ ⎯
→ In+ ([Kr] 5s 2 4 d10 ) + e−
In ([Kr] 5s 2 4 d10 5p1 ) ⎯ ⎯
Verifica Si deve accertare che il numero di elettroni nella configurazione elettronica dello
ione, più gli elettroni acquistati o ceduti per formare lo ione, sia uguale a Z.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.6 Usando configurazioni elettroni-


che condensate, si scrivano reazioni che rappresentino la formazione degli ioni comuni dei
seguenti elementi:
(a) Ba (Z = 56) (b) O (Z = 8) (c) Pb (Z = 82)

Configurazioni elettroniche degli ioni dei metalli di transizione A differen-


za della maggior parte degli ioni degli elementi dei gruppi principali, gli ioni dei me-
talli di transizione raggiungono raramente la configurazione di un gas nobile, e il motivo,
ancora una volta, è il fatto che i costi energetici sono troppo alti. Le eccezioni, nel
Periodo 4, sono lo scandio, che forma lo ione Sc3+, e il titanio, che talvolta forma
lo ione Ti4+ in alcuni composti. Il comportamento tipico di un elemento di transi-
zione consiste nel formare più di un catione cedendo tutti i suoi elettroni ns e alcuni dei
suoi elettroni (n − 1)d. (Concentreremo qui l’attenzione sulla serie di transizione del
Figura 8.26 Il crossover Periodo 4, ma questi punti valgono anche per le serie dei Periodi 5 e 6).
nelle energie dei sottolivelli nel Nel processo di Aufbau, ossia di costruzione progressiva, degli atomi nello stato
Periodo 4. Gli orbitali 3d sono
fondamentale, il Periodo 3 termina con il gas nobile argon. All’inizio del Periodo 4,
vuoti negli elementi all’inizio
del Periodo 4. Poiché l’elettrone la distribuzione di probabilità radiale dell’orbitale 4s in prossimità del nucleo lo
4s penetra più vicino al nucleo, rende più stabile dell’orbitale 3d vuoto. Perciò, il primo e il secondo elettrone ag-
­l’energia dell’orbitale 4s è più giunti nel periodo entrano nell’orbitale 4s in K e in Ca. Però, non appena si raggiun-
bassa in K e Ca; perciò, l’orbita- gono gli elementi di transizione e gli orbitali 3d cominciano a riempirsi, la carica
le 4s si riempie prima dell’orbi-
nucleare crescente attrae sempre più fortemente i loro elettroni. Inoltre, gli elettro-
tale 3d. Però, mentre gli orbitali
3d si riempiono, a partire da ni 3d aggiunti riempiono orbitali interni e quindi non sono schermati molto bene
Z > 20, questi elettroni interni dalla carica nucleare crescente per opera degli elettroni 4s. Di conseguenza, l’orbi-
sono attratti dalla carica nuclea- tale 3d diventa più stabile dell’orbitale 4s. In effetti, avviene un crossover nell’energia
re crescente e inoltre schermano degli orbitali quando si entra nella serie di transizione (Figura 8.26). L’effetto sulla
gli elettroni 4s. Di conseguenza,
formazione degli ioni è critico: poiché gli orbitali 3d sono più stabili, gli elettroni 4s
esiste un crossover nelle energie
per cui l’energia del sottolivello vengono ceduti prima degli elettroni 3d per formare gli ioni dei metalli di transizione del
3d diventa inferiore a quella del Periodo 4. Perciò, gli elettroni 4s si aggiungono prima degli elettroni 3d per formare
sottolivello 4s. Di conseguenza, l’atomo e vengono ceduti prima degli elettroni 3d per formare lo ione: “primo a
gli elettroni 4s vengono rimossi entrare, primo a uscire”.
per primi quando si forma lo
Riassumendo, gli elettroni con il più alto valore di n vengono rimossi per primi. Se-
ione del metallo di transizione.
In altre parole: guono alcune semplici regole per formare lo ione di qualsiasi elemento dei gruppi
• per uno ione di un metallo principali o elemento di transizione.
dei gruppi principali, il livello
di elettroni con il più alto n è • Per i metalli del blocco s dei gruppi principali, rimuovere tutti gli elettroni
“l’ultimo a riempirsi, il primo a con il più alto valore di n.
vuotarsi”; • Per i metalli del blocco p dei gruppi principali, rimuovere gli elettroni np
• per uno ione di un metallo di prima degli elettroni ns.
transizione, il livello di elet-
troni con il più alto n è “il
• Per i metalli di transizione (blocco d), rimuovere gli elettroni ns prima degli
primo a riempirsi, il primo a elettroni (n − 1)d.
vuotarsi”. • Per i non metalli, aggiungere elettroni agli orbitali p di più alto valore di n.

08txt.indd 260 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 261

Proprietà magnetiche degli ioni dei metalli di transizione Se non possiamo


vedere gli elettroni negli orbitali, come facciamo a sapere che una particolare confi-
gurazione elettronica è corretta? Anche se l’analisi degli spettri atomici è il metodo
più importante per determinare la configurazione elettronica, le proprietà magne-
tiche di un elemento e dei suoi composti possono permettere di corroborare o di
rifiutare le conclusioni tratte dagli spettri. Si ricordi che il moto di rotazione di un
elettrone su se stesso genera un piccolo campo magnetico che fa sì che un fascio di
atomi di H si separi (splitting) in un campo magnetico esterno (vedi Figura 8.1). Il
campo magnetico esterno influenza soltanto le specie chimiche (atomi, ioni o mole-
cole) con uno o più elettroni spaiati. La specie impiegata nell’esperimento originale
di separazione del fascio fu l’atomo d’argento:

Si noti l’elettrone 5s spaiato. Un fascio di atomi di cadmio, l’elemento dopo l’argen-


to, non viene separato perché i suoi elettroni 5s sono appaiati (Cd: [Kr] 5s24d10).
Una specie con elettroni spaiati presenta paramagnetismo: è attratta da un
campo magnetico esterno. Una specie con tutti gli elettroni appaiati presenta dia-
magnetismo: non è attratta (e, in realtà, è lievemente respinta) da un campo ma-
gnetico. La Figu­ra 8.27 illustra come si studia questo comportamento magnetico.
Molti metalli di transizione e i loro composti sono paramagnetici perché i loro
atomi e i loro ioni hanno elettroni spaiati.
Vediamo come si potrebbero usare gli studi del paramagnetismo per ottene-
re dati addizionali a favore di una configurazione elettronica proposta. L’analisi
spettrale degli atomi di titanio dà la configurazione [Ar] 4s23d2. Le osservazioni
sperimentali indicano che il metallo Ti è paramagnetico, il che è compatibile con la
presenza di elettroni spaiati nei suoi atomi. L’analisi spettrale dello ione Ti2+ dà la
configurazione [Ar] 3d2, che indica la cessione dei due elettroni 4s. Di nuovo, i dati
sperimentali corroborano questi risultati mostrando che i composti contenenti lo
ione Ti2+ sono paramagnetici. Se Ti avesse ceduto i suoi due elettroni 3d durante la
formazione dello ione, i suoi composti sarebbero diamagnetici perché gli elettroni
4s sono appaiati. Perciò, la configurazione [Ar] 3d2 conferma la conclusione che gli
elettroni di più alto valore di n sono ceduti per primi:
→ Ti 2+ ([Ar] 3d 2 ) + 2e−
Ti ([Ar] 4s 2 3d 2 ) ⎯ ⎯
I diagrammi parziali degli orbitali sono:
Figura 8.27 Apparecchio
per misurare il comportamento
magnetico di un campione.
Si determina la massa del-
la sostanza con una bilancia
sensibilissima in assenza di un
campo magnetico esterno. A. Se
la sostanza è diamagnetica (ha
Bilancia tutti gli elettroni appaiati, con
spin antiparalleli), la sua massa
apparente non è influenzata (o
è lievemente ridotta) quando è
applicato il campo magnetico.
B. Se la sostanza è paramagne-
tica (ha elettroni spaiati), la
sua massa apparente aumenta
Campione diamagnetico Campione paramagnetico
quando è applicato il campo
magnetico perché il braccio del-
la bilancia è soggetto a una for-
N S N S za addizionale. Questo metodo è
Elettromagnete impiegato per stimare il numero
Elettromagnete
di elettroni spaiati nei composti
A B dei metalli di transizione.

08txt.indd 261 15/05/19 15:18


262 Capitolo 8

Avviene un aumento del paramagnetismo quando il metallo ferro (Fe) forma com-
posti contenenti lo ione Fe3+. Questo fatto è compatibile con la cessione degli
elettroni 4s e di uno degli elettroni 3d appaiati da parte di Fe:
→ Fe3+ ([Ar] 3d 5 ) + 3e−
Fe ([Ar] 4s 2 3d 6 ) ⎯ ⎯

Il rame (Cu) è paramagnetico, ma lo zinco (Zn) è diamagnetico, e sono diamagnetici


gli ioni Cu+ e Zn2+. Queste osservazioni corroborano le configurazioni elettroniche
proposte in base all’analisi spettrale. I due ioni sono isoelettronici:
→ Cu+ ([Ar] 3d10 ) + e−
Cu ([Ar] 4s1 3d10 ) ⎯ ⎯

→ Zn 2+ ([Ar] 3d10 ) + 2e−


Zn ([Ar] 4s 2 3d10 ) ⎯ ⎯

Scrittura delle configurazioni elettroniche e previsione


del comportamento magnetico degli ioni dei metalli di transizione
PROBLEMA DI VERIFICA 8.7
Problema Usando configurazioni elettroniche condensate, si scriva la reazione per la for-
mazione di ciascuno ione di metalli di transizione e si preveda se lo ione sarà paramagnetico:
(a) Mn2+ (Z = 25) (b) Cr3+ (Z = 24) (c) Hg2+ (Z = 80)
Piano Prima scriviamo la configurazione elettronica condensata dell’atomo, notando l’ir-
regolarità per Cr in (b). Poi rimuoviamo elettroni, cominciando con gli elettroni ns, per
ottenere la carica dello ione. Se sono presenti elettroni spaiati, lo ione è paramagnetico.
Risoluzione (a) Mn ([Ar] 4 s 2 3d 5 ) ⎯ ⎯→ Mn 2+ ([Ar] 3d 5 ) + 2e−
Vi sono cinque elettroni spaiati, quindi Mn2+ è paramagnetico.
(b) Cr ([Ar] 4s1 3d 5 ) ⎯ ⎯→ Cr 3+ ([Ar] 3d 3 ) + 3e−
Vi sono tre elettroni spaiati, quindi Cr3+ è paramagnetico.
(c) Hg ([Xe] 6s 2 4 f 14 5d10 ) ⎯ ⎯→ Hg 2+ ([Xe] 4 f 14 5d10 ) + 2e−
Non vi sono elettroni spaiati, quindi Hg2+ non è paramagnetico (è diamagnetico).
Verifica Abbiamo rimosso per primi gli elettroni ns, e la somma degli elettroni ceduti e di
quelli nella configurazione elettronica dello ione è uguale a Z.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.7 Si scriva la configurazione elettroni-


ca condensata di ciascuno dei seguenti ioni di metalli di transizione e si preveda se saranno
paramagnetici:
(a) V3+ (Z = 23) (b) Ni2+ (Z = 28) (c) La3+ (Z = 57)

Raggio ionico e raggio atomico Il raggio ionico è una stima della dimensione
di uno ione in un composto ionico cristallino. Possiamo raffigurarlo come la parte,
associata allo ione in questione, della distanza tra i nuclei di ioni adiacenti nel soli-
do (Figu­ra 8.28). In base alla relazione tra carica nucleare effettiva e raggio atomico,
Figura 8.28 Rappresentazio­
possiamo prevedere il raggio di uno ione rispetto all’atomo originale.
ne del raggio ionico. Il raggio
catio­nico (r +) e il raggio anio- • I cationi sono più piccoli degli atomi originali. Quando si forma un catione, ven-
nico (r −) costituiscono ciascuno
gono rimossi elettroni dal livello esterno. La conseguente diminuzione delle
una parte della distanza totale
tra i nuclei di ioni adiacenti in repulsioni interelettroniche permette alla carica nucleare di attrarre verso di
un composto io­nico cristallino. sé gli elettroni restanti.

08txt.indd 262 15/05/19 15:18


Configurazione elettronica e periodicità chimica 263

• Gli anioni sono più grandi degli atomi originali. Quando si forma un anione, ven-
gono aggiunti elettroni al livello esterno. L’aumento delle repulsioni fa sì che gli
elettroni occupino più spazio.
La Figura 8.29 presenta i raggi di alcuni ioni monoatomici comuni degli elementi
dei gruppi principali rispetto agli atomi originali. Come si può vedere, il raggio
­ionico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo perché aumenta il numero dei livelli
energetici. Ma lungo un periodo l’andamento del raggio ionico è più complesso.
Il raggio ionico diminuisce tra i cationi, poi aumenta enormemente quando si rag-
giungono gli anioni, e infine torna a diminuire tra gli anioni.
Questo andamento è dovuto a variazioni della carica nucleare effettiva e delle
repulsioni interelettroniche. Nel Periodo 3 (da Na a Cl), per esempio, l’aumento di
Zeff da sinistra a destra fa sì che Na+ sia più grande di Mg2+, che a sua volta è più
grande di Al3+. Il grande salto del raggio ionico dai cationi agli anioni è dovuto al
fatto che si aggiungono elettroni invece di rimuoverli e quindi le repulsioni aumen-
tano rapidamente. Per esempio, P3− ha 8 elettroni in più rispetto a Al3+. Quindi,
il continuo aumento di Zeff fa sì che P3− sia più grande di S2−, che è più grande di
Cl−. Questi fattori causano alcuni effetti sorprendenti anche tra ioni con lo stesso
numero di elettroni. Consideriamo gli ioni entro il contorno tratteggiato nella Fi-
gura 8.29, che sono tutti isoelettronici con il neon. Anche se si formano cationi a SERIE ISOELETTRONICA
partire da elementi del periodo successivo, gli anioni sono ancora molto più grandi.
L’andamento è:
3− > 2− > 1− > 1+ > 2+ > 3 +
Quando un elemento forma più di un catione, maggiore è la carica ionica, minore è il
raggio ionico. Consideriamo Fe2+ e Fe3+. Il numero di protoni è lo stesso, ma Fe3+ ha

Figura 8.29 Raggio ionico e


raggio atomico. I raggi atomici
(semisfere colorate) e i raggi
ionici (semisfere grigie) di alcuni
elementi dei gruppi principali
sono disposti in forma di tavo-
la periodica (con tutti i valori
dei raggi in picometri). Si noti
che i metalli (in blu) formano
ioni positivi che sono più pic-
coli degli atomi, mentre i non
metalli (in rosso) formano ioni
negativi che sono più grandi
degli atomi. La linea tratteggia-
ta separa gli ioni dei non metalli
del Periodo 2 e dei me­talli del
Periodo 3 che sono isoelettronici
con il neon. Si noti che i raggi
diminuiscono dagli anioni ai
cationi.

08txt.indd 263 15/05/19 15:18


264 Capitolo 8

un elettrone in meno, e quindi le repulsioni interelettroniche si riducono alquanto.


Di conseguenza, Zeff aumenta, avvicinando gli elettroni al nucleo, e quindi Fe3+ è
più piccolo di Fe2+.
Riassumendo i punti principali:
• il raggio ionico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo;
• il raggio ionico diminuisce da sinistra a destra lungo un periodo, ma aumenta
dai cationi agli anioni;
• il raggio ionico diminuisce all’aumentare della carica positiva (o al diminuire
della carica negativa) in una serie isoelettronica;
• il raggio ionico diminuisce all’aumentare della carica per differenti cationi di
un dato elemento.

Ordinamento degli ioni secondo il raggio decrescente


PROBLEMA DI VERIFICA 8.8
Problema Si ordini ciascun insieme di ioni secondo il raggio decrescente, e si spieghi l’or-
dinamento:
(a) Ca2+, Sr2+, Mg2+ (b) K+, S2−, Cl− (c) Au+, Au3+
Piano Troviamo la posizione di ciascun elemento nella tavola periodica e applichiamo i
concetti presentati nel testo.
Risoluzione (a) Poiché Mg2+, Ca2+e Sr2+ appartengono tutti al Gruppo 2A(2), diminuiscono
per grandezza lungo il gruppo: Sr 2+ > Ca 2+ > Mg 2+ .
(b) Gli ioni K+, S2−, e Cl− sono isoelettronici. S2−, avendo Zeff minore di Cl−, è più grande.
K+ è un catione e ha la Zeff più grande, quindi è il più piccolo: S 2− > Cl− > K + .
(c) Au+, avendo una carica minore di quella di Au3+, è più grande: Au+ > Au3+ .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 8.8 Si ordinino gli ioni in ciascun insie-


me secondo il raggio crescente:
(a) Cl−, Br−, F− (b) Na+, Mg2+, F− (c) Cr2+, Cr3+

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento

8.1 L’elemento ha 8 elettroni, quindi Z = 8: ossigeno [Xe] 6s24f 145d106p4  

Po ha 78 elettroni interni.
8.3 (a) Cl < Br < Se; (b) Xe < I < Ba
Sesto elettrone: n = 2, l = 1, ml = 0, ms = + 12 8.4 (a) Sn < Sb < I; (b) Ba < Sr < Ca
8.2 (a) Per Ni, 1s22s22p63s23p64s23d8; [Ar] 4s23d8 8.5 Q è l’alluminio: 1s22s22p63s23p1
8.6 (a) Ba ([Xe] 6s 2 ) ⎯ ⎯→ Ba 2+ ([Xe]) + 2e−
(b) O ([He] 2s 2 2p 4 ) + 2e− ⎯ ⎯→
O 2− ([He] 2s 2 2p 6 ) (isoelettronico con Ne)
Ni ha 18 elettroni interni. (c) Pb ([Xe] 6s 2 4f 14 5d10 6p 2 ) ⎯ ⎯→
(b) Per Sr, 1s22s22p63s23p64s23d104p65s2; [Kr] 5s2 Pb 2+ ([Xe] 6s 2 4f 14 5d10 ) + 2e−
Pb ([Xe] 6s 2 4f 14 5d10 6p 2 ) ⎯ ⎯→ Pb 4+ ([Xe] 4f 14 5d10 ) + 4e−
8.7 (a) V3+: [Ar] 3d 2; paramagnetico
(b) Ni2+: [Ar] 3d 8; paramagnetico
Sr ha 36 elettroni interni. (c) La3+: [Xe]; non paramagnetico (diamagnetico)
(c) Per Po, 1s22s22p63s23p64s23d104p65s24d105p66s24f145d106p4 8.8 (a) F− < Cl− < Br−; (b) Mg2+ < Na+ < F−; (c) Cr3+ < Cr2+

08txt.indd 264 15/05/19 15:18


Modelli del legame chimico 9
Perché il sale da cucina (o qualsiasi altro composto ionico) è un solido duro, fragile, DA SAPERE PRIMA
altofondente, che conduce corrente elettrica soltanto quando è fuso o sciolto nell’ac-
• caratteristiche del legame ionico
qua? Perché molte sostanze covalenti, quali le cere, sono bassofondenti, tenere e e del legame covalente (Paragra­-
cattive conduttrici elettriche, mentre altre, come il diamante, sono altofondenti ed fo 2.7)
estremamente dure? E perché i metalli sono lucenti, duttili e malleabili e sono capaci • legami covalenti polari e polarità
dell’acqua (Paragrafo 4.1)
di condurre corrente elettrica siano essi allo stato fuso o allo stato solido? La risposta • legge di Hess, ΔH 0r e ΔH 0f (Para-
sta nel tipo di legame nella sostanza. Nel capitolo precedente abbiamo esaminato le grafi 6.5 e 6.6)
proprietà dei singoli atomi e ioni. Tuttavia, in quasi tutte le sostanze esistenti in noi e • configurazioni elettroniche
atomiche e ioniche (Paragrafi 8.3
attorno a noi, queste particelle sono legate tra loro. Come vedremo in questo capito- e 8.5)
lo, gran parte dell’entusiasmo suscitato dalla chimica proviene dalla scoperta di come • tendenze nelle proprietà ato-
le proprietà degli atomi influenzano i tipi di legami chimici che formano, perché miche e nel comportamento
metallico (Paragrafi 8.4 e 8.5)
questi, in ultima analisi, sono responsabili del comportamento della sostanza stessa.
IN QUESTO CAPITOLO vedremo come le proprietà atomiche danno origine ai
tre modelli principali di legame: ionico, covalente e metallico. Via via che descri-
veremo ciascun modello, vedremo come questo spiega le proprietà di ciascun
tipo di sostanza. Esamineremo i passaggi e l’energia coinvolta nella formazione
di un solido ionico a partire dagli elementi mettendo in evidenza l'importanza
dell'energia reticolare. Verranno descritte la formazione e le caratteristiche di
un legame covalente, quello presente nella grande maggioranza dei composti,
e discusse le relazioni tra ordine, energia e lunghezza di legame. Verrà esami-
nato l'andamento periodico dell'elettronegatività e discusso il suo ruolo nel
passaggio da legami covalenti puri a legami ionici. Infine, considereremo un
semplice modello che spiega il legame metallico.

9.1 PROPRIETÀ ATOMICHE E LEGAMI CHIMICI


Prima di esaminare i tipi di legame chimico, dovremmo chiederci perché gli atomi for-
mino legami tra loro. In generale, lo fanno per un motivo predominante: il legame ab­bas­­
sa l’energia potenziale tra particelle positive e particelle negative, siano esse ioni carichi di
segno opposto oppure nuclei atomici ed elettroni. Come la configurazione elettronica
e l’intensità dell’attrazione nucleo-elettroni determinano le proprietà di un atomo, così
il tipo e la forza dei legami chimici determinano le proprietà di una sostanza.

Tipi di legame chimico


A livello atomico, si distingue un metallo da un non metallo in base a numerose
proprietà che sono correlate con la posizione nella tavola periodica (Figura 9.1 e
tavola nell’Appendice H). Si tenga presente che, come abbiamo visto nel capitolo
precedente, le proprietà metalliche generalmente diminuiscono da sinistra a destra
lungo un periodo e aumentano dall’alto al basso lungo un gruppo. Come primo
passo verso l’apprezzamento dell’importanza del legame, identifichiamo i tre tipi
di legame che si ottengono combinando questi due tipi di atomi: metallo con non
metallo, non metallo con non metallo, metallo con metallo.

09txt.indd 265 16/05/19 22:16


266 Capitolo 9

Figura 9.1 Confronto generale dei metalli e dei non metalli. A. Tramite la legenda posta in alto si può individuare la posi-
zione dei metalli, dei non metalli e dei metalloidi nella tavola periodica. B. I valori relativi di alcune proprietà atomiche essenziali
variano da sinistra a destra in un periodo e sono correlati con il carattere metallico o non metallico di un elemento. Per esempio,
in un dato periodo, gli atomi metallici sono più grandi degli atomi non metallici.

1. Metallo con non metallo: trasferimento di elettroni e legame ionico (Figura 9.2A). Si
osserva generalmente il legame ionico tra atomi con grandi differenze nelle loro
tendenze a cedere o ad acquistare elettroni. Si osservano queste differenze tra metalli
reattivi [Gruppi 1A(1) e 2A(2)] e non metalli [Gruppo 7A(17) e sommità del Gruppo
6A(16)]. L’atomo metallico (bassa Ei) cede il suo o i suoi due elettroni di valenza,
FORMAZIONE DI UN
mentre l’atomo non metallico (Eea altamente negativa) acquista gli elettroni. Avviene
COMPOSTO IONICO un trasferimento di elettroni dal metallo al non metallo, e ciascuno dei due atomi forma
uno ione con una configurazione di gas nobile. L’attrazione elettrostatica tra questi
ioni positivo e negativo li colloca nella disposizione tridimensionale di un solido ioni-
co, la cui formula chimica rappresenta il rapporto catione/anione (formula empirica).
2. Non metallo con non metallo: condivisione di due elettroni tra due atomi e legame cova­
lente (Figura 9.2B). Quando due atomi hanno una piccola differenza nella loro ten-
denza a cedere o ad acquistare elettroni, si osservano la condivisione di due elettroni
e la formazione di un legame covalente. Questo tipo di legame è più comune tra
Figura 9.2 I tre modelli del
legame chimico. A. Nel legame
ionico, atomi metallici trasfe-
riscono uno o più elettroni ad
atomi non metallici, formando
ioni carichi di segno opposto
che si attraggono mutuamente
per formare un solido. B. Nel
legame covalente, due atomi
condividono una coppia di elet-
troni localizzati tra i loro nuclei
(rappresentata qui come una
linea di legame). La maggior
parte delle sostanze covalenti
sono costituite da molecole
individuali, ciascuna costitui-
ta da due o più atomi. C. Nel
legame metallico, molti atomi
metallici mettono in comune il(i)
loro elettrone(i) di valenza per
formare un “mare di elettroni”
delocalizzato che tiene uniti gli
ioni metallici (i nuclei più gli
elettroni interni).

09txt.indd 266 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 267

atomi non metallici (quantunque anche una coppia di atomi metallici possa forma-
re un legame covalente). Ciascun atomo non metallico trattiene fortemente i propri
elettroni (alta Ei) e tende anche ad attrarre altri elettroni (Eea altamente negativa).
L’attrazione esercitata da ciascuno dei due nuclei sugli elettroni di valenza dell’al-
tro attrae i due atomi. Una coppia di elettroni condivisa è considerata localizzata
tra i due atomi perché trascorre lì la maggior parte del suo tempo, legandoli in un
legame covalente di data lunghezza e forza. Nella maggior parte dei casi, si formano
molecole separate quando si formano legami covalenti, e la formula chimica rispec-
chia i numeri effettivi di atomi nella molecola (formula molecolare).
3. Metallo con metallo: messa in comune di elettroni fra molti atomi e legame metallico
(Figura 9.2C). In generale, gli atomi metallici sono relativamente grandi e i loro pochi
elettroni esterni sono efficacemente schermati dai livelli interni pieni. Perciò, cedo-
no in modo relativamente facile gli elettroni esterni (bassa Ei) ma non li acquistano
molto facilmente (Eea piccola o positiva). Queste proprietà fanno sì che gli atomi
metallici mettano in comune i loro elettroni di valenza, ma in modo diverso rispetto
alla formazione di un legame covalente. Nel più semplice modello di legame me-
tallico, tutti gli atomi in un campione mettono in comune i loro elettroni di valenza
in un “mare” di elettroni uniformemente distribuito che “fluisce” tra e attorno agli
ioni metallici e li attrae, tenendoli così uniti. A differenza degli elettroni localizzati
in un legame covalente, in un legame metallico gli elettroni sono delocalizzati, ossia
si muovono liberamente in tutto il campione di metallo.
È importante tenere presente che nel mondo delle sostanze reali esistono eccezioni
a questi modelli idealizzati di legame. Non sempre è possibile prevedere il tipo di
legame basandosi unicamente sulle posizioni degli elementi nella tavola periodica.
Per esempio, tutti i composti ionici binari contengono un metallo e un non metallo,
ma non tutti i metalli formano composti ionici binari con tutti i non metalli. Per
esempio, quando il metallo berillio [Gruppo 2A(2)] si combina con il non metallo
cloro [Gruppo 7A(17)], il legame che si forma si adatta meglio al modello del legame
covalente che al modello del legame ionico. In altre parole, come si osserva una
gradazione nel comportamento metallico nei gruppi e nei periodi, così si osserva
anche una gradazione da un tipo di legame a un altro.

Simboli di Lewis: rappresentazione degli atomi


nei legami chimici
Prima di prendere in considerazione i singoli modelli, esaminiamo un metodo per
rappresentare gli elettroni di valenza degli atomi interagenti. Nel simbolo di
Lewis dal nome del chimico statunitense G.N. Lewis), il simbolo dell’elemento
rappresenta il nucleo e gli elettroni interni, e i puntini attorno al simbolo rappre-
sentano gli elettroni di valenza, come mostrato nella Figura 9.3. Si noti la configu-
razione ricorrente di puntini per gli elementi in un gruppo.
È facile scrivere il simbolo di Lewis per qualsiasi elemento dei gruppi principali.
1. Notare il suo numero del gruppo A(1A ÷ 8A), che dà il numero di elettroni di
valenza. Figura 9.3 Simboli di Lewis
per gli elementi nei Periodi 2
2. Collocare un puntino per volta sui quattro lati (superiore, destro, inferiore,
e 3.
sinistro) del simbolo dell’elemento. Il simbolo dell’elemento rappre-
3. Appaiare i puntini finché non sono stati utilizzati tutti. senta il nucleo e gli elettroni
interni, i puntini attorno a esso
gli elettroni di valenza, appaiati
o spaiati. Il numero di punti-
ni spaiati indica il numero di
elettroni ceduti da un atomo
metallico, il numero di elettroni
acquistati da un atomo non
metallico o il numero di legami
covalenti formati di solito da un
atomo non metallico.

09txt.indd 267 16/05/19 22:16


268 Capitolo 9

• Le notevoli intuizioni di
Gilbert Newton Lewis Molti
La collocazione specifica dei puntini non è importante; cioè, oltre al modo mo-
strato nella Figura 9.3, il simbolo di Lewis per l’azoto può essere scritto anche in
dei concetti presentati in questo questi modi:
libro nacquero dalla mente del chi-
mico e fisico statunitense Gilbert
Newton Lewis (1875-1946). Fin
dal 1902, quasi 10 anni prima che
Il numero e l’appaiamento dei puntini forniscono informazioni sul comportamento
Rutherford proponesse il suo model-
lo nucleare dell’atomo, i taccuini di di legame di un elemento.
Lewis mostrano uno schema che
• Nel caso di un metallo, il numero totale di puntini è il numero massimo di
contempla il riempimento di “gusci”
(o “strati”) elettronici esterni per elettroni che il metallo cede per formare un catione.
spiegare i modi in cui gli elementi • Nel caso di un non metallo, il numero di puntini spaiati è il numero di elet-
si combinano. I suoi simboli in cui troni che si appaiano attraverso l’acquisto di elettroni oppure attraverso la
gli elettroni sono rappresentati con condivisione di elettroni. Perciò, il numero di puntini spaiati è uguale alla
puntini e le formule di struttu-
carica negativa dell’anione formato da un atomo oppure al numero di legami
ra associate (esaminate nel capitolo
seguente) sono diventati standard covalenti formati dall’atomo.
per la rappresentazione dei legami.
Per illustrare quest’ultimo punto, consideriamo il simbolo di Lewis per il carbonio.
Tra i suoi molti altri contributi si
può citare una comprensione gene- Invece di avere una coppia di puntini e due puntini spaiati, come indicherebbe la
rale del comportamento degli acidi sua configurazione elettronica ([He] 2s22p2), il carbonio ha quattro puntini spaiati
e delle basi (che esamineremo nel perché forma quattro legami. (Nel capitolo seguente useremo qualche altra disposi-
Capitolo 18). zione di puntini per i non metalli più grandi).
Lewis espresse in forma generale il comportamento degli elementi nel formare
legami attraverso la regola dell’ottetto: quando gli atomi si legano, essi cedono, ac­
quistano o condividono elettroni per raggiungere un livello esterno pieno di otto (o due)
elettroni. La regola dell’ottetto è valida per la grande maggioranza degli elementi del
Periodo 2 e anche per un gran numero di altri composti.

9.2 IL MODELLO DEL LEGAME IONICO


Il concetto centrale del modello del legame ionico è il trasferimento di elettroni da un
metallo a un non metallo per formare ioni che si uniscono in un composto ionico solido.
Per quasi tutti gli elementi dei gruppi principali che formano uno ione monoato-
mico, la configurazione elettronica ionica ha un livello esterno pieno: due o otto
elettroni, lo stesso numero presente nel gas nobile più vicino.
La Figura 9.4 mostra tre modi di rappresentare il trasferimento di un elettrone
da un atomo di litio a un atomo di fluoro. In ciascuno, Li cede il suo singolo elet-
trone esterno e resta con un livello con n = 1 pieno, mentre F acquista un singolo
elettrone per riempire il suo livello con n = 2. In questo caso, ciascun atomo dista
di 1 elettrone dal gas nobile più vicino: He nel caso di Li e Ne nel caso di F, e quindi
il numero di elettroni ceduti da ciascun atomo di Li è uguale al numero di elettroni
acquistati da ciascun atomo di F. Perciò, si formano numeri uguali di ioni Li+ e F−,
Figura 9.4 Tre modi di rap-
come è indicato dalla formula LiF. In tutti i casi di legame ionico, il numero totale di
presentare la formazione
di Li+ e di F− mediante il elettroni ceduti dagli atomi metallici è uguale al numero totale di elettroni acquistati dagli
trasferimento di un elettrone. atomi non metallici.
L’elettrone trasferito è indicato
in rosso.

09txt.indd 268 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 269

Rappresentazione della formazione degli ioni


PROBLEMA DI VERIFICA 9.1
Problema Usando i diagrammi parziali degli orbitali e i simboli di Lewis, si rappresenti la
formazione degli ioni Na+ e O2− a partire dagli atomi e si determini la formula del composto.
Piano Prima disegniamo i diagrammi degli orbitali e i simboli di Lewis per gli atomi di Na e
O. Per raggiungere livelli esterni pieni, Na cede un elettrone e O ne acquista due. Perciò, per
fare sì che il numero degli elettroni ceduti sia uguale al numero degli elettroni acquistati,
sono necessari due atomi di Na per ciascun atomo di O.
Risoluzione

La formula è Na2O.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 9.1 Usando le configurazioni elettro-


niche condensate e i simboli di Lewis, si rappresenti la formazione degli ioni Mg2+ e Cl− a
partire dagli atomi e si scriva la formula del composto.

Considerazioni energetiche nella formazione del legame ionico: A


l’importanza dell’energia reticolare
Può essere sorprendente apprendere che il processo di trasferimento di elettroni,
di per sé, assorbe energia! In realtà, i composti ionici si formano a causa dell’enorme
rilascio di energia che avviene quando gli ioni si uniscono per formare il solido. Con-
sideriamo il processo di trasferimento di elettroni per la formazione del fluoruro di
litio, che si svolge in due tappe: cessione di un elettrone da parte di un atomo di Li
gassoso e acquisto dell’elettrone da parte di un atomo di F gassoso.
• L’energia di prima ionizzazione (Ei1) del Li è l’energia necessaria affinché 1 mol
di atomi di Li gassosi ceda 1 mol di elettroni esterni:
→ Li+ ( g ) + e−
Li( g ) ⎯ ⎯ Ei1 =
520 kJ

• L’affinità elettronica (Eea) di F è la variazione di energia che si produce quando


1 mol di atomi di F acquista 1 mol di elettroni:
F( g ) + e− ⎯ ⎯
→ F− ( g ) Eea = −328 kJ B

Sommando questi valori, si trova che il processo di trasferimento di elettroni in due Figura 9.5 La reazione tra
tappe richiede di per sé energia: sodio e bromo. A. Nonostante
il processo di trasferimento
→ Li+ ( g ) + F− ( g )
Li( g ) + F( g ) ⎯ ⎯ Ei1 + Eea =
192 kJ elettronico endotermico, tutti
i metalli del Gruppo 1A(1) rea-
Il costo energetico totale di formazione degli ioni è ancora maggiore di questo per- giscono esotermicamente con
ché il litio metallico e il fluoro biatomico devono essere prima convertiti in atomi qualsiasi dei non metalli del
Gruppo 7A(17) per formare alo-
gassosi separati, un processo che richiede anch’esso energia. Ciononostante, il calore genuri solidi dei metalli alcalini.
standard di formazione (ΔH 0f) di LiF solido è −617 kJ/mol; cioè, vengono rilasciati L’esempio illustrato mostra il
617 kJ di energia per ogni mole di LiF(s) formata. Il caso di LiF è tipico: nonostan- sodio (nel becher immerso in
te un trasferimento elettronico endotermico, i solidi ionici si formano facilmente, olio minerale) e il bromo (liqui-
spesso vigorosamente. La Figura 9.5 mostra la formazione del NaBr. do di colore rosso scuro nel
pallone). B. La reazione è di
Chiaramente, se la reazione complessiva di Li(g) e F2(g) per formare LiF(s) rila- solito rapida e vigorosa. (Foto: ©
scia energia, devono esistere una o più componenti energetiche sufficientemente McGraw-Hill Education/Stephen
esotermiche da superare le tappe endotermiche. La componente esotermica deriva Frisch, photographer).

09txt.indd 269 16/05/19 22:16


270 Capitolo 9

Figura 9.6 Il ciclo di Born- dalla forte attrazione tra ioni carichi di segno opposto. Quando 1 mol di Li+(g) e 1
Haber per il fluoruro di litio.
mol di F−(g) formano 1 mol di molecole gassose di LiF, viene rilasciata una grande
La formazione di LiF(s) a partire
dai suoi elementi si svolge in quantità di calore:
un’unica reazione complessiva Li+ ( g ) + F− ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( g ) ΔH 0 = −755 kJ
(freccia nera) oppure in cinque
tappe ipotetiche, ciascuna con Ovviamente, in condizioni ordinarie, LiF non è costituito da molecole gassose per-
la propria variazione di entalpia ché viene rilasciata una quantità molto maggiore di energia quando gli ioni gassosi si
(frecce arancio). È nota la varia-
uniscono per formare un solido cristallino. Quando ciò avviene, ciascuno ione attrae
zione complessiva di entalpia
per il processo (ΔH 0f ) e sono parecchi altri ioni di carica opposta. L’energia reticolare è la variazione di ental-
note ΔH 0tappa 1 ÷ ΔH 0tappa 4. Si pia che accompagna l’unione di ioni gassosi per formare un solido ionico:
può quindi calcolare ΔH 0tappa 5,
l’energia reticolare (ΔH 0raticolare
Li+ ( g ) + F− ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( s ) Δ
= 0
H reticolare di LiF =
energia reticolare −1050 kJ
di LiF). (ΔH 0atomo è il calore di
atomizzazione; El è l’energia di (Vedremo tra poco come si calcola questo valore). Il valore dell’energia reticolare
legame). indica l’intensità delle interazioni ioniche e influenza la temperatura di fusione, la
durezza e la solubilità dei composti ionici.
L’energia reticolare svolge un ruolo critico nella formazione dei composti ioni-
ci, ma non può essere misurata direttamente. Un metodo per determinare l’energia
reticolare applica la legge di Hess (vedi Paragrafo 6.5), che stabilisce che la variazio-
ne di entalpia di una reazione complessiva è la somma delle variazioni di entalpia
delle singole reazioni da cui è costituita: ΔH totale = ΔH1 + ΔH 2 + ⋅⋅⋅ . Le energie
reticolari si calcolano mediante un ciclo di Born-Haber, una serie di tappe che
portano dagli elementi ai composti ionici per i quali si conoscono tutte le entalpie*
eccettuata l’energia reticolare.
Percorriamo il ciclo di Born-Haber per il fluoruro di litio. La Figura 9.6 mostra
due percorsi possibili: la reazione di combinazione diretta (freccia nera) oppure il
percorso multitappa (frecce arancio), durante il quale in una tappa viene rilasciata

* A rigore, l’energia di ionizzazione (Ei) e l’affinità elettronica (Eea) sono variazioni dell’energia interna
(ΔE), non variazioni dell’entalpia (ΔH), ma in questi casi ΔH = ΔE perché ΔV = 0 (vedi Paragrafo 6.2).

09txt.indd 270 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 271

l’energia reticolare incognita. La legge di Hess dice che i due percorsi implicano la
stessa variazione complessiva di entalpia:
ΔH 0f di LiF(s) = somma delle ΔH 0 per il percorso multitappa
È importante rendersi conto che, per rappresentare le componenti energetiche
della formazione di LiF, si scelgono ipotetiche tappe di cui si è in grado di misurare le
variazioni di entalpia, anche se queste non sono tappe effettive che avvengono quando il
litio reagisce con il fluoro.
Partiamo dagli elementi nei loro stati standard: il litio metallico e il fluoro bia-
tomico gassoso. Nel processo multitappa, gli elementi vengono convertiti in atomi
gassosi singoli (tappe 1 e 2), le tappe di trasferimento elettronico formano ioni
gassosi (tappe 3 e 4), e gli ioni formano un solido (tappa 5). Identifichiamo ciascuna
ΔH 0 con il suo numero di tappa:
Tappa 1. La conversione di 1 mol di Li solido per separare gli atomi di Li gassosi
implica la rottura di legami metallici, quindi richiede energia:
Li( s ) ⎯ ⎯
→ Li( g ) ΔH tappa
0
1 = 161 kJ

(Questo processo è detto atomizzazione e la variazione di entalpia è ΔH 0atomo).


Tappa 2. La conversione di una molecola di F2 in atomi di F implica la rottura di
un legame covalente, quindi richiede energia, che, come vedremo più avanti, è
detta energia di legame (El). È necessaria 1 mol di atomi di F per 1 mol di LiF, quindi
partiamo da 12 mol di F2:
1
2 F2 ( g ) ⎯ ⎯
→ F( g ) Δ
= 0
H tappa 2
1
2 ( E=
1 di F2 ) 2=
1
(159 kJ) 79,5 kJ
Tappa 3. La rimozione dell’elettrone 2s da 1 mol di Li per formare 1 mol di Li+
richiede energia:
→ Li+ ( g ) + e−
Li( g ) ⎯ ⎯ ΔH tappa
0
=3 E=
i1 520 kJ

Tappa 4. L’aggiunta di un elettrone a 1 mol di F per formare 1 mol di F− rilascia


energia:
F( g ) + e− ⎯ ⎯
→ F− ( g ) 0
H tappa=4 E=
ea −328 kJ

Tappa 5. La formazione di 1 mol di solido ionico cristallino a partire da ioni gassosi


è la tappa la cui variazione di entalpia (l’energia reticolare) è incognita:

Li+ ( g ) + F− ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( s ) ΔH tappa
0
5 = ΔH reticolare di LiF = ?
0

Conosciamo la variazione di entalpia della reazione di formazione,


Li( s ) + 12 F2 ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( s ) ΔH complessiva
0
= ΔH f0 = −617 kJ
Usando la legge di Hess, uguagliamo la ΔH 0f incognita alla somma delle tappe e
calcoliamo l’energia reticolare:
ΔH f0 = ΔH tappa
0
1 + ΔH tappa 2 + ΔH tappa 3 + ΔH tappa 4 + ΔH reticolare di LiF
0 0 0 0

Risolvendo rispetto a ΔH 0reticolare di LiF otteniamo


ΔH reticolare
0
di LiF = ΔH f0 − (ΔH tappa
0
1 + ΔH tappa 2 + ΔH tappa 3 + ΔH tappa 4 )
0 0 0

= −617 kJ − ⎡⎣161 kJ + 79,5 kJ + 520 kJ + (−328 kJ)⎤⎦ = −1050 kJ


Si noti che il valore assoluto dell’energia reticolare domina il processo multitappa.
Il ciclo di Born-Haber rivela un punto centrale: i solidi ionici esistono soltanto perché
l’energia reticolare favorisce il trasferimento elettronico energeticamente sfavorevole. In
altre parole, l’energia necessaria affinché gli elementi cedano o acquistino elettroni
è fornita dall’attrazione tra gli ioni che formano: viene spesa energia per formare
gli ioni, ma questa energia viene più che riacquistata quando gli ioni si attraggono
reciprocamente per formare un solido.

09txt.indd 271 16/05/19 22:16


272 Capitolo 9

Tendenze periodiche nell’energia reticolare


L’energia reticolare è il risultato di interazioni elettrostatiche tra ioni e quindi ci
attendiamo che il suo valore assoluto dipenda da parecchi fattori, comprendenti il
raggio ionico, la carica ionica e la disposizione degli ioni nel solido. Nel Capitolo 2
abbiamo introdotto la legge di Coulomb come aspetto fondamentale della forma-
zione del legame ionico e da allora l’abbiamo applicata più volte ad altre situazioni
in cui cariche si attraggono reciprocamente. La legge di Coulomb stabilisce che la
forza elettrostatica associata a due cariche (A e B) è direttamente proporzionale al
prodotto dei valori assoluti delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato
della loro distanza reciproca:
carica A × carica B
forza elettrostatica ∝
distanza 2
Dato che energia = forza  ×  distanza, l’energia elettrostatica è inversamente propor-
zionale alla prima potenza della distanza reciproca delle cariche:
carica A × carica B
energia elettrostatica ∝ (9.1)
distanza
In un solido ionico sono presenti particelle cariche a varie distanze e quindi il calco-
lo richiede più che una semplice estensione della legge di Coulomb. Ciononostante,
l’energia reticolare (ΔH 0reticolare) è direttamente proporzionale all’energia elettrosta-
tica. I cationi e gli anioni sono situati alla distanza reciproca minima, uguale alla
distanza tra i loro centri, che è la somma dei loro raggi (vedi Figura 8.28):
carica cationica × carica ionica
energia elettrostatica ∝ ∝ ΔH reticolare
0
(9.2)
raggio cationico + raggio anionico
Questa relazione ci aiuta a prevedere le tendenze nell’energia reticolare e a spiegare
gli effetti del raggio ionico e della carica ionica.
1. Effetto del raggio ionico. Mano a mano che ci si muove dall’alto al basso lungo
un gruppo di metalli o di non metalli, il raggio ionico aumenta. Perciò, l’energia
di attrazione tra cationi e anioni dovrebbe diminuire perché aumenta la distanza
interionica; perciò, dovrebbe diminuire anche l’energia reticolare dei loro composti.
Questa previsione è confermata nelle energie reticolari degli alogenuri dei metalli
alcalini mostrati nella Figura 9.7. Si osserva una diminuzione regolare dell’energia

Figura 9.7 Tendenze


nell’energia reticolare. Sono
indicate le energie reticolari per
molti degli alogenuri dei metalli
alcalini. Ciascuna linea spezzata
rappresenta un dato catione del
Gruppo 1A(1) (a sinistra) che si
com­bina, in corrispondenza dei
pallini delle linee, con vari anio-
ni del Gruppo 7A(17) (in basso).
All’au­men­tare dei raggi ionici, le
attrazioni elettrostatiche dimi-
nuiscono e quindi diminuiscono
anche le energie reticolari dei
composti. Perciò, LiF (composto
dagli ioni più piccoli mostrati)
ha l’energia reticolare più alta
e RbI (composto dagli ioni più
grandi) ha la più bassa.

09txt.indd 272 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 273

reticolare dall’alto al basso lungo un gruppo sia che si mantenga costante il catione
(LiF o LiI) sia che si mantenga costante l’anione (LiF o RbF).
2. Effetto della carica ionica. Quando si confronta il fluoruro di litio con l’ossido di
magnesio, si trovano cationi di raggi circa uguali (Li+ = 76 pm e Mg2+ = 72 pm)
e anioni di raggi circa uguali (F− = 133 pm e O2− = 140 pm). Perciò, l’unica dif-
ferenza importante è la carica ionica: LiF contiene gli ioni monovalenti Li+ e F−,
mentre MgO contiene gli ioni bivalenti Mg2+ e O2−. La differenza fra le loro energie
reticolari è sorprendente:
ΔH reticolare
0
di LiF = −1050 kJ/mol e ΔH reticolare
0
di MgO = −3923 kJ/mol.
Questo aumento di quasi quattro volte di ΔH 0reticolare rispecchia l’aumento di
quattro volte del prodotto delle cariche (1  ×  1 rispetto a 2  ×  2) nel numeratore
dell’Equazio­ne 9.2
L’elevata energia reticolare di MgO spiega anche perché esistono solidi ionici
con ioni 2+. Dopo tutto, per formare ioni 2+ è necessaria una quantità di energia
mol­to maggiore di quella necessaria per formare ioni 1+. La formazione di 1 mol
di ioni Mg2+ implica la cessione del primo e del secondo elettrone (e una variazio­-
ne di entalpia uguale alla somma della prima e della seconda energia di ionizzazione):
Mg ( g) ⎯ ⎯
→ Mg 2+ ( g) + 2e− ΔH 0 = Ei1 + Ei2 = 738 kJ + 1450 kJ = 2188 kJ
L’aggiunta di 1 mol di elettroni a 1 mol di atomi di O (prima affinità elettronica,
Eea1) è esotermica, mentre l’aggiunta di una seconda mole di elettroni (seconda af-
finità elettronica, Eea2) è endotermica perché viene aggiunto un elettrone allo ione
O− negativo. La formazione complessiva di 1 mol di ioni O2− è endotermica:
O( g ) + e− ⎯ ⎯
→ O− ( g ) =ΔH 0 E=
ea1 −141 kJ
O− ( g ) + e− ⎯ ⎯
→ O 2− ( g ) =ΔH 0 E=
ea2 878 kJ
− − 2−
O ( g ) + 2e ⎯ ⎯
→ O ( g) ΔH =Eea1 + Eea2 = 737 kJ
0

Vi sono inoltre tappe endotermiche per la conversione di 1 mol di Mg(s) in Mg(g)


(148 kJ) e la scissione di 12 mol di molecole di O2 in 1 mol di atomi di O (249 kJ).
Ciononostante, in conseguenza delle cariche 2+ degli ioni, si forma facilmente
MgO solido quando Mg brucia in aria (ΔH 0f =−601 kJ/mol). Chiaramente, l’enorme Figura 9.8 Forze elettro-
energia reticolare (ΔH 0reticolare di MgO=−3923 kJ/mol) compensa più che ampia- statiche e motivo per cui i
composti ionici si rompono
mente queste tappe endotermiche.
se sottoposti a forze esterne.
A. I composti ionici sono duri e
Come il modello spiega le proprietà dei composti ionici si rompono, invece di flettersi,
Il primo e più importante compito di qualsiasi modello è quello di spiegare i fatti. quando vengono colpiti con
forza sufficiente. B. Nel cristallo,
Ampliando il nostro punto di vista, possiamo vedere come il modello del legame
gli ioni positivi e quelli nega-
ionico spiega le proprietà dei solidi ionici. Consideriamo un campione di salgemma tivi sono disposti in modo da
(NaCl). È duro (non si lascia penetrare facilmente), è rigido (non si piega) ed è fragile massimizzare la loro attrazione.
(si rompe senza deformarsi). Queste proprietà sono dovute alle intense forze attrat- Quando si applica una forza
tive che mantengono gli ioni in posizioni specifiche in tutto il cristallo. Per spostare esterna, le cariche dello stesso
segno si avvicinano l’una all’al-
gli ioni da queste posizioni si devono vincere queste forze e quindi il campione si
tra e le repulsioni rompono il
oppone alla penetrazione e alla flessione. Se si applica una pressione sufficiente, le campione. (Foto: © McGraw-Hill
posizioni degli ioni con cariche di stesso segno vengono ravvicinate e le loro repul- Education/Stephen
sioni rompono improvvisamente il campione (Figura 9.8). Frisch, photographer).

forza cariche di stesso il cristallo


esterna segno si respingono si rompe

– + – + – + – +

+ – + – – + + – – + + –

– + – + + – – + + – – +

+ – + – – + + – – + + –

+ – + –
A B

09txt.indd 273 16/05/19 22:16


274 Capitolo 9

Figura 9.9 Conduttività


elettrica e mobilità ionica.
A. Nel solido ionico non fluisce
corrente perché gli ioni sono
immobili. B. Nel composto fuso,
gli ioni mobili fluiscono verso gli
elettrodi carichi di segno oppo-
sto e conducono corrente elettri-
ca. C. In una soluzione acquosa
del com­posto, gli ioni solvatati
mobili conducono corrente.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

La maggior parte dei composti ionici non conducono l’elettricità quando sono nello
stato solido, ma la conducono quando sono fusi o sono sciolti in acqua. (Le eccezioni
notevoli comprendono i cosiddetti conduttori superionici, come AgI, e materiali
ceramici semiconduttori, che hanno una conduttività elettrica notevole quando
sono nello stato solido). Secondo il modello del legame ionico, il solido è costituito
da ioni immobilizzati. Però, quando fonde o si scioglie, gli ioni diventano liberi di
muoversi e capaci di condurre corrente elettrica, come illustrato nella Figura 9.9.
Il modello spiega anche che sono necessarie temperature elevate per fondere
e portare all’ebollizione un composto ionico (Tabella 9.1) perché per rendere gli
ioni liberi dalle loro posizioni (fusione) si devono fornire grandi quantità di energia
e, per vaporizzarli, si devono fornire quantità di energia ancora maggiori. In realtà,
l’attrazione ionica è così forte che, come mostrato nella Figura 9.10, il vapore è
costituito da coppie ioniche, molecole ioniche gassose anziché da singoli ioni.

Figura 9.10 Vaporizzazione


di un composto ionico. I com-
posti ionici hanno generalmente
temperature di ebollizione molto
alte perché gli ioni devono avere
energie cinetiche così alte per
potersi separare dagli ioni circo-
stanti. In realtà, i composti ionici
vaporizzano di solito sotto forma
di coppie di ioni.

09txt.indd 274 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 275

Ma si deve tenere presente che nel loro stato ordinario (solido) i composti ionici
sono costituiti da filari di ioni alternati che si estendono in tutte le direzioni e non
esistono molecole separate.

9.3 IL MODELLO DEL LEGAME COVALENTE


Se esaminiamo qualsiasi grande repertorio di composti chimici, quale l’Handbook of
Chemistry and Physics, troviamo rapidamente che il numero dei composti covalenti
noti è molto maggiore di quello dei composti ionici noti. Le molecole tenute unite
da legami covalenti vanno dall’idrogeno biatomico alle macromolecole biologiche e
sintetiche con masse molari di parecchi milioni. Troviamo legami covalenti anche
negli ioni poliatomici di molti composti ionici. La condivisione di elettroni è senza
dubbio il modo principale in cui gli atomi interagiscono chimicamente.

La formazione di un legame covalente


Un campione di idrogeno gassoso è costituito da molecole H2. Ma perché gli atomi
di idrogeno esistono legati in coppie? Guardiamo la Figura 9.11 mentre immagi-
niamo che cosa accadrebbe a due atomi H isolati che si avvicinano l’uno all’altro.
Quando i due atomi sono molto lontani l’uno dall’altro, ciascuno di essi si comporta
come se l’altro non fosse presente (punto 1). Al diminuire della distanza tra i due
nuclei, ciascuno di essi comincia ad attrarre l’elettrone dell’altro atomo, e questa
attrazione fa diminuire l’energia potenziale del sistema. Le attrazioni continuano a
fare avvicinare gli atomi l’uno all’altro, e l’energia potenziale del sistema diminuisce
progressivamente (punto 2). Però, via via che le attrazioni aumentano, aumentano
anche le repulsioni tra i nuclei e tra gli elettroni. In corrispondenza di una certa di-
stanza internucleare, a fronte della crescente repulsione viene raggiunta l’attrazione
massima e il sistema ha l’energia potenziale minima (punto 3). Qualsiasi distanza
internucleare minore aumenterebbe le repulsioni e farebbe aumentare l’energia po-
tenziale (punto 4). La mutua attrazione fra i nuclei e la coppia di elettroni costitui-
sce il legame covalente che tiene uniti i due atomi H per formare la molecola H2.

Figura 9.11 Formazione del


legame covalente in H2. L’ener-
gia potenziale di un sistema di
due atomi di H rappresentata in
funzione della distanza internu-
cleare; in alto sono rappresenta-
ti i sistemi atomici. Nel punto 1,
gli atomi sono troppo lontani
per attrarsi mutuamente. Nel
punto 2, ciascun nucleo attrae
l’elettrone dell’altro atomo. Nel
punto 3, la combinazione di
attrazioni nucleo-elettrone e di
repulsioni elettrone-elettrone
e nucleo-nucleo dà origine al­
l’energia potenziale minima del
sistema. La differenza di energia
tra i punti 1 e 3 è l’energia di
legame di H2 (432 kJ/mol).
Viene rilasciata quando si forma
il legame e viene assorbita
quando il legame si rompe. La
distanza internucleare nel punto
3 è la lunghezza di legame
in H2 (74 pm). Se gli atomi si
avvicinano, come nel punto 4, le
repulsioni aumentano l’energia
potenziale del sistema e sepa-
rano gli atomi riconducendoli al
punto 3.

09txt.indd 275 16/05/19 22:16


276 Capitolo 9

Coppie di legame e coppie solitarie (lone pair) Nella formazione del legame
covalente, come nella formazione del legame ionico, ciascun atomo partecipante al
legame ottiene un livello esterno pieno di elettroni, ma con differenti mezzi. In un
legame covalente, ciascun atomo “conta” gli elettroni condivisi come appartenenti comple­
tamente a se stesso. Perciò, i due elettroni della coppia di elettroni condivisa riem-
piono simultaneamente il livello esterno di entrambi gli atomi di H. La coppia
condivisa, o coppia di legame, è rappresentata con una coppia di puntini o con
un trattino: H : H o H H.
Una coppia di elettroni che fa parte del livello di valenza di un atomo ma
non interviene nella formazione del legame è detta coppia solitaria (o lone pair
o coppia non condivisa). La coppia di legame in HF riempie il livello esterno
dell’atomo di H e, insieme a tre coppie solitarie, riempie anche il livello esterno
dell’atomo di F:

Analogamente, in F2, la coppia di legame e tre coppie solitarie riempiono il livello


esterno di ciascun atomo di F:

(In questo libro generalmente le coppie di legame sono rappresentate con trattini
e le coppie solitarie con puntini).

Le proprietà del legame covalente: ordine, energia e lunghezza


di legame
L’ordine di legame è il numero di coppie di elettroni condivise tra due atomi legati.
Il legame covalente in H2, HF e F2 è un legame singolo, costituito da una singola
coppia di elettroni di legame. Un legame singolo ha ordine di legame uguale a 1.
I legami singoli sono il tipo di legame più comune, ma molte molecole (e molti
ioni) contengono legami multipli. Un legame doppio (o doppio legame) è costitui-
to da due coppie di legame, quattro elettroni condivisi tra due atomi, e quindi l’or­
dine di legame è uguale a 2. L’etilene (C2H4) è un idrocarburo semplice che contiene
un doppio legame carbonio-carbonio e quattro legami singoli carbonio-idrogeno:

Ciascun atomo di carbonio “conta” i quattro elettroni nel legame doppio e i quattro
elettroni nei suoi due legami singoli per ottenere un ottetto.
Figura 9.12 Le forze attrat- Un legame triplo (o triplo legame) è costituito da tre coppie di legame; due
tive e repulsive nella formazi-
one del legame covalente. L ­e
atomi condividono sei elettroni, quindi l’ordine di legame è uguale a 3. Nella mole-
attrazioni nucleo-elettrone e cola di N2, gli atomi sono tenuti uniti da un legame triplo, e ciascun atomo di N ha
le repulsioni nucleo-nucleo ed anche una coppia solitaria:
elettrone-elettrone avvengono si-
multaneamente. In corrisponden-
za di una certa distanza ottimale
(la lunghezza di legame), le for-
ze attrattive equilibrano le forze Sei elettroni del triplo legame e due elettroni della coppia solitaria conferiscono a
repulsive. L’attrazione esercitata ciascun atomo di N un ottetto.
dai nuclei sugli elettroni condivisi Come abbiamo notato precedentemente ed è illustrato nella Figura 9.12,
determina l’energia di legame.
(Anche se sono mostrati in posi-
il legame covalente deriva dall’equilibrio tra le attrazioni nucleo-elettrone e le
zioni specifiche nella figura, gli repulsioni interelettroniche (elettrone-elettrone) e internucleari (nucleo-nucleo).
elettroni sono in realtà distribuiti La “forza” del legame dipende dall’intensità della mutua attrazione tra i nuclei
in tutto il volume ombreggiato legati e gli elettroni condivisi. L’energia di legame (El) (detta anche entalpia di
in blu). legame o forza di legame) è l’energia necessaria per vincere questa attrazione. È de-

09txt.indd 276 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 277

finita come la variazione standard di entalpia per la rottura del legame in 1 mol di
molecole gassose. La rottura del legame è un processo endotermico e quindi l’energia
di legame è sempre positiva:
A––B( g ) ⎯ ⎯
→ A( g ) + B( g ) ΔH=
0
rottura del legame EiA––B (sempre > 0)
In altri termini, l’energia di legame è la differenza di energia tra gli atomi sepa-
rati e gli atomi legati (la differenza di energia potenziale tra i punti 1 e 3 nella
Figura 9.11). La stessa quantità di energia che è assorbita per rompere il legame è
rilasciata quando esso si forma. La formazione di un legame è un processo esotermico,
quindi il segno della variazione di entalpia è negativo:
A( g ) + B( g ) ⎯ ⎯
→ A––B( g ) ΔH formazione
0
del legame = −E iA––B (sempre < 0)

Poiché le energie di legame dipendono dagli atomi legati – dalle loro configurazioni
elettroniche, dalle loro cariche nucleari e dai loro raggi atomici – ciascun tipo di
legame ha la propria energia di legame. Nella Tabella 9.2 sono elencate le energie
di legame per alcuni legami comuni. Inoltre, l’energia di un dato legame varia lie-
vemente da molecola a molecola, e anche all’interno della stessa molecola, quindi il
valore tabulato è un’energia di legame media.
Un legame covalente ha una lunghezza di legame, la distanza tra i nuclei
dei due atomi legati. Nella Figura 9.11 la lunghezza di legame è indicata come la
distanza tra i nuclei nel punto di energia minima. Nella Tabella 9.3 sono indicate
le lunghezze di alcuni legami covalenti. Anche in questo caso i valori rappre-
sentano lunghezze di legame medie per il legame dato in differenti sostanze. La
lunghezza di legame è in relazione con la somma dei raggi degli atomi legati. In
effetti, la maggior parte dei raggi atomici viene calcolata sulla base dei valori mi-
Figura 9.13 Lunghezza di
surati delle lunghezze di legame (vedi Figura 8.14C). Le lunghezze di legame per legame e raggio covalente.
una serie di legami simili aumentano all’aumentare dei raggi atomici, come viene In una serie di sostanze simili,
mostrato nella Figura 9.13 per gli alogeni. quali le molecole biatomiche di
Esiste un stretta relazione fra ordine di legame, lunghezza di legame ed energia alogeni, la lunghezza di legame
aumenta all’aumentare del
di legame. L’attrazione reciproca fra due nuclei e due coppie di elettroni condivise
raggio covalente.
è maggiore di quella fra i due nuclei e una sola coppia di elettroni condivisi: gli
atomi vengono ravvicinati ed è più difficile separarli. Perciò, per una data coppia di
atomi, un ordine di legame più alto dà origine a una lunghezza di legame più corta e a
un’energia di legame più alta. Perciò, come viene esposto nella Tabella 9.4, per una
data coppia di atomi, un legame più corto è un legame più forte.
In alcuni casi, si può estendere questa relazione fra raggio atomico, lunghezza
di legame e forza di legame mantenendo costante uno dei due atomi nel legame e
variando l’altro entro un gruppo o un periodo della tavola periodica. Per esempio,
la tendenza nella lunghezza dei legami singoli carbonio-alogeno, C I > C Br >
C Cl, è parallela alla tendenza nel raggio atomico, I > Br > Cl, ed è opposta alla
tendenza nell’energia di legame, C Cl > C Br > C I. Perciò, nel caso dei legami
singoli, i legami più lunghi sono di solito più deboli.

Confronto della lunghezza di legame e della forza di legame


PROBLEMA DI VERIFICA 9.2
Problema Usando la tavola periodica, ma non le Tabelle 9.2 e 9.3, si ordinino i legami in
ciascun insieme secondo i valori decrescenti della lunghezza di legame e della forza di legame:
(a) S F, S Br, S Cl     (b) C O, C O, C O
Piano Nella parte (a), S è unito da un legane singolo a un atomo di alogeno, quindi tutti i
membri dell’insieme hanno un ordine di legame uguale a 1. La lunghezza di legame aumen-
ta e la forza di legame diminuisce all’aumentare del raggio atomico dell’alogeno, come si
può vedere dalla tavola periodica. In tutti i legami nella parte (b), sono legati gli stessi due
atomi, ma gli ordini di legame differiscono. In questo caso, la forza di legame aumenta e la
lunghezza di legame diminuisce all’aumentare dell’ordine di legame.

09txt.indd 277 16/05/19 22:16


278 Capitolo 9

09txt.indd 278 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 279

FORMAZIONE
DI UN LEGAME
COVALENTE

Risoluzione (a) Il raggio atomico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo, quindi F < Cl < Br.
lunghezza di legame: S Br > S Cl > S F
forza di legame: S F > S Cl > S Br
(b) Ordinando gli ordini di legame, C O > C O>C O, otteniamo
lunghezza di legame: C O>C O>C O
forza di legame: C O>C O>C O
Verifica Dalle Tabelle 9.2 e 9.3 vediamo che gli ordinamenti sono corretti.
Commento Si ricordi che, per differenti atomi, come nella parte (a), la relazione tra lunghez­
za di legame e forza di legame è valida soltanto per i legami singoli e non in ogni caso; quindi
si deve applicarla con cautela.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 9.2 Si ordinino i legami in ciascun


insieme secondo i valori crescenti della lunghezza di legame e della forza di legame:
(a) Si F, Si C, Si O; (b) N N, N N, N N.

Come il modello spiega le proprietà dei composti covalenti


Secondo il modello del legame covalente, la condivisione di elettroni tra coppie
di atomi dà origine a legami forti, localizzati, di solito entro singole molecole. A
prima vista, però, sembra che il modello sia incompatibile con alcune delle pro-
prietà fisiche familiari delle sostanze covalenti. Dopo tutto, la maggior parte di
esse sono gas (quali il metano e l’ammoniaca), liquidi (quali il benzene e l’acqua),
o solidi bassofondenti (quali lo zolfo e la paraffina). I legami covalenti sono forti
(∼200 ÷ 500 kJ/ mol); quindi, perché le sostanze covalenti fondono e bollono a
temperature così basse?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo distinguere tra due differenti in-
siemi di forze: (1) le forze di legame covalente forti che tengono uniti gli atomi
all’interno della molecola (quelle che abbiamo esaminato) e (2) le forze intermoleco­
lari deboli che mantengono le molecole l’una vicina all’altra nel campione macro-
molecolare. Sono queste forze deboli tra le molecole, non i legami covalenti forti
all’interno di ciascuna molecola, che sono responsabili delle proprietà fisiche delle
sostanze covalenti. Consideriamo, per esempio, ciò che accade quando il pentano
(C5H12) bolle. Come mostrato nella Figura 9.14, sono influenzate le interazioni
deboli tra le molecole di pentano, ma non sono influenzati i legami covalenti forti
C C e C H all’interno di ciascuna molecola.
Alcune sostanze covalenti, dette solidi covalenti reticolari, non sono costituite da
molecole separate. Questi reticoli tridimensionali sono formati da legami covalenti
tra tutti gli atomi del campione. Se il modello fosse corretto, le proprietà di queste
sostanze dovrebbero rispecchiare la forza dei loro legami covalenti, ed è in effetti

09txt.indd 279 16/05/19 22:16


280 Capitolo 9

Figura 9.14 Forze forti entro


le molecole e forze deboli tra
le molecole. Quando il pentano
bolle, vengono vinte le forze
deboli tra le molecole (forze
intermolecolari), ma i legami co-
valenti forti che tengono uniti gli
atomi entro ciascuna molecola
restano invariati. Perciò, le mole-
cole di pentano abbandonano la
fase liquida come unità intatte.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

così. Due esempi, il quarzo e il diamante, che sono illustrati nella Figura 9.15. Il
quarzo (SiO2) è molto duro e fonde a 1550 °C. È costituito da atomi di silicio e di
ossigeno connessi da legami covalenti che si estendono in tutto il campione; non
esistono molecole di SiO2 separate. Il diamante è costituito da atomi di carbonio
ciascuno dei quali è connesso da legami covalenti ad altri quattro atomi in tutto
il campione. È la sostanza più dura che si conosca e fonde a circa 3550 °C. Chia-
ramente, i legami covalenti sono forti; però, poiché la maggior parte delle sostanze
covalenti è costituita da molecole separate tra le quali si esercitano deboli forze,
le loro proprietà fisiche non rispecchiano questa forza di legame. (Esamineremo le
forze intermolecolari in modo particolareggiato nel Capitolo 12).
A differenza dei composti ionici, nella maggior parte dei casi le sostanze cova-
lenti sono cattivi conduttori elettrici, anche quando sono fuse o sciolte in acqua.
Una corrente elettrica è condotta da elettroni mobili o da ioni mobili. Nelle sostan-
ze covalenti, gli elettroni sono localizzati come coppie condivise o come coppie
non condivise, quindi non sono liberi di muoversi; e non sono presenti ioni.

9.4 TRA I DUE ESTREMI: ELETTRONEGATIVITÀ


E POLARITÀ DI LEGAME
I modelli scientifici sono descrizioni idealizzate della realtà. Come abbiamo visto
finora nella loro trattazione, i modelli del legame ionico e del legame covalente
considerano che i composti siano formati dal trasferimento completo di elettroni
oppure dalla condivisione completa di elettroni. Ma la grande maggioranza dei com-
posti ha legami che possono essere considerati, in modo più accurato, parzialmente
Figura 9.15 Legami covalenti
nei solidi covalenti reticolari.
A. Nel quarzo (SiO2), ciascun
atomo di Si è legato covalente-
mente a quattro atomi di O e
ciascun atomo di O è legato a
due atomi di Si in una disposi-
zione regolare che si estende
in tutto il campione. Poiché non
sono presenti molecole di SiO2
separate, la temperatura di
fusione e la durezza sono molto
alte. B. Nel diamante, ciascun
atomo di C è legato covalente-
mente ad altri quattro atomi di
C in tutto il cristallo. Il diamante
è la sostanza naturale più dura
che si conosca e ha una tempe-
ratura di fusione estremamente
alta.

09txt.indd 280 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 281

ionici e parzialmente covalenti. Ora che i modelli ideali vi sono familiari, esaminia- Figura 9.16 La scala del­le
elet­tro­ne­ga­ti­vità di Pauling.
mo il continuo effettivo nel legame tra questi due estremi.
L’e­let­tronegatività (χ) è indi-
cata dall’altezza della colonna
Elettronegatività con il valore alla sommità. La
legenda indica soglie arbitrarie
Uno dei concetti più importanti nel legame chimico è l’elettronegatività (χ: let- di elettronegatività. Nei gruppi
tera greca chi dell’alfabeto greco), la capacità relativa di un atomo legato di attrarre principali, l’elettronegatività
generalmente aumenta da sini-
gli elettroni condivisi.* Nella prima metà del 1900, il chimico statunitense Linus
stra a destra e dal basso all’alto.
Pauling sviluppò la più comune scala di valori relativi delle elettronegatività degli I gas nobili non sono mostrati.
elementi. Presentiamo qui un esempio per illustrare le basi del metodo adottato da Gli elementi di transizione e gli
Pauling. Ci potremmo attendere che l’energia del legame HF sia la media delle elementi di transizione inter-
energie di un legame H H (432 kJ/mol) e di un legame F F (159 kJ/mol), ossia na presentano una variazione
dell’elettronegatività relativa-
296 kJ/mol. Però, l’energia di legame effettiva di H F è 565 kJ/mol, ossia di
mente piccola. L’idrogeno è
269 kJ/ mol superiore all’energia media. Secondo il ragionamento di Pauling, questa mostrato vicino agli elementi di
differenza è dovuta a un contributo elettrostatico all’energia del legame H F. Se F elettronegatività simile.
attrae la coppia di elettroni condivisa più fortemente di quanto l’attragga H, cioè,
se F è più elettronegativo di H, gli elettroni trascorreranno più tempo più vicino a
F. Questa condivisione disuguale di elettroni fa sì che l’estremità F del legame sia
parzialmente negativa e l’estremità H parzialmente positiva, e l’attrazione tra que-
ste cariche parziali aumenta l’energia necessaria per rompere il legame.
Basandosi su studi simili condotti sui restanti alogenuri di idrogeno e molti al-
tri composti, Pauling giunse alla scala dei valori relativi dell’elettronegatività mostrata
nella Figura 9.16. I valori stessi non sono quantità misurate ma si basano sull’asse-
gnazione, fatta da Pauling, del più alto valore dell’elettronegatività, 4,0 per il fluoro.

* L’elettronegatività non coincide con l’affinità elettronica (Eea), anche se molti elementi con un’alta
elettronegatività hanno anche un’affinità elettronica altamente negativa. L’elettronegatività si riferisce a
un atomo legato che attrae la coppia di elettroni condivisa; l’affinità elettronica si riferisce a un atomo
isolato nella fase gassosa il quale acquista un elettrone per formare un anione gassoso.

09txt.indd 281 16/05/19 22:16


282 Capitolo 9

Figura 9.17 Elettronegatività Tendenze nell’elettronegatività Il nucleo di un atomo più piccolo è più vicino
e raggio atomico. alla coppia condivisa di quanto sia quello di un atomo più grande e quindi attrae
A. In generale, un elemento con
raggio atomico minore (in alto)
più fortemente gli elettroni di legame (Figura 9.17A). Perciò, in generale, l’elettro-
ha un’elettronegatività più alta negatività è in relazione inversa con il raggio atomico. Come la Figura 9.17B chiari-
di quella di un elemento con sce per gli elementi dei gruppi principali, l’elettronegatività generalmente aumenta dal
raggio atomico maggiore (in basso all’alto lungo un gruppo e da sinistra a destra lungo un periodo. La figura mostra
basso) perché il nucleo dell’ato- il raggio atomico (in cima a ciascuna colonna) e mostra che il raggio diminuisce
mo più piccolo è più vicino alla
coppia di legame e quindi attrae
all’aumentare dell’elettronegatività. Sulla scala dell’elettronegatività di Pauling, e in
più fortemente la coppia. B. Le ognuna delle altre scale disponibili, i non metalli sono più elettronegativi dei metal­
elettronegatività degli elementi li. L’elemento più elettronegativo è il fluoro, seguito dall’ossigeno. Perciò, tranne
dei gruppi principali dal Perio- quando si lega con il fluoro, l’ossigeno attrae sempre verso di sé gli elettroni di
do 2 al Periodo 6 (esclusi i gas legame. L’elemento meno elettronegativo (o più elettropositivo) è il francio, in basso
nobili) sono rappresentate come
colonne di differenti altezze. Alla
a sinistra nella tavola periodica, ma esso è radioattivo ed estremamente raro; quindi,
sommità di ciascuna colonna c’è per tutti gli scopi pratici, il cesio è l’elemento più elettropositivo.*
una semisfera che rappresenta il
raggio atomico relativo.
Elettronegatività e numero di ossidazione L’elettronegatività trova un impie-
go importante nella determinazione del numero di ossidazione di un atomo (vedi
Paragrafo 4.5):
1. all’atomo più elettronegativo in un legame sono assegnati tutti gli elettroni
condivisi; all’atomo meno elettronegativo non ne è assegnato alcuno;
2. a ciascun atomo in un legame sono assegnati tutti i suoi elettroni non condivisi;
3. il numero di ossidazione è dato da
numero di ossidazione = numero di e− di valenza
− (numero di e− condivisi + numero di e− non condivisi)

* Nel 1934, il chimico fisico statunitense Robert S. Mulliken ideò un approccio all’elettronegatività ba-
sato unicamente sulle proprietà atomiche: χ = (Ei − Eea)/2. Anche secondo questo approccio, il fluoro,
con un’alta energia di ionizzazione (Ei) e un’affinità elettronica (Eea) negativa grande in valore assoluto,
ha un’alta elettronegatività (χ); e il cesio, con una bassa Ei e una piccola Eea, ha una bassa χ.

09txt.indd 282 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 283

Per esempio, nell’HCl, Cl è più elettronegativo di H. Ha 7 elettroni di valenza, ma


gliene vengono assegnati 8 (2 condivisi + 6 non condivisi), quindi il suo numero
di ossidazione è 7 − 8 = −1. L’atomo di H ha 1 elettrone di valenza e non gliene
viene assegnato alcuno, quindi il suo numero di ossidazione è 1 − 0 = +1.

Legami covalenti polari e polarità di legame


Dalla nostra trattazione di HF possiamo vedere che, quando atomi con differenti
elettronegatività formano un legame, la coppia di legame viene condivisa in modo
di­sugua­le, quindi il legame ha un polo parzialmente negativo e un polo parzial-
mente positivo. Questo tipo di legame è detto legame covalente polare ed è
rappresentato con una freccia polare ( ) orientata verso il polo negativo, oppure
con i simboli δ+ e δ−, dove il simbolo δ (lettera delta minuscola dell’alfabeto greco)
rappresenta una carica parziale:

Nei legami H H e F F, gli atomi sono identici, e quindi la coppia di legame è


condivisa in modo uguale e il legame è detto legame covalente apolare. Perciò,
conoscendo i valori delle elettronegatività degli atomi in un legame si può deter-
minare il verso della polarità di legame.

Determinazione della polarità di legame in base ai valori


dell’elettronegatività
PROBLEMA DI VERIFICA 9.3
Problema (a) Si usi la freccia polare per indicare la polarità di ciascun legame: N H,
F N, I Cl.
(b) Si ordinino i seguenti legami secondo la polarità crescente: H N, H O, H C.
Piano (a) Usiamo la Figura 9.16 per trovare i valori dell’elettronegatività degli atomi legati
e orientiamo la freccia polare verso l’estremità negativa. (b) Ciascuna scelta ha H legato a
un atomo del Periodo 2. Poiché l’elettronegatività aumenta da sinistra a destra lungo un
periodo, la polarità è massima per il legame il cui atomo del Periodo 2 è più lontano a destra.
Risoluzione (a) χ di N = 3,0 e χ di H = 2,1, quindi N è più elettronegativo di H: N H

χ di F = 4,0 e χ di Cl = 3,0, quindi F è più elettronegativo: F N

χ di I = 2,5 e χ di Cl = 3,0, quindi I è meno elettronegativo: I Cl

(b) L’ordine di χ crescente è C < N < O, e ciascun atomo ha una χ più alta di quella di H.
Perciò, O esercita la massima attrazione sulla coppia legata rispetto a H, C la minima; quindi,
l’ordine della polarità di legame è H C < H N < H O.
Commento Nel capitolo seguente vedremo che la polarità dei legami in una molecola
contribuisce alla polarità complessiva della molecola, che è un fattore importante nella
determinazione dei valori delle proprietà fisiche.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 9.3 Si ordini ciascun insieme di legami


secondo la polarità crescente e si indichi la polarità di legame con i simboli δ+ e δ−.
(a) Cl F, Br Cl, Cl Cl (b) Si Cl, P Cl, S Cl, Si Si

Il carattere ionico parziale dei legami covalenti polari


Se chiediamo “Il legame X Y è ionico o covalente?”, la risposta è quasi sempre “Par-
zialmente ionico e parzialmente covalente!”. Una domanda migliore è “In che misura
questo legame è ionico o covalente?”. L’esistenza di cariche parziali significa che un
legame covalente polare si comporta come se fosse parzialmente ionico. Il carattere
ionico parziale di un legame è in relazione diretta con la differenza di elettro-
negatività (Δχ), la differenza tra i valori delle elettronegatività degli atomi legati:

09txt.indd 283 16/05/19 22:16


284 Capitolo 9

una Δχ maggiore determina cariche parziali maggiori e un carattere ionico parziale più
elevato. Per esempio, Δχ per LiF(g) è 4,0 − 1,0 = 3,0; per HF(g), è 4,0 − 2,1 = 1,9; e
per F2(g) è 4,0 − 4,0 = 0. Perciò, il legame in LiF ha carattere ionico più di quello nel
legame H F, che ha carattere più ionico di quello del legame F F.
Sono stati fatti vari tentativi di classificare il carattere ionico dei legami, ma
tutti usano valori arbitrari di soglia, il che è incompatibile con la gradazione del
carattere ionico osservato sperimentalmente.
Un metodo usa valori di Δχ per suddividere i legami in ionici, covalenti polari
e covalenti apolari. Alcune linee guida approssimate, basate su un intervallo di
valori di Δχ esteso da 0 (legame completamente apolare) a 3,3 (legame altamente
ionico), sono presentate nella Figura 9.18.
Un altro metodo calcola il carattere ionico percentuale di un legame confrontan-
do il comportamento effettivo di una molecola polare in un campo elettrico con il
comportamento che essa avrebbe se l’elettrone venisse trasferito completamente
(legame ionico puro). Si sceglie spesso un valore del 50% di carattere ionico per
separare le sostanze riconosciute come “ioniche” da quelle riconosciute come “co-
valenti”. Questi metodi indicano che il legame H F ha il 43% di carattere ionico e
diminuzioni attese per gli altri alogenuri di idrogeno: H Cl ha il 19% di carattere
ionico, H Br ha l’11% e H I il 4%. Un diagramma del carattere ionico percentuale
in funzione di Δχ per varie molecole biatomiche gassose è presentato nella Figu-
ra 9.19. I valori specifici non sono importanti, ma è importante notare che il carat­
tere ionico percentuale aumenta generalmente all’aumentare di Δχ. Un altro punto da
notare è che, mentre alcune molecole, come Cl2(g), hanno lo 0% di carattere ionico,
nessuna ha il 100% di carattere ionico. Perciò, in ogni legame è presente un certo grado
Figura 9.18 Intervalli di le- di condivisione di elettroni. anche nel legame tra un metallo alcalino e un alogeno
game per classificare il carat- (Figura 9.20).
tere ionico dei legami chimici.
A. La differenza di elettrone-
gatività (Δχ) tra atomi legati
Il continuo di legame lungo un periodo
presenta valori di soglia che Un metallo e un non metallo – elementi situati in parti opposte della tavola perio-
fungono da guida generale al dica – hanno una Δχ relativamente grande e interagiscono tipicamente mediante
carattere ionico relativo di un
trasferimento di elettroni per formare un composto ionico. I non metalli – elementi
legame. B. La gradazione nel
carattere ionico è rappresentata situati nella stessa parte della tavola periodica – hanno una piccola Δχ e interagi-
con l’ombreggiatura attraverso scono mediante condivisione di elettroni per formare un composto covalente. Se
l’intero intervallo di legame combiniamo un non metallo quale Cl2 con ciascuno degli altri elementi del Perio-
da ionico (verde) a covalente do 3, ci attendiamo di osservare una diminuzione regolare della Δχ e una gradazio-
(giallo).
ne nel tipo di legame, da ionico a covalente polare a covalente apolare.
La Figura 9.21 mostra campioni della maggior parte dei cloruri comuni di
elementi del Periodo 3 – NaCl, MgCl2, AlCl3, SiCl4, PCl3, S2Cl2 e Cl2 – assieme alle
formule di struttura (esaminate all’inizio del capitolo seguente) e alcune delle
loro proprietà. Il primo composto è il cloruro di sodio, un solido cristallino bianco
(incolore) con proprietà ioniche tipiche: elevata temperatura di fusione ed elevata

Figura 9.19 Carattere ionico


percentuale in funzione della
differenza di elettronegativ-
ità (Δχ). Il carattere ionico
percentuale è rappresentato
in funzione di Δχ per alcune
molecole biatomiche gassose
semplici. È importante notare
che, in generale, Δχ è correlata
con il carattere ionico. (Il valore
di soglia arbitrario per classifi-
care un composto come ionico è
>50% di carattere ionico).

09txt.indd 284 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 285

conduttività elettrica allo stato fuso o disciolto. Con queste proprietà e una Δχ
di 2,1, NaCl è ionico secondo ogni criterio. Il cloruro di magnesio è ancora consi-
derato ionico, con una Δχ di 1,8, ma ha una temperatura di fusione più bassa e
una conduttività elettrica più bassa.
Il cloruro di alluminio è ancora meno ionico. Il valore 1,5 della sua Δχ indica
un legame Al Cl covalente altamente polare. Invece di un reticolo di ioni Al3+ e
Cl−, esso è costituito da strati estesi di atomi di Al e di Cl legati. Forti interazioni
polari mantengono insieme le particelle in ogni strato, ma forze deboli tra gli strati
determinano una temperatura di fusione molto più bassa. La bassa conduttività
elettrica dell’AlCl3 fuso è compatibile con la scarsità di ioni.
Figura 9.20 La densità
La temperatura di fusione del tetracloruro di silicio è molto bassa a causa di di carica di LiF. Una sezione
forze deboli tra molecole separate, e non ha una conduttività elettrica apprezzabi- trasversale di una molecola
le. Ciascuna molecola è costituita da forti legami Si Cl con un valore 1,2 della Δχ, biatomica di LiF in cui sono rap-
vicino al centro della regione covalente polare. Il tetracloruro di fosforo, con un presentate (come curve sul piano
del foglio) le superfici di contorno
valore 0,9 della Δχ, prosegue la tendenza verso la diminuzione della polarità di
della densità di carica elettronica
legame, co­me è indicato dalla sua temperatura di fusione molto bassa. I legami pre- (intensità di colore) che decre-
senti nel dicloruro di dizolfo sono ancora meno polari (Δχ = 0,5). La serie termina sce dai nuclei verso l’esterno. È
con il cloro biatomico apolare, l’unica di queste sostanze che sia un gas a tempera- importante notare che anche in
tura ambiente. questa interazione ionica c’è una
notevole sovrapposizione parziale
Perciò, al diminuire della Δχ, il legame diventa sempre più covalente, e le proprietà
della densità elettronica tra gli
dei cloruri degli elementi del Periodo 3 variano da quelle di un solido costituito da atomi, il che indica un certo
ioni a quelle di un gas costituito da singole molecole. carattere covalente.

Figura 9.21 Proprietà dei cloruri degli


elementi del Periodo 3. Nella fotografia
sono mostrati campioni dei composti for-
mati a partire da ciascuno degli elementi
del Periodo 3 con il cloro nella successione
della tavola periodica, con le formule di
struttura indicate sotto. Si noti la tendenza
nelle proprietà presentate nei diagrammi
a barre: al decrescere di Δχ, decresco-
no anche la temperatura di fusione e la
conduttività elettrica (alla temperatura di
fusione). Queste tendenze sono compatibili
con un cambiamento del tipo di legame
da ionico a co­valente polare e covalente
apolare. (Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

09txt.indd 285 16/05/19 22:16


286 Capitolo 9

9.5 INTRODUZIONE AL LEGAME METALLICO


Il terzo tipo di legame chimico che consideriamo è il legame metallico, che si forma
tra grandi numeri di atomi metallici. In questo paragrafo, presenteremo un modello
qualitativo; nel Capitolo 12 ne presenteremo uno più quantitativo.
Il modello del mare di elettroni
Nelle reazioni con i non metalli, i metalli reattivi (come Na) trasferiscono i loro
elettroni esterni e formano solidi ionici (come NaCl). Due atomi metallici possono
anche condividere i loro elettroni di valenza in un legame covalente e formare mo-
lecole biatomiche gassose (come Na2). Ma cosa tiene uniti gli atomi in un campione
di sodio metallico? Secondo il modello del mare di elettroni per il legame me-
tallico, tutti gli atomi metallici presenti nel campione forniscono i loro elettroni di
valenza per formare un “mare di elettroni” che è delocalizzato in tutta la sostanza.
Gli ioni metallici (i nuclei con i loro elettroni interni) sono immersi in questo mare
di elettroni in una disposizione ordinata (vedi Figura 9.2C).
A differenza del legame ionico, gli ioni metallici non sono mantenuti nelle loro
posizioni tanto rigidamente quanto in un solido ionico. A differenza del legame co-
valente, nessuna particolare coppia di atomi metallici è legata mediante una coppia
di elettroni localizzata. Invece, gli elettroni di valenza sono condivisi tra tutti gli atomi
della sostanza. Il campione di metallo è tenuto unito dalla mutua attrazione dei
cationi metallici sugli elettroni mobili, altamente delocalizzati.
Anche se esistono composti metallici, i metalli formano tipicamente leghe, mi-
scele solide con composizione variabile. Molti materiali metallici familiari sono leghe,
come quelle usate per i componenti delle automobili, le fusoliere degli aeroplani, le
strutture portanti degli edifici e dei ponti, le monete, i gioielli e le protesi dentarie.
Come il modello spiega le proprietà dei metalli
Anche se le proprietà fisiche dei metalli variano in ampi intervalli, la maggior parte
dei metalli è costituita da solidi con temperature di fusione da medie ad alte e tem-
perature di ebollizione molto più alte (Tabella 9.5). I metalli tipicamente si flettono
o si lasciano incidere invece di rompersi. Molti possono essere laminati in fogli sot-
tili (sono malleabili) e possono essere trafilati in fili (sono duttili). A differenza delle
sostanze ioniche e covalenti tipiche, i metalli sono buoni conduttori del calore e
dell’elettricità sia allo stato solido sia allo stato liquido.
Due caratteristiche del modello del mare di elettroni che spiegano queste pro-
prietà sono la regolarità, ma non la rigidezza, della disposizione degli ioni metallici
e la mobilità degli elettroni di valenza. Le temperature di fusione e di ebollizione
dei metalli sono in relazione con l’energia del legame metallico. Le temperature
di fusione sono soltanto moderatamente elevate perché le attrazioni tra cationi
ed elettroni mobili non devono essere vinte durante la fusione. L’ebollizione di
un metallo richiede che ciascun catione e il(i) suo(i) elettrone(i) si separino dagli
Figura 9.22 La temperatura altri, e quindi le temperature di ebollizione sono molto alte. Come mostrato nella
di fusione insolitamente bassa Figura 9.22, il gallio offre un esempio impressionante: fonde nella mano, ma bolle
del gallio. Il gallio ha il più soltanto quando la temperatura ha superato 2403 °C.
ampio intervallo liquido di ogni
elemento. La sua temperatura di
fusione (29,8 °C) è inferiore alla
temperatura corporea, perché
non è necessario che vengano
vinte le forze quando gli ioni me-
tallici si allontanano dalle loro
posizioni reticolari. Ma il gallio
bolle a 2403 °C perché queste
forze sono intense a sufficienza
per opporsi alla separazione
degli atomi. (Foto: © McGraw-
Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).

09txt.indd 286 16/05/19 22:16


Modelli del legame chimico 287

temperatura di fusione (°C) Figura 9.23 Temperature di


0 200 400 600 800 1000 1200 1400 fusione degli elementi dei
Gruppi 1A(1) e 2A(2). I metalli
alcalino-terrosi [Gruppo 2A(2),
2 Li Be
blu] hanno temperature di fusio-
ne più alte di quelle dei metalli
3 Na Mg alcalini [Gruppo 1A(1), marrone]
perché i loro ioni hanno cariche
4 K Ca 2+ e il “mare di elettroni” ha
periodo

un numero doppio di elettroni di


5 Rb Sr valenza, con conseguenti attra-
zioni più forti.
6 Cs Ba

7 Fr Ra

Anche le tendenze periodiche sono compatibili con il modello. Come mostra-


to nella Figura 9.23, i metalli alcalino-terrosi [Gruppo 2A(2)] hanno tempera-
ture di fusione più alte di quelle dei metalli alcalini [Gruppo 1A(1)]. Gli atomi
metallici 2A hanno due elettroni di valenza e formano cationi 2+. La maggio-
re attrazione tra questi cationi e il numero doppio di elettroni significano le-
gami metallici più forti di quelli formati dagli atomi metallici 1A; quindi, sono
necessarie temperature più alte per fondere i solidi 2A. Il modello spiega anche
le proprietà meccaniche e di conduzione termica ed elettrica. Quando un cam-
pione di metallo viene deformato con un martello, gli ioni metallici scorrono
l’uno accanto all’altro attraverso il mare di elettroni andando a occupare nuove • La stupefacente mallea-
bilità dell’oro Tutti i metalli
posizioni reticolari. Perciò gli ioni metallici non si respingono mutuamente (Figu­- del Gruppo 1B(11) – rame, argento
ra 9.24). Si confronti questo comportamento con le repulsioni che si esplicano e oro – sono tanto teneri quanto
quando viene colpito un solido ionico (Figura 9.8). basta per poter essere lavorati a
I metalli sono buoni conduttori dell’elettricità perché hanno elettroni mobili. macchina, ma l’oro si situa in una
propria classe. Con 1 g di oro si
Quando un campione di metallo viene collegato a una batteria, elettroni defluisco-
può formare un cubo di 0,37 cm
no da un polo della batteria al metallo e sostituiscono gli elettroni che defluiscono di spigolo o una sfera di 0,23 cm di
dal metallo all’altro polo della batteria. Le irregolarità presenti nella disposizione raggio. L’oro è così duttile che 1 g
degli atomi metallici riducono la conduttività elettrica. Per esempio, il filo di rame può essere trafilato e trasformato in
ordinario usato per condurre corrente elettrica è puro per più del 99,99% perché le un filo spesso 20 μm e lungo 165
m, ed è così malleabile che lo stesso
tracce di atri atomi possono ridurre drasticamente il flusso degli elettroni.
grammo può essere battuto con un
Grazie agli elettroni mobili, i metalli sono anche buoni conduttori del calore. martello e trasformato in un foglio
Se appoggiamo la mano su un pezzo di metallo e su un pezzo di legno che sono di 1,0 m2 spesso soltanto 230 atomi
alla stessa temperatura ambiente, il metallo ci sembra più freddo al tatto perché (circa 70 nm)! (Foto: © Westend61
asporta il calore corporeo dalla nostra mano più rapidamente rispetto al legno. Gli GmbH/Alamy RF).
elettroni delocalizzati presenti nel metallo disperdono il calore dalla nostra mano
più rapidamente rispetto alle coppie di elettroni localizzate presenti nei legami
covalenti del legno.

il metallo
forza si deforma
esterna

Figura 9.24 Il motivo per


cui i metalli sono deformabili.
A. Una forza esterna applicata a
un campione di metallo lo defor-
ma senza romperlo. B. A livello
atomico, la forza fa semplice-
mente muovere gli ioni metallici
l’uno accanto all’altro attraverso
mare
il “mare di elettroni” circostante.
di e–
(Foto: © McGraw-Hill Education/
A B Stephen Frisch, photographer).

09txt.indd 287 16/05/19 22:16


Strumenti di laboratorio
Spettroscopia infrarossa

La spettroscopia infrarossa (IR) è una tecnica strumenta- MOLECOLA BIATOMICA


le utilizzata principalmente per studiare composti covalen-
Allungamento
ti. I componenti fondamentali di uno spettrometro IR sono
gli stessi di quelli di altri tipi di spettrometri (Figura S7.3).
La sorgente emette radiazioni di molte lunghezze d’onda,
ma vengono selezionate solo quelle nella regione IR. Il cam-
pione è di solito una sostanza pura, liquida o solida, che
assorbe diverse lunghezze d’onda nella regione IR. Uno spet-
tro IR è costituito da picchi che indicano i vari assorbimenti.
MOLECOLA TRIATOMICA LINEARE

Vibrazioni molecolari e assorbimenti IR Stiramento simmetrico

Uno spettro IR fornisce informazioni sui tipi di legame esi-


stenti in una molecola sulla base delle vibrazioni di legame.
Tutte le molecole si muovono nello spazio con rotazioni
attorno a diversi assi e vibrazioni di legame. Consideriamo
un campione di etano gassoso: le molecole H3C CH3 si
Stiramento asimmetrico
muovono in tutto il recipiente, l’intera molecola ruota e i
due gruppi CH3 ruotano attorno al legame C C. Trascuria-
mo ora il moto nello spazio e le rotazioni e concentriamoci
sui tipi di moto più importanti per la spettroscopia IR: ogni
coppia di atomi vibra come se i legami fossero delle molle
che si stirano e si piegano. La Figura S9.1 mostra le vibrazio-
ni di molecole biatomiche e triatomiche. I moti vibraziona- Piegamento
li di molecole più grandi saranno molto più numerosi.
Le energie dei fotoni IR sono nello stesso intervallo di
queste vibrazioni. Ogni vibrazione è caratterizzata da una
specifica frequenza dipendente dalle masse degli atomi le-
gati e dalla forza del legame. Queste frequenze corrispondo-
no a lunghezze d’onda della regione infrarossa, tra 2,5 µm
e 25 µm. L’energia di queste vibrazioni è quantizzata. Così MOLECOLA TRIATOMICA NON LINEARE
come un atomo può assorbire solo fotoni la cui energia è
pari alla differenza di energia tra livelli elettronici, una mo-
Stiramento
lecola può assorbire un fotone IR la cui energia è pari alla
simmetrico
differenza di energia tra livelli vibrazionali.

Radiazione IR e riscaldamento globale


Il diossido di carbonio, O C O, è una molecola lineare Stiramento
che può piegarsi e stirarsi simmetricamente e asimmetrica- asimmetrico
mente quando assorbe radiazione IR. La luce solare è assor- Piegamento
bita dalla superficie della Terra e riemessa come calore, la
maggior parte del quale è costituito da radiazione infraros-
sa. Il CO2 atmosferico assorbe questa radiazione e la riemet-
te riscaldando l’atmosfera (vedi La Chimica nelle altre scien- Figura S9.1 Moti vibrazionali in generiche molecole biato-
ze – Chimica nelle Scienze Ambientali, Capitolo 6). miche e triatomiche.

Identificazione dei composti


Uno spettro IR può essere utilizzato per identificare uno vallo diverso rispetto a un legame C C, a un legame
specifico composto per tre ragioni tra esse collegate. C H, oppure a un legame C O e così via.
Ogni tipo di legame assorbe uno specifico intervallo di lun­ 2. 
1.  Diversi tipi di composti organici producono spettri caratte­
ghezze d’onda. Un legame C C assorbe dunque un inter- ristici. I diversi gruppi di atomi che definiscono un alcol,

09txt.indd 288 16/05/19 22:16


Lunghezza d’onda (μm)
2,5 5,0 10 14 25

H oscillazione
∼0,2% H2O, Banda C C CH
impurezza di combinazione C H
stiramento H H
C C C C stiramento
stiramento H H oscillazione H C C
stiramento C C
C H C N C C H H H
CH2
H C N C C H H
Acrilonitrile torsione
piegamento H C C C C
C C
CH2 C H
agitamento CH agitamento CH2

4000 3600 3200 2800 2400 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400
Numeri d’onda (cm−1)

Figura S9.2 Lo spettro infrarosso (IR) dell’acrilonitrile. In questo tipico spettro IR, le bande di assorbimento appaiono come
picchi proiettati verso il basso e sono caratterizzati da diversa profondità e ampiezza. La maggior parte delle bande corrisponde a
un particolare tipo di vibrazione [stiramento (stretching), piegamento (bending), oscillazione (rocking), torsione (twisting), agita-
mento (wagging)]. Alcuni picchi sono particolarmente larghi (picchi di combinazione) perché sono dovuti a più vibrazioni sovrap-
poste. La grandezza riportata nell’asse inferiore è il numero d’onda, l’inverso della lunghezza d’onda, la cui unità di misura è cm−1.
(La scala è espansa per numeri d’onda inferiori a 2000 cm−1.)

Lunghezza d’onda (μm) Lunghezza d’onda (μm)


2,5 5,0 10 15 2,5 5,0 10 15

OH
CH3
CH3CH2CHCH3 H C H
2-Butanolo C C
C C
H C CH3
CH3CH2OCH2CH3 H
Etere dietilico CH3
H C H
C C
C C
H C H
CH3
4000 2000 1000 4000 2000 1000
Numeri d’onda (cm−1) Numeri d’onda (cm−1)

Figura S9.3 Gli spettri infrarosso (IR) del 2-butanolo (ver- Figura S9.4 Gli spettri infrarosso (IR) del 1,3-dimetilbenze-
de) e dell’etere dietilico (rosso). ne (verde) e del 1,4-dimetilbenzene (rosso).

un acido carbossilico, un estere e così via (vedi Capitolo una specie utilizzata per produrre materiali plastici
15) danno luogo a diversi assorbimenti. (Figura S9.2).
3. 
Ogni composto è caratterizzato da uno spettro unico. Lo Nel Capitolo 3 abbiamo visto che gli isomeri costituzionali
spettro IR può essere utilizzato come un’impronta di- (strutturali) hanno la stessa formula molecolare ma differen-
gitale per identificare uno specifico composto perché te struttura. Ci si attendono perciò spettri diversi per i due
la quantità totale di radiazione di una determinata isomeri etere dietilico e 2-butanolo, la cui struttura mole-
energia assorbita dal composto è funzione della parti- colare è molto diversa (Figura S9.3). Anche molecole molto
colare struttura molecolare. Così, per esempio, nessun simili come 1,3-dimetilbenzene e 1,4-dimetilbenzene, però,
altro composto genererà lo spettro dell’acrilonitrile, hanno spettri diversi come illustrato in Figura S9.4.

09txt.indd 289 16/05/19 22:16


290 Capitolo 9

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento

9.1 Mg([Ne] 3s 2 ) + 2Cl([Ne] 3s 2 3 p 5 ) ⎯ ⎯


→ (b) Lunghezza di legame: N N < N N < N N
Mg ([Ne]) + 2Cl− ([Ne] 3s 2 3 p 6 )
2+ Forza di legame: N N < N N < N N
δ+ δ− δ+
la formula è MgCl2 9.3 (a) Cl Cl Br Cl Cl ;
δ+ δ− δ+ δ− δ+ δ−
(b) Si Si Si Cl l S l
9.2 (a) Lunghezza di legame: Si F < Si O < Si C
Forza di legame: Si C < Si O < Si F

09txt.indd 290 16/05/19 22:16


Le forme delle molecole 10
Dopo avere compreso come gli atomi si legano, possiamo ora esplorare un concetto DA SAPERE PRIMA
essenziale. La pagina stampata, coperta di simboli atomici, linee e coppie di punti,
• configurazioni elettroniche degli
rende facile dimenticare la stupefacente realtà tridimensionale della forma moleco- elementi dei gruppi principali
lare. In ogni molecola, ciascun atomo, ciascuna coppia di legame e ciascuna coppia (Paragrafo 8.3)
solitaria (lone pair) ha la propria posizione nello spazio rispetto agli altri atomi e alle • simboli di Lewis (Paragrafo 9.1)
• regola dell’ottetto (Paragrafo 9.1)
altre coppie, posizione determinata dalle forze attrattive e repulsive che governano • ordine di legame, lunghezza
tutta la materia. Con angoli e distanze definite tra i nuclei, una molecola è una di legame, energia di legame
minuscola struttura indipendente, che si estende in tutto il suo piccolo volume (Paragrafo 9.3)
• legami covalenti polari e polarità
di spazio. Si considerino i particolari di reazioni semplici, le proprietà dei materiali di legame (Paragrafo 9.4)
sintetici, o i complessi processi di sostentazione della vita delle cellule viventi: la
forma molecolare è un fattore cruciale.

IN QUESTO CAPITOLO concentreremo l’attenzione sulle forme delle mo­lecole


e cominceremo a vedere come convertire la formula molecolare di un com­
posto in una formula di struttura bidimensionale, detta struttura di Lewis,
che mostra come gli atomi sono legati l’uno all’altro entro la molecola, ma
non rivela la forma complessiva. Useremo le strutture di Lewis per calcola­
re i calori di reazione ricavandoli dalle energie di legame. Poi esamineremo
la teoria VSEPR (Valence-Shell Electron-Pair Repulsion, repulsione tra coppie
di elettroni del guscio di valenza), con cui convertiremo queste formule di
struttura bidimensionali in forme tridimensionali. Vedremo le cinque classi di
forme fondamentali che molte molecole semplici adottano e i modi in cui esse
possono combinarsi per dare origine alle forme di molecole più complesse.
Vedremo come la forma e la polarità di legame conferiscono una polarità
all’intera molecola.

10.1 RAPPRESENTAZIONE DELLE MOLECOLE


E DEGLI IONI CON STRUTTURE DI LEWIS
Il primo passo verso la visualizzazione della forma di una molecola è convertire la
sua formula molecolare nella sua struttura di Lewis (o formula di Lewis). Que-
sta formula di struttura bidimensionale è costituita da simboli di Lewis che rappre-
sentano ciascun atomo e gli atomi vicini, le coppie di legame che li tengono uniti,
e le coppie solitarie che riempiono il guscio esterno di ciascun atomo.* In molti
casi, la regola dell’ottetto (Paragrafo 9.1) ci guida nell’assegnazione degli elettroni
agli atomi in una struttura di Lewis, ma in molti altri casi non seguiremo la regola.

* Una struttura di Lewis può essere chiamata più correttamente formula di Lewis perché fornisce infor-
mazioni sulla posizione relativa degli atomi in una molecola o in uno ione e mostra quali atomi sono
legati tra loro, ma non indica la forma tridimensionale. Ciononostante, l’uso del termine “struttura” di
Lewis è una convenzione che seguiremo.

10txt.indd 291 16/05/19 22:20


292 Capitolo 10

Figura 10.1 Le tappe nella Impiego della regola dell’ottetto per scrivere le strutture
con­versione di una formula
molecolare in una struttura
di Lewis
di Lewis. Per scrivere una struttura di Lewis ricavandola dalla formula molecolare, decidia-
mo sulla posizione relativa degli atomi nella molecola (o nello ione) – cioè, quali
atomi sono adiacenti e si legano l’uno all’altro – e distribuiamo il numero totale di
elettroni di valenza come coppie di legame e coppie solitarie. Cominciamo con
­l’esaminare le strutture di Lewis per specie che “ubbidiscono” alla regola dell’ottet-
to: quelle in cui ciascun atomo riempie il suo livello esterno con otto elettroni (o
con due nel caso dell’idrogeno).
Strutture di Lewis per molecole con legami singoli Esaminiamo anzitutto le
tappe necessarie per scrivere le strutture di Lewis per molecole che hanno soltanto
legami singoli, usando come esempio il trifluoruro di azoto (NF3). Nel percorrere le
varie tappe è utile fare riferimento alla Figura 10.1.
Tappa 1. Collocare gli atomi l’uno rispetto all’altro. Per i composti di formula mole-
colare ABn, si colloca l’atomo con il numero di gruppo più basso nel centro perché
questo atomo necessita di più elettroni per raggiungere un ottetto. In NF3, l’atomo
N (Gruppo 5A) ha cinque elettroni e quindi necessita di altri tre elettroni, mentre
ciascun atomo F (Gruppo 7A) ha sette elettroni e quindi necessita soltanto di un
altro elettrone; perciò, N va nel centro con i tre atomi F attorno a esso:
F

N
F F

Se gli atomi in un composto hanno lo stesso numero di gruppo, come quelli in SO3 o
in ClF3, si colloca nel centro l’atomo con il numero di periodo più alto. Questo tipo di
collocazione di solito pone nel centro l’atomo meno elettronegativo (χ di N = 3,0 e χ
di F = 4,0). H può formare soltanto un legame e quindi non è mai un atomo centrale.
Tappa 2. Determinare il numero totale di elettroni di valenza disponibili. Per le moleco-
le, si sommano gli elettroni di valenza di tutti gli atomi. (Si ricordi che il numero di
elettroni di valenza è uguale al numero del gruppo A). In NF3, N ha cinque elettroni
di valenza, e ciascun F ne ha sette:
⎡1× N(5e− )⎤ + ⎡3 × F(7e− )⎤ =5e− + 21e− =26 e− di valenza
⎣ ⎦ ⎣ ⎦
Nel caso degli ioni poliatomici, si aggiunge un e− per ciascuna carica negativa dello
ione o si sottrae un e− per ciascuna carica positiva.
Tappa 3. Disegnare un legame singolo da ciascun atomo circostante all’atomo centrale e
sottrarre due elettroni di valenza per ciascun legame. Deve esserci almeno un legame
singolo tra atomi legati:

Si sottraggono 2e− per ciascun legame singolo dal numero totale di elettroni di
valenza disponibili (dalla Tappa 2) per trovare il numero di elettroni restanti:
3 legami N—F × 2e− =
6e− da cui 26e− − 6e− = 20e− restanti

Tappa 4. Distribuire gli elettroni restanti in coppie in modo che ogni atomo ottenga otto
elettroni (o due nel caso di H). In primo luogo, si collocano le coppie solitarie sugli
atomi (più elettronegativi) circostanti per conferire a ciascuno un ottetto. Se restano

10txt.indd 292 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 293

elettroni, li si collocano attorno all’atomo centrale. Poi si verifica che ciascun atomo
abbia 8e−:

Questa è la struttura di Lewis per NF3. È sempre una buona idea verificare che il
numero totale di elettroni nella struttura di Lewis (legami più coppie solitarie) sia
uguale alla somma degli elettroni di valenza: 6e− in 3 legami più 20e− in 10 coppie
solitarie è uguale a 26 elettroni di valenza.
Questa particolare disposizione di atomi di F attorno all’atomo di N è stata scel-
ta perché somiglia alla forma molecolare di NF3, come vedremo nel Paragrafo 10.3.
Però, le strutture di Lewis non indicano la forma e quindi una rappresentazione
altrettanto corretta di NF3 sarebbe

o qualsiasi altra che conservi la stessa connettività degli atomi, cioè le stesse connes-
sioni tra gli atomi: un atomo di N centrale connesso da legami singoli a tre atomi
di F circostanti.
Usando queste quattro tappe, si può scrivere una struttura di Lewis per qualsia-
si molecola con legami singoli il cui atomo centrale è C, N od O, nonché per alcune
molecole con atomi centrali appartenenti a periodi superiori.

Scrittura di strutture di Lewis per molecole con un solo atomo


centrale
PROBLEMA DI VERIFICA 10.1
Problema Si scriva una struttura di Lewis per CCl2F2, uno dei composti responsabili della
deplezione dell’ozono atmosferico (“buco dell’ozono”).
Risoluzione Tappa 1. Collocare gli atomi l’uno rispetto all’altro. In CCl2F2, il carbonio ha
il numero del gruppo più basso e l’elettronegatività più bassa, quindi è l’atomo centrale. Gli
altri atomi lo circondano, ma le loro posizioni specifiche non sono importanti:

Tappa 2. Determinare il numero totale di elettroni di valenza (ricavandoli dai numeri dei
gruppi A). C è nel Gruppo 4A, F è nel Gruppo 7A e Cl è anch’esso nel Gruppo 7A. Perciò,
abbiamo
⎡ − ⎤ ⎡ − ⎤ ⎡ − ⎤ −
⎣1× C(4e )⎦ + ⎣ 2 × F(7e )⎦ + ⎣ 2 × Cl(7e )⎦ = 32 e di valenza
Tappa 3. Disegnare legami singoli con l’atomo centrale e sottrarre 2e− per ciascun legame:

Quattro legami singoli usano 8e−, quindi 32e− − 8e− = 24e− restanti.
Tappa 4. Distribuire gli elettroni restanti in coppie, partendo dagli atomi circostanti, in
modo che ogni atomo abbia un ottetto:

Verifica Il conteggio degli elettroni indica che ciascun atomo ha un ottetto. Si ricordi
che gli elettroni di legame sono contati come appartenenti a ciascun atomo nel legame. Il
numero totale di elettroni nei legami (8) e nelle coppie solitarie (24) è uguale a 32 elettroni
di valenza.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.1 Si scrivano strutture di Lewis per


(a) H2S;  (b) OF2;  (c) SOCl2.

10txt.indd 293 16/05/19 22:20


294 Capitolo 10

Si ha una situazione un po’ più complessa quando le molecole hanno due o più
atomi centrali legati tra loro, con gli altri atomi attorno a essi.

Scrittura di strutture di Lewis per molecole con più di un atomo


centrale
PROBLEMA DI VERIFICA 10.2
Problema Si scriva la struttura di Lewis per il metanolo (alcol metilico; formula molecolare
CH4O), un importante alcol industriale utilizzato come alternativa alla benzina nei motori a
combustione interna degli autoveicoli.
Risoluzione Tappa 1. Collocare gli atomi l’uno rispetto all’altro. Gli atomi di H possono
avere soltanto un legame, quindi C e O devono esse adiacenti l’uno all’altro. In quasi tutti i
loro composti, C ha quattro legami e O ne ha due, quindi disponiamo gli atomi in modo da
rappresentare questa situazione:

Tappa 2. Trovare la somma degli elettroni di valenza:


⎡ − ⎤ ⎡ − ⎤ ⎡ − ⎤ −
⎣1× C(4e )⎦ + ⎣1× O(6e )⎦ + ⎣ 4 × H(1e )⎦ = 14e
Tappa 3. Aggiungere i legami singoli e sottrarre 2e− per ciascun legame:

Cinque legami usano 10e−, quindi 14e− − 10e− = 4e− restanti.


Tappa 4. Aggiungere gli elettroni restanti in coppie:

Il carbonio ha già un ottetto, quindi i quattro e− di valenza restanti formano due coppie solitarie
su O. Ora abbiamo la struttura di Lewis per il metanolo.
Verifica Ciascun H ha 2e−, e C e O hanno 8e− ciascuno. Il numero totale di elettroni di
valenza è 14e−, che è uguale a 10e−più 4e− in coppie solitarie.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.2 Si scrivano strutture di Lewis


(a) per l’idrossilammina (NH3O) e (b) per l’etere dimetilico (C2H6O; legami O H assenti).

Strutture di Lewis per molecole con legami multipli Accade talvolta che,
dopo le Tappe 1÷4, non vi siano elettroni sufficienti affinché l’atomo centrale (o
uno degli atomi centrali) raggiunga un ottetto. Ciò significa di solito che è presente
un legame multiplo e si rendono necessarie le seguenti tappe addizionali.
Tappa 5. Casi che implicano legami multipli. Se, dopo la Tappa 4, un atomo centrale
non ha ancora un ottetto, si forma un legame multiplo convertendo una coppia so-
litaria di uno degli atomi circostanti in una coppia di legame con l’atomo centrale.

Scrittura di strutture di Lewis per molecole con legami multipli


PROBLEMA DI VERIFICA 10.3
Problema Si scrivano strutture di Lewis per i seguenti composti:
(a) etilene (C2H4), il reagente più importante nella produzione dei polimeri;
(b) azoto (N2), il gas atmosferico più abbondante.
Piano Iniziamo la risoluzione con le Tappe 1÷4: collocazione degli atomi, conteggio del
numero totale di elettroni di valenza, formazione di legami singoli, distribuzione degli elet-
troni di valenza restanti in coppie per raggiungere ottetti. Poi proseguiamo con la Tappa 5,
se necessaria.

10txt.indd 294 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 295

Risoluzione (a) Per C2H4. Dopo le Tappe 1÷4, abbiamo

Tappa 5. Convertire una coppia solitaria in una coppia di legame. L’atomo di C a destra ha
un ottetto, ma l’atomo di C a sinistra ha soltanto 6e−, quindi convertiamo la coppia solitaria
in un’altra coppia di legame tra i due atomi di C:

(b) Per N2. Dopo le Tappe 1÷4, abbiamo


Tappa 5. Nessuno dei due atomi di N ha un ottetto, quindi convertiamo una coppia solitaria
in una coppia di legame:

In questo caso, lo spostamento di una coppia solitaria per formare un legame doppio non
conferisce ancora un ottetto all’atomo di N a destra, quindi spostiamo una coppia solitaria
dall’atomo di N di sinistra per formare un legame triplo:

Verifica Nella parte (a), ciascun atomo di C conta i 4e− nel legame doppio come parte del
proprio ottetto. Il totale degli elettroni di valenza è 12e−, tutti in sei legami. Nella parte (b),
ciascun atomo di N conta i 6e− nel legame triplo come parte del proprio ottetto. Il totale
degli elettroni di valenza è 10e−, che è uguale al numero di elettroni in tre legami e due
coppie solitarie.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.3 Si scrivano strutture di Lewis (a)


per CO (l’unica molecola comune in cui C abbia soltanto tre legami); (b) per HCN; (c) per
CO2.

Risonanza: legame a coppie di elettroni delocalizzate


Si è spesso in grado di scrivere più di una struttura di Lewis, ciascuna con la stessa
posizione relativa degli atomi, per una molecola o uno ione con legami doppi adia-
centi a legami singoli. Consideriamo l’ozono (O3), un pericoloso inquinante atmosferi-
co a livello del suolo, ma un assorbitore delle radiazioni ultraviolette (UV) dannose
nella stratosfera e quindi un importante protettore della vita sulla superficie terre-
stre. Due valide strutture di Lewis (con gli atomi di O identificati con lettere per
chiarezza) sono

Nella struttura I, l’ossigeno B è legato da un legame doppio all’ossigeno A e da un


legame singolo all’ossigeno C. Nella struttura II, il legame singolo e il legame dop-
pio sono invertiti. Queste strutture non sono due differenti tipi di molecole di O3,
bensì sono due differenti strutture di Lewis per la stessa molecola.
In realtà, nessuna delle due strutture di Lewis rappresenta accuratamente O3. Le
misure delle lunghezze di legame e delle energie di legame indicano che i due le-
gami in O3 sono identici, con proprietà che si situano tra quelle di un legame O O
e quelle di un legame O O, una sorta di legame “uno e mezzo”. La molecola è
rappresentata più correttamente con due strutture di Lewis, dette strutture di
risonanza (o forme di risonanza), e una freccia di risonanza a due punte ( )
tra di esse. Le strutture di risonanza hanno la stessa posizione relativa degli atomi ma
differenti posizioni delle coppie di elettroni di legame e di elettroni solitari.
Possiamo convertire una forma di risonanza in un’altra spostando coppie solita-
rie in posizioni di legame, e viceversa

10txt.indd 295 16/05/19 22:20


296 Capitolo 10

Le strutture di risonanza non sono reali rappresentazioni di legame: O3 non varia


avanti e indietro dalla struttura I in un dato istante alla struttura II nell’istante
successivo. La molecola reale è un ibrido di risonanza, una media delle forme
di risonanza.
La necessità di più di una struttura di Lewis per rappresentare la molecola
di ozono è dovuta alla delocalizzazione di coppie di elettroni. In un legame
cavallo blu asino rosso
singolo, doppio o triplo, ciascuna coppia di elettroni è attratta dai nuclei dei due
atomi legati, e la densità elettronica è massima nella regione tra i nuclei: ciascu-
na coppia di elettroni è localizzata. Ma nell’ibrido di risonanza per O3, due delle
coppie di elettroni (una coppia di legame e una coppia di non legame) sono delo-
calizzate: la loro densità elettronica è “distribuita” sull’intera molecola.* Ciò dà ori-
gine a due legami identici, ciascuno costituito da un legame singolo (la coppia di
mulo porpora elettroni localizzata) e un legame parziale (il contributo fornito da una delle coppie


di elettroni delocalizzate). L’ibrido di risonanza è disegnato con una linea curva
Un mulo porpora, non tratteggiata per rappresentare le coppie delocalizzate:
un cavallo blu e un asino
rosso Un mulo è una miscela
genetica, un ibrido, di un cavallo
e un asino; non è un cavallo in
un istante e un asino nell’istante La delocalizzazione elettronica diffonde la densità elettronica su un volume mag-
successivo. Ana­logamente, il colore giore, la qual cosa riduce le repulsioni interelettroniche stabilizzando così la mole-
porpora è una miscela di altri due cola. La risonanza è molto comune, e molte molecole (e molti ioni) possono essere
colori, rosso e blu, non rosso in un rappresentati meglio come ibridi di risonanza. Per esempio, il benzene (C6H6) ha
istante e blu nell’istante successivo.
Nello stesso senso, un ibrido di
due importanti forme di risonanza in cui legami singoli e doppi alternati hanno
risonanza è una specie molecolare, differenti posizioni. La molecola reale ha sei legami carbonio-carbonio identici
non questa forma di risonanza in un perché vi sono sei legami C C e tre coppie di elettroni delocalizzate su tutti e
istante e quella forma di risonanza sei gli atomi di C, rappresentate spesso come una circonferenza tratteggiata (o
nell’istante successivo. Il problema semplicemente come una circonferenza):
sta nella nostra incapacità di rappre-
sentare accuratamente l’ibrido con
un’unica struttura di Lewis.

Il legame parziale, quale si osserva negli ibridi di risonanza, dà spesso origine a or-
dini di legame frazionari. Nel caso di O3, abbiamo
3 coppie di elettroni 3
=
ordine di legame =
2 legami atomo-atomo 2

L’ordine di legame carbonio-carbonio nel benzene è (9 coppie) / (6 legami) = 23 . Nel


caso dello ione carbonato, CO32−, si possono disegnare tre strutture di risonanza.
Ciascuna ha 4 coppie di elettroni condivise fra 3 legami, e quindi l’ordine di legame
è 43 . Una delle tre strutture di risonanza per CO32− è

Si noti che la struttura di Lewis di uno ione poliatomico è indicata tra parentesi quadre,
con la carica come apice (esponente) a destra fuori delle parentesi.

* Si tenga presente che la delocalizzazione degli elettroni in un metallo (Paragrafo 9.5), che interessa
tutti gli atomi nell’intero campione, è molto maggiore che in un ibrido di risonanza covalente, in cui gli
elettroni sono delocalizzati soltanto su un piccolo numero di atomi.

10txt.indd 296 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 297

Scrittura delle strutture di risonanza


PROBLEMA DI VERIFICA 10.4
Problema Si scrivano strutture di risonanza per lo ione nitrato, NO3−.
Piano Scriviamo una struttura di Lewis usando le tappe delineate precedentemente, ricor-
dando di sommare 1e− al numero totale di elettroni di valenza a causa della carica ionica
1−. Poi trasferiamo coppie solitarie e di legame per scrivere altre forme di risonanza e le
congiungiamo con la freccia di risonanza.
Risoluzione Dopo le Tappe 1÷4, abbiamo

Tappa 5. Poiché N ha soltanto 6e−, convertiamo una coppia solitaria su un atomo di O in


una coppia di legame e formiamo un doppio legame, conferendo a ciascun atomo un ottetto.
Però, tutti gli atomi di O sono equivalenti e quindi possiamo trasferire una coppia solitaria
da qualsiasi dei tre atomi di O e ottenere tre strutture di risonanza:

Verifica Ciascuna struttura ha la stessa posizione relativa di atomi, un ottetto attorno a


ciascun atomo, e 24e− (la somma del totale degli elettroni di valenza e di 1e− derivante
dalla carica ionica distribuita in quattro legami e otto coppie solitarie).
Commento Si ricordi che in realtà nello ione NO3− non è presente alcun legame doppio. Lo
ione è un ibrido di risonanza di queste tre strutture con un ordine di legame pari a 43 .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.4 Una delle tre strutture di risonanza


per CO32− è stata mostrata immediatamente prima del Problema di verifica 10.4. Si disegnino
le altre due.

Carica formale: scelta della migliore struttura di risonanza


Negli esempi precedenti, le forme di risonanza venivano miscelate in uguale misura
per formare l’ibrido di risonanza perché le molecole (o gli ioni) erano simmetrici: gli
atomi circostanti erano tutti identici. Quando la situazione non è questa, una delle
forme di risonanza può somigliare all’ibrido più delle altre. In altre parole, poiché
l’ibrido di risonanza è una media delle forme di risonanza, una forma può dare un
maggiore contributo e “ponderare” la media a proprio favore. Un modo per sceglie-
re la forma di risonanza più importante è determinare la carica formale di ciascun
atomo, la carica che esso avrebbe se gli elettroni di legame fossero condivisi ugualmente.
La carica formale di un atomo è data dal numero totale dei suoi elettroni di valenza
meno il numero degli elettroni di valenza che esso “possiede” nella molecola: esso
possiede tutti i suoi elettroni di valenza non condivisi e la metà dei suoi elettroni
di valenza condivisi. Perciò,

carica formale dell’atomo = numero e−di valenza


(10.1)
−(numero di e− di valenza non condivisi + 12 numero di e− di valenza condivisi)

Per esempio, in O3, la carica formale dell’ossigeno A (OA) nella forma di risonanza I è
6e− di valenza − (4e− non condivisi + 12 di 4 e− condivisi) =
6−4 −2 = 0
Le cariche formali di tutti gli atomi nelle due forme di risonanza di O3 sono

10txt.indd 297 16/05/19 22:20


298 Capitolo 10

Le forme I e II sono simmetriche – ciascuna ha le stesse cariche formali, ma su


differenti atomi – e quindi contribuiscono ugualmente all’ibrido di risonanza. È
importante ­notare che la somma delle cariche formali deve essere uguale alla carica
effettiva sulla specie: zero nel caso di una molecola e la carica ionica nel caso di
uno ione.
Tre criteri aiutano a scegliere le strutture di risonanza più importanti.
• Le cariche formali più piccole (siano esse positive o negative) sono preferibili
a quelle più grandi.
• Non sono desiderabili cariche simili su atomi adiacenti.
• Una carica formale più negativa dovrebbe risiedere su un atomo più elettrone-
gativo.
Applichiamo questi criteri allo ione cianato, NCO−, che non è simmetrico. Tre for-
me di risonanza con cariche formali sono

Eliminiamo la forma A perché ha cariche formali più grandi delle altre e una carica
formale positiva sull’O (più elettronegativo). Le forme B e C hanno cariche formali
dello stesso valore, ma la forma C ha una carica −1 su O, che è più elettronegativo
di N. Perciò, B e C danno notevoli contributi all’ibrido di risonanza dello ione cia-
nato, con C più importante.
La carica formale (usata per esaminare le strutture di risonanza) non è uguale al
numero di ossidazione (usato per monitorare le reazioni di ossidoriduzione).
• Nella determinazione della carica formale, gli elettroni di legame sono asse-
gnati ugualmente agli atomi legati (come se il legame fosse covalente apolare),
cosicché ciascun atomo ne riceve la metà:
carica formale = e− di valenza − (e− delle coppie solitarie + 12 e− di legame)
• Nella determinazione del numero di ossidazione, gli elettroni di legame sono
assegnati completamente all’atomo più elettronegativo (come se il legame fosse
ionico):
numero di ossidazione = e− di valenza − (e− delle coppie solitarie + e− di legame)

Le cariche formali e i numeri di ossidazione delle tre strutture di risonanza dello


ione cianato sono le seguenti:

Si noti che i numeri di ossidazione non variano da una forma di risonanza a un’altra
(perché le elettronegatività non variano), mentre le cariche formali variano (perché
i numeri delle coppie di legame e delle coppie solitarie variano).

Strutture di Lewis per le eccezioni alla regola dell’ottetto


La regola dell’ottetto è un’utile guida per la maggior parte delle molecole con atomi
centrali del Periodo 2, ma non è valida per tutte. Inoltre, molte molecole hanno ato-
mi centrali appartenenti a periodi superiori. Come vedremo, alcuni atomi centrali
hanno attorno a sé un numero di elettroni minore di otto, mentre altri ne hanno
un numero maggiore di otto. Le più importanti eccezioni alla regola dell’ottetto
sono molecole elettrondeficienti, molecole con numero dispari di elettroni e, spe-
cialmente, molecole con gusci di valenza espansi.
Molecole elettrondeficienti Le molecole gassose contenenti berillio o boro
come atomo centrale sono spesso elettrondeficienti; cioè, hanno meno di otto

10txt.indd 298 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 299

elettroni attorno all’atomo di Be o di B. Le strutture di Lewis del cloruro di berillio


gassoso* e del trifluoruro di boro gassoso sono

Vi sono soltanto quattro elettroni attorno all’atomo di berillio e sei attorno all’ato-
mo di boro. Perché le coppie di non legame degli atomi di alogeno circostanti non
formano legami multipli con gli atomi centrali, soddisfacendo così la regola dell’ot-
tetto? Gli alogeni sono molto più elettronegativi del berillio o del boro, e le cariche
formali indicano che quelle seguenti sono strutture improbabili:

(Alcuni dati per il BF3 indicano un legame B F più corto di quello atteso. I legami
più corti indicano un carattere di legame doppio; quindi la struttura con il legame
B F può dare un contributo di secondaria importanza a un ibrido di risonanza). Il
modo principale in cui le molecole elettrondeficienti raggiungono un ottetto è la
formazione di legami addizionali nelle reazioni. Per esempio, quando BF3 reagisce
con l’ammoniaca, si forma un composto in cui il boro raggiunge il suo ottetto:**

Molecole con numero dispari di elettroni Alcune molecole contengono un


numero dispari di elettroni di valenza e quindi non possono avere tutti gli elet- • Attività letale dei radi-
cali liberi I radicali liberi posso-
troni in coppie. Queste specie, dette radicali liberi, contengono un elettrone no essere estremamente pericolosi
solitario (spaiato, disaccoppiato), che le rende paramagnetiche (Paragrafo 8.5) ed per i sistemi biologici perché rom-
estremamente reat­tive. A rigore, le strutture di Lewis si basano su un modello a pono i legami nelle biomolecole
coppie di elettroni, e quindi non si applicano direttamente a specie con un elet- delle cellule. Se un radicale libero
reagisce con una biomolecola, esso
trone solitario, ma useremo cariche formali per decidere dove risieda l’elettrone forma tipicamente un legame cova-
solitario. La maggior parte delle molecole con elettroni dispari hanno un atomo lente con uno degli atomi di H e
centrale appartenente a un gruppo con numero dispari, come N [Gruppo 5A(15)] lo rimuove, e la biomolecola resta
o Cl [Gruppo 7A(17)]. Consideriamo, per esempio, NO2. Quale che sia l’atomo con un elettrone spaiato, diventan-
do così un nuovo radicale libero.
che ha l’elettrone solitario, sia esso N od O con legame doppio, avrà una carica Questa specie ripete il processo
formale +1. La struttura con l’elettrone solitario, e quindi con la carica +1, su N e crea altre specie con elettroni
è preferita perché N è meno elettronegativo di O: solitari che proliferano per rompere
geni e strutture cellulari. Traiamo
beneficio da questa capacità quan-
do applichiamo il disinfettante
perossido di idrogeno (acqua ossi-
genata) a una lesione perché esso
Si forma diossido di azoto quando NO presente nei gas di scarico dei veicoli a moto- forma radicali liberi che distruggo-
re reagisce con O2 in presenza di radiazione solare; è uno dei principali responsabili no le membrane batteriche. D’altra
parte, studi recenti hanno indicato
dello smog urbano. I radicali liberi possono reagire l’uno con l’altro per appaiare i che parecchi stati patologici, com-
loro elettroni solitari. Per esempio, quando due molecole di NO2 si urtano, formano prese certe forme di cancro, posso-
tetraossido di diazoto, N2O4, e ciascun atomo di N raggiunge un ottetto: no essere attribuiti a radicali liberi.
Inoltre, si ritiene che la vitamina
E interrompa la proliferazione dei
radicali liberi.

* Nonostante il berillio appartenga ai metalli alcalino-terrosi [Gruppo 2A(2)], la maggior parte dei suoi
composti ha proprietà compatibili con un legame covalente, anziché ionico. Per esempio, il BeCl2 fuso
non conduce elettricità, la qual cosa indica l’assenza di ioni (Capitolo 14).
** Le reazioni del tipo mostrato qui, in cui una specie “dona” una coppia di elettroni a un’altra specie per
formare un legame covalente, sono esempi di reazioni acido-base di Lewis, un tipo di reazione estrema-
mente importante e ampiamente diffuso che esamineremo nel Capitolo 18.

10txt.indd 299 16/05/19 22:20


300 Capitolo 10

Gusci di valenza espansi Molte molecole e molti ioni hanno più di otto elet-
troni di valenza attorno all’atomo centrale. Un atomo espande il suo guscio di valenza
per formare più legami, un processo che rilascia energia. L’unico modo in cui un
atomo centrale può accogliere coppie addizionali è quello di usare orbitali d esterni
vuoti oltre agli orbitali s e p occupati. Perciò, si hanno gusci di valenza espansi
soltanto con un non metallo centrale del Periodo 3 o di un periodo superiore, quelli in
cui sono di­sponibili orbitali d.
Un esempio è l’esafluoruro di zolfo, SF6, un gas notevolmente denso e inerte
impiegato come isolante negli apparecchi elettrici. L’atomo di zolfo centrale è cir-
condato da sei legami covalenti, uno con ciascun atomo di fluoro, per un totale di
12 elettroni:

Un altro esempio è il pentacloruro di fosforo, PCl5, un solido fumante di colore bianco


giallastro, impiegato nella produzione di lacche e pellicole. Si forma PCl5 quando il
tricloruro di fosforo, PCl3, reagisce con il cloro gassoso. L’atomo di P in PCl3 ha un
ottetto, ma impiega la coppia solitaria per formare altri due legami con il cloro ed
espande il suo guscio di valenza in PCl5 fino a un totale di 10 elettroni. È importante
notare che, quando si forma PCl5, si rompe un legame Cl Cl (primo membro del­
l’equazione) e si formano due legami P Cl (secondo membro), per un aumento netto
di un legame:
Cl Cl
Cl Cl
P + Cl Cl P
Cl Cl Cl Cl

Nei casi che abbiamo considerato finora, l’atomo centrale forma legami con più
di quattro atomi. Ma esistono molti casi di gusci di valenza espansi in cui l’atomo
centrale si lega a quattro o meno atomi. Consideriamo l’acido solforico, il composto
chimico prodotto industrialmente nella massima quantità. Due delle forme di riso-
nanza per H2SO4, con cariche formali, sono

Nella forma B, lo zolfo ha un guscio di valenza espanso di 12 elettroni. Si noti che


la forma B dà all’ibrido di risonanza un contributo più importante di quello dato
dalla forma A perché ha cariche formali più basse. Ciò che più importa, la forma B è
compatibile con le lunghezze di legame osservate. Nell’H2SO4 gassoso, i due legami
zolfo-ossigeno con atomi di H legati a O sono lunghi 157 pm, mentre i due legami
zolfo-ossigeno senza atomi di H legati a O sono lunghi 142 pm. Questa minore lun-
ghezza di legame indica un carattere di legame doppio, che compare nella forma B.
Quando l’acido solforico cede due ioni H+, esso forma lo ione solfato, SO42−.
Tutti i legami zolfo-ossigeno in SO42− sono lunghi 149 pm, una lunghezza interme-
dia tra quella dei due legami S O (142 pm) e quella dei due legami S O
(157 pm) nell’acido originale. Due delle sei forme di risonanza compatibili con
questi dati sono

Perciò, lo ione SO42− è un ibrido di risonanza con quattro legami S O e altre due
coppie di legame delocalizzate sulla struttura; perciò, ciascun legame zolfo-ossige-
no ha un ordine di legame pari a 32.

10txt.indd 300 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 301

Le misurazioni indicano che i legami zolfo-ossigeno in SO2 e in SO3 hanno tutti


approssimativamente la lunghezza del legame S O (142 pm); quindi le strutture
di Lewis per queste molecole, con cariche formali, sono
(0)

(0)
O
(0) (0) (0)
S S
O O O O
(0) (0)

Lo zolfo e il fosforo accolgono spesso 12 elettroni nei loro composti, e lo iodio ne


accoglie fino a 14. Si tenga presente che questi atomi espandono i loro gusci di valenza
per formare più legami e minimizzare la carica formale.

Scrittura di strutture di Lewis per eccezioni alla regola dell’ottetto


PROBLEMA DI VERIFICA 10.5
Problema Si scrivano strutture di Lewis per (a) H3PO4 e (b) BFCl2. In (a), si decida quale
sia la struttura più probabile.
Piano Scriviamo la struttura di Lewis e la esaminiamo per identificare eventuali eccezioni
alla regola dell’ottetto. In (a), l’atomo centrale è P, che appartiene al Periodo 3, quindi può
usare orbitali d per avere più di un ottetto. Perciò, possiamo scrivere più di una struttura di
Lewis. Usiamo la carica formale per decidere se una delle forme di risonanza sia più impor-
tante. In (b), l’atomo centrale è B, che può avere meno di un ottetto di elettroni.
Risoluzione (a) Per H3PO4, due possibili strutture di Lewis, con cariche formali, sono

La struttura II ha cariche formali più basse, quindi è la forma di risonanza più importante.
(b) Per BFCl2, la struttura di Lewis lascia B con soltanto sei elettroni attorno a esso:

Commento In (a), la struttura II è anche compatibile con le misure delle lunghezze di lega-
me, che indicano un legame fosforo-ossigeno più corto (152 pm) e tre più lunghi (157 pm).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.5 Si scriva la struttura di Lewis più


probabile per (a) POCl3; (b) ClO2; (c) XeF4.

10.2 IMPIEGO DELLE STRUTTURE DI LEWIS


E DELLE ENERGIE DI LEGAME
PER CALCOLARE I CALORI DI REAZIONE
Una reazione chimica può essere considerata come un processo in cui, nei reagenti,
si rompono certi legami formando frammenti molecolari che, ricombinandosi, costi-
tuiscono dei prodotti strutturati su nuovi legami. Usiamo le strutture di Lewis e le
energie di legame (entalpie di legame) per calcolare il calore di reazione (ΔH 0r) no-
tando quali legami nei reagenti si rompono e quali legami nei prodotti si formano.
Ma spesso è più semplice supporre che tutti i legami nei reagenti si rompano per dare
atomi individuali, tra i quali si creano nuovi legami formando i prodotti (Figura 10.2).
Anche se la reazione effettiva può non svolgersi in questo modo, la legge di Hess ci
permette di sommare le energie di legame (con i loro segni appropriati) per giun-

10txt.indd 301 16/05/19 22:20


302 Capitolo 10

Figura 10.2 Uso delle ener-


gie di legame per calcolare
ΔH 0r. Ogni reazione chimica può
essere divisa concettualmente
in due tappe ipotetiche: (1) i
legami nei reagenti si rompono
per dare atomi separati in una
tappa che assorbe calore
(+ somma delle El) e (2) gli ato­
mi si combinano per formare i
legami nei prodotti in una tappa
che rilascia calore (− somma
delle El). Quando l’energia di
legame totale dei prodotti è
maggiore di quella dei reagenti,
la quantità di energia rilasciata
è maggiore della quantità di gere al calore di reazione complessivo. (Questo metodo presuppone che il calore di
energia assorbita e quindi la reazione sia dovuto interamente a variazioni dell’energia di legame, il che richiede
reazione è esotermica (come che tutti i reagenti e tutti i prodotti siano gas. Quando sono presenti liquidi o solidi,
è mostrato); ΔH 0r è negativo. si deve tenere conto del calore addizionale che interviene nel cambiamento dello
Quando l’energia di legame
stato fisico. Affronteremo questo argomento nel Capitolo 12.)
totale dei prodotti è minore di
quella dei reagenti, la reazione Viene assorbito calore per rompere i legami nei reagenti (ΔH0 è positivo) e
è endotermica; ΔH 0r è positivo. viene rilasciato calore quando si formano i legami e si creano i prodotti (ΔH0 è
negativo). La somma di queste variazioni di entalpia è il calore di reazione:

ΔH r0 = ΔH rottura
0
dei legami nei reagenti + ΔH formazione dei legami nei prodotti
0 (10.2)

Come si può vedere dall’Equazione 10.2:

• in una reazione esotermica, l’energia totale dei legami formati nei prodotti è
maggiore di quella dei legami rotti nei reagenti e quindi la somma negativa
maggiore rende negativo ΔH 0r;
• in una reazione endotermica, l’energia totale dei legami formati nei prodotti
è minore di quella dei legami rotti nei reagenti e quindi la somma negativa
minore rende positivo ΔH 0r.

Applichiamo questo metodo per calcolare ΔH 0r per la combustione del metano e lo


confrontiamo con il valore ottenuto con la calorimetria, che è
CH4 ( g ) + 2O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + 2H2O( g ) H r0 =
−802 kJ

Dalle strutture di Lewis nella Figura 10.3, vediamo che la reazione implica la rottu-
ra di tutti i legami in CH4 e O2 e la formazione di tutti i legami in CO2 e H2O. Cer-
chiamo i valori dell’energia di legame (vedi Tabella 9.2), usando un segno positivo
per i legami rotti e un segno negativo per i legami formati.
Rottura dei legami
4 ×C ⎯H
= =
(4 mol)(413 kJ/mol) 1652 kJ
=2 × O2 =
(2 mol)(498 kJ/mol) 996 kJ
ΔH rottura
0
dei legami nei reagenti = 2648 kJ
Formazione dei legami
2 × C == H =
(2 mol)(−799 kJ/mol) = −1598 kJ
4 ×O ⎯H =
(4 mol)(−467 kJ/mol) = −1868 kJ
ΔH formazione
0
dei legami nei prodotti = −3466 kJ

Sommando questi totali, otteniamo


ΔH r0 = ΔH rottura
0
dei legami nei reagenti + ΔH formazione dei legami nei prodotti
0

= 2648 kJ + (−3466 kJ) = −818 kJ

10txt.indd 302 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 303

A cosa è dovuta la discrepanza tra il valore dell’energia di legame (−818 kJ) e il Figura 10.3 Uso delle ener-
valore calorimetrico (−802 kJ)? Le variazioni del metodo sperimentale introducono gie di legame per calcolare
ΔH 0r del metano. Trattare la
sempre piccole discrepanze, ma in questo caso c’è un motivo più fondamentale. combustione del metano come
Come abbiamo notato precedentemente, le energie di legame sono valori medi un ipotetico processo in due
ottenuti da molti differenti composti in cui è presente il legame. L’energia del lega- tappe (vedi Figura 10.2) significa
me in una particolare sostanza è di solito vicina, ma non uguale, a questa media. Per rompere tutti i legami nei rea­
esempio, il valore tabulato dell’energia del legame C H, pari a 413 kJ/mol, è il genti e formare tutti i legami
nei prodotti.
valore medio delle energie dei legami C H in molte differenti molecole. In effetti,
nel metano, sono in realtà necessari 1660 kJ per rompere 4 mol di legami C H,
ossia 415 kJ/(mol di legame C H), che danno un ΔH 0r un po’ più vicino al valore
calorimetrico. Perciò, non sorprende che si trovino discrepanze tra i due valori di
ΔH 0r. Ciò che sorprende – e soddisfa nella sua conferma della teoria del legame – è
che i valori siano così vicini.

Calcolo delle variazioni di entalpia in base alle energie di legame


PROBLEMA DI VERIFICA 10.6
Problema Usando la Tabella 9.2, si calcoli ΔH 0r per la seguente reazione:
CH4 ( g ) + 3Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯→ CHCl 3 ( g ) + 3HCl( g )
Piano In primo luogo, scriviamo le strutture di Lewis di tutte le sostanze. Supponiamo
che tutti i legami nei reagenti si rompano e che tutti i legami nei prodotti si formino e
troviamo le loro energie nella Tabella 9.2. Poi sostituiamo le due somme con i segni corretti
nell’Equazione 10.2.
Risoluzione Scrittura delle strutture di Lewis:

Calcolo di ΔH 0r: Per la rottura dei legami, i valori sono


=4 × C ⎯ H (4 mol)(413
= kJ/mol) 1652 kJ
3 × CI ⎯ CI (3 mol)(243
= = kJ/mol) 729 kJ
ΔH rottura
0
dei legami = 2381 kJ

10txt.indd 303 16/05/19 22:20


304 Capitolo 10

Per la formazione dei legami, i valori sono


3 × C ⎯ Cl = (3 mol)(−339 kJ/mol) = −1017 kJ
1× C ⎯ H = (1 mol)(−413 kJ/mol) = − 413 kJ
3 × H ⎯ Cl = (3 mol)(−427 kJ/mol) = −1281 kJ
ΔH formazione
0
dei legami = −2711 kJ

H r0 = 0
H rottura dei legami +H formazione
0
dei legami 2381 kJ + (−2711 kJ) = −330 kJ
=

Verifica I segni delle variazioni di entalpia sono corretti: ΔH 0rottura dei legami dovrebbe essere
>0, e ΔH 0formazione dei legami dovrebbe essere <0. La quantità di energia rilasciata è maggiore
della quantità di energia assorbita e quindi ΔH 0r è negativo:
2400 kJ + [( −2700 kJ) ] = −300 kJ

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.6 Usando le energie di legame, si


calcolino le variazioni di entalpia per le seguenti reazioni:
(a) N 2 ( g ) + 3H2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2NH3 ( g ) (b) C 2H4 ( g ) + HBr( g ) ⎯ ⎯→ C 2H5Br( g )

10.3 TEORIA VSEPR (VALENCE-SHELL


E
­ LECTRON‑PAIR REPULSION, REPULSIONE
TRA LE COPPIE DI ELETTRONI DEL GUSCIO
DI VALENZA) E FORMA MOLECOLARE
Quasi tutti i processi biochimici si incentrano in larga misura sulle forme delle
molecole interagenti. Ogni farmaco che assumiamo, ogni odore che annusiamo op-
pure ogni sapore che gustiamo dipende dall’adattamento fisico parziale o totale di
una molecola a un’altra. Questa importanza universale della forma molecolare nel
funzionamento di ogni organismo si estende all’ecosistema. I biologi conoscono in-
terazioni complesse che regolano i comportamenti, quali l’accoppiamento, la difesa,
la navigazione e l’alimentazione, che dipendono dal riconoscimento della forma di
una molecola da parte di un’altra molecola. In questo paragrafo, esamineremo un
modello per comprendere e prevedere la forma molecolare.
La struttura di Lewis di una molecola somiglia al piano costruttivo di un edificio:
un disegno bidimensionale che mostra la posizione relativa delle parti (nuclei più
elettroni interni), le connessioni strutturali (gruppi di elettroni di valenza di legame)
e i vari annessi (coppie solitarie di elettroni di valenza di non legame). Per costruire
la forma molecolare partendo dalla struttura di Lewis, i chimici impiegano la teo-
ria VSEPR (valence-shell electron-pair repulsion, repulsione tra coppie di elettroni del
guscio di valenza). Il suo principio fondamentale è che ciascun gruppo di elettroni di
valenza attorno a un atomo centrale è situato il più lontano possibile dagli altri gruppi per
minimizzare le repulsioni. Definiamo come “gruppo” di elettroni qualsiasi numero di
elettroni che occupano una regione localizzata attorno all’atomo. Perciò, un gruppo
di elettroni può essere costituito da un legame singolo, un legame doppio, un legame
triplo, una coppia solitaria, o persino un elettrone solitario.* Ciascuno di questi gruppi
Figura 10.4 Un’analogia con di elettroni di valenza respinge gli altri gruppi per massimizzare gli angoli tra di essi.
palloncini per la mutua repul-
sione di gruppi di elettroni.
È la disposizione tridimensionale dei nuclei connessi da questi gruppi che dà origine
I palloncini connessi si separano alla forma molecolare.
in modo che ciascuno possa
occupare più spazio possibile. Disposizioni dei gruppi di elettroni e forme molecolari
Connettendo due, tre, quattro,
cinque o sei palloncini si origi­ Quando due, tre, quattro, cinque o sei oggetti connessi a un punto centrale mas-
nano cinque disposizioni geo­ simizzano lo spazio che ciascuno è capace di occupare attorno a quel punto, ne
metriche. I gruppi di elettroni si conseguono cinque geometrie. Nella Figura 10.4 queste geometrie sono rappresen-
respingono mutuamente e si di­s­
po­­n­go­­no in modo simile attorno
a un atomo centrale, come viene
mostrato nella Figura 10.5. (Foto: * Le due coppie di elettroni in un legame doppio (o le tre coppie in un legame triplo) occupano orbitali
© McGraw-Hill Higher Education/ separati, quindi rimangono l’una vicina all’altra e agiscono come un unico gruppo di elettroni (vedi
Stephen Frisch photographer). capitolo seguente).

10txt.indd 304 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 305

tate con palloncini. Se gli oggetti sono i gruppi di elettroni di valenza di un atomo Figura 10.5 Repulsioni tra
centrale, le loro repulsioni massimizzano lo spazio occupato da ciascuno e danno grup­­pi di elettroni e le cinque
origine alle cinque disposizioni dei gruppi di elettroni di energia minima che si osser- forme molecolari fondamentali.
Quando un dato numero di
vano nella grande maggioranza delle molecole e degli ioni poliatomici. gruppi di elettroni connessi
La disposizione dei gruppi di elettroni è definita dai gruppi di elettroni di a un atomo centrale (rosso)
valenza, sia di legame sia di non legame, attorno all’atomo centrale. D’altra parte, la si respingono mutuamente,
forma molecolare è definita dalle posizioni relative dei nuclei atomici. La Figu- essi massimizzano l’angolo di
ra 10.5 mostra le forme molecolari che si originano quando tutti i gruppi di elettro- separazione e si orientano il più
lontano possibile nello spazio. Se
ni attorno all’atomo centrale sono gruppi di legame (si noti la corrispondenza con ciascun gruppo di elettroni è un
le cinque disposizioni di palloncini nella Figura 10.4). Quando alcuni sono gruppi gruppo di legame con un atomo
di non legame, si originano differenti forme molecolari. Perciò, la stessa disposizione dei circostante (grigio chiaro), si
gruppi di elettroni può dare origine a differenti forme molecolari: alcune con gruppi osservano le forme molecolari
tutti di legame (come nella Figura 10.5) e altre con gruppi di legame e gruppi di e gli angoli di legame mostra­
ti qui, e il nome della forma
non legame. Per classificare le forme molecolari, assegniamo ciascuna a una speci- molecolare è uguale a quello
fica designazione AXmEn, dove m e n sono numeri interi, A è l’atomo centrale, X è della disposizione dei gruppi di
un atomo circostante ed E è un gruppo di elettroni di valenza di non legame (di elettroni. Quando uno o più dei
solito una coppia solitaria). gruppi di elettroni è una coppia
L’angolo di legame è l’angolo formato dai nuclei di due atomi circostanti solitaria, si osservano altre forme
molecolari, come si vedrà nelle
con il nucleo dell’atomo centrale posto nel vertice. Gli angoli indicati per le forme figure seguenti.
nella Figura 10.5 sono angoli di legame ideali, quelli previsti con la sola geometria
semplice. Sono quelli che si osservano quando tutti i gruppi di elettroni di legame
attorno a un atomo centrale sono identici e sono connessi ad atomi dello stesso
elemento. Quando non è così, gli angoli di legame deviano dagli angoli ideali,
come vedremo tra poco.
È importante rendersi conto che usiamo il modello VSEPR per spiegare le forme
molecolari osservate mediante vari tipi di spettroscopia. In quasi tutti i casi, le previ-
sioni ottenute mediante la teoria VSEPR sono in accordo con le osservazioni effettive.

La forma molecolare con due gruppi di elettroni


(disposizione lineare)
Quando due gruppi di elettroni connessi a un atomo centrale sono orientati il più
lontano possibile, sono rivolti in direzioni opposte. La disposizione (geometria)
lineare dei gruppi di elettroni dà origine a una forma molecolare lineare e a
un angolo di legame di 180°. La Figura 10.6 mostra la disposizione generale (in
alto), la forma (in centro) con la classe di forma VSEPR (AX2) e le formule di alcune
molecole lineari.
Il cloruro di berillio (BeCl2) gassoso è una molecola lineare (AX2). I composti
gassosi del Be sono elettrondeficienti, con soltanto due coppie di elettroni attorno
all’atomo di Be centrale:
Figura 10.6 La singola forma
     molecolare della disposizione
Nel diossido di carbonio, l’atomo di C centrale forma due legami doppi con gli lineare dei gruppi di elettroni.
atomi di O: La legenda (in basso) per A,
X ed E si riferisce anche alle
Figure 10.7, 10.8, 10.10, 10.11 e
     10.12.

10txt.indd 305 16/05/19 22:20


306 Capitolo 10

Ogni legame doppio agisce come un gruppo di elettroni separato ed è orientato a


180° rispetto all’altro, cosicché CO2 è lineare. Si noti che le coppie solitarie sugli
atomi di O di CO2 o sugli atomi di Cl di BeCl2 non intervengono nella forma mole-
colare: soltanto i gruppi di elettroni attorno all’atomo centrale influenzano la forma.

Forme molecolari con tre gruppi di elettroni


(disposizione planare trigonale)
Tre gruppi di elettroni attorno all’atomo centrale si respingono mutuamente ai
vertici di un triangolo equilatero, dando origine alla disposizione (geometria)
planare trigonale, illustrata nella Figura 10.7, e a un angolo di legame ideale di
120°. Questa di­sposizione ha due possibili forme molecolari, una con tre atomi
circostanti e l’altra con due atomi e una coppia solitaria. Si ha la prima opportunità
di vedere gli effetti dei legami doppi e delle coppie solitarie sugli angoli di legame.
Quando i tre gruppi di elettroni sono gruppi di legame, la forma molecolare è
planare trigonale (AX3). Ne è un esempio il trifluoruro di boro (BF3), un’altra molecola
elettrondeficiente. Ha sei elettroni attorno all’atomo di B centrale in tre legami singo-
li con gli atomi di F. I nuclei giacciono in un piano, e ciascun angolo F B F è 120°:

   
Lo ione nitrato (NO3−) è uno di parecchi ioni poliatomici con la forma planare trigo-
nale. Una delle tre forme di risonanza dello ione nitrato (vedi Problema di verifica
10.4) è mostrata qui sotto. L’ibrido di risonanza ha tre legami identici di ordine di
Figura 10.7 Le due forme
molecolari della disposizione legame 43, cosicché si osserva l’angolo di legame ideale:
planare trigonale dei gruppi di
elettroni.

    
Effetto dei legami doppi In che modo gli angoli di legame si discostano dagli
angoli ideali quando gli atomi circostanti e i gruppi di elettroni non sono identici?
Consideriamo la formaldeide (CH2O), una sostanza con molti impieghi, compren-
denti la fabbricazione del laminato plastico formica (usato come rivestimento nei
mobili da cucina), la produzione di metanolo e la conservazione dei cadaveri. La sua
forma planare trigonale è dovuta a due tipi di atomi circostanti (O e H) e a due tipi
di gruppi di elettroni (legami singoli e legame doppio):

    
Gli angoli di legame effettivi si discostano da quelli ideali perché il legame doppio,
con la sua maggiore densità elettronica, respinge i due legami singoli più fortemente ri-
spetto a quanto essi si respingano mutuamente.
Effetto delle coppie solitarie La forma molecolare è definita soltanto dalla po-
sizione dei nuclei; perciò, quando uno dei tre gruppi di elettroni è una coppia
solitaria (AX2E), la forma è piegata o angolare (a V), non planare trigonale. Ne è
un esempio il cloruro di stagno(II) gassoso, con i tre gruppi di elettroni in un piano
trigonale e la coppia solitaria in uno dei vertici del triangolo. Una coppia solitaria
può avere un importante effetto sull’angolo di legame. Poiché una coppia solitaria è
attratta da un solo nucleo, è meno confinata ed esercita repulsioni più forti di quel-
le esercitate da una coppia di legame. Perciò, una coppia solitaria respinge le coppie

10txt.indd 306 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 307

di legame più fortemente rispetto a quanto le coppie di legame si respingano mutuamente.


Questa repulsione più forte diminuisce l’angolo tra le coppie di legame. Si noti la
diminuzione rispetto all’angolo ideale di 120° in SnCl2:

Forme molecolari con quattro gruppi di elettroni


(disposizione tetraedrica)
Le forme molecolari descritte finora hanno potuto essere rappresentate facilmente
in due dimensioni, ma quattro gruppi di elettroni devono usare tre dimensioni per
ottenere la separazione massima. Questo è un momento appropriato per ricordare che
le strutture di Lewis non rappresentano la forma molecolare. Consideriamo la forma del
metano. La struttura di Lewis (mostrata sotto) indica quattro legami orientati verso
i vertici di un quadrato, il che suggerisce un angolo di legame di 90°. Però, in tre di-
mensioni, i quattro gruppi di elettroni possono separarsi più di 90° e orientarsi verso i
vertici di un tetraedro, un poliedro con quattro facce costituite da triangoli equilateri
identici. Il metano ha un angolo di legame di 109,5°. Le rappresentazioni prospetti-
che, come quelle seguenti per il metano, indicano la profondità usando cunei (o cunei
e linee tratteggiate) per alcuni dei legami:

Le linee ordinarie rappresentano gruppi di elettroni condivisi nel piano del foglio,
un cuneo con la punta rivolta verso l’atomo centrale rappresenta il legame tra
quest’ultimo e un gruppo situato sopra il piano del foglio, verso chi guarda, e l’altro
cuneo con punta invertita (oppure una linea tratteggiata) rappresenta il legame tra
l’atomo centrale e un gruppo situato sotto il piano del foglio, dalla parte opposta a
chi guarda. Il modello ball-and-stick mostra chiaramente la forma tetraedrica.
Tutte le molecole o tutti gli ioni con quattro gruppi di elettroni attorno a un atomo Figura 10.8 Le tre forme
centrale adottano la disposizione (geometria) tetraedrica (Figura 10.8). Quando molecolari della disposizione
tutti e quattro i gruppi di elettroni sono gruppi di legame, come nel caso del me- tetraedrica dei gruppi di elet-
troni.
tano, anche la forma molecolare è tetraedrica (AX4), una geometria molto comu-
ne nelle molecole organiche. Nel Problema di verifica 10.1, abbiamo disegnato la
struttura di Lewis per la molecola tetraedrica diclorodifluorometano (CCl2F2), senza
prendere in considerazione come gli atomi degli alogeni circondano l’atomo di C.
Poiché le strutture di Lewis sono bidimensionali, sembra che si possano scrivere
due differenti strutture per CCl2F2, ma queste rappresentano in realtà la stessa mo-
lecola, come è chiarito dalla Figura 10.9.

Figura 10.9 Strutture di


Lewis e forme molecolari. Le
strutture di Lewis non indicano
la geometria molecolare. Per
esempio, può sembrare che per
CCl2F2 si possano scrivere due
differenti strutture di Lewis, ma
una rotazione del modello (Cl,
verde; F, giallo) mostra che esse
rappresentano la stessa moleco­
la. (Foto: © McGraw-Hill Higher
Education/Stephen Frisch photo­
grapher).

10txt.indd 307 16/05/19 22:20


308 Capitolo 10

Quando uno dei quattro gruppi di elettroni nella disposizione tetraedrica è una
coppia solitaria, la forma molecolare è quella di una piramide trigonale (AX3E),
un tetraedro “privo di un vertice”. Come ci si attende in base alle più forti repulsio-
ni dovute alla coppia solitaria, l’angolo di legame misurato è lievemente minore
dell’angolo ideale, pari a 109,5°. Per esempio, nell’ammoniaca (NH3), la coppia soli-
taria ravvicina le coppie di legame N H, e l’angolo di legame H N H è 107,3°.
La rappresentazione delle forme molecolari è un metodo efficace per visualiz-
zare ciò che avviene durante una reazione. Per esempio, quando l’ammoniaca rea-
gisce con il protone di un acido, la coppia solitaria sull’atomo di N della NH3 pira-
midale trigonale forma un legame covalente con H+ formando lo ione ammonio
(NH4+), uno dei molti ioni poliatomici tetraedrici. Si noti come l’angolo di legame
H N H si espande da 107,3° in NH3 a 109,5 in NH4+, quando la coppia solitaria
diventa un’altra coppia di legame:

Quando i quattro gruppi di elettroni attorno all’atomo centrale comprendono due


gruppi di legame e due gruppi di non legame, la forma molecolare è piegata o ango-
lare (a V) (AX2E2). [Nella disposizione planare trigonale, anche la forma con due
gruppi di legame e una coppia solitaria è detta piegata (AX2E), ma il suo angolo di
legame ideale è 120°, non 109,5°]. L’acqua è la più importante molecola piegata o
angolare con la disposizione tetraedrica. Ci si potrebbe attendere che le repulsioni
dovute alle sue due coppie solitarie abbiano sull’angolo di legame un effetto maggio-
re di quello delle repulsioni dovute alla singola coppia solitaria in NH3. In effetti,
l’angolo di legame H O H è ridotto a 104,5°:

Perciò, nel caso di molecole simili con una data disposizione dei gruppi di elettro-
ni, le repulsioni delle coppie di elettroni causano deviazioni dagli angoli di legame
ideali nell’ordine seguente:
coppia solitaria-coppia solitaria > coppia solitaria-coppia di legame >
(10.3)
> coppia di legame-coppia di legame

Forme molecolari con cinque gruppi di elettroni


(disposizione bipiramidale trigonale)
Tutte le molecole con cinque o sei gruppi di elettroni hanno un atomo centrale del
Periodo 3 o di un periodo superiore perché soltanto questi atomi hanno gli orbitali
d disponibili per espandere il guscio di valenza oltre otto elettroni.
Figura 10.10 Le quattro Quando cinque gruppi di elettroni massimizzano la loro separazione, essi for-
forme molecolari della dispo- mano la disposizione (geometria) bipiramidale trigonale. In una bipiramide
sizione bipiramidale trigonale
trigonale, due piramidi trigonali hanno una base in comune, come mostrato nella
dei gruppi di elettroni.
Figura 10.10. Si noti che, in una molecola con questa geometria, vi sono due tipi di
posizioni per i gruppi di elettroni circostanti e due angoli di legame ideali. Tre gruppi
equatoriali giacciono in un piano trigonale che comprende l’atomo centrale e dei
due gruppi assiali uno giace al di sopra e l’altro al di sotto di questo piano. Perciò,

10txt.indd 308 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 309

un angolo di legame di 120° separa i gruppi equatoriali e un angolo di 90° separa


i gruppi assiali dai gruppi equatoriali. In generale, maggiore è l’angolo di legame,
più deboli sono le repulsioni; quindi, le repulsioni equatoriale-equatoriale (120°) sono
più deboli delle repulsioni assiale-equatoriale (90°). La tendenza dei gruppi di elettroni
a occupare posizioni equatoriali e a minimizzare così le repulsioni a 90° più forti
governa le quattro forme della disposizione bipiramidale trigonale.
Con tutte e cinque le posizioni occupate da atomi legati, la molecola ha la
forma bipiramidale trigonale (AX5), come nel pentacloruro di fosforo (PCl5):

Si originano altre tre forme per le molecole con coppie solitarie. Poiché le coppie
solitarie esercitano repulsioni più forti di quelle esercitate dalle coppie di legame,
si trova che le coppie solitarie occupano posizioni equatoriali. Con una sola coppia
solitaria presente in una posizione equatoriale, la molecola ha una forma ad al-
talena (AX4E). Il tetrafluoruro di zolfo (SF4), un potente agente fluorurante, ha
questa forma, mostrata di seguito e nella Figura 10.10 con l’“altalena” capovolta su
un’estremità. Si noti come la coppia solitaria equatoriale respinge tutte e quattro le
coppie di legame riducendo gli angoli di legame:

La tendenza delle coppie solitarie a occupare posizioni equatoriali fa sì che le mo-


lecole con tre gruppi di legame e due coppie solitarie abbiano una forma a T
(AX3E2). Questa forma è presente nel trifluoruro di bromo (BrF3), uno dei molti
composti con il fluoro legato a un alogeno più grande. Si noti la prevista diminuzio-
ne rispetto all’angolo di legame F Br F ideale di 90°:

Le molecole con tre coppie solitarie in posizioni equatoriali devono avere i due
gruppi di legame in posizioni assiali, il che conferisce alla molecola una forma linea­
re (AX2E3) e un angolo di legame assiale-centrale-assiale (X A X) di 180°. Per
esempio, lo ione triioduro (I3−), che si forma quando I2 si scioglie in una soluzione
acquosa di I−, è lineare:

10txt.indd 309 16/05/19 22:20


310 Capitolo 10

Forme molecolari con sei gruppi di elettroni


(disposizione ottaedrica)
L’ultima delle cinque principali disposizioni dei gruppi di elettroni è la disposizio-
ne (geometria) ottaedrica. Un ottaedro è un poliedro con otto facce formate da
triangoli equilateri identici e sei vertici identici, come illustrato nella Figura 10.11.
In una molecola (o in uno ione) con questa disposizione, sei gruppi di elettroni
circondano l’atomo centrale e ciascuno è orientato verso uno dei sei vertici, il che
conferisce a tutti i gruppi un angolo di legame ideale di 90°. Esistono tre forme
molecolari importanti con questa geometria.
Con sei gruppi di legame, la forma molecolare è ottaedrica (AX6). Quando SF4,
con forma ad altalena, reagisce con F2, l’atomo centrale di S espande ulteriormente
il suo guscio di valenza per formare esafluoruro di zolfo ottaedrico (SF6):

Poiché esiste un solo angolo di legame ideale, non ha importanza quale posizione
sia occupata da una coppia solitaria. Cinque atomi legati e una coppia solitaria de-
finiscono la forma piramidale quadrata (AX5E), come di seguito mostrato per il
pentafluoruro di iodio (IF5):

Però, quando una molecola ha due coppie solitarie, esse giacciono sempre in vertici
opposti per evitare le più forti repulsioni coppia solitaria-coppia solitaria a 90°. Que-
sta disposizione dà la forma planare quadrata (AX4E2), come nel tetrafluoruro
di xenon (XeF4):

Figura 10.11 Le tre forme


La Figura 10.12 riassume le forme molecolari per molecole contenenti da due a sei
molecolari della disposizione gruppi di elettroni.
ottaedrica dei gruppi
di elettroni.
Impiego della teoria VSEPR per determinare la forma molecolare
TEORIA VSEPR E FORME Applichiamo un metodo per tappe per impiegare la teoria VSEPR per determinare
DELLE MOLECOLE una forma molecolare partendo da una formula molecolare.
Tappa 1. Scrivere la struttura di Lewis partendo dalla formula molecolare per vedere
VSEPR la posizione relativa degli atomi e il numero di gruppi di elettroni (Figura 10.1).
Tappa 2. Assegnare una disposizione dei gruppi di elettroni contando tutti i gruppi di
elettroni attorno all’atomo centrale, di legame più di non legame.
Tappa 3. Prevedere l’angolo di legame ideale in base alla disposizione dei gruppi di elet-
troni e la direzione di ogni deviazione causata da coppie solitarie o legami doppi.
Tappa 4. Disegnare e denominare la forma molecolare contando separatamente i grup-
pi di legame e i gruppi di non legame.
La Figura 10.13 riassume queste tappe e i due problemi seguenti le applicano.

10txt.indd 310 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 311

Figura 10.12 Un riassunto delle forme molecolari per molecole contenenti da due a sei gruppi di elettroni.

Figura 10.13 Le tappe nella determinazione di una forma molecolare. Sono necessarie quattro tappe per convertire una for­
mula molecolare in una forma molecolare. Per la prima tappa, cioè la scrittura della formula di Lewis, vedi Figura 10.1.

10txt.indd 311 16/05/19 22:20


312 Capitolo 10

Previsione delle forme molecolari con due, tre o quattro gruppi


di elettroni
PROBLEMA DI VERIFICA 10.7
Problema Si disegni la forma molecolare e si prevedano gli angoli di legame (rispetto agli
angoli ideali) di (a) PF3 e (b) COCl2.
Risoluzione (a) Per PF3.
Tappa 1. Scrivere la struttura di Lewis in base alla formula (vedi sotto a sinistra).
Tappa 2. Assegnare la disposizione dei gruppi di elettroni: tre gruppi di legame più una
coppia solitaria danno quattro gruppi di elettroni attorno a P e la disposizione tetraedrica.
Tappa 3. Prevedere l’angolo di legame: per la disposizione tetraedrica dei gruppi di elettro-
ni, l’angolo ideale è 109,5° . È presente una sola coppia solitaria e quindi l’angolo di legame
effettivo dovrebbe essere minore di 109,5° .
Tappa 4. Disegnare e denominare la forma molecolare: con quattro gruppi di elettroni, uno
dei quali è una coppia solitaria, PF3 ha una forma piramidale trigonale (AX3E):

(b) Per COCl2.


Tappa 1. Scrivere la struttura di Lewis in base alla formula (vedi in basso a sinistra).
Tappa 2. Assegnare la disposizione dei gruppi di elettroni: due legami singoli più un legame
doppio danno tre gruppi di elettroni attorno a C e la disposizione planare trigonale.
Tappa 3. Prevedere gli angoli di legame: l’angolo ideale è 120° ma il legame doppio tra C
e O dovrebbe comprimere l’angolo Cl C Cl a meno di 120° .
Tappa 4. Disegnare e denominare la forma molecolare: con tre gruppi di elettroni e senza
coppie solitarie, COCl2 ha una forma planare trigonale (AX3):

Verifica Confrontiamo le risposte con le informazioni generali contenute nelle Figure 10.7
e 10.8.
Commento Ci si deve accertare che la struttura di Lewis sia corretta perché essa determina
le altre tappe.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.7 Si disegni la forma e si prevedano


gli angoli di legame (rispetto agli angoli ideali) di (a) CS2; (b) PbCl2; (c) CBr4; (d) SF2.

Previsione delle forme molecolari con cinque o sei gruppi


di elettroni
PROBLEMA DI VERIFICA 10.8
Problema Si determini la forma molecolare e si prevedano gli angoli di legame (rispetto
agli angoli ideali) di (a) SbF5 e (b) BrF5.
Piano Procediamo come nel Problema di verifica 10.7, tenendo presente la necessità di
minimizzare le repulsioni a 90°.
Risoluzione (a) Per SbF5.
Tappa 1. Struttura di Lewis (vedi la formulazione nella pagina successiva a sinistra).
Tappa 2. Disposizione dei gruppi di elettroni: con cinque gruppi di elettroni, questa è la
disposizione bipiramidale trigonale.
Tappa 3. Angoli di legame: tutti i gruppi e gli atomi circostanti sono identici; quindi gli angoli
di legame sono ideali : 120° tra i gruppi equatoriali e 90° tra i gruppi assiali ed equatoriali.

10txt.indd 312 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 313

Tappa 4. Forma molecolare: cinque gruppi di elettroni e nessuna coppia solitaria danno la
forma bipiramidale trigonale (AX5):

(b) Per BrF5.


Tappa 1. Struttura di Lewis (vedi in basso a sinistra).
Tappa 2. Disposizione dei gruppi di elettroni: sei gruppi di elettroni danno la disposizione
ottaedrica.
Tappa 3. Angoli di legame: la coppia solitaria dovrebbe rendere tutti gli angoli di legame
minori dell’angolo ideale di 90° .
Tappa 4. Forma molecolare: con sei gruppi di elettroni e uno di essi costituito da una cop-
pia solitaria, BrF5 ha la forma piramidale quadrata (AX5E):

Verifica Confrontiamo le risposte con le Figure 10.10 e 10.11.


Commento Le forme lineare, tetraedrica, planare quadrata e ottaedrica si originano anche in
un importante gruppo di sostanze dette composti di coordinazione.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.8 Si disegnino le forme molecolari e


si prevedano gli angoli di legame (rispetto agli angoli ideali) di (a) ICl2−; (b) ClF3; (c) SOF4.

Forme molecolari con più di un atomo centrale


È noto che molte molecole, specialmente quelle presenti nei sistemi viventi, hanno
più di un atomo centrale. Le forme di queste molecole sono combinazioni delle
forme molecolari con un singolo atomo centrale. Consideriamo l’etano (C2H6), un
componente del gas naturale (Figura 10.14A). Con quattro gruppi di legame e nes-
suna coppia solitaria attorno a ciascuno dei due atomi di carbonio centrali, l’etano
ha la forma di due tetraedri parzialmente sovrapposti.
L’etanolo o alcol etilico (CH3CH2OH; formula molecolare C2H6O), la sostanza
inebriante presente nella birra e nel vino, ha tre atomi centrali (Figura 10.14B). Il
gruppo CH3 ha forma tetraedrica e il gruppo CH2 ha quattro gruppi di lega-
me attorno al suo atomo di C centrale; quindi ha anch’esso forma tetraedrica. L’ato-
mo di O ha attorno quattro gruppi di elettroni e due coppie solitarie, da cui la
forma angolare (AX2E2). Per queste molecole più complesse, determiniamo la forma Figura 10.14 I centri
molecolare attorno a un atomo centrale alla volta. ­tetraedrici dell’etano
e dell’etanolo. Quando una
molecola ha più di un atomo
centrale, la forma è una forma
composita di quelle attorno
a ciascun centro. A. La forma
dell’etano può essere conside­
rata come la sovrapposizione
parziale di due tetraedri.
B. La forma dell’etanolo può
essere considerata come la
sovrapposizione parziale di tre
di­sposizioni tetraedriche, con
la forma attorno all’atomo di
O piegata (angolare) per la
presenza delle sue due coppie
solitarie.

10txt.indd 313 16/05/19 22:20


314 Capitolo 10

Previsione delle forme molecolari con più di un atomo centrale


PROBLEMA DI VERIFICA 10.9
Problema Si determini la forma attorno a ciascuno degli atomi centrali nell’acetone,
(CH3)2C O.
Piano Sono presenti tre atomi centrali, tutti e tre di C, due dei quali nei gruppi CH3 .
Determiniamo la forma attorno a un atomo centrale per volta.
Risoluzione
Tappa 1. Struttura di Lewis (vedi sotto a sinistra).
Tappa 2. Disposizione dei gruppi di elettroni: ciascun gruppo CH3 ha quattro gruppi di
elettroni attorno al suo atomo di C centrale, quindi la sua disposizione dei gruppi di elet-
troni è tetraedrica. Il terzo atomo di C ha attorno a sé tre gruppi di elettroni, quindi ha la
disposizione planare trigonale.
Tappa 3. Angoli di legame: l’angolo H C H nei gruppi CH3 dovrebbe essere quasi
uguale all’angolo tetraedrico ideale di 109,5°. Il legame doppio C O dovrebbe comprime-
re l’angolo C C C a meno dell’angolo ideale di 120°.
Tappa 4. Forme attorno agli atomi centrali: con quattro gruppi di elettroni e senza coppie
solitarie, le forme attorno ai due atomi di C nei gruppi CH3 sono tetraedriche (AX4).
Con tre gruppi di elettroni e senza coppie solitarie, la forma attorno all’atomo di C intermedio
è planare trigonale (AX3):

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.9 Si determini la forma attorno a


ciascun atomo centrale e si prevedano le eventuali deviazioni dagli angoli di legame ideali
in quanto segue: (a) H2SO4; (b) propino (C3H4; è presente un legame C C); (c) S2F2.

Negli anni recenti, i chimici hanno sintetizzato alcune molecole organiche con forme
notevoli, meravigliose direbbe qualcuno. Eventuali loro impieghi sono ancora ipoteti-
ci, ma non ci sono dubbi sulla loro eleganza geometrica. Alcune di queste molecole
compaiono nella scheda Bellezza molecolare: forme strane con funzioni utili a fine capitolo.

10.4 FORMA MOLECOLARE E POLARITÀ


MOLECOLARE
La conoscenza della forma delle molecole di una sostanza è essenziale per compren-
derne il comportamento fisico e chimico. Uno degli effetti più importanti e di più
vasta portata della forma molecolare è la polarità molecolare, che può influenzare le
temperature di fusione e di ebollizione, la solubilità, la reattività chimica e persino
la funzione biologica.
Nel capitolo precedente abbiamo visto che un legame covalente è polare quando
unisce atomi di differenti elettronegatività perché gli atomi condividono gli elettroni
in modo ineguale. Nelle molecole biatomiche, come HF, in cui c’è soltanto un legame,
la polarità del legame fa sì che la molecola stessa sia polare. Le molecole con uno sbi-
lancio netto di carica hanno una polarità molecolare. Nelle molecole con più di due
atomi, sia la forma sia la polarità di legame determinano la polarità molecolare. In un cam-
po elettrico, le molecole polari si orientano, in media, con le loro cariche parziali rivolte
verso gli elettrodi carichi di segno opposto, come viene illustrato nella Figura 10.15
Figura 10.15 L’orientamento delle molecole polari in un campo elettrico. A. Un modello
space filling di HF (a sinistra) mostra le cariche parziali di questa molecola polare. Il model­
lo della densità elettronica (a destra) mostra un’alta densità elettronica (rosso) associata
al­l’estremità F e una bassa densità elettronica (blu) associata all’estremità H. B. In assenza
di un campo elettrico esterno, le molecole di HF hanno orientamenti casuali. C. In presenza
di un campo elettrico esterno, le molecole, in media, si orientano con le loro cariche parziali
rivolte verso gli elettrodi carichi di segno opposto.

10txt.indd 314 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 315

per HF. Il momento di dipolo elettrico (o, più semplicemente, il momento di


dipolo) (µ) è il prodotto di queste cariche parziali per la loro distanza reciproca.
Nel Sistema Internazionale (SI), in cui l’unità di misura della carica elettrica è il
coulomb (C) e l’unità di misura della lunghezza è il metro (m), l’unità di misura del
momento di dipolo elettrico è il coulomb per metro (C ⋅ m). L’unità di misura più
usata in chimica, è il debye (D); vale la relazione 1 D  3,34  ×  10−30 C ⋅ m. [Il debye
prende il nome da Peter J. W. Debye (1884-1966) che ricevette il premio Nobel
per la chimica nel 1936 per i suoi importanti contributi alla comprensione della
struttura molecolare e del comportamento delle soluzioni].

Polarità di legame, angolo di legame e momento di dipolo


Quando si determina la polarità molecolare, si deve tenere conto della forma perché
non sempre la presenza di legami polari dà origine a una molecola polare. Per esem-
pio, nel diossido di carbonio la grande differenza di elettronegatività tra C (χ = 2,5)
e O (χ = 3,5) rende piuttosto polare ciascun legame C O. Però, la molecola di
CO2 è lineare, e quindi i suoi legami sono orientati a 180° l’uno rispetto all’altro. Di
conseguenza, le due polarità di legame identiche si controbilanciano e conferiscono
alla molecola un momento di dipolo netto nullo (µ = 0 D). Si noti che il modello della
densità elettronica presenta regioni di alta carica negativa (in rosso) ugualmente
distribuita da ambo i lati della regione centrale di alta carica positiva (in blu):

Anche nella molecola d’acqua vi sono atomi identici legati all’atomo centrale, ma
essa ha un rilevante momento di dipolo (µ = 1,85 D). In ciascun legame O H, la
densità elettronica è attratta verso l’atomo di O, più elettronegativo. In questo caso,
le polarità di legame non si controbilanciano perché la molecola d’acqua è piegata
o angolare (vedi anche la Figura 4.2). Invece, le polarità di legame sono parzialmen-
te rinforzate, e l’estremità O della molecola è più negativa dell’altra estremità (la
regione tra gli atomi di H), la qual cosa è mostrata chiaramente dal modello della
densità elettronica:

(La polarità molecolare dell’acqua ha alcuni effetti sorprendenti, dalla determinazio-


ne della composizione degli oceani e dei mari alla sostentazione della vita stessa,
come vedremo nel Capitolo 12.)
INFLUENZA DELLA
Nei due esempi precedenti, la forma molecolare influenza la polarità. Quando FORMA
differenti molecole hanno la stessa forma, la natura degli atomi che circondano SULLA POLARITÀ

­l’atomo centrale può avere un importante effetto sulla polarità. Consideriamo il


tetracloruro di carbonio (CCl4) e il cloroformio (CHCl3), due molecole tetraedriche
con polarità molto diverse. In CCl4, gli atomi circostanti sono tutti atomi di C. An- POLARITÀ DELLE
MOLECOLE
che se ciascun legame C Cl è polare (Δχ = 0,5), la molecola è apolare (µ = 0 D)
perché le singole polarità di legame si controbilanciano. In CHCl3, un atomo di H
sostituisce un atomo di Cl, perturbando l’equilibrio e conferendo alla molecola di
cloroformio un rilevante momento di dipolo (µ = 1,01 D):

10txt.indd 315 16/05/19 22:20


316 Capitolo 10

Previsione della polarità delle molecole


PROBLEMA DI VERIFICA 10.10
Problema In base ai valori dell’elettronegatività (χ) e alle loro tendenze periodiche (vedi Figu­-
ra 9.16), si preveda se ciascuna delle seguenti molecole sia polare e si indichi l’orientamento
dei dipoli di legame e del dipolo molecolare complessivo quando applicabile.
(a) Ammoniaca, NH3 (b) Trifluoruro di boro, BF3
(c) Solfuro di carbonile, COS (sequenza degli atomi SCO)
Piano In primo luogo, disegniamo e denominiamo la forma molecolare. Poi, usando i valori
relativi dell’elettronegatività, decidiamo sull’orientamento di ciascun dipolo di legame.
Infine, vediamo se i dipoli di legame si bilanciano o si rafforzano nell’intera molecola.
Risoluzione (a) Per NH3. La forma molecolare è piramidale trigonale. Dalla Figura 9.16
vediamo che N (χ = 3,0) è più elettronegativo di H (χ = 2,1) e quindi i dipoli di legame
sono orientati verso N. I dipoli di legame si rinforzano parzialmente e quindi il dipolo mole-
colare è orientato verso N:

Perciò l’ammoniaca è polare .


(b) Per BF3. La forma molecolare è planare trigonale. F (χ = 4,0), essendo più lontano a
destra rispetto a B (χ = 2,0) nel Periodo 2, è più elettronegativo; perciò, ciascun dipolo di
legame è orientato verso F. Però, l’angolo di legame è 120° e quindi i tre dipoli di legame
si controbilanciano e BF3 non ha un dipolo molecolare:

Perciò, il trifluoruro di boro è apolare .


(c) Per COS. La forma molecolare è lineare. Con C e S aventi la stessa elettronegatività, il
legame C S è apolare, mentre il legame C O è piuttosto polare (Δχ = 1,0); quindi è
presente un dipolo molecolare netto orientato verso l’atomo di O:

Perciò, il solfuro di carbonile è polare .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 10.10 Si indichino i dipoli di legame


e il dipolo molecolare, ammesso che esistano, per i seguenti composti: (a) diclorometano
(CH2Cl2); (b) ossopentafluoruro di iodio (IOF5); (c) tribromuro di azoto (NBr3).

L’effetto della polarità molecolare sul comportamento fisico


Per farci un’idea dell’influenza della polarità molecolare sul comportamento fisico,
consideriamo quale effetto un dipolo molecolare potrebbe avere quando molte mo-
lecole polari sono situate l’una vicina all’altra, come in un liquido. In che modo una
proprietà molecolare quale il momento di dipolo elettrico influenza una proprietà
macroscopica quale la temperatura di ebollizione? Un liquido bolle quando le sue
molecole hanno energia sufficiente per formare bolle di gas. Per entrare nella bolla,
le molecole del liquido devono vincere le forze intermolecolari attrattive deboli. Un
dipolo molecolare influenza l’intensità di queste attrazioni.

10txt.indd 316 16/05/19 22:20


Le forme delle molecole 317

Consideriamo i due dicloroetileni rappresentati a lato. Questi composti hanno la


stessa formula molecolare (C2H2Cl2) e quindi hanno la stessa massa molare, ma
hanno differenti proprietà fisiche e chimiche. In particolare, il cis-1,2-dicloroetilene
ha una temperatura di ebollizione di 13 °C superiore a quella del trans-1,2-diclo-
roetilene. La teoria VSEPR prevede, e l’analisi spettroscopica conferma, che tutti i
nuclei giacciano nello stesso piano, con una forma planare trigonale attorno a cia-
scun atomo di C. Il composto trans è privo di momento di dipolo (µ = 0 D) per-
ché le polarità dei legami C Cl si bilanciano. Per contro, il composto cis è pola­-
re (µ = 1,90 D) perché i dipoli di legame si rinforzano, con il dipolo molecola-
re orientato tra gli atomi di Cl. Nello stato liquido, le molecole cis polari si attrag-
gono più fortemente di quanto si attraggano le molecole trans apolari, e quindi è
necessa­ria più energia per vincere queste forze più intense. Perciò, il composto
cis ha una temperatura di ebollizione più elevata. Questi concetti verranno estesi
nel Capitolo 12.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


10.1 (a) (b) (c) (c) (d)

10.2 (a) (b)


tetraedrica, 109,5° angolare, <109,5°
10.8 (a) (b)
10.3 (a) (b) (c)
10.4

lineare, 180° a T, <90°


(c) bipiramidale trigonale
10.5 (a) (b) (c) angolo Feq S Feq <120° e
angolo Fass S Feq <90°.

10.9 (a) S è tetraedrico; i legami doppi


10.6 (a) comprimono l’angolo O S O a
<109,5°. Ogni O centrale è an-
golare; le coppie solitarie com-
primono l’angolo H O S a
ΔH 0rottura dei legami =1N N+3H H <109,5°.
= 945 kJ + 1296 kJ = 2241 kJ
ΔH 0formazione dei legami = 6 N H = −2346 kJ
ΔH 0r = −105 kJ (b) (c)
(b)

ΔH 0rottura dei legami = 1 C C + 4 C H + 1 H Br L’atomo di C metilico è tetraedrico, Ogni atomo di S è ango-


= 614 kJ + 1652 kJ + 363 kJ = 2629 kJ 109,5°; gli altri atomi lare; angolo F S S
ΔH 0formazione dei legami = 1 C C + 5 C H + 1 C Br di C sono lineari, 180° <109,5°.
= −(347 kJ + 2065 kJ + 276 kJ) = −2688 kJ 10.10
ΔH0r = −59 kJ (a) (b) (c)
10.7 (a)
(b)
lineare, 180° angolare, <120°

10txt.indd 317 16/05/19 22:20


Scheda di approfondimento
Bellezza molecolare: forme strane con funzioni utili

I chimici vedono una strana bellezza nella complicata geometria dei più piccoli oggetti
esistenti in natura. La semplicità degli atomi sferici scompare quando essi si combinano per
formare pentagoni, eliche e innumerevoli altre forme. Inoltre, molte molecole oltre a essere
“belle” hanno impieghi pratici meravigliosi.

Fullereni Il buckminsterfullerene [informalmente bucky ball, in omag- Nanotubi Questi


gio all’architetto R. Buckminster Fuller, che aveva progettato strutture più giovani cugini
di forma simile (cupole geodetiche a moduli pentagonali o esagonali)] dei fullereni sono
è un icosaedro tronco di atomi di C, un “pallone da calcio” molecolare costituiti da cilindri
con 60 vertici e 32 facce (12 pentagoni e 20 esagoni). Questa struttura estremamente sottili
C60, scoperta nella fuliggine nel 1985 e lunghi, simili alla
e preparata in grande quantità nel grafite, con estremità
1990, rappresenta una terza di fullerene. Sono
forma di carbonio cristallino (le spesso “annidati”
altre due sono la grafite e il l’uno dentro l’altro
diamante). È il progenitore (come nella fotogra-
di una nuova famiglia di fia). No­nostante il
strutture dette fullereni e ha loro spessore sia di
generato un nuovo campo qualche nanometro,
di sintesi. Inserendo atomi, queste strutture
come il potassio, all’inter- hanno un’alta conduttività lungo la dimensione
no del “pallone” e legando maggiore e sono circa 40 volte più resistenti
innumerevoli tipi di gruppi dell’acciaio! Abbondano progetti avveniristici di
chimici all’esterno, i ricerca- componenti elettronici su nanoscala fatti con
tori hanno scoperto una nuova nanotubi o di fili dello spessore di un atomo
gamma di possibili applicazioni, formati inserendo atomi metallici al loro interno.
comprendenti lubrificanti, supercondut- (Foto: © ustas7777/Shutterstock).
tori, combustibili per razzi, laser, batterie elettriche, film magnetici,
farmaci antineoplastici e anti-AIDS: l’elenco si allunga ogni giorno!
(Foto: © molekuu_be/Shutterstock).

Dendrimeri I dendrimeri, il cui nome deriva dalla similarità


strutturale con la ramificazione degli alberi (déndron in greco), si
formano quando una molecola con parecchi gruppi leganti reagisce
con se stessa. Hanno eccellenti proprietà di superficie e vengono
studiati per applicazioni quali film, fibre e leganti per pitture. (L’il-
lustrazione mostra un terzo dello schema circolare. © GiroScience/
Shutterstock).
Cubani Per piegare l’angolo tetraedrico normale del
carbonio a 90°, si deve fornire energia, che viene im-
magazzinata nel legame. Per esempio, il ciclobutano,
un anello quadrato di atomi di C con due atomi di H
in ciascun vertice, è instabile a temperature superiori
a 500 K. Una grande quantità di energia viene imma-
gazzinata nei legami del cubano, un cubo di atomi
di C con un atomo di H in ciascun vertice, sintetiz-
zato nel 1964. L’energia di tensione dei legami del
cubano può generare un’enorme potenza esplosiva.
Il tetranitrocubano è un esplosivo molto potente, e
l’octanitrocubano, che è stato sintetizzato nel 2000, è
considerato il più potente esplosivo non nucleare che
si conosca. Altre proprietà dei cubani, che, a quanto
pare, non sono correlate con l’energia di legame, com-
prendono la capacità di attaccare le cellule tumorali e
di inattivare gli enzimi coinvolti nel morbo di Parkin-
son. (Foto: © 3divan/Shutterstock).

10txt.indd 318 16/05/19 22:21


La chimica nelle altre scienze
Chimica nelle scienze biologiche

Fisiologia dei sensori: forme molecolari,


recettori biologici e olfatto
Una cellula può essere immaginata come un sacco costitui­ putrido – si adatta a un sito del recettore con una specifica
to da una membrana e riempito con un fluido acquoso in forma. La Figura S10.1 mostra le geometrie di tre possibili
cui sono contenute numerose molecole di diversa forma. siti di un recettore.
Molti complessi processi biologici hanno luogo quando Alcune delle previsioni della teoria si sono dimostrate
una “chiave” molecolare si inserisce nella corretta “serra- corrette.
tura” molecolare. La tipica “chiave” è una piccola molecola • Se diverse sostanze combaciano con uno stesso recettore,
contenuta nella cellula o nei fluidi biologici, e la “serratura”, allora esse hanno lo stesso odore. Le quattro molecole in
il recettore biologico, è una molecola di grandi dimensioni Figura S10.2 si adattano al recettore per la canfora e han-
spesso legata a una membrana. Il sito del recettore è una no l’odore di un repellente per insetti.
piccola regione del recettore e ha una forma che si adat- • Se diverse parti di una molecola combaciano con diversi
ta perfettamente alla “chiave” molecolare. In ogni secondo, recettori, la molecola ha un odore misto. Parti della mo-
migliaia di molecole collidono con il sito del recettore ma lecola di benzaldeide combaciano con i recettori degli
solo quando il contatto avviene con la molecola che pre- odori di canfora, menta e fiori e complessivamente si ha
senta la corretta forma si ha l’inizio della risposta biologica. odore di mandorle. Altre molecole con lo stesso odore
combaciano con gli stessi tre recettori.
Forma molecolare e olfatto
Altre previsioni, però, non sono state confermate. Per esem-
Perché il senso dell’olfatto possa manifestarsi è cruciale che pio, un odore previsto sulla base di una forma molecolare,
le forme molecolari coincidano perfettamente. Perché una non sempre è l’odore effettivamente percepito. Una possi-
molecola abbia un odore è necessario che sia un gas o un bile spiegazione è che la forma molecolare può cambiare
liquido o un solido volatile e che abbia almeno una piccola nel passaggio dalla fase gassosa a quella di soluzione.
solubilità nello strato acquoso presente nei canali nasali. La Evidenze sperimentali acquisite negli ultimi decenni
molecola odorosa, o una sua porzione, deve combaciare con suggeriscono che il modello originale è troppo semplice.
uno dei siti del recettore generando uno stimolo elettrico Nel 2004 il premio Nobel per la medicina o fisiologia è
che viene trasmesso al sistema nervoso, giungendo infine al stato attribuito a Richard Axel e Linda B. Buck che hanno
cervello che lo decodifica come uno specifico odore. dimostrato come l’olfatto coinvolge circa 1000 diversi re-
Più di un secolo fa, è stata proposta una teoria secondo cettori e che molecole che si adattano a varie combinazioni
la quale l’odore è determinato dalla forma (e talvolta dalla di questi producono più di 10 000 odori distinguibili dagli
polarità) molecolare ma non dalla composizione. Secondo esseri umani.
la teoria, ogni molecola che produce uno dei sette odori Nonostante il processo sia molto più complesso di
primari – canfora, muschio, fiori, menta, etereo, pungente, quanto originariamente pensato, la validità dell’idea di base

fiori canfora etereo

Figura S10.1 Forme di alcuni siti di recettori olfattivi.

Etilammide del dicloruro


Canfora Esacloroetano dell’acido tiofosforico Cicloottano

Figura S10.2 Diverse molecole con lo stesso odore.

10txt.indd 319 16/05/19 22:21


che l’odore dipende dalla forma molecolare è confermata e primi passaggi nel metabolismo è la formazione del lega-
la ricerca in questo campo è intensamente perseguita dalle me tra il glucosio e il sito attivo dell’enzima esochinasi
industrie agroalimentari, cosmetiche e di produzione di in- (Figura S10.3).
setticidi. • Gli impulsi nervosi vengono trasmessi quando piccole
molecole rilasciate da un nervo si legano al recettore del
Significato biologico della forma molecolare nervo successivo. La forma molecolare degli psicofarmaci
permette il legame con il sito del recettore ed essi agisco-
Innumerevoli altri esempi dimostrano che nessuna proprietà no chimicamente imitando il processo naturale.
chimica è cruciale per gli organismi viventi quanto la forma • Un tipo di risposta immunitaria viene innescata quando
molecolare. Di seguito si illustrano solo alcuni dei numerosi una molecola su una superficie di un batterio si lega ai
esempi in cui un processo biochimico è controllato dalla recettori dei linfociti.
corrispondenza delle forme di una molecola e del sito di • Gli ormoni regolano i processi attivando specifici recetto-
un recettore. ri in organi e tessuti target.
• Gli enzimi sono proteine che si legano ai reagenti di un • La funzione dei geni è attivata quando alcuni acidi nu-
processo biochimico e ne accelerano le reazioni. Uno dei cleici si legano a specifiche regioni di altri.

A B

Figura S10.3 Forma molecolare e azione enzimatica. A. Una piccola molecola di zucchero (in basso) è vicina a una specifica
regione della molecola di un enzima. B. Quando la molecola di zucchero si inserisce nel sito, la reazione inizia.

10txt.indd 320 16/05/19 22:21


Teorie del legame covalente 11
Tutti i modelli scientifici hanno limitazioni perché sono semplificazioni della realtà. DA SAPERE PRIMA
Il modello VSEPR spiega le forme molecolari ipotizzando che i gruppi di elettroni
• forme degli orbitali atomici (Para-
tendano a minimizzare le loro repulsioni e che, di conseguenza, occupino più spazio grafo 7.4)
possibi­le attorno a un atomo centrale. Ma non dice come le forme che si osservano • principio di esclusione (Paragra-
spe­­ri­men­talmente possano essere spiegate sulla base delle interazioni degli orbitali fo 8.2)
• regola di Hund (Paragrafo 8.3)
atomici. Dopo tutto, nessuno degli orbitali che abbiamo esaminato nel Capitolo 7 • scrittura delle strutture di Lewis
è orientato verso i vertici di un tetraedro o di una bipiramide trigonale, per citare (Paragrafo 10.1)
soltanto due delle forme molecolari più comuni. Inoltre, anche se la forma di una • risonanza nel legame covalente
(Paragrafo 10.1)
molecola è cruciale per molti aspetti del suo comportamento, la forma non aiuta a in- • forme molecolari (Paragrafo 10.3)
terpretare le sue proprietà magnetiche o spettrali; può farlo soltanto la comprensione • polarità molecolare (Paragrafo
dei suoi orbitali e dei rispettivi livelli energetici. 10.4)
Per comprendere questi fattori, applichiamo anche alle molecole un modello
quantomeccanico che è riuscito a spiegare con grande successo le proprietà atomiche.
IN QUESTO CAPITOLO esamineremo due teorie del legame covalente basate
sulla meccanica quantistica. La teoria del legame di valenza, o teoria VB (Valen-
ce Bond), spiega le interazioni degli orbitali atomici che creano legami covalenti
e mostra come le forme molecolari osservate sono spiegate da queste interazio-
ni. Inoltre, applicheremo la teoria VB a una descrizione dei due tipi di legami co-
valenti. La teoria degli orbitali molecolari, o teoria MO (Molecular Orbital), spie-
ga i livelli energetici molecolari e le proprietà associate ipotizzando l’esistenza di
orbitali che si estendono sull’intera molecola. Ciascuna delle due teorie integra
l’altra ed è indispensabile per una piena comprensione del legame covalente.
Non ci si deve scoraggiare se si rende necessario più di un modello per spie-
gare le osservazioni in un campo di portata così vasta come il legame chimico.
In ogni disciplina scientifica, un modello spiega meglio di un altro un particolare
aspetto di un argomento, e si ricorre a più modelli per spiegare una più vasta
gamma di fenomeni.

11.1 LA TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA


(TEORIA VB) E L’IBRIDAZIONE DEGLI ORBITALI
Che cos’è un legame covalente e quali caratteristiche gli conferiscono la sua forza?
Ciò che più importa, come si possono spiegare le forme molecolari osservate basan-
dosi sull’interazione di orbitali atomici? Il modello più utile per rispondere a queste
domande è la teoria del legame di valenza o teoria VB (Valence Bond).

I temi centrali della teoria VB


Il principio fondamentale della teoria VB è che si forma un legame covalente quando
gli orbitali di due atomi si sovrappongono e sono occupati da una coppia di elettroni che
hanno la più alta probabilità di essere localizzati tra i nuclei. Da questo principio deri-
vano tre temi centrali della teoria VB.
1. Spin opposti della coppia di elettroni. Come prescritto dal principio di esclusione
(Paragrafo 8.2), lo spazio formato dalla sovrapposizione di orbitali ha una capacità

11txt.indd 321 16/05/19 11:00


322 Capitolo 11

1s 1s
massima di due elettroni che devono avere spin opposti (antiparalleli). Per esempio,
1s 1s
H ↑ ↓ H ↑↓ quando si forma una molecola di H2, i due elettroni 1s dei due atomi di H occupano
H2 gli orbitali 1s sovrapposti e hanno spin opposti (Figura 11.1A).
A Idrogeno, H2
2. Sovrapposizione massima degli orbitali di legame. La forza di legame dipende dall’at-
z trazione esercitata dai nuclei sugli elettroni condivisi e, quindi, maggiore è la sovrap-
1s y posizione degli orbitali, più forte (più stabile) è il legame. L’entità della sovrapposizione
H ↑↓ F 2p dipende dalla forma e dall’orientamento degli orbitali coinvolti. Un orbitale s è
sferico, ma gli orbitali p e d hanno una maggiore densità elettronica in una direzio-
B Fluoruro di idrogeno, HF ne che in un’altra, e quindi un legame che implichi orbitali p o d tende a essere
z z orientato nella direzione che massimizza la sovrapposizione. Per esempio, nel lega-
y y
me in HF, l’orbitale 1s di H si sovrappone all’orbitale 2p semipieno di F lungo l’asse
2p F ↑↓ F 2p
maggiore di quell’orbitale (Figura 11.1B). Ogni altra direzione darebbe origine a una
minore sovrapposizione e, quindi, a un legame più debole. Analogamente, nel lega-
C Fluoro, F2 me F F di F2, i due orbitali 2p interagiscono di testa, cioè, lungo gli assi maggiori
degli orbitali, per massimizzare la sovrapposizione (Figura 11.1C).
Figura 11.1 Sovrapposizione
degli orbitali e appaiamento 3. Ibridazione degli orbitali atomici. Per spiegare il legame in molecole biatomiche sem-
degli spin in tre molecole bia­ plici come HF visualizziamo la sovrapposizione diretta degli orbitali s e p di atomi
tomiche. A. Nella molecola di isolati. Ma come possiamo spiegare le forme osservate in così tante molecole e in
H2, i due orbitali 1s sovrapposti così tanti ioni poliatomici più grandi mediante la sovrapposizione di orbitali s sferici,
sono occupati dai due elettroni
1s con spin opposti (antiparalle-
orbitali p perpendicolari a forma di manubrio da ginnastica e orbitali d a forma di quadrifoglio?
li). (Gli elettroni, rappresentati Consideriamo una molecola di metano. Essa è costituita da quattro atomi di H
come frecce, trascorrono la legati a un atomo di C centrale. Un atomo di C isolato nello stato fondamentale
maggior parte del tempo tra i ([He] 2s22p2) ha quattro elettroni di valenza: due nell’orbitale 2s e gli altri due, uno
nuclei ma si muovono in tutta ciascuno, in due dei tre orbitali 2p. Potremmo vedere facilmente come i due orbitali
la regione di sovrapposizione
degli orbitali). B. Per massimiz-
p semipieni di C potrebbero sovrapporsi agli orbitali 1s dei due atomi di H per forma-
zare la sovrapposizione in HF, re due legami C H con un angolo di legame H C H uguale a 90°, ma come pos-
gli orbitali semipieni 1s di H e sono questi orbitali sovrapporsi per formare i quattro legami C H identici con l’ango-
2p di F si sovrappongono lungo lo di legame di 109,5° che si osserva nel metano?
l’asse maggiore dell’orbitale 2p Linus Pauling rispose a queste domande ipotizzando che gli orbitali atomici di va-
coinvolto nella formazione del
legame. (È rappresentato l’or-
lenza nella molecola siano diversi da quelli negli atomi isolati. Calcoli quantomeccanici
bitale 2px coinvolto nel legame; indicano che il mescolamento matematico di certe combinazioni di orbitali in un dato
gli altri due orbitali 2p di F non atomo dà origine a nuovi orbitali atomici. Gli orientamenti spaziali di questi nuovi orbi-
sono rappresentati). C. In F2, tali danno origine a legami più stabili e sono compatibili con le forme molecolari osser-
l’orbitale 2px semipieno su un F vate. Il processo di mescolamento degli orbitali è detto ibridazione e i nuovi orbitali
è orientato di testa verso l’orbi-
tale simile sull’altro F per massi-
atomici sono detti orbitali ibridi. Due punti essenziali riguardo al numero e al tipo di
mizzare la sovrapposizione. orbitali ibridi sono i seguenti:
• il numero di orbitali ibridi ottenuti è uguale al numero di orbitali atomici mescolati;
• il tipo di orbitali ibridi ottenuti varia in funzione dei tipi di orbitali atomici
mescolati.
Possiamo immaginare l’ibridazione come un processo in cui si mescolano orbitali ato-
mici, si formano orbitali ibridi ed elettroni entrano in essi con spin paralleli (regola di
Hund) per creare legami stabili. Ma in verità l’ibridazione è un risultato dedotto matema­
ticamente dalla meccanica quantistica, che spiega le forme molecolari che si osservano.

Tipi di orbitali ibridi


Ipotizziamo la presenza di un certo tipo di orbitale ibrido dopo avere osservato la
forma molecolare. Quando esamineremo i cinque tipi comuni di ibridazione, notere-
mo che l’orientamento spaziale di ciascun tipo di orbitale ibrido corrisponde a una
delle cinque disposizioni comuni dei gruppi di elettroni previste dalla teoria VSEPR.
Ibridazione sp Quando l’atomo centrale è circondato da due gruppi di elettro-
ni, si osserva una forma lineare, la qual cosa significa che gli orbitali di legame
devono avere un orientamento lineare. La teoria VB lo spiega ipotizzando che il
mescolamento di due orbitali non equivalenti, un orbitale s e un orbitale p, dia
origine a due orbitali ibridi sp equivalenti separati da 180° (Figura 11.2A). Si

11txt.indd 322 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 323

Figura 11.2 Gli orbitali ibridi sp nel BeCl2 gassoso. A. Un orbitale atomico 2s e un orbitale atomico 2p si mescolano per forma-
re due orbitali ibridi sp (rappresentati l’uno sopra l’altro e lievemente di lato per facilità di visualizzazione). Si notino il lobo grande
e il lobo piccolo degli orbitali ibridi. Nella molecola, i due orbitali sp di Be hanno orientamenti opposti. Per chiarezza, in tutto il
libro verranno usati gli orbitali ibridi semplificati, di solito senza il lobo piccolo. B. Il diagramma orbitalico a caselle per l’ibridazione
in Be è disegnato verticalmente e mostra che l’orbitale 2s e uno dei tre orbitali 2p formano due orbitali ibridi sp, mentre gli altri
due orbitali 2p rimangono non ibridati. Gli elettroni riempiono a metà gli orbitali ibridi sp. Durante la formazione del legame, cia-
scun orbitale sp si riempie condividendo un elettrone proveniente da Cl (non rappresentato). C. Il diagramma orbitalico a caselle
è rappresentato con superfici di contorno degli orbitali invece delle frecce rappresentative degli elettroni. D. BeCl2 si forma per
sovrapposizione dei due orbitali ibridi sp con gli orbitali 3p di due atomi di Cl; i due orbitali 2p non ibridati di Be sono perpendico-
lari agli orbitali ibridi sp. (Per chiarezza, è rappresentato per ciascun Cl soltanto l’orbitale 3p coinvolto nella formazione del legame).

11txt.indd 323 16/05/19 11:00


324 Capitolo 11

Figura 11.3 Gli orbitali ibridi


sp2 in BF3. A. Il diagramma
orbitalico a caselle mostra
che l’orbitale 2s e due dei tre
orbitali 2p dell’atomo di B si
mescolano per formare tre orbi-
tali ibridi sp2. Tre elettroni (rap-
presentati come frecce orientate
all’insù) riempiono a metà gli
orbitali ibridi sp2. Il terzo orbita-
le 2p resta vuoto e non ibridato.
B. BF3 si forma mediante la
sovrapposizione di orbitali 2p
su tre atomi di F agli orbitali
ibridi sp2. Durante la formazione noti la forma dell’orbitale ibrido: con un lobo grande e un lobo piccolo, differi-
del legame, ciascun orbitale sce notevolmente dalle forme degli orbitali atomici che sono stati mescolati. Gli
sp2 si riempie per aggiunta di orientamenti degli orbitali ibridi estendono la densità elettronica nella direzione
un elettrone proveniente da F di legame e minimizzano le repulsioni tra gli elettroni che li occupano. Perciò,
(rappresentato come una freccia
sia la forma sia l’orientamento massimizzano la sovrapposizione all’orbitale dell’altro
orientata all’ingiù). I tre orbitali
ibridi sp2 di B sono separati da atomo nel legame.
120°, e l’orbitale 2p non ibridato Per esempio, nel BeCl2 gassoso, l’atomo di Be è detto ibridato sp. Il resto della
è perpendicolare al piano di Figura 11.2 illustra l’ibridazione di Be in BeCl2 mediante un tradizionale diagramma
legame trigonale. a caselle degli orbitali del livello di valenza (parte B), un diagramma a caselle con le
superfici di contorno degli orbitali (C) e la formazione del legame con Cl (D). L’orbi-
tale 2s e uno dei tre orbitali 2p di Be si mescolano e formano due orbitali sp. Questi
si sovrappongono agli orbitali 3p di due atomi di Cl, e i quattro elettroni di valenza
– due dall’atomo di Be e uno da ciascun atomo di Cl – occupano gli orbitali sovrappo-
sti in coppie con spin opposti. I due orbitali 2p non ibridati di Be sono perpendicola-
ri l’uno all’altro e agli assi di legame. Perciò, mediante l’ibridazione, gli elettroni 2s
appaiati nell’atomo di Be isolato si distribuiscono in due orbitali sp, che formano due le-
gami Be Cl.

Ibridazione sp2 Per spiegare la disposizione planare trigonale dei gruppi di elet-
troni e le forme molecolari basate su di essa, introduciamo il mescolamento di un
orbitale s e due orbitali p dell’atomo centrale per ottenere tre orbitali ibridi orientati
verso i vertici di un triangolo equilatero, con gli assi separati da 120°. Sono detti
orbitali ibridi sp2. È importante notare che, a differenza della notazione per le con-
figurazioni elettroniche, la notazione per gli orbitali ibridi impiega apici per il numero
di orbitali atomici di un dato tipo che sono mescolati, non per il numero di elettroni
nell’orbitale: in questo caso, sono stati mescolati un orbitale s e due orbitali p e quindi
si ha la notazione s1p2 ossia sp2.
Secondo la teoria VB, l’atomo di B centrale nella molecola di BF3 è ibridato sp2.
La Figura 11.3 mostra i tre orbitali sp2 nel piano trigonale, con il terzo orbitale 2p
non ibridato e perpendicolare a questo piano. Ciascun orbitale sp2 è sovrapposto
all’orbitale 2p di un atomo di F, e i sei elettroni di valenza – tre dall’atomo di B e
uno da ciascuno dei tre atomi di F – formano tre coppie di legame.
Per spiegare altre forme molecolari in una data disposizione di gruppi di elet-
troni, ipotizziamo che uno o più degli orbitali ibridi contengano coppie solitarie.
Per esempio, nell’ozono (O3), l’atomo di O centrale è ibridato sp2 e una coppia solitaria
riempie uno dei suoi tre orbitali sp2, e quindi l’ozono ha una forma molecolare piegata.

Ibridazione sp3 Torniamo ora alla domanda posta precedentemente riguardo


agli orbitali del metano, la stessa domanda che si pone per ogni specie con una
dispo­sizione tetraedrica dei gruppi di elettroni. Secondo la teoria VB, un orbitale
s e tut­ti e tre gli orbitali p dell’atomo centrale si mescolano e formano quattro
orbitali ibri­di sp3, che sono orientati verso i vertici di un tetraedro. Come mostra-
to nella Figura 11.4, l’atomo di C nel metano è ibridato sp3. I suoi quattro elettroni
di valenza riempiono a metà i quattro orbitali ibridi sp3, che si sovrappongono
agli orbitali 1s semipieni di quattro atomi di H e formano quattro legami C H.

11txt.indd 324 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 325

Figura 11.4 Gli orbitali ibridi


sp3 in CH4. A. L’orbitale 2s e i
tre orbitali 2p di C si mescolano
per formare quattro orbitali
ibridi sp3. I quattro elettroni di
valenza dell’atomo di carbonio
riempiono a metà gli orbitali
ibridi sp3. B. Nel metano, i quat-
tro orbitali sp3 di C sono orien-
tati verso i vertici di un tetra-
edro e si sovrappongono agli
orbitali 1s di quattro atomi di H.
Ciascun orbitale sp3 si riempie
per aggiunta di un elettrone
proveniente da H (rappresentati
come punti).
La Figura 11.5 illustra la formazione di legami in molecole di altre forme con la
disposizione tetraedrica. La forma piramidale trigonale di NH3 si origina quando una
coppia solitaria riempie uno dei quattro orbitali sp3 di N, e la forma piegata di H2O
si origina quando coppie solitarie riempiono due degli orbitali sp3 di O.

Ibridazione sp3d Le forme delle molecole con disposizioni bipiramidali trigonali


od ottaedriche dei gruppi di elettroni sono spiegate con la teoria VB mediante
ragionamenti simili. L’unico punto nuovo è che queste molecole hanno atomi cen-
trali appartenenti al Periodo 3 o a periodi superiori, e quindi anche gli orbitali d
atomici, si mescolano assieme agli orbitali s e p, per formare gli orbitali ibridi.
Per esempio, per spiegare la forma bipiramidale trigonale della molecola di
PCl5, il modello VB ipotizza che l’orbitale 3s, i tre orbitali 3p e uno dei cinque
orbitali 3d dell’atomo centrale di P si mescolino e formino cinque orbitali ibridi
sp3d, orientati verso i vertici di una bipiramide trigonale. Ciascun orbitale ibrido
si sovrappone a un orbitale 3p di un atomo di Cl, e i cinque elettroni di valenza
dell’atomo di P, insieme a un elettrone da ciascuno dei cinque atomi di Cl, si
appaiano per formare cinque legami P Cl, come è illustrato nella Figura 11.6.
Altre forme in questa disposizione dei gruppi di elettroni hanno coppie solitarie
in uno o più degli orbitali sp3d dell’atomo centrale.
Ibridazione sp3d 2 Per spiegare la forma di SF6, il modello VB ipotizza che l’orbi- FORME MOLECOLARI E
tale 3s, i tre orbitali 3p e due dei cinque orbitali 3d dell’atomo centrale di S si me- IBRIDAZIONE DEGLI
ORBITALI
scolino e formino sei orbitali ibridi sp3d2, orientati verso i vertici di un ottaedro.

Figura 11.5 Gli orbitali ibridi


sp3 di NH3 e H2O. A. I diagram-
mi orbitalici a caselle mostrano
ibridazione sp3, come in CH4. In
NH3 (in alto), uno degli orbitali
sp3 è riempito con una coppia
solitaria. In H2O (in basso), due
degli orbitali sp3 sono riempiti
con coppie solitarie. B. I dia-
grammi delle superfici di con-
torno mostrano l’orientamento
tetraedrico degli orbitali sp3 e la
sovrapposizione degli atomi di H
legati. Ciascun orbitale sp3 semi-
pieno si riempie per aggiunta di
un elettrone proveniente da H.
(Le coppie condivise e le coppie
solitarie sono rappresentate
come punti).

11txt.indd 325 16/05/19 11:00


326 Capitolo 11

Figura 11.6 Gli orbitali ibridi sp3d in PCl5. A. Il diagramma orbitalico a caselle mostra che un orbitale 3s, tre orbitali 3p e uno
dei cinque orbitali 3d di P si mescolano per formare cinque orbitali sp3d semipieni. Quattro orbitali 3d sono non ibridati e vuoti.
B. La molecola bipiramidale trigonale di PCl5 si forma per sovrapposizione di un orbitale 3p da ciascuno dei cinque atomi di Cl
agli orbitali ibridi sp3d di P (gli orbitali 3d vuoti, non ibridati, non sono rappresentati). Durante la formazione del legame, ciascun
orbitale sp3d si riempie per aggiunta di un elettrone proveniente da Cl. (Le cinque coppie di legame non sono rappresentate).

Ciascun orbitale ibrido si sovrappone a un orbitale 2p di un atomo di F, e i sei


elettroni di valenza dell’atomo di S, insieme a un elettrone da ciascuno dei sei ato-
mi di F, si appaiano per formare sei legami S F (Figura 11.7). Le molecole con
forme piramidali quadrate e planari quadrate hanno coppie solitarie, rispettivamen-
te, in uno o due degli orbitali sp3d2 dell’atomo centrale.

Figura 11.7 Gli orbitali ibridi


sp3d 2 in SF6. A. Il diagramma
orbitalico a caselle mostra che
un orbitale 3s, tre orbitali 3p e
due orbitali 3d di S si mesco-
lano per formare sei orbitali
sp3d2 semipieni. Tre orbitali 3d
sono non ibridati e vuoti. B. La
molecola ottaedrica di SF6 si
forma dalla sovrapposizione di
un orbitale 2p da ciascuno dei
sei atomi di F agli orbitali sp3d2
di S (gli orbitali 3d non ibridati,
vuoti, non sono rappresenta-
ti). Durante la formazione del
legame, ciascun orbitale sp3d2
si riempie per aggiunta di un
elettrone proveniente da F. (Le La Tabella 11.1 riassume il numero e i tipi di orbitali atomici che si mescolano per
sei coppie di legame non sono creare i cinque tipi di orbitali ibridi. Si notino ancora una volta le similarità tra gli
rappresentate). orientamenti degli orbitali ibridi ipotizzati dalla teoria VB e le forme previste dalla
teoria VSEPR (vedi Figura 10.5). La Figura 11.8 mostra le tre tappe concettuali dal-
la formula molecolare all’ipotesi degli orbitali ibridi nella molecola, e il Problema
di verifica 11.1 descrive in modo particolareggiato il termine di questo processo.

Figura 11.8 Le tappe


concettuali dalla for­
mula molecolare agli
orbitali ibridi usati
nella formazione del
legame. (Vedi Figu­re
10.1 e 10.13).

11txt.indd 326 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 327

Ipotesi degli orbitali ibridi in una molecola


PROBLEMA DI VERIFICA 11.1
Problema Usando diagrammi parziali degli orbitali, si descriva come il mescolamento degli
orbitali atomici sugli atomi centrali dà origine agli orbitali ibridi in ciascuna delle seguenti
specie:
(a) metanolo, CH3OH (b) tetrafluoruro di zolfo, SF4
Piano In base alla struttura di Lewis, determiniamo il numero e la disposizione dei gruppi
di elettroni attorno agli atomi centrali insieme alla forma molecolare. Ipotizziamo quindi il
tipo di orbitali ibridi implicati. Poi scriviamo il diagramma parziale degli orbitali per ciascun
atomo centrale prima e dopo l’ibridazione.
Risoluzione (a) In CH3OH la disposizione dei gruppi di elettroni è tetraedrica attorno sia
all’atomo di C sia all’atomo di O. Perciò, ciascun atomo centrale è ibridato sp3. L’atomo di C
ha quattro orbitali sp3 semipieni:

L’atomo di O ha due orbitali sp3 semipieni e due pieni con coppie solitarie:

C O
H
H H

Durante la formazione dei legami, ciascun orbitale semipieno di C o di O si riempie, con il


secondo elettrone proveniente in ciascun caso da H.
(b) In SF4 la forma molecolare è ad altalena, e si basa sulla disposizione bipiramidale trigo-
nale dei gruppi di elettroni. Perciò, l’atomo centrale di S è circondato da cinque gruppi di
elettroni, il che implica l’ibridazione sp3d. Si mescolano un orbitale 3s, tre orbitali 3p e un

11txt.indd 327 16/05/19 11:00


328 Capitolo 11

orbitale 3d. Un orbitale ibrido si riempie con una coppia solitaria, e quattro orbitali ibridi
sono semipieni. Quattro orbitali 3d non ibridati restano vuoti:

Durante la formazione dei legami, ciascun orbitale semipieno di S si riempie con i secondi
elettroni provenienti dagli atomi di F.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 11.1 Usando diagrammi parziali degli


orbitali, si mostri come gli orbitali atomici sull’atomo centrale si mescolano per formare
orbitali ibridi nelle seguenti specie: (a) fluoruro di berillio, BeF2; (b) tetracloruro di silicio,
SiCl4; (c) tetrafluoruro di xenon, XeF4.

Quando il concetto di ibridazione può non essere valido Impieghiamo la


teo­ria VSEPR e la teoria VB quando è necessario per spiegare in termini di orbitali
atomici una forma molecolare osservata. In alcuni casi, però, queste teorie possono
non essere necessarie. Consideriamo la struttura di Lewis e l’angolo di legame di H2S:

In base alla teoria VSEPR, prevederemmo che, come in H2O, i quattro gruppi di
elettroni attorno a H2S siano orientati verso i vertici di un tetraedro e che le due
coppie solitarie comprimano l’angolo di legame H S H a un valore lievemente
inferiore a quello ideale di 109,5°. In base alla teoria VB, prevederemmo che gli
orbitali 3s e 3p dell’atomo centrale di S si mescolino e formino quattro orbitali
ibridi sp3, due dei quali sono pieni con coppie solitarie, mentre gli altri due si so-
vrappongono agli orbitali 1s dei due atomi di H e sono pieni con coppie di legame.
Il problema è che l’osservazione non conferma questi ragionamenti. In realtà, la
molecola di H2S ha un angolo di legame di 92°, vicino all’angolo di legame di 90°
che ci si attende tra orbitali p atomici perpendicolari, non ibridati. Angoli di lega-
me simili si osservano negli altri idruri degli elementi del Gruppo 6A(16) e anche
nei più grandi idruri degli elementi del Gruppo 5A(15). Non ha senso applicare
una teoria quando i fatti non la confermano. Né la teoria VSEPR né il concetto
di ibridazione si applicano al caso di H2S e di questi altri idruri di non metalli. È
importante ricordare che la forma molecolare è influenzata da fattori reali, quali la
lunghezza di legame, il raggio atomico e le repulsioni interelettroniche. A quanto
pare, con questi atomi centrali più grandi e le loro maggiori lunghezze di legame
con H, l’affollamento e le repulsioni interelettroniche diminuiscono, e la semplice
sovrapposizione di orbitali atomici non ibridati spiega benissimo le forme osservate.

11.2 IL MODO DI SOVRAPPOSIZIONE


DEGLI ORBITALI E I TIPI DI LEGAMI COVALENTI
In questo paragrafo impiegheremo la teoria VB per concentrare l’attenzione sul
modo in cui gli orbitali si sovrappongono – di testa o di fianco – per comprendere i
tipi di legami covalenti e la formazione dei legami multipli.

11txt.indd 328 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 329

La trattazione VB dei legami singoli e multipli Figura 11.9 I legami σ nel­


l’etano (C2H6). A. Entrambi gli
Il modello VSEPR prevede, e le misurazioni lo confermano, differenti forme per le atomi di C nell’etano sono ibri-
molecole organiche a due atomi di carbonio etano (C2H6), etilene (C2H4) e acetilene dati sp3. Un orbitale sp3 di cia-
(C2H2). L’etano ha forma tetraedrica a livello di entrambi gli atomi di carbonio, con scun atomo di C si sovrappone
angoli di legame di circa 109,5°. L’etilene è planare trigonale a livello di entrambi per formare un legame σ C C.
Gli altri orbitali sp3 si sovrap-
gli atomi di carbonio, con il legame doppio agente come un gruppo di elettroni
pongono agli orbitali 1s di sei
e angoli di legami vicini al valore ideale di 120°. L’acetilene ha una forma lineare, atomi di H per formare sei lega-
con il legame triplo agente come un gruppo di elettroni e angoli di legami di 180°: mi σ C H. B. La densità elet-
tronica è distribuita in modo
relativamente uniforme tra i
legami σ della molecola di
etano. C. Rap­pre­sen­tazione
mediante linee di legame.

Un attento esame dei legami mostra in questo caso due tipi di sovrapposizione
degli orbitali.
1. Sovrapposizione di testa e legame σ (sigma). Entrambi gli atomi di C dell’etano sono Figura 11.10 I legami s e p
ibridati sp3 (Figura 11.9). Il legame C C implica la sovrapposizione di un orbitale nell’etilene (C2H4). A. I due
atomi di C sono ibridati sp2 e
sp3 di ciascun atomo di C e ciascuno dei sei legami C H implica la sovrapposizio-
formano un legame σ C C e
ne di un orbitale sp3 di C a un orbitale 1s di H. I legami nell’etano sono simili a tutti quattro legami σ C H. I loro
gli altri descritti finora in questo paragrafo. Esaminiamo attentamente, per esempio, orbitali 2p non ibridati, semipie-
il legame C C. Esso implica la sovrapposizione dell’estremità di un orbitale all’e- ni, sono perpendicolari all’asse
stremità dell’altro. Il legame che si origina da questa sovrapposizione di testa è del legame σ e sono rappresen-
tati sovrapposti di fianco. B. Le
detto legame σ (sigma). Ha la sua densità elettronica più alta lungo l’asse di legame
due regioni sovrapposte
(una linea immaginaria congiungente i nuclei) e ha la forma di un ellissoide (la figu- comprendono un legame π, che
ra generata dalla rotazione di un’ellisse attorno al suo asse maggiore, simile a un è occupato da due elettroni. I
pallone da football americano). Tutti i legami singoli, formati da qualsiasi combina- due lobi del legame π giacciono
zione di orbitali ibridi, s o p che si sovrappongono, hanno la loro densità elettronica al di sopra e al di sotto della
linea di legame σ C C.
concentrata lungo l’asse di legame e quindi sono legami σ.
C. Con quattro elettroni (un
2. Sovrapposizione di fianco e legame π (pi greca). Un attento esame della Figura 11.10 legame σ e un legame π) tra gli
atomi di C, la densità elettroni-
rivela la natura doppia del legame carbonio carbonio nell’etilene. In questo caso,
ca nella zona internucleare
ciascun atomo di C è ibridato sp2. I quattro elettroni di valenza di ciascun atomo di (ombreggiatura rossa) è elevata.
C riempiono a metà i suoi tre orbitali sp2 e il suo orbitale 2p non ibridato, che è D. Rappresentazione mediante
perpendicolare al piano sp2. Due orbitali sp2 di ciascun atomo di C formano legami linee di legame.

due lobi di un legame π

2p 2p π
H H
σ σ H H
2
H H
C sp σ sp2 C C C C C
σ σ H H
H H H H

A B C D

11txt.indd 329 16/05/19 11:00


330 Capitolo 11

due lobi di un legame π

2p π
H
H σ 2p C
sp
C sp C
σ sp π
2p C sp H
σ
2p H
C

A B due lobi di un legame π D H C C H

Figura 11.11 I legami σ e i σ C H sovrapponendosi agli orbitali 1s di due atomi di H. Il terzo orbitale sp2
legami π nell’acetilene (C2H2).
forma un legame σ C C con un orbitale sp2 dell’altro atomo di C perché il loro
A. I legami σ nell’acetilene si
formano quando un orbitale sp orientamento permette la sovrapposizione di testa. Con gli atomi di C legati da le-
di ­ciascun atomo di C si gami σ vicini l’uno all’altro, i loro orbitali 2p semipieni non ibridati sono tanto vici-
sovrappone per formare un lega- ni quanto basta per sovrapporsi di fianco. Questa sovrapposizione forma un altro
me σ C C e l’altro orbitale sp tipo di legame covalente detto legame π (pi greca). Un legame π ha due regioni di
di ciascun atomo di C si
densità elettronica, una al di sopra e l’altra al di sotto dell’asse del legame σ. Un legame
sovrappone a un orbitale s di un
atomo di H per formare due π contiene due elettroni che si muovono attraverso entrambe le regioni del legame. Un
legami σ C H. Restano due legame doppio è costituito sempre da un legame σ e da un legame π. Come mostrato
orbitali 2p non ibridati su nella Figura 11.10C, il legame doppio aumenta la densità elettronica tra gli atomi di C.
ciascun C; sono rappresentati
sovrapposti. B. Si originano due Ora siamo in grado di rispondere a una domanda sollevata nella trattazione della
legami π dalla sovrapposizione teoria VSEPR nel capitolo precedente: perché le coppie di elettroni in un legame
di fianco. Qui un legame π è doppio agiscono come un unico gruppo di elettroni; cioè, perché le due coppie
mostrato con i lobi al di sopra
di elettroni non si respingono mutuamente? La risposta è che ciascuna coppia di
e al di sotto del legame σ C C
e l’altro è mostrato con i lobi elettroni occupa un orbitale distinto, una specifica regione di densità elettronica, e
davanti e dietro questo legame quindi le repulsioni sono ridotte.
σ. Nella molecola reale, però, le Un legame triplo, quale il legame C C nell’acetilene, è costituito da un legame
nuvole e­lettroniche dei due σ e da due legami π (Figura 11.11). Per massimizzare la sovrapposizione in una for-
legami π coincidono parzialmen-
ma lineare, un orbitale s e un orbitale p in ciascun atomo di C formano due orbita-
te, il che conferisce alla
molecola una simmetria li ibridi sp, e due orbitali 2p rimangono non ibridati. I quattro elettroni di valenza
cilindrica. C. I sei elettroni – un riempiono a metà tutti e quattro gli orbitali. Ciascun atomo di C utilizza uno dei
legame σ e due legami π suoi orbitali sp per formare un legame σ con un atomo di H e utilizza l’altro per
– creano una densità elettronica formare il legame σ C C. La sovrapposizione di fianco di una coppia di orbitali 2p
ancora maggiore tra gli atomi di
dà un legame π, con densità elettronica al di sopra e al di sotto del legame σ. La
C rispetto all’etilene. D.
Rappresen­tazione mediante sovrapposizione di fianco dell’altra coppia di orbitali 2p dà l’altro legame, a 90° dal
linee di legame. primo, con densità elettronica davanti e dietro al legame σ. Il risultato è una mole-
cola H C C H a simmetria cilindrica. Si noti la densità elettronica ancora mag-
giore tra gli atomi di C creata dai sei elettroni di legame.
L’entità della sovrapposizione influenza la forza di legame. Poiché la sovrapposizio-
ne di fianco non è tanto estesa quanto la sovrapposizione di testa, ci aspettiamo che un
legame π sia più debole di un legame σ, e quindi un legame doppio dovrebbe avere
una forza minore di quella di due volte un legame semplice. In effetti, questa previsio-
ne è confermata per i legami carbonio carbonio. Però, molti fattori, quali le repulsioni
tra coppie solitarie, le polarità di legame e altri contributi elettrostatici, influenzano la
sovrapposizione e la forza relativa dei legami σ e π tra altri elementi. Perciò, come
grossolana approssimazione, un legame doppio ha all’incirca una forza pari al doppio di
quella di un legame semplice, e un legame triplo ha una forza pari a circa il triplo.

Descrizione dei tipi di legami nelle molecole con legami multipli


PROBLEMA DI VERIFICA 11.2
Problema Si descrivano i tipi di legami e di orbitali nell’acetone, (CH3)2CO.
Piano Con riferimento al Problema di verifica 11.1, notiamo le forme attorno a ciascun atomo
per ipotizzare gli orbitali ibridi usati e prestiamo particolare attenzione ai legami multipli del
legame C O.

11txt.indd 330 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 331

Risoluzione Nel Problema di verifica 10.9 abbiamo determinato che le forme dei tre
atomi centrali dell’acetone sono tetraedriche attorno a ciascun atomo di C dei due gruppi
CH3 (gruppi metilici) e planari trigonali attorno all’atomo di C intermedio. Perciò, l’atomo
di C intermedio ha tre orbitali sp2 e un orbitale p non ibridato. Ciascuno dei due atomi di
C metilici ha quattro orbitali sp3. Tre di questi orbitali sp3 si sovrappongono agli orbitali 1s
degli atomi di H per formare legami σ; il quarto si sovrappone a un orbitale sp2 del­l’atomo
di C intermedio. Perciò, due dei tre orbitali sp2 dell’atomo di C intermedio formano legami
σ con gli atomi di C terminali.
L’atomo di O è anch’esso ibridato sp2 e ha un orbitale p non ibridato che può forma-
re un legame π. Due degli orbitali sp2 dell’atomo di O contengono coppie solitarie, e il
terzo forma un legame σ con il terzo orbitale sp2 dell’atomo di C intermedio. Gli orbitali
p semipieni, non ibridati, su C e O formano un legame π. I legami σ e π costituiscono il
legame C O:

Commento La forma molecolare è la nostra guida agli orbitali usati nella formazione dei
legami. Perciò, non possiamo conoscere direttamente se un atomo terminale, quale l’atomo
di O nell’acetone, sia ibridato. Dopo tutto, esso potrebbe utilizzare i suoi due orbitali p
perpendicolari per legami σ e π con l’atomo di C e lasciare che l’altro orbitale p e l’orbitale
s contengano le due coppie solitarie. Però, una coppia solitaria in un orbitale s aumentereb-
be le repulsioni localizzando elettroni addizionali parzialmente nella regione di legame;
l’esistenza della coppia solitaria in un orbitale sp2 lontano dal legame C O lo evita. Inoltre,
si conoscono alcuni composti in cui l’atomo di O di un gruppo C O è legato a un altro
atomo, e in questi casi gli angoli di legame indicano che l’atomo di O è ibridato sp2.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 11.2 Si descrivano i tipi di legame e gli


orbitali (a) nel cianuro di idrogeno, HCN, e (b) nel diossido di carbonio, CO2.

Sovrapposizione di orbitali e rotazione molecolare


Il tipo di legame influenza la capacità di una parte di una molecola di ruotare rispet-
to a un’altra parte. Un legame σ permette la rotazione libera delle parti della molecola
l’una rispetto all’altra perché non viene influenzata l’entità della sovrapposizione.
Se si fosse in grado di mantenere fisso uno dei due gruppi CH3 della molecola di
etano, l’altro gruppo potrebbe ruotare come una girandola senza influenzare la so-
vrapposizione del legame σ C C (vedi Figura 11.9).
Però, gli orbitali p devono essere paralleli per partecipare alla sovrapposizione
di fianco, quindi un legame π limita la rotazione attorno al legame stesso. Perché
avvenga la rotazione di uno dei due gruppi CH2 nell’etilene rispetto all’altro deve
diminuire la sovrapposizione di fianco e rompersi il legame π. Ora siamo in grado
di capire perché possono esistere strutture cis e trans distinte per le molecole con
legami doppi, come l’1,2-dicloroetilene (Paragrafo 10.4). Come mostrato nella Figu-
ra 11.12, il legame π permette due differenti disposizioni di atomi attorno ai due
atomi di C, il che può avere un importante effetto sulla polarità molecolare (vedi
p. 317). (La rotazione attorno a un legame triplo non è significativa, poiché ciascun
atomo di C legato da un legame triplo è connesso soltanto a un altro gruppo, non
può esservi differenza nelle loro posizioni relative).

11txt.indd 331 16/05/19 11:00


332 Capitolo 11

Figura 11.12 Rotazione limi-


tata delle molecole con legami
π. A. Il cis- e B. il trans-1,2-
dicloroetilene esistono come
molecole distinte perché il le-
game π tra gli atomi di C limita
la rotazione e mantiene due
differenti posizioni relative degli
atomi di H e di Cl.

A B

11.3 TEORIA DEGLI ORBITALI MOLECOLARI


(TEORIA MO) E DELOCALIZZAZIONE
ELETTRONICA
Gli scienziati scelgono il modello che li aiuta a risolvere meglio un particolare
problema. Se il problema riguarda la forma molecolare, i chimici scelgono il mo-
dello VSEPR, seguito dall’analisi degli orbitali ibridi con la teoria VB. Però, la teoria
VB non spiega adeguatamente le proprietà magnetiche o spettrali delle molecole,
e sottovaluta l’importanza della delocalizzazione elettronica. Per affrontare questi
fenomeni, che implicano i livelli energetici di una molecola, i chimici scelgono la
teoria degli orbitali molecolari o teoria MO (Molecular Orbital).
Nella teoria VB, una molecola è visualizzata come un gruppo di atomi legati tra
loro mediante la sovrapposizione localizzata di orbitali atomici del guscio di valenza.
Nella teoria MO, una molecola è visualizzata come un insieme di nuclei con gli orbitali
elettronici delocalizzati sull’intera molecola. Il modello MO è una trattazione quanto-
meccanica per le molecole simile a quella che abbiamo presentato per i singoli atomi.
Come un atomo ha orbitali atomici che hanno una data energia e una data forma e sono
occupati dagli elettroni dell’atomo stesso, così una molecola ha orbitali molecolari
(MO, molecular orbitals) che hanno una data energia e una data forma e sono occupati
dagli elettroni della molecola stessa. Ma la teoria MO, nonostante la sua grande utilità,
ha un difetto: gli orbitali molecolari sono più difficili da visualizzare rispetto alle forme
facilmente rappresentabili della teoria VSEPR o agli orbitali ibridi della teoria VB.

I temi centrali della teoria MO


I concetti essenziali della teoria MO compaiono nella sua descrizione della moleco-
la di idrogeno e di altre specie semplici. Questi concetti comprendono la formazio-
ne di orbitali molecolari, la loro energia e forma, e il modo in cui vengono riempiti
da elettroni.

Formazione degli orbitali molecolari Essendo il moto degli elettroni mol-


to complesso, si deve ricorrere ad approssimazioni per risolvere l’equazione di
Schrödinger per qualsiasi atomo con più di un elettrone. Complicazioni simili si
presentano anche nel caso di H2, la molecola più semplice, e quindi sono necessa-
rie approssimazioni per risolvere l’equazione di Schrödinger rispetto alle proprietà
degli orbitali molecolari. L’approssimazione più comune combina matematicamente
(addiziona o sottrae) gli orbitali atomici (funzioni d’onda atomiche) degli atomi
vicini per formare orbitali molecolari (funzioni d’onda molecolari).
Quando due nuclei di H sono situati l’uno vicino all’altro, come in H2, i loro
orbitali atomici sono sovrapposti. I due modi di combinazione degli orbitali atomici
sono i seguenti.
• Addizione delle funzioni d’onda. Questa combinazione delle funzioni d’onda forma
un orbitale molecolare legante, od orbitale molecolare di legame, che
ha una regione di alta densità elettronica tra i nuclei. La sovrapposizione additiva è

11txt.indd 332 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 333

analoga al reciproco rinforzo di due onde luminose con conseguente aumento


della brillantezza della luce risultante. Nel caso delle onde associate agli elettro-
ni, la sovrapposizione aumenta la probabilità che gli elettroni siano tra i nuclei
(Figur­a 11.13A).
• Sottrazione delle funzioni d’onda. Questa combinazione delle funzioni d’onda
forma un orbitale molecolare antilegante, od orbitale molecolare di
antilegame, che ha un nodo tra i nuclei, una regione di densità elettronica zero
(Figu­ra 11.13B). La sovrapposizione sottrattiva è analoga alla mutua elisione
di due onde luminose, con la conseguente scomparsa della luce (oscurità).
Nel caso delle onde associate agli elettroni, la probabilità che gli elettroni
occupino lo spazio tra i nuclei si annulla.
Nel caso degli atomi di idrogeno HA e HB, le due possibili combinazioni sono:
orbitale atomico di H A + orbitale atomico di HB
= orbitale molecolare legante di H2 (più densità di e− tra i nuclei)
orbitale atomico di H A − orbitale atomico di HB
= orbitale molecolare antilegante di H2 (meno densità di e− tra i nuclei)
È importante notare che il numero di orbitali atomici combinati è sempre uguale al Figura 11.13 Un’analogia tra
numero di orbitali molecolari formati: due orbitali atomici di H si combinano per for- le onde luminose e le funzioni
d’onda atomiche. Quando le
mare due orbitali molecolari di H2. onde luminose subiscono interfe-
Energia e forma degli orbitali molecolari di H2 L’orbitale molecolare legante renza, le loro ampiezze si addi-
zionano oppure si sottraggono.
ha energia più bassa, e l’orbitale molecolare antilegante ha energia più alta, rispetto agli A. Quando le ampiezze delle
orbitali atomici che si sono combinati per formarli. Esaminiamo la Figura 11.14 per funzioni d’onda atomiche (linee
vedere perché. tratteggiate) si addizionano, si
L’orbitale molecolare legante in H2 è distribuito in prevalenza tra i nuclei, e i origina un orbitale molecolare
nuclei sono attratti verso gli elettroni interposti. Un elettrone in questo orbitale legante e la densità elettroni-
ca (linea rossa) aumenta tra i
molecolare può delocalizzare la sua carica su un volume molto maggiore rispetto nuclei. B. Viceversa, quando le
a quanto sia possibile nel suo orbitale atomico individuale. Poiché le repulsioni ampiezze delle funzioni d’onda
interelettroniche sono ridotte, l’orbitale molecolare legante ha un’energia inferiore si sottraggono, si origina un
a quella degli orbitali atomici isolati. Perciò, quando questo orbitale è occupato orbitale molecolare antilegante,
da elettroni, la molecola è più stabile degli atomi separati. Per contro, l’orbitale che ha un nodo (regione di den-
sità elettronica zero) tra i nuclei.
molecolare antilegante ha un nodo tra i nuclei e la maggior parte della sua densi-
tà elettronica all’esterno della regione internucleare. Gli elettroni non schermano
uno dei due nuclei nei confronti dell’altro, il che aumenta le repulsioni nucleari
e fa sì che l’orbitale antilegante abbia un’energia superiore a quella degli orbitali
atomici isolati. Perciò, quando l’orbitale antilegante è occupato, la molecola è
meno stabile rispetto a quando questo orbitale è vuoto. Figura 11.14 Superfici di
contorno ed energie degli
Sia l’orbitale molecolare legante sia quello antilegante di H2 sono orbitali mo-
orbitali molecolari leganti e
lecolari σ (sigma) perché sono dotati di simmetria cilindrica rispetto a una retta antileganti in H2. Quando due
immaginaria passante per i nuclei. L’orbitale molecolare legante è denotato con σ1s, orbitali atomici 1s di H si com-
cioè un orbitale molecolare σ formato per combinazione di orbitali atomici 1s. Gli binano, essi formano due orbi-
tali molecolari di H2. L’orbitale
molecolare legante (σ1s) si forma
dall’addizione degli orbitali ato-
mici e ha un’energia inferiore
a quella degli orbitali atomici
perché la maggior parte della
sua densità elettronica risiede
tra i nuclei (rappresentati come
punti). L’orbitale molecolare
antilegante (σ*1s) si forma dalla
sottrazione degli orbitali atomici
e ha un’energia superiore per-
ché esiste un nodo tra i nuclei e
la maggior parte della densità
elettronica risiede all’esterno
della regione internucleare.

11txt.indd 333 16/05/19 11:00


334 Capitolo 11

orbitali antileganti sono denotati con un asterisco ad apice, quindi quello derivato
dagli orbitali atomici 1s è σ*
1s (che si legge “sigma uno esse asterisco”).
Per interagire effettivamente e formare orbitali molecolari, gli orbitali atomici de-
vono avere energia e orientamento simili. Gli orbitali 1s su due atomi di H hanno energia
e orientamento identici, quindi interagiscono fortemente. Questo punto sarà impor-
tante quando considereremo molecole costituite da atomi con molti sottolivelli.

Riempimento degli orbitali molecolari con elettroni Gli elettroni riempiono


gli orbitali molecolari così come riempiono gli orbitali atomici.
• Gli orbitali vengono riempiti (od occupati) in ordine di energia crescente (prin-
cipio di Aufbau).
• Un orbitale ha una capacità massima di due elettroni con spin opposti (antipa-
Figura 11.15 Il diagramma
degli orbitali molecolari per ralleli) (principio di esclusione).
H2. Le caselle rappresentative • Gli orbitali di uguale energia vengono riempiti a metà da elettroni con spin
degli orbitali indicano le ener- paralleli, prima che qualcuno di essi venga riempito completamente (regola di
gie relative e l’occupazione Hund).
da parte degli elettroni degli
orbitali molecolari e degli orbi- I diagrammi degli orbitali molecolari mostrano l’energia relativa e il numero
tali atomici da cui essi si sono di elettroni in ciascun orbitale molecolare, nonché gli orbitali atomici che li hanno
formati. Due elettroni, uno da
ciascun atomo di H, riempiono
formati. La Figura 11.15 è il diagramma degli orbitali molecolari per H2.
l’orbitale molecolare σ1s di ener- La teoria MO ridefinisce l’ordine di legame. In una struttura di Lewis, l’ordine
gia inferiore, mentre l’orbitale di legame è il numero di coppie di elettroni per ogni legame. Nella teoria MO, l’or-
molecolare σ*1s di energia supe- dine di legame è la metà della differenza tra il numero di elettroni negli orbitali
riore resta vuoto. L’occupazione molecolari leganti e il numero di elettroni negli orbitali molecolari antileganti:
degli orbitali è rappresentata
anche con il colore (più scuro =
pieno, più chiaro = semipieno, ordine di legame = 12 [(numero di e− negli orbitali molecolari leganti)
assenza di colore = vuoto).
(11.1)
−(numero di e− negli orbitali molecolari antileganti)]

Perciò, per H2, l’ordine di legame è 12 (2 − 0) = 1. Un ordine di legame maggiore di


zero indica che la specie molecolare è stabile rispetto agli atomi separati, mentre
un ordine di legame pari a zero implica assenza di stabilità netta e, quindi, probabi-
lità nulla che si formerà la specie. In generale, più alto è l’ordine di legame, più forte è
il legame.
Un’altra similarità tra il modello che usa gli orbitali molecolari e quello che
usa gli orbitali atomici è che si è in grado di scrivere le configurazioni elettroniche
per una molecola. Il simbolo di ciascun orbitale molecolare occupato è indicato tra
parentesi e il numero di elettroni in esso presente è scritto come apice esterno.
Perciò, la configurazione elettronica di H2 è (σ1s)2.
Uno dei primi trionfi della teoria MO è stata la capacità di prevedere l’esistenza di
He2+, lo ione-molecola di elio, costituito da due nuclei di He e tre elettroni. Usiamo la
teoria MO per vedere perché He2+ esiste e, al tempo stesso, perché He2 non esiste. In
He2+, gli orbitali atomici 1s formano gli orbitali molecolari, quindi il diagramma degli
orbitali molecolari, mostrato nella Figura 11.16A, è simile a quello per H2. I tre elettro-
Figura 11.16 Diagrammi
degli orbitali molecolari per
He2+e He2. A. In He2+, tre elettro-
ni entrano in orbitali molecolari
in ordine di energia crescente
per dare un orbitale molecolare
σ1s pieno e un orbitale molecola-
re σ*1s semipieno. L’ordine di
legame pari a 21 implica che
He2+ esiste. B. In He2, i quattro
elettroni di valenza riempiono
sia l’orbitale molecolare σ1s sia
l’orbitale molecolare σ*1s, quindi
non c’è stabilizzazione netta
(ordine di legame = 0).

11txt.indd 334 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 335

ni entrano negli orbitali molecolari per dare una coppia nell’orbitale molecolare σ1s e
un elettrone solitario nell’orbitale molecolare σ*1s. L’ordine di legame è 12 (2 − 1) = 12 .
Perciò, He2+ ha un legame relativamente debole, ma dovrebbe esistere. In effetti, que-
sta specie ionica molecolare è stata osservata frequentemente quando atomi di He
urtano contro ioni He+. La sua configurazione elettronica è (σ1s)2 e (σ*1s)1.
D’altra parte, He2 ha quattro elettroni da collocare nei suoi orbitali molecola-
ri σ1s e σ*1s. Come mostrato nella Figura 11.16B, sia l’orbitale legante sia l’orbitale
antilegante sono pieni. La stabilizzazione acquisita dalla coppia di elettroni
nell’orbitale molecolare legante è neutralizzata dalla destabilizzazione derivante
dalla coppia di elettroni nell’orbitale molecolare antilegante. In base al suo ordine
di legame pari a zero [dato da 12 (2 − 2) = 0], prevediamo che non esista una mole-
cola covalente di He2 e l’osservazione sperimentale l’ha finora confermato.

Previsione della stabilità di una specie mediante i diagrammi degli orbitali molecolari
PROBLEMA DI VERIFICA 11.3
Problema Usando i diagrammi degli orbitali molecolari, si preveda se esistano H2+ e H2−. Si
determinino i loro ordini di legame e le loro configurazioni elettroniche.
Piano In queste specie, gli orbitali 1s formano orbitali molecolari, quindi i diagrammi degli
orbitali molecolari sono simili a quello per H2. Determiniamo il numero di elettroni in
ciascuna specie e distribuiamo gli elettroni in coppie agli orbitali leganti e antileganti in
ordine di energia crescente. Otteniamo l’ordine di legame con l’Equazione 11.1 e scriviamo
la configurazione elettronica come è stato descritto nel testo.
Risoluzione Nel caso di H2+, H2 ha due e−, quindi H2+ ne ha soltanto uno, come è mostrato
qui a margine (diagramma superiore). L’ordine di legame è 12 (1 − 0) = 12 , quindi prevediamo
che H2+ esista effettivamente . La configurazione elettronica è ( σ1s )1 .
Nel caso di H2−, poiché H2 ha due e−, H2− ne ha tre, come è mostrato a margine (diagramma
inferiore). L’ordine di legame è 12 (2 − 1) = 12 quindi prevediamo che H2− esista effettivamente.
La configurazione elettronica è (σ1s ) 2 (σ1∗s )1 .
Verifica Il numero di elettroni negli orbitali molecolari è uguale al numero di elettroni
negli orbitali atomici, come dovrebbe.
Commento Entrambe queste specie sono state identificate con metodi spettroscopici: H2+
esiste nella materia contenente idrogeno attorno alle stelle; la specie H2− è stata formata in
laboratorio.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 11.3 Usando un diagramma degli orbi-


tali molecolari, si preveda se due ioni idruro (H−) formeranno H22−. Si calcoli l’ordine di
legame di H22− e si scriva la sua configurazione elettronica.

Molecole biatomiche omonucleari di elementi del Periodo 2


Le molecole biatomiche omonucleari sono quelle costituite da due atomi
identici. Ci sono già familiari alcune molecole di elementi del Periodo 2 – N2, O2
e F2 – come forme elementari in condizioni standard. Altre molecole di elementi
del Periodo 2 – Li2, Be2, B2, C2 e Ne2 – si possono osservare soltanto in esperimenti
in fase gassosa ad alta temperatura. Una descrizione di queste specie basata sul
modello MO offre alcune interessanti verifiche del modello stesso. Consideriamo
anzitutto quelle degli elementi del blocco s, Gruppi 1A(1) e 2A(2), e poi quelle
degli elementi del blocco p, Gruppi 3A(13) ÷ 8A(18).
Legami nelle molecole biatomiche degli elementi del blocco s Sia Li sia
Be esistono come metalli in condizioni normali, ma vediamo cosa prevede la teoria
MO per la loro stabilità come gas biatomici dilitio (Li2) e diberillio (Be2).
Questi atomi hanno elettroni sia 1s sia 2s. Come gli orbitali molecolari for-
mati a partire da orbitali atomici 1s, quelli formati a partire da orbitali atomici 2s
sono orbitali σ e quindi hanno simmetria cilindrica attorno all’asse internuclea­
re. Le energie relative degli orbitali molecolari seguono l’ordine degli orbitali

11txt.indd 335 16/05/19 11:00


336 Capitolo 11

Figura 11.17 Legame nelle


molecole biatomiche omo­
nucleari degli elementi del
blocco s. A. Li2. Gli orbitali
molecolari ottenuti da combina-
zioni di orbitali atomici 1s hanno
energia inferiore a quella degli
orbitali molecolari ottenuti da
orbitali atomici 2s. I sei elettroni
provenienti da due atomi di Li
riempiono i tre orbitali molecola-
ri a energia inferiore, e l’orbitale
σ*2s rimane vuoto. Con un ordine
di legame pari a 1, Li2 si forma
realmente. B. Be2. Gli otto elet-
troni prevenienti da due atomi
di Be riempiono tutti gli orbitali
molecolari disponibili dando una
stabilizzazione netta nulla. Be2
nello stato fondamentale ha ordi-
ne di legame pari a zero e non è
mai stato osservato.

atomici che li formano: un orbitale atomico 2s ha energia superiore a quella di


un orbitale atomico 1s, e quindi gli orbitali molecolari σ2s e σ*2s hanno energie
superiori a quelle degli orbitali molecolari σ1s e σ*1s. I sei elettroni provenien-
ti dai due atomi di litio entrano negli orbitali molecolari in ordine di energia
crescente, due elettroni con spin opposti (antiparalleli) per ogni orbitale, come
mostrato nella Figura 11.17A. Il dilitio ha quattro elettroni in orbitali molecolari
leganti e due nell’orbitale molecolare antilegante di energia inferiore, quindi il
suo ordine di legame è 12 (4 − 2) = 1 . Il dilitio è stato effettivamente osservato. La
sua configurazione elettronica degli orbitali molecolari è (σ1s )2 (σ1∗s )2 (σ 2s )2 , ma di
solito viene riportata solo la configurazione che riguarda gli elettroni di valenza,
in questo caso gli elettroni 2s; perciò, abbiamo (σ2s)2.
Il diagramma degli orbitali molecolari per Be2 (Figura 11.17B) ha orbitali mo-
lecolari σ2s e σ*2s pieni. Questo caso è simile a quello di He2. L’ordine di legame è
2 ( 4 − 4 ) = 0 e infatti lo stato fondamentale della molecola di Be2 non è mai stato
1

osservato. È importante notare che, nel diagramma degli orbitali molecolari per
Li2 e Be2, gli orbitali molecolari σ1s e σ*1s sono pieni. Poiché l’effetto stabilizzante
dell’orbitale molecolare σ1s pieno neutralizza l’effetto destabilizzante dell’orbi-
tale molecolare σ*1s, questi orbitali molecolari non danno un contributo netto al
legame. Da qui in poi, i diagrammi degli orbitali molecolari mostreranno soltanto
gli orbitali molecolari creati da combinazioni degli orbitali atomici degli elettro-
ni di valenza.

Orbitali molecolari da combinazioni di orbitali p atomici Via via che ci si


muove verso il blocco p, vengono coinvolti gli orbitali 2p atomici; quindi, conside-
riamo anzitutto le forme e le energie degli orbitali molecolari derivanti dalle loro
combinazioni. Si ricordi che gli orbitali p possono interagire l’uno con l’altro da
differenti direzioni, come mostrato nella Figura 11.18. La combinazione di testa dà
una coppia di orbitali molecolari σ, gli orbitali σ2p e σ* 2p. La combinazione di fianco
dà una coppia di orbitali molecolari π (pi greca), π2p e π*2p. Similmente agli orbi-
tali molecolari formati a partire da orbitali s, gli orbitali molecolari leganti derivanti
da combinazioni di orbitali p hanno la massima densità elettronica tra i nuclei, men-
tre gli orbitali molecolari antileganti hanno un nodo tra i nuclei e hanno la maggior
parte della densità elettronica all’esterno della regione internucleare.

11txt.indd 336 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 337

L’ordine dei livelli energetici degli orbitali molecolari, siano essi leganti o antile- Figura 11.18 Superfici di con­
ganti, si basa sull’ordine dei livelli energetici degli orbitali atomici e sul modo di torno ed energie degli orbitali
combinazione degli orbitali p. molecolari σ e π come combi­
nazioni di orbitali atomici 2p.
• Gli orbitali molecolari derivanti da orbitali 2s hanno energia inferiore a quella A. Gli orbitali p situati lungo
la linea tra gli atomi (e deno-
degli orbitali molecolari derivanti da orbitali 2p perché gli orbitali atomici 2s tati di solito con px) subiscono
hanno energia inferiore a quella degli orbitali atomici 2p. la sovrapposizione di testa e
• Gli orbitali molecolari leganti hanno energia inferiore a quella degli orbitali formano orbitali molecolari σ2p
molecolari antileganti, quindi σ2p ha energia inferiore a quella di σ*2p, e π2p ha e σ*2p. Si notino la maggiore
energia inferiore a quella di π*2p. densità elettronica tra i nuclei
nel caso dell’orbitale legante
• Gli orbitali p atomici sono capaci di interagire più estesamente di testa che di e il nodo tra i nuclei nel caso
fianco. Perciò, l’orbitale molecolare σ2p ha energia inferiore a quella dell’orbi- dell’orbitale antilegante. B.
tale π2p. Analogamente, l’effetto destabilizzante dell’orbitale molecolare σ*2p è Gli orbitali p perpendicolari
maggiore di quello dell’orbitale molecolare π*2p. all’asse internucleare (py e pz)
si sovrappongono di fianco per
Perciò, l’ordine energetico degli orbitali molecolari derivati da orbitali 2p è formare due orbitali molecolari
π. Le interazioni degli orbitali pz
σ 2 p < π 2 p < π∗2 p < σ∗2 p sono identiche a quelle mostrate
qui per gli orbitali py e quindi
In ciascun atomo esistono tre orbitali 2p perpendicolari; quindi, quando si com- si forma un totale di quattro
binano sei orbitali p, i due disposti l’uno verso l’altro di testa formano un orbi- orbitali molecolari π. Un orbitale
tale molecolare σ e un orbitale molecolare σ* e le due coppie che interagiscono π2p è un orbitale molecolare
di fianco formano due orbitali molecolari π della stessa energia e due orbitali legante con la sua massima den-
sità elettronica al di sopra e al
molecolari π* della stessa energia. Combinando questi orientamenti con l’ordine
di sotto dell’asse internucleare;
energetico si ottiene il diagramma degli orbitali molecolari atteso per le moleco- un orbitale π*2p è un orbitale
le biatomiche omonucleari degli elementi del Periodo 2 del blocco p, mostrato molecolare antilegante con un
nella Figura 11.19A. nodo tra i nuclei e la sua densità
L’ordine delle energie degli orbitali molecolari è influenzato anche da un altro elettronica all’esterno della
regione internucleare.
fattore. Si ricordi che soltanto orbitali atomici di energia simile interagiscono per
formare orbitali molecolari. L’ordine presentato nella Figura 11.19A presuppone
che gli orbitali atomici s e p abbiano energie così diverse da non interagire l’uno
con l’altro: nella terminologia degli orbitali molecolari, gli orbitali non si mescolano.
Ciò vale per O, F e Ne. In questi atomi, avvengono repulsioni quando gli elettroni
2p si appaiano: queste repulsioni innalzano l’energia degli orbitali 2p al di sopra
dell’energia degli orbitali 2s e come risultato si minimizza il mescolamento degli

11txt.indd 337 16/05/19 11:00


338 Capitolo 11

Figura 11.19 Livelli energetici


relativi degli orbitali molecolari
per le molecole biatomiche
omonucleari degli elementi del
Periodo 2. A. Livelli energetici
degli orbitali molecolari per O2,
F2 e Ne2. I sei orbitali 2p dei due
atomi formano sei orbitali mole-
colari la cui energia è più alta di
quella dei due orbitali moleco-
lari formati dai due orbitali 2s.
Gli orbitali atomici che formano
orbitali π danno origine a due
orbitali molecolari leganti (π2p)
di uguale energia e due orbitali
molecolari antileganti (π*2p) di
uguale energia. Questa sequen-
za di livelli energetici si origina
dal mescolamento minimo degli
orbitali 2s-2p. B. Livelli energe-
tici degli orbitali molecolari per
B2, C2 e N2. A causa del rilevante
mescolamento degli orbitali
2s-2p, le energie degli orbitali
molecolari σ formati da orbitali
2p aumentano e quelle degli or-
bitali molecolari formati da orbi-
tali 2s diminuiscono. Il principale
effetto di questo mescolamento
degli orbitali sulla sequenza de-
gli orbitali molecolari è che l’e-
nergia dell’orbitale σ2p è più alta
di quella dell’orbitale π2p. (Per orbitali. Però, quando gli orbitali atomici 2p sono semipieni, come negli atomi di B,
chiarezza, gli orbitali molecolari C e N, le repulsioni sono piccole e quindi le energie degli orbitali 2p sono molto più
influenzati dal mescolamento vicine all’energia degli orbitali 2s. Di conseguenza, ha luogo un certo mescolamento
sono rappresentati in violetto).
tra l’orbitale 2s di un atomo e l’orbitale 2p di testa dell’altro. Questo mescolamento
degli orbitali abbassa l’energia degli orbitali molecolari σ2s e σ*2s e innalza l’energia
degli orbitali molecolari σ2p e π*2p; gli orbitali molecolari π non sono influenzati. Il
diagramma degli orbitali molecolari per la serie B2 ÷ N2 (Figu­ra 11.19B) rispecchia
questo mescolamento di orbitali atomici. L’unico cambiamento che influenza que-
sta trattazione è l’inversione dell’ordine degli orbitali molecolari σ2p e π2p.
Legami nelle molecole biatomiche degli elementi del blocco p La Figu-
ra 11.20 mostra la sequenza di orbitali molecolari, la loro occupazione da parte di
elettroni e alcune delle proprietà delle molecole B2 ÷ Ne2. È importante notare che
un ordine di legame più alto è correlato con una maggiore energia di legame e con una
minore lunghezza di legame. Si noti anche che l’occupazione degli orbitali è correlata
con le proprietà magnetiche. Come abbiamo visto nel Capitolo 8, gli spin degli elet-
troni spaiati (o disaccoppiati) in un atomo (o in uno ione) fanno sì che la sostanza
sia paramagnetica, cioè sia attratta da un campo magnetico esterno. Se gli spin di
tutti gli elettroni sono appaiati (o accoppiati), la sostanza è diamagnetica, cioè non
è influenzata (o è debolmente respinta) dal campo magnetico esterno. Le stesse
osservazioni valgono per le molecole, ma queste proprietà non sono affrontate di-
rettamente nella teoria VSEPR e nella teoria VB.
La molecola di B2 ha sei elettroni esterni da collocare nei suoi orbitali mole-
colari. Quattro di questi elettroni riempiono gli orbitali molecolari σ2s e σ*2s. I due
elettroni restanti entrano nei due orbitali molecolari π*2p, uno in ciascun orbitale,
in conformità con la regola di Hund. Con quattro elettroni in orbitali molecolari
leganti e due elettroni in orbitali molecolari antileganti, l’ordine di legame di B2
è 12 (4 − 2) = 1. Come ci si attende in base al diagramma degli orbitali molecolari,
B2 è paramagnetico.

11txt.indd 338 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 339

Figura 11.20 Occupazione


degli orbitali molecolari e pro­
prietà molecolari per B2 ÷ Ne2.
Sono mo­strate la sequenza di
orbitali mo­lecolari e le loro
popolazioni elettroniche per
le molecole biatomiche omo-
nucleari degli elementi del
blocco p del Periodo 2 [Gruppi
3A(13) ÷ 8A(18)]. L’energia di
legame, la lunghezza di legame,
l’ordine di legame, le proprietà
magnetiche e la configurazio-
ne elettronica di valenza sono
indicate sotto i diagrammi degli
orbitali. Si noti la correlazione
tra ordine di legame ed energia
di legame, entrambi in relazio-
ne inversa con la lunghezza di
legame.

I due elettroni addizionali presenti in C2 riempiono i due orbitali molecolari π2p. C2,
a­vendo due elettroni in più rispetto a B2, ha ordine di legame 2 e il legame atteso
più forte e più corto. Tutti gli elettroni sono appaiati e, come prevede il modello,
C2 è diamagnetico.
In N2, i due elettroni addizionali entrano nell’orbitale molecolare σ2p e lo riem­
piono. L’ordine di legame risultante è 3, che è compatibile con il legame triplo
nella struttura di Lewis. Come prevede il modello, l’energia di legame è più alta e
la lunghezza di legame è più corta, e N2 è diamagnetico.
Con O2 si vede realmente la potenza della teoria MO rispetto alle teorie basate
sugli orbitali localizzati. Per anni è sembrato impossibile conciliare le teorie del
legame con la forza di legame e il comportamento magnetico di O2. D’altra par-
te, i dati indicano una molecola con legame doppio che è paramagnetica. Inoltre,
possiamo scrivere due possibili strutture di Lewis per O2, ma nessuna delle due dà
una molecola con entrambe le caratteristiche. Una ha un legame doppio e tutti gli
elettroni appaiati, mentre l’altra ha un legame singolo e due elettroni spaiati:

Figura 11.21 Le proprietà


paramagnetiche di O2. O2
La teoria MO risolve elegantemente questo paradosso. Come mostrato nella Figura liquido, essendo paramagneti-
11.20, l’ordine di legame di O2 è 2: otto elettroni occupano orbitali molecolari co, è attratto verso i poli di un
leganti e quattro occupano orbitali molecolari antileganti ⎡⎣ 12 (8 − 4) = 2⎤⎦ . Si notino magnete, com’è previsto dalla
teoria MO. Una sostanza dia-
l’energia di legame più bassa e la lunghezza di legame maggiore rispetto a N2. I due
magnetica cadrebbe tra i poli.
elettroni con energia più alta occupano i due orbitali molecolari π*2p con spin spaiati (Foto: © McGraw-Hill Education/
(paralleli), rendendo paramagnetica la molecola. La Figura 11.21 mostra l’O2 liquido Charles Winters/Timeframe
in sospensione tra i poli di un potente magnete. Photography, Inc.).

11txt.indd 339 16/05/19 11:00


340 Capitolo 11

I due elettroni addizionali in F2 riempiono gli orbitali π*2p, il che fa diminuire l’or-
dine di legame a 1, e l’assenza di elettroni spaiati rende diamagnetico F2. Come ci
si attende, l’energia di legame è più bassa e la distanza di legame è più lunga che
in O2. Si noti che l’energia di legame per F2 è soltanto circa la metà di quella per
B2, anche se essi hanno lo stesso ordine di legame. F è più piccolo di B e quindi
potremmo attenderci un legame più forte. Ma i 18 elettroni nel minore volume
di F2 rispetto ai 10 elettroni in B2 causano repulsioni maggiori e facilitano la rot-
tura del legame singolo in F2.
Il membro finale della serie, Ne2, non esiste per lo stesso motivo per cui non
esiste He2: tutti gli orbitali molecolari sono pieni e quindi la stabilizzazione deri-
vante dagli elettroni leganti (di legame) neutralizza la destabilizzazione derivante
dagli elettroni antileganti (di antilegame), e l’ordine di legame è zero.

Impiego della teoria MO per spiegare le proprietà dei legami


PROBLEMA DI VERIFICA 11.4
Problema Come indicano i dati seguenti, la rimozione di un elettrone da N2 forma uno
ione con un legame più debole e più lungo che nella molecola originale, mentre lo ione
derivante da O2 ha un legame più forte e più corto:

Si spieghino questi fatti con diagrammi che mostrino la sequenza e l’occupazione degli
orbitali molecolari.
Piano Prima determiniamo il numero di elettroni di valenza in ciascuna specie. Poi disegnia-
mo la sequenza di livelli energetici degli orbitali molecolari per le quattro specie, ricordando
che le sequenze sono diverse per N2 e O2 (vedi Figure 11.19 e 11.20), e li riempiamo di
elettroni. Infine calcoliamo gli ordini di legame e li confrontiamo con i dati. Si ricordi che
l’ordine di legame è in relazione diretta con l’energia di legame e in relazione inversa con
la lunghezza di legame.
Risoluzione Determinazione degli elettroni di valenza:
N ha 5 e− di valenza, quindi N2 ne ha 10 e N2+ ne ha 9
O ha 6 e− di valenza, quindi O2 ne ha 12 e O2+ ne ha 11
Disegno e riempimento dei diagrammi MO:

Calcolo degli ordini di legame:

2 (8 − 2) = 2 (7 − 2) = 2 (8 − 4 ) = 2 (8 − 3) =
1 1 1 1
3 2,5 2 2,5

Quando N2 forma N2+, viene rimosso un elettrone legante e quindi l’ordine di legame dimi-
nuisce. Perciò, N2+ ha un legame più debole e più lungo di quello di N2. Quando O2 forma

11txt.indd 340 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 341

O2+, viene rimosso un elettrone antilegante e quindi l’ordine di legame aumenta. Perciò, O2+
ha un legame più forte e più corto di quello di O2.
Verifica La risposta è ragionevole in termini delle relazioni tra ordine di legame, energia
di legame e lunghezza di legame. Si verifichi che il numero totale di elettroni leganti e
antileganti sia uguale al numero calcolato di elettroni di valenza.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 11.4 Si determinino gli ordini di lega-


me per le seguenti specie: F22−, F2−, F2, F2+, F22+. Si elenchino le specie in ordine di energia di
legame crescente e in ordine di lunghezza di legame crescente.

Descrizione di alcune molecole biatomiche eteronucleari


con la teoria MO
Le molecole biatomiche eteronucleari, quelle costituite da due atomi diversi, hanno
diagrammi degli orbitali molecolari asimmetrici perché gli orbitali atomici dei due
atomi hanno energie disuguali. Gli atomi con carica nucleare effettiva (Zeff) maggio-
re attraggono i loro elettroni più vicino al nucleo e quindi hanno orbitali atomici
di energia inferio­re (Paragrafo 8.2). Inoltre, la maggiore Zeff conferisce a questi atomi
valori del­l’e­let­tro­negatività più alti. Applichiamo la teoria MO alla formazione del
legame in HF e in NO.
Formazione del legame in HF Per formare gli orbitali molecolari in HF, com-
biniamo orbitali atomici appropriati degli atomi di H e di F isolati. L’alta carica
nuclea­re effettiva di F attrae tutti i suoi elettroni più fortemente di quanto il
nucleo di H attragga il suo elettrone. Di conseguenza, tutti gli orbitali atomici oc-
cupati di F hanno energia inferiore a quella dell’orbitale 1s di H. Perciò, l’orbitale
1s di H interagisce soltanto con gli orbitali 2p di F e soltanto uno dei tre orbitali
2p, per esempio l’orbitale 2pz, dà origine a sovrapposizione di testa. Si originano
così un orbitale molecolare σ e un orbitale molecolare σ*. Gli altri due orbitali p di
F (2px e 2py) non sono coinvolti nella formazione del legame e sono detti orbitali
molecolari non leganti; hanno la stessa energia degli orbitali atomici isolati (Fi-
gura 11.22).
Poiché l’orbitale molecolare legante occupato è più vicino in energia agli or-
bitali atomici di F, diciamo che l’orbitale di F contribuisce al legame in HF più
di quanto faccia l’orbitale di H. Generalmente, nelle molecole covalenti polari, gli
orbitali molecolari leganti sono più vicini in energia agli orbitali atomici dell’atomo più
elettronegativo. In effetti, la maggiore elettronegatività del fluoro abbassa l’energia
dell’orbitale molecolare legante e attrae più vicino al suo nucleo gli elettroni leganti.

Figura 11.22 Il diagramma


degli orbitali molecolari per
HF. Per una molecola covalente
polare, il diagramma degli or-
bitali molecolari è asimmetrico
perché l’atomo più elettronega-
tivo ha orbitali atomici di ener-
gia inferiore. In HF, l’orbitale
molecolare legante è più vicino
in energia all’orbitale 2p di F. Gli
elettroni che non intervengono
nella formazione del legame oc-
cupano orbitali molecolari non
leganti. (L’orbitale atomico 2s di
F non è rappresentato).

11txt.indd 341 16/05/19 11:00


342 Capitolo 11

Figura 11.23 Il diagramma


degli orbitali molecolari per
NO. Undici elettroni occupano
gli orbitali molecolari nell’ossido
nitrico. Si noti che l’elettrone
solitario occupa un orbitale
molecolare antilegante la cui
energia è più vicina a quella
dell’orbitale atomico dell’atomo
di N (meno elettronegativo).

Formazione del legame in NO Il monossido di azoto (ossido nitrico) è una mo-


lecola altamente reattiva perché ha un elettrone solitario. Due possibili strutture di
Lewis per NO, con cariche formali (Paragrafo 10.1), sono le seguenti:

Entrambe le strutture presentano un legame doppio, ma il valore misurato del­


l’energia di legame indica un ordine di legame più alto di 2. Inoltre, non è chiaro
dove risieda l’elettrone solitario, anche se le cariche formali minori per la struttura I
indicano che è sull’atomo di N.
La teoria MO prevede l’ordine di legame e indica senza difficoltà la posizione
dell’elettrone solitario. Il diagramma degli orbitali molecolari nella Figura 11.23 è
asimmetrico, con gli orbitali atomici dell’atomo di O, più elettronegativo, inferiori
in energia. Gli 11 elettroni di valenza di NO entrano negli orbitali molecolari in
ordine di energia crescente, lasciando l’elettrone solitario in uno degli orbitali π*2p.
Gli otto elettroni leganti e i tre elettroni antileganti danno un ordine di legame
pari a 12 (8 − 3) = 2,5 , più conforme ai dati sperimentali di quanto sia la struttura di
Lewis. Gli elettroni leganti risiedono in orbitali molecolari più vicini in energia agli
orbitali atomici dell’atomo di O. L’elettrone solitario occupa un orbitale antilegante.
Di conseguenza, questo orbitale riceve un maggiore contributo dagli orbitali 2p di
N, l’elettrone solitario risiede più vicino all’atomo di N.

Descrizione dell’ozono e del benzene con la teoria MO


La teoria MO si estende a molecole con più di due atomi, ma le forme e i diagrammi
degli orbitali molecolari sono troppo complessi per consentire qui una descrizione
particolareggiata. Però, esaminiamo brevemente come il modello MO elimina la ne-
cessità di forme di risonanza e aiuta a spiegare gli effetti dell’assorbimento di energia.
Si ricordi che non si è in grado di disegnare un’unica struttura di Lewis che
raffiguri adeguatamente i legami in molecole quali l’ozono e il benzene perché i
legami singoli e doppi adiacenti hanno in realtà proprietà identiche. Disegniamo,
invece, più strutture e le combiniamo mentalmente in modo da formare un ibrido
di risonanza. Il modello VB si basa anch’esso sulla risonanza perché contempla cop-
pie di elettroni di legame localizzate.

11txt.indd 342 16/05/19 11:00


Teorie del legame covalente 343

La teoria MO, per contro, visualizza una struttura di orbitali molecolari leganti e an-
tileganti σ e π delocalizzati. La Figura 11.24 mostra le forme degli orbitali molecolari
leganti π di energia più bassa nel benzene e nell’ozono. Ciascun orbitale contiene
una coppia di elettroni. Le densità elettroniche estese permettono la delocalizzazio-
ne di questa coppia di elettroni π sull’intera molecola, eliminando così la necessità
di forme di risonanza distinte. Nel benzene, il lobo esagonale superiore e quello
inferiore di questo orbitale molecolare legante π giacciono al di sopra e al di sotto
del piano σ di tutti e sei i nuclei di carbonio. Nell’ozono, i due lobi dell’orbitale mo-
lecolare legante π di energia più bassa si estendono sopra e sotto tutti e tre i nuclei
A Benzene, C6H6
di ossigeno. Un altro vantaggio della teoria MO è la sua capacità di spiegare gli stati
eccitati e gli spettri delle molecole: per esempio, perché O3 si decompone quando
assorbe radiazione ultravioletta nella stratosfera (gli elettroni leganti vengono eccitati
ed entrano in orbitali antileganti vuoti) e perché lo spettro ultravioletto del benzene
ha le sue bande di assorbimento caratteristiche.

Figura 11.24 Gli orbitali molecolari leganti π di energia più bassa nel benzene e nell’o­
zono. A. L’orbitale molecolare legante π più stabile in C6H6 ha lobi esagonali di densità elet-
tronica al di sopra e al disotto del piano σ dei sei atomi di C. B. L’orbitale molecolare legante
π in O3 si estende al di sopra e al di sotto del piano σ (rappresentato come linee di legame)
dei tre atomi di O. B Ozono, O3

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


11.1 (a) La forma è lineare, quindi Be è ibridato sp. 11.2 (a) H— C N

HCN è lineare, quindi C è ibridato sp. Anche N è ibridato


sp. Un orbitale sp di C si sovrappone all’orbitale 1s di H
per formare un legame σ. L’altro orbitale sp di C contiene
(b) La forma è tetraedrica, quindi Si è ibridato sp3.
una coppia solitaria. Due orbitali p non ibridati di N e due
di C si sovrappongono per formare due legami π.

(b)

(c) La forma è planare quadrata, quindi Xe è ibridato sp3d2.

CO2 è lineare, quindi C è ibridato sp. Entrambi gli atomi di


O sono ibridati sp2. Ciascun orbitale sp di C si sovrappone
a un orbitale sp2 di un atomo di O per formare due legami
σ. Ciascuno dei due orbitali p non ibridati di C forma un
legame π con l’orbitale p non ibridato di uno dei due atomi
di O. Due orbitali sp2 di ciascun O contengono coppie
solitarie.

11txt.indd 343 16/05/19 11:00


344 Capitolo 11

11.3 È improbabile che esista: ordine di legame = 12 (2 − 2) = 0;


(σ1s)2(σ*
1s)
2

11.4 Ordini di legame: 


F22− = 0; F2− = 12; F2 = 1; F2+ = 32
F22+ = 2
energia di legame:
F22− < F2− < F2 < F2+ < F22+
lunghezza di legame:
F22+ < F2+ < F2 < F2−; F22− non esiste.

11txt.indd 344 16/05/19 11:00


Forze intermolecolari:
liquidi, solidi e transizioni di fase 12
Tutta la materia che ci circonda esiste in uno dei tre stati fisici (stati di aggregazione): DA SAPERE PRIMA
gassoso (o aeriforme), liquido o solido. In realtà, in condizioni specifiche, molte sostanze
• proprietà dei gas, dei liquidi e dei
pure possono esistere in ognuno degli stati di aggregazione. Sono familiari a tutti gli solidi (Paragrafo 5.1)
stati fisici dell’acqua: inspiriamo ed espiriamo acqua nello stato gassoso; beviamo, elimi­ • teoria cinetica dei gas
niamo e utilizziamo per lavarci acqua nello stato liquido; utilizziamo l’acqua nello stato (Paragrafo 5.6)
• energia cinetica ed energia po­
solido per pattinare o per raffreddare le bevande. Guardando attorno a noi possiamo tenziale (Paragrafo 6.1)
osservare altri esempi di solidi (pietre preziose, sale da cucina), liquidi (benzina, anticon­ • capacità termica, variazione di
gelanti) e gas (aria, bollicine di diossido di carbonio) che possono esistere in uno degli entalpia e legge di Hess
(Paragrafi 6.2, 6.3, 6.5 e 7.1)
altri due stati o in entrambi, anche se le condizioni necessarie per il cambiamento di • legge di Coulomb (Paragrafo 9.2)
stato possono essere insolite. • modelli del legame chimico
I tre stati di aggregazione della materia sono stati introdotti nel Capitolo 1 e le loro (Capitolo 9)
proprietà sono state confrontate nel Capitolo 5 durante l’esame dei gas. In questo capitolo • polarità molecolare
(Paragrafo 10.4)
rivolgeremo l’attenzione ai liquidi e ai solidi. Uno stato fisico, o stato di aggregazione, è • trattazione delle molecole
un tipo di fase. Una fase è una porzione di un sistema termodinamico di composizione biatomiche in termini di orbitali
chimica definita e in un determinato stato di aggregazione. Il concetto di fase non va con­ molecolari (Paragrafo 11.3)
fuso con quello di stato di aggregazione: un sistema costituito da due liquidi immiscibili,
per esempio, è in un unico stato di aggregazione, quello liquido, ma è costituito da due
fasi. L’acqua contenuta in un bicchiere costituisce una singola fase; se si aggiunge all’acqua
un cubetto di ghiaccio, si ottengono due fasi. I liquidi e i solidi sono detti fasi condensate (o
stati condensati) perché le loro particelle sono estremamente vicine l’una all’altra.
L’energia potenziale tra le particelle – molecole, atomi o ioni – in un campione di
materia è dovuta a forze attrattive e repulsive dette forze interparticellari o, più comune­
mente, forze intermolecolari. L’interazione tra queste forze e l’energia cinetica delle
particelle dà origine alle proprietà di ciascuno stato di aggregazione (o fase) e alle tran-
sizioni di fase, o cambiamenti di stato, cioè le transizioni da una fase a un’altra.
QUESTO CAPITOLO comincia con uno sguardo d’insieme agli stati di aggrega-
zione e alle loro transizioni di fase. Poi concentreremo l’attenzione sulle transi-
zioni di fase a livello molecolare, calcoleremo le variazioni di energia coinvolte
e porremo in rilievo gli effetti della temperatura e della pressione con diagram-
mi di fase. Quindi considereremo i vari tipi di forze intermolecolari ed esami-
neremo le proprietà dei liquidi. Proseguiremo poi combinando concetti tratti
da più capitoli per mostrare come le proprietà peculiari dell’acqua si originano
dalle configurazioni elettroniche dei suoi atomi. Successivamente esamineremo
le proprietà dei solidi, ponendo in rilievo la relazione fra tipo di legame e forza
intermolecolare. Vedremo come si determinano sperimentalmente le strutture
su scala atomica dei solidi e, nell’ultimo paragrafo, come si producono e si uti-
lizzano alcuni materiali moderni con caratteristiche entusiasmanti.

12.1 UNO SGUARDO D’INSIEME AGLI STATI FISICI


E ALLE TRANSIZIONI DI FASE
Se potessimo stare tra le particelle di una sostanza molecolare, scopriremmo che si
esercitano due tipi di forze elettrostatiche.

12txt.indd 345 16/05/19 11:02


346 Capitolo 12

• Forze intramolecolari (forze di legame) che si esercitano all’interno di ciascuna


molecola (o di ciascuno ione poliatomico) e che influenzano le proprietà chi-
miche della sostanza.
• Forze intermolecolari che si esercitano tra le molecole (o gli ioni) e che influen­
zano le proprietà fisiche della sostanza.
Immaginiamo ora una visualizzazione molecolare dei tre stati della stessa sostanza.
Prendiamo l’acqua come esempio e concentriamo l’attenzione su una molecola di
acqua nello stato gassoso (vapore acqueo), una nello stato liquido e una nello stato
solido (ghiaccio). Queste molecole appaiono identiche: molecole H O H polari,
piegate. In realtà, nel loro comportamento chimico, i tre stati di aggregazione dell’ac­
qua sono identici perché le loro molecole sono tenute unite dalle stesse forze intra-
molecolari di legame covalente. Però, i comportamenti fisici di questi stati di aggre­
gazione differiscono notevolmente.
Un modello cinetico dei tre stati di aggregazione Il fatto che una sostanza
sia nello stato gassoso, liquido o solido dipende dall’interazione tra l’energia poten­
ziale delle attrazioni intermolecolari, che tende a riunire le molecole, e l’energia
cinetica delle molecole, che tende a disperderle. Secondo la legge di Coulomb, l’e­
nergia potenziale dipende dalla carica delle particelle e dalla loro distanza reciproca
(vedi Paragrafo 9.2). L’energia cinetica media, che è in relazione con la velocità
media delle particelle, è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta.
L’interazione tra energia potenziale ed energia cinetica influenza direttamente
le proprietà che definiscono i tre stati di aggregazione. Nella Tabella 12.1 concen­
triamo l’attenzione su tre proprietà – forma, compressibilità e fluidità (in relazione
inversa con la viscosità) – che abbiamo esaminato nei capitoli precedenti. Il seguen­
te modello cinetico dei tre stati di aggregazione è un’estensione del modello che
abbiamo utilizzato per comprendere i gas (vedi Paragrafo 5.6).
• In un gas, l’energia di attrazione è piccola rispetto all’energia associata al moto;
quindi, in media, le particelle sono lontane l’una dall’altra. Questa grande
distanza interparticellare ha parecchie conseguenze macroscopiche. Le par­
• Flusso
bien­
ambientale L’am­
te illustra magnificamente le
ticelle gassose si muovono in modo casuale (disordinato) nel recipiente che
le contiene e lo riempiono. I gas sono altamente compressibili e fluiscono e
differenze nelle capacità dei tre stati diffondono facilmente l’uno attraverso l’altro.
di aggregazione della materia di • In un liquido, le attrazioni sono più forti perché le particelle sono pressoché in
fluire e diffondere. I gas atmosferici
si mescolano così bene che lo strato contatto. Ma la loro energia cinetica permette loro di muoversi ancora in modo
di 80 km di atmosfera più vicino alla casuale l’una rispetto all’altra. Perciò, un liquido assume la forma del suo recipien­
superficie terrestre ha una compo­ te ma ha una superficie libera. Con un piccolissimo spazio libero tra le particelle,
sizione uniforme. Il mescolamento i liquidi resistono a una forza esterna e quindi si comprimono soltanto molto
negli oceani e nei mari è molto
minore e le differenze di compo­ lievemente. Essi fluiscono e diffondono, ma molto più lentamente rispetto ai gas.
sizione a varie profondità permet­ • In un solido, le attrazioni predominano sul movimento in misura tale che le
tono il sostentamento di differenti particelle rimangono in posizioni fisse l’una rispetto all’altra, oscillando attorno
specie. I solidi rocciosi si mescolano alle loro posizioni. Poiché le particelle sono di solito lievemente più vicine
così poco che gli strati adiacenti
rimangono separati per milioni di l’una all’altra che in un liquido e le loro posizioni sono fisse, un solido ha una
anni. (Foto: © Christopher Meder forma specifica. Di conseguenza, i solidi si comprimono ancora meno dei liqui­
Photography/Shutterstock.com). di e le loro particelle non fluiscono in misura rilevante.

12txt.indd 346 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 347

Tipi di transizioni di fase Anche le transizioni di fase sono determinate dall’in­


terazione tra energia cinetica e forze intermolecolari. All’aumentare della tempe­
ratura, aumenta anche l’energia cinetica media e quindi le particelle muovendosi
a velocità maggiore possono vincere più facilmente le attrazioni; viceversa, una
diminuzione della temperatura permette alle forze intermolecolari di ravvicinare
l’una all’altra le particelle che si muovono quindi a velocità minore.
Che cosa accade quando l’acqua gassosa viene raffreddata? Inizialmente compare
una nebbia mentre le particelle formano microgocce che poi si raccolgono per formare
un campione macroscopico di liquido con una singola superficie libera. Il passaggio di
una sostanza dallo stato di vapore allo stato liquido è detto condensazione; nel caso
dei gas si parla di liquefazione. Il processo opposto, il passaggio dallo stato liquido allo
stato gassoso, è detto vaporizzazione (o evaporazione). Con un ulteriore raffredda­
mento, le particelle si muovono ancora più lentamente e le loro posizioni diventano
fisse mentre il liquido solidifica nel processo di solidificazione (o congelamento, con
riferimento a una sostanza che sia normalmente nello stato liquido); la trasformazione
opposta, il passaggio dallo stato solido allo stato liquido, è detta fusione (o, impropria­
mente, liquefazione, termine che, come abbiamo detto, è correttamente riferito invece
al passaggio dallo stato gassoso allo stato liquido). (Nel linguaggio corrente, il termine
congelamento come sinonimo di solidificazione implica basse temperature perché di soli­
to è riferito all’acqua, ma molte sostanze solidificano a temperature molto più alte; l’oro,
per esempio, solidifica a 1064 °C). GETTI D’ORO
Queste transizioni di fase sono accompagnate da variazioni di entalpia. Quando le
molecole di un gas si attraggono mutuamente e si avvicinano l’una all’altra nel liquido,
e poi assumono posizioni fisse nel solido, il sistema di particelle cede energia, che viene
rilasciata sotto forma di calore. Perciò, la condensazione e la solidificazione sono trasforma-
zioni esotermiche. Al contrario, deve essere assorbita energia per vincere le forze attratti­
ve che tengono unite le particelle in un liquido o che le mantengono in posizioni fisse UNA TRANSIZIONE
in un solido. Perciò, la fusione e la vaporizzazione sono trasformazioni endotermiche. DI FASE REFRIGERANTE
Nel caso di una sostanza pura, ogni transizione di fase è accompagnata da una
specifica variazione di entalpia per mole (misurata alla pressione di 1 atm e alla
temperatura della trasformazione), che per la vaporizzazione (o evaporazione) è
detta calore di vaporizzazione (o di evaporazione) (∆H 0vap) e per la fusione è
detta calore di fusione (∆H 0fus). Nel caso dell’acqua, abbiamo
H2O(l) H2O(g) ∆H = ∆H 0vap = 40,7 kJ/mol (a 100 °C)
H2O(s) H2O(l) ∆H = ∆H 0fus = 6,02 kJ/mol (a 0 °C)
Per i processi inversi, condensazione e solidificazione, si hanno variazioni di ental­
pia dello stesso valore assoluto ma di segno opposto:
H2O(g) H2O(l) ∆H = −∆H 0vap = −40,7 kJ/mol
H2O(l) H2O(s) ∆H = −∆H 0fus = −6,02 kJ/mol
L’acqua è un esempio tipico (nella Figura 12.1 se ne mostrano altri) della maggior parte
delle sostanze pure al fine di evidenziare che è necessaria meno energia per fondere 1
mol di solido che per vaporizzare 1 mol di liquido: ∆H 0fus < ∆H0vap. Questa differenza è

'H 0vap
59
'H 0fus
'H 0 (kJ/mol)

38,6 40,7
34,1 Figura 12.1 Calori di vapo-
29 rizzazione (evaporazione) e di
fusione per alcune sostanze
comuni. ∆H 0vap è sempre mag-
8,9 10,0 giore di ∆H 0fus perché è neces-
6,3 7,3 6,02
5,0 2,3 saria più energia per separare
1,3 0,94
completamente le particelle che
Argon Metano Etere dietilico Benzene Etanolo Acqua M
Mercurio per renderle libere dalle loro
(Ar) (CH4) (C2H5OC2H5) (C6H6) (C2H5OH) (H2O) (Hg) posizioni fisse nel solido.

12txt.indd 347 16/05/19 11:02


348 Capitolo 12

Figura 12.2 Transizioni di


fase e variazioni di entalpia
associate. Ciascun tipo di tran-
sizione di fase, con l’associata Gas
variazione di entalpia, è indicato
su un diagramma generale

B
dell’entalpia. Si noti che la fusio-

e
ne, la vaporizzazione (o evapo-

Vaporizzazione
o n

r
razione) e la sublimazione sono

Condensazione
Entalpia, H

i
trasformazioni endotermiche

n
z i
(∆H0 positiva), mentre la solidi- (ΔH 0subl) (ΔH 0vap) (−ΔH 0vap) (−ΔH 0subl)

a
ficazione, la condensazione e il

a
brinamento sono trasformazioni

m
m
endotermiche (∆H0 negativa).

e
liquido

n
l

cazione
Solidifi-
b

Fusione

t
(ΔH 0fus) (−ΔH 0fus)
u

o
S solido

dovuta al fatto che una transizione di fase è essenzialmente un cambiamento della di­
stanza intermolecolare e della libertà di movimento. Perciò, è necessaria meno energia
per vincere le forze che mantengono le molecole nelle loro posizioni fisse (per fondere
un solido) che per separarle completamente l’una dall’altra (per vaporizzare un liquido).
I tre stati di aggregazione dell’acqua sono così comuni perché sono tutti stabili
in condizioni ordinarie. Il diossido di carbonio, d’altra parte, è familiare come gas e
come solido (“ghiaccio secco”), mentre CO2 liquido esiste soltanto a pressioni ester­
ne maggiori di 5 atm. Perciò, a temperature ordinarie, CO2 solido diventa un gas sen­
za diventare prima un liquido. Questo passaggio diretto dallo stato solido allo stato
gassoso senza passare per lo stato liquido è detto sublimazione. Per esempio, in
una giornata invernale serena si può asciugare il bucato steso all’aperto anche se può
essere troppo freddo affinché il ghiaccio possa fondere, perché in queste condizioni
il ghiaccio sublima. Gli alimenti liofilizzati vengono preparati mediante sublimazio­
ne. Il processo opposto, il passaggio diretto dallo stato gassoso allo stato solido senza
passare per lo stato liquido, è detto brinamento. Per esempio, i cristalli di ghiaccio
che si formano sul vetro freddo di una finestra sono prodotti dal brinamento del
vapore acqueo. Il calore di sublimazione (∆H 0subl) è la variazione di entalpia che
si produce quando su­blima 1 mol della sostanza. La legge di Hess dice che è uguale
alla somma del calore di fusione e del calore di vaporizzazione:
solido ⎯ ⎯
→ liquido ΔH fus
0

liquido ⎯ ⎯
→ gas ΔH vap
0

solido ⎯ ⎯
→ gas ΔH subl
0

La Figura 12.2 riassume la terminologia delle varie transizioni di fase e indica le


variazioni di entalpia a esse associate.

12.2 ASPETTI QUANTITATIVI DELLE TRANSIZIONI


DI FASE
Alcune delle transizioni di fase più spettacolari e familiari avvengono in condizioni
meteorologiche ordinarie. Quando piove, il vapore acqueo condensa trasformandosi
in un liquido, che si ritrasforma in un gas quando le pozzanghere si prosciugano.
In primavera, la neve fonde e i corsi d’acqua si riempiono; in inverno, il vapore
acqueo solidifica e cade sul suolo sotto forma di neve. Queste notevoli trasforma­
zioni avvengono anche quando si prepara una teiera di tè o un vassoio di cubetti
di ghiaccio. In questo paragrafo esamineremo il calore assorbito o rilasciato in una
transizione di fase e il carattere di equilibrio del processo.

12txt.indd 348 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 349

Calore assorbito o rilasciato nelle transizioni di fase:


un approccio cinetico
Possiamo applicare quantitativamente la teoria cinetica alle transizioni di fase mediante
una curva di riscaldamento e di raffreddamento, che rappresenta le trasforma­
zioni che avvengono quando si fornisce o si sottrae calore a velocità costante a un
particolare campione di materia. Nella Figura 12.3 viene illustrato, come esempio, il
processo di raffreddamento di un campione di 2,50 mol di acqua gassosa in un sistema Figura 12.3 Una curva di
raffreddamento per la con-
stantuffo-cilindro, con la pressione mantenuta costante a 1 atm e la temperatura fatta versione di acqua gassosa in
variare da 130 °C a −40 °C. Per un osservatore, il processo è continuo, ma possiamo ghiaccio. La figura presenta un
suddividerlo in cinque stadi esotermici (con rilascio di calore) che corrispondono ai diagramma della temperatura
cinque tratti della curva: il gas si raffredda e condensa trasformandosi in un liquido, il in funzione della quantità di
liquido si raffredda trasformandosi in un solido e il solido si raffredda ulteriormente. calore sottratta durante la tra-
sformazione dell’acqua gassosa
Stadio 1. L’acqua gassosa si raffredda. Immaginiamo un insieme di molecole d’acqua a 130 °C in ghiaccio a –40 °C.
che si comportano come un gas tipico: sfrecciano qua e là caoticamente in un Questo processo avviene in cin-
que stadi, per ciascuno dei quali
intervallo di velocità, urtando l’una contro l’altra e contro le pareti del recipiente. è mostrata una visualizzazione
A una temperatura abbastanza alta, la velocità più probabile e quindi l’energia a livello molecolare. Stadio 1:
cinetica (Ek) media delle molecole sono alte a sufficienza per vincere l’energia po­ L’acqua gassosa si raffredda.
tenziale (Ep) delle mutue attrazioni. Quando la temperatura diminuisce, l’energia Stadio 2: L’acqua gassosa con-
cinetica media diminuisce e quindi le attrazioni diventano sempre più importanti. densa. Stadio 3: L’acqua liquida
si raffredda. Stadio 4: L’acqua
La trasformazione è H2O(g) [130 °C] H2O(g) [100 °C]. La quantità di calo­ liquida solidifica (congela).
re (q) è data dal prodotto della quantità di sostanza (numero di moli, n), del calore Stadio 5: L’acqua solida si raf-
specifico molare dell’acqua gassosa (Cacqua(g)) e della variazione di temperatura fredda. Le pendenze delle linee
(∆T = Tfinale − Tiniziale): negli Stadi 1, 3 e 5 rispecchiano
i valori dei calori specifici molari
q = n × Cacqua(g) × ∆T = (2,50 mol) [33,1 J/(mol ⋅ °C)] (100 °C − 130 °C) delle fasi. Anche se la figura
non è disegnata in scala, la
= −2482 J = −2,48 kJ
linea nello Stadio 2 è più lunga
Il segno negativo indica che il calore viene rilasciato. [Ai fini dell’elisione (sempli­ di quella nello Stadio 4 perché
∆H 0vap dell’acqua è maggiore
ficazione) delle unità di misura, nell’unità di misura del calore specifico molare C
di ∆H 0fus. Un diagramma della
compare il grado celsius (°C) anziché il kelvin (K). Il valore di C non è influenzato temperatura in funzione della
perché l’ampiezza del kelvin è uguale all’ampiezza del grado celsius, cioè entrambi quantità di calore fornita avreb-
rappresentano lo stesso incremento di temperatura]. be le stesse tappe, ma in ordine
inverso.

12txt.indd 349 16/05/19 11:02


350 Capitolo 12

Stadio 2. L’acqua gassosa condensa. Alla temperatura di condensazione, le moleco­


le più lente rimangono l’una vicina all’altra tanto a lungo quanto basta affinché
le attrazioni intermolecolari formino gruppi di molecole, che si aggregano in mi­
crogocce e poi in un liquido macroscopico. È importante notare che, durante il
passaggio dallo stato gassoso allo stato liquido, la temperatura rimane costante e
quindi l’energia cinetica media rimane costante. Ciò significa che, anche se tra due
urti consecutivi le molecole in un gas percorrono un cammino maggiore di quello
percorso dalle molecole in un liquido, la loro velocità media è la stessa a una data
temperatura. Perciò, la sottrazione di calore dal sistema implica una diminuzione
dell’energia potenziale media, poiché le molecole si avvicinano maggiormente e si
attraggono più fortemente, ma non una diminuzione dell’energia cinetica media.
In altre parole, a 100 °C, l’acqua gassosa e l’acqua liquida hanno la stessa energia
cinetica media, ma l’acqua liquida ha un’energia potenziale inferiore.
La trasformazione è H2O(g) [100 °C] H2O(l) [100 °C]. La quantità di calo­
re rilasciata è uguale al prodotto della quantità di sostanza (n) per il calore di vapo­
rizzazione preso con il segno negativo (−∆H 0vap):
q = n(−∆H 0vap) = (2,50 mol) (−40,7 kJ/mol) = −102 kJ
Questa tappa fornisce la massima parte della quantità di calore totale rilasciata a causa
della diminuzione dell’energia potenziale che accompagna l’enorme diminuzione
della distanza intermolecolare nel passaggio da un gas a un liquido.
Stadio 3. L’acqua liquida si raffredda. Le molecole si sono ora condensate nello stato
liquido. La continua cessione di calore si manifesta come una diminuzione della
temperatura, cioè come una diminuzione della velocità molecolare più probabile e,
quindi, dell’energia cinetica media. La temperatura del campione diminuisce finché
esso rimane nello stato liquido.
La trasformazione è H2O(l) [100 °C] H2O(l) [0 °C]. La quantità di calore (q)
dipende dalla quantità di sostanza (n), dal calore specifico molare dell’acqua liquida
e dalla variazione di temperatura (∆T):
q = n  ×  Cacqua(l)  ×  ∆T = (2,50 mol) [75,4 J/(mol ⋅ °C)] (0 °C − 100 °C)
= −18 850 J = −18,8 kJ
Stadio 4. L’acqua liquida solidifica. Alla temperatura di solidificazione (congelamento)
dell’acqua, 0 °C, le attrazioni intermolecolari vincono il moto delle molecole l’una
rispetto al­l’altra. Cominciando dalle più lente, le molecole perdono energia poten­
ziale e si dispongono nella struttura cristallina del ghiaccio. Il moto molecolare
prosegue, ma soltanto come vibrazione degli atomi attorno alle loro posizioni fisse.
Come durante la condensazio­ne, la temperatura e l’energia cinetica media rimango­
no costanti durante la solidificazione.
La trasformazione è H2O(l) [0 °C] H2O(s) [0 °C]. La quantità di calore rila­
sciata (q) è uguale al prodotto della quantità di sostanza (n) per il calore di fusione
preso con il segno negativo (−∆H 0fus):
q = n(−∆H 0fus) = (2,50 mol) (−6,02 kJ/mol) = −15,0 kJ
Stadio 5. L’acqua solida si raffredda. Quando il moto molecolare è limitato alla vibra­
zione attorno alle posizioni fisse, un ulteriore raffreddamento riduce semplicemen­
te la velocità media di queste vibrazioni.
La trasformazione è H2O(s) [0 °C] H2O(s) [−40 °C]. La quantità di calore
rilasciata (q) dipende da n, dal calore specifico molare dell’acqua solida e da ∆T:
q = n  ×  Cacqua(s)  ×  ∆T = (2,50 mol) [37,6 J/(mol ⋅ °C)] (−40 °C − 0 °C)
= −3760 J = −3,76 kJ
Secondo la legge di Hess, la quantità di calore totale rilasciata è la somma delle quan­
tità di calore rilasciate nei singoli stadi. La somma delle q per gli stadi 1 ÷ 5 è −142 kJ.
In questo processo o in qualsiasi altro processo simile (a pressione costante), sia esso
esotermico o endotermico, si evidenziano due punti essenziali.
• In una fase, una variazione di calore è accompagnata da una variazione della
temperatura, che è associata a una variazione dell’energia cinetica media mentre

12txt.indd 350 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 351

varia la velocità più probabile delle molecole. La quantità di calore ceduta o acqui­
stata dipende dalla quantità di sostanza, dal calore specifico molare per quella
fase e dalla variazione di temperatura.
• Durante una transizione di fase, avviene una variazione di calore a temperatura
costante, associata a una variazione dell’energia potenziale, mentre varia la
distanza intermolecolare media. Entrambi gli stati fisici sono presenti durante
una tran­sizione di fase. La quantità di calore ceduta o acquistata dipende dalla
quantità di sostanza e dall’entalpia della transizione di fase (∆H 0vap o ∆H 0fus).

Le transizioni di fase come processi di equilibrio dinamico


Nell’esperienza quotidiana, le transizioni di fase avvengono in recipienti aperti –
l’ambiente esterno, una pentola su un fornello, il freezer di un frigorifero – e quindi
una transizione di fase in queste condizioni non è reversibile. Ma in un recipiente
chiuso in condizioni controllate le transizioni di fase di molte sostanze sono reversibili
e raggiungono un equilibrio, così come fanno le trasformazioni chimiche.

Equilibri liquido-gas Immaginiamo un pallone aperto contenente un liquido puro


a temperatura costante e concentriamo l’attenzione sulle molecole sulla superficie
libera del liquido. Nel loro intervallo di velocità molecolari, alcune molecole si Figura 12.4 Equilibrio
muovono a velocità abbastanza alta e nella direzione appropriata per vincere le ­liquido-gas. A. In un pallone
chiuso a temperatura costante,
attrazioni intermolecolari e quindi evaporano. Le molecole vicine riempiono imme­ dal quale è stata estratta l’aria,
diatamente lo spazio lasciato libero e, con la fornitura continua di energia da parte la pressione iniziale è zero. Via
dell’ambiente circostante a temperatura costante, il processo prosegue finché non via che molecole abbandonano
è scomparsa l’intera fase liquida. la superficie libera ed entrano
Immaginiamo ora di avere inizialmente un pallone chiuso a temperatura costante, nello spazio sopra il liquido, la
pressione del vapore aumenta.
come nella Figura 12.4A, e supponiamo che sopra il liquido sia stato fatto il vuoto. B. All’equilibrio, il numero delle
Come prima, alcune delle molecole sulla superficie del liquido hanno energia cinetica mo­lecole che abbandonano il
sufficiente per evaporare. All’aumentare del numero di molecole nella fase vapore, la liquido in un dato intervallo di
pressione del vapore aumenta. Simultaneamente, alcune delle molecole nel vapore tempo è uguale a quello delle
che urtano contro la superficie del liquido hanno un’energia cinetica così bassa da molecole che vi entrano, quindi
la pressione del vapore raggiun-
venire attratte così fortemente da non potere allontanarsi dal liquido e condensano. ge un valore co­sta­nt­­ e. C. Un
Per una data area della superficie del liquido, il numero delle molecole che costitui­ diagramma della pressione in
scono la superficie è costante; perciò, è costante anche la velocità di vaporizzazione funzione del tempo mostra che
(o di evaporazione), il numero di molecole che abbandonano la superficie nell’unità di la pressione del vapore aumenta
tempo. D’altra parte, via via che il vapore diventa sempre più popolato, le molecole ur­ finché la velocità di vaporizza-
zione è maggiore della velocità
tano contro la superficie del liquido sempre più frequentemente, quindi la velocità di di condensazione. All’equilibrio,
condensazione aumenta lentamente. Mentre la condensazione continua a compensare la pressione è costante perché
la vaporizzazione, l’aumento della pressione del vapore rallenta. Alla fine, la velocità le due velocità sono uguali. La
di condensazione diventa uguale alla velocità di vaporizzazione, come mostrato nella pressione in questo punto è la
Figura 12.4B. Da questo momento in poi, la pressione del vapore è costante a quella data pressione di vapore del liquido a
quella temperatura.

Equilibrio
velocità di vaporizzazione
>
Pressione di vapore

velocità di condensazione
(T costante)

Vuoto Gas

velocità di vaporizzazione
Tempo =
velocità di condensazione

Liquido Liquido
Tempo
A Le molecole nel liquido B Il numero delle molecole che C
vaporizzano entrano nel liquido nell'unità di
tempo è uguale al numero di
quelle che ne escono

12txt.indd 351 16/05/19 11:02


352 Capitolo 12

temperatura. Da un punto di vista macroscopico, la situazione sembra statica, ma, a


livello molecolare, le molecole entrano nella superficie del liquido e ne escono in nu­
meri uguali nell’unità di tempo. Il sistema ha raggiunto uno stato di equilibrio dinamico:
PRESSIONE DI VAPORE
liquido gas
La Figura 12.4C rappresenta graficamente l’intero processo.
La pressione esercitata dal vapore all’equilibrio è detta pressione di vapore di
equilibrio o, più semplicemente, pressione di vapore del liquido a quella tem­
peratura. Se si impiega un pallone più grande, sono presenti più molecole nella
fase gassosa all’equilibrio; però, purché rimanga una qualche quantità di liquido, la
pressione di vapore rimane invariata. Supponiamo di perturbare questo sistema in
equilibrio estraendo una parte del vapore a temperatura costante, abbassando così
la pressione di vapore. (Se questo sistema fosse costituito da un cilindro munito di
stantuffo, si potrebbe abbassare la pressione spostando lo stantuffo verso l’esterno
per aumentare il volume occupato dal vapore). Il numero delle molecole che rien­
trano nel liquido nell’unità di tempo è minore del numero di quelle che l’abbando­
nano, e quindi la pressione del vapore aumenta finché, dopo un breve intervallo di
tempo, la velocità di condensazione aumenta tanto quanto basta affinché il sistema
raggiunga di nuovo l’equilibrio. Similmente, se si perturba il sistema introducendo­
vi vapore aggiuntivo (o spostando lo stantuffo verso l’interno per diminuire il volu­
me occupato dal vapore) a temperatura costante, aumentando così la pressione, la
velocità di condensazione supera temporaneamente la velocità di vaporizzazione.
Il numero di molecole che entrano nel liquido nell’unità di tempo è maggiore del
numero di quelle che l’abbandonano (il processo inverso è più veloce), ma presto la
velocità di condensazione diminuisce e la pressione raggiunge di nuovo il valore di
equilibrio. Questo comportamento di un liquido puro in contatto con il suo vapore
è un comportamento generale di ogni sistema: quando un sistema in equilibrio viene
perturbato, esso si oppone alla perturbazione e finisce per ristabilire uno stato di equili-
brio. Ritorneremo spesso su questo concetto essenziale nei capitoli seguenti.
Gli effetti della temperatura e delle forze intermolecolari sulla pressione
di vapore La pressione di vapore di una sostanza dipende dalla temperatura. Se
si aumenta la temperatura di un liquido, si aumenta la frazione di molecole che si
muovono a velocità abbastanza alta per fuggire dal liquido e si diminuisce la frazione
di quelle che si muovono tanto lentamente da essere ricatturate. Questo importan­
te concetto è illustrato nella Figu­ra 12.5. In generale, più alta è la temperatura, più
alta è la pressione di vapore.

Figura 12.5 Effetto della


temperatura sulla distribuzio-
ne delle velocità molecolari in
un liquido. Qua­n­do la tempe-
ratura T1 è inferiore a T2, la
velocità molecolare più probabi-
le u1 è inferiore a u2. (Si noti la
somiglianza con la Figu­ra 5.14).
La frazione di molecole con
energia sufficiente per fuggire
dal liquido (area ombreggiata) è
maggiore alla temperatura più
alta. Le visualizzazioni moleco-
lari mostrano che, alla tempe-
ratura T più alta, l’equilibrio
viene raggiunto con un maggior
numero di molecole di gas nello
stesso volume e quindi a una
pressione di vapore più alta.

12txt.indd 352 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 353

900 Figura 12.6 Pressione di


vapore in funzione della tem-
800 34,5 °C 78,5 °C 100,0 °C peratura e delle forze intermo-
760
Etere lecolari. Le pressioni di vapore
700 di tre liquidi rappresentate in
dietilico
funzione della temperatura. A
600
ogni data temperatura (vedi

Pressione di vapore (mmHg)


la linea tratteggiata verticale
500
in corrispondenza di 20 °C),
l’etere dietilico ha la pressione
400
di vapore più alta e l’acqua ha
300
la pressione di vapore più bassa
Etanolo perché l’etere dietilico ha le
200 forze intermolecolari più deboli
Acqua e l’acqua quelle più forti. La
100 linea tratteggiata orizzontale in
corrispondenza di 760 mmHg
indica la temperatura di ebol-
0 lizione normale di ciascun
20 40 60 80 100
liquido, la temperatura a cui la
Temperatura(°C) pressione di vapore è uguale
alla pressione atmosferica al
livello del mare.

La pressione di vapore dipende anche dalle forze intermolecolari presenti. L’energia


cinetica media è la stessa per differenti sostanze a una data temperatura. Perciò, le
molecole con forze intermolecolari più deboli evaporano più facilmente. In genera­
le, più deboli sono le forze intermolecolari, più alta è la pressione di vapore.
Nella Figura 12.6 è rappresentata la pressione di vapore di tre liquidi in funzio­
ne della temperatura. Vi sono due punti da notare. In primo luogo, ciascuna curva
sale sempre più ripidamente all’aumentare della temperatura. In secondo luogo, a
una data temperatura, la sostanza con le forze intermolecolari più deboli ha la pres­
sione di vapore più alta: le forze intermolecolari nell’etere dietilico sono più deboli
di quelle nell’etanolo, le quali sono più deboli di quelle nell’acqua.
La relazione non lineare tra pressione di vapore e temperatura, rappresentata
nella Figura 12.6, può essere espressa come relazione lineare tra ln P e 1/T:

−ΔH vap ⎛ 1 ⎞⎟
ln P = ⎜⎜ ⎟ + C
R ⎝ T ⎟⎠
=y m x + b

dove ln P è il logaritmo naturale della pressione di vapore, ∆Hvap è il calore di Figura 12.7 Diagramma
vaporizzazione, R è la costante universale dei gas [8,31 J/(mol ⋅ K)], T è la tempe­ rettilineo della relazione
tra pressione di vapore e
ratura assoluta e C è una costante (non correlata con il calore specifico molare).
temperatura. L’equazione di
Questa equazione, nota come equazione di Clausius-Clapeyron, offre un me­ Clausius-Clapeyron dà come
todo per trovare il calore di vaporizzazione, l’energia necessaria per vaporizzare curva rappresentativa una
1 mol di molecole nello stato liquido. L’equazione scritta in caratteri blu sot­ retta quando si rappresenta
to l’equazione di Clausius-Clapeyron è l’equazione di una retta, dove y = ln P, il logaritmo naturale della
pressione di vapore (ln P) in
x = 1/T, m (il coefficiente angolare, o pendenza, della retta) = −∆Hvap/R, e b
funzione del reciproco della
(l’intercetta della retta con l’asse y) = C. La Figura 12.7 presenta diagrammi per temperatura assoluta (1/T). Le
l’etere dietilico e l’acqua. Una versione dell’equazione espressa come equazione pendenze (coefficienti angola-
rappresentativa di una retta passante per due punti permette una determinazione ri) (−∆Hvap/R) permettono di
non grafica (analitica) di ∆Hvap: determinare i calori di vaporiz-
zazione dei due liquidi. Si noti
che la pendenza è maggiore
P2 −ΔH vap ⎛⎜ 1 1⎞ (la retta è più ripida) nel caso
ln = ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟ (12.1) dell’acqua perché il suo ∆Hvap è
P1 R ⎝ T2 T1 ⎠
maggiore.

12txt.indd 353 16/05/19 11:02


354 Capitolo 12

Se si conoscono ∆Hvap e P1 alla temperatura T1, si può calcolare la pressione di


vapore (P2) a qualsiasi altra temperatura (T2) o la temperatura a qualsiasi altra pres­
sione di vapore.

Impiego dell’equazione di Clausius-Clapeyron


PROBLEMA DI VERIFICA 12.1
Problema La pressione di vapore dell’etanolo è 115 mmHg alla temperatura di 34,9 °C. Se
∆Hvap dell’etanolo è 38,6 kJ/mol, si calcoli la temperatura (in gradi Celsius) quando la pres­
sione di vapore è 760 mmHg.
Piano Conosciamo ∆Hvap, P1, P2 e T1 e li sostituiamo nell’Equazione 12.1 per risolvere rispet­
to a T2. Il valore di R è 8,31 J/(mol ⋅ K), quindi dobbiamo convertire T1 in kelvin per ottenere
T2 e poi convertire T2 in gradi celsius.
Risoluzione Sostituzione dei valori noti nell’Equazione 12.1 e risoluzione rispetto a T2:
P2 −ΔH vap ⎛⎜ 1 1⎞
ln = ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟
P1 R ⎝ T2 T1 ⎠

T=
1 34, 9 °C + 273,15
= 308, 0 K

760 mmHg ⎛⎜ 38, 6 ×103 J/mol ⎞⎟⎟ ⎛⎜ 1 1 ⎞⎟


ln = ⎜⎜− ⎟⎟ ⎜⎜ − ⎟⎟
115 mmHg ⎜⎝ 8,314 J/ (mol ⋅ K) ⎠ ⎝ T2 308,0 K ⎟⎠
⎡1 ⎤
1,888 = (−4,64 ×103 ) ⎢ − (3,247 ×10−3 )⎥
⎢⎣ T2 ⎥⎦
T2 = 3,52  ×  10 K
2

Conversione di T2 da kelvin a gradi celsius:

T2 = 3,52  ×  102 K − 273,15 = 79 °C
Verifica Arrotondiamo per verificare la matematica. La variazione avviene nel verso giu­
sto: a una P più alta dovrebbe corrispondere una T più alta. Come vedremo in seguito, una
sostanza ha una pressione di vapore di 760 mmHg in corrispondenza della sua temperatura
di ebollizione normale. Consultando il CRC Handbook of Chemistry and Physics vediamo che la
temperatura di ebollizione dell’etanolo è 78,5 °C, molto vicina al valore che abbiamo trovato.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 12.1 A 34,1 °C, la pressione di vapore


dell’acqua è 40,1 mmHg. Quanto vale la pressione di vapore dell’acqua a 85,5 °C? Il ∆Hvap
dell’acqua è 40,7 kJ/mol.

Pressione di vapore e temperatura di ebollizione In un recipiente aperto,


l’atmosfera esercita la sua pressione sulla superficie del liquido. All’aumentare
della temperatura, aumenta il numero di molecole che abbandonano la superficie
del liquido nell’unità di tempo e, inoltre, aumenta la velocità con cui le molecole
si muovono in tutto il liquido. In corrispondenza di una certa temperatura, l’ener­
gia cinetica media delle molecole nel liquido è tanto alta quanto basta affinché
si formino bolle di vapore all’interno del liquido, e questo entra in ebollizione. A
qualsiasi temperatura inferiore, le bolle si infrangono non appena cominciano a
formarsi perché la pressione esterna è maggiore della pressione di vapore all’in­
terno delle bolle. Perciò la temperatura di ebollizione (o punto di ebollizione)
è la temperatura a cui la pressione di vapore è uguale alla pressione esterna, di solito
la pressione atmosferica. Dopo che è cominciata l’ebollizione, la temperatura ri­
mane costante finché non è scomparsa la fase liquida perché il calore fornito al
liquido viene utilizzato dalle molecole per vincere le attrazioni intermolecolari
ed entrare nella fase gassosa.
La temperatura di ebollizione varia con l’altitudine perché la pressione atmo­
sferica varia (diminuisce) con la quota. A quote elevate, è esercitata una pressione

12txt.indd 354 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 355

minore sulla superficie del liquido, e quindi le molecole nel liquido necessitano di
meno energia cinetica per formare bolle. A quote basse, avviene l’opposto. Perciò, la
• Cuocere a bassa
alta pressione
o ad
Le persone che
temperatura di ebollizione dipende dalla pressione applicata. La temperatura di ebollizione vivono nelle regioni montuose o
vi fanno escursioni cuociono i loro
normale si osserva in corrispondenza della pressione atmosferica normale (760 mmHg, pasti a pressioni atmosferiche più
equivalente a 101,3 kPa; vedi la retta tratteggiata orizzontale nella Figura 12.6). basse che al livello del mare. La
Poiché la temperatura di ebollizione è la temperatura a cui la pressione di vapo­ conseguente più bassa temperatura
re è uguale alla pressione esterna, possiamo interpretare le curve della Figura 12.6 di ebollizione del liquido significa
che il cibo impiega più tempo
anche come un diagramma della pressione esterna in funzione della temperatura di per cuocere. D’altra parte, in una
ebollizione. Per esempio, la curva relativa a H2O indica che l’acqua bolle a 100 °C pentola a pressione, la pressione
alla pressione di 760 mmHg (al livello del mare), a 94 °C a 610 mmHg (Boulder, nel è maggiore di quella atmosferica,
Colorado) e a circa 72 °C a 270 mmHg (vetta del Monte Everest). quindi la temperatura all’interno
della pentola sale al di sopra della
temperatura di ebollizione normale.
Equilibri solido-liquido A livello molecolare, le particelle in un cristallo vibrano Il cibo sale a una temperatura più
continuamente attorno alle loro posizioni fisse. All’aumentare della temperatura, alta e quindi impiega meno tempo
le particelle vibrano più energicamente, finché alcune non acquistano energia ci­ per cuocere.
netica sufficiente per spostarsi dalle loro posizioni, e comincia la fusione. Via via
che aumenta il numero delle molecole che entrano nella fase liquida (fusa), alcune
urtano contro il solido e tornano a occupare posizioni fisse. Poiché le fasi rimango­
no in contatto, si stabilisce un equilibrio dinamico quando la velocità di fusione (la
quantità di sostanza che fonde nell’unità di tempo) è uguale alla velocità di solidi­
ficazione (la quantità di sostanza che solidifica nell’unità di tempo). La temperatura
a cui ciò avviene è la temperatura di fusione (o punto di fusione); è uguale alla
temperatura di solidificazione, differisce soltanto il verso in cui fluisce l’energia.
Come nel caso della temperatura di ebollizione, la temperatura di fusione rimane
costante finché sono presenti entrambe le fasi.
I liquidi e i solidi sono quasi incompressibili e quindi una variazione della
pressione ha scarso effetto sul numero di particelle che entrano nel solido o ne
escono nell’unità di tempo. Perciò, a differenza della temperatura di ebollizione,
la temperatura di fusione è influenzata pochissimo dalla pressione, e un diagram­
ma della pressione (rappresentata sull’asse y) in funzione della temperatura (rap­
presentata sull’asse x) per una transizione di fase solido-liquido è generalmente
una retta quasi verticale.

Equilibri solido-gas I solidi hanno pressioni di vapore molto più basse di quelle
dei liquidi. La sublimazione, il passaggio diretto dallo stato solido allo stato gasso­
so, è molto meno familiare della vaporizzazione perché le condizioni necessarie
di temperatura e pressione non sono comuni per la maggior parte delle sostanze.
Alcuni solidi hanno pressioni di vapore sufficientemente alte per sublimare in con­
dizioni ordinarie; alcuni esempi sono il “ghiaccio secco” (diossido di carbonio), lo
iodio (Figura 12.8), gli antitarme (canfora, naftalina) e i deodoranti ambientali so­
lidi. Una sostanza sublima invece di fondere perché la combinazione di attrazioni
intermolecolari e pressione atmosferica non è grande a sufficienza per mantenere Figura 12.8 Sublimazione
le particelle l’una vicina all’altra quando esse abbandonano lo stato solido. Il dia­ dello iodio. A pressione atmo-
gramma della pressione in funzione della temperatura per la transizione solido-gas sferica ordinaria, lo iodio solido
sublima (passa direttamente
mostra un grande effetto della temperatura sulla pressione del vapore; perciò, ha un dallo stato solido allo stato
andamento simile a quello della curva rappresentativa della transizione liquido-gas gassoso). Quando il vapore di
in quanto si piega verso l’alto all’aumentare della temperatura. I2 giunge in contatto con una
superficie fredda, quale la
provetta interna piena d’ac-
Diagrammi di fase: l’effetto della temperatura qua, vi deposita cristalli di I2,
e della pressione sullo stato fisico il fenomeno inverso della subli-
mazione, detto brinamento. La
Per descrivere le transizioni di fase di una sostanza in varie condizioni di tem­ sublimazione è un mezzo di
peratura e pressione, costruiamo un diagramma di fase, che combina le curve purificazione che, insieme alla
distillazione, fu probabilmente
liquido-gas, solido-liquido e solido-gas. La forma del diagramma di fase per CO2,
scoperto dagli alchimisti. (Foto:
presentato nella Figura 12.9A, è tipica della maggior parte delle sostanze. Un dia­ © McGraw-Hill Education/
gramma di fase ha le seguenti quattro caratteristiche. Richard Megna, photographer).

12txt.indd 355 16/05/19 11:02


356 Capitolo 12

DIAGRAMMI DI FASE 1. Regioni del diagramma di fase. Ciascuna regione corrisponde a una fase della sostan­
E STATI DI AGGREGAZIONE za. Una particolare fase è stabile per ogni combinazione di temperatura e pressione
DELLA MATERIA
nella sua regione. Se qualcuna delle altre fasi viene posta in queste condizioni, essa
si trasformerà nella fase stabile. In generale, il solido è stabile a bassa temperatura
e alta pressione, il gas è stabile ad alta temperatura e bassa pressione, e il liquido è
stabile nelle condizioni intermedie.
2.Curve tra le regioni. Le linee che separano le regioni sono le curve di tran­sizione
di fase esaminate precedentemente. Ogni punto lungo una curva rappresenta la
temperatura e la pressione a cui le due fasi coesistono in equilibrio. Si noti che la
curva solido-liquido ha pendenza positiva (si inclina verso destra al crescere della
pressione) perché, per la maggior parte delle sostanze, il solido è più denso del
liquido. Poiché il liquido occupa uno spazio lievemente maggiore di quello occu­
pato dal solido, un aumento della pressione favorisce la fase solida nella maggior
parte dei casi. (L’acqua è la principale eccezione, come vedremo più avanti in
questo capitolo).
3. Il punto critico. La curva liquido-gas termina nel punto critico. Immaginiamo
un liquido in un recipiente chiuso. Quando viene riscaldato, il liquido si espande e
quindi la sua densità diminuisce. Simultaneamente, aumenta la quantità di liquido
che evapora, quindi la densità del vapore aumenta. La densità del liquido e quella
del vapore si avvicinano sempre più finché, in corrispondenza della temperatura
critica (Tc), le due densità diventano uguali e la separazione tra le fasi scompare.
La pressione in corrispondenza della temperatura critica è la pressione critica
(Pc). In questo punto, l’energia cinetica media delle molecole è così alta che il va­
pore non può essere condensato indipendentemente dalla pressione applicata. I
due gas più comuni nell’aria hanno valori della temperatura critica molto minori
della temperatura ambiente: indipendentemente dalla pressione applicata, O2 non
condenserà a temperature superiori a −119 °C, e N2 non condenserà a temperature

punto critico
punto critico
(374 °C, 218 atm)
(31 °C, 73 atm)

SOLIDO LIQUIDO
SOLIDO LIQUIDO
Pressione (atm)

Pressione (atm)

fusione/
solidificazione

1,0
sublimazione/ vaporizzazione/ punto triplo
brinamento condensazione (0,01 °C,
0,006 atm) GAS
1,0 punto triplo
(−57 °C, 5,1 atm)
GAS

−78 31 −1 100

Temperatura (°C) Temperatura (°C)

A. CO2 B. H2O

Figura 12.9 Diagrammi di fase per CO2 e H2O. Ciascuna regione visualizza le temperature e le pressioni a cui la fase è stabile.
Le linee di separazione tra due regioni qualsiasi indicano le condizioni in cui le due fasi coesistono in equilibrio. Il punto critico
indica le condizioni oltre le quali non esistono più la fase liquida e la fase gassosa separate. Al di sopra del punto critico, la fase
liquida non può esistere, indipendentemente dalla pressione. Nel punto triplo, le tre fasi coesistono in equilibrio. (Le scale sugli assi
non sono lineari). A. Il diagramma di fase per il CO2 è tipico della maggior parte delle sostanze in quanto la curva solido-liquido si
inclina verso destra al crescere della pressione: il solido è più denso del liquido. B. L’acqua è una delle poche sostanze la cui curva
solido-liquido si inclina verso sinistra al crescere della pressione: il solido è meno denso del liquido. (Le pendenze delle curve solido-
liquido in entrambi i diagrammi sono esagerate).

12txt.indd 356 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 357

superiori a −147 °C. Oltre la temperatura critica, esiste un fluido supercritico anzi­ • Il notevole comporta-
mento di un fluido supercri-
ché una fase liquida e una fase gassosa separate (vedi nota a lato).
tico Che tipo di sostanza si trova
4. Il punto triplo. Le tre curve di transizione di fase si incontrano nel punto triplo: oltre le familiari regioni del liquido
la temperatura e la pressione a cui le tre fasi coesistono in equilibrio. Il diagramma e del gas? Un fluido supercritico si
dilata e si contrae come un gas ma
di fase per le sostanze con più forme solide, come lo zolfo, hanno più di un punto ha le proprietà solventi di un liquido,
triplo. Per quanto strano possa apparire, nel punto triplo nella Figura 12.9A, il CO2 proprietà che i chimici sono in grado
presenta simultaneamente sublimazione e brinamento, fusione e solidificazione, di variare regolando la densità. Il CO2
vapo­­­rizzazione e condensazione! supercritico è il fluido supercritico
che finora ha ricevuto più attenzione
Il diagramma di fase per CO2 spiega perché il “ghiaccio secco” (CO2 solido) dal settore pubblico e dall’industria.
non fonde in condizioni ordinarie. La pressione nel punto triplo per CO2 è 5,1 atm; Estrae ingredienti apolari da miscele
perciò, a circa 1 atm, non esiste CO2 liquido. Seguendo la retta tratteggiata orizzon­ complesse, per esempio la caffeina
tale nella Figu­ra 12.9A, si può vedere che, quando CO2 solido viene riscaldato alla dai chicchi di caffè, la nicotina dal
tabacco, e i grassi dalle patatine fritte
pressione di 1,0 atm, esso sublima alla temperatura di −78 °C trasformandosi in e dai corn chip, senza asportare gli
CO2 gassoso invece di fondere. Se la pressione atmosferica ordinaria fosse 5,2 atm, ingredienti che conferiscono sapore
il CO2 liquido sarebbe comune. e aroma, per produrre prodotti di
Il diagramma di fase per l’acqua differisce sotto un aspetto essenziale dal caso consumo più sani. Se si abbassa
la pressione, il fluido supercritico
generale e rivela una proprietà estremamente importante (Figura 12.9B). A diffe­ si disperde immediatamente sotto
renza di quasi tutte le altre sostanze, l’acqua solida è meno densa dell’acqua liquida. forma di gas innocuo. Il CO2 super­
Poiché il solido occupa più spazio rispetto al liquido, l’acqua si dilata quando solidi- critico scioglie il grasso dalla carne,
fica. Questo comportamento è dovuto alla peculiare struttura cristallina aperta del insieme ai residui di pesticidi e di far­
maci, che poi possono essere quan­
ghiaccio, che esamineremo in un paragrafo successivo. Come sempre, un aumento tificati e monitorati. At­ tual­
mente
della pressione favorisce la fase che occupa meno spazio, ma nel caso dell’acqua viene studiato come detergente a
questa fase è quella liquida. Perciò, la curva solido-liquido per l’acqua ha pendenza secco rispettoso dell’ambiente. In
negativa (si piega verso sinistra al crescere della pressione): più alta è la pressione, un’inattesa scoperta di grande utilità
potenziale, l’H2O supercritica si è
più bassa è la temperatura a cui l’acqua solidifica. Per esempio, la retta tratteggiata dimostrata capace di sciogliere le
verticale in corrispondenza di −1 °C attraversa la curva solido-liquido, la qual cosa sostanze apolari anche se l’acqua
significa che il ghiaccio fonde con soltanto un aumento della pressione. liquida non ne è capace! Sono in
Il punto triplo dell’acqua si ha a bassa pressione (0,006 atm). Perciò, quando l’ac­ corso studi per effettuare la rimozio­
ne su vasta scala delle sostanze orga­
qua solida viene riscaldata alla pressione di 1,0 atm, la retta tratteggiata orizzontale niche tossiche, quali i PCB (bifenili
attraversa la curva solido-liquido (a 0 °C, la temperatura di fusione ordinaria) ed entra policlorurati), dai rifiuti industriali
nella regione liquida. Perciò, a pressioni ordinarie, il ghiaccio fonde invece di sublima­ estraendoli in H2O supercritica; dopo
re. All’aumentare della temperatura, la retta orizzontale attraversa la curva liquido-gas questa tappa, si aggiunge O2 gassoso
per ossidare le sostanze tossiche a
(a 100 °C, la temperatura di ebollizione ordinaria) ed entra nella regione del gas. piccole molecole innocue.

12.3 TIPI DI FORZE INTERMOLECOLARI


Come abbiamo detto, la natura delle fasi e le loro transizioni sono dovute princi­
palmente alle forze che si esercitano tra le molecole. Sia le forze di legame (forze
intramolecolari) sia le forze intermolecolari si originano dalle attrazioni elettrostati­
che fra cariche di segno opposto. Le forze di legame sono dovute all’attrazione tra
cationi e anioni (legame ionico), tra nuclei e coppie di elettroni (legame covalente)
o tra cationi metallici ed elettroni di valenza delocalizzati (legame metallico). Le
forze intermolecolari, d’altra parte, sono dovute all’attrazione tra molecole in con­
seguenza di cariche parziali o all’attrazione tra ioni e molecole. I due tipi di forze
differiscono nell’intensità, e la legge di Coulomb spiega perché:
• le forze di legame sono relativamente forti perché implicano cariche maggiori
più vicine l’una all’altra;
• le forze intermolecolari sono relativamente deboli perché implicano tipica­
mente cariche minori più lontane l’una dall’altra.
Quanto sono distanti le cariche tra molecole che danno origine alle forze intermo­
lecolari? Consideriamo come esempio Cl2. Quando misuriamo le distanze tra due
nuclei di Cl in un campione di Cl2 solido, otteniamo due differenti valori, come
mostrato nella Figu­ra 12.10. La distanza più corta è quella tra due atomi di Cl legati
nella stessa molecola. Come abbiamo già detto, è la lunghezza di legame, e la metà di

12txt.indd 357 16/05/19 11:02


358 Capitolo 12

Figura 12.10 Raggio covalen-


te e raggio di van der Waals.
Come è mostrato qui per il
cloro solido, il raggio di van der
Waals è uguale alla metà della
distanza tra atomi non legati
adiacenti ( 21   ×  distanza di van del
Waals) e il raggio covalente è
uguale alla metà della distanza
tra atomi legati ( 21   ×  lunghezza di
legame).

questa distanza è il raggio covalente. La distanza più lunga è quella tra due atomi di Cl
H
37 non legati in molecole adiacenti. È detta distanza di van der Waals [dal nome del fisico
110 olandese Johannes van der Waals che studiò gli effetti delle forze intermolecolari sul
4A(14) 5A(15) 6A(16) 7A(17) comportamento dei gas reali]. È la minima distanza di avvicinamento di molecole di
Cl2, il punto in cui le attrazioni intermolecolari equilibrano le repulsioni delle nuvole
C N O F
77 75 73 72 elettroniche. La metà di questa distanza è il raggio di van der Waals, la metà della
165 150 140 135 minima distanza reciproca dei nuclei di atomi di Cl identici non legati. Il raggio di van
P S Cl
der Waals di un atomo è sempre maggiore del suo raggio covalente, ma i raggi di van
110 103 100 der Waals diminuiscono da sinistra a destra lungo un periodo e aumentano dall’alto
190 185 180
al basso lungo un gruppo, così come fanno i raggi covalenti. La Figura 12.11 mostra
Br queste relazioni per molti dei non metalli.
114
195 Esistono parecchi tipi di forze intermolecolari: forze ione-dipolo, forze dipolo-
dipolo, forze di legame idrogeno, forze dipolo-dipolo indotto e forze di dispersio­
I ne. Mentre esamineremo queste forze intermolecolari (dette anche forze di van der
133
215 ­Waals) si tenga presente la Tabella 12.2, che le confronta con le forze intramolecolari
(di legame) più forti e le elenca in ordine d’intensità relativa decrescente.
Figura 12.11 Tendenze perio­
diche nei raggi covalenti e Forze ione-dipolo
nei raggi di van der Waals
(in picometri). Come i raggi Quando uno ione e una molecola polare (dipolo) vicina si attraggono mutuamente,
covalenti (quarti di cerchio blu si origina una forza ione-dipolo. L’esempio più importante si ha quando un com­
e numeri superiori), i raggi di posto ionico si scioglie in acqua. Gli ioni si separano perché le attrazioni tra gli ioni
van der Waals (quarti di cerchio e i poli carichi di segno opposto delle molecole di H2O vincono le attrazioni tra
verdi e numeri inferiori) aumen-
tano dall’alto al basso lungo un
gli ioni stessi. Le forze ione-dipolo in soluzioni e l’energia a esse associata verranno
gruppo e diminuiscono da sini- esaminate esaurientemente nel Capitolo 13.
stra a destra lungo un periodo. Il
raggio covalente di un elemento Forze dipolo-dipolo
è sempre minore del suo raggio
di van der Waals.
Nella Figura 10.15 abbiamo visto come le molecole polari gassose vengono orientate
da un grande campo elettrico esterno. Quando le molecole polari sono l’una vicina
all’altra, come nei liquidi e nei solidi, le loro cariche parziali agiscono da minuscoli
Figura 12.12 Orientamento campi elettrici che le orientano e danno origine a forze dipolo-dipolo: il polo po­
di molecole polari dovuto a sitivo di una molecola attrae il polo negativo di un’altra molecola. La Figura 12.12
forze dipolo-dipolo. Nello stato mostra questi orientamenti.
solido e nello stato liquido, le
molecole polari sono abbastan-
Sono queste le forze che conferiscono al cis-1,2-dicloroetilene polare una tem­
za vicine affinché le cariche peratura di ebollizione superiore a quella del composto trans (vedi Paragrafo 10.4).
parziali di una molecola attrag-
gano le cariche opposte vicine,
in questo modo le molecole si
orientano. La disposizione è
più ordinata nella fase solida
(a sinistra) di una sostanza che
nella fase liquida (a destra) per-
ché, alle temperature più basse
necessarie per la solidificazione,
l’energia cinetica media delle
particelle è più bassa. (Gli spazi
interparticellari sono stati esa-
gerati per chiarezza).

12txt.indd 358 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 359

Tabella 12.2 Confronto delle forze di legame e delle forze di non legame
(intermolecolari)
Base Energia
Forza Modello dell’attrazione (kJ/mol) Esempio
Forze di legame
Forze di Catione-anione 400-4000 NaCl
+ − +
legame ionico
− + −
+ − +

Forze di Nuclei-coppia di e− 150-1100 H H


legame condivisa
covalente

Forze di Cationi-elettroni 75-1000 Fe


legame + + + delocalizzati
metallico
+ + +

+ + +

Forze di non legame (intermolecolari)


H
Forze ione Carica dello ione-carica 40-600 Na+ O
+
dipolo del dipolo H

Forze di legame δ− δ+ δ− Legame polare con 10-40 O H O H


idrogeno A H B carica H-dipolo
H H
(alta elettronegatività
di N, O, F)

Forze dipolo- Cariche dei dipoli 5-25 I Cl I Cl


dipolo

Forze ione- Carica dello ione- 3-15 Fe2+ O2


+
dipolo indotto nuvola elettronica
polarizzabile

Forze dipolo- Carica del dipolo- 2-10 H Cl Cl Cl


dipolo indotto nuvola elettronica
polarizzabile

Forze di Nuvole elettroniche 0,05-40 F F F F


dispersione polarizzabili
(forze di London)

In realtà, nel caso dei composti molecolari aventi all’incirca la stessa dimensione e la
stessa massa, maggiore è il momento di dipolo, maggiori sono le forze dipolo-dipolo
tra le molecole e, quindi, maggiore è l’energia necessaria per separarle.
Consideriamo le temperature di ebollizione dei composti nella Figura 12.13.
Per esempio, il cloruro di metile ha un momento di dipolo minore di quello del­
l’acetaldeide e, quindi, è necessaria meno energia per vincere le forze dipolo-dipolo
tra le sue molecole e il composto bolle a una temperatura inferiore.

Il legame idrogeno
Un tipo particolare di forza dipolo-dipolo si origina tra molecole che hanno un atomo
di H legato a un atomo piccolo, altamente elettronegativo, con coppie di elettroni solitarie.

12txt.indd 359 16/05/19 11:02


360 Capitolo 12

Figura 12.13 Momento di


Momento di dipolo (D × 100)
dipolo e temperatura di ebol-
lizione. Nel caso di composti
Temperatura di ebollizione (K)
aventi masse molari pressoché
uguali, la temperatura di ebol-
lizione aumenta all’aumentare
del momento di dipolo. (Si 400 392
notino le crescenti intensità del 355
colore nei modelli della den- 350
sità elettronica). Il maggiore
momento di dipolo crea forze 300 294
dipolo-dipolo più forti che, per 269
248 249
essere vinte, richiedono tempe- 250 231
rature più alte.
200 187

150 130

100

50
8
0
Propano Etere dimetilico Cloruro di metile Acetaldeide Acetonitrile
CH3CH2CH3 CH3OCH3 CH3Cl CH3CHO CH3CN
44,09 g/mol 46,07 g/mol 50,48 g/mol 44,05 g/mol 41,05 g/mol

Gli atomi più importanti che si adattano a questa descrizione sono quelli di N, O e
F. I legami H N, H O e H F sono altamente polari e quindi la densità elettroni­
ca è allontanata da H. Di conseguenza, l’atomo di H parzialmente positivo di una
molecola è attratto verso la coppia solitaria parzialmente negativa sull’atomo di N,
O o F di un’altra molecola, e si forma un legame idrogeno. Perciò, la sequenza di
atomi che conduce a un legame idrogeno (linea punteggiata) è ,
dove sia A sia B sono N, O o F. Tre esempi sono

Le piccole dimensioni di N, O e F sono essenziali per la formazione del legame


idrogeno per due motivi:
1. rendono questi atomi così elettronegativi che il loro H legato covalentemente
è altamente positivo;
2. permettono alla coppia solitaria sull’altro atomo di N, O o F di avvicinarsi
al­l’atomo di H.

Individuazione di legami idrogeno tra le molecole di una sostanza

PROBLEMA DI VERIFICA 12.2


Problema Quale delle seguenti sostanze presenta legame idrogeno?

(a) (b) (c)


Piano Disegniamo ciascuna struttura per vedere se contenga atomi di N, O o F legati cova­
lentemente a un atomo di H. In caso affermativo, disegniamo due molecole della sostanza
nello schema .
Risoluzione (a) Per C2H6. Non essendoci N, O o F, non si formano legami idrogeno.
(b) Per CH3OH. L’atomo di H legato covalentemente all’atomo di O in una molecola forma

12txt.indd 360 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 361

un legame idrogeno con la coppia solitaria sull’atomo di O di una molecola adiacente:

(c) Per . Due di queste molecole possono formare un legame idrogeno tra l’H
legato a N e O, oppure possono formare i due seguenti legami idrogeno:

H
H O H H H
O H N
H C C N H O C C H oppure H C C C C H
N H O
H H H N H H H
H
H

Una terza possibilità (non rappresentata) potrebbe essere tra un H legato a N su una mole­
cola e la coppia solitaria di N di un’altra molecola.
Verifica È presente la sequenza (con A e B che rappresentano N, O o F).
Commento Si noti che l’atomo di H legato covalentemente all’atomo di C non forma legami
idrogeno perché l’atomo di carbonio non è abbastanza elettronegativo per rendere altamente
polare il legame C H.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 12.2 Quale delle seguenti sostanze


presenta legami idrogeno? Si disegnino i legami idrogeno tra due molecole della sostanza
quando è appropriato.

(a) (b) (c)

L’importanza del legame idrogeno Il legame idrogeno ha un profondo impatto


in molti sistemi. La Figura 12.14 mostra il suo effetto sulle temperature di ebolli­
zione degli idruri binari degli elementi dei Gruppi 4A(14) ÷ 7A(17). Per motivi che
esamineremo tra breve, le temperature di ebollizione aumentano generalmente
all’aumentare della massa molare, come si può vedere negli idruri degli elementi
del Gruppo 4A(14), CH4 ÷ SnH4.

Figura 12.14 Legame idroge-


no e temperatura di ebollizio-
ne. Le temperature di ebollizio-
ne degli idruri binari degli ele-
menti dei Gruppi 4A(14) ÷ 7A(17)
sono rappresentate in funzione
del numero del periodo. I lega-
mi idrogeno in NH3, H2O e HF
conferiscono loro temperature
di ebollizione molto più alte
di quelle che avrebbero se la
tendenza fosse basata sulla
massa molare, come per il
Gruppo 4A(14).

12txt.indd 361 16/05/19 11:02


362 Capitolo 12

Ma negli altri gruppi il primo membro in ciascuna serie — NH3, H2O e HF — devia
enormemente da questo aumento atteso perché legami idrogeno tengono unite
queste molecole. Perciò, è necessaria energia addizionale per rompere i legami idro­
geno prima che le molecole possano separarsi ed entrare nella fase gassosa. Per
esempio, sulla base della sola massa molare, ci si attenderebbe che l’acqua bolla a
una temperatura di circa 200 °C più bassa rispetto a quella a cui bolle effettivamen­
te (linea tratteggiata nella figura). (I legami idrogeno dell’acqua hanno molti effetti
importanti in natura; vedi Paragrafo 12.5).
Anche se la forza di un singolo legame idrogeno è relativamente piccola (∼5%
dell’energia di un tipico legame singolo covalente), la forza combinata di molti lega­
mi idrogeno può essere grande. Consideriamo i legami idrogeno nell’acido deossiribo­
nucleico (DNA), la molecola gigante presente in tutte le cellule dove funge da “pro­
getto” genetico che governa la funzione e la struttura dell’intero organismo. Come
mostrato nella Figura 12.15, il DNA è costituito da due catene molecolari avvolte
l’una attorno all’altra in una lunga doppia elica (vedi anche la scheda Rappresenta­
zione delle molecole, Capitolo 2). Legami covalenti forti legano gli atomi in ciascuna
delle due catene, ma le due catene avvolte l’una attorno all’altra sono unite tra loro
da milioni di legami idrogeno. L’energia totale dei legami idrogeno mantiene unite
le catene durante molti processi; ma ciascun legame idrogeno è così debole che se
ne può rompere un piccolo numero per volta consentendo alle catene di separarsi
durante i processi cruciali della sintesi proteica e della riproduzione cellulare.

Polarizzabilità e forze carica-dipolo indotto


Figura 12.15 Legami cova- Anche se gli elettroni sono localizzati in coppie di legame o in coppie solitarie, essi
lenti e legami idrogeno nella
struttura dell’acido deossiribo-
sono in movimento continuo e quindi vengono spesso visualizzati come “nuvole”
nucleico (DNA). La molecola di di carica negativa. Un campo elettrico vicino è capace di distorcere queste nuvole,
DNA è costituita da due cate- attraendo la densità elettronica verso una carica positiva o allontanandola da una
ne. Ciascuna catena è tenuta carica negativa. In effetti, il campo elettrico induce una distorsione nella nuvola
unita da legami covalenti forti, elettronica. Nel caso di una molecola apolare, questa distorsione dà origine a un
ma milioni di legami idrogeno
legano una catena all’altra per
momento di dipolo indotto temporaneo; nel caso di una molecola polare, aumenta
formare una doppia elica. il momento di dipolo già presente. La sorgente del campo elettrico può essere co­
stituita dagli elettrodi di una batteria, dalla carica di uno ione vicino, o persino dalle
cariche parziali di una molecola polare vicina.
La facilità con cui la nuvola elettronica di una particella può essere distorta è
detta polarizzabilità della particella. Gli atomi (o gli ioni) più piccoli sono meno
polarizzabili di quelli più grandi perché i loro elettroni sono più vicini al nucleo e
sono trattenuti più fortemente.
Perciò:
• la polarizzabilità aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo di atomi (o di ioni)
perché la dimensione aumenta e le nuvole elettroniche più grandi possono
essere di­storte più facilmente;
• la polarizzabilità diminuisce da sinistra a destra lungo un periodo perché la carica
nucleare efficace crescente trattiene più fortemente gli elettroni;
• i cationi sono meno polarizzabili rispetto all’atomo originale perché sono più
piccoli, mentre gli anioni sono più polarizzabili perché sono più grandi.
Le forze ione-dipolo indotto e dipolo-dipolo indotto sono i due tipi di forze carica-
dipolo indotto; sono le più importanti nelle soluzioni, quindi concentreremo l’at­
tenzione su di esse nel Capitolo 13. Ciononostante, il concetto di polarizzabilità è
un concetto generale valido per tutte le forze intermolecolari.

Forze di dispersione (forze di London)


Fino a questo punto abbiamo esaminato le forze intermolecolari che dipendono da
una carica esistente, in uno ione o in una molecola polare. Ma quali forze fanno sì
che sostanze apolari quali l’ottano, il cloro e i gas nobili condensino e solidifichino?

12txt.indd 362 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 363

Figura 12.16 Forze di disper-


sione tra molecole apolari. La
forza di dispersione è responsa-
bile degli stati condensati dei
gas nobili e delle molecole apo-
lari. A. Le molecole di Cl2 sepa-
rate sono apolari. B. Un dipolo
istantaneo in ciascuna molecola
induce un dipolo nella molecola
vicina. Queste cariche parziali
attraggono le molecole l’una
verso l’altra. C. Questo processo
ha luogo tra molecole in tutto il
campione.

Tra le particelle deve agire una forza attrattiva perché altrimenti queste sostanze
sarebbero gas in qualsiasi condizione. La forza intermolecolare che è la principale
responsabile degli stati condensati delle sostanze apolari è la forza di dispersione
(o forza di London, così chiamata dal nome del fisico tedesco Fritz London che
per primo spiegò la base quantomeccanica dell’attrazione).
Le forze di dispersione sono causate da oscillazioni momentanee della carica elet-
tronica. Nel tempo, la carica elettronica in un atomo è distribuita uniformemente
attorno al nucleo, e l’atomo è apolare. Ma in ogni istante la carica può non essere
7A 8A
distribuita uniformemente, e l’atomo ha un dipolo istantaneo capace d'influenzare (17) (18)
gli atomi vicini. Quando sono lontani l’uno dall’altro, gli atomi non si influenzano
Sostanza
reciprocamente. Però, quando sono vicini l’uno all’altro, il dipolo istantaneo presente modello
in ciascun atomo induce un dipolo nell’atomo vicino. Il risultato è un moto sincronizza­ massa molare
He
to degli elettroni nei due atomi, moto che dà origine a un’attrazione tra i due atomi. Temperatura 4,003
Questo processo avviene con altri atomi vicini e, quindi, in tutto il campione. A di ebollizione 4,22
(K)
temperature abbastanza basse, le attrazioni tra i dipoli mantengono uniti tutti gli
atomi. Perciò, le forze di dispersione sono forze istantanee dipolo-dipolo indotto. La F2 Ne
Figura 12.16 illustra le forze di dispersione tra molecole apolari. 38,00 20,18
Le forze di dispersione sono deboli, ma si esercitano tra qualsiasi tipo di particel- 85,0 27,1

delle forze di dispersione


le. Perciò, eccettuate le molecole polari piccole con momenti di dipolo grandi, o

Intensità crescente
quelle capaci di formare legami idrogeno, la forza di dispersione è la forza intermole-
colare dominante tra molecole identiche. L’intensità relativa della forza di dispersione Cl2 Ar
dipende dalla polarizzabilità della particella, la quale, a sua volta, dipende dalla 70,91 39,95
sua dimensione. In generale, perciò, le forze di dispersione aumentano all’aumentare 239 87,3
del numero di elettroni, il quale è strettamente correlato con la massa molare perché le
particelle con massa maggiore hanno più atomi e/o atomi più grandi (più “pesanti”) Br2 Kr
e quindi hanno più elettroni. Per esempio, la Figura 12.17 mostra che, così come 159,8 83,80
la massa molare aumenta dall’alto al basso lungo gli alogeni o i gas nobili, anche le 333 120
forze di dispersione aumentano, un fatto che si riflette nell’aumento delle tempera­
ture di ebollizione.
Nel caso delle sostanze apolari con la stessa massa molare, l’intensità del­ I2 Xe
le forze di dispersione può essere influenzata dalla forma molecolare. Le forme 253,8 131,3
molecolari che permettono un maggior numero di punti di contatto hanno una 458 165
maggiore area su cui le nuvole elettroniche possono essere distorte e quindi ne
conseguono attrazioni più forti. Consideriamo gli idrocarburi n-pentano e neopen­
Figura 12.17 Massa molare
tano, che hanno la stessa formula (C5H12) ma differenti forme. Come mostrato nella e temperatura di ebollizione.
Figura 12.18, l’n-pentano è una catena di cinque atomi di carbonio e ha una forma L’intensità delle forze di disper-
pressocchè cilindrica. Il neopentano ha due rami CH3 che si dipartono da una ca­ sione aumenta all’aumentare del
tena di tre atomi di carbonio e, quindi, ha una forma più sferica. Di conseguenza, numero di elettroni che, di solito,
è correlato con la massa molare.
due molecole di n-pentano fanno maggiore contatto l’una con l’altra rispetto a due
Un effetto è l’aumento della tem-
molecole di neopentano. Un maggiore contatto permette alle forze di dispersione peratura di ebollizione dall’alto
di agire in un maggior numero di punti, quindi l’n-pentano ha una temperatura di al basso lungo i gruppi per gli
ebollizione più alta. alogeni e i gas nobili.

12txt.indd 363 16/05/19 11:02


364 Capitolo 12

Figura 12.18 Forma moleco-


lare e temperatura di ebollizio-
ne. Tra le molecole sferiche del
neopentano c’è meno contatto
rispetto alle molecole cilindriche
dell’n-pentano, quindi il neo-
pentano ha una temperatura di
ebollizione più bassa.

Previsione del tipo e dell’intensità relativa delle forze di dispersione


PROBLEMA DI VERIFICA 12.3
Problema Per ciascuna coppia di sostanze, si identifichino le forze intermolecolari domi­
nanti in ciascuna sostanza e si scelga la sostanza con la temperatura di ebollizione più alta:
(a) MgCl2 o PCl3
(b) CH3NH2 o CH3F
(c) CH3OH o CH3CH2OH
(d) Esano (CH3CH2CH2CH2CH2CH3) o 2,2-dimetilbutano

Piano Esaminiamo le formule e visualizziamo (o disegniamo) le strutture per identificare


differenze essenziali tra i membri di ciascuna coppia. Sono presenti ioni? Le molecole
sono polari o apolari? N, O o F è legato a H? Le molecole hanno differenti masse o forme?
Per ordinare le intensità delle forze intermolecolari, consultiamo la Tabella 12.2 e la
Figura 12.19 e ricordiamo che:
• le forze di legame sono più forti delle forze di non legame (forze intramolecolari);
• il legame idrogeno è un tipo forte di forza dipolo-dipolo;
• le forze di dispersione sono decisive quando la differenza è la massa molare o la forma
molecolare.
(b) Risoluzione (a) MgCl2 è costituito da ioni Mg2+ e Cl− tenuti uniti da forze di legame ionico;
PCl3 è costituito da molecole polari, quindi sono presenti forze intermolecolari dipolo-dipolo;
le forze in MgCl2 sono più forti, quindi la sostanza ha una temperatura di ebollizione più alta.
(b) CH3NH2 e CH3F sono costituiti entrambi da molecole polari aventi all’incirca la stessa massa
(c) molare. CH3NH2 ha legami N H, quindi può formare legami idrogeno (vedi a margine). CH3F
contiene un legame C F ma non un legame H F, quindi sono presenti forze dipolo-dipolo
ma non legami idrogeno. Perciò, CH3NH2 ha la temperatura di ebollizione più alta.
(c) Le molecole CH3OH e CH3CH2OH contengono entrambe un legame O H quindi pos­
sono formare legami idrogeno (vedi a margine). CH3CH2OH ha un gruppo CH2 addi­
zionale e quindi una massa molare maggiore, che è correlata con forze di dispersione; più
(d) forti; perciò ha una temperatura di ebollizione più alta.
(d) L’esano e il 2,2-dimetilbutano sono molecole apolari della stessa massa molare ma
di differenti forme molecolari (vedi a margine). Le molecole cilindriche di esano sono
capaci di stabilire un contatto molecolare più esteso, quindi l’ esano dovrebbe avere
forze di dispersione più forti e una temperatura di ebollizione più alta.
Verifica Le temperature di ebollizione effettive indicano che le nostre previsioni sono
corrette:
(a) MgCl2 (1412 °C) e PCl3 (76 °C)
(b) CH3NH2 (−6,3 °C) e CH3F (−78,4 °C)
(c) CH3OH (64,7 °C) e CH3CH2OH (78,5 °C)
(d) Esano (69 °C) e 2,2-dimetilbutano (49,7 °C)
Commento Sono sempre presenti forze di dispersione, ma in (a) e (b) esse sono molto meno
importanti delle altre forze implicate.

12txt.indd 364 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 365

Figura 12.19 Diagramma


PARTICELLE INTERAGENTI complessivo di analisi delle
(atomi, molecole, ioni) forze intermolecolari in un
campione.

Presenza di ioni Assenza di ioni

H legato a
N, O o F
Solo ioni: Ioni e molecole Solo molecole Molecole Solo molecole
LEGAME IONICO polari: polari: polari e apolari: apolari:
(Paragrafo 9.2) FORZE FORZE FORZE solo FORZE
IONE-DIPOLO DIPOLO-DIPOLO LEGAME DIPOLO-DIPOLO DI DISPERSIONE
IDROGENO INDOTTO

FORZE DI DISPERSIONE PRESENTI

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 12.3 In ciascuna coppia di sostanze,


si identifichino tutte le forze intermolecolari presenti per ciascuna sostanza e si scelga la
sostanza con la temperatura di ebollizione più alta:

(a) CH3Br o CH3F (b) CH3CH2CH2OH o CH3CH2OCH3 (c) C2H6 o C3H8

12.4 PROPRIETÀ DELLO STATO LIQUIDO


Dei tre stati di aggregazione della materia, lo stato liquido è il meno compreso a
livello molecolare. A causa del disordine delle particelle in un gas, ogni regione del
campione è pressoché identica a qualsiasi altra. Come vedremo nel Paragrafo 12.6,
differenti regioni di un solido cristallino sono identiche in virtù dell’ordine delle
sue particelle. Ma i liquidi hanno una combinazione di questi attributi che varia
continuamente: una regione che è ordinata in un certo istante diventa disordinata
nell’istante successivo e viceversa. Nonostante questa complessità a livello moleco­
lare, le proprietà macroscopiche dei liquidi sono ben comprese. In questo paragrafo
esamineremo tre proprietà dei liquidi: tensione superficiale, capillarità e viscosità.

Tensione superficiale
In un campione di liquido, le forze intermolecolari esercitano su una molecola
situata sulla superficie libera del liquido effetti diversi da quelli esercitati su una
molecola situata all’interno del liquido (Figura 12.20). Le molecole interne sono
attratte dalle altre da ogni lato, mentre le molecole sulla superficie libera sono sog­
gette a un’attrazione netta (risultante) orientata all’ingiù e si muovono verso l’interno
per aumentare le attrazioni e diventare più stabili. Perciò, la superficie libera di un
liquido tende ad avere la minima area possibile, quella di una calotta sferica, e si com­
porta come una “pelle tesa” che copre l’interno del liquido. Figura 12.20 Le basi mole-
Per aumentare l’area della superficie, le molecole devono muoversi verso la su­ colari della tensione super-
perficie vincendo alcune attrazioni nell’interno, un processo che richiede energia. ficiale. Le molecole situate
La tensione superficiale è l’energia necessaria per aumentare di una quantità uni­ all’interno di un liquido sono
soggette ad attrazioni intermo-
taria l’area della superficie. Alcuni valori rappresentativi, espressi in joule per metro
lecolari in tutte le direzioni. Le
quadrato (J/m2), sono presentati nella Tabella 12.3. Confrontando questi valori con molecole situate sulla superficie
quelli elencati nella Tabella 12.2, possiamo vedere che, in generale, più forti sono le del liquido sono soggette a
forze interparticellari in un liquido, maggiore è la tensione superficiale. L’acqua ha un’al­ un’attrazione netta orientata
ta tensione superficiale perché le sue molecole formano legami idrogeno multipli. verso il basso (freccia rossa) e si
muovono verso l’interno. Perciò,
I tensioattivi (o surfattanti), quali i saponi, i detergenti, gli agenti per il recupero
un liquido tende a minimizzare il
del petrolio versato accidentalmente e gli emulsionanti biologici dei grassi, dimi­ numero di molecole sulla super-
nuiscono la ten­sione superficiale dell’acqua aggregandosi sulla superficie e rompen­ ficie, il che genera la tensione
do i legami idrogeno. superficiale.

12txt.indd 365 16/05/19 11:02


366 Capitolo 12

Tabella 12.3 Tensione superficiale e forze interparticellari


Tensione superficiale Viscosità (N · s/m2) Forza(e)
Sostanza Formula (J/m2) a 20 °C a 20 °C principale(i)
Etere dietilico CH3CH2OCH2CH3 1,7 u102 0,240 u103 Dipolo-dipolo; dispersione
Etanolo CH3CH2OH 2,3 u102 1,20 u103 Legame idrogeno
Butanolo CH3CH2CH2CH2OH 2,5 u102 2,95 u103 Legame idrogeno; dispersione
Acqua H2O 7,3 u102 1,00 u103 Legame idrogeno
Mercurio Hg 48 u102 1,55 u103 Legame metallico

Capillarità
La salita di un liquido in uno spazio stretto, in apparente contrasto con le ordinarie
leggi della statica dei liquidi, è detta azione capillare o capillarità. Questo fenome­
no viene sfruttato durante le semplici analisi del sangue, in cui viene punto un dito
e viene applicato un tubo sottile, detto tubo capillare, contro l’apertura praticata
nella cute. La capillarità è dovuta a una competizione tra le forze intermolecolari
entro il liquido (forze coesive) e quelle tra il liquido e le pareti del tubo (forze
adesive).
Immaginiamo ciò che avviene a livello molecolare quando si introduce nell’ac­
qua un tubo capillare di vetro. Il vetro è costituito in prevalenza da diossido di silicio
(SiO2), quindi le molecole d’acqua formano legami idrogeno con gli atomi di ossige­
no della parete interna del tubo. Poiché le forze adesive (legami idrogeno) tra l’acqua
e la parete sono più forti delle forze coesive (legami idrogeno) entro l’acqua, uno
strato sottile di acqua risale la parete. Al tempo stesso, le forze coesive che danno
origine alla tensione superficiale mantengono tesa la superficie del liquido. Queste
forze adesive e coesive si combinano per innalzare il livello dell’acqua e generano il
familiare menisco concavo (Figura 12.21A). Il liquido sale finché la forza di gravità
orientata verso il basso non è equilibrata dalle forze adesive orientate verso l’alto.
D’altra parte, se si introduce un tubo capillare di vetro in una vaschetta di mer­
curio, il livello del mercurio nel tubo scende al di sotto di quello nella vaschetta.
Il mercurio ha una tensione superficiale più alta di quella dell’acqua (vedi Tabel­
la 12.3), la qual cosa significa che ha forze coesive (legami metallici) più forti. Le
forze coesive tra gli atomi di mercurio sono molto più forti delle forze adesive (in
prevalenza forze di dispersione) tra il mercurio e il vetro, quindi il liquido tende
a separarsi dalle pareti. Al tempo stesso, gli atomi nella superficie vengono attratti
verso l’interno del mercurio dalla sua stessa tensione superficiale, quindi il livello

Figura 12.21 Forma del meni-


sco formato dall’acqua o dal
mercurio in un tubo di vetro.
A. L’acqua presenta un menisco
concavo in un tubo di vetro per-
ché le forze adesive (legami
idrogeno) tra le molecole di H2O
e i gruppi O Si O sono più
forti delle forze coesive (legami
idrogeno) nell’acqua. B. Il mer-
curio presenta un menisco con-
vesso in un tubo di vetro perché
le forze coesive (legame metalli-
co) nel mercurio sono più forti
delle forze adesive (forze di
dispersione) tra il mercurio e il
vetro. (Foto: © McGraw-Hill
Higher Education/Stephen Frisch
photographer).

12txt.indd 366 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 367

del mercurio si abbassa. La combinazione di queste forze genera un menisco con­ Tabella 12.4 Viscosità
vesso (Figura 12.21B), osservato in un barometro o in un manometro di laboratorio. dell’acqua a
varie temperature
Viscosità Temperatura Viscosità
Quando un liquido fluisce, le sue molecole scorrono l’una accanto all’altra. La viscosi- (°C) (N · s/m2)*
tà di un liquido, la sua resistenza allo scorrimento, è dovuta alle attrazioni intermole­ 20 1,00 u103
colari che si oppongono al movimento. Sia i gas sia i liquidi fluiscono, ma le viscosità 40 0,65 u103
dei liquidi sono più alte perché le forze intermolecolari agiscono su distanze molto 60 0,47 u103
più corte. 80 0,35 u103
La viscosità diminuisce all’aumentare della temperatura, come mostrato dalla * L'unità di misura della viscosità nel
Tabel­la 12.4 nel caso dell’acqua. Quando le molecole si muovono a velocità più alte Sistema Internazionale è il newton per
secondo su metro quadrato (N · s/m2).
a temperature più alte, esse sono capaci di vincere più facilmente le forze intermo­
lecolari e quindi la viscosità diminuisce. Per esempio, quando versiamo dell’olio in
una padella e lo riscaldiamo, possiamo osservare che l’olio fluisce più facilmente e
si disperde per formare uno strato sottile.
Nella viscosità di un liquido interviene la forma molecolare. Le molecole lun­
ghe fanno più contatto l’una con l’altra rispetto a quelle sferiche e quindi, per gli
stessi tipi di forze, i liquidi contenenti molecole lunghe hanno viscosità più alte. Un
esempio sorprendente di variazione di viscosità si osserva durante la preparazione
di uno sciroppo. Anche a temperatura ambiente, una soluzione acquosa concentra­
ta di zucchero ha una viscosità superiore a quella dell’acqua a causa dei legami
idrogeno tra i molti gruppi ossidrile ( OH) sulle molecole di zucchero a forma di
anello. Quando si riscalda lentamente la soluzione portandola all’ebollizione, le mo­
lecole di zucchero reagiscono l’una con l’altra e si legano covalentemente, forman­
do gradualmente lunghe catene. Legami idrogeno e forze di dispersione sono pre­
senti in molti punti lungo le catene, e lo sciroppo che si forma è un liquido viscoso
che scorre lentamente e aderisce a un cucchiaio. Quando uno sciroppo viscoso
viene raffreddato, può diventare così rigido da poter essere sollevato e disteso a
formare una caramella morbida. La scheda Proprietà dei liquidi presenta altri esempi
familiari di queste tre proprietà dei liquidi.

12.5 L’UNICITÀ DELL’ACQUA


L’acqua è una sostanza assolutamente stupefacente, ma è così familiare che la diamo
per scontata. In realtà, l’acqua ha alcune delle proprietà più insolite di qualsiasi so­
stanza. Queste proprietà, che sono essenziali per l’esistenza della vita stessa, si ori­
ginano inevitabilmente dalla natura degli atomi di H e di O che ne costituiscono la
molecola. Ciascun atomo raggiunge un livello esterno pieno condividendo elettroni
in legami covalenti singoli. Con due coppie di legame e due coppie solitarie attorno
all’atomo di O e una grande differenza di elettronegatività in ciascun legame O ­
H, la molecola di H2O è piegata e altamente polare. Questa disposizione è cruciale
perché permette a ciascuna molecola d’acqua di partecipare a quattro legami idro­
geno con le molecole d’acqua vicine (Figura 12.22). Da queste fondamentali pro­
prietà atomiche e molecolari emerge un comportamento macroscopico unico e
notevole.

Proprietà solventi dell’acqua


Figura 12.22 Capacità della
Il grande potere solvente dell’acqua è dovuto alla sua polarità e alla sua eccezionale molecola d’acqua di formare
capacità di formare legami idrogeno. L’acqua scioglie i composti ionici mediante legami idrogeno. Una molecola
forze ione-dipolo che separano gli ioni dal solido e li mantengono in soluzione di H2O, avendo due legami
(vedi Figu­ra 4.3). L’acqua scioglie molte sostanze non ioniche polari, quali l’etanolo O H e due coppie ioniche, può
formare fino a quattro legami
(CH3CH2OH) e il glucosio (C6H12O6), formando con esse legami idrogeno. L’acqua idrogeno con le molecole di H2O
scioglie anche in misura limitata gas apolari, come quelli presenti nell’atmosfera, circostanti, che sono disposte
mediante forze dipolo-dipolo indotto e forze di dispersione. Queste proprietà sol­ tetraedricamente.
venti verranno esaminate nel capitolo seguente.

12txt.indd 367 16/05/19 11:02


368 Capitolo 12

Per la sua capacità di sciogliere così tante sostanze, l’acqua è il solvente ambientale
e biologico, che forma le soluzioni complesse che chiamiamo oceani, mari, laghi,
corsi d’acqua e liquidi cellulari. Gli animali acquatici non potrebbero sopravvivere
senza O2 disciolto, né le piante acquatiche potrebbero sopravvivere senza CO2 di­
sciolto. Le scogliere coralline che coprono il fondo del mare alle latitudini tropicali
sono costituite da carbonati prodotti da minuscoli animali marini a partire da CO2
e HCO3− disciolti. Si ritiene che la vita si sia originata in un “brodo primordiale”, una
miscela acquosa di biomolecole semplici da cui emersero le molecole più grandi le
cui reazioni automantenute sono caratteristiche degli esseri viventi. Da un punto di
vista chimico, tutti gli organismi, dai batteri agli esseri umani, possono essere consi­
derati come sistemi organizzati di membrane che racchiudono e compartimentano
soluzioni acquose complesse.

Proprietà termiche dell’acqua


L’acqua ha un calore specifico (o capacità termica specifica) eccezionalmente alto, più
alto di quello di quasi tutti gli altri liquidi. Come abbiamo visto nel Paragrafo 6.3,
il calore specifico è una misura della quantità di calore assorbita da una sostanza
per un dato aumento di temperatura. Quando si fornisce calore a una sostanza, una
parte dell’energia termica aumenta la velocità molecolare media, una parte aumen­
ta le vibrazioni e rotazioni molecolari, e una parte è utilizzata per vincere le forze
intermolecolari. L’acqua, avendo così tanti legami idrogeno forti, ha un alto calore
specifico. Grazie al fatto che gli oceani e i mari coprono circa il 70% della superficie
terrestre, il calore solare che incide sulla superficie terrestre durante il giorno causa
variazioni relativamente piccole della temperatura, permettendo la vita sul nostro
pianeta. Sulla Luna, priva di acqua e di atmosfera, le temperature possono variare da
100 °C a −150 °C durante lo stesso giorno lunare. Anche nei deserti terrestri, dove
una densa atmosfera attenua questi estremi di temperatura, sono comuni differenze
di temperatura tra giorno e notte di 40 °C.
Numerosi legami idrogeno forti conferiscono all’acqua un calore di vaporizza-
zione eccezionalmente alto. Un rapido calcolo mostra quanto sia essenziale questa
proprietà per la nostra esistenza. Quando un campione di 1000 g di acqua assorbe
circa 4 kJ di calore, la sua temperatura aumenta di 1 °C. Però, con un ∆H 0vap di
2,3 kJ/g, devono evaporare meno di 2 g di acqua per mantenere costante la tem­
peratura dei restanti 998 g. L’adulto umano medio ha 40 kg di acqua corporea e
genera circa 10 000 kJ di calore al giorno con il metabolismo. Se questa quantità di
calore venisse utilizzata soltanto per aumentare l’energia cinetica media dell’acqua
corporea, l’aumento di temperatura significherebbe la morte immediata. Invece, il
calore viene convertito in energia potenziale mentre rompe i legami idrogeno e
fa evaporare il sudore, assicurando una temperatura corporea stabile e una perdita
minima di liquido corporeo. L’energia solare fornisce il calore di vaporizzazione
dell’acqua marina. Il vapore acqueo che si forma alle latitudini calde si muove at­
traverso l’atmosfera e la sua energia potenziale viene rilasciata sotto forma di calore
per riscaldare le regioni più fredde quando il vapore condensa trasformandosi in
pioggia. L’enorme quantità di energia che interviene in questo riciclo dell’acqua
alimenta i temporali e i venti su tutto il pianeta.

Proprietà di superficie dell’acqua


I legami idrogeno che conferiscono all’acqua le sue proprietà termiche sono respon­
sabili anche della sua alta tensione superficiale e della sua alta capillarità. Eccettuati
alcuni metalli e sali fusi, l’acqua ha tensione superficiale più alta di qualsiasi liquido.
Questa proprietà è essenziale per la vita acquatica di superficie perché mantiene
uno strato di detriti vegetali sulla superficie degli stagni, fornendo riparo e nutrien­
ti a molti pesci, insetti e microrganismi. L’alta capillarità dell’acqua, dovuta alla sua
alta tensione superficiale, è cruciale per le piante terrestri. Durante i periodi aridi,
le radici delle piante assorbono l’acqua sotterranea profonda, che sale per azione
capillare attraverso i piccoli spazi tra le particelle del suolo.

12txt.indd 368 16/05/19 11:02


Scheda di approfondimento
Proprietà dei liquidi
Dei tre stati di aggregazione della materia, soltanto i liquidi combi­
nano la fluidità con la resistenza che deriva dal contatto intermo­
lecolare, e questa combinazione si manifesta in molte applicazioni.

Goccioline sferiche su superfici cerose


Le forze adesive (forze dipolo-dipolo indotto) tra l’acqua e una superficie
apolare sono molto più deboli delle forze coesive (legami idrogeno) inter­
ne dell’acqua. Di conseguenza, l’acqua si separa da una superficie apolare
e forma goccioline sferiche, simili a perline. È l’effetto che si osserva
dopo un acquazzone quando l’acqua forma perline su un petalo di un
fiore o sulla carrozzeria cerata di recente. (Foto: © Ledyx/Shutterstock).

Mantenimento della viscosità di Minimizzazione di una superficie


un olio lubrificante per motori Nell’ambiente a bassa gravità di una navetta spaziale in orbita attorno alla
Per proteggere le parti di un moto­ Terra, la tendenza di un liquido a minimizzare la sua superficie crea gocce
re automobilistico durante i lunghi perfettamente sferiche, differenti dalle gocce appiattite (schiacciate) che si
percorsi o quando fa caldo, condizioni osservano sulla superficie terrestre. Per lo stesso motivo, le bollicine in una
in cui un olio diventerebbe di solito bevanda analcolica sono sferiche perché il liquido impiega il numero minimo
troppo fluido, gli oli lubrificanti per necessario di mole­cole per circondare il gas. Un insetto della famiglia dei ger­
motori contengono additivi, detti po- ridi scivola sulla superficie di uno stagno grazie alle sue lunghe zampe che
limeri miglioratori dell’indice di viscosità, non esercitano una pressione sufficiente a superare la tensione superficiale.
che agiscono da addensanti. Quando (Foto: © Nuridsany & Perennou/Science Source).
l’olio si riscalda, le molecole dell’addi­
tivo cambiano forma da sfere compat­
te a filamenti simili a spaghetti e si
intrecciano con le molecole idrocarbu­
riche dell’olio. L’aumento delle forze di
dispersione produce un aumento della
viscosità che compensa la diminuzione
causata dal riscaldamento.

Azione capillare dopo una doccia


La carta e il cotone sono costituiti da fibre di
cellulosa, lunghe molecole contenenti Funzionamento
carbonio a cui sono legati molti gruppi di una penna a sfera
ossidrile ( OH). Un asciugamano ci asciuga Le parti essenziali di una penna
in due modi. In primo luogo, l’azione capilla­ a sfera sono la sfera mobile e l’in­
re (capillarità) asporta le molecole d’acqua dal chiostro viscoso. Il materiale del­
nostro corpo trasferendole tra le molecole di la sfera è scelto per le forti forze
cellulosa situate a breve distanza l’una adesive tra esso e l’inchiostro. Le
dall’altra. In secondo luogo, le molecole forze coesive nell’inchiostro sono
d’acqua stesse formano legami idrogeno sostituite da quelle forze adesive
adesivi con i gruppi OH della cellulosa. quando l’inchiostro “bagna” la
(Foto: © Purestock/SuperStock). sfera. Quando la sfera rotola sul
foglio di carta, le forze adesive
tra la sfera e l’inchiostro vengo­
no vinte da quelle tra l’inchiostro
e la carta. Il resto dell’inchiostro
rimane nella penna in virtù della
sua alta viscosità.

12txt.indd 369 16/05/19 11:02


370 Capitolo 12

La densità dell’acqua solida e liquida


Come abbiamo visto nella Figura 12.22, attraverso i legami idrogeno dell’acqua,
ciascun atomo di O può connettersi fino ad altri quattro atomi di O mediante quat­
tro atomi di H. La continuazione di questo schema attraverso molte molecole in
una disposizione fissa conferisce al ghiaccio la struttura aperta esagonale mostrata
nella Figu­ra 12.23A. L’elegante simmetria dei fiocchi di neve, mostrata nella Figura
12.23B, rispecchia questa organizzazione esagonale.
Questa organizzazione spiega la pendenza negativa della curva solido-liquido
nel diagramma di fase dell’acqua (vedi Figura 12.9B). Quando si applica una pres­
sione esterna, alcuni legami idrogeno si rompono; di conseguenza, alcune molecole
d’acqua entrano negli spazi rimasti aperti. La struttura cristallina si demolisce e il
campione liquefa.
I grandi spazi all’interno del ghiaccio conferiscono allo stato solido una densità
più bassa di quella dello stato liquido. Quando la superficie di un lago congela in
inverno, il ghiaccio così formato galleggia sull’acqua liquida sottostante. Se l’acqua
solida fosse più densa dell’acqua liquida, come avviene per quasi tutte le altre so­
stanze, la superficie di un lago congelerebbe e affonderebbe ripetutamente fino alla
solidificazione dell’intero lago. La vita acquatica non sopravviverebbe di anno in
anno.
La densità dell’acqua varia in modo complesso. Quando il ghiaccio fonde a 0 °C,
la disposizione tetraedrica attorno a ciascun atomo di O si demolisce, e le molecole
Figura 12.23 La struttura rese libere assumono un impaccamento (o impacchettamento) molto più compat­
esagonale del ghiaccio. A. In to, riempiendo gli spazi nella struttura solida che sta crollando. Di conseguenza,
conseguenza della disposizione
l’acqua raggiunge la massima densità (1,00 g/mL) a circa 4 °C (3,98 °C). Quando
geometrica dei legami idroge-
no in H2O, il ghiaccio ha una si aumenta il riscaldamento, la densità diminuisce attraverso la dilatazione termica
struttura cristallina esagonale normale.
aperta. Perciò, quando l’acqua La variazione della densità dell’acqua è essenziale per la vita nelle acque dolci.
liquida solidifica, il volume Quando l’acqua di un lago si raffredda in autunno e all’inizio dell’inverno, essa di­
aumenta. B. La delicata bellezza
venta più densa prima di congelare. Analogamente, in primavera, il ghiaccio meno
a sei punte di un fiocco di neve
rispecchia la struttura cristallina denso si scioglie per formare acqua più densa prima che l’acqua si dilati. Durante en­
esagonale del ghiaccio. (Foto: © trambe queste variazioni stagionali della densità, lo strato superiore dell’acqua rag­
Scott Camazine/Science Source). giunge il punto di alta densità e affonda. Lo strato successivo dell’acqua sale essendo
un po’ meno denso, raggiunge la temperatura di 4 °C, e affonda similmente. Questo
processo di affondamento e risalita distribuisce i nutrienti e l’ossigeno disciolto.
La dilatazione e la contrazione dell’acqua influenzano drasticamente anche le
terre emerse. Quando l’acqua piovana riempie le fessure tra le rocce e poi congela,
applica alle rocce grandi sforzi verso l’esterno, che scompariranno soltanto quando
il ghiaccio si scioglierà. Nel corso del tempo, questi sforzi ripetuti da congelamento-
scioglimento frantumano le rocce. Nel corso di eoni di cambiamento geologico,
questo effetto ha contribuito a produrre la sabbia e il suolo del pianeta.
Le proprietà dell’acqua e le loro conseguenze di vasta portata illustrano il tema
che si dispiega in tutto il libro: il mondo che conosciamo è lo sviluppo macrosco­
pico graduale del mondo atomico che cerchiamo di conoscere. La Figura 12.24 mo­
stra come le proprietà dell’acqua descrivano il tema centrale della chimica: come
dalle proprietà atomiche dipendano le proprietà molecolari, da queste le interazioni
tra le molecole e, infine, le proprietà macroscopiche.

12.6 LO STATO SOLIDO: STRUTTURA, PROPRIETÀ


E LEGAMI
Se si visita la collezione di minerali di una scuola o di un museo si rimane colpiti
dalla straordinaria varietà e bellezza di questi solidi. In questo paragrafo, prima esa­
mineremo le caratteristiche strutturali generali dei solidi cristallini e poi descrivere­
mo un metodo di laboratorio per studiarli. Esamineremo le proprietà dei principali
tipi di solidi e troveremo l’intera gamma di forze intermolecolari in azione. Poi pre­
senteremo un modello per il legame nei solidi che spiega molte delle loro proprietà.

12txt.indd 370 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 371

Figura 12.24 Il peculiare


Proprietà atomiche
comportamento macroscopico
di ossigeno e idrogeno
dell'acqua dipende dalle pro-
prietà atomiche e molecolari.

Proprietà molecolari
dell’acqua

Polarità

Legame idrogeno

Solvente Capacità
Tensione Struttura
per composti termica
superficiale aperta
ionici e di
e capillarità del ghiaccio
e molecolari vaporizzazione

• ioni nell'acqua di mare, • stretto intervallo • vita acquatica sulla • sopravvivenza della vita
nell'acqua dolce naturale di temperature corporee superficie dei laghi lacustre in inverno
e nel liquido cellulare
• stretto intervallo • acqua nel suolo per • turnover dei nutrienti
• CO2 disciolto per scogliere di temperature planetarie le piante nei laghi
madreporiche e piante
• ciclo naturale dell'acqua • formazione di rocce,
acquatiche
ciottoli, sabbia, suolo
• venti e temporali
• O2 disciolto per gli animali
acquatici
• zuccheri, proteine ecc.
disciolti

Caratteristiche strutturali dei solidi


Possiamo suddividere i solidi in due categorie generali sulla base del grado di Figura 12.25 La stupefacente
ordine delle loro forme, che a sua volta si basa sul grado di ordine delle loro bellezza dei solidi cristallini.
La simmetria e la regolarità
particelle. I solidi cristallini hanno generalmente una forma ben definita, come dei cristalli sono dovute alla
mostrato nella Figu­ra 12.25, perché le loro particelle (atomi, molecole o ioni) sono disposizione ordinata delle loro
disposte in una struttura ordinata. I solidi amorfi hanno forme mal definite per­ particelle. Da sinistra a destra:
ché sono privi di un vasto ordine delle loro particelle a livello molecolare. Di segui­ wulfenite, barite, berillo, quarzo.
(Foto da sinistra a destra: ©
to concentreremo l’attenzione per la maggior parte sui solidi cristallini.
Matteo Chinellato/Shutterstock.
com; © Albert Russ/Shutterstock.
Il reticolo cristallino e la cella elementare Se fossimo in grado di vedere le par­ com; © Gabbro/Alamy; © Walter
ticelle all’interno di un cristallo, troveremmo che esse sono impaccate strettamente Geiersperger/Corbis).

12txt.indd 371 16/05/19 11:02


372 Capitolo 12

in una disposizione tridimensionale ordinata. Consideriamo il caso più semplice, in


cui tutte le particelle sono sfere identiche, e immaginiamo un punto nella stessa po­
sizione all'interno di ciascuna particella, per esempio nel suo centro. I punti formano
in tutto il cristallo una disposizione regolare detta reticolo cristallino. Perciò, il
reticolo è costituito da tutti i punti con vicini identici. In altri termini, se rimuovessimo
il resto di ciascuna particella, lasciando soltanto il punto reticolare, e venissimo
trasportati di punto in punto, non saremmo in grado di stabilire di esserci mossi. Si
tenga presente che non esiste una disposizione preesistente di punti reticolari; inve­
ce, la disposizione dei punti rappresentativi delle particelle definisce il reticolo.
La Figura 12.26A mostra una parte di un reticolo e la cella elementare (o
primitiva), la più piccola parte del cristallo che, se ripetuta in tutte e tre le dire­
zioni, genera il cristallo. Un’analogia bidimensionale per una cella elementare e un
cristallo si può vedere in una scacchiera (Figura 12.26B), in una porzione di un
pavimento piastrellato, in una porzione di carta da parati o in qualsiasi altra figura
costruita mediante la ripetizione di un’unità elementare. Il numero di coordina-
zione di una particella in un cristallo è il numero di primi vicini che la circondano.
Si osservano in natura 7 sistemi cristallini e 14 tipi di cella elementare, ma qui
ci interesseremo principalmente del sistema cubico, che dà origine al reticolo cubi­
co. Gli stati solidi della maggior parte degli elementi metallici, di alcuni composti
covalenti e di molti composti ionici si presentano come reticoli cubici. (Un po’
più avanti descriveremo anche la cella elementare esagonale). Nel sistema cubico
esistono i seguenti tre tipi di celle elementari.
Figura 12.26 Il reticolo cri-
stallino e la cella elementare. 1. Nella cella elementare cubica semplice, mostrata nella Figura 12.27A, i
A. Il reticolo è una disposizione centri di otto particelle definiscono i vertici di un cubo. Le attrazioni uniscono
di punti che definisce le posizio- le particelle, quindi esse si toccano lungo gli spigoli del cubo; ma non si tocca­
ni delle particelle nella struttura
no diagonalmente lungo le facce del cubo o attraverso il suo centro. Il numero
di un cristallo. È mostrato qui
con i punti connessi da linee. di coordinazione di ciascuna particella è 6: quattro nel suo stesso strato, una
Una cella elementare (in colore) nello strato superiore e una nella strato inferiore.
è la più semplice disposizione 2. Nella cella elementare cubica a corpo centrato, mostrata nella
di punti che produce il reticolo Figura 12.27B, una particella risiede in ciascun vertice e nel centro del cubo.
quando è ripetuta in tutte le
Le particelle situate nei vertici non si toccano, ma tutte toccano quella situata
direzioni. È mostrata una cella
elementare cubica, uno dei 14 nel centro. Ciascuna particella è circondata da otto primi vicini, quattro al di
tipi di cella elementare che sopra e quattro al di sotto, quindi il numero di coordinazione è 8.
sono presenti in natura. B. Una 3. Nella cella elementare cubica a facce centrate, mostrata nella Figura 12.27C,
porzione di una scacchiera è una particella è situata in ciascun vertice e nel centro di ciascuna faccia del
un’analogia bidimensionale di
cubo, ma non nel centro. Le particelle situate nei vertici toccano quelle situate
un reticolo cristallino.
nelle facce, ma non si toccano l’una l’altra. Il numero di coordinazione è 12.

Una cella elementare è adiacente a un’altra in tutto il cristallo, senza soluzioni di


continuità, quindi una particella in un vertice o su una faccia è condivisa da celle
elementari adiacenti. Come si può vedere dalla Figura 12.27 (terza riga dall’alto),
nelle tre celle elementari cubiche la particella in ciascun vertice fa parte di otto
celle adiacenti, quindi 18 di ciascuna di queste particelle appartiene a ciascuna cella
elementare (ultima riga). Un cubo ha otto vertici, quindi ogni cella elementare cu­
bica semplice contiene 8  ×  18 di particella = 1 particella. La cella elementare cubica
a corpo centrato contiene una particella derivante da 18 di particella in ciascuno
degli otto vertici e una particella nel centro, per un totale di due particelle; la cella
elementa­re cubica a facce centrate contiene quattro particelle, una derivante da 18
di particella in ciascuno degli otto vertici e tre derivanti da 12 particella in ciascuna
delle sei facce.

Efficienza di impaccamento e creazione delle celle elementari Le celle


elementari presenti in natura si originano dai vari modi in cui gli atomi sono im­
paccati, che sono simili ai modi in cui vengono impaccate le sfere macroscopiche
– biglie, palle da golf, frutta – per la spedizione o l’esposizione.

12txt.indd 372 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 373

A Cella elementare B Cella elementare cubica C Cella elementare cubica


cubica semplice a corpo centrato a facce centrate

numero di coordinazione = 6 numero di coordinazione = 8 numero di coordinazione = 12

–1di atomo in
–1 –1di atomo in 8
8 di atomo in 8 8 vertici
8 vertici 8 vertici

1

1 atomo nel 2 di atomo nel
centro di 6 facce
centro della cella

1 1 1 1
Atomi/cella elementare = 8– × 8 = 1 Atomi/cella elementare = ( 8– × 8) + 1 = 2 Atomi/cella elementare = ( 8– × 8) + ( 2– × 6) = 4

Figura 12.27 Le tre celle elementari cubiche. A. Cella elementare cubica semplice. B. Cella elementare cubica a corpo cen-
trato. C. Cella elementare cubica a facce centrate. Prima riga: disposizioni cubiche di atomi in vista espansa. Seconda riga: visua-
lizzazione space-filling di queste disposizioni cubiche. Per chiarezza, gli atomi nei vertici sono rappresentati in blu, gli atomi nel
centro del corpo della cella in rosa e gli atomi nel centro delle facce in giallo. Terza riga: una cella elementare (ombreggiatura
blu) in una porzione del cristallo. Una particella (blu scuro in centro) circondata dal numero dato di primi vicini indica il numero
di coordinazione. Riga inferiore. Numeri totali di atomi nelle celle elementari effettive. La cella elementare cubica semplice ha un
solo atomo, la cella elementare cubica a corpo centrato ne ha due, e la cella elementare cubica a facce centrate ne ha quattro.

12txt.indd 373 16/05/19 11:02


374 Capitolo 12

Nel caso di particelle dello stesso raggio, maggiore è il numero di coordinazione del
cristallo, maggiore è il numero di particelle in un dato volume. Perciò, come indicano
i numeri di coordinazione nella Figura 12.27, una struttura cristallina basata sulla
cella elementare a facce centrate contiene più particelle impaccate in un dato vo­
lume rispetto a una basata sulla cella elementare cubica a corpo centrato, la quale
ne contiene di più rispetto a una basata sulla cella elementare cubica semplice.
Vediamo come si possono impaccare sfere dello stesso raggio per creare queste celle
elementari e anche la cella elementare esagonale.
1. La cella elementare cubica semplice. Supponiamo di disporre il primo strato di
sfere come viene mostrato nella Figura 12.28A. Si notino i grandi spazi rombici
(spaccato). Se collochiamo il successivo strato di sfere direttamente sopra il primo,
come mostrato nella Figura 12.28B, otteniamo una disposizione basata sulla cella
elementare cubica semplice. Se calcoliamo l’efficienza di impaccamento (o di
impacchettamento) di questa disposizione, cioè la percentuale del volume totale oc­
cupata dalle sfere stesse, troviamo che soltanto il 52% del volume disponibile delle
celle elementari è occupato da sfere e che il 48% è costituito dallo spazio vuoto tra
di esse. Questo modo di impaccare le sfere è molto inefficiente e quindi né i frutti
né gli atomi sono di solito impaccati in questo modo.
2. La cella elementare cubica a corpo centrato. Invece di collocare il secondo strato
direttamente sul primo, possiamo sfruttare più efficientemente lo spazio collocan­
do le sfere (colorate differentemente per chiarezza) sugli spazi rombici nel primo
strato, come mostrato nella Figura 12.28C. Poi impacchiamo il terzo strato sugli
spazi nel secondo in modo che il primo strato e il terzo si allineino verticalmente.
Questa disposizione si basa sulla cella elementare cubica a corpo centrato e la sua
efficienza di impaccamento è pari al 68%, molto maggiore di quella consentita dal­
la cella elementare cubica semplice. Parecchi elementi metallici, comprendenti il
cromo, il ferro e tutti gli elementi del Gruppo 1A(1), hanno una struttura cristallina
basata sulla cella elementare cubica a corpo centrato.
3. La cella elementare esagonale e la cella elementare cubica a facce centrate. Le sfere
possono essere impaccate ancor più efficientemente. Prima spostiamo i filari nello
strato di fondo in modo tale che gli spazi rombici grandi diventino spazi triangolari
più piccoli. Poi collochiamo il secondo strato su questi spazi. La Figura 12.28D mostra
questa disposizione, con il primo strato contrassegnato con a (in arancio) e il secondo
strato con b (in verde).
Possiamo collocare il terzo strato di sfere in due modi e, a seconda del modo
adottato, si originano due differenti celle elementari. Se guardiamo attentamente
gli spazi formati nello strato b della Figura 12.28D, vediamo che alcuni sono di
colore arancio perché giacciono sopra sfere nello strato a, mentre altri sono bianchi
perché giacciono sopra spazi nello strato a. Se collochiamo il terzo strato di sfere (in
arancio) sopra gli spazi di colore arancio (verso il basso e a sinistra fino alla Figura
12.28E), esse giacciono direttamente su sfere nello strato a e otteniamo uno sche­
ma di stratificazione abab... perché ogni altro strato è collocato in modo identico.
Otteniamo così l’impaccamento esagonale compatto (hexagonal closest packing,
hcp), basato sulla cella elementare esagonale.
D’altra parte, se collochiamo il terzo strato di sfere (in blu) sugli spazi bianchi
(verso il basso e a destra fino alla Figura 12.28F), le sfere giacciono su spazi nello
strato a. Questa collocazione è diversa sia dallo strato a sia dallo strato b, quindi ot­
teniamo uno schema abcabc... Otteniamo così l’impaccamento cubico compat-
to (cubic closest packing, ccp), basato sulla cella elementare cubica a facce centrate.
L’efficienza di impaccamento sia dell’esagonale compatto sia del cubico com­
patto è pari al 74% e il numero di coordinazione di entrambi è 12. È impossibile
impaccare sfere dello stesso raggio in modo più efficiente. La maggior parte degli
elementi metallici cristallizzano nell’una o nell’altra di queste disposizioni. Il ma­

12txt.indd 374 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 375

A B Cella elementare cubica semplice (52%) C cella elementare cubica


a corpo centrato (68%)

strato a

strato b
successivo strato c
strato a

o all’
ent to im
am t cub pacc
p acc ompa ico am
im c com ento
all’ onale pat
g to
esa

D Impaccamento compatto del primo


e del secondo strato

vista laterale in spaccato vista laterale


vista laterale in spaccato che mostra la cella inclinata
che mostra la cella vista laterale espansa vista laterale espansa elementare cubica della cella
elementare esagonale a facce centrate elementare

E Impaccamento esagonale F Impaccamento cubico


compatto (abab...) (74%) compatto (abcabc...) (74%)

Figura 12.28 Impaccamento di sfere. A. Nel primo strato, ciascuna sfera è adiacente a un’altra sfera orizzontalmente e ver-
ticalmente; si notino i grandi spazi rombici (spaccato). B. Se le sfere nello strato successivo sono poste direttamente sopra quelle
nel primo strato, l’impaccamento è basato sulla cella elementare cubica semplice (cubo arancio chiaro, vertice inferiore destro).
C. Se le sfere nello strato successivo sono poste negli spazi rombici dello strato precedente, l’impaccamento è basato sulla cella
elementare cubica a corpo centrato (vertice inferiore destro). D. L’impaccamento più compatto possibile del primo strato (a; in
arancio) si ottiene spostando ogni altro filare nella parte A, riducendo così gli spazi rombici a spazi triangolari più piccoli. Le
sfere del secondo strato (b; in verde) sono poste sopra queste sfere; si notino gli spazi arancio e bianchi che ne conseguono. E. Si
segua la freccia sinistra a partire dalla parte D per ottenere l’impaccamento esagonale compatto. Quando il terzo strato (a; in
arancio) è posto direttamente sul primo, si ottiene uno schema abab... Ruotando di 90° gli strati si ottengono la vista laterale, con
la cella elementare esagonale mostrata come uno spaccato, e la vista laterale espansa. F. Si segua la freccia destra partendo da
D per ottenere l’impaccamento cubico compatto. Quando il terzo strato (c; in blu) copre gli spazi bianchi, giace in una differente
posizione rispetto al primo e al secondo strato per dare lo schema abcabc... Ruotando di 90° gli strati si ottiene la vista laterale,
con la cella elementare cubica a facce centrate come spaccato, e un’ulteriore inclinazione mostra chiaramente la cella elemen-
tare; infine, si vede la vista espansa. L’efficienza di impaccamento è indicata tra parentesi per ciascuna cella elementare.

12txt.indd 375 16/05/19 11:02


Strumenti di laboratorio
Analisi per diffrazione di raggi X e microscopia
elettronica a scansione a effetto tunnel

In questo capitolo e nel Capitolo 10 abbiamo esaminato le I fasci di raggi X


diffratti, in accordo
strutture cristalline e le forme molecolari come se fossero di fase, formano
osservate effettivamente. Viene spontaneo chiedersi come Fasci di raggi
una macchia
X incidenti
i chimici facciano a conoscere i raggi atomici, le lunghezze
di legame e gli angoli di legame quando gli oggetti che li A A′
presentano sono così incredibilmente piccoli. Sono dispo­ λ
nibili vari strumenti per esplorare il mondo molecolare e B′
B θ C θ
misurare le sue dimensioni, ma due dei più potenti sono
l’analisi per diffrazione di raggi X e la microscopia elettroni­ Strato di
ca a scansione a effetto tunnel. particelle 1 D θ θ F d

Strato di E
Analisi per diffrazione di raggi X
particelle 2
Fascio non
L’analisi per diffrazione di raggi X è usata da decenni per diffratto
determinare le strutture cristalline. Nel Capitolo 7 abbiamo
esaminato la diffrazione delle onde e abbiamo visto come si Figura S12.1 Diffrazione di raggi X da parte di piani
formano figure di interferenza fatte di regioni chiare (lumi­ cristallini. Quando i fasci di raggi X A e B in accordo di fase en-
nose) e oscure (buie) quando la luce attraversa fenditure la trano in un cristallo con un’inclinazione θ, essi vengono diffratti
cui distanza reciproca è dell’ordine della lunghezza d’onda dall’interazione con le particelle. Il fascio B percorre il cammino
della luce stessa (vedi Figura 7.5). Nel 1912, il fisico teorico DE + EF in più rispetto al fascio A. Se questo cammino addizio-
tedesco Max von Laue, basandosi sul fatto che le lunghezze nale è uguale a un multiplo della lunghezza d’onda secondo
d’onda dei raggi X sono dell’ordine di grandezza degli spazi un numero intero, i due fasci rimangono in accordo di fase e
formano una macchia su uno schermo di osservazione o su una
fra strati di particelle in molti solidi, ipotizzò che questi
lastra fotografica. In base alla figura di macchie e all’equazione
strati potessero diffrangere i raggi X. (In realtà, von Laue di Bragg, nλ = 2d sin θ, si può calcolare la distanza d fra gli
formulò questa ipotesi per verificare se i raggi X fossero di strati di particelle.
natura particellare oppure ondulatoria). La diffrazione dei
raggi X fu presto riconosciuta come un potente strumento
per determinare la struttura di un solido. Ruotando il cristallo si varia l’inclinazione della radiazione
Vediamo come si usa questa tecnica per misurare un incidente e si produce un differente insieme di macchie,
parametro essenziale nella struttura di un cristallo: la di­ finendo per generare una figura di diffrazione completa
stanza (d) fra strati di atomi. La Figura S12.1 presenta una che si può usare per determinare le distanze e gli angoli
vista laterale di due strati in un reticolo semplificato. Due nel reticolo (Figura S12.2). La figura di diffrazione non
onde incidono sul cristallo con un’inclinazione θ e vengono è un’immagine effettiva della struttura cristallina, bensì
diffratte con lo stesso angolo da strati adiacenti. Quando la deve essere analizzata matematicamente per ottenere le
prima onda incide sullo strato superiore e la seconda incide dimensioni del cristallo. Un moderno apparecchio per l’a­
sullo strato successivo, le onde sono in accordo di fase (i nalisi per diffrazione di raggi X ruota automaticamente il
picchi sono allineati con i picchi, le valli con le valli). Se cristallo e misura migliaia di diffrazioni, e un computer
esse sono ancora in accordo di fase dopo essere state dif­ calcola i parametri di interesse.
fratte, su una lastra fotografica vicina compare una macchia. L’analisi per diffrazione di raggi X permette di risolvere
Si noti che ciò avverrà soltanto se il cammino addizionale problemi in molte branche della chimica, ma ha avuto il
percorso dalla seconda onda (DE + EF nella figura) è pari massimo impatto in biochimica. Ha permesso di stabilire
a un multiplo della lunghezza d’onda secondo un numero che il DNA esiste sotto forma di una doppia elica e aiuta
intero, nλ, dove n è un numero intero (1, 2, 3 . . .). La trigo­ attualmente i biochimici a determinare la relazione fra la
nometria indica che struttura tridimensionale di una proteina e la sua funzione.

nλ = 2d sin θ Microscopia elettronica a scansione a effetto


tunnel
dove θ è l’inclinazione nota della luce incidente, λ è la sua
lunghezza d’onda nota e d è la distanza incognita fra gli stra­ La microscopia elettronica a scansione a effetto tunnel,
ti nel cristallo. Questa relazione è nota come equazione di una metodica molto più recente dell’analisi per diffrazio­
Bragg, dai nomi del fisico inglese William H. Bragg e del fi­ ne di raggi X, è usata per osservare superfici su scala ato­
sico australiano di origine inglese William L. Bragg, figlio del mica. Fu inventata all’inizio degli anni Ottanta del secolo
primo, che condivisero il premio Nobel per la fisica nel 1915 scorso dal fisico tedesco Gerd Binnig e dal fisico svizzero
per le loro ricerche sull’analisi della struttura dei cristalli. Heinrich Rohrer che ricevettero il premio Nobel per la fi­

12txt.indd 376 16/05/19 11:02


Macchie formate dai raggi X diffratti

Solido
cristallino

B
Lastra
fotografica

A Sorgente di raggi X Schermo di piombo

C Cristallo di proteina

Molecola di proteina

Figura S12.2 Formazione di una figura di diffrazione dei raggi X da parte della proteina emoglobina. A. Il campione di
emoglobina cristallina viene ruotato per ottenere molti differenti angoli di raggi X incidenti e diffratti. B. Si ottiene una figura di
diffrazione come una serie complessa di macchie. (La grande macchia bianca nel centro è l’ombra di parte dell’apparecchio).
C. L’analisi computerizzata mette in relazione la figura di diffrazione con le distanze e gli angoli nel cristallo, fornendo dati impie-
gati per generare un’immagine della molecola di emoglobina.

sica nel 1986 per la loro invenzione. Questa tecnica si piccola differenza di potenziale elettrico agli estremi di
basa sul concetto quantomeccanico secondo cui un elet­ questo piccolo intervallo per aumentare la probabilità che
trone in un atomo ha una piccola probabilità di esistere gli elettroni lo attraversino per effetto tunnel. L’ampiezza
lontano dal nucleo e, quindi, nelle condizioni appropriate, dell’intervallo è mantenuta costante mantenendo costante
è in grado di attraversare una barriera di potenziale che la corrente di tunnel generata dagli elettroni che attraver­
non potrebbe attraversare secondo la meccanica classica sano l’intervallo per effetto tunnel. Affinché ciò avvenga, la
(effetto “tunnel”) e finire più vicino a un altro atomo. sonda deve muoversi di piccole distanze su e giù seguendo
In pratica, gli elettroni che subiscono l’effetto tunnel l’andamento atomico della superficie. Questo movimento
generano una corrente (corrente di tunnel) che può essere è controllato elettronicamente e, dopo molte scansioni, si
usata per formare un’immagine degli atomi di una super­ ottiene una mappa tridimensionale della superficie. Questo
ficie adiacente. Una sonda con punta di tungsteno estre­ metodo ha permesso di formare magnifiche immagini di
mamente sottile, la sorgente degli elettroni che subisco­ atomi e molecole deposte su superfici e viene usato per
no l’effetto tunnel, è posta molto vicino alla superficie da studiare molti aspetti delle superfici, quali la natura dei
esaminare (a una distanza di circa 0,5 nm). Si applica una difetti e l’adesione dei film.

gnesio, il titanio e lo zinco sono elementi che adottano la struttura esagonale; il


nichel, il rame e il piombo adottano la struttura cubica, come fanno molti composti
ionici e altre sostanze, quali il diossido di carbonio solido (ghiaccio secco), il metano
e la maggior parte dei gas nobili.
Nel Problema di verifica 12.4 useremo la densità di un elemento e l’efficienza
di impaccamento della sua struttura cristallina per calcolare il suo raggio atomico.
Si usano varianti di questo metodo per determinare la massa molare ed è anche uno
dei metodi per determinare il numero di Avogadro.

12txt.indd 377 16/05/19 11:02


378 Capitolo 12

Determinazione del raggio atomico in base alla struttura cristallina


PROBLEMA DI VERIFICA 12.4
Problema Il bario è il più grande metallo alcalino-terroso non radioattivo. Ha una cella ele­
Densità (g/cm3) del metallo Ba mentare cubica a corpo centrato e una densità di 3,62 g/cm3. Quanto vale il raggio atomico
del bario? (Volume di una sfera di raggio r: V = 43 πr3).
trovare il reciproco e Piano Poiché un atomo è sferico, possiamo ottenere il suo raggio dal suo volume. Se mol­
moltiplicare per M (g/mol)
tiplichiamo il reciproco della densità (volume/massa) per la massa molare (massa/mole),
troviamo il volume molare ossia il volume di 1 mol del metallo Ba. Il metallo cristallizza
Volume (cm3) per mole
di metallo Ba
nella struttura cubica a corpo centrato, quindi il 68% di questo volume è occupato da 1 mol
degli atomi stessi (vedi Figura 12.28C). Dividendo per il numero di Avogadro, otteniamo il
moltiplicare per l'efficienza volume di un atomo di Ba, da cui ricaviamo il raggio.
di impaccamento
Risoluzione Combinazione dei passaggi per trovare il volume di 1 mol del metallo Ba:
Volume (cm3) per mole 1
di atomi di Ba =
volume/mole di metallo Ba ×
densità
dividere per il numero 1 cm3 137,3 g Ba
di Avogadro = ×
3,62 g Ba 1 mol Ba

Volume (cm3) dell’atomo di Ba


= 37,9 cm3 /mol Ba
Determinazione del volume di 1 mol di atomi di Ba:
4
V = πr 3 volume/mole di atomi di Ba = (volume/mol Ba)  ×  efficienza di impaccamento
3
= (37,9 cm3/mol Ba)  ×  0,68 = 26 cm3/mol di atomi di Ba
Raggio (cm) dell’atomo di Ba Determinazione del volume di un atomo di Ba:
26 cm 3 1 mol di atomi di Ba
volume=
di un atomo di Ba ×
1 mol di atomi di Ba 6,022 ×1023 atomi di Ba
= 4,3 ×10−23 cm 3 /atomo di Ba

Determinazione del raggio atomico dell’atomo di Ba in base al volume di una sfera:


V di un atomo di Ba = 43 πr3
3V
Quindi r3 =

3V 3 (4,3 ×10−23 cm3 )


Da cui r= 3 = 3
4π 4 × 3,14
= 2, 2 ×10−8 cm

Verifica L’ordine di grandezza è corretto per un atomo (10−8 cm  10−10 m). Il valore
effettivo è 2,22  ×  10−8 cm (vedi Figura 8.15), quindi il risultato sembra corretto.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 12.4 Il ferro cristallizza in una struttu­


ra cubica a corpo centrato. Il volume di un atomo di Fe è 8,38 ⋅ 10−24 cm3 e la densità del
Fe è 7,874 g/cm3. Si calcoli un valore approssimato del numero di Avogadro.

La nostra comprensione dei solidi si basa sulla capacità di “vedere” le loro strutture
cristalline. Due tecniche usate a questo scopo sono descritte nella scheda Analisi per dif-
frazione di raggi X e microscopia elettronica a scansione a effetto tunnel riportata a pag. 376.

Tipi di solidi cristallini e loro proprietà


Ora possiamo rivolgere l’attenzione ai cinque tipi più importanti di solidi cristallini,
che sono riassunti nella Tabella 12.5. Ciascuno è definito dal tipo di particella nel
cristallo, che determina le forze interparticellari. Può essere utile ripassare i modelli
di legame affrontati nel Capitolo 9 per chiarire le loro relazioni con le proprietà di
differenti solidi.

12txt.indd 378 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 379

Tabella 12.5 Caratteristiche dei principali tipi di solidi cristallini


Forze Esempi
Tipo Particelle interparticellari Comportamento fisico [temperatura di fusione, °C]
Solidi Atomi Forze di Teneri, temperatura di fusione Gruppo 8A(18)
atomici dispersione molto bassa, cattivi conduttori (da Ne [−249] a Rn [−71])
termici ed elettrici

Solidi Molecole Forze di Piuttosto teneri, temperature di Non polare*


molecolari dispersione, fusione da basse a moderate, O2 [−219], C4H10 [−138]
forze dipolo cattivi conduttori termici ed Cl2 [−101], C6H14 [−95]
dipolo, legami elettrici P4 [44,1]
idrogeno Polare
SO2 [−73], CHCl3 [−64]
HNO3 [−42], H2O [0,0]
CH3COOH [17]

Solidi Ioni positivi Attrazione Duri e fragili, temperatura di NaCl [801]


ionici e negativi ione-ione fusione alta, buoni conduttori CaF2 [1423]
termici ed elettrici quando nello MgO [2852]
stato fuso

Solidi Atomi Legame Da teneri a duri, temperatura di Na [97,8]


metallici metallico fusione da bassa a molto alta, Zn [420]
eccellenti conduttori termici ed Fe [1535]
elettrici, malleabili e duttili

Solidi Atomi Legame Molto duri, temperatura di SiO2 (quarzo) [1610]


reticolari covalente fusione molto alta, di solito cattivi C (diamante) [∼4000]
conduttori termici ed elettrici
* I solidi molecolari apolari sono ordinati secondo la massa molare crescente. Si noti la correlazione con la temperatura di fusione crescente.

Solidi atomici I singoli atomi tenuti uniti da forze di dispersione formano un soli-
do atomico. I gas nobili [Gruppo 8A(18)] sono gli unici esempi e le loro proprietà
fisiche rispecchiano le debolissime forze che si esercitano tra i loro atomi. Le tempe­
rature di fusione e di ebollizione e i calori di vaporizzazione e di fusione sono tutti
bassissimi e aumentano con andamento regolare all’aumentare della massa molare.
Come illustrato nella Figura 12.29, l’argon cristallizza in una struttura cubica impac­
cata in modo compatto. Gli altri solidi atomici cristallizzano nello stesso modo.
Solidi molecolari Nelle molte migliaia di solidi molecolari i punti reticolari
sono occupati da molecole individuali. Per esempio, il metano cristallizza in una
struttura cubica a facce centrate, mostrata nella Figura 12.30, con l’atomo di carbo­ Figura 12.29 Impaccamento
cubico compatto dell’argon
nio di una molecola centrato su ciascun punto reticolare. solidificato. Gli elementi del
Nei solidi molecolari operano varie combinazioni di forze dipolo-dipolo, forze Gruppo 8A(18) formano solidi
di di­spersione e forze di legame idrogeno, il che spiega la loro ampia gamma di pro­ atomici che adottano l’impac-
prietà fisiche. Le forze di dispersione sono le principali forze agenti nelle sostanze camento cubico compatto (cella
elementare a facce centrate).
apolari, quindi le temperature di fusione aumentano generalmente all’aumentare
della massa molare (Tabella 12.5). Tra le molecole polari, dominano le forze dipolo-
dipolo e, quando è possibile, i legami idrogeno. Eccettuate le sostanze costituite
dalle molecole più semplici, i solidi molecolari hanno temperature di fusione più
alte di quelle dei solidi atomici (gas nobili). Ciononostante, le forze intermolecolari
sono ancora relativamente deboli e, quindi, le temperature di fusione sono molto
più basse di quelle dei solidi ionici, covalenti reticolari e metallici.

Figura 12.30 Impaccamento cubico compatto del metano solidificato. Il metano adotta
una cella elementare cubica a facce centrate, con un atomo di C centrato su ciascun punto
reticolare. È mostrata soltanto una molecola di CH4 in un sito.

12txt.indd 379 16/05/19 11:02


380 Capitolo 12

Figura 12.31 La struttura del


cloruro di sodio. A. In una vista
espansa, la struttura del cloruro
di sodio può essere visualizzata
come il risultato dell’interpe-
netrazione di due disposizioni
cubiche a facce centrate, una di
ioni Na+ (in marrone) e l’altra di
ioni Cl− (in verde). B. Una visua-
lizzazione space-filling della
cella elementare del cloruro
di sodio (porzione sovrapposta
centrale nella parte A), costitui-
ta da quattro ioni Cl− e quattro
ioni Na+.

Solidi ionici Nei solidi ionici, cristallini, la cella elementare contiene particelle
con cariche intere anziché parziali. Di conseguenza, le forze interparticellari (forze
di legame ionico) sono molto più forti delle forze di van der Waals presenti nei
solidi atomici o molecolari. Per massimizzare le attrazioni, i cationi sono circondati
dal numero massimo possibile di anioni, e viceversa, con il più piccolo dei due ioni
giacente negli spazi (buchi) formati dall’impaccamento di quello più grande. La cella
elementare, essendo la più piccola parte del cristallo che mantiene la disposizione
spaziale complessiva, è anche la più piccola parte che mantiene la composizione
chimica complessiva. In altre parole, la cella elementare ha lo stesso rapporto cationi/
anioni della formula empirica.
I composti ionici adottano parecchie differenti strutture cristalline, ma mol­
ti usano l’impaccamento cubico compatto. Consideriamo anzitutto due strut­
ture che hanno un rapporto 1 : 1 degli ioni. La struttura del cloruro di sodio è
presente in molti composti, comprendenti la maggior parte degli alogenuri e
degli idruri dei metalli alcalini [Gruppo 1A(1)], gli ossidi e i solfuri dei metalli
alcalino-terrosi [Gruppo 2A(2)], parecchi ossidi e solfuri dei metalli di transizione
e la maggior parte degli alogenuri d’argento. Per visualizzare questa struttura,
prima immaginiamo gli anioni Cl− e i cationi Na+ organizzati separatamente
in disposizioni cubiche a facce centrate (impaccamento cubico compatto). La
struttura cristallina si origina quando queste due disposizioni di ioni si compe­
netrano in modo tale che gli ioni Na+ più piccoli finiscano nei buchi tra gli ioni
Cl− più grandi, come mostrato nella Figura 12.31A. Perciò, ciascuno ione Na+ è
circondato da sei ioni Cl−, e viceversa (numero di coordinazione = 6). La Figu­
ra 12.31B è una visualizzazione space-filling della cella elementare che mostra un
cubo a facce centrate di ioni Cl− con ioni Na+ interposti tra di essi. Si noti che
quattro ioni Cl− ­[(8   ×  18 ) + (6  ×  12) = 4 Cl−] e quattro ioni Na+ [(12  ×  14) + 1 nel cen­
tro = 4 Na+], danno un rapporto degli ioni pari a 1 : 1.
Un’altra struttura con rapporto degli ioni 1 : 1 è la struttura della zincoblenda (o
blenda) (solfuro di zinco, ZnS). Può essere visualizzata come due disposizioni cubi­
che a facce centrate, una di ioni Zn2+ e l’altra di ioni S2−, che si compenetrano in
modo tale che ciascuno ione sia circondato tetraedricamente da quattro ioni di ca­
rica opposta (numero di coordinazione = 4). Si noti il rapporto 1 : 1 degli ioni nella
cella elementare mostrata nella Figura 12.32. Molti altri composti, comprendenti
AgI, CdS e gli alogenuri di Cu(I) adottano la struttura della zincoblenda.
La struttura della fluorite (fluoruro di calcio, CaF2) è comune tra i sali con rap­
porto cationi/anioni pari a 1 : 2, specialmente tra quelli che hanno cationi relativa­
mente grandi e anioni relativamente piccoli. Nel caso di CaF2, la cella elementare è
una di­sposizione cubica a facce centrate di ioni Ca2+ con ioni F− che occupano tutti

12txt.indd 380 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 381

CELLE ELEMENTARI
CUBICHE E LORO ORIGINI

Figura 12.32 La struttura della zincoblenda. Il solfuro di zinco adotta la struttura della
zincoblenda (o blenda). A. Il cubo traslucido mostra una disposizione cubica a facce centrate
di 4 ioni S2− (in giallo) [dati da (8  ×  21 ) + (6  ×  81 ) = 4] che circondano tetraedricamente ciascu-
no di quattro ioni Zn2+ (in grigio) per dare la formula empirica 1 : 1. (I legami sono mostrati
soltanto per chiarezza). B. La cella elementare effettiva lievemente espansa per mostrare gli
ioni interni.

gli otto buchi disponibili (Figura 12.33). Ne consegue un rapporto Ca2+ : F− pari
a 4 : 8 ossia a 1 : 2. Anche SrF2 e BaCl2 hanno la struttura della fluorite. La struttura
dell’antifluorite si osserva spesso in composti aventi un rapporto cationi : anioni pari
a 2 : 1 e un anione relativamente grande (per esempio, K2S). In questa struttura, i
cationi occupano tutti gli otto buchi formati dall’impaccamento cubico compatto
degli anioni, esattamente l’opposto della struttura della fluorite.
Le proprietà dei solidi ionici sono una conseguenza diretta delle posizioni fisse
degli ioni e delle forze interioniche molto forti, che creano un’alta energia reticolare.
Perciò, i solidi ionici hanno generalmente temperature di fusione alte e conduttivi­
tà elettriche basse. Quando si fornisce una grande quantità di calore e gli ioni acqui­
stano energia cinetica sufficiente per abbandonare le loro posizioni, il solido fonde
Figura 12.33 La struttura
e gli ioni mobili conducono corrente elettrica. I composti ionici sono duri perché della fluorite. Il fluoruro di
soltanto una forza esterna forte è in grado di variare le posizioni relative di molte calcio adotta la struttura della
migliaia di miliardi di ioni interagenti. Se si applica una forza sufficiente per variare fluorite. A. Il cubo traslucido
le posizioni degli ioni, gli ioni di carica dello stesso segno vengono avvicinati l’uno mostra una disposizione cubica
a facce centrate di quattro ioni
all’altro e le loro repulsioni rompono il cristallo (vedi Figura 9.8).
Ca2+ (in blu) che circondano
Solidi metallici A differenza delle deboli forze di dispersione tra gli atomi nei tetraedricamente ciascuno degli
otto ioni F− (in giallo) per dare
solidi atomici, potenti forze di legame metallico tengono uniti gli atomi individuali
il rapporto 4 : 8, ossia 1 : 2. B. La
nei solidi metallici. La maggior parte degli elementi metallici cristallizzano in cella elementare effettiva (lie-
una delle due strutture a impaccamento compatto (Figura 12.34). vemente espansa).
Le proprietà dei metalli – elevata conduttività elettrica e termica, lucentezza,
duttilità e malleabilità – sono dovute alla presenza di elettroni delocalizzati, la ca­
ratteristica essenziale del legame metallico (introdotto nel Paragrafo 9.5). I metalli
hanno un ampio intervallo di temperature di fusione e di durezze, che sono in rela­
zione con l’efficienza di impaccamento della struttura cristallina e con il numero di
elettroni di valenza disponibili per la formazione dei legami. Per esempio, i metalli
del Gruppo 2A(2) sono più duri e più altofondenti dei metalli del Gruppo 1A(1)
(vedi Figura 9.23), perché i metalli del Gruppo 2A(2) hanno strutture a impacca­
mento compatto (eccettuato Ba) e il doppio di elettroni di valenza delocalizzati.
Solidi covalenti reticolari Nell’ultimo tipo di solido cristallino, non sono pre­
senti particelle separate. Invece, forti legami covalenti legano tra loro gli atomi in
un solido covalente reticolare. In conseguenza dei legami forti, tutte queste

Figura 12.34 Strutture cristalline dei metalli. La maggior parte degli elementi metallici
cristallizzano in una delle disposizioni a impaccamento compatto. A. Il rame adotta l’impac-
camento cubico compatto. B. Il magnesio adotta l’impaccamento esagonale compatto.

12txt.indd 381 16/05/19 11:02


382 Capitolo 12

sostanze hanno temperature di fusione e di ebollizione estremamente alte, ma la


loro conduttività elettrica e termica e la loro durezza dipendono dalle specifiche
caratteristiche dei loro legami.
Le due forme cristalline comuni del carbonio elementare sono esempi di
solidi covalenti reticolari. Anche se la grafite e il diamante hanno la stessa com­
posizione, le loro proprietà sono sorprendentemente diverse, come mostrato nella
Tabella 12.6. La grafite si presenta sotto forma di strati piani impilati di anelli esa­
gonali di atomi di carbonio con una forte impalcatura di legami σ e legami π de­
localizzati, che ricordano il benzene. La disposizione degli esagoni somiglia a una
rete da pollaio o a un favo di nido d’api. Mentre gli elettroni leganti π del benzene
sono delocalizzati su un anello, quelli della grafite sono delocalizzati sull’intero
strato. Questi elettroni mobili permettono alla grafite di condurre l’elettricità, ma
soltanto nel piano degli strati. La grafite è un materiale impiegato comunemente
per la costruzione degli elettrodi degli apparecchi elettrici ed era usata un tempo
per i filamenti della lampade elettriche a incandescenza. Gli strati piani interagi­
scono mediante forze di dispersione. Le impurità comuni, come O2, che risiedono
tra gli strati piani permettono loro di scorrere facilmente l’uno sull’altro, la qual
• Un film di diamante in ogni
pentola
cosa spiega perché la grafite sia così tenera. Il diamante cristallizza in una cella
elementare cubica a facce centrate, in cui ciascun atomo di carbonio è circondato
Negli anni Cinquanta del
secolo scorso, i diamanti sinteti­ tetraedricamente da altri quattro atomi in una disposizione pressoché illimitata.
ci venivano preparati lentamente e Legami singoli forti in tutto il cristallo fanno del diamante la sostanza più dura
costosamente esponendo la grafite a
temperature estreme ( 1400 °C) e che si conosca. A causa dei suoi elettroni leganti localizzati, il diamante (come la
a pressioni estreme ( 50 000 atm). maggior parte dei solidi covalenti reticolari) non conduce l’elettricità.
Negli anni Sessanta, fu scoperto un I solidi covalenti reticolari di gran lunga più importanti sono i silicati. Essi
metodo molto meno costoso che, utilizzano un’ampia varietà di schemi di legame, ma quasi tutti sono costituiti da
negli anni Novanta, venne usato per
depositare film sottili di diamante estese di­sposizioni di atomi di silicio e di ossigeno legati covalentemente. Il quarzo
pressoché su qualsiasi superficie. Nel (SiO2) ne è un esempio comune. Esamineremo i silicati, che formano la struttura
processo noto come CVD (Chemical delle argille, delle rocce e di molti minerali, quando considereremo la chimica del
Vapor Deposition, deposizione chimi­ silicio nel Capitolo 14.
ca da fase vapore) un fascio di mole­
cole di metano si decompongono a
temperature moderate ( 600 °C) e Solidi amorfi
basse pressioni ( 0,001 atm), e gli I solidi amorfi sono non cristallini. Molti hanno piccole regioni alquanto ordinate,
atomi di carbonio si depositano sulla
superficie formandovi in ogni ora un
connesse da grandi regioni disordinate. Il carbone di legna, la gomma e il vetro sono
film di spessore maggiore di 100 μm. alcuni esempi familiari di solidi amorfi.
Poiché il diamante è durissimo (è la Il processo che forma il vetro di quarzo è un tipico esempio di quello che
sostanza più dura che si conosca) e accade per molti solidi amorfi. Il quarzo cristallino (SiO2) ha una struttura cubica a
ha un’alta conduttività termica, le
applicazioni per i film di diamante
impaccamento compatto. La forma cristallina viene fusa e il liquido viscoso viene
sono miriadi: pentolame, vetri da raffreddato rapidamente per impedire che ricristallizzi. Le catene di atomi di sili­
orologio, dischi rigidi e lenti per cio e di ossigeno non sono in grado di orientarsi abbastanza rapidamente per dare
occhiali trattati antigraffio; punte da origine a una struttura ordinata, quindi solidificano in un’accozzaglia distorta con­
trapano, cuscinetti a sfere e lamette
da barba di durata indefinita; semi­
tenente molti buchi e molti filari disallineati (Figura 12.35). L’assenza di regolarità
conduttori ad alta temperatura criti­ nella struttura conferisce loro alcune proprietà di un liquido; in effetti, i vetri sono
ca... e l’elenco si allunga ogni giorno. considerati liquidi sottoraffreddati.

12txt.indd 382 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 383

Figura 12.35 Diossido di sili-


cio cristallino e amorfo. A. La
disposizione atomica della cri-
stobalite, una delle molte forme
cristalline della silice (SiO2),
mostra la regolarità dell’im-
paccamento cubico compatto.
B. La disposizione atomica di
un vetro di quarzo è amorfa
con una struttura generalmente
disordinata.

Legami nei solidi: teoria delle bande di orbitali molecolari


Nel Capitolo 9 abbiamo introdotto un modello qualitativo del legame metallico che
visualizza ioni metallici immersi in un “mare” di elettroni di valenza delocalizzati,
mobili. La meccanica quantistica offre un altro modello, un’estensione della teoria
degli orbitali molecolari, detta teoria delle bande. La teoria delle bande è più
quantitativa del modello del mare di elettroni e, quindi, è più utile. Dedicheremo
particolare attenzione al legame nei metalli e alle differenze di conduttività elettri­
ca tra metalli, metalloidi e non metalli.
Si ricordi che, quando due atomi formano una molecola biatomica, i loro or­
bitali atomici si combinano per formare un uguale numero di orbitali molecolari.
Consideriamo come esempio il litio. La Figura 12.36 mostra la formazione di orbita­
li molecolari nel litio. Nel litio biatomico, Li2, ciascun atomo ha quattro orbitali di
valenza (un orbitale 2s e tre orbitali 2p). (Si ricordi che nel Paragrafo 11.3 abbiamo
concentrato l’attenzione principalmente sugli orbitali 2s e 2p). Essi si combinano
per formare otto orbitali molecolari, quattro leganti e quattro antileganti, distri­
buiti su entrambi gli atomi. Se due ulteriori atomi di Li si combinano, essi formano
Li4, un aggregato lievemente più grande, con 16 orbitali molecolari delocalizzati.
Via via che altri atomi di Li si uniscono all’aggregato, vengono creati altri orbitali
molecolari, i cui livelli energetici sono sempre più vicini l’uno all’altro. Estendendo
questo processo a un campione di 7 g di litio metallico (la massa molare) si ottiene

Figura 12.36 La banda di


orbitali molecolari nel metallo
litio. Gli atomi di litio contengono
quattro orbitali di valenza, un
orbitale 2s e tre orbitali 2p (a
sinistra). Quando due atomi di litio
si combinano (Li2), i loro orbitali
atomici formano otto orbitali
molecolari entro un certo inter-
vallo di energia. Quattro atomi
di Li (Li4) formano 16 orbitali
molecolari. Una mole di atomi di
Li forma 4NA orbitali molecolari
(NA = numero di Avogadro). Le
energie orbitaliche sono così vici-
ne l’una all’altra che formano una
banda continua. Gli elettroni di
valenza entrano nella porzione di
energia inferiore (banda di valen-
za), mentre la porzione di energia
superiore (banda di conduzione)
resta vuota. Nel litio (e negli altri
metalli), la banda di valenza e la
banda di conduzione non sono
separate da un intervallo proibito
di energia (gap di energia).

12txt.indd 383 16/05/19 11:02


384 Capitolo 12

che 1 mol di atomi di Li ( Li N A ) si combinano per formare un numero estremamente


grande (4  ×  numero di Avogadro) di orbitali molecolari delocalizzati, con energie così
ravvicinate da formare un continuo, o una banda, di orbitali molecolari. È quasi come se
l’intero campione di metallo fosse un’enorme molecola di Li.
Secondo il modello delle bande, gli orbitali molecolari di energia inferiore
sono occupati dagli elettroni di valenza e costituiscono la banda di valenza.
Gli orbitali molecolari vuoti di energia superiore costituiscono la banda di con-
duzione. Nel metallo Li, la banda di valenza deriva dagli orbitali atomici 2s, e
la banda di conduzione deriva in prevalenza da un mescolamento degli orbitali
atomici 2s e 2p. Nel Li2, due elettroni di valenza riempiono l’orbitale molecolare
di energia più bassa e lasciano vuoto l’orbitale molecolare antilegante. Analoga­
mente, nel metallo Li, 1 mol di elettroni di valenza riempie la banda di valenza e
lascia vuota la banda di conduzione.
La chiave per giungere a comprendere le proprietà metalliche è il fatto che
nei metalli la banda di valenza e la banda di conduzione sono contigue, la qual cosa
significa che gli elettroni possono saltare dalla banda di valenza piena alla banda di
conduzione vuota se ricevono una quantità di energia anche infinitesima. In altre
parole, gli elettroni sono completamente delocalizzati: sono liberi di muoversi in tutto
il campione di metallo. Perciò, i metalli sono conduttori elettrici così buoni perché
un campo elettrico applicato eccita facilmente gli elettroni di energia più alta a
trasferirsi in orbitali vuoti, ed essi si muovono in tutto il campione.
La lucentezza metallica è un altro effetto della banda continua di livelli ener­
getici degli orbitali molecolari. Grazie alla disponibilità di un gran numero di livelli
energetici ravvicinati, gli elettroni possono assorbire ed emettere fotoni di molte
frequenze mentre si trasferiscono tra la banda di valenza e la banda di conduzione.
Anche la malleabilità e la conduttività termica sono dovute agli elettroni comple­
tamente delocalizzati. Sotto l’azione di una forza applicata dall’esterno, gli strati di
ioni metallici positivi si muovono semplicemente l’uno accanto all’altro, sempre
protetti contro le mutue repulsioni dalla presenza degli elettroni delocalizzati (vedi
Figura 9.24B). Quando si riscalda un filo metallico, si eccitano gli elettroni di ener­
gia più alta e la loro energia addizionale si trasferisce sotto forma di energia cinetica
lungo il filo.
Si possono combinare anche grandi numeri di atomi di non metalli o di metal­
loidi per formare bande di orbitali molecolari. I metalli conducono bene la corrente
elettrica (sono buoni conduttori elettrici), mentre la maggior parte dei non metalli
sono cattivi conduttori elettrici (isolanti elettrici), e la conduttività elettrica dei
metalloidi si situa tra quella dei metalli e quella dei non metalli (i metalloidi sono
Figura 12.37 Conduttività semiconduttori). La teoria delle bande spiega queste differenze in termini di am­
elettrica in un conduttore, piezza degli intervalli proibiti di energia, o gap di energia, tra la banda di valenza e
in un semiconduttore e in un la banda di conduzione, come mostrato nella Figura 12.37.
isolante. La teoria delle bande
spiega le differenze di con- 1. Conduttori (metalli). La banda di valenza e la banda di conduzione di un con-
duttività elettrica in termini di duttore non sono separate da un intervallo proibito di energia, o gap di ener­
ampiezza dell’intervallo proibito gia, quindi gli elettroni fluiscono quando si applica una differenza di potenzia­
di energia (gap di energia) tra le elettrico anche piccola. Quando si aumenta la temperatura, l’aumento del
la banda di valenza e la banda
di conduzione del materiale. Nei
conduttori (metalli), non c’è gap
di energia. Nei semiconduttori
(molti metalloidi), gli elettroni
cono capaci di attraversare il
piccolo gap di energia se rice-
vono energia sufficiente, come
quando si riscalda il campione.
Negli isolanti (la maggior parte
dei non metalli), gli elettroni non
sono capaci di superare il grande
gap di energia.

12txt.indd 384 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 385

movimento casuale degli atomi ostacola il movimento degli elettroni, e questo


effetto diminuisce la conduttività di un metallo.
2. Semiconduttori (metalloidi). In un semiconduttore esiste un intervallo proibito
di energia, o gap di energia, relativamente piccolo tra la banda di valenza e la
banda di conduzione. Gli elettroni eccitati termicamente sono capaci di attra­
versare il gap di energia, permettendo il passaggio di una corrente di piccola
intensità. Perciò, a differenza del comportamento di un conduttore, la condut­
tività di un semiconduttore aumenta all’aumentare della sua temperatura.
3. Isolanti (non metalli). In un isolante l’intervallo proibito di energia, o gap di
energia, tra la banda di valenza e la banda di conduzione è troppo ampio per­
ché gli elettroni possano attraversarlo anche quando la sostanza viene riscalda­
ta, quindi non si osserva alcuna corrente.
Figura 12.38 Il potere di
Un altro tipo di conduzione elettrica, detta superconduzione (o supercondut- levitazione di un ossido super-
tività), sta destando grande interesse da più di 20 anni. Quando i metalli condu­ conduttore. Un magnete rimane
cono una corrente elettrica a temperature ordinarie, il flusso di elettroni è limitato in sospensione sopra un super-
dagli urti contro gli atomi che vibrano attorno alle loro posizioni reticolari. Questo conduttore ad alta temperatura
ostacolo al movimento ordinato degli elettroni si manifesta come riscaldamento critica raffreddato. Questo feno-
meno è stato sfruttato per fare
resistivo e rappresenta una dissipazione di energia. Per assicurare la conduzione levitare treni sopra i loro binari,
senza dissipazione di energia – la superconduzione – si deve raffreddare la sostanza assicurando un viaggio veloce e
a temperature molto basse per ridurre al minimo le vibrazioni degli atomi. Questo silenzioso. (Foto: © Shutterstock/
fenomeno notevole era stato osservato nei metalli soltanto quando erano raffreddati ktsdesign).
a temperature vicine allo zero assoluto, che si possono ottenere soltanto con l’elio
liquido (temperatura di ebollizione = 4 K; prezzo 11 €/L).
Nel 1986, questa situazione cambiò radicalmente con la sintesi di alcuni ossidi
ionici che sono superconduttori a temperature vicine alla temperatura di ebollizio­
ne dell’azoto liquido (temperatura di ebollizione = 77 K; prezzo 0,25 €/L). Come
i conduttori costituiti da metalli, gli ossidi superconduttori sono privi di intervallo
proibito di energia tra la banda di valenza e la banda di conduzione. Nel caso di
­YBa2Cu3O7, l’analisi con i raggi X indica che gli ioni Cu nel reticolo dell’ossido sono
allineati, il che può essere correlato con la proprietà della superconduzione. Nel
1989, furono sintetizzati ossidi con Bi e Tl al posto di Y e Ba, capaci di supercon­
duzione alla temperatura di 125 K; recentemente, è stato osservato che un ossido
con Hg, Ba e Ca, oltre a Cu e O, presenta superconduzione a 133 K. I sogni degli
ingegneri per questi materiali comprendono l’accumulazione e la trasmissione di
energia elettrica senza perdite, centrali elettriche operanti lontano dalle città, mi­
croprocessori ultrapiccoli per computer ultraveloci, elettromagneti per la levita­
zione di treni superveloci (Figura 12.38) e apparecchi per diagnostica clinica poco
costosi e con notevole chiarezza delle immagini.
Si devono però risolvere problemi di fabbricazione. Gli ossidi sono molto fragili,
ma alcuni sviluppi recenti possono ovviare a questo inconveniente. Una preoccu­
pazione più fondamentale è che, quando l’ossido viene riscaldato o introdotto in
un forte campo magnetico, la superconduzione possa scomparire e non ripristinarsi
dopo il raffreddamento. Chiaramente, la ricerca sulla superconduzione coinvolgerà
chimici, fisici e ingegneri per molti anni a venire. Nel paragrafo seguente conside­
reremo altri materiali notevoli.

12.7 MATERIALI AVANZATI


Negli ultimi anni, il campo entusiasmante della scienza dei materiali si è sviluppato
dalla chimica, fisica e ingegneria dello stato solido e sta cambiando la nostra vita in
modi stupefacenti. Oggetti che erano considerati un tempo fantasie avveniristiche
di scrittori di fantascienza sono diventati realtà o lo diventeranno presto: computer
potenti e ultraveloci non più grandi di un libro, collegati elettronicamente a milioni
di altri in tutto il mondo; autoveicoli alimentati dalla luce solare e fatti di parti non

12txt.indd 385 16/05/19 11:02


386 Capitolo 12

metalliche più forti dell’acciaio e più leggere dell’alluminio; articoli sportivi fatti dei
materiali dei veicoli spaziali; macchine ultrapiccole costruite manipolando singoli
atomi e singole molecole. In questo paragrafo esamineremo brevemente alcuni di
questi notevoli materiali.

Materiali elettronici
L’ideale di un cristallo perfettamente ordinato è raggiungibile soltanto se è fatto
crescere molto lentamente in condizioni accuratamente controllate. Quando i cri­
stalli si formano più rapidamente, si creano inevitabilmente difetti cristallini. I
piani di particelle sono allineati in modo errato, le particelle occupano posizioni
errate o sono del tutto assenti, e nel reticolo sono insediate particelle estranee.
Anche se i difetti cristallini indeboliscono di solito una sostanza, essi vengono
introdotti talvolta intenzionalmente per creare materiali con proprietà migliorate,
per esempio una maggiore resistenza o durezza o, come vedremo tra poco, per au­
mentare la conduttività di un materiale da usare in dispositivi elettronici. Per esem­
pio, nel processo di saldatura di due metalli tra loro, si formano vacanze atomiche in
Figura 12.39 Strutture cri- prossimità della superficie quando atomi evaporano e poi queste vacanze si trasfe­
stalline e rappresentazioni
delle bande di semiconduttori
riscono in profondità quando atomi di filari inferiori salgono a riempire le vacanze.
drogati. A. Il silicio puro ha la La saldatura fa sì che i due tipi di atomi metallici si mescolino e riempiano l’uno
stessa struttura cristallina del le vacanze dell’altro. La formazione di leghe metalliche introduce parecchi tipi di
diamante, ma si comporta come difetti, come quando alcuni atomi di un secondo metallo occupano siti reticolari
un semiconduttore; l’intervallo del primo. La lega è spesso più dura del metallo puro; un esempio è l’ottone, una
proibito di energia (gap di ener-
gia) tra la sua banda di valenza
lega di rame e zinco. Un motivo per cui i metalli saldati sono più resistenti e la lega
e la sua banda di conduzione è più dura è il fatto che il secondo metallo fornisce elettroni di valenza addizionali
mantiene bassa la sua condut- per il legame metallico.
tività a temperatura ambiente.
B. Il drogaggio del silicio con
Semiconduttori drogati La fabbricazione e la miniaturizzazione dei semicon­
fosforo (in violetto) aggiunge duttori drogati hanno rivoluzionato le telecomunicazioni, l’home entertainment e le
elettroni di valenza addiziona- industrie dell’informazione. I chimici e gli ingegneri, controllando il numero degli
li, che sono liberi di muoversi elettroni di valenza mediante la creazione di specifici tipi di difetti, sono in grado
attraverso il cristallo. Gli elettro-
di aumentare notevolmente la conduttività di un semiconduttore.
ni entrano nella parte inferiore
della banda di conduzione, che Il silicio (Si) puro, situato sotto il carbonio nel Gruppo 4A(14), è un cattivo
è adiacente agli orbitali vuoti di conduttore a temperatura ambiente perché un gap di energia separa la sua banda di
energia superiore, aumentando valenza piena dalla sua banda di conduzione (Figura 12.39A). Si può aumentare no­
così la conduttività. C. Il dro- tevolmente la sua conduttività mediante il drogaggio, l’aggiunta di piccole quantità
gaggio del silicio con gallio (in
di altri elementi per aumentare o diminuire il numero di elettroni di valenza nelle
arancio) rimuove elettroni dalla
banda di valenza e introduce bande. Quando il silicio viene drogato con fosforo [o con un altro elemento del Grup­
“buche” positive. Gli elettroni po 5A(15)], gli atomi di P occupano alcuni dei siti reticolari. Poiché P ha un elettrone
degli atomi di Si vicini possono di valenza in più rispetto a Si, questo elettrone addizionale deve entrare in un orbita­
entrare in questi orbitali vuoti, le vuoto nella banda di conduzione, superando così il gap di energia e aumentando la
aumentando così la conduttività.
conduttività. Questo drogaggio crea un semiconduttore di tipo n, così chiamato perché
Gli orbitali da cui provengono
gli elettroni del Si diventano in esso sono presenti cariche negative (elettroni) addizionali (Figura 12.39B).
vuoti; in effetti, si sono mosse Quando il silicio viene drogato con gallio [un altro elemento del Gruppo 3A(13)],
le buche. gli atomi di Ga occupano alcuni siti (Figura 12.39C). Poiché il Ga ha un elettrone di

12txt.indd 386 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 387

Figura 12.40 La giunzione


p-n. Si ottiene una giunzione
p-n collocando un semicondut-
tore di tipo p adiacente a un
semiconduttore di tipo n. A.
Se il terminale (polo) negativo
della batteria è collegato alla
parte di tipo n della giunzione,
gli elettroni (sferette gialle con
un segno negativo) si muovono
valenza in meno rispetto al Si, alcuni degli orbitali nella banda di valenza sono vuoti, verso la parte di tipo p, il che,
il che crea un sito positivo. Gli elettroni del Si possono migrare verso questi orbitali in effetti, equivale a un movi-
vuoti, aumentando così la conduttività. Questo drogaggio crea un semiconduttore di mento delle buche (circoletti
bianchi con un segno positivo)
tipo p, così chiamato perché gli orbitali vuoti agiscono come buche positive.
verso la parte di tipo n. Le
In contatto l’uno con l’altro, un semiconduttore di tipo n e un semicondutto­ piccole frecce indicano il verso
re di tipo p formano una giunzione p-n. Quando il terminale (polo) negativo di una netto del movimento. Si noti che
batteria è collegato alla parte di tipo n e il terminale positivo alla parte di tipo ogni buca nella parte di tipo n è
p, gli elettroni fluiscono liberamente nel verso da n a p, il che ha l’effetto simul­ in una posizione opposta a quel-
la di un elettrone che si è mosso
taneo di fare migrare buche nel verso da p a n (Figura 12.40). Non fluisce alcuna
verso la parte di tipo p. B. Se il
corrente se si invertono i collegamenti con i terminali della batteria. Una giunzio­ terminale (polo) positivo della
ne p-n, essendo percorsa da una corrente unidirezionale, agisce da raddrizzatore, batteria è collegato alla parte
un dispositivo atto a convertire una corrente alternata in una corrente continua di tipo n, gli elettroni sono
(unidirezionale). In un moderno circuito integrato, si può realizzare una giunzio­ attratti verso di esso e quindi
non avviene alcun movimento di
ne p-n più piccola di un quadrato di 10 mm di lato. Prima che fosse realizzata la
elettroni attraverso la giunzione.
giunzione p-n, i raddrizzatori erano costruiti con tubi elettronici grandi e costosi.
Un moderno microprocessore (chip) per computer, delle dimensioni di una mo­
netina, può contenere milioni di giunzioni p-n sotto forma di transistori. Uno dei tipi
più comuni, il transistore n-p-n, è costituito dall’interposizione di un semiconduttore
di tipo p tra due semiconduttori di tipo n, in modo da formare giunzioni p-n adiacenti.
La corrente che fluisce attraverso una giunzione controlla quella che fluisce attraverso
l’altra giunzione, permettendo l’amplificazione di un segnale. Ancora una volta, per
amplificare i segnali prima dell’avvento dei semiconduttori drogati si doveva ricorrere
a tubi elettronici di grandi dimensioni, spesso inaffidabili. Oggi, minuscoli transistori
sono presenti in ogni radioricevitore, televisore e computer e hanno reso possibile
l’industria elettronica con un giro d’affari annuo dell’ordine di molti miliardi di dollari.

Fabbricazione di una giunzione p-n La fabbricazione di una semplice giunzio­


ne p-n richiede parecchie tappe. Il processo, illustrato nella Figura 12.41, comincia
con un sottile wafer ottenuto da un monocristallo di silicio di tipo n.
 ormazione di una superficie di ossido. Il wafer viene riscaldato in un forno
Tappa 1. F
in presenza di O2 per formare uno strato superficiale di SiO2.
 ivestimento con un fotoresist. Il wafer rivestito di ossido viene ricoperto
Tappa 2. R
• Celle solari Uno dei tipi più
comuni di cella solare è, essenzial­
con una cera o un polimero fotosensibile detto fotoresist (o resist). mente, una giunzione p-n con una
superficie di tipo n esposta a una
 pplicazione della maschera. Viene applicata una maschera con spazi aventi
Tappa 3. A sorgente di luce. La luce fornisce
la forma desiderata della regione di tipo p. Perciò, tutte le altre aree sono energia agli elettroni liberi emessi
“mascherate” nei confronti dei trattamenti successivi. dalla regione di tipo n e li accelera
attraverso un circuito esterno tra­
 sposizione del fotoresist e rimozione della maschera. L’esposizione della ma­
Tappa 4. E sferendoli nella regione di tipo p;
schera alla luce modifica le aree esposte del fotoresist in modo che possa­ questo movimento ordinato di elet­
troni costituisce una corrente elet­
no essere disciolte e asportate in specifici solventi, esponendo la superfi­
trica che può essere utilizzata per
cie di ossido. La maschera viene rimossa. alimentare una calcolatrice tascabi­
 ttacco chimico della superficie di ossido e rimozione del fotoresist. Il tratta­
Tappa 5. A le, accendere una lampadina e così
via. Batterie di celle solari fornisco­
mento con acido fluoridrico attacca chimicamente (etching) l’area di rive­ no energia elettrica a molti edifici
stimento di ossido della forma della maschera per esporre la superficie di residenziali e commerciali, nonché
Si di tipo n. Dopo questa operazione, viene rimosso il fotoresist restante. alle navette spaziali e alla maggior
parte dei satelliti per telecomunica­
 reazione della giunzione p-n. Il wafer viene esposto, ad alta temperatura, al
Tappa 6. C zioni. (Foto: © Shutterstock/Andrey
vapore di un elemento del Gruppo 3A(13), che diffonde nelle aree nude Armyagov).

12txt.indd 387 16/05/19 11:02


388 Capitolo 12

per creare la regione di Si di tipo p avente la forma della maschera, adia­


cente al Si di tipo n. A questo punto viene rimosso anche il SiO2 restante.
Generalmente, queste tappe vengono ripetute per creare una regione di tipo n
adiacente alla regione di tipo p appena formata, creando così un transistore n-p-n.

Cristalli liquidi
Nella membrana di ogni cellula del nostro corpo e nel display di ogni orologio
digitale, calcolatrice tascabile e computer laptop sono presenti sostanze peculiari
denominate cristalli liquidi. Queste sostanze fluiscono come i liquidi, ma, come
i solidi cristallini, sono impaccate con un alto grado di ordine.
Proprietà, preparazione e tipi di cristalli liquidi Per comprendere le proprietà
dei cristalli liquidi, prima esaminiamo come le particelle sono ordinate nei tre stati
fisici comuni e come questo ordine influenza le loro proprietà. Il grado di ordine tra
le particelle distingue chiaramente i solidi cristallini dai gas e dai liquidi: i gas sono
privi di ordine e i liquidi ne hanno poco più. Sia i gas sia i liquidi sono considerati
isotropi, cioè le loro proprietà fisiche sono le stesse in ogni direzione entro la fase. Per
esempio, la viscosità di un gas o di un liquido è la stessa indipendentemente dalla
direzione. Anche i vetri e gli altri solidi amorfi sono isotropi essendo privi di una
struttura reticolare regolare.
I solidi cristallini, per contro, hanno un alto grado di ordine tra le loro particelle.
Le proprietà di un cristallo dipendono dalla direzione e quindi un cristallo è aniso-
tropo. Per esempio, le facce di un diamante tagliato si originano perché il cristallo si
rompe in una direzione più facilmente che in un’altra. Anche i cristalli liquidi sono
anisotropi in quanto parecchie proprietà fisiche, comprendenti le proprietà elettri­
che e ottiche che ne determinano le più importanti applicazioni, differiscono con la
direzione attraverso la fase.
Come i solidi molecolari cristallini, le fasi liquido-cristalline sono costituite da
molecole individuali. Nella maggior parte dei casi, le molecole che formano le fasi
liquido-cristalline hanno due caratteristiche: una forma cilindrica lunga e una strut­
tura che permette attrazioni intermolecolari mediante forze di dispersione e forze
dipolo-dipolo o forze di legame idrogeno, ma che impedisce l’impaccamento cristal­
lino perfetto. La Figura 12.42 mostra le strutture di due molecole che formano fasi
liquido-cristalline. Si notino le forme bastoncellari e la presenza di certi gruppi – in

Figura 12.41 Tappe nella


pre­­pa­razione di una giunzione
p-n. Le Tappe 1 ÷ 5 preparano
la forma desiderata della parte
di tipo p sul wafer di tipo n. La
Tappa 6 la droga con l’elemento
del Gruppo 3A(13).

Figura 12.42 Strutture di


due tipiche molecole liquido-
cristalline. Si notino le forme
lunghe, estese, e le regioni di
alta (in rosso) e di bassa (in blu)
densità elettronica.

12txt.indd 388 16/05/19 11:02


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 389

questi casi sistemi ciclici piani simili all’anello benzenico – che mantengono estese le
molecole. Molti di questi tipi di molecole hanno anche un dipolo molecolare asso­
ciato all’asse molecolare maggiore. Un campo elettrico esterno abbastanza intenso è
capace di orientare grandi numeri di queste molecole all’incirca nella stessa direzione,
come si orienta l’ago magnetico di una bussola in un campo magnetico esterno.
La viscosità di una fase liquido-cristallina è minima nella direzione parallela
all’asse maggiore. Come nel caso dei vetrini per microscopio bagnati, è più facile
per le molecole slittare l’una accanto all’altra (perché la forza attrattiva totale rima­
ne invariata) che separarsi l’una dall’altra lateralmente. Di conseguenza, le molecole
tendono ad allinearsi mentre la fase fluisce.
Le fasi liquido-cristalline si possono originare in due modi generali e, talvolta,
entrambi i modi possono essere presenti nella stessa sostanza. Una fase termotropi-
ca si sviluppa per effetto di una variazione di temperatura. Quando si riscalda un
solido cristallino, le molecole abbandonano i loro siti reticolari, ma le interazioni in­
termolecolari sono ancora tanto forti da mantenere le molecole allineate l’una con
l’altra lungo i loro assi maggiori. Come qualsiasi altra fase, la fase liquido-cristallina
ha temperature di transizione nette; però, esiste in un intervallo di temperature re­
lativamente stretto. Un ulteriore riscaldamento fornisce alle molecole energia cine­
tica sufficiente per diventare disordinate, come in un liquido normale. L’intervallo
di temperature tipico delle fasi liquido-cristalline delle sostanze pure si estende da
<1 °C a circa 10 °C, ma il mescolamento delle fasi di due o più sostanze è in grado
di estendere ampiamente questo intervallo. Per questo motivo, le fasi liquido-cri­
stalline impiegate nei display, come pure quelle presenti nelle membrane cellulari,
sono costituite da miscele di molecole.
Una fase liotropica è presente in soluzione per effetto di variazioni di concen­
trazione, ma le condizioni per la formazione di questa fase variano da sostanza a
sostanza. Per esempio, alcune biomolecole che esistono in natura nelle membrane
cellulari dei mammiferi, quando sono purificate, formano fasi liotropiche in ac­
qua alla temperatura moderata che è presente nell’organismo. All’altro estremo,
il Kevlar, una fibra usata nella fabbricazione dei giubbotti antiproiettile e negli
attrezzi sportivi ad alte prestazioni, forma una fase liotropica ad alte temperature in Figura 12.43 I tre tipi comu-
soluzione concentrata di H2SO4. ni di fasi liquido-cristalline.
Le molecole che formano cristalli liquidi possono presentare vari tipi di ordine. A. Fase nematica. Un volume
Tre tipi comuni sono la fase nematica, la fase colesterica e la fase smettica. parallelepipedo della fase, con
vista espansa, mostra un primo
• In una fase nematica, le molecole sono orientate nella stessa direzione ma le piano della disposizione delle
loro estremità non sono allineate, all’incirca come un branco di pesci che nuo­ molecole. B. Fase colesterica. Si
tano in sincronismo (Figura 12.43A). La fase nematica è il tipo meno ordinato noti la disposizione a cavatappi
degli strati. C. Fase smettica. Un
di fasi liquido-cristalline. volume parallelepipedo mostra
• In una fase colesterica, che è alquanto più ordinata, le molecole giacciono in il più ordinato impilamento di
strati ciascuno dei quali presenta un ordine di tipo nematico. Però, invece di strati.

12txt.indd 389 16/05/19 11:02


390 Capitolo 12

Figura 12.44 Cristalli liquidi


in sistemi biologici.
A. Disposizione nematiche di
particelle di virus del mosaico
del tabacco nel liquido di una
foglia di tabacco. B. La disposi-
zione ordinata di filamenti delle
proteine actina e miosina nelle
cellule dei muscoli volontari.
(Foto: (A) © J. R. Factor/Science
Source; (B) © C. F. Armstrong/
Science Source).
giacere parallelamente, ciascuno strato è ruotato di un angolo fisso rispetto
allo strato successivo. Il risultato è una disposizione elicoidale (a “cavatappi”);
quindi una fase colesterica è detta anche fase nematica chirale (Figura 12.43B).
• In una fase smettica, che è la più ordinata, le molecole giacciono l’una parallela
all’altra, con le estremità allineate, in strati impilati direttamente l’uno sull’al­
tro, all’incirca come i ripiani di una scaffalatura di supermercato pieni di bot­
tiglie identiche (Figura 12.43C). L’asse molecolare maggiore ha un angolo ben
definito (indicato in 90° nella figura) rispetto al piano dello strato. Le molecole
nella Figura 12.42 sono tipiche di quelle che formano la fase nematica o quella
smettica. Fasi liquido-cristalline sono presenti in molti sistemi biologici (Figura
12.44).
In alcuni casi, una sostanza che forma una data fase liquido-cristallina in un insie­
me di condizioni forma altre fasi in differenti condizioni. Perciò, una data sostanza
liquido-cristallina termotropica può passare da un liquido disordinato a un cristallo
ordinato attraverso una serie di fasi liquido-cristalline distinte mediante una dimi­
nuzione di temperatura. Una sostanza liotropica può subire trasformazioni simili
mediante un aumento della concentrazione.
Applicazioni dei cristalli liquidi La capacità di controllare l’orientamento delle
molecole in un cristallo liquido permette di produrre materiali con alta resistenza
meccanica o con proprietà ottiche peculiari.
Le applicazioni ad alta resistenza implicano l’impiego di molecole estremamen­
te lunghe dette polimeri. Mentre sono in una fase liquido-cristallina termotropica
e durante il loro flusso nell’apparecchiatura di processamento, queste molecole
diventano altamente allineate, come le fibre nel legno.
Il raffreddamento le solidifica in fibre, sbarre o lamine che possono essere poi
conformate in materiali con proprietà meccaniche superiori nella direzione dell’as­
se molecolare maggiore. Con questi materiali vengono fabbricate attrezzature spor­
tive, parti di aviogetti supersonici e le vele impiegate dalle imbarcazioni che parte­
cipano all’America’s Cup.
Nell’attuale mercato dei beni di consumo sono molto più importanti gli LCD
(Liquid Crystal Displays, display a cristalli liquidi) impiegati in orologi, calcolatrici
e computer. Il funzionamento di tutti questi dispositivi si basa su variazioni dell’o-
rientamento molecolare in un campo elettrico esterno. Il tipo più comune, detto display
nematico chirale, è rappresentato schematicamente nella Figura 12.45 come piccola
porzione di un LCD di orologio da polso. La fase liquido-cristallina è costituita da
strati di fasi nematiche racchiuse tra sottili lamine di vetro che incorporano elet­
trodi trasparenti. Mediante uno speciale processo di rivestimento, l’asse molecolare
maggiore è diretto parallelamente al piano delle lamine di vetro. La distanza tra le
lamine (6 ÷ 8 μm) è scelta in modo che l’asse molecolare in ciascuno strato succes­
sivo ruoti di un angolo tale che l’orientamento molecolare sulla lamina inferiore
sia a 90° rispetto a quello sulla lamina superiore. Al di sopra e al di sotto di questo
­“sandwich” vi sono filtri polarizzatori sottili (come quelli impiegati nelle lenti Pola­
roid o nei filtri fotografici), che lasciano passare soltanto le onde luminose orientate
in una particolare direzione. I filtri sono collocati in una disposizione “incrociata”,
affinché la luce che attraversa il filtro superiore debba ruotare di 90° per attraver­

12txt.indd 390 16/05/19 11:03


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 391

Figura 12.45
Rappresentazione schemati-
ca di un LCD (Liquid Crystal
Display, display a cristalli
liquidi). Un primo piano del “2”
su un LCD di orologio da polso
mostra due polarizzatori che
racchiudono due lamine di vetro,
che racchiudono a loro volta
uno strato liquido-cristallino, il
tutto applicato su uno specchio.
Quando onde luminose orientate
in tutte le direzioni entrano nel
primo polarizzatore, soltanto le
onde orientate in una partico-
lare direzione escono dal filtro
per entrare nello strato liquido-
cristallino. Un ingrandimento di
una regione oscura del nume-
ro (ingrandimento superiore)
mostra che, quando la corrente
è “accesa”, le molecole liquido-
cristalline sono allineate e la
luce non può attraversare l’altro
polarizzatore e arrivare allo
specchio; quindi l’osservatore
non vede luce. L’ingrandimento
di una regione luminosa (ingran-
dimento inferiore) mostra che,
quando la corrente è “spenta”,
le molecole liquido-cristalline
sono in una disposizione nema-
tica chirale (elicoidale), che
fa ruotare il piano delle onde
luminose e permette loro di
attraversare l’altro polarizzatore
e raggiungere lo specchio. La
luce, riflettendosi e ripercorren-
do questo cammino (non rap-
presentato), raggiunge l’occhio
dell’osservatore.

sare il filtro inferiore. L’orientamento e le proprietà ottiche delle molecole fanno


ruotare l’orientamento della luce esattamente di questo angolo. L’intero complesso
di filtri, lamine e fase liquido-cristallina è disposto su uno specchio.
Una corrente generata dalla batteria dell’orologio controlla l’orientamento delle
molecole nella fase. Quando la corrente è “accesa” in una regione del display, le mo­
lecole si orientano verso il campo, impedendo così alla luce di attraversare il filtro
inferiore e quindi questa regione appare oscura. Quando la corrente è “spenta” in
un’altra regione, la luce attraversa le molecole e il filtro inferiore raggiungendo lo
specchio che la riflette a ritroso, e quindi questa regione appare luminosa.
I cristalli liquidi colesterici sono impiegati in applicazioni che implicano cam­
biamenti di colore al variare della temperatura. L’“avvolgimento elicoidale” in que­
ste fasi “si svolge” per effetto del riscaldamento, e l’entità dello svolgimento de­
termina il colore. Questo effetto è sfruttato dai termometri a cristalli liquidi che
contengono una miscela di sostanze per ampliare l’intervallo di temperature. Gli
impieghi nuovi e più importanti comprendono la “mappatura” dell’area di un tu­
more, l’identificazione di connessioni difettose nei circuiti elettronici e l’analisi non
distruttiva di materiali sotto sforzo.

12txt.indd 391 16/05/19 11:03


392 Capitolo 12

Materiali ceramici
Realizzati per la prima volta nell’età della pietra, i materiali ceramici (o, più sem­
plicemente, i ceramici) sono definiti come solidi non metallici, non polimerici, che
vengono induriti dal riscaldamento ad alte temperature. I ceramici a base argillosa
sono costituiti da microcristalli di silicati in un mezzo cementante vetroso. Per esem­
pio, nella “cottura” di un vaso ceramico, un forno riscalda l’oggetto fatto di argilla
costituita da alluminosilicato, come la caolinite, a 1500 °C e l’argilla perde acqua:
Si2Al2O5(OH)4(s) Si2Al2O7(s) + 2H2O(g)
Durante il processo di riscaldamento, la struttura si riorganizza formando un retico­
lo esteso di tetraedri di atomi di O con al centro Si e Al.
I laterizi, le porcellane, le terraglie invetriate e gli altri ceramici a base argillosa
sono utili per la loro durezza e la loro resistenza al calore e agli agenti chimici. Gli
odierni ceramici ad alta tecnologia possiedono queste caratteristiche tradizionali
oltre a superiori proprietà elettriche e magnetiche (Tabella 12.7). Come esempio,
consideriamo l’insolito comportamento elettrico di certi materiali compositi di
ossido di zinco (ZnO). Lo ZnO, un semiconduttore in condizioni ordinarie, può
essere drogato in modo che diventi un conduttore. Includendo particelle dell’os­
sido drogato in un ceramico isolante si ottiene un resistore variabile: quando gli è
applicata una bassa tensione elettrica, il materiale è un cattivo conduttore elettrico,
ma, quando gli è applicata un’alta tensione elettrica, diventa un buon conduttore.
L’aspetto migliore è che la tensione di commutazione può essere “prefissata” con­
trollando le dimensioni delle particelle di ZnO e lo spessore del mezzo isolante.
Preparazione dei ceramici moderni I ceramici moderni importanti compren­
dono il carburo di silicio (SiC) e il nitruro di silicio (Si3N4), il nitruro di boro (BN)
e gli ossidi superconduttori. Vengono preparati con metodi chimici standard che
implicano l’eliminazione di un componente volatile durante la reazione.
I ceramici SiC vengono preparati a partire da composti utilizzati nella prepa­
razione dei polimeri siliconici (esamineremo le loro strutture e i loro impieghi nel
Paragrafo 14.6):
n(CH3)2SiCl2(l) + 2nNa(s) 2nNaCl(s) + [(CH3)2Si]n(s)
Questo prodotto viene riscaldato a 800 °C per formare il ceramico:
[(CH3)2Si]n nCH4(g) + nH2(g) + nSiC(s)
SiC può essere preparato anche per reazione diretta del Si e della grafite nel vuoto:
1500 °C
Si( s ) + C(grafite) ⎯ ⎯⎯⎯ → SiC( s )
Il nitruro viene preparato anche per reazione degli elementi:
>1300 °C
3Si( s ) + 2N 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯ → Si 3N 4 ( s )

12txt.indd 392 16/05/19 11:03


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 393

La formazione di un ceramico BN comincia con la reazione del tricloruro di boro o


dell’acido borico con l’ammoniaca:
B(OH)3(s) + 3NH3(g) B(NH2)3(s) + 3H2O(g)
Il riscaldamento elimina una parte dell’azoto legato sotto forma di NH3 per dare il
ceramico:
Δ
B(NH2 )3 ( s ) ⎯ ⎯ → 2NH3 ( g ) + BN( s )
Uno degli ossidi superconduttori ad alta temperatura critica comuni è un ceramico
preparato riscaldando una miscela di carbonato di bario e di ossidi di rame e ittrio,
seguito da ulteriore riscaldamento in presenza di O2:
Δ
4BaCO3 ( s ) + 6CuO( s ) + Y2O3 ( s ) ⎯ ⎯ → 2YBa 2Cu3O6,5 ( s ) + 4CO2 ( g )
Δ
YBa 2Cu3O6,5 ( s ) + 14 O 2 ( g ) ⎯ ⎯ → YBa 2Cu3O7 ( s )

Strutture e impieghi dei ceramici Le strutture di alcuni materiali ceramici


Figura 12.46 Celle ele-
sono mostrate nella Figura 12.46. Si noti la struttura del carburo di silicio, simile mentari di alcuni materiali
a quella del diamante. Il legame covalente reticolare conferisce a questo materiale ceramici moderni. SiC (A) e la
grande resistenza. SiC viene preparato in fibre sottili, dette whisker, per rinforzare forma ad alta pressione di BN
altri ceramici in una struttura composita e impedire la rottura, all’incirca come si (B) hanno entrambi una struttu-
ra cristallina simile a quella del
inseriscono sbarre d’acciaio nel calcestruzzo per rinforzarlo ottenendo il calcestruz­
diamante e sono estremamente
zo armato (“cemento armato”). Il nitruro di silicio è pressoché chimicamente inerte, duri. YBa2Cu3O7 (C) è uno degli
conserva la resistenza meccanica e la resistenza all’usura per intervalli di tempo ossidi superconduttori ad alta
prolungati a temperature superiori a 1000 °C, è denso e duro, e si comporta come temperatura critica.
un isolante elettrico. Le case automobilistiche giapponesi e statunitensi lo stanno
provando in motori per autoveicoli ad alta efficienza perché permette una combi­
nazione ideale di basso peso, alta temperatura di funzionamento e bassa necessità
di lubrificazione.
I ceramici BN esistono in due strutture (Paragrafo 14.5), analoghe alle forme
cristalline comuni del carbonio. Nella forma simile alla grafite, BN ha proprietà
straordinarie come isolante elettrico. A temperatura elevata e a pressione molto
alta (1800 °C e 8,5 ⋅ 104 atm, rispettivamente), si converte in una struttura simile al
diamante, la quale è estremamente dura e durevole. Entrambe le forme sono pres­
soché invisibili al radar.
Abbiamo menzionato precedentemente alcuni impieghi potenziali degli ossi­
di superconduttori. In quasi tutti questi materiali ceramici, il rame è presente in
uno stato di ossidazione insolito. Per esempio, nel YBa2Cu3O7, supponendo stati
di ossidazione +3 per Y, +2 per Ba e −2 per O, i tre atomi di Cu hanno uno stato
di ossidazione totale +7. Esso è attribuito come Cu(II)2Cu(III), con un atomo di Cu
nello stato di ossidazione insolito +3. La cristallografia a raggi X indica che una
distorsione nella struttura fa sì che quattro degli ioni ossido siano insolitamente
vicini allo ione Y3+, il che allinea gli ioni Cu in catene entro il cristallo. È stata
prospettata la possibilità che uno specifico orbitale 3d semipieno in Cu, orientato

12txt.indd 393 16/05/19 11:03


394 Capitolo 12

verso uno ione O2− vicino, sia associato alla superconduzione, anche se il pro­
cesso è ancora scarsamente compreso. A causa della loro fragilità, è stato difficile
trasformare questi ceramici in fili, ma recentemente sono stati sviluppati metodi
per preparare film e nastri superconduttori.
La ricerca sulla lavorazione dei ceramici sta cominciando a risolvere il problema
dell’intrinseca fragilità di questa intera classe di materiali. Questa fragilità è dovuta
alla forza del legame ionico-covalente in questi solidi e alla loro conseguente inca­
pacità di deformarsi. Sotto sforzo, un difetto cristallino piccolissimo si allarga e si
allunga finché il materiale non si rompe. Un nuovo metodo forma ceramici privi di
difetti usando l’impaccamento controllato e il trattamento termico di particelle di
ossido piccole e uniformi, rivestite di polimeri organici. Un altro metodo si propone
di arrestare l’allargamento di un’incrinatura. In questi ceramici è incluso diossido
di zirconio (ZrO2), la cui struttura cristallina si dilata fino al 5% sotto lo sforzo
meccanico dell’apice di un’incrinatura: nel momento in cui l’incrinatura avanzante
le raggiunge, le particelle di ossido di zirconio la sigillano efficacemente. È stato
riferito recentemente un terzo metodo. Ricercatori giapponesi hanno preparato
un materiale ceramico costituito da monocristalli di Al2O3 e GdAlO3 fatti crescere
con precisione, i quali si intrecciano nel processo di solidificazione. Il materiale si
piega senza incrinarsi a temperature superiori a 1800 K.
Nonostante le difficoltà tecniche non ancora superate, chimici ingegnosi con­
tinueranno a sviluppare nuovi materiali ceramici e ad applicare le loro proprietà
stupefacenti e utili nel XXI secolo inoltrato.

Materiali polimerici
Un polimero (dal greco “molte parti”) è una molecola estremamente grande, o ma-
cromolecola, costituita dall’unione di molecole più piccole, i monomeri (dal greco
“una parte”) unite da legami covalenti. Il monomero è l’unità ripetitiva del polimero,
e quest’ultimo può essere costituito da centinaia di migliaia di unità ripetitive. I po­
limeri sintetici vengono preparati in laboratorio, quelli naturali (o biopolimeri) sono
prodotti da reazioni chimiche negli organismi. Esistono molti tipi di monomeri e
la diversità delle loro strutture chimiche permette di esplorare completamente il
campo delle forze intermolecolari.
I polimeri sintetici, quali le plastiche, le gomme e i vetri reticolati, sono presen­
ti in innumerevoli oggetti utilizzati nella vita quotidiana dell’uomo: dalle vernici, ai
vestiti, ai componenti elettronici ecc. Alcuni di questi materiali sono difficilmente
degradabili e permangono molto a lungo nell’ambiente; pertanto, se non vengono
opportunamente riciclati, creano un serio problema ambientale. Naturalmente, i
polimeri sintetici utilizzati per le applicazioni mediche (pelle artificiale, compo­
nenti delle valvole cardiache artificiali, protesi ossee) sono progettati in modo da
ottenere materiali la cui durata sia la più lunga possibile.
In questo paragrafo esamineremo la natura fisica dei polimeri sintetici e l’in­
fluenza delle forze intermolecolari sulle loro proprietà e applicazioni.
Dimensioni di una catena polimerica: massa, grandezza e forma A causa del­
la loro grande lunghezza i polimeri sono diversi dalle molecole più piccole sotto molti
aspetti. Vediamo come i chimici descrivono la massa, la grandezza e la forma di una
catena polimerica e come le catene sono organizzate in un campione di materiale po­
limerico. Prenderemo come esempio il polimero sintetico più comune: il polietilene.
1. Massa del polimero. La massa molare di una catena polimerica (Mpolimero, espressa
in g/mol, spesso chiamata peso molecolare) dipende da due parametri – la massa
molare dell’unità ripetitiva (Munità ripetitiva) e il grado di polimerizzazione (n), il
numero di unità ripetitive nella catena:
Mpolimero = Munità ripetitiva  ×  n
Per esempio, la massa molare dell’unità ripetitiva etilene è 28 g/mol. Se una catena
di polietilene in una busta di plastica ha un grado di polimerizzazione di 7100, la

12txt.indd 394 16/05/19 11:03


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 395

Tabella 12.8 Masse molari di alcuni polimeri di uso comune


Nome Mpolimero (g/mol) n Usi
Acrilato 2 × 10 5
2 × 103 Tappeti, stoffe
Poliammide (nylon) 1,5 × 104 1,2 × 102 Pneumatici, lenze
Policarbonato 1 × 105 4 × 102 Compact disc
Polietilene 3 × 105 1 × 104 Sacchetti
Polietilene (a peso 5 × 106 2 × 105 Protesi dell’anca
molecolare elevato)
Poli(etilen tereftalato) (PET) 2 ×104 1 × 102 Bottiglie
Polistirene 3 × 105 3 × 103 Confezioni
Poli(vinil cloruro) (PVC) 1 × 105 1,5 × 103 Tubazioni

massa molare di quella particolare catena è


Mpolimero = Munità ripetitiva  ×  n = (28 g/mol) (7,1  ×  103) = 2,0  ×  105 g/mol

La Tabella 12.8 mostra alcuni altri esempi.


Tuttavia, anche se ogni specifica catena in un campione di polimero ha una mas­
sa molare definita, il grado di polimerizzazione varia spesso notevolmente da ca­tena
a catena. Come risultato in tutti i campioni di polimeri sintetici esiste una distri­bu­zione
di lunghezza delle catene. Per questa ragione, i chimici utilizzano diverse definizioni
della massa molare media, una delle quali è la massa molare media numerica, Mn:
massa totale di tutte le catene
n =
numero di moli di catene

Così, anche se la massa molare media numerica del polietilene nei sacchetti per la
spesa è, per esempio, 1,6  ×  105 g/mol, la massa molare delle catene può variare da
circa 7,0  ×  104 a 3,0  ×  105 g/mol.
2. Lunghezza della catena polimerica. L’asse più lungo di una catena polimerica
è chiamato lo scheletro. La sua lunghezza è semplicemente il numero di unità
ripetitive (il grado di polimerizzazione, n) moltiplicato per la lunghezza di ogni
unità ripetitiva (l0). Per esempio, la lunghezza di un’unità ripetitiva di etilene è
circa 250 pm, così la lunghezza di una catena polimerica di polietilene nel nostro
sacchetto per la spesa è:
lunghezza della catena = n  ×  l0 = (7,1  ×  103) (2,5  ×  102 pm) = 1,8  ×  106 pm

Il confronto di questa lunghezza con lo spessore della catena, che è di soli 40 pm,
permette di visualizzare la struttura filamentosa della catena.
3. Forma e dimensione della spirale. È comunque molto importante comprendere che
una molecola polimerica, sia essa pura o in soluzione, non esiste come una catena
lineare, ma è molto più compatta. Per visualizzarne la forma reale si deve considerare
che, in prima approssimazione, la forma della catena è determinata dalla rotazione
libera attorno a tutti i legami semplici presenti nella catena stessa. Così, mentre
ogni unità ripetitiva ruota casualmente, la catena cambia continuamente direzione
arrivando infine a una struttura a spirale irregolare (random coil) (Figura 12.47),
adottata dalla maggior parte dei polimeri. In realtà, la rotazione non è completamen­
te libera perché, nel piegarsi o ruotare di una parte della catena verso un’altra parte
della stessa o di una diversa catena, tra le due parti esistono forze attrattive.
Il fattore chiave che determina la forma di una catena polimerica è dunque la
natura delle forze intermolecolari tra diverse porzioni della stessa catena, tra diver­
se catene o tra le catene e il solvente.
La dimensione delle spirali di una catena polimerica si chiama raggio di curva­
tura Rg, la distanza media tra il centro di massa e l’estremità esterna della spirale

12txt.indd 395 16/05/19 11:03


396 Capitolo 12

Figura 12.47 La forma a (Figura 12.47). Benché venga riportato un singolo valore di Rg per un dato polime­
spirale disordinata (random ro, questo valore è in realtà la media dei valori relativi a molte catene. L’espressione
coil) di un polimero. Si noti il matematica che definisce il raggio di curvatura considera la lunghezza di ogni unità
piegamento disordinato a spira-
le della catena di atomi di car-
ripetitiva e la sua direzione casuale nello spazio assieme agli angoli di legame sia tra
bonio (nero). Porzioni di nume- gli atomi della singola unità ripetitiva sia tra diverse unità:
rose catene vicine (rosso, verde nl02
e giallo) sono aggrovigliate con Rg =
questa catena e mantenute 6
l’una vicina all’altra da forze
di dispersione. In realtà, altre Il raggio di curvatura aumenta con il grado di polimerizzazione e con la massa
catene aggrovigliate riempiono molare. Esperimenti di scattering della luce e altre misure di laboratorio danno
tutti gli spazi vuoti. Il raggio buone correlazioni con i valori calcolati; dunque il raggio di curvatura è, per molti
di curvatura (Rg) rappresenta polimeri, determinabile sperimentalmente.
la distanza media tra il centro
di massa della spirale e la sua
Per il nostro sacchetto della spesa di polietilene, si ha:
estremità. 2
nl02 (7,1×103 )(2,5×102 pm)
=
Rg = = 8,6 ×103 pm
6 6

Raddoppiando il raggio si ottiene un diametro di 1,7  ×  104 pm, meno di un cente­


simo della lunghezza della catena!
Cristallinità dei polimeri La descrizione fatta fino a questo punto potrebbe dare
l’impressione che un campione di materiale polimerico sia solo un groviglio di ca­
tene disordinate, ma questo spesso non è vero. Se la struttura molecolare permette
a catene vicine di impaccarsi e se le interazioni tra i vari gruppi presenti permette
lo stabilirsi di interazioni dipolo-dipolo, legame idrogeno o forze di dispersione
favorevoli, alcune delle catene possono allinearsi regolarmente e il materiale esibirà
zone di cristallinità.
La cristallinità di un polimero è però molto diversa da quella delle strutture
cristalline dei composti più semplici discussi precedentemente. Nei solidi cristallini
la struttura ordinata si estende a molte molecole e la cella unitaria include almeno
una molecola. In un polimero, invece, le regioni ordinate si estendono raramente,

12txt.indd 396 16/05/19 11:03


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 397

Figura 12.48 La semicristal-


linità di una catena polimeri-
se non mai, a un’intera molecola (Figura 12.48). Nel migliore dei casi un polimero ca. Questa rappresentazione del
è semicristallino, perché solo alcune parti della molecola sono allineate a parti delle polietilene mette in evidenza
molecole vicine (o della stessa molecola), mentre la maggior parte della catena rima­ diverse regioni ordinate (colore
ne disposta come una spirale disordinata. La cella unitaria di un polimero, dunque, più scuro) e spirali disordinate
tra esse. Le regioni ordinate di
include solo una piccola parte della molecola.
catene vicine (rosse e gialle) si
Comportamento di flusso dei polimeri Nel Paragrafo 12.4 abbiamo definito sovrappongono a quelle della
catena principale.
la viscosità di un fluido come la sua resistenza allo scorrimento. Alcuni dei più
importanti usi dei polimeri derivano dalla loro capacità di variare la viscosità di un
solvente nel quale sono stati sciolti e di mostrare variazioni dipendenti dalla tem­
peratura della loro stessa viscosità.
Quando una quantità apprezzabile di polimero (circa 5-10% in massa) si scioglie
in un solvente, la viscosità della soluzione risultante è molto diversa da quella del
solvente puro. Un’applicazione di questo comportamento consiste nell’addizione di
polimeri per aumentare la viscosità di molti materiali comuni, quali oli lubrificanti,
vernici o condimenti. Un polimero disciolto aumenta la viscosità della soluzione
interagendo con il solvente. Man mano che la spirale disordinata del polimero si
muove attraverso la soluzione, le molecole di solvente sono attratte all’interno e
all’esterno della spirale da forze intermolecolari (Figura 12.49). Così la spirale poli­
merica trascina con sé molte molecole di solvente che, a loro volta, sono attratte
da altre molecole di solvente e da altre eliche e, come risultato, il flusso rallenta.
Aumentando la concentrazione di polimero, la viscosità aumenta perché aumenta
la probabilità che le varie spirali si impiglino l’una con l’altra. Perché ogni spirale
possa scorrere, è necessario che si liberi dalle altre o che le trascini con sé.
La viscosità è una proprietà fondamentale che caratterizza il comportamento di
una particolare coppia polimero-solvente a una data temperatura. Nello stesso modo
in cui avviene per un polimero puro, la dimensione di una spirale (il raggio di curva­
tura) di un polimero in soluzione aumenta con la massa molare, e così fa la viscosità
della soluzione. Per studiare le interazioni di base e per migliorare la produzione dei
polimeri, sono state sviluppate equazioni quantitative che permettono di predire la
viscosità di soluzioni di polimeri di diversa massa molare in diversi solventi.
Le forze intermolecolari sono anche fondamentali nel determinare il comporta­
mento di flusso di un campione puro di polimero. A temperature sufficientemente
alte da causarne la fusione, molti polimeri esistono come liquidi viscosi, che fluiscono

12txt.indd 397 16/05/19 11:03


398 Capitolo 12

Figura 12.49 La viscosità di in modo più simile al miele che non all’acqua. Le forze tra le catene, così come il loro
un polimero in soluzione. Un
modello ball and stick di una
impigliarsi l’una nell’altra, impediscono alle molecole di scorrere liberamente. Se la
sezione di una catena di polie- temperatura diminuisce, le attrazioni intermolecolari hanno un effetto maggiore e il
tilenossido in acqua (sinistra) polimero si trasforma in un solido rigido. Se le catene non cristallizzano, il materiale
mostra i legami idrogeno che si risultante viene chiamato un polimero vetroso. La transizione da liquido a vetro av­
formano tra le coppie solitarie viene in un piccolo intervallo di temperatura (10-20 °C) per un dato polimero, ma
di elettroni degli atomi di ossi-
geno della catena e gli atomi
i chimici definiscono un singolo valore di temperatura a metà di questo intervallo
di idrogeno delle molecole come la temperatura di transizione vetrosa, Tg. Come i vetri delle finestre, molti poli­
d’acqua. La catena polimerica, meri vetrosi sono trasparenti: ne è un esempio il polistirene dei bicchieri di plastica
disegnata come un bastoncino e il policarbonato dei compact disc.
rosso e blu a spirale (al centro) Le proprietà di flusso dei polimeri danno luogo al loro familiare comporta­
forma molti legami H con le
molecole di solvente. I legami
mento meccanico di tipo plastico. La parola “plastica” si riferisce a un materiale
H con le molecole d’acqua per- che, dopo una deformazione, mantiene la sua nuova forma. Molti polimeri possono
mettono l’interazione di una essere deformati a caldo (allungati, piegati, curvati) e mantengono la loro forma
catena con quelle vicine. Con deformata quando vengono nuovamente raffreddati. È così che vengono realizzati
l’aumento della concentrazione innumerevoli oggetti di uso quotidiano – bottiglie, parti di automobili eccetera.
del polimero (destra) la viscosità
della soluzione aumenta perché
il movimento di ogni catena è
Architettura molecolare dei polimeri L’architettura dei polimeri – ovvero la
impedito dalle sue interazioni loro struttura molecolare e distribuzione spaziale complessiva – determina le loro
con il solvente e con le altre proprietà. In aggiunta alle catene lineari che abbiamo descritto sin qui, i chimici
catene. possono creare polimeri con architetture più complesse mediante i processi di rami­
ficazione e reticolazione.
Le ramificazioni sono catene più piccole legate alla catena principale del
polimero. Con l’aumentare del numero di ramificazioni, diminuisce la possibilià di
impaccamento delle catene e, come conseguenza, diminuisce il grado di cristalli­
nità del polimero, che diventa meno rigido. Una piccola quantità di ramificazioni
si sviluppa per effetto di reazioni collaterali nella sintesi del polietilene ad alta
densità (High Density PolyEthylene, HDPE). Il polimero è comunque sostanzialmente
lineare e quindi abbastanza rigido da poter essere utilizzato per fabbricare bottiglie
di plastica. Al contrario, la preparazione del polietilene a bassa densità (Low Density

12txt.indd 398 16/05/19 11:03


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 399

Tabella 12.9 Alcuni comuni elastomeri


Nome Tg (°C) Usi
Poli(dimetil silossano) −123 Protesi al seno
Polibutadiene −106 Elastici
Poliisoprene −65 Guanti chirurgici
Policloroprene (neoprene) −43 Calzature, tubazioni mediche

PolyEthylene, LDPE) è progettata in modo da aumentare il numero di ramificazioni.


Le catene non possono impaccarsi bene e la cristallinità è bassa. Il materiale risul­
tante è flessibile e trasparente e può essere utilizzato per preparare i sacchetti per
conservare gli alimenti.
I dendrimeri sono l’ultima forma di polimeri ramificati. Vengono preparati a
partire da monomeri con tre o più gruppi leganti, cosicché ogni monomero forma
delle ramificazioni. In sostanza, i dendrimeri non hanno scheletro e sono costituiti
solo da ramificazioni. Come si può vedere dalla scheda Bellezza molecolare: forme
strane con funzioni utili nel Capitolo 10, un dendrimero si sviluppa con un numero
di ramificazioni sempre crescente e presenta un incredibile numero di gruppi ter­
minali alla sua periferia. I chimici hanno usato i dendrimeri per legare un polimero
a un altro nella produzione di film e fibre e in applicazioni mediche per il rilascio
di farmaci in siti specifici.
Le reticolazioni possono essere considerate come ramificazioni che legano
una catena a un’altra. La diversa entità delle reticolazioni causa notevoli differenze
nelle proprietà. In molti casi, un basso grado di reticolazione dà luogo alla forma­
zione di un polimero termoplastico, una sostanza che è ancora fluida a temperature
elevate. Con l’aumentare delle reticolazioni un polimero termoplastico si trasforma
in un polimero termoindurente, una sostanza che non può più fluire perché è diven­
tata una sola catena reticolata. Alcuni polimeri termoindurenti sono molto rigidi
al di sotto della loro temperatura di transizione vetrosa e sono pertanto la matrice
ideale di materiali compositi ad alta resistenza.
Al di sopra della loro temperatura di transizione vetrosa, molti termoindurenti
diventano elastomeri, polimeri che possono essere allungati ma che riprendono
immediatamente la loro forma originale non appena lo sforzo cessa, come avviene,
per esempio, per un comune elastico. Quando si allunga un elastico, le singole
catene polimeriche scorrono solo per piccole distanze, finché le connessioni nella
struttura reticolata non le riportano nella posizione originale. La Tabella 12.9 elenca
alcuni elastomeri.
Le proprietà dei polimeri sono spesso influenzate anche dalle differenze nella
sequenza dei monomeri. Un omopolimero è costituito da un solo tipo di monomero
(A A A A A …), mentre un copolimero è costituito da due o più tipi di
monomero. Il più semplice copolimero è chiamato un copolimero a blocchi AB per­
ché una catena (blocco) di monomeri A è legata a una catena di monomeri B:
… A A A A A B B B B B …
Se le forze intermolecolari tra le porzioni A e B della catena sono più deboli di
quelle tra diverse regioni di ogni blocco, le porzioni A e B formano delle spirali ca­
suali indipendenti. Questa proprietà rende i copolimeri AB adesivi ideali per unire
covalentemente due diverse superfici polimeriche. Un copolimero a blocchi ABA
è costituito da catene di tipo A legate alle due estremità di una catena di tipo B:
… A A A B (B) n B A A A …
Alcuni di questi copolimeri a blocchi sono elastomeri termoplastici, materiali sago­
mati ad alta temperatura che diventano elastomeri a temperatura ambiente; non è
sorprendente che questi materiali abbiano rivoluzionato l’industria delle calzature.
I chimici dei polimeri sono in grado di progettare materiali di cui si possano
controllare proprietà quali la viscosità, la forza, la durezza e la flessibilità. L’effetto

12txt.indd 399 16/05/19 11:03


400 Capitolo 12

delle forze intermolecolari sulle loro proprietà fisiche è solo una parte della storia
di questi utilissimi materiali. Nella scheda a pp. 486-487 vengono descritti i poli­
meri siliconici.

Nanotecnologia: progettazione di materiali atomo per atomo


Alla frontiera della scienza interdisciplinare, in espansione a un ritmo incredibile, il
nuovo campo entusiasmante della nanotecnologia riceve contributi di ricercatori
nei campi della fisica, della scienza dei materiali, della chimica, della biologia, del­la
scienza ambientale, della medicina e di molte branche dell’ingegneria. Conferenze
internazionali, periodici scientifici e un crescente elenco di siti web universitari e in­
dustriali annunciano l’enorme impatto potenziale della nanotecnologia sulla società.
La nanotecnologia è la scienza e l’ingegneria dei sistemi su nanoscala (nano­
strutture): quelli le cui dimensioni sono comprese tra 1 e 100 nm. La nanotecnologia
comporta uno sforzo interdisciplinare di scienziati appartenenti a numerose aree
scientifiche, quali fisica, chimica, biologia, scienza dei materiali, medicina e ingegne­
ria. Fino a poco tempo fa, i fisici avevano concentrato l’attenzione principalmente
sulle strutture e sulle proprietà degli atomi, che sono più piccoli (circa 1  ×  10−1 nm),
o dei cristalli, che sono più grandi (circa 1  ×  105 nm e maggiori). Tra questi estremi
di dimensioni, i nanotecnologi esaminano le proprietà chimiche e fisiche delle na­
nostrutture, manipolando gli atomi uno alla volta per sintetizzare particelle, cluster
(aggregati di particelle) e strati con proprietà molto diverse da quelle delle molecole
individuali o delle loro fasi macroscopiche. Il microscopio elettronico a scansione
a effetto tunnel (Scanning Tunneling Microscope, STM) (vedi la scheda Analisi per
diffrazione di raggi X e microscopia elettronica a scansione a effetto tunnel, p. 376) e
gli analoghi microscopio con sonda a scansione (Scanning Probe Microscope, SPM)
e microscopio a forza atomica (Atomic Force Microscope, AFM) sono alcuni degli
strumenti precisi necessari per collocare atomi, molecole e cluster individuali nelle
posizioni necessarie per costruire una struttura e indurre una reazione desiderata.
La chiave di questa tecnologia avveniristica sta in due caratteristiche della co­
struzione su nanoscala che avviene di routine in natura. La prima è l’autoassemblaggio,
la capacità di parti più piccole e più semplici di organizzarsi in un tutto più grande e
più complesso. Su scala molecolare, indica l’aggregazione di atomi o piccole molecole
mediante forze intermolecolari, specialmente forze dipolo-dipolo, forze di legame
idrogeno e forze di dispersione, che possono agire da “collante”. Regioni cariche di se­
gno opposto su due di queste particelle fanno contatto per formare una particella più
grande, che a sua volta forma una particella ancora più grande. L’altra caratteristica è
l’orientamento controllato, il posizionamento di due molecole l’una accanto all’altra per
un intervallo di tempo sufficiente affinché le forze intermolecolari esplichino il loro
effetto. Agiscono in questo modo alcuni catalizzatori industriali e tutti i catalizzatori
biologici (enzimi). (I catalizzatori, che saranno esaminati nel Capitolo 16, sono sostan­
ze che accelerano le reazioni senza essere consumate nel processo). I metodi comuni
di sintesi e assemblaggio per la costruzione su nanoscala comprendono metodi che
imitano l’autoassemblaggio biologico, metodi di precipitazione raffinati e un’ampia
varietà di tecniche aerosol fisiche e chimiche per la preparazione di nanocluster e la
loro successiva manipolazione in strutture più complesse.
Dato che i cambiamenti in questo campo sono assai rapidi, possiamo fornire
qui soltanto una descrizione molto generale degli attuali indirizzi di ricerca nel­
la nanotecnologia. Un recente resoconto sponsorizzato dal National Science and
Technology Council descrive gli sforzi su scala mondiale in quattro campi essenzia­
li: dispersioni e rivestimenti, materiali ad alta area superficiale, dispositivi funzionali
e materiali nanostrutturati.

Dispersioni e rivestimenti La nanotecnologia sta mettendo a disposizione


un’ampia gamma di applicazioni ottiche, termiche ed elettriche di dispersioni
e rivestimenti, comprendenti prodotti attinenti alla stampa, ai filtri antisolari,
alla fotografia e ai farmaci. Alcuni esempi sono le barriere termiche e ottiche,

12txt.indd 400 16/05/19 11:03


Forze intermolecolari: liquidi, solidi e transizioni di fase 401

l’intensificazione delle immagini, i materiali per getto d’inchiostro, le poltiglie


abrasive rivestite, e gli strati impiegati nella registrazione delle informazioni. Sono
state preparate nanoparticelle di ferro/platino, altamente ordinate, di dimensioni
estremamente uniformi e proprietà magnetiche eccezionali, che possono esse­
re adattate come rivestimenti per la memorizzazione delle informazioni ad alta
densità, permettendo di memorizzare una quantità di dati per unità di area su­
perficiale pari a 1 milione di volte quella consentita dai materiali attuali. Un’altra
applicazione entusiasmante implica film altamente ordinati, dello spessore di una
molecola – in effetti, cristalli bidimensionali – che possono essere usati per rive­
stire un’ampia gamma di superfici. Un metodo consiste nell’applicare strati di
molecole fotosensibili che passano reversibilmente da una forma a un’altra. Un
laser finemente focalizzato cambierebbe la forma molecolare per creare specifici
pattern, immagazzinando così le informazioni alla densità di 1 bit di dati per ogni
molecola!

Materiali ad alta area superficiale Queste applicazioni sfruttano le aree su­


perficiali incredibilmente grandi delle unità costitutive su nanoscala. Per esem­
pio, una particella di 5 nm di diametro ha circa la metà dei suoi atomi sulla sua
superficie. Quando si assemblano queste particelle, l’area della superficie risul­
tante è enorme. I progetti attuali comprendono membrane porose per dispositivi
di depurazione dell’acqua e batterie, sistemi di rilascio controllato di farmaci e
film multistrato che incorporano molecole fotosintetiche per cellule solari ad
alta efficienza. C’è una grande potenzialità per sensori molecola-specifici. I bio­
sensori permettono oggi di identificare quantità piccolissime di DNA (10−14 mol)
usando cambiamenti di colore di nanoparticelle d’oro. In uno sviluppo recente,
particelle d’oro di 50 nm di diametro hanno identificato differenze in due tratti
di DNA, il che può permettere di individuare piccolissime mutazioni genetiche.
Un obiettivo finale è sviluppare biosensori in grado di circolare liberamente nel
flusso circolatorio, misurare concentrazioni di specifiche molecole patologiche e
rilasciare farmaci a singole cellule, persino a singoli geni.

Dispositivi funzionali La necessità di macchine sempre più piccole è la forza


motrice in questo settore e il nanocomputer (computer su nanoscala) è il sogno. La
gara in atto verso computer tradizionali più veloci e più piccoli urterà presto un
“muro di mattoni” fondamentale. Dagli anni Sessanta del secolo scorso, le velocità
di calcolo sono raddoppiate all’incirca ogni due anni via via che le linee fotoincise
fra transistori e diodi sul chip di silicio sono state rese sempre più vicine. L’attuale
fotolitografia UV permette di incidere linee separate da circa 180 nm. Però, quando
questa distanza si avvicina a 50 nm, sorgono incoerenze di drogaggio, generazione
di calore e altre limitazioni intrinseche, e il chip basato sul silicio raggiunge il suo
limite dimensionale inferiore. Si immagini l’impatto potenziale delle ricerche in
corso per realizzare supercomputer costituiti da diodi e transistori di dimensioni
molecolari, legati a una superficie organica: la riduzione ultima delle dimensioni e
quindi l’aumento ultimo della velocità di elaborazione dei dati.
Per realizzare questo sogno, uno dei principali sforzi di ricerca è concentrato
sullo sviluppo del transistore a singolo elettrone (Single-Electron Transistor, SET). I
SET verranno formati in schiere con metodi simili a quelli dell’autoassemblaggio
biologico. Questi dispositivi su nanoscala devono avere connessioni su nanoscala,
e quindi un settore affine si occupa della fabbricazione di nanofili conduttori. In
un metodo, un metallo viene depositato mediante galvanostegia da una soluzio­
ne [quale cobalto da Co(NO3)2] per riempire nanopori uniformi creati mediante
ossidazione controllata di superfici di alluminio. Ma la massima attività di ricer­
ca è concentrata sui nanotubi di carbonio (vedi Figura 12.50 e scheda Minerali
silicati e polimeri siliconici, Capitolo 14, pp. 486-487). I nanotubi possono essere
costruiti con una singola parete o con più pareti, con proprietà isolanti, semicon­
duttrici o metalliche. Siano essi prodotti mediante riduzione ad alta temperatura

12txt.indd 401 16/05/19 11:03


402 Capitolo 12

(800 ÷ 1000 °C) di un idrocarburo o mediante irradiazione di fullereni con fasci


elettronici, i nanotubi vengono poi separati fisicamente secondo le dimensioni e
le proprietà usando il microscopio a forza atomica o il microscopio elettronico a
scansione a effetto tunnel. L’addizione di gruppi chimici specifici ai nanotubi per­
mette di espandere ulteriormente le loro applicazioni.

Materiali nanostrutturati È noto che le proprietà meccaniche, magnetiche e ot­


tiche variano drasticamente quando materiali macroscopici vengono consolidati a
Figura 12.50 La struttura partire da unità costitutive su nanoscala. La nanostrutturazione aumenterà notevol­
molecolare dei nanotubi di
mente la durezza e la resistenza meccanica dei metalli e la duttilità e la plasticità
carbonio. (Foto: © Shutterstock/
Evannovostro). dei ceramici. I nanofiller [filler (riempitivi) costituiti da nanoparticelle] possono dare
materiali nanocompositi con proprietà uniche: magneti teneri, utensili da taglio duri,
cementi duttili ultraforti, refrigeranti magnetici, e un’ampia gamma di elastomeri
riempiti con nanoparticelle, materiali termoplastici e materiali termoindurenti.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


P2 ⎛⎜ −40,7 ×103 J/mol ⎞⎟⎟
12.1 ln =⎜ ⎟ 12.3 (a) Forze dipolo-dipolo; forze di dispersione; CH3Br
P1 ⎜⎜⎝ 8,314 J/ (mol ⋅ K) ⎟⎠ (b) Legami idrogeno, forze dipolo-dipolo, forze di dispersione;
⎛ 1 1 ⎞⎟ CH3CH2CH2OH
×⎜⎜⎜ − ⎟⎟ (c) Forze di dispersione; C3H8
⎝ 273,15 + 85,5 K 273,15 + 34,1 K ⎟⎠
1 cm 3 55,85 g Fe
= (−4,90 ×103 K)(−4,66 ×10−4 K−1 ) =
2,28 12.4 numero di Avogadro = × × 0,68
7,874 g Fe 1 mol Fe
P2
= =
9,8; perciò, P2 40,1 mmHg ⋅ 9,8
= 3,9 ×102 mmHg 1 atomo Fe
P1 ×
8,38 ×10−24 cm3
12.2 (a) (b) = 5,8 ×1023 (atomi Fe)/(mol Fe)

(c) Nessun legame idrogeno

12txt.indd 402 16/05/19 11:03


Le proprietà delle miscele:
soluzioni e colloidi 13
Quasi tutti i gas, i liquidi e i solidi che costituiscono il nostro mondo sono miscele: DA SAPERE PRIMA
due o più sostanze mescolate tra loro ma non combinate chimicamente. Le miscele
• classificazione e separazione delle
sintetiche, quali i vetri e i saponi, contengono di solito relativamente pochi com­ miscele (Paragrafo 2.9)
ponenti, mentre le miscele naturali, quali l’acqua di mare e il suolo, contengono • calcoli che implicano la percen­
spesso più di 50 differenti sostanze. Le miscele viventi, quali gli alberi e gli esseri tuale in massa (Paragrafo 3.1) e la
molarità (Paragrafo 3.5)
umani, sono le più complesse: anche una semplice cellula batterica contiene più di • elettroliti; l’acqua come solvente
5000 differenti composti (Tabella 13.1). (Paragrafi 4.1 e 12.5)
• frazione molare e legge di Dalton
delle pressioni parziali
(Paragrafo 5.4)
• tipi di forze intermolecolari e
concetto di polarizzabilità (Para­
grafo 12.3)
• pressione di vapore dei liquidi
(Paragrafo 12.2)

Come abbiamo visto nel Capitolo 2, una miscela è definita da due caratteristiche: ha
una composizione variabile e conserva alcune proprietà dei suoi componenti. In questo
capitolo concentreremo l’attenzione su due tipi comuni di miscele: le soluzioni e i
colloidi. Una soluzione è una miscela omogenea, una miscela in cui non esistono inter­
facce tra i suoi componenti; quindi, una soluzione esiste come un’unica fase. Una
miscela eterogenea ha due o più fasi. La ghiaia nel calcestruzzo o le bollicine di gas in
un calice di champagne sono indicazioni visibili del fatto che queste miscele sono
eterogenee. Un colloide è una miscela eterogenea in cui un componente è disperso
sotto forma di particelle di piccolissimo diametro in un altro componente, e quindi
non è facile osservare fasi distinte. Il fumo e il latte sono colloidi. La differenza es­
senziale tra una soluzione e un colloide è la dimensione delle particelle:
• in una soluzione, le particelle sono singoli atomi, ioni o piccole molecole;
• in un colloide, le particelle sono tipicamente macromolecole oppure aggregati
di piccole molecole che non sono grandi a sufficienza per sedimentare.
Come vedremo più avanti in questo capitolo, queste differenze su scala molecolare
danno origine a molte differenze osservabili.

13txt.indd 403 17/05/19 07:37


404 Capitolo 13

QUESTO CAPITOLO si apre con una panoramica sui tipi di soluzioni e sul ruolo
delle forze intermolecolari nella loro formazione. La previsione della solubilità è
un tema principale del primo paragrafo, in cui esamineremo sistemi che vanno
dai sali in acqua agli antibiotici in cellule batteriche. Poi indagheremo perché
una sostanza si scioglie, facendo riferimento a due fattori essenziali: la variazio-
ne di entalpia e l’aumento del grado di disordine che si produce quando si forma
una soluzione. Per comprendere il secondo fattore, introdurremo il concetto di
variazioni di entropia nel processo di dissoluzione. Poi esamineremo il carattere
di equilibrio della solubilità e vedremo come la temperatura e la pressione la
influenzano. Esamineremo i modi di esprimere la concentrazione e poi li use-
remo per indagare le differenze tra le proprietà fisiche delle soluzioni e quelle
delle sostanze pure. Seguirà un esame delle proprietà dei colloidi, e il capitolo
si chiuderà con l’applicazione della chimica delle soluzioni e dei colloidi alla
depurazione dell’acqua.

13.1 TIPI DI SOLUZIONI:


FORZE INTERMOLECOLARI E PREVISIONE
DELLA SOLUBILITÀ
Si descrivono spesso le soluzioni facendo riferimento alla dissoluzione di una so­
stanza in un’altra: il soluto si scioglie nel solvente. Di solito, il solvente è il com-
ponente più abbondante in una data soluzione. Ma in alcuni casi le sostanze sono
miscibili, cioè, sono solubili l’una nell’altra in qualsiasi rapporto; in questi casi, può
essere privo di senso considerare una sostanza come il soluto e l’altra come il solvente.
La solubilità (S) di un soluto è la quantità massima di soluto che si scioglie in
una quantità fissa di un particolare solvente a una temperatura specificata, data la
condizione che sia presente un eccesso di soluto. Differenti soluti hanno differenti
solubilità. Per esempio, nel caso del cloruro di sodio (NaCl), S = 39,12 g/100 mL
di acqua alla temperatura di 100 °C, mentre, nel caso del cloruro d’argento (AgCl),
S = 0,0021 g/100 mL di acqua a 100 °C. È evidente che NaCl è molto più solubile in
acqua rispetto ad AgCl. (La solubilità è espressa anche in altre unità, come vedremo
più avanti). Anche se la solubilità ha un significato quantitativo, i termini diluito e con-
centrato sono termini qualitativi per designare quantità relative di soluto: una soluzione
diluita contiene molto meno soluto disciolto rispetto a una soluzione concentrata.
L’esperienza quotidiana ci dice che alcuni solventi sono capaci di sciogliere un
dato soluto, mentre altri non ne sono capaci. Per esempio, il burro non si scioglie
nell’acqua, ma si scioglie nell’olio da cucina. Un fattore importante che determina il
formarsi di una soluzione è l’intensità relativa delle forze intermolecolari entro e tra il
soluto e il solvente. Conoscendo queste forze, si è spesso in grado di prevedere quali
soluti si scioglieranno in quali solventi.

Forze intermolecolari nelle soluzioni


Tutte le forze intermolecolari che abbiamo esaminato nel capitolo precedente nel
caso delle sostanze pure sono presenti anche nelle miscele. La Figura 13.1 riassume
queste forze in ordine di intensità decrescente.
Le forze ione-dipolo sono un importante fattore nella solubilità dei composti io­
nici in acqua. Quando un sale si scioglie, ciascuno ione sulla superficie del cristallo
attrae l’estremità carica di segno opposto del dipolo acqua. Queste forze attrattive
vincono le forze interioniche e demoliscono la struttura del cristallo. Via via che
Figura 13.1 Principali tipi ciascuno ione si separa, aumenta il numero delle molecole d’acqua che si aggregano
di forze intermolecolari nelle attorno a esso in un guscio di idratazione (Figura 13.2). Le molecole d’acqua nel
soluzioni. Le forze sono elenca- guscio di idratazione più vicino sono legate da legami idrogeno ad altre un po’ più
te in ordine di intensità decre- lontane; queste formano un guscio di idratazione meno strutturato e, a loro volta,
scente [con i valori espressi in
kilojoule per mole (kJ/mol)] e sono legate da legami idrogeno ad altre molecole nel grosso del solvente. Nel caso
un esempio di ciascuna è visua- degli ioni monoatomici, il numero di molecole d’acqua nel guscio di idratazione più
lizzato con modelli space-filling. vicino dipende dal raggio dello ione.

13txt.indd 404 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 405

gusci di Figura 13.2 Gusci di idra-


forze idratazione
ione-dipolo tazione attorno a uno ione in
soluzione acquosa. Quando un
composto ionico si scioglie in ac-
qua, forze ione-dipolo orientano
le molecole d’acqua attorno agli
ioni separati per formare gusci
di idratazione. Il catione mostra-
+ to qui è circondato ottaedrica-
mente da sei molecole d’acqua,
che formano legami idrogeno
con le molecole d’acqua nel suc-
cessivo guscio di idratazione, e
queste formano legami idrogeno
con altre molecole più lontane.
legami
idrogeno

Quattro molecole d’acqua possono adattarsi tetraedricamente attorno agli ioni pic­
coli, come Li+, mentre gli ioni più grandi, quali Na+ e F−, sono di solito circondati
ottaedricamente da sei molecole d’acqua. È importante vedere – e ritorneremo
su questo punto più avanti – che questo processo non conduce semplicemente a
un’accozzaglia casuale di ioni e molecole d’acqua; invece, c’è un certo ordine nel­
l’orientamento delle molecole attorno agli ioni.
Le forze dipolo-dipolo e il particolare tipo di forza dipolo-dipolo noto come lega-
me idrogeno sono molto importanti nelle soluzioni. Il legame idrogeno è un fattore
primario nella capacità dell’acqua di sciogliere numerosi composti organici e bio­
logici ossigenati e azotati, quali alcoli, zuccheri, ammine e amminoacidi. (Si ricordi
che O e N sono piccoli e quindi le loro coppie solitarie possono avvicinarsi molto
agli H parzialmente positivi di H2O).
I due tipi di forze carica-dipolo indotto si basano sulla polarizzabilità dei compo­
nenti. Quando la carica di uno ione distorce la nuvola elettronica di una particella
apolare vicina, si genera una forza ione-dipolo indotto. Per citare un esempio
biologico essenziale, questa forza intermolecolare interviene nel legame tra lo ione
Fe2+ nell’emoglobina e una molecola di O2 nel torrente circolatorio. Uno ione può
anche aumentare il valore di un dipolo esistente in una molecola vicina. Perciò,
questa forza contribuisce alla formazione di qualsiasi soluzione contenente ioni: sali
sciolti in acqua o in solventi meno polari. La legge di Coulomb dice che una carica
maggiore determina una maggiore energia di attrazione. Perciò, la forza ione-dipolo
indotto è più forte della forza dipolo-dipolo indotto, che si origina quando
le cariche parziali di una molecola polare distorcono la nuvola elettronica di una
molecola polare vicina. La solubilità in acqua, benché limitata, dei gas atmosferici
apolari O2, N2 e dei gas nobili, è dovuta in parte a forze dipolo-dipolo indotto. An­
che i solventi per pitture e per grassi funzionano mediante queste forze.
Si deve sempre riconoscere l’importanza delle forze di dispersione sempre presenti
perché esse contribuiscono alla solubilità di tutti i soluti in tutti i solventi. In realtà
esse sono le principali forze attrattive nelle soluzioni delle sostanze apolari; per esem­
pio, il petrolio esiste come miscela omogenea in virtù delle forze di dispersione.
Tenendo presenti queste forze intermolecolari, esaminiamo i tipi di soluzioni.
Le soluzioni possono essere gassose, liquide o solide. Nella maggior parte dei casi,
lo stato fisico del solvente determina quello della soluzione. Concentriamo l’attenzione
sulle soluzioni in cui il solvente è liquido perché sono quelle di gran lunga più
comuni e importanti.

Soluzioni liquide e ruolo della polarità molecolare


Dal citoplasma alla linfa degli alberi, dalla benzina al liquido detergente, dal tè ghiac­
ciato all’urina, le soluzioni in cui il solvente è un liquido sono molto comuni nella
vita quotidiana. L’acqua è il solvente liquido più importante perché è molto abbon­

13txt.indd 405 17/05/19 07:37


406 Capitolo 13

dante nell’ambiente ed è capace di sciogliere sia i composti ionici sia le molecole po­
lari. Scioglie molte sostanze mediante la formazione di legami idrogeno. Le sostanze
apolari, quali l’olio da cucina e la cera per carrozzerie d’automobile, non si sciolgono
in misura rilevante nell’acqua ma si sciolgono liberamente in solventi meno polari o
apolari.
L’esperienza indica che le sostanze con tipi simili di forze intermolecolari si sciol-
gono l’una nell’altra. Questo fatto è riassunto dalla vecchia regola pratica il simile
scioglie il simile, che spesso fornisce un modo qualitativo ragionevole di preve­
dere la solubilità.
Soluzioni liquido-liquido e solido-liquido Molti sali si sciolgono in acqua per­
ché le forti attrazioni ione-dipolo formate dall’acqua con gli ioni sono molto simili
alle forti attrazioni tra gli ioni stessi e, quindi, possono sostituirsi a esse. Gli stessi
sali sono insolubili nell’esano (C6H14) perché le deboli forze ione-dipolo indotto
che i loro ioni potrebbero formare con questo solvente apolare non sono in grado
di sostituire le attrazioni tra gli ioni. Analogamente, l’olio non si scioglie nell’acqua
perché le deboli forze dipolo-dipolo indotto tra l’olio e le molecole d’acqua non
sono in grado di sostituire i forti legami idrogeno tra le molecole d’acqua. Ma l’olio
si scioglie nell’esano perché le forze di dispersione nell’uno sostituiscono facilmente
le forze di dispersione nell’altro. Perciò, affinché si formi una soluzione, la regola
“il simile scioglie il simile” significa che le forze generate tra il soluto e il solvente
devono avere intensità confrontabile con quella delle forze distrutte sia nel soluto
sia nel solvente.
Per approfondire l’esame di questo concetto, confrontiamo le solubilità di una
serie di alcoli in due solventi che agiscono mediante forze intermolecolari molto
diverse: acqua ed esano. Gli alcoli sono molecole organiche con un gruppo ossidrile
( OH) legato a un gruppo idrocarburico. Il tipo più semplice di alcol ha la formula
generale CH3(CH2)nOH; considereremo gli alcoli con n = 0 ÷ 5. Possiamo considera­
re che la molecola di un alcol sia costituita da due parti: il gruppo OH polare e
la catena idrocarburica apolare. La parte OH forma legami idrogeno forti con
l’acqua e forze dipolo-dipolo indotto deboli con l’esano. La parte idrocarburica interagisce
mediante forze di dispersione con l’esano e mediante forze dipolo-dipolo indotto con
l’acqua.
Nella Tabella 13.2, i modelli indicano la variazione relativa delle dimensioni
della parte polare e della parte apolare delle molecole di alcol. Negli alcoli più pic­
coli (1 ÷ 3 atomi di carbonio), il gruppo ossidrile è una parte relativamente grande,
quindi le molecole interagiscono l’una con l’altra mediante legami idrogeno, così
come fanno le molecole d’acqua. Quando si miscelano con l’acqua, i legami idroge­
no nel soluto e nel solvente vengono sostituiti da legami idrogeno tra il soluto e il sol­
vente (Figura 13.3). Di conseguenza, questi alcoli più piccoli sono miscibili con l’acqua.
La solubilità in acqua diminuisce drasticamente per gli alcoli con più di tre atomi
di carbonio, e quelli con catene più lunghe di sei atomi di carbonio sono insolubili
in acqua. Affinché questi alcoli più grandi si sciolgano, le catene apolari devono
muoversi tra le molecole d’acqua, sostituendo ai legami idrogeno forti esistenti tra le
molecole d’acqua, le loro attrazioni deboli con quelle stesse molecole d’acqua.

Figura 13.3 “I simili sciol-


gono i simili”: solubilità del
metanolo nell’acqua. I legami
idrogeno nell’acqua e quelli nel
metanolo sono simili per tipo
e forza, quindi possono sosti-
tuirsi l’uno con l’altro. Perciò, il
metanolo è solubile in acqua;
in realtà, le due sostanze sono acqua metanolo una soluzione
miscibili. di acqua e metanolo

13txt.indd 406 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 407

La parte OH dell’alcol forma effettivamente legami idrogeno con l’acqua, ma questi


non sopraffanno i legami idrogeno tra le molecole d’acqua che devono rompersi per
• Un approccio più verde
all’uso dei solventi orga-
fare spazio alla parte idrocarburica. nici. I composti organici volatili
vengono ampiamente utilizzati in
La tabella mostra che nel caso dell’esano si osserva la tendenza opposta. Ora le vernici, rivestimenti, smacchiatori,
principali interazioni soluto-solvente e solvente-solvente sono forze di dispersione. propellenti per spray, oli per cuci­
Le forze deboli tra il gruppo OH del metanolo (CH3OH) e l’esano non sono in na, lu­brificanti ecc. Essi hanno però
grado di sostituire i legami idrogeno forti tra molecole di CH3OH, quindi la solubi­ ef­fetti negativi sulla salute e parte­
cipano alla formazione dello smog.
lità del metanolo nell’esano è relativamente bassa. Però, in ogni alcol più grande le Per limitarne l’uso sono per­ciò sta­ti
forze di dispersione diventano sempre più importanti e sono capaci di sostituire le sviluppati processi più verdi nei
forze di di­spersione nell’esano puro, quindi la solubilità aumenta. In assenza di forze quali i solventi organici volatili
solvente-solvente forti da essere sostituite da forze soluto-solvente deboli, anche la so­no sostituiti da solventi non vola­
tili, liquidi ionici, fluidi supercritici,
catena di due atomi di carbonio dell’etanolo ha attrazioni soluto-solvente abbastan­ acqua, o metodi che non prevedano
za forti per essere miscibile nell’esano. affatto l’uso di solventi. Le e­missioni
Molte altre molecole organiche hanno una parte polare e una parte apolare, e la atmosferiche e i rischi per la salu­
predominanza di una parte o dell’altra determina la loro solubilità. Anche la duplice te dei lavoratori sono am­piamente
diminuiti da questi processi.
polarità di alcune sostanze, quali i saponi, i detergenti e molti antibiotici, determina
la loro solubilità e la loro funzione.

Previsione delle solubilità relative delle sostanze


PROBLEMA DI VERIFICA 13.1
Problema Si preveda quale solvente scioglierà una maggiore quantità del soluto dato.
(a) Cloruro di sodio in metanolo (CH3OH) o in propanolo (CH3CH2CH2OH)
(b) Glicole etilenico (HOCH2CH2OH) in esano (CH3CH2CH2CH2CH2CH3) o in acqua
(c) Etere dietilico (CH3CH2OCH2CH3) in acqua o in etanolo (CH3CH2OH)
Piano Esaminiamo le formule del soluto e di ciascun solvente per determinare i tipi di forze
che potrebbero originarsi. Un soluto tende a essere più solubile in un solvente le cui forze
intermolecolari sono simili alle proprie e quindi esso è in grado di sostituirle.
Risoluzione (a) Metanolo. NaCl è un solido ionico che si scioglie mediante forze ione-
dipolo indotto. Sia il metanolo sia il propanolo contengono un gruppo OH polare, ma la

13txt.indd 407 17/05/19 07:37


408 Capitolo 13

più lunga catena idrocarburica del propanolo è capace di formare soltanto forze deboli con
gli ioni, quindi è meno efficace nel sostituire le attrazioni ioniche nel soluto.
(b) Acqua. Le molecole di glicole etilenico hanno due gruppi OH, quindi le molecole
interagiscono l’una con l’altra mediante legami idrogeno. Sono più solubili in H2O, i cui
legami idrogeno sono capaci di sostituire i loro legami idrogeno meglio di quanto siano in
grado di fare le forze di dispersione nell’esano.
(c) Etanolo. Le molecole di etere dietilico interagiscono l’una con l’altra mediante forze di
dipolo e di dispersione e sono capaci di formare legami idrogeno sia con H2O sia con l’eta­
nolo. L’etere è più solubile nell’etanolo perché questo solvente è capace di formare legami
idrogeno e di sostituire le forze di dispersione dell’etere. L’acqua, d’altra parte, è capace di
formare legami idrogeno con l’etere, ma è priva di una parte idrocarburica, quindi forma
forze di dispersione molto più deboli con quel soluto.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.1 Quale soluto è più solubile nel


solvente dato?
(a) Butanolo (CH3CH2CH2CH2OH) o 1,4-butandiolo (HOCH2CH2CH2CH2OH) in acqua.
(b) Cloroformio (CHCl3) o tetracloruro di carbonio (CCl4) in acqua.

Soluzioni gas-liquido I gas apolari, come N2, o quasi apolari, come NO, hanno
temperature di ebollizione basse perché le loro attrazioni intermolecolari sono de­
boli. Analogamente, non sono molto solubili in acqua perché le forze soluto-solven­
te sono deboli. In effetti, come mostrato nella Tabella 13.3, nel caso dei gas apolari
la temperatura di ebollizione è generalmente correlata con la solubilità in acqua.
In alcuni casi, la piccola quantità di gas apolare che si scioglie effettivamente è
essenziale per un processo. L’esempio ambientale più importante è la solubilità di
O2 in acqua. Alla temperatura di 25 °C e alla pressione di 1 atm, la solubilità di O2 è
soltanto 3,2 mL/100 mL di acqua, ma gli animali acquatici morirebbero senza que­
sta piccola quantità. In altri casi, la solubilità di un gas può sembrare alta, ma in re­
altà il gas reagisce con il solvente o un altro componente. L’ossigeno sembra molto
più solubile nel sangue che nell’acqua perché le molecole di O2 si legano continua­
mente con le molecole di emoglobina negli eritrociti (globuli rossi). Analogamen­-
te, il diossido di carbonio, che è essenziale per le piante acquatiche e per le ma­
drepore (coralli costruttori di scogliere), sembra molto solubile in acqua [81 mL
di CO2/100 mL di H2O a 25 °C e 1 atm] perché reagisce oltre a sciogliersi sempli­
cemente:

CO 2 ( g ) + H2O( l )   H+ ( aq ) + HCO−3 ( aq )


Soluzioni gassose e soluzioni solide


Anche se le soluzioni liquide occupano il posto principale in chimica, le soluzioni
gassose e le soluzioni solide hanno un’importanza vitale e trovano numerose appli­
cazioni.
Soluzioni gas-gas Tutti i gas sono infinitamente solubili l’uno nell’altro. L’esempio
classico di soluzione gassosa è l’aria, costituita da circa 18 gas in rapporti ampiamen­
te diversi. I rapporti nei gas anestetici sono regolati finemente per adeguarli alle
necessità del paziente e alla durata dell’intervento chirurgico. I rapporti dei compo­
nenti in molte miscele di gas industriali, quali CO : H2 nella produzione del syngas
o N2 : H2 nella produzione dell’ammoniaca, sono regolati in modo da ottimizzare la
resa di prodotto in varie condizioni di temperatura e pressione.
Soluzioni gas-solido Quando un gas si scioglie in un solido, occupa gli spazi tra le
particelle impaccate in modo compatto. L’idrogeno può essere purificato facendo pas­
sare un campione impuro attraverso un metallo solido come il palladio. Soltanto le
molecole di H2 sono abbastanza piccole per entrare negli spazi tra gli atomi di Pd,
dove formano legami covalenti Pd H. Sotto un’alta pressione di H2, gli atomi di H
passano lungo la struttura cristallina del Pd ed escono dal solido sotto forma di
molecole di H2.

13txt.indd 408 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 409

Figura 13.4 La disposizione


degli atomi in due tipi di leghe.
A. L’ottone è una lega sosti-
tuzionale in cui atomi di zinco
sostituiscono gli atomi di rame in
molti siti dell’impaccamento cu-
bico a facce centrate del rame.
B. Alcune forme di acciaio al
carbonio sono leghe interstiziali
in cui atomi di carbonio sono
situati nei buchi (interstizi) della
struttura cristallina cubica a cor-
po centrato del ferro. (Foto: (A)
© Ruth Melnick; (B) © Ingram
Publishing/Age Fotostock RF).

La capacità dei gas di penetrare in un solido ha anche svantaggi. Per esempio, la


conduttività elettrica del rame è drasticamente ridotta dalla presenza di O2, che si
scioglie nella struttura cristallina e reagisce per formare ossido di rame(I). Si prepara
rame ad alta conduttività fondendo e rigettando il rame in un’atmosfera priva di O2.
Soluzioni solido-solido I solidi diffondono pochissimo e quindi le loro miscele
sono di solito eterogenee, come nella miscela di ghiaia con sabbia. Alcune soluzioni
solido-solido si possono formare fondendo i solidi e poi miscelandoli e lasciandoli
solidificare. Molte leghe, miscele di elementi che hanno complessivamente un ca­
rattere metallico, sono esempi di soluzioni solido-solido (anche se parecchie leghe
comuni hanno regioni eterogenee microscopiche). Nelle leghe di sostituzione (o leghe
sostituzionali), quali l’ottone (Figura 13.4A) e l’argento per argenteria, gli atomi di
un altro elemento sostituiscono alcuni atomi dell’elemento principale nella strut­
tura. Nelle leghe di inclusione (o leghe interstiziali), atomi di un altro elemento (spesso
un non metallo) riempiono alcuni degli spazi (interstizi) tra gli atomi dell’elemento
principale. Per esempio, alcune forme di acciaio al carbonio, mostrato nella Figu­
ra 13.4B, sono leghe interstiziali di ferro con una piccola quantità di carbonio.
Le cere sono un altro tipo familiare di soluzione solido-solido. La maggior parte
delle cere sono solidi amorfi che contengono piccole regioni di regolarità cristalli­
na. Una cera naturale è un solido di origine biologica che è insolubile in acqua ma
è solubile in solventi apolari. Le foglie e i frutti di molte piante sono protetti da
rivestimenti cerosi che impediscono l’evaporazione dell’acqua interna.

13.2 FORZE INTERMOLECOLARI


E MACROMOLECOLE BIOLOGICHE
Le forme delle proteine, degli acidi nucleici, delle membrane cellulari, così come
quelle dei saponi e degli antibiotici dipendono da forze intermolecolari. Le loro
forme e funzioni si possono spiegare sulla base di due concetti principali:
• solo i gruppi polari e ionici esercitano forze attrattive nei confronti dell’acqua;
• gruppi distanti nella stessa molecola si attraggono allo stesso modo delle mole­
cole separate.

Le strutture delle proteine


Le proteine sono molecole molto grandi (polimeri) formate dall’unione di molte
piccole molecole chiamate amminoacidi. Esistono circa 20 amminoacidi diversi
che possono legarsi per formare le proteine le cui composizioni variano da circa 50
amminoacidi (M  5  ×  103 g/mol) a diverse migliaia (M  5  ×  105 g/mol). Le pro­

13txt.indd 409 17/05/19 07:37


410 Capitolo 13

teine costituite da pochi amminoacidi in sequenze ripetitive hanno forma elicoi­


dale o di foglietti e sono presenti nella pelle, nei capelli ecc. Le proteine costituite
da molti amminoacidi diversi hanno forme complesse, globulari e svolgono azioni
enzimatiche, antibiotiche ecc. Vediamo come le forze intermolecolari tra ammino­
acidi influenzano le forme delle proteine globulari.
Una delle 20 La polarità delle catene laterali degli amminoacidi In una cellula, un ammino­
diverse catene
laterali
acido libero ha quattro gruppi legati a un C, detto carbonio α (Figura 13.5): due grup­
R pi carichi, un carbonile ( COO−) e un’ammina ( NH3+), un atomo di H e una catena
O
+ laterale, rappresentata dalla lettera R, che va da un atomo di H ad alcuni atomi di C, a
H3N C C
due anelli C9H8N. In una proteina, il gruppo carbonilico di un amminoacido è legato
O− covalentemente al gruppo amminico dell’amminoacido successivo da un legame pep-
carbonio-α H
tidico (la struttura delle proteine e la formazione del legame peptidico saranno discus­
Figura 13.5 La forma carica
di un amminoacido in condizio-
se nel Capitolo 15). In questo modo, come illustrato nella Figura 13.6, lo scheletro di
ni fisiologiche. una proteina è una catena polipeptidica: un carbonio α è legato tramite un legame pep-
tidico (sfondo arancione) al carbonio α successivo e così via. Le varie catene laterali
(sfondo grigio) legate agli atomi di carbonio α si trovano su lati alternati della catena.
Gli amminoacidi possono essere classificati sulla base della polarità o della cari­
ca delle loro catene laterali: apolari, polari e ionici. Alcuni esempi sono:
NH3
Apolare Polare Ionico
CH2

CH3 CH2 COO−

CH3 CH OH SH CH2 CH2

CH2 CH2 CH2 CH2 CH2


+ + + + +
H3N C COO− H3N C COO− H3N C COO− H3N C COO− H3N C COO−
H H H H H
Leucina Serina Cisteina Lisina Acido glutammico

Forze intermolecolari e forma delle proteine Le stesse forze che si esercitano


tra singole molecole sono responsabili della forma di una proteina perché gruppi
distanti sulla catena della proteina vengono a trovarsi vicini a causa dei ripiegamenti
della catena principale. La Figura 13.7 illustra le forze che agiscono tra una piccola

Acido glutammico
Carbonio Azoto Ossigeno Idrogeno

Serina

Glicina
Lisina

α α α α

Legame
peptidico

Figura 13.6 Una porzione di


una catena polipeptidica. Tre le-
+
gami peptidici (sfondo arancione)
uniscono quattro amminoacidi.

13txt.indd 410 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 411

Legami idrogeno
all’interno della catena
polipeptidica

+
Regione in cui
predominano
le forze
di dispersione
Forze
ione dipolo


+

Legame Ponte salino


idrogeno

Legami idrogeno
all’interno
della catena Legame
polipeptidica idrogeno
Disulfide
Ponte
bond
disolfuro

Figura 13.7 Le forze che mantengono la struttura di una proteina. Forze covalenti, ioniche e intermolecolari agiscono tra
le parti di questa porzione di una proteina e tra la proteina e le molecole di H2O che la circondano determinandone la forma.
(Le molecole d’acqua e alcune catene laterali di amminoacidi sono mostrate come modelli ball and stick all’interno dei contorni
space-filling).

porzione di una proteina e tra la proteina e il mezzo acquoso in cui è dispersa nella
cellula. In ordine di importanza, queste forze sono:
1. legami peptidici covalenti che creano lo scheletro (la catena polipeptidica);
2. legami idrogeno tra un gruppo C O di un legame peptidico e il gruppo N H di
un altro che generano segmenti elicoidali e a foglietto;
3. forze ione-dipolo e legame idrogeno tra l’acqua e le catene laterali polari e
ioniche che si estendono nel fluido cellulare;
4. forze di dispersione che si esercitano tra le catene apolari all’interno della pro­
teina;
5. i gruppi terminali SH delle catene laterali di due molecole di cisteina for­
mano un legame covalente S S , un ponte disolfuro, tra due parti lontane
della catena creando un ciclo;
6. i gruppi terminali ionici di carica opposta, COO− e NH+3, che si trovano
vicini l’uno all’altro formano un ponte salino (o coppia ionica) che fa piegare la
catena proteica;
7. altri legami idrogeno tra le catene laterali avvicinano parti lontane della catena
principale.

13txt.indd 411 17/05/19 07:37


412 Capitolo 13

A causa di queste interazioni, le proteine solubili hanno esterni polari e interni apolari.
La sequenza degli amminoacidi determina la forma della proteina che, a sua volta,
ne determina la funzione.

La doppia polarità di saponi, membrane e antibiotici


La doppia polarità che, come abbiamo visto, è un fattore chiave della solubilità
degli alcol, spiega anche i meccanismi di funzionamento di saponi, membrane cel­
lulari e antibiotici.

Azione dei saponi Un sapone è un sale formato dalla reazione tra una base for­
te (un idrossido metallico) e un acido grasso, un acido carbossilico con una lunga
catena idrocarburica. La molecola tipica di un sapone è costituita da una “coda”
apolare di circa 15-19 atomi di C e una “testa” polare-ionica costituita da un grup­
po COO− e dal catione della base forte. Il catione ha una grande importanza nel
determinare le proprietà del sapone. I saponi che contengono litio sono duri, hanno
alti punti di fusione e sono utilizzati come lubrificanti nelle automobili. I saponi
che contengono potassio hanno bassi punti di fusione e sono usati in forma liquida.
Alcuni saponi a base di sodio, incluso lo stearato di sodio CH3(CH2)16COONa sono i
componenti delle comuni saponette:

− Na+

stearato di sodio, C17H35COONa

Quando il grasso sulle vostre mani o sui vostri vestiti è immerso in acqua saponata,
le code apolari delle molecole di sapone interagiscono con le molecole apolari di
grasso mediante forze di dispersione e le teste polari-ioniche attraggono le mole­
cole d’acqua con forze ione-dipolo e legami idrogeno. Piccoli aggregati di molecole
di grasso, circondate da molecole di sapone le cui teste polari-ioniche sono legate
all’acqua vengono portate via dal flusso dell’acqua (Figura 13.8).

Figura 13.8 L’azione de-


tergente dei saponi dipende
dalla doppia polarità delle loro
molecole.

Le teste polari
delle molecole di sapone
interagiscono
con le molecole di H2O

Le code apolari
delle molecole
di sapone
interagiscono
con gli idrocarburi
in una macchia
di grasso

Molecole
non polari
in una macchia
di grasso

13txt.indd 412 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 413

Il doppio strato lipidico e la struttura della membrana cellulare Le mole­


+
cole più abbondanti nelle membrane cellulari sono i fosfolipidi. Essi hanno una dop­ Testa
pia polarità come i saponi, con una coda apolare costituita da due catene di acidi polare-
grassi e una testa polare-ionica costituita da un gruppo organofosfato (Figura 13.9). I − ionica
fosfolipidi si autoassemblano in acqua in un doppio strato a forma di foglietto, detto
doppio strato lipidico (o fosfolipidico), con le teste polari rivolte all’esterno e
in contatto con l’acqua ai due lati esterni della membrana e le code apolari rivolte
verso l’interno del doppio strato. In laboratorio, i doppi strati formano vescicole
sferiche che intrappolano l’acqua al loro interno. La formazione di queste strutture
è energeticamente favorita dall’instaurarsi di forze intermolecolari: Coda
apolare
• forze ione-dipolo tra le teste polari e l’acqua ai due lati della membrana;
• forze di dispersione tra le code apolari e l’interno del doppio strato;
• minimo contatto tra l’acqua e le code apolari.
La tipica membrana di una cellula animale è costituita da un doppio strato fosfo­
lipidico in cui sono parzialmente inserite diverse proteine; la Figura 13.10 illustra
una piccola porzione di questa membrana. Le proteine di membrana svolgono in­
Figura 13.9 Un fosfolipide di
numerevoli ruoli essenziali e differiscono dalle proteine solubili a causa della loro membrana. La lecitina (fosfa-
doppia polarità. tidilcolina), un fosfolipide, è
mostrato con il modello
• La parte esterna delle proteine solubili è polare, mentre quella interna è apo­ space‑filling e in una rappre-
lare. Si creano interazioni ione-dipolo e legami idrogeno tra l’acqua e i gruppi sentazione semplificata grigia
esterni polari e forze di dispersione tra i gruppi interni apolari (vedi Figura 13.7). e porpora.
• La parte esterna delle proteine di membrana è parzialmente polare (rosso) e
parzialmente apolare (blu). La parte polare sporge nell’ambiente acquoso circo-
stante e quella apolare rimane immersa nella membrana. Questi gruppi apolari
interagiscono mediante forze di dispersione con le code fosfolipidiche del
doppio strato. Le proteine trans-membrana creano canali polari attraverso la
membrana collegando le due fasi acquose interna ed esterna ad essa.
Azione degli antibiotici Una delle funzioni principali della membrana cellulare e
di bilanciare la concentrazione degli ioni all’interno e all’esterno della cellula: Na+ è
mantenuto all’esterno e K+ all’interno. La gramicidina A e antibiotici simili agiscono
formando canali che permettono il passaggio di ioni nella membrana cellulare di un
batterio (Figura 13.11). Due molecole elicoidali di gramicidina A si dispongono coda-
coda con i gruppi polari interni all’elica e i gruppi apolari esterni, formando un canale

Le teste polari dei fosfolipidi Altre proteine interagiscono


Le regioni polari delle proteine con le proteine di membrana mediante
interagiscono con l’acqua di membrana interagiscono
mediante forze ione-dipolo forze ione-dipolo e legami idrogeno
con l’acqua mediante forze
e legami idrogeno ione-dipolo e legami idrogeno
ESTERNO
ACQUOSO
DELLA CELLULA

SEZIONE DI CANALE
DI UNA PROTEINA
TRANSMEMBRANA Regione
apolare
PROTEINA
DI MEMBRANA

Le regioni apolari delle proteine Regione


di membrana interagiscono polare
INTERNO ACQUOSO Le code apolari dei fosfolipidi con le code apolari mediante
interagiscono mediante forze forze di dispersione
DELLA CELLULA di dispersione

Figura 13.10 Forze intermolecolari e struttura della membrana cellulare.

13txt.indd 413 17/05/19 07:37


414 Capitolo 13

Figura 13.11 Il meccanismo di K+ esce dalla cellula, Na+ vi entra


azione dell’antibiotico gramici-
dina A. Gli ioni K+ escono dalla Interno polare
ESTERNO K+ della gramicidina A
cellula mentre gli ioni Na+ (non
DELLA Na +
mostrati) vi entrano CELLULA Na+
K+
Superficie
esterna polare
della membrana

Interno apolare
della membrana

Superficie interna
polare
della membrana
K+
K+
Membrana K+ Esterno apolare
INTERNO
batterica K+ della gramicidina A
DELLA CELLULA

attraverso la membrana. L’esterno apolare dell’elica stabilizza le molecole di antibio­


tico nella membrana cellulare attraverso forze di dispersione e l’interno polare per­
mette il passaggio degli ioni tramite forze ione-dipolo. Più di 107 ioni attraversano in
− ogni secondo questi canali e uccidono il batterio distruggendone l’equilibrio ionico.

La struttura del DNA


L’informazione chimica che guida la progettazione, la sintesi e dunque la funzione
di tutte le proteine è contenuta negli acidi nucleici, polimeri non ramificati co­
stituiti da piccole unità (monomeri) chiamate mononucleotidi. Ogni mononucleo­
Gruppo tide è costituito da una base azotata (contenente N), uno zucchero e un gruppo
fosfato se
ba fosfato (Figura 13.12). Nel DNA (acido desossiribonucleico), lo zucchero è il 2-desossi-
− ribosio in cui un atomo di H sostituisce il gruppo OH sul secondo atomo di C del
ribosio, un pentoso, cioè uno zucchero con cinque atomi di carbonio.
Lo schema ripetitivo della struttura del DNA è zucchero legato a fosfato legato
Una delle quattro
a zucchero legato a fosfato e così via. A ogni zucchero è legata una delle quattro
possibili basi possibili basi azotate, strutture cicliche planari che sporgono dalla catena di polinu­
Zucchero cleotidi in maniera simile a quanto fanno le catene laterali degli amminoacidi dalla
(2-desos- catena polipeptidica.
siribosio)
se Forze intermolecolari e la doppia elica del DNA Il DNA esiste sotto forma
ba
2 di due catene polinucleotidiche appaiate e avvolte attorno allo stesso asse in una
doppia elica stabilizzata da forze intermolecolari (Figura 13.13).
Figura 13.12 Una piccola • Nella parte esterna più polare, i gruppi zucchero-fosfato carichi negativamente
porzione della catena poli­
interagiscono con l’ambiente acquoso attraverso forze ione-dipolo e legami
nucleotidica del DNA.
idrogeno.
• Nella parte interna meno polare, le basi planari si sovrappongono l’una all’altra e
interagiscono attraverso forze di dispersione.
• Le basi formano specifici legami idrogeno tra le catene: ogni base in una catena è
legata tramite legame idrogeno alla sua base complementare nell’altra catena.
In questo modo la sequenza di basi in una catena è legata tramite legami idrogeno
alla sequenza di basi complementare dell’altra catena.
Una molecola di DNA contiene milioni di legami idrogeno che legano le coppie di basi.
L’energia totale di questi legami mantiene unite le due catene, ma l’energia di ogni lega­
me idrogeno è sufficientemente bassa (circa il 5% di un tipico legame singolo covalen­
te) da permetterne la scissione graduale e quindi la separazione delle catene durante
alcuni processi cellulari (nel Capitolo 15 vedremo come le coppie di basi unite tramite
legami idrogeno siano essenziali per la sintesi proteica e la replicazione del DNA).

13txt.indd 414 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 415

Legami
– idrogeno
tra le basi Citosina (C)

– Guanina (G)
Esterno
Forze
polare-
– ione-dipolo
ionico –

– –


2-desossiribosio 2-desossiribosio
Legame
– G forma sempre
idrogeno
– una coppia con C
attraverso legami idrogeno
Interno
apolare – –
Carbonio Azoto Ossigeno Idrogeno

Figura 13.13 La doppia elica del DNA. Un segmento di DNA (a sinistra) espone la sua parte ionico-polare zucchero-fosfato
(rosa) all’acqua mentre le basi apolari (grigio) sono rivolte verso l’interno. L’ingrandimento (a destra) mostra come i legami idroge-
no accoppiano le basi guanina e citosina.

13.3 VARIAZIONI DI ENERGIA NEL PROCESSO


DI DISSOLUZIONE
Come strumento per formulare previsioni qualitative, la regola “i simili sciolgono
i simili” è utile in molti casi. Come ci si potrebbe attendere, questa regola prati­
ca macroscopica si basa sulle interazioni molecolari che avvengono tra le particelle
di soluto e le particelle di solvente. Per vedere perché “i simili sciolgono i simi­
li”, possiamo suddividere concettualmente il processo di dissoluzione in tappe ed
esaminarle in termini di variazioni di entalpia e di entropia del sistema. Abbiamo
introdotto il concetto di entalpia nel Capitolo 6 e ci concentreremo su di essa. Il
concetto di entropia verrà introdotto alla fine di questo paragrafo e verrà trattato
quantitativamente nel Capitolo 20.

Calori di soluzione e cicli di dissoluzione


Immaginiamo un soluto e un solvente generici sul punto di formare una solu­
zione. Entrambi sono costituiti da particelle che si attraggono reciprocamente.
Affinché una sostanza si sciolga in un’altra, devono accadere tre eventi: (1) le
particelle di soluto devono separarsi l’una dall’altra; (2) alcune particelle di sol­
vente devono separarsi per fare spazio alle particelle di soluto; (3) le particelle di
soluto e di solvente devono mescolarsi. Quale che sia la natura delle attrazioni
nel soluto e nel solvente, viene assorbita una certa quantità di energia quando le
particelle si separano e viene rilasciata una certa quantità di energia quando esse
si mescolano e si attraggono reciprocamente. In conseguenza di queste variazio­
ni delle attrazioni, il processo di dissoluzione è accompagnato generalmente da
una variazione di entalpia. Possiamo suddividere il processo in queste tre tappe,
ciascuna con la propria variazione di entalpia.
Tappa 1. Le particelle di soluto si separano l’una dall’altra. Questa tappa implica che
siano vinte le attrazioni intermolecolari, quindi è endotermica:
soluto (aggregato) + calore ⎯ ⎯
→ soluto (separato) ΔH soluto > 0
e particelle di solvente si separano l’una dall’altra. Anche questa tappa
Tappa 2. L
implica che siano vinte le attrazioni intermolecolari, quindi anch’essa è
endotermica:
solvente (aggregato) + calore ⎯ ⎯
→ solvente (separato) ΔH solvente > 0
 e particelle di soluto e quelle di solvente si mescolano. Le particelle si attrag­
Tappa 3. L
gono e quindi questa tappa è esotermica:
soluto (separato) + solvente (separato) ⎯ ⎯
→ soluzione + calore ΔH mesc < 0

13txt.indd 415 17/05/19 07:37


416 Capitolo 13

La variazione totale di entalpia che avviene quando si forma una soluzione a partire
da un soluto e un solvente è il calore di soluzione (ΔHsoluz); per trovarlo, combi­
niamo le tre variazioni di entalpia individuali. Il processo complessivo è detto ciclo
di dissoluzione termochimico ed è ancora un’altra applicazione della legge di Hess:

ΔH soluz = ΔH soluto + ΔH solvente + ΔH mesc (13.1)

(Nel Paragrafo 9.2 abbiamo suddiviso concettualmente in modo simile il calore di


formazione di un composto ionico in entalpie componenti usando un ciclo di Born-
Haber). Se la somma dei termini endotermici (ΔHsoluto + ΔHsolvente) è minore del
termine esotermico (ΔHmesc), ΔHsoluz è negativo; cioè il processo è esotermico. La
Figura 13.14A è un diagramma dell’entalpia per la formazione di questo tipo di so­
luzione. Se la somma dei termini endotermici è maggiore del termine esotermico,
ΔHsoluz è positivo; cioè il processo è endotermico (Figura 13.14B). Però, se ΔHsoluz è
altamente positivo, il soluto può non sciogliersi in misura rilevante in quel solvente.

Calori di idratazione: solidi ionici in acqua


Prima di esaminare il fattore entropia nel processo di dissoluzione, possiamo sem­
plificare il ciclo di dissoluzione per sistemi acquosi. È difficile misurare singolar­
mente le componenti ΔHsolvente e ΔHmesc del calore di soluzione. La combinazione
di questi termini rappresenta la variazione di entalpia durante la solvatazione, il
processo con cui una particella di soluto si circonda di particelle di solvente. La
solvatazione in acqua è detta idratazione. Perciò, combinando le variazioni di
Figura 13.14 Cicli di dissolu- entalpia per separare le molecole d’acqua (ΔHsolvente) e per mescolare il soluto con
zione e componenti di entalpia esse (ΔHmesc) si ottiene il calore di idratazione (ΔHidr). In acqua, l’Equazione 13.1
del calore di soluzione. ΔHsoluz diventa
può essere considerato come la
somma di tre variazioni di ental- ΔH soluz = ΔH soluto + ΔH idr
pia: ΔHsolvente (separazione del
solvente; sem­pre >0), ΔHsoluto Il calore di idratazione è un fattore cruciale nella dissoluzione di un solido ionico.
(separazione del soluto; sempre La rottura di parecchi legami idrogeno nell’acqua è più che compensata quando si
>0) e ΔHmesc (mescolamento del
formano parecchie forze ione-dipolo forti, quindi l’idratazione di uno ione è sempre
soluto e del solvente; sempre
<0). In A, ΔHmesc è maggio- esotermica. Il ΔHidr di uno ione è, per definizione, la variazione di entalpia per
re della somma di ΔHsoluto ­l’idratazione di 1 mol di ioni separati (gassosi):
e ΔHsolvente, quindi ΔHsoluz è
H 2O
negati­vo (processo esotermico). M+ ( g ) [o X− ( g )] ⎯ ⎯⎯ → M+ ( aq ) [o X− ( aq )] ΔH idr dello ione (sempre <0)
In B, ΔHmesc è minore della som-
ma di ΔHsoluto e ΔHsolvente, quindi
ΔHsoluz è positivo (processo I calori di idratazione presentano tendenze basate sulla densità di carica dello
endotermico). ione, la carica dello ione riferita al suo volume. In generale, maggiore è la densità

solvente
separato
soluto soluto
separato ΔHmesc
solvente separato
Entalpia, H

separato ΔHsoluto
soluzione
+
Entalpia, H

ΔHsoluto ΔHsolvente
+ solvente soluto Hfinale
solvente soluto ΔHsolvente aggregato aggregato
ΔHsolvente
ΔHsolvente

aggregato aggregato
ΔHsoluto
ΔHsoluto

ΔHmesc
ΔHsoluz > 0
Hiniziale
soluzione Hiniziale
ΔHsoluz < 0

Hfinale
A Processo di dissoluzione esotermico B Processo di dissoluzione endotermico

13txt.indd 416 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 417

di carica, più negativo è ΔHidr. Secondo la legge di Coulomb, maggiore è la carica


dello ione e minore è la distanza a cui lo ione può avvicinarsi all’estremità carica
di segno opposto del dipolo della molecola d’acqua, più forte è l’attrazione. Perciò:
• uno ione 2+ attrae le molecole di H2O più fortemente rispetto a uno ione 1+
avente all’incirca lo stesso raggio;
• uno ione 1+ piccolo attrae le molecole di H2O più fortemente rispetto a uno
ione +1 grande.
Scendendo lungo un gruppo di ioni, per esempio da Li+ a Cs+ nel Gruppo 1A(1), la
carica rimane invariata e il raggio aumenta; perciò, la densità di carica diminuisce e
diminuisce il calore di idratazione. Percorrendo la tavola periodica, dal Gruppo 1A(1)
al Gruppo 2A(2), lo ione 2A ha raggio minore e carica maggiore, quindi la sua densità
di carica e ΔHidr sono maggiori. La Tabella 13.4 mostra queste relazioni per alcuni
ioni. L’energia necessaria per separare un soluto ionico (ΔHsoluto) in ioni gassosi è
uguale all’energia reticolare presa con il segno negativo (−ΔHreticolo), quindi ΔHsoluto
è altamente positiva:

→ M+ ( g ) + X− ( g )
MX( s ) ⎯ ⎯ ΔH soluto (sempre >0) =−ΔH reticolo

Perciò, il calore di soluzione dei composti ionici in acqua combina l’energia retico­
lare presa con il segno negativo (sempre positiva) e la combinazione dei calori di
idratazione del catione e dell’anione (sempre negativa):

ΔH soluz = −ΔH reticolo + ΔH idr degli ioni (13.2)

I valori assoluti dei singoli termini determinano il segno del calore di soluzione.
La Figura 13.15 mostra i diagrammi dell’entalpia per la dissoluzione di tre so­
luti ionici in acqua. Il primo, NaCl, ha un calore di soluzione lievemente positivo
(ΔHsoluz = 3,9 kJ/mol). Il suo termine dell’energia reticolare è soltanto lievemente
maggiore della combinazione dei calori di idratazione ionici; quindi, se si scioglie
NaCl in acqua in un matraccio, non si nota alcuna variazione di temperatura. D’altra Figura 13.15 Dissoluzione
parte, se si scioglie NaOH in acqua, si osserva che il matraccio si riscalda. Il termi­ne di composti ionici in acqua.
dell’energia reticolare per NaOH è molto minore della combinazione dei calori Il diagramma dell’entalpia per la
di idratazione ionici; quindi, la dissoluzione di NaOH è altamente esotermica dissoluzione di un composto ioni-
(ΔHsoluz = −44,5 kJ/mol). Infine, se si scioglie NH4NO3 in acqua, si osserva che il co in acqua comprende Δ ­ Hreticolo
preso con il segno negativo
matraccio si raffredda. In questo caso, il termine dell’energia reticolare è molto (ΔHsoluto; sempre positivo) e i ca-
maggiore della combinazione dei calori di idratazione ionici, quindi il processo è lori di idratazione ionici combina-
altamente endotermico (ΔHsoluz = 25,7 kJ/mol). ti (ΔHidr; sempre negativo).

13txt.indd 417 17/05/19 07:37


418 Capitolo 13

• Impacchi caldi, impacchi


freddi e minestre autoscal-
Il processo di dissoluzione e la variazione di entropia
danti Se ci stiriamo un muscolo Il calore di soluzione (ΔHsoluz) è uno dei due fattori che determinano se una sostanza
o subiamo una distorsione a un’arti­ si scioglierà in un solvente. Il secondo fattore è la tendenza naturale che ogni sistema
colazione, possiamo ottenere un sol­ possiede a diventare più disordinato, o, meglio, a distribuire, o disperdere, la sua ener­
lievo temporaneo applicando sulla gia nel maggior numero di modi possibile. L’entropia (S) è la variabile termodinami­
parte interessata l’appropriato calore
di soluzione. Gli impacchi caldi e gli
ca direttamente collegata al numero di modi in cui un sistema può distribuire la sua
impacchi freddi sono costituiti da energia, il che è collegato alla libertà di movimento delle particelle che costituiscono
una sacca esterna spessa contenente il sistema e al numero di modi in cui esse possono essere disposte.
acqua e da una sacca interna sotti­ Vediamo cosa significa per un sistema “distribuire la sua energia”. Paragoneremo per
le contenente un sale. Eser­ ci­
tan­
do
una pressione sulla sacca esterna
prima cosa i tre stati di aggregazione, poi confronteremo soluto e solvente con la
si rompe la sacca interna, e il sale soluzione. In un solido, le particelle sono sostanzialmente fisse nelle loro posizioni,
si scioglie. La maggior parte degli mentre in un liquido sono libere di muoversi l’una attorno all’altra. Questa maggio­
impacchi caldi usa CaCl2 anidro re libertà di movimento significa che le particelle possono distribuire la loro ener­
(ΔHsoluz = −82,8 kJ/mol), mentre
gli impacchi freddi usano NH4NO3
gia cinetica media in più modi, quinti l’entropia di un liquido è maggiore di quella
(ΔHsoluz = 25,7 kJ/mol). La varia­ di un solido (Sliquido > Ssolido). Un gas ha un’entropia maggiore del liquido perché le
zione di temperatura può essere particelle hanno una libertà di movimento ancora maggi ore (Sgas > Sliquido). Un altro
piuttosto grande – per esempio, un modo di affermare la stessa cosa è dire che la variazione di entropia associata alla
impacco freddo è capace di porta­
re la soluzione dalla temperatura
vaporizzazione di un liquido (ΔSvap) è positiva, ovvero ΔSvap > 0.
ambiente a 0 °C – ma il loro tempo In modo analogo, una soluzione ha di solito un’entropia maggiore del soluto e del
di utilizzabilità è limitato a circa 30 solvente puri. In questo caso il numero di modi in cui le particelle possono distribu­
min. In Giappone, alcuni barattoli di ire la loro energia e la loro libertà di movimento è correlato al numero delle diverse
minestra hanno una doppia parete,
con un composto ionico in un pac­
possibili interazioni tra le molecole: sono possibili molte più interazioni quando
chetto e acqua tra le pareti. Quando il soluto e il solvente sono miscelati rispetto a quando sono separati, pertanto
si apre il barattolo, il pacchetto si ­Ssoluz > (Ssoluto + Ssolvente), o ΔSsoluz > 0.
rompe, e il processo di dissoluzione Dall’esperienza quotidiana, sappiamo che le soluzioni si formano spontaneamen­
esotermico, capace di raggiungere
rapidamente circa 90 °C, riscalda la
te, i soluti puri e i solventi puri no. Vedremo nel Capitolo 20 che molta energia deve
minestra. essere spesa per invertire questa tendenza dei sistemi a distribuire la loro energia in
più modi. Enormi quantità di energia vengono spese in impianti di trattamento delle
acque, raffinerie di petrolio, fonderie di metalli e in molti altri impianti industriali per
invertire questa tendenza naturale e separare le miscele in componenti puri.
Il processo di dissoluzione implica due fattori: la variazione di entalpia e la
variazione di entropia. I sistemi tendono a uno stato di minore entalpia e maggior
entropia. In molti casi, sono le grandezze relative di ΔHsoluz e di ΔSsoluz a determi­
nare se una soluzione si formerà.
Per vedere questa interazione di entalpia ed entropia, consideriamo tre coppie
soluto-solvente in cui dominano diverse influenze. Nel primo esempio (NaCl in
esano), il cloruro di sodio non si scioglie nell’esano, come si potrebbe prevedere in
base alle forze intermolecolari dissimili. Come mostrato nella Figura 13.16A, la se­

Figura 13.16 Diagrammi dell’en­talpia per la dissolu-


zione di NaCl e ottano in esano. A. Poiché le attrazioni
fra gli ioni e le molecole di esano sono deboli, ΔHmesc è
ΔHmesc
Soluzione molto minore di ΔHsoluto. Perciò, ΔHsoluz è tanto positivo
Na+(g)+Cl−(g) che NaCl non si scioglie nell’esano. B. Le forze intermole-
Hfinale
separati colari nell’ottano e nell’esano sono così simili che ΔHsoluz
è molto piccolo. L’ottano si scioglie nell’esano perché la
(−ΔHreticolo)

ΔHsoluto soluzione ha un’entropia (un disordine) maggiore rispetto


ai componenti puri.
ΔHsoluto

+ ΔHsoluz >> 0
ΔHsolvente
Entalpia, H

Entalpia, H

esano esano ottano


ΔHsoluto
separato separato separato
+
ΔHsolvente
ΔHsolvente

ΔHsolvente

ΔHsoluto

esano NaCl(s) esano ottano ΔHmesc


aggregato aggregato aggregato aggregato Hiniziale
H iniziale Soluzione ΔHsoluz  0
A B Hfinale

13txt.indd 418 17/05/19 07:37


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 419

parazione del solvente è relativamente facile grazie alle forze di di­spersione deboli,
mentre la separazione del soluto richiede una quantità di energia uguale in valore
a ΔHreticolo. Il mescolamento rilascia pochissima energia perché le attrazioni ione-
dipolo indotto tra gli ioni Na+ (o Cl−) e l’esano sono deboli.
La somma dei termini endotermici è molto maggiore del termine esotermico,
quindi ΔHsoluz è altamente positivo. In questo caso, la dissoluzione non avviene perché
l’aumento di entropia che avverrebbe quando il soluto e il solvente si mescolano non può
superare il grande aumento di entalpia necessario per separare gli ioni.
Consideriamo ora la seconda coppia soluto-solvente, l’ottano (C8H18) e l’esa­
no (C6H14). Entrambi sono costituiti da molecole apolari tenute unite da forze di
dispersione di intensità confrontabile. Perciò si prevede che l’ottano sia solubile
nell’esano; in realtà, essi sono infinitamente solubili (miscibili). Ma la miscibilità non
significa necessariamente che è rilasciata una grande quantità di calore e in questo
caso il calore di soluzione è circa zero (Figura 13.16B). In assenza di una variazione di
entalpia che favorisca il processo, l’ottano si scioglie nell’esano perché l’entropia aumenta
notevolmente quando sostanze pure si mescolano. Perciò, il grande aumento di entro­
pia favorisce la formazione di questa soluzione.
In alcuni casi, un aumento di entropia abbastanza grande è capace di fare forma­
re una soluzione anche quando l’entalpia aumenta in misura rilevante (ΔHsoluz > 0).
Come la Figura 13.15C ha mostrato precedentemente, quando NH4NO3 si scioglie
in acqua, il processo è fortemente endotermico. Ciononostante, in questo caso,
l’aumento di entropia che avviene quando il cristallo ionico ordinato si distrugge e gli ioni
si mescolano con molecole d’acqua compensa ampiamente l’aumento di entalpia. L’impor­
tanza dell’entropia nei sistemi fisici e chimici è trattata in dettaglio nel Capitolo 20. • Una soluzione satura è
si­mile a un liquido puro e al
suo vapore I processi di equili­
13.4 LA SOLUBILITÀ COME PROCESSO brio in una soluzione satura sono
analoghi a quelli per un liquido
DI EQUILIBRIO puro e il suo vapore in un pallone
chiuso (Para­grafo 12.2). Nel caso del
Immaginiamo cosa avviene a livello molecolare quando un solido ionico si scioglie. liquido, la velocità di vaporizzazio­
Gli ioni abbandonano il solido e si disperdono nel solvente. Alcuni ioni disciolti su­ ne e la velocità di condensazione
biscono collisioni casuali con il soluto non disciolto e ricristallizzano. Finché la velo­ sono uguali: nella soluzione, la velo­
cità di dissoluzione e la velocità di
cità di dissoluzione è maggiore della velocità di ricristallizzazione, la concentrazione
ricristallizzazione sono uguali. Nel
di ioni aumenta. Alla fine, gli ioni provenienti dal solido si sciolgono alla stessa velo­ sistema liquido-vapore, particelle
cità a cui ricristallizzano gli ioni presenti nella soluzione (Figura 13.17). abbandonano il liquido per entrare
A questo punto, anche se la dissoluzione e la ricristallizzazione proseguono, la nel vapore, e la loro concentrazione
(la loro pressione) aumenta finché,
concentrazione rimane invariata nel tempo. Il sistema ha raggiunto l’equilibrio; cioè
all’equilibrio, lo spazio disponibile
il soluto indisciolto in eccesso è in equilibrio con il soluto disciolto: sopra il liquido non è “saturo” di

 vapore a una data temperatura.
soluto (indisciolto)   soluto (disciolto) Nella soluzione, particelle abbando­
Questa soluzione è detta satura: contiene la quantità massima di soluto disciolto a nano il soluto solido per entrare nel
solvente e la loro concentrazione
una data temperatura in presenza di soluto indisciolto. Se si rimuove mediante fil­ aumenta finché, all’equilibrio, il sol­
trazione la soluzione satura e si aggiunge a essa altro soluto, il soluto aggiunto non vente disponibile è saturo di soluto
si scioglie. Una soluzione contenente meno di questa quantità di soluto disciolto è a una data temperatura.

Figura 13.17 Equilibrio in una


so­luzione satura. In una solu-
zione satura, esiste un equilibrio
tra il soluto solido in eccesso e
il soluto disciolto. A una parti-
colare temperatura, il numero
di particelle di soluto che si
sciolgono nell’unità di tempo è
uguale al numero di quelle che
ricristallizzano.

13txt.indd 419 17/05/19 07:37


420 Capitolo 13

Figura 13.18 Acetato di sodio detta insatura: se si aggiunge altro soluto, se ne scioglie altro finché la soluzione
che cristallizza da una solu- non si è saturata.
zione soprassatura. Quando si In alcuni casi, si può preparare una soluzione contenente più della quantità di
aggiunge un cristallo di acetato
di sodio fungente da “germe” a
equilibrio di soluto disciolto. Questa soluzione è detta soprassatura. È instabile
una soluzione soprassatura del rispetto alla soluzione satura, la qual cosa significa che, se si aggiunge un cristallo di
composto (A), il soluto comincia soluto fungente da “germe” o si dà semplicemente un colpetto al recipiente, il solu­
a cristallizzare separandosi dalla to in eccesso cristallizza immediatamente, lasciando una soluzione satura (Figu­
soluzione (B) e continua a farlo ra 13.18). Si può spesso preparare una soluzione soprassatura di un soluto che ha
finché la soluzione restante non
è satura (C). (Foto: © McGraw-
una maggiore solubilità a una temperatura più alta. Mentre si riscalda il contenuto
Hill Education/Stephen Frisch del matraccio, si scioglie una quantità di soluto maggiore di quella necessaria per
Photographer). preparare una soluzione satura a una temperatura più bassa e poi si raffredda lenta­
mente la soluzione. Se il soluto in eccesso resta disciolto, la soluzione è soprassatura.

Effetto della temperatura sulla solubilità


La temperatura influenza la solubilità della maggior parte delle sostanze. È
­un’esperienza ordinaria, per esempio, il fatto che lo zucchero non soltanto si scio­
glie più rapidamente nel tè caldo che nel tè ghiacciato, ma addirittura in maggiore
quantità; in altre parole, la solubilità dello zucchero nel tè aumenta all’aumentare
della temperatura. Esaminiamo gli effetti della temperatura sulla solubilità dei
solidi e dei gas.
Temperatura e solubilità dei solidi Come per lo zucchero, la solubilità della
maggior parte dei solidi aumenta all’aumentare della temperatura. La Figura 13.19 pre­

Figura 13.19 La relazione


tra solubilità e temperatura
per alcuni composti ionici. La
solubilità della maggior parte
dei composti ionici aumenta
all’aumentare della tempera-
tura. Il solfato di cerio è una di
parecchie eccezioni.

13txt.indd 420 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 421

senta alcuni esempi di relazioni tra solubilità e temperatura per composti ionici in
acqua. Si noti che per la maggior parte la curva ha pendenza positiva. Il solfato di
cerio è l’unica eccezione presente nella figura, ma parecchi altri sali, in prevalenza
solfati, si comporta analogamente. Alcuni sali presentano solubilità crescente fino a
una certa temperatura e poi solubilità decrescente a temperature ancora più alte.
Si potrebbe pensare che il segno di ΔHsoluz indichi l’effetto della temperatura.
La maggior parte dei solidi ionici ha un ΔHsoluz positivo perché per la maggior parte
l’energia reticolare è maggiore del calore di idratazione.
Perciò, viene assorbito calore per formare la soluzione a partire dal soluto e dal
solvente e, se si considera il calore come un reagente, un aumento della tempera­
tura dovrebbe aumentare la velocità del processo diretto:


soluto + solvente + calore  
 soluzione satura

I valori tabulati di ΔHsoluz si riferiscono alla variazione di entalpia necessaria af­


finché una soluzione raggiunga lo stato standard di 1 M; ma, per comprendere
l’effetto della temperatura, si deve conoscere il segno della variazione di entalpia
molto vicino al punto di saturazione, e il segno può non essere lo stesso. Tornan­
do agli esempi precedenti, i valori tabulati danno un ΔHsoluz negativo per NaOH
e un ΔHsoluz positivo per NH4NO3, tuttavia i due composti sono entrambi più
solubili a temperature più alte. Il punto è che la solubilità mostra un compor­
tamento complesso e, anche se l’effetto della temperatura rispecchia in ultima
analisi il carattere di equilibrio della solubilità, nessuna singola misura può aiutare
a prevederla per un dato soluto.

Temperatura e solubilità dei gas in acqua L’effetto della temperatura sulla so­
lubilità dei gas è molto più prevedibile. Quando un solido si scioglie in un liquido,
le particelle di soluto devono separarsi, quindi si deve fornire energia; perciò, per
un solido, ΔHsoluto > 0. Per contro, le particelle di un gas sono già separate, quindi
ΔHsoluto  0. Poiché la tappa di idratazione è esotermica (ΔHidr < 0), la somma di
questi due termini deve essere negativa. Perciò, per tutti i gas in acqua, ΔHsoluz < 0:


soluto( g ) + acqua( l )  
 soluzione satura( aq ) + calore

Questa equazione significa che la solubilità dei gas in acqua diminuisce all’aumentare
della temperatura. I gas hanno forze intermolecolari deboli e quindi si esercitano forze
intermolecolari relativamente deboli tra un gas e l’acqua. Quando la temperatura
aumenta, l’energia cinetica media delle particelle in soluzione aumenta, permettendo
alle particelle di gas di vincere facilmente queste forze deboli e di ritornare nella fase
gassosa.
Questo comportamento può causare un problema ambientale noto come in-
quinamento termico. Nel corso di molti processi industriali, grandi quantità di acqua
vengono prelevate da un fiume o da un lago vicino, vengono pompate attraverso
il sistema per raffreddare liquidi, gas e impianti e poi vengono restituite al corpo
d’acqua a una temperatura più alta.
Le velocità metaboliche dei pesci e degli altri animali acquatici aumentano
nell’acqua più calda rilasciata dallo scarico dell’impianto; quindi la loro necessità di
O2 aumenta, ma la concentrazione di O2 disciolto diminuisce all’aumentare della
temperatura dell’acqua. La deplezione (depauperazione) di ossigeno può danneggia­
re queste popolazioni acquatiche. Inoltre, l’acqua più calda è meno densa, quindi
galleggia sull’acqua più fredda sottostante e impedisce all’O2 di raggiungerla. Perciò,
anche gli organismi che vivono a profondità maggiori vengono deprivati di ossige­
no. Più lontano dall’impianto, la temperatura dell’acqua ritorna a valori ambientali,
la solubilità di O2 aumenta e la stratificazione della temperatura scompare. Un
metodo per alleviare questo problema è ricorrere a torri di raffreddamento, che
raffreddano l’acqua prima che esca dall’impianto (Figura 13.20).

13txt.indd 421 17/05/19 07:38


422 Capitolo 13

Figura 13.20 Lotta con-


tro l’inquinamento termico.
Il vapore che esce dalle torri
di raffreddamento è comune
presso le grandi centrali termi-
che. L’acqua calda derivante
dal raffreddamento dei gas e
degli impianti entra nella torre
di raffreddamento vicino alla
sua sommità e si raffredda in
contatto con l’aria. L’acqua raf-
freddata viene poi restituita alla
fonte da cui è stata prelevata
inizialmente. (Foto: © Kristin
Smith/Shutterstock.com).

• Immersione con respira-


tore subacqueo e bibite
gassate Anche se N2 è a malape­ Effetto della pressione sulla solubilità
na solubile nell’acqua o nel sangue
al livello del mare, la pressione I liquidi e i solidi sono quasi incompressibili e quindi la pressione ha scarso effetto
esterna elevata aumenta notevol­ sulla loro solubilità, ma ha un importante effetto sulla solubilità dei gas. Consideria­
mente la sua solubilità. I subacquei mo il sistema stantuffo-cilindro nella Figura 13.21, con un gas sopra una soluzione
che respirano aria compressa e si
immergono al di sotto di 15 m
acquosa satura del gas. A una data pressione, il numero di molecole di gas che entra­
hanno una quantità molto maggiore no nella soluzione nell’unità di tempo è uguale al numero di quelle che ne escono;
di N2 sciolto nel sangue. Se salgono cioè il sistema è in equilibrio:
rapidamente a pressioni più basse,
posso­­ no essere colpiti da malattia 
gas + solvente  
 soluzione satura
da de­com­pres­sione (“malattia dei
cassoni”) quando l’N2 disciolto si Se abbassiamo lo stantuffo, il volume del gas diminuisce, la sua pressione aumenta e
separa dal sangue formando bolle e
causa un blocco doloroso e talvolta
le particelle gassose urtano più frequentemente contro la superficie libera del liqui­
letale dei capillari. Si può evitare do. Perciò, il numero di particelle che entrano nella soluzione nell’unità di tempo
questa patologia usando gas meno è maggiore del numero di quelle che ne escono. L’aumento della pressione del gas
solubili, come He, nelle miscele perturba l’equilibrio, e quindi altro gas si scioglie per ridurre questa perturbazione
respiratorie. In linea di principio,
accade la stessa cosa quando si apre (la precedente equazione si sposta verso destra) finché il sistema non ha ripristinato
un barattolo di bibita gassata. Nel l’equilibrio.
barattolo chiuso, il CO2 disciolto è La legge di Henry esprime la relazione quantitativa tra pressione del gas e so­
in equilibrio con 4 atm di CO2 gas­ lubilità: la solubilità di un gas (Sgas) è direttamente proporzionale alla pressione parziale
soso nello spazio sovrastante. Nel
recipiente aperto, il CO2 disciolto è del gas (Pgas) sopra la soluzione:
sotto 1 atm di aria ( PCO2 =
3  ×  10−4 atm), quindi CO2 si separa gas= kH × Pgas (13.3)
dalla soluzione formando bolle. Con
il trascorrere del tempo, il sistema
raggiunge l’equilibrio con la PCO2
dove kH, detta costante di Henry, è specifica di una data combinazione gas-solven­te
nell’aria: la bevanda ha perso l’effer­ a una data pressione. Quando Sgas è espressa in moli per litro (mol/L) e Pgas è espres­
vescenza. sa in atmosfere (atm), l’unità di kH è mole su litro per atmosfera [mol/ (L ⋅ atm)].

P1
Figura 13.21 Effetto della
pressione sulla solubilità di un
P2 P2
gas. A. Una soluzione satura
di un gas è in equilibrio alla
pressione P1. B. Se si aumenta
la pressione a P2, il volume del
gas diminuisce. Di conseguenza,
la frequenza degli urti contro
la superficie aumenta, e una
maggiore quantità di gas entra
in soluzione. C. Si raggiunge
nuovamente l'equilibrio alla A B C
pressione P2.

13txt.indd 422 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 423

Impiego della legge di Henry per calcolare la solubilità di un gas


PROBLEMA DI VERIFICA 13.2
Problema La pressione parziale del diossido di carbonio gassoso in una bottiglia di bevanda
gassata è 4 atm a 25 °C. Quanto vale la solubilità di CO2? La costante di Henry per CO2
sciolto in acqua è 3,3  ×  10−2 mol/(L ⋅ atm) a 25 °C.
Piano Conosciamo PCO2 (4 atm) e il valore di k=H [3,3 ×10−2 mol/(L ⋅ atm)], quindi sostitu­
iamo i valori noti nell’Equazione 13.3 per trovare CO2 .
Risoluzione CO2 = kH × PCO2 = [3,3 ×10−2 mol/(L ⋅ atm)(4 atm)] = 0,1 mol/L
Verifica L’unità di misura della solubilità è corretta. Abbiamo arrotondato il risultato a una
cifra significativa perché il valore della pressione ha una sola cifra significativa.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.2 Se l’aria contiene il 78% di N2 in


volume, quanto vale la solubilità di N2 in acqua a 25 °C e 1 atm [kH per N2 in H2O a 25 °C =
7  ×  10−4 mol/(L ⋅ atm)]?

13.5 ESPRESSIONI QUANTITATIVE


DELLA CONCENTRAZIONE
La concentrazione è la quantità relativa di una sostanza presente in una miscela,
quindi è una proprietà intensiva, cioè non dipende dalla quantità di miscela presen­
te: 1,0 L di soluzione acquosa 0,1 M di NaCl ha la stessa concentrazione di 1,0 mL
di soluzione acquosa 0,1 M di NaCl. La concentrazione è espressa molto spesso
come rapporto tra la quantità di soluto e la quantità di soluzione, ma talvolta come
rapporto tra la quantità di soluto e la quantità di solvente. Poiché il numeratore e il
denominatore del rapporto possono essere espressi entrambi in unità di massa, di
volume o di quantità di sostanza (mole), i chimici impiegano parecchie espressioni
della concentrazione, comprendenti la molarità (o concentrazione molare), la mola­
lità (o concentrazione molale) e varie espressioni di “parti di soluto per parte di
soluzione” (Tabella 13.5).

Molarità e molalità
La molarità (M), o concentrazione molare, è il numero di moli di soluto disciolti in 1 L
di soluzione:
quantità (mol) di soluto (13.4)
molarità ( M ) =
volume (L) di soluzione

Tabella 13.5 Definizioni di concentrazione


Espressione
della concentrazione Rapporto
quantità (mol) di soluto
Molarità (M)
volume (L) di soluzione
quantità (mol) di soluto
Molalità (m)
massa (kg) di solvente
massa di soluto
Parti in massa
massa di soluzione
volume di soluto
Parti in volume
volume di soluzione
quantità (mol) di soluto
Frazione molare (X)
quantità (mol) di soluto  quantità (mol) di solvente

13txt.indd 423 17/05/19 07:38


424 Capitolo 13

Nel Capitolo 3, abbiamo usato la molarità per convertire i litri di soluzione in moli
di soluto disciolto. Ma l’espressione della concentrazione in termini di molarità può
avere inconvenienti. Poiché il volume è influenzato dalla temperatura, lo è anche la
molarità. Una soluzione si dilata quando viene riscaldata, quindi una unità di volu­
me di soluzione calda contiene un po’ meno soluto rispetto a una unità di volume
di soluzione fredda. Questa può essere una causa di errore nei lavori molto precisi.
Ciò che più importa, a causa di interazioni soluto-solvente difficili da prevedere, i
volumi di soluzione possono non essere additivi; cioè l’aggiunta di 5,00  ×  102 mL di una
soluzione a 5,00  ×  102 mL di un’altra può non dare 1,000  ×  103 mL. Perciò, nei lavori
precisi, può non essere facile preparare una soluzione con una molarità desiderata.
Un’espressione della concentrazione che non contiene il volume nel rapporto
che la definisce è la molalità (m), o concentrazione molale, il numero di moli di
soluto disciolte in 1000 g (1 kg) di solvente:

quantità (mol) di soluto (13.5)


molalità ( m ) =
mass (kg) di solvente

Si noti che la molalità è espressa in termini della quantità di solvente, non della
quantità di soluzione. Le soluzioni molali si preparano misurando masse di soluto
e di solvente, non volumi di solvente o di soluzione. La massa non varia al variare
della temperatura, quindi non varia con la temperatura neppure la molalità. Inoltre,
a differenza dei volumi, le masse sono additive: aggiungendo 5,00  ×  102 g di una
soluzione a 5,00  ×  102 g di un’altra soluzione si ottengono 1,000  ×  103 g di soluzione
finale. Per questi motivi, si preferisce la molalità, come misura della concentrazione,
quando la temperatura, e quindi la densità, possono variare, come nell’esame delle
proprietà fisiche delle soluzioni. È importante rendersi conto che, poiché 1 L di
acqua ha una massa di 1 kg, la molalità e la molarità sono quasi identiche per soluzioni
acquose diluite.

 Calcolo della molalità


PROBLEMA DI VERIFICA 13.3
Problema Quanto vale la molalità di una soluzione preparata sciogliendo 32,0 g di CaCl2
massa (g) di CaCl2 in 271 g di acqua?
Piano Per usare l’Equazione 13.5, convertiamo la massa di CaCl2 (32,0 g) nella quantità
dividere per ' (g/mol) (mol) con la massa molare (g/mol) e poi dividiamo per la massa dell’acqua (271 g), badando
di convertire dai grammi ai kilogrammi.
Risoluzione Conversione da grammi di soluto a moli:
quantità (mol) di CaCl2
1 mol CaCl 2
moli di CaCl 2 =32,0 g CaCl 2 × =0,288 mol CaCl 2
110,98 g CaCl 2
dividere per i
kilogrammi di acqua Calcolo della molalità:
mol soluto 0,288 mol CaCl 2
molalità (m) della =
molalità = = 1,06 m CaCl2
kg solvente 1 kg
soluzione di CaCl2 271× 3
10 g
Verifica Il risultato sembra ragionevole: le moli date di CaCl2 e i kilogrammi dati di H2O
sono all’incirca uguali numericamente, quindi il loro rapporto è circa 1.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.3 Quanti grammi di glucosio


(C6H12O6) si devono sciogliere in 563 g di etanolo (C2H5OH) per preparare una soluzione
2,40  ×  10−2 m?

Parti di soluto per parti di soluzione


Parecchie espressioni della concentrazione si basano sul numero di parti di soluto (o
di solvente) presenti in un numero specifico di parti di soluzione. Le parti di soluzione
possono essere espresse in termini di massa, di volume o di quantità (numero di moli).

13txt.indd 424 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 425

Parti in massa La più comune delle espressioni della concentrazione come parti
in massa è la percentuale in massa, che abbiamo già incontrato nel Capitolo 3. La
percentuale in massa di soluto è la massa di soluto disciolta in ogni 1,00  ×  102 parti
in massa di soluzione, ossia è la frazione in massa moltiplicata per 100:

massa di soluto
percentuale in massa = ×100
massa di soluto + massa di solvente (13.6) • Concentrazioni ultrabas-
se insalubri
massa di soluto I tossicologi ambien­
= ×100 tali misurano spesso concentrazioni
massa di soluzione
di inquinanti estremamente basse.
La percentuale in massa è espressa talvolta come % (w/w) in cui il w/w indica che I CDC (Centers for Disease Control
and Prevention), l’agenzia federale
la percentuale è un rapporto tra pesi (o più correttamente masse). Sulle etichette statunitense per la salute, consi­
delle bottiglie si possono vedere valori della percentuale in massa di sostanze chi­ derano la TCDD (tetra­cloro­diben­
miche solide per indicare le quantità di impurità presenti. Due espressioni molto zo­diossina) una delle sostanze più
simili della concentrazione sono le parti per milione (ppm) in massa e le parti per tossiche che si conoscano. Questo
miliardo (ppb, parts per billion) in massa: grammi di soluto per milione o per miliar­ composto appartiene alla famiglia
delle diossine di idrocarburi cloru­
do di grammi di soluzione, rispettivamente. (Nell’Equazione 13.6 si moltiplica per rati, un sottoprodotto dello sbian­
106 o per 109, rispettivamente, invece che per 100). camento della carta. La TCDD è
considerata insicura a livelli nel
Parti in volume La più comune delle espressioni della concentrazione come parti suolo superiori a 1 ppb. Per con­
in volume è la percentuale in volume, il volume di soluto in 1,00  ×  102 volumi tatto con l’aria, l’acqua e il suolo,
di soluzione: la maggior parte dei nordamericani
ha una media di 0,01 ppb di TCDD
volume di soluto nel tessuto adiposo. L’EPA (En­ vi­
=
percentuale in volume ×100 (13.7) ronmental Protection Agen­ cy) ha
volume di soluzione
valutato recentemente la TCDD
Un simbolo comune per questa espressione della concentrazione è % (v/v). Per esem­ in­sicura a tutte le concentrazioni
misurate.
pio, l’alcol per frizioni commerciale è una soluzione acquosa di alcol isopropilico (un
alcol a tre atomi di carbonio) che contiene 70 volumi di alcol isopropilico per ogni
1,00  ×  102 volumi di soluzione, che l’etichetta indica come “70% (v/v)”. Le concentra­
zioni espresse in parti in volume sono le più usate per i liquidi e i gas. I componenti at­
mosferici minori sono presenti in parti per milione in volume (ppmv, parts per million
by volume). Per esempio, vi sono circa 0,05 ppmv (50 ppbv) del gas tossico monossido
di carbonio (CO) nell’aria non inquinata, 1000 volte tanto (circa 50 ppmv di CO) nell’a­
ria inquinata dal traffico urbano, e 10 000 volte tanto (circa 500 ppmv di CO) nel fumo
di una sola sigaretta. Esistono in natura alcune concentrazioni estremamente piccole. I
feromoni sono composti organici secreti da un membro di una specie per comunicare
agli altri membri della specie informazioni sul cibo, i pericoli, la recettività sessuale e
così via. Molti organismi, tra cui i cani e le scimmie, rilasciano feromoni, e i ricercatori
prospettano la possibilità che lo facciano anche gli esseri umani. La maggior parte
degli studi sui feromoni rivolgono l’attenzione agli insetti sociali. Alcuni feromoni
degli insetti sono attivi a concentrazioni soltanto di qualche centinaio di molecole per
millilitro di aria, circa 100 parti ogni 1015 (milione di miliardi) in volume.
Un simbolo usato spesso per le soluzioni acquose è % (m/v), un rapporto tra
massa di soluto e volume di soluzione. Per esempio, una soluzione di NaCl all’1,5%
(m/v) contiene 1,5 g di NaCl ogni 1,00  ×  102 mL di soluzione. Questo modo di espri­
mere le concentrazioni è particolarmente comune nei laboratori clinici e in altre
strutture sanitarie.
Frazione molare La frazione molare (X) di un soluto è il rapporto tra il numero
di moli di soluto e il numero totale di moli (soluto più solvente), cioè è il numero
di parti in quantità (moli); mentre la percentuale molare (o percentuale in moli) è la
frazione molare espressa come percentuale:

quantità (mol) di soluto


frazione molare ( X ) =
quantità (mol) di soluto + quantità (mol) di solvente (13.8)
=
percentuale molare frazione molare ×100%

13txt.indd 425 17/05/19 07:38


426 Capitolo 13

Abbiamo esaminato questi termini nel Capitolo 5 in relazione alla legge di Dalton
delle pressioni parziali nel caso di miscele di gas, ma essi sono validi anche per i
liquidi e i solidi. Le concentrazioni espresse come frazioni molari offrono il quadro
più chiaro del rapporto effettivo tra le particelle di soluto (o di solvente) e tutte le
particelle presenti nella soluzione.

Espressione della concentrazione in parti in massa, parti in volume


e frazione molare
PROBLEMA DI VERIFICA 13.4
Problema (a) Si trovi la concentrazione del calcio (in ppm) in una compressa di 3,50 g
che contiene 40,5 mg di Ca.
(b) L’etichetta su una bottiglia di 0,750 L di vino indica “11,5% di alcol in volume”. Quanti
litri di alcol sono presenti in questo vino?
(c) Un campione di alcol per frizioni contiene 142 g di alcol isopropilico (C3H7OH) e 58,0 g
di acqua. Quanto valgono le frazioni molari di alcol e di acqua?
Piano (a) Conosciamo le masse del Ca (40,5 mg) e della compressa (3,50 g). Convertiamo la
massa del Ca dai milligrammi ai grammi, troviamo il rapporto tra la massa del Ca e la massa
della compressa e moltiplichiamo per 106 per ottenere la concentrazione espressa in ppm.
(b) Conosciamo la percentuale in volume (11,5% ossia 11,5 parti in volume di alcol su 100
parti di vino) e il volume totale (0,750 mL), quindi usiamo l’Equazione 13.7 per trovare il
volume di alcol.
(c) Conosciamo la massa e la formula di ciascun componente, quindi le convertiamo in
quantità (mol) e applichiamo l’Equazione 13.8 per trovare la frazione molare.
Risoluzione (a) Determinazione delle parti per milione in massa di Ca. Combinando i
passaggi, otteniamo
1g
40,5 mg Ca ×
massa di Ca 103 mg
=ppm Ca = ×106 ×106
massa della compressa 3,50 g

= 1,16  ×  104 ppm Ca

(b) Determinazione del volume (L) di alcol:

11,5 L alcol
=
volume (L) di alcol 0,750 L di vino × = 0,0862 L
1,00 ×102 L vino

(c) Determinazione delle frazioni molari. Conversione dai grammi alle moli:
1 mol C3H7OH
moli di C3H7OH =142 g C3H7OH × =2,36 mol C3H7OH
60,09 g C3H7OH

1 mol H2O
moli di H2O =58,0 g H2O × =3,22 mol H2O
18,02 g H2O

Calcolo delle frazioni molari:


numero di moli di C3H7OH 2,36 mol
=X C3H7OH = = 0,423
numero totale di moli 2,36 mol + 3,22 mol

numero di moli di H2O 3,22 mol


=X H2 O = = 0,577
numero totale di moli 2,36 mol + 3,22 mol
Verifica (a) Il rapporto delle masse è circa (0,04 g)/(4 g) = 10−2 e 10−2  ×  106 = 104 ppm,
quindi il risultato sembra corretto. (b) La percentuale in volume è un po’ più del 10%, quin­
di il volume di alcol dovrebbe essere un po’ più di 75 mL (0,075 L). (c) Si verifichi sempre
che la somma delle frazioni molari sia uguale a 1: 0,423 + 0,577 = 1,000.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.4 Una soluzione di alcol contiene


35,0 g di propanolo (C3H7OH) e 1,50  ×  102 g di etanolo (C2H5OH). Si calcolino la percentuale
in massa e la frazione molare di ciascun alcol.

13txt.indd 426 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 427

Conversione delle unità di concentrazione


Tutte le unità appena esaminate rappresentano differenti modi di esprimere la con­
centrazione, quindi sono interconvertibili. Si tengano presenti questi punti:
• per convertire un’unità basata sulla quantità (mol) in un’unità basata sulla
massa, si deve conoscere la massa molare; queste conversioni sono simili alle
conversioni massa-quantità (mol) che sono state fatte precedentemente;
• per convertire un’unità basata sulla massa in un’unità basata sul volume, si
deve conoscere la densità della soluzione; data la massa di una soluzione, la
densità (massa/volume) dà il volume e viceversa;
• la molalità implica la quantità di solvente, mentre le altre espressioni della con­
centrazione implicano la quantità di soluzione.

Conversione delle unità di concentrazione


PROBLEMA DI VERIFICA 13.5
Problema Il perossido d’idrogeno (H2O2) è un potente ossidante impiegato in soluzione
concentrata nei combustibili per razzi e in soluzione diluita (“acqua ossigenata”) come sbian­
cante per capelli e come disinfettante. Una soluzione acquosa di H2O2 ha una concertazione
del 30% in massa e una densità di 1,11 g/mL. Si calcolino:
(a) la molalità; (b) la frazione molare di H2O2; (c) la molarità.
Piano Conosciamo la percentuale in massa (30,0%) e la densità (1,11 g/mL). (a) Per determi­
nare la molalità, dobbiamo conoscere la quantità (mol) di soluto e la massa (kg) di solvente.
Supponendo di avere 100,0 g di soluzione di H2O2, possiamo esprimere la percentuale in
massa direttamente come grammi di sostanza. Sottraiamo i grammi di H2O2 per ottenere i
grammi di solvente. Per determinare la molalità, convertiamo i grammi di H2O2 in moli e
dividiamo per la massa di solvente (convertendo i grammi in kilogrammi). (b) Per trovare la
frazione molare, usiamo il numero di moli di H2O2 [trovato in (a)] e convertiamo i grammi
di H2O in moli. Poi dividiamo il numero di moli di H2O2 per il numero totale di moli. (c)
Per trovare la molarità, supponiamo di avere 100,0 g di soluzione e usiamo la densità data
della soluzione per trovare il volume. Poi dividiamo la quantità (in moli) di H2O2 [trovato in
(a)] per il volume (in litri) della soluzione.
Risoluzione (a) Dalla percentuale molare alla molalità. Determinazione della massa di sol­
vente (supponendo di avere 100,0 g di soluzione):
massa (g) di H2O = 100,0 g soluzione − 30,0 g H2O 2 = 70,0 g H2O
Conversione da grammi di H2O2 a moli:
1 mol H2O 2
moli di H2O 2 =30,0 g H2O 2 × =0,882 mol H2O 2
34,02 g H2O 2
Calcolo della molalità:
mol H2O 0,882 mol H2O 2
=
molalità di H 2O 2 = = 12,6 m di H2O2
kg H2O 1 kg
70,0g × 3
10 g
(b) Dalla percentuale in massa alla frazione molare:
moli di H2O2 = 0,882 mol H2O2  [trovati in (a)]
1 mol H2O
moli di H2O =70,0 g H2O × =3,88 mol H2O
18,02 g H2O
0,882 mol
X H2 O 2 = = 0,185
0,882 + 3,88 mol

(c) Dalla percentuale in massa e dalla densità alla molarità. Conversione dalla massa di solu­
zione al volume di soluzione:
1 mL
volume (mL) di soluzione = 100,0 g × = 90,1 mL
1,11 g

13txt.indd 427 17/05/19 07:38


428 Capitolo 13

Calcolo della molarità:

mol H2O 2 0,882 mol H2O2


=
molarità = = 9,79 M di H2O2
L soluz 1 L soluz
90,1 mL × 3
10 mL
Verifica Arrotondando si vede che i risultati sembrano ragionevoli: (a) il rapporto (0,9 mol)/
(0,07 kg) è maggiore di 10; (b) (0,9 mol H2O2)/(1 mol + 4 mol)  0,2; (c) il rapporto tra
moli e litri (0,9/0,09) è circa 10.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.5 Un campione di acido cloridrico


concentrato è una soluzione 11,8 M di HCl e ha una densità di 1,190 g/mL. Si calcolino la
percentuale in massa, la molalità e la frazione molare di HCl.

13.6 PROPRIETÀ COLLIGATIVE DELLE SOLUZIONI


Ci si potrebbe attendere che, per la presenza di particelle di soluto, le proprietà
fisiche di una soluzione siano diverse da quelle del solvente puro. Però, ciò che
potremmo non attenderci è che, nel caso di quattro importanti proprietà delle so­
luzioni, abbia importanza determinante il numero di particelle di soluto, non la loro
identità chimica. Queste proprietà, dette proprietà colligative (“collettive”), sono
l’abbassamento della pressione di vapore, l’innalzamento della temperatura di ebol­
lizione (innalzamento ebullioscopico), l’abbassamento della temperatura di solidi­
ficazione (abbassamento crioscopico) e la pressione osmotica. Anche se la maggior
parte di questi effetti sono piccoli, essi hanno molte applicazioni pratiche, alcune
delle quali sono essenziali per i sistemi biologici.
Storicamente, le proprietà colligative vennero misurate per indagare la natura
di un soluto in soluzione acquosa e l’entità della sua dissociazione in ioni. Nel Ca­
pitolo 4 abbiamo classificato i soluti secondo la loro capacità di condurre corrente
elettrica, capacità che richiede la presenza di ioni mobili. Si ricordi che una solu­
zione acquosa di un elettrolita conduce corrente perché il soluto si separa in ioni
quando si scioglie. I sali solubili, gli acidi forti e le basi forti si dissociano comple­
tamente e le loro soluzioni conducono una corrente elettrica di grande intensità,
quindi questi soluti sono elettroliti forti. Gli acidi deboli e le basi deboli si dissociano
pochissimo e quindi sono elettroliti deboli perché le loro soluzioni conducono cor­
renti di piccola intensità. Molti composti, quali gli zuccheri e gli alcol, non si disso­
ciano affatto in ioni, di conseguenza sono non elettroliti perché le loro soluzioni
non conducono corrente. La Figura 13.22 illustra questi comportamenti.
Figura 13.22 I tre tipi di Possiamo prevedere l’entità di una proprietà colligativa a partire dalla formula
elettroliti. A. Gli elettroliti
forti conducono una corrente del soluto che mostra il numero di particelle in soluzione e che è strettamente
di grande intensità perché si correlata con la sua natura di elettrolita o non elettrolita. Ciascuna mole di un non
dissociano completamente in elettrolita fornisce 1 mol di particelle nella soluzione. Per esempio, una soluzione
ioni. B. Gli elettroliti deboli con- 0,35 M di glucosio contiene 0,35 mol di particelle di soluto per ogni litro.
ducono una corrente di piccola
In linea di principio, ciascuna mole di un elettrolita forte si dissocia nel numero
intensità perché si dissociano
pochissimo. C. I non elettroliti di moli di ioni nell’unità formula: una soluzione 0,4 M di Na2SO4 contiene 0,8 mol
non conducono corrente per- di ioni Na+ e 0,4 mol di ioni SO42−, ossia 1,2 mol di particelle per ogni litro (vedi
ché non si dissociano. (Foto: © Problema di verifica 4.1). (Esamineremo il carattere di equilibrio della dissociazione
McGraw-Hill Education/Stephen degli elettroliti deboli nei Capitoli 18 e 19).
Frisch, photographer).
Proprietà colligative delle soluzioni di non elettroliti non volatili
In questo paragrafo rivolgeremo l’attenzione principalmente al caso più semplice, le
proprietà colligative di soluti che non si dissociano in ioni e hanno una pressione di
vapore trascurabile anche alla temperatura di ebollizione del solvente. Questi soluti
sono detti non elettroliti non volatili; il saccarosio (zucchero da tavola) ne è un esempio. Poi
esamineremo brevemente le proprietà dei non elettroliti volatili e degli elettroliti forti.

13txt.indd 428 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 429

Abbassamento della pressione di vapore La pressione di vapore di una solu­


zione di un non elettrolita non volatile è sempre più bassa della pressione di vapore
del solvente puro. Possiamo comprendere questo abbassamento della pressione
di vapore (ΔP) se teniamo presente che i processi naturali tendono a svolgersi
nella direzione in cui aumenta il disordine. Un solvente puro vaporizza perché le
particelle che si muovono in modo casuale (disordinato) in fase di vapore sono più
disordinate (hanno maggiore entropia) rispetto a quando sono situate l’una vicina
all’altra nel liquido. Però, una soluzione è già più disordinata di un liquido puro,
quindi il solvente ha una minore tendenza a vaporizzare per raggiungere lo stesso
grado di disordine. Perciò, nel caso di una soluzione, l’equilibrio viene raggiunto
– la velocità di vaporizzazione e la velocità di condensazione diventano uguali – a
una pressione di vapore più bassa. Questo punto è illustrato dalle visualizzazioni
molecolari nella Figura 13.23.
In termini quantitativi, si trova che la pressione di vapore del solvente so­
pra la soluzione (Psolvente) è uguale alla frazione molare di solvente nella soluzione
­(Xsolvente) moltiplicata per la pressione di vapore del solvente puro (P 0solvente). Questa
relazione è espressa dalla legge di Raoult [così chiamata dal nome del chimico-
fisico francese François-Marie Raoult (1830-1901)]
P=
solvente X solvente × Psolvente
0
(13.9)

In una soluzione, Xsolvente è sempre minore di 1, quindi Psolvente è sempre minore di


P 0solvente. Una soluzione ideale è una soluzione che ubbidisce alla legge di Raoult
a ogni concentrazione. Però, come la maggior parte dei gas si discostano dal com­
portamento di un gas perfetto, così la maggior parte delle soluzioni si discostano dal
comportamento di una soluzione perfetta. In pratica, la legge di Raoult dà una buo­
na approssimazione del comportamento soltanto delle soluzioni diluite ed è esatta a
diluizione infinita.
In che modo la quantità di soluto influenza il valore dell’abbassamento della
pressione di vapore, ΔP? La soluzione è costituita dal solvente e dal soluto, quindi
la somma delle loro frazioni molari è uguale a 1:
=
X solvente + X soluto 1; =
perciò, X solvente 1 − X soluto
Dalla legge di Raoult otteniamo:
Psolvente = X solvente × Psolvente
0
= (1 − X soluto )× Psolvente
0

Eseguendo la moltiplicazione indicata nel secondo membro, otteniamo


Psolvente = Psolvente
0
− ( X soluto × Psolvente
0
) Figura 13.23 Effetto del solu-
to sulla pressione di vapore di
Riordinando e introducendo ΔP, otteniamo: una soluzione. La vaporizzazio-
ne (o evaporazione) è causata
0
Psolvente − Psolvente ==
ΔP X soluto × Psolvente
0
(13.10) dalla tendenza di un sistema a
diventare più disordinato (ad
Perciò, il valore di ΔP è uguale alla frazione molare di soluto moltiplicata per la aumentare la sua entropia).
pressione di vapore del solvente puro. Questa relazione è applicata nel seguente A. Si stabilisce l’equilibrio tra
problema di verifica. un liquido puro e il suo vapore
quando il numero di molecole
che vaporizzano in un dato
intervallo di tempo è uguale al
numero di quelle che condensa-
no. B. La presenza di un soluto
disciolto aumenta il disordine
del sistema, quindi un minor
numero di molecole di solvente
vaporizza in un dato intervallo di
tempo. Di conseguenza, diminui-
sce il numero delle molecole che
devono condensare per bilan-
ciarle, e alla fine si stabilisce
l’equilibrio a una pressione di
vapore più bassa.

13txt.indd 429 17/05/19 07:38


430 Capitolo 13

Impiego della legge di Raoult per determinare l’abbassamento


della pressione di vapore
PROBLEMA DI VERIFICA 13.6
Problema Si calcoli l’abbassamento della pressione di vapore, ΔP, quando 10,0 mL di glice­
rolo (C3H8O3) vengono aggiunti a 5,00  ×  102 mL di acqua a 50 °C. A questa temperatura, la
pressione di vapore dell’acqua pura è 92,5 mmHg e la sua densità è 0,988 g/mL. La densità
del glicerolo è 1,26 g/mL.
Piano Per calcolare ΔP, impieghiamo l’Equazione 13.10. Conosciamo la pressione di vapore
dell’acqua pura (PH02O = 92,5 mmHg ) , quindi ci è sufficiente conoscere la frazione molare
del glicerolo, Xglicerolo. Convertiamo il volume dato del glicerolo (10,0 mL) in massa usando
la densità data (1,26 g/L), troviamo la massa molare con la formula, e convertiamo la massa
(in grammi) in quantità (in moli). Lo stesso procedimento dà la quantità di H2O. In base a
questi risultati, troviamo Xglicerolo e ΔP.
Risoluzione Calcolo della quantità (moli) di glicerolo e di acqua:
1,26 g glicerolo 1 mol glicerolo
moli di glicerolo = 10,0 mL glicerolo × ×
1 mL glicerolo 92,09 g glicerolo
= 0,137mol glicerolo
0,988 g H2O 1 mol H2O
moli di H2O =50 mL H2O × × =
1 mL H2O 18,02 g H2O
= 27,4 mol H2O

Calcolo della frazione molare di glicerolo:


0,137 mol
X glicerolo = = 0,00498
0,137 mol + 27,4 mol
Determinazione dell’abbassamento della pressione di vapore:

ΔP= X glicerole × PH02O= 0,00498× 92,5 mmHg= 0,461 mmHg

Verifica Le quantità di ciascun componente sembrano corrette: per il glicerolo,


(10 mL  ×  1,25 g/mL)/(100 g/mol) = 0,125 mol; per H2O, (500 mL  ×  1 g/mL)/(20 g/ mol)
= 25 mol. Il piccolo ΔP è ragionevole perché la frazione molare di soluto è piccola.
Commento Il calcolo presuppone che il glicerolo sia non volatile. Alla pressione di 1 atm,
il glicerolo bolle a 290,0 °C, quindi la pressione di vapore del glicerolo a 50 °C è così bassa
da essere trascurabile.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.6 Si calcoli l’abbassamento della


pressione di vapore di una soluzione di acido acetilsalicilico (aspirina) (M = 180,15 g/mol)
in 50,0 g di metanolo (CH3OH) a 21,2 °C. Il metanolo puro ha una pressione di vapore di
101 mmHg a questa temperatura.

Innalzamento della temperatura di ebollizione (innalzamento ebullio-


scopico) La temperatura di ebollizione di una soluzione è più alta di quella del sol-
vente puro. Vediamo perché. La temperatura di ebollizione (Teb) di un liquido è
la temperatura a cui la sua pressione di vapore è uguale alla pressione esterna.
La pressione di vapore di una soluzione è inferiore a quella del solvente puro a
qualsiasi temperatura. Perciò, alla temperatura di ebollizione del solvente puro,
la soluzione non bolle ancora. È necessaria una temperatura più alta perchè la
pressione di vapore della soluzione uguagli la pressione esterna. Si può osservare
questo innalzamento della temperatura di ebollizione o innalzamento
ebullioscopico (ΔTeb) sovrapponendo un diagramma di fase per la soluzione a
uno per il solvente puro (Figura 13.24). Si noti che la curva gas-liquido per la
soluzione giace sotto quella per il solvente puro a qualsiasi temperatura e a destra
di essa a qualsiasi pressione.

13txt.indd 430 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 431

Figura 13.24 Diagrammi


di fase del solvente e della
soluzione. I diagrammi di fase
di una soluzione acquosa (linee
tratteggiate) e dell’acqua
pura (linee a tratto continuo)
mostrano che, per effetto di un
abbassamento della pressione di
vapore (ΔP), un soluto disciolto
innalza la temperatura di ebolli-
zione (innalzamento ebulliosco-
pico, ΔTeb) e abbassa la tempe-
ratura di solidificazione (abbas-
samento crioscopico, ΔTcr).

Come nel caso dell’abbassamento della pressione di vapore, il valore dell’innalza­


mento ebullioscopico è direttamente proporzionale alla concentrazione delle par­
ticelle di soluto:
ΔTeb ∝ m ossia ΔTeb = Kebm (13.11)

dove m è la molalità della soluzione, Keb è la costante ebullioscopica molale e ΔTeb è


l’innalzamento ebullioscopico.
Si considera generalmente che ΔTeb abbia un valore positivo, quindi sottraia­
mo la temperatura inferiore da quella superiore; cioè, sottraiamo la Teb del solvente
dalla Teb della soluzione:
ΔTeb = Teb(soluzione) − Teb(solvente)

È usata come espressione della concentrazione la molalità perché è in relazione diret­


ta con la frazione molare e quindi con le particelle di soluto. Inoltre, implica la massa
anziché il volume del solvente e quindi non è influenzata dalle variazioni di tempe­
ratura. La costante Keb ha come unità il grado celsius su unità molale [(°C ⋅ kg)/mol]
ed è specifica di un dato solvente; la Tabella 13.6 elenca alcuni esempi.

13txt.indd 431 17/05/19 07:38


432 Capitolo 13

Si noti che Keb per l’acqua è soltanto 0,512 [(°C ⋅ kg)/mol], quindi le variazioni della
temperatura di ebollizione sono piuttosto piccole: se si sciogliessero 1,00 mol di
glucosio (1,80  ×  102 g; 1,00 mol di particelle) in 1,00 kg di acqua, oppure 0,500 mol
di NaCl (29,2 g; un elettrolita forte, quindi anche 1,00 mol di particelle) in 1,00 kg
di acqua, le temperature di ebollizione delle risultanti soluzioni a 1 atm sarebbero
soltanto 100,512 °C invece di 100,000 °C.
Abbassamento della temperatura di solidificazione (abbassamento crio-
scopico) Come abbiamo appena visto, soltanto le molecole di solvente sono in
grado di vaporizzare dalla soluzione, quindi le molecole del soluto non volatile
restano nella soluzione. Analogamente, in molti casi, soltanto le molecole di solvente
sono in grado di solidificare, lasciando anche in questo caso le molecole di soluto
nella soluzione per formare una soluzione un po’ più concentrata. La temperatu­
ra di solidificazione di una soluzione è la temperatura a cui la sua pressione di
vapore è uguale a quella del solvente puro. A questa temperatura, le due fasi – il
solvente solido e la soluzione liquida – sono in equilibrio. Poiché la pressione di
vapore della soluzione è inferiore a quella del solvente a qualsiasi temperatura,
la soluzione solidifica a una temperatura inferiore a quella a cui solidifica il sol­
vente. In altre parole, il numero di particelle di solvente che escono dal soluto
nell’unità di tempo e il numero di quelle che vi entrano diventano uguali a una
temperatura inferiore. L’abbassamento della temperatura di solidificazione
o abbassamento crioscopico (ΔTs) è mostrato nella Figura 13.24; si noti che la
curva solido-liquido per la soluzione giace a sinistra di quella per il solvente puro
a qualsiasi pressione.
Come ΔTeb, l’abbassamento crioscopico ΔTs ha un valore direttamente propor­
zionale alla concentrazione molale del soluto:

ΔTs ∝ m ossia ΔTs = Kcrm (13.12)

dove Kcr è la costante crioscopica molale, che è espressa anch’essa in gradi celsius per
kilogrammo su mole [(°C ⋅ kg)/mol] (vedi Tabella 13.6).
Inoltre, come il valore di ΔTeb, anche il valore di ΔTs è considerato positivo,
quindi sottraiamo la temperatura inferiore da quella superiore, ma in questo caso
sottraiamo la Ts della soluzione dalla Ts del solvente:

ΔTs = Ts(solvente) − Ts(soluzione)

Anche in questo caso l’effetto complessivo in soluzione acquosa è piuttosto picco­


lo perché il valore di Kcr per l’acqua è piccolo: soltanto 1,86 (°C ⋅ kg)/mol. Perciò,
la soluzione 1 mol/kg di glucosio, la soluzione 0,5 mol/kg di NaCl e la soluzione
0,33 mol/kg di K2SO4, tutte soluzioni con 1 mol di particelle per kilogrammo di
acqua, solidificano a −1,86 °C alla pressione di 1 atm, anziché a 0,00 °C.

Determinazione dell’innalzamento ebullioscopico


e dell’abbassamento crioscopico di una soluzione
PROBLEMA DI VERIFICA 13.7
Problema Si aggiungono 1,00 kg di glicole etilenico (C2H6O2) come anticongelante al radia­
tore di un’automobile, il quale contiene 4450 g di acqua. Quanto valgono la temperatura di
ebollizione e la temperatura di solidificazione della soluzione?
Piano Per trovare la temperatura di ebollizione e la temperatura di solidificazione della
soluzione, prima troviamo la molalità convertendo la massa data di soluto (1,00 kg) in quan­
tità (moli) e dividendo per la massa del solvente (4450 g). Poi calcoliamo ΔTeb e ΔTs con
le Equazioni 13.11 e 13.12 (usando le costanti indicate nella Tabella 13.6). Sommiamo ΔTeb
alla temperatura di ebollizione del solvente e sottraiamo ΔTs dalla temperatura di solidi­
ficazione del solvente. L’itinerario indicato a inizio della pagina seguente mostra le tappe.

13txt.indd 432 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 433

Risoluzione Calcolo della molalità:


103 g 1 mol C 2H6O 2
moli di =
C 2H6O 2 1,00 kg C 2H6O 2 × × = 16,1 mol C2H6O 2
1 kg 62,7 g C 2H6O 2

moli di soluto 16,1 mol C2H6O 2


=molalità = = 3,62 mol/kg di C 2H6O 2
kilogrammi di solvente 1 kg
4450 g H2O × 3
10 g

Determinazione dell’innalzamento ebullioscopico e di Te(soluzione) con Keb = 0,512 [(°C ⋅ kg)/


mol]:
0,512 °C
ΔTeb = × 3,62 m/kg =
1,85 °C
m/kg

= Teb(solvente) + ΔTeb= 100,00 °C + 1,85 °C=


Teb(soluzione) 101,85 °C

Determinazione dell’abbassamento crioscopico e di Ts(soluzione) con Kcr = 1,86 [(°C ⋅ kg)/mol]:

1,86 °C
ΔTs = × 3,62 m/kg =°
6,73 C
m/kg

Ts(soluzione) = Ts(solvente) − Δ
=Ts 0,00 °C − 6,73 °C =−6,73°C

Verifica Le variazioni della temperatura di ebollizione e della temperatura di solidificazio­


ne dovrebbero essere nello stesso rapporto delle costanti usate. Cioè, il rapporto ΔTeb/ΔTs
dovrebbe essere uguale al rapporto Keb/Kcr: 1,85/6,73 = 0,275 = 0,512/1,86.
Commento Questi risultati sono soltanto approssimati perché la concentrazione supera di
gran lunga quella di una soluzione diluita, per la quale la legge di Raoult è più utile.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.7 Quanto vale la concentrazione


(molalità) minima della soluzione di glicole etilenico che proteggerà il sistema di raffred­
damento di un’automobile dal solidificare a −17,8 °C? (Si supponga che la soluzione sia
ideale).

Pressione osmotica La quarta proprietà colligativa si applica soltanto alle solu­


zioni acquose. Si origina quando due soluzioni di differenti concentrazioni sono
separate da una membrana semipermeabile, cioè da una membrana che si lascia
attraversare dall’acqua, ma non dal soluto.
Questo processo è detto osmosi. Molte parti degli organismi hanno membrane
semipermeabili che regolano per osmosi le concentrazioni interne.
Consideriamo un semplice apparecchio in cui una membrana è inserita nella
curva di un tubo a U e separa una soluzione acquosa di zucchero dall’acqua pura. I
piccoli pori nella membrana permettono alle molecole d’acqua di passare in entram-
bi i versi, ma non alle molecole di zucchero, più grandi. Per la presenza del soluto,
un minor numero di molecole d’acqua sono in contatto con la membrana dal lato
della soluzione, quindi il numero di molecole d’acqua che escono dalla soluzione
nell’unità di tempo è minore del numero di quelle che vi entrano (Figura 13.25A).
Questo flusso netto di acqua dall’esterno all’interno della soluzione aumenta il volume
della soluzione e quindi diminuisce la sua concentrazione.
Quando l’altezza della soluzione in un ramo del tubo sale e quella del solven­
te nell’altro ramo scende, la risultante differenza di pressione fa migrare a ritroso
alcune molecole d’acqua dalla soluzione al solvente attraverso la membrana. Viene
raggiunto l’equilibrio quando il numero delle molecole d’acqua che escono dalla
soluzione nell’unità di tempo è uguale al numero di quelle che vi entrano (Figu­
ra 13.25B). La differenza di pressione all’equilibrio è la pressione osmotica (Π;
lettera pi greca maiuscola dell’alfabeto greco), che è definita come la pressione
applicata necessaria per impedire il movimento netto di acqua dal solvente alla so­
luzione (Figura 13.25C).

13txt.indd 433 17/05/19 07:38


434 Capitolo 13

Figura 13.25 Sviluppo della pressione pressione applicata necessaria


pressione osmotica. A. Nel osmotica per impedire l’aumento di volume
processo di osmosi, una soluzio-
ne e un solvente (o soluzioni di Π
differenti concentrazioni) sono Π
separate da una membrana
semipermeabile. I pori della solvente soluzione
membrana lasciano passare sol- puro
tanto il solvente. La visualizza-
zione su scala molecolare (sotto) movimento
mostra che in un dato intervallo netto di
di tempo il numero delle mole- solvente
cole che entrano nella solu- membrana
zione è maggiore del numero semipermeabile
di quelle che ne escono. B. Di
conseguenza, il volume della
soluzione aumenta e, quindi, la molecole
sua concentrazione diminuisce. di soluto
La differenza tra le altezze del molecole
liquido nei due rami del tubo a di solvente
U all’equilibrio crea una pres-
sione detta pressione osmotica A B C
(Π). La maggiore altezza nel
ramo contenente la soluzione
esercita una pressione opposta
che finisce per equalizzare il
flusso di solvente in entrambi i La pressione osmotica è direttamente proporzionale al numero di particelle di so­
versi. C. La pressione osmotica luto in un dato volume di soluzione, cioè, alla molarità (M):
è definita anche come la pres-
nsoluto
sione applicata necessaria per ∏∝ ossia ∏∝ M
impedire questa variazione di Vsoluz
volume.
La costante di proporzionalità è R volte la temperatura assoluta T. Perciò,
nsoluto
=∏ = RT MRT (13.13)
Vsoluz

La somiglianza dell’Equazione 13.13 con l’equazione di stato dei gas perfetti


(P = nRT/V) non è sorprendente, perché entrambe mettono in relazione la pres­
sione di un sistema con la sua concentrazione e la sua temperatura. La scheda Pro-
prietà colligative nell’industria e in biologia (pp. 438-439) illustra alcune applicazioni
importanti delle proprietà colligative.
Il tema alla base delle proprietà colligative Un filo comune passa attraverso le
nostre spiegazioni delle quattro proprietà colligative dei soluti non volatili. Ciascuna
proprietà si basa sull’incapacità delle particelle di soluto di trasferirsi da una fase a
un’altra. Non sono capaci di entrare nella fase gassosa, con un conseguente abbassa­
mento della pressione di vapore e innalzamento ebullioscopico. Non sono capaci di
entrare nella fase solida, con un conseguente abbassamento crioscopico. Non sono
capaci di attraversare una membrana semipermeabile, con il conseguente sviluppo di
una pressione osmotica. La presenza del soluto diminuisce la frazione molare di sol­
vente, il che diminuisce il numero di particelle di solvente che escono dalla soluzione
nell’unità di tempo; questa diminuzione richiede un aggiustamento per raggiungere
di nuovo l’equilibrio. Questo aggiustamento del numero di particelle che migrano tra
due fasi per raggiungere il nuovo equilibro determina la proprietà colligativa misurata.

Impiego delle proprietà colligative per determinare


la massa molare del soluto
Ciascuna proprietà colligativa mette in relazione la concentrazione con qualche gran­
dezza misurabile: il valore dell’abbassamento crioscopico, il valore della pressione
osmotica ecc. In base ai risultati di queste misurazioni, possiamo determinare la quan­
tità (il numero di moli) di particelle di soluto e, per una massa nota di soluto, anche
la massa molare del soluto.

13txt.indd 434 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 435

In linea di principio, per trovare la massa molare del soluto si può usare una qual­
siasi delle proprietà colligative, ma, in pratica, alcuni sistemi forniscono dati più
accurati rispetto ad altri. Per esempio, per determinare la massa molare di un soluto
sconosciuto mediante l’abbassamento crioscopico, si dovrebbe scegliere un solven­
te che abbia la costante crioscopica molale più grande possibile (vedi Tabella 13.6).
Per esempio, se il soluto è solubile in acido acetico, una concentrazione 1 mol/kg
di esso abbassa di 3,90 °C la temperatura di solidificazione, una variazione di tem­
peratura pari a più del doppio di quella in acqua (1,86 °C).
Delle quattro proprietà colligative, la pressione osmotica causa le variazioni
più grandi e quindi permette le misurazioni più precise. I biochimici e i chimici
dei polimeri stimano masse molari fino a 105 g/mol misurando la pressione osmo­
tica. Poiché si scioglie soltanto una piccola frazione di 1 mol di un soluto ma­
cromolecolare, essa creerebbe una variazione troppo piccola delle altre proprietà
colligative.

Determinazione della massa molare mediante la pressione osmotica


PROBLEMA DI VERIFICA 13.8
Problema I biochimici hanno scoperto più di 400 varietà mutanti di emoglobina, la pro­
teina ematica che trasporta l’ossigeno in tutto il corpo. Un medico che studia una varietà
associata a una malattia letale ne determina anzitutto la massa molare (M). Scioglie in
acqua 21,5 mg della proteina a 5,0 °C per preparare 1,50 mL di soluzione e misura una
pressione osmotica di 3,61 mmHg. Quanto vale la massa molare di questa varietà di emo­
globina?
Piano Conosciamo la pressione osmotica (Π = 3,61 mmHg), R e T (5,0 °C). Convertiamo
Π da mmHg ad atmosfere, e T da gradi celsius a kelvin, e poi usiamo l’Equazione 13.13 per
risolvere rispetto alla molarità (M). Poi calcoliamo la quantità (in moli) di emoglobina in base
al volume noto (1,50 mL) e usiamo la massa nota (21,5 mg) per trovare M.
Risoluzione Combinazione delle tappe di conversione delle unità e risoluzione dell’Equa­
zione 13.13 rispetto alla molarità:
3,61 mmHg
∏ (760 mmHg ) / (1 atm)
M= = = 2,08 ×10−4 M
⎛ ⎞
RT ⎜⎜0,0821 atm ⋅ L ⎟⎟⎟(273,15 K + 5,0)
⎝ mol ⋅ K ⎠

Determinazione della quantità (in moli) di soluto (dopo la conversione dei millilitri in litri):

moli di soluto = M ×V =

2,08 ×10−4 mol


= × 0,00150 L soluz =
1 L soluz
= 3,12 ×10−7 mol

Calcolo della massa molare dell’emoglobina (dopo la conversione dei milligrammi in gram-
mi):
0,0215 g
= = 6,89  ×  104 g/mol
3,12 ×10−7 mol

Verifica I risultati sembrano ragionevoli: la pressione osmotica piccola implica una molarità
molto piccola. L’emoglobina è una proteina, una macromolecola biologica, quindi ci atten­
diamo un piccolo numero di moli [(2  ×  10−4 mol/L)(1,5  ×  10−3 L) = 3 ×  10−7 mol] e una
grande massa molare [(21  ×  10−3 g)/(3  ×  10−7 mol) = 7  ×  104 g/mol].

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 13.8 Una soluzione 0,30 M di saccaro­


sio alla temperatura di 37 °C ha all’incirca la stessa pressione osmotica del sangue. Quanto
vale la pressione osmotica del sangue?

13txt.indd 435 17/05/19 07:38


436 Capitolo 13

Proprietà colligative delle soluzioni di non elettroliti volatili


Quale effetto si esercita sulla pressione di vapore quando il soluto è volatile, cioè
quando il vapore è costituito da molecole di soluto e da molecole di solvente? Dalla
legge di Raoult (Equazione 13.9), sappiamo che

Psolvente =
X solvente × Psolvente
0
e Psoluto =
X soluto × Psoluto
0

dove Xsolvente e Xsoluto si riferiscono alle frazioni molari nella fase liquida. Secondo
la legge di Dalton delle pressioni parziali, la pressione di vapore totale è la somma
delle pressioni di vapore parziali:

Ptotale = Psolvente + Psoluto = ( X solvente × Psolvente


0
) + ( X soluto × Psoluto
0
)

Come un soluto non volatile abbassa la pressione di vapore del solvente rendendo
minore di 1 la frazione molare del solvente, così la presenza di ciascun componente
volatile abbassa la pressione di vapore dell’altro rendendo minore di 1 ciascuna fra­
zione molare.
Esaminiamo questo effetto in una soluzione contenente quantità uguali (lo stes­
so numero di moli) di benzene (C6H6) e di toluene (C7H8): Xbenzene = X
­ toluene = 0,500.
A 25 °C, la pressione di vapore del benzene puro (P0benzene) è 95,1 mmHg e quella
del toluene puro (P0toluene) è 28,4 mmHg; si noti che il benzene è più volatile del
toluene. Troviamo le pressioni parziali usando la legge di Raoult:

Pbenzene =X benzene × Pbenzene


0
=0,500 × 95,1 mmHg =47,6 mmHg

Ptoluene =X toluene × Ptoluene


0
=0,500 × 28,4 mmHg =14,2 mmHg

Come si può vedere, la presenza del benzene abbassa la pressione di vapore del
toluene e viceversa.
La composizione del vapore differisce da quella della soluzione? Per stabilirlo,
calcoliamo la frazione molare di ciascuna sostanza nel vapore applicando la legge di
Dalton. Come abbiamo visto nel Paragrafo 5.4, XA = PA/Ptotale. Perciò, per il benzene
e il toluene nel vapore,

Pbenzene 47,6 mmHg


X=
benzene = = 0,770
Ptotale 47,6 mmHg + 14,2 mmHg

Ptoluene 14,2 mmHg


X=
toluene = = 0,230
Ptotale 47,6 mmHg + 14,2 mmHg

La composizione del vapore è molto diversa dalla composizione della soluzione. Il


punto essenziale da notare è che il vapore ha una maggiore frazione molare del compo-
nente più volatile della soluzione. Il rapporto 50 : 50 del benzene : toluene nel liquido
ha creato un rapporto 77 : 23 del ben­zene : toluene nel vapore. Se si condensasse
questo vapore in un recipiente separato, la nuova soluzione avrebbe questa compo­
sizione 77 : 23 e il nuovo vapore sopra di essa sarebbe ancora più ricco di benzene.
Nel processo della distillazione frazionata, questo fenomeno è utilizzato per se­
parare una miscela di componenti volatili. Numerose tappe di vaporizzazione-con­
densazione arricchiscono continuamente il vapore, finché il vapore che raggiunge
la sommità della colonna di frazionamento è costituito unicamente dal componen­
te più volatile. Nel processo industriale di raffinazione del petrolio (Figura 13.26), la
distillazione frazionata è utilizzata per separare le centinaia di composti individuali
del petrolio greggio in un piccolo numero di “frazioni” sulla base dell’intervallo
delle temperature di ebollizione.

13txt.indd 436 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 437

vapori di benzina Figura 13.26 Il processo


di distillazione frazionata. In
laboratorio, una soluzione di
condensatore due o più componenti volatili
Gas è collegata a una colonna di
frazionamento piena di sferette
di vetro e collegata a un con-
benzina 38 °C
densatore. Quando la soluzione
viene riscaldata, la miscela di
kerosene 150 °C vapori sale e condensa ripetu-
tamente sulle sferette di vetro,
gasolio formando ogni volta un liquido
da riscaldamento 260 °C arricchito del componente più
volatile. Il vapore che raggiun-
olio lubrificante ge il condensatore è costituito
315 °C-370 °C
soltanto dal componente più
volatile. Nell’industria, questo
processo è impiegato per sepa-
rare il petrolio in molti prodotti.
Una torre di frazionamento
alta 30 m è capace di separare
componenti che differiscono di
vapori di petrolio qualche decimo di grado celsius
greggio dal riscaldatore
nelle temperature di ebollizione.
(L’illustrazione è una versione
semplificata di un processo in
più parti).
vapore acqueo

residui (asfalto, catrame)

Proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti


Quando consideriamo le proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti, la for­
mula del soluto ci dice il numero di particelle. Per esempio, l’innalzamento ebul-
lioscopico (ΔTeb) di una soluzione 0,050 mol/kg di NaCl dovrebbe essere il doppio di
quello di una soluzione 0,050 mol/kg di glucosio (C6H12O6), perché NaCl si dissocia
in due particelle per ogni unità formula. Perciò, includiamo un fattore moltiplicati-
vo nelle equazioni per le proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti. Il
fattore di van’t Hoff (i), così chiamato dal nome del chimico olandese Jacobus Hen­
dricus van’t Hoff (1852-1911), è il rapporto tra il valore misurato della proprietà
colligativa nella soluzione di un elettrolita e il valore atteso per una soluzione di
un non elettrolita:
valore misurato per una soluzione di elettrolita
i=
valore atteso per una soluzione di non elettrolita

Per calcolare le proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti, includiamo il fat­


tore di van’t Hoff nell’equazione:

per l’abbassamento della pressione di vapore: ΔP = i(Xsoluto × P0solvente)


per l’innalzamento ebullioscopico: ΔTeb = i(Kebm)
per l’abbassamento crioscopico: ΔTs = i(Kcrm)
per la pressione osmotica: Π = i(MRT)

Se le soluzioni di elettroliti si comportassero come una soluzione ideale, il fattore


i sarebbe la quantità (in moli) di particelle in soluzione divisa per la quantità (in
moli) di soluto disciolto; cioè i sarebbe 2 per NaCl, 3 per Mg(NO3)2 e così via. Ma
esperimenti accurati indicano che la maggior parte delle soluzioni di non elettroliti
non sono ideali.

13txt.indd 437 17/05/19 07:38


Scheda di approfondimento
Proprietà colligative nell’industria e in biologia
Le proprietà colligative – specialmente l’abbassamento crioscopico e la pressione osmotica – hanno molta pertinenza
pratica con la vita quotidiana. Alcune applicazioni comuni dell’abbassamento crioscopico rendono più sicura la vita nei
mesi invernali freddi. Altre sono essenziali per l’industria elettronica. La pressione osmotica trova applicazioni in tutta
la natura e nelle scienze sanitarie e biologiche perché le membrane semipermeabili più importanti sono senza dubbio
quelle attorno alle cellule viventi.

Applicazioni dell’abbassamento
crioscopico
Sghiaccianti per aeroplani e anticongelanti
per autoveicoli Il glicole etilenico (C2H6O2)
è miscibile con l’acqua mediante estesi legami
idrogeno e ha una temperatura di ebollizione
abbastanza alta per essere essenzialmente non volatile a
100 °C. È il principale componente degli “sghiaccianti”
per aeroplani. Negli anticongelanti di tipo “tutto l’anno”
per autoveicoli abbassa la temperatura di solidificazione
dell’acqua nel radiatore in inverno e innalza la sua tem­
peratura di ebollizione in estate. (Foto: © Alhim/Shutter­
stock).

Anticongelante biologico Per sopravvivere negli inverni artici e set­


tentrionali, molti pesci e insetti, compresa la mosca domestica, produco­
no grandi quantità di glicerolo (C3H8O3) – una sostanza con una struttu­
ra molto simile a quella del glicole etilenico e anch’essa miscibile con
l’acqua – che abbassa la temperatura di congelamento del loro sangue.
(Foto: © Rostislav Stefanek/Shutterstock).

Sali antighiaccio per pavimentazioni stradali Gli addetti alla


viabilità impiegano sali, quali miscele di NaCl e CaCl2, per fondere il
ghiaccio sulle strade. Una piccola quantità di sale si scioglie nel ghiaccio
abbassandone la temperatura di solidificazione e fondendolo. Si scioglie
quindi altro sale che fonde altro ghiaccio e così via. Un vantaggio di
CaCl2 sta nel fatto che ha un ΔHsoluz altamente negativo e quindi rilascia
calore quando si scioglie, con conseguente fusione di altro ghiaccio.

13txt.indd 438 17/05/19 07:38


Applicazioni della pressione osmotica

Regolazione della forma della Per studiare il contenuto cellulare, In una soluzione ipertonica, una
cellula Il termine tono (o tonicità) i biochimici rompono le membrane soluzione in cui la concentrazione
designa la “saldezza” di una cellula collocando le cellule in una soluzione di particelle di soluto è maggiore
biologica. Una soluzione isotonica ha ipotonica, una soluzione che ha una di quella nel liquido cellulare,
la stessa concentrazione di particelle concentrazione di particelle di soluto la cellula si contrae per effetto
che è presente nel liquido cellulare, inferiore a quella del liquido cellulare. dell’efflusso netto di acqua.
quindi la quantità di acqua che entra Di conseguenza, la quantità di acqua (Foto: © David M. Phillips/Science
nella cellula nell’unità di tempo è che entra nella cellula nell’unità di Source).
uguale alla quantità che ne esce e tempo è maggiore della quantità che
viene così mantenuta la forma nor­ ne esce, facendo sì che la cellula si
male della cellula. dilati e scoppi.
(Foto: © David M. Phillips/Science (Foto: © David M. Phillips/Science
Source). Source).
Soluzioni isotoniche per impie- Approvvigionamento
ghi sanitari I liquidi di lavaggio idrico ipotonico degli alberi
delle lenti a contatto sono costituiti Le sostanze disciolte nella linfa degli alberi
da una soluzione salina isotonica creano una soluzione più concentrata
(soluzione 0,15 M di NaCl) per dell’acqua sotterranea circostante. L’ac­
impedire eventuali variazioni del qua entra attraverso le membrane delle
volume delle cellule corneali. Sono cellule radicali e sale nell’albero, creando
sempre isotoniche le soluzioni per una pressione osmotica che può supe­
la somministrazione endovenosa di rare 20 atm negli alberi più alti! (Foto:
nutrienti o di farmaci. © David M. Phillips/Science Source).

Lo ione sodio: l’osmoregolatore extracellulare Dei quattro principali ca­


tioni biologici – Na+, K+, Mg2+ e Ca2+ – Na+ è essenziale a tutti gli animali (uomo
compreso!) per regolare il volume dei loro fluidi. Più del 90% in moli di tutti i
cationi all’esterno di una cellula è costituito da ioni Na+. Un’alta concentrazione
di Na+ fa effluire acqua dalla cellula per osmosi; una bassa
concentrazione di Na+ lascia più acqua all’interno della
cellula. Il ruolo primario dello ione Na+ è quello di rego­
lare il volume dell’acqua corporea e la funzione primaria
dei reni è quella di regolare la concentrazione di Na+. Le
variazioni della pressione sanguigna (del volume ematico)
attivano nervi e ormoni per regolare il flusso sanguigno e
modificare la funzione renale.

Conservazione ipertonica degli alimenti Prima che la refrigerazione fosse


di impiego comune, il sale veniva utilizzato come conservante per gli alimenti. Il
cloruro di sodio fa sì che i microrganismi presenti sulla superficie dell’alimento si
contraggano e muoiano per perdita d’acqua. [Il sale era così apprezzato per questo
scopo che i legionari romani venivano retribuiti con una certa quantità di sale, una
pratica da cui deriva il termine salario]. Nel 1772, il navigatore James Cook imbar­
cò saggiamente sulla sua nave grandi quantità di cavoli come riserve alimentari e
le conservò con il sale, convertendo così le verdure deperibili in crauti durevoli.
L’alto contenuto di vitamina C dei cavoli in salamoia era in grado di prevenire gli
effetti debilitanti dello scorbuto e permise all’equipaggio di Cook di proseguire le
esplorazioni e di partecipare a esperimenti che avrebbero rivoluzionato la misura­
zione della longitudine e quindi la navigazione oceanica.

13txt.indd 439 17/05/19 07:38


Per esempio, confrontando l’innalzamento ebullioscopico per una soluzione
0,050 mol/kg di NaCl con quello per una soluzione 0,050 mol/kg di glucosio si
ottiene un fattore i uguale a 1,9, non a 2,0:

ΔTeb di soluzione 0,050 mol/kg di NaCl 0,049 °C


i= = = 1,9
ΔTeb di soluzione 0,050 mol/kg di glucosio 0,026 °C

Il valore misurato del fattore di van’t Hoff è tipicamente minore del valore atteso in
base alla formula. Questa deviazione implica che gli ioni non si comportano come
particelle indipendenti. Però, altri dati indicano che i sali solubili si dissociano com­
pletamente in ioni. Il fatto che la deviazione sia maggiore nel caso degli ioni biva­
lenti e trivalenti è una forte indicazione del fatto che la carica ionica è in qualche
modo coinvolta (Figura 13.27).
Per spiegare questo comportamento non ideale, consideriamo che gli ioni siano
separati ma vicini l’uno all’altro. In prossimità di uno ione positivo sono aggregati,
in media, più ioni negativi e viceversa. La Figura 13.28 mostra ciascuno ione circon­
dato da un’atmosfera ionica di carica netta di segno opposto. Mediante queste
associazioni elettrostatiche, ciascun tipo di ione si comporta come se fosse “vinco­
lato”, quindi la sua concentrazione sembra più bassa di quanto sia in realtà. Perciò,
Figura 13.27 Comportamenti si parla di concentrazione effettiva, ottenuta moltiplicando i per la concentrazione
non ideali di soluzioni di elet- stechiometrica basata sulla formula. Maggiore è la carica, più forti sono le associazio­
troliti. Il fattore di van’t Hoff (i) ni elettrostatiche, quindi la deviazione dal comportamento ideale è maggiore per i
per vari soluti ionici in soluzione composti che si dissociano in ioni polivalenti.
acquosa diluita (0,05 m) indica-
In condizioni e concentrazioni ordinarie, il comportamento non ideale delle
no che il valore osservato (in blu
scuro) è sempre minore del valo- soluzioni è molto più comune e le deviazioni sono molto maggiori rispetto al
re atteso (in blu chiaro). Questa comportamento ideale dei gas, perché le particelle nelle soluzioni sono molto più
deviazione è dovuta a interazioni vicine le une alle altre. Ciononostante, i due sistemi presentano alcune similarità
ioniche che, in effetti, riducono il interessanti. I gas presentano un comportamento quasi ideale a basse pressioni per­
numero di ioni liberi in soluzione.
ché le distanze interparticellari sono grandi. Analogamente, il fattore di van’t Hoff
La deviazione è massima per gli
ioni polivalenti. (i) tende al suo valore ideale via via che la soluzione diventa più diluita, cioè via
via che aumenta la distanza interionica. Nei gas, le attrazioni interparticellari cau­
sano deviazioni dalla pressione attesa. Nelle soluzioni, le attrazioni interparticellari
causano deviazioni dal valore atteso di una proprietà colligativa. Infine, sia per i gas
reali sia per le soluzioni reali, si usano valori numerici determinati empiricamente
(costante di van der Waals o fattore di van’t Hoff) per trasformare le teorie (l’equa­
zione di stato dei gas perfetti o la legge di Raoult) in relazioni più utili.

13.7 STRUTTURA E PROPRIETÀ DEI COLLOIDI


Se versiamo a poco a poco una manciata di sabbia fine in un bicchiere di acqua e
osserviamo ciò che accade vediamo che le particelle di sabbia restano dapprima in
sospensione nell’acqua ma poi si depositano piano piano sul fondo.
La sabbia in acqua è un esempio di sospensione, una miscela eterogenea conte­
nente particelle grandi a sufficienza per essere visibili a occhio nudo e chiaramente
Figura 13.28 Un modello di distinte dal liquido circostante. Per contro, se si versa zucchero in acqua, si forma
atmosfera ionica per il compor- una soluzione, una miscela omogenea, in cui le particelle sono molecole individuali
tamento non ideale di soluzioni distribuite uniformemente in tutto il liquido circostante.
di elettroliti. Gli anioni idratati Tra i due estremi delle sospensioni e delle soluzioni si situa un grande gruppo
si aggregano vicino ai cationi, e
viceversa, per formare atmosfere
di miscele dette dispersioni colloidali o, più semplicemente, colloidi, in cui una
ioniche di carica netta opposta. sostanza dispersa (simile a un soluto) è distribuita in tutto un mezzo disperden­
Poiché gli ioni non agiscono indi- te (simile a un solvente). Le particelle colloidali sono più grandi delle molecole
pendentemente, le loro concen- semplici ma sufficientemente piccole per rimanere distribuite e non depositarsi
trazioni sono in effetti minori di (sedimentare). Hanno un intervallo di diametro di 1 ÷ 1000 nm (10−9 ÷ 10−6 m).
quelle attese. Queste interazioni
causano deviazioni dal compor-
Una particella colloidale può essere costituita da una singola macromolecola (qua­
tamento ideale espresso dalla le una proteina o un polimero di sintesi) o da un aggregato di molti atomi, ioni
legge di Raoult. o molecole. Quale che sia la loro composizione, le particelle colloidali hanno

13txt.indd 440 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 441


tenue
“Saponi” nell’intestino
Nell’intestino tenue, i gras­
si vengono digeriti dai sali biliari,
molecole simili a saponi con una
parte polare-ionica più piccola e
una parte apolare più grande. I sali
biliari, secreti dal fegato, accumulati
nella cistifellea e rilasciati nell’in­
testino, emulsionano i grassi così
come li emulsionano i saponi: gli
aggregati grassi vengono demoliti
(degradati) in particelle di dimen­
sioni colloidali e dispersi nel liquido
acquoso. In questa forma, i grassi
vengono demoliti ulteriormente e
trasportati nel sangue per essere
sottoposti al metabolismo cellulare.

un’enorme area superficiale totale in conseguenza delle loro piccole dimensioni,


Consideriamo un cubo di 1 cm di spigolo. Ha un’area superficiale totale di 6 cm2.
Se venisse suddiviso in 1012 cubi uguali, questi cubi avrebbero le dimensioni di
grandi particelle colloidali e avrebbero un’area superficiale totale di 60 000 cm2
ossia di 6 m2. Questa enorme area superficiale permette che un numero molto
maggiore di interazioni eserciti una grande forza adesiva totale, che attrae altre
particelle e dà origine ad alcuni degli impieghi pratici dei colloidi.
I colloidi sono classificati nella Tabella 13.7 a seconda che le sostanze disperse
e le sostanze disperdenti siano gas, liquidi o solidi. Molti prodotti commerciali e
oggetti naturali familiari sono colloidi. Per esempio, la panna montata è una schiu-
ma, un gas disperso in un liquido. Le schiume antincendio, come quelle usate negli
atterraggi di emergenza degli aeroplani, sono miscele liquide di proteine in acqua
rese schiumose con getti d’aria sottili. La maggior parte dei liquidi biologici sono
soli acquosi, solidi dispersi in acqua. In una cellula, le proteine e gli acidi nucleici
sono particelle di dimensioni colloidali disperse in una soluzione acquosa di ioni e
piccole molecole. L’azione dei saponi e dei detergenti si esplica per la formazione
di un’emulsione, un liquido (sapone sciolto in grasso) disperso in un altro liquido
(acqua).
La maggior parte dei colloidi sono opalescenti od opachi, ma alcuni sono tra­
sparenti a occhio nudo. Quando la luce attraversa un colloide, viene diffusa casual­
mente dalle particelle disperse perché le loro dimensioni sono dell’ordine di gran­
dezza della lunghezza d’onda della luce (400 ÷ 750 nm). Se osservato lateralmente,
il fascio di luce diffusa è visibilmente più largo di quello che attraversa una solu­
zione. Questo fenomeno di diffusione (scattering) della luce è noto come effetto
Tyndall (Figura 13.29). La polvere in sospensione nell’aria presenta questo effetto
quando è attraversata dalla luce solare, così come la nebbia attraversata dai fasci dei
proiettori di un’automobile di notte. Figura 13.29 Diffusione
della luce ed effetto Tyndall.
A. Quando un fascio di luce
attraversa una soluzione
(vaschetta di sinistra), il fascio
rimane sottile e appena visibile.
Quando attraversa un colloide
(vaschetta di destra), viene dif-
fuso e allargato dalle particelle
e diventa facilmente visibile.
B. La luce solare attraversa
polvere in sospensione. (Foto:
(A) © McGraw-Hill Education/
Charles Winters/Timeframe
Photography, Inc.; (B) © Corbis
A B Royalty-Free RF).

13txt.indd 441 17/05/19 07:38


442 Capitolo 13

Le particelle colloidali, osservate a un basso ingrandimento, presentano il fe­nomeno


del moto browniano, un movimento continuo in cui le particelle in so­spensione in
un fluido variano in modo rapido e irregolare la loro velocità e di­rezione.
Il moto browniano è causato dal fatto che le particelle colloidali vengono spin­
te qua e là dalle molecole del mezzo disperdente. Sono questi urti il principale
motivo che impedisce alle particelle colloidali di sedimentare. (La spiegazione del
moto browniano proposta da Einstein nel 1905 contribuì in modo determinante a
fare accettare la natura molecolare della materia).
Quando le particelle colloidali si urtano, perché non si aggregano dando origine
a particelle più grandi che possano sedimentare? La spiegazione è data dalle forze
interparticellari. I colloidi dispersi in acqua rimangono dispersi perché le particelle
hanno superfici cariche che interagiscono fortemente con l’acqua mediante forze
ione-dipolo. Le molecole di sapone formano micelle sferiche, con le code cariche che
formano l’esterno della micella e le code apolari che interagiscono mediante forze
di dispersione nell’interno della micella. Le proteine in soluzione acquosa sono tipi­
camente sferiche e imitano questa disposizione micellare, con i gruppi amminoaci­
dici carichi rivolti verso l’acqua e i gruppi non carichi all’interno della molecola. Le
particelle oleose apolari si possono disperdere in acqua mediante l’introduzione di
ioni, che vengono adsorbiti sulle loro superfici da forze di dispersione. Le repulsioni
delle cariche tra gli ioni adsorbiti impediscono alle particelle di aggregarsi.
Nonostante queste forze, vari metodi possono aggregare le particelle e “distrug­
gere” il colloide. Per effetto del riscaldamento del colloide le particelle aumentano la
loro velocità e la frequenza dei loro urti, con forza sufficiente per aggregarsi in par­
ticelle più pesanti che sedimentano. L’aggiunta di una soluzione di un elettrolita in­
troduce ioni carichi di segno opposto che neutralizzano le cariche superficiali delle
particelle, il che permette loro di aggregarsi e sedimentare. Le particelle colloidali
prive di carica nei gas di combustione sono rimosse creando ioni che sono adsorbiti
sulle particelle, che sono poi attratte verso gli elettrodi carichi di un elettrofil­
tro, o depuratore, di Cottrell. Questi depuratori sono installati nelle ciminiere del­-
le centrali termoelettriche a carbone fossile (Figura 13.30) e abbattono circa il
90% delle particelle di fumo colloidali, impedendo così che vengano rilasciate
nell’aria.
La scheda seguente La chimica nelle altre scienze applica la chimica delle soluzio-
ni e dei colloidi alla depurazione dell’acqua destinata agli usi residenziali e indu­
striali.

Figura 13.30 Un elettrofil-


tro, o depuratore, di Cottrell
impiegato per rimuovere par-
ticelle in sospensione (parti-
colati) dai gas di combustione
industriali.

13txt.indd 442 17/05/19 07:38


Le proprietà delle miscele: soluzioni e colloidi 443

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


1 kg
13.1 (a) L’1,4-butandiolo è più solubile in acqua perché è 13.3 massa (g)=
di glucosio 563 g etanolo ×
capace di formare più legami idrogeno. 103 g
(b) Il cloroformio è più solubile in acqua perché è capace di
2,40 ×10−2 mol glucosio 180,16 g glucosio
formare forze dipolo-dipolo. × ×
1 kg etanolo 1 mol glucosio
13.2 SN2 = [7 ×10−4 mol/(L ⋅ atm)(0,78 atm)]
= 243 g glucosio
= 5×10−4 mol/L
35,0 g
13.4 % in massa C3H7OH = ×100
35,0 g + 150,0 g

= 18,9% in massa

% in massa C2H5OH = 100,0 − 18,9

= 81,1% in massa
1 mol C3H7OH
35,0 g C3H7OH ×
60,09 g C3H7OH
X C3H7OH =
⎛ ⎞ ⎛ ⎞
⎜⎜35, 0 g C3H7OH × 1 mol C3H7OH ⎟⎟ + ⎜⎜150 g C2H5OH × 1 mol C2H5OH ⎟⎟
⎜⎝ ⎟
60,09 g C3H7OH ⎟⎠ ⎝ ⎜ 46,07 g C2H5OH ⎟⎟⎠

= 0,152

X C2H5OH = 1,000 − 0,152 = 0,848

13.5 Ci sono 11,8 mol di HCl in 1,00 L di soluzione: mol HCl


36, 46 g HCl X HCl =
Massa (g) di HCl = 11, 8 mol HCl × = 430 g HCl mol HCl + mol H2O
1 mol HCl
11,8 mol
Massa (g) di soluzione = = = 0,219
⎛ 1 mol ⎞⎟
11,8 mol + ⎜⎜⎜760 g H2O × ⎟⎟
103 mL soluz 1,190 g soluz ⎝ 18,02 g H2O ⎟⎠
=
1 L soluz × × =
1 L soluz 1 mL soluz
13.6 ΔP
= X acido acetilsalicilico × Pmetanolo
0

= 1190 g soluz
massa di HCl 2,00 g
%=
in massa HCl = ×100 180,15 g/mol
massa di soluzione = ×101 mmHg
2,00 g 50,0 g
+
430 g 180,15 g/mol 32,04 g/mol
= ×100
= 36,1% in massa HCl
1190 g
= 0,713 mmHg
1 kg
% in massa (kg) di H2O = (1190 g soluz − 430 g HCl) ×
1000 g
ΔTs 178 °C
13.7 m = = = 9,56 =
mol/kg 9, 56 m
= 0, 760 kg H 2O Kcr 1,86 [( °C ⋅ kg)/mol]
1,190 ×10−3 kg soluz 13.8 Π = MRT
=
massa (kg) di soluz 1 L soluz ×
1×10−3 L soluz
⎛ atm ⋅ L ⎞⎟
= 1,190 kg soluz = (0,30 mol/L ) ⎜⎜0,0821 ⎟ (37 °C + 273,15)
⎝ mol ⋅ K ⎟⎠
36,46 g HCl 1 kg
massa (kg) di HCl = 11,8 mol HCl × × 3 = 7,6 atm
1 mol HCl 10 g

= 0,430 kg HCl
mol HCl mol HCl
molalità di HCl = =
kg acqua kg soluz − kg HCl

11,8 mol HCl


= = soluzione 15,5 m di HCl
0,760 kg H 2O

13txt.indd 443 17/05/19 07:38


La chimica nelle altre scienze
Chimica nell’ingegneria sanitaria

Soluzioni e colloidi nella depurazione delle acque


L’acqua “pulita” è una risorsa preziosa e limitata che ab­ mensioni tra 0,1 e 10 μm. Questa tappa è molto efficace nel
biamo co­minciato a tesaurizzare soltanto di recente, dopo rimuovere alcuni microrganismi resistenti ai disinfettanti.
decenni di inquinamento e sprechi. A causa della tendenza 5. Sterilizzazione e disinfezione. Dopo che sono state rimosse le
naturale dei siste­mi a diventare disordinati, è necessario particelle sospese e colloidali, l’acqua può ancora contennere
fornire energia per ri­muovere le particelle disciolte, disper­ microrganismi dannosi che vengono uccisi da uno dei seguen­
se o sospese nell’acqua per renderla abbastanza “pulita” per ti agenti.
essere idonea agli usi umani. • Il cloro, sotto forma di candeggina acquosa (ClO−) o Cl2, è
La maggior parte dell’acqua destinata agli usi umani l’agente più comune anche se può formare composti organi­
proviene da laghi, fiumi e serbatoi che possono servire an­ ci clorurati tossici. Questi possono infatti essere rimossi per
che da discarica finale dopo che l’acqua è stata utilizzata. adsorbimento su carbone di legna attivato.
Molti ioni minerali, quali NO3− e Fe3+, possono essere pre­ • La luce UV emessa da lampade fluorescenti ad alta intensità
esercita l’azione disinfettante distruggendo il DNA dei mi­
senti in concentrazioni elevate. E possono essere presenti
crorganismi.
anche composti organici disciolti, alcuni dei quali tossici.
• L’ozono (O3) agisce come disinfettante grazie alle sue pro­
Particelle di argilla fini e un intero spettro di microrgani­
prietà ossidanti.
smi sono dispersi in forma colloidale. Può essere presente
in sospensione ogni sorta di particelle e detriti più grandi. Queste tappe attraverso l’impianto di trattamento eliminano
i detriti e le sabbie, le argille colloidali, i microrganismi e
Impianti di trattamento dell’acqua molta della materia organica ossidabile, ma gli ioni disciolti
I trattamenti delle acque richiedono una serie di tappe succes­ permangono nell’acqua. Molti di essi possono essere rimossi
sive (Figura S13.1). mediante addolcimento dell’acqua e osmosi inversa.
1. Grigliatura e sedimentazione. Le particelle più grandi ven­ Addolcimento dell’acqua mediante scambio ionico
gono rimosse fisicamente mediante griglie nel sito di entrata L’acqua che contiene grandi quantità di cationi bivalenti,
mentre la sedimentazione permette la rimozione di sabbia. quali Ca2+, Mg2+ e Fe2+, è detta acqua dura. Questi ca­
2. Coagulazione. In questa tappa e nelle due successive ven­ tioni causano parecchi problemi. Durante il lavaggio della
gono rimosse le particelle colloidali. Le loro cariche negative biancheria, si combinano con gli anioni degli acidi grassi
superficiali vengono neutralizzate da ioni Al3+ e Fe3+ aggiunti nei saponi per produrre depositi insolubili sulla biancheria,
sotto forma di Al2(SO4)3 e FeCl3: le forze intermolecolari che su parti della lavatrice e negli scarichi:
si generano causano la coagulazione delle particelle colloidali.
3. Flocculazione e sedimentazione. L’aggiunta di agenti floccu­ Ca 2+ ( aq ) + 2C17H35 COONa( aq ) ⎯ ⎯

sapone
lanti nelle vasche di sedimentazione porta alla formazione di
una massa gelatinosa e soffice a cui si aggiungono polimeri ca­ (C17H35COO)2 Ca( s ) + 2Na+ ( aq )
tionici che formano lunghe catene che uniscono le particelle deposito

del gel, il quale fluisce in altre vasche dove sedimenta. Quando nell’acqua è presente una grande quantità di bicar­
4. Filtrazione. Tra i vari filtri che possono essere utilizzati, i bonato (HCO3−), i cationi dell’acqua dura causano un’accumu­
più comuni sono letti di sabbia o membrane con pori di di­ lazione di incrostazioni, depositi insolubili di carbonati nel­­le

Figura S13.1 Le tappe di purificazione in un tipico impianto di tratta- serbatoio


mento dell’acqua destinata all’approvvigionamento idrico di una città. di accumulazione

5 sterilizzazione
e disinfezione
2 coagulazione 3 Flocculazione/ aggiunta di cloro
Al2(SO4)3 sedimentazione agli utenti
e additivi Cl2
polimerici
valvola

1 filtrazione e grigliatura
dei materiali grossolani
ione
edimentaz
e di s
vasch 4 Filtrazione

entrata dell'acqua

13txt.indd 444 17/05/19 07:38


Figura S13.2 Scambio ionico per la rimozione dei cationi dell’acqua
dura. A. Una colonna a scambio ionico installata in un impianto idrico-
sanitario domestico. B. In una tipica resina a scambio ionico, i gruppi carichi
di segno negativo si legano covalentemente alle sferette di resina; le cariche
negative sono neutralizzate da ioni Na+. Gli ioni dell’acqua dura, come Ca2+,
si scambiano con gli ioni Na+, che vengono asportati nell’acqua corrente.
(Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).
l’osmosi, l’acqua migra da una soluzione diluita a una
soluzione concentrata attraverso una membrana semiper­
meabile. La conseguente differenza tra i volumi dell’acqua
crea una pressione osmotica. Nell’osmosi inversa, l’acqua
effluisce dalla soluzione concentrata quando alla soluzio­
ne viene applicata una pressione maggiore della pressione
osmotica, costringendo l’acqua a rifluire attraverso la mem­
brana abbandonando gli ioni: in un certo senso, si tratta di
una filtrazione degli ioni a livello molecolare.
Nei sistemi domestici di depurazione dell’acqua, l’osmo­
si inversa è utilizzata per rimuovere ioni tossici, quali gli
ioni dei metalli pesanti Pb2+, Cd2+ e Hg2+, presenti a concen­
trazioni troppo basse per consentire la rimozione mediante
scambio ionico. Su scala molto maggiore, l’osmosi inversa è
utilizzata negli impianti di desalinizzazione, che rimuovo­
no grandi qua­n­ti­tà di ioni dall’acqua di mare (Figura S13.3).
Gli impianti a osmosi inversa trovano crescente impiego nel­
caldaie e nelle condutture dell’acqua calda i quali interferisco­ le regioni aride, per esempio in Medio Oriente. L’acqua di
no con il trasporto del calore e danneggiano le condutture: mare viene pompata sotto alta pressione in tubi contenenti
Δ
milioni di fibre cave di membrana semipermeabile, ciascuna
Ca 2+ ( aq ) + 2HCO−3 ( aq ) ⎯ ⎯ → CaCO3 ( s ) + CO 2 ( g ) + H2O( l ) dello spessore di un capello umano. Le molecole d’acqua,
Questi problemi sono risolti dalla rimozione degli ioni ma non gli ioni, attraversano le membrane ed entrano nelle
dell’acqua dura, un processo detto addolcimento dell’ac- fibre per essere raccolte. L’acqua di mare contenente circa
qua. Un tipico sistema a scambio ionico domestico contie­ 40 000 ppm di solidi disciolti totali può essere depurata a
ne una resina a scambio ionico, un polimero insolubile che una concentrazione di circa 400 ppm (idonea per gli usi po­
ha gruppi anionici legati covalentemente, quali SO3− o tabili) in un unico passaggio attraverso questo sistema.
− +
COO , a cui sono legati ioni Na per bilanciare le cariche Trattamento delle acque dopo l’utilizzazione
(Figura S13.2). I cationi bivalenti presenti nell’acqua dura
Le acque utilizzate sono dette acque reflue e devono essere
sono attratti verso i gruppi anionici della resina e sostituisco­
sottoposte a trattamento prima di essere immesse nuovamen­
no gli ioni Na+ trasferendoli nell’acqua: viene scambiato un
te nelle acque sotterranee, nei fiumi o nei laghi. Il trattamen­
tipo di ione con un altro. La resina viene sostituita quando
to delle acque reflue è particolarmente importante per le ac­
tutti i suoi siti sono occupati, oppure può essere “rigenerata”
que di rifiuto industriali, che possono contenere componenti
mediante trattamento con una soluzione molto concentrata
tossici. Nel trattamento primario le acque vengono sottoposte
di Na+, che scambia ioni Na+ con ioni Ca2+ legati.
alle stesse tappe di trattamento a cui vengono sottoposte le
Osmosi inversa acque che entrano nel sistema. La maggior parte delle cit­
Un altro modo di rimuovere gli ioni e le altre sostanze disciol­ tà provvede oggi anche al trattamento secondario delle ac­
te nell’acqua è quello di utilizzare l’osmosi inversa. Nel­ que reflue. In questo stadio, batteri appropriati degradano
biologicamente i composti organici e alcuni microrganismi
ancora presenti in soluzione o nelle sostanze solide uscenti
dalle vasche di sedimentazione. In certi casi, il trattamento
secondario può essere integrato con il trattamento terziario
in un processo adeguato allo specifico inquinante coinvolto.
Per esempio, gli ioni dei metalli pesanti possono essere elimi­
nati con una tappa di precipitazione prima del trattamento
primario e di quello secondario. Esistono trattamenti terziari
anche per i fosfati, i nitrati e le sostanze organiche tossiche.
Figura S13.3 Osmosi inversa
per la rimozione di ioni.
A. Ciascun permeatore contiene
un fascio di fibre cave sottili
di membrana semipermeabile.
B. L’acqua di mare viene pom-
pata attraverso il permeatore ad
alta pressione. La maggior parte
degli ioni viene rimossa, quindi
nelle fibre entra acqua molto più
pura, che viene raccolta.

13txt.indd 445 17/05/19 07:38


13txt.indd 446 17/05/19 07:38
Uno sguardo d’insieme
alle proprietà degli elementi

La chimica si basa su un principio centrale: il comportamento di un campione di DA SAPERE PRIMA


materia deriva dalle proprietà degli atomi componenti. Nelle pagine seguenti si passano
in rassegna molti concetti riguardo a tali proprietà, esaminate approfonditamen- • le principali proprietà atomiche
(Paragrafo 8.4)
te nei capitoli precedenti, in tal modo sarete in grado, nei prossimi capitoli, di • le caratteristiche del legame
focalizzare meglio come esse determinano il comportamento degli elementi dei chimico (Paragrafi 9.1÷9.5)
gruppi principali. Si deve comunque tenere presente che, nonostante le nostre • il comportamento metallico
(Paragrafo 8.5)
suddivisioni in categorie, raramente in natura compaiono chiare linee di divisione; • il comportamento acido-base
invece, le proprietà periodiche della materia presentano cambiamenti graduali da degli ossidi degli elementi (Para-
una sostanza a un’altra. grafo 8.5)
• il comportamento redox degli
elementi (Paragrafi 4.5÷4.6)
• stati fisici e i cambiamenti di fase
(Paragrafi 12.1÷12.2)

13txt_bis.indd 447 17/05/19 07:42


Le principali proprietà atomiche

Quattro proprietà atomiche hanno im-


portanza critica per il comportamento
di un elemento: la configurazione elettro­
nica, il raggio atomico, l’energia di ioniz­
zazione e l’elettronegatività.

La configurazione elettronica (nl #) è la distribuzione degli elettroni nei


livelli e nei sottolivelli energetici di un atomo (Paragrafi 7.4 e 8.3):
• il valore di n (numero intero positivo) indica l’energia e la distanza relati­
va degli orbitali in un livello dal nucleo;
• il valore di l, e le sue designazioni letterali s, p, d, f usate comunemente,
indica la forma degli orbitali nel sottolivello (vedi a destra);
• # indica il numero di elettroni presente nel sottolivello.
La tavola periodica (vedi sopra) mostra i blocchi di sottolivelli degli elementi e lo stato fondamentale (il livello energeti-
co più basso), la configurazione elettronica esterna (il livello di valenza) degli elementi dei gruppi principali (blocco s e
blocco p). È importante notare che:
• il blocco s è situato a sinistra degli elementi di transizione e il blocco p è situato a destra di essi. [Anche se H non è un
metallo alcalino, come gli elementi del Gruppo 1A(1), e He appartiene al Gruppo 8A(18), entrambi gli elementi fanno
parte del blocco s];
• le configurazioni elettroniche esterne sono simili entro un gruppo;
• le configurazioni elettroniche esterne sono diverse entro un periodo;
• gli elettroni esterni occupano i sottolivelli ns e np (n = numero del periodo);
• negli elementi dei gruppi principali sono presenti quattro orbitali del livello di valenza (un orbitale ns + tre orbitali np);
• gli elettroni esterni sono gli elettroni di valenza degli elementi dei gruppi principali;
• il numero di ciascuno dei Gruppi A (1A ÷ 8A) è uguale al numero degli elettroni di valenza.
Gli elettroni esterni sono schermati nei confronti dell’intera carica nucleare dagli elettroni presenti nello stesso livello e,
specialmente, da quelli presenti nei livelli interni. La schermatura riduce l’attrazione, a cui
sono soggetti, a una carica nucleare
effettiva (Zeff) molto minore (Paragrafo 8.2). Entro un livello, gli elettroni che penetrano mag-
giormente (che trascorrono più tempo nelle vicinanze del nucleo) schermano gli altri più
efficacemente. L’entità della penetrazione è nell’ordine s > p > d > f.
Le curve della distribuzione di probabilità radiale (vedi a destra) mostrano che:
• gli elettroni interni (n = 1) schermano molto efficacemente gli elettroni esterni (n = 2);
• gli elettroni 2s schermano sensibilmente gli elettroni 2p perché gli elettroni 2s trascor-
rono più tempo nelle vicinanze del nucleo.
Zeff influenza notevolmente le proprietà atomiche. In generale:
• Zeff aumenta notevolmente da sinistra a destra lungo un periodo;
• Zeff aumenta lievemente dall’alto al basso lungo un gruppo.

13txt_bis.indd 448 17/05/19 07:42


È assunto come dimensione atomica il raggio atomico, L’energia di ionizzazione (Ei) è l’energia necessaria per
la metà della distanza tra i nuclei di atomi identici legati rimuovere l’elettrone di energia più alta da 1 mol di atomi
(Paragrafo 8.4). La piccola tavola periodica rossa mostra le gassosi (Paragrafo 8.4). Il valore relativo dell’energia di
tendenze nel raggio atomico tra gli elementi dei gruppi ­ionizzazione influenza i tipi di legami formati da un ato-
principali. È importante notare che: mo: un elemento con una bassa Ei tende a cedere elettroni,
• il raggio atomico mentre un elemento con un’alta Ei tende a condividere (o
ge­neralmente dimi­ ad acquistare) elettroni (sono esclusi i gas nobili). Nella
nuisce da sinistra a piccola tavola periodica gialla si noti che:
destra lungo un pe- • Ei generalmente aumen­
riodo: Zeff crescente ta da sinistra a destra
avvicina gli elettroni lungo un periodo: una Zeff
esterni al nucleo; più alta trattiene mag-
• il raggio atomico ge­ giormente gli elettroni;
neralmente aumenta • Ei generalmente dimi­
dall’alto al basso nuisce dall’alto al basso
lungo un gruppo: nei lungo un gruppo: mag-
periodi superiori giore è la distanza dal
gli elettroni esterni nucleo, minore è l’at­
sono più lontani dal tra­zio­ne esercitata sugli
nucleo. elettroni.

Perciò, le tendenze dell’energia di ionizzazione sono opposte a quelle del


raggio atomico: è più facile rimuovere un elettrone (Ei più bassa) che è più
lontano dal nucleo (raggio atomico maggiore).

L’elettronegatività (χ) è un numero che specifica la capacità relativa di un


atomo in un legame covalente di attrarre elettroni condivisi (Paragrafo 9.4). Nella
piccola tavola periodica verde si noti che:
• χ generalmente aumenta da sinistra a destra lungo un periodo: la Zeff più alta e la
di­stanza dal nucleo più corta intensificano l’attrazione sulla coppia condivisa;
• χ generalmente diminuisce dall’alto al basso lungo un gruppo: la maggiore distan-
za dal nucleo indebolisce
l’attrazione sulla coppia con-
divisa. (Il Gruppo 8A non è
in colore perché i gas nobili
formano pochi composti).

Perciò, le tendenze nell’elettronegatività sono opposte a quelle nel


raggio atomico e identiche a quelle nell’energia di ionizzazione.
La figura (a destra) presenta diagrammi semplificati del raggio atomi-
co (in rosso), dell’energia di ionizzazione (in giallo) e dell’elettronegati-
vità (in verde) in funzione del numero atomico. Si noti che:
• il raggio atomico diminuisce gradualmente da sinistra a destra lun-
go un periodo (striscia grigia verticale) e poi aumenta bruscamente
all’inizio del periodo successivo;
• l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività presentano l’anda-
mento opposto, aumentano da sinistra a destra lungo un periodo e
diminuiscono all’inizio del periodo successivo.

La differenza di elettronegatività (∆χ) tra gli atomi in un legame in-


fluenza notevolmente il comportamento fisico e chimico del compo-
sto, come mostra il seguente diagramma a blocchi.

13txt_bis.indd 449 17/05/19 07:42


Le caratteristiche del legame chimico
I legami chimici sono le forze che tengono insieme gli atomi (o gli ioni) in un elemento o in
un composto. Il tipo di legame, le proprietà del legame, la natura della sovrapposizione degli
orbitali e il numero di legami determinano il comportamento fisico e chimico.

Tipi di legame
Il legame covalente è formato
Vi sono tre modelli idealizzati di legame: dall’attrazione tra due nuclei
ionico, covalente e metallico. e una coppia di elettro-
ni loca­lizzati. Il legame
covalente si forma per
condivisione di elettroni
tra atomi con una piccola
∆χ (di solito due non
metalli) e dà origine a mo-
lecole discrete con forme
Il legame ionico è formato dall’at- specifiche o a reticoli estesi
trazione tra ioni positivi e ioni nega- (Paragrafo 9.3).
tivi. Gli ioni si formano per trasferi-
mento di elettroni tra atomi con Il legame metallico è
una grande ∆χ (da metallo formato dall’attrazione
a non me­tallo). Il legame tra i nuclei degli atomi
ionico dà origine a metallici e i loro elet-
solidi cristallini in cui troni di valenza de-
gli ioni sono stretta- localizzati. Secondo
mente impaccati in un modello, questo
disposizioni regolari tipo di legame si
(Paragrafo 9.2). forma per condivi-
sione (compartecipa-
zione) di elettroni di
valenza forniti da molti
atomi e dà origine a solidi
cristallini (Paragrafi 9.5 e
12.6).
Nelle sostanze reali il legame effettivo si situa di solito
tra questi modelli distinti (Paragrafo 9.4). Le rappresentazioni
della densità elettronica mostrano che le nuvole elettroni-
che si sovrappongono: lievemente nel legame ionico (NaCl);
notevolmente nel legame covalente polare (un legame SiCl
in SiCl4); completamente nel legame covalente apolare (Cl2).

Il diagramma triangolare mostra


il continuo di tipi di legame tra
tutti gli elementi dei gruppi
principali del Periodo 3. • Lungo il lato destro, gli
elementi stessi presentano
• Lungo il lato sinistro del un cambiamento graduale da
triangolo, i composti di legame covalente a legame
ciascun elemento con il cloro metallico.
presentano un cambiamento
graduale da legame ionico
a legame covalente e una • Lungo la base, i composti di
diminuzione della polarità di cia­scun elemento con il sodio
legame dal basso all’alto. presentano un cambiamento
graduale da legame ionico a
legame metallico e, di nuovo,
una diminuzione della polarità
di legame da sinistra a destra.

13txt_bis.indd 450 17/05/19 07:42


Proprietà dei legami
Un legame covalente ha due importanti proprietà (Paragrafo
9.3):
• la lunghezza di legame è la distanza tra i nuclei di atomi
legati;
• l’energia di legame (la forza di legame) è la variazione di
entalpia necessaria per rompere un dato legame in 1 mol di
molecole gassose.
Tra composti simili, queste proprietà dei legami sono corre-
late l’una con l’altra e con la reattività, come è mostrato nel
diagramma per i tetraalogenuri di carbonio (CX4). Si noti che:
• al crescere della lunghezza di legame, l’energia di legame decre­
sce: i legami più corti sono legami più forti;
• al decrescere dell’energia di legame, cresce la reattività.

Natura della sovrapposizione Gli orbitali si sovrappongono in due modi, che danno
origine a due tipi di legami (Paragrafo 11.2):
degli ­orbitali
• la sovrapposizione di testa (degli orbita-
In un legame covalente, gli elettroni condivisi risiedono
li atomici s, p e ibridi) dà origine a un lega-
nell’intera regione costituita dagli orbitali sovrapposti dei
me σ (sigma), in cui la densità elettronica è
due atomi. Il disegno schematico
distribuita simmetricamente lungo l’asse di
rappresenta i legami nell’etilene
legame. Un legame singolo è un legame σ;
(C2H4).
• la sovrapposizione di fianco (degli
L’ordine di legame è la metà orbitali p con p, o talvolta d) dà origine a
del numero di elettroni condivisi. un legame π (pi greca), in cui la densità
Gli ordini di legame 1 (legame elettronica è distribuita al di sopra e al di
singolo) e 2 (doppio legame) sono sotto dell’asse di legame. Un doppio legame
comuni; un ordine di legame 3 è costituito da un legame σ e da un legame
(triplo legame) è molto meno π. Un legame π limita la rotazione attorno
comune. Si hanno ordini di le- all’asse di legame, permettendo differenti
game frazionari quando esistono disposizioni spaziali degli atomi e, quindi, la
strutture di risonanza per specie formazione di differenti molecole. I legami π
con legami singoli e doppi legami sono spesso siti di reattività; per esempio:
adiacenti (Paragrafi 9.3 e 10.1).
CH2 CH2(g) + H Cl(g) CH3 CH2 Cl(g)
CH3 CH3(g) + H Cl(g) nessuna reazione
Numero di legami e forma molecolare
La forma di una molecola è definita dalle posizio-
ni dei nuclei degli atomi legati. Secondo la teoria
VSEPR (Paragrafo 10.3), il numero di gruppi di
elettroni nel livello di valenza di un atomo cen-
trale, che si basa sul numero di coppie di legame
e di coppie solitarie (lone pairs), è il fattore chiave
che determina la forma molecolare. La piccola
tavola periodica a fianco mostra che:
• gli elementi del Periodo 2 non sono capaci di formare
più di quattro legami perché hanno un massimo
di quattro orbitali di valenza (un orbitale s e tre
orbitali p). (Soltanto il carbonio forma di solito
quattro legami). Le forme molecolari (cerchio
piccolo) sono basate su disposizioni lineari, planari
trigonali e tetraedriche dei gruppi di elettroni;
• molti elementi nel Periodo 3 o in periodi superio­
ri sono capaci di formare più di quattro legami
usando orbitali d vuoti ed espandendo così i
loro livelli di valenza. Le forme molecolari com-
prendono quelle citate sopra e altre basate su
disposizioni bipiramidali trigonali e ottaedriche
dei gruppi di elettroni (cerchio grande).

13txt_bis.indd 451 17/05/19 07:42


Comportamento metallico
Gli elementi vengono classificati spesso come metalli, metalloidi o non metalli. Anche
se esistono eccezioni, questa tabella mette a confronto le proprietà atomiche, fisiche e
chimiche generali dei metalli con quelle dei non metalli (Paragrafo 8.5).

La piccola tavola periodica riportata qui sotto mostra la posizione Nella piccola tavola periodica sottostante
dei me­talli, dei metalloidi e dei non metalli tra gli elementi dei ombreggiata in blu si noti che:
gruppi principali. Si noti che: • il comportamento metallico cambia gradual-
• i metalli sono situati nella parte inferiore sinistra della tavola; mente tra gli elementi;
• i non metalli risiedono nella parte superiore destra della tavola; • il comportamento metallico è parallelo all’an­
• i metalloidi sono situati tra i metalli e i non metalli. Questi ele- damento del raggio atomico: i più grandi
menti hanno valori intermedi del raggio atomico, dell’energia di membri di un gruppo (in basso) o di un
ionizzazione e dell’elettronegatività periodo (a sinistra) sono più metallici; i
e presentano un carattere metallico membri più piccoli sono meno metallici.
intermedio; sono solidi lucenti con
bassa conduttività; si comportano
come cationi con i non metalli (per
esempio, AsF3) e come anioni con i
me­tal­li (per esempio, Na3S).

I metalli e i non metalli formano tipicamente composti ionici cristallini quando reagiscono tra loro, e il raggio ionico e la
carica ionica determinano l’impaccamento in questi solidi. Gli ioni monoatomici presentano chiare tendenze nel raggio
ionico:
• i cationi sono più piccoli degli atomi originali, mentre gli anioni sono più grandi;
• il raggio ionico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo;
• il raggio ionico
diminuisce da si­
nistra a destra
lungo un periodo,
ma gli anioni
sono molto più
grandi dei catio-
ni.

Entro una serie isoelettronica di ioni, come gli anioni degli


elementi del Periodo 2 e i cationi degli elementi del Pe-
riodo 3, il raggio ionico diminuisce nell’ordine seguente:
N3− > O2− > F− > Na+ > Mg2+ > A13+

13txt_bis.indd 452 17/05/19 07:42


Il comportamento acido-base degli ossidi
degli elementi
Si conoscono ossidi di quasi tutti gli elementi. Il comportamento metallico di un elemento è corre-
lato con il comportamento acido-base del suo ossido in acqua (Paragrafo 8.5). Si tenga presente che:
• un acido produce ioni H+ quando si scioglie in acqua e reagisce con una base per formare un sale e
acqua;
• una base produce ioni OH− quando si scioglie in acqua e reagisce con un acido per formare un sale
e acqua.

La tabella a lato mostra che


l’elettronegatività e il
comportamen­to metallico di
un elemento (E) determinano
il tipo di legame (E con O)
nel suo ossido e, quindi, il
comportamento acido-base
dell’ossido sciolto in acqua.

Si noti che, tra i gruppi principali:


• gli elementi con bassa elettronegatività (i metalli) formano ossidi basici. Il legame di E con O è ionico.
Lo ione O2− è la specie basica:
O2−(s) + H2O(l) 2OH−(aq)
Per esempio, il bario forma l’ossido basico BaO:
reagisce con acqua: BaO(s) + H2O(l) Ba2+(aq) + 2OH−(aq)
+
reagisce con una base: BaO(s) + 2H (aq) Ba2+(aq) + H2O(l)
• gli elementi con elevata elettronegatività (i non metalli) formano ossidi acidi. Il legame di E con O è covalente.
L’acqua si lega a E dell’ossido per formare un acido, che rilascia H+. Per esempio, lo zolfo forma l’ossido aci-
do SO2:
reagisce con acqua: SO2(g) + H2O(l) H2SO3(aq) H+(aq) + HSO3−(aq)

reagisce con una base: SO2(g) + 2OH (aq) SO3 (aq) + H2O(l)
2−

• gli elementi con elettronegatività intermedia (alcuni metalloidi e metalli) formano ossidi anfoteri, che reagiscono con
acidi e con basi. Per esempio, Al2O3 è un ossido anfotero:
reagisce con un acido: Al2O3(s) + 6H+(aq) 2Al3+(aq) + 3H2O(l)

reagisce con una base: Al2O3(s) + 2OH (aq) + 3H2O(l) 2Al(OH)4−(aq)

La tavola periodica a fianco mostra il


comportamento acido-base di molti ossidi
di elementi dei gruppi principali in ac-
qua. Si noti che:
• l’acidità degli ossidi aumenta da sinistra
a destra lungo un periodo e diminuisce
dall’alto al basso lungo un gruppo; questa
tendenza è opposta a quella osservata
nel comportamento metallico (e nel
raggio atomico);
• quando un elemento forma due ossidi,
l’ossido più acido ha l’elemento in uno sta­
to di ossidazione superiore (vedi anche il
paragrafo seguente). Così, per esempio,
SO2 forma l’acido debole H2SO3, mentre
SO3 forma l’acido forte H2SO4.

13txt_bis.indd 453 17/05/19 07:42


Comportamento redox degli elementi
La capacità relativa di un elemento di cedere o di acquistare elettroni (o carica elettronica) quando
reagisce con altri elementi definisce il suo comportamento redox (di ossidoriduzione) (Paragrafo 4.5):
• il numero di ossidazione (o stato di ossidazione) di un atomo in un elemento è zero. Il numero di ossidazio-
ne di un atomo in un composto è il numero di elettroni che si sono allontanati dall’atomo (numero di
ossidazione positivo) o si sono avvicinati all’atomo (numero di ossidazione negativo). I valori del numero
di ossidazione sono determinati da una serie di regole (Paragrafo 4.5);
• si svolge una reazione di ossidoriduzione (reazione redox) quando i valori dei numeri di ossidazione degli
atomi nei reagenti sono diversi da quelli degli atomi nei prodotti;
• tra le innumerevoli reazioni redox vi sono tutte quelle a cui partecipa una sostanza elementare come
reagente o come prodotto e comprendono tutte le reazioni di combustione e tutte le reazioni di formazio-
ne, come quella tra potassio e cloro (illustrata qui sotto): 2K + Cl2 2KCl.
Stephen Frisch, photographer

Stephen Frisch, photographer

Stephen Frisch, photographer


© McGraw-Hill Education/

© McGraw-Hill Education/

© McGraw-Hill Education/

Agenti riducenti e agenti ossidanti


Tutte le reazioni redox comprendono un agente riducente (un riducente)
e un agente ossidante (un ossidante) tra i reagenti. Il disegno schematico
a fianco mostra che:
• l’agente riducente cede elettroni all’agente ossidante (lo riduce) e si
ossida (il numero di ossidazione diventa più positivo);
• l’agente ossidante rimuove elettroni dall’agente riducente (lo ossida) e si
riduce (il numero di ossidazione diventa più negativo).

1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
(1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)
1

2 Li Be O2 F2
3 Na Mg Cl2
4 K Ca Br2
5 Rb Sr I2 La piccola tavola periodica riportata a sinistra mostra che la capacità ossidante e
la capacità riducente sono in relazione con le proprietà atomiche:
6 Cs Ba
• gli elementi con bassa energia di ionizzazione e bassa elettronegatività [Grup-
7
pi 1A(1) e 2A(2)] sono agenti riducenti forti;
agente riducente forte • gli elementi con alta energia di ionizzazione e alta elettronegatività [Grup-
agente ossidante forte po 7A(17) e ossigeno nel Gruppo 6A(16)] sono agenti ossidanti forti.

13txt_bis.indd 454 17/05/19 07:42


Stati di ossidazione degli elementi dei gruppi principali
La tavola periodica presentata al piede della pagina mostra alcuni stati di ossidazione
(quelli più comuni sono scritti in neretto) degli elementi nei loro composti. Si noti che:
• lo stato più alto (più positivo) in un gruppo è uguale al numero del Gruppo A. Si ha
quando tutti gli elettroni esterni (di valenza) si spostano verso un atomo più elettro-
negativo;
• tra i non metalli, lo stato più basso (più negativo) è uguale al numero del Gruppo A meno
otto. Si ha quando l’atomo non metallico riempie il suo livello esterno con elettroni
che si allontanano da un atomo meno elettronegativo;
• i non metalli hanno più stati di ossidazione rispetto ai metalli nello stesso gruppo o
nello stesso periodo. (L’ossigeno e il fluoro sono eccezioni);
• i gruppi di numero dispari hanno generalmente stati di numero dispari, e i gruppi
di numero pari hanno stati di numero pari. Gli stati di ossidazione differiscono di due
unità perché gli elettroni vengono ceduti (o acquistati) in coppie (Paragrafo 14.9);
• nel caso di molti metalli e metalloidi con più di uno stato di ossidazione [Gruppi
3A(13) ÷ 5A(15)], lo stato inferiore diventa più comune dall’alto al basso lungo il gruppo.
Si ha questo stato quando vengono ceduti soltanto elettroni np (Paragrafo 8.5);
• un elemento con più di uno stato di ossidazione presenta un maggiore comportamen­
to metallico nel suo stato inferiore. Per esempio, l’ossido di arsenico(III) è più basico,
più simile a un ossido metallico, rispetto all’ossido di arsenico(V) (vedi p. 489).

13txt_bis.indd 455 17/05/19 07:42


Stati fisici e cambiamenti di fase
Lo stato fisico e il calore scambiato in un cambiamento di fase rispecchiano le forze rela-
tive dei legami e/o le intensità relative delle forze intermolecolari tra gli atomi, gli ioni o
le molecole che costituiscono un elemento o un composto (Paragrafi 12.2, 12.3 e 12.6).

Stati fisici degli elementi


La grande tavola periodica al piede della pagina mostra il tipo di particella o di struttura solida
(forma nella casella), lo stato fisico (colore della forma) e la forza interparticellare dominante (colore
di fondo della casella) nella forma più comune di ciascuno degli elementi dei gruppi principali a
temperatura ambiente. Si noti che:
• i metalli (a sinistra e in basso) sono solidi: legami metallici forti mantengono gli atomi nelle loro
strutture cristalline;
• i metalloidi (lungo la linea a gradini) e il carbonio sono solidi: legami covalenti forti tengono insie-
me gli atomi in reticoli estesi;
• i non metalli più leggeri e gli elementi del Gruppo 8A(18) sono gas: le forze di dispersione sono de-
boli tra le molecole (H2, N2, O2, F2, Cl2) o gli atomi con nuvole elettroniche più piccole, meno
pola­rizzabili;
• i non metalli più pesanti sono liquidi (Br2) o solidi teneri (P4, S8 e I2): le forze di dispersione sono
più intense tra le molecole con nuvole elettroniche più grandi, più polarizzabili.

13txt_bis.indd 456 17/05/19 07:42


Cambiamenti di fase degli elementi
La piccola tavola periodica mostra le tendenze della temperatura (punto) di fusione, della tempera-
tura (punto) di ebollizione, di ∆Hfus e di ∆Hvap per i Gruppi 1A(1), 7A(17) e 8A(18):
• nel Gruppo 1A(1), queste proprietà generalmente aumentano dal basso verso l’alto lungo il gruppo:
i nuclei attraggono più fortemente gli elettroni delocalizzati, dando origine a legami metallici
più forti;
• nei Gruppi 7A(17) e 8A(18), queste proprietà generalmente aumentano dall’alto verso il basso
lungo il gruppo: le forze di dispersione sono più
intense nel caso degli atomi più grandi, più
polarizzabili;
• nei Gruppi 3A(13) 6A(16), queste proprietà ri-
specchiano le variazioni delle forze interparticel-
lari dall’alto verso il basso lungo il gruppo: valori
più bassi nel caso dei non metalli molecolari,
valori più alti nel caso dei reticoli covalenti dei
metalloidi (e del carbonio), e valori intermedi
nel caso dei metalli.
Proprietà fisiche dei composti
I composti hanno proprietà fisiche che dipendono dai tipi di legame e dalle forze intermolecolari.

I composti molecolari, come il Il legame idrogeno si forma quando H si lega a


metano, hanno uno stato fisico che N, O o F. Ha un importante effetto sulle proprie-
dipende dalle forze intermoleco- tà fisiche. Per esempio, nonostante masse molari
lari. Nel caso dei composti po- simili, il legame idrogeno in H2O (18,02 g/mol) le
lari, dominano le forze dipolo- conferisce una temperatura di fusione, una tempe-
dipolo; nel caso dei composti ratura di ebollizione, un ∆Hfus e un ∆Hvap molto
apolari, sono più importanti le più alti di quelli di CH4 (16,04 g/mol). Derivano
forze di dispersione. La maggior dal legame idrogeno anche il calore specifico, la
parte di queste sostanze sono tensione superficiale e la viscosità dell’acqua, inso-
gas, liquidi o solidi bassofondenti litamente alti (Paragrafo 12.5).
a temperatura ambiente.

I composti cova-
lenti reticolari,
come la si­lice,
hanno tempera-
tura di fusione,
tempe­ratura
di ebollizione,
∆Hfus e ∆Hvap
estremamente alte.

I composti ionici,
come il cloruro
di sodio, hanno
temperatura di
fusione, tempe­
ratura di ebol-
lizione, ∆Hfus e
∆Hvap molto alte.

13txt_bis.indd 457 17/05/19 07:42


14
Andamenti periodici
negli elementi dei gruppi principali:
legami, strutture e reattività

Nello studio della chimica che avete compiuto finora, avete imparato come attri-
DA SAPERE PRIMA
buire un nome ai composti, come bilanciare le equazioni e come calcolare la resa
• vedi “Uno sguardo d’insieme alle
proprietà degli elementi” delle reazioni. Avete visto come il calore è in relazione con il cambiamento chimico
(pp. 447-457) e fisico, come la configurazione elettronica influenza le proprietà atomiche, come
gli elementi si legano per formare composti e come la disposizione delle coppie di
elettroni di legame e delle coppie solitarie (lone pairs) di elettroni spiega le forme
delle molecole. Avete visto anche come le proprietà atomiche e molecolari danno
origine alle proprietà macroscopiche dei gas, dei liquidi, dei solidi e delle soluzioni.
Lo scopo di queste conoscenze, ovviamente, è spiegare la magnifica diversità
del comportamento chimico e fisico del mondo che ci circonda. La tavola periodica
degli elementi è stata dedotta da fatti chimici osservati nel corso di lunghe ricer-
che condotte nel XVIII e nel XIX secolo. Uno dei più importanti risultati scientifici
è la teoria quantistica sviluppata nel XX secolo, la quale fornisce un fondamento
teorico per l’organizzazione della tavola periodica. Ma si deve tenere presente che
raramente un’unica teoria è in grado di spiegare tutti i fatti. Perciò, è giustificato
meravigliarsi del potere di previsione degli andamenti periodici che si osservano nella
tavola periodica, ma non ci si deve preoccupare se si osservano sporadiche eccezioni a
queste periodicità: dopo tutto, i nostri modelli sono semplici, ma la natura è complessa.
IN QUESTO CAPITOLO applicheremo i concetti generali di legame, struttura e
reattività agli elementi dei gruppi principali e vedremo come il loro comporta-
mento è correlato con la loro posizione nella tavola periodica. Esamineremo per
primo l’idrogeno, il più semplice e, sotto alcuni aspetti, il più importante di tutti
gli elementi, e poi useremo il Periodo 2 per passare in rassegna i cambiamenti
generali attraverso la tavola periodica. Ciascuna delle sezioni restanti di questo
capitolo si occuperà di una delle otto famiglie di elementi dei gruppi principa-
li. Elementi particolarmente importanti – boro, carbonio, silicio, azoto, fosforo,
ossigeno, zolfo e gli alogeni – saranno esaminati in maggiore dettaglio. (Se
non avete ancora letto la sezione “Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli
elementi”, che precede questo capitolo, è giunto il momento di farlo. Passate in
rassegna le principali tendenze che si osservano in tutta la tavola periodica, in
preparazione alla trattazione che sta per cominciare.)

14.1 L’IDROGENO, L’ATOMO PIÙ SEMPLICE


Un atomo di idrogeno è costituito da un nucleo dotato di una singola carica po-
sitiva, circondato da un singolo elettrone. Nonostante questa struttura semplice,
o forse in virtù di essa, l’idrogeno può essere l’elemento più importante di tutti.
Nel Sole, i nuclei di idrogeno (H) si combinano per formare nuclei di elio (He) in
un processo che fornisce quasi tutta l’energia utilizzata sulla Terra.
Circa il 90% di tutti gli atomi esistenti nell’Universo sono atomi di idrogeno,
che è quindi l’elemento di gran lunga più abbondante. Sulla Terra sono presenti

14txt.indd 458 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 459

in natura soltanto piccole quantità di idrogeno libero (sotto forma di H2), ma


­l’idrogeno è abbondante in combinazione con l’ossigeno nell’acqua. In virtù della
sua struttura semplice e della sua piccola massa molare, l’H2 gassoso apolare è
incolore e inodore, e le sue forze di dispersione estremamente deboli determina-
no una temperatura (punto) di fusione e una temperatura (punto) di ebollizione
estremamente basse, rispettivamente −259 °C e −253 °C.

Dove si colloca l’idrogeno nella tavola periodica?


L’idrogeno non ha nella tavola periodica una posizione perfettamente appropria­ta
(Figura 14.1). In virtù del suo singolo elettrone di valenza e del suo stato di ossi-
dazione più comune, +1, l’idrogeno potrebbe quasi collocarsi nel Gruppo 1A(1).
Però, a differenza dei metalli alcalini, l’idrogeno condivide il suo elettrone con i Figura 14.1 Dove risiede l’i-
non metalli invece di cederlo a essi. Come un non metallo, l’idrogeno ha un’e- drogeno? Le piccole dimensioni
nergia di ionizzazione relativamente alta (Ei = 1311 kJ/mol) – molto più alta di e il singolo elettrone dell’idro-
quella del litio (Ei = 520 kJ/mol), la cui Ei è la più alta nel Gruppo 1A(1) – e anche geno conferiscono a questo ele-
mento proprietà che non sono
un’elettronegatività (χ) molto più alta (χ di H = 2,1; χ di Li = 1,0).
completamente compatibili con
D’altra parte, l’idrogeno potrebbe quasi collocarsi nel Gruppo 7A(17). Come gli elementi di alcun gruppo del
gli alogeni, si presenta sotto forma di molecole diatomiche e completa il suo li- sistema periodico. A seconda
vello elettronico esterno per condivisione di un elettrone oppure per acquisto di della proprietà, l’idrogeno può
un elettrone da un metallo per formare un anione monoatomico, lo ione idruro inserirsi meglio nel Gruppo 1A(1)
oppure nel Gruppo 7A(17).
(H−; numero di ossidazione = −1). Però, l’idrogeno ha un’elettronegatività più bassa
di quella di tutti gli alogeni ed è privo delle loro tre coppie di elettroni di valenza.
Inoltre, lo ione H− è raro e reattivo, mentre gli ioni alogenuro sono comuni e stabili.
Il comportamento peculiare dell’idrogeno è dovuto al suo piccolo raggio atomi-
co. L’idrogeno ha un’alta Ei perché il suo elettrone è molto vicino al nucleo, senza
elettroni interni che lo schermino dalla carica positiva. Ha una bassa χ (per un non
me­tallo) perché ha un solo protone che attragga gli elettroni legati. In questo capi-
tolo l’idrogeno comparirà nel Gruppo 1A(1) oppure nel gruppo 7A(17), a seconda
della proprietà considerata.

Punti salienti della chimica dell’idrogeno


Nei Capitoli 12 e 13 abbiamo esaminato la formazione di legami idrogeno e il suo im-
patto sulle proprietà fisiche (temperature di fusione e di ebollizione, calori di fusione e
di evaporazione e capacità termiche specifiche) e sulle solubilità. Abbiamo visto che la
formazione di legami idrogeno svolge un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del
clima della Terra oltre che nella stabilizzazione della temperatura corporea umana e
abbiamo dato un’occhiata al suo ruolo nel funzionamento delle biomolecole. Nel Capi-
tolo 6 (scheda Chimica nelle scienze ambientali) abbiamo esaminato il possibile impiego
futuro dell’idrogeno come combustibile; più avanti vedremo come l’idrogeno viene uti-
lizzato per estrarre alcuni me­talli dai loro minerali. L’idrogeno è molto reattivo e si com-
bina con quasi tutti gli elementi formando tre tipi di idruri che analizzeremo di seguito.
Idruri ionici (o salini) Con i metalli molto reattivi, come quelli del Gruppo 1A(1)
e i più grandi elementi del Gruppo 2A(2) (Ca, Sr e Ba), l’idrogeno forma idruri ionici
(o salini): sostanze solide cristalline, di colore bianco, costituite dal catione metalli-
co e dallo ione idruro:
2Li( s ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2LiH( s )
Ca( s ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CaH2 ( s )
Nell’acqua, H è una base forte che sottrae H+ alle molecole di H2O circostanti per

formare H2 e OH−:
→ Na+ ( aq ) + OH− ( aq ) + H2 ( g )
NaH( s ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
Lo ione idruro è anche un potente riducente; per esempio, riduce Ti(IV) a metallo libero:
TiCl 4 ( l ) + 4LiH( s ) ⎯ ⎯
→ Ti( s ) + 4LiCl( s ) + 2H2 ( g )

14txt.indd 459 16/05/19 11:16


460 Capitolo 14

Idruri covalenti (o molecolari) L’idrogeno reagisce con i non metalli per forma-
re molti idruri covalenti (o molecolari), quali CH4, NH3, H2O e HF. La maggior parte di
essi sono gas costituiti da piccole molecole, ma molti idruri del boro e del carbonio
sono liquidi o solidi costituiti da molecole molto più grandi. Nella maggior parte
degli idruri covalenti, l’idrogeno ha numero di ossidazione +1 perché l’altro non
metallo ha elettronegatività più alta di quella dell’idrogeno.
Le condizioni per la preparazione degli idruri covalenti dipendono dalla reat-
tività dell’altro non metallo. Per esempio, con N2 stabile, in cui i due atomi sono
legati da un triplo legame, l’idrogeno reagisce a temperature elevate (400 °C) e a
pressioni elevate ( 250 atm) e la reazione richiede un catalizzatore per procedere
a una velo­cità d’impiego pratico:
catalizzatore
N 2 ( g ) + 3H2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → 2NH3 ( g ) ΔH r0 = −91,8 kJ
In tutto il mondo gli impianti industriali utilizzano questa reazione per produrre ogni
anno milioni di tonnellate di ammoniaca per la preparazione di fertilizzanti, esplosivi e
fibre sintetiche. D’altra parte, l’idrogeno si combina rapidamente con F2 reattivo, in cui
è presente un legame singolo, anche a temperature estremamente basse (−196 °C):
F2 ( g ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2HF( g ) ΔH r0 = −546 kJ

Idruri metallici (o interstiziali) Molti elementi di transizione formano idruri


metallici (o interstiziali), in cui le molecole H2 (e gli atomi H) occupano gli interstizi
nella struttura cristallina del metallo. Perciò, questi idruri non sono composti, bensì
sono soluzioni gas-solido. Inoltre, a differenza degli idruri ionici e di quelli covalen-
ti, gli idruri interstiziali, come TiH1,7, sono tipicamente privi di un’unica formula
stechiometrica perché il metallo può incorporare quantità variabili di idrogeno, a
seconda della pressione e della temperatura del gas.

• Il pieno di idrogeno? 14.2 TENDENZE ATTRAVERSO LA TAVOLA


Improbabile I sogni di una futu- PERIODICA: GLI ELEMENTI DEL PERIODO 2
ra eco­ nomia basata sull’idrogeno
han­no contemplato la possibilità di La Tabella 14.1 presenta le tendenze nelle proprietà atomiche degli elementi del
usare idruri metallici come “ser- Perio­do 2, dal litio al neon, e le proprietà fisiche e chimiche che ne derivano. In
batoi” per l’idrogeno da utilizzare
come combustibile nelle automobili. gene­rale, queste tendenze valgono anche per gli altri periodi. È importante notare
Ba­ sterebbe recarsi alla stazio­ne di i punti seguenti.
rifornimento locale, inserire nel­l’au­­-
tomobile una bombola di metallo • Gli elettroni riempiono un orbitale ns e tre orbitali np secondo il principio di
carico di idrogeno e ripartire! È vero esclusione di Pauli e la regola di Hund.
che alcuni metalli, quali il palladio • In conseguenza della carica nucleare crescente e dell’addizione di elettroni in
(vedi figura) e il niobio, e alcune
leghe, come LaNi5, im­ma­gazzinano
orbitali dello stesso livello energetico (con lo stesso valore n), il raggio atomico
grandi quantità di idro­ geno; però, generalmente diminuisce, mentre l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività
ricerche condotte negli ultimi 15 ge­neralmente aumentano (vedi diagrammi a barre a pagina 463).
anni hanno scoperto alcuni gravi • Il carattere metallico decresce al crescere della carica nucleare quando gli ele-
problemi, in particolare il fatto che i
metalli capaci di immagazzinare più menti passano da metalli, a metalloidi a non metalli.
idrogeno sono co­ stosi e pesanti e • La reattività è massima all’estremità sinistra e all’estremità destra del periodo,
trattengono il gas più tenacemente, fatta eccezione per i gas nobili, che sono inerti.
rilasciandolo sol­tanto a temperature • Il legame tra gli atomi di un elemento cambia da metallico, a covalente in reti-
molto elevate. Di conseguenza, negli
Stati Uniti, nel 1996, è stato sospeso coli, a covalente in singole molecole, a nessun legame (i gas nobili esistono come
il finanziamento pubblico di queste atomi separati). Com’è prevedibile, le proprietà fisiche cambiano bruscamente al
ricer­che. Però, alcuni gruppi conti­­ confine reticolo/molecola, che nel Periodo 2 ha luogo tra il carbonio (solido) e
nua­ no a mantenere vivo il sogno l’azoto (gas).
attraverso i loro studi sui nanotu-
bi di carbonio, che immagazzinano • Il legame tra ciascun elemento e un non metallo reattivo cambia da ionico,
gran­di quantità di H2, e su una lega a covalente polare, a covalente. Il legame tra ciascun elemento e un metallo
Na-Al che è leggera, immagazzina reattivo cambia da metallico, a covalente polare, a ionico.
il 5% di H2 in massa, e lo rilascia a
• Il comportamento acido-base degli ossidi comuni in acqua cambia da basico,
temperature inferiori a 200 °C. Sol­
ta­­n­to il tempo e accurate verifiche ad anfotero, ad acido via via che il legame tra l’elemento e l’ossigeno diventa
risolveranno la questione! più covalente.

14txt.indd 460 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 461

• Il potere riducente decresce nella serie dei metalli e il potere ossidante cresce
nella serie dei non metalli. Nel Periodo 2, i numeri di ossidazione comuni sono
uguali al numero del Gruppo A nel caso di Li e Be e al numero del Gruppo A
meno otto nel caso di O e F. Il boro ha più numeri di ossidazione. Ne non ne
ha alcuno, e C e N presentano tutti i numeri di ossidazione possibili per i loro
gruppi.
Un punto che si presenterà spesso, ma che non è indicato nella Tabella 14.1, è il
comportamento anomalo degli elementi del Periodo 2 entro i gruppi. Gli elementi
del Perio­do 2 presentano un comportamento che non è rappresentativo dei loro
gruppi perché hanno raggio atomico relativamente piccolo e un piccolo numero di or-
bitali entro il livello energetico.

14.3 GRUPPO 1A(1): I METALLI ALCALINI


Il primo gruppo di elementi nella tavola periodica prende il nome dalla natura alca-
lina (basica) dei loro ossidi e dalle soluzioni basiche che questi elementi formano in
acqua. Il Gruppo 1A(1) offre il miglior esempio di tendenze regolari senza rilevanti
eccezioni. Tutti gli elementi di questo gruppo – il litio (Li), il sodio (Na), il potassio
(K), il rubidio (Rb), il cesio (Cs) e il Francio (Fr), quest’ultimo molto raro e radioattivo
– sono metalli molto reattivi. Il Ritratto di famiglia degli elementi del Gruppo 1A(1),
alle pagine 464-465, è il primo di una serie di “ritratti di famiglia” che offrono una
visione d’insieme di ciascuno dei gruppi principali. Le proprietà atomiche e fisiche
sono riassunte nella pagina di sinistra; reazioni rappresentative e alcuni composti
importanti sono presentati nella pagina di destra. Fate riferimento a questi “ritratti
di famiglia” per ottenere informazioni di base nel corso della trattazione.

Perché i metalli alcalini sono teneri, bassofondenti e leggeri?


A differenza della maggior parte dei metalli, i metalli alcalini sono teneri: Na ha la
consistenza del burro freddo e K può essere deformato come la plastilina. Inoltre, i
metalli alcalini hanno temperature di fusione e temperature di ebollizione più bas-
se di quelle di ogni altro gruppo di metalli. Eccettuato Li, hanno tutti temperature
di fusione inferiori a 100 °C, e Cs fonde a qualche grado celsius al di sopra della
temperatura ambiente. Inoltre, hanno densità inferiori a quelle della maggior parte
dei me­talli: il Li galleggia sull’olio da cucina.
Il comportamento fisico insolito dei metalli alcalini può essere ricondotto ai
loro raggi atomici, i più grandi nei rispettivi periodi, e alla configurazione elettro-
nica ns1. Poiché il singolo elettrone di valenza è relativamente lontano dal nucleo,
tra gli elettroni delocalizzati e i nuclei atomici nella struttura cristallina si esercita
soltanto una debole attrazione. Questo debole legame metallico comporta facilità
nella deformazione o distruzione della struttura cristallina dei metalli alcalini, con
conseguenti consistenza tenera e bassa temperatura di fusione. Questi elementi
hanno anche le più piccole masse molari nei loro periodi; con i loro grandi raggi
atomici hanno quindi densità relativamente piccole.

Perché i metalli alcalini sono così reattivi?


I metalli alcalini sono elementi estremamente reattivi. Sono forti riducenti e, quindi,
sono sempre presenti in natura sotto forma di cationi a numero di ossidazione 1+
anziché sotto forma di metalli liberi. I metalli alcalini riducono gli alogeni formando
solidi ionici in reazioni che liberano grandi quantità di calore. Riducono l’idrogeno
dell’acqua, reagendo vigorosamente (Rb e Cs esplosivamente) per formare H2 e una
soluzione di idrossido metallico. Riducono O2 nell’aria e quindi si anneriscono rapi-
damente. A causa di questa elevata reattività, Na e K sono conservati di solito sotto
olio minerale (un liquido non reattivo) in laboratorio, e Rb e Cs vengono manipolati
con guanti in un’atmosfera inerte di argon. continua a pagina 466

14txt.indd 461 16/05/19 11:16


462 Capitolo 14

Tabella 14.1 Tendenze nelle proprietà atomiche, fisiche e chimiche degli elementi del Periodo 2
Gruppo 1A(1) 2A(2) 3A(13) 4A(14)
Elemento/N. atomico Litio (Li) Z = 3 Berillio (Be) Z = 4 Boro (B) Z = 5 Carbonio (C) Z = 6
Proprietà atomiche
Configurazione
elettronica [He] 2s1 [He] 2s2 [He] 2s22p1 [He] 2s22p2
condensata;
diagramma parziale
degli orbitali 2s 2p 2s 2p 2s 2p 2s 2p

Proprietà fisiche
Aspetto

Carattere metallico Metallo Metallo Metalloide Non metallo


Durezza Tenero Duro Molto duro Grafite: tenera
Temperatura di Tf bassa per un Tf alta Tf estremamente alta Diamante: estremamente duro
fusione (Tf)/ metallo Tf estremamente alta
temperatura di
ebollizione (Teb)

Proprietà chimiche
Reattività generale Reattivo Bassa reattività a Bassa reattività a Bassa reattività a temperatura
temperatura ambiente temperatura ambiente ambiente; grafite più reattiva

Legame tra gli atomi Metallico Metallico Covalente reticolare Covalente reticolare
dell’elemento
Legame con non Ionico Covalente polare Covalente polare Covalente (legami
metalli π comuni)
Legame con metalli Metallico Metallico Covalente polare Covalente polare

Comportamento Fortemente basico Anfotero Molto debolmente Molto debolmente acido


acido/base acido
dell’ossido comune
Comportamento redox Riducente forte (+1) Riducente Idruri complessi buoni Ogni stato di ossidazione
(numero di moderatamente riducenti (+3, −3) da +4 a −4
ossidazione) forte (+2)

Usi dell’elemento e dei composti

• Saponi al litio per • Ogive di razzi • Detergente (borace) • Cografite: lubrificanti, fibre
grassi lubrificanti • Leghe per molle e • Colliri, antisettici strutturali
• Bombe termonucleari ingranaggi (acido borico) • Diamante: gioielli,
• Batterie ad alta • Componenti di • Corazze (B4C) strumenti di taglio,
tensione di piccola reattori nucleari • Vetri borosilicati pellicole protettive calcare
massa • Tubi per raggi X • Nutrienti per le piante (CaCO3)
• Trattamento dei • Composti organici: farmaci,
disturbi maniaco- combustibili, tessili, ecc.
depressivi (Li2CO3)

Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 462 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 463

5A(15) 6A(16) 7A(17) 8A(18) Li raggio atomio (pm)


Azoto (N) Z 7 Ossigeno (O) Z 8 Fluoro (F) Z 9 Neon (Ne) Z 10 152

[He] 2s22p3 [He] 2s22p4 [He] 2s22p5 [He] 2s22p6 Be


emamente duro 112
ente alta
2s 2p 2s 2p 2s 2p 2s 2p
B
85 C N
O F Ne
77 75
73 72 71

a temperatura
rafite più reattiva nessun campione
disponibile
colare
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
(1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)
ami
Non metallo Non metallo Non metallo Non metallo
re — — — — energia di prima Ne
ro Tf e Teb molto basse Tf e Teb molto basse Tf e Teb molto basse Tf e Teb estremamente ionizzazione 2080
basse (kJ/mol)
ente acido F
1681
N
1402 O
ssidazione 1314
inattivo a temperatura Molto reattivo Estremamente reattivo Chimicamente inerte C
a
1086
tiva ambiente Be
899 B
Molecole N2 covalenti Molecole O2 (o O3) Molecole F2 covalenti Nessuno; atomi separati 800
covalenti Li
520
Covalente (legami S Covalente (legami S Covalente Nessuno
rificanti, fibre comuni) comuni)
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
oielli, Ionico/covalente Ionico Ionico Nessuno (1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)

taglio, polare; anioni con


metalli attivi
ettive calcare
Fortemente acido — Acido Nessuno
(NO2)
ganici: farmaci, elettronegatività F
4,0
tessili, ecc.
Ogni stato O2 (e O3) ossidanti Ossidanti più forti Nessuno O
di ossidazione molto forti (1) 3,5
da 5 a 3 N
3,0
C
2,5
B
• Componenti di • Ossidante finale nella • Nella fabbricazione di • Gas elettrizzati nelle
2,0
proteine produzione di rivestimenti (teflon) lampade fluorescenti
Be
• Ammoniaca per energia residenziale, • Incisione chimica del (tubi al neon ecc.) 1,5
fertilizzanti, esplosivi industriale e vetro (HF)
Li
• Ossidi usati nell’indu- biologica • Refrigeranti coinvolti 1,0
stria e coinvolti nella deplezione
, nell’inquinamento dell’ozono (CFC)
dell’aria (smog, pioggia • Protezione anticarie 1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
acida) (NaF, SnF2) (1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)

14txt.indd 463 16/05/19 11:16


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 1A(1): i metalli alcalini
Proprietà atomiche e fisiche essenziali

LEGENDA Proprietà atomiche


Numero atomico 520
La configurazione Li
Simbolo elettronica del 496
Na
Massa atomica gruppo è ns1. Tut-
Valenza e Raggio Raggio 419
ti gli elementi del K
configurazione atomico ionico
(pm) (pm)
gruppo hanno lo 403
elettronica Rb
Stati di
GRUPPO 1A(1) stato di ossidazio- 376
ossidazione Li Li ne +1 e formano Cs

comuni 152 76 uno ione E+. Fr


a375

Na Na Gli atomi hanno il 0 500 1000 1500 2000 2500


186 102 raggio più grande, Energia di prima ionizzazione (kJ/mol)
3 e l’energia di ioniz-
Li K
227
K
138
zazione e l’elettro-
negatività più basse
6,941 nei loro periodi.
2s1 Li
1,0

(+1) Rb Rb Via via che si 0,9


248 152 Na
scende lungo il
11 0,8
gruppo, il raggio K

Na Cs Cs
atomico e il raggio
ionico aumentano,
Rb
0,8

265 167 0,7


22,99 mentre l’energia Cs
3s1 di ionizzazione e Fr
0,7
(+1) Fr Fr
l’elettronegatività
(a270) 180
diminuiscono. 0 1 2 3 4
19 Elettronegatività

K
39,10
1347
4s1 Li
(+1) Proprietà fisiche 181
881
Na
Il legame metallico è relativamente 98
766
37
debole perché c’è un solo elettrone K
63
Rb di valenza. Perciò, questi metalli
sono teneri e hanno temperature di
Rb
39
688

705
85,47 fusione e di ebollizione relativamen- Cs
28 Teb
5s1 te basse. Questi valori diminuiscono Tf
Fr
(+1) progressivamente dall’alto al basso 0 500 1000 1500
lungo il gruppo perché i nuclei Temperatura (°C)
55
atomici più grandi attraggono meno (Teb = temperatura di ebollizione; Tf = temperatura di fusione)

Cs fortemente gli elettroni delocalizzati.


132,9
0,534
6s1 Li
(+1) 0,968
Na

87 0,856 Il grande raggio atomico e la pic-


K
cola massa atomica determinano
Fr Nessun campione
Rb
1,532
una bassa densità; perciò la densità
generalmente aumenta dall’alto
1,90
(223) disponibile Cs
al basso lungo il gruppo perché
7s1 Fr la massa atomica aumenta più di
(+1)
0 3 6 9 12
quanto aumenti il raggio atomico.
Densità (g/mL)

Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 464 16/05/19 11:16


Gruppo 1A(1): i metalli alcalini RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative

Il potere riducente dei metalli alcalini (indicati con E) è 1. I metalli alcalini riducono H in H2O dallo stato di ossida-
indicato nelle reazioni 1÷4. Alcune applicazioni indu- zione +1 allo stato 0:
striali dei composti degli elementi del Gruppo 1A(1) sono 2E( s ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯ → 2E+ ( aq ) + 2OH− ( aq ) + H2 ( g )
indicate nelle reazioni 5÷6.
La reazione diventa sempre più vigorosa dall’alto al basso
lungo il gruppo (vedi fotografia).
2. I metalli alcalini riducono l’ossigeno, ma il prodotto
dipende dal metallo. Li forma l’ossido, Li2O; Na forma il
perossido, Na2O2; K, Rb e Cs formano il superossido, EO2:
4Li( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2Li 2O( s )
2Na( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯ → Na 2O2 ( s )
K( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ KO 2 ( s )
Nei sistemi di respirazione di emergenza, KO2 reagisce con
H2O e CO2 presenti nell’aria espirata per rilasciare O2.
3. I metalli alcalini riducono l’idrogeno per formare idruri
ionici (salini):
2E( s ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯ → 2EH( s )
Reazione del potassio NaH è una base industriale e un agente riducente usato per
con l’acqua.
preparare altri agenti riducenti come NaBH4.
(Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen
4. I metalli alcalini riducono gli alogeni per formare aloge-
Frisch, nuri ionici:
photographer). 2E( s ) + X 2 ⎯ ⎯ → 2EX( s ) ( X = F, Cl, Br, I)

14txt.indd 465 16/05/19 11:16


466 Capitolo 14

segue da pagina 461 La configurazione ns1, da cui dipendono le loro proprietà fisiche, è anche il motivo
per cui questi metalli formano sali così facilmente. Per esempio, in un ciclo di Born-
Haber della reazione tra un metallo alcalino e un non metallo, il metallo solido si
sepa­ra in atomi gassosi, ciascuno degli atomi trasferisce il proprio elettrone esterno
al non metallo, e i cationi che ne risultano attraggono gli anioni nel solido ionico
(Paragrafo 9.2). Con ciascuna di queste tappe sono correlate alcune delle proprietà
basate sulla configurazione ns1.
1. Basso calore di atomizzazione (ΔH 0atom). Conformemente alle basse temperature
di fusione e di ebollizione dei metalli alcalini, i loro deboli legami metallici deter-
minano bassi valori del calore di atomizzazione ΔH 0atom (l’energia necessaria per
convertire il solido in singoli atomi gassosi), che diminuisce lungo il gruppo:*
E( s ) ⎯ ⎯
→ E( g ) ΔH atom (Li > Na > K > Rb > Cs)

2. Bassa Ei e piccolo raggio ionico. Ciascun metallo alcalino ha le dimensioni più gran-
di e l’energia di ionizzazione Ei più bassa nel suo periodo. Avviene una grande di-
minuzione delle dimensioni quando va perduto l’elettrone esterno: il volume dello
ione Li+ è minore del 13% di quello dell’atomo Li! Perciò, gli ioni del Gruppo 1A(1)
sono piccole sfere con una notevole densità di carica.
3. Alta energia reticolare. Quando i sali cristallizzano, vengono liberate grandi quan-
tità di energia perché i piccoli cationi sono vicini agli anioni. Perciò, le tappe en-
dotermiche di atomizzazione e ionizzazione sono facilmente più che compensate
dalla formazione altamente esotermica del solido. Per un dato atomo, la tendenza
dell’energia reticolare è l’inverso della tendenza del raggio del catione: quando il
raggio del catione aumenta, l’energia reticolare diminuisce in valore assoluto. Questa
dimi­nuzione regolare del valore assoluto dell’energia reticolare nei cloruri degli
elementi dei Gruppi 1A(1) e 2A(2) è mostrata nella Figura 14.2.
Nonostante le forti attrazioni ioniche nel solido, quasi tutti i sali degli elementi
del Gruppo 1A(1) sono solubili in acqua. Gli ioni attraggono le molecole d’acqua svi-
luppando un elevato calore di idratazione (ΔHidr), e quando gli ioni presenti nel
cristallo ordinato si distribuiscono in modo casuale e si idratano in soluzione si ha
LiCl 853
BeCl2 3020 un grande aumento del disordine del sistema; questi fattori, nel loro insieme, più
che compensano l’elevata energia reticolare.
MgCl2 2526
NaCl 786 Il valore assoluto dell’energia di idratazione decresce al crescere del raggio io­
CaCl2 2258 nico:
KCl 715
E+ ( g ) ⎯ ⎯
→ E+ ( aq ) ΔH = −ΔH idr (Li+ > Na+ > K + > Rb+ > Cs+ )
SrCl2 2156
RbCl 689
È interessante notare che gli ioni più piccoli attraggano le molecole d’acqua tanto
BaC2 2056l 1A(1) fortemente da formare ioni idrati più grandi. Questa tendenza delle dimensioni ha
CsCl 659
un importante effetto sulla funzione dei nervi, dei reni e delle membrane cellulari
RaC2 2004l 2A(2)
FrCl 632 perché i raggi di Na+(aq) e di K+(aq), i cationi più comuni nei liquidi cellulari, in-
fluenzano il loro movimento dall’interno all’esterno delle cellule e viceversa.
0 1000 2000 3000
Valore assoluto dell'energia
reticolare (kJ/mol) Il comportamento anomalo del litio
Figura 14.2 Energie retico- Come abbiamo notato nell’esame della Tabella 14.1, tutti gli elementi del Periodo 2
lari dei cloruri di elementi dei
presentano un qualche comportamento anomalo (non rappresentativo) all’interno
Gruppi 1A(1) e 2A(2). Il valore
assoluto dell’energia reticola- dei loro gruppi. Anche entro le tendenze regolari, prevedibili, del Gruppo 1A(1), il
re decresce in modo regolare Li ha alcune proprietà atipiche. È l’unico elemento del gruppo che formi un ossido
in entrambi i gruppi di cloruri e un nitruro, Li2O e Li3N, in seguito alla reazione con O2 e N2 in aria.
metallici via via che i cationi Soltanto Li forma composti molecolari con gruppi idrocarburici provenienti da
diventano più grandi. Le ener-
alogenuri organici:
gie reticolari dei cloruri degli
elementi del Gruppo 2A(2) sono
2Li( s ) + CH3CH2Cl( g ) ⎯ ⎯
→ CH3CH2Li( s ) + LiCl( s )
maggiori perché i cationi 2A
hanno una carica maggiore e
un raggio minore. * In tutto il capitolo useremo il simbolo E per rappresentare qualsiasi elemento in un gruppo.

14txt.indd 466 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 467

Figura 14.3 L’effetto della


densità di carica di Li+ su
una nuvola elettronica vicina.
La capacità dello ione Li+ di
deformare le nuvole elettroniche
Li+ I– Li+ I– vicine dà origine a molte pro-
prietà anomale. In questo caso,
Li+ polarizza uno ione I−, il che
conferisce un certo carattere
covalente allo ioduro di litio, LiI,
A B com’è illustrato dai modelli (A)
e dalle linee di uguale densità
I composti litiorganici, come CH3CH2Li, sono liquidi o solidi bassofondenti che si elettronica (B).
sciolgono in solventi apolari e contengono legami covalenti polari δ−C Liδ+. Sono
reagenti importanti nella sintesi dei composti organici.
In virtù del suo piccolo raggio, Li+ ha una densità di carica relativamente
grande e, quindi, può deformare le nuvole elettroniche vicine in misura maggiore
rispetto a quanto non possano fare gli altri ioni degli elementi del Gruppo 1A(1);
ciò conferisce a molti sali di litio un rilevante carattere covalente (Figura 14.3). Per-
ciò, LiCl, LiBr e LiI sono molto più solubili in solventi organici polari quali l’etanolo
(alcol etilico) e l’acetone di quanto lo siano gli alogenuri di Na e K poiché il dipolo
dell’alogenuro di litio interagisce con questi solventi mediante forze dipolo-dipolo.
Il piccolo ione Li+, altamente positivo, rende più difficile la dissociazione dei sali
di litio in ioni in soluzione acquosa; perciò, il fluoruro, il carbonato, l’idrossido e il
fosfato di Li sono molto meno solubili in acqua rispetto a quelli di Na e K.

14.4 GRUPPO 2A(2): I METALLI ALCALINO-TERROSI


Gli elementi del Gruppo 2A(2) sono detti metalli alcalino-terrosi perché i loro ossidi
danno soluzioni basiche (alcaline) e fondono a temperature così alte che rimanevano
• Il versatile magnesio Il
ma­gnesio, il secondo degli elementi
allo stato di solidi (“terre”) sui fornelli degli alchimisti. Il gruppo comprende un in- alcalino-terrosi, forma un rivesti-
sieme affascinante di elementi: il raro berillio (Be), i comuni magnesio (Mg) e calcio mento di ossido aderente e resisten-
te che previene un’ulteriore reazio-
(Ca), i meno comuni stronzio (Sr) e bario (Ba), e il radio (Ra) radioattivo. Il Ritratto di ne del metallo in aria e gli confe-
famiglia del Gruppo 2A(2) (pagine 468 e 469) presenta una vista d’insieme di questi risce stabilità rendendolo adatto a
elementi. molti impieghi. Questo metallo può
essere arrotolato, forgiato, saldato e
rivettato per assumere pressoché
Un confronto tra le proprietà fisiche dei metalli alcalino-terrosi qualsiasi forma, e compone leghe
e quelle dei metalli alcalini resistenti di bassa densità: alcune
hanno una densità pari a soltanto il
25% di quella dell’acciaio, ma sono
In generale, gli elementi dei Gruppi 1A(1) e 2A(2) si comportano come cugini
altrettanto resistenti. Le leghe di
diretti. Le differenze tra i due gruppi sono differenze di grado, non di qualità, e ma­ gnesio con alluminio e zinco
sono dovute al cambiamento della configurazione elettronica: ns2 rispetto a ns1. sono usate nella fabbricazione di
Sono disponibili due elettroni per la formazione del legame metallico, e il nucleo oggetti di uso quotidiano, quali
contiene una carica positiva addizionale. Questi fattori accrescono l’interazione corpi di macchine fotografiche,
valige e ruote “in magnesio” per
tra gli elettroni deloca­lizzati e i nuclei atomici. Di conseguenza, le temperature
biciclette e automobili sportive.
di fusione e di ebollizione dei metalli 2A sono molto più alte di quelle dei cor- Le leghe di magnesio con i lan-
rispondenti metalli 1A; in realtà, gli elementi 2A fondono all’incirca alla stessa tanidi (la prima serie di elementi
temperatura a cui gli elementi 1A bollono! Rispetto ai metalli di transizione, quali di transizione interna) sono usate
il ferro e il cromo, i metalli alcalino-terrosi sono teneri e leggeri, ma sono molto nella fabbricazione di oggetti che
richiedono una grande resistenza a
più duri e più densi dei metalli alcalini.
temperature elevate, quali i blocchi
motore per autoveicoli e i compo-
Un confronto tra le proprietà chimiche dei metalli nenti di missili.
alcalino-terrosi e quelle dei metalli alcalini
I metalli alcalino-terrosi presentano uno spettro di comportamento chimico più
ampio di quello dei metalli alcalini, in gran parte in virtù del comportamento del
berillio, come vedremo tra poco. Poiché il secondo elettrone di valenza è situato
nello stesso sottolivello in cui si trova il primo, non è schermato molto bene dalla continua a pagina 470

14txt.indd 467 16/05/19 11:16


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 2A(2): i metalli alcalino-terrosi
Proprietà atomiche e fisiche essenziali

LEGENDA Proprietà atomiche


Numero atomico La configurazione elettronica del 1757
Simbolo gruppo è ns2 (sottolivello ns com- Be
899
1450
pleto). Tutti i membri hanno stato Mg
Massa atomica 738
Valenza e
di ossidazione +2 e, eccettuato Be, 1 145
formano composti con uno ione E2+. Ca
configurazione 590
1064
elettronica
GRUPPO 2A(2) Sr
549
Stati di Il raggio atomico 965
ossidazione Raggio Raggio Ba
503
atomico ionico e il raggio ionico 975 Ei 2
comuni Ra Ei 1
(pm) (pm) aumentano progres­ 509
siva­men­te dall’alto 0 500 1000 1500 2000 2500
Be verso il basso lungo Energia di ionizzazione (kJ/mol)
4 112 il gruppo, ma sono
Be Mg Mg2+
più piccoli rispetto
a quelli del corri-
160 72
9,012 spondente elemen-
2s2 to 1A(1).
(+2) Ca Ca2+ 1,5
Be
197 100 L’energia di ionizza-
1,2
12 zione e l’elettrone- Mg
gatività aumentano
Mg Ca 1,0
Sr Sr2+
progressivamente
215 118 Sr 1,0
24,30 dall’alto verso
3s2 il basso lungo il Ba 0,9

(+2) Ba Ba 2+ gruppo, ma sono 0,9


Ra
222 135 più grandi rispetto
20 a quelle del corri- 0 1 2 3 4
spondente elemen-
Ca
Elettronegatività
Ra Ra 2+
to 1A(1).
(∼220) 148
40,08
4s2
a2500
(+2) Be
1287
Mg 1 105
38 649
1494
Proprietà fisiche
Sr
Ca
839
1381
Il legame metallico implica due e− Sr
768
87,62 di valenza. Questi metalli sono an- 1850
Ba
5s2 cora relativamente teneri, ma sono 727 1700 Teb
(+2) molto più duri dei metalli 1A(1).
Ra
700 Tf

0 1000 2000 3000


56 Temperatura (C)

Ba (Teb temperatura di ebollizione; Tf temperatura di fusione)

137,3
1,848
6s2 Be
(+2) 1,738 La temperatura di fusione e la
Mg
temperatura di ebollizione general-
1,55
88 Ca mente diminuiscono, e la densità
Ra Nessun campione
Sr
2,63

3,62
di solito aumenta dall’alto verso
il basso lungo il gruppo. Questi
(226) disponibile Ba valori sono molto più alti di quelli
7s2 Ra
5,5 degli elementi 1A(1) e la tendenza
(+2) non è altrettanto regolare.
0 3 6 9 12
Densità (g/mL)

Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 468 16/05/19 11:16


Gruppo 2A(2): i metalli alcalino-terrosi RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative
Gli elementi (E) si comportano come riducenti nelle reazioni 4. La maggior parte degli elementi riducono l’idrogeno
1 ÷ 5; si noti la similarità con le reazioni degli elementi del per formare idruri ionici:
Gruppo 1A(1). La reazione 6 mostra la basicità generale degli
ossidi degli elementi del Gruppo 2A(2); la reazione 7 mostra E( s ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ EH2 ( s )
l’instabilità generale dei loro carbonati a temperature elevate.
(E = tutti gli elementi eccettuato Be)
1. I metalli riducono O2 per for-
mare gli ossidi: 5. La maggior parte degli elementi riducono l’azoto per
2E( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ formare nitruri ionici:
2EO( s )
3E( s ) + N 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ E3N 2 ( s )
Ba forma anche il perossido,
(E = tutti gli elementi eccettuato Be)
BaO2.

2. I metalli più grandi riducono 6. Eccettuato BeO anfotero, gli ossidi sono basici:
l’acqua per formare idrogeno
gassoso: → E2+ ( aq ) + 2OH− ( aq )
EO( s ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
E( s ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯
→ Combustione di un nastro di Ca(OH)2 è un componente del cemento e della malta.
magnesio. (Foto: © McGraw-
2+ −
E ( aq ) + 2OH ( aq ) + H2 ( g ) Hill Education/Stephen 7. Tutti i carbonati subiscono la decomposizione termica
Frisch, photographer).
(E = Ca, Sr, Ba) all’ossido:
Be e Mg formano un rivestimento aderente di ossido che Δ
ECO3 ( s ) ⎯ ⎯ → EO( s ) + CO 2 ( g )
consente soltanto una reazione blanda.
3. I metalli riducono gli alogeni per formare alogenuri ionici: Questa reazione è utilizzata per produrre CaO (calce) in
E( s ) + X 2 ⎯ ⎯
→ EX 2 ( s ) (X = F, Cl, Br, I) enormi quantità a partire da calcare naturale.

14txt.indd 469 16/05/19 11:16


470 Capitolo 14

segue da pagina 467 carica nucleare addizionale, e quindi Zeff è maggiore. Perciò, gli elementi del Grup-
po 2A(2) hanno raggi atomici minori ed energie di ionizzazione maggiori rispetto
agli elementi del Gruppo 1A(1). Nonostante le energie di ionizzazione più alte, tutti
i metalli alcalino-terrosi (eccettuato Be) formano composti ionici sotto forma di cationi
2+. Il berillio si comporta in modo diverso perché la quantità di energia necessaria
per rimuovere due elettroni da questo piccolo atomo è così grande che esso non
forma mai ioni Be2+ di­screti, e i suoi legami sono covalenti polari.
Come i metalli alcalini, i metalli alcalino-terrosi sono forti riducenti. Questi
elementi riducono O2 nell’aria per formare l’ossido (Ba forma anche il perossido,
BaO2). Eccettuati Be e Mg, che formano rivestimenti di ossido aderenti, i metalli
alcalino-terrosi riducono H2O a temperatura ambiente per formare H2. E, con
l’eccezione del Be, riducono gli alogeni, N2 e H2 per formare composti ionici. Gli
ossidi del Gruppo 2A(2) sono fortemente basici (eccettuato BeO anfotero) e rea-
giscono con gli ossidi acidi per formare sali, quali solfiti e carbonati; per esempio,
SrO( s ) + CO 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ SrCO3 ( s )
I carbonati naturali, quali i calcari e i marmi, sono importanti materiali strutturali e
fonti industriali della maggior parte dei composti 2A.
I metalli alcalino-terrosi sono reattivi perché le alte energie reticolari di questi
composti più che compensano la grande energia di ionizzazione totale necessaria
per formare il catione 2+ (Paragrafo 9.2). I sali degli elementi del Gruppo 2A(2)
hanno energie reticolari molto più alte di quelle dei sali degli elementi del Grup-
po 1A(1) (vedi Figura 14.2) perché i cationi 2A sono più piccoli e doppiamente
carichi.
Una delle principali differenze tra i due gruppi è la più bassa solubilità dei sali
degli elementi 2A in acqua. I loro ioni sono più piccoli e hanno carica più elevata
degli ioni degli elementi 1A e quindi hanno maggiori densità di carica. Anche se ciò

• L’ossido di calcio: l’ossi-


do metallico più utile
aumenta i calori di idratazione, aumenta ancora di più le energie reticolari. In realtà,
la maggior parte dei fluoruri, dei carbonati, dei fosfati e dei solfati degli elementi 2A
L’ossido
sono considerati insolubili, a differenza dei corrispondenti composti degli elementi
di calcio (la calce) è un ossido
basico lievemente solubile che è 1A. Ciononostante, l’attrazione ione-dipolo degli ioni 2+ per l’acqua è così forte che
uno dei cinque composti industria- molti sali degli elementi 2A leggermente solubili cristallizzano sotto forma di idrati;
li prodotti in maggiore quantità ne sono due esempi il sale inglese (o sale di Epson), MgSO4 ⋅ 7H2O, usato (tra l’altro)
su scala mondiale. Lo si produce come lassativo salino, e il gesso CaSO4 ⋅ 2H2O, usato come rivestimento (patina) nel-
trattando il calcare a temperatu-
la produzione della carta patinata, come legante tra i fogli di carta nel cartongesso
re elevate [Ritratto di famiglia del
Gruppo 2A(2), reazione 7]. Ha ruoli e come cemento nelle fasciature gessate ortopediche.
essenziali nella produzione dell’ac-
ciaio, nel trattamento delle acque e Il comportamento anomalo del berillio
nello “spazzamento” delle ciminiere. Be, un elemento del Periodo 2, presenta un comportamento più anomalo di quello
L’ossido di calcio reagisce con il
carbonio per formare carburo di
di Li nel Gruppo 1A(1). Se lo ione Be2+ esistesse, la sua alta densità di carica pola­
calcio, che è usato nella produzione rizzerebbe molto intensamente le nuvole elettroniche vicine e causerebbe un’am-
di acetilene, e con l’acido arseni- pia sovrapposizione di orbitali. In realtà, tutti i composti del Be presentano legami
co (H3AsO4) per la produzione di covalenti. Anche BeF2, il più ionico composto del Be, ha una temperatura di fusione
insetticidi destinati a combattere gli relativamente bassa e, quando è allo stato fuso, ha una bassa conduttività elettrica.
insetti nocivi al cotone, al tabacco e
alla patata. La maggior parte dei vetri
Il Be, con soltanto due elettroni di valenza, non raggiunge un ottetto elettro-
contiene circa il 12% di ossido di cal- nico nei suoi composti gassosi semplici (Paragrafo 10.1). Però, quando si lega a un
cio in massa. L’industria della carta atomo ricco di elettroni, la sua carenza di elettroni viene compensata mentre il gas
usa l’ossido di calcio per preparare condensa. Consideriamo il cloruro di berillio (BeCl2) (Figura 14.4). A temperature
l’ipoclorito di calcio [Ca(ClO)2] usato superiori a 900 °C, il composto è costituito da molecole lineari in cui due orbitali
per sbiancare la carta. Gli agricoltori
spargono la calce sui campi per “dol-
ibridi sp mantengono quattro elettroni attorno al Be centrale. Quando il cloruro di
cificare” il suolo acido. L’in­ du­stria berillio viene raffreddato, le molecole si legano, solidificando in lunghe catene, con
alimentare usa l’ossido di calcio per ciascun atomo di Be ibridato sp3 per raggiungere finalmente un ottetto elettronico.
neutralizzare i composti presenti nel
latte destinato alla preparazione di Relazioni diagonali: litio e magnesio
crema e burro e per neutralizzare le
impurezze presenti nello zucchero Uno dei modi più chiari in cui si evidenzia come le proprietà atomiche influenzano
grezzo. il comportamento chimico si manifesta nelle relazioni diagonali, similarità tra un

14txt.indd 470 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 471

Figura 14.4 Come viene


2p superata la carenza di elet-
troni nel cloruro di berillio. A.
3p Cl sp Be sp A temperature elevate, BeCl2 è
Cl 3p
una molecola gassosa con sol-
A 2p
tanto quattro elettroni attorno
a ciascun Be. B. Il BeCl2 solido
esiste in lunghe catene in cui
3p ciascun atomo Cl fa da ponte
3p
Cl tra due atomi Be, conferendo un
Cl 3p Cl
3p ottetto elettronico a ciascun Be.
sp 3 sp 3
Be Be Be Be
sp 3 sp 3
3p 3p
Cl Cl
3p Cl
3p
B

elemento del Periodo 2 e un elemento del Periodo 3 sito diagonalmente in basso a 1A 2A 3A 4A


(1) (2) (13) (14)
destra (Figura 14.5).
La prima delle tre relazioni di questo tipo esistenti si manifesta tra Li e Mg e 2 Li Be B
rispecchia la similarità nei raggi atomici e ionici. È importante notare che lo sposta-
mento verso il basso in un periodo corrisponde a un aumento nei raggi atomici (o ionici) Mg Al Si
3
e lo spostamento a destra in un gruppo ne causa la diminuzione. Così Li ha un raggio di
152 pm e Mg ha un raggio di 160 pm; il raggio di Li+ è 76 pm e quello di Mg2+ è
72 pm. Da proprietà atomiche simili derivano proprietà chimiche simili. Entrambi Figura 14.5 Tre relazioni
gli elementi formano nitruri con N2, idrossidi e carbonati che si decompongono diagonali nella tavola periodi-
ca. Certi elementi del Periodo 2
facilmente in seguito a riscaldamento, composti organici con un legame metallo-
presentano comportamenti che
carbonio covalente polare, e sali con solubilità simili. Esamineremo le relazioni sono assai simili a quelli degli
diagonali tra Be e Al e tra B e Si nei paragrafi successivi. elementi del Periodo 3 immedia-
tamente al di sotto e a destra.
Esistono tre di queste relazioni
Guardando indietro e avanti: i gruppi 1A(1), 2A(2) e 3A(13) diagonali: Li e Mg, Be e Al, B
In tutto questo capitolo, confrontare i gruppi precedenti, quelli attuali e quelli e Si.
successivi (Figura 14.6) aiuterà a tenere presenti le tendenze orizzontali (lungo i
perio­di) mentre si esaminano i gruppi verticali.
Non si osservano grandi variazioni nel passare dal Gruppo 1A(1) al Grup-
po 2A(2), e gli elementi si comportano come metalli sia fisicamente sia chimi- 1
Be
camente. Gli elementi del Gruppo 2A(2), con raggi atomici più piccoli e legami 2 Li
Mg
B
Al
metallici più forti, sono più duri, fondono a temperature più alte e sono più densi 3 Na
Ca
Ga
K
Periodo

4
rispetto a quelli nel Gruppo 1A(1). 5 Rb
Sr In

Quasi tutti i composti degli elementi 1A e la maggior parte dei composti 6 Cs


Ba Tl
Ra
degli elementi 2A sono ionici. La ca­rica ionica più elevata nel Gruppo 2A(2) (2+ 7 Fr
7A 8A
3A 4A 5A 6A
rispetto a 1+) determina energie reticolari più elevate e sali meno solubili. Lo 1 A 2A
(1) (2) (13 ) (14) (15
(1 8)
) (1 6) (1 7)

Gruppo
spettro di comportamento in 2A è più ampio che in 1A a causa di Be, ed è ancora
più ampio nel Gruppo 3A(13) dal boro metalloide al tallio metallico. Figura 14.6 Guardando
indietro al Gruppo 1A(1) e
avanti al gruppo 3A(13) dal
14.5 GRUPPO 3A(13): LA FAMIGLIA DEL BORO punto di vista del Gruppo
2A(2).
La terza famiglia di elementi dei gruppi principali contiene alcuni membri insoliti
e alcuni membri familiari, alcuni legami “esotici” e alcune proprietà fisiche strane.
Il capofamiglia è il boro (B), ma, come vedremo, le sue proprietà non rappresentano
di certo gli altri membri.
L’alluminio metallico (Al) ha proprietà che sono le più tipiche del gruppo, ma
la sua grande abbondanza e importanza contrastano con la rarità del gallio (Ga),
dell’indio (In) e del tallio (Tl). Le proprietà atomiche, fisiche e chimiche di questi
elementi sono riassunte nel Ritratto di famiglia del Gruppo 3A(13) (pp. 472-473). continua a pagina 474

14txt.indd 471 16/05/19 11:16


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 3A(13): la famiglia del boro
Proprietà atomiche e fisiche essenziali

LEGENDA ns 2np 1 Proprietà atomiche


B 800
Numero atomico
La configurazione elettronica del
Simbolo Al 577
gruppo è ns2np1. Tutti gli ele-
Massa atomica
menti, eccettuato Tl, presentano Ga 579
Valenza e
configurazione comunemen­te lo stato di ossidazio-
elettronica GRUPPO 3A(13) ne +3. Lo stato +1 In 558

Stati di
GRUPPO 3A(13) Raggio Raggio diventa più comune
atomico ionico 589
ossidazione (pm) (pm) via via che si scende Tl
comuni lungo il gruppo.
B 0 500 1000 1500 2000 2500
85 Il raggio atomico è Energia di prima ionizzazione (kJ/mol)

minore e l’elettrone-
5 Al Al3
143 54
gatività è maggiore
B che nel caso degli
elementi 2A(2); B
2,0
10,81 Ga Ga3
però, l’energia di
2s22p1 135 62 1,5
ionizzazione è più Al
(+3) bassa perché è più 1,6
Ga
In In3 facile rimuovere e−
13 167 80 dal sottolivello ener- 1,7
In
Al getico p superiore.
Tl
1,8
26,98 Tl Tl Il raggio atomico,
3s23p1 170 150 l’energia di ionizza- 0 1 2 3 4
(+3) zione e l’elettrone- Elettronegatività
gatività non variano dall’alto verso
31 il basso lungo il gruppo nel modo
che ci si attende a causa dell’inseri-
Ga mento degli elementi di tran­sizione e degli elementi di transizione interna.
69,72
4s24p1
(+3, +1) B 2180 a3650

Proprietà fisiche Al
2467
49 660
Il legame cambia da covalente 2403

In reticolare in B a metallico nel


resto del gruppo. Perciò, B ha una
Ga 29,8
2080
In
114,8 157
temperatura di fusione molto più
5s25p1 1457 Teb
alta rispetto agli altri elementi, Tl
304 Tf
(+3, +1)
ma non si osserva una tendenza
0 1000 2000 3000 4000
81
complessiva. La temperatura di Temperatura (°C)
ebollizione decresce dall’alto al
Tl
(Teb temperatura di ebollizione; Tf temperatura di fusione)
basso lungo il gruppo.
204,4
6s26p1 2,35
B
(+1)
2,70
Al La densità aumenta progressiva-
Foto: © McGraw-Hill mente dall’alto verso il basso lun-
Ga 5,90
Education/Stephen Frisch, go il gruppo.
photographer. 7,31
In
11,85

Tl

0 3 6 9 12
Densità (g/mL)

14txt.indd 472 16/05/19 11:16


Gruppo 3A(13): la famiglia del boro RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative
Le temperature necessarie per le reazioni degli elemen- L’acidità degli ossidi decresce dall’alto verso il basso lungo
ti (E) sono solitamente più alte di quelle richieste dagli il gruppo: B2O3 (debolmente acido) > Al2O3 > Ga2O3 >
elementi dei Gruppi 1A(1) e 2A(2). Si noti lo stato di In2O3 > Tl2O (fortemente basico), e l’ossido +1 è più basico
ossidazione inferiore di Tl. dell’ossido +3.
1. Gli elementi reagiscono lentamente, o non reagiscono 3. Tutti gli elementi del gruppo riducono gli alogeni (X2):
affatto, con l’acqua: 2E( s ) + 3X 2 ⎯ ⎯→ 2EX 3 (E = B, Al, Ga, In)
→ 2Ga 3+ ( aq ) + 6OH− ( aq ) + 3H2 ( g )
2Ga( s ) + 6H2O (calda ) ⎯ ⎯ 2Tl( s ) + X 2 ⎯ ⎯
→ 2TlX( s )
→ 2Tl+ ( aq ) + 2OH− ( aq ) + H2 ( g )
2Tl( s ) + 2H2O (vapore ) ⎯ ⎯ I trialogenuri BX3 sono composti covalenti volatili. I tria-
Al si ricopre di uno strato di Al2O3 che impedisce ulteriori logenuri di Al, Ga e In sono (in prevalenza) solidi ionici,
reazioni. ma esistono come dimeri covalenti nella fase gassosa;
l’atomo 3A raggiunge così un livello elettronico esterno
2. Quando vengono fortemente riscaldati in O2 puro, tutti
completo.
gli elementi formano ossidi:
Δ
  4E( s ) + 3O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2E2O3 ( s ) (E = B, Al, Ga, In)
Δ
   4Tl( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2Tl 2O( s )

14txt.indd 473 16/05/19 11:16


474 Capitolo 14

segue da pagina 471 In che modo gli elementi di transizione influenzano


le proprietà del Gruppo 3A(13)?
Il Gruppo 3A(13) è il primo del blocco p. Se si considerano soltanto i gruppi princi-
pali, gli elementi di questo gruppo sembrano distare soltanto un gruppo da quelli del
Gruppo 2A(2). Nel Periodo 4 e nei periodi superiori, però, un grande intervallo separa
i due gruppi (vedi Figura 8.13). L’intervallo contiene 10 elementi di transizione (bloc-
co d) in ciascuno dei Periodi 4, 5 e 6 e altri 14 elementi di transizione interna (blocco f)
nel Periodo 6. Si tenga presente che, come abbiamo visto nel Paragrafo 8.2, gli elettroni
d e f presentano pochissima penetrazione e quindi trascorrono pochissimo tempo nelle
vicinanze del nucleo. Perciò, gli elementi 3A più pesanti – Ga, In e Tl – hanno nuclei
con un numero molto maggiore di protoni, ma i loro elettroni esterni (s e p) sono scher-
mati soltanto parzialmente dalla carica positiva molto maggiore; di conseguenza, questi
elementi hanno valori di Zeff maggiori di quelli dei due elementi più leggeri nel gruppo.
Molte proprietà di questi elementi 3A più pesanti sono influenzate dall’attrazio-
ne nucleare più forte. La Figura 14.7 mette a confronto alcune proprietà del Grup-
po 3A(13) con quelle del Gruppo 3B(3) (il primo gruppo di elementi di transizione),
in cui non sono stati aggiunti i protoni addizionali del blocco d e del blocco f.
È importante notare i cambiamenti regolari presentati dagli elementi 3B, con-
trapposti agli andamenti irregolari presentati dagli elementi in 3A. Le deviazioni
per Ga rispecchia­no la contrazione delle dimensioni del blocco d e possono essere
spiegate con la li­mitata schermatura, per opera degli elettroni d, dei 10 protoni
Figura 14.7 L’effetto degli
elementi di transizione sulle
proprietà: Gruppo 3B(3) rispet- 200
Raggio atomico (pm)

to a Gruppo 3A(13). I protoni 3A(13)


180
addizionali nei nuclei degli ele- 3B(3)
menti di transizione esercitano 160 effetto del blocco f
un’attrazione eccezionalmente
A 140
forte perché gli elettroni d e f
schermano scarsamente la carica 120 effetto del blocco d
nucleare. Questa maggiore cari-
ca nucleare effettiva influenza 100
gli elementi del blocco p nei 80
7000
Energia di ionizzazione
totale per E3+ (kJ/mol)

Periodi 4÷6, come si può vedere


confrontando le proprietà del effetto del blocco f
6000 effetto del blocco d
Gruppo 3B(3), il primo gruppo
dopo il blocco s, con quelle del
Gruppo 3A(13), il primo gruppo B 5000
dopo il blocco d. A. Raggio ato-
mico. Nel Gruppo 3B, il raggio 4000
aumenta in modo regolare, men-
tre nel Gruppo 3A i raggi di Ga 3000
e Tl sono più piccoli del previsto. 2,0
Elettronegatività

B. Energia di ionizzazione totale 1,8


effetto del blocco d
di E3+. Le deviazioni del raggio effetto del blocco f
atomico determinano deviazioni 1,6
dell’energia di ionizzazione (Ei) C
totale (Ei1 + Ei2 + Ei3). Si noti 1,4
la diminuzione regolare per il
1,2
Gruppo 3B e i valori inaspetta-
tamente più alti per Ga e Tl nel 1,0
Gruppo 3A. C. Elettronegatività. 0
Le deviazioni del raggio atomico – 200
rendono Ga e Tl più elettrone- effetto del blocco d
ΔHf0 di EBr3

effetto del blocco f


gativi del previsto. D. Calore di – 400
formazione di EBr3. I più alti D
valori dell’energia di ionizzazione – 600
per Ga e Tl significano che viene
– 800
liberato meno calore in seguito
20 40 60 80
alla formazione del composto
– 1000
ionico e quindi i valori assoluti di
B Al Sc Ga Y In La Tl
ΔH0f per GaBr3 e TlBr3 sono più
piccoli del previsto. Numero atomico

14txt.indd 474 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 475

addizionali della prima serie di transizione. Analogamente, le deviazioni per Tl


rispecchiano la contrazione del blocco f (contrazione lantanidica) e possono essere
• Arseniuro di gallio: la
pros­
sima generazione di
spiegate con la limitata schermatura, per opera degli elettroni f, dei 14 protoni ad- semiconduttori Il gallio trova
dizionali della prima serie di transizione interna. oggi un importante impiego nella
produzione del semiconduttore
Le proprietà fisiche sono influenzate dal tipo di legame che si forma nell’ele- arseniuro di gallio (GaAs). Uno dei
mento. Il boro è un metalloide covalente reticolare: nero, duro, con una tempera- fatto­­ri che limitano l’efficienza dei
tura di fusione molto elevata. Gli altri elementi del gruppo sono metalli: lucenti e mi­ cro­ processori per computer è
relativamente teneri, con una temperatura di fusione bassa. La bassa densità e i tre la velocità a cui gli elettroni sono
elettroni di valenza fanno dell’alluminio un conduttore elettrico eccezionale: per una in grado di muoversi, ed essi sono
capaci di muoversi attraverso i
data massa, l’alluminio conduce corrente elettrica con un’efficienza pari al doppio microprocessori basati sul GaAs a
di quella del rame. Il gallio ha il più ampio intervallo di temperature in cui è allo una velocità pari a 10 volte quella a
stato liquido rispetto a qualsiasi altro elemento: fonde a una temperatura uguale alla cui si muovono nei microprocessori
temperatura corporea umana ma non bolle fino a 2403 °C (vedi Figu­ra 9.22). Il suo basati sul Si. I microprocessori basa-
legame metallico è troppo debole per mantenere fissi gli atomi di Ga quando il solido ti sul GaAs hanno anche proprietà
ottiche nuove: generano una cor-
viene riscaldato, ma è sufficientemente forte da impedire loro di fuggire dal solido rente quando assorbono la luce e,
quando questo viene riscaldato finché la sua tempe­ratura non diventa molto alta. viceversa, emettono luce in seguito
all’applicazione di una corrente. I
Quali nuove caratteristiche compaiono nelle proprietà dispositivi a GaAs sono già usati nei
computer e negli orologi da polso
­chimiche del Gruppo 3A(13)? alimentati dalla luce e nei pannelli
Guardando lungo il Gruppo 3A(13), si vede un ampio spettro di comportamento solari. Inoltre i laser a GaAs sono
molto più piccoli e più potenti
chi­mico. Il boro, il membro anomalo del Periodo 2, è il primo metalloide che ab- degli altri tipi di laser a semicondut-
biamo incontrato finora ed è l’unico nel gruppo. A temperatura ambiente è molto tore.
meno reattivo degli altri membri del gruppo e forma esclusivamente legami cova-
lenti. Benché l’alluminio si comporti fisicamente come un metallo, i suoi alogenuri
esistono in fase gassosa come dimeri covalenti – molecole formate dall’unione di
due molecole identiche più piccole (Figura 14.8) – e il suo ossido è anfotero anzi-
ché basico. La maggior parte degli altri composti degli elementi 3A sono ionici, ma
hanno un carattere più covalente rispetto ai composti degli elementi 2A simili. Gli
ioni degli elementi 3A, essendo più piccoli e più carichi degli ioni degli elementi
2A, polarizzano più efficientemente la nuvola elettronica anionica.
Il comportamento redox degli elementi di questo gruppo offre l’opportunità di
notare tre principi generali che compaiono nei Gruppi 3A(13) ÷ 6A(16).
1. Presenza di stati di ossidazione multipli. Molti degli elementi più grandi in questi
gruppi hanno anche un importante stato di ossidazione il cui numero è di 2 inferiore
a quello del gruppo A. Lo stato di ossidazione inferiore ha luogo quando gli atomi
perdono soltanto i loro elettroni np, non i loro due elettroni ns. Questo fatto è noto
come effetto della coppia inerte (Paragrafo 8.5), ma nulla ha a che fare con un’inerzia
degli elettroni ns; per esempio, gli elettroni 6s nel Tl vengono ceduti più facilmente
rispetto agli elettroni 4s nel Ga. Il motivo di questa frequente comparsa dello stato
di ossidazione inferiore è correlato alle energie di legame dei composti. L’energia
di legame decresce con il raggio atomico e quindi cresce la lunghezza di legame.
Consideriamo il legame Tl-Cl. È relativamente lungo e debole, e occorre più energia
per rimuovere i due elettroni 6s da Tl+ per formare Tl3+ rispetto a quanta ne venga
liberata quando si formano due legami Tl-Cl più deboli nel TlCl3. In realtà, TlCl3 è
così instabile che si decompone facilmente in Cl2 gassoso e TlCl.
Cl
2. Crescente prevalenza dello stato di ossidazione inferiore. Quando un gruppo presenta Cl Cl
più di uno stato di ossidazione, la prevalenza dello stato inferiore aumenta via via che Al Al
si scende lungo il gruppo. Per esempio, nel Gruppo 3A(13) tutti gli elementi presen- Cl Cl
Cl
tano lo stato +3, ma lo stato +1 compare per primo nel caso di alcuni composti del
gallio e diventa l’unico stato importante del tallio. Figura 14.8 Struttura dime-
rica del cloruro di alluminio
3. Basicità relativa degli ossidi. In generale, gli ossidi con l’elemento in uno stato di os-
gassoso. Nonostante il nome,
sidazione inferiore sono più basici degli ossidi con l’elemento in uno stato di ossidazione il tricloruro di alluminio esiste
superiore. Un buon esempio nel Gruppo 3A è il fatto che In2O è più basico di In2O3. in fase gassosa come dimero,
In generale, quando un elemento ha più di uno stato di ossidazione, il suo compor- Al2Cl6.

14txt.indd 475 16/05/19 11:16


476 Capitolo 14

tamento è più simile a quello di un metallo nel suo stato inferiore, e anche questo fatto
è in relazione con la densità di carica ionica. In questo esempio, la minore carica di
In+ non polarizza lo ione O2− tanto quanto faccia la maggiore carica di In3+. Perciò,
nei composti di formula generale E2O, il legame di E con O è più ionico di quanto
sia nei composti di formula generale E2O3, cosicché lo ione O2− è più disponibile
per agire come base (vedi “Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli elementi”,
pagina 453).

Punti salienti della chimica del boro


Come nel caso degli altri elementi del Periodo 2, il comportamento chimico del boro
è sorprendentemente diverso da quello degli altri membri del suo gruppo. Come
abbia­mo osservato precedentemente, tutti i composti del boro sono covalenti, e, a dif-
ferenza degli altri elementi del Gruppo 3A(13), il boro forma composti covalenti
reticolari, ossia grandi molecole, con metalli, H, O, N e C. La caratteristica unificante
di molti composti del boro è la loro carenza (o deficienza) di elettroni, ma il boro adotta
due strategie per riempire il livello esterno: accettare una coppia di legame da un
atomo ricco di elettroni e formare legami a ponte con atomi poveri di elettroni.
Accettare una coppia di legame da un atomo ricco di elettroni Nei trialo-
genuri gassosi del boro (BX3), l’atomo B è povero di elettroni (o elettrondeficiente),
essendo circondato soltanto da sei elettroni (Paragrafo 10.1). Per raggiungere un
ottetto elettronico, l’atomo B accetta una coppia solitaria (lone pair) di elettroni da
un atomo ricco di elettroni e forma un legame covalente:

BF3(g) + NH3(g) ⎯→ F3B ⎯ NH3(g)

(Queste reazioni, in cui un reagente accetta una coppia di elettroni da un altro per
formare un legame covalente, sono molto diffuse nei processi inorganici, organici e
biochimici. Sono note come reazioni acido-base di Lewis; le esamineremo nel Capito-
lo 18 e vedremo esempi di esse in tutta la seconda metà di questo volume).
Analogamente, B ha soltanto sei elettroni nell’acido borico, B(OH)3 (indicato
talvolta con la notazione H3BO3). In acqua, l’acido stesso non rilascia un protone;
invece, accetta una coppia di elettroni da O in H2O, formando un quarto legame e
rilasciando uno ione H+:

B(OH)3 ( s ) + H2O( l )   B(OH)−4 ( aq ) + H+ ( aq )




Il livello elettronico esterno del boro è completo nell’ampia varietà di sali borati,
come il borato di sodio (borace), Na2[B4O5(OH)4] ⋅ 8H2O, usato da secoli come deter-
gente casalingo.
Il boro raggiunge un ottetto elettronico anche in parecchi composti boro-azoto le
cui strutture sono sorprendentemente simili a quella del carbonio elementare e di al-
cuni dei suoi composti organici (Figura 14.9). Queste similarità sono dovute al fatto che

• Borati in laboratorio Il
il raggio, l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività di C sono compresi tra quelli di
B e quelli di N (vedi Tabella 14.1). Inoltre, C ha quattro elettroni di valenza, mentre B
⋅ ⋅ ⋅ ⋅
riscaldamento forte dell’acido borico
ne ha tre e N ne ha cinque, cosicché i gruppi ⋅ C — C⋅ e ⋅ B —N⋅ hanno lo stesso numero
(o dei borati) separa le molecole d’ac- ⋅ ⋅ ⋅ ⋅
qua e dà ossido di boro: 2B(OH)3(s) di elettroni di valenza. Perciò, H3C CH3 (etano) e H2B NH3 (amminoborano) sono
Δ isoelettronici, così come lo sono il benzene e la borazina (Figura 14.9A e B).
⎯⎯ → B2O3(l) + 3H2O(g). L’ossido
fuso scioglie gli ossidi metallici per Il nitruro di boro (Figura 14.9C) ha una struttura costituita da esagoni fusi a
formare vetri borati. Quando viene formare strati, assai simile a quella della grafite. Inoltre, come nella grafite, i suoi
miscelato con silice (SiO2), forma
vetro borosilicato. Grazie alla sua
elettroni π sono altamente delocalizzati per risonanza. Però, i calcoli degli orbitali
trasparenza e alla piccola variazio- molecolari indicano che nel nitruro di boro esiste un ampio gap di energia tra la
ne delle dimensioni in seguito a banda di valenza completa e la banda di conduzione vuota, intervallo che non esi-
riscaldamento o a raffreddamento, il ste nella grafite (vedi Figura 12.37).
vetro borosilicato serve a fabbricare Di conseguenza, il nitruro di boro è un isolante elettrico di colore bianco,
recipienti di vetro per la cottura dei
cibi e per gli usi di laboratorio.
mentre la grafite è un conduttore elettrico di colore nero. A pressione e tempera-
(Foto: © McGraw-Hill Education/ tura elevate, il nitruro di boro forma borazone (Figura 14.9D), che ha una struttura
Stephen Frisch, photographer). cristallina simile a quella del diamante ed è estremamente duro e abrasivo.

14txt.indd 476 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 477

COMPOSTO
DEL CARBONIO

etano (C2H6)
benzene (C6H6)
diamante C
grafite

ANALOGO BN

amminoborano (BNH6)

borazina (B3N3H6)
borazone N B
A B C nitruro di boro D

Figura 14.9 Similarità fra sostanze contenenti legami C C e sostanze contenenti legami B N. Si noti che, in ciascun
caso, B raggiunge un ottetto elettronico legandosi con N ricco di elettroni. A. L’etano e il suo analogo BN. B. Il benzene e la
borazina, detta spesso “benzene inorganico”. C. La grafite e la simile struttura esagonale estesa del nitruro di boro. D. Il diaman-
te e il borazone hanno la stessa struttura cristallina e sono tra le sostanze più dure che si conoscano.

Formare legami a ponte con atomi poveri di elettroni Nel boro elementare
e nei suoi molti idruri (borani) non c’è un atomo ricco di elettroni che fornisca
elettroni al boro. In queste sostanze il boro raggiunge un ottetto elettronico me-
diante la formazione di qualche legame insolito. Per esempio, nel diborano (B2H6) e
in molti diborani più grandi esistono due tipi di legame B H. Il primo tipo è un
tipico legame mediante condivisione di una coppia di elettroni. La rappresentazio-
ne del legame di valenza nella Figura 14.10 mostra un orbitale di B sovrapposto
all’orbitale 1s di H in ciascuno dei quattro legami B H terminali, usando due dei
tre elettroni nel livello di valenza di ciascun atomo B.
L’altro tipo di legame è un legame a ponte negli idruri (o legame a tre centri e
due elettroni), in cui ciascun gruppo B H B è tenuto unito soltanto da due elettroni.
Due orbitali sp3, uno da ciascun B, si sovrappongono a un orbitale 1s di H tra di essi.

H Figura 14.10 I due tipi di


H H legame covalente nel dibora-
B B
no. A. Una rappresentazione in
H H prospettiva di B2H8 mostra l’in-
A H
solito legame a ponte B H B
legame a ponte e la disposizione tetraedrica
H attorno a ciascun atomo B.
B. Una rappresentazione dei
H
H legami di valenza mostra cia-
legami sp 3 sp 3 sp 3 sp 3 legami scun atomo B ibridato sp3 che
normali B B sp 3 normali
sp 3 forma legami covalenti normali
sp 3 sp 3
H H con due atomi di idrogeno e due
legami a ponte, in cui due elet-
H troni legano tre atomi, a livello
dei due gruppi B H B cen-
B legame a ponte
trali.

14txt.indd 477 16/05/19 11:16


478 Capitolo 14

Due elettroni si muovono attraverso questo orbitale di legame esteso – uno provenien-
te da uno degli atomi B e l’altro dall’atomo H – e uniscono i due atomi B tramite il
ponte costituito dall’atomo H. È importante notare che ciascun atomo B è circondato da
otto elettroni: quattro forniti dai due legami B H normali e quattro dai due legami a
ponte B H B. In molti borani e nel boro elementare (Figura 14.11), un atomo B lega
a ponte altri due atomi B in un legame B B B a tre centri e due elettroni.

A unità B12 Relazioni diagonali: berillio e alluminio


Il berillio nel Gruppo 2A(2) e l’alluminio nel Gruppo 3A(13) sono un’altra coppia di ele-
menti tra cui intercorre una relazione diagonale. Entrambi formano ossoanioni in una
base forte: berillato, Be(OH)42−, e alluminato, Al(OH)4−. Entrambi hanno legami a ponte
nei loro idruri e cloruri. Entrambi formano rivestimenti di ossido impermeabili alla
reazione con l’acqua, ed entrambi gli ossidi sono anfoteri, estremamente duri e altofon-
denti. Benché i raggi atomici e ionici di questi elementi siano diversi, i piccoli ioni Be2+
e Al3+, altamente carichi, polarizzano fortemente le nuvole elettroniche vicine. Perciò,
B B5H9 alcuni composti di Al e tutti i composti di Be hanno un rilevante carattere covalente.

Figura 14.11 L’icosaedro 14.6 GRUPPO 4A(14): LA FAMIGLIA DEL CARBONIO


del boro e uno dei borani.
A. L’unità strutturale icosaedri- Nel Gruppo 4A(14) si osserva l’intero spettro di comportamento degli elementi:
ca del boro elementare. B. La viene per primo il carbonio (C), un non metallo, seguito dai metalloidi silicio (Si)
struttura di B5H9, uno di molti e germanio (Ge), con i metalli stagno (Sn) e piombo (Pb) in fondo al gruppo. Le in-
borani.
formazioni sui composti del C e del Si riempiono biblioteche: la chimica organica,
la maggior parte della chimica dei polimeri e la biochimica si basano sul carbonio,
mentre la geochi­mica e alcune tecnologie dei polimeri ed elettroniche estrema-
mente importanti si basano sul silicio. Il Ritratto di famiglia del Gruppo 4A(14)
(pagine 480 e 481) riassume le proprietà atomiche, fisiche e chimiche del gruppo.

In che modo il legame in un elemento influenza le proprietà


fisiche?
Gli elementi del Gruppo 4A(14) e i loro vicini nei Gruppi 3A(13) e 5A(15) illustrano
come le proprietà fisiche, quali la temperatura di fusione e il calore di fusione (ΔHfus),
dipendono dal tipo di legame in un elemento (Tabella 14.2). All’interno del Grup-
po 4A(14), la grande diminuzione della temperatura di fusione tra i solidi a reticolo co-
valente C e Si è dovuta ai legami più lunghi e più deboli nella struttura del Si; la grande
diminuzione di Tf tra Ge e Sn è dovuta al cambiamento dal legame covalente reticolare
al legame metallico. Analogamente, guardando nella direzione orizzontale, i grandi
aumenti della temperatura di fusione e di ΔHfus lungo un periodo tra Al e Si e tra Ga
e Ge rispecchiano il cambiamento da legame metallico a legame covalente reticolare.
È importante notare i bruschi aumenti dei valori di queste proprietà passando dai me-
talli Al, Ga e Sn ai metalloidi covalenti reticolari Si, Ge e Sb, e le brusche diminuzioni
passando dai reticoli covalenti di C e Si alle singole molecole di N e P nel Gruppo 5A.

Tabella 14.2 Tipo di legame e processo di fusione nei Gruppi 3A(13), 4A(14) e 5A(15)
Periodo

Gruppo 3A(13) Gruppo 4A(14) Gruppo 5A(15) Legenda


Tipo di Temperatura Tipo di Temperatura Tipo di Temperatura
Elemento legame di fusione 'Hfus Elemento legame di fusione 'Hfus Elemento legame di fusione 'Hfus metallico
(qC) (kJ/mol) (qC) (kJ/mol) (qC) (kJ/mol)
Molto reticolo
2 B 2180 23,6 C 4100 N –210 0,7 covalente
alta
molecola
3 Al 660 10,5 Si 1420 50,6 P 44,1 2,5 covalente

4 Ga 30 5,6 Ge 945 36,8 As 816 27,7 metallo

5 In 157 3,3 Sn 232 7,1 Sb 631 20,0 metalloide

6 Tl 304 4,3 Pb 327 4,8 Bi 271 10,5 non metallo

14txt.indd 478 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 479

Allotropia: differenti forme di un elemento Sorprendenti variazioni delle 106


proprietà fisiche si osservano spesso tra gli allotropi, differenti forme cristalline 105
diamante
o molecolari di una sostanza. Un allotropo è di solito più stabile di un altro a una liquido

Pressione (atm)
104
particolare pressione e temperatura. Il Gruppo 4A(14) offre il primo esempio im-
pressionante di allotropia nelle forme del carbonio. È difficile immaginare due so- 103
grafite
stanze costituite interamente dalla stessa specie atomica che siano più diverse della 102
grafite e del diamante. La grafite è un conduttore elettrico nero, tenero e “untuoso”,
101 vapore
mentre il diamante è un isolante elettrico incolore estremamente duro. La grafite
è lo stato normale del carbonio, la forma più stabile a temperatura e pressione or- 100
0 2000 4000 6000
dinarie, come mostrato dal diagramma di fase nella Figura 14.12. Per fortuna dei
Temperatura (°C)
proprietari di gioielli, il diamante si trasforma in grafite a una velocità trascurabile
in condizioni normali. Figura 14.12 Diagramma di
Alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso destò grande interesse un fase del carbonio. La grafite è
la forma di carbonio più stabile
allotropo del carbonio da poco scoperto. L’analisi della fuliggine condotta con
in condizioni ordinarie (circo-
la spettrometria di massa aveva indicato la presenza di una molecola a forma di letto rosso in basso all’estrema
pallone da calcio e di formula C60 (Figura 14.13A; vedi anche la scheda Bellezza sinistra). Il diamante è più stabi-
molecolare: forme strane con funzioni utili, Capitolo 10). Indagini più recenti hanno le a pressioni molto alte.
rivelato la presenza di questa molecola in campioni geologici formati dall’urto di
meteoriti, anche da quello avvenuto al tempo dell’estinzione dei dinosauri. La
molecola è stata denominata buckminsterfullerene (informalmente buckyball), in
omaggio all’architetto R. Buckminster Fuller, che aveva progettato strutture di
forma simile (cupole geodetiche a moduli pentagonali o esagonali). L’eccitazione
aumentò nel 1990, quando gli scienziati impararono a preparare quantità di C60 e
dei fullereni correlati dell’ordine dei grammi, sufficienti per studiarne il compor-
tamento macroscopico e le possibili applicazioni. Da allora sono stati incorporati
nella struttura dei fullereni atomi metallici e sono stati legati molti differenti
gruppi (fluoro, ossidrile, zuccheri ecc.) per preparare composti con un’ampia gam-
ma di proprietà utili.
Poi, nel 1991, gli scienziati fecero passare una scarica elettrica attraverso bac-
chette di grafite sigillate in un recipiente in un’atmosfera di elio gassoso e otten-
nero tubi si­mili a grafite (1 nm di diametro) con fullereni alle estremità (Figu­
ra 14.13B). Questi nanotubi sono rigidi e, a parità di massa, sono molto più resistenti
dei tubi d’acciaio lungo l’asse longitudinale. Inoltre, essi conducono corrente elet-
trica lungo l’asse longitudinale in virtù degli elettroni delocalizzati. Resoconti sui
fullereni e sui nanotubi compaiono quasi giornalmente nei periodici scientifici. Con
potenziali applicazioni nell’elettronica, nella catalisi, nei polimeri e nei farmaci su
nanoscala, la chimica dei fullereni e dei nanotubi riceverà crescente attenzione nel
corso del XXI secolo.
Lo stagno ha due allotropi. Lo stagno β bianco è stabile a temperatura ambiente
e a temperature superiori, mentre lo stagno α grigio è la forma più stabile a tem-
perature inferiori a 13 °C. Quando lo stagno bianco viene tenuto per lungo tempo
a bassa temperatura, una parte di esso si converte in microcristalli di stagno grigio. continua a pagina 482

Figura 14.13 Buckyball e


nanotubi. A. La madre dei
fullereni, la “buckyball”, è una
molecola a forma di pallone da
calcio costituita da 60 atomi
di carbonio. B. I nanotubi sono
singoli tubi o, come è mostrato
in questa fotografia (colora-
ta) al microscopio elettronico,
tubi concentrici simili a grafite
con estremità di fullerene (vedi
scheda Bellezza molecolare:
forme strane con funzioni utili,
A B Capitolo 10).

14txt.indd 479 16/05/19 11:16


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 4A(14): la famiglia del carbonio
Proprietà atomiche e fisiche essenziali

LEGENDA ns2np2 Proprietà atomiche


1086
C
Numero atomico
La configurazione elettronica del 786
Simbolo Si
Massa atomica gruppo è ns2np2. Il numero di stati di
761
ossidazione decresce dall’alto verso Ge
Valenza e
configurazione il basso lungo il gruppo, mentre 708
Sn
elettronica lo stato inferiore
Stati di
GRUPPO 4A(14) Raggio Raggio
GRUPPO 4A(14)
(+2) diventa più Pb
715
ossidazione atomico ionico
comuni (pm) (pm) comune.
0 500 1000 1500 2000 2500
Il raggio atomico
C e il raggio ioni- Energia di prima ionizzazione (kJ/mol)
77 co aumentano
6 dall’alto verso
Si
C 11 8
il basso lungo il
gruppo. A causa
12,01 dell’inserimento
2s22p2 Ge
degli elementi
(−4, +4, 122
di transizione e
+2) degli elementi
Sn Sn2+ di transizione
14 140 118 interna, l’energia
Si di ionizzazione e
l’elettronegatività
28,09 Pb Pb2+ non decrescono in
3s23p2 146 119 modo regolare.
(−4, +4)

32

Ge C
Instabile
4100
72,61 ∼3280
4s24p2 Proprietà fisiche Si
1420
2850
(+4, +2) Le tendenze nelle proprietà Ge
945
fisiche, quali la diminuzione della 2623
50 Sn
durezza e della temperatura di 232

Sn
1751 Teb
fusione, sono dovute a variazioni Pb Tf
327
nei tipi di legame all’interno del
118,7 solido: reticolo covalente in C, Si 0 1000 2000 3000 4000
5s25p2 e Ge, legame metallico in Sn e Pb
Temperatura (°C)

(+4, +2) (vedi testo).


(Teb = temperatura di ebollizione; Tf = temperatura di fusione)

82

Pb 2,27
C
207,2
6s26p2 Si
2,34
(+4, +2)
5,32 La densità cresce dall’alto verso
Ge
114 Flerovio: osservato il basso lungo il gruppo a causa
per la prima volta 7,26 di vari fattori, comprendenti
Fl durante
Sn
1 1,34 differenze nell’impaccamento
esperimenti Pb cristallino.
(289)
7s27p2 condotti a Dubna,
in Russia, nel 1998 0 3 6 9 12
Densità (g/mL)

Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 480 16/05/19 11:16


o Gruppo 4A(14): la famiglia del carbonio RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative
1. Gli elementi di questo gruppo vengono ossidati dagli 3. Gli idrocarburi reagiscono con O2 per formare CO2 e
alogeni: H2O. La reazione per il metano può essere utilizzata per
E( s ) + 2X 2 ⎯ ⎯
→ EX 4 (E = C, Si, Ge) generare calore o energia elettrica:
Gli alogenuri +2 sono più stabili nel caso dello stagno e del CH4 ( g ) + 2O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO 2 ( g ) + 2H2O( g )
piombo: SnX2 e PbX2. 4. La silice viene ridotta per formare silicio elementare:
2. Gli elementi di questo gruppo vengono ossidati da O2:
SiO2 ( s ) + 2C( s ) ⎯ ⎯
→ Si( s ) + 2CO( g )
E( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ EO2 (E = C, Si, Ge, Sn)
Pb forma l’ossido +2, PbO. Gli ossidi diventano progres- Il silicio grezzo è reso ultrapuro mediante la raffinazione
sivamente più basici dall’alto verso il basso lungo il a zone (vedi la scheda Proprietà colligative nell’industria e
gruppo. La reazione di CO2 e H2O è la causa della debole in biologia, Capitolo 13) per la
acidità delle acque naturali non inquinate: fabbricazione di microproces-
sori (chip) per computer (vedi

CO 2 ( g ) + H2O( l )  
 [H2CO3 ( aq )] fotografia).
Microprocessore per computer.
  H+ ( aq ) + HCO−3 ( aq )


(Foto: © D. Hurst/Alamy Stock Photo).

14txt.indd 481 16/05/19 11:16


482 Capitolo 14

segue da pagina 479 La formazione e la crescita casuale di queste regioni di stagno grigio, che hanno una
differente struttura cristallina, indeboliscono il metallo facendolo sgretolare. Nelle
cattedrali non riscaldate dell’Europa settentrionale medievale, le canne di stagno
degli organi talvolta si sgretolavano in conseguenza della “malattia dello stagno”
causata da questa transizione allotropica dallo stagno bianco allo stagno grigio.

Come cambia il tipo di legame nei composti degli elementi


del Gruppo 4A(14)?
Gli elementi del Gruppo 4A(14) presentano un ampio spettro di comportamento chi­
mico, dai composti covalenti del carbonio ai composti ionici del piombo. A causa
della sua elettronegatività intermedia, pari a 2,5, il carbonio forma quasi sempre lega-
mi covalenti, ma gli elementi più grandi del gruppo formano legami con crescente
carattere ionico. Si e Ge formano legami covalenti polari forti con i non metalli, per
esempio il legame Si O è uno dei più forti tra quelli formati da ogni elemento del
Periodo 3 (energia di legame = 368 kJ/mol). Questo legame è responsabile della sta-
bilità fisica e chimica della superficie solida della Terra, come vedremo più avanti in
questo paragrafo. Anche se raramente esistono singoli ioni Sn o Pb, il legame dell’uno
o dell’altro elemento con un non metallo ha un considerevole carattere ionico.
Compare anche qui l’andamento regolare di elementi con più di uno stato di
ossidazione che abbiamo osservato per la prima volta nel Gruppo 3A(13). Dopo il
silicio, si ha uno spostamento verso una maggiore importanza degli stati di ossi-
dazione inferiori: i composti di Si a stato di ossidazione +4 sono molto più stabili
di quelli a stato +2, mentre i composti di Pb a stato di ossidazione +2 sono più
stabili di quelli a stato +4. Inoltre, negli stati di ossidazione inferiori gli elementi
hanno un comportamento più simile a quello dei metalli. Consideriamo i cloruri
e gli ossidi di Sn e di Pb. I cloruri a stato di ossidazione +2, SnCl2 e PbCl2, sono
cristalli bianchi, relativamente altofondenti, idrosolubili: proprietà tipiche di un
sale (Figura 14.14). Per contro, SnCl4 è un liquido volatile, solubile nel benzene,
e PbCl4 è un olio termicamente instabile. Entrambi sono costituiti probabilmente
da singole molecole tetraedriche. Gli ossidi +2, SnO e PbO sono più basici degli
ossidi +4, SnO2 e PbO2, perché i metalli +2 sono meno capaci di polarizzare lo
ione O2−, co­sicché il legame di E con O è più ionico.

Punti salienti della chimica del carbonio


Come gli altri elementi del Periodo 2, il carbonio è un’anomalia nel suo gruppo; in
real­tà, può essere un’anomalia nell’intera tavola periodica. Il carbonio forma legami
con i più piccoli metalli dei Gruppi 1A(1) e 2A(2), con molti metalli di transizione,
con gli alogeni e con i suoi vicini B, Si, N, O, P e S. Inoltre, presenta ogni possibile stato
di ossidazione per il suo gruppo, da +4 in CO2 e in alogenuri come CCl4 a −4 in CH4.
Nella chimica del carbonio spiccano due caratteristiche: la capacità di legarsi
ad altri atomi di carbonio in un processo noto come catenazione e la capacità di
formare legami multipli. In virtù delle sue piccole dimensioni e della sua capacità
Figura 14.14 Il maggio-
re carattere metallico dello di formare quattro legami, il carbonio può formare catene, ramificazioni e anelli che
stagno e del piombo nello danno ori­gine a una miriade di strutture. Si aggiunga un bel po’ di H, un po’ di O e di
stato di ossidazione inferiore. N, un pochino di S, P e alogeni e alcuni metalli e si otterrà l’intero mondo organico!
I metalli con più di uno stato
di ossidazione presentano un
comportamento più metallico
nello stato di ossidazione infe-
riore. I cloruri di stagno(II) e di
piombo(II) sono solidi cristallini
bianchi. Per contro, i cloruri di
stagno(IV) e piombo(IV) sono
liquidi volatili, la qual cosa
indica la presenza di molecole
singole. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tographer).

14txt.indd 482 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 483

La Figura 14.15 mostra tre dei numerosi milioni di composti organici che si cono- Figura 14.15 Tre dei
scono. I legami multipli sono comuni nelle strutture del carbonio perché il legame molti milioni di composti
C C è sufficientemente corto da permettere la sovrapposizione da lato a lato di organici noti del carbonio.
L’acrilonitrile, un precursore
due orbitali 2p semioccupati per formare legami π. (Nel Capitolo 15, disponibile sul delle fibre acriliche. Il PCB, uno
sito web del volume, esamineremo in dettaglio come le proprietà atomiche del dei bifenili policlorurati. La lisi-
carbonio danno ori­gine alla differente struttura e reattività dei composti organici). na, uno di circa 20 amminoacidi
Poiché gli altri elementi 4A sono più grandi del carbonio, i legami E E diventano che sono presenti nelle proteine.
progressivamente più lunghi e più deboli dall’alto al basso lungo il gruppo; perciò,
la forza di legame diminuisce nell’ordine, C C > Si Si > Ge Ge. Gli orbitali d
vuoti di questi atomi più grandi rendono le catene molto più suscettibili all’attacco
chimico. Per esempio, si conoscono alcuni composti con lunghe catene di Si, ma
essi sono molto reattivi, e la catena di Ge più lunga ha soltanto otto atomi. Inoltre,
i legami più lunghi di solito non permettono una sufficiente sovrapposizione degli
orbitali p per formare legami π. Soltanto recentemente sono stati preparati compo-
sti con legami π tra atomi Si e atomi Ge, ma anche essi sono estremamente reattivi.
A differenza dei suoi composti organici, i composti inorganici del carbonio
sono semplici. I carbonati metallici sono la principale forma minerale. Il marmo,
il calcare, il corallo e parecchi altri tipi di carbonati sono presenti in enormi
giacimenti in tutto il mondo. Molti di questi composti sono resti di organismi
marini fossilizzati. I carbonati sono usati in parecchi antiacidi di uso comune
perché reagiscono con HCl nell’acido gastrico:

CaCO3 ( s ) + 2HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ CaCl 2 ( aq ) + CO 2 ( g ) + H2O( l )

Reazioni ioniche nette identiche con acido solforico e acido nitrico proteggono i
laghi delimitati da depositi di calcare contro gli effetti dannosi delle pioggie acide.
A differenza degli altri elementi 4A, che formano soltanto ossidi covalenti reti-
colari o ossidi ionici, solidi, il carbonio forma due ossidi gassosi comuni, il diossido di
carbonio (comunemente detto anidride carbonica), CO2, e il monossido di carbonio,
CO. Il diossido di carbonio è essenziale per tutte le forme di vita: è la principale
fonte di carbonio nelle piante, attraverso la fotosintesi, e negli animali, poiché si nu-
trono di piante. La sua soluzione acquo­sa è la causa dell’acidità nelle acque naturali.
Però, la sua accumulazione nell’atmosfera per effetto della deforestazione e dell’ec-
cessivo uso di combustibili fossili (carbone fossile, petrolio e gas naturale) può avere
un profondo effetto sul clima planetario. Il monossido di carbonio si forma quando il
carbonio o i suoi composti bruciano in presenza di una quantità insufficiente di O2:

2C( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2CO( g )

14txt.indd 483 16/05/19 11:16


484 Capitolo 14

Il monossido di carbonio è un componente essenziale dei gas di sintesi (syngas)


combustibili (vedi scheda Chimica nelle scienze ambientali, p. 199) ed è ampiamente
usato nella produzione di metanolo (alcol metilico), formaldeide e altri importanti
composti industriali.
Il monossido di carbonio si lega fortemente a molti metalli di transizione.
Quando viene inalato nel fumo di sigaretta o nell’aria inquinata, entra nel sangue e
si lega fortemente al Fe(II) nell’emoglobina, impedendo il normale legame con O2,
• Il buono, il cattivo e il
forte La forza dei legami C F e
e ad altre proteine contenenti ferro. Lo ione cianuro (CN−) è isoelettronico con CO:

C Cl rende utili e al tempo stesso


dannosi i CFC, come il freon-12 qui
rappresentato. I CFC, chimicamente Il cianuro si lega fortemente a molte delle stesse proteine contenenti ferro e
e termicamente stabili, atossici e anch’esso è tossico.
ininfiammabili, sono eccellenti
Gli alogenuri di (mono)carbonio (o alometani) sono molecole tetraedriche la
detergenti per componenti elettro-
nici, fluidi refrigeranti nei frigoriferi cui termostabilità e leggerezza decresce al crescere del raggio dell’atomo di alogeno
e nei condizionatori d’aria, e propel- e il legame C X diventa più lungo (più debole). I clorofluorocarburi (CFC), o freon,
lenti nelle bombole aerosol. Però, la hanno importanti impieghi industriali; però, i loro corti e forti legami carbonio
forza dei loro legami significa anche alogeno sono eccezionalmente stabili, e la persistenza di questi composti nell’am-
che i CFC si decompongono molto
biente ha creato gravi problemi.
lentamente vicino alla superficie
terrestre. Nella bassa atmosfera con-
tribuiscono al riscaldamento del
Punti salienti della chimica del silicio
clima, assorbendo le radiazioni Gli alogenuri di silicio sono più reattivi degli alogenuri di carbonio perché il silicio
infrarosse con un’efficienza pari a ha orbitali d vuoti disponibili per la formazione di legami. Sorprendentemente negli
16 000 volte quella del CO2. Però,
quando raggiungono la stratosfera,
alogenuri di silicio i legami sono più lunghi e tuttavia più forti rispetto ai corrispon-
sono bombardati dalle radiazioni denti alogenuri di carbonio (vedi Tabelle 9.2 e 9.3). Una spiegazione di questa inso-
ultraviolette (UV) che rompono i lita forza di legame è che il legame Si X ha parziale carattere di doppio legame per
legami C Cl altrimenti stabili, rila- la presenza di un legame σ e di un differente tipo di legame π, denominato legame
sciando atomi Cl liberi che iniziano p,d-π. Questo legame deriva dalla sovrapposizione da lato a lato di un orbitale d del
reazioni di distruzione dell’ozono
(Capito­lo 16). La produzione legale
Si e di un orbitale π dell’alogeno. Un tipo simile di legame p,d-π dà origine alla for-
di CFC è terminata negli Stati Uniti, ma molecolare planare trigonale della trisililammina, contrapposta alla forma pira-
ma la produzione e il contrabbando midale trigonale della trimetilammina.
internazionali proseguono. La chimica del silicio è in gran parte la chimica del legame silicio ossigeno.
Come il carbonio forma catene C C infinite, così il gruppo Si O si ripete
infinitamente in un’ampia varietà di silicati, i minerali più importanti sul pianeta,
e nei siliconi, polimeri sintetici che hanno molte applicazioni.
1. Silicati minerali. Dalle comuni sabbia e argilla alle semipreziose ametista e cornio-
la, i silicati minerali sono la forma dominante di materia nel mondo non vivente.
L’ossigeno, l’elemento più abbondante sulla Terra, e il silicio, il secondo elemento
più abbondante, costituiscono quei minerali e rappresentano i quattro quinti di
tutti gli atomi presenti sulla superficie terrestre!
L’unità costitutiva dei silicati è il gruppo ortosilicato, SiO4 , una disposizio-
ne tetraedrica di quattro atomi di ossigeno attorno a un atomo di silicio centrale.
Parecchi minerali ben noti contengono ioni SiO44− o piccoli gruppi di questi ioni
legati tra loro. La gemma zirconio (ZrSiO4) contiene una sola unità; l’emimorfite
[Zn4(OH)2Si2O7 ⋅ H2O] contiene due unità legate mediante un vertice di ossigeno; e
il berillo (Be3Al2Si6O18), la principale fonte di berillio, contiene sei unità unite a
formare uno ione ciclico (Figu­ra 14.16). Come vedremo tra poco, oltre a questi ioni
separati, unità SiO4 vengono legate più estesamente per creare gran parte della
struttura minerale della Terra.
2. Polimeri siliconici. A differenza dei silicati naturali, i polimeri siliconici sono so-
stanze artificiali costituite da atomi Si e O alternati con due gruppi organici legati
a ciascun atomo di Si. La reazione del silicio con il cloruro di metile forma una
sostanza di partenza essenziale:
catalizzatore di Cu
Si( s ) + 2CH3Cl( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯⎯ 300°C
→(CH3 )2 SiCl 2 ( g )

14txt.indd 484 16/05/19 11:16


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 485

Figura 14.16 Strutture degli


anioni silicato in alcuni mine-
rali.

Mentre il corrispondente composto del carbonio [(CH3)2CCl2] è inerte in acqua, gli


orbitali d vuoti di Si lo rendono reattivo:
(CH3 )2 SiCl 2 ( l ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯
→(CH3 )2 Si(OH) 2 ( l ) + 2HCl( g )
Il prodotto reagisce con se stesso per formare acqua e una molecola siliconica a
catena denominata poli(dimetil silossano):

I siliconi hanno proprietà sia delle materie plastiche sia dei minerali. I gruppi orga-
nici conferiscono loro la flessibilità e le deboli forze intermolecolari tra
le catene che sono caratteristiche di una materia plastica, mentre lo scheletro
O Si O conferisce la stabilità termica e l’ininfiammabilità di un minerale. Nella
scheda Minerali silicatici e polimeri siliconici (nella pagina successiva) si notino i pa-
ralleli strutturali tra silicati e siliconi.

Relazioni diagonali: boro e silicio


L’ultima relazione diagonale che consideriamo è quella tra i metalloidi B e Si. En-
trambi presentano le proprietà elettriche di un semiconduttore (Paragrafo 12.6).
Entrambi gli elementi e i loro ossoanioni minerali – borati e silicati – si presentano
in reticoli covalenti estesi. Sia l’acido borico [B(OH)3] sia l’acido silicico [Si(OH)4]
sono debolmente acidi ed esistono in strati con legami idrogeno diffusi. Entrambi
gli elementi formano composti infiammabili bassofondenti con l’idrogeno – borani
e silani – che si comportano come riducenti.

Guardando indietro e avanti: i Gruppi 3A(13), 4A(14) e 5A(15)


Ponendoci dal punto di vista del Gruppo 4A(14), guardiamo indietro al Grup-
po 3A(13) come alla transizione dal blocco s di metalli al blocco p di elementi in
prevalenza metalloidi e non metalli (Figura 14.17). Si osservano importanti cambia­
menti nelle proprietà fisiche mentre ci si muove dai metalli ai reticoli covalenti.
Si osservano anche cambiamenti nel comportamento chimico mentre ai cationi
subentrano tetraedri covalenti. Guardando avanti al Gruppo 5A(15), troviamo le- Figura 14.17 Guardando
indietro al Gruppo 3A(13)
gami covalenti e (all’aumentare dell’elettronegatività) gusci di valenza espansi di e avanti al gruppo 5A(15)
non metalli presenti con frequenza crescente, nonché la prima comparsa di anioni dal punto di vista del
monoatomici. Gruppo 4A(14).

14txt.indd 485 16/05/19 11:16


Scheda di approfondimento
Minerali silicatici e polimeri siliconici

I silicati e i siliconi illustrano elegantemente come l’organizzazione a livello


molecolare si manifesta nelle proprietà delle sostanze macroscopiche. È in-
teressante che entrambi questi tipi di materiali presentino le stesse tre
classi strutturali: catene, strati e impalcature.

Minerali silicatici
Silicati a catene di tetraedri (inosilicati)
La più semplice classe strutturale di silicati si ha
quando ciascuna unità tetraedrica SiO4 condivide
due dei suoi vertici O con altre unità SiO4, formando
una catena. Due catene possono legarsi lateralmente
per formare un nastro; il nastro più comune ha unità
6−
Si4O11 ripetute. Ioni metallici legano tra loro i nastri
polianionici per formare strati neutri. Fra gli strati si
esercitano soltanto forze intermolecolari deboli e il
materiale si presenta in filamenti fibrosi, come nella
famiglia dei minerali di amianto. (Foto: © Jiri
Vaclavek/Shutterstock).

Silicati a strati di tetraedri (fillosilicati)


La successiva classe strutturale di silicati si ha quando ciascuna unità te-
traedrica SiO4 condivide tre dei suoi quattro vertici O con altre unità SiO4
Amianto
per formare uno strato (o foglio); si formano doppi strati quando il quarto O
è condiviso con un altro strato. Nel talco, il minerale più tenero, gli strati
interagiscono mediante forze deboli; perciò, la polvere di talco dà al tatto
una sensazione di scivolosità. Se Al sostituisce una parte di Si, o se strati di
Al(OH)3 si interfogliano con strati di silicati, ne risulta un alluminosilicato,
come la caolinite. Differenti sostituzioni e/o interstratificazioni di ioni danno
le miche. Nella muscovite, una mica, gli ioni giacciono tra doppi strati di
alluminosilicato. La mica si sfalda quando vengono sopraffatte le attrazioni
ioniche.

Muscovite, una mica. (Foto:© RF


Company/Alamy Stock Photo).

14txt.indd 486 16/05/19 11:17


Silicati a impalcature tridimensionali di tetraedri
(tectosilicati)
L’ultima classe strutturale di silicati si ha quando unità SiO4 con-
dividono tutti e quattro i vertici O per formare un silicato a
impalcature tridimensionali di tetraedri (tectosilicato), come la
silice (SiO2), che si presenta molto spesso come quarzo α. Alcu-
ne delle 12 forme cristalline della silice sono considerate gemme
semipreziose. I feldspati, che costituiscono il 60% della crosta ter-
restre, si formano quando una parte di Si è sostituita con Al; il granito © Krimkate/Shutterstock
è costituito da microcristalli di feldspato, mica e quarzo. Lunghissimi pe-
riodi di degradazione meteorica convertono i feldspati in argille. Le zeoliti
hanno strutture tridimensionali aperte di poliedri che danno origine a
minuscole gallerie. Le zeoliti sintetiche sono prodotte con cavità di speci-
fiche dimensioni in cui possono essere intrappolate particolari molecole;
sono usate per essiccare miscele di gas, separare idrocarburi e preparare
catalizzatori.

Grano di zeolite

Quarzo
(Foto: © Albert Russ/
Shutterstock).

Polimeri siliconici

Chimica dei polimeri


La progettazione, la sintesi e la produzione di polimeri costituiscono
una delle più grandi branche della chimica moderna, di cui si oc-
cupa quasi la metà di tutti i chimici industriali e ingegneri chimici.
Un’importante branca della chimica dei polimeri è dedicata allo stu-
dio delle proprietà e degli innumerevoli impieghi dei siliconi.

Siliconi a catena
La più semplice classe strutturale di siliconi è costituita dalla catena polidimetilsilossano, in cui ciascuna unità
(CH3)2Si(OH)2 usa entrambi i gruppi OH per legarsi ad altre due unità. Per controllare la lunghezza della catena si addizio-
na un composto di terminazione di catena con un terzo gruppo organico, quale (CH3)3SiOH. Questi polimeri sono liquidi
oleosi non reattivi, con alta viscosità e bassa tensione superficiale. Sono utilizzati come oli idraulici e lubrificanti, come
agenti antischiumogeni per la frittura delle patatine, e come componenti degli oli abbronzanti, dei polish per carrozzerie
di automobile, dei farmaci digestivi e dei cosmetici.
Siliconi a strati: elastomeri siliconici Siliconi a impalcature: resine siliconiche
Nella successiva classe di siliconi, è presen- Nell’ultima classe strutturale di siliconi, reazioni che liberano gruppi
te un composto quale CH3Si(OH)3 il cui ter- OH e al tempo stesso sostituiscono gruppi organici più grandi ad alcu-
zo gruppo OH funge da ponte, reagendo per ni gruppi CH3 interconnettono gli strati per produrre resine termosta-
condensare lateralmente le catene e formare bili resistenti. Queste resine siliconiche sono usate come lamine iso-
strati gommosi che danno origine a elastomeri lanti su schede a circuiti stampati e come rivestimenti antiaderenti di
(gomme siliconiche), che sono flessibili, elasti- tappi di sughero e simili. Gli elastomeri siliconici e le resine siliconiche
ci e stabili da −100 °C a 250 °C. Gli elasto- hanno rivoluzionato la moderna pratica chirurgica fornendo numerose
meri siliconici sono impiegati in guarnizioni, parti che possono essere impiantate in permanenza in un paziente per
rulli, isolamenti di cavi elettrici, tute spaziali, sostituire quelle danneggiate. Alcune di queste parti sono la cute, le
lenti a contatto e protesi dentarie. ossa, le articolazioni, i vasi sanguigni e le parti di organi artificiali.

14txt.indd 487 16/05/19 11:17


488 Capitolo 14

14.7 GRUPPO 5A(15): LA FAMIGLIA DELL’AZOTO


I primi due elementi del Gruppo 5A(15), l’azoto (N) non metallico gassoso e il
fosforo (P) metallico solido, occuperanno la maggior parte della nostra attenzione.
L’importanza industriale e ambientale dei loro composti è uguagliata soltanto dalla
loro importanza nelle strutture e nelle funzioni delle biomolecole. Sotto di essi vi
sono due metalloidi, l’arsenico (As) e l’antimonio (Sb), seguiti dall’unico metallo, il
bismuto (Bi), l’ultimo elemento non radioattivo nella tavola periodica. Il Ritratto di
famiglia del Gruppo 5A(15) (pagine 490 e 491) offre una visione d’insieme.

Che cosa spiega l’ampio spettro


di comportamento fisico nel Gruppo 5A(15)?
Il Gruppo 5A(15) presenta il più ampio spettro di comportamento fisico che abbia-
mo visto finora a causa di grandi cambiamenti nelle forze di legame e intermoleco-
lari. L’azoto si presenta come un gas costituito da molecole N2, che interagiscono
mediante forze di dispersione così deboli che esso bolle a una temperatura più di
200 °C inferio­re alla temperatura ambiente. Il fosforo elementare esiste per lo più
sotto forma di mo­lecole P4 tetraedriche. Però, poiché P è più pesante e più polariz-
Figura 14.18 Due allotropi zabile di N, sono presenti forze di dispersione più intense e l’elemento fonde a una
del fosforo. A. Il fosforo bianco temperatura circa 25 °C sot­to la temperatura ambiente.
esiste sotto forma di molecole P4 L’arsenico è costituito da strati estesi, corrugati, in cui cia­scun atomo As è le-
individuali, in cui i legami P P gato covalentemente ad altri tre atomi e forma interazioni di non legame con tre
formano gli spigoli di un tetrae- vicini più prossimi in strati adiacenti. Questa disposizione conferisce all’arsenico la
dro. B. La reattività di P4 è attri-
buita in parte alla tensione dei
più alta temperatura di fusione nel gruppo. Un reticolo covalente simile conferisce
legami derivante dal fatto che in a Sb una temperatura di fusione molto più alta di quella dell’elemento successivo
P4 tetraedrico gli angoli di lega- nel gruppo, il Bi, che ha legami metallici.
me sono uguali a 60°, mentre gli Il fosforo ha parecchi allotropi. La forma bianca e quella rossa hanno proprie-
angoli tra gli orbitali 3p di un tà molto diverse per il modo in cui gli atomi sono legati. La forma bianca alta-
atomo P isolato sono uguali a
90°. È importante notare che la
mente reattiva viene preparata in fase gassosa e poi condensata come un solido
sovrapposizione degli orbitali 3p cero­so bianca­stro in acqua fredda per impedirgli di accendersi in aria. È costi­
è diminuita perché essi non si tuito da molecole tetraedriche di quattro atomi P legati l’uno all’altro, senza un
incontrano estremità con estre- atomo centrale (Figu­ra 14.18A). Ciascun atomo P utilizza i suoi orbitali 3p semi-
mità (nella figura la sovrapposi- occupati per legarsi agli altri tre atomi. Mentre gli orbitali 3p di un atomo P
zione è mostrata soltanto per tre
dei legami P P), il che facilita
isolato sono separati da 90°, gli angoli di legame in P4 sono pari a 60°. All’angolo
la rottura dei legami. C. Nel più piccolo è associata una scarsa sovrapposizione degli orbitali, e la forza del
fosforo rosso uno dei legami legame P P tetraedrico è pari a soltanto circa l’80% di quella di un legame P P
P P del fosforo bianco si è rotto normale (Figura 14.18B). I legami più deboli si rompono più facilmente e quindi
e i tetraedri si legano formando contribuiscono all’alta reattività dell’allotropo bianco. Riscaldando la forma bian-
lunghe catene. Le coppie solita-
rie (non rappresentate) risiedono
ca in assenza di aria si rompe uno dei legami P P in cia­scun tetraedro, e questi
in orbitali s in entrambi gli allo- orbitali si sovrappongono ad altri per formare le catene di unità P4 che costitui-
tropi. scono la forma rossa (Figura 14.18C).

14txt.indd 488 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 489

Le singole molecole nel P bianco lo rendono altamente reattivo, bassofondente


(temperatura di fusione 44,1 °C) e solubile in solventi apolari; le catene nel P bian-
co lo rendono molto meno reattivo, altofondente ( 600 °C) e insolubile.

Quali andamenti regolari si osservano


nel comportamento chimico degli elementi del Gruppo 5A(15)?
Lo stesso andamento regolare generale che abbiamo esaminato nel caso del Gruppo
4A(14) ricompare nel Gruppo 5A(15) e si riflette nel cambiamento da N non metal-
lico a Bi metallico. La grande maggioranza dei composti degli elementi del Gruppo
5A(15) ha legami covalenti. Mentre N può formare non più di quattro legami, i tre
elementi successivi possono espandere i loro gusci di valenza usando orbitali d
vuoti.
Affinché un elemento 5A formi uno ione con la configurazione elettronica di
un gas nobile, esso deve acquistare tre elettroni, gli ultimi due in passaggi endoter-
mici. Ciononostante, l’enorme energia reticolare che si libera quando questi anioni
altamente carichi attraggono cationi favorisce la loro formazione, ma, nel caso di N,
ciò avviene soltanto in composti con metalli attivi, quali Li2N e Mg3N2 (e forse, nel
caso di P, in Na3P). Bi metallico forma per lo più composti covalenti, ma esiste come
catione in un piccolo numero di composti, quali BiF3 e Bi(NO3)3 ⋅ 5H2O, in cui cede
i suoi tre elettroni p di valenza.
Scendendo lungo questo gruppo si osservano di nuovo gli andamenti regolari
osservati inizialmente nei Gruppi 3A(13) e 4A(14). Si osservano meno stati di os-
sidazione, e lo stato inferiore diventa più rilevante: N presenta ogni stato possibile
• L’idrazina, l’altro idruro
dell’azoto A parte NH3, il più
per un elemento 5A, da +5 a −3; soltanto gli stati +5 e +3 sono comuni nel caso di importante idruro degli elementi
P, As e Sb; e +3 è l’unico stato comune di Bi. Gli ossidi variano da acidi ad anfoteri a del Gruppo 5A(15) è l’idrazina,
N2H4. Come NH3, è una base debole,
basici, riflettendo l’aumento del carattere metallico degli elementi. Inoltre, l’ossido che reagisce con gli acidi per forma-
inferiore di un elemento è più basico dell’ossido superiore, riflettendo il maggiore re gli ioni N2H5+ e N2H62+. L’idrazina
carattere ionico del legame di E con O nell’ossido inferiore. è usata anche per produrre farmaci
Tutti gli elementi del Gruppo 5A(15) formano idruri gassosi di formula EH3. antitubercolari, regolatori della cre-
Eccettuato NH3, questi idruri sono estremamente reattivi e tossici e vengono sinte- scita delle piante e fungicidi, e i
derivati organici dell’idrazina sono
tizzati mediante la reazione di un fosfuro metallico, di un arseniuro metallico e così usati nei propellenti per razzi e
via, che agisce come base forte in acqua o in un acido acquoso. Per esempio, missili. Ci si potrebbe attendere che
le coppie solitarie di elettroni pre-
Ca 3 As2 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2AsH3 ( g ) + 3Ca(OH)2 ( aq ) senti nella molecola siano disposte
da parti opposte e conferiscano alla
L’ammoniaca viene preparata industrialmente per combinazione diretta degli ele- molecola una struttura simmetrica
menti a pressione molto elevata e a temperatura moderatamente elevata: priva di momento di dipolo. Però, le
repulsioni tra ciascuna coppia soli-

N 2 ( g ) + 3H2 ( g )  
 2NH3 ( g ) taria e le coppie di legame sull’altro
atomo costringono le coppie solita-
Le proprietà molecolari degli idruri degli elementi del Gruppo 5A(15) rivelano rie a giacere al di sotto del legame
N N (vedi modello), generando
alcune interessanti regolarità di legame e di struttura.
un elevato momento di dipolo [μ =
• Nonostante la sua massa molare molto minore, NH3 fonde e bolle a tempera- 1,85 D (debye) in fase gassosa]. Una
ture più elevate rispetto agli altri idruri di elementi 5A in conseguenza della disposizione simile esiste nel peros-
formazione di legami idrogeno. sido di idrogeno (H2O2), l’analogo
idruro dell’ossigeno.
• Gli angoli di legame decrescono da 107,3° nel caso di NH3 a circa 90° nel caso
degli altri idruri, il che suggerisce che gli atomi più grandi usano orbitali p non
ibridati.
• Le lunghezze dei legami E H aumentano progressivamente dall’alto al basso
lungo il gruppo e quindi la forza di legame e la termostabilità decrescono:
AsH3 si decompone a 250 °C, SbH3 a 20 °C e BiH3 a −45 °C.
Osserveremo queste caratteristiche – formazione di legami idrogeno nel caso del­
l’elemento più piccolo, variazione dell’angolo di legame, variazione delle energie di
legame – anche negli idruri degli elementi del Gruppo 6A(16).
Gli elementi del Gruppo 5A(15) formano tutti i trialogenuri (EX3) e i penta-
fluoruri (EF5), ma pochi altri pentalogenuri (PCl5, PBr5, AsCl5 e SbCl5). L’azoto forma continua a pagina 492

14txt.indd 489 16/05/19 11:17


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 5A(15): la famiglia dell’azoto
Proprietà atomiche e fisiche essenziali
LEGENDA Proprietà atomiche
Numero atomico
La configurazione
Simbolo elettronica del
Massa atomica gruppo è ns2np3.
Valenza e Il sottolivello np
configurazione
elettronica è semiriempito, e
GRUPPO 5A(15) ciascun orbitale
Stati di
ossidazione p contiene un
comuni solo elettrone. Il
nu­me­ro di stati
di ossidazione
decresce dall’alto
7
verso il basso
N lungo il grup­po, e
lo stato inferiore
14,01
(+3) diventa via
2s22p3
via più comune.
(−3, +5,
+4, +3, Le proprietà ato-
+2, +1) miche seguono
generalmente le
15 tendenze attese.

P Il grande aumento (50%) del


raggio atomico e del raggio ionico
30,97 da N a P trova riscontro nei valori
3s23p3 molto più bassi dell’energia di
(−3, +5, ioniz­zazio­ne e dell’elettronegati-
+3) vità di P.

33

As
74,92 Proprietà fisiche
4s24p3
(−3, +5, Le proprietà fisiche rispecchiano il
+3) cambiamento da molecole singole
(N, P) a reticolo covalente (As, Sb) a
51 metallo (Bi). Perciò, la temperatura
di fusione prima aumenta e poi
Sb diminuisce.
121,8
5s25p3
(−3, +5,
+3)
Il grande raggio atomico e la pic-
83 cola massa atomica determinano
Bi una bassa densità. Poiché la massa
atomica aumenta dall’alto verso il
209,0 basso lungo il gruppo più di quan-
6s26p3 to aumenti il raggio atomico, la
(+3) densità degli elementi allo stato so-
Moscovio: osservato lido aumenta. Il drastico aumento
115 per la prima volta in da P ad As è dovuto all’inserimento
Mc esperimenti a Dubna,
Russia, nel 2003 e
degli elementi di transizione.
introdotto ufficialmente
(288)
nella tavola periodica
7s27p3 dalla IUPAC nel 2015
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 490 16/05/19 11:17


Gruppo 5A(15): la famiglia dell’azoto RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative
1. L’azoto viene “fissato” industrialmente nel processo Haber: EX 3 + X 2 ⎯ ⎯
→ EX 5 (E = tutti gli elementi eccettuati

N 2 ( g ) + 3H2 ( g )  
 2NH3 ( g ) N e Bi, con X = F e Cl; ma non BiCl5
Ulteriori reazioni convertono NH3 in NO, NO2 e HNO3 =E P=
per X Br)
(vedi il paragrafo Punti salienti della chimica dell’azoto).
Gli idruri di alcuni altri elementi del gruppo si formano 3. Gli ossiacidi si formano a partire dagli alogenuri in una
a partire da reazioni in acqua (o H3O+) di sali metallici di reazione con acqua che è comune a molti alogenuri non
fosforo, azoto ecc. metallici:
EX 3 + 3H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H3EO3 ( aq ) + 3HX( aq )
Ca 3P2 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2PH3 ( g ) + 3Ca(OH)2 ( aq )
(E = tutti gli elementi eccettuato N)
2. Gli alogenuri si formano per combinazione diretta degli
elementi: EX 5 + 4H2O( l ) ⎯ ⎯→ H3EO 4 ( aq ) + 5HX( aq )
2E( s ) + 3X 2 ⎯ ⎯→ 2EX2 (E = tutti gli elementi eccettuati N e Bi)
(E = tutti gli elementi eccettuato N) Si noti che il numero di ossidazione di E non varia.

14txt.indd 491 16/05/19 11:17


492 Capitolo 14

segue da pagina 489 soltanto il trialogenuro, non essendo in grado di espandere il suo guscio di valenza.
La maggior parte dei trialogenuri vengono preparati per combinazione diretta:

P4 ( s ) + 6Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4PCl3 ( l )

I pentalogenuri si formano con eccesso di alogeno:

PCl3 ( l ) + Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ PCl5 ( s )

Come nel caso degli idruri, la termostabilità degli alogenuri decresce via via che il
legame E X si allunga. Per esempio, tra gli alogenuri di azoto, NF3 è un gas stabile,
scarsamente reattivo. NCl3 è esplosivo e reagisce rapidamente con l’acqua. (Il chimi-
co che lo preparò per primo perse tre dita e un occhio!). NBr3 può essere preparato
soltanto al di sotto di −87 °C. NI3 non è mai stato preparato, ma un derivato am-
moniacale (NI3 ⋅ NH3) esplode al minimo urto.
In uno schema di reazione in soluzione acquosa tipico di molti alogenuri non
metallici, gli alogenuri degli elementi 5A reagiscono con l’acqua per dare l’aloge-
nuro di idrogeno e l’ossiacido, in cui E ha lo stesso stato di ossidazione che aveva
nel­l’alogenuro di partenza. Per esempio, PX5 (numero di ossidazione di P = +5)
produce acido fosforico (numero di ossidazione di P = +5) e HX:

PCl5 ( s ) + 4H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H3PO 4 ( l ) + 5HCl( g )

Punti salienti della chimica dell’azoto


Il più evidente punto saliente della chimica dell’azoto è di certo l’inerzia chimica
di N2 stesso. Quasi 4/5 dell’atmosfera sono costituiti da N2 e l’altro 1/5 è costituito
quasi esclusivamente da O2, un ossidante molto forte. Ciononostante, sono necessa-
rie le altissime temperature di un fulmine affinché si formino quantità rilevanti di
ossidi di azoto atmo­sferici. Perciò, anche se N2 è inerte a temperature moderate, a
temperature elevate esso reagisce con H2, Li, gli elementi del Gruppo 2A(2), B, Al,
C, Si, Ge, O2 e molti elementi di transizione. In realtà, quasi tutti gli elementi della
tavola periodica formano legami con N. Qui concentriamo l’attenzione sugli ossidi
e sugli ossoacidi e i loro sali.
Ossidi di azoto L’azoto è notevole in quanto ha sei ossidi stabili, ciascuno con un
calore di formazione positivo a causa della grande forza del legame N N (energia di
legame = 945 kJ/mol). Le loro strutture e alcune delle loro proprietà sono presen-
tate nella Tabella 14.3. A differenza degli idruri e degli alogenuri di azoto, gli ossidi
sono planari. In questi composti l’azoto presenta tutti i suoi stati di ossidazione
positivi, e in N2O e in N2O3 i due atomi N hanno differenti stati di ossidazione.
Il monossido di diazoto (N2O; detto anche ossido di diazoto od ossido nitroso)
• L’ossido nitrico: una sor-
presa biochimica Il minuscolo
è il “gas esilarante” impiegato come anestetico nella chirurgia odontoiatrica e il
propellente della panna montata inscatolata. È una molecola lineare con una strut-
radicale libero inorganico NO svolge tura elettronica descritta al meglio da tre forme di risonanza (si notino le cariche
ruoli in un’enorme gamma di sistemi formali):
biochimici. NO viene biosintetizzato 0 +1 −1 −1 +1 0 −2 +1 +1
in specie animali che vanno dai
cirripedi alla specie umana. Alla
N N O N N O N N O
più importante meno importante
fine degli anni Ottanta e all’inizio
degli anni Novanta del secolo scorso
è stato dimostrato che svolge vari
Il monossido di azoto (NO; detto anche ossido di azoto od ossido nitrico) è una
ruoli nella neurotrasmissione, nella molecola con un numero dispari di elettroni (molecola dispari) che svolge una
coagulazione del sangue, nella rego- funzione biochimica vitale. Nel Paragrafo 11.3 abbiamo usato la teoria degli orbitali
lazione della pressione sanguigna e molecolari per spiegare le sue proprietà di legame. La preparazione industriale di
nella capacità di distruggere le cel- NO attraverso l’ossidazione dell’ammoniaca ha luogo come prima tappa nella pro-
lule cancerose. Dati recenti indicano
che può intervenire anche nella
duzione dell’acido nitrico:
memoria. I sistemi viventi riservano
molte sorprese! 4NH3 ( g ) + 5O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4NO( g ) + 6H2O( g )

14txt.indd 492 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 493

Si produce monossido di azoto anche quando l’aria viene riscaldata ad alte tem-
perature, come nel motore a combustione interna di un autoveicolo o durante un
temporale accompagnato da fulmini:
alta T
N 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯ → 2NO( g )

In seguito a riscaldamento, NO si converte in altri due ossidi:


Δ
3NO( g ) ⎯ ⎯ → N 2O( g ) + NO2 ( g )

Questo tipo di reazione redox, detto disproporzione, si volge quando una sostanza
agisce sia da ossidante sia da riducente in una reazione. In questo processo, un atomo
con uno stato di ossidazione intermedio nel reagente è presente nei prodotti di rea-
zione sia nello stato inferiore sia nello stato superiore: lo stato di ossidazione di N in
NO (+2) è intermedio tra quello in N2O (+1) e quello in NO2 (+4).
Il diossido di azoto (NO2), un gas tossico di colore bruno, si forma anche quando
NO reagisce con ulteriore ossigeno:
2NO( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NO 2 ( g )

Come NO, anche NO2 è una molecola con numero dispari di elettroni, ma l’elettro-
ne spaiato è più localizzato sull’atomo N. Perciò, NO2 dimerizza reversibilmente a
tetrossido di diazoto:

O 2N ⋅ ( g ) + ⋅NO2 ( g )  
 O2N ⎯ NO2 ( g ) (o N 2O4 )

14txt.indd 493 16/05/19 11:17


494 Capitolo 14

Figura 14.19 Formazione


dello smog fotochimico. Le
concentrazioni atmosferiche
localizzate dei componenti
precursori dello smog variano
durante il giorno. Nel traffico
del primo mattino, le concen-
trazioni di NO e idrocarburi
aumentano a causa delle
emissioni delle automobili; a
ciò fa seguito l’aumento delle
concentrazioni di NO2 quando
NO reagisce con l’aria. La con-
centrazione di ozono raggiunge
il massimo più tardi quando NO2
si dissocia per effetto dell’au- I temporali formano NO e NO2 e li trasportano al suolo, dove agiscono da fertilizzan-
mento dell’intensità della radia-
zione solare e rilascia atomi O
ti naturali. Nel traffico urbano, però, la loro formazione genera lo smog fotochimico
che reagiscono con O2. A metà (Figura 14.19). Durante il movimento pendolare mattutino, nei motori a combu-
pomeriggio sono presenti tutti stione interna degli autoveicoli (specialmente in quelli diesel) si forma NO, che poi
i componenti per la produzione viene ossidato nell’aria a NO2. All’aumentare dell’altezza del Sole, l’energia raggiante
di perossiacilnitrati (PAN) e si degrada una parte di NO2:
forma lo smog fotochimico.
energia solare
NO2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → NO( g ) + O( g )

Gli atomi O urtano contro le molecole O2 e formano ozono, O3, un potente ossidante
che danneggia la gomma sintetica e le materie plastiche, nonché i tessuti vegetali e
animali:
O 2 ( g ) + O( g ) ⎯ ⎯
→ O3 ( g )

Una complessa serie di reazioni tra NO2, O3 e gli idrocarburi incombusti nelle emis-
sioni dei motori a combustione interna forma perossiacilnitrati (PAN), un gruppo
di potenti irritanti del naso e degli occhi. Il risultato di questa affascinante chimica
atmo­sferica è lo smog bruno soffocante.
Ossiacidi e ossoanioni di azoto I due ossiacidi di azoto comuni sono l’acido ni-
trico e l’acido nitroso (Figura 14.20). Il processo Ostwald per la produzione di acido
nitrico avviene in tre tappe: l’ossidazione di NH3 a NO (vedi pag. 492) e quella di
NO a NO2 (vedi pag. 493). Il passaggio finale è una disproporzione, come indicano
i numeri di ossidazione:
+4 +5 +2
3NO 2 ( g ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2HNO3 ( aq ) + NO( g )

Figura 14.20 Strutture


dell’acido nitrico e dell’acido
nitroso e dei loro ossoanio-
ni. A. L’acido nitrico perde un
protone (H+) per formare lo
ione nitrato planare trigonale
(è mostrata una di tre forme di
risonanza). B. L’acido nitroso, un
acido molto più debole, forma
lo ione nitrito planare. Si noti
l’effetto della coppia solitaria
dell’azoto (le coppie solitarie
sugli atomi di ossigeno non sono
rappresentate) nel ridurre l’an-
golo di legame ideale da 120°
a 115° (è mostrata una di due
forme di risonanza).

14txt.indd 494 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 495

NO viene riciclato per produrre altro NO2.


Nell’acido nitrico, come in tutti gli ossiacidi, l’H acido è legato a uno degli atomi O. In
laboratorio, l’acido nitrico è usato come acido ossidante forte. I prodotti della sua
reazione con i metalli variano con la reattività del metallo e con la concentrazione
dell’acido. Negli esempi seguenti, le equazioni ioniche nette indicano che lo ione
NO3− è l’ossidante. Lo ione nitrato che non viene ridotto è uno ione spettatore e non
compare nelle equazioni ioniche nette.
• Con un metallo attivo, come Al, e un acido diluito, N si riduce dallo stato +5
allo stato −3 nello ione ammonio passando per tutti gli stati intermedi:
8Al( s ) + 30HNO3 ( aq ;1 M ) ⎯ ⎯
→ 8Al(NO3 )3 ( aq ) + 3NH4 NO3 ( aq ) + 9H2O( l )
8Al( s ) + 30H+ ( aq ) + 3NO−3 ( aq ) ⎯ ⎯
→ 8Al3+ ( aq ) + 3NH+4 ( aq ) + 9H2O( l )

• Con un metallo meno reattivo, quale Cu, e un acido più concentrato, N si


riduce allo stato +2 in NO:
3Cu( s ) + 8HNO3 ( aq ; 3 ÷ 6 M ) ⎯ ⎯
→ 3Cu(NO3 )2 ( aq ) + 4H2O( l ) + 2NO( g )
3Cu( s ) + 8H+ ( aq ) + 2NO−3 ( aq ) ⎯ ⎯
→ 3Cu 2+ ( aq ) + 4H2O( l ) + 2NO( g )

• Con un acido ancora più concentrato, N si riduce soltanto allo stato +4 in NO2:
Cu( s ) + 4HNO3 ( aq ; 12 M ) ⎯ ⎯
→ Cu(NO3 )2 ( aq ) + 2H2O( l ) + 2NO 2 ( g )
Cu( s ) + 4H+ ( aq ) + 2NO−3 ( aq ) ⎯ ⎯
→ Cu 2+ ( aq ) + 2H2O( l ) + 2NO2 ( g )

Si formano nitrati quando HNO3 reagisce con metalli e con i loro idrossidi, ossidi o
carbonati. Tutti i nitrati sono solubili in acqua.
Si forma acido nitroso, HNO2, un acido molto più debole di HNO3, quando i
nitriti metallici vengono trattati con un acido forte:
NaNO 2 ( aq ) + HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ HNO 2 ( aq ) + NaCl( aq )
Questi due acidi presentano un andamento regolare generale nella forza relativa del­
l’acido tra gli ossiacidi: maggiore è il numero di atomi O legati al non metallo centrale,
più forte è l’acido. Così, HNO3 è più forte di HNO2. Gli atomi O rimuovono densità
elettronica dall’atomo N, il che, a sua volta, rimuove densità elettronica dall’atomo O
del legame O H, facilitando il rilascio dello ione H+. Gli atomi O agi­scono anche in
modo da stabilizzare il risultante ossoanione delocalizzando la sua carica negativa. Si
osserva lo stesso andamento regolare negli ossiacidi dello zolfo e degli alogeni; esami-
neremo quantitativamente questo andamento regolare nel Capitolo 18.

Punti salienti della chimica del fosforo: ossidi e ossiacidi


Il fosforo forma due ossidi importanti: P4O6 e P4O10. Nell’esaossido di tetrafosforo,
P4O6, il P è nel suo stato di ossidazione +3; P4O6 si forma quando il P4 bianco rea-
gisce con una quantità limitata di ossigeno:
P4 ( s ) + 3O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ P4 O6 ( s )
P4O6 ha l’orientamento tetraedrico degli atomi P in P4, con un atomo O tra ciascuna
coppia di atomi P (Figura 14.21A).
Reagisce con l’acqua per formare acido fosforoso (si noti la desinenza -oso):
P4 O6 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 4H3PO3 ( l )
La formula H3PO3 è fuorviante perché l’acido ha soltanto due atomi H acidi; il terzo
è legato al P centrale e non si dissocia. L’acido fosforoso è un acido debole in acqua
ma reagisce completamente in due tappe con un eccesso di una base forte:

Figura 14.21 Ossidi impor-


tanti del fosforo.

14txt.indd 495 16/05/19 11:17


496 Capitolo 14

• Gli innumerevoli impie-


ghi dei fosfati I fosfati hanno una
I sali dell’acido fosforoso contengono lo ione fosfito, HPO32−.
Nel decaossido di tetrafosforo, P4O10, P è nello stato di ossidazione +5. Noto comu-
gamma stupefacente di applica­zioni nemente come “pentossido di fosforo” in base alla formula empirica (P2O5), si forma
in casa e nell’industria. Na3HPO4 è
usato come sverniciatore e sgrassan-
quando P4 brucia in eccesso di O2:
te e in alcuni Paesi è ancora usato
nei detergenti in polvere. Na2HPO4 P4 ( s ) + 5O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ P4 O10 ( s )
è un ingrediente dei lassativi ed è
usato per regolare l’acidità dell’ac-
La sua struttura può essere considerata come quella di P4O6 con un altro atomo
qua nelle caldaie. Il sale di potassio, O legato a ciascuno dei quattro atomi P nei vertici del tetraedro (Figura 14.21B).
K3PO4, è usato per stabilizzare il lat- P4O10 è un potente disidratante e, in una vigorosa reazione esotermica con l’ac-
tice nella produzione della gomma qua, forma acido fosforico (H3PO4), uno dei “top 10” composti più importanti
sintetica, e K2HPO4 è usato come nell’industria chimica:
inibitore della corrosione nei radia-
tori. I fosfati di ammonio sono usati
P4 O10 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 4H3PO4 ( l )
come fertilizzanti e come ritardanti
di fiamma sui tendaggi e sugli abiti
di carta. I fosfati di calcio sono usati La presenza di molti legami idrogeno conferisce a H3PO4 una consistenza scirop-
nei lieviti artificiali in polvere e nei posa, con una viscosità pari a 75 volte quella dell’acqua. L’acido concentrato per
dentifrici, come integratori minerali laboratorio è una soluzione acquosa all’85% in massa. H3PO4 è un acido triprotico
nei mangimi e (sulla scala delle cen- debole; in acqua cede un protone nella seguente reazione di equilibrio:
tinaia di milioni di tonnellate) come
fertilizzanti in tutto il mondo. H3PO4 ( l ) + H2O( l )   H2PO−4 ( aq ) + H3O+ ( aq )


Però, in eccesso di una base forte, i tre protoni si dissociano completamente in tre
tappe per dare tre ossoanioni fosfato:

L’acido fosforico ha un ruolo centrale nella produzione di fertilizzanti, ma è usato


anche come lucidante per finiture di alluminio nelle automobili e come additivo
nelle bevande analcoliche per conferire loro una lieve acidità. I vari fosfati hanno
numerose applicazioni importanti.
I polifosfati si formano per riscaldamento di idrogenofosfati, che perdono acqua
formando legami P O P. Questo tipo di reazione, in cui viene perduta una mo-
lecola di H2O per ogni coppia di gruppi OH che si uniscono, è detta disidratazio-
ne-condensazione; si svolge frequentemente nella formazione di catene di po­
liossoanioni e altre strutture polimeriche, sia sintetiche sia naturali. Per esempio, il
difosfato di sodio, Na4P2O7, si prepara riscaldando l’idrogenofosfato di sodio:

Δ
2Na 2HPO 4 ( s ) ⎯ ⎯ → Na 4 P2O7 ( s ) + H2O( g )

Lo ione difosfato, il più piccolo dei polifosfati, è costituito da due unità PO4 legate
attraverso un comune vertice di ossigeno (Figura 14.22A).
La sua reazione con l’acqua, l’inverso della reazione precedente, genera calore:

P2O74− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2HPO−4 ( aq ) + calore

Un processo simile è ampiamente utilizzato dagli organismi quando una terza


unità PO4 legata al difosfato crea il gruppo trifosfato, che fa parte dell’adenosina
trifo­sfato, un’importantissima biomolecola ricca di energia. Le catene di polifosfa-
ti estese sono costituite da molte unità PO4 tetraedriche (Figura 14.22B) e sono
strutturalmente simili alle catene silicatiche. Come ultimo sguardo alla versatilità
chimica del fosforo, consideriamo alcuni dei suoi numerosi e importanti composti
con lo zolfo e con l’azoto.

14txt.indd 496 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 497

Figura 14.22 Ione difosfato


e polifosfati. A. Quando due
ioni idrogenofosfato subiscono
una reazione di disidratazione-
condensazione, perdono una
molecola d’acqua e si uniscono
mediante un atomo O condiviso
per formare uno ione difosfa-
to. B. I polifosfati sono catene
di molte di queste unità PO4
­tetraedriche. Le forme delle
catene dipendono dall’orien-
tamento delle singole unità. Si
noti la similarità con le catene
silicatiche.

Il fosforo forma molti solfuri e nitruri. P4S3 è usato nelle capocchie dei fiammiferi
“accendibili ovunque”, e P4S10 è usato nella produzione di pesticidi organofosforici
quali il malathion, il parathion, il sarin ecc. I polifosfazeni hanno proprietà simili a
quelle dei siliconi. In effetti, l’unità (R2)P N è isoelettronica con l’unità silico-
nica, (R2)Si O . I fogli, le pellicole, le fibre e le schiume di polifosfazeni sono
idrorepellenti, resistenti alla fiamma e ai solventi, e flessibili a basse temperature:
perfetti per le guarnizioni e gli O-ring (tipo di guarnizione a forma di O e di sezione
circolare) nei veicoli spaziali e polari.

14.8 GRUPPO 6A(16): LA FAMIGLIA DELL’OSSIGENO


I primi due membri di questa famiglia – l’ossigeno non metallico gassoso (O) e lo
zolfo non metallico solido (S) – sono tra gli elementi più importanti nell’industria,
nell’ambiente e negli esseri viventi. Sotto di essi compaiono due metalloidi, il se-
lenio (Se) e il tellurio (Te), e il polonio radioattivo (Po), l’unico metallo, termina il
gruppo. Il Ritratto di famiglia del Gruppo 6A(16) (pagine 498 e 499) presenta le
caratteristiche di questi elementi.

Un confronto tra la famiglia dell’ossigeno e la famiglia dell’azo-


to sotto l’aspetto fisico
Il Gruppo 6A(16) è simile al Gruppo 5A(15); considereremo quindi alcuni dei
temi comuni. L’andamento regolare delle proprietà fisiche che abbiamo visto nel
Gruppo 5A(15) ricompare in questo gruppo. Come l’azoto, l’ossigeno si presenta
come un gas biatomico bassobollente. Come il fosforo, lo zolfo si presenta come
un solido molecolare poliatomico. Come l’arsenico, il selenio si presenta comu-
nemente come un metalloide grigio. Come l’antimonio, il tellurio è lievemente
più metallico dell’elemento del gruppo precedente, ma presenta ancora legami
reticolari. Infine, come il bismuto, il polonio ha una struttura cristallina metalli-
ca. Come ci si può attendere sulla base di un confronto con gli elementi 5A, la
conduttività elettrica aumenta in modo regolare dall’alto al basso lungo il gruppo
quando il legame cambia da molecole individuali (isolanti), a reticoli di metalloidi
(semiconduttori), a solidi metallici (conduttori).
L’allotropia è più comune nel Gruppo 6A(16) che nel Gruppo 5A(15). L’ossigeno
ha due allotropi: il diossigeno (O2), essenziale per la vita, e l’ozono triatomico (O3),
tossico per le forme di vita. L’ossigeno gassoso è incolore, inodore, paramagnetico e
termostabile. Per contro, l’ozono gassoso è bluastro, ha un odore pungente, è diama­
gnetico e si decompone quando è esposto al calore e specialmente alle radiazioni
ultraviolette (UV):
UV
2O3 ( g ) ⎯ ⎯⎯ → 3O 2 ( g )

Questa capacità di assorbire fotoni ad alta energia fa sì che l’ozono stratosferico


continua a pagina 500
sia essenziale per la vita. Un assottigliamento dello strato di ozono (comunemente

14txt.indd 497 16/05/19 11:17


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 6A(16): la famiglia dell’ossigeno
Proprietà atomiche e fisiche essenziali

LEGENDA Proprietà atomiche


Numero atomico
Simbolo La configurazione
Massa atomica elettronica del
Valenza e gruppo è ns2np4.
configurazione Come nei Gruppi
elettronica 3A(13) e 5A(15),
Stati di
GRUPPO 6A(16)
uno stato di ossi-
ossidazione
comuni dazione inferiore
(+4) diventa più
comune dall’alto
verso il basso
8 lungo il gruppo.
O Il raggio atomico
e il raggio ionico
16,00
aumentano
2s22p4
dall’alto verso
(−1, −2)
il basso lungo il
16
gruppo, men-
tre l’energia di
S ionizzazione e
l’elettronegatività
32,06
diminuiscono.
3s23p4
(−2, +6,
+4, +2)

34

Se
78,96
4s24p4
(−2, +6,
+4, +2) Proprietà fisiche
La temperatura di fusione aumenta
52 fino a Te, in cui sono presenti lega-
Te mi covalenti, e poi diminuisce nel
caso di Po, in cui si hanno legami
127,6 metallici.
5s25p4
(−2, +6,
+4, +2)

84

Po
(209)
6s26p4
(+4, +2) La densità degli elementi allo sta-
to solido aumenta progressivamen-
Livermorio: osservato te dall’alto verso il basso lungo il
116 per la prima volta in
gruppo.
Lv esperimenti a Dubna,
Russia, in collaborazione
(293) con scienziati statu-
nitensi del Lawrence
7s27p4 Livermore National
Laboratory, nel 2000

Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 498 16/05/19 11:17


Gruppo 6A(16): la famiglia dell’ossigeno RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative
1. Gli alogenuri si formano per combinazione diretta: SO2 viene ossidato ulteriormente e il prodotto viene usato
nel passaggio finale della produzione di H2SO4:
E( s ) + X 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ vari alogenuri
2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2SO3 ( g )
(E = S, Se, Te; X = F, Cl) 3. Si forma lo ione tiosolfato quando il solfito di un metal-
2. Gli altri elementi del gruppo sono ossidati da O2: lo alcalino reagisce con lo zolfo, come nella preparazione
del tiosolfato di sodio impiegato in fotografia:
E( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ EO2 (E = S, Se, Te, Po) S8 ( s ) + 8Na 2SO3 ( aq ) ⎯ ⎯ → 8Na 2S 2O3 ( aq )

14txt.indd 499 16/05/19 11:17


500 Capitolo 14

Figura 14.23 La molecola


ciclica S8. A. Vista dall’alto di
un modello space filling della
molecola ciclica S8. B. Vista
laterale di un modello ball-and-
stick della molecola; si noti la
forma a corona.

segue da pagina 497 noto come “buco dell’ozono”), osservato sopra il polo nord e specialmente sopra il
polo sud, significa che una maggiore quantità di radiazioni ultraviolette raggiungerà
la superficie terrestre, con effetti potenzialmente dannosi. (Nel Capitolo 16 esami-
neremo le cause chimiche della deplezione dell’ozono).
Lo zolfo, con più di 10 forme, detiene il “primato” dell’allotropia nella tavola
perio­dica. La capacità dell’atomo S di legarsi ad altri atomi S crea numerosi anelli e
catene, con lunghezze del legame S S comprese tra 180 pm e 260 pm e angoli di
legame compresi tra 90° e 180°. A temperatura ambiente, la molecola di zolfo è un
anello di otto atomi a forma di corona, detto molecola ciclica S8 (Figura 14.23). L’allo-
tropo più stabile è l’α-S8 ortorombico, costituito interamente da queste molecole;
tutti gli altri allotropi di S finiscono per ritrasfomarsi in questo.
Anche il selenio ha parecchi allotropi, alcuni costituiti da molecole Se8 a forma

• Selenio
di corona. Se grigio è costituito da strati di catene elicoidali. La sua conduttività
e xerografia La elettrica in luce visibile ha rivoluzionato l’industria della fotocopiatura. Quando si
fotocopiatura fu inventata negli anni mescolano vetro fuso, solfuro di cadmio e Se grigio e si riscalda la miscela in assenza
Quaranta del secolo scorso come
mezzo a secco, rapido e poco costo-
di aria, si forma un vetro di colore rubino che ciascuno di noi vede quando si ferma
so, di copiatura di documenti (il davanti a un semaforo rosso.
termine xerografia deriva dal greco
xerós, “secco”, e gràphein, “scrive-
re”, e quindi significa letteralmente Un confronto tra le proprietà chimiche della famiglia
“scrittura a secco”). Il processo si dell’ossigeno e quelle della famiglia dell’azoto
basa sulla capacità del selenio di con-
durre una corrente elettrica quando Anche le variazioni del comportamento chimico in questo gruppo sono simili a
è esposto alla luce. Uno strato sot- quelle osservate nel gruppo precedente. Anche se O e S si presentano come anioni
tile di Se amorfo depositato su un più frequentemente rispetto a N e P, come N e P essi si legano covalentemente con
cilindro di alluminio viene caricato quasi tutti gli altri non metalli. Compaiono legami covalenti nei composti di Se e
elettrostaticamente. L’esposizione
Te (come in quelli di As e Sb), mentre Po si comporta come un metallo (come fa Bi)
dello strato di selenio a un docu-
mento vi produce un’“immagine” in alcuni dei suoi composti salini. A differenza dell’azoto, l’ossigeno ha pochi stati
costituita da cariche positive grandi di ossidazione comuni, ma il precedente andamento regolare si ripresenta con gli
e piccole che corrispondono alle altri membri del gruppo: gli stati +6, +4 e −2 si presentano più frequentemente, e
aree chiare e scure del documento. lo stato positivo inferiore (+4) diventa più comune in Te e in Po [come fa lo stato
Le particelle di inchiostro secco
positivo inferiore (+3) in Sb e in Bi].
nero (toner), cariche negativamente,
vengono attratte verso le regioni Lo spettro di proprietà atomiche è più ampio in questo gruppo rispetto al
cariche più intensamente più che Gruppo 5A(15) a causa dell’elettronegatività elevata (3,5) dell’ossigeno e della gran-
verso le regioni cariche meno inten- de forza ossidante, seconda soltanto a quella del fluoro. Come nel Gruppo 5A(15)
samente. Questa configurazione di e nei gruppi precedenti, spicca il comportamento dell’elemento del Periodo 2. In
particelle nere viene trasferita elet-
realtà, a parte una configurazione elettronica esterna simile, i più grandi elementi
trostaticamente sul foglio di carta,
dove vengono fuse sulla superficie del Gruppo 6A hanno un comportamento poco simile a quello dell’ossigeno: sono
della carta mediante riscaldamento o molto meno elettronegativi, formano anioni molto meno spesso (S2− si presenta con
applicazione di un solvente. Il toner metalli attivi) e i loro idruri non presentano legami idrogeno.
in eccesso viene rimosso dallo strato Eccettuato O, tutti gli elementi 6A formano idruri (H2E) gassosi, maleodoranti e
sottile di Se, le cariche vengono
tossici, per trattamento con acido del solfuro, di sali metallici di zolfo, selenio, ecc.
“cancellate” mediante l’esposizione
alla luce, e lo strato di selenio è Per esempio,
pronto per la copiatura del docu-
mento successivo. FeSe( s ) + 2HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ H2Se( g ) + FeCl 2 ( aq )

14txt.indd 500 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 501

Il solfuro di idrogeno si forma anche in natura nelle paludi per degradazione della ma-
teria organica. È tanto tossico quanto HCN e, ciò che è peggio, anestetizza i nervi olfat-
tivi, cosicché, quando la sua concentrazione aumenta, diminuisce la percezione da par-
te del sistema olfattivo! Gli altri idruri sono circa 100 volte più tossici. Nella formazione
di legami e nella termostabilità questi idruri degli elementi del Gruppo 6A(16) hanno
parecchie caratteristiche in comune con quelli degli elementi del Gruppo 5A(15).
• Soltanto l’acqua può formare legami idrogeno, cosicché le sue temperature di
fusione ed ebollizione sono molto più alte di quelle degli altri composti H2E
(vedi Figura 12.14). (Anche l’altro idruro dell’ossigeno, H2O2, presenta un’este- • Il perossido di idrogeno:
il cugino dell’idrazina
sa rete di legami idrogeno).
• Gli angoli di legame diminuiscono dal valore quasi tetraedrico nel caso di H2O L’ossigeno forma un altro idruro
denominato perossido di idrogeno,
(104,5°) a circa 90° nel caso degli idruri più grandi, la qual cosa indica che H2O2 (HO OH). Come l’idrazina
l’atomo centrale impiega orbitali p non ibridati. (H2N NH2), l’idruro di azoto corre-
• La lunghezza del legame E H aumenta (l’energia di legame diminuisce) pro- lato, il perossido di ossigeno ha una
gressivamente dall’alto al basso lungo il gruppo. Così, H2Te si decompone sopra forma asimmetrica. È un liquido
0 °C, mentre H2Po può essere preparato soltanto a bassissima temperatura incolore con un’elevata densità,
viscosità e temperatura di ebollizio-
perché l’energia termica emessa dal Po radioattivo ne causa la decomposizione ne in virtù di estesi legami idrogeno.
a tempe­rature superiori. Un’altra conseguenza dei legami più lunghi (più debo- Nei perossidi, O è nello stato di
li) è che gli idruri degli elementi del Gruppo 6A(16) sono acidi in acqua e la ossidazione −1, intermedio tra quel-
loro acidità aumenta da H2S a H2Po. lo in O2 (zero) e quello negli ossidi
(−2); perciò, H2O2 subisce facilmen-
Eccettuato O, gli elementi del Gruppo 6A(16) formano un’ampia gamma di aloge- te una reazione di disproporzione:
nuri, la cui struttura e reattività presentano un andamento regolare che dipende dal H2O 2 ( l ) ⎯ ⎯→ H2O( l ) + 12 O 2 ( g )
raggio dell’atomo centrale e da quello degli alogeni che lo circondano. Oltre al familiare impiego di H2O2
come decolorante dei capelli e
• Lo zolfo forma molti fluoruri, alcuni cloruri, un solo bromuro, ma non forma di­
sinfettante, più del 70% delle
ioduri stabili. 500 000 tonnellate prodotte
• Quando l’atomo centrale diventa più grande, gli alogenuri diventano più stabili. an­nualmente è usato per sbiancare
Per esempio, si conoscono tetracloruri e tetrabromuri di Se, Te e Po, così come si la polpa di legno per la produzione
della carta, i tessili, la paglia e il
conoscono ioduri di Te e Po. Però si conoscono esafluoruri soltanto di S, Se e Te. cuoio e per produrre altri composti
La relazione inversa tra lunghezza di legame e forza di legame che abbiamo visto chimici. H2O2 è usato anche nel trat-
tamento terziario delle acque reflue
precedentemente non spiega questo andamento regolare. Esso è invece basato (scheda Chimica nell’ingegneria sani-
sull’effetto di repulsioni elettroniche dovute all’ingombro di coppie solitarie e di taria, Capitolo 13) per ossidare gli
atomi di alogeno (X) attorno all’atomo centrale del Gruppo 6A(16). Nel caso di S, gli effluenti maleodoranti e ossigenare
atomi X più grandi diventano troppo ingombrati, il che spiega perché non esistono le acque reflue stesse.
ioduri di zolfo. Però, al crescere del raggio di E e quindi della lunghezza dei legami
E X, non c’è altrettanto ingombro reciproco tra le coppie solitarie e gli atomi X,
e si forma un maggior numero di alogenuri stabili.
Due fluoruri di zolfo illustrano chiaramente come l’ingombro e la disponibilità
di orbitali influenzano la reattività. Il tetrafluoruro di zolfo (SF4) è estremamente
­reattivo. Forma SO2 e HF quando è esposto all’umidità ed è impiegato comunemen-
te per fluorurare molti composti:
3SF4 ( g ) + 4BCl3 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4BF3 ( g ) + 3SCl 2 ( l ) + 3Cl 2 ( g )
Per contro, l’esafluoruro di zolfo (SF6) è quasi tanto inerte quanto un gas nobile! È
inodore, insapore, ininfiammabile, atossico e insolubile. I metalli caldi, l’HCl in ebol-
lizione, il KOH fuso e il vapore acqueo ad alta pressione non hanno alcun effetto su
di esso. L’esafluoruro di zolfo è usato come gas isolante nei generatori elettrici ad alta Figura 14.24 Differenze
strutturali tra SF4 e SF6.
tensione, resistendo a una differenza di potenziale di oltre 106 V (volt) applicata tra SF4 ha una coppia solitaria e
elettrodi posti a una distanza reciproca soltanto di 50 mm. Un’occhiata alle strutture orbitali d vuoti che possono inter-
di questi due fluoruri offre la chiave per spiegare queste stupefacenti differenze (Figu­ venire nella formazione di lega-
ra 14.24). Il tetrafluoruro di zolfo può formare legami con un altro atomo donando la mi. SF6 ha già il numero massimo
di legami che possono essere
propria coppia solitaria di elettroni oppure accettando una coppia solitaria in uno dei
formati da S, e gli atomi F stret-
suoi orbitali d vuoti. D’altra parte, l’esafluoruro di zolfo è privo di una coppia solitaria tamente impaccati racchiudono
centrale, e i sei atomi F formano attorno all’atomo S centrale una guaina tetraedrica l’atomo S centrale, rendendo
che blocca l’attacco chimico. chimicamente inerte SF6.

14txt.indd 501 16/05/19 11:17


502 Capitolo 14

Punti salienti della chimica dell’ossigeno:


lo spettro di proprietà degli ossidi
L’ossigeno è l’elemento più abbondante sulla superficie terrestre, essendo presente
sia come elemento libero sia in innumerevoli ossidi, silicati, carbonati e fosfati, oltre
che nell’acqua. Pressoché tutto l’O2 libero è di origine biologica, essendo stato for-
mato nel corso di miliardi di anni da alghe e piante pluricellulari attraverso processi
fotosintetici in una reazione complessiva di aspetto ingannevolmente semplice:

luce
nH2O( l ) + nCO 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯ → nO 2 ( g ) + (CH2O)n (carboidrati)

Il processo inverso si svolge durante la combustione e la respirazione. Attraverso


questi processi di formazione e di utilizzazione di O2, gli 1,5  ×  109 km3 di acqua
esistenti sulla Terra vengono in media utilizzati e riformati ogni 2 milioni di anni!
Ogni elemento (eccettuati He, Ne e Ar) forma almeno un ossido, molti per
combinazione diretta. Questi composti sono caratterizzati da un ampio spettro
di proprietà. Alcuni ossidi sono gas che condensano a bassissime temperature,
come CO (temperatura di ebollizione = −192 °C): altri sono solidi che fondo-
no a temperature estremamente alte, come BeO (temperatura di fusione = 2530
°C). Essi coprono l’intero intervallo di conduttività elettrica: isolanti (MgO), semi-
conduttori (NiO), conduttori (ReO3) e superconduttori (YBa2Cu3O7). Alcuni ossi-
di hanno una reazione di formazione endotermica [calore di formazione (ΔH0f ) di
NO = +90,3 kJ/ mol], mentre altri hanno una reazione di formazione esotermica
(ΔH0f di CO2 = −393,5 kJ/mol). Gli ossidi possono essere termicamente stabili
(CaO) o instabili (HgO), nonché chimicamente reattivi (Li2O) o inerti (Fe2O3).
Dato questo ampio spettro di comportamenti, un altro modo utile di classifi-
care gli ossidi degli elementi è fare riferimento alle loro proprietà acido-base (vedi
“Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli elementi”, p. 453). Gli ossidi degli ele-
menti del Gruppo 6A(16) presentano le tendenze attese nell’acidità, con SO3 il più
acido e PoO2 il più basico.

Punti salienti della chimica dello zolfo: ossidi, ossiacidi e solfuri


Come il fosforo, lo zolfo forma due ossidi importanti, il diossido di zolfo (SO2) e
il triossido di zolfo (SO3). Lo zolfo è nel suo stato di ossidazione +4 in SO2, un
gas incolore, soffocante, che si forma quando S, H2S o un solfuro metallico bru­cia
in aria:
2H2S( g ) + 3O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( g ) + 2SO2 ( g )

• Acido dal cielo Oggi è 4FeS 2 ( s ) + 11O2 ( g ) ⎯ ⎯


→ 4Fe2O3 ( s ) + 8SO2 ( g )
diffusa la consapevolezza che SO2 è
un importante inquinante dell’aria. La maggior parte di SO2 è utilizzata per produrre acido solforico.
Anche se durante l’attività vulcanica In acqua, il diossido di zolfo forma acido solforoso, che esiste in equilibrio con
e altre attività geotermiche si forma- SO2 idrato anziché sotto forma di molecole H2SO3 isolabili:
no enormi quantità di SO2, queste
appaiono piccole rispetto alle quan-
tità emesse da fonti an­tropiche: cen- 
SO 2 ( aq ) + H2O( l )  
 [H2SO3 ( aq )]   H+ ( aq ) + HSO−3 ( aq )


trali termoelettriche a car­bone fossi-
le, raffinerie di pe­trolio e impianti
di fusione dei minerali metallici.
(Analogamente, l’acido carbonico esiste in equilibrio con CO2 idrato e non può
Nell’at­mo­sfera, SO2 reagisce con O2 essere isolato sotto forma di molecole H2CO3). L’acido solforoso è debole e ha due
e acqua per formare acido solforico, protoni acidi; con una base forte forma lo ione idrogenosolfito (bisolfito, HSO3−) e lo
che piogge, nevi e polveri deposita- ione solfito (SO32−). Poiché S in SO32− è nello stato +4 ed è facilmente ossidabile allo
no su animali, piante, edifici e laghi. stato +6, i solfiti sono buoni riducenti e sono usati per conservare gli alimenti e i
Gli effetti distruttivi delle precipi-
tazioni acide sono oggetto di ampi
vini eliminando prodotti indesiderabili di ossidazione da parte dell’aria.
studi e si stanno intensificando i Nel corso del processo di produzione dell’acido solforico, prima si ossida SO2 a
provvedimenti per porvi rimedio SO3 (S nello stato +6) riscaldandolo in O2 su un catalizzatore:
(Capitolo 19). (Foto: © Steve Cole/
catalizzatore V O /K O
Getty Images RF). 
SO2 ( g ) + 12 O2 ( g )  2 5 2

 SO3 ( g )

14txt.indd 502 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 503

Figura 14.25 Disidratazione


dei carboidrati per opera
dell’acido solforico. I protoni
di H2SO4 concentrato si com-
binano esotermica­men­te con
acqua, disidratando molte
sostanze organiche. Quando
lo zucchero da tavola viene
trattato con acido solforico, i
componenti dell’acqua vengono
rimossi dalle molecole di carboi-
drati (CH2O)n. Si forma vapore
acqueo, e il carbonio restante si
espande trasformandosi in una
massa porosa. (Foto: © McGraw-
(Nel Capitolo 16 vedremo come funzionano i catalizzatori). SO3 viene assorbito in Hill Education/Stephen Frisch,
H2SO4 concentrato e trattato con H2O addizionale: photographer).

SO3 (in H2SO 4 concentrato) + H2O( l ) ⎯ ⎯


→ H2SO 4 ( l )

Con più di 40 milioni di tonnellate prodotte ogni anno nei soli Stati Uniti, H2SO4
è il primo fra tutti i prodotti chimici industriali. La produzione di fertilizzanti, il
trattamento di metalli, pigmenti e tessuti, e la fabbricazione di saponi e detergenti
sono soltanto alcuni dei principali settori industriali che si basano sull’acido solforico.
L’acido solforico concentrato per usi di laboratorio è un liquido viscoso, incolo-
re, costituito dal 98% di H2SO4 in massa. Come gli altri acidi forti, H2SO4 si dissocia
completamente in acqua, formando lo ione idrogenosolfato (o bisolfato), un acido
molto più debole:

Gli idrogenosolfati e i solfati più comuni sono idrosolubili, ma quelli degli elementi
del Gruppo 2A(2) (eccettuato MgSO4), Pb2+ e Hg22+ non lo sono.
L’acido solforico concentrato è un eccellente disidratante. Il suo protone
legato debolmente si trasferisce all’acqua nella reazione di formazione altamente
esotermica di ioni idronio (H3O+). Questo processo può svolgersi anche quando
la sostanza reagente non contiene acqua libera. Per esempio, H2SO4 disidrata
il legno, le fibre natu­rali e molte altre sostanze organiche rimuovendo dalla
struttura molecolare l’acqua presente come componente e lasciando una massa
carbonacea (Figu­ra 14.25).
L’acido tiosolforico (H2S2O3) è un analogo strutturale dell’acido solforico, in
cui un secondo S sostituisce uno degli atomi O (tio- significa “contenente zolfo
al posto di ossigeno”). Lo ione tiosolfato (S2O32−) è un importante riducente nel­
l’analisi chimica. Però trova il suo impiego commerciale più ampio in fotografia,
dove il tiosolfato di sodio pentaidrato (Na2S2O3 ⋅ 5H2O) è impiegato nel fissaggio
dell’immagine fotografica.
Molti metalli si combinano direttamente con S per formare solfuri metallici.
In realtà, i solfuri naturali sono minerali, che vengono estratti per ricavarne molti
metalli, comprendenti rame, zinco, piombo e argento. A parte i solfuri degli ele- Figura 14.26 Un minerale
menti dei Gruppi 1A(1) e 2A(2), la maggior parte dei solfuri metallici non hanno solfuro comune. La pirite (FeS2),
ioni S2− discreti. l’“oro degli sciocchi”, è un mine-
Numerosi metalli di transizione, quali cromo, ferro e nichel, formano con S rale molto bello ma relativa-
mente poco costoso, che contie-
composti non stechiometrici, covalenti, simili a leghe, quali Cr0,88S o Fe0,86S. Alcuni ne lo ione S22−, ma non contiene
minerali importanti contengono S22−; un esempio è la pirite (detta l’“oro degli scioc- oro. (Foto: © Doug Sherman/
chi” per il suo aspetto ingannevole) (FeS2) (Figura 14.26). Geofile).

14txt.indd 503 16/05/19 11:17


504 Capitolo 14

Guardando indietro e avanti: i Gruppi 5A(15), 6A(16) e 7A(17)


I Gruppi 5A(15) e 6A(16) sono molto simili nelle loro tendenze fisiche e chimiche
e nella versatilità del fosforo e dello zolfo (Figura 14.27). La loro differenza più
grande è la scarsa reattività di N2 rispetto alla sorprendente reattività di O2. In en-
trambi i gruppi, il carattere metallico compare soltanto negli elementi più grandi.
Da qui in avanti sono assenti i metalli e persino i metalloidi: tutti gli elementi del
Gruppo 7A(17) sono non metalli reattivi. La formazione di anioni, che era rara nel
Gruppo 5A(15) e più comune nel Gruppo 6A(16), è una delle caratteristiche domi-
nanti del Gruppo 7A(17). Un’altra caratteristica degli elementi del Gruppo 7A(17)
Figura 14.27 Guardando è il numero di composti covalenti che formano con l’ossigeno e l’uno con l’altro.
indietro al Gruppo 5A(15)
e avanti al Gruppo 7A(17)
dal punto di vista del 14.9 GRUPPO 7A(17): GLI ALOGENI
Gruppo 6A(16).
L’ultima possibilità di osservare elementi di grande reattività si ha nel Grup-
po 7A(17). Gli alogeni cominciano con il fluoro (F), l’elemento più “avido” di elet-
troni in assoluto. Anche il cloro (Cl), il bromo (Br) e lo iodio (I) formano composti
con la maggior parte degli elementi, e persino il rarissimo astato (At) è ritenuto
reattivo. Le caratteristiche essenziali degli alogeni sono presentate nel Ritratto di
famiglia del Gruppo 7A(17) (pagine 506 e 507).

Che cosa spiega i cambiamenti regolari


nelle proprietà degli alogeni?
Come i metalli alcalini all’altra estremità della tavola periodica, gli alogeni presentano
tendenze regolari nelle loro proprietà fisiche. Però, mentre le temperature di fusione
e di ebollizione e i calori di fusione e di evaporazione diminuiscono progressivamente
dall’alto al basso lungo il Gruppo 1A(1), queste proprietà aumentano progressivamente
dall’alto al basso lungo il Gruppo 7A(17) (vedi “Uno sguardo d’insieme alle proprietà
degli elementi”, p. 456). Il motivo di queste tendenze opposte è il differente tipo
di legame negli elementi. I metalli alcalini sono costituiti da atomi legati da legami
metallici, la cui forza diminuisce via via che aumenta il raggio degli atomi. Gli alogeni,
d’altra parte, esistono come molecole diatomiche che interagiscono mediante forze di
dispersione, la cui intensità aumenta via via che aumenta il raggio degli atomi e la loro
polarizzabilità. Così, F2 è un gas di colore giallo pallido, Cl2 è un gas di colore giallo-
verde, Br2 è un liquido di colore bruno-arancio e I2 è un solido di colore violetto-nero.

Perché gli alogeni sono così reattivi?


Gli elementi del Gruppo 7A(17) reagiscono con la maggior parte dei metalli e dei
non metalli per formare molti composti ionici e covalenti: alogenuri di metalli e
non metalli, ossidi di alogeni e ossiacidi. La causa della reattività degli alogeni è la
stessa della reattività dei metalli alcalini: una configurazione elettronica che diffe-
risce di un elettrone da quella di un gas nobile. Mentre l’atomo di un metallo del
Gruppo 1A(1) deve cedere un elettrone per raggiungere un livello esterno com-
pleto, un atomo di un non metallo del Gruppo 7A(17) deve acquistare un elettrone per
completare il suo livello elettronico esterno. Questo completamento viene effettuato
in uno dei due seguenti modi:

1. acquistando un elettrone da un atomo metallico e formando così uno ione


negativo mentre il metallo forma uno ione positivo;
2. condividendo una coppia di elettroni con un atomo non metallico, formando
così un legame covalente.
Via via che si scende lungo il gruppo, la reattività rispecchia la diminuzione del­
l’elettronegatività: F2 è l’elemento più reattivo, I2 il meno reattivo. L’eccezionale re-
attività di F2 elementare è correlata anche con la debolezza del legame F F. Poiché
F è piccolo, il legame è corto; però, le coppie solitarie su ciascun atomo F respingo-
no quelle sull’altro, con un conseguente indebolimento del legame (Figura 14.28).

14txt.indd 504 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 505

Figura 14.28 Energie di lega-


me e lunghezze di legame degli
alogeni. A. In conformità con
l’aumento del raggio atomico
dall’alto al basso lungo il gruppo,
le lunghezze di legame aumen-
tano in modo regolare. B. Gli alo-
geni presentano una diminuzione
generale dell’energia di legame
all’aumentare della lun­ghezza di
legame. Però, F2 si discosta da
questa tendenza perché i suoi
atomi piccoli, ricchi di elettro-
ni, si respingono mutuamente,
abbassando così la sua energia di
legame.

In conseguenza di questi fattori, F2 reagisce con ogni elemento (eccettuati He, Ne


e Ar), in molti casi esplosivamente. Gli alogeni presentano il più ampio intervallo
di elettronegatività di qualsiasi gruppo, ma tutti sono tanto elettronegativi da com-
portarsi come non metalli. Agiscono come ossidanti nella maggior parte delle loro
reazioni, e gli alogeni che occupano una posizione più alta nel gruppo sono capaci
di ossidare gli ioni alogenuro che occupano una posizione più bassa:

F2 ( g ) + 2X− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2F− ( aq ) + X 2 ( aq ) (X =
Cl, Br, I)

Quindi, la capacità ossidante di X2 diminuisce progressivamente dall’alto al basso


lungo il gruppo: più bassa è l’elettronegatività dell’elemento, meno fortemente esso
attrae gli elettroni. Analogamente, la capacità riducente di X− aumenta progressiva-
mente dall’alto al basso lungo il gruppo: più grande è lo ione, più facilmente esso
cede il suo elettrone (Figura 14.29).
Gli alogeni subiscono alcune importanti reazioni redox in soluzione acquosa. Il
fluoro è un ossidante così potente che decompone la molecola d’acqua, ossidando
l’O per produrre O2, una certa quantità di O3 e HFO (acido ipofluoroso). Gli altri
alogeni subiscono disproporzioni (si notino i numeri di ossidazione):

0 −1 +1

X 2 + H2O( l )  
 HX( aq ) + HXO( aq ) (X =
Cl, Br, I)

All’equilibrio, è presente pochissimo prodotto salvo che non si aggiunga ione OH−
in eccesso, che reagisce con HX e HXO e fa procedere la reazione fino al comple- Figura 14.29 Capacità ossi-
dante relativa degli alogeni.
tamento: A. Il comportamento redox degli
alogeni si basa su proprietà
X 2 + 2OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ X− ( aq ) + XO− ( aq ) + H2O( l )
atomiche quali l’affinità elettro-
nica, la densità di carica ionica
Quando X è Cl, la miscela di prodotti agisce come uno sbiancante: lo sbiancante per e l’elettronegatività. Un alogeno
(X2) che risiede più in alto nel
usi domestici (“candeggina”) è una soluzione diluita di ipoclorito di sodio (NaClO).
gruppo è capace di ossidare
uno ione alogenuro (X−) di un
alogeno che risiede più in basso.
B. Come esempio, quando si
aggiunge Cl2 acquoso a una
soluzione di I− (strato superio-
re), esso ossida I− a I2, che si
scioglie nel solvente CCl4 (strato
inferiore) per dare una soluzione
violetta. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tographer).

A B continua a pagina 508

14txt.indd 505 16/05/19 11:17


RITRATTO DI FAMIGLIA Gruppo 7A(17): gli alogeni
Proprietà atomiche e fisiche essenziali
LEGENDA Proprietà atomiche
Numero atomico
La configurazione
Simbolo elettronica del
Massa atomica gruppo è ns2np5;
Valenza e
configurazione
agli elementi del
elettronica gruppo manca un
GRUPPO 7A(17) solo elettrone per
Stati di
ossidazione completare il loro
comuni livello elettronico
esterno. Lo stato di
ossidazione −1 è
9
il più comune per
tutti gli elementi.
F Immagine
Eccettuato F, gli
alogeni presentano
19,00 non disponibile
tutti gli stati con
2s22p5
numero dispari (da
(−1)
+7 a −1).
Il raggio atomico
17
e il raggio ionico
Cl aumentano in
modo regolare dall’alto verso il
35,45 basso lungo il gruppo, mentre
3s23p5 ­l’energia di ionizzazione e l’elet-
(−1, +7, tronegatività diminuiscono.
+5, +3, +1)

35

Br
79,90
4s24p5 Proprietà fisiche
(−1, +7, Le temperature e le entalpie di
+5, +3, cambiamento di fase presentano
+1) tendenze regolari. La temperatura
di fusione e la temperatura di ebol-
53
lizione aumentano dall’alto verso il
I basso lungo il gruppo in conseguen-
za delle più intense forze di disper-
126,9 sione tra molecole più pesanti.
5s25p5
(−1, +7,
+5, +3,
+1)

85

At Rarissimo. Nessun
La densità degli elementi allo sta-
to liquido (a una data T) aumenta
(210) campione in modo regolare all’aumentare
6s26p5 disponibile della massa molare.
(−1)
Tennessio: osservato
117 per la prima volta in

Ts esperimenti a Dubna,
Russia nel 2010 e intro-
dotto ufficialmente
(294) nella tavola periodica
7s27p5 dalla IUPAC nel 2015 Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 506 16/05/19 11:17


Gruppo 7A(17): gli alogeni RITRATTO DI FAMIGLIA
Reazioni rappresentative
1. Gli alogeni (X2) ossidano molti metalli e non metalli. La In una base acquosa la reazione giunge a completamento
reazione con l’idrogeno, anche se non utilizzata indu- per formare ipoalogeniti, per esempio:
strialmente per la produzione di HX (fatta eccezione per Cl 2 + 2OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ Cl− ( aq ) + ClO− ( aq ) + H2O( l )
la produzione di HCl ultrapuro), è caratteristica di questi
forti agenti ossidanti: A temperature più elevate si ha formazione di alogenati:
Δ
X 2 + H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2HX( g ) 3Cl 2 ( g ) + 6OH− ( aq ) ⎯ ⎯ → ClO−3 ( aq ) + 5Cl− ( aq ) + 3H2O( l )
2. Gli alogeni subiscono una reazione di disproporzione in
acqua: 3. Il vetro (silice amorfa) viene attaccato da HF:

X 2 + H2O( l )   HX( aq ) + HXO( aq )
(X = Cl, Br, I) SiO 2 ( g ) + 6HF( g ) ⎯ ⎯
→ H2SiF6 ( aq ) + 2H2O( l )

14txt.indd 507 16/05/19 11:17


508 Capitolo 14

segue da pagina 505 Il riscaldamento fa aumentare la disproporzione di XO−, creando ossoanioni con X
in uno stato di ossidazione superiore:
+1 −1 +5
Δ
3XO− ( aq ) ⎯ ⎯ → 2X− ( aq ) + XO−3 ( aq )

Punti salienti della chimica degli alogeni


In questo paragrafo esamineremo i composti che gli alogeni formano con l’idrogeno
e l’uno con l’altro, nonché gli ossidi, gli ossoanioni e gli ossiacidi.
Gli alogenuri di idrogeno Gli alogeni formano alogenuri di idrogeno (HX) gassosi
per combinazione diretta con H2 o per azione di un acido concentrato sull’alogenu-
ro metallico (nel caso di HBr e di HI si usa un acido non ossidante):

CaF2 ( s ) + H2SO 4 ( l ) ⎯ ⎯
→ CaSO 4 ( s ) + 2HF( g )

• HF: struttura insolita, usi 3NaBr( s ) + H3PO 4 ( l ) ⎯ ⎯


→ Na 3PO4 ( s ) + 3HBr( g )
fa­miliari A temperatura ambien-
te, tutti gli alogenuri di idrogeno, Industrialmente, la maggior parte dell’HCl si forma come sottoprodotto nella cloru-
eccettuato HF, sono gas biatomi-
razione degli idrocarburi per la produzione di materie plastiche:
ci. In conseguenza dei suoi estesi
legami idrogeno, HF gassoso esiste 500 °C
sotto forma di corte catene o di CH2==CH2 ( g ) + Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ ClCH2CH2Cl( l ) ⎯ ⎯⎯⎯ → CH2==CHCl( g ) + HCl( g )
cloruro di vinile
anelli di formula (HF)6; HF liquido
ha una temperatura di ebollizione In questo caso, il cloruro di vinile reagisce in un processo separato per formare
di 19,5 °C, più di 50 °C superiore a
poli(vinil cloruro), o PVC, un polimero ampiamente usato nelle moderne tubazioni
quella di HI, molto più pesante; in
HF solido i legami idrogeno gene- per impianti idraulici.
rano una struttura polimerica. HF In acqua, le molecole HX gassose formano un acido alogenidrico. Soltanto HF,
ha molti impieghi, comprendenti la con il suo legame relativamente corto e forte, forma un acido debole:
sintesi della criolite (Na3AlF6) per
la produzione di alluminio, di fluo- HF( g ) + H2O( l )   H3O+ ( aq ) + F− ( aq )


rocarburi per la refrigerazione, e di
NaF per la fluorurazione dell’acqua. Le altre molecole HX si dissociano completamente per formare la quantità stechio-
HF è usato anche nel trattamento metrica di ioni H3O+:
dei combustibili nucleari e nell’in-
cisione chimica del vetro nella fab- → H3O+ ( aq ) + Br− ( aq )
HBr( g ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
bricazione di lampade, transistori e
(Abbiamo visto reazioni simili a queste nel Capitolo 4. Esse implicano il trasferi-
cinescopi televisivi.
mento di un protone da acido a H2O e sono classificate come reazioni acido-base di
Brønsted-Lowry. Nel Capitolo 18 le studieremo attentamente ed esamineremo la
relazione tra lunghezza di legame e acidità delle molecole HX più grandi).

Composti interalogenici: gli “alogenuri di alogeni” Gli alogeni reagiscono


esotermicamente l’uno con l’altro per formare molti composti interalogenici. I
più semplici sono molecole diatomiche, quali ClF o BrCl. Si conosce ogni combi-
nazione binaria dei quattro alogeni comuni. L’alogeno più elettronegativo è nello
stato di ossidazione −1, quello meno elettronegativo è nello stato +1. Si formano
composti interalogenici di formula generale XYn (n = 3, 5, 7) quando gli elementi
più grandi (X) usano gli orbitali d per espandere i loro gusci di valenza. In ogni caso,
l’atomo centrale ha l’elettronegatività inferiore e uno stato di ossidazione positivo.
I composti interalogenici utili industrialmente sono potenti agenti fluoruran-
ti, alcuni dei quali reagiscono con metalli, non metalli e ossidi, persino con il
legno e l’amianto:
Sn( s ) + ClF3 ( l ) ⎯ ⎯→ SnF2 ( s ) + ClF( g )
P4 ( s ) + 5ClF3 ( l ) ⎯ ⎯→ 4PF3 ( g ) + 3ClF( g ) + Cl 2 ( g )
2B 2O3 ( s ) + 4BrF3 ( l ) ⎯ ⎯
→ 4BF3 ( g ) + 2Br2 ( l ) + 3O 2 ( g )
Le loro reazioni con l’acqua sono quasi esplosive e danno HF e l’ossiacido in cui
­l’alogeno centrale ha lo stesso stato di ossidazione. Per esempio,
+5 +5
3H2O( l ) + BrF5 ( l ) ⎯ ⎯
→ 5HF( g ) + HBrO3 ( aq )

14txt.indd 508 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 509

Figura 14.30 Forme moleco-


lari dei principali tipi di com-
posti interalogenici.

Disparità e parità degli stati di ossidazione In “Uno sguardo d’insieme alle


proprietà degli elementi”, p. 453, abbiamo visto che i gruppi con numero dispari
presentano stati di ossidazione con numero dispari, mentre i gruppi con numero
pari presentano stati di ossidazione con numero pari. Questo comportamento ge-
nerale è dovuto al fatto che quasi tutte le molecole stabili hanno elettroni appaiati,
o come coppie di legame o come coppie solitarie. Perciò, quando si formano o si
rompono legami, sono coinvolti due elettroni e quindi lo stato di ossidazione varia di 2.
Consideriamo i composti interalogenici. Quattro formule generali sono XY,
XY3, XY5 e XY7; alcuni esempi sono presentati nella Figura 14.30. Con Y nello stato
di ossidazione −1, X deve essere nello stato +1, +3, +5 e +7, rispettivamente. Lo
stato −1 si presenta quando Y completa il suo livello di valenza; lo stato +7 si pre-
senta quando l’alogeno centrale (X) è completamente ossidato, cioè quando tutti e
sette gli elettroni di valenza si sono allontanati da esso per avvicinarsi agli atomi Y
più elettronegativi che lo circondano.
Esaminiamo i fluoruri di iodio per vedere perché gli stati di ossidazione va-
rino per salti pari a 2. Quando I2 reagisce con F2, si forma IF (si noti il numero di
ossidazione di I):
+1
I 2 + F2 ⎯ ⎯
→ 2IF

In IF3, I impiega due elettroni di valenza addizionali per formare due legami addizio-
nali:
+1 +3
IF+ F2 ⎯ ⎯
→ IF3

Altrimenti si formerebbe una specie instabile con un elettrone spaiato, contenente


due atomi di fluoro. Con ulteriori atomi di fluoro, ha luogo un altro salto di due
unità e si forma il pentafluoruro:
+3 +5
IF3 + F2 ⎯ ⎯
→ IF5

Con ancora altri atomi di fluoro, si forma l’eptafluoruro:


+5 +7
IF5 + F2 ⎯ ⎯
→ IF7

Un elemento in un gruppo con numero pari, quale lo zolfo nel Gruppo 6A(16), pre-
senta la stessa tendenza: i suoi composti hanno elettroni appaiati. Lo zolfo elementare
(numero di ossidazione = 0) acquista o condivide due elettroni per completare il suo
strato (numero di ossidazione = −2). Per esempio, usa due elettroni per reagire con il
fluoro e forma SF2 (numero di ossidazione = +2), altri due elettroni per formare SF4
(numero di ossidazione = +4) e altri due elettroni ancora per formare SF6 (numero di
ossidazione = +6). Perciò, un elemento con uno stato di ossidazione pari ha tipicamen-
te tutti gli stati pari, mentre un elemento con uno stato dispari ha tipicamente tutti gli
stati di­spari. Ripetendo il punto principale, gli stati di ossidazione successivi differiscono di
due unità perché le molecole stabili hanno gli elettroni in coppie attorno ai loro atomi.

14txt.indd 509 16/05/19 11:17


510 Capitolo 14

Figura 14.31 Ossidi del


cloro. Il monossido di dicloro e
il diossido di cloro sono molecole
piegate a V (angolate); si noti
l’elettrone spaiato in ClO2. Si
può considerare che l’eptaossido
di dicloro sia costituito da due
tetraedri ClO4 uniti mediante un
vertice O. (Ogni modello ball-
and-stick mostra la struttura in
cui ciascun atomo ha la carica
formale più bassa. Le coppie soli-
tarie sono mostrate soltanto sugli
atomi centrali). Ossidi, ossiacidi e ossoanioni di alogeni Gli elementi del Gruppo 7A(17) for-
mano molti ossidi che sono potenti ossidanti e acidi in acqua. Il monossido di dicloro
(Cl2O) e specialmente il diossido di cloro (ClO2) sono usati per sbiancare la carta (Figu-
ra 14.31). ClO2 è instabile nei confronti del calore e degli urti e quindi viene preparato
al momento dell’utilizzo (in situ); se ne usano ogni anno più di 100 000 tonnellate:

2NaClO3 ( s ) + SO 2 ( g ) + H2SO 4 ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2ClO 2 ( g ) + 2NaHSO 4 ( aq )

Il diossido ha un elettrone spaiato e Cl è nell’insolito stato di ossidazione +4.


Il cloro è nel suo stato di ossidazione più alto (+7) nell’eptaossido di dicloro,
Cl2O7, il quale è una molecola simmetrica che si forma quando due molecole­
HClO4(HO ClO3) subiscono una reazione di disidratazione-condensazione:
O3Cl O H + HO ClO3 ⎯ ⎯  ClO3 ( l ) + H2O( l )
→ O3Cl O

Gli ossiacidi e gli ossoanioni di alogeni sono prodotti dalla reazione degli alogeni
e dei loro ossidi con l’acqua. La maggior parte degli ossoacidi sono stabili soltanto
in soluzione. La Tabella 14.4 mostra i modelli ball-and-stick degli acidi, nei quali
ciascun atomo ha la sua carica formale più bassa; si notino le formule, che pongono
in risalto che H è legato a O. Gli ipoalogeniti (XO−), gli alogeniti (XO2−) e gli aloge-
nati (XO3−) sono agenti ossidanti formati da reazioni di disproporzione in soluzione
acquosa [vedi Ritratto di famiglia del Gruppo 7A(17), reazione 2]. Piccole quantità
di O2 possono esser generate in laboratorio per riscaldamento di clorati solidi di
metalli alcalini:
Δ
2MClO3 ( s ) ⎯ ⎯ → 2MCl( s ) + 3O 2 ( g )
Il clorato di potassio è l’ossidante nei fiammiferi “di sicurezza”.

14txt.indd 510 16/05/19 11:17


Andamenti periodici negli elementi dei gruppi principali: legami, strutture e reattività 511

Sono ossidanti forti anche parecchi peralogenati. Il perclorato di ammonio, prepa-


rato a partire dal perclorato di sodio, è l’ossidante per la polvere di alluminio nel
• Perclorati pirotecnici
Ven­gono prodotte ogni anno
razzo ausiliario (booster) a propellente solido della navetta spaziale (space shuttle); migliaia di tonnellate di perclo-
in ciascun lancio sono utilizzate più di 700 tonnellate di NH4ClO4: rati destinati alla preparazione di
esplosivi e fuochi d’artificio. I lampi
bianchi e i suoni tonanti di uno
10Al( s ) + 6NH4 ClO 4 ( s ) ⎯ ⎯
→ 4Al 2O3 ( s ) + 12H2O( g ) + 3N 2 ( g ) + 2AlCl3 ( g ) spettacolo pirotecnico sono causati
dalla reazione di KClO4 con zolfo e
Le forze relative degli ossiacidi di alogeni dipendono da due fattori. alluminio in polvere. Nei concerti
rock e in altre produzioni teatrali
1. Elettronegatività dell’alogeno. Tra gli ossiacidi nello stesso stato di ossidazione, si usano spesso miscele di KClO4
e Mg per ottenere effetti speciali.
quali gli acidi alogenici, HXO3 (o HOXO2), la forza dell’acido decresce al decrescere
dell’elettronegatività dell’alogeno:

HOClO 2 > HOBrO 2 > HOIO 2


Maggiore è l’elettronegatività dell’alogeno, maggiore è la densità elettronica che
esso rimuove dal legame O H e maggiore è la facilità con cui è perduto il protone.

2. Stato di ossidazione dell’alogeno. Tra gli ossiacidi di un dato alogeno, quale il cloro,
la forza dell’acido decresce al decrescere dello stato di ossidazione dell’alogeno:

HOClO3 > HOClO2 > HOClO > HOCl

Più alto è lo stato di ossidazione (il numero di atomi O legati) dell’alogeno, maggio-
re è la densità elettronica che esso rimuove dal legame O H. Considereremo quan-
titativamente queste tendenze nel Capitolo 18.

14.10 GRUPPO 8A(18): I GAS NOBILI


L’ultimo gruppo principale è costituito da singoli atomi troppo “nobili” per in-
teragire con altri atomi. Gli elementi del Gruppo 8A(18) presentano tendenze
regolari nelle proprietà fisiche e una reattività molto bassa se non nulla. Questo
gruppo comprende l’elio (He), il secondo elemento più abbondante nell’Universo,
il neon (Ne) e l’argon (Ar), il kripton (Kr) e lo xenon (Xe), gli unici elementi del
gruppo i cui composti siano stati studiati bene, e infine il radon (Rn) radioattivo.
I gas nobili costituiscono circa l’1% in volume dell’atmosfera, principalmente per
l’elevata abbondanza di Ar. Le loro proprietà sono presentate nel Ritratto di fami-
glia del Gruppo 8A(18) a pa­gina 503.

Proprietà fisiche dei gas nobili


Gli elementi del Gruppo 8A(18), situati all’estremità destra della tavola periodica,
sono costituiti da singoli atomi con i livelli elettronici esterni completi e i raggi più
piccoli nei loro periodi: persino Li, il metallo alcalino più piccolo (152 pm), è più
grande di Rn, il gas nobile più grande (140 pm). Questi elementi si avvicinano più
di qualsiasi altra sostanza al comportamento di un gas perfetto (ideale). Condensa-
no e solidificano soltanto a bassissime temperature. In realtà, He è l’unica sostanza
che non solidifica per effetto di una riduzione della sola temperatura: per solidifi-
care richiede anche un aumento della pressione. L’elio ha la temperatura di fusione
più bassa che si conosca (−272,2 °C a 25 atm), soltanto 1 °C sopra −273,15 °C
(= 0 K), e una temperatura di ebollizione di circa 3 °C superiore. Forze di dispersio­-
ne deboli mantengono questi elementi in stati condensati, con temperature di
fusio­ne e di ebollizione che aumentano, come previsto, all’aumentare della massa
mo­lare.

In che modo i gas nobili riescono a formare composti?


Fin dalla loro scoperta, nella seconda metà del XIX secolo, questi elementi erano
stati considerati, e denominati, gas “inerti”. La teoria atomica e, ciò che più impor-

14txt.indd 511 16/05/19 11:17


512 Capitolo 14

ta, tutti gli esperimenti avevano corroborato questa ipotesi. Poi, nel 1962, tutto
questo cambiò quando fu preparato il primo composto di un gas nobile. In che
modo i gas nobili, con livelli esterni completi ed energie di ionizzazione estrema-
mente alte, riescono a reagire?
La scoperta della reattività dei gas nobili è un classico esempio di ragionamen-
to chiaro di fronte a un evento inatteso. A quel tempo, Neil Bartlett, un giovane
chi­mico inorganico, stava studiando i fluoruri di platino, noti come forti ossidanti.
Quando espose accidentalmente PtF6 all’aria, il suo colore rosso intenso si schiarì
lievemente, e l’analisi mostrò che PtF6 aveva ossidato O2 per formare il composto
ionico [O2]−[PtF6]−. Sapendo che l’energia di ionizzazione della molecola di ossige-
no (O2 O2+ + e−; Ei = 1175 kJ/mol) è molto vicina a Ei1 dello xenon (1170
kJ/mol), Bartlett ipotizzò che PtF6 potesse essere capace di ossidare lo xenon. Poco
dopo, Bartlett preparò XePtF6, un solido di colore arancio-giallo. Entro qualche
mese furono preparati anche XeF2 e XeF4, solidi cristallini bianchi. Oltre che negli
stati di ossidazione +2 e +4, Xe esiste nello stato +6 in parecchi composti, come
XeF6, e nello stato +8 nell’ossido instabile XeO4. Sono stati preparati anche alcuni
composti di Kr. I fluoruri di xenon reagiscono rapidamente in acqua per formare HF
e vari altri prodotti, comprendenti vari composti dello xenon.

Guardando indietro e avanti: i Gruppi 7A(17), 8A(18) e 1A(1)


Con la scomparsa del comportamento metallico, gli elementi del Gruppo 7A(17)
formano una miriade di anioni, ossidi covalenti e ossoanioni, che cambiano facil-
mente stati di ossidazione in una ricca chimica in soluzione acquosa. La vigorosa
reattività degli alogeni è in netto contrasto con l’inerzia chimica dei loro vicini nel
Figura 14.32 Guardando Gruppo 8A. I livelli elettronici esterni completi rendono in gran parte inerti gli ato-
indietro agli alogeni, Gruppo mi dei gas nobili, nonostante una limitata capacità di reagire con gli elementi più
7A(17), e avanti ai metalli elettronegativi, il fluoro e l’ossigeno. La famiglia meno reattiva nella tavola periodi-
alcalini, Gruppo 1A(1), dal ca si situa tra le due famiglie più reattive: gli alogeni, che devono acquistare un elet-
punto di vista del Gruppo trone per completare il loro livello esterno, e i metalli alcalini, che per completare
8A(18).
il loro livello esterno devono perdere un elettrone (Figura 14.32). Come sapete, le
proprietà atomiche, fisiche e chimiche cambiano drasticamente dal Gruppo 8A(18)
al Gruppo 1A(1).

14txt.indd 512 16/05/19 11:17


Gruppo 8A(18): i gas nobili RITRATTO DI FAMIGLIA
LEGENDA Proprietà atomiche e fisiche essenziali
Numero atomico
Simbolo
Proprietà atomiche
Massa atomica
Valenza e
configurazione La configurazione elettro-
elettronica nica del gruppo è 1s2 per
GRUPPO 8A(18)
Stati di He e ns2np6 per gli altri
ossidazione elementi. Il guscio di valen-
comuni za è completo. Per quanto
si conosca, soltanto Kr e
Xe (e forse Rn) formano
2 composti. Xe, più reattivo,
presenta tutti gli stati di
He ossidazione pari (+2 ÷ +8).
4,003
1s2 Questo gruppo contiene
(nessuno) gli atomi più piccoli con
le energie di ionizzazione
10 più alte nei loro perio-
Ne di. Scendendo lungo il
gruppo, il raggio atomico
20,18 aumenta e l’energia di
2s22p6 ionizzazione diminuisce
(nessuno) in modo regolare. (I valori
dell’elettronegatività sono
18 dati soltanto per Kr e Xe).
Ar
39,95
3s23p6
(nessuno)

36
Proprietà fisiche
Kr La temperatura di fusione e la
83,80 temperatura di ebollizione di questi
4s24p6 elementi gassosi sono estremamen-
(+2) te basse, ma aumentano dall’alto al
basso lungo il gruppo a causa di forze
54
di dispersione più intense. Si notino
Xe gli intervalli di temperatura estre-
mamente piccoli in cui gli elementi
131,3 sono allo stato liquido.
5s25p6
(+8, +6,
+4, +2)

86 Mass
La densità (in condizioni normali
spectral
Rn peak
di temperatura e di pressione)
aumenta in modo regolare, come
(222) ci si attende.
6s26p6
(+2)
Oganesson: scoperto
118 in esperimenti condotti
Og in collaborazione da
scienziati russi e statu-
(294) nitensi nel 2002 e inse-
rito ufficialmente dalla
7s27p6 IUPAC nella tavola
periodica nel 2015
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

14txt.indd 513 16/05/19 11:17


Composti organici
e proprietà atomiche del carbonio 15
DA SAPERE PRIMA
Esiste un sistema chimico che sia più notevole di una cellula vivente? Mediante
meccanismi accuratamente regolati, essa ossida alimenti per ricavarne energia,
• nomenclatura degli alcani sempli-
ci (Paragrafo 2.8)
mantiene le concentrazioni di migliaia di componenti in soluzione acquosa, intera-
• differenza di elettronegatività e gisce continuamente con il suo ambiente, sintetizza molecole sia semplici sia com-
polarità del legame (Paragrafo 9.4) plesse, e persino si riproduce! Nonostante tutte le nostre capacità tecnologiche,
• strutture di risonanza
(Paragrafo 10.1)
nessun sistema costruito dall’uomo riesce ad avvicinarsi alla semplice eleganza di
• teoria VSEPR della forma moleco- funzionamento della cellula.
lare (Paragrafo 10.3) Questa stupefacente macchina chimica consuma, produce e contiene in gran
• legami e rotazione attorno al
legame (Paragrafo 11.2)
parte composti organici. Eccettuati alcuni sali inorganici e l’acqua sempre presente,
• tipi di forze intermolecolari (Para- ogni cosa che introduciamo nel nostro corpo o applichiamo su di esso – cibi, farma-
grafi 12.3 e 13.1) ci, cosmetici e indumenti – è costituita da composti organici. Combustibili organici
• proprietà degli elementi del
Periodo 2 (Paragrafo 14.2)
riscaldano le nostre case, cuociono i nostri pasti e forniscono energia alla nostra
• proprietà degli elementi del Grup- società. Importanti industrie sono destinate alla produzione di composti organici,
po 4A(14) (Paragrafo 14.6) quali polimeri, farmaci e insetticidi.
Che cos’è un composto organico? I dizionari lo definiscono come un ‘‘composto
del carbonio’’, ma questa definizione comprende i carbonati, i cianuri, i carburi, i
cianati e altri composti ionici contenenti carbonio che la maggior parte dei chimici
classificano come inorganici. Ecco una definizione basata sulla composizione: tutti
i composti organici contengono carbonio, quasi sempre legato ad altro carbonio e
all’idrogeno, e spesso anche ad altri elementi.
Il termine organico ha una connotazione biologica che trae origine da una
concezione erronea che soffocò per molti decenni la ricerca sulla chimica dei siste-
mi viventi. All’inizio del XIX secolo, molti eminenti pensatori ritenevano che nei
composti degli esseri viventi esistesse un’energia spirituale inosservabile, una “forza
vitale”, che rendeva impossibile sintetizzarli e li rendeva fondamentalmente diversi
dai composti esistenti nel mondo minerale. Questo concetto di vitalismo fu messo
in discussione nel 1828, quando il giovane chimico tedesco Friedrich Wöhler ri-
scaldò il cianato di ammonio, un composto del “mondo minerale”, e produsse l’urea,
un composto del “mondo vivente”:

Anche se Wöhler non si rese conto dell’importanza di questa reazione – era più
interessato al fatto che due composti possano avere la stessa formula molecolare – il
suo esperimento è considerato un evento fondamentale nell’origine della chimica
organica.
I chimici sintetizzarono presto il metano, l’acido acetico, l’acetilene e molti
altri composti organici partendo da fonti inorganiche. Oggi sappiamo che gli stessi
principi chimici governano sia i sistemi organici sia quelli inorganici perché il com-
portamento di un composto deriva dalle proprietà dei suoi elementi, indipenden-
temente da quanto possa apparire meraviglioso.

15txt.indd 514 16/05/19 11:18


Composti organici e proprietà atomiche del carbonio 515

In questa breve introduzione a un campo enorme, in crescita continua, prosegui-


remo il tema centrale del libro: come la struttura e la reattività delle molecole
organiche emergono in modo naturale dalle proprietà degli atomi componenti, che
in questo caso sono il carbonio e la manciata dei suoi partner di legame. Prima esa-
mineremo le proprietà atomiche piuttosto speciali del carbonio e vedremo qual è la
loro relazione con le molecole organiche. Inizialmente concentreremo l’attenzione
sugli idrocarburi per dare un’idea della scrittura e della nomenclatura dei composti
organici. Poi classificheremo i principali tipi di reazioni organiche e, nella parte
centrale del capitolo, li applicheremo alle principali famiglie di composti organici.
Infine, estenderemo questi concetti alle molecole giganti del commercio e della
vita: i polimeri sintetici e naturali.

Il capitolo completo è disponibile sul sito internet


highered.mheducation.com/sites/8838695393

15txt.indd 515 16/05/19 11:18


Cinetica chimica:
velocità e meccanismi
delle reazioni chimiche
16
DA SAPERE PRIMA Fino a questo punto abbiamo adottato un approccio piuttosto semplice alle tra­
sformazioni chimiche: i reagenti si miscelano e si formano i prodotti. Un’equazione
• influenza della temperatura
sulla velocità molecolare bilanciata è uno strumento quantitativo essenziale per calcolare le rese di prodotti
e sulla frequenza delle collisioni partendo dalle quantità di reagenti, ma non dice alcunché riguardo agli aspetti
(Paragrafo 5.6) dinamici di una reazione, che sono essenziali per comprendere le trasformazioni
chimiche e che esamineremo nei prossimi capitoli.
• A che velocità procede la reazione in un dato istante?
• Quali saranno le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti quando la reazione
sarà completa?
• La reazione procederà da sola e rilascerà energia oppure richiederà energia per
procedere?
In questo capitolo risponderemo alla prima di queste domande e concentreremo
l’attenzione sulla cinetica chimica, che studia la velocità di una reazione e il suo
meccanismo, le trasformazioni graduali subite dai reagenti nella loro conversione
in prodotti.
La cinetica chimica è lo studio delle velocità di reazione, ovvero le variazioni
delle concentrazioni dei reagenti (o dei prodotti) in funzione del tempo (Figura
16.1).
Le reazioni chimiche si svolgono in un ampio intervallo di velocità. Alcune,
quali una reazione di neutralizzazione, una reazione di precipitazione o una reazio­
ne di ossidoriduzione esplosiva, sembrano terminare non appena i reagenti entrano
in contatto: in una frazione di secondo. Altre, quali le reazioni che intervengono
nella cottura dei cibi o nell’arrugginimento dei metalli, impiegano un intervallo
di tempo moderato, da minuti a mesi. Altre ancora impiegano intervalli di tempo
molto più lunghi: le reazioni responsabili del processo di invecchiamento umano
proseguono per decenni e quelle responsabili della formazione del carbone fossile
a partire da piante morte impiegano centinaia di milioni di anni.
Conoscere la velocità di una trasformazione chimica può essere essenziale. La
velocità a cui agisce un farmaco o il sangue coagula può fare la differenza tra la vita

Figura 16.1 Velocità di rea­


zione: il tema fondamentale
della cinetica chimica. La
velocità a cui un reagente si tra-
sforma in un prodotto è il tema
fondamentale della cinetica
chimica. Con il trascorrere del
tempo, il reagente (in violet-
to) diminuisce e il prodotto (in
verde) aumenta.

16txt.indd 516 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 517

e la morte. La velocità a cui il calcestruzzo indurisce, il polietilene si forma o un


tessuto si colora può fare la differenza tra profitti e perdite. In generale, le velocità
di questi differenti processi dipendono dalle stesse variabili, la maggior parte delle
quali possono essere manipolate dai chimici per massimizzare le rese in un dato
intervallo di tempo o per rallentare una reazione indesiderata.
IN QUESTO CAPITOLO partiamo da una rassegna qualitativa dei fattori che in-
fluenzano la velocità di reazione. Poi vedremo come si può esprimere quantita-
tivamente una velocità di reazione sotto forma di una legge cinetica (o legge di
velocità), come si determinano sperimentalmente le componenti di una legge
cinetica e come la concentrazione e la temperatura influenzano la velocità di
reazione. Poi esamineremo i modelli che spiegano questi effetti. Soltanto allora
saremo in grado di scomporre la reazione complessiva, di vedere gli stadi at-
traverso cui può procedere e di visualizzare la struttura che esiste fugacemente
nel momento in cui i legami nei reagenti si rompono e i legami nei prodotti si
formano. Il capitolo termina con un esame di come i catalizzatori aumentano le
velocità di reazione, ponendo in rilievo il ruolo dei catalizzatori in un campo di
importanza vitale: la deplezione dell’ozono atmosferico.

16.1 I FATTORI CHE INFLUENZANO LA VELOCITÀ


DI REAZIONE
Iniziamo lo studio della cinetica chimica con un esame qualitativo dei principali
fattori che influenzano la velocità a cui procede una reazione. In ogni dato insieme
di condizioni, ogni reazione ha la propria velocità caratteristica, che è determinata
dalla natura chimica dei reagenti. Per esempio, a temperatura ambiente, l’idrogeno
reagisce esplosivamente con il fluoro, ma in modo estremamente lento con l’azoto:
H2(g) + F2(g) 2HF(g) [reazione molto veloce]
3H2(g) + N2(g) 2NH3(g) [reazione molto lenta]
Siamo in grado di controllare quattro fattori che influenzano la velocità di una data
reazione: le concentrazioni dei reagenti, lo stato fisico dei reagenti, la temperatura
a cui avviene la reazione e l’impiego di un catalizzatore. Considereremo qui i primi
tre fattori ed esamineremo il quarto più avanti in questo capitolo.
1. Concentrazione: le molecole devono urtarsi per reagire. Un importante fattore che
influenza la velocità di una data reazione è la concentrazione dei reagenti. Consi­
deriamo la reazione tra ozono e ossido nitrico che avviene nella stratosfera, dove
l’ossido è rilasciato nei gas di scarico degli aerei supersonici:
NO(g) + O3(g) NO2(g) + O2(g)
Immaginiamo quale aspetto potrebbe avere questa reazione a livello molecolare se i
reagenti fossero confinati in un recipiente di reazione (reattore). Le molecole di ossido
nitrico e di ozono sfrecciano in tutte le direzioni, urtando l’una contro l’altra e contro
le pareti del recipiente. Può avvenire una reazione tra NO e O3 soltanto se le molecole
si urtano (collidono). Maggiore è il numero delle molecole presenti nel recipiente, mag­
giore è la frequenza dei loro urti e maggiore è la velocità a cui avviene una reazione.
Perciò, la velocità di reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione dei reagenti:
velocità di reazione ∝ frequenza degli urti ∝ concentrazione
(Il simbolo ∝ significa “direttamente proporzionale a”). In questo caso, stiamo con­
siderando una reazione molto semplice, in cui le molecole dei reagenti si urtano
e formano molecole dei prodotti in un unico stadio, ma anche le velocità delle
reazioni complesse dipendono dalla concentrazione dei reagenti.
2. Stato fisico: le molecole devono mescolarsi per urtarsi. La frequenza degli urti tra le
molecole dipende anche dagli stati fisici dei reagenti. Quando i reagenti sono nella
stessa fase, per esempio in una soluzione acquosa, l’agitazione termica le porta a
contatto. Quando sono in differenti fasi, il contatto avviene soltanto all’interfaccia

16txt.indd 517 16/05/19 11:19


518 Capitolo 16

Figura 16.2 L’effetto


dell’area superficiale sulla
velocità di reazione. A. Un
chiodo portato ad alta tempe-
ratura e immerso in O2 emette
luce. B. La stessa massa di lana
d’acciaio si infiamma in O2.
La maggiore area superficiale
riferita all’unita di volume della
lana d’acciaio significa che una
maggiore quantità di metallo
entra in contatto con O2, quindi
la reazione è più veloce.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

A B

tra le fasi, quindi può essere necessario procedere a un’agitazione vigorosa e alla
macinazione. In questi casi, più finemente è diviso un reagente solido o liquido, mag-
giore sarà l’area della sua superficie riferita all’unità di volume, di conseguenza maggiore
il contatto che esso avrà con l’altro reagente e quindi la reazione sarà più veloce. La
Figura 16.2A mostra che un chiodo d’acciaio portato a temperatura elevata in os­
sigeno emette una luce debole; nella Figu­ra 16.2B, la stessa massa di lana d’acciaio
s’infiamma emettendo luce intensa. Per lo stesso motivo, per accendere un fuoco
da campo si usano schegge di legno e ramoscelli, non tronchi.
3. Temperatura: le molecole devono urtarsi con energia sufficiente per reagire. La tem­
peratura ha di solito un effetto importante sulla velocità di una reazione. Questo
effetto è sfruttato da due elettrodomestici familiari: un frigorifero rallenta i processi
chimici che alterano gli alimenti, mentre un fornello accelera i processi chimici che
li cuociono.
Si ricordi che le molecole in un campione di gas hanno un intervallo di velocità
e che la velocità più probabile dipende dalla temperatura (vedi Figura 5.18). Perciò,
all’aumentare della temperatura, aumenta il numero di urti in un dato intervallo di tempo.
Ma ancora più importante è il fatto che la temperatura influenza l’energia cinetica
delle molecole, quindi, l’energia delle collisioni. Nell’insieme di molecole nella rea­
zione tra NO e O3 menzionata prima, per la maggior parte degli urti le molecole
rimbalzano semplicemente, come palle da biliardo, senza che avvenga una reazione.
Però, alcuni urti avvengono con un’energia così alta che le molecole reagiscono
(Figura 16.3). All’aumentare della temperatura, aumenta il numero di questi urti
abbastanza energetici. Perciò, un aumento della temperatura aumenta la velocità di
reazione aumentando il numero e, soprattutto, l’energia degli urti:
velocità di reazione ∝ energia degli urti ∝ temperatura
Il concetto qualitativo secondo cui la velocità di reazione è influenzata dalla frequen­
za e dall’energia degli urti dei reagenti suscita alcune domande quantitative. Come si
Figura 16.3 Energia delle può descrivere matematicamente la dipendenza della velocità di reazione dalla con­
collisioni e velocità di reazio­ centrazione dei reagenti? Tutte le variazioni della concentrazione influenzano nella
ne. La reazione è visualizzata stessa misura la velocità di reazione? Tutte le velocità di reazione subi­scono lo stesso
nella parte superiore della figu- aumento per effetto di un dato aumento della temperatura? In che modo le molecole
ra. Anche se avvengono molti
dei reagenti utilizzano l’energia degli urti per formare le molecole dei prodotti e come
urti tra NO e O3, sono relativa-
mente pochi quelli che hanno si può determinare questa energia? Come si presentano i reagenti quando stanno per
energia sufficiente per causare trasformarsi in prodotti? Risponderemo a queste domande nei paragrafi seguenti.
una reazione. A questa tem-
peratura, soltanto l’urto a ha
energia sufficiente per formare 16.2 ESPRESSIONE DELLA VELOCITÀ DI REAZIONE
il prodotto; negli urti b e c, le
molecole di reagenti rimbalzano Prima di potere descrivere quantitativamente gli effetti della concentrazione e del­
semplicemente l’una sull’altra. la temperatura sulla velocità di reazione, dobbiamo esprimerla matematicamente.

16txt.indd 518 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 519

Una velocità, in senso generale, è una variazione di una grandezza riferita all’unità
di tempo. Per esempio, la velocità di un corpo (assimilato a un punto) dal punto di
vista meccanico è la variazione della posizione del corpo riferita all’unità di tempo.
Supponiamo, per esempio, di misurare la posizione di partenza x1 di un cavallo da
corsa all’istante t1 e la sua posizione finale x2 all’istante t2. La velocità media del ca­
vallo è data dalla variazione della sua posizione (spostamento) riferita all’intervallo
di tempo in cui si compie:
variazione della posizione x 2 − x1 Δx
=
velocità media = =
intervallo di tempo impiegato t 2 − t1 Δt

Nel caso di una trasformazione chimica, interessa la velocità di reazione, ovvero


la variazione delle concentrazioni dei reagenti o dei prodotti riferita all’unità di
tempo: le concentrazioni dei reagenti diminuiscono mentre le concentrazioni dei prodotti
aumentano. Consideriamo una reazione generale, A B. Misuriamo rapidamen­
te la concentrazione iniziale del reagente (conc A1) all’istante t1, lasciamo procede­
re la reazione, e poi misuriamo di nuovo rapidamente la concentrazione del reagen­
te (conc A2) all’istante t2. La variazione della concentrazione divisa per l’intervallo
di tempo impiegato dà la velocità media di reazione:
variazione della concentrazione di A
velocità di reazione =
intervallo di tempo impiegato
conc A 2 − conc A1 Δ(conc A)
=− =−
t 2 − t1 Δt

Si noti il segno negativo. Per convenzione, la velocità di reazione è un valore posi-


tivo, ma conc A2 sarà sempre minore di conc A1, quindi la variazione della concentra-
zione (= concentrazione finale − concentrazione iniziale) del reagente A è sempre nega-
tiva. Usiamo il segno negativo semplicemente per convertire la variazione negativa
della concentrazione del reagente in un valore positivo della velocità di reazione.
Supponiamo che la concentrazione di A vari da 1,2 mol/L (conc A1) a 0,75 mol/L
(concù A2) in un intervallo di tempo di 125 s. La velocità media di reazione è
0,75 mol/L − 1,2 mol/L
velocità di reazione = = 3,6 ×10−3 mol/(L ⋅ s)
125 s − 0 s

Per esprimere la concentrazione in moli su litro (mol/L) si racchiude l’elemento tra paren-
tesi quadre [ ]. Cioè [A] è la concentrazione di A in moli su litro (mol/L), quindi, la
velocità di reazione, espressa in funzione di A è

Δ[A]
            velocità di reazione = −          (16.1)
Δt

L’unità di misura della velocità di reazione è la mole su litro e su secondo [mol ⋅ L−1 ⋅ s−1
ossia mol/(L ⋅ s)]. Come unità di tempo si può scegliere qualsiasi unità che sia conve­
niente per la reazione di interesse: il minuto (min), l’anno (a) e così via.
Se, per determinare la velocità di reazione, si misurano le variazioni del prodot-
to, si trova che la sua concentrazione aumenta nel tempo. Cioè, conc B2 è sempre
maggiore di conc B1.
Perciò, la variazione della concentrazione del prodotto, Δ[B], è positiva, e la
velocità della reazione A B espressa in funzione di B, è
Δ[B]
velocità di reazione =
Δt

Velocità media, istantanea e iniziale di una reazione


Esaminando la velocità di una reazione reale si nota un punto importante: la velo-
cità di reazione stessa varia nel tempo via via che la reazione procede. Consideriamo la

16txt.indd 519 16/05/19 11:19


520 Capitolo 16

Tabella 16.1 Concentrazione reazione reversibile in fase gassosa tra etilene e ozono, una delle molte reazioni che
di O3 in vari istanti nella sua possono intervenire nella formazione dello smog fotochimico:
reazione con C2H4 a 303 K
C2H4(g) + O3(g) C2H4O(g) + O2(g)
Tempo Concentrazione di O3
(s) (mol/L) Consideriamo per il momento soltanto la concentrazione dei reagenti. Dai coeffi­
−5 cienti dell’equazione possiamo vedere che, per ogni molecola di C2H4 che reagisce,
0,0 3,20 × 10
10,0 2,42 × 10−5 reagisce con essa una molecola di O3. In altre parole, le concentrazioni di entrambi
20,0 1,95 × 10−5 i reagenti diminuiscono alla stessa velocità in questa particolare reazione:
30,0 1,63 × 10−5 Δ[C2H4 ] Δ[O3 ]
40,0 1,40 × 10−5 velocità di reazione = − =−
Δt Δt
50,0 1,23 × 10−5
60,0 1,10 × 10−5 Misurando la concentrazione dell’uno o dell’altro reagente, siamo in grado di segui­
re la velocità di reazione.
Supponiamo di avere una concentrazione nota di O3 in un recipiente di reazio­
ne chiuso mantenuto alla temperatura di 30 °C (303 K). La Tabella 16.1 mostra la
concentrazione di O3 a vari istanti durante il primo minuto dopo l’introduzione di
C2H4 gassoso. La velocità di reazione nell’intero intervallo di tempo di 60,0 s è data
dalla variazione totale della concentrazione divisa per l’intervallo di tempo:

Δ[O3 ] (1,10 ×10 −5


mol/L ) − (3,20 ×10−5 mol/L )
velocità di reazione = − =−
Δt 60,0 s − 0,0 s
−7
= 3,50 ×10 mol/(L ⋅ s)

Questo calcolo fornisce la velocità media di reazione in quell’intervallo di tem­


po; cioè, durante i primi 60,0 s della reazione, la concentrazione dell’ozono subisce
una diminuzione media di 3,50  ×  10−7 mol/L al secondo. Però, la velocità media di
reazione non indica che la velocità di reazione varia e non dice alcunché riguardo
alla velocità a cui la concentrazione dell’ozono diminuisce a ogni dato istante.
Possiamo determinare la velocità di reazione durante la reazione calcolando la
velocità media di reazione in due intervalli di tempo più brevi: i primi 10,0 s e gli
ultimi 10,0 s.
Durante i primi 10,0 s, tra l’istante iniziale 0,0 s e l’istante 10,0 s, la velocità
media è
Δ[O3 ] (2,42 ×10 −5
mol/L ) − (3,20 ×10−5 mol / L )
velocità di reazione = − =−
Δt 10,0 s − 0,0 s
−7
= 7,80 ×10 mol/L(L ⋅ s)

Durante gli ultimi 10,0 s, tra l’istante 50,0 s e l’istante finale 60,0 s, la velocità media
di reazione è
Δ[O3 ] (1,10 ×10 −5
mol/L ) − (1,23 ×10−5 mol/L )
velocità di reazione = − =−
Δt 60,0 s − 50,0 s
−7
= 1,30 ×10 mol/(L ⋅ s)
La velocità di reazione precedente è 6 volte quella successiva. Perciò, la velocità di
reazione diminuisce nel corso della reazione. Ciò ha perfettamente senso dal punto di
vista molecolare: via via che le molecole di O3 vengono consumate, ne è presente
un numero sempre minore per urtare contro le molecole di C2H4 e la velocità di
reazione diminuisce.
Si può visualizzare la variazione della velocità di reazione anche rappresentan­
do le concentrazioni in funzione dei tempi in cui sono state misurate (Figura 16.4).
Si ottiene così una curva, la qual cosa significa che la velocità di reazione varia. La
pendenza (il coefficiente angolare) Δy/Δx (cioè Δ[O3]/Δt) della retta congiungente due
punti qualsiasi della curva dà la velocità media di reazione in quell’intervallo di tempo.
Più breve è l’intervallo di tempo prescelto, più la velocità media di reazione
è vicina alla velocità istantanea di reazione, ovvero la velocità di reazione

16txt.indd 520 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 521

4,00 Figura 16.4 Tre tipi di veloci­


tà di reazione per la reazione
Δt di O3 e C2H4. Rappresentando
Δt graficamente i dati presentati
3,00 nella Tabella 16.1, si ottiene una
velocità di reazione curva perché la velocità della re-
Δ[O3] retta [mol/(L · s)]
azione varia durante la reazione
b a 3,50×10−7 stessa. La velocità media di rea-
Concentrazione di O3 (mol/L × 105)

b 7,80×10−7 zione durante un dato intervallo


e c 1,30×10−7 di tempo è la pendenza di una
retta congiungente due punti
d 2,50×10−7 della curva. La velocità iniziale
Δ[O3] a e 10,0×10−7 di reazione è la pendenza della
2,00 retta e, cioè la tangente alla
Δt
curva nel punto corrispondente
all’istante t = 0,0 s. La penden-
Δ[O3]
za della retta a è la velocità
media di reazione durante i
Δ[O3] d primi 60,0 s della reazione.
Le pendenze delle rette b e c
danno la velocità media nel
Δt Δ[O3]
primo e nell’ultimo intervallo di
c
1,00 Δt tempo di 10 s, rispettivamente.
La retta b è più ripida della
retta c perché la velocità media
0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 nell’intervallo di tempo prece-
Tempo (s) dente è maggiore. La velocità
istantanea di reazione all’istante
35,0 s è la pendenza della ret-
ta d, la tangente alla curva nel
punto corrispondente all’istante
in un particolare istante durante la reazione. La pendenza di una retta tangente
t = 35,0 s.
alla curva in un particolare punto corrisponde alla velocità istantanea di reazione a
quell’istante. Per esempio, la velocità di una reazione 35,0 s dopo l’istante iniziale è
2,50  ×  10−7 ­mol/(L ⋅ s), corrispondente alla pendenza della retta tangente alla curva
nel punto coincide con t = 35,0 s (retta d nella Figu­ra 16.4).
In generale, con il termine velocità di reazione s’intende la velocità istantanea di
reazione. Via via che la reazione procede, le concentrazioni dei prodotti aumentano,
quindi la reazione inversa procede più rapidamente.
Per trovare la velocità di reazione complessiva (netta), dovremmo tenere conto
sia della reazione diretta sia della reazione inversa e calcolare la differenza tra le due
velocità di reazione.
Un modo comune di evitare questa complicazione nel caso di molte reazioni
è misurare la velocità iniziale di reazione, ovvero la velocità istantanea nel mo­
mento in cui i reagenti vengono mescolati. In queste condizioni, le concentrazioni
dei prodotti sono trascurabili, quindi è trascurabile la velocità della reazione inver­
sa. Inoltre, conosciamo le concentrazioni dei reagenti in base alle concentrazioni e
ai volumi delle soluzioni che mescoliamo. La velocità iniziale di reazione si misura
determinando la pendenza della retta tangente alla curva nel punto corrispondente
a t = 0. Nella Figura 16.4, la velocità iniziale è 3,50  ×  10−7 mol/(L ⋅ s) (retta a). Salvo
che non sia detto altrimenti, useremo i dati relativi alla velocità iniziale di reazione
per determinare altri parametri cinetici.

Espressione della velocità di reazione in funzione


delle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti
Finora, nell’esame della reazione tra O3 e C2H4, abbiamo espresso la velocità di rea­
zione in funzione della concentrazione decrescente di O3. La velocità di reazione è
la stessa in funzione della concentrazione decrescente di C2H4, ma è esattamente
l’opposto in funzione delle concentrazioni dei prodotti perché queste sono crescen-
ti. Dall’equazione bilanciata vediamo che compaiono una molecola di C2H4O e una
molecola di O2 per ogni molecola di C2H4 e ogni molecola di O3 che scompaiono.

16txt.indd 521 16/05/19 11:19


522 Capitolo 16

Possiamo esprimere la velocità di reazione in funzione della concentrazione di


ognuna delle quattro sostanze che partecipano alla reazione:
Δ[C2H4 ] Δ[O3 ] Δ[C2H4 O] Δ[O2 ]
velocità di reazione = − =− = + = +
Δt Δt Δt Δt

Si notino di nuovo i valori negativi per i reagenti e i valori positivi per i prodotti
(si ricorda, però, che per convenzione il segno positivo solitamente viene omesso).
La Figura 16.5 mostra i diagrammi del monitoraggio simultaneo di reagenti e pro­
dotti per due diverse reazioni. Nel primo caso (Figu­r­a 16.5A, reazione tra etilene e
ozono) la concentrazione del prodotto aumenta alla stessa velocità a cui diminuisce
la concentrazione del reagente, le curve hanno la stessa forma ma sono l’una capo­
volta rispetto all’altra.
Nella reazione tra l’etilene e l’ozono, i reagenti scompaiono e i prodotti compaio­
no alla stessa velocità perché tutti i coefficienti nell’equazione bilanciata sono uguali.
Consideriamo ora la reazione tra idrogeno e iodio per formare ioduro di idrogeno:
H2(g) + I2(g) 2HI(g)
Per ogni molecola di H2 che scompare, scompare una molecola di I2 e compaiono
due molecole di HI. In altre parole, la velocità di diminuzione di [H2] è uguale alla
velocità di diminuzione di [I2], ma entrambe le velocità sono pari alla metà della
velocità di aumento di [HI] (Figura 16.5B). Riferendo la variazione di [I2] e di [HI]
alla variazione di [H2], otteniamo:
Δ[H2 ] Δ[I 2 ] 1 Δ[HI]
velocità di reazione = − =− =
Δt Δt 2 Δt

Se invece riferiamo la variazione di [H2] e di [I2] alla variazione di [HI], otteniamo:


Δ[HI] Δ[H2 ] Δ[I 2 ]
velocità di reazione = = −2 = −2
Δt Δt Δt

Si noti che questa equazione è semplicemente quella precedente riordinata; si noti


anche che dà un valore numerico della velocità doppio rispetto a quello preceden­
te. Perciò, l’espressione matematica della velocità di una particolare reazione e il valore
Figura 16.5 Diagrammi di numerico della velocità di reazione dipendono da quale sostanza è scelta come riferimento.
[reagenti] e [prodotti] in
funzione del tempo. A. [C2H4]
e [O2]. Rappresentando grafica-
mente le misure della concen-
trazione del reagente, [C2H4], C2H4 O3 C2H4O O2 H2 I2 2HI
e della concentrazione del pro-
dotto, [O2], si ottengono curve
di forma identica con andamenti
opposti. L’elevata pendenza po- [H2]
sitiva (inclinazione verso l’alto)
della curva rappresentativa di
Concentrazione (mol/L)

Concentrazione (mol/L)

[C2H4]
[O2] all’inizio della reazione è
speculare all’elevata pendenza
negativa (inclinazione verso il
basso) della curva rappresenta-
tiva di [C2H4] perché, più velo-
cemente viene consumato C2H4,
più velocemente viene formato
O2. In questo caso le due curve
hanno la stessa forma perché i [HI]
coefficienti delle equazioni che [O2]
le descrivono sono identici in
valore assoluto. B. [H2] e [HI]. In
questo caso H2 viene consumato
più lentamente di quanto non
si formi HI perché i coefficienti
stechiometrici sono diversi. A Tempo (s) B Tempo (s)

16txt.indd 522 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 523

Possiamo riassumere questi risultati per qualsiasi reazione:


aA + bB cC + dD

dove a, b, c e d sono i coefficienti dell’equazione bilanciata. In generale, la velocità


di reazione è legata alle concentrazioni dei reagenti o dei prodotti dalla seguente
relazione:
1 Δ[A] 1 Δ[B] 1 Δ[C] 1 Δ[D]
    velocità di reazione = − =− = =    (16.2)
a Δt b Δt c Δt d Δt

Espressione della velocità di reazione in funzione delle variazioni


della concentrazione nel tempo
PROBLEMA DI VERIFICA 16.1
Problema Poiché forma un prodotto (vapore acqueo) non inquinante, l’idrogeno può essere
impiegato come carburante in motori prototipo a combustione interna:

2H2(g) + O2(g) 2H2O(g)


(a) Si esprima la velocità di reazione in funzione delle variazioni di [H2], [O2] e [H2O] nel
tempo.
(b) Quando [O2] decresce alla velocità di 0,23 mol/(L ⋅ s), a quale velocità cresce [H2O]?
Piano (a) Delle tre sostanze che figurano nell’equazione, scegliamo O2 come sostanza di rife­
rimento perché il suo coefficiente è 1. Per ogni molecola di O2 che scompare, scompaiono
due molecole di H2, quindi la velocità di diminuzione di [O2] è pari alla metà della velocità
di diminuzione di [H2]. Con un ragionamento simile, vediamo che la velocità di diminuzione
di [O2] è pari alla metà della velocità di aumento di [H2O]. (b) Poiché [O2] va decrescendo,
la variazione della sua concentrazione deve essere negativa. Sostituiamo il valore negativo
nell’equazione e risolviamo rispetto a Δ[H2O]/Δt.
Risoluzione (a) Espressione della velocità di reazione in termini di ciascun componente:
Δ[O 2 ] 1 Δ[H2 ] 1 Δ[H2O]
velocità di reazione = − =− =
Δt 2 Δt 2 Δt
(b) Calcolo della velocità di variazione di [H2O]:
1 Δ[H2O] Δ[O 2 ]
=− = −(−0,23 mol/L ⋅ s)
2 Δt Δt
Δ[H2O]
= 2(0,23 mol/L ⋅ s) = 0,46 mol/L ⋅ s
Δt

Verifica (a) Una buona verifica è usare l’espressione della velocità di reazione per ottenere
l’equazione bilanciata: [H2] varia a una velocità pari al doppio di quella di [O2], quindi reagi­
scono due molecole di H2 per ogni molecola di O2. [H2O] varia a una velocità pari al doppio
di quella di [O2], quindi si formano due molecole di H2O per ogni molecola di O2. In base a
questo ragionamento, otteniamo 2H2 + O2 2H2O. [H2] e [O2] diminuiscono, quindi
assumono segni negativi; [H2O] aumenta, quindi assume un segno positivo. Un’altra verifica
consiste nell’usare l’Equazione 16.2, con A = H2, a = 2; B = O2, b = 1; C = H2O, c = 2.
Perciò,
1 Δ[A] 1 Δ[B] 1 Δ[C]
velocità di reazione = − =− =
a Δt b Δt c Δt
1 Δ[H2 ] Δ[O 2 ] 1 Δ[H2O]
da cui velocità di reazione = − =− =
2 Δt Δt 2 Δt

(b) Data l’espressione per la velocità di reazione, ha senso che il valore numerico della velo­
cità di aumento di [H2O] sia pari al doppio della velocità di diminuzione di [O2].
Commento Percorrere mentalmente questo tipo di problema a livello molecolare è il meto­
do migliore, ma si deve usare l’Equazione 16.2 per confermare la risposta ottenuta.

16txt.indd 523 16/05/19 11:19


Strumenti di laboratorio
Misura delle velocità di reazione

Le ipotesi su come una reazione avvenga a livello moleco­ Nella reazione di ossidazione la soluzione passa da incolore
lare devono basarsi su misure delle velocità di reazione. Esi­ a blu (Figura S16.1B) e l’intensità della colorazione è fun­
stono molti metodi sperimentali, ma tutti devono ottenere zione della concentrazione della forma ossidata del blu di
i risultati in modo rapido e riproducibile. Consideriamo metilene.
quattro metodi comuni, con esempi specifici.
Metodi conduttometrici
Metodi spettrometrici
Quando reagenti non ionici formano prodotti ionici, o vi­
I metodi spettrometrici sono impiegati per misurare la con­ ceversa, la variazione della conduttività elettrica della so­
centrazione di un reagente o di un prodotto che assorbe luzione nel tempo può essere usata per misurare la velo­
(o emette) la luce di uno stretto intervallo di lunghezze cità di reazione. Si immergono elettrodi nella miscela di
d’onda. La reazione può essere fatta svolgere direttamente reazione, e l’aumento (o la diminuzione) della conduttività
nel compartimento di uno spettrofotometro impostato per è correlato con la formazione del prodotto. Consideriamo
misurare una lunghezza d’onda caratteristica di una delle la reazione tra un alogenuro organico, quale il 2-bromo-
specie in esame (Figura S16.1A; vedi anche la scheda Spet- 2-metilpropano, e l’acqua:
trofotometria nell’analisi chimica nel Capitolo 7). Per esem­
pio, il blu di metilene (un colorante usato nell’industria (CH3)3C Br(l) + H2O(l)
alimentare e tessile) è incolore nella sua forma ridotta e blu (CH3)3C OH(l) + H+(aq) + Br−(aq)
nella sua forma ossidata:
L’HBr che si forma è un acido forte in acqua, quindi si dis­
socia completamente in ioni. Con il trascorrere del tem­
H po, ­aumenta il numero degli ioni che si formano, quindi
N
­aumenta la conduttività della miscela di reazione.

Metodi manometrici
(H3C)2N S N(CH3)2 Se una reazione implica una variazione del numero di moli
H di gas, si può determinare la velocità di reazione in base
alla variazione della pressione (a volume e temperatura
costanti) nel tempo. In pratica, si collega un manometro
riduzione ossidazione
a un recipiente di reazione di volume noto, immerso in
un bagno a temperatura costante. Per esempio, può esse­
N + re monitorata con questo metodo la reazione tra zinco e
acido acetico:

(H3C)2N N(CH3)2 Zn(s) + 2CH3COOH(aq)


S
Zn2+(aq) + 2CH3COO−(aq) + H2(g)

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO16.1 (a) Si bilanci la seguente equazione


e si esprima la velocità di reazione in funzione della variazione della concentrazione nel
tempo per ciascuna sostanza:
NO(g) + O2(g) N2O3(g)

(b) A quale velocità decresce [O2] quando [NO] decresce alla velocità di 1,60  ×  10−4 mol/(L ⋅ s)?

16.3 LA LEGGE CINETICA DI REAZIONE


E LE SUE COMPONENTI
La parte centrale di ogni studio cinetico è la legge cinetica di reazione (o legge
di velocità, detta anche equazione della velocità di reazione) per la reazione
in questione. La legge di velocità esprime la velocità di reazione in funzione delle

16txt.indd 524 16/05/19 11:19


Figura S16.1 Monitoraggio
spettrometrico di una reazione.
Il ricercatore utilizza uno spet-
trofotometro (A) per misurare
l’assorbimento della luce da
parte del campione. La variazio-
ne di colore (B) è proporzionale
alla concentrazione del prodotto
formato. (Foto: (A) Rabbit-
mindphoto/Shutterstock, (B)
petrroudny43/Shutterstock).

Metodi chimici diretti


Le velocità delle reazioni lente, o delle reazioni che pos­
sono essere rallentate facilmente, vengono studiare spesso
con metodi chimici diretti. Si preleva una piccola porzio­
ne misurata (detta aliquota) della miscela di reazione e si
arresta la reazione in questa aliquota, di solito mediante
raffreddamento rapido. Si misura la concentrazione del
­reagente o del prodotto nell’aliquota, mentre il grosso della
miscela di reazione continua a reagire e verrà campionato
in seguito. Per esempio, la reazione precedente tra un alo­
genuro organico e l’acqua può essere studiata anche me­
diante la titolazione. Si diminuisce la velocità di reazione
in un’aliquota trasferendola rapidamente in un matraccio
B
raffreddato in un bagno di ghiaccio. Si determina la con­
centrazione di HBr nell’aliquota titolandola con soluzione
Via via che si forma H2, la pressione aumenta. Perciò, la ve­ di NaOH standardizzata. Per determinare la variazione della
locità di reazione è direttamente proporzionale alla velocità concentrazione di HBr nel tempo, si ripete il procedimento
di aumento della pressione di H2 gassoso. a intervalli di tempo regolari durante la reazione.

concentrazioni dei reagenti, delle concentrazioni dei prodotti e della temperatura.


Ogni ipotesi che formuliamo su come si svolge la reazione a livello molecolare deve
essere conforme alla legge di velocità perché essa si basa sul fatto sperimentale.
In questa trattazione, consideriamo generalmente reazioni per cui i prodotti
non compaiono nella legge cinetica. In questi casi, la velocità di reazione dipende
soltanto dalle concentrazioni dei reagenti e dalla temperatura. Consideriamo anzitutto
l’effetto della concentrazione sulla velocità di reazione nel caso delle reazioni che
avvengono a temperatura costante. Per una reazione generale,
aA + bB + . . . cC + dD + . . .

la legge cinetica ha la forma

          velocità di reazione = k[A]m[B]n . . .        (16.3)

16txt.indd 525 16/05/19 11:19


526 Capitolo 16

La costante di proporzionalità k, detta costante di velocità di reazione [o, più


semplicemente, costante di velocità], è specifica per una data reazione a una data
temperatura; non varia via via che la reazione procede. (Come vedremo tra poco, k
varia al variare della temperatura e quindi determina come la temperatura influen­
za la velocità di reazione). Gli esponenti m e n, detti ordini di reazione, indicano
come la velocità di reazione è influenzata dalla concentrazione dei reagenti. Perciò,
se la velocità di reazione raddoppia quando [A] raddoppia, la velocità di reazione
dipende da [A] elevata alla prima potenza, [A]1, quindi m = 1. Analogamente, se la
velocità di reazione si quadruplica quando [B] raddoppia, la velocità di reazione di­
pende da [B] elevata alla seconda potenza, [B]2, quindi n = 2. In un’altra reazione, la
velocità di reazione può non variare affatto quando [A] raddoppia; in questo caso, la
velocità di reazione non dipende da [A], ossia, in altri termini, la velocità di reazione
dipende da [A] elevata alla potenza zero, [A]0, quindi m = 0. Si deve tenere presente
che i coefficienti stechiometrici a e b nell’equazione bilanciata generale non sono
necessariamente correlati in qualche modo con gli ordini di reazione m e n.
Un punto essenziale da ricordare è che le componenti della legge cinetica di reazio-
ne (cioè la velocità di reazione, gli ordini di reazione e la costante di velocità di reazione)
devono essere determinate per via sperimentale; non possono essere dedotte dalla ste­
chiometria della reazione. Quindi, adottando un approccio sperimentale per trovare
le componenti, si deve:
1. usare misurazioni delle concentrazioni per trovate la velocità iniziale di reazione;
2. usare le velocità iniziali di reazione ottenute da più esperimenti per trovare
gli ordini di reazione;
3. usare valori così determinati per calcolare la costante di velocità.
Nota la legge cinetica, possiamo utilizzarla per prevedere la velocità di reazione per
qualsiasi concentrazione iniziale dei reagenti.

Determinazione della velocità iniziale di reazione


Nel paragrafo precedente, abbiamo mostrato come si ricavano le velocità iniziali
di reazione da un diagramma della concentrazione in funzione del tempo. Poiché
usiamo i dati relativi alle velocità iniziali per determinare gli ordini di reazione
e la costante di velocità, per costruire la legge cinetica è essenziale un metodo
sperimentale accurato per misurare la concentrazione in vari istanti durante la
reazione. Alcune delle molte tecniche impiegate per misurare le variazioni delle
concentrazioni nel tempo sono presentate nella scheda Misura delle velocità di rea-
zione, pagg. 524-525.

Terminologia degli ordini di reazione


Prima di vedere come si ottengono gli ordini di reazione dai dati relativi alle velo­
cità iniziali di reazione, esaminiamo il significato del termine “ordine di reazione”
e alcuni altri termini importanti. Si dice che una reazione è di un ordine parziale
“rispetto a” o “in” ciascun reagente, nonché un ordine complessivo, che è semplice­
mente la somma degli ordini parziali.
Nel caso più semplice di una reazione con un singolo reagente A, essa è del pri-
mo ordine complessivo se la velocità di reazione è direttamente proporzionale ad [A]:
velocità di reazione = k[A]
È del secondo ordine complessivo se la velocità di reazione è direttamente propor­
zionale al quadrato di [A]:
velocità di reazione = k[A]2

Ed è di ordine zero complessivo se la velocità di reazione non dipende affatto da


[A], una situazione che è piuttosto comune nei processi catalizzati da catalizzatori
metallici e in quelli biochimici:
velocità di reazione = k[A]0 = k(1) = k

16txt.indd 526 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 527

Ecco alcuni esempi reali. Per la reazione tra ossido nitrico e ozono,
NO(g) + O3(g) NO2(g) + O2(g)
la legge cinetica, determinata sperimentalmente, è
velocità di reazione = k[NO][O3]
Questa reazione è del primo ordine rispetto a NO (o del primo ordine in NO), la
qual cosa significa che la velocità di reazione dipende dalla concentrazione di NO
elevata alla prima potenza, cioè [NO]1 (un esponente 1 è generalmente omesso). È
anche del primo ordine rispetto a O3, ossia [O3]1. Questa reazione è del secondo
ordine complessivo (1 + 1 = 2).
Consideriamo ora una differente equazione in fase gassosa:
2NO(g) + 2H2(g) N2(g) + 2H2O(g)
È stato determinato che la legge cinetica per questa reazione è
velocità di reazione = k[NO]2[H2]
La reazione è del secondo ordine in NO, del primo ordine in H2 e, quindi, è del
terzo ordine complessivo.
Infine, per l’idrolisi del 2-bromo-2-metilpropano, esaminata nella scheda Misura
delle velocità di reazione, pagg. 524-525,
(CH3)3C Br(l) + H2O(l) (CH3)3C OH(l) + H+ + Br−(aq)
è stato trovato che la legge cinetica per questa reazione è
velocità di reazione = k[(CH3)3CBr]

Questa reazione è del primo ordine in 2-bromo-2-metilpropano. Si noti che la con­


centrazione di H2O non compare neppure nella legge cinetica. Perciò, la reazione è
di ordine zero rispetto a H2O ([H2O]0). Ciò significa che la velocità di reazione non
dipende dalla concentrazione di H2O. Possiamo scrivere la legge cinetica anche nella
forma
velocità di reazione = k[(CH3)3CBr][H2O]0
Questa reazione è del primo ordine complessivo.
Questi esempi illustrano un punto importane: gli ordini di reazione non possono
essere dedotti dall’equazione bilanciata. Nella reazione tra NO e H2 e nell’idrolisi del
2-bromo-2-metilpropano, gli ordini di reazione nella legge cinetica non corrispondo­
no ai coefficienti delle rispettive equazioni bilanciate. Gli ordini di reazione devono
essere ottenuti dai dati relativi alle velocità di reazione.
Gli ordini di reazione sono di solito numeri interi positivi o zero, ma possono
anche essere numeri frazionari o negativi. Per la reazione
CHCl3(g) + Cl2(g) CCl4(g) + HCl(g)

compare un ordine di reazione frazionario nella legge cinetica:

velocità di reazione = k[CHCl3][Cl2]1/2

Quest’ordine di reazione significa che la velocità di reazione dipende dalla radice


quadrata della concentrazione di Cl2. Per esempio, se si aumenta la concentrazione
iniziale di Cl2 secondo un fattore 4, mantenendo costante la concentrazione iniziale
di CHCl3, la velocità di reazione aumenta secondo il fattore 2, la radice quadrata
della variazione di [Cl2]. Un esponente negativo significa che la velocità di reazione
diminuisce all’aumentare della concentrazione di quel componente. Si osservano
spesso ordini di reazione negativi nel caso di reazioni le cui leggi di velocità com­
prendono i prodotti. Per esempio, nel caso della reazione atmosferica
2O3(g) 3O2(g)

16txt.indd 527 16/05/19 11:19


528 Capitolo 16

è stato determinato che la legge cinetica è


[O3 ]2
velocità di reazione = k[O3 ]2 [O2 ]−1 ossia k
[O 2 ]
Se la concentrazione di O2 raddoppia, la velocità della reazione si dimezza.

Determinazione dell’ordine di reazione in base alla legge cinetica


PROBLEMA DI VERIFICA 16.2
Problema Per ciascuna delle seguenti reazioni, si determini l’ordine di reazione rispetto a
ciascun reagente e l’ordine di reazione complessivo in base alla legge cinetica data.
(a) 2NO(g) + O2(g) 2NO2(g); velocità di reazione = k[NO]2[O2]
(b) CH3CHO(g) CH4(g) + CO(g); velocità di reazione = k[CH3CHO]3/2
(c) H2O2(aq) + 3I−(aq) + 2H+(aq) I3−(aq) + 2H2O(l); velocità di reazione = k[H2O2][I−]
Piano Esaminiamo gli esponenti nella legge cinetica, non i coefficienti dell’equazione bilan­
ciata, per trovare gli ordini di reazione parziali, e poi sommiamoli per trovare l’ordine di
reazione complessivo.
Risoluzione (a) L’esponente di [NO] è 2, quindi la reazione è del secondo ordine rispetto
a NO, del primo ordine rispetto a O2 e del terzo ordine complessivo.
3 3
(b) La reazione è di ordine 2 in CH3CHO e di ordine 2 complessivo.
(c) La reazione è del primo ordine in H2O2, del primo ordine in I− e del secondo ordine
complessivo. Il reagente H+ non compare nella legge cinetica, quindi la reazione è di ordine
zero in H+ .
Verifica Si badi che ciascun reagente abbia un ordine di reazione e che la somma degli
ordini di reazione parziali dia l’ordine di reazione complessivo.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.2 L’esperimento indica che la reazione
5Br−(aq) + BrO3−(aq) + 6H+(aq) 3Br2(l) + 3H2O(l)

ubbidisce alla legge cinetica: velocità di reazione = k[Br−][BrO3−][H+]2. Quali sono gli ordini
di reazione in ciascun reagente e qual è l’ordine di reazione complessivo?

Determinazione degli ordini di reazione


Il Problema di verifica 16.2 mostra come si ottengono gli ordini di reazione da una
legge cinetica nota. Vediamo ora come si ottengono dai dati prima che si conosca
la legge cinetica. Supponiamo di stare studiando la reazione tra l’ossigeno e l’ossido
nitrico, uno stadio essenziale nella formazione della pioggia acida e nella produzio­
ne industriale dell’acido nitrico:
O2(g) + 2NO(g) 2NO2(g)
La legge cinetica, espressa in forma generale, è
velocità di reazione = k[O2]m[NO]n

Per trovare gli ordini di reazione, eseguiamo una serie di esperimenti, ciascuno dei quali
comincia con un differente insieme di concentrazioni dei reagenti e da ciascuno otteniamo
una velocità iniziale di reazione.
La Tabella 16.2 mostra esperimenti nei quali si varia la concentrazione di un
reagente lasciando invariata la concentrazione dell’altro. Se confrontiamo gli Espe­
rimenti 1 e 2, vediamo l’effetto del raddoppio di [O2] sulla velocità di reazione.
Iniziamo formando il rapporto delle loro leggi cinetiche:

velocità di reazione 2 k[O 2 ]m2 [NO]n2


=
velocità di reazione 1 k[O 2 ]1m [NO] n1

16txt.indd 528 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 529

Tabella 16.2 Velocità iniziali di reazione per una serie di esperimenti


nella reazione tra O2 e NO
Concentrazioni iniziali
dei reagenti (mol/L) Velocità iniziale
Esperimento [O2] [NO] (mol/L ⋅ s)
1 1,10 × 10−2 1,30 × 10−2 3,21 × 10−3
2 2,20 × 10−2 1,30 × 10−2 6,40 × 10−3
3 1,10 × 10−2 2,60 × 10−2 12,8 × 10−3
4 3,30 × 10−2 1,30 × 10−2 9,60 × 10−3
5 1,10 × 10−2 3,90 × 10−2 28,8 × 10−3

dove [O2]2 è la concentrazione di O2 nell’Esperimento 2, [NO]1 è la concentrazione


di NO nell’Esperimento 1 e così via. Poiché k è una costante e [NO] rimane invariata
tra questi due esperimenti, queste quantità si elidono:
velocità di reazione 2 [O 2 ]m2 ⎛ [O2 ]2 ⎞⎟m
= = ⎜⎜ ⎟
velocità di reazione 1 [O 2 ]1m ⎝⎜ [O2 ]1 ⎟⎟⎠
Sostituendo i valori presi dalla Tabella 16.2, otteniamo
m
6,40 ×10−3 mol/(L ⋅ s) ⎛⎜ 2, 20 ×10−2 mol/L ⎞⎟
= ⎜ ⎟
3,21×10−3 mol/ (L ⋅ s) ⎜⎝ 1,10 ×10−2 mol/L ⎟⎟⎠

Dividendo, otteniamo
1,99 = (2,00)m
Arrotondando a una cifra significativa, otteniamo
2 = 2m; da cui, m = 1
La reazione è del primo ordine in O2; quando [O2] raddoppia, la velocità di reazione
raddoppia.
Per trovare l’ordine rispetto a NO, confrontiamo gli Esperimenti 3 e 1, in cui
[O2] è mantenuta costante e [NO] è raddoppiata:
velocità di reazione 3 k[O 2 ]m3 [NO]n3
=
velocità di reazione 1 k[O 2 ]1m [NO]1n

Come prima, k è una costante, e in questa coppia di esperimenti [O2] rimane inva­
riata, quindi queste quantità si elidono:
n
velocità di reazione 3 ⎛⎜ [NO]3 ⎞⎟
=⎜ ⎟⎟
velocità di reazione 1 ⎜⎝ [NO]1 ⎟⎠

I valori effettivi danno


n
12,8 ×10−3 mol/(L ⋅ s) ⎛⎜ 2,60 ×10−2 mol/L ⎞⎟
= ⎜ ⎟
3,21×10−3 mol/(L ⋅ s) ⎜⎝ 1,30 ×10−2 mol/L ⎟⎟⎠
Dividendo, otteniamo
3,99 = (2,00)n
Arrotondando, otteniamo
4 = 2n; da cui, n = 2
La reazione è del secondo ordine in NO: quando [NO] raddoppia, la velocità di rea­
zione si quadruplica. Perciò, la legge cinetica è
velocità di reazione = k[O2][NO]2
Per verificare il risultato, si può usare l’Esperimento 1 in combinazione con gli
Esperimenti 4 e 5.

16txt.indd 529 16/05/19 11:19


530 Capitolo 16

Determinazione degli ordini di reazione in base ai dati


sulle velocità iniziali di reazione
PROBLEMA DI VERIFICA 16.3
Problema Nel motore a combustione interna di un autoveicolo e nei suoi gas di scarico
avvengono molte reazioni in fase gassosa. Una di esse la seguente:

NO2(g) + CO(g) NO(g) + CO2(g)    velocità di reazione = k[NO2]m[CO]n

Usando i dati seguenti si determinino gli ordini di reazione parziali e l’ordine di reazione
complessivo.
Velocità iniziale
di reazione [NO2] iniziale [CO] iniziale
Esperimento (mol/L ⋅ s) (mol/L) (mol/L)
1 0,0050 0,10 0,10
2 0,080 0,40 0,10
3 0,0050 0,10 0,20

Piano Dobbiamo risolvere la legge di velocità generale rispetto agli ordini di reazione
m e n. Per risolvere rispetto a ciascun esponente, procediamo come nel testo, formando
il rapporto delle leggi cinetiche per due esperimenti in cui varia soltanto il reagente in
questione.
Risoluzione Calcolo di m in [NO2]m. Formiamo il rapporto delle leggi cinetiche per gli
Esperimenti 1 e 2, in cui [NO2] varia mentre [CO] rimane invariata:

velocità di reazione 2 k[NO 2 ]m2 [CO]n2 ⎛ [NO 2 ]2 ⎞⎟m


= = ⎜⎜ ⎟ ossia
velocità di reazione 1 k[NO 2 ]1m [CO]1n ⎜⎝ [NO 2 ]1 ⎟⎟⎠

m
0, 080 mol/(L ⋅ s) ⎛⎜ 0, 40 mol/L ⎞⎟
=⎜ ⎟⎟
0, 0050 mol/(L ⋅ s) ⎜⎝ 0,10 mol/L ⎠

da cui
16 = 4,0m

Perciò, m = 2,0. La reazione è del secondo ordine in NO2.


Calcolo di n in [CO]n. Formiamo il rapporto delle leggi cinetiche per gli Esperimenti 1
e 3, in cui [CO] varia mentre [NO2] rimane costante:

velocità di reazione 3 k[NO 2 ]32 [CO]n3 ⎛ [CO]3 ⎞⎟n


= = ⎜⎜ ⎟ ossia
velocità di reazione 1 k[NO 2 ]12 [CO]1n ⎝⎜ [CO]1 ⎟⎟⎠
n
0, 0050 mol/(L ⋅ s) ⎛⎜ 0, 20 mol/L ⎞⎟
=⎜ ⎟⎟
0, 0050 mol/(L ⋅ s) ⎜⎝ 0,10 mol/L ⎠

da cui 1,0 = (2,0)n. Perciò, n = 0. La velocità di reazione rimane invariata al variare di [CO],
quindi la reazione è di ordine zero in CO.
Perciò, la legge cinetica è

velocità di reazione = k[NO2]2[CO]0 = k[NO2]2(1) = k[NO2]2

La reazione è del secondo ordine complessivo.


Verifica Una buona verifica è ragionare attraverso gli ordini di reazione. Se m = 1, la qua­
druplicazione di [NO2] quadruplicherebbe la velocità di reazione; ma la velocità di reazione
diventa più che quadrupla, quindi m > 1. Se m = 2, la quadruplicazione di [NO2] aumente­
rebbe la velocità di reazione secondo un fattore 16 (dato da 42). Il rapporto delle velocità di
reazione è 0,080/0,005 = 16, quindi m = 2. Per contro, un aumento di [CO] non ha alcun
effetto sulla velocità, il che può avvenire soltanto se [CO]n = 1, quindi n= 0.

16txt.indd 530 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 531

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.3 Si determinino la legge cinetica e


l’ordine di reazione complessivo per la reazione H2 + I2 2HI in base ai dati seguenti
a 450 °C:
Velocità iniziale
di reazione [H2] iniziale [I2] iniziale
Esperimento (mol/L ⋅ s) (mol/L) (mol/L)
1 1,9×10−23 0,0113 0,0011
2 1,1×10−22 0,0220 0,0033
3 9,3×10−23 0,0550 0,0011
4 1,9×10−22 0,0220 0,0056

Determinazione della costante di velocità


Quando si conoscono la velocità di reazione, le concentrazioni dei reagenti e gli
ordini di reazione, l’unica incognita restante nella legge cinetica è la costante di
velocità, k. La costante di velocità è specifica di una particolare reazione a una par-
ticolare temperatura. Gli esperimenti riportati nella Tabella 16.2 nella serie O2 NO
sono stati eseguiti alla stessa temperatura, quindi possiamo usare i dati ottenuti da
uno qualunque di essi per risolvere rispetto a k. Per esempio, dall’Esperimento 1,
otteniamo
velocità di reazione 1 3,21×10−3 mol/(L ⋅ s)
=k = 2
[O 2 ]1[NO]12 (1,10 ×10−2 mol/L )(1,30 ×10−2 mol/L )
3,21×10−3 mol/(L ⋅ s)
= = 1,73 ×103 L2 /(mol 2 ⋅ s)
1,86 × 10−6 mol3 /L3

Si verifichi sempre che i valori di k nella stessa serie siano costanti entro l’errore
sperimentale. Con tre cifre significative, il valore medio di k per i cinque esperi­
menti nella Tabella 16.2 è 1,72 × 103 L2/(mol2 ⋅ s).
Si noti l’unità di misura della costante di velocità. Quando le concentrazioni
sono misurate in moli su litro (mol/L) e la velocità di reazione è misurata in moli
su litro e su unità di tempo [mol/(L ⋅ unità di tempo)], l’unità di misura di k di­
penderà dall’ordine di reazione e, ovviamente, dall’unità di tempo. In questo caso,
l’unità di misura di k deve essere il litro quadrato su mole quadrato e su secondo
[L2/ (mol2 ⋅ s)] affinché l’unità di misura della velocità di reazione sia la mole su litro
e su secondo [mol/(L ⋅ s)]:
2
mol L2 mol ⎛⎜ mol ⎞⎟
= × ×⎜⎜ ⎟⎟
L ⋅s mol ⋅ s
2
L ⎝ L ⎠

La costante di velocità avrà sempre questa unità per una reazione del terzo ordine
complessivo con il secondo come unità di tempo. La Tabella 16.3 indica l’unità di
k per alcuni ordini di reazione complessivi, ma si può sempre determinare mate­
maticamente l’unità.

16.4 L
 EGGI CINETICHE INTEGRATE:
LA CONCENTRAZIONE VARIA NEL TEMPO
È importante notare che le leggi cinetiche di reazione che abbiamo formulato finora
non comprendono il tempo come variabile. Esse ci dicono la velocità di reazione o
la concentrazione a un dato istante, permettendoci di rispondere alla domanda di
importanza critica: “A quale velocità procede la reazione nel momento in cui y moli
per litro di A stanno reagendo con z moli per litro di B?”. Però, impiegando differenti
forme delle leggi di velocità, dette leggi cinetiche integrate (o leggi di velocità
integrate), possiamo considerare la variabile tempo e rispondere ad altre domande

16txt.indd 531 16/05/19 11:19


532 Capitolo 16

quali “Quanto tempo impiegheranno x moli per litro di A a essere consumate com­
pletamente?” oppure “Quanto vale la concentrazione di A dopo y minuti di reazione?”.

Leggi cinetiche integrate per reazioni del primo ordine,


del secondo ordine e di ordine zero
Consideriamo una semplice reazione del primo ordine, A B. (Poiché le reazio­
ni del primo e del secondo ordine sono più comuni, le esamineremo prima delle
reazioni di ordine zero). Come abbiamo visto precedentemente, la velocità di rea­
zione può essere espressa come la variazione della concentrazione di A riferita
all’intervallo di tempo in cui si compie:
Δ[A]
velocità di reazione = −
Δt
Può essere espressa anche mediante la legge cinetica di reazione:
velocità di reazione = k[A]

Uguagliando tra loro queste differenti espressioni della velocità di reazione, otte­
niamo:
Δ[A]
− = k[A]
Δt
Con i metodi dell’analisi matematica si può integrare questa espressione rispetto al
tempo per ottenere la legge cinetica integrata per una reazione del primo ordine:

[A]0
=     ln (reazione del primo ordine; velocità di reazione
kt= k[A])    (16.4)
[A]t

dove ln è il simbolo del logaritmo naturale (logaritmo in base e), [A]0 è la concen­
trazione di A all’istante t = 0, e [A]t è la concentrazione di A a qualsiasi istante t
durante un esperimento. In termini matematici, ln (a/b) = ln a − ln b; quindi,
ln [A]0 − ln [A]t = kt

Per un’equazione generale del secondo ordine, l’espressione comprendente il tem­


po è piuttosto complessa; quindi consideriamo il caso in cui la legge cinetica con­
tiene soltanto un reagente. Uguagliando le espressioni per la velocità di reazione,
otteniamo:
Δ[A]
velocità di reazione = − = k[A]2
Δt

Integrando rispetto al tempo, otteniamo la legge cinetica integrata per una reazione
del secondo ordine a cui partecipa un solo reagente:

1 1
=   − (reazione del secondo ordine; velocità di reazione
kt= k[A]2 ) (16.5)
[A]t [A]0

Nel caso di una reazione di ordine zero, avremmo


Δ[A]
velocità di reazione = − = k[A]0
Δt
Integrando rispetto al tempo, otteniamo la legge cinetica integrata per una reazione
di ordine zero:
  [A]t − [A]0 = −kt (reazione di ordine zero; velocità di reazione = k[A]0 = k) (16.6)

Il Problema di verifica 16.4 illustra un modo in cui si applicano le leggi cinetiche


integrate.

16txt.indd 532 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 533

Determinazione della concentrazione del reagente a un dato istante


PROBLEMA DI VERIFICA 16.4
Problema Alla temperatura di 1000 °C, il ciclobutano (C4H8) si decompone in una reazio­
ne del primo ordine, con la costante di velocità molto alta di 87 s−1, in due molecole di
etilene (C2H4).
(a) Se la concentrazione iniziale di C4H8 è 2,00 M, quanto vale la concentrazione dopo
0,010 s?
(b) Quale frazione di C4H8 si è decomposta a questo istante?
Piano (a) Dobbiamo trovare la concentrazione del ciclobutano all’istante t, [C4H8]t. Il pro­
blema ci dice che questa è una reazione del primo ordine, quindi usiamo la legge cinetica
del primo ordine integrata:
[C H ]
ln 4 8 0 = kt
[C 4 H8 ]t

Conosciamo k (87 s−1), t (0,010 s) e [C4H8]0 (2,00 M), quindi possiamo risolvere rispetto a [C4H8]t.
(b) La frazione decomposta è la concentrazione che si è decomposta divisa per la concen­
trazione iniziale:
[C H ] − [C 4 H8 ]t
frazione decomposta = 4 8 0
[C 4 H8 ]0
Risoluzione (a) Sostituzione dei dati nella legge cinetica integrata:
2,00 mol/L
= ln (87
= s−1 )(0,010 s) 0,87
[C 4 H8 ]t
Prendendo l’antilogaritmo di entrambi i membri, otteniamo:
2,00 mol/L
= e 0,87
= 2,4
[C 4 H8 ]t
Risolvendo rispetto a [C4H8]t, otteniamo:
2,00 mol/L
= [C 4 H8 ]t = 0,83 mol/L
2,4
(b) Determinazione della frazione che si è decomposta dopo 0,010 s:
[C 4 H8 ]0 − [C 4 H8 ]t 2,00 mol/L − 0,83 mol/L
= = 0,58
[C 4 H8 ]0 2,00 mol/L
Verifica La concentrazione restante dopo 0,010 s (0,083 mol/L) è minore della concentrazio­
ne iniziale (2,00 mol/L), il che ha senso. Elevando e a un esponente lievemente minore di 1,
si dovrebbe ottenere un numero (2,4) lievemente minore del valore di e (2,718). Inoltre, il
risultato finale ha senso: un’alta costante di velocità indica una reazione rapida, quindi non
è sorprendente che si decomponga così tanta sostanza in un intervallo di tempo così breve.
Commento Le leggi cinetiche integrate vengono usate anche per trovare l’intervallo
di tempo impiegato per raggiungere una certa concentrazione del reagente, come nel
Problema di approfondimento 16.4.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.4 Alla temperatura di 25 °C, lo


ioduro di idrogeno si decompone molto lentamente in idrogeno e iodio: velocità di reazio­
ne = k[HI]2. La costante di velocità a 25 °C è 2,4  ×  10−21 L/(mol ⋅ s). Se 0,0100 mol di HI(g)
sono collocati in un recipiente di 1,0 L, quanto tempo impiegherà la concentrazione di HI
per raggiungere una concentrazione di 0,009000 mol/L (affinché reagisca il 10,0%)?

Determinazione dell’ordine di reazione in base


alla legge cinetica integrata
Supponiamo di non conoscere la legge cinetica di una reazione e di non avere i
dati relativi alla velocità iniziale di reazione necessari per determinare gli ordini di
reazione (come abbiamo fatto nel Problema di verifica 16.3). Un altro metodo per
determinare gli ordini di reazione è una tecnica grafica che utilizza direttamente i
dati relativi alla concentrazione e al tempo.

16txt.indd 533 16/05/19 11:19


534 Capitolo 16

Le leggi cinetiche integrate possono essere riordinate nella forma di un’equazione


di una retta, y = mx + b, dove m è la pendenza (il coefficiente angolare) e b è l’in­
tercetta con l’asse y. Nel caso di una reazione del primo ordine, abbiamo
ln [A]0 − ln [A]t = kt
Riordinando e cambiando i segni, otteniamo:
=
ln [A]t −kt + ln [A]0
=
y mx + b

Figura 16.6 Leggi cinetiche Perciò, un grafico di ln [A]t in funzione di t è una retta con pendenza = −k e inter­
integrate e ordine di reazione. cetta con l’asse y = ln [A]0 (Figura 16.6A).
A. Un diagramma di ln [A]t Per una reazione del secondo ordine semplice, abbiamo
in funzione di t è una retta nel
caso di una reazione che è del 1 1
primo ordine in A. B. Un dia- − = kt
[A]t [A]0
gramma di 1/[A]t in funzione
Riordinando, otteniamo:
di t è una retta nel caso di una
reazione che è del secondo 1 1
ordine in A. C. Un diagramma = kt +
di [A]t è una retta nel caso di [A]t [A]0
una reazione che è di ordine =
y mx + b
zero in A.
In questo caso, un grafico di 1/[A]t in funzione di t è una retta con pendenza = k e
ln [A]0 intercetta con l’asse y = 1/[A]0 (Figura 16.6B).
Nel caso di una reazione di ordine zero, abbiamo
[A]t − [A]0 = −kt
pendenza = −k
Riordinando, otteniamo
ln[A]t [A]t = −kt + [A]0
=
y mx + b
Quindi, un grafico di [A]t in funzione di t è una retta con pendenza = −k e inter­
cetta con l’asse y = In [A]0 (Figura 16.6C).
A Primo ordine Tempo Perciò, è necessaria una certa rappresentazione grafica per tentativi (per prova
ed errore) per ottenere l’ordine di reazione dai dati relativi alla concentrazione e al
tempo.
• Se si ottiene una retta, quando si rappresenta graficamente, ln [reagente] in
funzione del tempo, la reazione è del primo ordine rispetto a quel reagente.
• Se si ottiene una retta, quando si rappresenta graficamente, 1/[reagente] in
1 funzione del tempo, la reazione è del secondo ordine rispetto a quel reagente.
[A]t
pendenza = k
• Se si ottiene una retta, quando si rappresenta graficamente, [reagente] in
funzione del tempo, la reazione è di ordine zero rispetto a quel reagente.
1 La Figura 16.7 mostra come si usa questo metodo per determinare l’ordine di rea­
[A]0 zione per la decomposizione di N2O5. Poiché il grafico di ln [N2O5] è una retta e i
B Secondo ordine Tempo
grafici di [N2O5] e di 1/[N2O5] non sono delle rette, la decomposizione di N2O5 deve
essere del primo ordine in N2O5.

[A]0 Tempo di dimezzamento di una reazione


Il tempo di dimezzamento (t1/2) di una reazione è l’intervallo di tempo impiegato
dalla concentrazione del reagente per raggiungere la metà del suo valore iniziale (per
pendenza = −k
dimezzarsi). Il tempo di dimezzamento è espresso in una unità di tempo che sia appro­
priata a una reazione data ed è caratteristico di quella reazione a una data temperatura.
[A]t
In condizioni fisse, il tempo di dimezzamento di una reazione del primo ordine è
una costante, indipendente dalla concentrazione del reagente. Per esempio, il tempo di
dimezzamento della decomposizione del primo ordine di N2O5 a 45 °C è 24,0 min.
Il tempo di dimezzamento significa che, se si hanno inizialmente, per esempio,
C Ordine zero Tempo 0,0600 mol/L di N2O5 a 45 °C, dopo 24 min (1 tempo di dimezzamento), sono

16txt.indd 534 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 535

Figura 16.7 Determinazione gra­fica dell’ordine di reazione per la decomposizione di


N2O5. Una tabella di dati relativi a tempo e concentrazione per la determinazione dell’ordine di
reazione è presentata qui a lato. A. Un diagramma di [N2O5] in funzione del tempo è una curva
(diversa da una retta), il che indica che la reazione non è di ordine zero rispetto a N2O5. B. Un
diagramma di In [N2O5] in funzione del tempo è una retta, il che indica che la reazione è del
primo ordine rispetto a N2O5. C. Un diagramma di 1/[N2O5] in funzione del tempo è una curva,
il che indica che la reazione non è del secondo ordine rispetto a N2O5. I diagrammi A e C corro-
borano la conclusione tratta dal diagramma B.

state consumate 0,0300 mol/L e restano 0,0300 mol/L; dopo 48 min (2 tempi di
dimezzamento), restano 0,0150 mol/L; dopo 72 min (3 tempi di dimezzamento),
restano 0,0075 mol/L e così via (Figura 16.8).
Possiamo vedere dalla legge cinetica integrata perché il tempo di dimezzamen­
to di una reazione del primo ordine è indipendente dalla concentrazione:
[A]0
ln = kt
[A]t

Figura 16.8 Un diagramma di


[N2O5] in funzione del tempo
per tre tempi di dimezzamen­
to. Durante ciascun tempo di
dimezzamento, la concentra-
zione si dimezza. T = 45 °C e
[N2O5]0 = 0,0600 mol/L. I volu-
mi ingranditi, con le molecole di
N2O5 visualizzate come sferette
colorate, mostrano che, dopo tre
tempi di dimezzamento, rimane,
1 della concentrazio-
2×2×2 =
1 1 1
8
ne iniziale.

16txt.indd 535 16/05/19 11:19


536 Capitolo 16

Dopo 1 tempo di dimezzamento si ha t = t1/2 e [A]t = 12[A]0. Sostituendo, otteniamo


[A]
ln 1 0
= kt=
1/2 ossia ln 2 kt1/2
2 [A]0

Quindi, risolvendo rispetto a t1/2, otteniamo:

ln 2 0,693
t=
1/2 = (reazione del primo ordine; velocità di reazione
= k[A]) (16.7)
k k

Come si può vedere, l’intervallo di tempo impiegato per raggiungere la metà della con-
centrazione iniziale in una reazione del primo ordine non dipende dal valore iniziale della
concentrazione.
Il decadimento radioattivo di un nucleo instabile è un altro esempio di proces­
so del primo ordine. Per esempio, il tempo di dimezzamento per il decadimento
dell’uranio-235 (235U) è 7,1  ×  108 a (anni). Dopo 710 milioni di anni, una campione
di 1 kg di uranio-235 conterrà 0,5 kg di uranio-235 e un campione di 1 mg di
­uranio-235 conterrà 0,5 mg. Si consideri una molecola oppure un nucleo radioatti­
vo, la decomposizione di ciascuna particella in un processo del primo ordine è indipenden-
te dal numero delle altre particelle presenti.

Determinazione del tempo di dimezzamento di una reazione


del primo ordine
PROBLEMA DI VERIFICA 16.5
Problema Il ciclopropano è l’idrocarburo ciclico più piccolo. Poiché i suoi angoli di legame
di 60° permettono soltanto una scarsa sovrapposizione degli orbitali, i suoi legami sono
deboli. Di conseguenza, esso è chimicamente instabile e si riarrangia a propene a 1000 °C
mediante la seguente reazione del primo ordine:

La costante di velocità è 9,2 s−1. (a) Quanto vale il tempo di dimezzamento della reazione?
(b) Quanto tempo impiega la concentrazione del ciclopropano per raggiungere 1/4 del
valore iniziale?
Piano (a) Il riarrangiamento del ciclopropano è un processo del primo ordine, quindi, per
trovare t1/2, usiamo l’Equazione 16.7 e sostituiamo a k il valore dato (9,2 s−1). (b) Ogni
tempo di dimezzamento riduce la concentrazione alla metà del suo valore iniziale, quindi
due tempi di dimezzamento la riducono a un quarto del valore iniziale.
Risoluzione (a) Risolvendo rispetto a t1/2, si ottiene:
ln 2 0,693
t=
1/2 = = 0,075 s
k 9,2 s−1
Occorrono 0,075 s affinché la metà del ciclopropano formi propene a questa temperatura.
(b) Determinazione dell’intervallo di tempo impiegato per raggiungere 1/4 della concen­
trazione iniziale:
intervallo di tempo = 2(t1/2) = 2(0,075 s) = 0,15 s

Verifica (a) Arrotondando, otteniamo 0,07/(9 s−1) = 0,08 s, quindi il risultato sembra
corretto.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.5 Lo iodio-123 (123I) è usato per


studiare la funzione della tiroide. Questo isotopo radioattivo decade in un processo del
primo ordine con un tempo di dimezzamento di 13,1 h. Quanto vale la costante di velo­
cità di questo processo?

16txt.indd 536 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 537

Tabella 16.4 Uno sguardo d’insieme alle reazioni di ordine zero,


primo e secondo
Ordine zero Primo ordine Secondo ordine
Legge cinetica Velocità = k Velocità = k[A] Velocità = k[A]2
Unità di misura di k mol/L⋅s 1/s L/mol⋅s
Legge cinetica integrata [A]t = ln [A]t = 1/[A]t =
rappresentata da una retta −kt + [A]0 −kt + ln [A]0 kt + 1/[A]0
Funzione rappresentata [A]t in funzione ln [A]t in funzione 1/[A]t in funzione
da una retta di t di t di t
Pendenza, intercetta −k, [A]0 −k, ln [A]0 k, 1/[A]0
con l’asse y
Tempo di dimezzamento [A]0/2k (ln 2)/k 1/k[A]0

A differenza del tempo di dimezzamento di una reazione del primo ordine, il tem­
po di dimezzamento di una reazione del secondo ordine dipende dalla concentra­
zione del reagente:
1
t1/2 = (reazione del secondo ordine; velocità di reazione k[A]2 )
k[A]0

È importante notare che, in questo caso, il tempo di dimezzamento è inversamente


proporzionale alla concentrazione iniziale del reagente. Questo risultato significa che
una reazione del secondo ordine con un’alta concentrazione iniziale del reagente
ha un tempo di dimezzamento più breve, e una con una bassa concentrazione ini­
ziale del reagente ha un tempo di dimezzamento più lungo. Perciò, via via che una
reazione del secondo ordine procede, il tempo di dimezzamento aumenta.
A differenza del tempo di dimezzamento di una reazione del secondo ordine,
il tempo di dimezzamento di una reazione di ordine zero è direttamente proporzionale
alla concentrazione iniziale del reagente:

[A]0
t1/2 = (reazione di ordine zero; velocità di reazione k)
2k

Perciò, se una reazione di ordine zero ha un’alta concentrazione iniziale del reagen­
te, ha un tempo di dimezzamento più lungo di quello che avrebbe se avesse una
bassa concentrazione iniziale del reagente.
La Tabella 16.4 riassume le caratteristiche essenziali delle reazioni di ordine
zero, del primo ordine e del secondo ordine.

16.5 L’EFFETTO DELLA TEMPERATURA


SULLA VELOCITÀ DI REAZIONE
La temperatura ha spesso un importante effetto sulla velocità di reazione. Com’è
mostrato nella Figura 16.9A per una comune reazione organica (idrolisi, o reazione
con l’acqua, di un estere), quando le concentrazioni dei reagenti sono mantenute
costanti, la velocità di reazione quasi raddoppia per ogni aumento di 10 K (pari a
10 °C) della temperatura. In effetti, per molte reazioni che si svolgono a tempera­
ture vicine alla temperatura ambiente, un aumento di 10 °C della temperatura fa
raddoppiare o triplicare la velocità di reazione.
In che modo la legge cinetica esprime questo effetto della temperatura? Se rac­
cogliamo dati sulla concentrazione e sul tempo per la stessa reazione fatta svolgere
a differenti temperature (T) e poi risolviamo ciascuna espressione della velocità di
reazione rispetto a k, troviamo che k aumenta all’aumentare di T.

16txt.indd 537 16/05/19 11:19


538 Capitolo 16

Velocità 0,400
Esperi- di reazione k
mento [Estere] [H2O] T (K) [mol/(L ˜ s)] [L/(mol ˜ s)]
1 0,100 0,200 288 1,04u103 0,0521 0,300

k (L/mol ˜ s)
3
2 0,100 0,200 298 2, 02u10 0,101
3 0,100 0,200 308 3, 68u103 0,184
0,200
4 0,100 0,200 318 6,64u103 0,332
A

Figura 16.9 Dipendenza della costante di velocità dalla temperatura. A. Nel­ 0,100
l’idrolisi di un estere, quando le concentrazioni vengono mantenute costanti e la
temperatura viene aumentata, la velocità di reazione e la costante di velocità au-
mentano. Si noti il quasi raddoppio di k con ciascun aumento di 10 K (= 10 °C) della
temperatura. B. Un diagramma della costante di velocità in funzione della tempera- 288 298 308 318
tura per questa reazione è una curva che sale con andamento regolare. B Temperatura (K)

In altre parole, la temperatura influenza la velocità di reazione influenzando la costante


di velocità. Un diagramma di k in funzione di T è una curva che sale esponenzial­
mente, come mostrato nella Figura 16.9B.
Questi risultati sono compatibili con gli studi condotti nel 1889 dal chimico e
fisico svedese Svante Arrhenius, che scoprì una relazione fondamentale fra tempera­
tura e costante di velocità. Nella sua forma moderna, l’equazione di Arrhenius è

               k = Ae −Ea /RT              (16.8)

dove k è la costante di velocità, e è la base dei logaritmi naturali, T è la tempe­


ratura assoluta e R è la costante universale dei gas. Esamineremo nel paragrafo
seguente il significato di A, che è correlato con l’orientamento delle moleco­
le che si urtano. Il termine Ea è l’energia di attivazione della reazione, che
Arrhenius considerò l’energia minima che le molecole devono avere per reagire;
esamineremo ulteriormente il suo significato nel paragrafo seguente. Questa rela­
zione esponenziale negativa fra temperatura e costante di velocità significa che
all’aumentare della temperatura, l’esponente negativo diminuisce in valore assoluto
(aumenta in valore relativo), quindi il valore di k aumenta, la qual cosa significa che la
velocità di reazione aumenta:

T aumenta ⇒ k aumenta ⇒ la velocità di reazione aumenta

Possiamo calcolare Ea con l’equazione di Arrhenius prendendo il logaritmo natu­


rale di entrambi i membri e riordinando l’equazione nella forma di un’equazione
di una retta:
E a ⎛ 1 ⎞⎟
ln A ln k = ln A − ⎜ ⎟
R ⎜⎝ T ⎟⎠
ln k pendenza = −Ea/R =
y b + mx

Un diagramma di ln k in funzione di 1/T è una retta la cui pendenza è −Ea/R e la


cui intercetta con l’asse y è ln A (Figura 16.10). Perciò, essendo nota la costante
R, possiamo determinare graficamente Ea con una serie di valori di k a differenti
temperature.
1 (K−1) Poiché la relazione tra ln k e 1/T è lineare, possiamo usare un metodo ancora
T
più semplice per determinare Ea se conosciamo la costante di velocità a due diffe­
Figura 16.10 Determinazione renti temperature, T2 e T1:
grafica dell’energia di attiva­
zione. Un diagramma di ln k in E a ⎛⎜ 1 ⎞⎟ E a ⎛⎜ 1 ⎞⎟
funzione di 1/T è una retta con ln k2 = ln A − ⎜ ⎟ ln k1 = ln A − ⎜ ⎟
pendenza −Ea/R. R ⎜⎝ T2 ⎟⎟⎠ R ⎜⎝ T1 ⎟⎟⎠

16txt.indd 538 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 539

Quando sottraiamo a membro a membro la seconda equazione dalla prima, il termi­


ne “ln A” si elide; riordinando i termini restanti, otteniamo:
• L’importanza di R L’im­por­
tanza di R si estende oltre lo studio
dei gas (o della pressione osmotica).
k2 E ⎛1 1⎞
= − a ⎜⎜ − ⎟⎟⎟            (16.9)
Esprimendo la pressione e il volume
             ln
k1 R ⎜⎝ T2 T1 ⎟⎠ mediante grandezze più fondamen­
tali, otteniamo le dimensioni dell’e­
Possiamo risolvere questa equazione rispetto a Ea. nergia E:
forza forza
=P =
area (lunghezza)2
Determinazione dell’energia di attivazione V = (lunghezza)3

PROBLEMA DI VERIFICA 16.6 Perciò,


forza
Problema La decomposizione dello ioduro di idrogeno, = PV × (lunghezza)3
(lunghezza) 2
2HI(g) H2(g) + I2(g)
= forza × lunghezza
ha la costante di velocità di 9,51  ×  10−9 L/(mol ⋅ s) alla temperatura di 5,00  ×  102 K e la costan­
te di velocità di 1,10  ×  10−5 L/(mol ⋅ s) alla temperatura di 6,00  ×  102 K. Si determini Ea. L’energia è impiegata per compiere
un lavoro, per esempio per spo­
Piano Sono date le costanti di velocità, k1 e k2, a due temperature, T1 e T2; quindi sosti­ stare un corpo; cioè, viene spesa
tuiamo i valori dati nell’Equazione 16.9 e la risolviamo rispetto a Ea. energia quando una forza sposta
Risoluzione Riordinamento dell’Equazione 16.9 per risolvere rispetto a Ea: il corpo a cui è applicata. Cioè,
E = forza  ×  spostamento (lunghez­
k E ⎛1 1⎞ za); quindi,
ln 2 = − a ⎜⎜ − ⎟⎟⎟
k1 ⎜
R ⎝ T2 T1 ⎟⎠ PV = forza  ×  lunghezza = E
−1
Risolvendo rispetto a R l’equazione
⎛ k ⎞⎛ 1 1⎞ di stato dei gas perfetti e sostituendo
E a = −R ⎜⎜ln 2 ⎟⎟⎟⎜⎜ − ⎟⎟⎟
⎜⎝ k1 ⎟⎠⎜⎝ T2 T1 ⎟⎠ a PV l’espressione trovata, otteniamo
PV
⎡ 1,10 ×10−5 L/(mol ⋅ s) ⎤ ⎛ 1 1 ⎞⎟−1 R=
= −[8,314J/(mol ⋅ K)] ⎢ln ⎥ ⎜⎜ − ⎟ nT
⎢ 9,51×10−9 L/(mol ⋅ s) ⎥ ⎜⎝ 6,00 ×10 K 500 ×10 K ⎟⎠
2 2
⎣ ⎦ E
=
= 1,76 ×105 J/mol (quantità di sostanza) ×T
Perciò, R è la costante di propor­
= 1,76 ×102 kJ/mol
zionalità che mette in relazione
Commento Si deve badare di conservare in 1/T lo stesso numero di cifre significative che l’energia, la quantità di sostanza (il
si hanno in T, altrimenti si potrebbe introdurre un errore rilevante. Si deve arrotondare al numero di moli) e la temperatura di
qualsiasi sistema chimico.
numero corretto di cifre significative soltanto nel risultato finale. Nella maggior parte delle cal­
colatrici tascabili, l’espressione (1/T2 − 1/T1) è immessa come segue: (T2)(1/x) − (T1)(1/x) =.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.6 La reazione 2NOCl(g)


2NO(g) + Cl2(g) ha una Ea di 1,00  ×  102 kJ/mol e una costante di velocità di 0,286 L/(mol ⋅ s) a
5,00  ×  102 K. Quanto vale la costante di velocità a 4,90  ×  102 K?
Figura 16.11 Sequenza di
in­for­mazioni per determina­
re i parametri cinetici di una
In questo paragrafo e nei due precedenti, abbiamo descritto una serie di metodi spe­ reazione. Si noti che la legge
cinetica integrata non dipende
rimentali e matematici per lo studio della cinetica delle reazioni. La Figura 6.11 è un
dal metodo delle velocità iniziali
utile sommario di queste informazioni. Si noti che la legge cinetica integrata fornisce di reazione e che è usata anche
un metodo alternativo per ottenere gli ordini di reazione e la costante di velocità. per determinare gli ordini di rea-
zione e la costante di velocità.

serie di determinare la velocità confrontare le ordini sostituire le costante di


diagrammi pendenza iniziali velocità iniziali di reazione velocità, velocità (k)
della della tangente di reazione quando [A] gli ordini di e legge di
concentrazione di ciascun varia e [B] reazione e le velocità
in funzione diagramma è mantenuta concentrazioni effettiva
del tempo nel punto costante iniziali nella
determinare k energia
corrispondente (e viceversa) legge
a differenti di attivazione,
a t0 cinetica generale:
temperature Ea
velocità di reazione = k[A]m[B]n

legge cinetica riordinare costante


integrata alla forma di velocità
(tempo di lineare e e ordine
dimezzamento, rappresentare di reazione
t1/2) graficamente

16txt.indd 539 16/05/19 11:19


540 Capitolo 16

16.6 SPIEGAZIONE DEGLI EFFETTI


DELLA CONCENTRAZIONE
E DELLA TEMPERATURA
L’equazione di Arrhenius fu formulata empiricamente in base alle osservazioni ef­
fettuate su molte reazioni. Occorsero più di 30 anni perché comparissero modelli in
grado di spiegare gli effetti della concentrazione e della temperatura sulla velocità
di reazione. I due modelli principali che esamineremo qui sono distinti ma comple­
tamente compatibili e ciascuno di essi pone in risalto differenti aspetti del processo
di reazione. La teoria delle collisioni considera la velocità di reazione come il
risultato delle collisioni tra particelle che avvengono con una certa frequenza e
un’energia minima. La teoria dello stato di transizione offre una “vista ravvici­
nata” di come l’energia di un urto converte il reagente in prodotto.

Teoria delle collisioni: basi della legge cinetica


L’aspetto fondamentale della teoria delle collisioni è il fatto che le particelle di rea­
gente – atomi, molecole e ioni – devono urtarsi (collidere) per reagire. Perciò, il
numero di collisioni nell’unità di tempo (la frequenza delle collisioni) impone un
limite superiore alla velocità a cui può avvenire una reazione. Il modello si limita a
reazioni semplici in un solo stadio in cui due particelle si urtano e formano ­prodotti:
A+B prodotti. Concentrando l’attenzione su collisioni tra particelle tridimen­
sionali, questa teoria spiega elegantemente perché nella legge cinetica compare il
prodotto delle concentrazioni dei reagenti, come la temperatura influenza la velocità
di reazione e quale influenza la struttura molecolare esercita ­sulla ­velocità di ­reazione.

Figura 16.12 La dipendenza


Perché nella legge cinetica compare il prodotto delle concentrazioni Se
degli urti possibili dal prodot­ le particelle devono urtarsi per reagire, le leggi della probabilità ci dicono che la ve­
to delle concentrazioni dei locità di reazione dipende dal prodotto delle concentrazioni dei reagenti, non dalla
reagenti. Nella legge cinetica loro somma. Immaginiamo di avere soltanto due particelle di A e due di B, confina­
le concentrazioni sono moltipli- te in un recipiente di reazione (reattore). La Figura 16.12 mostra che sono possibili
cate, non addizionate, perché il
numero di urti possibili è il pro-
quattro collisioni A-B. Se aggiungessimo un’altra particella di A, sarebbero possibili
dotto, non la somma, dei numeri sei collisioni A-B (3  ×  2), non cinque (3 + 2); se aggiungessimo un’altra particella di
di ciascuna specie di particelle B, sarebbero possibili nove collisioni A-B (3  ×  3), non sei (3 + 3). Perciò, il modello
presenti. delle collisioni è compatibile con l’osservazione che nella legge cinetica compare il
prodotto delle concentrazioni.
Come la temperatura influenza la velocità di reazione: l’importanza
dell’energia di attivazione All’aumentare della temperatura di una reazione, au­
menta la velocità media delle particelle e quindi la frequenza delle loro collisioni. Ma
la frequenza delle collisioni non può essere l’unico fattore a influenzare la velocità
di reazione, altrimenti ogni reazione in fase gassosa terminerebbe istantaneamente:
dopo tutto, alla tempe­ratura di 20 °C e alla pressione di 1 atm, le molecole presenti
in 1 mL di gas subiscono circa 1027 urti al secondo, ossia circa 4  ×  107 urti/molecola,
quindi la reazione terminerebbe in meno di 1 decimilionesimo di secondo! In effetti,
nella grande maggioranza delle collisioni, le molecole rimbalzano senza reagire.
Secondo Arrhenius, ogni reazione ha una soglia di energia che le molecole che
si urtano devono superare per reagire. (Un’analogia potrebbe essere un atleta che
deve superare la quota dell’asticella per compiere un salto in alto). Questa energia
degli urti minima è l’energia di attivazione (Ea), l’energia necessaria per attivare le
molecole a trasferirsi in uno stato da cui i legami dei reagenti possono convertirsi
nei legami dei prodotti. Si ricordi che, a ogni data temperatura, le molecole hanno
un intervallo di energie cinetiche; perciò, anche i loro urti hanno un intervallo di
energie. Secondo la teoria delle collisioni, soltanto le collisioni con energia sufficiente
per superare Ea possono determinare una reazione.
Come abbiamo notato precedentemente, molte reazioni a una temperatura
vicina alla temperatura ambiente raddoppiano o triplicano la loro velocità per un
aumento di 10 °C della temperatura.

16txt.indd 540 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 541

Figura 16.13 L’effetto della


Ea alla temperatura tem­­peratura sulla distribuzio­
T2 è maggiore ne delle energie delle collisio­
la frazione di ni. Alla temperatura più alta,
collisioni con T2, una maggiore frazione di
energia sufficiente collisioni avviene con energia
Frazione di urti, f

per reagire sufficiente per superare Ea.

T1

T2 > T1

Energia delle collisioni

L’aumento della velocità di reazione è dovuto all’aumento del numero di collisioni?


Tabella 16.5 L’effetto di Ea
In effetti, da questo punto di vista l’aumento della temperatura ha soltanto un effetto
e T sulla
minore. I calcoli indicano che un aumento di 10 °C aumenta soltanto del 2% la velocità
frazione (f)
molecolare media. Se un aumento della velocità molecolare fosse l’unico effetto di un di collisioni
aumento della temperatura e se la velocità di ciascuna molecola collidente aumentas­ di energia
se del 2%, ci si aspetterebbe un aumento soltanto del 4% della velocità di reazione. È sufficiente per
molto più importante il fatto che l’aumento di temperatura aumenta la frazione di colli- permettere
sioni con energia sufficiente per superare l’energia di attivazione. Questo punto essenziale la reazione
è illustrato nella Figura 16.13.
A una data temperatura, la frazione f di collisioni molecolari con energia supe­ Ea f
riore o uguale all’energia di attivazione Ea è data da (kJ/mol) (a T = 298 K)
50 1,70×10−9
−E a / RT
f =e 75 7,03×10−14
100 2,90×10−18
dove e è la base dei logaritmi naturali, T è la temperatura assoluta e R è la costante
f
universale dei gas. [È importante notare che il secondo membro di questa equazione (a Ea = 50
è la componente centrale dell’equazione di Arrhenius (Equazione 16.8)]. I valori di Ea T kJ/mol)
e di T influenzano la frazione di urti che sono abbastanza energetici. Nella parte superiore
25 °C (298 K) 1,70×10−9
della Tabella 16.5, si può vedere l’effetto dell’aumento di Ea su questa frazione di
35 °C (308 K) 3,29×10−9
urti a una temperatura fissa. Si noti di quanto si contrae la frazione per un aumento
45 °C (318 K) 6,12×10−9
di 25 kJ/mol dell’energia di attivazione. (Quando si innalza la quota dell’asticella,
diminuisce il numero di atleti capaci di compiere il salto). Nella parte inferiore della
Tabella 16.5 si può vedere l’effetto della temperatura sulla frazione per una Ea fissa di
50 kJ/mol, un valore tipico per molte reazioni. Si noti che la frazione quasi raddoppia
per un aumento di 10 °C della temperatura. Raddoppiando la frazione si raddoppia la
costante di velocità e quindi si raddoppia la velocità di reazione.
Una reazione reversibile ha due energie di attivazione (Figura 16.14). L’ener­
gia di attivazione della reazione diretta [Ea(diretta)] è la differenza tra l’energia dello
stato attivato e l’energia dei reagenti; l’energia di attivazione della reazione inversa
[Ea(inversa)] è la differenza tra l’energia dello stato attivato e l’energia dei prodotti. La fi­
gura presenta un diagramma dei livelli energetici per una reazione esotermica, quin­
di i prodotti hanno un’energia inferiore a quella dei reagenti e Ea(diretta) < Ea(inversa).
Disponendo verticalmente la curva di distribuzione dell’energia delle collisioni
della Figura 16.13 e allineandola da ambo i lati alla Figura 16.14, si ottiene la Figu­ra
16.15, che mostra come la temperatura influenza la frazione di collisioni la cui ener­
gia supera l’energia di attivazione sia per la reazione diretta sia per quella inversa.

Figura 16.14 Diagramma dei livelli energetici per una reazione. Affinché le molecole
reagiscano, devono urtarsi con energia sufficiente per raggiungere uno stato attivato. Questa
energia minima delle collisioni è l’energia di attivazione, Ea. Una reazione può procedere in
entrambi i versi, quindi il diagramma presenta due energie di attivazione. In questo caso, la
reazione diretta è esotermica perché Ea(diretta) < Ea(inversa).

16txt.indd 541 16/05/19 11:19


542 Capitolo 16

Figura 16.15 Un diagramma


dei livelli energetici della fra­
zione di collisioni con energie
superiori a Ea. Quando si alli-
nea la Figura 16.13 verticalmente
sull’asse sinistro e sull’asse T2

energia delle collisioni


energia delle collisioni
destro della Figu­ra 16.14,
COMPLESSO ATTIVATO
si vede che:
• in entrambi i versi, la frazio-
ne di collisioni la cui energia T2
è superiore a Ea è maggiore
Ea(diretta)
alla temperatura T più alta;
• in una reazione esotermica Ea(inversa)
a qualsiasi temperatura, T1
la frazione di collisioni con
energia superiore a Ea(diretta) è frazione REAGENTI
T1
maggiore della frazione con di collisioni
energia superiore a Ea(inversa).
PRODOTTI frazione
di collisioni

Questa figura composita illustra vari concetti.


• In entrambi i versi della reazione, una maggiore frazione di urti supera l’energia
di attivazione alla temperatura più alta, T2; all’aumentare della temperatura,
aumenta la velocità di reazione.
• In una trasformazione esotermica (una reazione diretta in questo caso) a qual­
siasi temperatura, la frazione di urti dei reagenti con energia superiore a
Ea(diretta) è maggiore della frazione di urti dei prodotti con energia superiore a
Ea(inversa); perciò, la reazione diretta è più veloce. D’altra parte, in una trasforma­
zione endotermica (una reazione inversa in questo caso), Ea(diretta) è maggiore di
Ea(inversa), quindi la frazione di urti dei prodotti con energia superiore a Ea(inversa)
è maggiore, e la reazione inversa è più veloce.
Queste conclusioni sono compatibili con l’equazione di Arrhenius; cioè, maggiore è
Ea, minore è il valore di k e più lenta è la reazione:
Ea maggiore ⇒ k minore ⇒ velocità di reazione minore
Influenza della struttura molecolare sulla velocità di reazione Abbiamo vi­
sto che il numero enorme di collisioni al secondo si riduce notevolmente quando si
considerano soltanto quelle con energia sufficiente per reagire. Però, neppure questa
piccola frazione del numero totale di urti rivela il numero vero di urti efficaci, quelli
che danno origine effettivamente al prodotto. Oltre a urtarsi con energia sufficiente, le
molecole devono urtarsi in modo che gli atomi reagenti facciano contatto. In altre parole, un
urto deve avere energia sufficiente e un particolare orientamento molecolare per essere
un urto efficace.
Nell’equazione di Arrhenius, l’effetto dell’orientamento molecolare è contenu­
to nel fattore A:
k = Ae −Ea / RT

Questo termine, detto fattore di frequenza, è il prodotto della frequenza degli


urti Z per un fattore di probabilità di orientamento p, che è specifico di ciascuna
Figura 16.16 L’importanza reazione: A = pZ. Il fattore p è correlato con la complessità strutturale delle
dell’orientamento molecolare particelle che si urtano. Lo si può considerare come il rapporto fra gli urti con
per un urto efficace. Soltanto orientamento efficace e tutti gli urti possibili. Per esempio, la Figura 16.16 mostra
uno dei cinque orientamenti alcuni dei possibili orientamenti degli urti per la seguente reazione semplice in
indicati per l’urto tra molecole
fase gassosa:
di NO e di NO3 ha l’orienta-
mento corretto per formare il NO(g) + NO3(g) 2NO2(g)
prodotto. Nell’orientamento effi-
cace, l’urto avviene tra gli atomi Dei cinque urti mostrati, soltanto uno ha un orientamento in cui l’atomo di N di
che si legheranno nel prodotto. NO urta contro un atomo di O di NO3. In effetti, il fattore di probabilità (valore

16txt.indd 542 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 543

di p) per questa reazione è 0,006; soltanto 6 urti ogni 1000 (1 su 167) hanno un
orientamento che determina una reazione.
Gli urti tra singoli atomi hanno valori di p vicini a 1: quasi indipendentemente
da come si urtano, purché l’urto abbia energia sufficiente, le particelle reagiscono.
In questi casi, la costante di velocità dipende soltanto dalla frequenza e dall’energia
degli urti. All’altro estremo si situano le reazioni biochimiche, in cui i reagenti sono
spesso due piccole molecole che possono reagire soltanto quando urtano contro
una piccola, specifica, regione di una macromolecola: una proteina o un acido nu­
cleico. Per queste reazioni, il fattore di orientamento è spesso minore di 10−6; meno
di 1 su 1 milione di urti abbastanza energetici determina la formazione del prodot­
to. Il fatto che avvengano innumerevoli reazioni biochimiche proprio nel momento
in cui il lettore sta leggendo questa frase aiuta a porre in risalto che il numero di
urti al secondo è davvero stupefacente.

Teoria dello stato di transizione:


natura molecolare dello stato attivato
Le teoria delle collisioni è un modello semplice, facile da visualizzare, ma non dà
un’idea approfondita su perché sia necessaria l’energia di attivazione e su quale sia
la forma delle molecole attivate. Per comprendere questi aspetti del processo uti­
lizziamo la teoria dello stato di transizione.
Visualizzazione dello stato di transizione Come abbiamo visto nella tratta­
zione delle variazioni di energia (Capitolo 6), l’energia interna di un sistema è la
somma della sua energia cinetica e della sua energia potenziale. Due molecole che
sono molto lontane l’una dall’altra ma si muovono l’una verso l’altra ad alta velocità
hanno un’alta energia cinetica e una bassa energia potenziale. Via via che le due
molecole si avvicinano, una parte dell’energia cinetica si converte in energia po­
tenziale mentre le nuvole elettroniche si respingono reciprocamente. Nell’istante
di un urto frontale, le molecole sono istantaneamente in quiete, e la loro energia
cinetica è convertita in energia potenziale della collisione. Se questa energia poten-
ziale è minore dell’energia di attivazione, le molecole rimbalzano, allontanandosi l’una
dall’altra come palle da biliardo. Le repulsioni diminuiscono, le velocità aumentano
e le molecole si allontanano l’una dall’altra ad alta velocità senza reagire.
La piccola frazione di molecole che hanno un orientamento efficace e si muo­
vono alla massima velocità si comportano in modo diverso. La loro energia cinetica
le spinge l’una verso l’altra con una forza sufficiente per vincere le repulsioni e reagire.
I nuclei in un atomo attraggono gli elettroni in un altro; gli orbitali atomici si
sovrappongono e la densità elettronica si sposta; alcuni legami si allungano e si
indeboliscono mentre altri cominciano a formarsi. Se fossimo in grado di osser­
vare questo processo al rallentatore, vedremmo le molecole del reagente variare
gradualmente i loro legami e le loro forme mentre si trasformano in molecole del
prodotto. A un certo punto durante questa trasformazione regolare, ciò che esiste
non è né il reagente né il prodotto, bensì è una specie di transizione con legami parziali.
Questa specie è estremamente instabile (ha un’energia potenziale molto alta) ed
esiste soltanto nell’istante in cui il sistema reagente ha l’energia più alta. È detto
stato di transizione, o complesso attivato, della reazione e si forma soltanto
se le molecole si urtano con un orientamento efficace e l’energia dell’urto è uguale
o superiore all’energia di attivazione. Perciò, è necessaria l’energia di attivazione per
allungare e deformare i legami per raggiungere lo stato di transizione. Poiché gli stati di
transizione non possono essere isolati, la loro conoscenza è indiretta, provenendo dal
ragionamento e da studi di specie analoghe più stabili.
Consideriamo la reazione tra bromuro di metile e ione idrossido:
CH3Br + OH− CH3OH + Br−
Il bromo elettronegativo rende parzialmente positivo l’atomo di carbonio del bromu­
ro di metile. Se i reagenti si muovono l’uno verso l’altro a velocità abbastanza alta e
hanno un orientamento efficace quando si urtano, l’atomo di ossigeno negativo in

16txt.indd 543 16/05/19 11:19


544 Capitolo 16

OH− si avvicina all’atomo di carbonio con energia sufficiente per cominciare a forma­
re un legame C O, con conseguente indebolimento del legame C Br. Nello stato
di tran­sizione (Figura 16.17), l’atomo di carbonio è circondato da cinque atomi in una
forma bipiramidale trigonale, che non è mai presente nei composti stabili del carbo­
nio. Questa specie ad alta energia è costituita da tre legami C H normali e da due
legami parziali, uno con O e l’altro con Br; non vi sono mai cinque legami normali con
Figura 16.17 Natura dello il carbonio.
stato di transizione nella rea­
Il raggiungimento dello stato di transizione non assicura che la reazione proce­
zione tra CH3Br e OH−. Si noti-
no i legami parziali (allungati) da fino alla formazione dei prodotti; uno stato di transizione può variare in entram­
C O e C Br e la forma bipi- bi i versi. In questo caso, se il legame C O continua ad accorciarsi e a rafforzarsi,
ramidale trigonale dello stato di si formeranno i prodotti; però, se il legame C Br si accorcia e si rafforza di nuovo,
transizione di questa reazione. lo stato di transizione tornerà a decomporsi nei reagenti.
Figura 16.18 Diagramma Visualizzazione della trasformazione con diagrammi dell’energia di rea­
del­l’energia di reazione per zione Un modo utile di visualizzare gli eventi che abbiamo appena descritto è
la reazione tra CH3Br e OH−. usare un diagramma dell’energia di reazione, che rappresenta con una curva
Un diagramma dell’energia
potenziale in funzione dell’avan-
regolare l’energia potenziale del sistema durante la reazione. La Figura 16.18 mostra
zamento della reazione mostra il diagramma dell’energia di reazione per la reazione tra bromuro di metile e ione
i livelli energetici relativi dei idrossido, con una formula strutturale (a legami cuneiformi) e una vista su scala
reagenti, dei prodotti e dello molecolare in vari punti durante la trasformazione.
stato di transizione congiunti con L’asse orizzontale, contrassegnato “coordinata di reazione” (o “avanzamento della
una curva, nonché le energie di
attivazione degli stadi diretto e
reazione”), indica che i reagenti si trasformano in prodotti via via che ci si muove da
inverso e il calore di reazione. Le sinistra a destra. La reazione è esotermica, quindi i reagenti hanno un’energia superio­
formule di struttura e le viste su re a quella dei prodotti. La differenza di energia è dovuta a differenze nell’energia di
scala molecolare visualizzano la legame, che si manifestano come calore di reazione, ΔHr. Il diagramma presenta anche
trasformazione in cinque punti. l’energia di attivazione della reazione diretta e della reazione inversa; in questo caso,
Si noti la graduale formazione di
legami e rottura di legami quan-
Ea(diretta) < Ea(inversa).
do il sistema passa per lo stato di Secondo la teoria dello stato di transizione, ogni reazione (e ogni stadio in una reazio-
transizione. ne complessiva) passa per il proprio stato di transizione. Perciò, secondo questo modello,

H H H H H
Br C + OH − Br C OH Br C OH Br C OH −
Br + C OH
H H
H H H H H H H H

prima dello dopo lo stato


reagenti stato di transizione prodotti
stato di transizione di transizione
Energia potenziale

Ea(diretta)

Ea(inversa)

CH3Br + OH−
ΔHr

Br− + CH3OH

Avanzamento della reazione

16txt.indd 544 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 545

tutte le reazioni sono reversibili. Possiamo immaginare quale forma potrebbe avere lo Figura 16.19 Diagrammi
stato di transizione in molte reazioni esaminando i legami che subi­scono variazioni del­l’energia di reazione
nel reagente e nel prodotto. La Figura 16.19 presenta diagrammi dell’energia di e possibili stati di transizione
per tre reazioni.
reazione per tre reazioni semplici. Si noti che in ciascun caso la forma dello stato di A. 2NOCl(g) 2NO(g) + Cl2(g)
transizione ipotizzato si basa su un urto tra atomi che si legano nel prodotto. (nonostante la formula NOCl, la
sequenza di atomi è ClNO).
Disegno dei diagrammi dell’energia di reazione e degli stati B. NO(g) + O3(g) NO2(g) + O2(g).
C. 2ClO(g) Cl2(g) + O2(g).
di transizione Si noti che la reazione A è endo-
termica, le reazioni B e C sono
PROBLEMA DI VERIFICA 16.7 esotermiche, e la reazione C ha
una Ea(diretta) molto piccola.
Problema Una reazione importante nell’alta atmosfera è la seguente:
O3(g) + O(g) 2O2(g)
Ea(diretta) è 19 kJ e ΔHr della reazione scritta è −392 kJ. Si disegni un diagramma dell’energia
di reazione per questa reazione, si ipotizzi uno stato di transizione e si calcoli Ea(inversa).
Piano La reazione è altamente esotermica (ΔHr = −392 kJ), quindi l’energia dei prodotti è
molto più bassa di quella dei reagenti. La piccola Ea(diretta) (pari a 19 kJ) significa che l’ener­
gia dei reagenti è lievemente inferiore a quella dello stato di transizione. Per raggiungere
lo stato di tran­sizione a partire dai prodotti sarebbe necessaria una quantità di energia pari
a ΔHr + Ea(diretta); perciò, Ea(inversa) = ΔHr + Ea(diretta). Per ipotizzare lo stato di transizione,
disegniamo schematicamente la specie e notiamo che uno dei legami in O3 si indebolisce,
e questo O parzialmente legato comincia a formare un legame con l’atomo di O separato.
Risoluzione Il diagramma dell’energia di reazione (non disegnato in scala), con lo stato di
tran­sizione, è
O
O O
O
Ea(diretta)
= 19 kJ
stato di
Energia potenziale

O3 + O transizione
Ea (inversa)
= 411 kJ

ΔHr = −392 kJ

2O2

Avanzamento della reazione

Verifica Arrotondando per trovare Ea(inversa), otteniamo 390 + 20 = 410.

16txt.indd 545 16/05/19 11:19


546 Capitolo 16

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.7 Il seguente diagramma dell’ener­


gia di reazione visualizza un’altra reazione atmosferica importante. Si contrassegnino gli assi,
si identifichino Ea(diretta), Ea(inversa) e ΔHr, si disegni e si contrassegni lo stato di transizione, e
si calcoli Ea(inversa) della reazione.

2OH

78 kJ +72 kJ

O + H 2O

16.7 MECCANISMI DI REAZIONE:


STADI NELLA REAZIONE COMPLESSIVA
Immaginiamo di tentare di capire come funzioni un’automobile esaminando sempli­
cemente la carrozzeria, le ruote e il cruscotto. È impossibile: per vedere come le parti
si adattano l’una all’altra e funzionano dobbiamo guardare sotto il cofano e dentro il
motore. Analogamente, poiché il nostro scopo principale è conoscere come funziona
una reazione a livello molecolare, esaminare l’equazione bilanciata complessiva non è
di grande aiuto: dobbiamo “guardare sotto la freccia dell’equazione e all’interno della
reazione” per vedere come i reagenti si trasformano in prodotti.
Quando lo facciamo, troviamo che la maggior parte delle reazioni avvengono
mediante un meccanismo di reazione, una sequenza di singoli stadi di reazione
la cui somma dà la reazione complessiva. Per esempio, un meccanismo possibile per
la reazione complessiva
2A + B E+F
potrebbe implicare questi tre stadi più semplici:
(1) A + B C
(2) C + A D
(3)    D E+F
Sommando a membro a membro ed elidendo le sostanze in comune, otteniamo
l’equazione complessiva:
A + B + C + A + D ⎯⎯
→ C + D + E + F ossia 2A + B ⎯ ⎯
→E + F

Si noti ciò che accade a C e D in questo meccanismo. C è un prodotto nello stadio


1 e un reagente nello stadio 2, e D è un prodotto nello stadio 2 e un reagente nello
stadio 3. Ciascuno funge da intermedio di reazione, una sostanza che si forma
e viene consumata durante la reazione complessiva. Gli intermedi di reazione non
compaiono nell’equazione bilanciata complessiva, ma sono assolutamente essenziali
affinché la reazione avvenga. Sono di solito instabili rispetto ai reagenti e ai prodot­
ti, ma sono molto più stabili degli stati di transizione (complessi attivati). Sono mo­
lecole con legami normali e sono talvolta abbastanza stabili per poter essere isolati.
I chimici propongono un meccanismo di reazione per spiegare come potrebbe
avvenire una particolare reazione e poi verificano il meccanismo proposto. In questo
paragrafo concentreremo l’attenzione sulla natura degli stadi individuali e su come
essi si adattano l’uno all’altro per dare una legge di velocità compatibile con i dati
sperimentali.

Reazioni elementari e molecolarità


I singoli stadi, che costituiscono nel loro insieme il meccanismo di reazione proposto,
sono detti reazioni elementari (o stadi elementari). Ciascuno descrive un singolo

16txt.indd 546 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 547

evento molecolare, quale la decomposizione di una particella o l’urto e la combinazione


di due particelle. Uno stadio elementare non è costituito da stadi più semplici.
Uno stadio elementare è caratterizzato dalla sua molecolarità, il numero di
particelle di reagente coinvolte in quello stadio. Consideriamo il meccanismo per la
dissociazione dell’ozono nella stratosfera. La reazione complessiva è
2O3(g) 3O2(g)

Per questa reazione è stato proposto un meccanismo a due stadi. Il primo stadio
elementare è una reazione unimolecolare, ossia una reazione che implica la de­
composizione o il riarrangiamento di una singola particella:
(1) O3(g) O2(g) + O(g)
Il secondo stadio è una reazione bimolecolare, ossia una reazione in cui reagi­
scono due particelle:
(2) O3(g) + O(g) 2O2(g)
Si conoscono alcuni stadi elementari trimolecolari, ma essi sono estremamente rari,
essendo molto piccola la probabilità che tre particelle si urtino simultaneamente
con energia sufficiente e con un orientamento efficace. Non si conoscono moleco­
larità più alte. Salvo che non esistano dati sperimentali che indicano il contrario, il
buon senso chimico suggerisce di proporre soltanto reazioni unimolecolari o bimo­
lecolari come stadi elementari in un meccanismo di reazione.
La legge cinetica per una reazione elementare, a differenza di quella per una
reazione complessiva, può essere dedotta dalla stechiometria della reazione.
Una reazione elementare si svolge in un solo stadio, quindi la sua velocità deve
essere direttamente proporzionale al prodotto delle concentrazioni dei reagenti. Per­
ciò, usiamo i coefficienti dell’equazione come gli ordini di reazione nella legge cinetica per
uno stadio elementare; cioè, l’ordine di reazione è uguale alla molecolarità (Tabel­la 16.6).
Si deve tenere presente che questa affermazione è valida soltanto quando si conosce
che la reazione è elementare; abbiamo già visto che, per una reazione complessiva,
gli ordini di reazione devono essere determinati per via sperimentale.

Determinazione della molecolarità e delle leggi cinetiche


per stadi elementari
PROBLEMA DI VERIFICA 16.8
Problema Le due reazioni seguenti sono proposte come stadi elementari nel meccanismo
per la reazione complessiva:
(1) NO2Cl(g) NO2(g) + Cl(g)
(2) NO2Cl(g) + Cl(g) NO2(g) + Cl2(g)
(a) Si scriva l’equazione bilanciata complessiva.
(b) Si determini la molecolarità di ogni stadio.
(c) Si scriva la legge cinetica per ciascuno stadio.
Piano Otteniamo l’equazione complessiva sommando gli stadi elementari. La molecolarità
di ciascuno stadio è uguale al numero totale di particelle reagenti. Scriviamo la legge cine­
tica per ciascuno stadio usando le molecolarità come ordini di reazione.

16txt.indd 547 16/05/19 11:19


548 Capitolo 16

Risoluzione (a) Scrittura dell’equazione complessiva:

NO 2Cl( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) + Cl( g )
NO 2Cl( g ) + Cl( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) + Cl 2 ( g )
NO 2Cl( g ) + NO 2Cl( g ) + Cl( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) + Cl( g ) + NO 2 ( g ) + Cl 2 ( g )

2NO 2Cl( g ) ⎯ ⎯→ 2NO 2 ( g ) + Cl 2 ( g )

(b) Determinazione della molarità di ciascuno stadio. Il primo stadio elementare ha un solo
reagente, NO2Cl, quindi è unimolecolare. Il secondo stadio elementare ha due reagenti,
NO2Cl e Cl, quindi è bimolecolare.
(c) Scrittura delle leggi cinetiche per le reazioni elementari:
(1) velocità di reazione1 = k1[NO2Cl]
(2) velocità di reazione2 = k2[NO2Cl][Cl]
Verifica Nella parte (a), si badi che l’equazione sia bilanciata; nella parte (c), si badi che le
sostanze tra parentesi quadre siano i reagenti di ciascuno stadio elementare.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 16.8 I seguenti stadi elementari costi­


tuiscono un meccanismo proposto per una reazione:
(1) 2NO(g) N2O2(g)
(2)   2H2(g) 2H(g)]
(3)   N2O2(g) + H(g) N2O(g) + HO(g)
(4)    2HO(g) + H(g) H2O(g)]
(5)   H(g) + N2O(g) HO(g) + N2(g)
(a) Si scriva l’equazione bilanciata per la reazione complessiva.
(b) Si determini la molecolarità di ciascuno stadio.
(c) Si scriva la legge cinetica per ciascuno stadio.

Lo stadio determinante la velocità di un meccanismo di reazione


Non tutti gli stadi elementari in un meccanismo di reazione hanno la stessa velocità
di reazione. Di solito, uno degli stadi è molto più lento degli altri, quindi limita la
velocità a cui procede la reazione complessiva. Questo stadio è detto stadio deter-
minante la velocità (di reazione) [o stadio limitante la velocità (di reazione) o
rate-determining step].
Poiché lo stadio determinante la velocità limita la velocità della reazione complessiva,
la sua legge cinetica rappresenta quella della reazione complessiva. Consideriamo la
• Lo stadio determinante reazione tra diossido di azoto e monossido di carbonio:
NO2(g) + CO(g) NO(g) + CO2(g)
la velocità dà ai panettieri il
tem­po per dormire La panifica­ Se la reazione complessiva fosse una reazione elementare – cioè, se il meccanismo
zione of­fre un esempio macro­scopi­­co,
gu­stoso, di uno stadio de­ter­minante consistesse in un solo stadio – saremmo in grado di scrivere immediatamente la
la velocità. I cinque sta­di nella pre­ legge cinetica complessiva come
parazione di un filone di pane sono velocità di reazione = k[NO2][CO]
i seguenti: (1) mescolamento degli
ingredienti (15 min), (2) preparazio­ Però, come abbiamo visto nel Problema di verifica 16.3, l’esperimento indica che la
ne dell’impasto (10 min), (3) lievi­ legge cinetica effettiva è
tazione dell’impasto in frigorifero velocità di reazione = k[NO2]2
(400 min), (4) formazione del filone
(2 min) e (5) cottura del filone Questa legge cinetica dice immediatamente che la reazione in questione non può
(25 min). Ovviamente, lo stadio di essere elementare.
lievitazione limita la velocità a cui Un meccanismo a due stadi proposto è
un panettiere è in grado di produrre
un filone perché è molto più lento (1)  NO2(g) + NO2(g) NO3(g) + NO(g) [stadio lento, determinante la velocità]
degli altri stadi. I panettieri, consa­ (2) NO3(g) + CO(g) NO2(g) + CO2(g) [stadio veloce]
pevoli del “meccanismo di reazione”
della panificazione fanno lievitare Si noti che NO3 funge da intermedio di reazione nel meccanismo. Le leggi di velo­
l’impasto di notte, riuscen­­­do così a cità per questi stadi elementari sono
dormire durante lo stadio determi­
nante la velocità. (Foto: © Mooving (1) velocità di reazione1 = k1[NO2][NO2] = k1[NO2]2
Moment/Shutterstock). (2) velocità di reazione2 = k2[NO3][CO]

16txt.indd 548 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 549

Si noti che, se k1 = k, la legge cinetica per lo stadio determinante la velocità (sta­dio 1) è


identica alla legge cinetica sperimentale. Il primo stadio è così lento rispetto al secondo
che la reazione complessiva dura essenzialmente quanto il primo stadio. Si può vede­
re qui che un motivo per cui un reagente (CO, in questo caso) ha ordine zero è che
partecipa alla reazione soltanto dopo lo stadio determinante la velocità.

Correlazione del meccanismo di reazione con la legge cinetica


Escogitare un meccanismo di reazione ragionevole è uno degli aspetti più entu­
siasmanti della cinetica chimica e può essere un classico esempio di applicazione
del metodo scientifico. Usiamo osservazioni e dati ottenuti da esperimenti sulla
velocità di reazione per ipotizzare quali potrebbero essere gli stadi individuali e poi
verificare l’ipotesi raccogliendo altri dati sperimentali. Se i dati sperimentali corro­
borano l’ipotesi, continuiamo ad applicare quel meccanismo; se non la corroborano,
proponiamo un nuovo meccanismo. Però, non siamo mai in grado di dimostrare, con i
soli dati, che un particolare meccanismo rappresenta la trasformazione chimica effettiva.
Indipendentemente dagli stadi elementari proposti per un meccanismo, essi
devono soddisfare tre criteri.
1. L a somma degli stadi elementari deve dare l’equazione complessiva. Non possiamo
finire con più (o meno) reagenti o prodotti rispetto a quelli presenti nell’equa­
zione bilanciata.
2. G li stadi elementari devono essere fisicamente ragionevoli. Come abbiamo notato, la
maggior parte degli stadi dovrebbero implicare una sola particella di reagente
(stadio unimolecolare) o due particelle di reagente (stadio bimolecolare). Gli stadi
con tre particelle di reagente (trimolecolari) sono altamente improbabili.
3. Il meccanismo deve essere correlato con la legge cinetica. Ciò che più importa, un
meccanismo deve corroborare i fatti sperimentali mostrati dalla legge cinetica,
e non viceversa.
Vediamo come il meccanismo di numerose reazioni soddisfa questi criteri e come
gli stadi elementari si adattano l’uno all’altro.
Meccanismi di reazione con uno stadio iniziale lento Abbiamo già visto un
meccanismo con un primo stadio determinante la velocità nella reazione tra NO2
e CO presentata precedentemente. Un altro esempio è la reazione tra diossido di
azoto e fluoro in fase gassosa:
2NO2(g) + F2(g) 2NO2F(g)
La legge cinetica sperimentale è del primo ordine in NO2 e in F2:
velocità di reazione = k[NO2][F2]
Il meccanismo accettato per la reazione è
(1) NO2(g) + F2(g) NO2F(g) + F(g) [stadio lento, determinante la velocità]
(2) NO2(g) + F(g) NO2F(g) [stadio veloce]
In entrambi gli stadi elementari compaiono molecole di reagente e di prodotto.
L’atomo di fluoro libero è un intermedio di reazione.
Questo meccanismo soddisfa i tre criteri cruciali?
1. La somma delle reazioni elementari dà l’equazione bilanciata:
NO 2 ( g ) + NO2 ( g ) + F2 ( g ) + F( g ) ⎯ ⎯
→ NO2F( g ) + NO2F( g ) + F( g )
ossia 2NO 2 ( g ) + F2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NO 2F( g )
2. Entrambi gli stadi sono bimolecolari, quindi sono chimicamente ragionevoli.
3. Il meccanismo dà la legge cinetica dell’equazione complessiva. Per mostralo, scri­
viamo le leggi di velocità per gli stadi elementari:
(1) velocità di reazione1 = k1[NO2][F2]
(2) velocità di reazione2 = k2[NO2][F]
 Lo stadio 1 è lo stadio determinante la velocità e quindi dà la legge cinetica
complessiva, con k1 = k.

16txt.indd 549 16/05/19 11:19


550 Capitolo 16

Poiché la seconda molecola di NO2 compare nello stadio che segue quello determi­
nante la velocità, essa non compare nella legge cinetica complessiva. Vediamo quin­
di che la legge cinetica complessiva comprende soltanto specie attive nella reazione fino
a, e comprendenti, quelle nello stadio determinante la velocità. Questo punto è stato il­
lustrato anche dal precedente meccanismo NO2 CO. Il monossido di carbonio era
assente dalla legge cinetica complessiva perché compariva dopo lo stadio determi­
nante la velocità.
La Figura 16.20A presenta un diagramma dell’energia di reazione per la reazio­
ne tra NO2 e F2. Si noti che:
• 
ciascuno stadio nel meccanismo di reazione ha il proprio stato di transizione (si
noti che una sola molecola di NO2 interviene nello stadio 1 ed è visualizzato
soltanto il primo stato di transizione);
• 
l’atomo di F che è un intermedio di reazione è una specie instabile, reattiva
(come si sa dalla chimica degli alogeni), quindi la sua energia è superiore a
quella dei reagenti o del prodotto;
• il primo stadio è più lento (limita la velocità), quindi la sua energia di attivazione
è maggiore di quella del secondo;
• la reazione complessiva è esotermica, quindi l’energia del prodotto è inferiore a
quella dei reagenti.
Meccanismi di reazione con uno stadio iniziale veloce Se lo stadio limitante
la velocità in un meccanismo di reazione non è lo stadio iniziale, esso agisce come
una strozzatura (un “collo di bottiglia”) più avanti nella sequenza di reazione.
Di conseguenza, il prodotto di uno stadio iniziale veloce si accumula e co­
mincia a riconvertirsi in reagente, in attesa che lo stadio lento lo rimuova. Con il
trascorrere del tempo, il prodotto dello stadio iniziale si riconverte in reagente alla
stessa velocità a cui si forma. In altre parole, lo stadio iniziale veloce raggiunge l’equi-
librio. Come vedremo, questa situazione ci permette di adattare il meccanismo di
reazione alla legge cinetica complessiva.
Consideriamo ancora una volta l’ossidazione dell’ossido nitrico:
2NO(g) + O2(g) 2NO2(g)
La legge cinetica determinata sperimentalmente è
velocità di reazione = k[NO]2[O2]
e un meccanismo di reazione proposto è
(1) NO(g) + O2(g) NO3(g) [veloce, reversibile]
(2) NO3(g) + NO(g) 2NO2(g) [lento; determinante la velocità]
Si noti che, con la cancellazione dell’intermedio di reazione NO3, il primo cri­
terio è soddisfatto perché la somma degli stadi dà l’equazione complessiva. Si
noti che è soddisfatto anche il secondo criterio perché entrambi gli stadi sono
bimolecolari.
Per soddisfare il terzo criterio (il meccanismo è conforme alla legge cinetica
complessiva), iniziamo scrivendo le leggi cinetiche per gli stadi elementari:
(1) velocità di reazione1(diretta) = k1[NO][O2]
   velocità di reazione2(inversa) = k−1[NO3]
   dove k−1 è la costante di velocità per la reazione inversa;
(2) velocità di reazione2 = k2[NO3][NO]
Ora dobbiamo mostrare che la legge cinetica per lo stadio determinante la velocità
(stadio 2) dà la legge cinetica complessiva. Così com’è scritta, non la dà, perché
contiene NO3 intermedio e una legge cinetica complessiva può contenere soltanto rea-
genti (e prodotti). Perciò, dobbiamo eliminare [NO3] dalla legge cinetica dello stadio
2. A questo scopo, esprimiamo [NO3] in termini di reagenti. Lo stadio 1 raggiunge

16txt.indd 550 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 551

l’equilibrio quando la velocità della reazione diretta e la velocità della reazione Figura 16.20 Diagramma
inversa sono uguali: dell’energia di reazione per
le reazioni in due stadi tra
velocità di reazione1(diretta) = velocità di reazione2(inversa) NO2 e F2 (A) e tra NO e O2 (B).
ossia k1[NO][O2] = k−1[NO3] Ciascuno stadio nel meccanismo
di reazione ha il proprio stato
di transizione. Si noti che allo
Per esprimere [NO3] in termini di reagenti, la isoliamo algebricamente:
stadio più lento corrisponde una
k1 Ea più alta. Entrambe le reazioni
[NO3 ] = [NO][O2 ] complessive sono esotermiche
k−1 (ΔHr < 0).

Quindi, sostituendo questa espressione a [NO3] nella legge di velocità per lo sta­
dio 2, otteniamo:

⎛k ⎞ kk
velocità di=
reazione2 k2=
[NO3 ][NO] k2 ⎜⎜ 1 [NO][O 2 ]⎟⎟⎟ [NO] = 2 1 [NO]2 [O2 ]
⎜⎝ k−1 ⎟⎠ k−1
k2k1
Perciò, questa legge cinetica è identica alla legge cinetica complessiva, con k = .
k−1
La Figura 16.20B presenta un diagramma dell’energia di reazione per la reazione
tra NO e O2.
Riassumiamo l’approccio per un meccanismo di reazione con uno stadio inizia­
le reversibile veloce nei tre punti seguenti:
1. scrivere le leggi cinetiche per entrambi i versi dello stadio veloce e per lo
stadio lento;
2. mostrare che la legge cinetica dello stadio lento equivale alla legge cinetica
complessiva, esprimendo la [intermedio] in termini della [reagente]: uguagliare la
legge cinetica diretta dello stadio veloce reversibile alla legge cinetica inversa
e risolvere rispetto alla [intermedio];
3. sostituire l’espressione della [intermedio] nella legge cinetica dello stadio lento
per ottenere la legge cinetica complessiva.
Alcuni dei problemi proposti nell’Eserciziario a fine volume, offrono altri esempi di
questo approccio.

16txt.indd 551 16/05/19 11:19


552 Capitolo 16

16.8 CATALISI: ACCELERAZIONE


DI UNA REAZIONE CHIMICA
In molte situazioni, si deve aumentare la velocità di una reazione affinché sia uti­
le. Per esempio, in un processo industriale, un aumento della velocità di reazione
determina spesso se un nuovo prodotto potrà essere creato economicamente. Tal­
volta si riesce ad accelerare sufficientemente una reazione aumentando la tempe­
ratura, ma l’energia è costosa e molte sostanze sono sensibili alla temperatura e si
decompongono facilmente. Come alternativa, si può impiegare spesso un cataliz-
zatore, una sostanza che aumenta la velocità di reazione senza essere consumata
nella reazione stessa. Poiché i catalizzatori non vengono consumati, generalmente
ne sono sufficienti quantità piccolissime, non stechiometriche. Ciononostante,
queste sostanze sono impiegate in così tanti processi importanti che ogni anno
vengono prodotte parecchie milioni di tonnellate di catalizzatori industriali! La
natura è il principale progettista e utilizzatore di catalizzatori. Anche il batterio
più semplice impiega migliaia di catalizzatori biologici, noti come enzimi, per
accelerare le sue reazioni cellulari (catalisi enzimatica). Ogni organismo si affida a
enzimi per sostenere la vita.
Ogni catalizzatore ha il proprio modo specifico di funzionamento, ma, in gene­
rale, un catalizzatore abbassa l’energia di attivazione, e questa diminuzione, a sua volta,
fa aumentare la costante di velocità e la velocità di reazione. Nella Figura 16.21 sono
messi in rilievo due punti.
• Un catalizzatore accelera la reazione diretta e la reazione inversa. Una reazione
con un catalizzatore non dà più prodotto rispetto a una senza catalizzatore, ma
dà più rapidamente il prodotto.
• Un catalizzatore abbassa l’energia di attivazione fornendo un differente meccani-
smo per la reazione, una nuova via a energia più bassa.
Consideriamo una reazione non catalizzata generale che procede con un meccani­
smo a un solo stadio che implica un urto bimolecolare:

A+B prodotto [più lenta]

STATI DI
TRANSIZIONE
non catalizzato
Figura 16.21 Diagramma
dell’energia di reazione di un Ea(diretta) *
Energia potenziale

processo catalizzato e di uno senza *


non catalizzato. Un cataliz- catalizzatore
zatore accelera una reazione Ea(inversa)
fornendo un nuovo cammino Ea(diretta) senza
energetico più basso, in questo con catalizzatore catalizzatore
caso sostituendo il meccani-
smo a un solo stadio con un catalizzato
meccanismo a due stadi. Sia la
velocità del processo diretto sia REAGENTI
quella del processo inverso subi- ΔHr
scono lo stesso aumento, quindi
un catalizzatore non influenza la
resa della reazione complessiva.
PRODOTTI
(La sola energia di attivazione
mostrata per la reazione cata-
lizzata è quella maggiore per il
verso diretto). Avanzamento della reazione

16txt.indd 552 16/05/19 11:19


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 553

Tabella 16.7 Alcuni processi moderni basati sulla catalisi


Reagenti Catalizzatore Prodotto Impiego
Catalisi omogenea
Propilene, ossidante Complessi di Mo(VI) Ossido di Schiume poliuretaniche;
propilene poliesteri
Metanolo, CO [Rh(CO)2I2]− Acido acetico Rivestimenti di acetato
di polivinile; alcol poli
vinilico
Butadiene, HCN Composti di Ni/P Adiponitrile Nylon (fibre, plastiche)
α-olefine, CO, H2 Composti di Rh/P Aldeidi Plastificanti, lubrificanti
Catalisi eterogenea
Etilene, O2 Argento, cloruro di Ossido di etilene Poliesteri, glicole
cesio su allumina etilenico, lubrificanti

Propilene, NH3, O2 Molibdati di bismuto Acrilonitrile Plastiche, fibre, resine


etilene Alogenuri di organo Polietilene ad prodotti ottenuti per
cromo e titanio su alta densità formatura
silice

Nella reazione catalizzata, i reagenti interagiscono con il catalizzatore, quindi il


meccanismo potrebbe implicare una via a due stadi:
A + catalizzatore C [più veloce]
     C + B prodotto + catalizzatore [più veloce]
Si noti che il catalizzatore non viene consumato, per definizione. Invece, viene utiliz­
zato e poi rigenerato, e le energie di attivazione di entrambi gli stadi sono più basse
dell’energia di attivazione della via non catalizzata.
Esistono due categorie generali di catalizzatori – omogenei ed eterogenei – a
seconda che il catalizzatore sia o no nella stessa fase del reagente e del prodotto.

Catalisi omogenea
Un catalizzatore omogeneo esiste in soluzione con la miscela di reazione. Tutti i
catalizzatori omogenei sono gas, liquidi o solidi solubili. Alcuni processi industriali
che impiegano questi catalizzatori sono indicati nella Tabella 16.7 (in alto).
Un esempio di catalisi omogenea studiata accuratamente è l’idrolisi di un este­ Figura 16.22 Meccanismo
re organico (RCOOR′), una reazione che abbiamo esaminato nel Paragrafo 16.5: per l’idrolisi catalizzata di un
estere organico. Nello stadio 1,
il catalizzatore, lo ione H+, si
lega all’atomo di ossigeno ricco
di elettroni. L’ibrido di risonan-
za di questo prodotto (vedi la
casella in grigio) mostra che
In questa formula R e R′ sono gruppi idrocarburici, è un acido organico, l’atomo di C è più positivo di
quanto sarebbe normalmente.
e R′ OH è un alcol. La velocità di reazione è bassa a temperatura ambiente, ma la
Questa carica aumentata su C
si può aumentare aggiungendo una piccola quantità di un acido forte inorganico, attrae più fortemente l’atomo di
che fornisce lo ione H+, il catalizzatore nella reazione. O parzialmente negativo dell’ac-
Nel primo stadio della reazione catalizzata (Figura 16.22), lo ione H+ forma un qua, aumentando la frazione
legame con l’atomo di O con legame doppio. Considerando le forme di ri­sonanza, di urti efficaci e quindi acce-
lerando lo stadio 2, lo stadio
vediamo che il legame di H+ rende più positivo l’atomo di C, il che aumenta la sua
determinante la velocità. La per-
attrazione per l’atomo di O parzialmente negativo dell’acqua. In effetti, lo ione H+ dita di R′OH e il rilascio di H+
aumenta la probabilità che avvenga il legame con l’acqua, che è lo stadio determi­ avvengono in una serie finale di
nante la velocità. Dopo alcuni stadi, lo ione H+ ritorna in soluzione. Perciò, lo ione stadi veloci.

16txt.indd 553 16/05/19 11:20


554 Capitolo 16

Figura 16.23 L’idrogenazione etilene superficie


del­l’etilene catalizzata da un (C2H4) atomi di
H2 metallica
me­tallo. H separati

1 H2 e C2 H4 si avvicinano alla 2 Lo stadio limitante la velocità


superficie metallica e vengono adsorbiti è la rottura del legame H—H

etano
(C2H6)

3 Un atomo di H si lega a C2 H4 adsorbito 4 Si forma un altro legame C—H e


C2 H6 abbandona la superficie

H+ agisce da catalizzatore perché accelera la reazione ma non viene consumato: è


utilizzato in uno stadio e riformato in un altro.

Catalisi eterogenea
Un catalizzatore eterogeneo accelera una reazione che si svolge in una fase se­
parata. Il catalizzatore è molto spesso un solido che interagisce con reagenti gas­
sosi o liquidi. Poiché la reazione avviene sulla superficie del solido, i catalizzatori
eterogenei hanno di solito un’enorme area superficiale per il contatto, compresa
tra 1 e 500 m2/g. È interessante notare che molte reazioni che avvengono su una
superficie metallica, quali la decomposizione di HI su oro e la decomposizione
di N2O su platino, sono di ordine zero perché lo stadio determinante la velocità
avviene sulla superficie stessa. Perciò, nonostante un’enorme area superficiale,
dopo che il reagente gassoso ha coperto la superficie, un aumento della con­
centrazione del reagente non è in grado di aumentare la velocità di reazione. La
Tabella 16.7 (in basso) elenca alcuni processi di fabbricazione dei polimeri che
impiegano catalizzatori eterogenei.
Uno dei più importanti esempi di catalisi eterogenea è l’addizione di H2 ai
legami C C dei composti organici per formare legami C C.
Le industrie del petrolio, delle materie plastiche e degli alimenti impiega­
no spesso l’idrogenazione catalitica. Ne è un esempio la conversione di un olio
vegetale in mar­garina.
L’idrogenazione più semplice converte l’etilene in etano:

H2C CH2(g) + H2(g) H3C CH3(g)

In assenza di un catalizzatore, la reazione avviene molto lentamente. Ad alta pres­


sione di H2 in presenza di nichel, palladio o platino finemente suddiviso, la reazione
diventa rapida anche a temperature ordinarie. Questi metalli del Gruppo 8B(10) ca­
talizzano adsorbendo chimicamente i reagenti sulla loro superficie (Figu­ra 16.23). Sulla
superficie del catalizzatore, H2 si scinde in atomi di H separati, legati chimicamente
agli atomi metallici del catalizzatore solido (catM):

H H(g) + 2catM(s) 2catM H (atomi di H legati alla superficie metallica)

16txt.indd 554 16/05/19 11:20


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 555

Gli atomi di H migrano sulla superficie, finiscono per urtare contro una moleco­
la di C2H4 assorbita, e avviene la reazione. La rottura del legame H H è lo stadio
• Depurazione catalitica
dei gas di scarico di un
determinante la velocità nel processo complessivo, e l’interazione con la super­ autoveicolo Un catalizzatore
ficie del catalizzatore fornisce lo stadio a bassa Ea come parte di un meccanismo eterogeneo che usiamo ogni giorno,
ma vediamo raramente, è ubicato
di reazione alternativo. Nella scheda di fine capitolo Chimica nella scienza atmo- nel convertitore catalitico (marmit­
sferica si esamina come entrambi i tipi di catalisi intervengono in un processo ta catalitica) nel sistema di scari­
atmosferico che desta grande preoccupazione. co della nostra automobile. Questo
dispositivo è progettato per conver­
Cinetica e azione dei catalizzatori biologici tire i gas di scarico inquinanti in gas
non tossici. In un singolo passaggio
Contrariamente alla maggior parte dei processi chimici industriali che avviene in attraverso il catalizzatore, CO e la
condizioni drastiche e con elevate concentrazioni, migliaia di reazioni comples­ benzina incombusta vengono ossi­
se avvengono in tutte le cellule viventi in soluzione diluita e in condizioni di dati a CO2 e H2O, mentre NO viene
temperatura e pressione ordinarie. Inoltre, la velocità di ogni reazione è funzione ri­dotto a N2. Come nel meccani­
smo per l’idrogenazione catalitica di
della velocità di altre reazioni, di segnali chimici provenienti da altre cellule e da
un alchene, il catalizzatore abbassa
stress ambientali. In questa meravigliosa armonia chimica ogni velocità è control­ ­l’energia di attivazione dello stadio
lata da un enzima, un catalizzatore proteico la cui funzione si è perfezionata con determinante la velocità adsorben­
l’evoluzione. do le molecole e indebolendo così
Gli enzimi sono in genere proteine globulari di forma complessa e di massa i loro legami. Miscele di metalli di
transizione e dei loro ossidi, incluse
molecolare da 15 000 a 1 000 000 g/mol. Una piccola parte della superficie di un
in supporti inerti, convertono la
enzima, come una piccola valle in una montagna, è il sito attivo, una regione la massima quantità possibile di gas di
cui forma è generata dalle catene di amminoacidi coinvolti nel processo catalitico. scarico nel tempo più breve possibi­
Spesso lontani nella sequenza primaria della catena di polipeptidi, questi gruppi le. Per esempio, è stato stimato che
si vengono a trovare vicini a causa del piegamento tridimensionale della catena. una molecola di NO venga adsorbita
e dissociata in atomi di N e di O
Quando le molecole dei reagenti, dette substrati, collidono efficacemente con i
legati al catalizzatore in me­ no di
sito attivo, interagiscono attraverso forze intermolecolari e ha inizio la reazione. 2  ×  10−12 s!
Caratteristiche dell’azione enzimatica L’azione catalitica degli enzimi è ca­
ratterizzata da una serie di caratteristiche comuni.

1. Azione catalitica. Un enzima si comporta come entrambi i tipi di catalizzatori.


Generalmente, gli enzimi sono molto più grandi dei substrati e molti enzimi sono
contenuti nelle membrane cellulari. Come un catalizzatore eterogeneo dunque, un
enzima fornisce una superficie su cui si immobilizza temporaneamente un reagente
in attesa che l’altro reagente si avvicini. Allo stesso tempo, i gruppi presenti nel
sito attivo interagiscono con il/i substrato/i in sequenze di reazioni in presenza di
solvente e altre specie, come nel caso di un catalizzatore omogeneo.

2. Efficienza catalitica. Il numero di reazioni catalizzate per unità di tempo è incre­


dibilmente alto ed essi sono perciò molto efficienti. Per esempio, nella reazione di
idrolisi dell’urea in acqua e a temperatura ambiente:

(NH2 )2 C==O( aq ) + 2H2O( l ) + H+ ( aq ) ⎯ ⎯


→ 2NH+4 ( aq ) + HCO−3 ( aq )

la costante di velocità è 3×10−10 s−1 in assenza di catalizzatore. Nelle stesse condi­


zioni, ma in presenza dell’enzima ureasi, la costante di velocità diventa 3×104 s−1,
un aumento di 14 ordini di grandezza. Gli enzimi aumentano la velocità di reazione
da 108 a 1020 volte, valori che i chimici che utilizzano catalizzatori nei processi
industriali si possono solo sognare!

3. Specificità catalitica. Data la particolarità dei gruppi presenti nel sito attivo, gli en­
zimi sono altamente specifici: generalmente ogni enzima catalizza solo una reazione.
L’ureasi catalizza solo l’idrolisi dell’urea e nessun altro enzima è in grado di farlo.
Modelli dell’azione enzimatica Sono stati proposti due modelli per l’azione
enzimatica.
1. Secondo il modello più antico chiave-serratura (Figura 16.24A), la reazione
inizia quando la “chiave” (il substrato) si inserisce nella “serratura” (il sito attivo).

16txt.indd 555 16/05/19 11:20


556 Capitolo 16

Figura 16.24 Due modelli SUBSTRATI PRODOTTO


dell’azione enzimatica.

+ Sito attivo

Rapida Lenta

Piccola porzione Complesso Enzima


di enzima enzima-substrato

A Modello chiave­serratura: la geometria definita del sito attivo combacia con la geometria
.
del substrato.

SUBSTRATI PRODOTTO

Sito attivo
+
Rapida Lenta

Piccola porzione Complesso Enzima


di enzima enzima-substrato

B Modello dell’adattamento indotto: il sito attivo cambia forma per legare più efficacemente
il substrato.

2. Secondo il più moderno modello dell’adattamento indotto (Figura 16.24B),


il substrato induce un riarrangiamento nel sito attivo che acquista la corretta
geometria. Analisi di diffrazione di raggi X e spettroscopici dimostrano che,
nella maggior parte dei casi, l’enzima modifica la sua forma quando il substrato
entra in contatto con il sito attivo. Possiamo immaginarlo non come un sistema
rigido costituito da una chiave e da una serratura ma flessibile, come un guan­
to e una mano: il “guanto” (il sito attivo) non assume la sua forma funzionale
finché non entra in contatto con la “mano” (il substrato).
Cinetica dell’azione enzimatica Gli studi cinetici della catalisi enzimatica di­
mostrano che il substrato (S) e l’enzima (E) formano un intermedio complesso
enzima-substrato (ES) la cui concentrazione determina la velocità di formazione
del prodotto (P). In altre parole, la velocita di una reazione catalizzata da un enzima
è proporzionale alla concentrazione di ES, ovvero del reagente legato al catalizzato­
re. I passaggi comuni a tutte le reazioni catalizzate da enzimi sono:
(1)   E + S ES [rapida, reversibile]
(2) ES P [lenta, determinante la velocità di reazione]
Si ha perciò: velocità di reazione = k[ES]. Come nella catalisi eterogenea dell’idro­
genazione (Figura 16.23), [S] è molto maggiore di [E] e [ES] ha il massimo valore
possibile quando tutte le molecole di enzima sono legate al substrato. Aumentare
[S] non ha alcun effetto sulla velocità e la reazione è di ordine zero.
Meccanismi di azione enzimatica Gli enzimi svolgono la loro azione in
­reazioni con molteplici meccanismi. In alcuni casi, i gruppi presenti nel sito attivo
avvicinano tra loro alcuni atomi del substrato. In altri, i gruppi presenti sul substra­
to si allontanano, allungando il legame che deve essere scisso. Molte idrolasi hanno

16txt.indd 556 16/05/19 11:20


Cinetica chimica: velocità e meccanismi delle reazioni chimiche 557

gruppi acidi che forniscono ioni H+ per accelerare la scissione dei legami. Due
esempi sono il lisozima, un enzima che si trova nelle lacrime, che catalizza l’idrolisi
di un polisaccaride presente nelle cellule batteriche proteggendo così gli occhi
dalle infezioni, e la chimotripsina, un enzima presente nell’intestino che catalizza
l’idrolisi delle proteine durante la digestione.
Indipendentemente dallo specifico meccanismo di azione, tutti gli enzimi svol-
gono la loro azione catalitica stabilizzando lo stato di transizione. Per esempio, nella
reazione catalizzata dal lisozima, lo stato di transizione è costituito da una por­
zione di polisaccaride i cui legami sono allungati e distorti dall’azione dei gruppi
del sito attivo fino a che non si adattano al sito stesso. Stabilizzare lo stato di
transizione significa abbassare l’energia di attivazione aumentando così la velocità
di reazione.
Il processo di deplezione dello strato di ozono atmosferico (vedi la scheda Chi-
mica nella scienza atmosferica a fine capitolo) include processi catalitici omogenei ed
eterogenei come nella catalisi enzimatica.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


16.1 (a) 4NO(g) + O2(g) 2N2O3(g); 16.7
Δ[O 2 ] 1 Δ[NO] 1 Δ[N 2O3 ]
velocità di reazione = − =− = O H O
Δt 4 Δt 2 Δt H
stato di transizione
Δ[O 2 ] 1 Δ[NO]
(b) − =− =
Δt 4 Δt 2OH
Energia potenziale

1 Ea (inversa) = 6 kJ
= − (−1,60 ×104 mol/L = ⋅ s) 4,00 ×10−5 mol/L ⋅ s
4 Ea (diretta) = 78 kJ
16.2 Primo ordine in Br−, primo ordine in BrO3−, secondo ΔHr = +72 kJ
ordine in H+, quarto ordine complessivo.
16.3 Velocità di reazione = k[H2]m[I2]n. In base agli Esperimen­
ti 1 e 3, m = 1. In base agli Esperimenti 2 e 4, n = 1.
Perciò, velocità di reazione = k[H2][I2]; secondo ordine com­ O + H2O
plessivo.
16.4 1/[HI]1 − 1/[HI]0 = kt;
Avanzamento della reazione
111 L/mol − 100 L/mol = (2,4  ×  10−21 L/mol ⋅ s)(t)
t = 4,6  ×  1021 s (ossia 1,5  ×  1014 anni)
16.5 t1/2 = (ln 2)/k; k = 0,693/13,1 h = 5,29  ×  10−2 h−1
16.6 ln 0,286 L/(mol ⋅ s) = 16.8 (a) Equazione bilanciata:
k1 2NO(g) + 2H2(g) N2(g) + 2H2O(g)
1,00 ×105 J/mol ⎛⎜ 1 1 ⎞⎟ (b) Lo stadio 2 è unimolecolare. Tutti gli altri stadi sono
=− ×⎜ − ⎟=
8,314 J/(mol ⋅ K) ⎜⎝ 5,00 ×102 K 4,90 ×102 K ⎟⎠ bimolecolari.
(c) Velocità di reazione1 = k1[NO]2; velocità di reazione2 =
= 0,491
k2[H2]; velocità di reazione3 = k3[N2O2][H]; velocità di reazio­
k1 = 0,175 L/mol ⋅ s ne4 = k4[HO][H]; velocità di reazione5 = k5[H][N2O].

16txt.indd 557 16/05/19 11:20


La chimica nelle altre scienze
Chimica nella scienza atmosferica

Deplezione dello strato di ozono della Terra


Sia i catalizzatori omogenei sia quelli eterogenei svolgono no con l’ozono stratosferico per produrre un intermedio, il
ruoli importanti in uno dei più gravi problemi ambientali monossido di cloro (⋅ClO), che poi reagisce con gli atomi di
del nostro tempo: la deplezione dell’ozono nella strato­ O liberi per rigenerare gli atomi di Cl:
sfera. Lo strato di ozono stratosferico assorbe le radiazioni   O3 + Cl⋅ ⋅ClO + O2
ultraviolette (UV) solari di lunghezza d’onda compresa tra ⋅ClO + O ⋅Cl + O2
280 e 320 nm, che altrimenti raggiungerebbero la superfi­
La somma di questi stadi è la reazione di dissociazione
cie terrestre. Queste radiazioni (indicate con la sigla UV-B)
dell’ozono:
hanno energia sufficiente per rompere i legami nell’acido
O3 + Cl + ClO + O ⎯ ⎯ → ⋅ClO + O 2 + ⋅Cl + O 2
deossiribonucleico (DNA), danneggiando così i geni. La de­
plezione dell’ozono stratosferico aumenta notevolmente i da cui O3 + O 2O2
rischi per la salute umana derivanti da UV-B , causando, in Nelle regioni in cui è bassa la concentrazione di ozono, è
particolare, un aumento dell’incidenza di cancro della pel­ bassa anche la concentrazione di atomi di ossigeno, e gli
le e di cataratte (una perdita di trasparenza del cristallino atomi di cloro sono rigenerati dal ClO:
dell’occhio). Può essere danneggiata anche la vita vegetale, 2ClO ClOOCl
specialmente le forme più semplici alla base della catena ClOOCl + luce Cl⋅ + ⋅OOCl
alimentare.   ClOO⋅ + luce Cl⋅ + O2
Nel passato, la concentrazione dell’ozono stratosferi­
Il processo completo converte quindi due molecole di O3
co variava stagionalmente, ma rimaneva quasi costante di
in tre molecole di O2. Si noti che l’atomo di Cl agisce da
anno in anno mediante una serie complessa di reazioni
catalizzatore omogeneo: esiste nella stessa fase dei reagenti,
atmosferiche. La dissociazione dell’ossigeno causata dal­
accelera il processo mediante un differente meccanismo e
le radiazioni ultraviolette di lunghezze d’onda minori di
viene rigenerato. Il punto cruciale del problema è il fatto
242 nm determina la formazione di atomi di ossigeno.
che ogni atomo di Cl ha un tempo di dimezzamento nella
Questi reagiscono con O2 per formare ozono, e con l’ozo­
stratosfera di circa 2 anni, durante i quali accelera la dis­
no per rigenerare O2:
UV
sociazione di circa 100 000 molecole di ozono. Il bromo è
  O 2 ⎯ ⎯⎯ → 2O un catalizzatore più efficace, ma ne viene rilasciata nell’at­
O + O 2 ⎯ ⎯⎯ → O3 [formazione dell’ozono] mosfera una quantità molto minore. Gli halon (idrocarburi
O + O3 ⎯ ⎯⎯ → 2O 2 [dissociazione dell’ozono] alogenati), impiegati come agenti estinguenti negli impianti
Però, ricerche condotte da Paul Crutzen, Mario Molina e antincendio, e il bromuro di metile, un insetticida impiegato
Frank Sherwood Rowland, per le quali ricevettero il pre­ in agricoltura, sono le principali fonti di bromo stratosferico.
mio Nobel per la chimica nel 1995, rivelarono che i cloro­ Varie specie contenenti Cl causano il buco dell’ozono
fluorocarburi (CFC) prodotti industrialmente avevano spo­ antartico, la forte riduzione dell’ozono stratosferico sulla
stato l’equilibrio catalizzando la reazione di dissociazione. regione antartica quando il Sole torna a illuminarla dopo
I CFC erano ampiamente usati come propellenti di la lunga oscurità invernale. Le misure di alte [⋅ClO] sull’An­
­aerosol, schiumogeni nella produzione di materie plastiche tartide sono compatibili con il meccanismo di dissocia­
espanse e refrigeranti negli impianti di condizionamento zione. Gli scienziati dell’atmosfera hanno documentato
dell’aria, determinando il rilascio di grandi quantità nell’at­ una deplezione dell’ozono superiore all’80% sopra il polo
mosfera. I CFC, che non sono reattivi nella troposfera, ven­ sud (Figura S16.2). Il buco dell’ozono si allarga per effetto
gono trasportati gradualmente nella stratosfera, dove incon­ della catalisi eterogenea che coinvolge le nubi stratosfe­
trano radiazioni ultraviolette con energia sufficiente per riche polari. Le nubi offrono una superficie per reazioni
scindere una molecola di CFC e rilasciare atomi di cloro: che convertono i composti inattivi del cloro, quali HCl e il
hν cloronitrato (ClONO2), in sostanze, come Cl2, che vengono
CF2Cl2 ⎯ ⎯ → CF2Cl⋅ + Cl⋅ dissociate in atomi di Cl dalle radiazioni ultraviolette. La
(I puntini sono elettroni spaiati derivanti dalla rottura del catalisi eterogenea ha luogo anche sulle particelle fini pre­
legame.) senti nella stratosfera.
Come molte specie con elettroni spaiati (radicali libe­ L’eruzione del Monte Pinatubo (nelle Filippine) nel
ri), il Cl atomico è molto reattivo. Gli atomi di Cl reagisco­ 1991 ridusse per 2 anni l’ozono stratosferico. È stata osser­

16txt.indd 558 16/05/19 11:20


Il Protocollo di Montreal del 1987 e i successivi emen­
Settembre 1979 Settembre 2008 damenti hanno ridotto la crescita della produzione di CFC
e hanno fissato date per la proibizione della loro produ­
zione e utilizzazione, nonché di quelle di altri composti
clorurati e bromurati, quali CCl4, CCl3CH3 e CH3Br. Un
altro cambiamento è stata la sostituzione dei CFC come
propellenti di aerosol con idrocarburi, come l’isobutano,
(CH3)3CH. La sostituzione dei CFC negli impianti di refrige­
razione è più difficile, perché richiederà modificazioni de­
gli impianti stessi. I primi composti impiegati per sostituire
i CFC sono stati gli idro­clorofluoro­carburi (HCFC), come
CHF2Cl. Questi composti provocano minore deplezione
dell’ozono rispetto ai CFC perché hanno una vita media
Ozono totale nella troposfera relativamente breve grazie all’estrazione
degli atomi di H per opera dei radicali ossidrili (⋅OH):
100 DU 500
CHF2Cl + ⋅OH H2O + ⋅CF2Cl
Figura S16.2 L’ampiezza crescente del buco dell’ozono Dopo questo attacco iniziale, ha luogo rapidamente un’ul­
sull’Antartide. Le immagini da satellite mostrano le variazioni teriore degradazione.
della concentrazione dell’ozono sul polo sud. Si noti l’ampiezza Gli HCFC verranno banditi entro il 2040 e sostituiti con
crescente del “buco” nello strato di ozono. Dal 1995, i dati indi- idrofluorocarburi (HFC, che contendono soltanto C, H e F) in
cano un’analoga rarefazione dell’ozono, non ancora altrettanto dispositivi quali i condizionatori d’aria degli autoveicoli. Gli
forte, anche sul polo nord. (Foto: NASA image courtesy Ozone HFC sono preferibili ai CFC o agli HCFC perché il fluoro è
Hole Watch).
un cattivo catalizzatore della dissociazione dell’ozono.
vata la rarefazione dell’ozono sopra il polo nord, e la NASA Ciononostante, a causa della lunga vita media dei CFC e
ha documentato la perdita di ozono stratosferico anche alle delle attuali emissioni di HCFC, finché non verranno banditi,
medie latitudini, per esempio sugli Stati Uniti. Finora, en­ il recupero completo dello strato di ozono potrà richiedere
trambe queste perdite di ozono sono avvenute in misura altri cento anni! La buona notizia è che i livelli di concentra­
minore e a velocità inferiore. zione degli alogeni nella stratosfera sono già in diminuzione.

Ea(non catalizzata) = 17 kJ

Ea1(catalizzata) = 2 kJ
Non catalizzata
Energia potenziale

O3 + O
O3 + O + Cl
ClO
Ea2(catalizzata) = 0,4 kJ

ΔHr = −392 kJ
Catalizzata

2O2

2O2 + Cl

Avanzamento della reazione

Figura S16.3 Diagramma dell’energia per la reazione di dissociazione dell’ozono (non in scala).

16txt.indd 559 16/05/19 11:20


L’equilibrio:
l’entità delle reazioni chimiche 17
DA SAPERE PRIMA In questo capitolo risponderemo alla seconda domanda centrale nella dinamica
della chimica delle reazioni: quanto prodotto si formerà da un dato insieme di
• reversibilità delle reazioni (Para-
grafo 4.7)
concentrazioni e condizioni iniziali? Mentre la cinetica chimica, l’argomento del
• pressione di vapore di equilibrio capitolo precedente, ci dice a quale velocità variano le concentrazioni dei reagenti
(Paragrafo 12.2) e dei prodotti, l’equilibrio chimico ci dice quanto valgono queste concentrazioni
• carattere di equilibrio di una
soluzione satura (Paragrafo 13.3)
dopo che hanno cessato di variare. Inoltre, gli studi dell’equilibrio ci dicono come
• dipendenza della velocità di si possono influenzare queste concentrazioni finali modificando le condizioni.
reazione dalla concentrazione Come le reazioni variano ampiamente nella loro velocità, così esse variano anche
(Paragrafi 16.1, 16.2 e 16.6)
• leggi di velocità per reazioni
nella loro entità. Questi due aspetti non sono identici. Una reazione veloce può per-
elementari (Paragrafo16.7) correre un lungo cammino o un cammino brevissimo verso i prodotti. Consideriamo
• funzione di un catalizzatore (Para- la dissociazione di un acido in acqua. In HCl 1 M, quasi tutte le molecole di cloruro
grafo 16.8)
di idrogeno sono dissociate in ioni. Per contro, in CH3COOH 1 M, meno dell’1% delle
molecole di acido acetico sono dissociate in ogni dato momento. Tuttavia, entrambe
le reazioni impiegano meno di 1 s per andare a completamento. Analogamente, alcu-
ne reazioni lente finiscono per dare una grande quantità di prodotto, mentre altre ne
danno pochissimo. Dopo alcuni anni a temperature ordinarie, un serbatoio d’acciaio
per l’acqua arrugginirà, e lo farà completamente se avrà tempo sufficiente per farlo;
però, per quanto a lungo si attenda, l’acqua contenuta nel serbatoio non si decompor-
rà nei suoi elementi.
Il punto importante è che i principi della cinetica chimica e dell’equilibrio
chimico valgono per differenti aspetti di una reazione:
• la cinetica chimica si applica alla velocità di una reazione, ovvero la concentrazio-
ne del prodotto che compare (o del reagente che scompare) nell’unità di tempo;
• l’equilibrio chimico si riferisce all’entità di una reazione, ovvero la concentra-
zione del prodotto che è comparso dopo un tempo illimitato o quando non
avvengono ulteriori trasformazioni.
Conoscere quanto prodotto si formerà in una data reazione è d’importanza cruciale.
Che quantità di un nuovo farmaco o di un nuovo polimero si riesce a ottenere da
una particolare reazione? Si può scegliere ragionevolmente un’altra miscela di rea-
genti che dia più prodotto a una temperatura più alta? Se una reazione lenta ha una
buona resa, un catalizzatore l’accelererà a sufficienza per renderla utile?
QUESTO CAPITOLO si apre con una descrizione dello stato di equilibrio a livello
macroscopico e a livello molecolare e poi concentra l’attenzione sulla costante di
equilibrio e sulla sua relazione con l’equazione bilanciata. Vedremo come espri-
mere la condizione di equilibrio in termini di concentrazioni o di pressioni e come
determinare se una miscela di reazione stia procedendo verso i prodotti oppure
verso i reagenti. Applicheremo i concetti di equilibrio a una serie di problemi
quantitativi comuni e poi esamineremo come le condizioni di reazione influenza-
no lo stato di equilibrio. Termineremo con un esame dell’equilibrio in un settore
della chimica applicata: la produzione industriale di ammoniaca. Questa intro-
duzione ai principi dell’equilibrio tratta in prevalenza sistemi di gas e di liquidi e
solidi puri; esamineremo gli equilibri in soluzione nei due capitoli successivi.

17txt.indd 560 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 561

17.1 NATURA DINAMICA DELLO STATO


DI EQUILIBRIO
Innumerevoli esperimenti con sistemi chimici hanno mostrato che, in uno stato
di equilibrio, le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti non variano più nel tempo.
Questa apparente cessazione dell’attività chimica avviene perché tutte le reazioni
sono reversibili. Esaminiamo un sistema chimico a livello macroscopico e a livello
molecolare per vedere come si origina lo stato di equilibrio. Il sistema è costituito
da due gas, il tetraossido di diazoto incolore e il diossido di azoto bruno:
N2O4(g; incolore) 2NO2(g; bruno)
Quando si introduce una certa quantità di N2O4(l) in una bottiglia, la si tappa e la si
mantiene a 100 °C, avviene immediatamente una trasformazione. Il liquido vapo-
rizza (temperatura di ebollizione = 21 °C) e il gas comincia ad assumere un colore
bruno chiaro. Il colore diventa lentamente più scuro, ma, dopo poco tempo, non si
osserva più alcun cambiamento di colore (Figura 17.1).
Quando osserviamo il processo a livello molecolare, si ha una scena molto più
attiva. Le molecole di N2O4 sfrecciano qua e là in tutta la bottiglia e alcune di esse
si decompongono in due molecole di NO2. Con il trascorrere del tempo, aumenta
il numero di molecole di N2O4 che si decompongono, e la concentrazione delle
molecole di NO2 aumenta. Come osservatori nel mondo macroscopico, vediamo
che il contenuto della bottiglia diventa più scuro, perché NO2 ha un colore bruno
rossastro. Via via che il numero di molecole di N2O4 diminuisce, la decomposizione
di N2O4 rallenta. Simultaneamente, aumenta il numero di molecole di NO2 che si
urtano (collidono) e si combinano, quindi la riformazione di N2O4 accelera. Alla fine,
le molecole di N2O4 si decompongono alla stessa velocità a cui le molecole di NO2
si combinano. Il sistema ha raggiunto l’equilibrio: la concentrazione del reagente e la
concentrazione del prodotto cessano di variare perché la velocità della reazione diretta e
la velocità della reazione inversa sono diventate uguali:
all’equilibrio: velocità di reazionediretta = velocità di reazioneinversa (17.1)
Perciò, un sistema in equilibrio continua a essere dinamico a livello molecolare, ma
non osserviamo un’ulteriore trasformazione netta perché le trasformazioni in un verso
sono bilanciate dalle trasformazioni nel verso opposto.

Figura 17.1 Raggiungimento dell’equilibrio a livello macroscopico e a livello molecolare. A. All’inizio dell’esperimento, la
miscela di reazione è costituita in prevalenza da N2O4 incolore. B. Via via che N2O4 si decompone in NO2 bruno rossastro, il colore
della miscela diventa bruno chiaro. C. Quando è raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni di NO2 e di N2O4 sono costanti e il colore
raggiunge la sua tonalità finale. D. Poiché la reazione prosegue nel senso diretto e nel senso inverso a uguali velocità, le concentra-
zioni (e il colore) rimangono costanti. (Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).

17txt.indd 561 17/05/19 08:19


562 Capitolo 17

A una particolare temperatura, quando il sistema raggiunge l’equilibrio, la concen-


trazione del prodotto e la concentrazione del reagente cessano di variare. Perciò,
il rapporto di queste concentrazioni deve essere costante. Impiegheremo le leggi
cinetiche per il sistema costituito da N2O4 e NO2 per dedurre questa costante.
All’equilibrio, abbiamo:
velocità di reazionediretta = velocità di reazioneinversa
In questo caso, sia la reazione diretta sia la reazione inversa sono stadi elementa-
ri (Paragrafo 16.7), quindi possiamo dedurre le loro leggi cinetiche direttamente
dall’equazione bilanciata:
kdiretta[N2O4]eq = kinversa[NO2]2eq
dove kdiretta e kinversa sono la costante di velocità (di reazione) diretta e la costante di
velocità (di reazione) inversa, rispettivamente, e il pedice “eq” si riferisce alle con-
centrazioni all’equilibrio. Riordinando, uguagliamo il rapporto di queste costanti al
rapporto dei termini di concentrazione:
2
kdiretta [NO 2 ]eq
=
kinversa [N 2O4 ]eq
Il rapporto delle costanti genera una nuova costante complessiva detta costante
di equilibrio (K):
2
kdiretta [NO 2 ]eq
=K = (17.2)
kinversa [N 2O4 ]eq

La costante di equilibrio K è un numero uguale a un particolare rapporto della concen-


trazione del prodotto e della concentrazione del reagente all’equilibrio a una particolare
temperatura. Esamineremo attentamente questo concetto nel paragrafo seguente e
mostreremo che esso è valido anche per reazioni complessive costituite da più stadi
elementari.
Si ricordi che, se le velocità di reazione opposte sono uguali all’equilibrio, non
sono necessariamente uguali le concentrazioni. Il valore di K è un indice di quanto
avanza una reazione verso il prodotto a una data temperatura. In effetti, differenti rea-
zioni, anche alla stessa temperatura, hanno un ampio intervallo di concentrazioni
di equilibrio — da quasi tutto reagente a quasi tutto prodotto — e, quindi, hanno un
ampio intervallo di costanti di equilibrio (Figura 17.2). Ecco tre esempi.
1. K piccola. Se una reazione avanza poco verso il prodotto prima di raggiungere
l’equilibrio, essa ha un valore piccolo di K e si può anche dire che “non avviene
reazione”. Per esempio, l’ossidazione dell’azoto avanza a malapena a 1000 K: *
N2(g) + O2(g) 2NO(g)  K = 1  ×  10−30

2. K grande. Viceversa, se una reazione raggiunge l’equilibrio con pochissimo rea-


Figura 17.2 L’intervallo di gente restante, essa ha un valore grande di K, e si dice che essa “va a completamen-
costanti di equilibrio. A. Un to”. L’ossidazione del monossido di carbonio va a completamento a 1000 K:
sistema che raggiunge l’equili-
brio con pochissimo prodotto ha 2CO(g) + O2(g) 2CO2(g)  K = 2,2  ×  1022
una K piccola. Per questa rea-
zione, K = 1/49 = 0,020. B. Un 3. K intermedia. Quando all’equilibrio sono presenti quantità rilevanti sia di reagente
sistema che, quando raggiunge sia di prodotto, K ha un valore intermedio, come quando il monocloruro di bromo
l’equilibrio, è costituito quasi si dissocia nei suoi elementi a 1000 K:
interamente da prodotto, ha una
K elevata. Per questa reazione, 2BrCl(g) Br2(g) + Cl2(g)  K = 5
K = 49/1 = 49. C. Un sistema
che raggiunge l’equilibrio con
concentrazioni rilevanti di rea- * Per distinguere il simbolo della costante di equilibrio (K) dal simbolo del kelvin (K), il primo (come i
gente e di prodotto ha una K simboli di tutte le costanti fisiche e chimiche) è scritto in corsivo e il secondo (come i simboli di tutte
intermedia. Per questa reazione, le unità di misura) è scritto in carattere tondo. Inoltre, il simbolo del kelvin è preceduto sempre da un
K  =  25/25 = 1,0. valore numerico (per esempio, 1000 K).

17txt.indd 562 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 563

17.2 IL QUOZIENTE DI REAZIONE


E LA COSTANTE DI EQUILIBRIO
La trattazione della costante di equilibrio nel Paragrafo 17.1 si è basata sulla cine-
tica. Ma l’osservazione fondamentale degli studi sull’equilibrio fu enunciata mol­-
ti anni prima che venissero formulati i principi della cinetica. Nel 1864, i chimici
norvegesi Cato Guldberg e Peter Waage, osservarono che, a una data temperatura,
un sistema chimico raggiunge uno stato in cui un particolare rapporto tra concentrazio-
ne dei reagenti e concentrazione dei prodotti ha un valore costante. Questo enunciato
è una formulazione della legge dell’equilibrio chimico o legge dell’azione
di massa. Si noti che in questo enunciato non sono menzionate le velocità di
reazione.
Nella loro scoperta della legge dell’azione di massa, Guldberg e Waage studia-
rono molte reazioni in cui la concentrazione dei reagenti e la concentrazione dei
prodotti variavano ampiamente. Essi scoprirono che, per un particolare sistema e
una particolare temperatura, è raggiunto lo stesso stato di equilibrio indipendentemente
da come è fatta svolgere la reazione. Per esempio, nel sistema N2O4-NO2 a 100 °C,
possiamo partire da N2O4 puro, da NO2 puro o da una qualsiasi miscela di N2O4 e
di NO2 e, dato un intervallo di tempo sufficiente, il rapporto delle concentrazioni
raggiunge lo stesso valore (entro l’errore sperimentale).
Il particolare rapporto dei termini di concentrazione che scriviamo per una
data reazione è detto quoziente di reazione (Q) o espressione dell’azione
di massa. (Come vedremo tra poco, si basa direttamente sull’equazione bilanciata
della reazione). Nel caso della reazione di N2O4 per formare NO2 che abbiamo esa-
minato precedentemente, il quoziente di reazione è
[NO 2 ]2
Q=
[N 2O 4 ]
Anche se i termini di concentrazione dei reagenti e dei prodotti in Q ([NO2] e [N2O4]
in questo esempio) rimangono gli stessi, i valori numerici di questi termini (le con-
centrazioni effettive di queste sostanze) variano durante la reazione, quindi il valore
numerico di Q varia. Cioè, via via che la reazione procede verso lo stato di equilibrio,
le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti variano in modo continuo e regolare,
quindi varia anche il loro rapporto e cioè Q: all’inizio della reazione, le concen-
trazioni hanno valori iniziali e quindi anche Q ha un valore iniziale; un momento
dopo, la reazione è leggermente avanzata e allora le concentrazioni hanno valori
lievemente diversi, di conseguenza anche Q ha un valore lievemente diverso; dopo
che la reazione è ulteriormente avanzata, le concentrazioni saranno nuovamente
cambiate e quindi anche il valore di Q sarà cambiato; questo processo ovviamente
continua finché il sistema reagente non ha raggiunto l’equilibrio. A questo punto, a una
data temperatura, la concentrazione dei reagenti e la concentrazione dei prodotti
hanno raggiunto i loro valori di equilibrio e, ciò che più importa, il valore di Q non
varia più; ha ora raggiunto anch’esso il suo valore di equilibrio che corrisponde a K
a quella temperatura:
all’equilibrio: Q = K (17.3)

Quindi, il monitoraggio di Q rivela quando il sistema ha raggiunto l’equilibrio,


oppure quanto dista da esso se non l’ha raggiunto, o, come vedremo più avanti, in
quale verso sta variando per raggiungerlo. La Tabella 17.1 presenta quattro espe-
rimenti, ciascuno dei quali rappresenta un differente svolgimento della reazione
N2O4-NO2. Sono da notare due punti essenziali:
• il valore del rapporto delle concentrazioni iniziali varia ampiamente ma dà
sempre lo stesso valore del rapporto delle concentrazioni di equilibrio;
• le concentrazioni di equilibrio individuali sono diverse in ciascun caso, ma il
rapporto di queste concentrazioni di equilibrio è costante.

17txt.indd 563 17/05/19 08:19


564 Capitolo 17

Tabella 17.1 Rapporti delle concentrazioni iniziali e delle concentrazioni di equilibrio per il sistema
N2O4-NO2 a 100 °C
Concentrazioni iniziali Rapporto (Q ) Concentrazioni di equilibrio Rapporto (K )
2
Esperimento [N2O4] [NO2] [NO2] /[N2O4] [N2O4]eq [NO2]eq [NO2]2eq/[N2O4]eq
1 0,1000 0,0000 0,0000 0,0491 0,1018 0,211
2 0,0000 0,1000 ∞ 0,0185 0,0627 0,212
3 0,0500 0,0500 0,0500 0,0332 0,0837 0,211
4 0,0750 0,0250 0,00833 0,0411 0,0930 0,210

Le curve nella Figura 17.3 visualizzano l’Esperimento 1 nella Tabella 17.1. Si noti
che, com’è indicato dalle curve, [N2O4] e [NO2] variano in modo regolare nel corso
della reazione e, quindi, varia in modo regolare il valore di Q. Dopo che il sistema
ha raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni non variano più e Q = K. In altre parole,
per ogni dato sistema chimico, K è un valore particolare di Q che si ha quando i termi-
ni di concentrazione dei reagenti e i termini di concentrazione dei prodotti hanno i loro
valori di equilibrio.

Scrittura del quoziente di reazione


Nel capitolo precedente abbiamo visto che la legge cinetica per una reazione com-
plessiva non può essere ottenuta dall’equazione bilanciata, ma deve essere deter-
minata in base ai dati relativi alle velocità di reazione. Per contro, il quoziente di
reazione può essere ottenuto direttamente dall’equazione bilanciata. Q è un rap-
porto costituito dai termini di concentrazione dei prodotti moltiplicati tra loro e divisi
per i termini di concentrazione dei reagenti moltiplicati tra loro e ciascuno elevato a una
potenza pari al suo coefficiente stechiometrico.
La forma più comune di quoziente di reazione indica i termini di concentrazio-
ne dei reagenti e dei prodotti come concentrazioni molari, racchiuse tra parentesi
quadre, [ ]. In questi casi, quelli che abbiamo visto finora, K è la costante di equilibrio
basata sulle concentrazioni, che da ora in poi verrà denotata con Kc. Analogamente, il
quoziente di reazione basato sulle concentrazioni sarà denotato con Q c. Per l’equa-
zione generale
aA + bB cC + dD

dove a, b, c e d sono i coefficienti stechiometrici, il quoziente di reazione è

[C]c [D]d
Qc = (17.4)
[A]a [B]b

Figura 17.3 La variazione di Per costruire il quoziente di reazione per qualsiasi reazione, si scrive anzitutto
Q durante la reazione l’equazione bilanciata. Per esempio, per la formazione dell’ammoniaca a partire dai
N2O4-NO2. I diagrammi curvi e la suoi elementi, l’equazione bilanciata è
sovrastante striscia di colore che
si scurisce da sinistra a destra
mostrano che [N2O4] e [NO2], e
N2(g) + 3H2(g) 2NH3(g)
quindi il valore di Q, variano nel
tempo. Prima che sia raggiunto A seguire, si scrivono, sempre moltiplicandoli tra loro, i termini del prodotto a
l’equilibrio, le concentrazioni numeratore e i termini dei reagenti a denominatore e si eleva ciascun termine a
variano con continuità, quindi una potenza pari al suo coefficiente di bilanciamento. Nel nostro caso (nota i colori
Q  ≠  K. Dopo che è stato raggiun- corrispondenti a quelli nell’equazione bilanciata)
to l’equilibrio (retta verticale) e
in un qualsiasi istante successivo,
Q  =  K. (Basato sui dati sperimen- [NH3 ]2
Qc =
tali della Tabella 17.1). [N 2 ][H2 ]3

17txt.indd 564 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 565

Scrittura del quoziente di reazione in base all’equazione bilanciata


PROBLEMA DI VERIFICA 17.1
Problema Si scriva il quoziente di reazione, Q c, per ciascuna delle reazioni seguenti.
(a) La decomposizione del pentossido di diazoto, N2O5(g) NO2(g) + O2(g)
(b) La combustione del propano gassoso, C3H8(g) + O2(g) CO2(g) + H2O(g)
Piano Bilanciamo le equazioni e poi costruiamo il quoziente di reazione utilizzando ovvia-
mente l’Equazione 17.4.
[NH2 ]4 [O 2 ]
Risoluzione (a) 2N2O5(g) 4NO2(g) + O2(g)   Q c =
[N 2O5 ]2

[CO 2 ]3 [H2O]4
(b) C3H8(g) + 5O2(g) 3CO2(g) + 4H2O(g)   Q c =
[C3H8 ][O 2 ]5

Verifica Si controlli sempre che gli esponenti in Q siano uguali ai coefficienti di bilancia-
mento. Una buona verifica è invertire il procedimento: convertire il numeratore in prodotti
e il denominatore in reagenti e convertire gli esponenti in coefficienti.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.1 Si scriva un quoziente di reazione,


Q c , per ciascuna delle seguenti reazioni (non bilanciate).
(a) Il primo stadio nella produzione dell’acido nitrico: NH3(g) + O2(g) NO(g) + H2O(g)
(b) La disproporzione dell’ossido nitrico: NO(g) N2O(g) + NO2(g)

Variazioni della forma del quoziente di reazione


Come vedremo nella trattazione seguente, il quoziente di reazione Q è un insieme
di termini basati sull’equazione bilanciata esattamente com’è scritta per una data
­reazione. Perciò, il valore di Q, che varia durante la reazione, e il valore di K, il va-
lore costante di Q quando il sistema ha raggiunto l’equilibrio, dipendono anch’essi
da com’è scritta l’equazione bilanciata.

Qualche parola sulle unità di misura di Q e K In questo libro (e nella maggior


parte degli altri libri), i valori di Q e di K sono adimensionati (sono valori numerici non
accompagnati da un’unità di misura). Ciò è dovuto al fatto che ciascun termine nel
quoziente di reazione rappresenta il rapporto tra la quantità misurata della sostanza
(concentrazione molare o pressione) e la quantità della sostanza nello stato standard
termodinamico.
Si ricordi che, come abbiamo visto nel Paragrafo 6.6, questi stati standard sono
1 M per una sostanza in soluzione, 1 atm per i gas, e la sostanza pura per un liquido
o un solido.
(1,20 M )
Perciò, per una concentrazione di 1,20 M si ha = 1,20; analogamente,
(0,53 atm) (1 M )
per una pressione di 0,53 atm si ha = 0,53. (Come vedremo, la “concen-
(1 atm)
trazione” molare di un liquido o un solido puro, cioè il numero di moli ogni litro di
sostanza, è una costante, e il termine non compare affatto in Q). Con questi termini
di quantità adimensionati, è adimensionato anche il rapporto dei termini che usia-
mo per trovare il valore di Q (o di K).

Forma di Q per una reazione complessiva Si noti che abbiamo scritto quo-
zienti di reazione senza sapere se un’equazione rappresenti uno stadio parziale
di una reazione oppure una reazione complessiva in più stadi. Questo perché la
stessa espressione per la reazione complessiva la si ottiene combinando le espres-
sioni per gli stadi parziali. Cioè, se una reazione complessiva è la somma di due o più

17txt.indd 565 17/05/19 08:19


566 Capitolo 17

reazioni, il quoziente di reazione complessivo (o la costante di equilibrio complessiva) e


il prodotto dei quozienti di reazione (o delle costanti di equilibrio) dei vari stadi:
Q c(complessivo) = Q1  ×  Q2  ×  Q3  ×  . . .
e
Kc(complessivo) = K1  ×  K2  ×  K3  ×  . . . (17.5)

Questo punto è illustrato dal Problema di verifica 17.2.

Scrittura del quoziente di reazione per una reazione complessiva


PROBLEMA DI VERIFICA 17.2
Problema Alle alte temperature raggiunte durante la combustione esplosiva della benzina
nei cilindri del motore a combustione interna di un autoveicolo, una parte di N2 e di O2
presenti formano ossido nitrico, che si combina con altro O2 per formare diossido di azoto,
un inquinante tossico che contribuisce allo smog fotochimico (vedi fotografia a lato).
(1) N2(g) + O2(g) 2NO(g)    Kc1 = 4,3  ×  10−25
(2) 2NO(g) + O2(g) 2NO2(g)    Kc2 = 6,4  ×  109
(a) Si mostri che il Q c complessivo per questa sequenza di reazioni è uguale al prodotto dei
Smog sopra Milano. (Foto: Q c delle reazioni parziali.
© Marco lebba/Shutterstock). (b) Si calcoli la Kc per la reazione complessiva.
Piano In (a), prima scriviamo l’equazione complessiva sommando le reazioni parziali e poi scri-
viamo Qc complessivo. Quindi scriviamo Qc per ciascuna reazione. Poiché sommiamo gli stadi
parziali, moltiplichiamo i loro Qc ed elidiamo i termini comuni per ottenere Qc complessivo. In
(b), conosciamo i valori delle Kc parziali (4,3  ×  10−25 e 6,4  ×  109), quindi li moltiplichiamo per
trovare Kc(complessivo).
Risoluzione (a) Scrittura della reazione complessiva e del suo quoziente di reazione:
(1) 
N2 ( g) + O2 ( g)  
 2NO( g )
(2) 
2NO( g ) + O 2 ( g )  
 2NO 2 ( g )

complessiva: 
N 2 ( g ) + 2O 2 ( g )  
 2NO 2 ( g )
[NO 2 ]2
Q c (complessivo) =
[N 2 ][O 2 ]2
Scrittura dei quozienti di reazione per gli stadi parziali:
[NO]2
per lo stadio 1, Q c1 =
[N 2 ][O 2 ]
per lo stadio 2, [NO 2 ]2
Qc 2 =
[NO]2 [O 2 ]
Moltiplicazione dei quozienti di reazione parziali e semplificazione:
[NO]2 [NO 2 ]2 [NO 2 ]2
Q c1 ×Q=
c2 × = = Q c (complessivo)
[N 2 ][O 2 ] [NO]2 [O 2 ] [N 2 ][O 2 ]2
(b) Calcolo di Kc complessiva:
Kc(complessiva) = Kc1  ×  Kc2 = (4,3  ×  10−25)(6,4  ×  109) = 2,8  ×  10−15
Verifica Arrotondiamo e verifichiamo il calcolo nella parte (b):
Kc  (4  ×  10−25)(6  ×  109) = 14  ×  10−16 = 2,4  ×  10−15

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.2 La seguente sequenza di stadi


parziali è stata proposta per la reazione complessiva tra H2 e Br2 per formare HBr:
(1) Br2(g) 2Br(g)
(2) Br(g) + H2(g) HBr(g) + H(g)
(3) H(g) + Br(g) HBr(g)
Si scriva l’equazione complessiva e si mostri che Q c complessivo è il prodotto dei Q c degli
stadi parziali.

Forma di Q per una reazione diretta e una reazione inversa La forma del
quoziente di reazione dipende dal verso in cui è scritta l’equazione bilanciata. Si

17txt.indd 566 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 567

consideri, per esempio, l’ossidazione del diossido di zolfo a triossido di zolfo, uno
stadio essenziale nella formazione della pioggia acida e nella produzione dell’acido
solforico:
2SO2(g) + O2(g) 2SO3(g)
Il quoziente di reazione per questa equazione come è scritta è

Q c(diretta) = [SO3 ]2
[SO 2 ]2 [O 2 ]
Se avessimo scritto la reazione inversa, la decomposizione del triossido di zolfo,
2SO3(g) 2SO2(g) + O2(g)
il quoziente di reazione sarebbe stato il reciproco di Q c(diretta):
[SO 2 ]2 [O 2 ] 1
Q c(inversa) = =
[SO3 ] 2
Qc(diretta)
Perciò, il quoziente di reazione (o la costante di equilibrio) per una reazione diretta è il
reciproco del quoziente di reazione (o della costante di equilibrio) per la reazione inversa:

Q c(diretta) = 1   e  Kc(diretta) = 1 (17.6)


Qc(inversa) Kc(inversa)

I valori di Kc per la reazione diretta e la reazione inversa a 1000 K sono


1 1
Kc(diretta) = 261    e    Kc(inversa) = = = 3,83  ×  10−3
Kc(diretta) 261
Questi valori sono ragionevoli: se la reazione diretta avanza molto verso destra (alta
Kc), la reazione inversa non lo fa (bassa Kc).
Forma di Q per una reazione con coefficienti moltiplicati per un fatto-
re comune La forma di Q varia anche quando si moltiplicano tutti i coefficienti
dell’equazione per un qualche fattore. Per esempio, moltiplicando per 12 tutti i coef-
ficienti nella precedente equazione per la formazione di SO3, si ottiene
SO2(g) + 12 O2(g) SO3(g)

Il quoziente di reazione per questa equazione è

Q c′ (diretta) = [SO3 ]
[SO 2 ][O 2 ]1/2
Si noti che Q c per l’equazione dimezzata è uguale a Q c per l’equazione di partenza
elevata alla potenza 12 :

⎛ [SO3 ]2 ⎞⎟1/2 [SO3 ]


c(diretta) = ⎜
Q c′ (diretta) = Q1/2 ⎜⎜ ⎟ =
⎝ [SO 2 ]2 [O 2 ] ⎟⎟⎠ [SO 2 ][O 2 ]1/2

Ancora una volta, vale la stessa proprietà per le costanti di equilibrio. Mettendo in
relazione la reazione dimezzata con quella di partenza, otteniamo:

K′c(diretta) = K1/2
c(diretta) = (261)
1/2
= 16,2
Analogamente, se raddoppiamo i coefficienti, il quoziente di reazione è uguale a
quello iniziale elevato al quadrato; se triplichiamo i coefficienti, il quoziente di
­reazione è uguale a quello iniziale elevato al cubo e così via. Può apparire che
abbia­mo variato l’entità della reazione, come risulta dalla variazione di K, variando
semplicemente i coefficienti di bilanciamento dell’equazione, ma, chiaramente, ciò
non può essere vero. Un particolare valore di K ha significato soltanto in relazione a
una particolare equazione bilanciata. In questo caso, Kc(diretta) e K′c(diretta) sono in relazio-
ne con differenti equazioni e quindi non possono essere confrontate direttamente.

17txt.indd 567 17/05/19 08:19


568 Capitolo 17

In generale, se si moltiplicano per lo stesso fattore tutti i coefficienti dell’equazione bi-


lanciata, quel fattore diventa l’esponente per mettere in relazione i quozienti di reazione e
le costanti di equilibrio. Per un fattore moltiplicativo n, che possiamo scrivere come
n(aA + bB cC + dD)
il quoziente di reazione e la costante di equilibrio sono

⎛ [C]c [D]d ⎞⎟n


Q=′ Q=
n ⎜⎜ ⎟   e  K′ = K n (17.7)
⎜⎝ [A]a [B]b ⎟⎟⎠

Determinazione della costante di equilibrio per un’equazione


moltiplicata per un fattore comune

PROBLEMA DI VERIFICA 17.3


Problema Per la reazione di formazione dell’ammoniaca,

N2(g) + 3H2(g) 2NH3(g)

la costante di equilibrio, Kc, è 2,4  ×  10−2 a 1000 K. Se cambiamo i coefficienti di questa


equazione, che chiameremo equazione di riferimento (rif), quali sono i valori di Kc per le
seguenti equazioni bilanciate?
2 1 3
(a) 13 N2(g) + H2(g) 3 NH3(g)   (b) NH3(g) 2 N2(g) + 2 H2(g)

Piano Confrontiamo ciascuna equazione con l’equazione di riferimento per vedere come
siano cambiati i versi e i coefficienti. In (a), l’equazione è l’equazione di riferimento molti-
plicata per 13 , quindi Kc è uguale a Kc(rif) (2,4  ×  10−3) elevata alla potenza 13 . In (b), l’equazione
è la metà dell’inverso dell’equazione di riferimento, quindi Kc è il reciproco di Kc(rif) elevato
alla potenza 12 .
[NH3 ]2
Risoluzione Il quoziente di reazione per l’equazione di riferimento è Q c(rif) = .
[N 2 ][H2 ]3
⎛ 2 ⎞1/3 2/3
(a) 1/3  
Q c = Q c(rif) = ⎜⎜ [NH3 ] ⎟⎟ = [NH3 ]
⎜⎝ [N 2 ][H2 ]3 ⎟⎟⎠ 1/3
[N 2 ] [H2 ]
−3 1/3
Perciò, Kc = K c(rif) = (2,4  ×  10 )
1/3
   = 0,13

(b) ⎛ 1 ⎞⎟1/2 ⎛ 1 ⎞⎟1/2 [N 2 ]1/2 [H2 ]3/2


Q c = ⎜⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎟ =
⎜⎝Qc(rif) ⎟⎠ ⎜⎜ [NH3 ] ⎟⎟⎟2
[NH3 ]
⎜⎜ ⎟
⎝ [N 2 ][H2 ]3 ⎟⎠
Perciò,

⎛ 1 ⎞⎟1/2 ⎛ 1 ⎞⎟1/2
Kc = ⎜⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎟ = 20
⎜⎝ Kc(rif) ⎟ ⎠ ⎜⎝ 2,4 ×10−3 ⎟⎠

Verifica Una buona verifica è ripetere il procedimento matematico a ritroso. Per la parte
(a), (0,13)3 = 2,2  ×  10−3, entro l’arrotondamento di 2,4  ×  10−3. La reazione procede nello
stesso verso, quindi, all’equilibrio, dovrebbe contenere in prevalenza reagenti, come indi-
ca Kc < 1. Per la parte (b), 1/(2,0  ×  101)2 = 2,5  ×  10−3, di nuovo entro l’arrotondamento.
All’equilibrio, la reazione inversa dovrebbe contenere in prevalenza prodotti, come indica
Kc > 1.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.3 A 1200 K, la reazione di idrogeno


e cloro per formare cloruro di idrogeno è

H2(g) + Cl2(g) 2HCl(g)  Kc = 7,6  ×  108

Si calcoli Kc per le seguenti reazioni.

(a) 12 H2(g) + 12 Cl2(g) HCl(g)  (b) 43 HCl(g) 2


H (g) + 23 Cl2(g)
3 2

17txt.indd 568 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 569

Figura 17.4 Il quoziente di


reazione per un sistema etero-
geneo. Anche se i due recipienti
contengono quantità differenti
dei due solidi CaO e CaCO3,
finché sono pre­senti entrambi i
solidi, a una da­ta temperatura, i
recipienti hanno la stessa [CO2]
all’equilibrio.

Forma di Q per una reazione a cui partecipano liquidi e solidi puri Finora
abbiamo considerato equilibri omogenei, sistemi in cui tutti i componenti della rea-
zione sono nella stessa fase, come un sistema di gas reagenti. Quando i componenti
sono in differenti fasi, il sistema raggiunge l’equilibrio eterogeneo.
Consideriamo la decomposizione del calcare in calce e diossido di carbonio,
nella quale i componenti della reazione sono un gas e due solidi:
CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)
In base alle regole per la scrittura del quoziente di reazione, abbiamo
[CaO][CO 2 ]
Qc =
[CaCO3 ]
Ma un solido puro, quale CaCO3 o CaO, ha sempre la stessa concentrazione a una
data temperatura, cioè lo stesso numero di moli per litro di solido, così come ha la
stessa densità a una data temperatura. Inoltre, poiché il volume di un solido varia
pochissimo al variare della temperatura, anche la sua concentrazione varia pochis-
simo. Per questi motivi, la concentrazione di un solido puro è costante, e lo stesso
ragionamento vale per la concentrazione di un liquido puro.
Poiché ci interessano soltanto le concentrazioni che variano mentre si avvici-
nano all’equilibrio, eliminiamo i termini per i liquidi e i solidi puri dal quoziente di rea-
zione. A questo scopo, includiamo le loro concentrazioni costanti in un quoziente
di reazione riordinato, Q ′c. Moltiplichiamo entrambi i membri dell’equazione per
[CaCO3] e dividiamo entrambi i membri per [CaO]. Perciò, l’unica sostanza la cui
concentrazione può variare è il CO2 gassoso:
[CaCO3 ]
=Qc′ Q=
c [CO 2 ]
[CaO]
Indipendentemente da quanto CaO e quando CaCO3 siano presenti nel recipiente
di reazione, finché ne è presente una qualche quantità di ciascuno, il quoziente di rea-
zione per la reazione è uguale alla concentrazione di CO2 (Figura 17.4).
La Tabella 17.2 riassume i modi di scrivere Q e di calcolare K.

17.3 ESPRESSIONE DEGLI EQUILIBRI CON TERMINI


DI PRESSIONE: RELAZIONE TRA Kc E Kp
È più facile misurare la pressione di un gas che la sua concentrazione e, purché il
gas si comporti idealmente nelle condizioni dell’esperimento, l’equazione di stato
dei gas perfetti (Paragrafo 5.3) permette di mettere in relazione queste variabili l’una
con l’altra;
n P n
PV = nRT,    quindi     P = RT     ossia     =
V RT V

17txt.indd 569 17/05/19 08:19


570 Capitolo 17

Tabella 17.2 Modi di esprimere Q e di calcolare K


Forma dell’equazione chimica Forma di Q Valore di K
[B]
Reazione di riferimento: A B Q(rif) = K(rif) = [B]eq
[A] [A]eq
1 [A] K= 1
Reazione inversa: B A Q= =
Q(rif) [B] K(rif)
Reazione come somma di due stadi:
[C] [B]
(1) A C Q1 = ; Q2 =
[A] [C]
(2) C B Q complessivo = Q1  ×  Q2 = Q(rif) Kcomplessivo =
 K1  ×  K2
[C] [B] [B] = K(rif)
= × =
[A] [C] [A]
  
Coefficienti moltiplicati per n Q = Q n(rif) K = K n(rif)
Reazione con componente solido Q = Q (rif)[A] = [B] K = K(rif)[A] = [B]
o liquido puro, quale A(s)

dove P è la pressione di un gas e n/V è la sua concentrazione molare (M). Quindi,


essendo R una costante ed essendo T mantenuta costante, la pressione è direttamente
proporzionale alla concentrazione molare. Quando le sostanze che partecipano alla rea-
zione sono gas, possiamo esprimere il quoziente di reazione e calcolare il suo valore
in funzione delle pressioni parziali anziché delle concentrazioni. Per esempio, nella
reazione tra NO e O2 in fase gassosa,
2NO(g) + O2(g) 2NO2(g)
il quoziente di reazione basato sulle pressioni parziali, Q p, è
2
PNO
QP = 2

PNO × PO2
2

(Nei capitoli seguenti, incontreremo casi in cui alcuni componenti della reazione
sono espressi come concentrazioni e altri come pressioni parziali). La costante di
equilibrio ottenuta quando tutti i componenti sono presenti alle loro pressioni
parziali di equilibrio è denotata con Kp, la costante di equilibrio basata sulle pressioni.
In molti casi, Kp ha un valore diverso da quello di Kc, ma le due costanti sono cor-
relate; perciò, se conosciamo una delle due, possiamo calcolare l’altra deducendo
la variazione della quantità (numero di moli) di gas, Δngas, dall’equazione bilanciata.
Vediamo questa relazione convertendo i termini di Q c per la reazione NO-O2 in
quelli di Q p:
2NO(g) + O2(g) 2NO2(g)

Come indica l’equazione bilanciata,


3 mol (2 mol + 1 mol) di reagenti gassosi 2 mol di prodotti gassosi

Denotando con Δ lo stato finale meno lo stato iniziale (prodotti meno reagenti),
abbiamo
Δngas = moli di prodotto gassoso − moli di reagente gassoso = 2 − 3 = −1

Teniamo presente questo valore di Δngas perché compare nella conversione algebri-
ca che segue. Il quoziente di reazione basato sulle concentrazioni è
[NO 2 ]2
Qc =
[NO]2 [O 2 ]

17txt.indd 570 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 571

Usando l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma n/V = P/RT, prima espri-
miamo le concentrazioni come n/V e le convertiamo in pressioni parziali, P; poi
raccogliamo i termini in RT e li elidiamo:
2
2
nNO 2
PNO 2
1
2
V 2 (RT )2 PNO (RT )2 P2
Qc = 2 = = 2 2
× = 2 NO2 × RT
nNO nO2 2
PNO P PNO × PO2 1 1 PNO × PO2
× × O2 ×
V2 V (RT )2 RT (RT )2 RT

Il membro più a destra nell’espressione precedente è composto da Qp moltiplicato


per RT: Q c = Q p(RT ). Inoltre, all’equilibrio, Kc = Kp(RT ); perciò, Kp = Kc /RT, ossia
Kp = Kc(RT )−1.
È importante notare che l’esponente del termine RT è uguale alla variazione della
quantità (numero di moli) di gas (Δngas ) ottenuta dall’equazione bilanciata, −1. Perciò,
in generale,

Kp = Kc(RT )Δngas (17.8)

L’unità di misura dei termini di pressione parziale in Kp saranno l’atmosfera (atm), il


pascal (Pa), il millimetro di mercurio (mmHg) ecc., elevati a una determinata poten-
za, quindi l’unità di misura di R deve essere coerente con l’unità di misura della
pressione parziale. Come indica l’Equazione 17.8, per le reazioni in cui la quantità
(il numero di moli) di gas non varia, Δngas = 0, quindi Kp = Kc.

Conversione tra Kc e Kp

PROBLEMA DI VERIFICA 17.4


Problema Si calcoli Kc per la seguente reazione, considerando la pressione di CO2 misurata
in atmosfere:
CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)    Kp = 2,1  ×  10−4 (a 1,000  ×  103 K)
Piano Conosciamo Kp (2,1  ×  10−4), quindi, per convertire Kp in Kc, dobbiamo prima determi-
nare Δngas ottenendola dall’equazione bilanciata. Poi riordiniamo l’Equazione 17.8. Essendo
la pressione del gas espressa in atmosfere, R è 0,0821 atm ⋅ L/(mol ⋅ K).
Risoluzione Determinazione di Δngas. C’è 1 mol di prodotto gassoso e ci sono 0 mol di
reagente gassoso, quindi Δngas = 1 − 0 = 1.
Riordinamento dell’Equazione 17.8 e calcolo di Kc:

Kp = Kc(RT )1    da cui   Kc = Kp(RT )−1


Kc = (2,1  ×  10−4) (0,0821  ×  1,000  ×  103)−1 = 2,6  ×  10−6

Verifica Ripetiamo il procedimento all’inverso per vedere se otteniamo la Kp data:


Kp = (2,6  ×  10−6)(0,0821  ×  1,000 ⋅ 103) = 2,1  ×  10−4

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.4 Si calcoli Kp per la seguente reazione:


PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g)    Kc = 1,67 (a 5,00  ×  102 K)

17.4 DIREZIONE DI UNA REAZIONE:


CONFRONTO DI Q E K
Supponiamo di iniziare una reazione con una miscela di reagenti e prodotti e di
conoscere la costante di equilibrio alla temperatura della reazione. Come facciamo
a sapere se la reazione ha raggiunto l’equilibrio? E, se non l’ha raggiunto, come fac-
ciamo a sapere in quale verso sta avanzando per raggiungere l’equilibrio? Il valore di
Q può variare; perciò, in ogni particolare istante durante la reazione, Q può essere

17txt.indd 571 17/05/19 08:19


572 Capitolo 17

Figura 17.5 Direzione della


reazione e valori relativi di Q
e K. Quando Qc è minore di Kc,
il sistema in equilibrio si sposta
verso destra, cioè verso i prodotti.
Quando Qc è maggiore di Kc, il si-
stema in equilibrio si sposta verso
sinistra. Entrambi gli spostamenti
proseguono finché non è Qc = Kc.
Si noti che il valore di Kc rimane
continuamente costante.

minore di K, maggiore di K o, quando il sistema ha raggiunto l’equilibrio, uguale


a K. Confrontando il valore di Q in un particolare istante con il valore noto di K,
siamo in grado di dire se la reazione si ha raggiunto l’equilibrio o, nel caso che non
l’abbia raggiunto, in quale direzione sta avanzando. Con i termini dei prodotti nel
numeratore di Q e i termini dei reagenti nel denominatore, un aumento del prodotto
fa aumentare il rapporto dei termini e un aumento del reagente fa diminuire il rapporto.
I tre valori relativi possibili di Q e K sono illustrati nella Figura 17.5.
• Q < K. Se il valore di Q è minore del valore di K, il denominatore (i reagenti)
è grande rispetto al numeratore (i prodotti). Affinché Q diventi uguale a K, il
denominatore deve decrescere e il numeratore deve crescere. In altre parole,
la reazione avanzerà verso destra, verso i prodotti, finché non è raggiunto
­l’equilibrio:
se Q < K, reagenti prodotti
• Q > K. Se Q è maggiore di K, il numeratore (i prodotti) decrescerà e il deno-
minatore (i reagenti) crescerà finché non è stato raggiunto l’equilibrio. Perciò,
la reazione avanzerà verso sinistra, verso i reagenti:
se Q > K, reagenti prodotti
• Q = K. Questa situazione esiste soltanto quando le concentrazioni (o le pres-
sioni) dei reagenti e dei prodotti hanno raggiunto i loro valori di equilibrio.
Perciò, nonostante i processi dinamici che avvengono a livello molecolare, non
avviene un’ulteriore trasformazione netta:
se Q = K, reagenti prodotti

Confronto di Q e K per determinare il verso della reazione


PROBLEMA DI VERIFICA 17.5
Problema Per la reazione N2O4(g) 2NO2(g), Kc = 0,21 a 100 °C. In un punto durante
la reazione, [N2O4] = 0,12 M e [NO2] = 0,55 M. La reazione è all’equilibrio? In caso negativo,
in quale verso sta avanzando?
Piano Scriviamo l’espressione per Q c, troviamo il suo valore sostituendo le concentrazioni
date e poi confrontiamo il suo valore con la Kc data.
Risoluzione Scrittura del quoziente di reazione e risoluzione rispetto a Q c:
[NO 2 ]2 0,552
=
Qc = = 2,5
[N 2O 4 ] 0,12

Quando Q c > Kc , la reazione non è all’equilibrio e avanzerà verso sinistra finché Qc = Kc .


Verifica Con [NO2] > [N2O4], ci attendiamo di ottenere un valore di Q c che sia maggiore
di 0,21. Se Q c > Kc, il numeratore decrescerà e il numeratore crescerà finché Q c = Kc ; cioè
la reazione avanzerà verso i reagenti.

17txt.indd 572 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 573

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.5 Il clorometano si forma mediante


la reazione
CH4(g) + Cl2(g) CH3Cl(g) + HCl(g)
A 1500 K, Kp = 1,6  ×  104. Nella miscela di reazione, PCH4 = 0,13 atm, PCl2 = 0,035 atm,
PCH3Cl = 0,24 atm e PHCl = 0,47 atm. Si forma CH3Cl oppure CH4?

17.5 COME SI RISOLVONO I PROBLEMI


DI EQUILIBRIO
Molti tipi di problemi di equilibrio si presentano nel mondo reale, oltre che agli
esami di chimica, ma la maggior parte di essi possono essere raggruppati in due tipi:
1. si conoscono i valori di equilibrio delle quantità (concentrazioni o pressioni
parziali) e si risolve rispetto a K;
2. si conoscono K e i valori iniziali delle quantità (concentrazioni o pressioni
parziali) e si risolve rispetto ai valori di equilibrio delle quantità.
(Da qui in poi, il pedice “eq” verrà usato soltanto quando non è chiaro che una
concentrazione è un valore di equilibrio).

Uso delle quantità per determinare la costante di equilibrio


Si presentano due varianti comuni del tipo di problema di equilibrio in cui si risol-
ve rispetto a K: una implica una semplice sostituzione di quantità e l’altra richiede
che si determinino prima alcune delle quantità.
Sostituzione dei valori di equilibrio dati delle quantità in Q per deter-
minare K Il caso più semplice è quello in cui sono dati i valori di equilibrio delle
quantità e si deve calcolare K.
Supponiamo, per esempio, che quantità uguali di idrogeno gassoso e di iodio
gassoso vengano introdotte in un recipiente di reazione di 1,50 L a una temperatu-
ra fissa. Con il trascorrere del tempo, viene raggiunto il seguente equilibrio:
H2(g) + I2(g) 2HI(g)
All’equilibrio, l’analisi indica che il recipiente contiene 1,80 mol di H2, 1,80 mol di
I2 e 0,520 mol di HI. Calcoliamo Kc determinando le concentrazioni e sostituendole
nel quoziente di reazione. In base all’equazione bilanciata, scriviamo il quoziente di
reazione:
[HI]2
Qc =
[H2 ][I 2 ]
Prima dobbiamo convertire le quantità (numeri di moli) in concentrazioni (mol/L)
usando il volume di 1,50 L del recipiente:
1,80 mol
=
[H2 ] = 1,20 M
1,50 L
Analogamente, [I2] = 1,20 M, e [HI] = 0,347 M. Sostituendo questi valori nel­
l’espressione per Q c, otteniamo Kc:
(0,347) 2
=
Kc = 8, 36 ×10−2
(1,20)(1,20)
Uso di una tabella di reazione per determinare i valori di equilibrio delle
quantità e trovare K Quando alcuni valori non sono dati, si determinano prima
con la stechiometria e poi si trova K. Nell’esempio seguente, si presti attenzione a
un utile strumento introdotto: la tabella di reazione.
In uno studio dell’ossidazione del carbonio, un recipiente in cui è stato fatto
il vuoto e contiene una piccola quantità di grafite polverizzata viene riscaldato a
1080 K; poi vi viene aggiunto CO2 fino a una pressione di 0,458 atm. Dopo l’aggiun-

17txt.indd 573 17/05/19 08:19


574 Capitolo 17

ta di CO2, il sistema comincia a produrre CO. Dopo che è stato raggiunto l’equili-
brio, la pressione totale nel recipiente è 0,757 atm. Si vuole calcolare Kp.
Come sempre, cominciamo con lo scrivere l’equazione bilanciata e il quoziente
di reazione:
CO2(g) + C(grafite) 2CO(g)
I dati sono espressi in atmosfere e dobbiamo trovare Kp, quindi scriviamo Q in ter-
mini di pressioni parziali (si noti l’assenza del solido, C):
2
PCO
QP =
PCO2
Conosciamo i valori iniziali di PCO2 e Ptotale all’equilibrio. Per trovare Kp, dobbiamo
trovare le pressioni di equilibrio di CO2 e di CO, quindi dobbiamo risolvere un
problema stechiometrico, poi sostituiamo i valori trovati nell’espressione per Q p.
Soffermiamoci un momento prima di iniziare i calcoli per ripercorrere mental-
mente ciò che è avvenuto nel recipiente. Una quantità incognita di CO2 ha reagito
con la grafite per formare una quantità incognita di CO. Conosciamo le quantità
relative di CO2 e di CO in base all’equazione bilanciata: per 1 mol di CO2 che reagi-
sce, si formano 2 mol di CO, la qual cosa significa che, quando reagiscono x atm di
CO2, si formano 2x atm di CO2:
x atm di CO2 2x atm di CO
In base ai dati noti, abbiamo già alcune informazioni sul valore di Kp. Se essa fosse
molto grande, quasi tutto il CO2 si convertirebbe in CO, quindi la pressione (totale)
finale sarebbe pari al doppio della pressione iniziale [2(0,458 atm)  1 atm].
D’altra parte, se Kp fosse molto piccola, si formerebbe una quantità pressoché
nulla di CO, quindi la pressione finale sarebbe vicina alla pressione iniziale, 0,458
atm. Però, la pressione finale (0,757 atm) è compresa tra questi due estremi, quindi
Kp deve avere un valore intermedio. La pressione di CO2 all’equilibrio, è la pressione
iniziale, PCO2(iniz), meno la pressione del CO2 che reagisce, x:
PCO2(iniz) − x = PCO2(eq)
Analogamente, la pressione di CO all’equilibrio, PCO(eq), è la pressione iniziale,
PCO(iniz)  , più la pressione del CO che si forma, 2x. Poiché è nulla all’inizio della rea-
zione, abbiamo
PCO(iniz) + 2x = 0 + 2x = 2x = PCO(eq)
Un modo utile di riassumere queste informazioni è impiegare una tabella di reazio-
ne che presenta l’equazione bilanciata e le informazioni note concernenti:
• i valori iniziali delle quantità (concentrazioni o pressioni) dei reagenti e dei
prodotti;
• le variazioni di queste quantità durante la reazione;
• i valori di equilibrio delle quantità.
Pressione (atm) CO2(g) + C(grafite) 2CO(g)
Valore iniziale 0,458 — 0
Variazione −x — +2x
Valore di equilibrio 0,458 − x — 2x
Si noti che in ciascuna colonna abbiamo sommato il valore iniziale alla variazione per
ottenere il valore di equilibrio. Si noti anche che abbiamo incluso soltanto i dati per le
sostanze le cui concentrazioni variano; perciò, in questo caso, la colonna della grafite
è vuota. Useremo tabelle di reazione in molti dei problemi di equilibrio presentati
in questo capitolo e in quelli seguenti.
Per risolvere rispetto a Kp, sostituiamo i valori di equilibrio nel quoziente di
reazione, quindi dobbiamo trovare x. A questo scopo, usiamo l’altro dato noto,
Ptotale. Usando la legge di Dalton delle pressioni parziali e i valori di equilibrio delle
quantità indicati nell’ultima riga della tabella di reazione, otteniamo
Ptotal = 0,757 atm = PCO2(eq) + PCO(eq) = (0,458 atm − x) + 2x

17txt.indd 574 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 575

Perciò,
0,757 atm = 0,458 atm + x  da cui  x = 0,299 atm
Nota x, determiniamo i valori di equilibrio delle pressioni parziali:
PCO2(eq) = 0,458 atm − x = 0,458 atm − 0,299 atm = 0,159 atm
PCO(eq) = 2x = 2(0,299 atm) = 0,598 atm
Sostituiamo ora questi valori nell’espressione per Qp per trovare Kp:
2
PCO(eq) 0,5982
Q
= P = = =
2,25 Kp
PCO2 (eq) 0,159
Come previsto, Kp non è molto grande e nemmeno molto piccola.

Calcolo di Kc in base ai dati sulle concentrazioni


PROBLEMA DI VERIFICA 17.6
Problema In uno studio della decomposizione degli alogenuri di idrogeno, un ricercatore
introduce 0,200 mol di HI gassoso in un recipiente di 2,00 L in cui è stato fatto il vuoto e
lascia procedere la reazione a 453 °C:
2HI(g) H2(g) + I2(g)
All’equilibrio, [HI] = 0,078 M. Si calcoli Kc.
Piano Per calcolare Kc, dobbiamo conoscere i valori di equilibrio delle concentrazioni.
Possiamo ottenere [HI] iniziale dalla quantità (0,200 mol) e dal volume del recipiente (2,00 L)
e conosciamo [HI] all’equilibrio (0,078 M). In base all’equazione bilanciata, quando reagiscono
2x mol di HI, si formano x mol di H2 e x mol di I2. Prepariamo una tabella di reazione, usia-
mo [HI] nota all’equilibrio per risolvere rispetto a x ([H2] o [I2] che si forma) e sostituiamo la
concentrazione in Qc.
Risoluzione Calcolo del valore iniziale di [HI]:
0,200 mol
=[HI] = 0,100 M
2,00 L
Costruzione della tabella di reazione, con x = [H2] e [I2] che si formano e 2x = [HI] che
reagisce:
Concentrazione (M ) 2HI(g) H2(g) + I2(g)
Valore iniziale 0,100 0 0
Variazione −2x +x +x
Valore di equilibrio 0,100 − 2x x x

Risoluzione rispetto a x, usando il valore di equilibrio noto di [HI];


[HI] = 0,100 M − 2x = 0,078 M
x = 0,011 M
Perciò, i valori di equilibrio delle concentrazioni sono
[H2] = [I2] = 0,011 M    e    [HI] = 0,078 M
Sostituendo:
[H2 ][I 2 ]
Qc =
[HI]2

(0,011)(0,011)
Perciò, =Kc = 0.020
(0,078) 2
Verifica Arrotondando, otteniamo  0,012/0,082 = 0,02. Poiché all’equilibrio il valore ini-
ziale di [HI], pari a 0,100 M, è sceso lievemente a 0,078 M, si è formato relativamente poco
prodotto; quindi ci attendiamo che Kc < 1.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.6 L’ossidazione atmosferica dell’ossi-


do nitrico, 2NO(g) + O2(g) 2NO2(g), è stata studiata a 184 °C con pressioni iniziali di
1,000 atm di NO e 1,000 atm di O2. All’equilibrio, PO2 = 0,506 atm. Si calcoli Kp.

17txt.indd 575 17/05/19 08:19


576 Capitolo 17

Uso della costante di equilibrio per determinare le grandezze


Allo stesso modo di quanto affrontato per la determinazione di K, anche per il tipo
di problema che implica la determinazione delle concentrazioni (o delle pressioni)
di equilibrio si hanno parecchie varianti. Una di queste è sviluppata nel Problema
di verifica 17.7, in cui si conoscono K e alcune delle concentrazioni di equilibrio e
si deve trovare la concentrazione di equilibrio incognita.

Determinazione delle concentrazioni di equilibrio in base a Kc


PROBLEMA DI VERIFICA 17.7
Problema In uno studio della conversione del metano in altri combustibili, un inge-
gnere chimico miscela CH4 gassoso e H2O gassosa in un recipiente di 0,32 L a 1200 K.
All’equilibrio, il recipiente contiene 0,26 mol di CO, 0,091 mol di H2 e 0,041 mol di CH4.
Quanto vale [H2O] all’equilibrio? Kc = 0,26 per la reazione
CH4(g) + H2O(g) CO(g) + 3H2(g)
Piano Prima usiamo l’equazione bilanciata per scrivere il quoziente di reazione. Possiamo
calcolare le concentrazioni di equilibrio in base ai numeri dati di moli e al volume del reci-
piente (0,32 L). Sostituendo questi valori in Q c e uguagliandolo alla Kc data (0,26), risolviamo
rispetto alla concentrazione di equilibrio incognita, [H2O].
Risoluzione Scrittura del quoziente di reazione:
[CO][H2 ]3
CH4(g) + H2O(g) CO(g) + 3H2(g)     Qc =
[CH4 ][H2O]
Determinazione delle concentrazioni di equilibrio:
0,041 mol
=
[CH4 ] = 0,13 M
0,32 L
Analogamente, [CO] = 0,81 M e [H2] = 0,28 M.
Calcolo di [H2O] all’equilibrio. Poiché Q c = Kc, riordinando otteniamo:
[CO][H2 ]3 (0,81)(0,28)3
=
[H2O] = = 0,53 M
[CH4 ]Kc (0,13)(0,26)
Verifica Si verifichi sempre sostituendo le concentrazioni in Q c per confermare Kc:
[CO][H2 ]3 (0,81)(0,28)3
=
Qc = = =
0,26 Kc
[CH4 ][H2O] (0,13)(0,53)

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.7 L’ossido nitrico, l’ossigeno e l’azo-


to reagiscono secondo la seguente equazione: 2NO(g) N2(g) + O2(g); Kc = 2,3  ×  1030 a
298 K. Nell’atmosfera, PO2 = 0,209 atm e PN2 = 0,781 atm. Quanto vale la pressione parziale
di equilibrio di NO nell’aria che respiriamo? [Suggerimento. Si deve conoscere Kc per trovare
la pressione parziale.]

In una variante un po’ più complessa, conosciamo K e i valori iniziali delle quantità
e dobbiamo trovare i valori di equilibrio delle quantità, per cui usiamo la tabella di
reazione. Nel problema di verifica seguente, le quantità sono state scelte in modo
da semplificare il procedimento matematico, permettendo di concentrare l’atten-
zione più facilmente sul metodo complessivo.

Determinazione delle concentrazioni di equilibrio in base


alle concentrazioni iniziali e a Kc
PROBLEMA DI VERIFICA 17.8
Problema Gli ingegneri dei combustibili usano l’entità della trasformazione per regolare
i rapporti delle miscele di combustibili sintetici. Se si introducono 0,250 mol di CO e
0,250 mol di H2O in un recipiente di 125 mL a 900 K, qual è la composizione della miscela
all’equilibrio? A questa temperatura, Kc è 1,56 per l’equazione
CO(g) + H2O(g) CO2(g) + H2(g)

17txt.indd 576 17/05/19 08:19


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 577

Piano Dobbiamo trovare la “composizione” della miscela all’equilibrio, in altre parole, le


concentrazioni di equilibrio. Come sempre, usiamo l’equazione bilanciata per scrivere il
quoziente di reazione. Troviamo i valori iniziali di [CO] e di [H2O] in base alle quantità date
(0,250 mol di ciascuna sostanza) e al volume del recipiente (0,125 L), usiamo l’equazione
bilanciata per definire x e costruiamo una tabella di reazione, sostituiamo in Q c e risolviamo
rispetto a x, in base a cui calcoliamo le concentrazioni.
Risoluzione Scrittura del quoziente di reazione:
CO(g) + H2O(g) CO2(g) + H2(g)     Qc = [CO 2 ][H2 ]
[CO][H2O]
Calcolo delle concentrazioni iniziali dei reagenti:
0,250 mol
= [H=
[CO] 2O] = 2,00 M
0,125 L
Costruzione della tabella di reazione, con x = [CO] e [H2O] che reagiscono:

Concentrazione (M ) CO(g) + H2O(g) CO2(g) + H2(g)


Valore iniziale 2,00 2,00 0 0
Variazione −x −x +x +x
Valore di equilibrio 2,00 − x 2,00 − x x x

Sostituzione nel quoziente di reazione e risoluzione rispetto a x:


[CO 2 ][H2 ] ( x )( x ) x2
=Qc = =
[CO][H2O] (2, 00 − x )(2, 00 − x ) (2, 00 − x ) 2
All’equilibrio, abbiamo
x2
Q=
c K=
c =
1,56
(2, 00 − x ) 2
Possiamo applicare la seguente scorciatoia matematica in questo caso, ma non in generale.
Poiché il secondo membro dell’equazione è un quadrato perfetto, estraiamo la radice qua-
drata di entrambi i membri:
x
1,56 = = ±1,25
2,00 − x
Un numero positivo (1,56) ha una radice quadrata positiva e una negativa, ma soltanto la
radice quadrata positiva ha significato chimico, quindi trascuriamo la radice quadrata negativa:*
x
1,25 = ossia 2,50 − 1,25x = x
2,00 − x
Quindi
2,50 = 2,25x;  da cui  x = 1,11 M
Calcolo delle concentrazioni di equilibrio:
[CO] = [H2O] = 2,00 M − x = 2,00 M − 1,11 M = 0,89 M
[CO2] = [H2] = x = 1,11 M
Verifica In base al valore intermedio di Kc, è ragionevole che le variazioni della concentra-
zione siano moderate. È una buona idea verificare che il segno di x nella tabella di reazione
abbia senso; all’inizio erano presenti soltanto i reagenti, quindi la trasformazione ha dovuto
procedere verso destra: x è la variazione della concentrazione, quindi ha un segno negativo
per i reagenti e un segno positivo per i prodotti. Si verifichi anche che le concentrazioni di
equilibrio diano la Kc nota:
(1,11)(1,11)
= 1,56
(0,89)(0,89)

x
* La radice negativa dà −1,25 = , da cui −2,50 + 1,25x = x.
2,00 − x
Quindi −2,50 = −0,25x, e x = 10 M
Questo valore non ha significato chimico perché siamo partiti con 2,00 M di ciascun reagente e quindi
è impossibile che reagiscano 10 M. Inoltre, la radice quadrata di una costante di equilibrio è un’altra
costante di equilibrio, che non può avere un valore negativo.

17txt.indd 577 17/05/19 08:20


578 Capitolo 17

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.8 La decomposizione di HI a bassa


temperatura è stata studiata introducendo 2,50 mol di HI in un recipiente di 10,32 L a 25 °C.
Quanto vale [H2] all’equilibrio per la reazione 2HI(g) H2(g) + I2(g); Kc = 1,26 ⋅ 10−3?

Uso della formula risolutiva delle equazioni di 2° grado per risolvere ri-
spetto all’incognita La scorciatoia che abbiamo seguito per semplificare il pro-
cedimento matematico nel Problema di verifica 17.8 è un caso particolare che si
presenta quando il numeratore e il denominatore del quoziente di reazione sono
quadrati perfetti. Ha funzionato perché siamo partiti con concentrazioni uguali dei
due reagenti, ma di solito non è così.
Supponiamo, per esempio, di iniziare invece la reazione nel problema di verifi-
ca con CO 2,00 M e H2O 1,00 M. La tabella di reazione è

Concentrazione (M ) CO(g) + H2O(g) CO2(g) + H2(g)


Valore iniziale 2,00 1,00 0 0
Variazione −x −x +x +x
Valore di equilibrio 2,00 − x 1,00 − x x x

Sostituendo questi valori in Q c, otteniamo

[CO 2 ][H2 ] ( x )( x ) x2
=Qc = = 2
[CO][H2O] (2, 00 − x )(1, 00 − x ) x − 3,00x + 2,00

All’equilibrio, abbiamo
x2
1,56 =
x − 3,00x + 2,00
2

Per risolvere rispetto a x in questo caso, riordiniamo l’espressione preceden-


te trasformandola nella forma di un’equazione di 2° grado (equazione quadratica):
ax2 + bx + c = 0.
Eseguendo i passaggi aritmetici, otteniamo:
0,56x2 − 4,68x + 3,12 = 0

dove a = 0,56, b = −4,68, e c = 3,12. Possiamo quindi trovare x con la formula


risolutiva delle equazioni di 2° grado (Appendice A):

−b ± b 2 − 4 ac
x=
2a
Il segno ± significa che sono possibili due valori di x:
4,68 ± ( − 4,68) 2 − 4(0,56)(3,12)
x=
2(0,56)
= =
x 7,6 M e x 0,73 M
Si noti che soltanto uno dei valori di x ha senso chimicamente. Il valore maggiore
dà concentrazioni negative all’equilibrio (per esempio, 2,00 M − 7,6 M = −5,6 M),
che è privo di significato chimico. Perciò, x = 0,73 M, e
[CO] = 2,00 M − x = 2,00 M − 0,73 M = 1,27 M
[H2O] = 1,00 M − x = 0,27 M
[CO2] = [H2] = x = 0,73 M
Verificando se questi valori diano la Kc nota, otteniamo
(0,73)(0,73)
=Kc = 1,6 (entro l’arrotondamento di 1,56)
(1,27)(0,27)

17txt.indd 578 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 579

Ipotesi semplificatrici per trovare una quantità incognita In molti casi,


possiamo ricorrere al “senso comune” chimico per formulare un’ipotesi che eviti di
usare la formula risolutiva delle equazioni di 2° grado per trovare x. In generale, se
una reazione ha una K relativamente piccola e una concentrazione iniziale del reagente
relativamente grande, la variazione di concentrazione (x) può essere spesso trascurata
senza introdurre un errore rilevante. Questa ipotesi non significa che x = 0, per-
ché in tal caso non vi sarebbe alcuna reazione, bensì significa che, se una reazione
avanza pochissimo (K piccola) e se la concentrazione iniziale del reagente è alta,
ne sarà consumato pochissimo; perciò, all’equilibrio, la concentrazione del reagen-
te sarà variata a malapena:
[reagente]iniz − x = [reagente]eq  [reagente]iniz

Possiamo immaginare una situazione simile nella vita quotidiana. Su una bilancia
pesapersone, possiamo avere una massa di 75 kg. Se ci togliamo l’orologio da polso,
la nostra massa continua a essere 75 kg. Entro la precisione della misura, la massa
di un orologio da polso è così piccola rispetto alla nostra massa che può essere
trascurata:
massa iniziale del corpo − massa dell’orologio = massa finale del corpo
 massa iniziale del corpo

Analogamente, se la concentrazione iniziale di A è, per esempio, 0,500 M e, a


causa di una Kc piccola, la concentrazione di A che reagisce è 0,002 M, possiamo
supporre che
0,500 M − 0,002 M = 0,498 M  0,500 M

cioè [A]iniz − [A]reagente = [A]eq  [A]iniz (17.9)

Per giustificare l’ipotesi che x sia trascurabile, dobbiamo verificare che l’errore in-
trodotto non sia rilevante. Ma quanto è grande un errore “rilevante”? Un criterio
comune, anche se alquanto arbitrario, è la regola del 5%: se l’ipotesi determina una
variazione (un errore) della concentrazione che è minore del 5%, l’errore non è rilevante e
l’ipotesi è giustificata. Risolviamo un problema di verifica e formuliamo questa ipo-
tesi per vedere come semplifica il procedimento matematico e poi vediamo se
­l’ipotesi sia giustificata nel caso di due differenti concentrazioni iniziali. Formulere-
mo spesso questa ipotesi nei Capitoli 18 e 19.

Calcolo delle concentrazioni di equilibrio con ipotesi semplificatrici


PROBLEMA DI VERIFICA 17.9
Problema Il fosgene è un potente agente aggressivo impiegato in passato nella guerra chi-
mica, ma oggi bandito da accordi internazionali. Si decompone mediante la reazione

COCl2(g) CO(g) + Cl2(g)    Kc = 8,3  ×  10−4 (a 360 °C)

Si calcolino [CO], [Cl2] e [CoCl2] quando le seguenti quantità di fosgene si decompongono e


raggiungono l’equilibrio in un recipiente di 10,0 L:
(a) 5,00 mol di COCl2    (b) 0,100 mol di COCl2
Piano In base all’equazione bilanciata sappiamo che, quando x mol di COCl2 si decompon-
gono, si formano x mol di CO e x mol di Cl2. Convertiamo la quantità (5,00 mol o 0,100 mol)
in concentrazione, definiamo x e costruiamo la tabella di reazione, e sostituiamo i valori in
Q c. Prima di usare la formula risolutiva delle equazioni di 2° grado, semplifichiamo il calcolo
supponendo che x sia trascurabilmente piccola. Dopo avere risolto rispetto a x, verifichia-
mo l’ipotesi e troviamo le concentrazioni. Se l’ipotesi non è giustificata, dobbiamo usare la
formula risolutiva delle equazioni di 2° grado per trovare x.
Risoluzione (a) Per 5,00 mol di COCl2. Scrittura del quoziente di reazione:
[CO][Cl 2 ]
Qc =
[COCl 2 ]

17txt.indd 579 17/05/19 08:20


580 Capitolo 17

Calcolo del valore iniziale di [COCl2]:

5,00 mol
=
[COCl 2 ]iniz = 0,500 M
10,0 L
Costruzione della tabella di reazione, con x = [COCl2]reagente:

Concentrazione (M ) COCl2(g) CO(g) + Cl2(g)


Valore iniziale 0,500 0 0
Variazione −x +x +x
Variazione di equilibrio 0,500 − x x x

Se introduciamo in Q c i valori di equilibrio, otteniamo

[CO][Cl 2 ] x2
=Qc = = K=
c 8,3 ×10−4
[COCl 2 ] 0,500 − x
Poiché Kc è piccola, la reazione non avanza molto verso destra, quindi supponiamo che
x (la [COCl2] che reagisce) sia tanto minore della concentrazione iniziale, 0,500 M, che la
concentrazione di equilibrio sia quasi uguale. Perciò,

0,500 M − x  0,500 M

Usando questa ipotesi, sostituiamo e risolviamo rispetto a x:


x2
K=
c 8,3 ×10−4 
0,500
x2  (8,3  ×  10−4)(0,500)  da cui x  2,0  ×  10−2

Verifica dell’ipotesi mediante la determinazione dell’errore percentuale:


2,0 ×10−2
  ×  100 = 4% è minore di 5%, quindi l’ipotesi è giustificata
0,500
Risoluzione rispetto alle concentrazioni di equilibrio:
[CO] = [Cl2] = x = 2,0  ×  10−2 M
[COCl2] = 0,500 M − x = 0,480 M
(b) Per 0,100 mol di COCl2. In questo caso il calcolo è lo stesso, tranne che [COCl2]iniz =
(0,100 mol)/(10,0 L) = 0,0100 M. Perciò, all’equilibrio, abbiamo

[CO][Cl 2 ] x2
=Qc = = K=
c 8,3 ×10−4
[COCl 2 ] 0,0100 − x
Formulazione dell’ipotesi che 0,0100 M − x  0,0100 M e risoluzione rispetto a x:
x2
Kc = 8,3  ×  10−4 
0,0100
x  2,9  ×  10−3
Verifica dell’ipotesi:

2,9 ×10−3
  ×  100 = 29%   29% è maggiore di 5%, quindi l’ipotesi non è giustificata
0,0100
Dobbiamo risolvere l’equazione di 2° grado, x2 + (8,3  ×  10−4)x − (8,3  ×  10−6) = 0, per la
quale l’unica soluzione significativa è x = 2,5  ×  10−3 (vedi Appendice A).
Risoluzione rispetto alla concentrazioni di equilibrio:

[CO] = [Cl2] = 2,5  ×  10−3 M


[COCl2] = 1,00  ×  10−2 M − x = 7,5  ×  10−3 M
Verifica Ancora una volta, la verifica migliore è usare i valori calcolati per accertarsi di
ottenere la Kc data.

17txt.indd 580 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 581

Commento Si noti che l’ipotesi era giustificata nel caso dell’alta concentrazione iniziale, ma
non lo è nel caso della bassa concentrazione iniziale.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.9 In uno studio della forza dei lega-


mi degli alogeni, 0,50 mol di I2 sono state riscaldate in un recipiente di 2,5 L ed è avvenuta
la reazione seguente: I2(g) 2I(g).
(a) Si calcolino [I2] e [I] all’equilibrio a 600 K; Kc = 2,94  ×  10−10.
(b) Si calcolino [I2] e [I] all’equilibrio a 2000 K; Kc = 0,209.

Problemi che implicano miscele di reagenti e prodotti: determinazione del


verso della reazione Nei problemi che abbiamo risolto finora, la direzione della
reazione era evidente: essendo presenti soltanto reagenti, la reazione doveva proce-
dere verso i prodotti. Perciò, nelle tabelle di reazione, sapevamo che la variazione
incognita della concentrazione dei reagenti aveva un segno negativo (−x) e la varia-
zione della con­cen­trazione dei prodotti aveva un segno positivo (+x). Ma supponia-
mo di avere inizialmente una miscela di reagenti e di prodotti. Quando il verso della
reazione non è evidente, il primo passo da fare è confrontare il valore di Q con il valore
di K per trovare la direzione in cui la reazione procede per raggiungere l’equilibrio.
Troveremo così il segno di x, la variazione incognita della concentrazione. (Per met-
tere a fuoco questo concetto, il problema di verifica seguente elimina la necessità di
usare la formula risolutiva delle equazioni di 2° grado).

Previsione della direzione della reazione e calcolo


delle concentrazioni di equilibrio
PROBLEMA DI VERIFICA 17.10
Problema L’unità di ricerca e sviluppo (R&S) di un’impresa chimica sta studiando la reazio-
ne di CH4 e H2S, due componenti del gas naturale:
CH4(g) + 2H2S(g) CS2(g) + 4H2(g)
In un esperimento, 1,00 mol di CH4, 1,00 mol di CS2, 2,00 mol di H2S e 2,00 mol di H2
vengono miscelate in un recipiente di 250 mL a 960 °C. A questa temperatura, Kc = 0,036.
(a) In quale verso procederà la reazione per raggiungere l’equilibrio?
(b) Se [CH4] = 5,56 M all’equilibrio, quanto valgono le concentrazioni di equilibrio delle
altre sostanze?
Piano (a) Per trovare la direzione della reazione, convertiamo i valori iniziali dati delle
quantità e il volume (0,250 L) in concentrazioni, calcoliamo Q c e lo confrontiamo con Kc.
(b) Sulla base dei risultati ottenuti nella parte (a), determiniamo il segno di ciascuna varia-
zione della concentrazione per la tabella di reazione e poi usiamo la [CH4] nota all’equilibrio
(5,56 M) per determinare x e le altre concentrazioni di equilibrio.
Risoluzione (a) Calcolo delle concentrazioni iniziali:
1,00 mol
= [CH4 ] = 4,00 M
0,250 L
Analogamente, [H2S] = 8,00 M, [CS2] = 4,00 M, e [H2] = 8,00 M.
Calcolo del valore di Q c:
[CS 2 ][H2 ]4 (4,00)(8,00) 4
=Qc = = 64,0
[CH4 ][H2S]2 (4,00)(8,00) 2
Confronto di Q c e Kc: Q c > Kc (64,0 > 0,036), quindi la reazione procede verso sinistra.
Perciò, le concentrazioni dei reagenti aumentano e quelle dei prodotti diminuiscono.
(b) Costruzione di una tabella di reazione, con x = [CS2] che reagisce, che è uguale a [CH4]
che si forma:
Concentrazione (M ) CH4(g) + 2H2S(g) CO2(g) + 4H2(g)
Valore iniziale 4,00 8,00 4,00 8,00
Variazione +x +2x −x −4x
Valore di equilibrio 4,00 + x 8,00 + x 4,00 − x 8,00 − 4x

17txt.indd 581 17/05/19 08:20


582 Capitolo 17

Risoluzione rispetto a x all’equilibrio:


[CH4] = 5,56 M = 4,00 M + x
Quindi,
x = 1,56 M
Perciò,
[H2S] = 8,00 M + 2x = 8,00 M + 2(1,56 M) = 11,12 M
[CS2] = 4,00 M − x = 2,44 M
[H2] = 8,00 M − 4x = 1,76 M
Verifica Il confronto di Q c e Kc ha mostrato che la reazione procede verso sinistra. I dati
noti della parte (b) lo confermano perché [CH4] aumenta da 4,00 M a 5,56 M durante questa
reazione. Si verifichi che le concentrazioni diano la Kc nota:
(2,44)(1,76) 4
= 0,0341, che è vicino a 0,036
(5,56)(11,12) 2

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.10 Un chimico inorganico che stu-


dia le reazioni degli alogenuri di fosforo mescola 0,1050 mol di PCl5 con 0,0450 mol di Cl2
e 0,0450 mol di PCl3 in un recipiente di 0,5000 L a 250 °C: PCl5(g) PCl3(g) + Cl2(g);
Kc = 4,2  ×  10−2.
(a) In quale direzione procederà la reazione?
(b) Se [PCl5] = 0,2065 M all’equilibrio, quanto valgono le concentrazioni di equilibrio degli
altri componenti?

A questo punto, abbiamo visto parecchie varianti del tipo di problema di equilibrio
in cui si conoscono K e i valori iniziali di alcune quantità e si devono trovare i va-
lori di equilibrio delle quantità. La Figura 17.6 presenta un utile sommario dei
passi implicati nella risoluzione di questi tipi di problemi di equilibrio. Un buon
metodo per organizzare i passi è raggrupparli in tre parti generali.

Figura 17.6 Passi nella risolu- 17.6 CONDIZIONI DI REAZIONE E STATO


zione dei problemi di equilibrio. DI EQUILIBRIO: PRINCIPIO DI LE CHÂTELIER
Questi nove passi, raggruppati in
tre compiti, forniscono un utile La caratteristica più notevole di un sistema in equilibrio è la sua capacità di ritor-
approccio al calcolo dei valori di nare all’equilibrio dopo che un cambiamento delle condizioni lo ha fatto allonta-
equilibrio delle quantità, dati i
nare da quell’equilibrio. Questa tendenza a ritornare allo stato di equilibrio è enun-
loro valori iniziali e K.
ciata nel principio di Le Châtelier: quando un sistema chimico in equilibrio
viene perturbato, esso ritorna all’equilibrio subendo una reazione netta che riduce
IL PRINCIPIO
DI LE CHÂTELIER
l’effetto della perturbazione.
Due locuzioni usate in questo enunciato richiedono un’ulteriore spiegazione.
In primo luogo, che cosa significa “perturbare” un sistema? All’equilibrio, Q è uguale
a K. Quando una variazione delle condizioni allontana il sistema temporaneamente
dall’equilibrio (Q ≠ K), si dice che il sistema è stato “perturbato” (o “disturbato”).
Tre perturbazioni comuni sono: una variazione della concentrazione di un compo-
nente (che compare in Q); una variazione della pressione (causata da una variazione
del volume); una variazione della temperatura. Esamineremo ciascuna di queste
variazioni più avanti. L’altra locuzione, “reazione netta”, è definita spesso come uno
spostamento della posizione dell’equilibrio del sistema verso destra o verso sinistra.
La posizione dell’equilibrio è semplicemente la concentrazione (o la pressione) di
equilibrio specifica. Uno spostamento della posizione dell’equilibrio verso destra
significa che avviene una reazione netta verso destra (da reagente a prodotto) fin-
ché non viene ristabilito l’equilibrio; uno spostamento verso sinistra significa che
avviene una reazione netta verso sinistra (da prodotto a reagente). Perciò, quando il
sistema subisce una perturbazione, si dice che la posizione dell’equilibrio si sposta,
la qual cosa significa che le concentrazioni (o le pressioni) variano in un verso che riduce
la perturbazione e il sistema raggiunge un nuovo equilibrio (Q = K di nuovo).

17txt.indd 582 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 583

Il principio di Le Châtelier permette di prevedere il verso dello spostamento della


posizione dell’equilibrio. Ciò che più importa, permette ai chimici che operano nel-
• L’universalità del prin-
cipio di Le Châtelier Anche
la ricerca o nell’industria di creare condizioni che massimizzino le rese. Esaminiamo se Le Châtelier limitava l’ambito di
ciascuno dei tre tipi di perturbazione per vedere come un sistema in equilibrio validità del suo principio a sistemi
fisici e chimici, la sua applicazione
reagisce (risponde); poi analizzeremo l’eventuale effetto di un catalizzatore. Nella è molto più ampia. Per esempio, gli
trattazione seguente concentreremo l’attenzione sulla reazione reversibile in fase ecologi e gli economisti lo vedo-
gassosa tra tricloruro di fosforo e cloro per produrre pentacloruro di fosforo: no spesso all’opera. Nella savana
africana, le popolazioni di erbivori
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g) (antilopi, gnu, zebre) e di carnivori
(leoni, ghepardi) sono in delicato
Però, la base del principio di Le Châtelier è valida per qualsiasi sistema in equilibrio, equilibrio. Qualunque perturbazione
sia nelle scienze naturali sia in quelle sociali. (siccità, malattia) causa spostamenti
del numero relativo di individui
L’effetto di una variazione della concentrazione finché non si raggiunge un nuovo
equilibrio. Nella sua forma più pura,
Quando un sistema in equilibrio viene perturbato da una variazione della concentra- il principio economico della doman-
zione di uno dei componenti, il sistema reagisce nel verso che riduce la variazione. da e dell’offerta è un altro esempio
di questo principio di equilibrio. Un
• Se la concentrazione del componente aumenta, il sistema reagisce in modo da dato equilibrio tra domanda e offerta
consumarne una certa quantità. di un dato prodotto ne stabilisce un
• Se la concentrazione del componente diminuisce, il sistema reagisce in modo certo prezzo. Se la domanda o l’of-
ferta subiscono una perturbazione,
da produrne una certa quantità.
questa determina uno spostamen-
Ovviamente, il componente deve comparire in Q ; perciò, i liquidi e i solidi puri, to dell’altra variabile economica e,
che non compaiono in Q perché le loro concentrazioni sono costanti, non sono quindi, del prezzo prevalente, finché
non viene raggiunto un nuovo equi-
coinvolti.
librio.
A 523 K, il sistema PCl3-Cl2-PCl5 raggiunge l’equilibrio quando
[PCl5 ]
=
Qc = =
24,0 Kc
[PCl3 ][Cl 2 ]
Cosa accade se ora introduciamo nel recipiente di reazione una certa quantità di Cl2
gassoso? Il sistema agirà sempre in modo da ridurre la perturbazione e, così facendo,
ridurrà l’aumento del reagente procedendo verso il prodotto e consumando così una
certa quantità addizionale di Cl2. Con riferimento al quoziente di reazione, quando
si aggiunge Cl2, il termine [Cl2] aumenta, quindi il valore di Qc diminuisce immedia-
tamente perché il denominatore aumenta; perciò il sistema non è più in equilibrio.
Quando una parte del Cl2 aggiunto reagisce con una parte del PCl3 presente e produce
altro PCl5, il denominatore decresce e il numeratore cresce, finché Qc non è ridiventato
uguale a Kc. Ma le concentrazioni dei componenti sono variate: le concentrazioni di Cl2
e di PCl5 sono più alte che nella posizione dell’equilibrio iniziale, e la concentrazione
di PCl3 è più bassa. Ciononostante, il rapporto dei valori dà la stessa Kc. Descriviamo
questa variazione dicendo che la posizione dell’equilibrio si sposta verso destra quando si
aggiunge un componente a sinistra:
PCl3 + Cl2(aggiunto) PCl5
Cosa accade se, invece di aggiungere Cl2, si potesse rimuovere una certa quantità
di PCl3, l’altro reagente? In questo caso, il sistema riduce la perturbazione (la dimi-
nuzione del reagente), procedendo verso il reagente, consumando così una certa
quantità di PCl5. Ancora una volta, facendo riferimento al Q c, quando rimuoviamo
PCl3, il termine [PCl3] diminuisce, il denominatore decresce, e il valore di Q c sale
al di sopra di Kc. Quando una certa quantità di PCl5 si decompone in PCl3 e Cl2, il
numeratore decresce e il denominatore cresce finché Q c non è ridiventato uguale
a Kc. Anche in questo caso le concentrazioni sono diverse da quelle della posizione
dell’equilibrio iniziale, ma Kc è rimasta invariata. Si dice che la posizione dell’equili-
brio si sposta verso sinistra quando un componente a sinistra viene rimosso:
PCl3(rimosso) + Cl2 PCl5
Le stesse considerazioni che abbiamo appena fatto per l’aggiunta o la rimozione
di un reagente valgono anche per l’aggiunta o la rimozione di un prodotto. Se ag-
giungiamo una certa quantità di PCl5, la sua concentrazione aumenta e la posizione
dell’equilibrio si sposta verso sinistra, com’è avvenuto quando abbiamo rimosso

17txt.indd 583 17/05/19 08:20


584 Capitolo 17

Tabella 17.3 L’effetto dell’aggiunta di Cl2 al sistema PCl3-Cl2-PCl5


Concentrazione (M ) PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g)
Equilibrio iniziale 0,200 0,125 0,600
Perturbazione +0,075
Nuova conc. iniziale 0,200 0,200 0,600
Variazione −x −x +x
Nuovo equilibrio 0,200 − x 0,200 − x 0,600 + x
(0,637)*
* Valore determinato sperimentalmente.

una certa quantità di PCl3; se rimuoviamo una certa quantità di PCl5, la posizione
dell’equilibrio si sposta verso destra, com’è avvenuto quando abbiamo aggiunto
una certa quantità di Cl2. In altre parole, indipendentemente da come si origina la
variazione della concentrazione che perturba il sistema, questo reagisce in modo
da ripristinare l’uguaglianza di Q c e Kc. Riassumendo gli effetti delle variazioni della
concentrazione:
• la posizione dell’equilibrio si sposta verso destra se si aggiunge una certa quan-
tità di un reagente o si rimuove una certa quantità di un prodotto;
• la posizione dell’equilibrio si sposta verso sinistra se si rimuove una certa quan-
tità di un reagente o si aggiunge una certa quantità di un prodotto.
In generale, quando la concentrazione di un componente varia, il sistema in equilibrio
reagisce in modo da consumare una certa quantità della sostanza aggiunta o da produrre
una certa quantità della sostanza rimossa. In questo modo, il sistema “riduce l’effetto
della perturbazione”. Ma l’effetto non viene eliminato completamente, come vedremo
qui di seguito confrontando la posizione dell’equilibrio iniziale con quella successiva.
Ritornando all’esempio sotto analisi, consideriamo il caso in cui abbiamo aggiun-
to una certa quantità di Cl2 al sistema in equilibrio. Supponiamo che la posizione di
equilibrio iniziale si sia stabilita con le seguenti concentrazioni: [PCl3] = 0,200 M,
[Cl2] = 0,125 M e [PCl5] = 0,600 M. Perciò,
[PCl 5 ] 0,600
=
Qc = = =
24,0 Kc
[PCl3 ][Cl 2 ] (0,200)(0,125)

Aggiungiamo ora una quantità di Cl2 sufficiente per aumentare di 0,075 M la sua
concentrazione. Prima che avvenga qualche reazione, questa aggiunta crea un nuo-
vo insieme di concentrazioni iniziali. Il sistema reagisce e raggiunge una nuova
posizione dell’equilibrio. In base al principio di Le Châtelier, prevediamo che l’ag-
giunta di altro reagente produrrà altro prodotto, cioè, sposterà verso destra la
posizione dell’equilibrio. L’esperimento indica che la nuova [PCl5] all’equilibrio
è 0,637 M.
La Tabella 17.3 presenta una tabella di reazione dell’intero processo: la posi-
Figura 17.7 L’effetto zione dell’equilibrio iniziale, la perturbazione, la (nuova) concentrazione iniziale,
dell’aggiun­ta di Cl2 al sistema
PCl3-Cl2-PCl5. Nell’equilibrio l’entità e il verso della variazione necessaria per ripristinare l’equilibrio e la nuova
iniziale (regione grigia), tutte posizione dell’equilibrio; la Figura 17.7 visualizza il processo.
le concentrazioni sono costanti. In base alla Tabella 17.3,
Quando si aggiunge Cl2 (curva
gialla), la sua concentrazione fa [PCl5] = 0,600 M + x = 0,637 M,  da cui  x = 0,037 M
un balzo in alto e poi comincia
Inoltre, [PCl3] = [Cl2] = 0,200 M − x = 0,163 M
a diminuire via via che Cl2 rea-
gisce con una certa quantità di Perciò, all’equilibrio,
PCl3 per formare più PCl5. Dopo 0,600
un certo intervallo di tempo, si =
Kc(concentrazione iniziale) = 24,0
ristabilisce l’equilibrio in corri- (0,200)(0,125)
spondenza di una nuova concen-
0,637
trazione (regione azzurra) ma =
Kc(nuova concentrazione) = 24,0
con la stessa K. (0,163)(0,163)

17txt.indd 584 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 585

Si devono notare alcuni punti essenziali riguardo alle nuove concentrazioni di equi-
librio che esistono dopo l’aggiunta di Cl2:
• come previsto, [PCl5] (0,637 M) è più alta della concentrazione iniziale
(0,600 M);
• [Cl2] (0,163 M) è più alta della concentrazione di equilibrio iniziale (0,125 M),
ma più bassa della concentrazione iniziale immediatamente dopo l’aggiunta
(0,200 M); perciò la perturbazione (aggiunta di Cl2) è ridotta ma non eliminata;
• [PCl3] (0,163 M), l’altro componente nel primo membro, è più bassa della con-
centrazione iniziale (0,200 M) perché una parte ha reagito con il Cl2 aggiunto;
• ciò che più importa, anche se la posizione dell’equilibrio si è spostata verso
destra, Kc rimane invariata.
È importante notare che il sistema si adatta variando le concentrazioni, ma il valore
di Q c all’equilibrio è uguale a quello nel sistema di partenza. In altre parole, a una
data temperatura, Kc non varia in seguito a una variazione della concentrazione.

Previsione dell’effetto di una variazione della concentrazione


sulla posizione dell’equilibrio
PROBLEMA DI VERIFICA 17.11
Problema Per migliorare la qualità dell’aria e ottenere un prodotto utile, lo zolfo viene spes-
so rimosso dal carbone fossile e dal gas naturale mediante trattamento con O2 del solfuro di
idrogeno presente nel combustibile come contaminante:
2H2S(g) + O2(g) 2S(s) + 2H2O(g)
Cosa accade a
(a) [H2O] se si aggiunge O2? (b) [H2S] se si aggiunge O2?
(c) [O2] se si rimuove H2S? (d) [H2S] se si aggiunge zolfo?
Piano Scriviamo il quoziente di reazione per vedere come Q c è influenzato da ciascuna
perturbazione, relativamente a Kc. Questo effetto ci dice il verso in cui la reazione procede
affinché il sistema ripristini l’equilibrio e come varia ciascuna concentrazione.
[H2O]2
Risoluzione Scrittura del quoziente di reazione: Qc =
[H2S]2 [O 2 ]
(a) Quando si aggiunge O2, il denominatore di Q c cresce, quindi Q c < Kc. La reazione pro-
cede verso destra finché non è di nuovo Q c = Kc, quindi [H2O] cresce.
(b) Come nella parte (a), quando si aggiunge O2, Q c < Kc. Una parte di H2S reagisce con O2
aggiunto mentre la reazione procede verso destra, quindi [H2S] decresce.
(c) Quando si rimuove H2O, il denominatore di Q c decresce, quindi Q c > Kc. Mentre la
reazione procede verso sinistra per riformare H2S, viene prodotto anche altro O2, quindi [O2]
cresce.
(d) La concentrazione di S solido rimane invariata finché ne è presente una qualche quan-
tità, quindi essa non compare nel quoziente di reazione. L’aggiunta di altro S non ha alcun
effetto, quindi [H2S] rimane invariata (ma vedi il Commento 2).
Verifica Si applichi il principio di Le Châtelier per vedere che la reazione proceda nel verso
che fa diminuire la concentrazione aumentata o fa aumentare la concentrazione diminuita.
Commento 1. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, lo zolfo esiste comunemente
sotto forma di S8. In che modo questo cambiamento della formula influenzerebbe i risultati?
L’equazione bilanciata e Q c sarebbero
8
8H2S(g) + 4O2(g) S8(s) + 8H2O(g)   Qc = [H2O]
[H2S] [O 2 ]4
8

Il valore di Kc è diverso per questa equazione, ma le variazioni descritte nel problema


hanno gli stessi effetti. Per esempio, in (a), se venisse aggiunto O2, il denominatore di Q c
crescerebbe, quindi Q c < Kc. Come prima, la reazione procederebbe verso destra finché
non si realizza nuovamente Q c = Kc. In altre parole, le variazioni previste dal principio di
Le Châtelier per una data reazione non sono influenzate da una variazione dei coefficienti
di bilanciamento.
2. Come in (d), abbiamo visto che l’aggiunta di una sostanza solida non ha alcun effetto sulle
concentrazioni degli altri componenti: la concentrazione del solido non può variare, quindi

17txt.indd 585 17/05/19 08:20


586 Capitolo 17

non compare in Q c. Ma la quantità di solido può variare. Quindi, l’aggiunta di H2S sposta la
reazione verso destra, e si forma altro S.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.11 In uno studio dell’incisione chi-


mica del vetro, un chimico inorganico esamina la reazione tra la sabbia (SiO2) e il fluoruro
di idrogeno a una temperatura superiore alla temperatura di ebollizione dell’acqua:
SiO2(s) + 4HF(g) SiF4(g) + 2H2O(g)
Si preveda l’effetto che si esercita su [SiF4] quando (a) si rimuove H2O(g); (b) si aggiunge
una certa quantità di acqua liquida; (c) si rimuove HF; (d) si rimuove una certa quantità
di sabbia.

L’effetto di una variazione della pressione (del volume)


Le variazioni della pressione hanno rilevanti effetti soltanto su sistemi in equilibrio
con componenti gassosi. A parte le transizioni di fase, una variazione della pressione
ha un effetto trascurabile sui liquidi e sui solidi perché essi sono quasi incomprimi-
bili. Le variazioni di pressione possono avvenire in tre modi:
• variazione della concentrazione di un componente gassoso;
• aggiunta di un gas inerte (un gas che non partecipa alla reazione);
• variazione del volume del recipiente di reazione.
Abbiamo appena considerato l’effetto di una variazione della concentrazione di un
componente, e il ragionamento è valido anche nel caso in questione. Vediamo quin-
di perché l’aggiunta di un gas inerte non ha alcun effetto sulla posizione dell’equilibrio.
L’aggiunta di un gas inerte non varia il volume, quindi tutte le concentrazioni dei
reagenti e dei prodotti rimangono invariate. In altre parole, il volume e il numero di
moli dei reagenti e dei prodotti gassosi rimangono invariati, quindi le loro pressioni
parziali rimangono invariate. Poiché usiamo queste pressioni parziali (invariate) nel
quoziente di reazione, la posizione dell’equilibrio non può variare. Inoltre, il gas
inerte non compare in Q, quindi non può avere alcun effetto.
D’altra parte, una variazione della pressione ottenuta variando il volume causa
spesso un grande spostamento della posizione dell’equilibrio. Supponiamo di con-
sentire al sistema PCl3-Cl2-PCl5 di raggiungere l’equilibrio in un complesso cilindro-
stantuffo. Poi esercitiamo una pressione sullo stantuffo per dimezzare il volume:
la pressione del gas raddoppia immediatamente. Per ridurre questo aumento della
pressione del gas, il sistema reagisce riducendo il numero di molecole gassose. E lo
fa nell’unico modo possibile: spostando la reazione verso il membro con meno moli
di gas, in questo caso verso il membro contenente i prodotti:
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g)
2 mol di gas 1 mol di gas
Si noti che una variazione del volume determina una variazione della concentrazione:
una diminuzione del volume del recipiente aumenta la concentrazione, mentre un
aumento del volume diminuisce la concentrazione. Si ricordi che
[PCl 5 ]
Qc =
[PCl3 ][Cl 2 ]
Quando il volume si dimezza, le concentrazioni raddoppiano, ma il denominatore
di Q c è il prodotto di due concentrazioni, quindi si quadruplica mentre il numera-
tore raddoppia soltanto. Perciò, Q c diventa minore di Kc. Di conseguenza, il sistema
forma altro PCl5 e raggiunge una nuova posizione dell’equilibrio. Essendo questo
semplicemente un altro modo di variare la concentrazione, una variazione della
pressione causata da una variazione del volume non varia Kc.
Perciò, nel caso di un sistema che contiene gas all’equilibrio, nel quale la quan-
tità (il numero di moli) di gas, ngas, varia durante la reazione (Figura 17.8):
• se il volume decresce (la pressione cresce), la reazione si sposta in modo che
il numero totale di molecole di gas decresca;

17txt.indd 586 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 587

Figura 17.8 L’effetto della


pressione (del volume) su un
sistema in equilibrio. Il sistema
di gas (in centro) è in equilibrio.
Per la reazione
+
un aumento della pressione (a
destra) diminuisce il volume,
quindi la reazione si sposta verso
destra per produrre un minor
numero di molecole. Una diminu-
zione della pressione (a sinistra)
aumenta il volume, quindi la
• se il volume cresce (la pressione decresce), la reazione si sposta in modo che reazione si sposta verso sinistra
per produrre un maggior numero
il numero totale di molecole di gas cresca. di molecole.
Ma, in molti casi, ngas non varia (Δngas = 0). Per esempio,
H2(g) + I2(g) 2HI(g)
2 mol di gas 2 mol di gas
Q c ha lo stesso numero di termini nel numeratore e nel denominatore:
[HI]2 [HI][HI]
=Qc =
[H2 ][I 2 ] [H2 ][I 2 ]
Perciò, una variazione del volume ha lo stesso effetto sul numeratore e sul denomi-
natore. Di conseguenza, se Δngas = 0, non si esercita alcun effetto sulla posizione
­dell’equilibrio.

Previsione dell’effetto di una variazione del volume


(della pressione) sulla posizione dell’equilibrio
PROBLEMA DI VERIFICA 17.12
Problema Come si potrebbe variare il volume di ciascuna delle seguenti reazioni per
aumentare la resa dei prodotti?
(a) CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)  (b) S(s) + 3F2(g) SF6(g)
(c) Cl2(g) + I2(g) 2ICl(g)
Piano In presenza di gas, una variazione del volume causa una variazione della concentra-
zione. Nel caso delle reazioni in cui il numero di moli di gas varia, se il volume decresce
(la pressione cresce), la posizione dell’equilibrio si sposta per ridurre la pressione riducendo
il numero di moli di gas. Un aumento del volume (una diminuzione della pressione) ha
l’effetto opposto.
Risoluzione (a) L’unico gas è il CO2 prodotto. Per far sì che il sistema produca altro CO2,
si aumenta il volume (si diminuisce la pressione).
(b) Con 3 mol di gas nel primo membro e soltanto 1 mol nel secondo mem­bro, si dimi­
nuisce il volume (si aumenta la pressione) per formare altro SF6.
(c) Il numero di moli di gas è lo stesso nei due membri dell’equazione, quindi una varia-
zione del volume (della pressione) non avrà alcun effetto sulla resa di ICl.
Verifica Prevediamo i valori relativi di Q c e Kc. In (a), Q c = [CO2], quindi un aumento
del volume renderà Q c < Kc, e il sistema produrrà altro CO2. In (b), Q c = [SF6]/[F2]3. Una
diminuzione del volume aumenta proporzionalmente [F2] e [SF6], ma Q c decresce a causa
dell’esponente 3 nel denominatore. Per rendere di nuovo Q c = Kc, [SF6] deve aumentare. In
(c), Q c = ([ICl]2)/([Cl2][I2]). Una variazione del volume (della pressione) influenza nella stessa
misura il numeratore (2 mol) e il denominatore (2 mol), quindi non avrà alcun effetto.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.12 Come si potrebbe variare la pres-


sione (mediante una variazione del volume) delle seguenti miscele di reazione per diminuire
la resa di prodotti?
(a) 2SO2(g) + O2(g) 2SO3(g)   (b) 4NH3(g) + 5O2(g) 4NO(g) + 6H2O(g)
(c) CaC2O4(s) CaCO3(s) + CO(g)

17txt.indd 587 17/05/19 08:20


588 Capitolo 17

L’effetto di una variazione della temperatura


Dei tre tipi di perturbazioni – variazione della concentrazione, variazione della pres-
sione o variazione della temperatura – soltanto la variazione della temperatu-
ra fa variare K. Per vedere perché, dobbiamo tenere conto del calore di reazione:
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g)    ΔH 0r = −111 kJ

La reazione diretta è esotermica (rilascia calore; ΔH 0r < 0), quindi la reazione inversa
è endotermica (assorbe calore; ΔH 0r > 0):
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g) + calore (esotermica)
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g) + calore (endotermica)

Se consideriamo il calore come un componente del sistema in equilibrio, un aumento


della temperatura “aggiunge” calore al sistema e una diminuzione della temperatura
“rimuove” calore dal sistema. Come nel caso di una variazione di qualsiasi altro com-
ponente, il sistema si sposta per ridurre l’effetto della variazione. Perciò, un aumento
di temperatura (aggiunta di calore) favorisce la direzione endotermica (assorbimento di
calore) e una diminuzione di temperatura (sottrazione di calore) favorisce la direzione
esotermica (rilascio di calore).
Essendo il sistema inizialmente in equilibrio, Q c = Kc, se si aumenta la tempe-
ratura, il sistema reagisce decomponendo una certa quantità di PCl5 in PCl3 e Cl2,
un processo che assorbe il calore aggiunto. Il denominatore di Q c cresce e il nu-
meratore decresce, quindi il sistema raggiunge una nuova posizione dell’equilibrio
in corrispondenza di un minore rapporto dei termini di concentrazione, cioè in
corrispondenza di una minore Kc. Analogamente, il sistema reagisce a una diminu-
zione di temperatura formando altro PCl5 a partire da una certa quantità di PCl3 e
di Cl2, un processo che rilascia calore. Il numeratore di Q c cresce, il denominatore
decresce, e la nuova posizione dell’equilibrio ha una Kc più alta. Perciò:
• un aumento di temperatura aumenterà Kc nel caso di un sistema con un ΔH 0r
po­sitivo;
• un aumento di temperatura diminuirà Kc nel caso di un sistema con un ΔH 0r ne­gativo.
Ripassiamo questi concetti risolvendo un problema di verifica.

Previsione dell’effetto di una variazione di temperatura


sulla posizione dell’equilibrio
PROBLEMA DI VERIFICA 17.13
Problema In che modo un aumento di temperatura influenza la concentrazione di equili-
brio della sostanza sottolineata e Kc per le reazioni seguenti?
(a) CaO(s) + H2O(l) Ca(OH)2(aq)    ΔH0r = −82 kJ
(b) CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)    ΔH0r = 178 kJ
(c) SO2(g) S(s) + O2(g)    ΔH0r = 297 kJ
Piano Scriviamo ciascuna reazione in modo da mostrare il calore come un reagente o un
prodotto. Un aumento di temperatura aggiunge calore, quindi il sistema si sposta in modo
da assorbire il calore aggiunto; cioè avviene una reazione endotermica. Kc aumenterà se la
reazione diretta è endotermica e diminuirà se è esotermica.
Risoluzione (a) CaO(s) + H2O(l) Ca(OH)2(aq) + calore
L’aggiunta di calore sposta il sistema verso sinistra: [Ca(OH)2] e Kc decrescono.
(b) CaCO3(s) + calore CaO(s) + CO2(g)
L’aggiunta di calore sposta il sistema verso destra: [CO2] e Kc crescono.
(c) SO2(g) + calore S(s) + O2(g)
L’aggiunta di calore sposta il sistema verso destra: [SO2] decresce e Kc cresce.
Verifica Si possono verificare i risultati ripercorrendo il ragionamento per una diminu-
zione di temperatura: si rimuove calore e il verso esotermico è favorito. Tutti i risultati
dovrebbero essere opposti.

17txt.indd 588 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 589

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.13 In che modo una diminuzione di • Sistemi dipendenti dalla
temperatura Esiste un’impres-
temperatura influenza la pressione parziale della sostanza sottolineata e il valore di Kp per sionante somiglianza tra le espressio-
ciascuna delle seguenti reazioni? ni per la dipendenza di K (costante
(a) C(grafite) + 2H2(g) CH4(g)    ΔH0r = −75 kJ di equilibrio), k (costante di velocità)
(b) N2(g) + O2(g) 2NO(g)    ΔH0r = 181 kJ e P (pressione di vapore di equilibrio)
dalla temperatura:
(c) P4(s) + 10Cl2(g) 4PCl5(g)    ΔH0r = −1528 kJ
K ΔH r0 ⎛⎜ 1 1⎞
ln 2 = − ⎜ − ⎟⎟
K1 R ⎜⎝ T2 T1 ⎟⎟⎠
L’equazione di van’t Hoff: variazione di K al variare di T L’equazione di van’t k2 E ⎛1 1⎞
Hoff mostra matematicamente come la costante di equilibrio varia al variare della ln = − a ⎜⎜ − ⎟⎟⎟
k1 R ⎜⎝ T2 T1 ⎟⎠
temperatura:
P2 ΔH vap ⎛⎜ 1 1⎞
⎛1 ⎞ ln =− ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟
K ΔH r0
⎜⎜ − 1 ⎟⎟ P1 R ⎝ T2 T1 ⎠
ln 2 = − (17.10)
K1 R ⎝ T2 T1 ⎟⎟⎠
⎜ Ciascun termine (K, k o P) correlato
con la concentrazione dipende da
dove K1 è la costante di equilibrio alla temperatura T1, K2 è la costante di equili- T attraverso un termine di energia
brio alla temperatura T2 e R è la costante universale dei gas [8,314 J/(mol ⋅ K)]. Se (ΔH 0r , Ea o ΔH vap) diviso per R. La
somiglianza è dovuta al fat­ to che
conosciamo ΔH 0r e K a una temperatura, l’equazione di van’t Hoff ci permette di le equazioni esprimono la stessa
trovare K a qualsiasi altra temperatura (o di trovare ΔH 0r se conosciamo le due K in relazione. K è uguale a un rapporto
corrispondenza di due T). di costanti di velocità, e Ea(diretta) −
Proponiamo qui un tipico problema che richiede l’equazione di van’t Hoff. I Ea(inversa) = ΔH 0r . Nel caso della pres-
sione di vapore, per la transizione
processi di gassificazione del carbone fossile cominciano di solito con la formazione di fase A(l) A(g), il calore di
di syngas (gas di sintesi) a partire da carbonio e vapore acqueo: reazione è uguale al calore di vapo-
rizzazione: ΔH vap = ΔH 0r . Inoltre, la
C(s) + H2O(g) CO(g) + H2(g)  ΔH 0r = 131 kJ/mol costante di equilibrio è uguale alla
Un ingegnere sa che Kp è soltanto 9,36  ×  10−17 a 25 °C e quindi vuole trovare una pressione di vapore di equilibrio:
Kp = PA.
temperatura che permetta una resa molto più alta. Si vuole calcolare Kp a 700 °C.

K2 ΔH r0 ⎛⎜ 1 1⎞
ln =− ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟
K1 R ⎝ T2 T1 ⎠

Le temperature devono essere convertite, quindi abbiamo

⎛ Kp2 ⎞⎟ 131×103 J/mol ⎛⎜ 1 1 ⎞⎟


ln ⎜⎜ ⎟=− ⎜⎜⎝ − ⎟
⎜⎝ 9,36 ×10−17 ⎟⎠ 8,314 J/(mol ⋅ K) 973 K 298 K ⎟⎠

Kp2
= 8,51×1015
9,36 ×10−17
Kp2 = 0,797

L’Equazione 17.10 conferma la previsione qualitativa basata sul principio di Le


Châtelier: per un aumento di temperatura, abbiamo
T2 > T1    e    1/T2 < 1/T1,  quindi  1/T2 − 1/T1 < 0
Perciò:
• per una reazione endotermica (ΔH0r > 0), il termine −(ΔH0r /R) è < 0 ed essendo
1/T2 − 1/T1 < 0, il secondo membro dell’equazione è > 0, perciò ln (K2/K1) > 0
e quindi K2 > K1;
• per una reazione esotermica (ΔH 0r < 0), il termine −(ΔH 0r /R) è > 0 ed essendo
1 / T2 − 1/T1 < 0, il secondo membro dell’equazione è < 0, perciò ln (K2/K1)
< 0 e quindi K2 < K1.

L’assenza di effetto di un catalizzatore


Consideriamo brevemente un’ultima perturbazione esterna del sistema reagen-
te: l’aggiunta di un catalizzatore. Come abbiamo visto nel capitolo precedente,
un catalizzatore accelera una reazione fornendo un meccanismo alternativo con

17txt.indd 589 17/05/19 08:20


590 Capitolo 17

Tabella 17.4 Effetto di varie perturbazioni su un sistema in equilibrio


Perturbazione Verso netto della reazione Effetto sul valore di K
Concentrazione
Aumento di [reagente] Verso la formazione di prodotto Nessuno
Diminuzione di [reagente] Verso la formazione di reagente Nessuno

• Moto
zato?
perpetuo cataliz-
Aumento di [prodotto]
Diminuzione di [prodotto]
Verso
Verso
la
la
formazione
formazione
di
di
reagente
prodotto
Nessuno
Nessuno
La macchina mostrata qui
sopra è costituita da uno stantuffo Pressione
orizzontale collegato a un volano, il Aumento di P Verso la formazione di meno Nessuno
cui bilanciere, contenente un cata-    (diminuzione di V ) moli di gas
lizzatore, entra nella reazione che Diminuzione di P Verso la formazione di più Nessuno
si svolge nel cilindro e ne esce.    (aumento di V ) moli di gas
Cosa accadrebbe se il catalizzatore
riuscisse ad aumentare la velocità di Aumento di P Nessuno; concentrazione invariata Nessuno
dissociazione di PCl5 ma non quella    (aggiunta di gas inerte,
della sua formazione? Nel cilindro,    nessuna variazione di V )
il catalizzatore accelererebbe la dis- Temperatura
sociazione di PCl5 in PCl3 e Cl2 −
1 mol di gas in 2 mol – aumentando Aumento di T Verso l’assorbimento di calore Aumenta se ΔH 0r > 0
la pressione del gas e spingendo lo Diminuisce se ΔH 0r < 0
stantuffo verso l’esterno. Quando il
Diminuzione di T Verso il rilascio di calore Aumenta se ΔH 0r < 0
catalizzatore è fuori del cilindro, PCl3
e Cl2 riformerebbero PCl5, abbassan-
Diminuisce se ΔH 0r > 0
do la pressione del gas e facendo Aggiunta di catalizzatore Nessuno; l’equilibrio è raggiunto Nessuno
muovere lo stantuffo verso l’interno.
Il processo fornirebbe energia utile
senza alcun apporto di energia dal­
l’esterno. Se un catalizzatore spostas-
se la posizione dell’equilibrio, sarem-
­un’energia di attivazione più bassa, aumentando così nella stessa misura la velo-
mo in grado di progettare macchine cità della reazione diretta e quella della reazione inversa. In altre parole, abbrevia
stupefacenti! l’intervallo di tempo necessario per raggiungere le concentrazioni finali. Perciò, un
catalizzatore abbrevia l’intervallo di tempo necessario per raggiungere l’equilibrio, ma
non influisce sulla posizione dell’equilibrio.
Per esempio, se aggiungiamo un catalizzatore a una miscela di PCl3 e Cl2 a 523 K,
il sistema raggiungerà le stesse concentrazioni di equilibrio di PCl3, Cl2 e PCl5 più
rapidamente che in assenza del catalizzatore. Come vedremo tra poco, i catalizzatori
svolgono spesso ruoli essenziali nell’ottimizzazione dei sistemi di reazione.
La scheda Chimica nella produzione industriale a fine capito concentra l’atten-
zione su un settore che applica i principi dell’equilibrio chimico: un importante
processo industriale, il processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca.
La Tabella 17.4 riassume gli effetti del cambiamento delle condizioni sulla
posizione dell’equilibrio. Si noti che molte perturbazioni variano la posizione del­
l’equilibrio, ma soltanto le variazioni di temperatura variano il valore della costante
di equilibrio.

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


[NO]4 [H2O]6 Q c(complessivo) =
 Q c1  ×  Q c2  ×  Q c3
17.1 (a) Qc =
[NH3 ]4 [O 2 ]5 [Br]2 [HBr] [H] [HBr]
= × ×
[N 2O][NO 2 ] [Br2 ] [Br] [H2 ] [H][Br]
(b) Qc =
[NO3 ] [HBr]2
=
[H2 ][Br2 ]
17.2 H2(g) + Br2(g) 2HBr(g); 17.3 (a) Kc = Kc(rif)
1/2
= 2,8  ×  104
[HBr]2 ⎛ 1 ⎞⎟2/3
Q c(complessivo) = (b) Kc = ⎜⎜ ⎟ = 1,2  ×  10−6
[H2 ][Br2 ] ⎜⎜⎝ K ⎟⎟⎠
c(rif)

17txt.indd 590 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 591

⎛ atm ⋅ L ⎞−1 17.9 (a) In base alla tabella di reazione e nell’ipotesi che
 1,67 ⎜⎜0,0821
17.4 Kp = Kc(RT )−1 = × 5, 00 ×102 K⎟⎟⎟ 0,20 M − x  0,20 M,
⎝ mol ⋅ K ⎠
= 4,07  ×  10−2 4x 2
Kc = 2,94  ×  10−10    x  3,8  ×  10−6 M
0,20
17.5 Q p = (PCH2Cl )(PHCl ) = (0,24)(0,47) = 25; Errore = 1,9  ×  10−3 %, quindi l’ipotesi è giustificata; perciò,
(PCH4 )(PCl2 ) (0,13)(0,035) all’equilibrio, [I2] = 0,20 M e [I] = 7,6  ×  10−6 M.
Q p < Kp , quindi si forma CH3Cl. (b) In base alla stessa tabella di reazione e alla stessa
17.6 Dalla tabella di reazione per 2NO + O2 2NO2 , ipotesi, x  0,10 M; errore = 50%, quindi l’ipotesi non è
giustificata. Risolviamo l’equazione:
PO2 = 1,000 atm − x = 0,506 atm; x = 0,494 atm
Inoltre, PNO = 0,012 atm e PNO2 = 0,988 atm, quindi 4x2 + 0,209x − 0,042 = 0   x = 0,080 M

0,9882 Perciò, all’equilibrio, [I2] = 0,12 M e [I] = 0,16 M.


Kp = = 1,3  ×  104
(0,012) 2 (0,506)
(0,0900)(0,0900)
17.10 (a) Q c = = 3,86  ×  10−2;
17.7 Poiché Δngas = 0, Kp = Kc = 2,3  ×  1030 = (0,781)(0,209) 0, 2100
2
PNO
Perciò PNO = 2,7  ×  10−16 atm Q c < Kc, quindi la reazione procede verso destra.
17.8 Dalla tabella di reazione, (b) In base alla tabella di reazione,
[H2] = [I2] = x [PCl5] = 0,2100 M − x = 0,2065 M  x = 0,0035 M
[HI] = 0,242 − 2x Quindi, [Cl2] = [PCl3] = 0,0900 M + x = 0,0935 M
x2 17.11 (a) [SiF4] aumenta; (b) diminuisce; (c) diminuisce;
Perciò Kc = 1,26  ×  10−3 =
(0,242 − 2x ) 2 (d) nessun effetto.
Estraendo la radice quadrata di entrambi i membri, trascurando 17.12 (a) Diminuire P; (b) aumentare P; (c) aumentare P.
la radice negativa e risolvendo, otteniamo: x = [H2] = 17.13 (a) PH2 diminuirà; Kp aumenterà; (b) PN2 aumenterà;
8,02  ×  10−3 M. Kp diminuirà; (c) PPCl2 aumenterà; Kp aumenterà.

La chimica nelle altre scienze


Chimica nella produzione industriale

Il processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca


L’azoto è presente in molti composti naturali e sintetici Il processo fu ideato dal chimico tedesco Fritz Haber, che
essenziali. La fonte di gran lunga più ricca di azoto è l’at- per la sintesi dell’ammoniaca ricevette il premio Nobel per
mosfera, dove quattro molecole su cinque sono molecole la chimica nel 1918, e utilizzato per la prima volta nel
di N2. Ma, nonostante questa abbondanza, la disponibilità 1913. Dai suoi umili inizi in un impianto con una capa-
di azoto utilizzabile per i processi biologici e industriali è cità produttiva di 12 000 tonnellate all’anno, la produzio-
limitata a causa della bassa reattività chimica di N2. A causa ne mondiale di ammoniaca è esplosa al livello attuale di
del forte legame triplo che tiene uniti due atomi di N, la più di 110 milioni di tonnellate all’anno. Su base molare,
“fissazione” dell’atomo di azoto, cioè la sua combinazione viene prodotta indu­strialmente più ammoniaca che qual-
con altri atomi, è molto difficile. siasi altro composto. Più dell’80% di questa ammoniaca è
In natura, la fissazione dell’azoto avviene mediante utilizzato nei fertilizzanti. In realtà, la forma di fertilizzan-
l’alta specificità di enzimi presenti in batteri che vivono te più comune è costituita da NH3 liquida anidra, com-
sulle radici delle piante oppure mediante l’energia dei ful- pressa, iniettata direttamente nel suolo. Gli altri impieghi
mini. Quasi il 13% della fissazione dell’azoto sulla Terra è dell’ammoniaca comprendono la produzione di esplosivi,
effettuata industrialmente mediante il processo Haber mediante la formazione di HNO3, e la produzione di nylon
per la formazione dell’ammoniaca a partire dai suoi ele- e altri polimeri. Quantità minori sono utilizzate come re-
menti: frigeranti, stabilizzanti delle gomme e detergenti per usi
domestici e nella sintesi di prodotti farmaceutici e altri
N2(g) + 3H2(g) 2NH3(g)    ΔH 0r = −91,8 kJ composti organici.

17txt.indd 591 17/05/19 08:20


592 Capitolo 17

Il processo Haber offre un’eccellente opportunità di appli-


cazione dei principi dell’equilibrio chimico e di constata-
re i compromessi necessari per rendere economicamente
redditizio un processo industriale. Esaminando l’equazione
bilanciata, possiamo vedere tre modi di massimizzare la resa
di ammoniaca.
1. 
Diminuzione di [NH3]. L’ammoniaca è il prodotto, quindi,
rimuovendolo via via che si forma, si induce il sistema
a produrne di più nel tentativo continuo di ristabilire
l’equilibrio.
2. 
Diminuzione del volume (aumento della pressione). Poi-
ché 4 mol di gas reagiscono per formare 2 mol di
gas, la diminuzione del volume sposterà la posizione
dell’equilibrio verso un minor numero di molecole di
gas, cioè verso la formazione di ammoniaca.
3. 
Diminuzione della temperatura. Poiché la formazione di Figura S17.1 Resa percentuale di ammoniaca in funzione
ammoniaca è esotermica, una diminuzione di tempe- della temperatura (in gradi celsius) in corrispondenza di
ratura (sottrazione di calore) sposterà la posizione del­ differenti pressioni di funzionamento. A pressione molto alta
e a temperatura bassa (in alto a sinistra), la resa è alta, ma la
l’equilibrio verso il prodotto, aumentando così Kc (Tabel- velocità di formazione è bassa. Le condizioni industriali (circo-
la S17.1). letto) sono comprese tra 200 e 300 atm a circa 400 °C.
Tabella S17.1 Effetto della temperatura su Kc
per la sintesi dell’ammoniaca
ta pressione e la rimozione continua per aumentare la resa,
T (K) Kc ma si innalza la temperatura a un livello moderato e si usa
200 7,17  ×  1015 un catalizzatore per aumentare la velocità di reazione. Per
ottenere la stessa velocità senza un catalizzatore si devono
300 2,69  ×  108
usare temperature molto più alte con una resa molto più
400 3,94  ×  104 bassa.
500 1,72  ×  102 Gli stadi nella produzione industriale di ammoniaca
600 4,53  ×  100 sono schematizzati nella Figura S17.2. Per allungare la
700 2,96  ×  10−1 vita dell’impianto e minimizzare i costi, i moderni im-
800 3,96  ×  10−2 pianti di produzione dell’ammoniaca operano a pressioni
di 200 ÷ 300 atm e a temperature di circa 673 K
Perciò, le condizioni ideali per la massimizzazione della resa (4,00  ×  102 °C). Il catalizzatore è costituito da agglomerati
di ammoniaca sono la rimozione continua di NH3 via via di 5 ÷ 10 mm di diametro di cristalli di ferro inclusi in
che si forma, un’alta pressione e una bassa temperatura. La una miscela fusa di MgO, Al2O3 e SiO2. Il rapporto ste-
Figu­ra S17.l presenta la resa percentuale di ammoniaca in chiometrico dei gas reagenti compressi (N2 : H2 = 1 : 3 in
varie condizioni di pressione e temperatura. Si noti la con- volume) è iniettato nella camera di reazione pressurizzata
versione quasi completa (98,3%) in ammoniaca alla pressione e riscaldata, dove fluisce su letti catalizzatori. Una parte
di 1000 atm e alla temperatura relativamente bassa di 473 K del calore necessario è fornito dalla variazione di entalpia
(2,00 × 102 °C). della reazione. La miscela in equilibrio uscente dall’im-
Purtroppo, sorge un problema che pone in rilievo la pianto, che contiene circa il 35% di NH3 in volume, viene
distinzione tra i principi dell’equilibrio e la cinetica. Anche raffreddata da serpentine refrigeranti finché NH3 (tempe-
se la resa è favorita da una bassa temperatura, la velocità di ratura di ebollizione, −33,4 °C) non condensa e viene ri-
formazione non lo è. In realtà, l’ammoniaca si forma così mossa. La temperatura di ebollizione di N2 e quella di H2
lentamente a bassa temperatura che il processo diventa sono molto più basse, quindi essi rimangono nello stato
antieconomico. In pratica, si adotta un compromesso che gassoso e vengono riciclati con pompe che li inviano nel-
ottimizza la resa e la velocità di formazione. Si usano un’al- la camera di reazione per continuare il processo.

Figura S17.2 Stadi essenziali nel processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca.

17txt.indd 592 17/05/19 08:20


L’equilibrio: l’entità delle reazioni chimiche 593

La chimica nelle altre scienze


Chimica nelle scienze biologiche

Metabolismo cellulare:
architettura e controllo di un percorso metabolico
Qualsiasi cellula, dal più semplice batterio al neurone 1. 
Ogni passaggio procede con una resa vicina al 100%.
più specializzato, ospita migliaia di reazioni che le per- Ogni molecola di treonina che entra nella zona inte-
mettono di crescere, riprodursi, nutrirsi, espellere pro- ressata della cellula si trasforma in 2-chetobutirrato,
dotti di scarto, muoversi e comunicare. Complessiva- ogni molecola di 2-chetobutiurrato nel prodotto suc-
mente, questa miriade di processi di scissione e sintesi cessivo e così via.
e i flussi di energia connessi costituiscono il metabolismo 2. 
Le concentrazioni di reagenti e prodotti rimangono
cellulare e sono strutturati in sequenze di reazioni chia- praticamente costanti, perché si raggiunge uno stato
mate percorsi metabolici. stazionario.
• Le uguali velocità della reazione diretta e di
Continuo spostamento verso i prodotti quella inversa in un sistema in equilibrio gene-
In linea di principio, ogni passaggio di un percorso me- rano una concentrazione costante di reagenti e
tabolico è una reazione reversibile catalizzata da uno prodotti.
specifico enzima (Paragrafo 16.8). L’equilibrio però non • Quando il sistema è nello stato stazionario, le
è mai raggiunto in un percorso metabolico perché ogni uguali velocità delle reazioni che coinvolgono
prodotto diventa il reagente della reazione successiva. le specie che entrano ed escono dal sistema
Si considerino i cinque passaggi del percorso in cui generano una concentrazione costante degli
l’amminoacido treonina è convertito nell’amminoacido intermedi.
leucina (Figura S17.3). La treonina, proveniente da una
diversa regione della cellula, forma il 2-chetobutirrato Il 2-chetobutirrato, per esempio, si forma nella reazio-
attraverso l’azione catalitica dell’enzima 1. L’equilibrio ne 1 con la stessa velocità con cui è consumato nella
della prima reazione è spostato verso destra perché il reazione 2 e la sua concentrazione è costante. (Si può
prodotto, 2-chetobutirrato, è il reagente della seconda generare uno stato stazionario per l’acqua riempiendo
reazione. Analogamente, la reazione 2 è anch’essa spo- un lavandino e poi regolando il flusso del rubinetto in
stata verso destra perché il prodotto, 2-etil-2-idrossi- maniera tale che le velocità di immissione e di deflusso
3-osso-butanoato, è utilizzato nella reazione 3. Così, dallo scarico dell’acqua siano uguali).
ogni reazione successiva sposta la precedente verso
destra. Il prodotto finale, l’isoleucina, viene utilizzato Controllo attraverso inibizione feedback
in ulteriori reazioni di sintesi di proteine in altre zone Nel Capitolo 16 abbiamo visto che le concentrazioni di
della cellula, così l’intero percorso metabolico opera in substrato sono molto minori di quelle degli enzimi. Se i
una sola direzione. siti attivi di tutte le molecole di enzima fossero sempre
occupati, tutte le reazioni cellulari avverrebbero alla loro
Creazione di uno stato stazionario massima velocità. Benché ideale per un processo indu-
striale, questo effetto potrebbe danneggiare un organi-
Il continuo spostamento della posizione di equilibrio ha
smo in cui le quantità delle varie specie presenti devono
due conseguenze sul processo metabolico.
essere accuratamente controllate. Per regolare la forma-

Enzima 1 Enzima 2 Enzima 3 Enzima 4 Enzima 5


Treonina deidratasi

2-Etil-2-idrossi-
2-Chetobu- Diidrossi- 3-Metil-2-osso-
TREONINA 3-osso- ISOLEUCINA
tirrato metilvalerato pentanoato
butanoato

INIBIZIONE

Figura S17.3 La biosintesi dell’isoleucina a partire dalla treonina. L’isoleucina viene sintetizzata attraverso una sequenza
di cinque reazioni catalizzate da enzimi. Quando la concentrazione di isoleucina diventa sufficientemente alta, essa esercita
­un’azione inibitoria sulla treonina deidratasi che è l’enzima che catalizza il primo passaggio della sequenza.

17txt.indd 593 17/05/19 08:20


594 Capitolo 17

zione dei prodotti, alcuni passaggi chiave sono controllati


Il substrato può legarsi In presenza dell’inibitore,
da enzimi regolatori, i quali, oltre ad avere un sito attivo, al sito attivo in assenza il sito attivo dell’enzima
hanno anche un sito di inibizione (Figura S17.4A). Quando dell’inibitore permettendo si deforma impedendo
il sito dell’inibitore è occupato, si ha una deformazione il processo catalitico. al substrato di legarsi
e non si ha catalisi.
della geometria del sito attivo e la reazione non è cataliz-
zata (Figura S17.4B).
Nel caso più semplice di regolazione metabolica (Fi-
gura S17.3), il prodotto finale del percorso è l’inibitore e l’en-
zima regolatore catalizza il primo passaggio. Supponiamo,
per esempio, che una cellula stia producendo una bassa
quantità di una proteina e dunque l’isoleucina non ven-
Porzione di enzima Porzione di enzima
ga rimossa abbastanza rapidamente. Man mano che la
sua concentrazione sale, l’isoleucina si lega sempre più
spesso al sito di inibizione della treonina deidratasi, il
primo enzima del nostro percorso metabolico, inibendo
quindi la sua stessa produzione. Sito di legame dell’inibitore Inibitore legato al sito
Questo processo si chiama inibizione feedback del A B

prodotto. Percorsi metabolici più complessi hanno sche- Figura B17.4 Effetto del legame con un inibitore sulla
mi regolatori più elaborati. forma del sito attivo.

17txt.indd 594 17/05/19 08:20


Equilibri acido-base 18
Acidi e basi sono usati come composti chimici di laboratorio fin dai tempi degli DA SAPERE PRIMA
alchimisti e sono tuttora indispensabili, non solo nei laboratori industriali o accade­
• ruolo dell’acqua come solvente
mici, ma anche per usi domestici. La Tabella 18.1 mostra alcuni acidi e basi comuni (Paragrafo 4.1)
e i loro impieghi familiari. Si noti che alcuni degli acidi (per esempio, l’acido ace­ • scrittura delle equazioni ioniche
tico e l’acido citrico) hanno un sapore acido. In realtà, fin dal XVII secolo, il sapore totali e nette (Paragrafo 4.2)
• acidi, basi e reazioni acido-base
acido è stato una delle proprietà che definiscono gli acidi. Un acido era qualsiasi (Paragrafo 4.4)
sostanza che avesse un sapore acido, reagisse con metalli attivi, quali l’alluminino • trasferimento protonico nelle
e lo zinco, per produrre idrogeno gassoso e conferisse colori caratteristici a certi reazioni acido-base (Paragrafo 4.4)
• proprietà di una costante di
composti organici. (Esamineremo questi composti, noti come indicatori, più avanti equilibrio (Paragrafo 17.2)
in questo capitolo e nel capitolo seguente.) Una base, d’altra parte, era qualsiasi • risoluzione dei problemi di equi­
sostanza che avesse un sapore amaro, fosse viscida al tatto e conferisse differenti librio (Paragrafo 17.5)
colori caratteristici agli stessi composti organici.* Inoltre si sapeva che, quando gli
acidi e le basi reagiscono, ciascuno annulla le proprietà dell’altro in un processo
detto neutralizzazione.
L’evoluzione delle definizioni è comune nella scienza. Via via che si compren­
dono altri fenomeni, una prima descrizione diventa troppo limitata e viene sosti­
PIONIERI DELLA CHIMICA
tuita con un’altra più generale. Anche se le prime definizioni degli acidi e delle basi DEGLI ACIDI E DELLE BASI
descrivevano alcune proprietà caratteristiche, esse furono sostituite inevitabilmen­
te da definizioni basate sulla natura molecolare del comportamento acido-base.
IN QUESTO CAPITOLO presenteremo in successione tre definizioni di acidi e
basi che ci permetteranno di comprendere un numero crescente di reazioni.
Strada facendo, vedremo come i principi dell’equilibrio chimico si applicano
a questo gruppo essenziale di sostanze. Dopo avere presentato la definizione
classica di acidi e basi (secondo Arrhenius), esamineremo la dissociazione degli
acidi come un processo di equilibrio per vedere perché gli acidi variano nella
loro forza. Poi introdurremo la scala del pH come mezzo per confrontare l’acidi-
tà o la basicità delle soluzioni acquose. Quindi vedremo come la definizione di
Brønsted-Lowry amplia notevolmente il significato di “base” e, insieme a esso,
delle trasformazioni chimiche che consideriamo reazioni acido-base. Esamine-
remo le strutture molecolari degli acidi e delle basi per spiegare le variazioni di
forza e poi vedremo che le stesse qualificazioni di “acido” e “base” dipendono
dalle forze relative di queste sostanze e dal solvente in cui avviene la reazione.
Infine, esamineremo la definizione di acidi e basi secondo Lewis, che amplia
ulteriormente il significato di “acido” e di ciò che consideriamo un comporta-
mento acido-base.

* Nonostante ciò che i chimici del XVII secolo possano avere fatto, non si deve MAI assaggiare o toccare
i composti chimici di laboratorio. Infatti, molti di essi, compresi gli acidi e le basi comuni, sono nocivi
e possono causare gravi ustioni. Per soddisfare la vostra curiosità, verificate il sapore acido di un acido
nell’aceto usato per condire l’insalata o nel succo di limone usato per insaporire le fritture di pesce.

18txt.indd 595 16/05/19 11:22


596 Capitolo 18

Tabella 18.1 Alcuni acidi e basi comuni e loro impieghi nella casa
Sostanza Uso
Acidi
Acido acetico, CH3COOH Aromatizzante, conservante
Acido citrico, H3C6H5O7 Aromatizzante
Acido fosforico, H3PO4 Rimozione della ruggine
Acido borico, H3BO3 Antisettico blando; insetticida
Sali di alluminio, Nel lievito in polvere, insieme a
NaAl(SO4)2˜12H2O idrogenocarbonato di sodio
Acido cloridrico Detergente per mattoni e piastrelle
(acido muriatico), HCl di ceramica

Basi
Idrossido di sodio, Detergente per forni, disotturante
NaOH per scarichi
Ammoniaca, NH3 Detergente per usi domestici
Carbonato di sodio, Na2CO3 Addolcitore dell’acqua, sgrassante
Idrogenocarbonato di sodio, Estinguente antincendio, agente
NaHCO3 lievitante nelle miscele per dolci
(lievito in polvere), antiacido blando
Fosfato di sodio, Detergente per superfici prima
Na3PO4 della pitturazione o dell’applicazione
di carte da parati
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.

18.1 ACIDI E BASI IN ACQUA


Anche se l’acqua non è un componente essenziale in tutte le definizioni moderne
di acidi e basi, la maggior parte del lavoro di laboratorio con acidi e basi implica
l’acqua, così come la implica la maggior parte delle applicazioni ambientali, biolo­
giche e industriali importanti. Come abbiamo visto nella trattazione introduttiva al
Capitolo 4, l’acqua è un prodotto in tutte le reazioni tra acidi forti e basi forti:
HCl(aq ) + NaOH(aq ) ⎯ ⎯
→ NaCl(aq ) + H2O(l )

In effetti, come mostra l’equazione ionica netta di questa reazione, l’acqua è il pro­
 dotto:
H+ (aq ) + OH− (aq ) ⎯ ⎯
→ H2O(l )

Inoltre, quando un acido si dissocia in acqua, le molecole di solvente partecipano


alla reazione:
H3O
→ A− (aq ) + H3O+ (l )
HA(g o l ) + H2O(aq ) ⎯ ⎯

Come abbiamo visto in quella trattazione, l’acqua circonda il protone per formare
Figura 18.1 Natura del pro-
tone idrato. Quando un acido una specie con legami idrogeno di formula generale H(H2O)+ n . Poiché il protone è
si scioglie in acqua, il protone molto piccolo, la sua densità di carica (carica volumica) è molto alta, quindi la sua
rilasciato forma uno ione idronio attrazione verso l’acqua è particolarmente forte. Il protone si lega covalentemente a
(H3O+) legandosi covalentemen- una delle coppie solitarie di elettroni dell’atomo di O di una molecola d’acqua per
te a una molecola d’acqua. Lo
formare uno ione idronio, H3O+, che forma legami idrogeno con altre molecole
ione H3O+ si lega con legami
a idrogeno ad altre molecole d’acqua; lo ione H(H2O)3+ è visualizzato nella Figura 18.1. Per porre in rilievo il ruolo
d’acqua, formando una miscela attivo dell’acqua nella chimica degli acidi e delle basi in soluzione acquosa e la na­
di specie di formula generale tura dell’interazione protone-acqua, il protone idrato è rappresentato generalmente
H(H2O)n+. Qui è mostrato lo ione nel testo come H3O+(aq), anche se in alcuni casi questa specie idrata è rappresenta­
H(H2O)3+ (o H7O3+).
ta più semplicemente come H+(aq).

18txt.indd 596 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 597

Rilascio di protone o di ione idrossido e definizione classica


di acidi e basi
La prima e più semplice definizione di acidi e basi che rispecchia la loro natura
chimica su scala molecolare fu proposta dal chimico e fisico svedese Svante August
Arrhenius (1859-1927) che abbiamo già incontrato nel Capitolo 16, per i suoi studi
sulla costante di velocità. Nella definizione classica di acidi e basi (secondo
Arrhenius), gli acidi e le basi sono classificati in termini delle loro formule e del
loro comportamento in acqua.
• Un acido è una sostanza che contiene H nella sua formula e si dissocia in acqua
per produrre H3O+.
• Una base è una sostanza che contiene OH nella sua formula e si dissocia in
acqua per produrre OH−.
Alcuni tipici acidi di Arrhenius sono HCl, HNO3 e HCN, e alcune tipiche basi di Arrhe­
nius sono NaOH, KOH e Ba(OH)2. Anche se le basi di Arrhenius contengono nelle loro
strutture ioni OH− discreti, gli acidi di Arrhenius non contengono mai ioni H+. Per
contro, questi acidi contengono atomi di H legati covalentemente che si ionizzano in acqua.
Quando un acido e una base reagiscono, subiscono neutralizzazione. Come
abbiamo detto, gli scienziati del XVII secolo osservarono anche questa capacità di
un acido di annullare, o neutralizzare, le proprietà di una base, e viceversa. Come
vedremo in seguito, il significato delle reazioni acido-base è cambiato insieme alle
definizioni di acidi e di basi, ma, nel senso di Arrhenius, la neutralizzazione avviene
quando lo ione H+ proveniente dall’acido e lo ione OH− proveniente dalla base si combina-
no per formare H2O. Questa descrizione spiega un’osservazione che sconcertava molti
dei colleghi di Arrhenius. Essi osservarono che tutte le reazioni di neutralizzazione
tra quelli che oggi consideriamo acidi forti e basi forti (quelli che si dissociano com­
pletamente in acqua) avevano lo stesso calore di reazione. Indipendentemente da
quale acido forte e quale base forte reagissero, e indipendentemente da quale sale si
formasse, ΔHr0 era pari a circa −56 kJ per mole di acqua che si formava. Arrhenius
ipotizzò che il calore di reazione fosse sempre lo stesso perché la reazione effettiva
era sempre la stessa: uno ione idrogeno e uno ione idrossido formavano acqua:
H+ (aq ) + OH− (aq ) ⎯ ⎯
→ H2O(l ) ΔH r0 = −55,9 kJ

Il sale disciolto che si formava insieme all’acqua, per esempio NaCl nella reazione
dell’idrossido di sodio con l’acido cloridrico,
Na+ (aq ) + OH− (aq ) + H+ (aq ) + Cl− (aq ) ⎯ ⎯
→ Na+ (aq ) + Cl− (aq ) + H2O(l )

non influenzava il ΔHr0, ma esisteva sotto forma di ioni spettatori idrati.


Nonostante la sua importanza a quel tempo, la definizione classica mostrò pre­
sto le sue limitazioni. Arrhenius e molti altri si resero conto che alcune sostanze
che non contengono OH nella loro formula si comportano come basi. Per esempio,
anche NH3 e K2CO3 producono OH− in acqua. Come vedremo tra poco, per inclu­
dere queste specie sono necessarie definizioni più generali di acidi e basi.

Variazione della forza degli acidi:


la costante di dissociazione acida (Ka)
Gli acidi e le basi differiscono ampiamente nella loro forza in acqua, cioè nella
quantità di ioni H3O+ o OH− prodotti ogni mole di sostanza disciolta. Gli acidi
e le basi sono generalmente classificati come forti o deboli, a seconda dell’entità
della loro dissociazione in ioni in acqua (vedi Tabella 4.2). Ma è importante tenere
presente che esiste una gradazione di forza, come vedremo quantitativamente tra
poco. Gli acidi e le basi sono elettroliti in acqua, quindi questa classificazione della
forza degli acidi e delle basi è correlata con la precedente classificazione della forza
degli elettroliti: gli elettroliti forti si dissociano completamente e gli elettroliti deboli si
dissociano parzialmente.

18txt.indd 597 16/05/19 11:22


598 Capitolo 18

• Gli acidi forti si dissociano completamente in ioni in acqua (Figura 18.2A):

→ H3O+ (aq ) + A− (aq )


HA(g o l ) + H2O ⎯ ⎯

In una soluzione diluita di un acido forte, sono pressoché assenti le molecole di


HA, cioè [H3O+] = [A−]  [HA]iniz. In altre parole, [HA]eq  0, quindi il valore
di Kc è estremamente grande:
[H3O+ ][A− ]
=Qc = (all’equilibrio, Q c Kc  1)
[HA][H2O]

Poiché la reazione è sostanzialmente completa, non è molto utile esprimerla


come un processo di equilibrio. Per esempio, in una soluzione acquosa diluita
di acido nitrico, sono pressoché assenti molecole di acido nitrico indissociate:

→ H3O+ (aq ) + NO−3 (aq )


HNO3 (l ) + H2O(l ) ⎯ ⎯

• Gli acidi deboli si dissociano molto debolmente in ioni in acqua (Figura 18.2B):

HA(aq ) + H2O(l )   H3O+ (aq ) + A− (aq )




In una soluzione diluita di un acido debole, la grande maggioranza delle molecole


di HA sono indissociate. Perciò, [H3O+] = [A−] = [HA]iniz. In altre parole, [HA]eq
 [HA]iniz, quindi il valore di Kc è molto piccolo. L’acido cianidrico è un esempio
di acido debole:
HCN(aq ) + H2O(l )   H3O+ (aq ) + CN− (aq )


[H3O+ ][CN− ]
=Qc = (all’equilibrio, Q c Kc  1)
[HCN][H2O]

Prima della Dopo la


dissociazione dissociazione

H3O
Numero relativo di moli

A

HA HA H3O A

A Acido forte: HA(g oppure l)  H2O(l) H3O(aq)  A(aq)


Figura 18.2 L’entità della
dissociazione di acidi forti e
acidi deboli. I diagrammi a
barre mostrano i numeri relativi
di moli di specie prima della dis-
sociazione dell’acido (a sinistra)
Numero relativo di moli

e dopo (a destra). A. Quando un


acido forte si scioglie in acqua,
esso si dissocia completamen- H3O
te, producendo ioni H3O+(aq)
e A−(aq); sono pressoché assenti HA
le molecole di HA. B. Per contro,
A
quando un acido debole si
scioglie in acqua, esso rimane in
prevalenza indissociato, produ- HA HA H 3 O A
cendo relativamente pochi ioni
H3O+(aq) e A−(aq). B Acido debole: HA(aq)  H2O(l) H3O(aq)  A(aq)

18txt.indd 598 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 599

(Da questo punto in poi, le parentesi quadre senza pedice verranno usate per deno­
tare la concentrazione molare all’equilibrio; cioè [X] significa [X]eq. Poiché in questo
capitolo ci occupiamo di sistemi all’equilibrio, invece di presentare Q e di enunciare
che Q è uguale a K all’equilibrio, esprimeremo K direttamente come un insieme di
termini di concentrazione di equilibrio).
A causa dell’effetto della concentrazione sulla velocità di reazione (Paragrafo
16.1), questa drastica differenza in [H3O+] causa una drastica differenza nella velo­
cità di reazione quando una concentrazione uguale di un acido forte o di un acido
debole reagisce con un metallo attivo, quale lo zinco (Figura 18.3):
Zn( s ) + 2H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn 2+ ( aq ) + 2H2O( l ) + H2 ( g )

In un acido forte, quale HCl 1 M, lo zinco reagisce rapidamente, formando vigorosa­


mente bollicine di H2. In un acido debole, quale CH3COOH 1 M, lo zinco reagisce
lentamente, formando blandamente bollicine di H2 sul campione di metallo. L’aci­
do forte ha un’alta [H3O+]; perciò, è disponibile una quantità molto maggiore di
ioni H3O+ per la reazione con il metallo. L’acido debole, d’altra parte, ha una bassa
[H3O+]; perciò, è disponibile una quantità molto minore di ioni H3O+. Figura 18.3 Reazione dello
zinco con un acido forte e un
acido debole. Nella reazione
Il significato di Ka Per la dissociazione degli acidi esiste una costante di equili­ dello zinco con un acido forte,
brio specifica che mette in risalto soltanto quelle specie le cui concentrazioni va­ quale HCl 1 M (a sinistra), la
riano in misura rilevante. All’equilibrio, l’espressione della dissociazione di un acido più alta concentrazione di H3O+
debole generale, HA, è determina la formazione rapida
di H2 (effervescenza). In un acido
[H3O+ ][A− ] debole, quale CH3COOH 1 M (a
Kc =
[HA][H2O] destra), la concentrazione di
H3O+ è molto più bassa, quin-
La concentrazione dell’acqua, [H2O], essendo molto maggiore di [HA], varia in misu­ di la formazione di H2 è molto
ra trascurabile quando HA si dissocia, quindi è considerata costante. Perciò, come più lenta. (Foto: © McGraw-Hill
abbiamo visto nel Paragrafo 17.2, semplifichiamo l’espressione di equilibrio molti­ Education/ Stephen Frisch, pho-
plicando [H2O] per Kc per definire una nuova costante di equilibrio, la costante di tographer).
dissociazione acida (o costante di ionizzazione acida) Ka:
[H3O+ ][A− ]
=
Kc [H2O] K=
a (18.1)
[HA]
Come ogni costante di equilibrio, Ka è un valore numerico che dipende dalla tempe­
ratura e la cui entità dice fin dove la reazione è avanzata verso destra per raggiunge­
re l’equilibrio. Perciò, più forte è l’acido, più alta è [H3O+] all’equilibrio, e maggiore è Ka:

acido più forte =⇒ [H3O+ ] più alta =⇒ Ka maggiore

L’intervallo di valori delle costanti di dissociazione acida degli acidi deboli si esten­
de su molti ordini di grandezza. Sono elencati qui di seguito alcuni valori di riferi­
mento di Ka per acidi deboli tipici che ci daranno un’idea generale della frazione di
molecole di HA che si dissociazione in ioni.
• Nel caso di un acido debole con una Ka relativamente alta (10−2), in una
soluzione 1 M il 10% circa delle molecole di HA è dissociata. Per esempio, la
Ka dell’acido cloroso (HClO2) è 1,12  ×  10−2, e l’HClO2 1 M è dissociato al 10,6%.
• Nel caso di un acido debole con una Ka moderata (10−5), in una soluzione
1 M lo 0,3% circa delle molecole di HA è dissociato. Per esempio, la Ka dell’aci­
do acetico (CH3COOH) è 1,8  ×  10−5, e il CH3COOH 1 M è dissociato allo 0,42%.
• Nel caso di un acido debole con una Ka relativamente bassa (10−10), in una
soluzione 1 M lo 0,001% circa delle molecole di HA è dissociato. Per esempio,
la Ka di HCN è 6,2  ×  10−10, e HCN 1 M è dissociato allo 0,0025%.
Perciò, nel caso delle soluzioni della stessa concentrazione iniziale di HA, minore è
la Ka più bassa è la dissociazione percentuale di HA:
DISSOCIAZIONE DI ACIDI
DEBOLI E FORTI
Ka minore =⇒ dissociazione % di HA più bassa =⇒ acido più debole

18txt.indd 599 16/05/19 11:22


600 Capitolo 18

La Tabella 18.2 elenca i valori di Ka di alcuni acidi monoprotici (quelli con un solo
protone ionizzabile) deboli in acqua. Gli acidi forti sono assenti perché non hanno
valori di Ka significativi. Si noti che negli acidi organici il protone ionizzabile è
­l’atomo di H legato all’ossigeno nel gruppo COOH; in questi acidi, gli atomi di H
legati agli atomi di C non si ionizzano. Nel Paragrafo 18.4 esamineremo il compor­
tamento degli acidi poliprotici (quelli con più di un protone ionizzabile).

Classificazione delle forze relative degli acidi e delle basi


L’impiego di tabelle delle costanti di dissociazione acida è il modo più sicuro di
quantificare la forza relativa degli acidi, ma gli acidi e le basi possono essere classifi­
cati spesso qualitativamente come forti o deboli in base alle loro formule.
• Acidi forti. Due tipi di acidi forti, con esempi che lo studente dovrebbe sapere
a memoria, sono:
1. gli acidi alogenidrici HCl, HBr e HI;
2. gli ossiacidi in cui il numero di atomi di O supera di due o più il numero di
protoni ionizzabili, quali HNO3, H2SO4 e HClO4.
• Acidi deboli. Gli acidi deboli sono molto più numerosi degli acidi forti. Quattro
tipi, con esempi, sono:
1. l’acido alogenidrico HF;

Tabella 18.2 Valori di Ka per alcuni acidi monoprotici a 25 °C


Nome (formula) Struttura di Lewis* Ka
Acido iodico (HIO3) H O I O 1,6 u 101
O

Acido cloroso (HClO2) H O Cl O 1,12 u 102


Acido nitroso (HNO2) H O N O 7,1 u 104
Acido fluoridrico (HF) H F 6,8 u 104
O

Acido formico (HCOOH) H C O H 1,8 u 104


O

Acido benzoico (C6H5COOH) C O H 6,3 u 105 FORZA DELL'ACIDO

H O

Acido acetico (CH3COOH) H C C O H 1,8 u 105


H

H H O

Acido propanoico (CH3CH2COOH) H C C C O H 1,3 u 105


H H

Acido ipocloroso (HClO) H O Cl 2,9 u 108


Acido ipobromoso (HBrO) H O Br 2,3 u 109
Acido cianidrico (HCN) H C N 6,2 u 1010

Fenolo (C6H5OH) O H 1,0 u 1010

Acido ipoiodoso (HIO) H O I 2,3 u 1011

* Il carattere rosso indica il protone ionizzabile; le strutture hanno carica formale zero.

18txt.indd 600 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 601

2. gli acidi in cui H non è legato a O o a un alogeno, quali HCN e H2S;


3. gli ossiacidi in cui il numero di atomi di O è uguale a, o supera di uno, il
numero di protoni ionizzabili, quali HCl, HNO2 e H3PO4;
4. gli acidi organici (formula generale RCOOH), quali CH3COOH e C6H5COOH.
• Basi forti. I composti solubili contenenti ioni O2− o OH− sono basi forti. I catio­
ni sono di solito quelli della maggior parte dei metalli attivi:
1. M2O o MOH, dove M = metallo del Gruppo 1A(1) (Li, Na, K, Rb, Cs);
2. MO o M(OH)2, dove M = metallo del Gruppo 2A(2) (Ca, Sr, Ba)
[MgO e Mg(OH)2 sono soltanto lievemente solubili, ma la parte solubile si
dissocia completamente].
• Basi deboli. Molti composti con un atomo di azoto ricco di elettroni sono basi
deboli (nessuno è una base di Arrhenius). La caratteristica strutturale comune
è un atomo di N che ha una coppia solitaria di elettroni nella sua struttura di
Lewis (indicata qui nella formula):
1. ammoniaca (N  H3);
2. ammine (formula generale RN  H2, R2N
 H, o R3N
 ), quali CH3CH2N
 H2, (CH3)2N
 H,
(C3H7)3N e C5H5N .

Classificazione della forza degli acidi e delle basi


PROBLEMA DI VERIFICA 18.1
Problema Si classifichi ciascuno dei seguenti composti come acido forte, acido debole, base
forte o base debole:
(a) H2SeO4 (b) (CH3)2CHCOOH (c) KOH (d) (CH3)2CHNH2
Piano Esaminiamo la formula e classifichiamo ciascun acido o ciascuna base usando le
descrizioni nel testo. Nel caso degli acidi, i punti particolari da notare sono il numero di
atomi di O rispetto al numero di atomi di H e la presenza del gruppo COOH. Nel caso
delle basi, si deve notare la natura del catione e la presenza di un atomo di N che ha perso
una coppia solitaria.
Risoluzione (a) Acido forte: H2SeO4 è un ossiacido in cui il numero di atomi di O supera
di due il numero di protoni ionizzabili.
(b) Acido debole: (CH3)2CHCOOH è un acido organico, com’è indicato dal gruppo
COOH.
(c) Base forte: KOH è un idrossido di un elemento del Gruppo 1A(1).
(d) Base debole: (CH3)2CHNH2 ha perso una coppia solitaria su un atomo di N ed è un’ammina.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.1 Quale dei seguenti composti è


­l’acido o la base più forte? (a) HClO o HClO3 (b) HCl o CH3COOH (c) NaOH o CH3NH2

18.2 AUTOIONIZZAZIONE DELL’ACQUA


E SCALA DEL pH
Prima di esaminare la successiva importante definizione del comportamento acido-
base, esaminiamo una proprietà cruciale dell’acqua che ci permette di quantificare
[H3O+] in qualsiasi sistema in soluzione acquosa; l’acqua è un elettrolita estremamente
debole. La conduttività elettrica dell’acqua di rubinetto è dovuta quasi interamente
agli ioni disciolti, ma anche l’acqua che è stata distillata e deionizzata ripetutamente
presenta una piccola conduttività. Essa è dovuta al fatto che l’acqua stessa si dissocia
lievissimamente in ioni in un processo di equilibrio noto come autoionizzazione:

 

H2O(l ) H2O(l ) H3O (aq) OH (aq)

18txt.indd 601 16/05/19 11:22


602 Capitolo 18

Il carattere di equilibrio dell’autoionizzazione:


il prodotto ionico dell’acqua (Kw)
Come qualsiasi sistema in equilibrio, l’autoionizzazione dell’acqua è descritta quan­
titativamente da una costante di equilibrio:
[H3O+ ][OH− ]
Kc =
[H2O]2
Poiché in questo caso la concentrazione di H2O è sostanzialmente costante, sem­
plifichiamo questa espressione all’equilibrio includendo il termine [H2O]2 costante
insieme al valore di Kc per ottenere una nuova costante di equilibrio, il prodotto
ionico dell’acqua (Kw, dove il pedice “w” è l’iniziale di water, “acqua”):
Kc [H2O]2 = [H3O+ ][OH− ] =
Kw = 1,0 ×10−14 (a 25 °C) (18.2)

È importante notare che compaiono uno ione H3O+ e uno ione OH− per ogni molecola
di H2O che si dissocia. Perciò, in acqua pura, si trova che

[H3O+ ] =
[OH− ] =1,0 ×10−14 =
1,0 ×10−7 M (a 25 °C)

L’acqua pura ha una concentrazione di circa 55,5 M (cioè 100 g/L/18,02 g/mol)
quindi queste concentrazioni di equilibrio sono raggiunte soltanto quando una
molecola d’acqua su 555 milioni si dissocia reversibilmente in ioni!
L’autoionizzazione dell’acqua ha due conseguenze importanti per la chimica
degli acidi e delle basi in soluzione acquosa.
1. Una variazione di [H3O+] determina una variazione inversa di [OH−], e viceversa:
[H3O+ ] più alta =⇒ [OH− ] più bassa e [OH− ] più alta =⇒ [H3O+ ] più bassa
Si ricordi che, come abbiamo visto nella trattazione del principio di Le Châtelier, una
variazione della concentrazione dell’uno o dell’altro ione sposta la posizione dell’equi­
librio, ma non varia la costante di equilibrio. Perciò, se si aggiunge una certa quantità di
acido, [H3O+] aumenta, quindi [OH−] deve diminuire, se si aggiunge una certa quantità
di base, [OH−] aumenta, quindi [H3O+] deve diminuire. Però, l’aggiunta di H3O+ o di
OH− determina semplicemente la formazione di H2O, quindi il valore di Kw rimane
invariato.
2. Entrambi gli ioni sono presenti in tutti i sistemi acquosi. Perciò, tutte le soluzioni
acide contengono una bassa concentrazione di ioni OH− e tutte le soluzioni basi­
che contengono una bassa concentrazione di ioni H3O+. Il carattere di equilibrio
dell’autoionizzazione ci permette di definire le soluzioni “acide” e “basiche” in ter­
mini di valori relativi di [H3O+] e [OH−]:
in una soluzione acida, [H3O+] > [OH−]
in una soluzione basica, [H3O+] < [OH−]
in una soluzione neutra, [H3O+] = [OH−]
La Figura 18.4 riassume queste relazioni e l’acidità relativa delle soluzioni. Inoltre,
se si conosce il valore di Kw a una particolare temperatura e la concentrazione di

[H3O] dividere Kw per [OH]

[H3O] ! [OH] [H3O] [OH] [H3O]  [OH]

Figura 18.4 La relazione


tra [H3O+] e [OH−] e l’acidità SOLUZIONE SOLUZIONE SOLUZIONE
ACIDA NEUTRA BASICA
relativa delle soluzioni.

18txt.indd 602 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 603

uno di questi ioni, si è in grado di calcolare facilmente la concentrazione dell’altro


ione risolvendo rispetto a essa l’espressione per Kw:
Kw Kw
=[H3O+ ] = oppure [OH− ]
[OH− ] [H3O+ ]

Calcolo di [H3O+] e di [OH−] in soluzione acquosa


PROBLEMA DI VERIFICA 18.2
Problema Un chimico aggiunge una quantità misurata di HCl gassoso ad acqua pura a
25 °C e ottiene una soluzione con [H3O+] = 3,0 × 10−4 M. Si calcoli [OH−]. La soluzione è
neutra, acida o basica?
Piano Usiamo il valore noto di Kw a 25 °C (1,0 × 10−14) e la [H3O+] data (3,0 × 10−4 M) per
risolvere rispetto a [OH−]. Poi, facendo riferimento alla Figura 18.5, confrontiamo [H3O+] con
[OH−] per determinare se la soluzione sia neutra, acida o basica.
Risoluzione Calcolo di [OH−]:
Kw 1,0 ×10−14
[OH− ]
= = = 3,3 × 10−11 M
[H3O+ ] 3, 0 ×10−4
Poiché [H3O+] > [OH−], la soluzione è acida .
Verifica È ragionevole che l’aggiunta di un acido all’acqua dia origine a una soluzione
acida. Inoltre, poiché [H3O+] > 10−7 M, [OH−] deve essere minore di 10−7 M per dare una
Kw costante.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.2 Si calcoli [H3O+] in una soluzione


a 25 °C la cui [OH−] = 6,7 × 10−2 M. La soluzione è neutra, acida o basica?

Espressione della concentrazione dello ione idronio: la scala del pH


Nelle soluzioni acquose, [H3O+] può variare in un enorme intervallo di valori: da cir­
ca 10 M a circa 10−15 M. Per manipolare più comodamente nei calcoli i numeri con
esponente negativo li si converte in numeri positivi usando un sistema numerico
noto come scala p, che rappresenta il logaritmo decimale (in base 10) del numero,
preso con il segno negativo. (La lettera p “in scala p” sta a indicare l’iniziale di “po­
tenza”, nel senso matematico del termine, ossia di “esponente”; per esempio, pH si­
gnifica letteralmente “esponente d’idrogeno”.) Applicando questo sistema numerico
a [H3O+], si ottiene il pH, cioè il logaritmo di [H+] (o di [H3O+]) preso con il segno
negativo, ossia cambiato di segno:
pH = − log [H3O+ ] (18.3)

Quanto vale il pH di una soluzione 10−12 M di H3O+?


pH = − log [H3O+ ] = −log 10−12 = (−1)(−12) = 12
Analogamente, una soluzione 10−3 M di H3O+ ha pH = 3, e una soluzione
5,4 × 10−4 M di H3O+ ha un pH = 3,27:
pH = − log [H3O+ ] = (−1)(log 5,4 + log 10−4 ) =
3, 27
Come per qualsisia misura, il numero di cifre significative in un valore del pH rispec­
• Scale logaritmiche in
acustica e in sismologia La
chia la precisione con cui è nota la concentrazione. Però, il valore del pH è un loga­ scala p non è l’unica scala logarit­
ritmo, quindi il numero di cifre significative nella concentrazione è uguale al numero mica usata nelle misurazioni scien­
tifiche. La scala dei decibel misura
di cifre a destra della virgola decimale nel logaritmo (vedi Appendice A). Nell’esempio la potenza di un segnale acustico,
precedente, 5,4 × 10−4 M ha due cifre significative, quindi il logaritmo preso con il e la scala Richter misura l’energia
segno negativo (cambiato di segno), 3,27, ha due cifre a destra della virgola decimale. di un terremoto. Gli urbanisti stu­
Si noti, in particolare, che più alto è il pH, più bassa è [H3O+]. Perciò, una solu- diano l’“inquinamento da rumore”
misurando i livelli in decibel in
zione acida ha un pH più basso (una [H3O+] più alta) rispetto a una soluzione basica: a differenti luoghi in una città in vari
25 °C, in acqua pura, [H3O+] è 1,0 × 10−7 M, quindi momenti del giorno. I sismologi
pH di una soluzione neutra = 7,00 registrano i movimenti del suolo in
stazioni installate su tutta la superfi­
pH di una soluzione acida < 7,00 cie terrestre e tentano di prevedere
pH di una soluzione basica > 7,00 l’insorgenza dei terremoti.

18txt.indd 603 16/05/19 11:22


604 Capitolo 18

pH
Tabella 18.3 La relazione tra Ka e pKa
14 NaOH 1 M
(14,0) Nome dell’acido (formula) Ka a 25 °C pKa
soda caustica 2
13
(13,0) Ione idrogenosolfato(HSO4) 1,02 u 10 1,991
Acido nitroso (HNO2) 7,1 u 104 3,15
12
ammoniaca per Acido acetico (CH3COOH) 1,8 u 105 4,75
usi domestici
Acido ipobromoso (HBrO) 2,3 u 109 8,64
PIÙ BASICO

11 (11,9)
latte di magnesia Fenolo (C6H5OH) 1,0 u 1010 10,00
(10,5)
10
soluzione detergente
(10)
La Figura 18.5 mostra che i valori del pH di alcune soluzioni acquose familiari cado­
9 no nell’intervallo 0 ÷ 14. Un altro punto importante si presenta quando si confronta
acqua di mare
[H3O+] in differenti soluzioni. Poiché la scala del pH è logaritmica, una soluzione di
8
(7,0-8,3) pH 1,0 ha una [H3O+] che è 10 volte quella di una soluzione di pH 2,0, 100 volte
sangue (7,4)
quella di una soluzione di pH 3,0 e così via. Per ottenere la [H3O+] dal pH, si esegue
7 NEUTRO
il procedimento aritmetico opposto; cioè si trova l’antilogaritmo del pH preso con
latte (6,4)
6 urina (4,8-7,5) il segno negativo:
acqua piovana
non inquinata [H3O+ ] = 10−pH
5 (5,6)
Si usa una scala p anche per esprimere altre grandezze.
birra
4 (4,0-4,5) • La concentrazione dello ione idrossido può essere espressa come pOH:
PIÙ ACIDO

aceto
3 (2,4-3,4) pOH = −log[OH− ]
succo di limone
2 (2,2-2,4) Le soluzioni acide hanno un pOH più alto (una [OH−] più bassa) rispetto alle solu-
succo gastrico
zioni basiche.
1 (1,0-3,0) • Le costanti di equilibrio possono essere espresse come pK:

0 HCl 1 M (0,0)
pK = − log K
Un basso pK corrisponde a un’alta K. Una reazione che, raggiunto l’equilibrio, ha
Figura 18.5 I valori del pH di in prevalenza prodotti (avanza molto verso destra) ha un basso pK (un’alta K),
alcune soluzioni acquose familiari.
mentre una reazione che all’equilibrio ha in prevalenza reagenti ha un alto pK
(una bas­sa K). La Tabella 18.3 mostra questa relazione per alcuni acidi deboli.

La relazione tra pH, pOH e pKw Prendendo il logaritmo con il segno negativo
di entrambi i membri dell’espressione per il Kw si ottiene una relazione molto utile
tra pKw, pH e pOH:
[H3O+ ][OH− ] =
Kw = 1,0 ×10−14 (a 25 °C)

− log K w = (− log [H3O+ ]) + (− log [OH− ]) = − log (1,0 ×10−14 )

pK w =pH + pOH =14,00 (a 25 °C) (18.4)

Perciò, la somma del pH e del pOH è 14,00 in ogni soluzione acquosa a 25 °C. Es­
sendo il pH, il pOH, la [H3O+] e la [OH−] interrelati attraverso il Kw, conoscendo il
valore di uno qualsiasi dei parametri si possono determinare i valori di tutti gli altri
(Figu­ra 18.6).

Calcolo di [H3O+], pH, [OH−] e pOH


PROBLEMA DI VERIFICA 18.3
Problema In un progetto di restauro di un’opera d’arte, un restauratore prepara soluzio­
ni per l’incisione di lastre di rame diluendo HNO3 concentrato a HNO3 2,0 M, 0,30 M e
0,0063 M. Si calcolino [H3O+], pH, [OH−] e pOH delle tre soluzioni a 25 °C.
Piano In base alla formula, sappiamo che HNO3 è un acido forte, quindi si dissocia comple­
tamente; perciò, [H3O+] = [HNO3]iniz. Usiamo le concentrazioni date e il valore di Kw a 25 °C
(1,0 × 10−14) per trovare [H3O+] e [OH−] e poi usiamo i valori trovati per calcolare il pH e il
pOH.

18txt.indd 604 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 605

[H3O] pH [OH] pOH Figura 18.6 La relazione tra


1,0 u 10 15
15,00 1,0 u 10 1
1,00 [H3O+], pH, [OH−] e pOH.
Poiché Kw è costante, [H3O+] e
1,0 u 1014 14,00 1,0 u 100 0,00
[OH−] sono interdipendenti e
PIÙ BASICO
1,0 u 1013 13,00 1,0 u 101 1,00 variano in versi opposti quando
BASICO 1,0 u 1012 12,00 1,0 u 102 2,00 aumenta l’acidità o la basicità
1,0 u 1011 11,00 1,0 u 103 3,00 della soluzione acquosa. Il pH
1,0 u 10 10
10,00 1,0 u 104 4,00 e il pOH sono interdipendenti
nella stesso modo. Si noti che,
1,0 u 109 9,00 1,0 u 105 5,00
8
a 25 °C, il prodotto di [H3O+] e
1,0 u 10 8,00 1,0 u 106 6,00
[OH−] è 1,0 × 10−14, e la somma
NEUTRO 1,0 u 107 7,00 1,0 u 107 7,00 di pH e pOH è 14,00.
6
1,0 u 10 6,00 1,0 u 108 8,00
1,0 u 105 5,00 1,0 u 109 9,00
1,0 u 104 4,00 1,0 u 1010 10,00
PIÙ ACIDO

1,0 u 103 3,00 1,0 u 1011 11,00


ACIDO
1,0 u 102 2,00 1,0 u 1012 12,00
1,0 u 101 1,00 1,0 u 1013 13,00
1,0 u 100 0,00 1,0 u 1014 14,00
1,0 u 101 1,00 1,0 u 1015 15,00

Risoluzione Calcolo dei valori per HNO3 2,0 M:


[H3O+ ] = 2,0 M
pH = −log [H3O+ ] = −log 2,0 = −0,30
Kw 1,0 ×10−14
[OH− ]
= = = 5,0 × 10−15 M
[H3O+ ] 2,0
pOH = −log (5,0 ×10−15 ) =
14,30
Calcolo dei valori per HNO3 0,30 M:
[H3O+ ] = 0,30 M
pH = −log [H3O+ ] = −log 0,30 = 0,52
Kw 1,0 ×10−14
[OH− ]
= = +
= 3,3 × 10−14 M
[H3O ] 0,30
pOH = −log (3,3 ×10−14 ) = 13,48
Calcolo dei valori per HNO3 0,0063 M:
[H3O+] = 6,3 × 10−3 M
pH = −log [H3O+ ] = −log (6,3 ×10−3 ) =
2,20
Kw 1,0 ×10−14
[OH− ]
= = = 1,6 × 10−12 M
[H3O+ ] 6,3 ×10−3
pOH = −log (1,6 ×10−12 ) =
11,80
Verifica Via via che la soluzione si diluisce, [H3O+] diminuisce, quindi il pH aumenta,
come ci si attende. Una [H3O+] maggiore di 1,0 M, come in HNO3 2,0 M, dà un logaritmo
positivo, quindi dà un pH negativo. L’aritmetica sembra corretta perché pH + pOH = 14,00
in ciascun caso.
Commento Nella maggior parte delle calcolatrici, la determinazione del pH richiede parec­
chi azionamenti di tasti. Per esempio, per trovare il pH di una soluzione 6,3 × 10−3 M di
HNO3, si immettono: 6,3, EXP, 3, +/−, log, +/−.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.3 Una soluzione di NaOH ha


pH = 9,52. Quanto valgono pOH, [H3O+] e [OH−] di questa soluzione a 25 °C?

Misurazione del pH In laboratorio, i valori del pH si ottengono di solito con un


indicatore acido-base o, con maggiore precisione, con un pH-metro (o piaccametro).
Il pH-metro misura la [H3O+] mediante due elettrodi immersi nella soluzione
da saggiare. Un elettrodo fornisce un potenziale di riferimento stabile; l’altro è

18txt.indd 605 16/05/19 11:22


606 Capitolo 18

racchiuso da una membrana di vetro conduttrice estremamente sottile che separa


una [H3O+] interna nota dalla [H3O+] esterna incognita. La differenza di [H3O+] ge­
nera una differenza di potenziale tra le due facce della membrana, che è misurata
e visualizzata in unità di pH (Figura 18.7B). Esamineremo ulteriormente questo
processo nel Capitolo 21.
Una misura qualitativa del pH si può effettuare mediante gli indicatori
acido-base, molecole organiche il cui colore dipende dall’acidità o dalla ba­
sicità della soluzione in cui sono disciolte. Il pH di una soluzione viene stimato
A rapidamente con una cartina indicatrice di pH, una striscia di carta impregnata di un
indicatore o di una miscela di indicatori. Si depone una goccia della soluzione da
saggiare sulla cartina e si confronta il colore che assume con una tabella di colori di
riferimento, come illustrato nella Figura 18.7A.

18.3 TRASFERIMENTO PROTONICO E DEFINIZIONE


DI ACIDI E BASI SECONDO BRØNSTED-LOWRY
Abbiamo notato precedentemente un’importante limitazione della definizione classi­
B ca (secondo Arrhenius): molte sostanze che producono ioni OH− quando si sciolgono
Figura 18.7 Metodi per in acqua non contengono OH nella loro formula.
misurare il pH di una soluzio- Gli esempi comprendono l’ammoniaca, le ammine e molti sali di acidi debo­
ne acquosa. A. Si depositano li, come NaF. Un’altra limitazione della definizione di Arrhenius era che l’acqua
alcune gocce della soluzione doveva essere il solvente per le reazioni acido-base. All’inizio del secolo scorso, il
su una cartina indicatrice di
pH e si confronta il colore che
chimico-fisico danese Johannes Nicolaus Brønsted (1879-1947) e il chimico-fisico
assume con una tabella di colori inglese Thomas Martin Lowry (1874-1936) proposero definizioni che eliminavano
di riferimento. B. Gli elettrodi queste limitazioni. (Si ricordi che abbiamo esaminato brevemente le loro idee nel
di un pH-metro immersi nella Paragrafo 4.4). Di seguito le definizione di acidi e basi secondo Brønsted-Lowry.
soluzione da esaminare misu-
rano la [H3O+]. La soluzione è • Un acido è un donatore di protoni, qualsiasi specie che dona uno ione H+. Un
1,35  ×  10−4 M NaOH. acido deve contenere H nella sua formula; HNO3 e H2PO4− sono due dei molti
(Foto: © McGraw-Hill Education/ esempi. Tutti gli acidi di Arrhenius sono acidi di Brønsted-Lowry.
Charles Winters/Timeframe
Photography, Inc).
• Una base è un accettore di protoni, qualsiasi specie che accetta uno ione H+. Una
base deve contenere una coppia solitaria di elettroni per legare lo ione H+;
alcuni esempi sono NH3, CO32−, F−, oltre che OH−. Le basi di Brønsted-Lowry
non sono basi di Arrhenius, ma tutte le basi di Arrhenius contengono la base
di Brønsted-Lowry OH−.
Dal punto di vista di Brønsted-Lowry, l’unico requisito per una reazione acido-base
è che una specie doni un protone e un’altra specie lo accetti: una reazione acido-base
è un processo di trasferimento protonico. Le reazioni acido-base possono avvenire
tra gas, in soluzioni non acquose e in miscele eterogenee, oltre che in soluzioni
acquose.
Un acido e una base agiscono sempre insieme nel trasferimento di un protone.
In altre parole, una specie si comporta come un acido soltanto se un’altra specie
si comporta simultaneamente come una base, e viceversa. Anche quando un acido
o una base si scioglie semplicemente in acqua, avviene una reazione acido-base
perché l’acqua si comporta come l’altro partner. Consideriamo una tipica soluzione
acida e una tipica soluzione basica.
1. L’acido dona un protone all’acqua (Figura 18.8A). Quando HCl si scioglie in
acqua, uno ione H+ (un protone) si trasferisce da HCl a H2O, dove si lega a
una coppia solitaria di elettroni sull’atomo di O, formando H3O+. In effetti, HCl
(l’acido) ha donato lo ione H+, e H2O (la base) lo ha accettato:

2. La base accetta un protone dall’acqua (Figura 18.8B). Anche quando l’ammoniaca


si scioglie in acqua, avviene un trasferimento protonico. Uno ione H+ donato

18txt.indd 606 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 607

la coppia solitaria Figura 18.8 Trasferimento


lega H protonico come caratteristi-
ca essenziale di una reazione
  acido-base di Brønsted-Lowry.
A. Quando HCl si scioglie in
acqua, esso si comporta come
un acido donando un protone
HCl H2O
A (acido, donatore di H) (base, accettore di H) Cl H3O all’acqua, la quale si comporta
come una base accettandolo.
la coppia solitaria B. Quando NH3 si scioglie in
lega H acqua, l’ammoniaca si comporta
come una base accettando un
  protone dall’acqua, la quale
si comporta come un acido
donandolo. Perciò, nel senso di
NH3 H2O Brønsted-Lowry, in entrambi i
NH4 OH
B (base, accettore di H) (acido, donatore di H) casi avviene una reazione
acido-base.
da H2O si lega alla coppia solitaria sull’atomo di N, formando NH4+. Dopo il
trasferimento di H+, la molecola d’acqua diventa uno ione OH−:
 3 ( g ) + H2O( l ) 
NH  NH+4 ( aq ) + OH− ( aq )


In questo caso, H2O (l’acido) ha donato lo ione H+, e NH3 (la base) lo ha accettato.
Perciò, H2O è anfotera: si comporta come una base in un caso e come un acido
nell’altro. Come vedremo, anche molte altre specie sono anfotere.

La coppia coniugata acido-base


La definizione di Brønsted-Lowry offre un nuovo modo di considerare le reazioni
acido-base perché concentra l’attenzione sui reagenti e sui prodotti. Esaminiamo,
per esempio, la reazione tra solfuro di idrogeno e ammoniaca:
H2S + NH3   HS− + NH+4


Nella reazione diretta, H2S si comporta come un acido donando uno ione H+ a NH3,
che si comporta come una base. La reazione inversa implica un’altra coppia acido-
base. Lo ione ammonio, NH4+, si comporta come un acido donando uno ione H+ allo
ione solfuro di idrogeno, HS−, che si comporta come una base. Si noti che l’acido,
H2S, diventa una base, HS−, e la base, NH3, diventa un acido, NH4+.
Nella terminologia di Brønsted-Lowry, H2S e HS− sono una coppia coniugata
acido-base: HS− è la base coniugata dell’acido H2S. Analogamente, NH3 e NH4+
formano una coppia coniugata acido-base: NH4+ è l’acido coniugato della base NH3.
Ogni acido ha una base coniugata, e ogni base ha un acido coniugato. Perciò, per ogni
coppia coniugata acido-base:
• la base coniugata della coppia ha un H in meno e una carica negativa in più
rispetto all’acido;
• l’acido coniugato della coppia ha un H in più e una carica negativa in meno
rispetto alla base.
Avviene una reazione acido-base di Brønsted-Lowry quando un acido e una base
reagiscono per formare la loro base coniugata e il loro acido coniugato, rispettivamente:

acido1 + base2  
 base1 + acido2
La Tabella 18.4 mostra alcune reazioni acido-base di Brønsted-Lowry. Si noti che:
• ciascuna reazione ha un acido e una base come reagenti e come prodotti, e
questi comprendono due coppie coniugate acido-base;
• gli acidi e le basi possono essere neutri, cationici o anionici;
• la stessa specie può essere un acido o una base, a seconda dell’altra specie che
partecipa alla reazione. L’acqua si comporta in questo modo nelle reazioni 1 e
4 (Tabella 18.4), e HPO42− lo fa nelle reazioni 4 e 6.

18txt.indd 607 16/05/19 11:22


608 Capitolo 18

Tabella 18.4 Le coppie coniugate in alcune reazioni acido-base

Coppia coniugata

Acido  Base Base  Acido

Coppia coniugata
Reazione 1 HF  H2O F  H3O
Reazione 2 HCOOH  CN HCOO  HCN
Reazione 3 NH4  CO32 NH3  HCO3
Reazione 4 H2PO4  OH HPO42  H2O
Reazione 5 H2SO4  N2H5 HSO4  N2H62
Reazione 6 HPO42  SO32 PO43  HSO3

Identificazione delle coppie coniugate acido-base


PROBLEMA DI VERIFICA 18.4
Problema Le reazioni seguenti sono processi ambientali importanti. Si identifichino le
coppie coniugate acido-base.
(a) H2PO−4 ( aq ) + CO32− ( aq ) 
 HCO−3 ( aq ) + HPO 24− ( aq )

(b) H2O( l ) + SO32− ( aq ) 
  OH−
( aq ) + HSO−3 ( aq )
Piano Per trovare le coppie coniugate, troviamo la specie che ha donato uno ione H+
­(l’acido) e la specie che lo ha accettato (la base). L’acido (o la base) nel primo membro del­
l’equazione diventa la sua base coniugata (o il suo acido coniugato) nel secondo membro.
Si ricordi che l’acido coniugato ha un H in più e una carica di 1+ maggiore di quella della
sua base coniugata.
Risoluzione (a) H2PO4− ha uno ione H+ in più rispetto a HPO42−; CO32− ha uno ione H+ in
meno rispetto a HCO3−. Perciò, H2PO4− e HCO3− sono gli acidi, e HPO42− e CO32− sono le basi. Le
coppie coniugate acido-base sono H2PO−4 /HPO 24− e HCO−3 /CO32−
(b) H2O ha un H+ in più rispetto a OH−; SO32− ha un H+ in meno rispetto a HSO3−. Gli
acidi sono H2O e HSO3−; le basi sono OH− e SO32−. Le coppie coniugate acido-base sono
H2O/OH− e HSO−3 /SO32− .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.4 Si identifichino le coppie coniu­


gate acido-base nelle seguenti reazioni.

(a) CH3COOH( aq ) + H2O( l )   CH3COO− ( aq ) + H3O+ ( aq )

− 
 −
(b) H2O( l ) + F ( aq )   OH ( aq ) + HF( aq )

Forza relativa di acidi e basi e direzione netta di reazione


La direzione netta di una reazione acido-base dipende dalle forze relative degli
acidi e delle basi che partecipano alla reazione. Una reazione procede in prevalenza
nel verso in cui un acido più forte e una base più forte formano un acido più debole e
una base più debole. Se l’acido più forte e la base più forte sono scritti nel primo
membro dell’equazione, la direzione netta è rivolta a destra, quindi Kc > 1. La
direzione netta della reazione H2S-NH3 è rivolta a destra (Kc > 1) perché H2S è
un acido più forte di NH4+, l’altro acido presente, e NH3 è una base più forte di
HS−, l’altra base:
H 2S + NH3 
 
 HS− + NH+4
acido più forte + base più forte ⎯ ⎯
→ base più debole + acido più debole
Si potrebbe immaginare che questo processo sia una competizione per il protone tra
le due basi, NH3 e HS−, in cui NH3 vince.
Analogamente, l’entità della dissociazione dell’acido (HA) in acqua dipende da
una competizione per il protone tra le due basi, A− e H2O. Quando l’acido HNO3

18txt.indd 608 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 609

si scioglie in acqua, esso trasferisce uno ione H+ alla base, H2O, formando la base
coniugata di HNO3, la quale è NO3−, e l’acido coniugato di H2O, il quale è H3O+:
HNO3 + H 2O ⎯⎯
→ NO−3 + H3O+
acido più forte + base più forte ⎯ ⎯
→ base più debole + acido più debole
(In questo caso, la direzione netta è così inoltrata a destra che non sarebbe appro­
priato indicare una freccia di equilibrio). HNO3 è un acido più forte di H3O+, e H2O
è una base più forte di NO3−. Perciò, nel caso di acidi forti come HNO3, H2O vince la
competizione per il protone perché A− (NO3−) è una base molto più debole. D’altra
parte, nel caso di acidi deboli come HF, A− (F−) vince la competizione perché è
una base più forte di H2O:
HF + H 2O 
 
 F− + H3O+
acido più debole + base più debole ←⎯⎯ base più forte + acido più forte
In base a molte di queste reazioni, si possono classificare le coppie coniugate in
termini della capacità dell’acido di trasferire il suo protone (Figura 18.9). Si noti, in
particolare, che un acido più debole ha una base coniugata più forte.
Ciò è perfettamente ragionevole: l’acido cede il suo protone meno facilmente
perché la sua base coniugata lo trattiene più fortemente. Possiamo usare l’elenco
di Figura 18.9 per prevedere il verso di una reazione tra due coppie qualsiasi, cioè
se la posizione dell’equilibrio sia situata in prevalenza a destra (Kc > 1) oppure a
sinistra (Kc < 1). Una reazione acido-base procede verso destra se l’acido reagisce con
una base che è più in basso nell’elenco perché questa combinazione produce una base
coniugata più debole e un acido coniugato più debole.
ACIDO BASE
HCl Cl

H2SO4 HSO4 trascurabile


forte
HNO3 NO3

H3O H2O

HSO4 SO42

H2SO3 HSO3

H3PO4 H2PO4

HF F
FORZA DELL'ACIDO

FORZA DELLA BASE

CH3COOH CH3COO

H2CO3 HCO3
debole
H2S HS
debole
HSO3 SO32

H2PO4 HPO42

HCN CN

NH4 NH3
Figura 18.9 Forze di coppie
HCO3 CO32 coniugate acido-base. Più forte
è l’acido, più debole è la base
HPO42 PO43 coniugata. L’acido più forte
compare in alto a sinistra e la
H2O OH base più forte in basso a destra.
Quando un acido reagisce con
HS S2 forte
trascurabile
una base situata più in basso
OH O2 lungo l’elenco, la reazione pro-
cede verso destra (Kc > 1).

18txt.indd 609 16/05/19 11:22


610 Capitolo 18

Previsione della direzione netta di una reazione acido-base


PROBLEMA DI VERIFICA 18.5
Problema Si preveda la direzione netta e se Kc sia maggiore o minore di 1 per ciascuna delle
seguenti reazioni (si supponga che le concentrazioni iniziali di tutte le specie siano uguali):
(a) H2PO−4 ( aq ) + NH3 ( aq ) 
 NH+4 ( aq ) + HPO 24− ( aq )

(b) H2O( l ) + HS− ( aq ) 
  OH−
( aq ) + H2S( aq )
Piano Prima identifichiamo le coppie coniugate acido-base. Per prevedere la direzione,
consultiamo la Figura 18.9 per vedere quale acido e quale base sono più forti. L’acido più
forte e la base più forte formano l’acido più debole e la base più debole, quindi la reazione
procede in quella direzione netta. Se la reazione com’è scritta procede verso destra, allora
[prodotti] è maggiore di [reagenti] e Kc > 1.
Risoluzione (a) Le coppie coniugate sono H2PO4−/HPO42− e NH4+/NH3. H2PO4− è più in alto
nell’elenco degli acidi, quindi è più forte di NH4+; e NH3 è più in basso nell’elenco delle basi,
quindi è più forte di HPO42−. Perciò,
H2PO−4 ( aq ) + NH3 ( aq )   
 NH+4 ( aq ) + HPO 24− ( aq )
acido più forte + base più forte ⎯ ⎯→ acido più debole + base più debole
La direzione netta è verso destra, quindi Kc > 1.
(b) Le coppie coniugate sono H2O/OH− e H2S/HS−. H2S è più in alto nell’elenco degli acidi,
e OH− è più in basso nell’elenco delle basi. Perciò,
H2O( l ) + HS− ( aq )  OH− ( aq ) + H2S( aq )
acido più debole + base più debole ←⎯⎯ base più forte + acido più forte
La direzione netta è verso sinistra, quindi Kc < 1.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.5 Si spieghi, con equazioni bilancia­


te, in cui è indicata la direzione netta della reazione, ciascuna delle seguenti osservazioni.
(a) Si percepisce odore di ammoniaca quando NH3 si scioglie in acqua.
(b) L’odore scompare quando si aggiunge un eccesso di HCl alla soluzione nella parte (a).
(c) L’odore ricompare quando si aggiunge un eccesso di NaOH alla soluzione nella parte (b).

18.4 RISOLUZIONE DI PROBLEMI CHE IMPLICANO


EQUILIBRI COINVOLGENTI ACIDI DEBOLI
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, per i problemi di equilibrio in gene­
rale, esistono due tipi di problemi di equilibrio che coinvolgono gli acidi deboli e
le loro basi coniugate.
1. Date le concentrazioni di equilibrio, si vuole determinare Ka.
2. Date Ka e le informazioni su alcune concentrazioni, si vogliono trovare le altre
concentrazioni di equilibrio.
Per tutti questi problemi, applicheremo lo stesso metodo di risoluzione, lo stesso
sistema di notazione e le stesse ipotesi.
• Il metodo di risoluzione dei problemi. Come sempre, partiamo dalle informazioni
fornite nell’enunciato del problema e ci muoviamo con un procedimento logi­
co verso ciò che vogliamo trovare. Quanto segue sono i passi che ci si deve
abituare ad applicare.
1. Scrivere l’equazione bilanciata e l’espressione di Ka; queste daranno indicazioni
su cosa trovare.
2. Definire x come concentrazione incognita che varia durante la reazione. Spes­
so, x = [HA]dissoc è la concentrazione di HA che si dissocia, la quale, mediante
l’impiego di alcune ipotesi, è anche uguale a [H3O+] e [A−] all’equilibrio.
3. Costruire una tabella di reazione che includa l’incognita.
4. Formulare ipotesi che semplifichino i calcoli, di solito si suppone x molto
piccola rispetto alla concentrazione iniziale.
5. Sostituire i valori nell’espressione per Ka e risolvere rispetto a x.

18txt.indd 610 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 611

6. Verificare che le ipotesi siano giustificate. (Applicare il criterio del 5% intro­


dotto nel Problema di verifica 17.9). Se le ipotesi non sono giustificate, usare
la formula risolutiva delle equazioni di 2° grado per trovare x.
• Il sistema di notazione. Come sempre, la concentrazione molare di ciascuna spe­
cie è scritta tra parentesi quadre. Un pedice indica da dove proviene la specie
o quando si presenta nel processo di reazione. Per esempio, [H3O+]HA è la con­
centrazione molare di H3O+ che proviene dalla dissociazione di HA; [HA]iniz è la
concentrazione molare iniziale di HA, cioè prima che avvenga la dissociazione;
[HA]dissoc è la concentrazione molare di HA che si dissocia e così via. Si ricordi
che le parentesi quadre senza pedice si riferiscono alla concentrazione molare della
specie all’equilibrio.
• Le ipotesi. Per semplificare l’aritmetica formuliamo due ipotesi.
1. [H3O+] derivante dall’autoionizzazione dell’acqua è trascurabile. In realtà, è
molto minore di [H3O+] derivante dalla dissociazione di HA e quindi può
essere trascurata:
[H3O+ ] [H3O+ ]HA + [H3O+ ]H2O  [H3O+ ]HA
=
In effetti, il principio di Le Châtelier dice che [H3O+]HA diminuisce l’entità
dell’autoionizzazione dell’acqua, quindi [H3O+ ]H2O nella soluzione di HA è
ancora minore di [H3O+] in acqua pura. Si noti che ciascuna molecola di HA
che si dissocia forma uno ione H3O+ e uno ione A−, quindi [A−] = [H3O+].
2. Un acido debole ha una Ka piccola. Perciò, si dissocia in misura così piccola
che possiamo trascurare la variazione della sua concentrazione per trovare la
sua concentrazione di equilibrio:
[HA] = [HA]iniz − [HA]dissoc  [HA]iniz

Determinazione di Ka date le concentrazioni


Questo tipo di problema implica la determinazione della costante di dissociazione
acida, Ka, di un acido debole:
HA( aq ) + H2O( l )   H3O+ ( aq ) + A− ( aq )


[H3O+ ][A− ]
Ka =
[HA]
Un metodo di laboratorio di uso frequente consiste nel preparare una soluzio­
ne acquosa di HA e nel misurare il suo pH. Preparata la soluzione, si conosce
[HA]iniz. Si può calcolare [H3O+] in base al pH misurato e poi si può determinare
[A−] e [HA] all’equilibrio in base alle ipotesi formulate. A questo punto, si sostitui­
scono questi valori nell’espressione per Ka e si risolve rispetto a Ka. Applicheremo
l’intero metodo nel Problema di verifica 18.6 e poi semplificheremo i problemi
successivi tralasciando alcuni dei passi ricorrenti.

Determinazione della Ka di un acido debole in base al pH


della sua soluzione
PROBLEMA DI VERIFICA 18.6
Problema L’acido fenilacetico (C6H5CH2COOH, indicato qui con la notazione semplificata
HPAc) si accumula nel sangue di una persona affetta da fenilchetonuria, una malattia eredita­
ria che, se non sottoposta a trattamento, causa ritardo mentale e morte. Uno studio dell’aci­
do mostra che il pH dell’HPAc 0,12 M è 2,60. Quanto vale la Ka dell’acido fenilacetico?
Piano Conosciamo [HPAc]iniz (0,12 M) e il pH (2,60) e vogliamo trovare Ka. Prima scriviamo
l’equazione per la dissociazione dell’HPAc e l’espressione per la Ka per vedere quali valori
dobbiamo conoscere:
[H3O+ ][PAc− ]
HPAc( aq ) + H2O( l )   H3O+ ( aq ) + PAc− ( aq )

 Ka =
[HPAc]

18txt.indd 611 16/05/19 11:22


612 Capitolo 18

• Per trovare [H3O+]: conosciamo il pH, quindi possiamo trovare [H3O+]. Poiché un
pH 2,60 è di più di quattro unità di pH (104 volte) inferiore al pH dell’acqua pura
(pH = 7,0), possiamo ipotizzare che [H3O+ ]HPAc  [H3O+ ]H2O . Di conseguenza si avrà,
[H3O+ ]HPAc + [H3O+ ]H2O  [H3O+ ]HPAc  [H3O+ ].
• Per trovare [PAc−]: poiché ogni HPAc che si dissocia forma uno ione H3O+ e uno ione
PAc−, [H3O+]  [PAc−].
• Per trovare [HPAc]: conosciamo [HPAc]iniz. Poiché l’HPAc è un acido debole, ipotizziamo
che se ne dissoci pochissimo, quindi [HPAc]iniz = [HPAc]dissoc = [HPAc]  [HPAc]iniz.
Costruiamo una tabella di reazione, formuliamo le ipotesi, sostituiamo i valori di equilibrio,
risolviamo rispetto a Ka e poi verifichiamo le ipotesi.
Risoluzione Calcolo di [H3O+]:
[H3O+=] 10−pH
= 10−2,60
= 2,5 ×10−3 M
Costruzione di una tabella di reazione, con x = [HPAc]dissoc = [H3O+]HPAc = [PAc−]  [H3O+]:

Concentrazione (M) HPAc(aq)  H2O(l) W H3O(aq)  PAc(aq)


Valore iniziale 0,12  1 u 107 0
Variazione x  x x
Valore di equilibrio 0,12 x  x  (1 u 107) x

Formulazione delle ipotesi:


1. La [H3O+] calcolata (2,5 ×10−3 M )  [H3O+ ]H2O (<1×10−7 M ), quindi ipotizziamo che
[H3O+]  [H3O+]HPAc = x.
2. HPAc è un acido debole, quindi supponiamo che [HPAc] = 0,12 M − x  0,12 M.
Risoluzione rispetto alle concentrazioni di equilibrio:
x  [H3O+=] [PAc−=] 2,5 ×10−3 M
[HPAc] = 0,12 M − x = 0,12 M − (2,5 × 10−3 M)  0,12 M (con 2 cifre significative)
Sostituzione dei valori calcolati in Ka:
[H3O+ ][PAc− ] (2,5 ×10 )(2,5 ×10 )
−3 −3
−5
Ka =  = 5,2 × 10
[HPAc] 0,12
Verifica delle ipotesi mediante la determinazione dell’errore percentuale nella concentra­
zione.
1×10−7 M
1.  Per [H3O+ ]H2O : 4 10−3 % < 5% ; l’ipotesi è giustificata.
×100 =×
2,5 ×10−3 M

2,5 ×10−3 M
2. 
Per [HPAc]dissoc : ×100 = 2,1% < 5% ; l’ipotesi è giustificata. Avevamo già
0,12 M
mostrato prima che, con 2 cifre significative, la concentrazione era rimasta invariata,
quindi questa verifica non è realmente necessaria.
Verifica La [H3O+] è ragionevole: il pH 2,60 dovrebbe dare [H3O+] compresa tra 10−2 M
e 10−3 M. Anche il valore calcolato di Ka sembra essere dell’ordine di grandezza corretto:
(10−3)2/10−1 = 10−5, e questo valore sembra ragionevole per un acido debole.
Commento [H3O+]H2O è così piccolo rispetto a [H3O+]HA che, da qui in poi, lo trascureremo
e le immetteremo come zero nelle tabelle di reazione.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.6 L’acido coniugato dell’ammoniaca


è NH4+, un acido debole. Se una soluzione 0,2 M di NH4Cl ha pH 5,0, quanto vale la Ka di
NH4+?

Determinazione delle concentrazioni data Ka


Il secondo tipo di problema di equilibrio che implica gli acidi deboli fornisce i dati
relativi ad alcune concentrazioni e il valore della Ka e chiede la concentrazione di
equilibrio di qualche componente. Questi problemi sono molto simili a quelli che
abbiamo risolto nel capitolo precedente, in cui una sostanza con una data concen­
trazione iniziale reagiva in misura incognita (vedi Problemi di verifica 17.8 ÷ 17.10).

18txt.indd 612 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 613

Determinazione delle concentrazioni in base alla Ka


e alla [HA] iniziale
PROBLEMA DI VERIFICA 18.7
Problema L’acido propanoico (CH3CH2COOH, che indicheremo con la notazione semplifi­
cata HPr) è un acido organico i cui sali sono usati per ritardare la crescita delle muffe negli
alimenti. Quanto vale [H3O+] dell’HPr 0,10 M (Ka = 1,3 × 10−5)?
Piano Conosciamo la concentrazione iniziale (0,10 M) e la Ka (1,3 × 10−5) di HPr e vogliamo
trovare [H3O+]. In primo luogo, scriviamo l’equazione bilanciata e l’espressione per Ka:

HPr( aq ) + H2O( l )   H3O+ ( aq ) + Pr− ( aq )




[H3O+ ][ Pr− ]
K=
a = 1, 3 ×10−5
[HPr]
Conosciamo [HPr]iniz, ma non [HPr]. Se poniamo x = [HPr]dissoc, x è anche [H3O+]HPr e [Pr−]
perché ciascuna molecola di HPr che si dissocia produce uno ione H3O+ e uno ione Pr−.
Con queste informazioni, possiamo costruire una tabella di reazione. Nella risoluzione
rispetto a x, supponiamo che, avendo HPr una piccola Ka, esso si dissoci pochissimo; perciò,
[HPr]iniz − x = [HPr]  [HPr]iniz. Trovata x, verifichiamo l’ipotesi.
Risoluzione Costruzione della tabella di reazione, con x = [HPr]dissoc = [H3O+]HPr = [Pr−]
= [H3O+]:

Concentrazione (M) HPr(aq)  H2O(l) W H3O(aq)  Pr(aq)


Valore iniziale 0,10  0 0
Variazione x  x x
Valore di equilibrio 0,10 x  x x

Formulazione dell’ipotesi: Ka è piccola, quindi x è piccola rispetto a [HPr]iniz; di conseguenza,


0,10 M − x  0,10 M. Sostituzione nell’espressione per Ka e risoluzione rispetto a x:

[H3O+ ][Pr− ] ( x )( x )
K=
a = 1, 3 ×10−5 
[HPr] 0,10

x  (0,10)(1,3 ×10−5 ) =
1,1 × 10−3 M = [H3O+]

Verifica dell’ipotesi per [HPr]dissoc:

1,1×10−3 M
×100 = 1,1% < 5% ; l’ipotesi è giustificata.
0,10 M
Verifica [H3O+] sembra ragionevole per una soluzione diluita di un acido debole con una
Ka moderata. Invertendo il calcolo, possiamo verificare l’aritmetica: (1,1 × 10−3)2/0,10 =
1,2 × 10−5, che è entro l’arrotondamento della Ka data.
Commento In questi problemi, supponiamo che la concentrazione di HA che si dissocia
([HA]dissoc = x) possa essere trascurata perché Ka è relativamente piccola. Ma ciò vale soltan­
to se [HA]iniz è relativamente grande. Una semplice verifica rivela se l’ipotesi sia giustificata:

[HA]iniz
• 
se > 400, l’ipotesi è giustificata; trascurando x, si introduce un errore <5%;
Ka
[HA]iniz
• 
se < 400, l’ipotesi non è giustificata; trascurando x, si introduce un errore >5%,
Ka
quindi dobbiamo risolvere un’equazione di 2° grado per trovare x.
Quest’ultima situazione si presenta nel seguente problema di approfondimento.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.7 L’acido cianico (HOCN) è una


sostanza instabile, estremamente pungente. Quanto valgono [H3O+] e pH di una soluzione
0,10 M di HOCN (Ka = 3,5 × 10−4)?

18txt.indd 613 16/05/19 11:22


614 Capitolo 18

L’effetto della concentrazione sull’entità


della dissociazione di un acido
Se ripetiamo il calcolo eseguito nel Problema di verifica 18.7, ma partiamo da una
[HPr] più bassa, osserviamo un fatto molto interessante riguardo all’entità della dis­
sociazione di un acido debole. Supponiamo che la concentrazione iniziale di HPr
sia 1/10 di quella precedente, 0,010 M invece di 0,10 M. Dopo avere compilato la
tabella di reazione e avere formulato le stesse ipotesi, troviamo che
= [HPr]dissoc
x = 3,6 ×10−4 M
Confrontiamo ora le percentuali di molecole di HPr dissociate in corrispondenza
delle due differenti concentrazioni iniziali dell’acido, usando la relazione

[HA]dissoc
=
percentuale di HA dissociato ×100 (18.5)
[HA]iniz

Caso 1: [HPr]iniz = 0,10 M


1,1×10−3 M
percentuale dissociata = ×100 =
1,1%
1,1×10−1 M
Caso 2: [HPr]iniz = 0,010 M
3,6 ×10−4 M
percentuale dissociata = ×100 =
3,6%
1,0 ×10−2 M
Al diminuire della concentrazione iniziale dell’acido, la dissociazione percentuale dell’acido
aumenta. Si deve badare di non confondere la concentrazione di HA dissociato con la
percentuale di HA dissociato. [HA]dissoc è più bassa nella soluzione diluita di HA perché
il numero effettivo di molecole di HA dissociate è minore. È la frazione (e quindi la
percentuale) di molecole di HA dissociate che aumenta all’aumentare della diluizione.
Questo fenomeno è analogo a una variazione del volume (della pressione) di
un recipiente nel caso dei gas all’equilibrio (vedi la trattazione nel Paragrafo 17.6).
In quella situazione, un aumento del volume sposta la posizione dell’equilibrio a
favore di un aumento del numero di moli di gas. Nel caso della dissociazione di HA,
il volume disponibile aumenta via via che si aggiunge solvente e che la soluzione
si diluisce; questo aumento di volume sposta la posizione dell’equilibrio a favore di
un aumento del numero di moli di gas.

Il comportamento degli acidi poliprotici


Gli acidi con più di un protone ionizzabile sono acidi poliprotici. In una soluzio­
ne di un acido poliprotico, un protone alla volta si dissocia dalla molecola di acido,
e ciascuno stadio di dissociazione ha una differente Ka. Per esempio, l’acido fosfo­
rico è un acido triprotico (con tre protoni ionizzabili), quindi ha tre valori di Ka:
H3PO 4 ( aq ) + H2O( l )   H2PO−4 ( aq ) + H3O+ ( aq )


[H2PO−4 ][H3O+ ]
=
Ka1 = 7,2 ×10−3
[H3PO 4 ]

H2PO−4 ( aq ) + H2O( l )   HPO 24− ( aq ) + H3O+ ( aq )




[HPO24− ][H3O+ ]
=
Ka2 = 6,3 ×10−8
[H2PO−4 ]

HPO 24− ( aq ) + H2O( l )   PO34− ( aq ) + H3O+ ( aq )




[PO34− ][H3O+ ]
K=
a3 = 4, 2 ×10−13
[HPO 24− ]

18txt.indd 614 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 615

Come possiamo vedere dai valori relativi di Ka, H3PO4 è un acido molto più
for­te di H2PO4−, che è molto più forte di HPO42−. La Tabella 18.5 elenca alcuni
ac­idi poliprotici comuni e i valori delle loro Ka. Si noti che, in ogni caso, il pri­-
mo protone si dissocia in misura molto maggiore rispetto al secondo e, quando
è possibile, il secondo protone si ionizza in misura molto maggiore rispetto al
terzo:

Ka1  Ka2  Ka3

Questa tendenza è ragionevole: per uno ione H+ è più difficile abbandonare un


anione con una singola carica (quale H2PO4−) che abbandonare una molecola neutra
(quale H3PO4) ed è ancora più difficile che abbandonare un anione con due cariche
(HPO42−). Le costanti di dissociazione acida successive differiscono di parecchi ordi­
ni di grandezza. Questo fatto semplifica notevolmente i calcoli del pH che coinvol­
gono acidi poliprotici perché di solito si può trascurare lo ione H3O+ proveniente dalle
dissociazioni successive.

Tabella 18.5 Valori di Ka successivi per alcuni acidi poliprotici a 25 °C

Nome (formula) Struttura di Lewis* Ka1 Ka2 Ka3

O O

Acido ossalico (H2C2O4) H O C C O H 5,6u102 5,4u105

Acido fosforoso (H3PO3) H O P O H 3u102 1,7u107


H

Acido solforoso (H2SO3) H O S O H 1,4u102 6,5u108

Acido fosforico (H3PO4) H O P O H 7,2u103 6,3u108 4,2u1013

FORZA DELL'ACIDO
O H

Acido arsenico (H3AsO4) H O As O H 6u103 1,1u107 3u1012


O H

O O H
O H C H O

Acido citrico (H3C6H5O7) H O C C C C C O H 7,5u104 1,7u105 4,0u107


H O H

Acido carbonico (H2CO3) H O C O H 4,5u107 4,7u1011

Acido solfidrico (H2S) H S H 9u108 1u1017

* Il carattere rosso indica i protoni ionizzabili.

18txt.indd 615 16/05/19 11:22


616 Capitolo 18

Calcolo delle concentrazioni di equilibrio per un acido poliprotico


PROBLEMA DI VERIFICA 18.8
Problema L’acido ascorbico (H2C6H6O6; H2Asc per questo problema), noto come vitamina
C, è un acido diprotico (Ka1 = 1,0 × 10−5 e Ka2 = 5 × 10−12) presente negli agrumi. Si calco­
lino [H2Asc], [HAsc−], [Asc2−] e il pH di una soluzione 0,050 M di H2Asc.
Piano Conosciamo la concentrazione iniziale (0,050 M) ed entrambe le Ka per H2Asc, e
dobbiamo calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie e convertire [H3O+] in
pH. Prima scriviamo le equazioni e le espressioni per Ka:
[HAsc− ][H3O+ ]
H2 Asc(aq ) + H2O(l )   HAsc− (aq ) + H3O+ (aq ) K a1 =

 =1,0 ×10−5
[H2 Asc]
[Asc2− ][H3O+ ]
HAsc− (aq ) + H2O(l )   Asc2− (aq ) + H3O+ (aq ) K a2 =

 5 ×10−12
=
[HAsc− ]
Poi ipotizziamo quanto segue:
1. poiché Ka1 ? Ka2, la prima dissociazione produce quasi tutto H3O+ : [H3O+ ]H2 Asc 
[H3O+ ]HAsc−;
2. poiché Ka1 è piccola, la quantità che si dissocia può essere trascurata rispetto alla con­
centrazione iniziale: [H2Asc]iniz  [H2Asc].
Costruiamo una tabella di reazione per la prima dissociazione, con x uguale alla concentra­
zione di H2Asc che si dissocia, poi risolviamo rispetto a [H3O+] e [HAsc−]. Poiché la seconda
dissociazione è molto minore della prima, possiamo sostituire direttamente i valori ottenuti
dalla prima per trovare la [Asc2−] della seconda.
Risoluzione Costruzione di una tabella di reazione con x = [H2Asc]dissoc = [HAsc−]  [H3O+]:

Concentrazione (M) H2Asc(aq)  H2O(l) W H3O(aq)  HAsc(aq)


Valore iniziale 0,050  0 0
Variazione x  x x
Valore di equilibrio 0,050 x  x x
Formulazione delle ipotesi:

1. Poiché K 2a  K1a , [H3O+ ]HAsc  [H3O+ ]H2 Asc . Perciò,

[H3O+ ]H2 Asc  [H3O+ ]


2. Poiché Ka1 è piccola, [H2Asc]iniz − x = [H2Asc]  [H2Asc]iniz. Perciò,
[H 2 Asc] = 0,050 M − x  0,050 M

Sostituzione nell’espressione per Ka1 e risoluzione rispetto a x:


[H3O+ ][HAsc− ] x2
K a1= = 1,0 ×10−5 
[H2 Asc] 0,050

x = [HAsc− ]  [H3O+ ]  7,1 × 10−4 M


pH = − log [H3O+ ] = − log (7,1×10−4 ) =
3,15

Verifica delle ipotesi.


1. [H3O+ ]HAsc  [H3O+ ]H2 Asc : per ogni seconda dissociazione che avviene, abbiamo

[H3O+ ]HAsc  [HAsc− ](K a2 ) =(7,1×10−4 )(5×10−12 ) =


6 ×10−8 M

Questo valore è ancora minore di [H3O+]H2O, quindi l’ipotesi è giustificata.

7,1×10−14 M
2. [H2 Asc]dissoc  [H2 Asc]iniz : ×100 = 1,4% < 5% ; l’ipotesi è giustificata.
0,050 M
Inoltre, dal commento nel Problema di verifica 18.7, notiamo che:
[H 2 Asc]iniz 0,050
= = 5000 > 400
K a1 1,0 ×10−5

18txt.indd 616 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 617

Calcolo di [Asc2−]:

[H3O+ ][Asc2− ] ( K a2 )[HAsc− ]


=K a2 = [Asc2− ]
e=
[HAsc− ] [H3O+ ]
(5×10−12 )(7,1×10−4 )
[Asc2− ] = = 5 × 10−12 M
7,1×10−14
Verifica Ka1 ? Ka2, quindi è ragionevole che [HAsc−] ? [Asc2−] perché Asc2− è prodotto
soltanto nella seconda dissociazione (molto più debole). Entrambe le Ka sono piccole, quindi
tutte le concentrazioni, tranne [H2Asc], dovrebbero essere molto minori della concentrazione
iniziale di 0,050 M.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.8 L’acido ossalico (HOOC COOH,


o H2C2O4) è l’acido diprotico organico più semplice. I suoi impieghi commerciali compren­
dono lo sbiancamento della paglia e del cuoio e la rimozione di macchie di ruggine e di
inchiostro. Si calcolino [H2C2O4], [HC2O4−], [C2O42−] e il pH di una soluzione 0,150 M di
H2C2O4. Si usino i valori di Ka indicati nella Tabella 18.5.

18.5 LE BASI DEBOLI E LA LORO RELAZIONE


CON GLI ACIDI DEBOLI
Concentrando l’attenzione sulla provenienza e sulla destinazione del protone, il
concetto di Brønsted-Lowry espande la definizione di una base per comprendere
una miriade di specie che la definizione di Arrhenius esclude: una base è una qual­
siasi specie che accetta un protone; a questo scopo, la base deve avere una coppia so-
litaria di elettroni. (La coppia solitaria di elettroni svolge il ruolo centrale anche nella
definizione di acidi e basi di Lewis, come vedremo più avanti in questo capitolo).
Esaminiamo ora il sistema in equilibrio di una base debole e, come abbiamo
fatto nel caso degli acidi deboli, concentriamo l’attenzione sulle soluzioni acquose.
Quando una base (B) si scoglie, accetta un protone da H2O, che in questo caso si
comporta come un acido, lasciandosi dietro uno ione OH−:
B(aq ) + H2O(aq )   BH+ (aq ) + OH− (aq )


La reazione generale per una base in acqua è descritta dalla seguente espressione
di equilibrio:
[BH+ ][OH− ]
Kc =
[B][H2O]
In base al precedente ragionamento secondo cui [H2O] è trattata come una costante
nelle soluzioni acquose, includiamo [H2O] nel valore di Kc e otteniamo la costante
di dissociazione basica (o costante di ionizzazione basica), Kb:

[BH+ ][OH− ]
Kb = (18.6)
[B]
Nonostante il nome “costante di dissociazione basica”, in questo processo non si dis-
socia alcuna base, come si può vedere dalla reazione.
Come nella relazione tra pKa e Ka, sappiamo che pKb, il logaritmo della costante
di dissociazione basica preso con il segno negativo, decresce al crescere di Kb (cioè,
al crescere della forza della base). In soluzione acquosa, le due grandi classi di basi
deboli sono le molecole azotate (contenenti azoto), quali l’ammoniaca e le ammine,
e gli anioni degli acidi deboli.

Molecole come basi deboli: ammoniaca e ammine


L’ammoniaca è il più semplice composto azotato che si comporta come una base
debole in acqua:
NH3 (aq ) + H2O(l )   NH+4 (aq ) + OH− (aq )

 1,76 ×10−5 (a 25 °C)
Kb =

18txt.indd 617 16/05/19 11:22


618 Capitolo 18

Nonostante le etichette sulle bottiglie di reagenti che dicono “idrossido di ammo­


nio”, una soluzione acquosa di ammoniaca è costituita in gran parte da molecole di
NH3 intatte, come si può vedere dal valore piccolo di Kb in questo caso.
Per esempio, in una soluzione 1,0 M di NH3, [OH−] = [NH4+] = 4,2 × 10−3 M,
quindi circa il 99,58% delle molecole di NH3 non sono ionizzate. La Tabella 18.6
indica i valori di Kb per alcune basi molecolari comuni.
Se uno o più degli atomi di H in NH3 vengono sostituiti con un gruppo orga­
nico (denotato con R), si forma un’ammina: RNH2, R2NH o R3N (vedi Capitolo 15,
Paragrafo 15.4, Figura 15.14, disponibile sul sito web del volume). La caratteristica
strutturale essenziale di questi composti organici, come in tutte le basi di Brønsted-
Lowry, è una coppia solitaria di elettroni che è capace di legare il protone donato dal­
l’acido. La Figura 18.10 visualizza questo processo per la metilammina, l’ammina più
semplice.
La determinazione del pH di una soluzione di una base debole molecolare è un
problema molto simile a quello che coinvolge un acido debole. Scriviamo ­l’espressione

Tabella 18.6 Valori di Kb per alcune basi molecolari (ammine) a 25 °C


Nome (formula) Struttura di Lewis* Kb
H H H H H

Dietilammina [(CH3CH2)2NH] H C C N C C H 8,6 u 104


H H H H

H H H

Dimetilammina [(CH3)2NH] H C N C H 5,9 u 104


H H

H H

H C C H
H H
H
Trietilammina [(CH3CH2)3N] H C C N 5,2 u 104
H
H H
H C C H FORZA DELLA BASE

H H

Metilammina (CH3NH2) H C N H 4,4 u 104


H H

H H

Etanolammina (HOCH2CH2NH2) H O C C N H 3,2 u 105


H H H

Ammoniaca (NH3) H N H 1,76 u 105


H

Piridina (C5H5N) N 1,7 u 109

Anilina (C6H5NH2) N H 4,0 u 1010

* Il carattere blu indica l'atomo di azoto basico e la sua coppia solitaria.

18txt.indd 618 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 619

la coppia solitaria Figura 18.10 Estrazione di


lega H un protone dall’acqua per
opera della metilammina. Le

ammine sono derivati organici

dell’ammoniaca. La metilam-
mina, l’ammina più semplice,
si comporta come una base in
CH3NH2 H2O CH3NH OH acqua estraen­do un protone e
3
metilammina ione metilammonio aumentando così la [OH−].

all’equilibrio, costruiamo una tabella di reazione per trovare [­base]reagente, formuliamo


le ipotesi consuete e poi risolviamo rispetto a [OH−]. La principale differenza è che
dobbiamo convertire [OH−] in [H3O+] per calcolare il pH.

Determinazione del pH in base alla Kb e alla [B] iniziale


PROBLEMA DI VERIFICA 18.9
Problema La dimetilammina, (CH3)2NH (vedi figura a margine), è un intermedio essenziale
nella produzione dei detergenti, ha una Kb = 5,9 × 10−4. Quanto vale il pH di una soluzione
1,5 M di (CH3)2NH?
Piano Conosciamo la concentrazione iniziale (1,5 M) e la Kb (5,9 × 10−4) di (CH3)2NH e voglia­
mo trovare il pH. L’ammina reagisce con l’acqua per formare OH−, quindi dobbiamo trovare
[OH−] e poi calcolare [H3O+] e il pH. L’equazione bilanciata e l’espressione per Kb sono
(CH3 ) 2 NH(aq ) + H2O(l )   (CH3 ) 2 NH+2 (aq ) + OH− (aq )


[(CH3 ) 2 NH+2 ][OH− ]


Kb =
[(CH3 ) 2 NH]
Poiché Kb ? Kw, la [OH−] derivante dall’autoionizzazione dell’acqua è trascurabile, e si può
ignorarla. Perciò,
[OH− ]base [(CH
= = +
3 ) 2 NH 2 ] [OH− ]
Poiché Kb è piccola, supponiamo che la quantità di ammina che reagisce sia piccola, quindi
[(CH3 ) 2 NH]iniz − [(CH3 ) 2 NH]reagente = [(CH3 ) 2 NH]  [(CH3 ) 2 NH]iniz
Procediamo come al solito, costruendo una tabella di reazione, formulando l’ipotesi e risol­
vendo rispetto a x. Poi verifichiamo l’ipotesi e convertiamo [OH−] in [H3O+] usando Kw;
infine, calcoliamo il pH.
Risoluzione Costruzione della tabella di reazione, con
+
=x [(CH3 = =
) 2 NH]reagente [(CH 3 ) 2 NH 2 ] [OH− ]

Concentrazione (M) (CH3)2NH(aq)  H2O(l) W (CH3)2NH2(aq)  OH(aq)


Valore iniziale 1,5  0 0
Variazione x  x x
Valore di equilibrio 1,5 x  x x
Formulazione dell’ipotesi:
Kb è piccola, quindi [(CH3)2NH]iniz  [(CH3)2NH]; perciò, 1,5 M − x  1,5 M.
Sostituzione nell’espressione per Kb e risoluzione rispetto a x:

[(CH3 ) 2 NH+2 ][OH− ] x2


K=
b = 5,9 ×10−4 
[(CH3 ) 2 NH] 1,5
=x [OH− ]  3,0 ×10−2 M

Verifica dell’ipotesi:

3,0 ×10−2 M
×100 = 2,0% < 5% ; l’ipotesi è giustificata
1,5 M

18txt.indd 619 16/05/19 11:22


620 Capitolo 18

Si noti che il commento del Problema di verifica 18.7 è valido anche per le basi deboli:
[B]iniz 1,5
= = 2,5 ×103 > 400
Kb 5,9 ×10−4
Calcolo del pH:
+ Kw 1,0 ×10−14
[H=
3O ] = = 3,3 ×10−13 M
[OH− ] 3,0 ×10−2
pH = −log (3,3 ×10−13 ) =
12,48

Verifica Il valore di x sembra ragionevole: (6 ×10−4 )(1,5) =×9 10−4 = 3 ×10−2. Poiché
(CH3)2NH è una base debole, il pH dovrebbe essere di parecchie unità di pH maggiore di 7.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.9 La piridina (C5H5N, vedi figura a


margine), un importante solvente e un’importante base nelle sintesi organiche, ha un pKb
piridina pari a 8,77. Quanto vale il pH di una soluzione 0,10 M di piridina?

Anioni di acidi deboli come basi deboli


L’altro grande gruppo di basi di Brønsted-Lowry è costituito dagli anioni degli acidi
deboli:*
[HA][OH− ]
A− ( aq ) + H2O( l )   HA( aq ) + OH− ( aq )

 Kb =
[A− ]
Per esempio, F−, l’anione dell’acido debole HF, si comporta come una base debole:

[HF][OH− ]
F− ( aq ) + H2O( l )   HF( aq ) + OH− ( aq )

 Kb =
[F− ]
Perché una soluzione di HA è acida e una soluzione di A− è basica? Affrontiamo
questa domanda esaminando le concentrazioni relative delle specie presenti in una
soluzione 1 M di HF e in una soluzione 2 M di NaF.
1. L’acidità di HF(aq). Poiché HF è un acido debole, la maggior parte di HF esiste in
forma indissociata. Una piccola frazione delle molecole di HF si dissocia effettiva­
mente, donando i propri protoni a H2O e dando piccole concentrazioni di H3O+ e
F−. La posizione dell’equilibrio del sistema è situata assai a sinistra:

Le molecole d’acqua forniscono anche piccole quantità di H3O+ e di OH−, ma le


loro concentrazioni sono estremamente piccole:

Di tutte le specie presenti (HF, H2O, H3O+, F− e OH−), le due che sono in grado di
influenzare l’acidità della soluzione sono H3O+, proveniente in prevalenza da HF, e
OH−, proveniente dall’acqua. La soluzione è acida perché [H3O+ ]HF  [OH− ]H2O .
2. La basicità di A−(aq). Consideriamo ora le specie presenti in una soluzione
1 M di NaF. Il sale si dissocia completamente per dare una concentrazione relativa­
mente grande di F−. Lo ione Na+ si comporta come uno spettatore, ma una parte di
F− reagisce come base debole con l’acqua per produrre una piccolissima quantità
di HF (e di OH−):

* Questa equazione e l’espressione per l’equilibrio sono dette talvolta reazione di idrolisi e costante di
idrolisi, Ki, perché l’acqua è dissociata (idrolizzata) e le sue parti finiscono nei prodotti. In realtà, eccet­
tuata la carica sulla base, questo processo è identico al processo di estrazione di un protone nel caso di
basi molecolari come l’ammoniaca, quindi non sono necessari un nuovo termine e una nuova costante di
equilibrio. Perciò, Ki è semplicemente un altro simbolo per Kb, quindi useremo dovunque il simbolo Kb.

18txt.indd 620 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 621

Come prima, la dissociazione dell’acqua fornisce piccole quantità di H3O+ e di OH−.


Perciò, oltre allo ione Na+, le specie presenti sono le stesse che sono presenti nella
soluzione di HF: HF, H2O, H3O+, F− e OH−. Le due specie che influenzano l’acidità
sono OH−, proveniente in prevalenza dalla reazione di F− con l’acqua, e H3O+ prove­
niente dall’acqua. In questo caso, [OH−]F− ? [H3O+]H O, quindi la soluzione è basica.
2

Riassumendo, il fattore che determina l’acidità relativa di una soluzione di HA o di


una soluzione di A− sono le concentrazioni relative di HA e di A− in ciascuna soluzione.
• In una soluzione di HA, [HA] ? [A−] e [H3O+]HA ? [OH−]H2O, quindi la solu­
zione è acida.
• In una soluzione di A−, [A−] ? [HA] e [OH−]A− ? [H3O+]H2O, quindi la soluzio­
ne è basica.

La relazione tra Ka e Kb di una coppia coniugata acido-base


Tra la Ka di HA e la Kb di A− esiste una relazione importante che si può vedere consi­
derando le due reazioni di dissociazione come una sequenza di reazioni e sommandole:

HA + H2O   H 2 O+ + A −


A − + H 2O   HA + OH−


2H2O   H3O+ + OH−


La somma delle due reazioni di dissociazione è l’autoionizzazione dell’acqua. Si ricordi
che, come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel caso di una reazione che è
la somma di due o più reazioni, la costante di equilibrio complessiva è il prodotto
delle costanti di equilibrio parziali. Perciò, scrivendo le espressioni per ciascuna
reazione, otteniamo:
[H3O+ ] [A− ] [HA] [OH− ]
× [H3O+ ][OH− ]
=
[HA] [A− ]
ossia
Ka × Kb =
Kw (18.7)
Questa relazione ci permette di trovare la Ka dell’acido in una coppia coniugata
data la Kb della base e viceversa. Usiamo questa relazione per ottenere un dato
essenziale per la risoluzione dei problemi di equilibrio. Le tabelle di consultazione
contengono di solito valori di Ka e Kb soltanto per specie molecolari. Per esempio,
la Kb per F− o la Ka per CH3NH3+ non compaiono nelle tabelle standard, ma possia­
mo calcolare semplicemente l’uno o l’altro valore cercando il valore della specie
coniugata molecolare e mettendolo in relazione con Kw. Per esempio, per il valore
di Kb per F−, cerchiamo il valore di Ka per HF e lo mettiamo in relazione con Kw:
=
Ka di HF 6,8 ×10−4 (dalla Tabella 18.2)
Perciò, abbiamo
( Ka di HF) × ( Kb di F− ) =
KW
− Kw 1,0 ×10−14
ossia, K=
b di F = = 1,5×10−11
Ka di HF 6,8 ×10−4

Possiamo usare questo valore calcolato di Kb per completare la risoluzione di problemi.

Determinazione del pH di una soluzione di A−


PROBLEMA DI VERIFICA 18.10
Problema L’acetato di sodio (CH3COONa, NaAc per questo problema) trova applicazioni
nello sviluppo fotografico e nella tintura dei tessili. Quanto vale il pH di una soluzione
0,25 M di NaAc? La Ka dell’acido acetico (HAc per questo problema) è 1,8 × 10−5.
Piano Dalla formula (NaAc) e dal fatto che tutti i sali di sodio sono solubili in acqua, sap­
piamo che la concentrazione iniziale dello ione acetato, Ac−, è 0,25 M. Conosciamo inoltre

18txt.indd 621 16/05/19 11:22


622 Capitolo 18

Ka per l’acido originario, HAc (1,8 × 10−5). Dobbiamo calcolare il pH della soluzione di Ac−,
che si comporta come una base in acqua:
[HAc][OH− ]
Ac− ( aq ) + H2O( l )   HAc( aq ) + OH− ( aq )K b =


[Ac− ]

Se calcoliamo [OH−], possiamo trovare [H3O+] e convertire in pH. Per risolvere rispetto a [OH−],
dobbiamo conoscere la Kb di Ac−, che otteniamo da Ka di HAc e da Kw. Tutti i sali di sodio
sono solubili, quindi sappiamo che [Ac−] = 0,25 M. L’ipotesi solita è che [Ac−]iniz  [Ac−].
Risoluzione Costruzione della tabella di reazione, con x = [Ac−]reagente = [HAc] = [OH−]:
Concentrazione (M) Ac(aq)  H2O(l) W HAc(aq)  OH(aq)
Valore iniziale 0,25  0 0
Variazione x  x x
Valore di equilibrio 0,25 x  x x

Risoluzione rispetto a Kb:


Kw 1,0 ×10−14
=
K b = = 5,6 ×10−10
Ka 1,8 ×10−5
Formulazione dell’ipotesi: poiché Kb è piccola, 0,25 M − x  0,25 M.
Sostituzione nell’espressione per Kb e risoluzione rispetto a x:
[HAc][OH− ] x2
Kb = −
5,6 ×10−10 
= [OH− ]  1,2 ×10−5 M
x=
[Ac ] 0,25
Verifica dell’ipotesi:
1,2 ×10−5 M
×100 = 4,8 ×10−3 % < 5% ; l’ipotesi è giustificata
0,25 M
Si noti che
0,25
= 4,5 ×108 > 400
5,6 ×10−10
L’elettronegatività aumenta,
Risoluzione rispetto a pH:
l’acidità aumenta
+ Kw 1,0 ×10−14
[H=
3O ] = −
= 8,3 ×10−10 M
[OH ] 1,2 ×10−5
6A(16) 7A(17)
pH = −log (8,3 ×10−10 ) = 9,08
La forza del legame diminuisce,

H2O HF Verifica Il valore calcolato di Kb sembra ragionevole: (10 × 10−15)/(2 × 10−5) = 5 × 10−10.
Poiché Ac− è una base debole, [OH−] > [H3O+]; quindi, pH > 7, che è ragionevole.

H2S HCl PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.10 L’ipoclorito di sodio (NaClO) è un


l’acidità aumenta

costituente attivo della “candeggina”. Quanto vale il pH di una soluzione 0,20 M di NaClO?

H2Se HBr

18.6 PROPRIETÀ MOLECOLARI


H2Te HI E FORZA DI UN ACIDO
La forza di un acido dipende dalla sua capacità di donare un protone, la quale, in
Figura 18.11 L’effetto delle termini molecolari, dipende a sua volta dalla forza del legame con il protone acido.
proprietà atomiche e moleco- In questo paragrafo applicheremo le tendenze delle proprietà atomiche e di legame
lari sull’acidità degli idruri non
metallici. All’aumentare del­
per determinare le tendenze della forza acida degli idruri non metallici e degli os­
l’elettronegatività del non siacidi ed esamineremo l’acidità degli ioni metallici idrati.
metallo (E) legato al protone
ionizzabile (da sinistra a destra), Tendenze della forza acida degli idruri non metallici
l’acidità aumenta. All’aumentare
La facilità con cui un protone viene rilasciato da un idruro non metallico è determinata
della lunghezza del legame E
H (dall’alto al basso), la forza da due fattori: l’elettronegatività del non metallo centrale (E) e la forza del legame E H.
del legame diminuisce, quindi La Figura 18.11 illustra due tendenza periodiche.
l’acidità aumenta. (In acqua,
HCl, HBr e HI sono ugualmente 1. Lungo un periodo, la forza acida degli idruri non metallici aumenta da sinistra a destra.
forti, per i motivi esaminati nel Lungo un periodo, questa tendenza è determinata dall’elettronegatività del non
Paragrafo 18.8). metallo E. Via via che E diventa più elettronegativo, attrae la densità elettronica

18txt.indd 622 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 623

L’elettronegatività aumenta, l’acidità aumenta Figura 18.12 Le forze relati-


ve degli ossiacidi. A. Tra gli
A H O I < H O Br < H O Cl acidi ipoalosi (HOE, dove E è un
G G G G G G alogeno), HOCl è il più forte e
HOI è il più debole. Poiché Cl è
O il più elettronegativo tra gli
atomi degli alogeni mostrati
B H O Cl << H O Cl O qui, esso attrae più efficace-
G G G G mente la densità elettronica (il
O che è indicato dallo spessore
della freccia verde) allontanan-
Il numero di atomi di O aumenta, l'acidità aumenta
dola dal legame O H, renden-
dolo più polare in HOCl (il che è
attorno a H allontanandola da esso e il legame E H diventa più polare. Di conse­ indicato dalle dimensioni relati-
ve dei simboli δ). B. Tra gli ossia-
guenza, uno ione H+ viene ceduto più facilmente a un atono di O di una molecola cidi del cloro, gli atomi di O
d’acqua circostante. In soluzione acquosa, gli idruri degli elementi dei Grup­ addizionali in HOClO3 attraggo-
pi 3A(13) ÷ 5A(15) non si comportano come acidi, ma si osserva un aumento della no la densità elettronica allon-
forza acida nei Gruppi 6A(16) e 7A(17). Perciò, HCl è un acido più forte di H2S tanandola dal legame O H,
perché Cl è più elettronegativo (χ = 3,0) di S (χ = 2,5). La stessa relazione vale rendendolo molto più polare che
in HOCl (il che è indicato ancora
lungo ciascun periodo. una volta dalle grandezze relati-
2. Lungo un gruppo, la forza acida degli idruri non metallici aumenta dall’alto al basso. ve dei simboli δ).
Lungo un gruppo, la tendenza è determinata dalla forza del legame E H. Via via
che E diventa più grande, il legame E H diventa più lungo e più debole, quindi
H+ viene rilasciato più facilmente.* Perciò, la forza degli acidi alogenidrici aumenta
dall’alto al basso lungo il gruppo:
HF  HCl < HBr < HI
Una tendenza simile di una forza acida crescente si osserva dall’alto al basso lungo
il Gruppo 6A(16). (La tendenza della forza degli acidi alogenidrici non si osserva
in soluzione acquosa, in cui HCl, HBr e HI hanno tutti la stessa forza; vedremo nel
Paragrafo 18.8 come si osserva questa tendenza).

Tendenze della forza acida negli ossiacidi


Tutti gli ossiacidi hanno l’atomo di H acido legato a un atomo di O, quindi la forza
(la lunghezza) di legame non interviene nella loro acidità, a differenza del caso
degli idruri non metallici. Invece, come abbiamo visto nel Paragrafo 14.8, la forza
acida degli ossiacidi è determinata da due fattori: l’elettronegatività del non metallo
centrale (E) e il numero di atomi di O.
1. Per gli ossiacidi con lo stessso numero di atomi di ossigeno attorno a E, la forza acida
aumenta all’aumentare dell’elettronegatività di E. Consideriamo gli acidi ipoalogenosi
(denotati qui come HOE, dove E è un atomo di alogeno). Più E è elettronegativo,
maggiore è la densità elettronica che esso attrae allontanandola dal legame O H;
più il legame O H diventa polare, più facilmente viene ceduto lo ione H+ (Figu­
ra 18.12A). Poiché l’elettronegatività diminuisce dall’alto al basso lungo il gruppo,
prevediamo che la forza acida diminuisca: HOCl > HOBr > HOI. La previsione è
confermata dai valori di Ka:
Ka di HOCl= 2,9 ×10−8 Ka di HOBr= 2,3 ×10−9 =
Ka di HOI 2,3 ×10−11
Prevediamo anche (correttamente) che, nel Gruppo 6A(16), H2SO4 sia più forte di
H2SeO4, nel Gruppo 5A(15), H3PO4 sia più forte di H3AsO4 e così via.
2. Per gli ossiacidi con differenti numeri di atomi di ossigeno attorno a un dato E, la
forza acida aumenta all’aumentare del numero di atomi di O. Gli atomi di O elettrone­

* In realtà, l’energia di legame si riferisce alla rottura del legame con formazione di un atomo di H, mentre
l’acidità si riferisce alla rottura del legame con formazione di uno ione H+, quindi i due processi non sono
identici. Ciononostante, le entità dei due tipi di rottura di legame sono simili.

18txt.indd 623 16/05/19 11:22


624 Capitolo 18

gativi attraggono la densità elettronica allontanandola da E, il che rende più polare


il legame O H. Maggiore è il numero di atomi di O presenti, maggiore è lo sposta­
mento della densità elettronica, e maggiore è la facilità con cui lo ione H+ viene
rilasciato (Figura 18.12B). Perciò, prevediamo, per esempio, che gli ossiacidi del
cloro (scritti qui come HOClOn, dove n è un numero compreso tra 0 e 3) aumentino
in forza nell’ordine HOCl < HOClO < HOClO2 < HOClO3.
Ancora una volta, i valori di Ka corroborano la previsione:

Ka di HOCl (acido ipocloroso) = 2,9 × 10−8


Ka di HOClO (acido cloroso) = 1,12 × 10−2
Ka di HOClO2 (acido clorico) 1
Ka di HOClO3 (acido perclorico) > 107

Ne consegue che HNO3 è più forte di HNO2, che H2SO4 è più forte di H2SO3 e co­sì via.

Acidità degli ioni metallici idrati


Le soluzioni acquose di certi ioni metallici sono acide perché lo ione metallico
idrato trasferisce uno ione H+ all’acqua. Consideriamo un nitrato metallico generale,
M(NO3)n, mentre si scioglie in acqua. Gli ioni si separano e si legano a un numero
specifico di molecole di H2O circostanti. Questa equazione rappresenta l’idratazio­
ne del catione (Mn+) con molecole di H2O; l’idratazione dell’anione (NO3−) è indicata
con “(aq)”:

→ M(H2O)nx+ ( aq ) + nNO−3 ( aq )
M(NO3 )n ( s ) + xH2O( l ) ⎯ ⎯

Se lo ione metallico, Mn+, è piccolo e altamente carico, esso ha un’alta densità di cari­
ca e attrae, allontanandola dai legami O H delle molecole d’acqua legate, una
densità elettronica sufficiente per il rilascio di un protone. Cioè, il catione idrato,
M(H2O)xn+, si comporta come un tipico acido di Brønsted-Lowry. Nel processo, la
molecola di H2O legata che rilascia il protone diventa uno ione OH− legato:

M(H2O)nx+ ( aq ) + H2O( l )   M(H2O) x−1OH(n−1)+ ( aq ) + H3O+ ( aq )




Ciascun tipo di ione metallico idrato che rilascia un protone ha un valore caratteri­
stico di Ka. La Tabella 18.7 presenta alcuni esempi comuni.
Per esempio, lo ione alluminio ha il raggio piccolo e la carica positiva alta ne­
cessari per produrre una soluzione acida.

Tabella 18.7 Valori di Ka di alcuni


ioni metallici idrati
a 25 °C

Ione Ione
libero idrato Ka
Fe 3
Fe(H2O)63(aq) 6u103
Sn2 Sn(H2O)62(aq) 4u104
Cr3 Cr(H2O)63(aq) 1u104
FORZA DELL'ACIDO

Al3 Al(H2O)63(aq) 1u105


Be2 Be(H2O)42(aq) 4u106
Cu2 Cu(H2O)62(aq) 3u108
Pb2 Pb(H2O)62(aq) 3u108
Zn2 Zn(H2O)62(aq) 1u109
Co2 Co(H2O)62(aq) 2u1010
Ni2 Ni(H2O)62(aq) 1u1010

18txt.indd 624 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 625

la densità elettronica
H2O vicina si Figura 18.13 Il comportamen-
comporta come base to acido dello ione Al3+ idrato.
è attratta verso Al3
Quando uno ione metallico entra
nell’acqua, si idrata quando
molecole d’acqua si legano a
esso. Se lo ione è piccolo e ha
Al3  Al3  una carica multipla, come lo
ione Al3+, esso attrae la carica

elettronica, allontanandola dai
legami O H delle molecole di
acqua legate, in misura suffi-
ciente per rendere i legami più
Al( H2O)63 H2O Al( H2O)5OH2 H3O polari, e uno ione H+ si trasferi-
sce a una molecola d’acqua
­vicina.
Quando un sale di alluminio, quale Al(NO3)3, si scioglie in acqua, avvengono i se­
guenti stadi:
→ Al(H2O)36+ ( aq ) + 3NO−3 ( aq )
Al(NO3 )3 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
[dissoluzione e idratazione]

Al(H2O)36+ ( aq ) + H2O( l )   Al(H2O)5OH2+ ( aq ) + H3O+ ( aq )



 1×10−5
Ka =
[dissociazione di acido debole]

Si notino le formule degli ioni metallici idrati nell’ultimo stadio. Quando H+ viene
rilasciato, il numero di molecole di H2O legate diminuisce di 1 (passando da 6 a 5) e
il numero di ioni OH− legati aumenta di 1 (passando da 0 a 1), il che riduce di 1 (da
3 a 2) la carica positiva dello ione (Figura 18.13).
Uno ione metallico centrale altamente carico, mediante la sua capacità di attrarre
densità elettronica allontanandola dai legami O H delle molecole d’acqua legate, si
comporta come un atomo elettronegativo centrale in un ossiacido. I sali della maggior
parte degli ioni M2+ e M3+ danno soluzioni acquose acide.

18.7 PROPRIETÀ ACIDO-BASE


DELLE SOLUZIONI SALINE
Abbiamo visto finora che i cationi delle basi deboli (come NH4+) sono acidi, gli anio­
ni degli acidi deboli (come CN−) sono basici, gli anioni degli acidi poliprotici (come
H2PO4−) sono spesso acidi, e i cationi metallici piccoli, altamente carichi, (come
Al3+) sono acidi. Perciò, quando i sali contenenti questi ioni si sciolgono in acqua,
il pH della soluzione ne è influenzato. Siamo in grado di prevedere l’acidità relativa
di una soluzione salina in base alla capacità relativa del catione e/o dell’anione di
reagire con l’acqua. Esaminiamo la costituzione ionica dei sali che producono solu­
zioni neutre, acide o basiche per vedere come formulare questa previsione.

Sali che producono soluzioni neutre


Un sale costituito dall’anione di un acido forte e dal catione di una base forte produce una
soluzione neutra perché gli ioni non reagiscono con l’acqua. Per vedere perché gli ioni
non reagiscono, consideriamo la dissociazione dell’acido e della base progenitori.
Quando un acido forte quale HNO3 si scioglie, avviene la dissociazione completa:

→ NO−3 ( aq ) + H3O+ ( aq )
HNO3 ( l ) + H2O( l ) ⎯ ⎯

H2O è una base molto più forte di NO3−, quindi la reazione procede essenzialmente
fino al completamento. Lo stesso ragionamento si può fare per qualsiasi acido forte:
l’anione di un acido forte è una base molto più debole dell’acqua. Perciò, l’anione di un
acido forte si idrata, ma non accade altro.

18txt.indd 625 16/05/19 11:22


626 Capitolo 18

Consideriamo ora la dissociazione di una base forte, quale NaOH:


H 2O
NaOH( s ) ⎯ ⎯⎯ → Na+ ( aq ) + OH− ( aq )
Lo ione Na+ ha un raggio relativamente grande e una carica relativamente picco­
la e quindi si lega fortemente alle molecole d’acqua circostanti. Quando Na+ entra
nell’acqua, si idrata ma non accade altro. Si comportano in questo modo i cationi di tutte
le basi forti.
Gli anioni degli acidi forti sono gli ioni alogenuro, eccettuato F−, e quelli degli
ossiacidi forti, quali NO3−, ClO4− e HSO4−. I cationi delle basi forti sono quelli del
Gruppo 1A(1) e Ca2+, Sr2+ e Ba2+ del Gruppo 2A(2). I sali contenenti soltanto que­
sti ioni, quali NaCl e Ba(NO3)2, producono soluzioni neutre perché non avviene alcuna
reazione con l’acqua.

Sali che producono soluzioni acide


Un sale costituito dall’anione di un acido forte e dal catione di una base debole produce
una soluzione acida perché il catione si comporta come un acido debole e l’anione non
interagisce. Per esempio, NH4Cl produce una soluzione acida perché lo ione NH4+,
il catione che si forma a partire dalla base debole NH3, è un acido debole, e lo ione
Cl−, l’anione di un acido forte, non reagisce:
H 2O
NH4 Cl( s ) ⎯ ⎯⎯ → NH+4 ( aq ) + Cl− ( aq ) [dissoluzione e idratazione]

NH+4 ( aq ) + H2O( l )   NH3 ( aq ) + H3O+ ( aq )


 [dissociazione di acido debole]

Come abbiamo visto precedentemente, gli ioni metallici piccoli, altamente carichi,
costituiscono un altro gruppo di cationi che producono H3O+ in soluzione. Per
esempio, Fe(NO3)3 produce una soluzione acida perché lo ione Fe3+ idrato si com­
porta come un acido debole, mentre lo ione NO3−, l’anione di un acido forte, non
reagisce:
H 2O
Fe(NO3 )3 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯⎯ → Fe(H2O)36+ ( aq ) + 3NO−3 ( aq )
[dissoluzione e idratazione]

Fe(H2O)36+ ( aq ) + H2O( l )   Fe(H2O)5OH2+ ( aq ) + H3O+ ( aq )




[dissociazione di acido debole]

Un terzo gruppo di sali che producono ioni H3O+ in soluzione sono costituiti dai
cationi di basi forti e dagli anioni di acidi poliprotici con un altro protone ionizzabile. Per
esempio, NaH2PO4 produce una soluzione acida perché Na+, il catione di una base
forte, non reagisce, mentre H2PO4− è un acido debole:
H 2O
NaH2PO4 ( s ) ⎯ ⎯⎯ → Na+ ( aq ) + H2PO−4 ( aq ) [dissoluzione e idratazione]

H2PO−4 ( aq ) + H2O( l )   HPO 24− ( aq ) + H3O+ ( aq )


 [dissociazione di acido debole]

Sali che producono soluzioni basiche


Un sale costituito dall’anione di un acido debole e dal catione di una base forte produce una
soluzione basica in acqua perché l’anione si comporta come una base debole e il catione
non reagisce. L’anione di un acido debole estrae un protone dall’acqua per dare lo
ione OH−. Per esempio, l’acetato di sodio produce una soluzione basica perché lo
ione Na+, il catione di una base forte, non reagisce con l’acqua, e lo ione CH3COO−,
l’anione dell’acido debole CH3COOH, si comporta come una base debole:
H 2O
CH3COONa( s ) ⎯ ⎯⎯ → Na+ ( aq ) + CH3COO− (aq ) [dissoluzione e idratazione]

CH3COO− ( aq ) + H2O( l )   CH3COOH( aq ) + OH− ( aq )



 [reazione di base debole]
La Tabella 18.8 presenta il comportamento acido-base dei vari tipi di sali in acqua.

18txt.indd 626 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 627

Tabella 18.8 Comportamento dei sali in acqua


Soluzione salina Ione che reagisce
(esempi) pH Natura degli ioni con l’acqua
Neutra 7,0 Catione di base Nessuno
[NaCl, KBr, forte
Ba(NO3)2] Anione di acido
forte

Acida 7,0 Catione di base Catione


(NH4Cl, NH4NO3, debole
CH3NH3Br) Anione di acido
forte

Acida 7,0 Catione piccolo, Catione


[Al(NO3)3, di carica elevata
CrBr3, FeCl3] Anione di acido
forte

Acida 7,0 Catione di base Anione


(NaH2PO4, forte
KHCO3, NaHSO3) Primo anione di
acido poliprotico

Basica !7,0 Catione di base Anione


(CH3COONa, forte
KF, Na2CO3) Anione di base
debole

Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch photographer.

Previsione dell’acidità relativa delle soluzioni saline


PROBLEMA DI VERIFICA 18.11
Problema Si preveda se le soluzioni acquose dei seguenti sali siano acide, basiche o neutre
e si scriva un’equazione per la reazione di qualsiasi ione con l’acqua.
(a) Perclorato di potassio, KClO4 (b) Benzoato di sodio, C6H5COONa
(c) Tricloruro di cromo, CrCl3 (d) Idrogenosolfato di sodio, NaHSO4
Piano Esaminiamo le formule per determinare i cationi e gli anioni. A seconda della natura
di questi ioni, la soluzione sarà neutra (anione di acido forte e catione di base forte), acida
(catione di base debole e anione di acido forte, catione metallico altamente carico, o primo
anione di un acido poliprotico) o basica (anione di acido debole e catione di base forte).
Risoluzione (a) Neutra. Gli ioni sono K+ e ClO4−. Il catione K+ proviene dalla base forte
KOH, e l’anione ClO4− proviene dall’acido forte HClO4. Nessuno dei due ioni reagisce con
l’acqua.
(b) Basica. Gli ioni sono Na+ e C6H5COO−. Na+ è il catione della base forte NaOH e non
reagisce con l’acqua. Lo ione benzoato, C6H5COO−, proviene dall’acido benzoico, un acido
debole, quindi reagisce con l’acqua per produrre lo ione OH−:

C6H5COO− ( aq ) + H2O( l )   C6H5COOH( aq ) + OH− ( aq )




(c) Acida. Gli ioni sono Cr3+ e Cl−. Cl− è l’anione dell’acido forte HCl, quindi non reagisce
con l’acqua. Cr3+ è un piccolo ione metallico con una carica positiva elevata, quindi lo ione
idrato, Cr(H2O)63+, reagisce con l’acqua per produrre H3O+:
Cr(H2O)36+ ( aq ) + H2O( l )   Cr(H2O)5OH 2+ ( aq ) + H3O+ ( aq )


18txt.indd 627 16/05/19 11:22


628 Capitolo 18

(d) Acida. Gli ioni sono Na+ e HSO4−. Na+ è il catione della base forte NaOH, quindi non
reagisce con l’acqua. HSO4− è il primo anione dell’acido diprotico H2SO4 e reagisce con l’ac­
qua per produrre H3O+:
HSO−4 ( aq ) + H2O( l )   SO 42− ( aq ) + H3O+ ( aq )


PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.11 Si scrivano equazioni per


prevedere se le soluzioni dei seguenti sali siano acide, basiche o neutre: (a) KClO2; (b)
CH3NH3NO3; (c) CsI.

Sali di cationi debolmente acidi e di anioni debolmente basici


Gli unici sali che restano da considerare sono quelli costituiti da un catione che
si comporta come un acido debole e un anione che si comporta come una base
debole. In questi casi, che non sono pochi, entrambi gli ioni reagiscono con l’acqua
e l’acidità complessiva della soluzione dipende dalla forza acida relativa o dalla for­
za basica relativa degli ioni separati, che si può determinare confrontando le loro
costanti di equilibrio.
Per esempio, una soluzione acquosa di idrogenosolfuro di ammonio, NH4HS,
sarà acida o basica? In primo luogo, scriviamo equazioni per le reazioni che avven­
gono tra gli ioni separati e l’acqua. Lo ione ammonio è l’acido coniugato di una base
debole, quindi si comporta come un acido debole:

NH+4 ( aq ) + H2O( l )   NH3 ( aq ) + H3O+ ( aq )




Lo ione idrogenosolfuro è l’anione dell’acido debole H2S, quindi si comporta come


una base debole:
HS− ( aq ) + H2O( l )   H2S( aq ) + OH− ( aq )


La reazione che procede più verso destra avrà la maggiore influenza sul pH della
soluzione, quindi dobbiamo confrontare la Ka di NH4+ con la Kb di HS−, Si ricordi
che nelle tabelle di Ka e di Kb sono elencati soltanto i composti molecolari, quindi
dobbiamo calcolare questi valori per gli ioni:

+ Kw 1,0 ×10−14
K=
a di NH 4 = = 5,7 ×10−10
Kb di NH3 1,76 ×10−5

− Kw 1, 0 ×10−14
K=
b di HS = = 1×10−7
Ka1 di H2S 9 ×10−8

La differenza tra i valori delle costanti di equilibrio (Kb  200 Ka) ci dice che l’estra­
zione di un protone da H2O per opera di HS− procede di più rispetto al rilascio di
un protone a H2O per opera di NH4+. In altre parole, poiché Kb di HS− > Ka di NH4+,
la soluzione di NH4HS è basica.

Previsione dell’acidità relativa di soluzioni saline in base alla Ka


e alla Kb degli ioni
PROBLEMA DI VERIFICA 18.12
Problema Si determini se una soluzione acquosa di formiato di zinco, Zn(HCOO)2, sia acida,
basica o neutra.
Piano La formula è costituita dal catione Zn2+ piccolo, altamente carico e quindi debolmen­
te acido, e dall’anione HCOO− debolmente basico dell’acido debole HCOOH. Per determina­
re l’acidità relativa della soluzione, scriviamo le equazioni per rappresentare le reazioni degli
ioni con l’acqua, poi troviamo Ka di Zn2+ (dalla Tabella 18.7) e calcoliamo Kb di HCOOH− (da
Ka di HCOOH nella Tabella 18.2) per vedere quale ione reagisca in maggiore misura.

18txt.indd 628 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 629

Risoluzione Scrittura delle reazioni con l’acqua:

Zn(H2O)62+ ( aq ) + H2O( l )   Zn(H2O)5OH+ ( aq ) + H3O+ ( aq )




HCOO− ( aq ) + H2O( l )   HCOOH( aq ) + OH− ( aq )




Determinazione di Ka e Kb degli ioni. Dalla Tabella 18.7, Ka di Zn(H2O)62+(aq) = 1 × 10−9.


Dalla Tabella 18.2, otteniamo Ka di HCOOH e risolviamo rispetto a Kb di HCOO−:

− Kw 1,0 ×10−14
K=
b di HCOO = = 5,6 ×10−11
K a di HCOOH 1, 8 ×10−4

Ka di Zn(H2O)62+ > Kb di HCOO−, quindi la soluzione è acida .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.12 Si determini se le soluzioni dei


seguenti sali siano acide, basiche o neutre: (a) Cu(CH3COO)2; (b) NH4F.

18.8 GENERALIZZAZIONE DEL CONCETTO


DI BRØNSTED-LOWRY:
L’EFFETTO DI LIVELLAMENTO
Concludiamo l’esame del concetto di Brønsted-Lowry con un principio importante
che vale per il comportamento acido-base in qualsiasi solvente. È importante no­
tare che, in H2O, tutti gli acidi di Brønsted-Lowry producono H3O+ e tutte le basi
di Brønsted-Lowry producono OH−: gli ioni che si formano quando il solvente si
autoionizza. In generale, un acido produce il catione e una base produce l’anione del­
l’autoionizzazione del solvente.
Questo concetto ci permette di esaminare una domanda che il lettore può
essersi posto: perché tutti gli acidi forti e tutte le basi forti sono ugualmente forti
in acqua? La risposta è che, in acqua, l’acido più forte possibile è H3O+ e la base più
forte possibile è OH−. Nel momento in cui introduciamo una certa quantità di HCl
gassoso in acqua, esso reagisce con la base H2O e forma H3O+. Lo stesso vale per
HNO3, H2SO4 e qualsiasi acido forte. Tutti gli acidi forti sono ugualmente forti in
acqua perché si dissociano completamente per formare H3O+. Dato che l’acido forte
non è più presente, stiamo osservando in realtà la forza acida di H3O+.
Analogamente, le basi forti, come Ba(OH)2, si dissociano completamente in
acqua per produrre OH−. Lo fanno anche quelle che non contengono ioni idrossido
nel solido, come K2O.
Lo ione ossido, che è una base più forte di OH−, estrae immediatamente un
protone dall’acqua per formare OH−:

2K + ( aq ) + O 2− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2K + ( aq ) + 2OH− ( aq )

Indipendentemente da quale specie saggiamo, ogni acido più forte di H3O+ dona
semplicemente il suo protone a H2O, e ogni base più forte di OH− accetta un proto­
ne da H2O. Perciò, l’acqua esercita un effetto di livellamento su ogni acido forte
o su ogni base forte reagente con esso per formare i prodotti di autoionizzazione
dell’acqua. L’acqua, agendo come una base, livella la forza di tutti gli acidi forti
facendoli apparire ugualmente forti e, agendo come un acido, livella anche la forza
di tutte le basi forti.
Per classificare gli acidi forti in termini di forza relativa, dobbiamo scioglierli in
un solvente che sia una base più debole dell’acqua, una base che accetti i loro pro­
toni meno facilmente. Per esempio, abbiamo visto nella Figura 18.11 che la forza
degli acidi alogenidrici aumenta all’aumentare del raggio dell’alogeno, in conse­
guenza dell’allungamento e dell’indebolimento del legame H X. In acqua, HF è
più debole degli altri alogenuri di idrogeno, ma HCl, HBr e HI appaiono ugualmen­

18txt.indd 629 16/05/19 11:22


630 Capitolo 18

te forti perché l’acqua li fa dissociare completamente. Però, quando li sciogliamo in


acido acetico puro, l’acido acetico agisce come base e accetta un protone dagli acidi:

acido base base acido


HCl( g ) + CH3COOH( l )   CI− ( acet ) + CH3COOH+2 ( acet )


HBr( g ) + CH3COOH( l )   Br− ( acet ) + CH3COOH+2 ( acet )


HI( g ) + CH3COOH( l )   I− ( acet ) + CH3COOH+2 ( acet )


[L’uso di (acet) invece di (aq) indica la solvatazione da parte di CH3COOH.] Però,


poiché l’acido acetico è una base più debole dell’acqua, i tre acidi lo protonano in
differenti misure. Le misurazioni indicano che HI protona il solvente più di quanto
faccia HBr, e che HBr lo protona più di quanto faccia HCl; cioè, nell’acido acetico
puro, KHI > KHBr > KHCl. Perciò, HCl è un acido più debole di HBr, che è più debole
di HI. Analogamente, la forza relativa delle basi forti si determina in un solvente che
sia un acido più debole di H2O, quale NH3 liquida.

18.9 DONAZIONE DI COPPIE DI ELETTRONI


E DEFINIZIONE DI ACIDI E BASI SECONDO LEWIS
L’ultimo concetto di acidi e basi che considereremo è dovuto al chimico e fisico
statunitense Gilbert Newton Lewis (1876-1946), il cui contributo alla compren­
sione dell’importanza delle coppie di elettroni di valenza nel legame molecolare è
stato esaminato nel Capitolo 9. Mentre il concetto di Brønsted-Lowry concentra
l’attenzione sul protone nella definizione di una specie come un acido o una base, il
concetto di Lewis pone in rilievo il ruolo della coppia di elettroni. Nella definizione
di acidi e basi secondo Lewis,
• una base è qualsiasi specie che dona una coppia di elettroni;
• un acido è qualsiasi specie che accetta una coppia di elettroni.
La definizione di Lewis, come la definizione di Brønsted-Lowry, richiede che una
base abbia una coppia di elettroni da donare, quindi non espande le classi di basi.
Però, espande notevolmente le classi di acidi. Molte specie, quali CO2 e Cu2+, che non
contengono H nella loro formula (e quindi non possono essere acidi di Brønsted-
Lowry) si comportano come acidi di Lewis accettando una coppia di elettroni nelle
loro reazioni. Lewis formulò nei termini seguenti la sua obiezione alla definizione
di un acido basata sul protone: “Restringere il gruppo degli acidi alle sostanze che
contengono idrogeno interferisce tanto seriamente con la comprensione sistemati­
ca della chimica quanto interferirebbe la restrizione del termine agente ossidante
alle sostanze contenenti ossigeno”. Inoltre, nel senso di Lewis, il protone stesso si
comporta da acido perché accetta la coppia di elettroni donata da una base:

B  H W BH

Perciò, tutti gli acidi di Brønsted-Lowry donano H+, un acido di Lewis.


Il prodotto di qualsiasi reazione acido-base di Lewis è detto addotto, una sin-
gola specie che contiene un nuovo legame covalente:

A  B W AB (addotto)
Perciò, il concetto di Lewis estende radicalmente il concetto di reazioni acido-base.
Quella che per Arrhenius era la formazione di H2O a partire da H+ e OH− è diven­
tata, per Brønsted-Lowry, il trasferimento di un protone da un acido più forte a una
base più forte per formare una base più debole e un acido più debole. Per Lewis, lo
stesso processo è diventato la donazione e l’accettazione di una coppia di elettroni per
formare un legame covalente in un addotto.
Come abbiamo visto, la caratteristica essenziale di una base di Lewis è una coppia
solitaria di elettroni da donare. La caratteristica essenziale di un acido di Lewis è un

18txt.indd 630 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 631

orbitale vuoto (o la capacità di riorganizzare i suoi legami per formarne uno) per
accettare quella coppia solitaria e formare un nuovo legame. Esiste un’ampia varietà
di molecole neutre e di ioni carichi positivamente che soddisfano questo requisito.

Molecole come acidi di Lewis


Molte molecole neutre si comportano come acidi di Lewis. In ogni caso, l’atomo
che accetta la coppia di elettroni ha una bassa densità elettronica a causa di una
carenza di elettroni o di un legame multiplo polare.

Acidi di Lewis con atomi poveri di elettroni Alcuni acidi di Lewis molecolari
contengono un atomo centrale che è povero di elettroni (elettrondeficiente), essendo
circondato da meno di otto elettroni di valenza. I più importanti sono composti
covalenti degli elementi del Gruppo 3A(13) boro e alluminio. Come abbiamo
notato nei Capitoli 9 e 14, questi composti reagiscono vigorosamente per com­
pletare il loro ottetto. Per esempio, il trifluoruro di boro accetta una coppia di
elettroni dall’ammoniaca per formare un legame covalente in una reazione acido-
base di Lewis in fase gassosa:

Il comportamento di solubilità inatteso è dovuto talvolta alla formazione di un


addotto. Per esempio, il cloruro di alluminio si scioglie liberamente in etere die­
tilico relativamente apolare a causa di una reazione acido-base di Lewis, in cui
l’atomo di O dell’etere dona una coppia di elettroni all’atomo di Al per formare
un legame covalente:

Cl
Cl
CH3 CH2 O  Al W CH3 CH2 O Al
Cl
CH3 CH2 CH3 CH2
Cl Cl Cl
base acido addotto

Questo comportamento acido degli alogenuri di boro e di alluminio è sfruttato in


molte sintesi organiche. Per esempio, il toluene, un importante solvente e reagen­
te organico, può essere formato dall’azione del CH3Cl sul benzene in presenza di
AlCl3. L’acido di Lewis AlCl3 estrae la base di Lewis Cl− da CH3Cl per formare un
addotto che ha un gruppo CH3+ reattivo, che attacca l’anello benzenico:

Acidi di Lewis con legami multipli polari Anche le molecole che contengono
un legame doppio polare si comportano come acidi di Lewis. Quando la coppia di
elettroni sulla base di Lewis si avvicina all’estremità parzialmente positiva del lega­
me doppio, uno dei legami si rompe per formare il nuovo legame nell’addotto.
Consideriamo, per esempio, la reazione che avviene quando SO2 si scioglie in acqua.
Gli atomi di O elettronegativi in SO2 attraggono la densità elettronica allontanan­
dola dall’atomo di S centrale, quindi esso è parzialmente positivo. L’atomo di O
dell’acqua dona una coppia solitaria all’atomo di S, rompendo uno dei legami π e

18txt.indd 631 16/05/19 11:22


632 Capitolo 18

formando un legame S O, e un protone si trasferisce dall’acqua a quell’atomo di O.


L’addotto che si forma è l’acido solforoso e il processo complessivo è

O H
G

G
S  H O H W S
O O H O O
acido base addotto

Nella formazione dei carbonati a partire da un ossido metallico e diossido di car­


bonio, avviene una reazione analoga in un sistema eterogeneo non acquoso. Lo
ione O2− (mostrato qui sotto da CaO) dona una coppia di elettroni all’atomo di
C parzialmente positivo in CO2, un legame π si rompe, e si forma lo ione CO32−
come addotto:

2
O
2
Ca2 O  O C O W Ca2 C
G G O O
Mg 2

base acido addotto

Cationi metallici come acidi di Lewis


Abbiamo visto precedentemente che certi ioni metallici idrati si comportano come
CH2 acidi di Brønsted-Lowry. Nel senso di Lewis, il processo di idratazione stesso è
HC
CH3
una reazione acido-base. Il catione idrato è l’addotto, poiché le coppie solitarie di
elettroni sugli atomi di O dell’acqua formano legami covalenti con lo ione carico
CH2
H 3C
N N positivamente; perciò, ogni ione metallico si comporta come un acido di Lewis quando
CH3

Mg2+
si scioglie in acqua:
H3C
N N
CH3

H 2C
H
H
CH2
C O
O C O O
CH 2
CH 3
H2 C

CH 2

H3C C

M(H2O)2+
CH2

H2C
M 2+ 4H2O( l ) 4 ( aq )
CH2 acido base addotto
H3C

CH2

H2C
L’ammoniaca è una base di Lewis più forte dell’acqua perché sposta H2O da uno
CH2

H3C
ione idrato quando si aggiunge NH3 in soluzione acquosa:
CH2

H2C

CH2 Ni(H2O)62+ ( aq ) + 6NH3 ( aq )   Ni(NH3 )62+ ( aq ) + 6H2O( l )




H3C addotto idrato base addotto ammoniato
CH2

H3C

Esamineremo il carattere di equilibrio di queste reazioni acido-base in modo più


Figura 18.14 Lo ione Mg2+
particolareggiato nel capitolo seguente.
come acido di Lewis nella
molecola di clorofilla. Molte Molte biomolecole essenziali sono addotti di Lewis con ioni metallici centra-
biomolecole contengono ioni li. Molto spesso servono da base di Lewis atomi di O e di N di gruppi organici,
metallici che si comportano con le loro coppie solitarie. La clorofilla è un addotto di Lewis di un Mg2+ centra­
come acidi di Lewis. Nella clo- le e dei quattro atomi di N di un anello tetrapirrolico organico (Figura 18.14). La
rofilla, Mg2+ accetta coppie di
vitamina B12 ha una struttura simile con un Co3+ centrale, e l’ha anche l’eme, ma
elettroni dagli atomi di N cir-
costanti che fanno parte della con un Fe2+ centrale. Parecchi altri ioni metallici, quali Zn2+, Mo2+ e Cu2+, sono
parte organica grande della legati nei siti attivi di enzimi e si comportano come acidi di Lewis nell’azione
molecola. catalitica.

18txt.indd 632 16/05/19 11:22


Equilibri acido-base 633

Identificazione degli acidi e delle basi di Lewis


PROBLEMA DI VERIFICA 18.13
Problema Si identifichino gli acidi di Lewis e le basi di Lewis nelle seguenti reazioni:
(a) H+ + OH−    H 2O
(b) Cl− + BCl 3 
  BCl−4

+
(c) K + 6H2O    K(H2O)+6
Piano Esaminiamo le formule per vedere quale specie accetti la coppia di elettroni (acido
di Lewis) e quale la doni (base di Lewis) nella formazione dell’addotto.
Risoluzione (a) Lo ione H+ accetta una coppia di elettroni dallo ione OH− nella formazione
di un legame. H+ è l’acido e OH− è la base.
(b) Lo ione Cl− ha quattro coppie solitarie e ne usa una per formare un nuovo legame con
l’atomo di B centrale. Perciò, BCl3 è l’acido e Cl− è la base.
(c) Lo ione K+ non ha elettroni di valenza da fornire, quindi il legame si forma quando coppie
di elettroni fornite dagli atomi di O dell’acqua entrano in orbitali vuoti su K+. Per­ciò, K+ è
l’acido e H2O è la base.
Verifica Gli acidi di Lewis (H+, BCl3 e K+) hanno ciascuno un guscio di valenza incomple­
to che è capace di accettare una coppia di elettroni dalle basi di Lewis (OH−, Cl− e H2O).

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 18.13 Si identifichino gli acidi di Lewis


e le basi di Lewis nelle seguenti reazioni.
(a) OH− + Al(OH)3    Al(OH)−4

(b) SO3 + H2O   
 H2SO 4
(c) Co3+ + 6NH3    Co(NH3 )36+

Uno sguardo d’insieme alle definizioni di acidi e basi


I chimici, esaminando attentamente la trasformazione chimica essenziale coinvolta,
sono in grado di vedere un tema comune in reazioni così diverse come l’utilizzazio­
ne di una base standardizzata per analizzare un acido grasso sconosciuto, o l’utiliz­
zazione del lievito in polvere nella panificazione, o persino il legame dell’ossigeno
all’emoglobina nei globuli rossi. Da questa prospettiva più ampia, la diversità delle
reazioni acido-base assume una maggiore unità. Torniamo indietro e consideriamo
l’ambito delle tre definizioni di acidi e basi e vediamo come si adattano l’una all’altra.
La definizione classica (secondo Arrhenius), che è stata il primo tentativo di descrivere gli
acidi e le basi a livello molecolare, è la più limitata e ristretta delle tre definizioni. È valida
soltanto per le specie le cui strutture contengono un atomo di H o un gruppo OH che
viene rilasciato sotto forma di ione quando la specie si scioglie in acqua. Essendo relativa­
mente poche le specie che soddisfano questi requisiti, le reazioni acido-base di Arrhenius
sono relativamente poche, e tutte queste reazioni determinano la formazione di H2O.
La definizione di Brønsted-Lowry è più generale, considera le reazioni acido-base
come processi di trasferimento protonico ed elimina il requisito che avvengano in
acqua. Mentre un acido di Brønsted-Lowry, come un acido di Arrhenius, deve anco­
ra contenere un atomo di H, una base di Brønsted-Lowry è definita come qualsiasi
specie con una coppia di elettroni disponibile per accettare un protone trasferito.
Questa definizione comprende molte più specie come basi. Inoltre, definisce la rea­
zione acido-base in termini di coppie coniugate acido-base, con un acido e una base
in entrambi i membri della reazione. Il sistema raggiunge uno stato di equilibrio
basato sulle forze relative dell’acido, della base e dei loro coniugati.
La definizione di Lewis è quella delle tre che ha l’ambito più ampio. L’evento
che definisce una reazione acido-base di Lewis è la donazione e l’accettazione di
una coppia di elettroni per formare un nuovo legame covalente. Le basi di Lewis
devono ancora avere una coppia di elettroni da donare, ma gli acidi di Lewis – come
accettori di coppie di elettroni – comprendono molte specie che non rientrano
nelle altre due definizioni, quali composti elettrondeficienti, composti con legami
doppi polari, ioni metallici e il protone stesso.

18txt.indd 633 16/05/19 11:22


634 Capitolo 18

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


18.1 (a) HClO3; (b) HCl; (c) NaOH (5,4 ×10−5 )(0,068)
( K a2 )[HC 2O−4 ]
1,0 ×10−14 [C 2O 24− ]
= =
18.2 [H3O+ ] = = 1, 5 ×10−13 M; basica [H3O+ ] 0,068
6,7 ×10−2
18.3 pOH = 14,00 − 9,52 = 4,48 = 5,4 ×10−5 M
[H3O+] = 10−9,52 = 3,0 × 10−10 M
[C5H5NH+ ][OH− ]
1,0 ×10−14 18.9 K=
b = 10−8,77= 1,7 ×10−9
− −5 [C5H5N]
[OH ] = = 3,3 ×10 M
3,0 ×10−10 ( x )( x )
Ipotizzando 0,10 M − x  0,10 M , K=
b 1,7 ×10−9  ;
18.4 (a) CH3COOH/CH3COO− e H3O+/H2O 0,10
(b) H2O/OH− e HF/F− =x [OH− ]  1,3 ×10−5 M ; [H3O+=] 7,7 ×10−10 M ;
18.5 (a) pH = 9,11
− +
(b) NH3 ( g ) + H2O ( aq ; da HCl) ⎯ ⎯→ NH4 ( aq ) + H2O( l ) Kw 1,0 ×10−14
18.10 K=b di ClO

= = 3,4 ×10−7
+ −
K a di HClO 2,9 ×10−8
(c) NH4 ( aq ) + OH ( aq ; da NaOH) ⎯ ⎯→ NH3 ( g ) + H2O( l ) Ipotizzando 0,20 M − x  0,20 M,
18.6 NH+4 ( aq ) + H2O( l ) 

 NH3 ( aq ) + H3O+ ( aq ) [HClO][OH− ] x2
K b =3,4 ×10−7 = −
 ;
+ −pH −5,0 −5 [ClO ] 0,20
[H3O ] = 10 = 10 =1×10 M = [NH3 ]
[NH3 ][H3O+ ] ( x )( x ) x = [OH−]  2,6 × 10−4 M; [H3O+] = 3,8 × 10−11 M;
=
dalla tabella di reazione, Ka = +
[NH4 ] 0, 2 − x pH = 10,42
2 18.11 (a) Basica:
(1×10−5 )
 = 5 ×10−10 ClO−2 ( aq ) + H2O( l )   HClO 2 ( aq ) + OH− ( aq )


0, 2
K+ proviene dalla base forte KOH.
[H3O+ ][OCN− ] ( x )( x ) (b) Acida:
18.7 K a
= = = 3,5 ×104
[HOCN] 0,10 − x CH3NH+3 ( aq ) + H2O( l )   CH3NH2 ( aq ) + H3O+ ( aq )



[HOCN]iniz 0,10 NO3 proviene dall’acido forte HNO3.
Poiché = = 286 < 400 , si deve risolve­ (c) Neutra: Cs+ proviene dalla base forte CsOH; I− proviene
Ka 3,5 ×10−4
re un’equazione di 2° grado: dall’acido forte HI.
18.12 (a) K a di Cu(H2O)62+ = 3 ×10−8
x2 + (3,5 × 10−4)x − (3,5 × 10−5) = 0
− Kw
K b di CH3COO= = 5,6 ×10−10
x = [H3O+] = 5,7 × 10−3 M; pH = 2,24 K a di CH3COOH

[HC 2O−4 ][H3O+ ] x2 Poiché Ka > Kb, Cu(CH3COO)2(aq) è acido.


18.8 K a1
= = = 5,6 ×10−2 Kw
[H 2C 2O 4 ] 0,150 − x (b) K a di NH+=
4 = 5,7 ×10−10
K b di NH3
[H C O ] Kw
Poiché 2 2 4 iniz < 400 , si deve risolvere un’equazione di K b di F−= = 1,5 ×10−11
K a1 K a di HF
2° grado:
Poiché Ka > Kb, NH4F(aq) è acido.
x2 + (5,6 × 10−2)x − (8,4 × 10−3) = 0
18.13 (a) OH− è la base di Lewis; Al(OH)3 è l’acido di Lewis.
x = [H3O+] = 0,068 M; pH = 1,17
(b) H2O è la base di Lewis; SO3 è l’acido di Lewis.
x = [HC2O4−] = 0,068 M; [H2C2O4] = 0,150 M − x = 0,082 M (c) NH3 è la base di Lewis; Co3+ è l’acido di Lewis.

18txt.indd 634 16/05/19 11:22


Equilibri ionici in soluzione acquosa 19
Consideriamo alcuni casi di equilibri acquosi. Le magnifiche formazioni nelle cave di DA SAPERE PRIMA
pietra calcarea e le vaste estensioni delle barriere coralline oceaniche sono il risultato
• regole di solubilità (Paragrafo 4.3)
di sottili variazioni negli equilibri di solubilità dei carbonati. I carbonati influenzano • effetto della concentrazione sulla
anche il pH dei terreni e prevengono l’acidificazione dei laghi causata dalle piogge posizione dell’equilibrio
acide. Equilibri in cui sono coinvolti diossido di carbonio e fosfati aiutano gli organismi (Paragrafo 17.6)
• coppie coniugate acido-base
a mantenere entro stretti limiti il valore del pH cellulare. Equilibri che coinvolgono le (Paragrafo 18.3)
argille nei terreni controllano la disponibilità dei nutrienti ionici per le piante. Il prin- • calcoli relativi agli equilibri di
cipio dell’equilibrio ionico governa inoltre le modalità di addolcimento delle acque, la acidi deboli e basi deboli
(Paragrafi 18.4 e 18.5)
purificazione delle sostanze per precipitazione di ioni contaminanti, e anche l’influenza • acidi e basi di Lewis
degli acidi deboli presenti nel vino sul delicato sapore di una raffinata salsa francese. (Paragrafo 18.9)

IN QUESTO CAPITOLO esamineremo due sistemi di equilibri acquosi fondamen-


tali: i tamponi acido-base e i sali poco solubili. La nostra discussione sui tamponi
introduce l’effetto ione a comune, un fenomeno importante in molti equilibri
ionici. Discuteremo perché i tamponi sono importanti, come funzionano e come
prepararli. Esamineremo in dettaglio le titolazioni acido-base e come i tampo-
ni siano coinvolti in questi processi. Successivamente esamineremo i sali poco
solubili, in laboratorio e in natura, per vedere come la solubilità è influenzata
dalle condizioni.

19.1 EQUILIBRI DEI SISTEMI


TAMPONE ACIDO-BASE
Perché alcuni laghi diventano acidi per effetto della pioggia acida e altri no? Come
può il sangue mantenere pH costante pur essendo in contatto con innumerevoli
­reazioni cellulari acido-base? Come può un chimico mantenere una [H3O+] presso-
ché costante in una reazione che consuma o produce H3O+ o OH−? La risposta a
ognuna di queste domande è: attraverso la presenza di un tampone.
Nel linguaggio quotidiano, un tampone è un qualcosa che diminuisce l’effetto
di una forza esterna. Un tampone acido-base è una soluzione che diminuisce le
variazioni in pH derivanti dall’aggiunta di un acido o di una base. La Figura 19.1 mo-
stra che quando una piccola quantità di ioni H3O+ o OH− viene aggiunta a una
soluzione non tamponata, la variazione di pH è molto maggiore di quella risultante
dall’aggiunta della stessa quantità di ioni a una soluzione tamponata.
Per sopportare l’addizione di acidi forti o basi forti senza variare significativa-
mente di pH, una soluzione tampone deve contenere una componente acida che
può reagire con gli ioni OH− aggiunti e una componente basica che può reagire con
gli ioni H3O+ aggiunti. Queste componenti di tampone non possono però essere un
qualunque acido e una qualunque base perché si neutralizzerebbero l’una con l’al-
tra. Generalmente i componenti di un tampone sono una coppia coniugata acido-base di
un acido debole. Nelle Figure 19.1C e 19.1D, per esempio, il tampone è una miscela
di acido acetico (CH3COOH) e ione acetato (CH3COO−).

19txt.indd 635 17/05/19 08:43


636 Capitolo 19

A B

C D

Figura 19.1 L’effetto dell’ag- Come funziona un tampone: l’effetto ione a comune
giunta di un acido o di una I tamponi funzionano attraverso un meccanismo noto come l’effetto ione a co-
base a una soluzione non
mune. Un esempio di questo effetto è rappresentato dalla dissociazione in acqua
tamponata o tamponata. A.
Un campione di 100 mL di una dell’acido acetico seguito dall’aggiunta di ioni acetato. Come sapete l’acido acetico
soluzione diluita di HCl viene si dissocia solo parzialmente in acqua:
portato a pH 5,00. B. Dopo
l’aggiunta di 1 mL di HCl 1 M CH3COOH( aq ) + H2O( l )   CH3COO− ( aq ) + H3O+ ( aq )


(a sinistra) o di NaOH 1 M (a
destra) si ha un’elevata variazio-
ne di pH. C. Si porta a pH 5,00 Dal principio di Le Châtelier (Paragrafo 17.6) sappiamo che se si aggiunge una
un campione di 100 mL di una certa quantità di ioni CH3COO−, la posizione dell’equilibrio si sposta verso sinistra:
soluzione tampone costituita [H3O+] diminuisce, diminuendo l’entità della dissociazione acida:
mescolando CH3COOH 1 M con

CH3COONa 1 M. D. Dopo l’ag-
giunta di 1 mL di HCl 1 M (a sini-

CH3COOH( aq ) + H2O( l )   CH3COO− ( aq ; aggiunto) + H3O+ ( aq )

stra) o di NaOH 1 M (a destra) la
variazione di pH è trascurabile. Analogamente, se si scioglie acido acetico in una soluzione di acetato di sodio,
(Foto: © McGraw-Hill Education/ lo ione acetato già presente si combina con parte degli ioni H3O+ derivanti dalla
Stephen Frisch, photographer). dissociazione dell’acido, il che fa diminuire [H3O+]. L’effetto è nuovamente quello
di reprimere la dissociazione dell’acido. Lo ione acetato è chiamato in questo caso
lo ione comune, perché è “comune” sia alla soluzione di acido acetico sia a quella di
acetato di sodio: ovvero lo ione acetato viene aggiunto a una soluzione in cui è già
presente.
L’effetto ione a comune avviene quando un reagente contenente un dato ione è ag-
giunto a una miscela di equilibrio che contiene già quello ione e la posizione dell’equilibrio
si sposta lontano dalla sua formazione.
La Tabella 19.1 riporta la dissociazione percentuale e il pH di una soluzione
di acido acetico contenente varie concentrazioni di ione acetato (fornite aggiun­­-
gen­do acetato di sodio solido). Si noti che lo ione comune, CH3COO−, reprime
la dissociazione percentuale di CH3COOH, rendendo la soluzione meno acida (pH
maggiore).
La caratteristica essenziale di un tampone Nel caso precedente abbiamo pre-
parato un tampone miscelando un acido debole (CH3COOH) e la sua base coniugata
(CH3COO−). Come si oppone questa soluzione a una variazione di pH se si aggiun-
gono H3O+ o OH−? La caratteristica essenziale di un tampone è che è costituito da
concentrazioni elevate delle componenti acida (HA) e basica (A−). Quando si aggiungono

19txt.indd 636 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 637

piccole quantità di ioni H3O+ od OH− al tampone, queste causano la trasformazione


di una piccola quantità di una componente del tampone nell’altra, cambiando le
concentrazioni relative delle due componenti. Finché la quantità di H3O+ od OH−
aggiunta è molto più piccola delle quantità di HA e A− presenti inizialmente, gli ioni
aggiunti hanno poco effetto sul pH perché sono consumati dall’una o dall’altra componente
del tampone: lo ione A− consuma gli H3O+ aggiunti e HA consuma gli OH− aggiunti.
Si consideri cosa succede a una soluzione che contiene elevate [CH3COOH] e
[CH3COO−] quando si aggiungono piccole quantità di un acido o di una base forti.
L’espressione per la dissociazione di HA all’equilibrio è
[CH3COO− ][H3O+ ]
Ka =
[CH3COOH]

Risolvendo per [H3O+], si ottiene


[CH3COOH]
[H3O+=] Ka ×
[CH3COO−]

Si noti che, poiché Ka è costante, la [H3O+] della soluzione dipende direttamente dal
[CH3COOH]
rapporto delle concentrazioni delle componenti del tampone :
[CH3COO−]
• se il rapporto [HA]/[A−] aumenta, [H3O+] aumenta;
• se il rapporto [HA]/[A−] diminuisce, [H3O+] diminuisce.
Se si aggiunge una piccola quantità di un acido forte, la quantità aumentata di ioni
[H3O+] reagisce con una quantità quasi stechiometrica di ioni acetato nel tampone
Figura 19.2 Come funziona
per formare altro acido acetico: un ta­mpone. Un tampone è
co­stituito da elevate concentra-
H3O+ ( aq ; ggiunto) + CH3COO− ( aq ) ⎯ ⎯
→ CH3COOH( aq ) + H2O( l ) zioni di una coppia coniugata
acido-base. In questo caso acido
Come risultato, [CH3COO−] diminuisce della stessa quantità e [CH3COOH] aumenta acetico (CH3COOH) e ione
della stessa quantità, il che aumenta il rapporto tra le concentrazioni delle compo- acetato (CH3COO−). Quando si
nenti del tampone, come si può vedere in Figura 19.2. Anche [H3O+] aumenta, ma aggiun­ge una piccola quanti-
solo di una piccolissima quantità. tà di H3O+ (a si­nistra), questa
si combina con una quantità
uguale di CH3COO−, au­men­
Tampone con uguali tando leggermente la quantità
Tampone dopo l’aggiunta di H3O+ concentrazioni di acido Tampone dopo l’aggiunta di OH− di CH3COOH. Analogamente,
e base coniugata quan­do si aggiunge una piccola
quantità di OH− (a destra), que-
sta si combina con una quantità
uguale di CH3COOH, aumen-
H3O+ OH− tando leggermente la quantità
CH3COO− CH3COOH CH3COO− CH3COOH CH3COO− CH3COOH di CH3COO−. In entrambi i casi
le variazioni relative delle com-
ponenti del tampone sono pic-
cole, così il rapporto delle loro
H2O + CH3COOH H3O+ + CH3COO− CH3COOH + OH− CH3COO− + H2O concentrazioni, e dunque il pH,
cambiano molto poco.

19txt.indd 637 17/05/19 08:43


638 Capitolo 19

L’aggiunta di una piccola quantità di una base forte produce il risultato opposto. Se
si forniscono ioni OH−, questi reagiranno con una quantità quasi stechiometrica di
CH3COOH nel tampone per formare altro CH3COO−:

CH3COOH( aq ) + OH− ( aq ; aggiunto) ⎯ ⎯


→ CH3COO− ( aq ) + H2O( l )

Il rapporto tra le concentrazioni delle componenti del tampone diminuisce, il che


diminuisce [H3O+], ma nuovamente la variazione è molto piccola.
In questo modo le componenti del tampone consumano praticamente tutta la
quantità di H3O+ o OH− aggiunti. Riassumendo, finché le quantità di H3O+ o OH−
aggiunti sono piccole rispetto alle quantità delle componenti del tampone, la con-
versione di una componente nell’altra produce una piccola variazione nel rapporto tra le
concentrazioni delle componenti del tampone e, conseguentemente, una piccola variazione
in [H3O+] e in pH. Il Problema di verifica 19.1 dimostra quanto piccole sono queste
variazioni di pH in un tipico esempio. Si noti che le ultime due parti del problema
combinano una parte stechiometrica, simile a quelle viste nel Capitolo 3, e una
parte sulle dissociazioni di un acido debole, come quelle viste nel Capitolo 18.

Calcolo dell’effetto dell’aggiunta di H3O+ o OH− sul pH


di un tampone
PROBLEMA DI VERIFICA 19.1
Problema Calcolare il pH:
(a) di una soluzione tampone costituita da CH3COOH 0,50 M e CH3COONa 0,50 M;
(b) dopo l’aggiunta di 0,020 mol di NaOH solido a 1,0 L della soluzione tampone della
parte (a);
(c) dopo l’aggiunta di 0,020 mol di HCl a 1,0 L della soluzione tampone della parte (a).
Ka per CH3COOH = 1,8  ×  10−5. (Si assuma che le aggiunte causino variazioni di volume
trascurabili).
Piano In ogni caso conosciamo, o possiamo calcolare, [CH3COOH]iniz e [CH3COO−]iniz e
Ka per CH3COOH (1,8  ×  10−5), e dobbiamo calcolare [H3O+] all’equilibrio e convertirla in
pH. In (a) usiamo la concentrazione data delle componenti del tampone (ognuna 0,50 M)
come valori iniziali. Come nei problemi precedenti, assumiamo che x, la [CH3COOH] che si
dissocia e che è uguale a [H3O+], sia così piccola rispetto a [CH3COOH]iniz da poter essere
trascurata. Costruiamo una tabella di reazione, risolviamo per x e controlliamo l’ipotesi
fatta. In (b) e (c) assumiamo che le quantità aggiunte di OH− o H3O+ reagiscano completa-
mente con le componenti del tampone per dare [CH3COOH]iniz e [CH3COO−]iniz che poi si
dissociano per un’entità incognita. Costruiamo due tabelle di reazione. La prima riassume la
stechiometria dell’addizione di una base forte (0,020 mol) o di un acido forte (0,020 mol). La
seconda riassume la dissociazione delle nuove concentrazioni di HA, poi procediamo come
in (a) per calcolare la nuova [H3O+].
Risoluzione (a) Il valore iniziale di pH: [H3O+] nel tampone iniziale. Costruire una tabella
di reazione con x = [CH3COOH]dissoc = [H3O+] (come nel Capitolo 18, assumiamo che [H3O+]
derivante da H2O sia trascurabile e non ne teniamo conto):
Concentrazione (M) CH3COOH(aq) + H2O(l) CH3COO−(aq) + H3O+(aq)
Valore iniziale 0,50 − 0,50 0
Variazione −x − +x +x
Valore di equilibrio 0,50 − x − 0,50 + x x

Fare l’ipotesi e trovare i valori di equilibrio di [CH3COOH] e [CH3COO ]: con Ka piccola, x
è piccola, perciò assumiamo

[CH3COOH] = 0, 50 M − x  0,50 M e [CH3COO
= ] 0, 50 M + x  0, 50 M
Risolvendo per x ([H3O+] all’equilibrio):
[CH3COOH] 0,50
x=[H3O+ ] =Ka × −
 (1, 8 ×10−5 )× =1,8 ×10−5 M
[CH3COO ] 0,50

19txt.indd 638 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 639

Controllare l’ipotesi:
1,8 ×10−5 M
×100 =3,6 ×10−3 < 5%
0,50 M
L’ipotesi è giustificata e la utilizzeremo nelle parti (b) e (c). Calcolare il pH:
pH = −log [H3O+ ] = −log (1,8 ×10−5 ) =
4,74

(b) Il pH dopo l’aggiunta della base (0,020 mol di NaOH a 1 L di tampone). Calcolare
[OH−]agg
0,020 mol OH−
= [OH− ]agg = 0,020 M OH−
1,0 L soluz.

Costruire una tabella di reazione per la stechiometria dell’aggiunta di OH− a CH3COOH:

Concentrazione (M) CH3COOH(aq) + OH−(aq) CH3COO−(aq) + H2O(aq)


Prima dell’aggiunta 0,50 − 0,50 −
Aggiunta − 0,020 − −
Dopo l’aggiunta 0,48 0 0,52 −

Costruire una tabella di reazione per la dissociazione acida, usando queste nuove concentra-
zioni iniziali. Come nella parte (a) x = [CH3COOH]diss = [H3O+]:

Concentrazione (M) CH3COOH(aq) + H2O(l) CH3COO−(aq) + H3O+(aq)


Valore iniziale 0,48 − 0,52 0
Variazione −x − +x +x
Valore di equilibrio 0,48 − x − 0,52 + x x

Assumendo che x sia piccolo e risolvendo per x:



[CH3COOH] = 0,48 M − x  0,48 M =
e [CH3COO ] 0,52 M + x  0,52 M
[CH3COOH] 0,48
[H3O+ ] =Ka × −
 (1,8 ×10−5 )× =1,7 ×10−5 M
[CH3COO ] 0,52
Calcolare il pH:
pH = −log [H3O+ ] = −log (1,7 ×10−5 ) =
4,77

L’aggiunta di una base forte aumenta la concentrazione della componente basica del tampone
a spese della componente acida. Si noti specialmente che il pH è aumentato leggermente, da 4,74
a 4,77.
(c) Il pH dopo l’aggiunta dell’acido (0,020 mol di HCl a 1 L di tampone). Calcolare [H3O+]agg:

0,020 mol H3O+


[H3O+ ]agg
= = 0,020 M H3O+
1,0 L soluz.

Ora procediamo come nella parte (b), prima costruendo una tabella di reazione per la ste-
chiometria dell’aggiunta di H3O+ a CH3COO−:

Concentrazione (M) CH3COO−(aq) + H3O+(aq) CH3COOH(aq) + H2O(l)


Prima dell’aggiunta 0,50 − 0,050 −
Aggiunta − 0,020 − −
Dopo l’aggiunta 0,48 − 0,52 −
La tabella di reazione per la dissociazione = =
acida, con x [CH 3COOH]diss [H3O+ ] è:

Concentrazione (M) CH3COOH(aq) + H2O(l) CH3COO−(aq) + H3O+(aq)


Valore iniziale 0,52 − 0,48 0
Variazione −x − +x +x
Valore di equilibrio 0,52 − x − 0,48 + x x

19txt.indd 639 17/05/19 08:43


640 Capitolo 19

Assumendo che x sia piccolo e risolvendo per x:



[CH3COOH] = 0,52 M − x  0,52 M e =
[CH3COO ] 0,48 M + x  0,48 M
[CH3COOH] 0,52
x=[H3O+ ] =Ka ×  (1,8 ×10−5 )× =2,0 ×10−5 M
[CH3COO− ] 0,48
Calcolare il pH:
pH = −log [H3O+ ] = −log (2,0 ×10−5 ) =
4,70
L’aggiunta di un acido forte aumenta la concentrazione della componente acida del tampo-
ne a spese della componente basica. Il pH è diminuito leggermente, da 4,74 a 4,70.
Verifica Le variazioni in [CH3COOH] e [CH3COO−] avvengono in direzioni opposte nelle
parti (b) e (c), il che è ragionevole. Le aggiunte erano di uguali quantità perciò, con gli
opportuni arrotondamenti, l’aumento di pH in (b) dovrebbe essere uguale alla diminuzione
di pH in (c).
Commento Nella parte (a) abbiamo giustificato l’ipotesi che x potesse essere trascurata.
Perciò nelle parti (b) e (c) possiamo direttamente usare i valori “dopo l’aggiunta” nell’ultima
riga delle tabelle stechiometriche nel rapporto delle componenti del tampone evitando la
tabella di reazione per la dissociazione. Nei problemi seguenti in questo capitolo, seguiremo
questo approccio semplificato.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.1 Calcolare il pH di un tampone


costituito da HF 0,50 M e F− 0,45 M (a) prima e (b) dopo l’aggiunta di 0,40 g di NaOH a
1 L della soluzione tampone. (Ka per HF = 6,8  ×  10−4).

L’equazione di Henderson-Hasselbalch
Per qualsiasi acido debole, HA, l’equazione di dissociazione acida all’equilibrio e la
costante di dissociazione Ka sono:
HA + H2O   H3O+ + A−


[H3O+ ][A− ]
Ka =
[HA]
Questa equazione può essere trasformata in una più utile per i calcoli sui tamponi
con un semplice riarrangiamento matematico. Si ricordi che la variabile chiave che
determina [H3O+] è il rapporto delle concentrazioni della specie acida e della specie
basica. Isolando [H3O+] si ottiene
[HA]
[H3O+=] Ka ×
[A− ]
Prendendo il logaritmo negativo (in base 10) di entrambi i termini si ottiene
⎛ [HA] ⎞
− log [H3O+ ] = − log Ka − log ⎜⎜ −1 ⎟⎟⎟
⎜⎝ [A ] ⎠
Da cui si ottiene
⎛ [A− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟
⎜⎝ [HA] ⎟⎟⎠
(Si noti l’inversione del rapporto tra le concentrazioni delle componenti del tam-
pone quando si cambia il segno del logaritmo). Un punto fondamentale che sottoli­
neeremo è che, quando [A−] = [HA], il loro rapporto diventa 1, il termine logaritmi-
co diventa 0 e così pH = pKa.
Generalizzando l’equazione precedente per ogni coppia coniugata acido-base si
ottiene l’equazione di Henderson-Hasselbalch:
⎛ [base] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟ (19.1)
⎜⎝ [acido] ⎟⎠

Questa relazione permette di ottenere direttamente il pH senza calcolare prima


[H3O+]. Per esempio, l’applicazione dell’equazione di Henderson-Hasselbalch alla

19txt.indd 640 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 641

parte (b) del Problema di verifica 19.1, avrebbe dato il pH del tampone dopo l’ag-

Concentrazione (M) delle


componenti del tampone
giunta di NaOH nel modo seguente: 1,0

⎛ [CH3COO− ] ⎞⎟ 0,30
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟
⎜⎝ [CH3COOH] ⎟⎟⎠
0,10
⎛ 0,52 ⎞⎟
= 4,74 + log ⎜⎜ ⎟ = 4,77
⎝⎜ 0,48 ⎟⎠ 0,030

4,8 4,9 5,0 5,1


(Qui abbiamo derivato semplicemente l’equazione di Henderson-Hasselbalch da
(pH iniziale pH
definizioni fondamentali e semplice algebra. È sempre una buona idea derivare le = 4,74)
relazioni semplici in questo modo invece di impararle a memoria).
Figura 19.3 La relazione tra
potere tamponante e variazio-
Potere tamponante e campo di tamponamento ne di pH. Le quattro barre nel
Come abbiamo visto, un tampone si oppone a una variazione di pH fino a che le grafico rappresentano tamponi
concentrazioni delle componenti del tampone sono grandi in confronto alle quantità CH3COOH/CH3COO− con lo stes-
so pH iniziale (4,74), ma diverse
di acido forte o base forte aggiunte.
concentrazioni delle componenti
Il potere tamponante dipende dalle concentrazioni delle componenti ed (indicate su, o vicino a, ciascu-
è una misura dell’abilità di opporsi alla variazione di pH: più concentrate sono le na barra). Quando una data
componenti di un tampone, maggiore è il potere tamponante. In altre parole, per otte- quantità di una base forte viene
nere la stessa variazione di pH, si deve aggiungere più H3O+ o OH− a un tampone aggiunta a ogni tampone, il pH
aumenta. La lunghezza della
ad alto potere tamponante (concentrato) di quanto non si debba aggiungere a un
barra corrisponde all’aumento
tampone a basso potere tamponante (diluito). D’altra parte, l’aggiunta di quantità di pH. Si noti che maggiore è
uguali di H3O+ o OH− a tamponi di diverso potere tamponante produce una va- la concentrazione del tampone,
riazione di pH minore nel tampone a più alto potere tamponante, come mostrato minore è la variazione di pH.
nella Figura 19.3. Nel caso del tampone più concentrato, infatti, c’è una minore
variazione nel rapporto tra le concentrazioni per aggiunta di una data quantità
di H3O+ o OH−. È importante realizzare che il pH di un tampone è diverso dal suo
potere tamponante. Un tampone costituito da volumi uguali di CH3COOH 1,0 M e
CH3COO− 1,0 M ha lo stesso pH (4,74) di un tampone costituito da volumi ugua-
li di CH3COOH 0,1 M e CH3COO− 0,1 M, ma ha una capacità molto maggiore di
opporsi a una variazione di pH.
Il potere tamponante è influenzato anche dalle concentrazioni relative delle
componenti del tampone. Durante l’azione di un tampone, la concentrazione di
una componente aumenta relativamente all’altra. Poiché il rapporto di queste con-
centrazioni determina il pH, minore è la variazione del rapporto, minore è la varia-
zione di pH. Per una data aggiunta di acido forte o base forte, la variazione del rapporto
delle concentrazioni è minore per concentrazioni simili delle componenti del tampone di
quanto non sia per concentrazioni diverse. Per illustrare questo punto, dobbiamo man-
tenere costante la somma delle componenti acida e basica. Supponiamo di avere un
tampone in cui [HA] = [A−] = 1,000 M. Aggiungendo 0,010 mol di OH− a 1,00 L
di tampone, [A−] diventa 1,010 M e [HA] diventa 0,990 M:

[A− ]iniz 1,000 M [A− ]fin 1,010 M


= = 1,000 = = 1,02
[HA]iniz 1,000 M [HA]fin 0,990 M
1,02 − 1,000
variazione percentuale = ×100 =
2%
1,000
Ora supponiamo che le concentrazioni del tampone siano [HA] = 0,250 M e
[A−] = 1,750 M. La stessa aggiunta di 0,010 mol di OH− a 1,00 L di tampone dà
[HA] = 0,240 M e [A−] diventa 1,760 M, dunque i rapporti sono:
[A− ]iniz 1,750M [A− ]fin 1,760M
= = 7,00 = = 7,33
[HA]iniz 0,250M [HA]fin 0,240M

7,33 − 7,000
variazione percentuale = ×100 =
4,7%
7,00

19txt.indd 641 17/05/19 08:43


642 Capitolo 19

Come si può vedere, la variazione nel rapporto delle concentrazioni delle compo-
nenti del tampone è molto maggiore quanto le concentrazioni iniziali delle com-
ponenti sono molto diverse.
Ne segue che un tampone ha il massimo potere tamponante quando le concentra-
zioni delle componenti sono uguali, cioè quando [A−]/[HA] = 1:
⎛ [A− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟= pKa + log1= pKa + 0= pKa
⎜⎝ [HA] ⎟⎟⎠
Si noti questo importante risultato: per una data concentrazione, un tampone il cui
pH è uguale o vicino al pKa della sua componente acida ha il massimo potere tamponante.
Il campo di tamponamento è il campo di pH in cui il tampone agisce ef-
ficacemente. Più il rapporto tra le concentrazioni delle componenti del tampone
è lontano da 1, meno efficace è l’azione tamponante (ovvero inferiore il potere
tamponante). In pratica, si trova che se [A−]/[HA] è maggiore di 10 o minore di 0,1
– ovvero una componente è 10 volte più concentrata dell’altra – si ha una scarsa
azione tamponante. Poiché log 10 = +1 e log  0,1 = −1, i tamponi hanno un campo
di tamponamento utilizzabile entro ±1 unità di pH dal valore di pKa della componente
acida:
⎛10 ⎞ ⎛1⎞
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟⎟⎟ =
pKa + 1 e pKa + log ⎜⎜ ⎟⎟⎟ = pKa − 1
pH =
⎝1⎠ ⎝10 ⎠

Preparazione di un tampone
Ogni fornitore di prodotti chimici ha in catalogo molti tamponi disponibili in
un’ampia gamma di valori di pH e concentrazioni. Perciò ci si potrebbe chiedere,
perché imparare a preparare un tampone? In molti casi, non è disponibile un tam-
pone con i valori di pH e concentrazione necessari ed è indispensabile prepararlo.
In molte applicazioni avanzate di ricerca in campo medico o biologico può essere
necessario un tampone di composizione non convenzionale per simulare un siste-
ma cellulare o una delicata macromolecola biologica. Anche il più sofisticato labo-
ratorio automatizzato ha spesso bisogno di personale specializzato che sia in grado
preparare un tampone. La preparazione di un tampone con il pH voluto richiede
necessari diversi passaggi che esamineremo attraverso un esempio.
1. Scegliere la coppia coniugata acido-base. La prima cosa da decidere è la composizione
chimica del tampone, cioè la coppia coniugata acido-base. La scelta è basata, in gran
parte, dal valore del pH voluto. Si ricordi che un tampone è più efficace quando il rap-
porto tra le concentrazioni delle componenti è vicino a 1, quando pH  pKa dell’acido.
Supponiamo di avere bisogno di un tampone il cui pH sia 3,90: il pKa della compo-
nente acida deve essere il più vicino possibile a 3,90, o Ka = 10−3,90 = 1,3  ×  10−4.
Esaminando una tabella di costanti di dissociazione acida (vedi Tabella 18.2) si os-
serva che l’acido formico (Ka = 1,8  ×  10−4; pKa = 3,74) è una buona scelta. Perciò le
componenti del tampone saranno acido formico, HCOOH, e ione formiato, HCOO−,
derivante da un sale solubile, quale il formiato di sodio, HCOONa.
2. Calcolare il rapporto delle concentrazioni delle componenti del tampone. Il secondo
passaggio consiste nel calcolare il rapporto [A−]/[HA] che dà il pH voluto. Con
­l’equazione di Henderson-Hasselbalch si ottiene:
⎛ [A− ] ⎞⎟ ⎛ [HCOO− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟ o = 3,74 + log ⎜⎜
3,90 ⎟
⎜⎝ [HA] ⎟⎟⎠ ⎜⎝ [HCOOH] ⎟⎟⎠
⎛ [HCOO− ] ⎞⎟ ⎛ [HCOO− ] ⎞⎟
log ⎜⎜ ⎟ = 0,16 perciò ⎜⎜ = ⎟ 10=
0,16
1,4
⎜⎝ [HCOOH] ⎟⎟⎠ ⎜⎝ [HCOOH] ⎟⎟⎠

Quindi, per ogni mole di HCOOH in un dato volume di soluzione, sono necessarie
1,4 moli di HCOONa.
3. Determinare la concentrazione del tampone. Si deve poi decidere quale deve essere
la concentrazione del tampone. Ricordiamo che maggiore è la concentrazione delle

19txt.indd 642 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 643

componenti, maggiore è il potere tamponante. Per la maggior parte delle applica-


zioni su scala di laboratorio, sono adeguate concentrazioni di circa 0,50 M, ma la
decisione è spesso basata sulla disponibilità di soluzioni madre.
Supponiamo di avere una grande quantità di soluzione madre di HCOOH
0,40 M e di aver bisogno di circa 1 L di soluzione tampone finale. Un calcolo mole
per grammo ci dà la quantità di formiato di sodio necessaria:
0,40 mol HCOOH
moli di HCOOH =
1,0 L soluzione × =
0,40 mol HCOOH
1,0 L soluzione
1,40 mol HCOONa
moli di HCOONa =0,40 mol HCOOH × =0,56 mol HCOONa
1,0 mol HCOOH
68,01 g HCOONa
Massa (g) HCOONa = 0,56 mol HCOONa × = 38 g HCOONa
1,0 mol HCOONa

4. Miscelare le soluzioni e aggiustare il pH. Il tampone si prepara sciogliendo accurata-


mente 38 g di formiato di sodio solido in HCOOH 0,40 M fino ad avere un volume
totale di 1,0 L. A causa del comportamento non ideale delle soluzioni (Paragra-
fo 13.5) e di altri fenomeni ionici, un tampone preparato nel modo descritto può
avere un pH diverso da quello desiderato fino a molti decimi di unità di pH. Perciò,
dopo aver preparato la soluzione, si aggiusta il pH al valore desiderato aggiungendo
acido forte o base forte mentre si controlla la soluzione con un pH-metro. Il seguen-
te problema di verifica non fa riferimento all’equazione di Henderson-Hasselbalch.

Preparazione di un tampone
PROBLEMA DI VERIFICA 19.2
Problema Un chimico ambientale ha bisogno di un tampone carbonato a pH 10,00 per
studiare gli effetti della pioggia acida su terreni ricchi di calcare. Quanti grammi di Na2CO3
deve aggiungere a 1,5 L di una soluzione preparata di fresco di NaHCO3 0,20 M per prepa-
rare il tampone? Ka per HCO3− vale 4,7  ×  10−11.
Piano La coppia coniugata è già stata scelta, HCO3− (acido) e CO32− (base), così come il volu-
me (1,5 L) e la concentrazione (0,20 M) di HCO3−, perciò si deve trovare il rapporto delle
concentrazioni delle componenti del tampone che dia pH 10,00 e la massa di Na2CO3 da
sciogliere. Prima convertiamo pH in [H3O+] e usiamo l’espressione di Ka dall’equazione di
reazione per calcolare [CO32−] richiesta. Moltiplicando per il volume di soluzione si ottiene
la quantità (mol) di CO32− richiesta, quindi usiamo la massa molare per calcolare la massa
(g) di Na2CO3.
Risoluzione Calcolare [H3O+]: [H3O+] = 10−pH = 10−10,00 = 1,0  ×  10−10 M
Risolvere per [CO32−] nel rapporto delle concentrazioni:
[H3O+ ][CO32− ]
HCO−3 ( aq ) + H2O( l )   H3O+ ( aq ) + CO32− ( aq ) K a =


[HCO−3 ]

[HCO−3 ] (4,7 ×10−11 )(0,20)


Così [CO32− ]
= K=
a = 0,094 M
[H3O+ ] 1,0 ×10−10
Calcolare la quantità (mol) di CO32− necessaria per il volume dato:
0,094 mol CO32−
moli di CO32− =1,5 L soluzione × = 0,14 mol CO32−
1 L soluzione
Calcolare la massa (g) di Na2CO3 necessaria:
105,99 g Na 2CO3
massa (g) di Na 2CO3 = 0,14 mol Na 2CO3 × = 15 g Na2CO3
1 mol Na 2CO3
Sciogliamo 15 g di Na2CO3 in 1,3 L di NaHCO3 0,20 M e aggiungiamo ancora NaHCO3
0,20 M fino ad avere 1,5 L. Usando un pH-metro aggiustiamo il pH a 10,00 aggiungendo
un acido o una base forte.
Verifica Per ottenere un utile campo di tamponamento, la componente acida, [HCO3−], deve
essere entro un fattore 10 relativamente alla componente basica, [CO32−]. Abbiamo (1,5 L)

19txt.indd 643 17/05/19 08:43


644 Capitolo 19

(0,20 M HCO3−), o 0,30 mol di HCO3− e 0,14 mol CO32−; 0,30 : 0,14 = 2,1 il che sembra ade-
guato. È opportuno accertarsi che le quantità relative delle componenti del tampone siano
ragionevoli: poiché si vuole un pH inferiore al pKa di HCO3−, è ragionevole che si abbia più
specie acida che specie basica.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.2 Come preparereste un tampone


acido benzoico/benzoato a pH = 4,25 partendo da 5,0 L di benzoato di sodio (C6H5COONa)
0,050 M e aggiungendo la componente acida? Ka per l’acido benzoico (C6H5COOH) vale
6,3  ×  10−5.

Un altro modo di preparare un tampone è quello di formare una delle componenti


durante la fase di miscelazione finale per parziale neutralizzazione dell’altra com-
ponente. Per esempio, si può preparare un tampone HCOOH/HCOO− miscelando
opportune quantità di soluzioni di HCOOH e NaOH. Gli ioni OH− reagiscono con le
molecole di HCOOH, neutralizzano parte di HCOOH producendo gli ioni HCOO−
necessari:
HCOOH(HA totale) + OH− (quantità aggiunta) ⎯ ⎯

HCOOH(HA totale − OH−quantità aggiunta) + HCOO− (quantità di OH− ) + H2O

Questo metodo è basato sullo stesso processo chimico che avviene quando un aci-
do debole viene titolato con una base forte come vedremo nel prossimo paragrafo.

19.2 CURVE DI TITOLAZIONE ACIDO-BASE


Nel Capitolo 4, abbiamo discusso le titolazioni acido-base come metodo analitico.
Riesaminiamole adesso esaminando le variazioni di pH con una curva di tito-
lazione acido-base, cioè un grafico del pH in funzione del volume di titolante
aggiunto. Descriveremo prima il comportamento di un indicatore acido-base e il
suo ruolo nella titolazione. Per comprendere meglio il processo di titolazione, ap-
plicheremo i principi del comportamento acido-base a soluzioni saline e, successi-
vamente, i principi dell’azione tampone.

Monitorare il pH con indicatori acido-base


I due dispositivi più comuni per misurare il pH in laboratorio sono i pH-metri e gli in-
dicatori acido-base. (Discuteremo il funzionamento dei pH-metri nel Capitolo 21). Un
indicatore acido-base è un acido debole organico (indicato con HIn) che ha un colore
diverso da quello della sua base coniugata (In−) e per il quale la variazione di colore
avviene in un campo specifico e ristretto di pH. Tipicamente, una o entrambe le
forme sono intensamente colorate, perciò è necessaria solo una piccolissima quantità
di indicatore, molto inferiore a quella che altererebbe il pH della soluzione in esame.
Gli indicatori sono usati per stimare il pH di una soluzione e per monitorare
il pH nelle titolazioni acido-base e nelle reazioni. La Figura 19.4 mostra i colori e i
campi di pH per le variazioni di colore di alcuni comuni indicatori acido-base. La
selezione di un indicatore richiede che si sappia il valore approssimativo del pH del
punto finale della titolazione, il che a sua volta richiede la conoscenza delle specie
ioniche presenti. Vedremo come si conoscono questi dati nella nostra discussione
delle curve di titolazione acido-base.
Poiché la molecola di un indicatore è un acido debole il rapporto tra le due
forme è determinato dalla [H3O+] della soluzione da esaminare:
[H3O+ ][In− ]
HIn( aq ) + H2O( l )   H3O+ ( aq ) + In− ( aq )

 Ka per HIn =
[HIn]
[HIn] [H3O+ ]
Perciò, =
[In− ] Ka

Il modo in cui percepiamo i colori ha una profonda influenza sull’uso degli indi-
catori. Tipicamente, lo sperimentatore vedrà il colore di HIn se il rapporto [HIn]/

19txt.indd 644 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 645

pH
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

Violetto di metile

Blu di timolo

2,4-Dinitrofenolo

Blu di bromofenolo

Verde di bromocresolo

Rosso di metile

Alizarina

Blu di bromotimolo

Rosso fenolo

Fenolftaleina

Giallo alizarina R

[In−] è 10 : 1 o maggiore, e vedrà il colore di In− se il rapporto [HIn]/[In−] è 1 : 10 o Figura 19.4 Variazioni di
minore. Tra questi due estremi i colori delle due forme sono mescolati in una to- colore e intervalli approssimati
di pH per alcuni comuni indi-
nalità intermedia. Perciò un indicatore ha un campo di viraggio (intervallo di colore)
catori acido-base. La maggior
che riflette una variazione di 100 volte del rapporto [HIn]/[In−], il che significa che parte degli indicatori ha un
un indicatore cambia colore in un intervallo di 2 unità di pH. Per esempio, come si può intervallo di viraggio di circa
vedere nella Figu­ra 19.4, il blu di bromotimolo ha un intervallo di pH da circa 6,0 2 unità di pH, mantenendosi in
a 7,6 e, come mostrato nella Figura 19.5, è giallo al di sotto di questo intervallo di un campo di tamponamento uti-
lizzabile (pKa ± 1). (Lo specifico
pH, blu al di sopra e verdastro per valori intermedi.
pH dipende in parte dal solvente
usato per preparare l’indicatore).
Curve di titolazione acido forte-base forte
Una curva rappresentativa per la titolazione di un acido forte con una base forte
è mostrata in Figura 19.6, assieme ai dati usati per costruirla. Ci sono tre regioni
distinte della curva che corrispondono alle tre principali variazioni di pendenza.
1. Il pH iniziale è basso, riflettendo l’elevata [H3O+] dell’acido forte, e aumenta
gradualmente man mano che l’acido viene neutralizzato dalla base aggiunta.
2. Il pH aumenta bruscamente. L’aumento inizia quando il numero di moli di
OH− che sono state aggiunte è quasi uguale al numero di moli di H3O+ ini-
zialmente presenti nell’acido. L’ulteriore aggiunta di una o due gocce di base
neutralizza il piccolissimo eccesso di acido e introduce una piccolissima quan-
tità di base, perciò il pH “salta” da 6 a 8 unità.
3. Dopo questa parte ripida della curva, il pH continua a crescere lentamente Figura 19.5 La variazione
di colore dell’indicatore blu
man mano che viene aggiunta altra base.
di bromotimolo. Gli indicatori
Il punto di equivalenza, che avviene vicino al flesso verticale della curva, è il sono acidi deboli organici le
cui forme acida e basica hanno
punto in cui il numero di moli di OH− aggiunte è uguale al numero di moli di H3O+
colori diversi. Il viraggio (la
inizialmente presenti. Al punto di equivalenza di una titolazione acido forte-base variazione di colore) avviene in
forte la soluzione è costituita dall’anione dell’acido forte e dal catione della base forte. Ri- un intervallo di 2 unità di pH.
cordiamo dal Capitolo 18 che questi ioni non reagiscono con l’acqua, perciò la soluzione La forma acida del blu di bro-
è neutra, pH = 7,00. Il volume e la concentrazione di base necessari per raggiungere motimolo è gialla (a sinistra) e
la forma basica è blu (a destra).
il punto di equivalenza ci permettono di calcolare la quantità di acido inizialmente
Nell’intervallo di pH in cui
presente (vedi Problema di verifica 4.5). l’indicatore vira, sono presenti
Prima che inizi la titolazione si aggiungono poche gocce di un appropriato entrambe le forme e la miscela
indicatore per mettere in evidenza il momento in cui si raggiunte il punto di equi- appare verdastra (al centro).
valenza. Il punto finale della titolazione è quello in cui l’indicatore cambia colore. (Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).
Si sceglie un indicatore con un punto finale vicino al punto di equivalenza, che cambia
colore nel campo di pH nella parte ripida della curva di titolazione. La Figura 19.6

19txt.indd 645 17/05/19 08:43


646 Capitolo 19

Volume di NaOH Titolazione di 40,00 mL di HCl


Figura 19.6 Curva di titola- aggiunto (mL) pH
zione acido forte-base forte. 0,1000 M con NaOH 0,1000 M
A. I dati ottenuti dalla titolazio- 00,00 1,00
ne di 40,00 mL di HCl 0,1000 M 10,00 1,22 14
con NaOH 0,1000 M sono messi 20,00 1,48
30,00 1,85
in grafico in B per dare una 12
35,00 2,18
curva di titolazione acido-base.
39,00 2,89
Inizialmente il pH aumenta gra- 39,50 3,20
dualmente. Quando la quantità 10 Fenolftaleina
39,75 3,50
(mol) di OH− aggiunta è legger- 39,90 3,90
mente inferiore alla quantità 39,95 4,20
8
(mol) di H3O+ presente inizial- 39,99 4,90
mente, si osserva una grande 40,00 7,00 pH = 7,00 al punto

pH
40,01 9,40 di equivalenza
variazione di pH per una piccola 6
40,05 9,80
aggiunta di OH−. Si raggiunge
40,10 10,40
il punto di equivalenza quando: 40,25 10,50 4
quantità (mol) di OH− aggiunta 40,50 10,79
= quantità (mol) di H3O+ ini- 41,00 1 1,09 Rosso di metile
zialmente presente. Si noti che, 45,00 1 1,76 2
per una titolazione acido forte- 50,00 12,05
base forte, si ha pH = 7,00 al 60,00 12,30
punto di equivalenza. Sia il rosso 70,00 12,43 0
di metile sia la fenolftaleina, 80,00 12,52 10 20 30 40 50 60 70 80
aggiunti prima che abbia inizio A B Volume di NaOH aggiunto (mL)
la titolazione, sono indicatori
adeguati in questo caso perché mostra le variazioni di colore per due indicatori adeguati per la titolazione acido
entrambi cambiano colore nella forte-base forte. Il rosso di metile cambia da rosso a pH 4,2, a giallo a pH 6,3, men-
zona a massima pendenza della tre la fenolftaleina passa da incolore a pH 8,3, a rosa a pH 10,0. Anche se nessuno
curva, come illustrato dalle
dei due cambia colore al punto di equivalenza (pH = 7,00) entrambe le variazioni
strisce colorate. Le immagini a
fianco mostrano le variazioni di avvengono nel tratto verticale della curva, dove l’aggiunta di una sola goccia causa
colore causate dall’aggiunta di una grande variazione di pH: quando il rosso di metile diventa giallo, o la fenolfta-
1-2 gocce di indicatore. Oltre al leina diventa rosa, sappiamo che siamo a una frazione di goccia dal punto di equi-
punto di equivalenza, l’aggiunta valenza. Per esempio, nel passare da 39,90 a 39,99 mL, una o due gocce, il pH varia
di OH− causa nuovamente un
di un’intera unità. Per tutti gli scopi pratici dunque, la visibile variazione di colore
aumento graduale del pH.
dell’indicatore segnala l’invisibile punto in cui il numero di moli di base aggiunta è
uguale al numero di moli iniziali dell’acido (punto di equivalenza).
Conoscendo le specie chimiche presenti durante la titolazione, possiamo cal-
colare il pH in vari punti durante il processo. In Figura 19.6, 40,00 mL di HCl
0,1000 M vengono titolati con NaOH 0,1000 M. Un acido forte è completamente
dissociato, dunque [HCl] = [H3O+] = 0,1000 M. Il pH iniziale è pertanto*
pH = −log [H3O+ ] = −log (0,1000) = 1,00

Non appena si inizia ad aggiungere titolante avvengono due variazioni che devo-
no essere incluse nei calcoli di pH: (1) parte dell’acido viene neutralizzata e (2) il
volume della soluzione aumenta. Per calcolare il pH in vari punti della titolazione,
si calcola la quantità (mol) di H3O+ (o OH−) presenti, si usa la variazione di volume
per calcolare la concentrazione ([H3O+] o [OH−]) e si converte in pH. Come esempio,
calcoliamo il pH in tre punti della curva di titolazione.
1. Prima del punto di equivalenza. Dopo aver aggiunto 20,00 mL di NaOH 0,1000 M.
• Calcolare le moli di H3O+ residue. Sottraendo il numero di moli di H3O+ che
hanno reagito da quelle inizialmente presenti, si ottiene il numero di moli
residue. Moli di H3O+ reagite uguale a moli di OH− aggiunte, perciò
moli iniziali di H3O+ = 0,04000 L × 0,1000 M = 0,004000 mol H3O+
− moli di OH− aggiunte = 0,02000 L × 0,1000 M = 0,002000 mol OH−
moli di H3O+ residue = 0,002000 mol H3O+

* Nelle titolazioni acido-base i volumi e le concentrazioni possono essere noti con quattro cifre decimali,
ma i valori di pH sono di solito riportati con non più di due cifre a destra della virgola decimale.

19txt.indd 646 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 647

• Calcolare [H3O+] tenendo conto della variazione di volume. In una titolazione si


aggiunge una soluzione a un’altra, perciò il volume aumenta. Per calcolare la
concentrazione degli ioni, usiamo il volume totale perché l’acqua di una solu-
zione diluisce gli ioni dell’altra:
quantitá (mol) di H3O+ residue
[H3O+ ] =
volume iniziale di acido + volume di base aggiunta

0,002000 mol H3O+


== =
0,03333 M pH 1,48
0,04000 L + 0,02000 L
Dato il numero di moli di OH− aggiunte, siamo a metà strada dal punto di equiva-
lenza, ma ancora nella parte lentamente crescente della curva, perciò il pH è ancora
molto basso. Calcoli analoghi danno i valori fino al punto di equivalenza.
2. Al punto di equivalenza. Dopo aver aggiunto 40,00 mL di NaOH 0,1000 M: quan-
do si raggiunge il punto di equivalenza tutti gli H3O+ derivanti dalla dissociazione
dell’acido sono stati neutralizzati e la soluzione contiene Na+ e Cl−, nessuno dei
quali reagisce con l’acqua.
A causa dell’autoprotolisi dell’acqua, però,
[H3O+ ] =
1,0 ×10−7 M pH =
7,00
In questo esempio 0,004000 mol di OH reagiscono con 0,004000 mol di H3O+ per

raggiungere il punto di equivalenza.


3. Dopo il punto di equivalenza. Dopo aver aggiunto 50,00 mL di NaOH 0,1000 M,
dal punto di equivalenza in poi, il calcolo del pH si basa sulle moli in eccesso di
OH− presenti. Dopo aver aggiunto 50,00 mL di NaOH, si ha:
moli totali di OH− aggiunte = 0,05000 L × 0,1000 M = 0,005000 mol OH− TITOLAZIONE ACIDO-BASE
+ +
− moli di H3O consumate = 0,04000 L × 0,1000 M = 0,004000 mol H3O
moli in eccesso di OH− = 0,001000 mol OH−

0,001000 mol OH
[OH− ] = = 0,01111 = M pOH 1,95
0,04000 L + 0,05000 L
pH = pK w − pOH = 14,00 − 1,95 = 12,05

Curve di titolazione acido debole-base forte


Esaminiamo ora la titolazione di un acido debole con una base forte. La Figura 19.7
mostra la curva che si ottiene quando si usa NaOH 0,1000 M per titolare 40,00 mL
Titolazione di 40,00 mL di HPr Figura 19.7 Curva di titola-
0,1000 M con NaOH 0,1000 M zione acido debole-base forte.
14 La figura mostra la curva relativa
alla titolazione di 40,00 mL di
12 CH3CH2COOH (HPr) 0,1000 M
con NaOH 0,1000 M confron-
tandola con la curva relativa
10 Fenolftaleina alla titolazione dell’acido forte
HCl (parte tratteggiata della
8 curva). Il pH iniziale è maggiore
di quello di un acido forte perché
pH

HPr si dissocia solo parzialmente.


E
6 ON pH = 8,80 al punto Nel punto centrale della regione
TA M P
IONE di equivalenza
REG tampone, [HPr] = [Pr−], per-
pKa per HPr = 4,89 ciò pH = pKa. Il pH al punto di
4
equivalenza è maggiore di 7,00
[HPr] = [Pr−] Rosso di metile perché la soluzione contiene la
2 base debole Pr−. La fenolftaleina
Curva acido forte-base forte
(immagine) è un indicatore adat-
to a questa titolazione, al con-
0
trario del rosso di metile la cui
10 20 30 40 50 60 70 80
variazione di colore avviene in un
Volume di NaOH aggiunto (mL)
grande intervallo di volume.

19txt.indd 647 17/05/19 08:43


648 Capitolo 19

di acido propionico, un acido organico debole (CH3CH2COOH; Ka = 1,3  ×  10−5),


0,1000 M. (Abbreviamo l’acido come HPr e la sua base coniugata, CH3CH2COO−,
come Pr−). Confrontando la curva di titolazione di questo acido debole con una
base forte con quella della titolazione acido forte-base forte si osservano tre diffe-
renze principali (la parte di curva tratteggiata nella Figura 19.7 corrisponde alla
metà inferiore della curva nella Figu­ra 19.6).
• Il pH iniziale è più alto. Poiché l’acido debole (HPr) si dissocia solo parzialmente,
sono presenti meno H3O+ di quelli presenti in una soluzione di acido forte di
uguale concentrazione.
• Prima del brusco salto relativo al punto di equivalenza, si osserva una porzione di
curva crescente in modo graduale, chiamata regione tampone. Man mano che HPr
reagisce con la base forte, si forma una quantità significativa della sua base
coniugata (Pr−) e si crea un tampone HPr/Pr−.
Si noti il punto centrale della regione tampone. In quel punto metà della quan-
tità iniziale di HPr ha reagito, perciò [HPr] = [Pr−], o [HPr]/[Pr−] = 1. Pertanto,
nel punto centrale della regione tampone il pH è uguale al pKa.
⎛ [Pr− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟= pKa + log 1= pKa + 0= pKa
⎜⎝ [HPr] ⎟⎟⎠

L’osservazione del pH nel punto centrale della regione tampone è infatti un comu-
ne metodo sperimentale per stimare il valore incognito del pKa di un acido.
• Il pH al punto di equivalenza è maggiore di 7,00. La soluzione contiene il catione
della base forte, Na+, che non reagisce con l’acqua, e l’anione dell’acido debole, Pr−,
che agisce come base debole accettando un protone da H2O producendo OH−.

La nostra scelta di indicatore è più limitata in questo caso di quanto non fosse nella
titolazione acido forte-base forte perché il salto di pH avviene in un intervallo più
ristretto. La fenolftaleina è adatta perché la sua variazione di colore avviene in que-
sto intervallo (Figura 19.7). Al contrario, la variazione di colore del rosso di metile,
la nostra scelta alternativa nel caso della titolazione acido forte-base forte, avviene
prima e lentamente per aggiunta di un grande volume (10 mL) di titolante, dando
perciò un’indicazione vaga e falsa del punto di equivalenza.
La procedura di calcolo per una titolazione acido debole-base forte è diversa
da quella precedentemente illustrata perché si devono considerare la parziale dis-
sociazione dell’acido debole e la reazione della base coniugata con l’acqua. Ci sono
quattro regioni chiave nella curva di titolazione, ognuna delle quali richiede un
diverso tipo di calcolo per trovare [H3O+].
1. Soluzione di HA. Prima dell’aggiunta della base, [H3O+] è quella di una soluzione
di acido debole, perciò calcoliamo [H3O+] come nel Paragrafo 18.4: si costruisce
una tabella di reazione con x = [HPr]diss, si assume [H3O+] = [HPr]diss = [HPr]iniz, e
si risolve per x:
[H3O+ ][Pr− ] x2
Ka = 
[HPr] [HPr]iniz

Perciò =x [H3O+ ]  Ka × [HPr]iniz


2. Soluzione di HA e base aggiunta. Non appena si aggiunge NaOH, questo reagisce
con HPr per formare Pr−. Ciò significa che, fino al punto di equivalenza, si ha una
miscela di acido e della sua base coniugata ed esiste una soluzione tampone per
buona parte di questo intervallo. Perciò, calcoliamo [H3O+] dalla relazione
[HPr]
[H3O+=] Ka ×
[Pr− ]
(Naturalmente, si può calcolare direttamente il pH dall’equazione di Henderson-
Hasselbalch che è solo una forma alternativa di questa relazione). Si noti che in

19txt.indd 648 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 649

questo calcolo non si deve considerare il nuovo volume totale perché i volumi si
semplificano nel rapporto delle concentrazioni. In altre parole [HPr]/[Pr−] = moli di
HPr/moli di Pr−, perciò non è necessario calcolare le concentrazioni.
3. Quantità equivalenti di HA e di base aggiunta. Al punto di equivalenza, la quantità
iniziale di HPr ha reagito completamente, perciò il recipiente contiene una soluzio-
ne di Pr−, una base debole che reagisce con l’acqua per formare OH−:
Pr− ( aq ) + H2O( l )   HPr( aq ) + OH− ( aq )


Dunque, come detto precedentemente, in una titolazione acido debole-base forte,
la soluzione al punto di equivalenza è debolmente basica, pH > 7,00. Si calcola
[H3O+] come visto nel Paragrafo 18.5: si calcola Kb di Pr− da Ka di HPr, si scrive una
tabella di reazione (assumendo [Pr−] ? [Pr−]reagito) e si risolve in funzione di [OH−].
È necessario un solo valore di concentrazione, [Pr−], per calcolare [OH−], perciò non
è necessario conoscere il volume totale.
Questi due passaggi sono:
Kw moli di HPriniz
(1) [OH− ]  Kb × [Pr− ] , dove Kb = e [Pr− ] =
Ka volume totale
+ Kw
(2) [H3O ] =
[OH− ]
Combinando in un solo passaggio si ha
Kw
[H3O+ ] 
Kb × [Pr− ]

4. Soluzione con eccesso di base aggiunta. Oltre al punto di equivalenza si aggiungono


semplicemente ioni OH−, perciò i calcoli sono gli stessi di quelli visti per una tito-
lazione acido forte-base forte:
Kw moli di OH− in eccesso
=[H3O+ ] = , dove [OH−]
[OH−] volume totale
Il Problema di verifica 19.3 illustra l’approccio complessivo.

Calcolo del pH durante una titolazione acido debole-base forte


PROBLEMA DI VERIFICA 19.3
Problema Calcolare il pH durante la titolazione di 40,00 mL di acido propanoico 0,1000 M
(HPr; Ka = 1,3  ×  10−5) dopo l’aggiunta dei seguenti volumi di NaOH 0,1000 M:
(a) 0,00 mL    (b) 30,00 mL    (c) 40,00 mL    (d) 50,00 mL
Piano (a) 0,00 mL. Non è ancora stata aggiunta alcuna base, perciò questa è una soluzio-
ne di un acido debole. Calcoliamo dunque il pH come abbiamo fatto nel Paragrafo 18.4.
(b) 30 mL. È presente una miscela di Pr− e HPr. Calcoliamo la quantità (mol) di ognuno,
sostituiamo nell’espressione di Ka, risolviamo in funzione di [H3O+] e convertiamo in pH.
(c) 40,00 mL. La quantità (mol) di NaOH aggiunta è uguale alla quantità iniziale (mol) di
HPr, perciò abbiamo una soluzione di Na+ e della base debole Pr−. Calcoliamo il pH come
abbiamo fatto nel Paragrafo 18.5, con la differenza di considerare il volume totale per calco-
lare [Pr−]. (d) 50,00 mL. È stato aggiunto un eccesso di NaOH, perciò calcoliamo la quantità
(mol) in eccesso di NaOH nel volume totale e convertiamo in [H3O+], quindi in pH.
Risoluzione (a) Aggiunta di 0,00 mL di NaOH 0,1000 M. Seguendo la proceduta usata nel
Problema di verifica 18.7 e appena descritta nel testo, si ottiene

[H3O+ ]  K a × [HPr]iniz =

(1,3 ×10−5 )(0,1000) =
1,1×10−3 M
pH = 2,96

(b) Aggiunta di 30,00 mL di NaOH 0,1000 M. Calcolare il rapporto molare di HPr e Pr−:
moli iniziali di HPr = 0,04000 L  ×  0,1000 M = 0,004000 mol HPr
moli di NaOH aggiunte = 0,03000 L  ×  0,1000 M = 0,003000 mol OH−

19txt.indd 649 17/05/19 08:43


650 Capitolo 19

Per ogni mole di NaOH che reagisce, si forma una mole di Pr−, perciò costruiamo la seguente
tabella per la stechiometria di reazione:

L’ultima riga di questa tabella mostra le nuove quantità iniziali di HPr e Pr− che reagiranno
per stabilire un nuovo equilibrio. Poiché x è molto piccolo, faremo l’ipotesi che il rapporto
[HPr]/[Pr−] all’equilibrio sia sostanzialmente uguale al rapporto di queste nuove concentra-
zioni iniziali (vedi commento al Problema di verifica 19.1). Così
[HPr] 0,001000 mol
= = 0,3333
[Pr− ] 0,003000 mol
Risolvendo in funzione di [H3O+]:
[HPr]
[H3O+ ] =Ka × =(1,3 ×10−5 )(0,3333) =4,3 ×10−6 M
[Pr− ]
pH = 5,37
(c) Aggiunta di 40,00 mL di NaOH 0,1000 M. Calcolare [Pr−] dopo che HPr ha reagito
completamente:
0,004000 mol
[Pr− ] = = 0,05000 M
0,04000 L + 0,04000 L
Calcolare Kb:
Kw 1, 0 ×10−14
=
K b = = 7, 7 ×10−10 M
Ka 1, 3 ×10−5
Risolvere in funzione di [H3O+] come descritto nel testo:
Kw 1,0 ×10−14
[H3O+ ]  = = 1,6 ×10−9 M
 K b × [Pr−] 7,7 ×10−10 ×(0,05000)
pH = 8,80
(d) Aggiunta di 50,00 mL di NaOH 0,1000 M.
moli di OH− in eccesso = (0,1000 M)(0,05000 L − 0,04000 L) = 0,001000 mol
moli di OH− in eccesso 0,001000 mol
=[OH− ] = = 0,01111 M
volume totale 0,09000 L

+ Kw 1,0 ×10−14
[H=
3O ] = = 9,0 ×10−13 M
 [OH−] 0,01111
pH = 12,05

Verifica Come atteso dalla continua aggiunta di base, il pH aumenta nei quattro passaggi.
Assicuratevi di usare il corretto numero di cifre significative e controllate l’aritmetica nel
corso della risoluzione.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.3 Un chimico titola 20,00 mL di


HBrO 0,2000 M (Ka = 2,3  ×  10−9) con NaOH 0,1000 M. Qual è il valore del pH: (a) prima
dell’aggiunta della base; (b) quando [HBrO] = [BrO−]; (c) al punto di equivalenza. (d) Quando
il numero di moli di OH− aggiunto è il doppio del numero di moli di HBrO inizialmente pre-
sente? (e) Disegnare la curva di titolazione.

Curve di titolazione base debole-acido forte


Nel caso precedente abbiamo titolato un acido debole con una base forte. Il pro-
cesso opposto è la titolazione di una base debole (NH3) con un acido forte (HCl),
illustrato in Figura 19.8. Si noti che la curva ha la stessa forma di quella relativa
a una titolazione acido debole-base forte (Figura 19.7), ma è invertita. Pertanto le

19txt.indd 650 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 651

Titolazione di 40,00 mL di NH3 Figura 19.8 Curva di titola-


0,1000 M con HCl 0,1000 M zione base debole-acido forte.
14 La titolazione di 40,00 mL di
NH3 0,1000 M con una soluzio-
12 ne di HCl 0,1000 M genera una
[NH3] = [NH4+] curva la cui forma è la stessa
REG di quella relativa alla titolazio-
ION
10 E TAM
PON Fenolftaleina ne acido debole-base forte in
E Figura 19.7, ma invertita. Nel
punto centrale della regione
pKa per NH4+ = 9,25 8
tampone [NH3] = [NH4+]; il pH in
pH

questo punto è uguale a pKa di


6 NH4+. Il pH del punto di equiva-
lenza è inferiore a 7,00 perché
la soluzione contiene l’acido
Rosso di metile
4 debole NH4+. Il rosso di metile
pH = 5,27 al (immagine) è un indicatore
punto di adatto a questa titolazione, al
2 equivalenza contrario della fenolftaleina la
cui variazione di colore avvie-
0 ne in un grande intervallo di
10 20 30 40 50 60 70 80 vo­lume.

Volume di HCl aggiunto (mL)

regioni della curva hanno le stesse caratteristiche, ma il pH decresce durante il


processo.
1. La soluzione iniziale è una soluzione di base debole, perciò il pH iniziale è
maggiore di 7,00.
2. Il pH diminuisce gradualmente nella regione tampone, in cui esistono quantità
significative di base (NH3) e acido coniugato (NH4+). A metà della regione tam-
pone il pH è uguale al pKa dello ione ammonio.
3. Dopo la regione tampone la curva scende verticalmente fino al punto di equi-
valenza, quando NH3 ha reagito completamente e la soluzione contiene solo
NH4+ e Cl−. Si noti che il pH al punto di equivalenza è minore di 7,00 perché
Cl− non reagisce con l’acqua e NH4+ è acido:
NH+4 ( aq ) + H2O( l )   NH3 ( aq ) + H3O+ ( aq )


4. Oltre il punto di equivalenza il pH diminuisce lentamente via via che si
aggiunge eccesso di H3O+.
Anche per questa titolazione si deve essere più cauti nella scelta dell’indicatore di
quanto non sia necessario per una titolazione acido forte-base forte.
La fenolftaleina cambia colore troppo presto e troppo lentamente per indicare
correttamente il punto di equivalenza; il rosso di metile, però, è una scelta perfetta
perché vira nella parte ripida della curva e copre il punto di equivalenza.

Curve di titolazione per acidi poliprotici


Come discusso nel Paragrafo 18.4, gli acidi poliprotici hanno più di un protone
ionizzabile. Con l’eccezione dell’acido solforico, gli acidi poliprotici comuni sono
deboli. I valori successivi di Ka differiscono per diversi ordini di grandezza, il che si-
gnifica che è molto più facile perdere il primo H+ rispetto a quelli successivi, come
indicano i valori per l’acido solforoso mostrato qui:
H2SO3 ( aq ) + H2O( l )   HSO−3 ( aq ) + H3O+ ( aq )


1,4 ×10−2 e pKa1 =
Ka1 = 1,85

HSO−3 ( aq ) + H2O( l )   SO32− ( aq ) + H3O+ ( aq )




6,5×10−8 e pKa2 =
Ka2 = 7,19

19txt.indd 651 17/05/19 08:43


652 Capitolo 19

Figura 19.9 Curva per la Titolazione di 40,00 mL di H2SO3 0,1000 M con NaOH 0,1000 M
14
titolazione di un acido debole
poliprotico. La titolazione di
40,00 mL di H2SO3 0,1000 M
con NaOH 0,1000 M porta a 12
una curva con due regioni tam-
pone e due punti di equivalenza.
Poiché i valori di Ka differiscono 10 pH = 9,86
per diversi ordini di grandezza, al secondo
punto di
la curva di titolazione sembra
pKa2 = 7,19 8 [HSO3−] = [SO2−
3 ]
equivalenza
costruita unendo ai due estremi
due curve di titolazione acido

pH
E
debole-base forte. Il pH del MPON
NE TA
GIO
primo punto di equivalenza è 6 RE

inferiore a 7,00 perché la solu-


zione contiene HSO3−,
che è un acido più forte di pH = 4,25 al primo
4
punto di equivalenza
quanto non sia una base [H2SO3] = [HSO3−]
(Ka per HSO3− = 6,5  ×  10−8;
Kb per HSO3− = 7,1  ×  10−13). 2
E
M PON
pKa1 = 1,85 REGIONE TA

0
20 40 60 80 100
Volume di NaOH aggiunto (mL)

Nella titolazione di un acido diprotico, come H2SO3, sono necessari due ioni OH− per
rimuovere completamente entrambi gli ioni H+ da ogni molecola di acido. La Figu­-
ra 19.9 mostra la curva di titolazione dell’acido solforoso con una base forte. A causa
della grande differenza nei valori di Ka, assumiamo che ogni mole di H+ sia titolata
separatamente, ovvero che tutte le molecole di H2SO3 perdano un protone prima
che qualsiasi ione HSO3− ne perda uno:
− −
H2SO3 ⎯1⎯⎯⎯⎯
mol OH
→ HSO−3 ⎯1⎯⎯⎯⎯
mol OH
→ SO32−
Come si può vedere dalla curva, la perdita di ogni mole di H+ dà luogo a un diverso
punto di equivalenza e a una diversa regione tampone. Come nel caso della curva
relativa a un acido debole monoprotico, il pH a metà della regione tampone è uguale
al pKa di quella specie acida. Si noti inoltre che è necessario lo stesso volume di base
aggiunta (in questo caso 40,00 mL di OH− 0,1000 M) per rimuovere ogni mole di H+.

Amminoacidi come acidi poliprotici biologici


Gli amminoacidi hanno formula generale NH2 CH(R) COOH in cui R può essere
uno di circa 20 possibili gruppi diversi (Paragrafo 13.2). Gli amminoacidi contengo-
no dunque una funzione debolmente basica ( NH2) e una debolmente acida
( COOH) nella stessa molecola. Sia il gruppo amminico sia quello carbossilico sono
protonati a bassi valori di pH (+NH3 CH(R) COOH) e in questa forma gli ammi-
noacidi si comportano come acidi poliprotici. Per la glicina, il più semplice ammi-
noacido (R = H), le reazioni di dissociazione e i valori di pKa sono:
+
NH3CH2COOH( aq ) + H2O( l )   +NH3CH2COO− ( aq ) + H3O+ ( aq ) pKa1 =

 2,35
+
NH3CH2COO− ( aq ) + H2O( l )   NH2CH2COO− ( aq ) + H3O+ ( aq )

 pKa2 =
9,78
I valori delle costanti di dissociazione mostrano che il gruppo COOH è molto più
acido del gruppo NH3+. Come già visto per H2SO3, i protoni acidi (cerchi neri)
sono titolati separatamente, perciò tutti i protoni dei gruppi COOH vengono ri-
mossi prima di quelli dei gruppi NH3+:

+ 1 mol OH− + 1 mol OH−

− −
forma protonata (basso pH) zwitterione (pH neutro) forma non protonata (alto pH)

19txt.indd 652 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 653

A pH fisiologico (pH  7), intermedio tra i due valori di pKa, un amminoacido esiste
come uno zwitterione (dal tedesco zwitter: ibrido), una specie complessivamente
elettricamente neutra in cui sono però presenti sulla stessa molecola cariche oppo-
ste. Lo zwitterione della glicina è +NH3CH2COO−.
Alcuni dei 20 possibili gruppi R presenti negli amminoacidi hanno ulteriori
gruppi COO− o NH3+ a pH neutro. Quando gli amminoacidi si legano per for-
mare una proteina, i guppi R carichi determinano la carica complessiva della pro-
teina che a sua volta spesso ne determina la funzione. Un esempio molto studiato Forma
normale
di questa relazione si verifica nell’anemia falciforme ereditaria. I globuli rossi sani
contengono la proteina emoglobina in cui sono presenti due molecole di acido
glutammico i cui sostituenti R ( CH2CH2COO−) generano una carica negativa in Forma anomala
una specifica regione della proteina. Nella stessa regione, nei globuli rossi caratteri-
stici dell’anemia falciforme si trovano invece due molecole di valina (R = CH3),
prive di carica. La sostituzione di solo due amminoacidi, tra i 574 di cui è costituita
l’emoglobina, diminuisce la repulsione elettrostatica tra due molecole di emoglobi-
Figura 19.10 La forma
na che, agglomerandosi in strutture fibrose, portano alla caratteriatica forma a falce anomala dei globuli rossi
dei globuli rossi (Figura 19.10). Le cellule “deformi” bloccano i capillari e il doloroso nell’anemia falciforme. (Foto:
decorso dell’anemia falciforme porta spesso a morte precoce. © Jackie Lewin, Royal Free
Hospital/Science Source).

19.3 EQUILIBRI DI COMPOSTI IONICI POCO SOLUBILI


In questo paragrafo esamineremo gli equilibri acquosi dei composti ionici poco
solubili. Nel Capitolo 13 abbiamo visto che la maggior parte dei soluti, anche quelli
definiti “solubili”, hanno una solubilità limitata in un particolare solvente. In una
soluzione satura, a una particolare temperatura, esiste un equilibrio tra il soluto
disciolto e quello non disciolto. I composti ionici poco solubili (spesso definiti “in-
solubili”) hanno una solubilità relativamente bassa, perciò raggiungono l’equilibrio
quando è disciolto relativamente poco soluto. A questo punto sarebbe una buona
idea ripassare le regole di solubilità elencate nella Tabella 4.1.
Quando un composto ionico solubile si scioglie in acqua, si dissocia completamen-
te in ioni. Nella discussione seguente si assumerà che la piccola quantità di un compo-
sto ionico poco solubile che si scioglie in acqua sia anch’essa dissociata in ioni. In realtà,
però, questo non è vero. In molti sali poco solubili, in particolare quelli dei metalli di
transizione e degli elementi pesanti dei gruppi principali, c’è una significativa compo-
nente covalente nel legame metallo-non metallo e le loro soluzioni contengono spesso
specie che sono parzialmente dissociate o indissociate. Per esempio, quando il cloruro
di piombo(II) viene agitato vigorosamente in acqua (vedi fotografia a lato), la soluzione
contiene non solo gli attesi ioni Pb2+(aq) e Cl−(aq), ma anche molecole indissociate
di PbCl2(aq) e ioni PbCl+(aq). Nelle soluzioni di alcuni altri sali, come CaSO4, non ci
sono molecole ma coppie ioniche, quali Ca2+SO42−(aq). Queste specie aumentano la
solubilità al di sopra del valore calcolato considerando completa la dissociazione. Corsi
più avanzati trattano queste diversità, qui se ne daranno solo alcune indicazioni nei
commenti di alcuni problemi di verifica. Per queste ragioni, sarà opportuno ricordare
che i semplici calcoli trattati qui vanno considerati in prima approssimazione.
PbCl2, un composto ionico poco
solubile. (Foto: © McGraw-Hill
L’espressione del prodotto ionico (Qps) Education/Stephen Frisch, pho-
e la costante prodotto di solubilità (Kps) tographer).
Se si assume che ci sia completa dissociazione di un composto ionico poco solubile
negli ioni componenti, allora esiste un equilibrio tra il soluto solido e gli ioni acquosi.
Così, per esempio, per una soluzione satura di solfato di piombo(II) in acqua, si ha:
PbSO 4 ( s )   Pb 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq )


Come per tutti gli altri sistemi di equilibrio che abbiamo considerato, anche questo
può essere espresso da un quoziente di reazione:
[Pb 2+ ][SO24− ]
Qc =
[PbSO 4 ]

19txt.indd 653 17/05/19 08:43


654 Capitolo 19

Come nei casi precedenti, combiniamo la concentrazione costante del solido


[PbSO4] con il valore di Qc e la eliminiamo. Questa operazione dà l’espressione del
prodotto ionico, Qps:
=Q ps Q=
c [PbSO 4 ] [Pb2+ ][SO24− ]
Quando PbSO4 solido raggiunge l’equilibrio con gli ioni Pb2+ e SO42−, ovvero quan-
do la soluzione raggiunge la saturazione, il valore numerico di Qps raggiunge un va-
lore costante. Questa nuova costante di equilibrio viene detta costante prodotto
di solubilità, Kps. Kps per PbSO4 a 25 °C, per esempio, vale 1,6  ×  10−8.
Come già visto per le altre costanti di equilibrio, un dato valore di Kps dipende
solo dalla temperatura, non dalle singole concentrazioni degli ioni. Supponiamo,
per esempio, di aggiungere nitrato di piombo(II), un sale solubile di piombo, per
aumentare la concentrazione di [Pb2+] nella soluzione. La posizione dell’equilibrio
si sposta a sinistra e [SO42−] diminuisce mentre precipita altro PbSO4, perciò il valore
di Kps rimane costante.
La forma di Qps è identica a quella degli altri quozienti di reazione già trattati:
la concentrazione di ogni ione è elevata a una potenza uguale al suo coefficiente
stechiometrico nell’equazione di reazione bilanciata, il che in questo caso è anche
uguale al pedice di ogni ione nella formula del composto. Quindi, in generale, per una
soluzione satura di un composto ionico poco solubile MpXq, costituito dagli ioni
Mn+ e Xz−, la condizione di equilibrio è
n+ p
= =
Q ps [M ] [X z−]q Kps (19.2)
Naturalmente, in condizioni di saturazione, i termini di concentrazione rappresenta-
no le concentrazioni di equilibrio, perciò, da qui in poi, scriveremo l’espressione del
prodotto ionico direttamente con il simbolo Kps. Per esempio, l’equazione e l’espres-
sione del prodotto ionico che descrivono una soluzione satura di Cu(OH)2 sono
 Cu 2+ ( aq ) + 2OH− ( aq ) Kps =

Cu(OH)2 ( s )   [Cu 2+ ][OH−]2
I solfuri metallici insolubili rappresentano un caso leggermente diverso. Lo ione
solfuro, S2−, è così basico che non è stabile in acqua e reagisce completamente for-
mando lo ione idrogenosolfuro (HS−) e lo ione idrossido (OH−):
S 2− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ HS− ( aq ) + OH− ( aq )
Per esempio, quando il solfuro di Mn(II) viene dibattuto con acqua, la soluzione
contiene ioni Mn2+, HS− e OH−.
Benché lo ione solfuro non esista come tale in acqua, si può immaginare il pro-
cesso di dissoluzione come la somma di due passaggi, con S2−come intermedio che
viene immediatamente consumato:
MnS( s )   Mn 2+ ( aq ) + S 2− ( aq )


S 2− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ HS− ( aq ) + OH− ( aq )
MnS( s ) + H2O( l )   Mn 2+ ( aq ) + HS− ( aq ) + OH− ( aq )


Pertanto, l’espressione del prodotto di solubilità è
Kps = [Mn 2+ ][HS−][OH−]

Scrittura dell’espressione del prodotto ionico per composti ionici


poco solubili
PROBLEMA DI VERIFICA 19.4
Problema Scrivere l’espressione del prodotto ionico per ognuno dei seguenti composti:
(a) carbonato di magnesio (b) idrossido di ferro(II)
(c) fosfato di calcio (d) solfuro d’argento
Piano Scriviamo l’equazione che descrive una soluzione satura e poi l’espressione di Kps,
secondo l’Equazione 19.2, tenendo presente il comportamento del solfuro nella parte (d).
Risoluzione (a) Carbonato di magnesio:
MgCO3 ( s )   Mg 2+ ( aq ) + CO32− ( aq )

 K ps = [Mg 2+ ][CO32−]

19txt.indd 654 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 655

(b) Idrossido di ferro(II):



Fe(OH) 2 ( s )   Fe2+ ( aq ) + 2OH− ( aq )
 K ps = [Fe2+ ][OH−]2
(c) Fosfato di calcio:
Ca 3 (PO 4 ) 2 ( s )   3Ca 2+ ( aq ) + 2PO34− ( aq )

 K ps = [Ca 2+ ]3 [PO34−]2
(d) Solfuro d’argento:
Ag 2S( s )   2Ag + ( aq ) + S 2− ( aq )


S 2− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯→ HS− ( aq ) + OH− ( aq )

Ag 2S( s ) + H2O( l )   2Ag + ( aq ) + HS− ( aq ) + OH− ( aq )
 K ps = [Ag + ]2 [HS−][OH−]
Verifica Con l’esclusione della parte (d), si può verificare invertendo il processo per con-
trollare se si ottiene la formula del composto dall’espressione di Kps.
Commento Nella parte (d) si include H2O tra i reagenti per ottenere un’equazione bilanciata.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.4 Scrivere l’espressione del prodot-


to ionico per ognuno dei seguenti composti:
(a) solfato di calcio (b) carbonato di cromo(III)
(c) idrossido di magnesio (d) solfuro di arsenico(III)

La grandezza di Kps è una misura di quanto procede verso destra il processo di dissoluzione
all’equilibrio (saturazione). Useremo questo criterio più avanti per confrontare le solu-
bilità. La Tabella 19.2 elenca alcuni valori rappresentativi di Kps per composti ionici
poco solubili. (L’Appendice C ne dà un elenco molto più ampio). Si noti che, anche se
i valori sono tutti piuttosto bassi, il loro intervallo copre diversi ordini di grandezza.
Calcoli riguardanti la costante prodotto di solubilità
Nei Capitoli 17 e 18 sono stati descritti due tipi di problemi relativi agli equilibri.
In un tipo si usano le concentrazioni per calcolare K e, nell’altro, si usa K per calco-
lare le concentrazioni. Incontreremo qui gli stessi due tipi di problemi.
Determinare Kps dalla solubilità Le solubilità dei composti ionici poco solubili
vengono determinate sperimentalmente e sono tabulate in molti prontuari chimi-
ci. La maggior parte dei valori di solubilità è espressa in unità di grammi di soluto
disciolti in 100 grammi di H2O. Poiché la massa di soluto in soluzione è piccola,
si introduce un piccolo errore nell’assumere che “100 g di acqua” siano uguali a
“100 mL di soluzione”. Si converte quindi la solubilità da grammi di soluto per
100 mL di soluzione in solubilità molare, la quantità (mol) di soluto per litro di
soluzione (ovvero la molarità del soluto). Successivamente, si utilizza l’equazione
di reazione bilanciata per calcolare la molarità di ogni ione e si sostituiscono questi
valori nell’espressione del prodotto ionico per calcolare il valore di Kps.
Calcolo di Kps dalla solubilità
PROBLEMA DI VERIFICA 19.5
Problema (a) Il solfato di piombo(II) (PbSO4) è un componente essenziale delle batterie
piombo-acide utilizzate normalmente nelle automobili. La sua solubilità in acqua, a 25 °C,
è 4,25  ×  10−3 g/100 mL di soluzione. Qual è il Kps di PbSO4?

19txt.indd 655 17/05/19 08:43


656 Capitolo 19

(b) Dibattendo con acqua pura il fluoruro di piombo(II) a 25 °C, si determina che la sua
solubilità è 0,64 g/L. Calcolare Kps per PbF2.
Piano Sono date le solubilità in varie unità di misura e si deve calcolare Kps. Scriviamo
un’equazione per la dissoluzione di ogni composto per vedere il numero di moli di ogni
ione, quindi scriviamo l’espressione del prodotto ionico. Convertiamo la solubilità in solubi-
lità molare, calcoliamo la molarità di ogni ione e sostituiamo nell’espressione del prodotto
ionico per calcolare Kps.
Risoluzione (a) Per PbSO4. Scrivere l’equazione del prodotto ionico (Kps):
PbSO 4 ( s )   Pb 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq )

 [Pb 2+ ][SO 24−]
K ps =
Convertire la solubilità in solubilità molare:
0,00425 g PbSO 4 1000 mL 1 mol PbSO 4
solubilità molare di =PbSO 4 × ×
100 mL soluzione 1L 303,3 g PbSO 4
= 1,40 ×10−4 M PbSO 4
Determinare le molarità degli ioni: poiché si formano 1 mole di Pb2+ e 1 mole di SO42− quan-
do si scioglie 1 mole di PbSO4, [Pb2+] = [SO42−] = 1,40  ×  10−4 M.
Calcolare Kps:
2
K ps =[Pb 2+ ][SO 42−] =(1,40 ×10−4 ) =1,96  ×  10−8
(b) Per PbF2. Scrivere l’equazione del prodotto ionico (Kps):
 Pb 2+ ( aq ) + 2F− ( aq ) K ps =

PbF2 ( s )   [Pb 2+ ][F−]2
Convertire la solubilità in solubilità molare:
0,64 g PbF 1 mol PbF2
solubilità molare di PbF2 = 2 × 2,6 ×10−3 M PbF2
=
1 L soluzione 245,2 g PbF2
Determinare le molarità degli ioni: poiché si formano 1 mole di Pb2+ e 2 moli di F− quando
si scioglie 1 mole di PbF2,
[Pb 2+ ] = 2 (2,6 ×10−3 M ) =
2,6 ×10−3 M e [F−] = 5, 2 ×10−3 M
Calcolare Kps: 2
K ps =[Pb 2+ ][F−]2 =(2,6 ×10−3 )(5,2 ×10−3 ) =7,0  ×  10−8
Verifica Le basse solubilità sono in accordo con i bassi valori di Kps. Nella parte (a) la solubili-
4 ×10−2 g/L
tà molare sembra corretta:   1,3 ×10−4 M. Elevando al quadrato questo nume-
3 ×10−2 g/mol
ro si ottiene 1,7  ×  10−8, valore vicino a quello calcolato per Kps. Nella parte (b) controlliamo il
2
passaggio finale: (3 ×10−3 )(5 ×10−3 ) = 7,5 ×10−8, valore vicino a quello calcolato per Kps.
Commento 1. Nella parte (b) la formula PbF2 significa che [F−] è il doppio di [Pb2+] perciò
dobbiamo elevare al quadrato questo valore di [F−]. Seguire sempre l’espressione esplicita del
prodotto ionico.
2. Per questi composti, i valori di Kps riportati nelle tabelle (Tabella 19.2) sono più bassi di
quelli che abbiamo calcolato. Per PbF2, per esempio, il valore nella tabella è 3,6  ×  10−8, ma
noi abbiamo calcolato 7,0  ×  10−8 dai dati di solubilità. Questa differenza deriva dall’assun-
zione fatta che in soluzione PbF2 sia completamente dissociato in Pb2+ e F−. Questo è un
esempio della complessità di cui si è trattato all’inizio di questo paragrafo. In realtà, circa un
terzo del PbF2 disciolto esiste come PbF+(aq) e una piccola quantità come PbF2(aq) indisso-
ciato. La solubilità (0,64 g/L) è determinata sperimentalmente e include queste altre specie,
che non abbiamo considerato nei nostri semplici calcoli. Questa è una delle ragioni per cui
si trattano i valori calcolati di Kps come approssimazioni.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.5 Quando la fluorite (CaF2) in pol-


vere viene dibattuta con acqua pura, a 18 °C, si sciolgono 1,5  ×  10−4 g per ogni 10,0 mL di
soluzione. Calcolare Kps per CaF2 a 18 °C.

Determinare la solubilità da Kps L’inverso del precedente tipo di problema


riguarda il calcolo della solubilità di un composto conoscendo la sua formula e il
valore di Kps. Un approccio simile a quello usato per gli acidi deboli nel Problema di
verifica 18.7 è costituito dal definire la solubilità molare incognita come S, definire
la concentrazione degli ioni in termini di questo dato incognito in una tabella di
reazione e infine risolvere in funzione di S.

19txt.indd 656 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 657

Determinazione della solubilità da Kps


PROBLEMA DI VERIFICA 19.6
Problema L’idrossido di calcio (calce spenta) è una delle principali componenti di malta,
intonaco e cemento; soluzioni di Ca(OH)2 sono ampiamente usate nell’industria come base
forte, poco costosa. Calcolare la solubilità in acqua di Ca(OH)2 sapendo che Kps = 6,5  ×  10−6.
Piano Scriviamo l’equazione per la reazione di dissoluzione e il prodotto ionico. Conosciamo
Kps (6,5  ×  10−6), per calcolare la solubilità molare (S) costruiamo una tabella di reazione che
esprime [Ca2+] e [OH−] in funzione di S, sostituiamo nell’espressione del prodotto ionico e
risolviamo in funzione di S.
Risoluzione Scrivere l’equazione e l’espressione del prodotto ionico:

Ca(OH) 2 ( s )   Ca 2+ ( aq ) + 2OH− ( aq ) K ps =
 [Ca 2+ ][OH−]2 =
6,5 ×10−6
Costruire una tabella di reazione con S = solubilità molare.
Concentrazione (M) Ca(OH)2(s) Ca2+(aq) + 2OH−(aq)
Valore iniziale − 0 0
Variazione − +S +2S
Valore di equilibrio − S 2S
Sostituire nell’espressione del prodotto ionico e risolvere in funzione di S:
K ps= [Ca 2+ ][OH−]=
2
(  )(4  2=
) 4 =
3
6,5 ×10−6
6,5 ×10−6
=3 = 1,2  ×  10−2 M
4
Verifica Ci aspettiamo una bassa solubilità per un sale poco solubile. Se invertiamo i calcoli
dovremmo ottenere il valore dato di Kps: 4(1,2  ×  10−2)3 = 6,9  ×  10−6, valore vicino a 6,5  ×  10−6.
Commento 1. Si noti che non abbiamo raddoppiato e poi elevato al quadrato [OH−]. 2S è
il valore di [OH−], perciò lo abbiamo solo elevato al quadrato come richiesto dall’espressione
del prodotto ionico.
2. Ancora una volta abbiamo ipotizzato che il solido si dissociasse completamente. In realtà
la solubilità è aumentata fino a circa 2,0  ×  10−2 M dalla presenza di CaOH+(aq) formato nella

reazione Ca(OH) 2 ( s )   CaOH+ ( aq ) + OH− ( aq ) . La risposta che abbiamo calcolato è solo

un’approssimazione perché non tiene conto di questa ulteriore specie.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.6 Una sospensione di Mg(OH)2 in


acqua viene venduta come “latte di magnesia” che si utilizza per alleviare leggeri disturbi di
stomaco attraverso la neutralizzazione dell’acido nello stomaco. La [OH−] è troppo bassa per
danneggiare la bocca e la gola, ma la sospensione si scioglie nei succhi gastrici acidi. Qual è
la solubilità molare di Mg(OH)2 in acqua pura? (Kps = 6,3  ×  10−10)

Usare valori di Kps per confrontare le solubilità I valori di Kps sono una guida
alle solubilità relative finché si confrontano composti nelle cui formule ci sia lo
stesso numero totale di ioni. In questi casi, maggiore è Kps, maggiore è la solubilità. La
Tabella 19.3 illustra questo punto per diversi composti. Si noti che, per i composti
che formano tre ioni, la relazione sussiste sia se il rapporto catione : anione è 1 : 2 sia
se è 2 : 1 perché l’espressione matematica che contiene S da utilizzare nei calcoli
è la stessa (4S 3) (vedi Problema di verifica 19.6).

19txt.indd 657 17/05/19 08:43


658 Capitolo 19

Figura 19.11 L’effetto dello


ione a comune sulla solubilità.
Quando uno ione a comune
viene aggiunto a una soluzione
satura di un composto ioni-
co, la solubilità diminuisce e
ulteriore composto precipita.
A. Il cromato di piombo(II),
un sale poco solubile, forma
una soluzione acquosa satura.
B. Quando si aggiunge una solu-
zione di Na2CrO4, la quantità di
PbCrO4(s) aumenta, indicando
una minore solubilità in presen-
za dello ione a comune, CrO42−.
(Foto: © McGraw-Hill Education/ PbCrO4(s) Pb2+(aq) + CrO42− (aq) PbCrO4(s) Pb2+(aq) + CrO42− (aq; aggiunto)
Stephen Frisch, photographer). A B

L’effetto di uno ione a comune sulla solubilità


La presenza di uno ione a comune diminuisce la solubilità di un composto ionico poco
solubile. Come visto nel caso degli equilibri acido-base, il principio di Le Châtelier
è di aiuto nello spiegare questo effetto. Esaminiamo le condizioni di equilibrio per
una soluzione satura di cromato di piombo(II):

 Pb 2+ ( aq ) + CrO24− ( aq )

PbCrO4 ( s )   [Pb2+ ][CrO24−] =
Kps = 2,3 ×10−13

A una data temperatura Kps dipende solo dal prodotto delle concentrazioni. Se
la concentrazione di uno dei due ioni aumenta, quella dell’altro deve diminuire
per mantenere costante Kps. Supponiamo di aggiungere Na2CrO4, un sale molto
solubile, alla soluzione satura di PbCrO4. La concentrazione dello ione a comune,
CrO42−, aumenta e alcuni di questi ioni si combinano con ioni Pb2+ per formare altro
PbCrO4 solido (Figura 19.11).
L’effetto complessivo è uno spostamento verso sinistra della posizione di equi-
librio: 
PbCrO 4 ( s )   Pb 2+ ( aq ) + CrO 24− ( aq , aggiunto)


Dopo l’aggiunta, [CrO42−] è maggiore, ma [Pb2+] è minore. In questo caso [Pb2+] rap-
presenta la quantità di PbCrO4 disciolto: perciò, in effetti, la solubilità di PbCrO4 è
diminuita.
Lo stesso risultato si ottiene se si scioglie PbCrO4 in una soluzione di Na2CrO4.
Si ottiene ancora lo stesso risultato se si aggiunge un sale solubile di piombo(II),
quale Pb(NO3)2. Gli ioni Pb2+ aggiunti si combinano con parte degli ioni CrO42+(aq),
abbassando la quantità di PbCrO4 disciolto.

 Calcolo dell’effetto di uno ione a comune sulla solubilità


PROBLEMA DI VERIFICA 19.7
Problema Nel Problema di verifica 19.6 abbiamo calcolato la solubilità di Ca(OH)2 in
acqua. Qual è la sua solubilità in una soluzione 0,1 M di Ca(NO3)2? Kps per Ca(OH)2 vale
6,5  ×  10−6.
Piano Dall’equazione di reazione e dall’espressione del prodotto ionico per Ca(OH)2, possia-
mo predire che l’aggiunta di Ca2+, lo ione a comune, abbasserà la solubilità. Costruiamo una
tabella di reazione con [Ca2+]iniz derivante da Ca(NO3)2 e S uguale a [Ca 2+ ]Ca(OH)2 . Per sem-
plificare la matematica, assumiamo che, poiché il valore di Kps è basso, S è trascurabile
rispetto a [Ca2+]iniz. Quindi risolviamo in funzione di S e verifichiamo l’ipotesi fatta.
Risoluzione Scrivere l’equazione e l’espressione del prodotto ionico:
 Ca 2+ ( aq ) + 2OH− ( aq ) K ps =

Ca(OH) 2 ( s )   [Ca 2+ ][OH−]2 =
6,5×10−6

19txt.indd 658 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 659

Costruire la tabella di reazione con  = [Ca 2+ ]Ca(OH)2 .

Fare l’ipotesi: Kps è piccola, perciò S = 0,10 M; dunque 0,10 M + S  0,10 M.


Sostituire nell’espressione del prodotto ionico e risolvere in funzione di S:
K ps= [Ca 2+ ][OH−]=
2
6,5 ×10−6  (0,10)(2 ) 2

6,5 ×10−6 6,5 ×10−5


Pertanto, 4 2  da cui   = 4,0  ×  10−3 M
0,10 4
4,0 ×10−3 M
Controllare l’ipotesi: ×100 = 4, 0% < 5%
0,10 M
Verifica Nel Problema di verifica 19.6, la solubilità di Ca(OH)2 era 0,012 M, ma qui è 0,0040 M,
perciò la solubilità è diminuita per aggiunta di Ca2+, lo ione a comune, come predetto.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.7 Per migliorare la qualità delle


radiografie utilizzate per diagnosticare disordini intestinali, il paziente beve una sospensio-
ne acquosa di BaSO4 prima di sottoporsi all’esame radiografico (vedi fotografia). Il Ba2+ in
sospensione è opaco ai raggi X, ma è anche tossico, perciò la concentrazione di Ba2+ viene
abbassata per aggiunta di una soluzione diluita di Na2SO4. Calcolare la solubilità di BaSO4
(Kps = 1,1  ×  10−10) in ognuno dei seguenti sistemi: Contrasto con BaSO4 nell’im-
(a) acqua pura magine di un intestino umano.
(b) 0,10 M Na2SO4 (Foto: © CNRI/Science Source).

L’effetto del pH sulla solubilità


La concentrazione di ioni idronio può avere un effetto molto rilevante sulla solubilità di
un composto ionico. Se il composto contiene l’anione di un acido debole, l’aggiunta di H3O+
(da un acido forte) aumenterà la sua solubilità. Ancora una volta il principio di Le Châte-
lier spiega perché. In una soluzione satura di carbonato di calcio, per esempio, si ha:
CaCO3 ( s )   Ca 2+ ( aq ) + CO32− ( aq )


L’aggiunta di un acido forte introduce una grande quantità di H3O+, che immedia-
tamente reagisce con CO32− per formare l’acido debole HCO3−:
CO32− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ HCO−3 ( aq ) + H2O( l )
Se si aggiunge abbastanza H3O+, la reazione procede ulteriormente per formare
acido carbonico che si decompone immediatamente in H2O e CO2, che sfugge dal
contenitore:
HCO−3 ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→[H2CO3 ( aq )] + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + 2H2O( l ) Figura 19.12 Saggio per la
presenza di carbonato. Quando
In questo modo, l’effetto complessivo dell’aggiunta di H3O+ è di spostare l’equili- un minerale che contiene ioni
carbonato viene trattato con
brio verso destra e altro CaCO3 si scioglie:
 un acido forte, gli ioni H3O+
H3O+ H3O+ aggiunti spostano la posizione

CaCO3 ( s )   Ca 2+ +CO32− ⎯ ⎯⎯
 → HCO−3 ⎯ ⎯⎯ → CO2 ( g )+H2O+Ca 2+
→[H2CO3 ] ⎯ ⎯ dell’equilibrio di solubilità del
carbonato. Altro carbonato si
Questo caso particolare illustra un saggio qualitativo per i minerali contenenti car-
scioglie e l’acido carbonico che
bonati perché il CO2 formato gorgoglia vigorosamente (Figura 19.12). si forma si dissocia in acqua e
Al contrario, aggiungendo H3O+ a una soluzione satura di un composto con- CO2 gassoso. (Foto: © McGraw-
tenente l’anione di un acido forte, quale il cloruro d’argento, non ha alcun effetto Hill Education/Stephen Frisch,
sulla posizione dell’equilibrio: photographer).

AgCl( s )   Ag + ( aq ) + Cl− ( aq )


Poiché lo ione Cl− è la base coniugata di un acido forte (HCl), può coesistere in
soluzione con elevate [H3O+]. Lo ione Cl− non lascia il sistema, perciò la posizione
dell’equilibrio non subisce variazioni.

19txt.indd 659 17/05/19 08:43


660 Capitolo 19

Previsione dell’effetto dell’aggiunta di un acido forte sulla solubilità


PROBLEMA DI VERIFICA 19.8
Problema Scrivere le equazioni bilanciate per spiegare se l’aggiunta di H3O+ derivante da
una acido forte influenza la solubilità dei seguenti composti ionici:
(a) bromuro di piombo(II) (b) idrossido di rame(II) (c) solfuro di ferro(II)
Piano Scriviamo le equazioni bilanciate delle reazioni di dissociazione e osserviamo l’anio-
ne: gli anioni di acidi deboli reagiscono con H3O+ e spostano l’equilibrio causando più dis-
sociazione. Gli anioni di acidi forti non reagiscono, perciò l’aggiunta di H3O+ non ha effetto.

Risoluzione (a) PbBr2 ( s )   Pb 2+ ( aq ) + 2Br− ( aq )

Nessun effetto. Br è l’anione di HBr, un acido forte, perciò non reagisce con H3O+.


(b) Cu(OH) 2 ( s )   Cu 2+ ( aq ) + 2OH− ( aq )

La solubilità aumenta. OH− è l’anione di H2O, un acido molto debole, perciò reagisce con
lo ione H3O+ aggiunto:
OH− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ 2H2O( l )
(c) FeS( s ) + H2O( l )   Fe2+ ( aq ) + HS− ( aq ) + OH− ( aq )


La solubilità aumenta. Abbiamo notato precedentemente che lo ione S2− reagisce imme-
diatamente con l’acqua per formare HS−. Gli ioni H3O+ aggiunti reagiscono con entrambi
gli anioni di acidi deboli, HS− e OH−:
HS− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ H2S( aq ) + H2O( l )
OH− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ 2H2O( l )

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.8 Scrivere le equazioni bilanciate


per mostrare come l’aggiunta di HNO3(aq) influenza la solubilità di (a) fluoruro di calcio;
(b) solfuro di zinco; (c) ioduro d’argento.

Molti principi relativi agli equilibri ionici manifestano la loro azione in formazioni
naturali come illustrato nella scheda Chimica in geologia, p. 667.
Predire la formazione di un precipitato: Qps e Kps
Nel Capitolo 17 abbiamo confrontato i valori di Q e K per vedere se una reazione
avesse raggiunto l’equilibrio e, se no, in quale direzione netta avrebbe proceduto
per raggiungerlo.
Ora utilizzeremo lo stesso approccio per vedere se si formerà un precipitato e,
se no, quali concentrazioni di ioni ne causeranno la formazione.
Come sappiamo, Qps = Kps quando la soluzione è satura. Se Qps è maggiore di
Kps, la soluzione è momentaneamente supersatura e un po’ di solido precipiterà
finché la soluzione rimanente non sarà satura (Qps = Kps). Se Qps è minore di Kps la
soluzione è insatura e non si formerà precipitato a quella temperatura (anzi, altro
solido potrà sciogliersi). Riepilogando:
• Qps = Kps: la soluzione è satura e non avvengono variazioni;
• Qps > Kps: si forma precipitato fino a quando la soluzione è satura;
• Qps < Kps: la soluzione è insatura e non si forma precipitato.
Come dimostrato nella scheda Chimica nelle scienze ambientali, i principi degli equi-
libri ionici spesso sono di aiuto nel comprendere i fondamenti chimici di complessi
problemi ambientali e possono fornire i metodi per risolverli.

Predire se si formerà un precipitato

PROBLEMA DI VERIFICA 19.9


Problema Un comune metodo di laboratorio per preparare un precipitato consiste nel
mescolare soluzioni degli ioni componenti. Si forma un precipitato quando si mescolano
0,100 L di Ca(NO3)2 0,30 M e 0,200 L di NaF 0,060 M?
Piano Per prima cosa decidiamo quale sale poco solubile si può formare e vediamo il suo
valore di Kps nell’Appendice C. Per vedere se si produrrà un precipitato mescolando le due
soluzioni, troviamo le concentrazioni iniziali degli ioni calcolando le quantità (mol) di cia-

19txt.indd 660 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 661

scuno di essi dai dati di concentrazione e volume, quindi dividendo per il volume totale dal
momento che una soluzione diluisce l’altra. Poi scriviamo l’espressione del prodotto ionico,
calcoliamo Qps e confrontiamolo con Kps.
Risoluzione Gli ioni presenti sono Ca2+, Na+, F− e NO3−. Tutti i sali di sodio e i nitrati sono
solubili (Tabella 4.1) perciò l’unica possibilità è CaF2 (Kps = 3,2  ×  10−11).
CaF2 ( s )   Ca 2+ ( aq ) + 2F− ( aq )

 Q ps =[Ca 2+ ][F− ]2
Calcolo delle concentrazioni ioniche:
2+
moli di Ca= 0,30 M Ca 2+ × 0,100
= L 0,030 mol Ca 2+
2+
0,030 mol Ca
[Ca 2+ ]iniz = = 0,10 M Ca 2+
0,100 L + 0,200 L

moli di F= 0,060 M F− × 0,200= L 0,012 mol F−

0,012 mol F
[F− ]iniz = = 0,040 M F−
0,100 L + 0,200 L
Sostituire nell’espressione del prodotto ionico e confrontare Qps e Kps:
2
Q ps= [Ca 2+ ]iniz [F−]iniz
2
= (0,10)(0,040)= 1,6 ×10−4
Poichè Qps > Kps, CaF2 precipiterà fino a che Qps = 3,2×10−11.
Verifica Non dimenticate di arrotondare e controllare velocemente i calcoli. Per esempio, Precipitazione di CaF2. (Foto:
2
Q ps = (1×10−1 )(4 ×10−2 ) = 1,6 ×10−4 . Essendo il valore di Kps così basso, CaF2 avrà una © McGraw-Hill Education/
basa solubilità e, considerata la concentrazione piuttosto elevata delle soluzioni da miscela- Stephen Frisch, photographer).
re, ci aspetteremo che CaF2 precipiti.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 19.9 Il fosfato presente nelle acque


naturali precipita spesso in sali insolubili, quali Ca3(PO4)2. Se in un fiume [Ca2+]iniz =
[PO43−] iniz = 1,0  ×  10−9 M, precipiterà Ca3(PO4)2? Kps per Ca3(PO4)2 vale 1,2  ×  10−29.

19.4 EQUILIBRI DEGLI IONI COMPLESSI


Un altro tipo di equilibrio coinvolge quegli ioni a cui si è accennato nel Paragrafo 18.9.
Uno ione semplice, quale Na+ o CH3COO−, è costituito da uno o più atomi con un
difetto o un eccesso di elettroni. Uno ione complesso è costituito invece da uno ione NH3
metallico centrale legato covalentemente a due o più anioni o molecole dette leganti.
Cr3+
Gli ioni idrossido, cloruro e cianuro sono esempi di leganti ionici; acqua, monossido di
carbonio e ammoniaca sono alcuni leganti molecolari. Nello ione complesso Cr(NH3)63+,
per esempio, lo ione centrale Cr3+ è circondato da sei leganti NH3 (Figura 19.13).
Gli ioni metallici idrati sono ioni complessi in cui i leganti sono molecole
d’acqua (Paragrafo 18.6). I metalli di transizione possono formare numerosi ioni
complessi, qui focalizzeremo l’attenzione sugli equilibri di ioni idrati in cui i leganti
sono diversi dall’acqua.
Figura 19.13 Cr(NH3)3+
6 , un
Formazione degli ioni complessi tipico ione complesso.
Quando si dissolve un sale in acqua si forma uno ione complesso in cui le molecole
d’acqua agiscono come leganti attorno allo ione metallico. In molti casi, quando si
aggiunge a questo catione idrato un altro legante, quest’ultimo sostituisce le mole-
cole d’acqua. Per esempio, uno ione M2+ idrato, M(H2O)42+, forma lo ione ammonia-
cale M(NH3)42+ in soluzione di ammoniaca acquosa:
M(H2O) 24+ ( aq ) + 4NH3 ( aq )   M(NH3 )24+ ( aq ) + 4H2O( l )


La costante che descrive questo equilibrio è analoga a qualsiasi costante di equilibrio:
[M(NH3 )24+ ][H2O]4
Kc =
[M(H2O)24+ ][NH3 ]4
Poiché, come già visto, [H2O] è sostanzialmente costante, trattiamo l’acqua come
un liquido puro e poniamo la sua concentrazione uguale a 1. Otteniamo così una
nuova costante di equilibrio, la costante di formazione, Kf:
Kc [M(NH3 )24+ ]
= K=
f
(1)4 [M(H2O)42+ ][NH3 ]4

19txt.indd 661 17/05/19 08:43


662 Capitolo 19

NH3

M M M

3NH3
M(H2O)42+(aq) + NH3(aq) M(H2O)3(NH3)2+(aq) M(NH3)42+(aq) + 4H2O(l)
3 ulteriori passaggi

Figura 19.14 La sequenza di A livello molecolare (Figura 19.14), il processo avviene attraverso una serie di pas-
reazioni di scambio di H2O con saggi successivi in ognuno dei quali si forma una specie intermedia per ognuna
NH3 per M(H2O)42+. Gli ingran-
dimenti a livello molecolare
delle quali si può scrivere una costante di formazione:
mostrano il primo scambio e lo
M(H2O)24+ ( aq ) + NH3 ( aq )   M(H2O)3 (NH3 )2+ ( aq ) + H2O( l )


ione ammoniacale finale.
[M(H2O)3 (NH3 )2+ ]
K f1 =
[M(H2O)24+ ][NH3 ]
M(H2O)3 (NH3 ) 2+ ( aq ) + NH3 ( aq )   M(H2O) 2 (NH3 ) 22+ ( aq ) + H2O( l )


[M(H2O)2 (NH3 )22+ ]


K f2 =
[M(H2O)3 (NH3 )2+ ][NH3 ]
M(H2O)2 (NH3 )22+ ( aq ) + NH3 ( aq )   M(H2O)(NH3 )32+ ( aq ) + H2O( l )


[M(H2O)(NH3 )32+ ]
K f3 =
[M(H2O)2 (NH3 )22+ ][NH3 ]

M(H2O)(NH3 )32+ ( aq ) + NH3 ( aq )   M(NH3 )24+ ( aq ) + H2O( l )




[M(NH3 )24+ ]
K f4 =
[M(H2O)(NH3 )32+ ][NH3 ]
La somma di tutte le equazioni di reazione dà la reazione globale e il prodotto di
tutte le costanti di formazione dà la costante di formazione globale:
K f = K f1 × K f2 × K f3 × K f4
Tutti gli ioni complessi sono addotti di Lewis (Paragrafo 18.9). Lo ione metallico si
comporta come un acido di Lewis (accetta una coppia di elettroni) e i leganti si
comportano come basi di Lewis (donano una coppia di elettroni). Nella formazione
di M(NH3)42+, Kf per ogni passaggio è molto maggiore di 1 perché l’ammoniaca è
una base di Lewis più forte dell’acqua. Per questo motivo, se si aggiunge un eccesso
di ammoniaca alla soluzione di M(H2O)42+, praticamente tutti gli ioni M2+ esistono
sotto forma di M(NH3)42+(aq).
La Tabella 19.4 (e l’Appendice C) riportano i valori di Kf per alcuni ioni com-
plessi. Si noti che questi valori sono tutti dell’ordine di 106 o maggiori, il che indica
come gli ioni complessi si formino facilmente a partire dallo ione idrato rendendo
così la reazione di formazione utilizzabile per estrarre uno ione dal minerale che lo
contiene, eliminare uno ione tossico o indesiderato da una soluzione o trasformare
uno ione in una forma diversa, come illustrato dal Problema di verifica 19.10 per
lo ione zinco.

19txt.indd 662 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 663

Tabella 19.4 Costanti di formazione (Kf) di alcuni ioni complessi a 25 °C


Ione complesso Kf Ione complesso Kf
Ag(CN)2− 3,0  ×  1020 Fe(CN)64− 3  ×  1035
Ag(NH3)2+ 1,7  ×  107 Fe(CN)63− 4,0  ×  1043
Ag(S2O3)23− 4,7  ×  1013 Hg(CN)42− 9,3  ×  1038
AlF63− 4  ×  1019 Ni(NH3)62+ 2,0  ×  108
Al(OH)4− 3  ×  1033 Pb(OH)3− 8  ×  1013
Be(OH)42− 4  ×  1018 Sn(OH)3− 3  ×  1025
CdI42− 1  ×  106 Zn(CN)42− 4,2  ×  1019
Co(OH)42− 5  ×  109 Zn(NH3)42+ 7,8  ×  108
Cr(OH)4− 8,0  ×  1029 Zn(OH)42− 3  ×  1015
Cu(NH3)42+ 5,6  ×  1011

Calcolare la concentrazione di uno ione complesso


PROBLEMA DI VERIFICA 19.10
Problema Un chimico industriale trasforma Zn(H2O)42+ nella forma più stabile Zn(NH3)42+
(Kf = 7,8  ×  108) miscelando 50,0 L di una soluzione 0,0020 M di Zn(H2O)42+ e 25,0 L di
soluzione di NH3 0,15 M. Si calcoli la [Zn(H2O)42+] all’equilibrio.
Piano Scriviamo la reazione di formazione dello ione complesso e l’espressione di Kf e
usiamo una tabella di reazione per calcolare le concentrazioni all’equilibrio. Conosciamo i
volumi e le concentrazioni molari iniziali delle due soluzioni, perciò possiamo calcolare il
numero di moli e poi dividere per il volume totale ottenuto dopo il mescolamento delle due
soluzioni. Considerando il grande eccesso di NH3 utilizzato e il valore elevato di Kf, assu-
miamo che praticamente tutto Zn(H2O)42+ si sia trasformato in Zn(NH3)42+. Poiché il valore
di [Zn(H2O)42+] all’equilibrio è molto piccolo, lo indichiamo con x.
Risoluzione Scrivere l’equazione di reazione e l’espressione di Kf:
Zn(H 2O) 24+ ( aq ) + 4NH3 ( aq )   Zn(NH3 ) 24+ ( aq ) + 4H2O( l )


[Zn(NH3 ) 24+ ]
Kf =
[Zn(H2O) 24+ ][NH3 ]4
Calcolare le concentrazioni iniziali dei reagenti:
50,0 L × 0,0020 M
[Zn(H2O) 24+ ]iniz = = 1,3 ×10−3 M
50,0 L + 25,0 L
25,0 L × 0,15 M
[NH3 ]iniz = = 5,0 ×10−2 M
50,0 L + 25,0 L
Scrivere una tabella di reazione: assumiamo che praticamente tutto Zn(H2O)42+ si sia trasfor-
mato in Zn(NH3)42+ e poniamo x = [Zn(H2O)42+] all’equilibrio. Sono necessarie 4 moli di NH3
ogni mole di Zn(H2O)42+, perciò la variazione in [NH3] è:
[NH3 ]reagita  4 (1,3 ×10−3 M ) =5,2 ×10−3 M e [Zn(H 2O) 42+ ]  1,3 ×10−3 M

Concentrazione (M) Zn(H2O)42+(aq) + 4NH3(aq) Zn(NH3)42+(aq) + 4H2O(l)


Valore iniziale 1,3 × 10−3 5,0 × 10−2 0 −
Variazione ∼(−1,3 × 10 ) ∼(−5,2 × 10−3)
−3
∼(+1,3 × 10−3) −
Valore di equilibrio x 4,5 × 10−2 1,3 × 10−3 −

Risoluzione per x, [Zn(H2O)42+] rimanente all’equilibrio:


[Zn(NH3 ) 24+ ] 1,3 ×10−3
K=f 2+
= 7,8 ×108  4
x (4, 5 ×10−2 )
4
[Zn(H2O) 4 ][NH3 ]

x = [Zn(H2O)42+]  4,1  ×  10−7 M

19txt.indd 663 17/05/19 08:43


664 Capitolo 19

Verifica Il valore di Kf è elevato perciò ci aspettiamo che [Zn(H2O)42+] rimanente all’equi-


librio sia molto piccola.

PROBLEMI DI APPROFONDIMENTO 19.10


19.10A Lo ione cianuro è tossico perché forma complessi stabili con lo ione Fe3+ presente
in alcune proteine coinvolte nella produzione di energia nelle cellule. Per studiarne l’effet-
to, un biochimico miscela 25,5 mL di soluzione 3,1  ×  10−2 M di Fe(H2O)63+ con 35,0 mL di
soluzione 1,5 M di NaCN. Qual è la concentrazione finale di Fe(H2O)63−? Kf per di Fe(CN)63−
vale 4,0  ×  1043.
19.10B Per produrre alluminio dai minerali che lo contengono si utilizza uno stabile ione
complesso prodotto dalla reazione di Al(H2O)63+ con F−. Calcolare la concentrazione finale
di Al(H2O)63+ presente nella soluzione ottenuta sciogliendo 2,4 g di AlCl3 in 250 mL di una
soluzione 0,560 M di NaF. Kf per AlF63− vale 4  ×  1019.

Ioni complessi e solubilità


Nel Paragrafo 19.3 abbiamo visto che H3O+ aumenta la solubilità di un composto
ionico poco solubile che contiene l’anione di un acido debole. In modo analogo,
un legante aumenta la solubilità di un composto ionico poco solubile se forma uno ione
complesso con il suo catione. Per esempio, il solfuro di ferro(II) è molto debolmente
solubile:
FeS( s )   Fe2+ ( aq ) + S 2− ( aq )

 8 ×10−16
Kps =
Se si aggiunge una soluzione 1,0 M di NaCN, gli ioni CN− agiscono come leganti
e reagiscono con la piccola quantità presente di ioni Fe2+(aq) per formare lo ione
complesso Fe(CN)64−:
Fe2+ ( aq ) + 6CN− ( aq )   Fe(CN)64− ( aq )

 Kf =
3 ×1035
Per verificare l’effetto della formazione dello ione complesso sulla solubilità di FeS,
sommiamo le equazioni di reazione e, di conseguenza, moltiplichiamo le costanti
di equilibrio:
FeS( s ) + 6CN− ( aq )   Fe(CN)64− ( aq ) + S 2− ( aq )


Ktotale = Kps  ×  Kf = (8  ×  10−16)(3  ×  1035) = 2  ×  1020
La dissociazione complessiva di FeS in ioni aumenta di un fattore maggiore di 1035
in presenza del legante.

Calcolare l’effetto della formazione di ioni complessi sulla solubilità


PROBLEMA DI VERIFICA 19.11
Problema Nello sviluppo delle fotografie in bianco e nero, l’eccesso di AgBr viene rimosso
dalla pellicola con il bagno di fissaggio, una soluzione acquosa di tiosolfato di sodio (Na2S2O3)
che causa la formazione dello ione complesso Ag(S2O3)23−. Calcolare la solubilità di AgBr in
(a) H2O e (b) Na2S2O3 1,0 M. Kf per Ag(S2O3)23− vale 4,7  ×  1013 e Kps per AgBr 5,0  ×  10−13.
Piano (a) Dopo aver scritto l’equazione della reazione di dissociazione e l’espressione del
di Kps, possiamo usare il valore della costante di solubilità per calcolare direttamente S, la
solubilità molare di AgBr. (b) Nella soluzione di tiosolfato di sodio, Ag+ forma uno ione
complesso con gli ioni S2O32− e l’equilibrio di solubilità si sposta verso i prodotti causando
la dissoluzione di altro AgBr. Scriviamo l’equazione della reazione di formazione dello ione
complesso e la sommiamo all’equazione dell’equilibrio di solubilità di AgBr per ottenere
l’equazione globale della reazione di dissoluzione di AgBr nella soluzione di tiosolfato.
Moltiplichiamo Kps per Kf per ottenere Ktotale. Per calcolare la solubilità di AgBr nel bagno
di fissaggio, scriviamo una tabella di reazione in cui S = [(Ag(S2O3)23−], sostituiamo nel­
l’espressione di Ktotale e risolviamo in funzione di S.
Risoluzione (a) Solubilità in acqua. Scrivere l’equazione per l’equilibrio di solubilita e
l’espressione di Kps:

AgBr( s )   Ag + ( aq ) + Br− ( aq )

 [Ag + ][Br−]
K ps =

19txt.indd 664 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 665

Sappiamo che:
S = [AgBr]disciolto = [Ag+] = [Br−]
Perciò:
S = 7,1  ×  10−7 M
(b) Solubilità nel bagno di fissaggio 1 M. Scrivere l’equazione totale:
AgBr( s )   Ag + ( aq ) + Br− ( aq )


Ag + ( aq ) + 2S 2O32− ( aq )   Ag(S 2O3 )32− ( aq )


AgBr( s ) + 2S 2O32− ( aq )   Ag(S 2O3 )32− ( aq ) + Br− ( aq )


Calcolare Ktotale:
[Ag(S 2O3 )32−][Br−]
K totale = = K ps × K f = (5,0 ×10−13 )(4,7 ×1013 ) = 24
[S 2O32−]2
Scrivere una tabella di reazione con S = [AgBr]disciolto = [(Ag(S2O3)23−].

Concentrazione (M) AgBr(s) + 2S2O32−(aq) Ag(S2O3)23−(aq) + Br−(aq)


Valore iniziale − 1,0 0 0
Variazione − −2S +S +S
Valore di equilibrio − 1,0 − 2S S S

Sostituire i valori ottenuti nell’espressione di Ktotale e risolvere in funzione di S:


[Ag(S 2O3 )32−][Br−] 2
=K totale = 2− 2
= 24
[S 2O3 ] (1, 0 M − 2 ) 2
Estraendo la radice quadrata di entrambi i membri si ha:

= =24 4,9 perciò S = 4,9 M − 9,8S e 10,8S = 4,9 M
1, 0 M − 2
[Ag(S2O3)23−] = S = 0,45 M
Verifica (a) Dal numero di ioni presenti nella formula di AgBr, sappiamo che  = K ps ,
perciò l’ordine di grandezza sembra corretto  10−14  10−7: (b) Il valore della costante
totale sembra corretto: gli esponenti si elidono e 5  ×  5 = 25. Cosa più importante, la risposta
ha senso perché il processo di sviluppo richiede che il residuo AgBr sia sciacquato dalla
pellicola e il valore elevato di Ktotale lo conferma. Possiamo controllare il valore di S arro-
tondando e procedendo in senso opposto per calcolare Ktotale. Dalla tabella di reazione si ha:
[(S2O3)2−] = 1,0 M − 2S = 1,0 M − 2(0,45 M) = 1,0 M − 0,90 M = 0,1 M
dunque Ktotale  (0,45)2/(0,1)2 = 20, vicino al valore calcolato arrotondato.

PROBLEMI DI APPROFONDIMENTO 19.11


19.11A Confrontare la solubilità di AgBr in 1,0 M NH3 con la solubilità nel bagno di fissaggio
1,0 M calcolata nella parte (b) del Problema di verifica 19.11? Kf per Ag(NH3)2+ vale 1,7  ×  107.
19.11B Calcolare la solubilità di PbCl2 in una soluzione 0,75 M di NaOH. Kf per Pb(OH)3− vale
8  ×  1013 e Kps per PbCl2 vale 1,7  ×  10−5.

Ioni complessi di idrossidi anfoteri


Molti metalli che formano ossidi anfoteri (Capitolo 8, pag. 257) formano anche
idrossidi anfoteri poco solubili in acqua ma molto più solubili in soluzioni acide o
basiche. Un esempio è l’idrossido di alluminio:
Al(OH)3 ( s )   Al 3+ ( aq ) + 3OH− ( aq )


che è praticamente insolubile in acqua (Kps = 3  ×  10−34), ma:
• è solubile in soluzione acida perché H3O+ reagisce con lo ione OH−
3H3O+ ( aq ) + 3OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 6H2O( l )
dando la reazione complessiva
Al(OH)3 ( s ) + 3H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Al 3+ ( aq ) + 6H2O( l )

19txt.indd 665 17/05/19 08:43


666 Capitolo 19

• è solubile in soluzione basica perché forma uno ione complesso


Al(OH)3 ( s ) + OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ Al(OH)−4 ( aq )

Analizziamo il processo in maggiore dettaglio: quando sciogliamo in acqua un sale


solubile di alluminio, per esempio Al(NO3)3, e poi aggiungiamo lentamente una
base forte, dapprima si forma un precipitato bianco che poi si scioglie per aggiunta
di altra base. Quali reazioni stanno avvenendo? La formula dello ione Al3+ idrato è
Al(H2O)63+(aq). Si comporta come un acido poliprotico e reagisce con gli ioni OH− in
una sequenza di passaggi in ognuno dei quali una delle molecole d’acqua legate
perde un protone e lo ione OH− che si forma si lega allo ione Al3+. In questo modo
in ogni passaggio si riduce di 1 il numero di molecole d’acqua legate:
Al(H2O)36+ ( aq ) + OH− ( aq )   Al(H2O)5OH2+ ( aq ) + H2O( l )


Al(H2O)5OH2+ ( aq ) + OH− ( aq )   Al(H2O) 4 (OH)+2 ( aq ) + H2O( l )




Al(H2O)4 (OH)+2 ( aq ) + OH− ( aq ) 




 Al(H2O)3 (OH)3 ( s ) + H2O( l )
Dopo che tre protoni sono stati rimossi da ogni ione Al(H2O)63+ si è formato l’idros-
sido insolubile Al(H2O)3(OH)3(s), che è il precipitato bianco spesso scritto per sem-
plicità come Al(OH)3(s). Il precipitato è costituito in realtà dallo ione Al3+ idrato
con uno ione H+ rimosso da tre delle molecole d’acqua legate (Figura 19.15, centro).
L’aggiunta di H3O+ protona gli ioni OH− e forma nuovamente lo ione Al3+ idrato
(Figura 19.15, sinistra).
Figura 19.15 Il comporta- Ulteriore aggiunta di OH− rimuove un quarto H+ e il precipitato si scioglie for-
mento anfotero dell’idrossido mando lo ione solubile Al(H2O)2(OH)4−(aq) (Figura 19.15, destra), scritto solitamente
di alluminio. Quando Al(OH)3
solido viene trattato con H3O+
con la formula Al(OH)4−(aq):
(sinistra) o con OH− (destra) si Al(H2O)3 (OH)3 ( s ) + OH− ( aq )   Al(H2O)2 (OH)−4 ( aq ) + H2O( l )


scioglie a causa della forma-
In altre parole, questo ione complesso non si forma per sostituzione delle molecole
zione di ioni complessi solubili.
(Foto: © McGraw-Hill Education/ d’acqua da parte dei leganti ma attraverso una reazione acido-base in cui gli ioni
Stephen Frisch, photographer). OH− aggiunti titolano le molecole d’acqua.


3H3O+ −
OH−
Al Al Al
− −

− −

3H3O+ OH−
3H2O(l) + Al(H2O)63+(aq) Al(H2O)3(OH)3(s) Al(H2O)2(OH)4−(aq) + H2O(l)

19txt.indd 666 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 667

Molti altri idrossidi poco solubili, tra cui quelli di cadmio, cromo(III), cobalto(III),
piombo(II), stagno(II) e zinco, sono anfoteri e danno luogo a reazioni simili:
Zn(H2O)2 (OH)2 ( s ) + OH− ( aq )   Zn(H2O)(OH)−3 ( aq ) + H2O( l )


Al contrario, gli idrossidi poco solubili di ferro(II), ferro(III) e calcio si sciolgono in
ambiente acido ma non in ambiente basico perché le tre molecole d’acqua legate
non sono sufficientemente acide:
Fe(H2O)3 (OH)3 ( s ) + 3H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Fe(H2O)36+ ( aq ) + 3H2O( l )
Fe(H2O)3 (OH)3 ( s ) + OH− ( aq) ⎯ ⎯
→ nessuna reazione
La differenza di solubilità in soluzione basica di Al(OH)3 e Fe(OH)3 viene utilizzata
per separare i due metalli in un importante passaggio della produzione dell’allumi-
nio metallico e verrà discussa nuovamente nel Paragrafo 22.4.

La chimica nelle altre scienze


Chimica in geologia

La creazione di una grotta calcarea


Le grotte calcaree e le dettagliate strutture al loro interno Così, la presenza di CO2(aq) porta alla formazione di H3O+,
sono un’evidenza impressionante del lavoro degli equilibri aumentando la solubilità di CaCO3:
ionici acquosi. I pinnacoli e le volte di queste cattedrali na-
turali sono il prodotto di reazioni tra rocce carbonatiche e
CaCO3 ( s ) + CO 2 ( aq ) + H2O( l )   Ca 2+ ( aq ) + 2HCO−3 ( aq )


l’acqua che è fluita attraverso di loro per millenni. Il calcare [Equazione 2]
è principalmente carbonato di calcio (CaCO3), un compo- Ecco un riepilogo del processo di formazione di una grotta.
sto ionico poco solubile con Kps = 3,3  ×  10−10. Questo ma- Man mano che l’acqua filtra attraverso le fessure nel terre-
teriale roccioso cominciò ad accumularsi sulla terra più di no, incontra aria inclusa nel terreno con alta PCO2 . In questo
400 milioni di anni fa e una grotta relativamente giovane, modo [CO2(aq)] aumenta (l’Equazione 1 si sposta verso de-
quale la caverna Howe, nello Stato di New York, cominciò stra) e la soluzione diventa più acida. Quando quest’acqua
a formarsi circa 800 000 anni fa. ricca di CO2 viene in contatto con il calcare, altro CaCO3
Due fattori principali ci permettono di comprendere passa in soluzione (l’Equazione 2 si sposta verso destra). In
come si formano le grotte calcaree. questo processo altra roccia viene disciolta, altra acqua flu-
isce, altra roccia si consuma e così via. Con il passare dei
1. L’equilibrio tra CO2 gassoso e CO2 acquoso nelle acque secoli la grotta inizia lentamente a formarsi.
Scavandosi una strada attraverso i tunnel sotterranei,
naturali:
parte della soluzione acquosa, principalmente costituita da
H O( l ) soluzione di Ca(HCO3)2, passa attraverso la volta della grot-

CO 2 ( g )  2

 CO 2 ( aq )  [Equazione 1]
ta in formazione. Sgocciolando si trova in contatto con l’a-
ria, in cui PCO2 è minore che nel terreno, perciò parte di
La concentrazione di CO2 nell’acqua è proporzionale alla CO2(aq) si separa dalla soluzione (l’Equazione 1 si sposta
pressione parziale di CO2(g) in contatto con l’acqua (legge verso sinistra). A causa di questo fenomeno si ha precipita-
di Henry, Paragrafo 13.4): zione di CaCO3 sulla volta e sul fondo della grotta dove
cadono le gocce (l’Equazione 2 si sposta a sinistra). Con il
[CO 2 ( aq )] ∝ PCO2
passare dei decenni sulla volta si forma un “ghiacciolo” di
A causa del continuo rilascio di CO2 dall’interno della Ter- CaCO3, chiamato stalattite, mentre un pinnacolo di CaCO3,
ra (degassamento), la PCO2 in aria inglobata nel terreno è chiamato stalagmite, cresce verso l’alto dal pavimento della
maggiore della PCO2 nell’atmosfera. grotta. Aspettando un tempo sufficiente, essi si incontrano
per formare una colonna di calcare precipitato.
Lo stesso processo chimico può dar luogo a moltis-
2. Come abbiamo discusso nel testo, la presenza di H3O+(aq)
sime forme diverse. Polle di soluzione di Ca(HCO3)2 for-
aumenta la solubilità dei composti ionici che contengono
mano “ninfee” o “coralli” di calcare. Cascate di soluzione
l’anione di un acido debole. La reazione di CO2 con acqua, formano delicati “merletti” di calcare sulle pareti delle
produce H3O+: grotte, spesso fantasticamente colorate a causa della pre-
senza di tracce di ioni metallici, quali il ferro (rosso-bruno)
CO 2 ( aq ) + 2H2O( l )   H3O+ ( aq ) + HCO−3 ( aq )

 o il rame (verde-blu).

19txt.indd 667 17/05/19 08:43


La chimica nelle altre scienze 
Chimica nelle scienze ambientali

Il problema della pioggia acida


Il conflitto tra la società industriale e l’ambiente è illustra- Sulla base della percentuale in volume di CO2 nell’aria,
to molto chiaramente dal problema della pioggia acida, in della solubilità di CO2 in acqua e su Ka1 per H2CO3, il pH
cui gli acidi derivati da attività umane si depositano come della normale pioggia è circa 5,6. In aspro contrasto, il
soluzioni nella pioggia, neve o nebbia o come adsorbiti in pH medio della pioggia, determinato nel 1984, in molte
particelle solide. Precipitazioni acide sono state registrate regioni degli Stati Uniti era 4,2, cioè una quantità di H3O+
in tutti gli Stati Uniti, Canada, Messico, nel bacino del Rio 25 volte superiore. A livello mondiale, la pioggia in Svezia
delle Amazzoni, attraverso l’Europa, la Russia e molte regio- e in Pennsilvania si dividono il secondo premio con un
ni dell’Asia, e perfino al Polo Nord e al Polo Sud. Abbiamo pH di 2,7, circa lo stesso dell’aceto. La pioggia a Wheeling
trattato di numerosi aspetti di questo problema nei capitoli (West Virginia, USA) vinse il primo premio con un pH pari
precedenti, adesso esamineremo alcuni effetti delle precipi- a 1,8, compreso tra il succo di limone e i succhi gastrici
tazioni acide sulla biologia acquatica e sui sistemi minerali nello stomaco! In California, la pioggia acida ha talvolta
e vedremo come prevenirli. Ci sono numerosi preoccupanti pH = 1,6 perché l’evaporazione di acqua dal particolato
imputati chimici. concentra l’acido.
Questo eccesso di [H3O+], da 10 a 10 000 volte, è
1. Acido solforoso. Il diossido di zolfo (SO2), generato prin- distruttivo per gli esseri viventi. Alcuni pesci e molluschi
cipalmente dalla combustione di carbone ricco di zolfo, muoiono a valori di pH compresi tra 4,5 e 5,0. I giovani della
forma acido solforoso (H2SO3) quando entra in contat- maggior parte delle specie sono in generale più sensibili. A
to con l’acqua. Ossidanti quali perossido di idrogeno e pH = 5 le uova della maggior parte dei pesci non possono
ozono, presenti come inquinanti nell’atmosfera, sono schiudersi. Con l’acidificazione di decine di migliaia di fiumi
anch’essi solubili in acqua e convertono l’acido solforoso e laghi in tutto il mondo, la carenza di pesce è diventata già
in acido solforico: da molto tempo un fenomeno preoccupante. Inoltre, grandi
H2O 2 ( aq ) + H2SO3 ( aq ) ⎯ ⎯
→ H2SO 4 ( aq ) + H2O( l ) aree di foreste sono state danneggiate dagli acidi, che rimuo-
vono i nutrienti e rilasciano sostanze tossiche nel terreno.
2. Acido solforico. Il triossido di zolfo si forma per ossidazione Anche se il terreno è tamponato, la nebbia e le nuvole acide
atmosferica di SO2. Il triossido di zolfo forma acido solforico possono rimuovere nutrienti essenziali dalla superficie delle
per reazione con l’acqua, inclusa quella atmosferica. foglie.
Molti principi degli equilibri acquosi si esplicano
3. Acido nitrico. Gli ossidi d’azoto (complessivamente indi- direttamente negli effetti delle piogge acide. Gli allumino-
cati come NOx) si formano nella reazione tra N2 e O2. NO si silicati che costituiscono la maggior parte dei terreni sono
forma durante la combustione, principalmente nei motori estremamente insolubili in acqua. In questi materiali lo
delle automobili, e forma NO2 e HNO3 in aria, nel processo ione Al3+ è legato agli ioni OH− e O2− in strutture comples-
che genera lo smog. Durante la notte, NOx si converte in se (vedi la scheda Minerali silicatici e polimeri siliconici, nel
N2O5, che si idrolizza ad HNO3 in presenza di acqua. Gli Capitolo 14, p. 486). Il continuo contatto con H3O+ nella
acidi forti H2SO4 e HNO3 causano la maggiore preoccupa- pioggia acida causa reazioni di questi ioni e parte dell’Al3+
zione ambientale (Figura S19.1). legato, che è tossico per i pesci, si scioglie. Assieme a questi
Come si confronta il pH delle precipitazioni acide con ioni Al3+ disciolti, la pioggia acida porta via ioni che servo-
quello delle acque naturali? La normale pioggia è debolmen- no come sostanze nutrienti per piante e animali.
te acida perché contiene disciolta CO2 derivante dall’aria: La pioggia acida scioglie anche il carbonato di calcio
degli edifici e dei monumenti di marmo e calcare. Iro­nica­
CO 2 ( g ) + 2H2O( l )   H3O+ ( aq ) + HCO−3 ( aq )


mente, lo stesso processo chimico che distrugge queste

19txt.indd 668 17/05/19 08:43


H2O Precipitazioni acide dovute
alla dissoluzione di H2SO4 e HNO3
SO2 e NOx SO3 nella pioggia e nella neve
Reazione
nelle emissioni NO2 con H2O
Reazione
industriali
con O2

O2

NO nelle emissioni
Nebbia acida automobilistiche

Laghi in bacini ricchi Laghi in bacini poveri


di calcare sono tamponati di calcare diventano acidi

Figura S19.1 Formazione delle precipitazioni acide. Le piogge acide e i loro effetti dannosi sono il risultato di complesse inter-
relazioni tra attività umane, chimica dell’atmosfera e distribuzione ambientale. I gas di scarico delle automobili e delle fabbriche
producono ossidi di azoto e zolfo. Questi vengono ossidati nell’atmosfera da O2 (od O3, non mostrato) a ossidi a più elevato numero
di ossidazione (NO2, SO3) che reagiscono con l’umidità acidificando pioggia, neve e nebbia. Molti laghi si acidificano per contatto
con le precipitazioni acide, mentre i laghi in bacini calcarei formano un tampone carbonato che previene l’acidificazione.

strutture è responsabile della salvezza di quei laghi i cui calcare delle emissioni industriali. Si utilizzano sia processi
bacini sono ricchi di calcare. Con la caduta della pioggia a secco e sia in soluzione. Un altro metodo è la riduzione
acida, H3O+ reagisce con lo ione carbonato disciolto nei di SO2 con metano o carbone ad H2S.
laghi per formare bicarbonato: La miscela è poi convertita cataliticamente in zolfo che è
un prodotto commerciale:
CO32− ( aq ) + H3O+ ( aq )   HCO−3 ( aq ) + H2O( l )


catalizzatore
16H2S( g ) + 8SO2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → 3S8 ( s ) + 16H2O( l )
Sostanzialmente, i laghi con bacini calcarei costituiscono Un’altra possibilità per ridurre la formazione di SO2 è la com-
una enorme soluzione tampone HCO3−/CO32− che assorbe bustione di carbone a basso contenuto di zolfo, ma i depositi
l’eccesso di H3O+ e mantiene un pH relativamente stabile. di questo tipo di carbone sono rari e l’estrazione è costosa.
In realtà, i laghi, i fiumi e le acque sotterranee in terreni Il carbone può anche essere trasformato in combusti-
ricchi di calcare sono debolmente basici. bili liquidi a basso contenuto di zolfo (Chimica nelle scienze
Per i laghi e i fiumi in contatto con terreni poveri ambientali, Capitolo 6). Lo zolfo viene poi rimosso (come
di calcare sono necessari costosi metodi di purificazione. H2S) in un depuratore dopo la gassificazione.
Un attacco diretto ai sintomi è la cosiddetta “calcificazio- Mediante l’uso dei convertitori catalitici nelle marmitte
ne” (trattamento con calcare) di laghi e fiumi. La Svezia delle automobili, gli NOx sono ridotti a N2 e NH3. Nelle cen-
ha speso decine di milioni di dollari negli anni 1990 per trali per la produzione di energia, la quantità di NOx viene
neutralizzare più di 3000 laghi aggiungendo calcare. diminuita modificando i parametri di combustione, ma può
Questo approccio però è solo un rimedio temporaneo anche essere eliminata per trattamento con ammoniaca:
perché, dopo alcuni anni, i laghi erano nuovamente catalizzatore
acidi. 4NO( g ) + 4NH3 ( g ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → 4N 2 ( g ) + 6H2O( g )
Come abbiamo sottolineato precedentemente (vedi Le emissioni di NOx dovranno essere drasticamente ridotte
scheda Chimica nelle scienze ambientali, Capitolo 6) il prin- per raggiungere gli standard posti dalle nuove normative
cipale metodo per controllare le emissioni di diossido di volte a ridurre la deplezione dello strato di ozono e nel
zolfo è rappresentato dai processi di desolforizzazione con processo sarà ridotto anche HNO3.

19txt.indd 669 17/05/19 08:43


670 Capitolo 19

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


19.1 (a) Prima dell’aggiunta. portare il volume a 5,0 L. Aggiustare il pH con un acido o
Assumendo che x sia abbastanza piccolo da poter essere una base forte.
trascurato, 19.3 (a) [H3O+ ]  (2,3 ×10−9 )(0,2000) =
= =
[HF] 0,50 M e [F− ] 0,45 M
= 2,1×10−5 M
[HF] ⎛ 0,50 ⎞⎟
+
K a × −  (6,8 ×10−4 )⎜⎜
[H3O ] = ⎟ pH = 4,68
[F ] ⎜⎝ 0,45 ⎟⎠
[HBrO]
= 7,6 ×10−4 M (b) [H3O+ ] =
Ka × (2,3 10−9 )(1) =

[BrO− ]
pH = 3,12
= 2,3 ×10−9 M
(b) Dopo l’aggiunta di 0,40 g di NaOH (0,010 mol NaOH) a
1,0 L di tampone, pH = 8,64
= =
[HF] 0,49 M e [F− ] 0,46 M moli di BrO− 0,004000 mol
(c) [BrO− ]
= = =
⎛ 0,49 ⎞⎟ volume totale (L) 0,06000 L
[H3O+ ]  (6,8 ×10−4 )⎜⎜ = ⎟ 7,2 ×10−4 M
⎝⎜ 0,46 ⎟⎠
= 0,06667 M
pH = 3,14
− Kw
K b per BrO= = 4,3 ×10−6
19.2 [H3O+=] 10−pH= 10−4,25= 5,6 ×10−5 K a per HBrO
[H3O+ ][C6H5COO− ] Kw 1×10−14
[C6H5COOH] = [H3O+ ] = 
Ka K b × [BrO− ] (4,3 ×10−6 )(0,0667)
(5,6 ×10−5 )(0,050) = 1,9 ×10−11 M
= −5
= 0,044 M
6,3 ×10 pH = 10,72
Massa (g) di C6H5COOH (d) Moli di OH− aggiunte = 0,008000 mol
0,044 mol C6H5COOH Volume (L) di soluzione di OH− = 0,08000 L
= 5,0 L soluzione ×
1 L soluzione moli di OH− non reagite
[OH− ] =
122,12 g C6H5COOH volume totale (L)
× 0,008000 mol − 0,004000 mol
1 mol C6H5COOH = = 0,04000 M
(0,02000 + 0,08000) L
= 27 g C6H5COOH
Kw
Sciogliere 27 g di C6H5COOH in 4,9 L di soluzione di [H3O+=] = 2,5 ×10−13 M
[OH− ]
­C6H5COONa 0,050 M e aggiungere sufficiente soluzione per pH = 12,60

(e)

19txt.indd 670 17/05/19 08:43


Equilibri ionici in soluzione acquosa 671

19.4 (a) K ps = [Ca 2+ ][SO 24− ] 19.7 (a) In acqua: K ps= [Ba 2+ ][SO 24−=] 1,1×10−10
(b) K ps = [Cr 3+ ]2 [CO32−]3 S = 1,05  ×  10−5 M
(c) K ps = [Mg 2+ ][OH−]2 (b) In Na2SO4 0,10 M: [SO42−] = 0,10 M

(d) K ps = [As3+ ]2 [HS−]3 [OH−]3 1,1×10−10  S × 0,10;


K ps = 1,1×10−9 M
S=
S diminuisce in presenza dello ione a comune [SO42−].
1,5 ×10−4 g CaF2 1000 mL 1 mol CaF2 19.8 (a) La solubilità aumenta.
19.5 [CaF2 ] = × ×
10,0 mL soluzione 1L 78,08 g CaF2
CaF2 ( s )   Ca 2+ ( aq ) + 2F− ( aq )


= 1,9 ×10−4 M F−(aq) + H3O+(aq) HF(aq) + H2O(l)
(b) La solubilità aumenta.
CaF2 ( s )   Ca 2+ ( aq ) + 2F− ( aq )


ZnS( s ) + H2O( l )   Zn 2+ ( aq ) + HS− ( aq ) + OH− ( aq )


[Ca 2+ ] =
1,9 ×10−4 M e [F−] =
3,8 ×10−4 M HS− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ H2S( aq ) + H2O( l )
2 OH− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ 2H2O( l )
(1,9 ×10−4 )(3,8 ×10−4 )
[Ca 2+ ][F−]2 =
K ps =
(c) Nessun effetto. I−(aq) è la base coniugata di un acido forte,
= 2,7 ×10−11 HI.
19.6 Dalla tabella di reazione
= [Mg 2+ ] =
e [OH−] 2 19.9 Ca 3 (PO 4 ) 2 ( s )   3Ca 2+ ( aq ) + 2PO34− ( aq )


5
= [Mg 2+ ][OH−]=
K ps 2
4 =
3
6,3 ×10−10 (1,0 ×10−9 ) =×
[Ca 2+ ]3 [PO34−]2 =
Q ps = 1,0 10−45
 5, 4 ×10−4 M
= Qps < Kps, perciò Ca3(PO4)2 non precipiterà.

(0, 0255 L)(3,1×10−7 M )


19.10 A [Fe(H2O)36+ ]iniz = = 1, 3 ×10−2 M
0, 0255 L + 0, 0350 L

Analogamente, [CN−]iniz = 0,87 M. Dalla tabella di reazione

Concentrazione (M) Fe(H2O)3+ −


6 (aq) + 6CN (aq) Fe(CN)63−(aq) + 6H2O(l)
Valore iniziale 1,3×10−2 0,87 0 −
Variazione ∼(−1,3×10−2) ∼(−6×[1,3×10−2]) ∼(+1,3×10−2) −
Valore di equilibrio x 0,79 1,3×10−2 −

[Fe(CN)36− ] 1,3 ×10−2


K=
f = 4,0 ×1043 
[Fe(H2O)36+ [CN− ]6 x (0,79)6

=x [Fe(H 2O)36+ ]  1,3 ×10−45 M

1 mol AlCl 3
2, 4 g AlCl 3 ×
133, 33 g AlCl 3
B [Al(H2O)36+ ]iniz = = 0, 072 M    [F− ]iniz = 0,560 M
0, 250 L

Concentrazione (M) Al(H2O)3+ −


6 (aq) + 6F (aq) AlF63−(aq) + 6H2O(l)
Valore iniziale 0,072 0,560 0 −
Variazione ∼(−0,072) ∼(−6×0,072) ∼(+0,072) −
Valore di equilibrio x 0,128 0,072 −

[AlF63− ] 0,072
Kf = = 4 ×1019 
[Al(H2O)36+ ][F− ]6 x (0,128)6

=x [Al(H2O)36+ ]  4 ×10−16 M

19txt.indd 671 17/05/19 08:43


672 Capitolo 19

19.11 A AgBr( s ) + 2NH3 ( aq )   Ag(NH3 )+2 ( aq ) + Br− ( aq )



 B PbCl 2 ( s ) + 3OH− ( aq )   Pb(OH)−3 ( aq ) + 2Cl− ( aq )


K globale K ps di AgBr × K f di Ag(NH3 )+2
= Kglobale = Kps  ×  Kf = 1  ×  10−9
= 8,5 ×10−6 Dalla tabella di reazione, [OH−] = 0,75 − 3S e [Pb(OH)3−] = S
Dalla tabella di reazione, [NH3] = 1,0− 2S e [Ag(NH3)2+] = [Cl−] = 2S;
[Br−] = S
[Pb(OH)−3 ][Cl− ]2
[Ag(NH3 )+2 ][Br− ] [ ][ ] K globale = =1×109 =
K globale = =8,5 ×10−6 = [OH− ]3
[NH3 ]2 (1,0 − 2 ) 2
( )(2 ) 2 4 3
 = =
= 8,5 ×10−6 =2,9 ×10−3 (0,75 − 3 ) (0,75 − 3 )3
3

1,0 − 2 3
4 3
= 1×109
=
 [Ag(NH3 )+2=]2,9 ×10 M −3
0,75 − 3
La solubilità è maggiore nella soluzione di fissaggio 1,0 M che −
= =
 [Pb(OH) 3] 0,25 M
in NH3 1,0 M.

19txt.indd 672 17/05/19 08:43


20
Termodinamica:
entropia, energia libera
e direzione delle reazioni chimiche

Negli ultimi capitoli abbiamo posto alcune domande estremamente importanti ri-
DA SAPERE PRIMA
guardo alle trasformazioni chimiche e fisiche, alle quali abbiamo risposto. A quale
velocità avviene una trasformazione e in che modo la velocità è influenzata dal- • energia interna, calore e lavoro
(Paragrafo 6.1)
la concentrazione e dalla temperatura? Quanto prodotto sarà presente quando la • funzioni di stato (Paragrafo 6.1) e
trasformazione netta sarà terminata e in che modo questa resa è influenzata dal­la stato standard (Paragrafo 6.6)
concentrazione e dalla temperatura? Abbiamo indagato questi problemi per un’am- • entalpia, ΔH, e legge di Hess
(Paragrafi 6.2 e 6.5)
pia gamma di sistemi, dalla stratosfera a una grotta di calcare, ai laghi della Svezia. • entropia e disordine
È giunto il momento di soffermarci per porre la domanda più profonda di tutte: (Paragrafo 13.3)
perché avviene una trasformazione, in primo luogo? Sappiamo che alcune trasforma- • confronto di Q e K per determi-
nare la direzione di una reazione
zioni chimiche e fisiche che rientrano nell’esperienza quotidiana sembrano avere (Paragrafo 17.4)
una direzione naturale e svolgersi spontaneamente, altre no. Per esempio, il meta-
no brucia in atmosfera di ossigeno con un vigoroso rilascio di calore per produrre
diossido di carbonio e vapore acqueo, ma questi prodotti non riformeranno il meta-
no e l’ossigeno per quanto a lungo possano interagire. Una catena d’acciaio lasciata
al­l’aperto arrugginisce lentamente, ma una catena arrugginita non tornerà lucida.
Una zolletta di zucchero si scioglie in una tazza di caffè dopo qualche secondo di me­-
scolamento, ma un altro secolo di mescolamento non riuscirà a fare ricomparire
la zolletta.
Tutte le nostre indagini sulla natura ci permettono di definire una trasfor-
mazione spontanea (o processo spontaneo) come una trasformazione che si svolge
da sola. Alcune trasformazioni spontanee assorbono energia, altre la rilasciano. I
principi della termodinamica furono formulati nella prima metà del XIX secolo
per aiutare a utilizzare in modo più efficiente la macchina a vapore inventata di
recente. Nonostante quell’ambito di applicazione piuttosto limitato, i principi della
termodinamica sono validi, per quanto sappiamo, per ogni sistema esistente nel­
l’Universo e ci permettono di capire perché avviene una trasformazione spontanea.

IN QUESTO CAPITOLO inizieremo con la ricerca di un criterio per predire la


direzione di un processo spontaneo. La prima legge della termodinamica spiega
la variazione di energia associata a una trasformazione, ma non la sua direzione
spontanea. Neppure il segno della variazione di entalpia è un criterio adeguato
per la previsione della direzione di una trasformazione. Invece, vedremo che il
criterio appropriato è la variazione di entropia (S), funzione di stato che è col-
legata alla naturale tendenza di un sistema a disperdere la sua energia. Questo
concetto ci condurrà alla seconda legge (o secondo principio) della termodina-
mica e alla sua applicazione quantitativa sia alle trasformazioni esotermiche
sia a quelle endotermiche. Poi esamineremo il concetto di energia libera, che
semplifica il criterio per la trasformazione spontanea, e vedremo qual è la sua
relazione con il lavoro utile che un sistema è capace di compiere. Infine, esami-
neremo la relazione essenziale tra la variazione di energia libera di una reazio-
ne e la sua costante di equilibrio.

20txt.indd 673 17/05/19 08:53


674 Capitolo 20

20.1 LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA:


PREVEDERE UNA TRASFORMAZIONE SPONTANEA
Una trasformazione spontanea di un sistema, sia essa una trasformazione chi-
mica o fisica o semplicemente una variazione di posizione, è una trasformazione
che avviene da sola in condizioni specificate, senza un apporto (input) di energia
dall’esterno del sistema. Per esempio, il congelamento (solidificazione) dell’acqua è
spontaneo alla temperatura di −5 °C e alla pressione di 1 atm. Una trasformazione
spontanea quale la combustione di una sostanza o la caduta di un corpo può richie-
dere una piccola “spinta” per avviarsi – una scintilla per accendere la benzina nel
motore di un’automobile, un urto per far cadere un libro dal tavolo – ma, dopo che
la trasformazione è cominciata, essa prosegue senza intervento esterno perché il
sistema rilascia energia sufficiente per fare svolgere la trasformazione.
Per contro, affinché avvenga una trasformazione non spontanea, il sistema deve
ricevere un apporto continuo di energia dall’esterno. Un libro cade spontaneamente,
ma si solleva soltanto se qualcos’altro, quale una mano umana (o un vento impetuo-
so), fornisce energia sotto forma di lavoro. In un dato insieme di condizioni, se una
trasformazione è spontanea in una direzione, essa non è spontanea nella direzione opposta.
Spontanea non significa istantanea e non ha nulla a che fare con l’intervallo di
tempo che una trasformazione impiega per svolgersi; significa che, disponendo di
tempo sufficiente, la trasformazione si svolgerà da sola. Molte trasformazioni sono
spontanee ma lente: la maturazione dei frutti, l’arrugginimento del ferro e (per for-
tuna!) l’invecchiamento degli esseri umani.
Una reazione chimica che procede verso l’equilibrio è un esempio di trasformazione
spontanea. Come abbiamo visto nel Capitolo 17, siamo in grado di prevedere la dire-
zione netta di una reazione – la sua direzione spontanea – confrontando il quoziente
di reazione (Q) con la costante di equilibrio (K). Ma perché esiste una tendenza a
raggiungere l’equilibrio? Cosa determina il valore della costante di equilibrio?
Come possiamo stabilire la direzione di una trasformazione spontanea nei casi
che non sono così familiari come la combustione della benzina o la caduta di un
libro? Poiché sembrano essere coinvolte le variazioni di energia, cominciamo ad
affrontare questa domanda esaminando il concetto di conservazione dell’energia,
per vedere se aiuta a spiegare la spontaneità.

Limitazioni della prima legge della termodinamica


Nel Capitolo 6 abbiamo esaminato la prima legge della termodinamica (il principio
di conservazione dell’energia) e le sue applicazioni a sistemi chimici e fisici. La
prima legge stabilisce che l’energia interna (E) di un sistema, la somma dell’energia
cinetica e dell’energia potenziale di tutte le sue particelle, varia fornendo o sot­
traendo calore (q) e/o lavoro (w):
ΔE = q+w
Tutto ciò che non fa parte del sistema costituisce il suo ambiente quindi il sistema
e l’ambiente costituiscono l’Universo:
=
E Universo E sistema + E ambiente
Il calore e/o il lavoro acquistato dal sistema è ceduto dall’ambiente e viceversa:
( q + w )sistema =
−( q + w ) ambiente
Da queste considerazioni consegue che l’energia totale dell’Universo è costante:*
ΔE sistema = −ΔE ambiente perciò ΔE sistema + ΔE ambiente = 0= ΔE Universo
È sufficiente la prima legge per spiegare perché una trasformazione naturale avvie-
ne così come avviene? Certamente, la prima legge spiega l’energia che interviene

* Ogni enunciato moderno della conservazione dell’energia deve tenere conto dell’equivalenza massa-
energia e delle trasformazioni che avvengono nelle stelle, le quali convertono quantità enormi di materia
in energia. Perciò, l’enunciato della conservazione dell’energia può essere così formulato: la massa-energia
totale dell’Universo è costante.

20txt.indd 674 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 675

nella trasformazione. Quando un libro appoggiato su un tavolo cade sul pavimento,


la prima legge ci guida attraverso la conversione dall’energia potenziale del libro in
quiete all’energia cinetica del libro in caduta e al calore disperso nel pavimento in
prossimità del punto di contatto. Quando la benzina brucia nel motore di un’auto­
mobile, la prima legge spiega che la differenza di energia potenziale tra i legami
chimici nella miscela del combustibile e quelli nei gas di scarico viene convertita
nell’energia cinetica dell’automobile e delle sue parti in movimento più il calore
ceduto all’ambiente. Quando un cubetto di ghiaccio fonde nella nostra mano, la
prima legge ci dice che l’energia ceduta dalla nostra mano si è trasferita al ghiaccio
per trasformarlo in un liquido. Se fossimo in grado di misurare il calore e il lavoro
implicati in ciascun caso, troveremmo che l’energia si conserva quando si converte
da una forma in un’altra.
Però, la prima legge non ci aiuta a spiegare la direzione della trasformazione.
Perché il calore nel pavimento in prossimità del punto di caduta del libro non si
converte in energia cinetica del libro e lo riporta sul tavolo da cui è caduto? Perché il
calore rilasciato nel motore dell’automobile non riconverte i gas di scarico in benzina
e ossigeno? Perché l’acqua contenuta nel palmo della nostra mano non ritrasferisce
il calore alla nostra mano e ricongela? Nessuno di questi eventi violerebbe la prima
legge – l’energia continuerebbe a conservarsi – ma nessuno di essi accade mai. La
prima legge, da sola, non dice alcunché riguardo alla direzione di una trasformazione
spontanea, quindi dobbiamo cercare altrove un modo di prevedere questa direzione.

Il segno di ΔH non permette di prevedere una trasformazione


spontanea
Alla metà del XIX secolo, alcuni studiosi di termodinamica pensavano che il segno
della variazione di entalpia (ΔH), la quantità di calore fornita o sottratta a pressione
costante (qP), fosse il criterio della spontaneità. (Si ricordi che, come abbiamo visto
nel Paragrafo 6.2, per la maggior parte delle reazioni, ΔH è uguale o molto vicino a
ΔE). Pensavano che le trasformazioni esotermiche (ΔH < 0) fossero spontanee e le
trasformazioni endotermiche (ΔH > 0) fossero non spontanee. Questa ipotesi aveva
un sostegno sperimentale; dopo tutto, molte trasformazioni spontanee sono esotermi-
che. Tutte le reazioni di combustione sono spontanee ed esotermiche; per esempio,
CH4 ( g ) + 2O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + 2H2O( g ) ΔH r0 = −802 kJ
un’altro tipo di esempio, il ferro arrugginisce spontaneamente ed esotermicamente:
2Fe( s ) + 23 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ Fe2O3 ( s ) ΔH r0 = −826 kJ
I composti ionici si formano spontaneamente a partire dai loro elementi con il rila-
scio di una grande quantità di calore; per esempio,
Na( s ) + 12 Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ NaCl( s ) ΔH r0 = −411 kJ
Però, in molti altri casi, il segno di ΔH non è d’aiuto. Una trasformazione esotermica
può avvenire spontaneamente in certe condizioni, mentre la trasformazione oppo-
sta, endotermica, può avvenire spontaneamente in altre condizioni. Per esempio,
a pressione ordinaria, l’acqua congela (solidifica) al di sotto di 0 °C, ma il ghiaccio
fonde al di sopra di 0 °C. Entrambe le trasformazioni sono spontanee, ma la prima
è esotermica e la seconda è endotermica:
H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H2O( s ) ΔH r0 = −6,02kJ ( esotermica; spontanea a T < 0°C)

H2O( s ) ⎯ ⎯
→ H2O( l ) ΔH r0 =+6, 02 kJ ( endotermica; spontanea a T > 0°C)
A temperatura ambiente e a pressione ordinaria, l’acqua liquida vaporizza sponta-
neamente in aria secca, un’altra trasformazione endotermica:
H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H2O( g ) ΔH r0 = +44, 0 kJ
In realtà, tutte le fusioni e vaporizzazioni sono trasformazioni endotermiche che
sono spontanee in determinate condizioni.

20txt.indd 675 17/05/19 08:53


676 Capitolo 20

Figura 20.1 Una reazione


chimica endotermica sponta-
nea. A. Quando si mescolano i
reagenti solidi cristallini idrossi-
do di bario ottaidrato e nitrato
di ammonio, si forma rapida-
mente una poltiglia mentre
viene rilasciata l’acqua di idra-
tazione. B. La miscela di reazio-
ne assorbe calore dall’ambiente
così rapidamente che il becher
si ricopre di ghiaccio e un bloc- A B
co di legno inumidito vi aderisce
per congelamento della sua
umidità nella regione a contatto Esistono molte altre trasformazioni fisiche endotermiche spontanee. Si ricordi che,
con il becher. (Foto: © McGraw- come abbiamo visto nel Capitolo 13, i sali solubili in acqua si sciolgono spontanea-
Hill Education/Stephen Frisch, mente, anche se la maggior parte di essi ha un ΔH 0soluz positivo:
photographer). H 2O
NaCl( s ) ⎯ ⎯⎯ → Na+ ( aq ) + CI− ( aq ) ΔH soluz
0
= +3,9 kJ
H 2O
RbClO3 ( s ) ⎯ ⎯⎯ → Rb+ ( aq ) + ClO−3 ( aq ) ΔH soluz
0
= +47,7 kJ
H 2O
NH4 NO3 ( s ) ⎯ ⎯⎯ → NH+4 ( aq ) + NO−3 ( aq ) ΔH soluz
0
= +25,7 kJ
Sono spontanee anche alcune trasformazioni chimiche endotermiche:
N 2O 5 ( s ) ⎯ ⎯
→ 2NO 2 ( g ) + 12 O 2 ( g ) ΔH r0 = +109,5 kJ
Ba(OH)2 ⋅ 8H2O( s ) + 2NH4 NO3 ( s ) ⎯ ⎯

Ba 2+ ( aq ) + 2NO−3 ( aq ) + 2NH3 ( aq ) + 10H2O( l ) ΔH r0 = +62,3 kJ
Nella seconda reazione, l’acqua di idratazione rilasciata solvata gli ioni, ma la mi-
scela di reazione non assorbe abbastanza rapidamente calore dall’ambiente e il reci-
piente diventa così freddo che si copre di ghiaccio e una tavoletta di legno bagnata
vi aderisce (Figura 20.1).

Libertà di moto delle particelle e dispersione della loro energia


Quali sono le caratteristiche comuni dei processi endotermici esaminati che ci
possono aiutare a capire perché si svolgano spontaneamente? In ciascun caso, le par-
ticelle che costituiscono la materia hanno maggior libertà di movimento in seguito
alla trasformazione. Questo equivale a dire che l’energia associata al loro movimen-
to è più dispersa. Come vedremo successivamente, “dispersa” significa distribuita su
un numero maggiore di livelli energetici quantizzati.
I cambiamenti di fase portano da un solido, in cui il moto delle particelle è
limitato, a un liquido, in cui le particelle si muovono con libertà molto maggiore,
a un gas, in cui la libertà di movimento delle particelle è ancora molto più grande.
Assieme alla maggiore libertà di movimento delle particelle, cresce la dispersione
dei valori della loro energia su più livelli. La dissoluzione di un sale fa passare da un
solido cristallino e un liquido puro a ioni e molecole di solvente dispersi e intera-
genti in una soluzione; l’energia associata al loro moto è dunque molto più dispersa.
Nelle reazioni chimiche esaminate, poche moli di un solido cristallino producono
più moli di gas o di ioni solvatati. In questi casi, non solo c’è maggiore libertà di
movimento, ma più particelle distribuiscono la loro energia su più livelli.
Così, in ciascun processo, le particelle si muovono più liberamente e l’energia
associata al loro moto può distribuirsi su più livelli:
minore libertà di movimento
delle particelle maggior libertà di movimento delle particelle
energia del movimento
localizzata energia del movimento dispersa
Cambiamento di fase: solido liquido gas
Dissoluzione di un sale: solido cristallino + liquido ioni in soluzione
Trasformazione chimica: solido cristallino gas + ioni in soluzione

20txt.indd 676 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 677

In termini termodinamici, una variazione della libertà di movimento delle particelle


costituenti un sistema e della dispersione dei valori di energia associati al movimento
è un fattore essenziale nel determinare la direzione di una trasformazione spontanea.

Entropia e numero di microstati


Vediamo in che modo la libertà di movimento e la dispersione dell’energia sono
correlati alle trasformazioni spontanee. Nei capitoli precedenti abbiamo discusso la
quantizzazione dell’energia. Tuttavia, sono quantizzati non solo i livelli energetici
elettronici di un atomo o di una molecola, ma anche i livelli dell’energia cinetica
– vibrazionale, rotazionale, traslazionale – di una molecola e degli atomi che la co-
stituiscono.
Immaginiamo un sistema costituito da una mole di N2 gassoso e focalizziamo
la nostra attenzione su una molecola: a ogni istante, si muove attraverso lo spazio
(trasla), ruota e i suoi atomi vibrano con determinate velocità. Nell’istante successivo
la molecola collide con un’altra molecola e questi stati energetici associati al moto va-
riano. Lo stato quantistico della molecola in ciascun istante è dato dalla combinazione
dei suoi particolari stati elettronico, traslazionale, rotazionale e vibrazionale. È chiaro
che per una singola molecola sono possibili molte combinazioni di questi stati e il
numero di stati energetici quantizzati possibile per il sistema costituito da una mole
23
di molecole è incredibilmente elevato – dell’ordine di 1010 . Ogni stato quantizzato
del sistema prende il nome di microstato, e per un determinato insieme di condizioni
ogni microstato ha la stessa energia. Poiché ogni microstato è ugualmente possibile
per il sistema, le leggi della probabilità ci dicono che, se osserviamo il sistema nel
tempo, tutti i microstati saranno ugualmente occupati. Se focalizziamo la nostra at-
tenzione solo sui microstati associati all’energia termica, diciamo che il numero di
microstati di un sistema è il numero di modi in cui il sistema disperde la sua energia
termica tra tutti i possibili tipi di moto di tutte le sue molecole.
Nel 1877, il fisico e matematico austriaco Ludwig Boltzmann (1844-1906) cor-
relò il numero di microstati (W) all’entropia (S) del sistema:
               S = k ln W              (20.1)
dove k, la costante di Boltzmann, è la costante universale dei gas divisa per il numero
di Avogadro, R/NA, ed è uguale a 1,38×10−23 J/K. Poiché W è adimensionato, l’unità
di misura di S è il joule su kelvin (J/K).* Da questa relazione si può concludere che:
• un sistema con un numero minore di microstati (W più piccolo) su cui distri-
buire la sua energia ha entropia minore (S più piccola);
• un sistema con un numero maggiore di microstati (W più grande) su cui distri-
buire la sua energia ha entropia maggiore (S più grande).
Così, per i nostri esempi precedenti:
entropia minore (minore numero di microstati)
 entropia maggiore (maggiore numero di microstati)
Cambiamento di fase: solido liquido gas
Dissoluzione di un sale: solido cristallino + liquido ioni in soluzione
Trasformazione chimica: solido cristallino gas + ioni in soluzione
(Nel Capitolo 13 sono stati usati alcuni di questi concetti per spiegare il comporta-
mento delle soluzioni.)
Variazioni di entropia Se il numero di microstati aumenta durante una trasfor-
mazione fisica o chimica, ci sono più modi in cui l’energia del sistema può essere
distribuita tra essi. Si ha così un aumento di entropia:
S più microstati > S meno microstati

* Il simbolo W nella formula originale di Boltzmann (che è scritta come epitaffio sulla sua tomba a Vien-
na) è l’iniziale di Wahrscheinlichkeit, “probabilità” in tedesco, nel senso di “probabilità di stato”, il numero
di “microstati” che corrispondono a uno stesso stato macroscopico del sistema (N.d.C.).

20txt.indd 677 17/05/19 08:53


678 Capitolo 20

Se il numero di microstati diminuisce, l’entropia diminuisce. Come l’energia interna


(W) e l’entalpia (H), l’entropia è una funzione di stato, una funzione che dipende
solo dallo stato attuale del sistema, non da come esso è giunto in quello stato. Per-
ciò la variazione di entropia del sistema (ΔSsistema) dipende solo dalla differenza tra
il suo valore finale e il suo valore iniziale:
ΔS sistema = S finale − S iniziale
Come per ogni altra funzione di stato, ΔSsistema > 0 quando il valore dell’entropia
aumenta durante una trasformazione. Per esempio, quando il ghiaccio secco subli-
ma per formare CO2 gassoso, si ha:
CO 2 ( s ) ⎯ ⎯
→ CO 2 ( g ) ΔS sistema = S CO2 gassoso − S CO2 solido

Analogamente, ΔSsistema < 0 quando l’entropia del sistema diminuisce durante una
trasformazione, come, per esempio, nella condensazione del vapore acqueo:

H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H2O( g ) ΔS sistema = S H2O liquido − S H2O gassoso

Oppure, consideriamo la decomposizione del tetrossido di diazoto (scritto come


O2N NO2):
O2N NO 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NO 2 ( g )

Quando si rompe il legame N N in una mole di tetrossido di diazoto, le due moli


di NO2 formate hanno una libertà di movimento molto maggiore; conseguentemen-
te la loro energia è distribuita in un numero di microstati maggiore:
ΔS sistema = ΔS reazione = S finale − S iniziale = S prodotti − S reagenti = 2S NO2 − S N2O4 > 0

Significato quantitativo delle variazioni di entropia Si possono utilizzare


due diversi metodi per quantificare le variazioni di entropia: i metodi possono ap-
parire diversi, ma i risultati sono uguali. Il primo metodo è un approccio statistico
basato sul numero di microstati possibili per le particelle di un sistema. Il secondo
è basato sul calore assorbito (o ceduto) da un sistema. Esamineremo entrambi i me-
todi utilizzando come esempio un sistema costituito da 1 mole di gas ideale, per
esempio neon, che si espande da un volume di 10 L a un volume di 20 L a 298 K:

1 mole di neon (stato iniziale 10 L e 298 K)


⎯⎯
→ 1 mole di neon (stato finale 20 L e 298 K)

Usiamo un metodo statistico per calcolare ΔSsistema applicando la definizione di


entropia data nell’Equazione 20.1. La Figura 20.2 mostra un recipiente costituito
da due palloni uguali collegati da un rubinetto. Nel pallone di sinistra c’è 1 mole di
neon, mentre nel pallone di destra è stato fatto il vuoto. Quando apriamo il rubinet-
to, otteniamo il risultato che ci aspettiamo in base all’esperienza: il gas si espande in
modo da occupare l’intero volume, 0,5 moli in ciascun pallone, ma perché?
Cominciamo considerando un solo atomo e pensiamo a cosa succede man
mano che aggiungiamo altri atomi e apriamo il rubinetto (Figura 20.3). Per un
Figura 20.2 Espansione atomo sono possibili un certo numero di microstati (W ) nel pallone di sinistra e lo
spontanea di un gas. Il reci- stesso numero nel pallone di destra. Aprendo il rubinetto, aumentiamo il volume,
piente è costituito da due pal-
loni collegati da un rubinetto.
A. Con il rubinetto chiuso, 1
mole di neon occupa un pal-
lone, mentre nell’altro è stato
fatto il vuoto. B. Aprendo il
rubinetto, il gas si espande
spontaneamente e riempie uni-
formemente i due palloni fin-
ché ognuno contiene 0,5 moli. A 1 mole pallone evacuato B 0,5 mol 0,5 mol

20txt.indd 678 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 679

il che aumenta il numero dei possibili livelli energetici traslazionali. Il sistema ha


perciò il doppio, ovvero 21, di microstati possibili in più quando l’atomo può muo-
versi nei due palloni (stato finale, Wfinale), rispetto a quando è confinato in un solo
pallone (stato iniziale, Winiziale).
Aggiungendo altri atomi, diverse combinazioni di atomi possono occupare i
vari livelli energetici, e ogni combinazione rappresenta un microstato. Con due
atomi, A e B, che si muovono tra i due palloni, ci sono 22, cioè il quadruplo, dei mi-
crostati esistenti quando i due atomi sono confinati nel pallone di sinistra. Un ugual
numero di microstati è associato a tutte le possibili situazioni: A e B nel pallone di
sinistra, A nel pallone di sinistra e B in quello di destra, B nel pallone di sinistra e
A in quello di destra e infine A e B nel pallone di destra.
Aggiungendo un altro atomo, quando il rubinetto è aperto si avranno 23 pos-
sibili microstati, 8 volte quelli possibili rispetto alla situazione in cui il rubinetto
è chiuso. In questo caso, un ugual numero di microstati sarà associato alle possibili
situazioni: A, B e C nel pallone di sinistra, A e B a sinistra e C a destra, A e C a
sinistra e B a destra, e così via. Con 10 atomi di neon ci saranno 210, ovvero 1024,
microstati possibili e infine, con una mole (ovvero un numero di Avogadro, NA) di
atomi di neon, se gli atomi sono liberi di occupare i due palloni (Wfinale) ci saranno
2N A volte microstati possibili rispetto a quando sono confinati in un solo pallone
(Winiziale). In altre parole, per una mole, si ha:
Wfinale
= 2N A
Winiziale
Calcoliamo adesso il ΔSsistema mediante l’equazione di Boltzmann. Dall’Appendi­
ce A, sappiamo che ln A − ln B = ln A/B, perciò:
W 23
ΔS sistema = S finale − S iniziale = k lnWfinale − k=
lnWiniziale ln finale
k= k ln 26,02×10
Winiziale

NUMERO RELATIVO DI MICROSTATI, W


W CHIUSO W APERTO

A A
1 21 2 A

1 atomo

A B
B A
A 22 4
1 B
A
2 atomi A
B B

C A
A B
C Figura 20.3 Espansione di un
B
gas e aumento del numero di
microstati. Quando il gas confi-
A C A nato in un pallone viene lasciato
C B B libero di espandersi in entrambi
C
1 23 8 i palloni, l’energia delle par-
A B
ticelle si distribuisce su un
A C A
3 atomi B maggiore numero di microstati
B C e quindi l’entropia è maggiore.
Ogni combinazione di particelle
C B A nel volume disponibile rappre-
B senta un diverso microstato.
A C
L’aumento del numero di micro-
1 10 atomi 210 1024 stati che si ha quando il volume
23 aumenta è pari a 2n, dove n è il
1 6,02 u 1023 atomi 26,02u10
numero di particelle.

20txt.indd 679 17/05/19 08:53


680 Capitolo 20

Dall’Appendice A sappiamo anche che ln Ay = y ln A, e poiché k = R/NA, si ottiene:

=
ΔS sistema R=
/N A ln 2N A =
( R /N A )N A ln 2 (8,314 J/mol ⋅ K)(0,693)
= 5,76 J/mol ⋅ K
O, per una mole:
ΔS sistema = 5,76 J/K
Il secondo metodo che si può utilizzare per calcolare ΔSsistema è basato sugli scambi
di calore che avvengono durante le trasformazioni ed è stato sviluppato nel XIX se-
colo nel corso di studi volti a comprendere il lavoro svolto dalle macchine a vapore.
In tali processi la variazione di entropia è definita come:
qrev
               ΔS sistema =             (20.2)
T
in cui T è la temperatura a cui avviene lo scambio di calore e q è il calore assorbito.
Il pedice “rev” si riferisce a un processo reversibile, un processo che avviene così
lentamente che il sistema è sempre in condizioni di equilibrio e la direzione del
processo può essere invertita da una perturbazione infinitesima.
Un’espansione veramente reversibile di un gas reale può solo essere immaginata,
ma possiamo approssimarla se mettiamo il nostro campione di 10 L di neon in un
sistema costituito da un pistone e da un cilindro circondati da un serbatoio di calore
mantenuto a 298 K e in cui la pressione è esercitata da un becker pieno di sabbia
posto sul pistone. Se con delle pinzette rimuoviamo un granello di sabbia (una va-
riazione “infinitesima” di pressione), il gas si espanderà pochissimo facendo alzare il
pistone e compirà lavoro sull’ambiente, −w. Se il neon si comporta idealmente, assor-
birà dal serbatoio una piccolissima quantità di calore, q, equivalente a −w. Togliendo
un altro granello di sabbia, il gas si espanderà ancora di una piccolissima quantità e
assorbirà un’altra piccolissima quantità di calore. Questa espansione è molto vicina
a un’espansione reversibile perché, in qualsiasi momento, il processo può essere in-
vertito aggiungendo un granello di sabbia nel becker e causando una piccolissima
compressione del gas. Se continuiamo il processo di espansione fino a raggiungere il
volume di 20 L e applichiamo i metodi del calcolo differenziale per sommare tutti i
piccolissimi incrementi di calore, otteniamo che qrev = 1718 J. Utilizzando poi l’Equa-
zione 20.2, abbiamo la variazione di entropia:
=
ΔS sistema 1718
= J/298 K 5,76 J/K
Questo risultato è uguale a quello ottenuto con il metodo statistico. Quel metodo
aiuta a visualizzare le variazioni di entropia in termini del numero di microstati in cui
si distribuisce l’energia, ma i calcoli sono limitati a sistemi semplici quali i gas ideali.
Il secondo metodo, basato su scambi incrementali di calore, è più difficile da visua-
lizzare ma può essere applicato non solo ai gas, ma anche a solidi, liquidi e soluzioni.

Entropia e seconda legge della termodinamica


Ritorniamo alla domanda iniziale: che cosa determina la direzione di una trasfor-
mazione spontanea? Come abbiamo visto, esiste una tendenza naturale verso un
aumento dell’entropia. È questo il criterio che stavamo cercando, ma, per applicarlo
correttamente, non possiamo limitarci a considerare soltanto il sistema. Dopo tutto,
alcuni sistemi diventano meno ordinati (l’entropia aumenta) spontaneamente, come
la fusione del ghiaccio o la dissoluzione dei cristalli, mentre altri diventano più
ordinati (l’entropia diminuisce), come la solidificazione dell’acqua o la formazione
dei cristalli. Però, se consideriamo le trasformazioni sia del sistema sia dell’ambiente,
troviamo che tutte le trasformazioni avvengono spontaneamente nella direzione che au-
menta l’entropia dell’Universo (il sistema più l’ambiente). Questa affermazione è un modo
di enunciare la seconda legge (o secondo principio) della termodinamica.
È importante notare che la seconda legge della termodinamica non pone limi-
tazioni alla variazione di entropia del sistema o del suo ambiente: l’una o l’altra può

20txt.indd 680 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 681

essere negativa, cioè il sistema o l’ambiente può avere un’entropia minore dopo la
T minore
trasformazione. Ma la seconda legge stabilisce che, nel caso di una trasformazio-
ne spontanea, la somma delle variazioni di entropia deve essere positiva. Quando
l’entropia del sistema diminuisce, l’entropia dell’ambiente aumenta ancor più per Minore libertà di moto
compensare questa diminuzione di entropia del sistema, e quindi l’entropia dell’U-
niverso (sistema più ambiente) aumenta. Un enunciato quantitativo della seconda Minore numero di microstati
legge è che, per ogni trasformazione spontanea,
S minore
           ΔS Universo = ΔS sistema + ΔS ambiente > 0         (20.3)
Calore
Entropie molari standard e terza legge della termodinamica
Sia l’entropia sia l’entalpia sono funzioni di stato, ma la natura dei loro valori diffe- T maggiore
risce in modo fondamentale. Si ricordi che non possiamo determinare le entalpie
assolute perché non abbiamo un punto di partenza, cioè un valore di base dell’ental- Maggiore libertà di moto
pia di una sostanza. Perciò, si possono misurare soltanto le variazioni di entalpia. Per
contro, siamo in grado di determinare l’entropia assoluta di una sostanza. A questo Maggiore numero di microstati
scopo dobbiamo applicare la terza legge (o terzo principio) della termodina-
mica, che stabilisce che un cristallo perfetto ha entropia zero alla temperatura dello zero
S maggiore
assoluto: Ssistema = 0 a 0 K. “Perfetto” significa che tutte le particelle sono di­sposte
ordinatamente nella struttura cristallina senza alcun tipo di difetto. Allo zero asso-
luto tutte le particelle esistenti nel cristallo hanno la loro energia minima e possono Figura 20.4 Movimento
essere disposte in un solo modo; perciò, nell’Equazione 20.1, W = 1, quindi S = k ln casuale in un cristallo. Questa
simulazione al computer mostra
1 = 0. Se riscaldiamo il cristallo, l’energia totale del sistema aumenta, il che conferi- i cammini dei centri delle par-
sce alle particelle un più ampio intervallo di energie, la qual cosa significa che la loro ticelle in un solido cristallino.
energia è distribuita su più microstati (Figura 20.4). Perciò, W > 1, ln W > 0 e S > 0. A ogni temperatura maggiore
Per ottenere il valore di S a una data temperatura, raffreddiamo un campione di 0 K, ciascuna particella si
cristallino della sostanza alla temperatura più vicina possibile a 0 K. Poi lo riscal- muove attorno alla sua posi-
zione reticolare. Più alta è la
diamo fornendo calore in piccoli incrementi, dividiamo q per T per ottenere l’au- temperatura, più vigoroso è il
mento di S per ciascun incremento e infine sommiamo tutti gli aumenti di S fino movimento. Fornendo energia
alla temperatura di interesse, generalmente 298 K. L’entropia di una sostanza a termica si aumenta l’energia
una data temperatura è quindi un valore assoluto, uguale all’aumento di entropia totale, quindi le energie delle
che essa subirebbe se venisse riscaldata da 0 K a quella temperatura. particelle si distribuiscono in un
maggior numero di microstati,
Come nel caso delle altre variabili termodinamiche, di solito si confrontano i quindi l’entropia aumenta.
valori dell’entropia delle sostanze nei loro stati standard alla temperatura di interes-
se. Si ricordi che gli stati standard usati in tutto il libro sono 1 atm per i gas, 1 M
per le soluzioni e la sostanza pura è nella sua forma più stabile nel caso dei solidi o dei
liquidi. L’entropia è una proprietà estensiva, cioè una proprietà che dipende dalla
quantità di sostanza, quindi interessa l’entropia molare standard (S0), misurata
in joule su mole per kelvin [J/(mol ⋅ K)], ossia J ⋅ mol−1 ⋅ K−1]. Un elenco di valori di S0
a 298 K (25 °C) per molti elementi, composti e ioni è presentata, con altre variabili
termodinamiche, nell’Appendice B.

Previsione dei valori relativi di S 0 di un sistema


Basandoci su eventi a livello molecolare, siamo in grado di prevedere come l’en-
tropia di una sostanza è influenzata dalla temperatura, dallo stato fisico, dalla dis-
soluzione e dalla complessità atomica o molecolare. (Nella trattazione seguente,
tutti i valori di S0 sono espressi in joule alla mole per kelvin [J/(mol ⋅ K)] e, se non è
indicato altrimenti, sono riferiti alla temperatura di 298 K).
Variazioni di temperatura Per una data sostanza, S0 aumenta all’aumentare della
temperatura. Consideriamo i valori tipici per il rame metallico:
T (K): 273 295 298
S0: 31,0 32,9 33,2
Quando viene assorbito calore (q > 0) la temperatura aumenta, il che rappresenta
un aumento dell’energia cinetica media delle particelle. Si ricordi (vedi Figura 5.13)

20txt.indd 681 17/05/19 08:53


682 Capitolo 20

Figura 20.5 L’aumento di


entropia da solido a liquido a
gas
gas. Un diagramma dell’entro-
pia in funzione della temperatu-
ra mostra il graduale aumento
dell’entropia in una fase e il bru-
sco aumento in corrispondenza
di una transizione di fase. Le entropia di
vaporizzazione

Entropia (S )
viste su scala molecolare visua-
lizzano l’aumento della libertà
di movimento delle particelle
quando il solido fonde e l’au-
mento molto maggiore quando liquido
il liquido vaporizza.
entropia
di fusione
solido

temperatura temperatura
di fusione di ebollizione

Temperatura

che le energie cinetiche delle particelle di gas in un campione sono distribuite in


un intervallo che si amplia all’aumentare della temperatura. Lo stesso comporta-
mento generale vale per i liquidi e i solidi. All’aumentare della temperatura, aumen-
ta il numero di microstati in cui si ha la distribuzione dell’energia della sostanza e
quindi aumenta la sua entropia.
mescolamento Stati fisici e transizioni di fase In cambiamenti di fase quali la fusione e la va-
porizzazione il calore viene assorbito (q > 0) e la variazione di entropia è positiva.
Per una data sostanza, S0 aumenta quando la sostanza si trasforma da un solido a un
liquido a un gas:
Na H2O C(grafite)
S0(s o l): 51,4(s) 69,9(l) 5,7(s)
S0(g): 153,6 188,7 158,0

La Figura 20.5 mostra l’entropia di una sostanza quando viene riscaldata e subisce
una transizione di fase. Si noti l’andamento regolare di graduale aumento entro una
fase via via che la temperatura aumenta e un grande, improvviso aumento in corri-
spondenza della transizione di fase. Nel solido l’energia è meno dispersa e l’entropia
è più bassa: le sue particelle vibrano attorno alle loro posizioni, ma, in media,
Figura 20.6 La variazione di rimangono fisse. Via via che la temperatura aumenta, l’entropia aumenta gradual-
entropia che accompagna la
mente all’aumentare dell’energia cinetica. Quando un solido fonde, le particelle si
dissoluzione di un sale. Quando
un solido cristallino e l’acqua muovono liberamente l’una tra le altre e attorno alle altre nel liquido, quindi si pro-
liquida pura si mescolano per duce un improvviso aumento di entropia. Un ulteriore aumento della temperatura
formare una soluzione, la varia- aumenta la velocità delle particelle nel liquido, e l’entropia aumenta gradualmente.
zione di entropia riceve due Alla fine, le particelle, non più soggette alle forze intermolecolari, subiscono un
contributi: un contributo positivo
altro improvviso aumento di entropia e si muovono caoticamente come gas. Si noti
quando il cristallo si separa in
ioni e il liquido puro li disperde, che l’aumento di entropia da liquido a gas è molto maggiore di quello da solido a liquido.
e un contributo negativo quando
Dissoluzione di un solido o di un liquido L’entropia di un solido disciolto o di
le molecole d’acqua si organiz-
zano attorno a ciascuno ione. I un soluto liquido è di solito maggiore dell’entropia del soluto puro, ma il tipo di so-
valori relativi di questi contributi luto e di solvente e la natura del processo di dissoluzione influenzano la variazione
positivo e negativo determinano di entropia complessiva (Figura 20.6):
la variazione di entropia com-
plessiva. Nella maggior parte NaCl AlCll3 CH3OH
dei casi, l’entropia della solu- 0
S (s o l): 72,1(s) 167(s) 127(l)
zione è maggiore di quella del
S0(aq): 115,1 148 132
solido ionico e del solvente.

20txt.indd 682 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 683

Figura 20.7 Il piccolo


aumen­to di entropia che si
produce quando l’etanolo si
scioglie in acqua. L’e­tanolo
puro (A) e l’acqua pura
(B) hanno molti legami idroge-
no intermolecolari. C. Quando
formano una soluzione, le mole-
cole formano legami idrogeno
l’una con l’altra, quindi la loro
libertà di movimento non varia
A Etanolo B Acqua C Soluzione di acqua notevolmente. Perciò l’aumento
ed etanolo di entropia è relativamente pic-
colo ed è dovuto unicamente al
mescolamento casuale.

Quando un solido ionico si scioglie in acqua, il cristallo si mescola con il liquido puro
e si trasforma in ioni idrati separati, dispersi nella soluzione. Le particelle hanno più
libertà di movimento e la loro energia è distribuita su un numero maggiore di micro-
stati, perciò ci si attende che l’entropia degli ioni stessi sia maggiore nella soluzione
che nel cristallo. Però, alcune delle molecole d’acqua si organizzano attorno agli ioni
(vedi Figu­ra 13.2), la qual cosa dà un contributo negativo alla variazione di entropia
complessiva. In realtà, nel caso di ioni piccoli con carica multipla il solvente è tal-
mente attratto dagli ioni che la sua energia diventa localizzata, piuttosto che dispersa
e il suo contributo negativo può essere predominante e determinare valori negativi
di S0 per lo ione in soluzione. Per esempio, lo ione Al3+(aq) ha un valore di S0 pari a
−313 J/mol ⋅ K.* Perciò, quando AlCl3 si scioglie in acqua, Cl−(aq) ha un’entropia po-
sitiva, ma Al3+(aq) ha un’entropia così negativa che l’entropia complessiva di AlCl3
disciolto è minore di quella del solido.
Nel caso dei soluti molecolari, l’aumento di entropia in seguito alla dissoluzione
è tipicamente molto minore di quello che si osserva nel caso dei soluti ionici. Nel
caso di un solido, quale il glucosio, è assente la separazione in ioni e, anche nel caso
di un liquido, quale l’etanolo, è assente la distruzione di una struttura cristallina.
Inoltre, sia nell’etanolo puro sia nell’acqua pura, le molecole formano molti legami
idrogeno, quindi, quando essi si mescolano, è relativamente piccola la variazione
della loro libertà di movimento (Figura 20.7). Il piccolo aumento in entropia del­
l’etanolo disciolto deriva dal mescolamento casuale dei due tipi di molecole.
Dissoluzione di un gas Le particelle di un gas sono così libere di muoversi e
hanno energia così dispersa che la dissoluzione in un liquido o in un solido causa
sempre una diminuzione del numero di microstati possibili. Perciò, l’entropia di una
soluzione di un gas in un liquido o in un solido è sempre minore dell’entropia del
gas puro. Quando l’O2 gassoso [S 0(g) = 205,0 J/mol ⋅ K] si scioglie in acqua, la sua en-
tropia diminuisce rapidamente [S 0(aq) = 110,9 J/mol ⋅ K] (Figura 20.8). Ma, quando
un gas si scioglie in un altro gas, l’entropia aumenta a causa del mescolamento dei
due tipi di molecole.
Raggio atomico o complessità molecolare In generale, le differenze tra i valori
dell’entropia per sostanze nella stessa fase si basano sul raggio atomico e sulla com-
plessità molecolare. Per gli elementi in un gruppo della tavola periodica, il raggio ato-
mico riflette la massa molare, e l’entropia aumenta dall’alto al basso lungo il gruppo:
Li Na K Rb Cs
Raggio atomico (pm): 152 186 227 248 265
Massa molare (g/mol): 6,941 22,99 39,10 85,47 132,9 Figura 20.8 La grande
S 0(s): 29,1 51,4 64,7 69,5 85,2 diminuzione di entropia di un
gas quando si scioglie in un
liquido. Il movimento caotico e
* Un valore di S0 per uno ione idrato può essere negativo perché è relativo al valore di S0 del protone l’alta entropia di O2 gassoso si
idrato, H+(aq), a cui è assegnato valore 0. In altre parole, Al3+(aq) ha un’entropia minore di quella di riducono molto quando esso si
H+(aq). scioglie in acqua.

20txt.indd 683 17/05/19 08:53


684 Capitolo 20

La stessa tendenza alla crescita dell’entropia dall’alto al basso lungo un gruppo vale
per composti simili:
HF HCl HBr
H HI
Massa molare (g/mol): 20,01 36,46 80,91 127,9
S 0(g): 173,7 186,8 198,6 206,3

Nel caso di un elemento che esiste in differenti forme (allotropi), l’entropia è mag-
giore nella forma con legami che permettono agli atomi un maggiore movimen-
to. Per esempio, la S0 della grafite è 5,69 J/(mol ⋅ K), mentre la S0 del diamante è
2,44 J/(mol ⋅ K). Nel diamante, i legami covalenti si estendono in tre dimensioni, per-
mettendo agli atomi poco movimento; nella grafite, i legami covalenti si estendono
soltanto in un piano reticolare, e il movimento dei piani reticolari è relativamente
facile, quindi l’entropia è maggiore.
Nel caso dei composti, l’entropia aumenta all’aumentare della complessità chi-
mica, cioè del numero di atomi nel composto. Questa tendenza è valida sia per i
composti ionici sia per quelli covalenti, purché le sostanze siano nello stesso stato
fisico:

NaCll AlCl3 P4O10 NO NO2 N2O4


0
S (s): 72,1 167 229
S 0(g): 211 240 304

La tendenza si basa sul tipo di movimento disponibile agli atomi (o agli ioni) in
ciascun composto, che è in relazione con il numero di modi equivalenti in cui la
loro energia può essere distribuita, ovvero al numero di microstati. Per esempio,
come mostrato nella Figura 20.9, tra gli ossidi di azoto elencati sopra: i due atomi
in NO possono vibrare soltanto in un modo, l’uno verso l’altro e nel verso opposto;
i tre atomi in NO2 hanno parecchi moti vibrazionali; i sei atomi in N2O4 ne hanno
ancora di più.
Nel caso delle molecole più grandi, consideriamo anche come le parti della
molecola si muovono l’una rispetto all’altra. Una lunga catena idrocarburica può
ruotare e vibrare in un maggior numero di modi rispetto a una catena corta, quindi
l’entropia aumenta all’aumentare della lunghezza della catena. Un composto cicli-
co, come il ciclopentano (C5H10), ha un’entropia minore di quella del composto
lineare della stessa massa molare, in questo caso il pentene (C5H10), perché la strut-
tura ciclica limita la libertà di movimento.
CH4(g) C2H6(g) C3H8(g) C4H10(g) C5H10(g) C5H10(ciclo, g) C2H5OH(l)
0
S: 186 230 270 310 348 293 161

Si ricordi che queste tendenze valgono soltanto per sostanze nello stesso stato fisico.
Si noti, per esempio, che il metano (CH4) gassoso ha un’entropia maggiore di quella
dell’etanolo (C2H5OH) liquido, anche se le molecole di etanolo sono molto più com-
plesse. Quando si confrontano i gas con i liquidi, l’effetto dello stato fisico predomina
di solito su quello della complessità molecolare.
Figura 20.9 Entropia e moto
vibrazionale. Una molecola
biatomica, quale NO, può vibra-
re in un solo modo. NO2 può
vibrare in più modi e N2O4 in
un numero ancora maggiore di
modi. Perciò, quando il numero
di atomi aumenta, una molecola
può distribuire la sua energia
vibrazionale in un maggior
numero di modi e quindi ha una NO NO 2 N2O 4
maggiore entropia.

20txt.indd 684 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 685

Previsione dei valori relativi dell’entropia


PROBLEMA DI VERIFICA 20.1
Problema In ciascuna delle coppie seguenti, si scelga il membro con entropia maggiore e
si giustifichi la scelta fatta [si supponga che la temperatura sia costante, tranne che nella
parte (e)].
(a) 1 mol di SO2(g) o 1 mol di SO3(g)
(b) 1 mol di CO2(s) o 1 mol di CO2(g)
(c) 3 mol di ossigeno gassoso (O2) o 2 mol di ozono gassoso (O3)
(d) 1 mol di KBr(s) o 1 mol di KBr(aq)
(e) Acqua di mare a metà inverno a 2 °C o a metà estate a 23 °C
(f) 1 mol di CF4(g) o 1 mol di CCl4(g)
Piano Sappiamo che, in generale, i sistemi costituiti da particelle con maggiore libertà
di movimento o energia più dispersa hanno entropia maggiore e che l’entropia aumenta
all’aumentare della temperatura. Applichiamo le categorie generali descritte nel testo per
scegliere il membro con l’energia maggiore.
Risoluzione (a) 1 mol di SO3(g). Per numeri uguali di moli di sostanze con gli stessi tipi di
atomi nello stesso stato fisico, maggiore è il numero di atomi nella molecola, più numerosi
sono i tipi di moto accessibili, e quindi maggiore è l’entropia.
(b) 1 mol di CO2(g). Per una sostanza data, l’entropia aumenta nella sequenza s < l < g.
(c) 3 mol di O2(g). I due campioni contengono lo stesso numero di atomi di ossigeno, ma
differenti numeri di molecole. Nonostante la maggiore complessità di O3, in questo caso
predomina il maggior numero di molecole perché sono molto più numerosi i microstati
possibili per tre moli di particelle rispetto a due moli.
(d) 1 mol di KBr(aq). I due campioni hanno lo stesso numero di ioni, ma nel solido il loro
moto è molto più limitato e la loro energia molto meno dispersa.
(e) L’acqua di mare in estate. L’entropia aumenta all’aumentare della temperatura.
(f) 1 mol di CCl4(g). Per composti simili, l’entropia aumenta all’aumentare della massa
molare.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.1 Per 1 mol di sostanza a una data


temperatura, si scelga in ciascuna coppia il membro con l’entropia maggiore e si giustifichi
la scelta: (a) PCl3(g) o PCl5(g); (b) CaF2(s) o BaCl2(s); (c) Br2(g) o Br2(l).

20.2 CALCOLO DELLA VARIAZIONE DI ENTROPIA


DI UNA REAZIONE
Oltre a comprendere le tendenze dei valori di S0 per differenti sostanze o per la stessa
sostanza in differenti stati, i chimici sono particolarmente interessati a imparare a preve-
dere e a calcolare la variazione di entropia che si produce quando avviene una reazione.

Variazioni di entropia nel sistema: l’entropia standard


di una reazione (ΔS 0r)
In base ai concetti che abbiamo esaminato nel paragrafo precedente, possiamo spesso
prevedere il segno dell’entropia standard di reazione, ΔS r0, la variazione di entro-
pia che si ha quando reagenti e prodotti sono nei loro stati standard. Un fattore de-
cisivo è la variazione del numero di moli di gas. Poiché i gas hanno elevata libertà di
movimento e dunque elevate entropie molari, ΔS 0r è generalmente positivo se il numero
di moli di gas aumenta; ΔS 0r è generalmente negativo se il numero di moli di gas diminuisce.
Per esempio, quando H2(g) e I2(s) formano HI(g), il numero di moli totali rimane
costante, ma possiamo prevedere un aumento di entropia perché aumenta il nume-
ro di moli di gas:
H2 ( g ) + I 2 ( s ) ⎯ ⎯
→ 2HI( g ) ΔS r0 = S prodotti
0
− S reagenti
0
>0
Quando l’ammoniaca si forma a partire dai suoi elementi, 4 mol di gas producono
2 mol di gas. Perciò prevediamo che l’entropia diminuisca durante la reazione:

N 2 ( g ) + 3H2 ( g )  
 2NH3 ( g ) ΔS r0 = S prodotti
0
− S reagenti
0
<0

20txt.indd 685 17/05/19 08:53


686 Capitolo 20

Talvolta, anche quando il numero di moli di gas rimane costante, possiamo preve-
dere il segno della variazione di entropia considerando la variazione di libertà di
movimento. Per esempio, quando il ciclopropano viene riscaldato a 500 °C, l’anello
si apre e si forma il propene. La catena aperta ha più libertà di movimento rispetto
all’anello, quindi l’entropia del prodotto è maggiore di quella del reagente; cioè
l’entropia aumenta durante la reazione
CH2
'
H2C CH2(g) o CH3 CH CH2(g) 'S0r S 0prodotti  S 0reagenti ! 0
Si deve però sempre ricordare che, in generale, non si può prevedere il segno della
variazione di entropia associata a una reazione a meno che non ci sia variazione del
numero di moli di gas.
Si ricordi che, applicando la legge di Hess, possiamo combinare i valori di ΔH 0f
per trovare il calore standard di reazione, ΔH 0r. Analogamente, possiamo combinare
le entropie molari standard per trovare l’entropia standard di reazione, ΔS 0r:
ΔS r0 = ΣmS prodotti
0
− ΣnS reagenti
0
(20.4)
dove m e n sono le quantità delle singole specie, rappresentate dai loro coefficienti
nell’equazione bilanciata. Per la sintesi dell’ammoniaca, abbiamo

ΔS r0 = [(2 mol NH3 )( S 0 di NH3 )] − [(1 mol N 2 )( S 0 di N 2 ) + (3 mol N 2 )( S 0 di H2 )]


Consultando l’Appendice B, troviamo i valori appropriati di S0:
ΔS r0 = [(2 mol)(193 J/mol ⋅ K)]
− [(1 mol)(191,5 J/mol ⋅ K) + (3 mol)(130,6 J/mol ⋅ K)]
= −197 J/K
Come abbiamo previsto, ΔS 0r < 0.

Calcolo dell’entropia standard di reazione, ΔS 0r


PROBLEMA DI VERIFICA 20.2
Problema Si calcoli ΔS 0r per la combustione di 1 mol di propano a 25 °C:
C3H8 ( g ) + 5O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 3CO 2 ( g ) + 4H2O( l )
Piano Per determinare ΔS 0r, applichiamo l’Equazione 20.4. Prevediamo il segno di ΔS 0r dalla
variazione del numero di moli di gas: 6 mol di gas producono 3 mol di gas, quindi l’entropia
diminuirà (ΔS 0r < 0).
Risoluzione Calcolo di ΔS 0r. Usando i valori indicati nell’Appendice B:

=ΔS r0 [(3 mol CO 2 )( S 0 di CO 2 ) + (4 mol H2O)( S 0 di H2O)]


− [(1 mol C3H8 )( S 0 di C3H8 ) + (5 mol O 2 )( S 0 di O 2 )]
= [(3 mol)(213,7 J/mol ⋅ K) + (4 mol)(69, 9 J/mol ⋅ K)]
− [(1 mol)(269, 9 J/mol ⋅ K) + (5 mol)(205,0 J/mol ⋅ K)]
= −374 J/K
Verifica ΔS 0r < 0, quindi la nostra previsione è corretta. Arrotondando, otteniamo
[3(200) + 4(70)] − [270 + 5(200)] = 880 − 1270 = −390, vicino al valore calcolato.
Commento Abbiamo basato la nostra previsione sul fatto che i valori di S 0 dei gas sono
molto maggiori di quelli dei solidi o dei liquidi. (Ciò è di solito vero anche quando le fasi
condensate sono costituite da molecole più complesse). Però, quando la quantità (il numero
di moli) di gas rimane invariata, non siamo in grado di prevedere con certezza il segno di ΔS 0r.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.2 Si bilancino le seguenti equazio-


ni, si preveda il segno di ΔS 0r quando è possibile e si calcoli il suo valore a 25 °C.
(a) NaOH( s ) + CO 2 ( g ) ⎯ ⎯→ Na 2CO3 ( s ) + H2O( l )
(b) Fe( s ) + H2O( g ) ⎯ ⎯→ Fe2O3 ( s ) + H2 ( g )

20txt.indd 686 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 687

Variazioni di entropia dell’ambiente: l’altra parte del totale


In molte reazioni spontanee, come quelle che abbiamo appena esaminato per la
sintesi dell’ammoniaca e la combustione del propano, l’entropia dei sistemi reagenti
diminuisce (ΔS 0r < 0). La seconda legge stabilisce che l’entropia del sistema può di-
minuire soltanto se l’entropia dell’ambiente aumenta in misura superiore. Esaminiamo
l’influenza dell’ambiente sulla variazione totale di entropia.
Il ruolo essenziale dell’ambiente è quello di fornire oppure sottrarre calore al si-
stema. Essenzialmente, l’ambiente funge da enorme sorgente di calore o “pozzo” di
calore, così grande che la sua temperatura rimane costante, anche se la sua entropia
varia mediante la cessione o l’acquisto di calore. L’ambiente partecipa alle variazioni
di entalpia in due modi possibili.
1. Trasformazione esotermica. Il calore ceduto dal sistema è acquistato dall’am-
biente. L’acquisto di calore da parte dell’ambiente aumenta in esso il movi-
mento casuale delle particelle che disperdono la loro energia, quindi l’entropia
dell’ambiente au­menta.
Per una trasformazione esotermica:
qsistema < 0, qambiente > 0 e ΔS ambiente > 0

2. Trasformazione endotermica. Il calore acquistato dal sistema è ceduto dall’am-


biente. La cessione di calore da parte dell’ambiente riduce la libertà di movi-
mento delle particelle che lo costituiscono, localizzando la loro energia, quindi
l’entropia dell’ambiente diminuisce.
Per una trasformazione endotermica:
qsistema > 0, qambiente < 0 e ΔS ambiente < 0

La variazione di entropia dell’ambiente è direttamente proporzionale alla quantità


di calore trasferita al o dal sistema e, ciò che più importa, a una variazione opposta
di calore del sistema.
Anche la temperatura dell’ambiente prima del trasferimento di calore a o da esso
influenza ΔSambiente. Consideriamo l’effetto di una reazione esotermica a una tempera-
tura bassa e a una temperatura alta. A una temperatura bassa, per esempio a 20 K, il
movimento casuale delle particelle nell’ambiente è molto ridotto, quindi un’energia
relativamente piccola è dispersa in un piccolo numero di microstati. A una tempera-
tura più alta, per esempio a 298 K, l’energia dell’ambiente è già relativamente dispersa,
c’è un maggior numero di microstati, quindi il trasferimento della stessa quantità di
calore ha un effetto minore sulla quantità di energia dispersa. In altre parole, la varia-
zione di entropia dell’ambiente è maggiore quando gli è fornito calore a una tempe-
ratura più bassa. Perciò, riunendo questi concetti, la variazione di entropia dell’ambiente
è direttamente proporzionale a una variazione opposta di calore del sistema e inversamente
proporzionale alla temperatura dell’ambiente prima del trasferimento del calore. Combinan-
do queste relazioni, otteniamo un’equazione molto simile all’Equazione 20.2:
qsistema
ΔS ambiente = −
T
Si ricordi che, per una trasformazione a pressione costante, la quantità di calore (qP)
è ΔH, quindi
ΔH sistema
ΔS ambiente = − (20.5)
T
Ciò significa che siamo in grado di calcolare ΔSambiente misurando ΔHsistema e la tem-
peratura T a cui avviene la trasformazione.
Per riaffermare il punto centrale, se una reazione spontanea ha una ΔSsistema ne-
gativa (energia dispersa su un numero minore di microstati), ΔSambiente deve essere
positiva a sufficienza (energia dispersa su un numero maggiore di microstati) affin-
ché ΔSUniverso sia positiva (energia dell’Universo dispersa su un numero maggiore

20txt.indd 687 17/05/19 08:53


688 Capitolo 20

di microstati). Il Problema di verifica 20.3 illustra questa situazione per una delle
reazioni che abbiamo considerato precedentemente.

Determinazione della spontaneità di una reazione


PROBLEMA DI VERIFICA 20.3
Problema A 298 K, la formazione di ammoniaca ha una ΔS 0sistema negativa:
N 2 ( g ) + 3H2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2NH3 ( g ) ΔS sistema
0
= −197 J/K
Si calcoliΔS 0Universo e si stabilisca se la reazione avviene spontaneamente a questa temperatura.
Piano Affinché la reazione avvenga spontaneamente, ΔS 0Universo > 0, quindi ΔS 0ambiente deve
essere maggiore di +197 J/K. Per trovare ΔS 0ambiente dobbiamo conoscere ΔH0sistema che è
uguale a ΔS0r. Usiamo i valori di ΔH0f indicati nell’Appendice B per trovare ΔH0r. Poi usiamo
questo valore calcolato di ΔH0r e la temperatura data T (298 K) per trovare ΔS 0ambiente. Per
trovare ΔS 0Universo, sommiamo la ΔS 0ambiente calcolata e la ΔS 0sistema data (−197 J/K).
Risoluzione Calcolo di ΔH0sistema:
ΔH sistema
0
= ΔH r0
400 = [(2 mol NH3 )(−45,9 kJ/mol)] − [(3 mol H2 )(0 kJ/mol) + (1 mol N 2 )(0 kJ/mol)]
300 = −91,8 kJ
'S DPELHQWH

200 Calcolo di ΔS 0ambiente:


1100 J
−91,8 kJ ×
S 0(J/K)

100
'S XQLYHUVR
ΔH sistema
0
1 kJ
ΔS ambiente
0
= =− = 308 J/K
0
T 298
'S VLVWHPD Determinazione di ΔS 0Universo:
–100
ΔS Universo
0
= ΔS sistema
0
+ ΔS ambiente
0
= −197 J/K + 308 J/K =
111 J/K
–200
ΔS 0Universo > 0, quindi la reazione avviene spontaneamente a 298 K (vedi figura a margine).
Verifica Arrotondando per verificare l’algebra, otteniamo:
ΔH r0  2 (−45 kJ) = −90 kJ
ΔS ambiente
0
 −(−90000 J) /300 K = 300 J/K
ΔS Universo
0
 −200 J/K + 300 J/K =
100 J/K
Dato il ΔH 0r, negativo, il principio di Le Châtelier prevede che la bassa temperatura dovreb-
be favorire la formazione di NH3 e quindi la risposta è ragionevole (vedi la scheda Chimica
nella produzione industriale, sul processo Haber, Capitolo 17, pp. 591-592).
Commento 1. Si noti che l’unità di misura di ΔH 0 è il kilojoule (kJ), mentre l’unità di misu-
ra di ΔS0 è il joule su kelvin (J/K), quindi non si deve dimenticare di convertire i kilojoule
in joule perché altrimenti si introdurrebbe un grande errore.
2. Questo esempio pone in rilievo la distinzione tra considerazioni termodinamiche e con-
siderazioni cinetiche. Anche se NH3 si forma spontaneamente, lo fa lentamente; l’industria
chimica spende molto per catalizzare la sua formazione affinché possa essere prodotta a una
velocità d’impiego pratico.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.3 L’ossidazione di FeO(s) a Fe2O3(s)


avviene spontaneamente a 298 K?

Come mostra il Problema di verifica 20.3, è cruciale tenere conto dell’ambiente per
determinare la spontaneità di una reazione. Inoltre, chiarisce la pertinenza della
termodinamica per la biologia, come mostra la scheda Chimica in biologia (p. 690).

La variazione di entropia e lo stato di equilibrio


Quando una trasformazione sta procedendo spontaneamente verso l’equilibrio, si
ha ΔSUniverso > 0. Quando quella trasformazione raggiunge l’equilibrio, cessa di
agire ogni “forza motrice” tendente a farla procedere ulteriormente e, quindi, ces-
sa ogni variazione netta nell’uno o nell’altro verso; cioè ΔSUniverso = 0. A questo

20txt.indd 688 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 689

punto, ogni variazione di entropia del sistema è bilanciata esattamente da una


variazione di entropia opposta dell’ambiente.
All’equilibrio: ΔS Universo = ΔS sistema + ΔS ambiente = 0 ossia ΔS sistema = −ΔS ambiente
Calcoliamo, per esempio, ΔS 0Universo per una transizione di fase. Per la vaporizzazio-
ne-condensazione di 1 mol di acqua a 100 °C (373 K),

H2O( l ; 373 K)  
 H2O( g ; 373 K)
In primo luogo, troviamo ΔS 0Universo per la trasformazione diretta (vaporizzazione)
calcolando ΔS 0sistema:
ΔS sistema
0
= ΣmS prodotti
0
− ΣnS reagenti
0
= S 0 di H2O( g ; 373 K) − S 0 di H2O( l ; 373 K)

= 195,9 J/K − 86,8 J/K = 109,1 J/K


Come ci attendevamo, l’entropia del sistema aumenta (ΔS 0sistema > 0) quando il
liquido assorbe calore e si trasforma in un gas.
Per ΔS 0ambiente, abbiamo:
ΔH sistema
0
ΔS ambiente
0
=−
T
dove ΔH 0sistema = ΔH 0vap a 373 K = 40,7 kJ/mol = 40,7  ×  103 J/mol. Per 1 mol di
acqua, abbiamo:
ΔH vap
0
40,7 ×103 J
ΔS ambiente
0
=− =− = −109 J/K
T 373 K
L’ambiente cede calore e il segno negativo indica che l’entropia dell’ambiente diminui­
sce. Le due variazioni di entropia hanno lo stesso valore assoluto ma segno opposto:

ΔS=
0
Universo 109 J/K + (−109 J/K) = 0

Per la trasformazione inversa (condensazione), ΔS 0Universo è anch’essa uguale a zero,


ma ΔS 0sistema e ΔS 0ambiente hanno segni opposti a quelli per la vaporizzazione. Una
trattazione simile per una trasformazione chimica dà lo stesso risultato: la variazio-
ne di entropia della reazione diretta è uguale in valore assoluto ma opposta in segno
alla variazione di entropia della reazione inversa. Perciò, quando un sistema raggiunge
l’equilibrio, né la reazione diretta né la reazione inversa è spontanea, e nessuna delle due
procede ulteriormente.

Reazioni spontanee esotermiche ed endotermiche: un riepilogo


Ora siamo in grado di capire perché avvengono sia reazioni esotermiche sia reazioni
endotermiche spontanee. Indipendentemente da quale sia la variazione di entalpia,
una reazione avviene perché l’entropia totale, del sistema reagente e del suo am-
biente, aumenta. Sussistono due possibilità.
1. Per una reazione esotermica (ΔHsistema < 0), il sistema cede calore che aumenta la
libertà di movimento, la dispersione di energia e, dunque, l’entropia dell’ambiente
(ΔSambiente > 0).
• Se il sistema reagente forma prodotti la cui entropia è maggiore di quella dei
reagenti (ΔSsistema > 0), la variazione di entropia totale (ΔSsistema + ΔSambiente)
sarà positiva, come illustrato nella Figura 20.10A. Per esempio, nell’ossidazione
del glucosio, che è una reazione essenziale per tutti gli organismi superiori,
C6H12O6 ( s ) + 6O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 6CO 2 ( g ) + 6H2O( g ) + calore

6 mol di gas producono 12 mol di gas; perciò, ΔSsistema > 0, ΔSambiente > 0 e
ΔSUniverso > 0.
• D’altra parte, se l’entropia del sistema diminuisce quando avviene la reazione
(ΔSsistema < 0), l’entropia dell’ambiente deve aumentare in misura maggiore

20txt.indd 689 17/05/19 08:53


La chimica nelle altre scienze
Chimica in biologia

Gli esseri viventi ubbidiscono alle leggi della termodinamica?


Gli organismi possono essere considerati come macchine cessarie a sintetizzare biopolimeri dai monomeri. La crescita
chimiche che si sono evolute estraendo energia dall’am- di un organismo e l’evoluzione della vita sono forse ecce-
biente nel modo più efficiente possibile. Secondo questa zioni alla tendenza delle trasformazioni naturali a disperde-
concezione meccanicistica, tutte le trasformazioni, che im- re l’energia e aumentare la libertà dei moti molecolari? La
plichino sistemi viventi o non viventi, sono compatibili con biologia viola forse la seconda legge della termodinamica?
i principi della termodinamica. Però, quando sono applicati Nient’affatto, se consideriamo il sistema e il suo ambiente.
agli animali e alle piante, questi concetti sembrano tutt’altro Affinché un organismo cresca o una specie si evolva, innu-
che ovvi. Esaminiamo la prima e la seconda legge della ter- merevoli moli di molecole alimentari – carboidrati, proteine
modinamica per vedere se valgano per gli organismi viventi. e grassi – e molecole di ossigeno subiscono la combustione
Gli organismi ubbidiscono di certo alla prima legge per formare un numero molto maggiore di moli di CO2 e di
della termodinamica. L’energia dei legami chimici nei cibi H2O gassosi. La formazione e l’eliminazione di questi gas di
viene convertita in energia meccanica della germogliazio- rifiuto (catabolici) rappresentano un enorme aumento net-
ne, dell’arrampicamento, del nuoto e di innumerevoli altri to dell’entropia dell’ambiente, così come lo rappresenta il
movimenti; in energia elettrica della conduzione nervosa; calore rilasciato dalle reazioni di ossidoriduzione esotermi-
nell’energia termica del riscaldamento del corpo e così via. che coinvolte. Perciò, la localizzazione dell’energia e la ridu-
Molti esperimenti hanno mostrato che in tutte queste con- zione dei moti molecolari che si manifestano nella crescita
versioni energetiche l’energia totale si conserva. Alcuni degli spontanea degli organismi e nella loro evoluzione avviene
studi più recenti su questo problema furono condotti da a spese dell’ambiente, costituito in questo caso dalla Terra
Lavoisier, che incluse la respirazione animale nella sua nuova e dal Sole. Quando il sistema e l’ambiente sono considerati
teoria della combustione. Lavoisier fu il primo a mostrare insieme, l’entropia dell’Universo aumenta, come sempre.
che il “calore animale” era prodotto da un lento processo di
combustione che avveniva continuamente nel corpo dell’a-
nimale. In esperimenti con le cavie, misurò l’assunzione di
cibo e O2 e il rilascio di H2O e calore, per i quali inventò un
calorimetro basato sulla fusione del ghiaccio e stabilì i prin-
cipi e i metodi per la misurazione della velocità metabolica
basale (metabolismo basale). Esperimenti moderni in cui vie-
ne usato un calorimetro grande a sufficienza per contenere
un essere umano che compie esercizio fisico continuano a
confermare la conservazione dell’energia (Figura S20.1).
Ma può non sembrare altrettanto chiaro che un orga-
nismo o, quanto a ciò, la totalità delle forme di vita, ubbidi-
sca alla seconda legge della termodinamica. Gli esseri umani
maturi sono molto più complessi della cellula uovo e dello
spermatozoo da cui si sviluppano. Gli organismi moderni
sono sistemi molto più complessi degli organismi ancestra- Figura S20.1 Un calorimetro a corpo intero. In questo
li unicellulari da cui si sono evoluti. L’energia deve esse- apparecchio della grandezza di una stanza, un soggetto compie
re localizzata su pochissimi microstati e le macromolecole esercizio fisico mentre vengono monitorati i gas respiratori,
debbono avere pochissima libertà di moto per trovarsi nelle ­l’energia a­cquistata e ceduta, e altre variabili fisiologiche.
condizioni necessarie a far avvenire le miriadi di reazioni ne- (Foto: © Vanderbilt University-Clinical Nutrition Research).

(ΔSambiente  0) per rendere positiva la ΔS totale, come illustrato nella Figu­-


ra 20.10B. Per esempio, quando l’ossido di calcio solido e il diossido di carbonio
gassoso formano carbonato di calcio,
CaO( s ) + CO 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CaCO3 ( s ) + calore

L’entropia del sistema diminuisce perché la quantità (il numero di moli) di gas
diminuisce. Però, il calore ceduto fa aumentare ancor più l’entropia dell’am-
biente; perciò, ΔSsistema < 0, ma ΔSambiente  0, quindi ΔSUniverso > 0.
2. Per una reazione endotermica (ΔHsistema > 0), il calore ceduto dall’ambiente dimi­
nuisce la libertà del moto molecolare e la dispersione di energia dell’ambiente stes-
so, diminuendo così la sua entropia (ΔSambiente < 0). Perciò, l’unico modo in cui una
reazione endotermica può avvenire spontaneamente è che ΔSsistema sia positivo e

20txt.indd 690 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 691

'H 0sistema  0 'H 0sistema 0 'H 0sistema! 0

'S 0ambiente
'S 0universo 'S 0ambiente

S0 S0 'S 0universo S0
'S 0sistema 'S 0ambiente 'S 0universo
0 0 0
'S 0sistema 'S 0ambiente

A B C

Figura 20.10 Componenti di ΔS 0sistema


per le reazioni spontanee. Affinché una reazione avvenga spontaneamente, ΔS 0Universo
deve essere positiva. A. Una reazione esotermica in cui il sistema diventa più disordinato; il valore di ΔS 0ambiente non è importante.
B. Una reazione esotermica in cui il sistema diventa più ordinato; ΔS 0ambiente deve essere maggiore di ΔS 0sistema. C. Una reazione
endotermica in cui il sistema diventa più disordinato; ΔS 0ambiente deve essere minore di ΔS 0sistema.

sufficientemente grande da compensare la ΔSambiente negativa (ΔSsistema  0), come


mostrato nella Figura 20.10C.
• Nei processi di soluzione di molti composti ionici, viene assorbito calore per
formare la soluzione, quindi l’entropia dell’ambiente diminuisce (ΔSambiente < 0).
Però, quando il solido cristallino si trasforma in ioni dispersi nella soluzione e
liberi di muoversi, l’aumento di entropia (ΔSsistema  0) più che compensa la
ΔSambiente negativa. Perciò, ΔSUniverso è positiva.
• Le reazioni chimiche endotermiche spontanee hanno caratteristiche simili. Per
esempio, nella reazione tra idrossido di bario ottaidrato e nitrato di ammonio (vedi
Figura 20.1),
calore + Ba(OH2 ) ⋅ 8H2O( s ) + 2NH4 NO3 ( s ) ⎯ ⎯

Ba 2+ ( aq ) + 2NO−3 ( aq ) + 2NH3 ( aq ) + 10H2O( l )

3 mol di solidi cristallini assorbono calore dall’ambiente (ΔSambiente > 0) e produ-


cono 15 mol di ioni disciolti e molecole, aumentando così notevolmente la liber-
tà di muoversi e l’entropia del sistema (ΔSsistema  0).

20.3 ENTROPIA, ENERGIA LIBERA E LAVORO


Eseguendo due misure distinte, di ΔSsistema e di ΔSambiente, siamo in grado di preve-
dere se una reazione sarà spontanea a una particolare temperatura. Ma sarebbe utile
avere un unico criterio per la spontaneità che valga soltanto per il sistema. L’energia
libera di Gibbs, detta anche, più semplicemente, energia libera (G), è una funzio-
ne che combina l’entalpia e l’entropia del sistema:
G = H − TS
Questa funzione, che prende il nome da quello del fisico, matematico e chimico-
GRANDEZZA E OSCURITÀ
fisico statunitense Josiah Willard Gibbs, che la propose e pose le fondamenta della DI JOSIAH WILLARD
termodinamica chimica, è il criterio che stavamo cercando. GIBBS

Variazione di energia libera e spontaneità di una reazione


La variazione di energia libera (ΔG) è una misura della spontaneità di una trasforma-
zione e dell’energia utile che se ne può ottenere. Vediamo come si deduce la variazione
di energia libera dalla seconda legge della termodinamica. Per definizione, la varia-
zione di entropia dell’Universo è la somma delle variazioni di entropia del sistema
e dell’ambiente:
ΔS Universo = ΔS sistema + ΔS ambiente
A pressione costante,
ΔH sistema
ΔS ambiente = −
T

20txt.indd 691 17/05/19 08:53


692 Capitolo 20

Sostituendo questa espressione di ΔSambiente nell’equazione precedente, otteniamo


una relazione che ci permette di concentrare l’attenzione unicamente sul sistema:
ΔH sistema
ΔS Universo = ΔS sistema −
T
Moltiplicando entrambi i membri per −T, otteniamo
−TΔS Universo = ΔH sistema − TΔS sistema
Ora possiamo introdurre la nuova grandezza energia libera per sostituire i termini di
entalpia ed entropia. Dalla relazione G = H − TS, l’equazione di Gibbs indica la varia-
zione di energia libera del sistema (ΔGsistema) a temperatura e a pressione costanti:
ΔGsistema = ΔH sistema − TΔS sistema (20.6)

Combinando questa equazione con quella precedente, otteniamo che


−TΔS Universo = ΔH sistema − TΔS sistema = ΔGsistema

Dimostriamo che il segno di ΔG indica se una reazione è spontanea. Infatti, la seconda


legge stabilisce che:
• ΔSUniverso > 0 per una trasformazione spontanea;
• ΔSUniverso < 0 per una trasformazione non spontanea;
• ΔSUniverso = 0 per una trasformazione all’equilibrio.
Ovviamente, la temperatura assoluta è sempre positiva, quindi
TΔS Universo > 0 oppure − TΔS Universo < 0 per una trasformazione spontanea

Poiché ΔG = −TΔSUniverso, concludiamo che:


• ΔG < 0 per una trasformazione spontanea;
• ΔG > 0 per una trasformazione non spontanea;
• ΔG = 0 per una trasformazione all’equilibrio.
Un punto importante da tenere presente è che, se una trasformazione è non sponta-
nea in una direzione (ΔG > 0), è spontanea nella direzione opposta (ΔG < 0). Usan-
do ΔG, non abbiamo introdotto concetti nuovi, ma abbiamo sviluppato un modo
nuovo di prevedere la spontaneità di una reazione con una sola variabile (ΔGsistema)
invece che con due (ΔSsistema e ΔSambiente).
Come abbiamo notato all’inizio del capitolo, il grado di spontaneità di una rea-
zione – cioè il segno e il valore assoluto di ΔG – non fornisce alcuna informazione
sulla sua velocità. Si ricordi che alcune reazioni spontanee sono estremamente len-
te. Per esempio, la reazione tra H2(g) e O2(g) a temperatura ambiente è altamente
spontanea – ΔG è negativa e ha un grande valore assoluto – ma in assenza di un
catalizzatore o di una fiamma, il grado di avanzamento della reazione non è apprez-
zabile perché la velocità è molto bassa.

Calcolare le variazioni di energia libera standard


L’energia libera (G), combinando tre funzioni di stato, H, S e T, è anch’essa una
funzione di stato. Come nel caso dell’entalpia, ci interessano soltanto le variazioni
di energia libera (ΔG).
La variazione di energia libera standard Come per le altre variabili termo-
dinamiche, per confrontare le variazioni di energia libera di differenti reazioni,
calcoliamo la variazione di energia libera standard (ΔG0), che si ha quando
tutti i componenti del sistema sono nei loro stati standard. Adattando l’equazione
di Gibbs (20.5), otteniamo
ΔGsistema
0
= ΔH sistema
0
− TΔS sistema
0
(20.7)

20txt.indd 692 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 693

Questa importante relazione è usata spesso per trovare una qualsiasi di queste tre
variabili termodinamiche fondamentali quando si conoscono le altre due. Appli-
chiamo questa relazione in un problema di verifica.

Calcolo di ΔG0 in base ai valori dell’entalpia e dell’entropia


PROBLEMA DI VERIFICA 20.4
Problema Il clorato di potassio, uno degli agenti ossidanti comuni negli esplosivi, nei fuochi
d’artificio (vedi fotografia) e nelle capocchie dei fiammiferi, subisce una reazione di ossidoridu-
zione nello stato solido quando viene riscaldato. Si noti che, in questa reazione, il numero di ossi-
dazione di Cl nel reagente è più alto in uno dei prodotti e più basso nell’altro (disproporzione):
+5 +7 −1
Δ
4KClO3 ( s ) ⎯ ⎯ → 3KClO 4 ( s ) + KCl( s )
Si usino i valori di ΔH 0f e S 0 per calcolare ΔG 0sistema (ΔG 0r) a 25°C per questa reazione.
Piano Per risolvere rispetto a ΔG 0, dobbiamo conoscere i valori indicati nell’Appendice B.
Usiamo i valori di ΔH 0f per calcolare ΔH 0r (ΔH0sistema), usiamo i valori di S 0 per calcolare ΔS0r
(ΔS0sistema), poi applichiamo l’Equazione 20.7.
Risoluzione Calcolo di ΔH 0sistema in base ai valori di ΔH 0f (con l’Equazione 6.8):
ΔH sistema
0
= ΔH r0 = ΣmΔH f0(prodotti) − ΣnΔH f0(reagenti)
= [(3 mol KClO 4 )( ΔH f0 di KClO 4 ) + (1 mol KCl)( ΔH f0 di KCl)]
− [(4 mol KClO3 )( ΔH f0 di KClO3 )]
= [(3 mol)(−432,8 kJ/mol) + (1 mol)(−436,7 kJ/mol)]
− [(4 mol)(−397,7 kJ/mol)] Il clorato di potassio è l’agente
= −144, 2 kJ ossidante nei fuochi d’artificio.
(Foto: © Lena Kofoed).
Calcolo di ΔS 0sistema in base ai valori di S 0 (con l’Equazione 20.4):
=
ΔS sistema
0
= ΔS r0 [(3 mol KClO 4 )( S 0 di KClO 4 ) + (1 mol KCl)( S 0 di KCl)]
− [(4 mol KClO3 )( S 0 di KClO3 )]
= [(3 mol)(151,0 J/mol ⋅ K) + (1 mol)(82, 6 J/mol ⋅ K)]
− [(4 mol)(143,1 J/mol ⋅ K)]
= −36,8 J/K
Calcolo di ΔG 0sistema a 298 K:
⎡ ⎛ 1 kJ ⎞⎟⎤
ΔGsistema
0
= ΔH sistema
0
− TΔS sistema
0
= −144,2 kJ − ⎢⎢(298 K)(−36,8 J/K)⎜⎜⎜ ⎟⎟⎥ = −133,2 kJ
⎢⎣ ⎝1000 J ⎟⎠⎥⎥⎦
Verifica La reazione è spontanea, il che è compatibile con ΔG 0 < 0. Arrotondiamo per
verificare l’algebra:
ΔH 0 ⎡⎣ 3(−433 kJ) + (−440 kJ)⎤⎦ − ⎡⎣ 4 (−400 kJ)⎤⎦ = −1740 kJ + 1600 kJ = −140 kJ
ΔS 0  ⎡⎣3(150 J/K) + 85 J/K ⎤⎦ − ⎡⎣ 4 (145 J/K)⎤⎦ = 535 J/K − 580 J/K = −45 J/K
ΔG 0  −140 kJ − 300 K (−0,04 kJ/K) = −140 kJ + 12 kJ = −128 kJ
Tutti i valori sono vicini a quelli calcolati. Un altro modo di calcolare ΔG 0 per questa rea-
zione è presentato nel Problema di verifica 20.5.
Commento 1. Per una reazione spontanea, in qualsiasi condizione, la variazione di energia
libera, ΔG, è negativa. La variazione di energia libera standard è negativa per una reazione
spontanea in condizioni standard, cioè ΔG 0 < 0.
2. La reazione è spontanea, ma la velocità di reazione è estremamente bassa perché il tra-
sferimento richiesto di un atomo di O non avviene facilmente nel solido. Quando KClO3
viene riscaldato lievemente al di sopra della sua temperatura di fusione, gli ioni sono liberi
di muoversi e la reazione avviene facilmente.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.4 Si determini la variazione di ener-


gia libera standard a 298 K per la reazione 2NO( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2NO 2 ( g ) .

L’energia libera standard di formazione Un altro modo di calcolare ΔG 0r è usa­-


re valori dell’energia libera standard di formazione (ΔG 0f) dei componenti; ΔG 0f
è la variazione di energia libera che avviene quando viene formata 1 mol di compo­-

20txt.indd 693 17/05/19 08:53


694 Capitolo 20

sto a partire dai suoi elementi, con tutti i componenti nei loro stati standard. Poi­-
ché l’energia libera è una funzione di stato, possiamo combinare i valori di ΔG 0f
dei reagenti e dei prodotti per calcolare ΔG 0r indipendentemente dal cammino di
reazione:
ΔGr0 = ΣmΔGf0(prodotti) − ΣnΔGf0(reagenti) (20.8)

I valori di ΔG 0f hanno proprietà simili a quelle dei valori di ΔH0f.


• ΔG 0f di un elemento nel suo stato standard è zero.
• Un coefficiente dell’equazione (m o n nell’Equazione 20.8) moltiplica ΔG 0f
per quel numero.
• Invertendo una reazione, si cambia il segno di ΔG 0f.
Molti valori di ΔG 0f sono forniti insieme a quelli di ΔH0f e di S0 nell’Appendice B.

Calcolo di ΔG 0r in base ai valori di ΔG 0f


PROBLEMA DI VERIFICA 20.5
Problema Si usino i valori di ΔG 0f per calcolare ΔG 0r per la reazione del Problema di veri-
fica 20.4:
4KClO3 ( s ) ⎯ ⎯→ 3KClO 4 ( s ) + KCl( s )
Piano Applichiamo l’Equazione 20.8 per calcolare ΔG 0r.
Risoluzione
ΔGr0 = ΣmΔGf0(prodotti) − ΣnΔGf0(reagenti)
= [(3 mol KClO 4 )( ΔGf0 di KClO 4 ) + (1 mol KCl)( ΔGf0 di KCl)]
− [(4 mol KClO3 )( ΔGf0 di KClO3 )]
= [(3 mol)(−303,2 kJ/mol) + (1 mol)(−409,2 kJ/mol)]
− [(4 mol)(−296,3 kJ/mol)]
= −134 kJ
Verifica Arrotondiamo per verificare l’algebra:
ΔGr0  [3(−300 kJ) + 1(−400 kJ)] − 4(−300 kJ)
= −1300 kJ + 1200 kJ =
−100 kJ
Commento La lieve discrepanza tra questo valore e quello nel Problema di verifica 20.4
rientra nell’errore sperimentale. Come si può vedere, quando sono disponibili i valori di ΔG 0f
per una reazione che avviene a 25 °C, questo metodo è più semplice del calcolo presentato
nel Problema di verifica 20.4.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.5 Si usino i valori di ΔG 0f per calco-


lare la variazione di energia libera a 25 °C per ciascuna delle seguenti reazioni.
(a) 2NO( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2NO 2 ( g ) (dal Problema di approfondimento 20.4)
(b) 2C(grafite) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2CO( g )

ΔG e lavoro che un sistema può compiere


Si ricordi che la termodinamica nacque subito dopo l’invenzione della macchina a
vapore, e che una delle relazioni di maggiore importanza pratica in questo campo è
quella tra variazione di energia libera e lavoro che un sistema può compiere.
• Per una trasformazione spontanea, ΔG è la quantità massima di lavoro che si può
ottenere dal sistema (−w) quando avviene la trasformazione:
ΔG = −wmax (20.9)
• Per una trasformazione non spontanea, ΔG è la quantità minima di lavoro che si
deve compiere sul sistema per fare avvenire il processo.
Che cosa s’intende per “quantità massima di lavoro ottenibile”, e che cosa determi-
na questo limite? La variazione di energia libera è la quantità massima di la­vo­ro che

20txt.indd 694 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 695

il sistema può compiere potenzialmente. Ma il lavoro che il sistema com­pie effettiva- gas a Viniziale
mente dipende da come viene rilasciata l’energia libera. Per comprenderlo, conside-
riamo prima una trasformazione non chimica. Supponiamo che un gas sia confinato
in un cilindro, a un volume iniziale Viniziale = 0, da uno stantuffo collegato a un peso
di massa di 1 kg (vedi figura a margine). Quando il gas si espande e solleva il peso, la
sua pressione viene equilibrata dal peso a un volume finale Vfinale. Il gas ha sollevato
il peso in un solo stadio, compiendo così una certa quantità di lavoro. Il gas, espan-
dendosi, può compiere più lavoro sollevando un peso di massa 2 kg alla metà di
Vfinale; il peso di 2 kg viene poi sostituito con il peso di 1 kg, che il gas solleva per il
gas a Vfinale
resto del cammino fino a Vfinale; cioè, Vfinale viene raggiunto in due stadi. Analogamen-
te, il gas può compiere una quantità di lavoro ancora maggiore sollevando un peso di
3 kg fino a un terzo di Vfinale, il peso di 2 kg fino a un mezzo di Vfinale e poi un peso
di 1 kg per il resto del cammino fino a Vfinale, cioè in tre stadi. All’aumentare del
Un gas, espandendosi, può
numero di stadi, aumenta la quantità di lavoro compiuta dal gas. Il gas compirebbe compiere lavoro sollevando un peso.
molto più lavoro, quasi il massimo, se i pesi fossero sostituiti da un contenitore
pieno di sabbia il cui peso venisse variato sistematicamente aggiungendo un gra-
nello di sabbia per volta, come abbiamo visto precedentemente. In questo modo il
gas solleverebbe il contenitore in un numero elevatissimo di stadi. Al limite, il gas
compirebbe la quantità massima possibile di lavoro sollevando pesi in un numero
infinito di stadi. Si noti che, in questa trasformazione ipotetica, un aumento infini-
tesimo del peso in qualsiasi stadio invertirebbe l’espansione.
In generale, una trasformazione reversibile è una trasformazione che può essere in-
vertita nell’una o nell’altra direzione da una variazione infinitesima di una variabile. La
quantità massima di lavoro compiuta da una trasformazione spontanea si ottiene soltanto
se il lavoro è compiuto reversibilmente.
Ovviamente, in ogni trasformazione reale, il lavoro è compiuto irreversibilmente,
cioè in un numero finito di stadi, quindi non si può mai ottenere la quantità massima
di lavoro. L’energia libera non utilizzata per compiere lavoro si manifesta come ca-
lore ceduto all’ambiente. Questa energia “inutilizzata” è una conseguenza di ogni
trasformazione spontanea reale.
Consideriamo due esempi di sistemi che utilizzano una reazione chimica per
compiere lavoro: un motore di automobile e una batteria elettrica. Quando la ben-
zina (rappresentata dall’ottano) viene bruciata nel motore a combustione interna di
un’automobile,
C8H18 ( l ) + 25
2 O2 ( g) ⎯ ⎯
→ 8CO2 ( g ) + 9H2O( g ),

viene ceduta una grande quantità di energia sotto forma di calore (ΔHsistema < 0) e, poi-
ché il numero di moli di gas aumenta, l’entropia del sistema aumenta (ΔSsistema > 0).
Questa reazione è spontanea (ΔGsistema < 0) a tutte le temperature. L’energia libera
disponibile compie lavoro facendo girare le ruote, muovere le cinghie, ricaricare
la batteria e così via. Però, soltanto se l’energia libera è rilasciata reversibilmente,
cioè in una serie di stadi infinitesimi, otteniamo realmente la quantità massima di
lavoro di­sponibile da questa reazione. In realtà, la trasformazione si svolge irrever-
sibilmente e molta dell’energia libera totale serve soltanto a riscaldare il motore e
l’aria esterna, il che aumenta la libertà di movimento delle particelle nell’Universo,
in accordo con la seconda legge della termodinamica.
Una batteria elettrica è essenzialmente una reazione di ossidoriduzione spon-
tanea “impacchettata” che cede energia libera all’ambiente (torcia elettrica, radio-
ricevitore, motore elettrico ecc.). Se colleghiamo i terminali (poli) della batteria
l’uno all’altro mediante un filo conduttore, la variazione di energia libera viene
rilasciata tutta immediatamente ma non compie lavoro: riscalda semplicemente il
filo conduttore e la batteria stessa. Se colleghiamo i poli della batteria a un motore
elettrico, l’energia libera viene rilasciata più lentamente, e una parte rilevante di
essa fa girare il motore, ma una parte si converte ancora in calore nella batteria e nel
motore. Se scarichiamo la batteria ancora più lentamente, una maggiore frazione
della variazione di energia libera compie lavoro e una minore frazione si converte

20txt.indd 695 17/05/19 08:53


696 Capitolo 20

• L’ampio intervallo dei


rendimenti energetici Secondo
in calore, ma soltanto quando la batteria si scarica in modo infinitamente lento
possiamo ottenere il lavoro massimo.
una definizione, il rendimento (o Questo è il compromesso che tutti gli ingegneri e i progettisti di macchine
“efficienza”) di un dispositivo è la devono affrontare: nel mondo reale, una parte dell’energia libera si converte sempre in
percentuale di energia in entrata
calore e quindi non è “utilizzata”: nessuna trasformazione reale utilizza tutta l’energia
nel dispositivo che si traduce in
lavoro in uscita dal dispositivo. libera disponibile per compiere lavoro.
L’in­tervallo di rendimenti è enorme Riassumiamo la relazione tra la variazione di energia libera di una reazione e la
per i “sistemi di conversione ener- quantità di lavoro che essa è effettivamente capace di compiere.
getica” di uso comune nella nostra
società. Per esempio, una comune • Una reazione spontanea (ΔGsistema < 0) avviene e può compiere lavoro sull’am-
lampada elettrica a incandescenza biente. Però, in ogni macchina reale, la quantità di lavoro ottenuta dalla reazio-
converte in energia luminosa sol- ne è sempre minore della quantità massima ottenibile perché una parte della ΔG
tanto il 5% dell’energia elettrica che
rilasciata viene ceduta sotto forma di calore.
assorbe, mentre il resto viene emes-
so sotto forma di calore. All’altro • Una reazione non spontanea (ΔGsistema > 0) avviene soltanto se l’ambiente
estremo, un grande generatore elet- compie lavoro su di essa. Però, in ogni macchina reale, la quantità di lavoro
trico converte in energia elettrica necessaria per fare svolgere la reazione è sempre maggiore della quantità minima
il 99% dell’energia meccanica in perché una parte della ΔG fornita viene ceduta sotto forma di calore.
entrata. Anche se vengono conti-
• Una reazione all’equilibrio (ΔGsistema = 0) non può più compiere lavoro.
nuamente apportati mi­glio­ramenti,
i seguenti sono attualmente i valori
approssimati del rendimento per
altri dispositivi: caldaia a gasolio L’effetto della temperatura sulla spontaneità di una reazione
per il riscaldamento domestico, Nella maggior parte dei casi, il contributo di entalpia (ΔH) alla variazione di energia
65%; motore di un elettroutensile libera (ΔG) è molto maggiore del contributo di entropia (TΔS). Per questo motivo,
manuale, 63%; razzo a combustibile la maggior parte delle reazioni esotermiche sono spontanee: il ΔH negativo aiuta
liquido, 50%; motore a combustio-
ne interna di autoveicolo, <30%;
a rendere negativo ΔG. Però, la temperatura a cui avviene una reazione influenza il
lampada elettrica fluorescente, 20%; valore del termine TΔS, quindi, in molti casi, la spontaneità complessiva dipende
cella solare, 15%. dalla temperatura.
Un esame dei segni di ΔH e di ΔS permette di prevedere l’effetto della tempera-
tura sul segno di ΔG e quindi sulla spontaneità di una trasformazione a qualsiasi tem-
peratura. I valori delle variabili termodinamiche utilizzati in questa trattazione sono
basati sui valori standard che si trovano nell’Appendice B, ma vengono mostrati senza
apice zero per sottolineare che le relazioni tra ΔG, ΔH e ΔS sono valide in tutte le
condizioni. Inoltre, si considera che ΔH e ΔS varino molto poco al variare della tempe-
ratura, il che è di solito corretto purché non avvengano transizioni di fase. Esaminiamo
le quattro combinazioni di valori positivi e negativi di ΔH e ΔS; notando in anticipo
che due combinazioni non dipendono dalla temperatura, mentre le altre due sì.
• Casi indipendenti dalla temperatura. Quando ΔH e ΔS hanno segni opposti, la
reazione avviene spontaneamente o a tutte le temperature o a nessuna.
1. La reazione è spontanea a tutte le temperature: ΔH < 0, ΔS > 0. Entrambi i
contributi favoriscono la trasformazione che avviene spontaneamente: ΔH
è negativa e ΔS è positiva, quindi −TΔS è negativo; perciò, ΔG è sempre
negativa. Rientrano in questa categoria molte reazioni di combustione, com-
prese quelle del glucosio e dell’ottano che abbiamo considerato precedente-
mente. Anche la decomposizione del perossido di idrogeno, un disinfettante
di uso comune, è spontanea a tutte le temperature:

2H2O2 ( l ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( l ) + O2 ( g ) ΔH = −196 kJ e ΔS = 125 J/K

2. La reazione è non spontanea a tutte le temperature: ΔH > 0, ΔS < 0. Entrambi


i contributi si oppongono alla spontaneità della reazione. ΔH è positiva e ΔS
è negativa, quindi −TΔS è positivo; perciò, ΔG è sempre positiva. La forma-
zione di ozono a partire da ossigeno non è spontanea ad alcuna temperatura:
3O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2O3 ( g ) ΔH = 286 kJ e ΔS = −137 J/K

Questa reazione avviene soltanto se è fornita energia sufficiente dall’ambien-


te, come quando si sintetizza l’ozono facendo passare una scarica elettrica
attraverso l’O2 puro.

20txt.indd 696 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 697

Tabella 20.1 Spontaneità di una reazione e segni di ΔH, ΔS, e ΔG


ΔH ΔS −TΔS ΔG Descrizione
− + − − Spontanea a tutte le T
+ − + + Non spontanea a tutte le T
+ + − +o− Spontanea a T più alte;
non spontanea a T più basse
− − + +o− Spontanea a T più basse;
non spontanea a T più alte

• Casi dipendenti dalla temperatura. Quando ΔH e ΔS hanno lo stesso segno, i


valori relativi dei termini −TΔS e ΔH determinano il segno di ΔG, quindi il
valore di T è cruciale.
3. La reazione è spontanea a temperature più alte: ΔH > 0 e ΔS > 0. In questi
casi, ΔS favorisce la spontaneità (−TΔS < 0), ma ΔH no. Per esempio,
2N 2O( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4NO( g ) ΔH = 197,1 kJ e ΔS = 198,2 J/K
Con un ΔH positivo, la reazione avverrà spontaneamente soltanto quan-
do −TΔS è sufficientemente grande da rendere negativa ΔG, il che avver-
rà a temperature più alte. L’ossidazione di N2O avviene spontaneamente a
T > 994 K.
4. La reazione è spontanea a temperature più basse: ΔH < 0 e ΔS < 0. In questi
casi, ΔH favorisce la spontaneità, ma ΔS no (−TΔS > 0). Per esempio,
2Na( s ) + Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NaCl( s ) ΔH = −822,2 kJ e ΔS = −181,7 J/K
Con un ΔH negativo, la reazione avverrà spontaneamente soltanto se il
termine −TΔS è minore del termine ΔH, e ciò avviene a temperature più
basse. Esempi comuni sono la formazione di alogenuri di ammonio a partire
da ammoniaca e un alogenuro di idrogeno o la formazione di ossidi, fluoruri
e cloruri metallici a partire dai loro elementi. La produzione di cloruro di
sodio avviene spontaneamente a T < 4525 K.
La Tabella 20.1 riassume queste quattro combinazioni possibili di ΔH e ΔS.
Come abbiamo visto nel Problema di verifica 20.4, un modo di calcolare ΔG0 è
usare le variazioni di entalpia e di entropia. Poiché ΔH e ΔS di solito variano poco
al variare della temperatura, possiamo usare i loro valori a 298 K per esaminare
l’effetto della temperatura su ΔG e quindi sulla spontaneità della reazione.

Determinazione dell’effetto della temperatura su ΔG 0


PROBLEMA DI VERIFICA 20.6
Problema Una reazione importante nella produzione di acido solforico è l’ossidazione di
SO2(g) a SO3(g):
2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2SO3 ( g )
A 298 K, ΔG = −141,6 kJ, ΔH = −198,4 kJ e ΔS = −187,9 J/K.
(a) Si usino i dati per decidere se questa reazione sia spontanea a 25 °C e si preveda come
varierà ΔG all’aumentare della temperatura.
(b) Supponendo che ΔH e ΔS siano costanti all’aumentare di T, la reazione è spontanea a
9,00  ×  102 °C?
Piano (a) Notiamo il segno di ΔG per vedere se la reazione sia spontanea e il segno di ΔH
e di ΔS per vedere l’effetto di T. (b) Usiamo l’Equazione 20.7 per calcolare ΔG in base ai
valori dati di ΔH e di ΔS alla T più alta (in kelvin).
Risoluzione (a) ΔG < 0, quindi la reazione è spontanea a 298 K : una miscela di SO2(g),
O2(g) e SO3(g) nei loro stati standard (1 atm) produrrà spontaneamente più SO3(g). Con
ΔS < 0, il ter­mine −TΔS > 0 e diventa più positivo all’aumentare di T. Perciò, ΔG sarà
meno negativa e la reazione meno spontanea, all’aumentare di T .

20txt.indd 697 17/05/19 08:53


698 Capitolo 20

(b) Calcolo di ΔG a 9,00  ×  102 °C (T = 273 + 9,00  ×  102 = 1173 K):

ΔG = ΔH − TΔS = −198,4 kJ − [(1173 K)(−187,9 J/K)(1 kJ/1000 J)] = 22,0 kJ

ΔG > 0, quindi la reazione è non spontanea alla T più alta .


Verifica La risposta nella parte (b) sembra ragionevole in base alla nostra previsione nella
parte (a). L’aritmetica sembra corretta, dato il seguente considerevole arrotondamento:
ΔG 0  −200 kJ − [(1200 K)(−200 J/K)(1 kJ/1000 J)] = + 40 kJ

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.6 Una reazione è non spontanea


a temperatura ambiente, ma è spontanea a −40 °C. Cosa si può dire riguardo ai segni e ai
valori relativi di ΔH, ΔS e −TΔS?

La temperatura a cui una reazione diventa spontanea Come abbiamo ap-


pena visto, quando i segni di ΔH e di ΔS sono uguali, alcune reazioni che non
sono spontanee a una temperatura diventano spontanee a un’altra temperatura e
viceversa. Sarebbe certamente utile conoscere la temperatura a cui una reazione
diventa spontanea. È la temperatura a cui una ΔG positiva diventa una ΔG ne-
gativa a causa del cambiamento del valore del termine −TΔS. Per trovare questa
temperatura di inversione di segno, uguagliamo ΔG a zero e risolviamo rispetto a T:
ΔG = ΔH − TΔS = 0
Perciò,
ΔH
ΔH = TΔS e T= (20.10)
ΔS
Consideriamo la reazione dell’ossido di rame(I) con il carbonio, che non avviene a
temperatura molto bassa ma è usata a temperatura più alta in uno stadio del pro-
cesso di estrazione del rame metallico dalla calcocite:
ΔH = TΔS
ΔG = 0 Δ
ΔG < 0 Cu 2O( s ) + C( s ) ⎯ ⎯ → 2Cu( s ) + CO( g )
spontanea
TΔS

non spontanea Prevediamo che questa reazione abbia una variazione di entropia positiva a causa
ΔH

ΔG > 0 ΔH
dell’aumento del numero di moli di gas; infatti, ΔS = 165 J/K. Inoltre, essendo la
TΔS T di transizione reazione non spontanea a temperature più basse, essa deve avere un ΔH positivo
= 352 K (58,1 kJ). Poiché il termine −TΔS diventa più negativo all’aumentare della tem-
peratura, esso finirà per predominare sul termine ΔH positivo, e la reazione av-
verrà spontaneamente.
Temperatura
Calcoliamo ΔG per questa reazione a 25 °C e poi troviamo la temperatura al di
sopra della quale la reazione è spontanea. A 25 °C (298 K),
Figura 20.11 L’effetto della
temperatura sulla spontaneità ⎡ 1 kJ ⎤
di una reazione. I due termi- ΔG = ΔH − TΔS = 58,1 kJ − ⎢ 298 K ×(165 J/K)× ⎥ = 8,9 kJ
⎢ 1000 J ⎥⎦
ni che costituiscono ΔG sono ⎣
rappresentati in funzione di T.
La figura mostra un ΔH rela- Poiché ΔG è positiva, la reazione non procederà spontaneamente a 25 °C. Alla
tivamente costante e un TΔS temperatura di transizione, ΔG = 0, quindi
sempre più positivo (e quindi
un −TΔS sempre più negativo) 1000 J
all’aumentare della temperatura 58,1 kJ ×
ΔH 1 kJ
per la reazione tra Cu2O e C. A T= = = 352 K
bassa T, la reazione è non spon- ΔS 165 J/K
tanea (ΔG > 0) perché il ter-
mine ΔH positivo ha un valore A ogni temperatura superiore a 352 K (79 °C), una temperatura moderata per
assoluto maggiore di quello del estrarre un metallo dal suo minerale, la reazione avviene spontaneamente. Questo
termine TΔS negativo. risultato è illustrato nella Figura 20.11. La retta rappresentativa di TΔS mostra che
A 352 K, ΔH = TΔS, quindi
ΔG = 0. A ogni T più alta, la
esso diventa sempre più positivo (e quindi il termine −TΔS diventa sempre più
reazione diventa spontanea negativo) al crescere della temperatura. Essa interseca la retta rappresentativa di
(ΔG < 0) perché il termine ΔH, relativamente costante, in corrispondenza di 352 K. A ogni T più alta, il termi-
−TΔS predomina. ne −TΔS è maggiore del termine ΔH, quindi ΔG è negativa.

20txt.indd 698 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 699

Accoppiamento di reazioni per favorire una trasformazione


non spontanea
Quando suddividiamo una reazione multistadio spontanea negli stadi componenti,
troviamo spesso che uno stadio non spontaneo è favorito da uno stadio spontaneo
in un accoppiamento di reazioni. Uno stadio fornisce energia libera sufficiente per
fare svolgere l’altro, così come la combustione della benzina fornisce energia libera
sufficiente per fare muovere un’automobile.
Consideriamo la reazione che abbiamo appena esaminato per la riduzione dell’os-
sido di rame(I) per opera del carbonio. Abbiamo trovato che la reazione complessiva
diventa spontanea a ogni temperatura superiore a 352 K. Però, quando suddividiamo
la reazione in due stadi, troviamo che, anche a una temperatura più alta, quale 375 K,
l’ossido di rame(I) non si decompone spontaneamente nei suoi elementi:
Cu 2O( s ) ⎯ ⎯
→ 2Cu( s ) + 12 O 2 ( g ) ΔG375 = 140,0 kJ
Però, l’ossidazione del carbonio a CO a 375 K è spontanea:
C( s ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO( g ) ΔG375 = −143,8 kJ

L’accoppiamento di queste reazioni significa avere il carbonio in contatto con il


Cu2O, il che permette alla reazione con la ΔG negativa maggiore di “favorire” quel-
la con la ΔG positiva minore. Sommando le reazioni e semplificando i termini si
ottiene una ΔG negativa complessiva:

Cu 2O( s ) + C( s ) ⎯ ⎯
→ 2Cu( s ) + CO( g ) ΔG375 = −3,8 kJ

20.4 ENERGIA LIBERA, EQUILIBRIO E DIREZIONE


DI UNA REAZIONE
Il segno di ΔG ci permette di prevedere la spontaneità di una reazione e quindi
la sua direzione, ma abbiamo già visto che questo non è l’unico modo di farlo. Nel
Capitolo 17 abbiamo previsto la direzione di una reazione confrontando i valori del
quoziente di reazione (Q) e della costante di equilibrio (K). Si ricordi che:
• se Q < K (Q/K < 1), la reazione com’è scritta procede verso destra;
• se Q > K (Q/K > 1), la reazione com’è scritta procede verso sinistra;
• se Q = K (Q/K = 1), la reazione ha raggiunto l’equilibrio e non c’è reazione
netta in alcuni dei due versi.
Come ci si potrebbe attendere, questi due modi di prevedere la spontaneità di una
reazione – il segno di ΔG e il valore di Q/K – sono correlati. La loro relazione si
manifesta quando si confronta il segno di ln Q/K con quello di ΔG:
• se Q/K < 1, allora ln Q/K < 0: la reazione procede verso destra (ΔG < 0);
• se Q/K > 1, allora ln Q/K > 0: la reazione procede verso sinistra (ΔG > 0);
• se Q/K = 1, allora ln Q/K = 0: la reazione è all’equilibrio (ΔG = 0).
Si noti che i segni di ΔG e di ln Q/K sono identici per un dato verso della reazione.
In realtà, ΔG e ln Q/K sono l’uno proporzionale all’altro e sono resi uguali attraver-
so la costante RT:

Q
=
ΔG =
RT ln RT ln Q − RT ln K (20.11)
K
Che cosa significa questa relazione fondamentale? Come abbiamo visto, Q rappre-
senta le concentrazioni (o le pressioni) dei componenti di un sistema in un istante
arbitrario durante la reazione, mentre K le rappresenta quando la reazione ha rag-
giunto l’equilibrio. Perciò, l’Equazione 20.11 stabilisce che la variazione di energia
libera del sistema è la differenza tra l’energia libera del sistema in uno stato iniziale,

20txt.indd 699 17/05/19 08:53


700 Capitolo 20

Q, e l’energia libera del sistema nel suo stato finale, K. Per un sistema all’equilibrio,
Q è diventato uguale a K, quindi ΔG = 0. In altre parole, all’equilibrio, non avviene
un’ulteriore variazione di energia libera; in effetti, il sistema ha rilasciato tutta la sua
energia libera nel processo di raggiungimento dell’equilibrio.
Il valore di ΔG dipende dalla differenza tra i valori di Q e K. Scegliendo per Q
valori nello stato standard, otteniamo la variazione di energia libera standard (ΔG0).
Quando tutte le concentrazioni sono pari a 1 M (o tutte le pressioni sono pari a
1 atm), ΔG è uguale a ΔG0 e Q è uguale a 1:
ΔG 0 = RT ln1 − RT ln K
Sappiamo che ln 1 = 0, per cui il termine RT ln Q scompare e otteniamo
ΔG 0 = −RT ln K (20.12)
Questa relazione molto importante ci permette di calcolare la variazione di energia
libera standard di una reazione (ΔG0) in base alla costante di equilibrio, o viceversa.
Poiché ΔG0 è legata a K da una relazione logaritmica, anche una piccola variazione
del valore di ΔG0 ha un grande effetto sul valore di K. La Tabella 20.2 indica i valori
di K che corrispondono a un intervallo di valori di ΔG0. Si noti che, via via che ΔG0
diventa più positiva, la costante di equilibrio diminuisce, la qual cosa significa che
la reazione raggiunge l’equilibrio con meno prodotto e più reagente. Analogamen-
te, via via che ΔG0 diventa più negativa, la reazione raggiunge l’equilibrio con più
prodotto e meno reagente. Per esempio, se ΔG0 = +10 kJ, K  0,02, il che significa
che i termini del prodotto sono pari a circa 1/50 dei termini del reagente; invece,
se ΔG0 = −10 kJ, sono 50 volte tanto.
Ovviamente, la maggior parte delle reazioni non cominciano con tutti i compo-
nenti nei loro stati standard. Sostituendo la relazione tra ΔG0 e K (Equazione 20.12)
nell’espressione per ΔG (Equazione 20.11), otteniamo una relazione valida per con-
centrazioni iniziali qualsiasi:
ΔG = ΔG 0 + RT ln Q (20.13)
Il Problema di verifica 20.7 illustra come si applicano le Equazioni 20.12 e 20.13.

Calcolo di ΔG in condizioni non standard


PROBLEMA DI VERIFICA 20.7
Problema L’ossidazione di SO2, che abbiamo considerato nel Problema di verifica 20.6,
2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2SO3 ( g )
è troppo lenta a 298 K per essere utile nella produzione di acido solforico. Per ovviare a
questa bassa velocità di reazione, il processo è condotto a temperatura elevata.

20txt.indd 700 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 701

(a) Si calcoli K a 298 K e a 973 K. (ΔG 0298 = −141,6 kJ/mol di reazione com’è scritta; usando
valori di ΔH0 e di ΔS0 a 973 K, ΔG 0973 = −12,12 kJ/mol di reazione com’è scritta).
(b) In esperimenti volti a determinare l’effetto della temperatura sulla spontaneità della
reazione, due recipienti sigillati vengono riempiti con 0,500 atm di SO2, 0,0100 atm di O2
e 0,100 atm di SO3 e mantenuti a 25 °C e a 7,00  ×  102 °C. In quale direzione eventuale
procederà la reazione per raggiungere l’equilibrio a ciascuna temperatura?
(c) Si calcoli ΔG per il sistema nella parte (b) a ciascuna temperatura.
Piano (a) Conosciamo ΔG 0, T e R, quindi calcoliamo le K con l’Equazione 20.12. (b) Per
determinare se avverrà una reazione netta alle pressioni date, calcoliamo Q con le pressioni
parziali date e lo confrontiamo con ciascuna K della parte (a). (c) Poiché queste non sono
pressioni nello stato standard, calcoliamo ΔG in corrispondenza di ciascuna T con l’Equa-
zione 20.11 con i valori di ΔG 0 (dati) e di Q [determinato nella parte (b)].
Risoluzione (a) Calcolo di K alle due temperature:
0 / RT )
ΔG 0 = −RT ln K da cui K = e −( ΔG
A 298 K, l’esponente è
⎪⎧⎪ (−141,6 kJ/mol) × 1000 J ⎪⎫⎪
⎪⎪ 1 kJ ⎪⎪
−( ΔG /RT ) = − ⎨
0
⎬ = 57,2
⎪⎪ [8,314 J/(mol ⋅ K)] × 298 K ⎪⎪
⎪⎪ ⎪⎪
⎪⎩ ⎪⎭
0
Quindi =
K e −( ΔG /=
RT )
=
e 57,2 7  ×  1024
A 973 K, l’esponente è
⎪⎧⎪ (−12,12 kJ/mol) × 1000 J ⎪⎫⎪
⎪⎪ 1 kJ ⎪⎪
−( ΔG /RT ) = − ⎨
0
⎬ = 1,50
⎪⎪ [8,314 J/(mol ⋅ K)] × 973 K ⎪⎪
⎪⎪ ⎪⎪
⎪⎩ ⎪⎭
0
Quindi =
K e −( ΔG /RT
= )
=
e1,50 4,5
(b) Calcolo del valore di Q:
2
PSO 0,1002
Q= 3
= = 4,00
2
PSO × PO2
3
0,5002 × 0,0100

Poiché Q < K a entrambe le temperature, il denominatore diminuirà e il numeratore aumente­­


rà – si formerà più SO3 – finché Q non sarà uguale a K. Però, la reazione avanzerà molto verso
destra a 298 K prima di raggiungere l’equilibrio, mentre avanzerà soltanto scarsamente
verso destra a 973 K .
(c) Calcolo di ΔG, la variazione di energia libera non standard, a 298 K:
ΔG298 = ΔG 0 + RT ln Q
⎡ 1 kJ ⎤
= −141,6 kJ/mol + ⎢8,314 J/(mol ⋅ K) × × 298 K × ln 4,00⎥
⎢ 1000 J ⎥
⎣ ⎦
= −138,2 kJ/mol
Calcolo di ΔG a 973 K:
ΔG973 = ΔG 0 + RT ln Q
⎡ 1 kJ ⎤
= −12,12 kJ/mol + ⎢8,314 J/(mol ⋅ K) × × 973 K × ln 4,00⎥
⎢ 1000 J ⎥
⎣ ⎦
= −0,9 kJ/mol
Verifica Si noti che nelle parti (a) e (c) abbiamo reso l’unità di misura delle variazioni di
energia libera [il kilojoule (kJ)] coerente con quella che figura in R [il joule (J)]. In base alle
regole per le cifre significative nell’addizione e nella sottrazione, abbiamo conservato una
sola cifra a destra della virgola decimale nella parte (c).
Commento Per queste pressioni iniziali dei gas a 973 K, la reazione è appena spontanea
(ΔG = −0,9 kJ/mol); perché, allora, usare una temperatura più alta? Come nella sintesi di
NH3 (Paragra­fo 17.6), la reazione viene fatta svolgere a una temperatura più alta con un cata-
lizzatore per raggiungere una velocità più alta, anche se la resa è maggiore a una temperatura
più bassa.

20txt.indd 701 17/05/19 08:53


702 Capitolo 20

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 20.7 A 298 K, l’acido ipobromoso


(HBrO) si dissocia in acqua con una Ka = 2,3  ×  10−9.
(a) Si calcoli ΔG0 per la dissociazione di HBrO.
(b) Si calcoli ΔG se [H3O+] = 6,0  ×  10−4 M, [BrO−] = 0,10 M e [HBrO] = 0,20 M.

Ancora sul significato di spontaneità Giunti a questo punto, riconsideriamo


che cosa si intende con i termini spontaneo e non spontaneo. Consideriamo la reazio-
ne generale A B, per la quale K = [B]/[A] > 1; perciò, la reazione procede in
gran parte da sinistra verso destra (Figura 20.12A). Da A puro al punto di equilibrio,
Q < K e la reazione è spontanea (ΔG < 0). Da qui in poi, la reazione è non sponta-
nea (ΔG > 0). Da B puro al punto di equilibrio, Q > K e la reazione è spontanea
(ΔG < 0), ma non da qui in poi. In entrambi i casi, l’energia libera diminuisce via via
che la reazione procede, finché non raggiunge un minimo in corrispondenza della miscela
di equilibrio: Q = K e ΔG = 0. Per la reazione complessiva A B (partendo da
tutti i componenti nei loro stati standard), G 0B < G 0A, quindi ΔG0 è negativa, il che
corrisponde a K > 1 e, quindi, a una reazione spontanea com’è scritta nella direzio-
ne della formazione dei prodotti.
Consideriamo ora la situazione opposta, una reazione generale C D per
la quale K = [D]/[C] < 1: la reazione procede soltanto scarsamente da sinistra
verso destra (Figura 20.12B). Anche in questo caso, sia che partiamo da C puro sia
che partiamo da D puro, la reazione è spontanea (ΔG < 0) finché non è raggiunto
il punto di equilibrio. Ma in questo caso la miscela di equilibrio contiene in pre-
valenza C (il reagente), quindi diciamo che la reazione è spontanea nella direzione
in cui si formano i reagenti, cioè la reazione diretta, C D, è non spontanea,
e la reazione inversa, D C, è spontanea. Inoltre, G 0D e maggiore di G 0C, quin-
di ΔG è positiva, il che corrisponde a K < 1. Il punto è che il termine reazione
spontanea si riferisce a una reazione in cui l’energia libera diminuisce e che pro-
cede in prevalenza, ma non necessariamente completamente, fino al prodotto (vedi
Tabella 20.2).

Figura 20.12 La relazione tra energia libera e grado di avanzamento di una reazione. L’energia libera del sistema è rappre-
sentata in funzione del grado di avanzamento della reazione. Ciascuna reazione procede spontaneamente (Q ≠ K e ΔG < 0; frecce
verdi curve) dai reagenti puri (A o C) oppure dai prodotti puri (B o D) alla miscela di equilibrio, e, a questo punto, ΔG = 0. La rea-
zione dalla miscela di equilibrio ai reagenti puri oppure ai prodotti puri è non spontanea (ΔG > 0; frecce rosse curve). A. Per la
reazione A B, G A0 > G 0B, quindi ΔG0 < 0 e K > 1. B. Per la reazione C D, G0D > G0C, quindi ΔG0 > 0 e K < 1.

20txt.indd 702 17/05/19 08:53


Termodinamica: entropia, energia libera e direzione delle reazioni chimiche 703

Risoluzioni brevi dei problemi di approfondimento


20.1 (a) PCl5(g): massa molare maggiore e molecola più com- 20.4 Usando i valori di ΔH 0f e S0 forniti nell’Appendice B
plessa; (b) BaCl2(s): massa molare maggiore; (c) Br2(g): i gas sono
meno ordinati rispetto ai liquidi. ΔH r0 = −114,2 kJ e ΔS r0 = −146, 5 J/K
20.2 (a) 2NaOH( s ) + CO 2 ( g ) ⎯ ⎯→ Na 2CO3 ( s ) + H2O( l ) ; ΔGr0 = ΔH r0 − TΔS r0 = −114,2 kJ
Δngas = −1, quindi <0 ΔS r0 − [(298 K)(−146,5 J/K)(1 kJ/1000 J)]
ΔS r = [(1 mol H2O)(69,9 J/mol ⋅ K)
0
= −70,5 kJ
+ (1 mol Na 2CO3 )(139 J/mol ⋅ K)] 20.5 (a) ΔGr0 = (2 mol NO 2 )(51 kJ/mol)
− [(1 mol CO 2 )(213,7 J/mol ⋅ K)
− [(2 mol NO)(86,60 kJ/mol)]
+ (2 mol NaOH)(64,5 J/mol ⋅ K)]
+ (1 mol O 2 )(0 kJ/mol)]
= −134 J/K
= −71 kJ
(b) 2Fe( s ) + 3H2O( g ) ⎯ ⎯→ Fe2O3 ( s ) + 3H2 ( g )
(b) ΔGr0 = (2 mol CO)(−137,2 kJ/mol) − [(2 mol C)(0 kJ/mol)
Δngas = 0, quindi non si può prevedere il segno di ΔS r0
+ (1 mol O 2 )(0 kJ/mol)]
ΔS r0 = [(1 mol Fe2O3 )(87,4 J/mol ⋅ K) = −274,4 kJ
+ (3 mol H 2 )(130,6 J/mol ⋅ K)] 20.6 ΔG 0 diventa negativa a T più bassa, quindi ΔH 0 < 0,
− [(2 mol Fe)(27,3 J/mol ⋅ K) ΔS 0 < 0 e −TΔS 0 > 0. A T più bassa, il valore negativo di
ΔH0 diventa maggiore in valore assoluto del valore positivo
+ (3 mol H 2O)(188,72 J/mol ⋅ K)] di −TΔS 0.
= −141,6 J/K 20.7 (a) ΔG 0 = −RT ln K
20.3 2FeO( s ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ Fe2O3 ( s ) 1 kJ
= −8, 314 J/(mol ⋅ K) × × 298 K
1000 J
ΔS sistema
0
= (1 mol Fe2O3 )(87,4 J/mol ⋅ K)
− [(2 mol FeO)(60,75 J/mol ⋅ K) × ln (2,3 ×10−9 )
+ ( 12 mol O 2 )(205,0 J/mol ⋅ K) = 49 kJ/mol

= −136,6 J/K [H3O+ ][BrO− ] (6,0 ×10−4 )(0,10)


=(b) Q = = 3,0 ×10−4
ΔH sistema
0
= (1 mol Fe2O3 )(−825,5 kJ/mol) [HBrO] 0,20

− [(2 mol FeO)(−272,0 kJ/mol) ΔG = ΔG 0 + RT ln Q


= 49 kJ/mol
+ ( 12 mol O 2 )(0 kJ/mol)]
⎡ 1 kJ ⎤
= −281,5 kJ + ⎢8,314 J/(mol ⋅ K) × × 298 K × ln (3,0 ×10−4 )⎥
⎢ 1000 J ⎥
ΔH sistema
0
−281,5 kJ ×1000 J/kJ ⎣ ⎦
ΔS ambiente
0
=− = = +945 J/K
T 298 K = 29 kJ/mol

ΔS universo
0
= ΔS sistema
0
+ ΔS ambiente
0
= −136,6 J/K + 945 J/K
= 808 J/K; la reazione è spontanea a 298 K

20txt.indd 703 17/05/19 08:53


La chimica nelle altre scienze 
Chimica e scienze biologiche

Bioenergia: il ruolo universale dell’ATP


Nonostante la loro incredibile diversità, praticamente tutti spontaneo. Se sommiamo le due reazioni, HPO42−, H+ e H2O
gli organismi usano gli stessi amminoacidi per sintetizza- si elidono e il processo complessivo è:
re le proteine, gli stessi nucleotidi per sintetizzare gli aci-
di nucleici e gli stessi carboidrati (glucosio) per produrre glucosio + ATP4− [glucosio fosfato]− + ADP3−
energia. ΔG°′= −16,7 kJ
Inoltre, tutti gli organismi utilizzano la stessa reazione
spontanea per far avvenire una serie di processi non spontanei. L’accoppiamento non può aver luogo se le reazioni av-
Questa reazione è l’idrolisi dell’adenosintrifosfato (ATP) vengono in regioni fisicamente separate, perciò l’intero
ad adenosindifosfato (ADP):* processo avviene su un enzima (Paragrafo 16.8) che lega
simultaneamente glucosio e ATP, in modo che il gruppo
ATP 4− + H2O   ADP 3− + HPO24− + H+

 fosfato dell’ATP che deve essere trasferito si trovi in pros-
simità del gruppo −OH del glucosio a cui si deve legare
ΔG °′ =−30, 5 kJ (Figura S20.1).
L’ADP formatosi nelle reazioni che rilasciano energia si
Nella scissione metabolica del glucosio, per esempio, il
combina con il fosfato per rigenerare ATP in reazioni che
primo passaggio, l’addizione di HPO42− al glucosio, è una
assorbono energia e che sono catalizzate da altri enzimi.
reazione non spontanea:
In questo modo c’è un ciclo continuo tra ATP e ADP che
glucosio + HPO42− + H+ [glucosio fosfato]− + H2O fornisce energia alle cellule (Figura S20.2).
Ma perché l’ATP è una molecola ad alto contenuto di
ΔG°′ = 13,8 kJ energia? Esaminando i residui fosfato di ATP, ADP e HPO42−,
L’accoppiamento di questa reazione non spontanea con possiamo scoprire due ragioni chimiche fondamentali che
quella spontanea di idrolisi dell’ATP rende l’intero processo spiegano perché l’idrolisi dell’ATP fornisce così tanta ener-
gia libera (Figura S20.3).
* Nei sistemi biochimici, la concentrazione dello stato stan-
dard di H+ è 10−7 M, non 1 M, e la variazione di energia libera 1. Repulsione di cariche. A pH fisiologico (7), il gruppo
standard si indica con il simbolo ΔG°′. trifosfato dell’ATP ha quattro cariche negative vicine.

ADP


ADP –

Glucosio
Glucosio fosfato

ENZIMA

Figura S20.1L’accoppiamento di una reazione non spontanea all’idrolisi dell’ATP. Il glucosio si trova vicino all’ATP (indicato
come ADP−O−PO3H) nel sito attivo dell’enzima. ADP (indicato come ADP−OH) e glucosio fosfato vengono rilasciati dalla reazione.

20txt.indd 704 17/05/19 08:53


705

Molecole
Cibo + O2 complesse

ATP
SCISSIONE

SINTESI
ADP

Reazioni La produzione Reazioni che


che rilasciano di ATP utilizza richiedono
energia libera energia libera, energia libera Molecole
CO2 + H2O per convertire l’idrolisi di ATP per convertire semplici
ADP in ATP fornisce energia ATP in ADP Figura S20.2 Il ciclo dell’energia libera
libera metabolica.

Questa elevata repulsione di carica è ridotta nell’ADP


(Figura S20.3A). O O O O O
H2O
A O P O P O P O− A O P O P O− + HPO42− + H+
2. Delocalizzazione degli elettroni. Nello ione HPO42− che si A O− O− O− O− O−
forma c’è elevata delocalizzazione degli elettroni π e sta-
bilizzazione per risonanza (Figura S20.3B). 2− 2− 2−
O O O

HO P O HO P O HO P O
La maggiore repulsione tra le cariche e la minore delo-
calizzazione elettronica rendono il contenuto di energia B
O O O
dell’ATP maggiore (che è quindi meno stabile) della som-
ma delle energie di ADP e HPO42−. Questa energia viene in
parte liberata dalla reazione di idrolisi dell’ATP e utilizzata Figura S20.3 ATP è una molecola ad alto contenuto di
dall’organismo in reazioni metaboliche che non potrebbe- energia. A. La trasformazione di ATP in ADP riduce la repulsio-
ro altrimenti avvenire. ne tra le cariche. B. Le formule di risonanza dello ione HPO42−.

20txt.indd 705 17/05/19 08:53


Elettrochimica: variazioni chimiche
e lavoro elettrico 21
DA SAPERE PRIMA Se pensate che la termodinamica abbia a che fare solo con macchine a vapore, gio-
• terminologia redox (Paragrafo 4.5 chi d’azzardo o simili e che abbia solo poche applicazioni nella vostra vita quotidia-
e “Uno sguardo d’insieme alle na, provate a guardarvi intorno. Alcune di queste applicazioni sono probabilmente
proprietà degli elementi”, accanto a voi proprio in questo momento sotto forma di dispositivi a batteria –
pp. 454 e 455)
• bilanciare le reazioni redox computer portatili, palmari, telecomandi per DVD e, naturalmente, orologi da polso
(Paragrafo 4.5) e calcolatrici – o sotto forma di un gioiello rivestito di metallo o di argenteria. Il
• serie di attività dei metalli funzionamento e la creazione di questi oggetti, e di tutti quelli a essi simili che si
(Paragrafo 4.6)
• energia libera, lavoro ed equilibrio usano quotidianamente, implicano i principi dell’elettrochimica, certamente uno
(Paragrafi 20.3 e 20.4) dei settori più importanti di applicazione della termodinamica.
• Q e K (Paragrafo 17.4), ΔG e ΔG0 L’elettrochimica è lo studio delle relazioni tra cambiamenti chimici e lavo­-
(Paragrafo 20.4)
ro elettrico. Viene studiata mediante l’uso di celle elettrochimiche, sistemi in
cui una reazione redox viene utilizzata per produrre o utilizzare energia elettrica.
Gli oggetti comuni che abbiamo citato illustrano la differenza fondamentale tra
due tipi di celle.

• Un tipo di cella compie lavoro rilasciando energia libera da una reazione spon-
tanea per produrre elettricità; un simile tipo di cella si trova in una batteria.
L’applicazione è tutt’altro che nuova: la batteria dell’automobile, per esempio,
fu inventata più di 135 anni fa.
• L’altro tipo di cella compie lavoro assorbendo energia libera da una sorgente di
elettricità per far procedere una reazione non spontanea. Questo tipo di celle è
utilizzato per l’elettrodeposizione (rivestire oggetti di sottili strati metallici) e,
in importanti processi industriali, per produrre alcuni importanti composti e
separare alcuni metalli dai minerali che li contengono.

IN QUESTO CAPITOLO concentreremo la nostra attenzione sui due tipi di cella


e sui principi termodinamici che ne spiegano il funzionamento. Cominceremo
con un riepilogo dei concetti relativi alle reazioni redox e rivisiteremo un me-
todo per il bilanciamento di tali reazioni brevemente esaminato nel Capitolo
4, che è particolarmente utile per le celle elettrochimiche. Successivamente
faremo un riepilogo dei due tipi di celle in esame. Fisseremo dapprima la no-
stra attenzione sul tipo di cella che rilascia energia libera per compiere lavoro
elettrico. Esamineremo le variazioni di energia libera e la natura di equilibrio
delle reazioni redox che avvengono nella cella e come queste sono collegate
alla produzione di energia elettrica. Descriveremo due importanti esempi di
questo tipo di celle: le celle a concentrazione e le batterie. Successivamente
discuteremo la corrosione, un processo distruttivo spontaneo, simile in linea di
principio ai processi utili che avvengono in questo tipo di celle. Concentreremo
infine la nostra attenzione sulle celle che assorbono energia libera per compiere
lavoro elettrico. Vedremo come vengono utilizzate per isolare gli elementi dai
loro composti, come si può predire quali elementi saranno formati a partire da
soluzioni acquose o da composti puri e come la quantità di corrente che passa
attraverso la cella determina la quantità di prodotto formato.

21txt.indd 706 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 707

21.1 REAZIONI REDOX E CELLE ELETTROCHIMICHE


Un processo elettrochimico può rilasciare o assorbire energia libera, ma in entrambi
i casi si ha movimento di elettroni da una specie chimica a un’altra in una reazione di
ossidoriduzione (redox). In questo paragrafo rivedremo il processo redox e descri-
veremo il metodo delle semireazioni per bilanciare le reazioni redox che era stato
affrontato nel Paragrafo 4.5. Daremo poi un’occhiata preliminare al modo in cui tali
reazioni sono utilizzate nei due tipi di celle elettrochimiche.

Riepilogo dei concetti sulle ossidoriduzioni


Nelle reazioni elettrochimiche, come in ogni altro processo redox, l’ossidazione è la
perdita di elettroni e la riduzione è l’acquisto di elettroni. Un agente ossidante è la spe-
cie che effettua l’ossidazione, acquistando elettroni dalla sostanza che viene ossidata.
Un agente riducente è la specie che effettua la riduzione, cedendo elettroni alla specie
che viene ridotta. Dopo la reazione, la sostanza ossidata ha numero di ossidazione
maggiore (più positivo o meno negativo) e la specie ridotta ha numero di ossidazione
minore (meno positivo o più negativo). Si devono ricordare tre punti fondamentali:
• l’ossidazione (perdita di elettroni) accompagna sempre la riduzione (acquisto
di elettroni);
• l’agente ossidante viene ridotto e l’agente riducente viene ossidato;
• il numero di elettroni acquistati dall’agente ossidante è sempre uguale al
numero di elettroni ceduti dall’agente riducente.
La Figura 21.1 presenta queste idee nel contesto della reazione in soluzione acquosa
tra zinco metallico e un acido forte. La capacità di riconoscere il processo di ossida-
zione e quello di riduzione è essenziale per comprendere gli argomenti trattati in
questo capitolo. Se questi concetti non sono ancora chiari, si consiglia di rivedere la
trattazione completa nel Capitolo 4 e “Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli
elementi”, pp. 454 e 455.

Bilanciamento delle reazioni redox con il metodo


delle semireazioni
Nel Capitolo 4 abbiamo discusso due metodi per bilanciare le reazioni redox – il
metodo dei numeri di ossidazione e il metodo delle semireazioni –, ma solo il primo
è stato esaminato in dettaglio. Si ricordi che nel metodo dei numeri di ossidazione
si assegna il numero di ossidazione a ogni atomo nei reagenti e nei prodotti per
identificarne le variazioni. Si riuniscono poi gli atomi (o ioni) ossidati e ridotti e si
utilizzano coefficienti moltiplicativi per rendere uguali i numeri di elettroni ceduti
e acquistati (vedi Problema di verifica 4.8).
La differenza essenziale tra i due metodi di bilanciamento è che nel metodo
delle semireazioni si divide la reazione redox completa in una semireazione di ossi-
dazione e una di riduzione. Per ogni semireazione si bilanciano le masse (atomi) e le

PROCESSO Zn(s) + 2H+(aq) Zn2+(aq) + H2(g)

OSSIDAZIONE
• Un reagente perde elettroni. Lo zinco perde elettroni.
• L’agente riducente si ossida. Lo zinco è l’agente riducente
e viene ossidato.
• Il numero di ossidazione Il numero di ossidazione
aumenta. di Zn aumenta da 0 a +2.

RIDUZIONE
• Altri reagenti acquistano Lo ione idrogeno acquista Figura 21.1 Un riassunto della
elettroni. elettroni. terminologia redox. Nella rea-
• L’agente ossidante si ossida. Lo ione idrogeno è l’agente zione tra lo zinco e lo ione idro-
ossidante e viene ridotto.
Il numero di ossidazione di H
geno, Zn si ossida e H+ si riduce.
• Il numero di ossidazione
diminuisce. diminuisce da +1 a 0. (Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

21txt.indd 707 17/05/19 09:02


708 Capitolo 21

cariche. Poi una semireazione, o entrambe, si moltiplicano per numeri interi per
rendere uguali i numeri di elettroni ceduti e acquistati. Infine si riuniscono le due
semireazioni per ottenere la reazione redox bilanciata. Il metodo delle semireazioni
offre alcuni vantaggi per lo studio dell’elettrochimica.
• Separa i passaggi di ossidazione e riduzione, similmente alla loro reale separa-
zione fisica nelle celle elettrochimiche.
• Rende più facile bilanciare le reazioni redox che avvengono in soluzione acida
o basica, come comunemente accade nelle celle elettrochimiche.
• Non rende necessario (di solito) assegnare i numeri di ossidazione. (Nei casi in
cui le semireazioni non sono ovvie, assegneremo i numeri di ossidazione per
determinare per quali atomi essi variano e scriveremo le semireazioni per le
specie che contengono questi atomi).
Generalmente inizieremo con lo “scheletro” di una reazione ionica che mostra solo
le specie che vengono ossidate e ridotte. Se la forma ossidata di una specie è nella par-
te sinistra dello scheletro di reazione, la forma ridotta sarà nella parte destra e viceversa.
(H2O, H+ e OH− non appariranno nello scheletro della reazione a meno che non
siano tra le specie che vengono ossidate e ridotte). Il metodo delle semireazioni per
bilanciare una reazione redox è costituito da 5 passi:
Passo 1. Dividere lo scheletro della reazione in due semireazioni ognuna delle quali
contiene la forma ossidata e ridotta di una delle specie. (Quale semireazione sia
quella di ossidazione e quale sia quella di riduzione sarà evidente dopo il bilancia-
mento delle cariche nel prossimo passo).
Passo 2. Bilanciare gli atomi e le cariche in entrambe le semireazioni.
• Gli atomi si bilanciano nel seguente ordine: prima gli atomi diversi da O e H,
poi O, poi H.
• Le cariche si bilanciano aggiungendo elettroni (e−). Gli elettroni si aggiungo-
no nel lato sinistro della semireazione di riduzione perché il reagente li acquista; si
aggiungono nel lato destro delle reazioni di ossidazione perché il reagente li cede.
Passo 3. Se necessario, moltiplicare una o entrambe le semireazioni per un numero
intero per rendere il numero di e− acquistati nella riduzione uguale al numero di
e− ceduti nell’ossidazione.
Passo 4. Sommare le due semireazioni bilanciate e indicare gli stati di aggregazione.
Passo 5. Verificare che atomi e cariche siano bilanciati.
Bilanceremo una reazione redox che avviene in soluzione acida, poi svolgeremo il
Problema di verifica 21.1 per bilanciarne una che avviene in soluzione basica.

Bilanciamento delle reazioni redox in soluzione acida Quando una reazione


redox avviene in soluzione acida molecole di H2O e ioni H+ sono disponibili per il
processo di bilanciamento. Anche se finora abbiamo utilizzato H3O+ per indicare il
protone in acqua, in questo capitolo useremo H+ per rendere meno complesse le
equazioni bilanciate. Dopo aver usato H+ in questo esempio, bilanceremo l’equazio-
ne con H3O+ per rendere evidente che l’unica differenza che comporta l’usare H+
rispetto a H3O+ è nel numero di molecole d’acqua prodotte.
Bilanciamo la reazione redox tra lo ione dicromato e lo ione ioduro per formare
lo ione cromo(III) e iodio solido che avviene in soluzione acida (Figura 21.2). Lo
scheletro della reazione ionica mostra solo le specie ossidate e ridotte:
Figura 21.2 La reazione
redox tra ione dicromato e Cr2O72− ( aq ) + I− ( aq ) ⎯ ⎯
→ Cr 3+ ( aq ) + I 2 ( s ) [ soluzione acida ]
ione ioduro. Quando Cr2O72−
(sinistra) e I− (centro) vengono Passo 1. Dividere la reazione in semireazioni ognuna delle quali contiene le forme
miscelati in soluzione acida ossidata e ridotta di una delle specie. Le due specie contenenti cromo formano una
reagiscono per formare Cr3+ e semireazione e le due specie contenenti iodio formano l’altra:
I2 (destra). (Foto: © McGraw-Hill Cr2O72− ⎯ ⎯
→ Cr 3+
Education/Stephen Frisch, pho-
tographer). I− ⎯ ⎯
→ I2

21txt.indd 708 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 709

Passo 2. Bilanciare atomi e cariche in ciascuna semireazione. Utilizziamo H2O per bilan-
ciare gli atomi di O, H+ per bilanciare gli atomi di H ed e− per bilanciare le cariche.
• Semireazione Cr2O72−/Cr3+.
a. Bilanciare gli atomi diversi da O e H. Bilanciamo i due atomi di cromo sulla
sinistra aggiungendo un coefficiente 2 sulla destra:
Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+
b. Bilanciare gli atomi di O aggiungendo molecole H2O. Ogni H2O contiene un O, per-
ciò aggiungiamo sette H2O nella parte destra per bilanciare i sette O in Cr2O72−:
Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
c. Bilanciare gli atomi di H aggiungendo ioni H+. Ogni H2O contiene due H e ab-
biamo aggiunto sette H2O, perciò aggiungiamo 14 ioni H+ nella parte sinistra
della semireazione:
14H+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
d. Bilanciare le cariche aggiungendo elettroni. Ogni ione H+ ha carica +1 e 14 H+
più Cr2O72− portano a una carica complessiva +12 nella parte sinistra della semi-
reazione. I due ioni Cr3+ causano una carica complessiva +6 nella parte destra.
C’è un eccesso di carica +6 nella parte sinistra quindi aggiungiamo lì 6 e−:
6e− + 14H+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
Questa semireazione è bilanciata e possiamo vedere che è la riduzione perché
gli elettroni sono stati aggiunti sulla sinistra: il reagente Cr2O72− ha acquistato
elettroni (è stato ridotto), ovvero Cr2O72− è l’agente ossidante. (Notare che il nu-
mero di ossidazione del Cr è diminuito da +6 sulla sinistra a +3 sulla destra).
• Semireazione I−/I2.
a. Bilanciare gli atomi diversi da O e H. Bilanciamo i due atomi di iodio sulla de-
stra aggiungendo un coefficiente 2 sulla sinistra:
2I− ⎯ ⎯
→ I2
b. Bilanciare gli atomi di O aggiungendo molecole H2O. Non è necessario: non ci
sono atomi di O.
c. Bilanciare gli atomi di H aggiungendo ioni H+. Non è necessario: non ci sono
atomi di H.
d. Bilanciare le cariche con e−. Per bilanciare la carica −2 a sinistra aggiungiamo
2e− sulla destra:
2I− ⎯ ⎯
→ I 2 + 2e−
Questa semireazione bilanciata è l’ossidazione perché gli elettroni sono stati ag-
giunti sulla destra: il reagente I− ha ceduto elettroni (è stato ossidato), ovvero I− è
l’agente riducente. (Notare che il numero di ossidazione di I è aumentato da −1 a 0).
Passo 3. Moltiplicare, se necessario, ogni semireazione per un numero intero in modo
che il numero di e− ceduti nell’ossidazione sia uguale al numero di e− acquistati
nella riduzione. Nell’esempio due e− sono persi nell’ossidazione e 6 e− sono acqui-
stati nella riduzione, perciò moltiplichiamo per 3 l’ossidazione:
3(2I− ⎯ ⎯
→ I 2 + 2e− )

6I ⎯ ⎯ → 3I 2 + 6e−
Passo 4. Sommare le due semireazioni, eliminando le sostanze presenti sia tra i reagen-
ti sia tra i prodotti e aggiungere l’indicazione degli stati di aggregazione:
6e− + 14H+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
6I− ⎯ ⎯
→ 3I 2 + 6e−
6I− ( aq ) + 14H+ ( aq ) + Cr2O72− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 3I 2 ( s ) + 7H2O( l ) + 2Cr 3+ ( aq )
Passo 5. Verificare che atomi e cariche siano bilanciati:
Reagenti (6I, 14H, 2Cr, 7O; 6+) ⎯ ⎯
→ Prodotti (6I, 14H, 2Cr, 7O; 6+)

21txt.indd 709 17/05/19 09:02


710 Capitolo 21

Bilanciamento di una reazione redox usando H3O+ Ora bilanciamo la


semireazio­ne di riduzione utilizzando H3O+ come sorgente di atomi di H. Nel Pas-
so 2, bilanciamo gli atomi di Cr e gli atomi di O come abbiamo fatto in precedenza,
perciò inizieremo con:
Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
Adesso utilizzeremo H3O+ anziché H+ per bilanciare gli atomi di H. Poiché ogni
H3O+ è costituito da un H+ legato a un H2O, bilanciamo i 14H sulla destra con
14H3O+ sulla sinistra e immediatamente bilanciamo l’acqua che è parte di quei
14H3O+ aggiungendo 14 ulteriori molecole di H2O sulla destra:
14H3O+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O + 14H2O
Semplificando la parte destra raggruppando le molecole di acqua:
14H3O+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 21H2O
Nulla di ciò che abbiamo fatto modifica il processo redox, perciò, per bilanciare le
cariche, dobbiamo nuovamente aggiungere 6e− sulla sinistra per ottenere la semi-
reazione di riduzione bilanciata:
6e− + 14H3O+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 21H2O
Sommando la semireazione di ossidazione bilanciata si ottiene la reazione redox
completa bilanciata:
6I− ( aq ) + 14H3O+ ( aq ) + Cr2O72− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 3I 2 ( s ) + 21H2O( l ) + 2Cr 3+ ( aq )
Notare che, come si era detto, l’unica differenza è il numero di molecole di H2O: ci
sono 14H2O in più (21 invece di 7) derivanti dai 14H3O+.
Una descrizione più accurata della reazione che mostri gli ioni metallici nella
loro forma idratata influenza unicamente il numero totale di molecole di H2O:
6I− ( aq ) + 14H3O+ ( aq ) + Cr2O72− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 3I 2 ( s ) + 9H2O( l ) + 2Cr(H2O)36+ ( aq )
Sebbene questi passi aggiuntivi descrivano più accuratamente le specie in solu-
zione, essi cambiano unicamente il numero di molecole d’acqua rendendo l’intero
processo di bilanciamento più difficile e sottraendo qualcosa alla comprensione
dell’evento chimico chiave – la reazione redox. Pertanto applicheremo il metodo in
cui gli atomi di H si bilanciano con ioni H+.
Bilanciamento delle reazioni redox in soluzione basica. Come abbiamo ap-
pena visto, in soluzione acida le molecole di H2O e gli ioni H+ (o H3O+) sono di-
sponibili per il processo di bilanciamento. Come verrà illustrato nel Problema di
verifica 21.1, quando una reazione avviene in soluzione basica sono disponibili ioni
OH− e molecole di H2O. C’è un passaggio ulteriore che è necessario per bilanciare
una reazione redox in soluzione basica. Questo appare dopo aver bilanciato entram-
be le semireazioni come se avvenissero in soluzione acida (Passi 1 e 2), dopo aver reso
gli e− ceduti uguali agli e− acquistati (Passo 3) e aver ricombinato le semireazioni
(Passo 4). A questo punto si aggiunge uno ione OH− per ogni ione H+ in entrambi i
lati della reazione. (Indicheremo questo passaggio come Passo 4 Basico). Gli ioni
H+ da un lato si combinano con gli ioni OH− aggiunti formando H2O e ioni OH− ap-
pariranno sull’altro lato della reazione. L’eccesso d’acqua si elimina e si identificano
gli stati della materia. Infine, si verifica che atomi e cariche siano bilanciati (Passo 5).

Bilanciamento delle reazioni redox con il metodo delle semireazioni


PROBLEMA DI VERIFICA 21.1
Problema Lo ione permanganato è un forte agente ossidante che viene utilizzato come
indicatore nelle titolazioni redox a causa del suo colore viola intenso (vedi Figura 4.13). In
soluzione basica reagisce con lo ione ossalato formando ione carbonato e diossido di man-
ganese solido. Bilanciare lo scheletro di reazione ionica che avviene tra NaMnO4 e Na2C2O4
in soluzione basica:
MnO−4 ( aq ) + C 2O 24− ( aq ) ⎯ ⎯→ MnO 2 ( s ) + CO32− ( aq ) [ soluzione basica ]

21txt.indd 710 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 711

Piano Procediamo fino al Passo 4 come se fossimo in soluzione acida. Poi aggiungiamo l’ap-
propriato numero di ioni OH− e cancelliamo l’eccesso di molecole di H2O (Passo 4 Basico).
Risoluzione
1. Dividere in semireazioni.
MnO4− MnO2 C2O42− CO32−
2. Bilanciare.
a. Atomi diversi da O e H a. Atomi diversi da O e H
Non necessario C2O42− 2CO32−
b. Atomi di O con H2O b. Atomi di O con H2O
MnO4− MnO2 + 2H2O 2H2O + C2O42−
2CO32−
+
c. Atomi di H con H c. Atomi di H con H+
+ −
4H + MnO4 MnO2 + 2H2O 2H2O + C2O42−
2CO32− + 4H+

d. Cariche con e d. Cariche con e−
− + −
3e + 4H + MnO4 MnO2 + 2H2O 2H2O + C2O42−
2CO32− + 4H+ + 2e−
[riduzione] [ossidazione]
3. Moltiplicare ogni semireazione, se necessario per un numero intero per rendere uguali
gli e− ceduti con quelli acquistati.
2(3e−+4H++MnO4− MnO2+2H2O) 3(2H2O+C2O42− 2CO32−+4H++2e−)
6e−+8H++2MnO4− 2MnO2+4H2O 6H2O+3C2O42− 6CO32−+12H++6e−
4. Sommare le semireazioni ed elidere le sostanze presenti in entrambi i lati:
6e− + 8H+ + 2MnO−4 ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 4H2O
2 6H2O + 3C 2O 24− ⎯ ⎯→ 6CO32− + 4 12H+ + 6e−
2MnO−4
+ 2H2O + 3C 2O 24− ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 6CO32− + 4H+
4. Soluzione basica. Aggiungere OH− da entrambi i lati per neutralizzare H+ e cancellare
H2O.
L’aggiunta di 4OH− a entrambi i lati causa la formazione di 4H2O sulla destra. Due
di queste si semplificano con le due sulla sinistra. Rimangono così due molecole H2O sulla
destra:
2MnO−4 + 2H2O + 3C 2O 24− + 4OH− ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 6CO32− + [4H+ + 4OH− ]
2MnO−4 + 2H2O + 3C 2O 24− + 4OH− ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 6CO32− + 2 4 H2O
Includendo l’indicazione degli stati di aggregazione si ottiene l’equazione finale bilanciata:
2MnO−4 ( aq ) + 3C 2O 24− ( aq ) + 4OH− ( aq ) ⎯ ⎯→ 2MnO 2 ( s ) + 6CO32− ( aq ) + 2H2O( l )
5. Controllare che atomi e cariche siano bilanciati.
(2Mn, 24O, 6C, 4H; 12−) ⎯ ⎯→(2Mn, 24O, 6C, 4H; 12−)
Commento Come passaggio finale possiamo ottenere l’equazione molecolare bilanciata
per questa reazione osservando il numero di moli di ciascun anione nella reazione ionica
bilanciata e aggiungendo il corretto numero di ioni spettatori (in questo caso Na+) per otte-
nere composti neutri. Per esempio, per bilanciare la carica di due ioni MnO4− è necessario
aggiungere 2 moli di Na+ in modo da ottenere NaMnO4. L’equazione molecolare bilanciata è:
2NaMnO 4 ( aq ) + 3Na 2C 2O 4 ( aq ) + 4NaOH( aq ) ⎯ ⎯→ 2MnO 2 ( s ) + 6Na 2CO3 ( aq ) + 2H2O( l )

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.1 Scrivere un’equazione molecolare


bilanciata per la reazione tra KMnO4 e KI in soluzione acquosa. L’equazione scheletro è:
MnO−4 ( aq ) + I− ( aq ) ⎯ ⎯→ MnO 24− ( aq ) + IO−3 ( aq ) [ soluzione basica ]

Il metodo delle semireazioni è altamente illustrativo dei processi redox ed è essen-


ziale per capire le celle elettrochimiche. I punti fondamentali da ricordare sono:
• ogni reazione redox può essere considerata come la somma di una semireazio-
ne di ossidazione e di una semireazione di riduzione;
• le masse (atomi) e le cariche si conservano nelle due semireazioni;
• gli elettroni ceduti in una semireazione sono acquistati nell’altra;
• anche se le due semireazioni vengono trattate separatamente, la cessione e
l’acquisto di elettroni avvengono contemporaneamente.

21txt.indd 711 17/05/19 09:02


712 Capitolo 21

Celle elettrochimiche
Le celle elettrochimiche si classificano in due categorie in funzione della natura
termodinamica della reazione.
1. Una cella voltaica (o cella galvanica) usa una reazione spontanea (ΔG < 0)
per generare energia elettrica. Nella reazione di cella la differenza in energia
• Quale semireazione
avviene a quale elettrodo?
potenziale chimica tra i reagenti, ad alto contenuto di energia, e i prodotti,
a minore contenuto di energia, viene convertita in energia elettrica. Questa
Se qualche volta dimenticate quale energia è poi utilizzata per far funzionare un dispositivo quale una lampadina,
semireazione avviene a quale elet-
trodo, si­cu­ramente non siete soli. Ci
un riproduttore CD, il motore d’avviamento di un’automobile, o qualsiasi altro
sono alcuni trucchi mnemonici che dispositivo elettrico. In altre parole, il sistema compie lavoro sull’ambiente. Tutte
possono aiutare. le batterie contengono celle voltaiche.
1. Le parole anodo e ossidazione 2. Una cella elettrolitica usa energia elettrica per far avvenire una reazione non
iniziano con vocali; le parole cato-
spontanea (ΔG > 0). Nella reazione di cella l’energia elettrica fornita da una
do e riduzione cominciano con
con­sonanti. sorgente esterna viene utilizzata per trasformare i reagenti, a basso contenuto
2. La A di anodo viene prima della di energia, in prodotti a maggior contenuto di energia. In questo caso l’ambiente
C di catodo in ordine alfabetico, compie lavoro sul sistema. L’elettrodeposizione e la separazione dei metalli dai
così come la O di ossidazione
materiali che li contengono sono basati su questo tipo di celle.
vie­ne prima della R di riduzione.
3. L’immagine riportata sopra si rife-
risce a un truc­co usato in inglese: I due tipi di celle hanno in comune alcune parti della loro struttura (Figura 21.3).
ANode, OXidation; REDuction, Due elettrodi, gli oggetti che conducono la corrente tra la cella e l’ambiente, sono
CAThode ⇒ AN OX and a RED
immersi in un elettrolita, una miscela di ioni, solitamente in soluzione acquosa, che
CAT (un toro e un gatto rosso).
sono coinvolti nelle reazioni o nel trasporto di cariche. In funzione della semirea­zione
che vi avviene un elettrodo viene identificato come anodo e l'altro come catodo.

• La semireazione di ossidazione ha luogo all’anodo. La sostanza che si ossida (agen-


te riducente) cede elettroni che lasciano la cella attraverso l’anodo.
• La semireazione di riduzione ha luogo al catodo. La sostanza che si riduce (agente
ossidante) acquista gli elettroni che entrano nella cella attraverso il catodo.

CELLA VOLTAICA CELLA ELETTROLITICA


Energia viene rilasciata da una Energia viene assorbita da una
reazione redox spontanea reazione redox non spontanea

Il sistema compie lavoro sull’ambiente L’ambiente (generatore) compie


lavoro sul sistema (cella)

e− e− e− e−
Anodo Ambiente Anodo Generatore
(Resistenza esterna) Catodo Catodo
(ossidazione) (ossidazione)
(riduzione) (riduzione)

Energia Energia

Figura 21.3 Caratteristiche


generali delle celle voltaiche
ed elettrolitiche. Una cella (−) (+) (+) (−)
voltaica (A) genera energia elet-
Elettrolita con
trica da una reazione spontanea Elettrolita X+ Elettrolita Y+ A − e B+
(ΔG < 0), mentre una cella
elettrolitica (B) richiede energia
per far avvenire una reazione
non spontanea (ΔG > 0). In Semireazione di ossidazione Semireazione di ossidazione
entrambi i tipi di cella due elet- X X+ + e− A− A + e−
trodi sono immersi in soluzioni
elettrolitiche e un circuito ester- Semireazione di riduzione Semireazione di riduzione
no permette agli elettroni di
e− + Y+ Y e− + B+ B
muoversi tra esse. È importante
notare che l’ossidazione avviene
all’anodo e la riduzione al cato- Reazione completa di cella Reazione completa di cella
do, ma le cariche dei relativi X + Y− X+ + Y; ΔG < 0 A − + B+ A + B; ΔG > 0
elettrodi sono opposte nei due
tipi di cella. A B

21txt.indd 712 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 713

Come illustrato in Figura 21.3, le cariche degli elettrodi hanno segno opposto nei
due tipi di cella. Vedremo nelle prossime sezioni che il segno opposto delle cariche
è conseguenza dei diversi fenomeni che causano il flusso degli elettroni.

21.2 CELLE VOLTAICHE: UTILIZZARE REAZIONI


SPONTANEE PER PRODURRE
ENERGIA ELETTRICA
Se si mette una barretta di zinco metallico in una soluzione di ioni Cu2+ il colore
blu della soluzione si schiarisce e contemporaneamente uno strato di Cu metallico
marrone scuro si forma sulla barretta di Zn (Figura 21.4) . Alla luce di quel che si
vede la reazione comporta la riduzione dello ione Cu2+ a Cu metallico che deve
essere accompagnata dall’ossidazione dello zinco metallico a ione Zn2+. La reazione
completa è costituita da due semireazioni:

Cu 2+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Cu( s ) [riduzione]
2+ −
Zn( s ) ⎯ ⎯
→ Zn ( aq ) + 2e [ossidazione]
2+ 2+
Zn( s ) + Cu ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn ( aq ) + Cu( s ) [reazione completa]
In questo paragrafo esamineremo questa reazione spontanea come base di una cella
voltaica (galvanica).

Costruzione e funzionamento di una cella voltaica


Nella reazione Zn/Cu2+ mostrata in Figura 21.4 c’è un trasferimento di elettroni ma
il sistema non produce energia elettrica perché l’agente ossidante (Cu2+) e l’agente
riducente (Zn) sono in contatto fisico nello stesso recipiente. Se le due semireazioni
vengono separate fisicamente e collegate da un circuito esterno, il trasferimento
di elettroni avviene attraverso il circuito e si ha produzione di corrente elettrica.
Questa separazione di semireazioni è l’idea essenziale su cui si basa una cella
voltaica (Figura 21.5A). I componenti di ogni semireazione sono posti in un conte-
nitore separato, o semicella (o semielemento), costituita da un elettrodo immer-
so in una soluzione elettrolitica. Le due semicelle sono collegate da un circuito co-

Figura 21.4 La reazione


spontanea tra lo zinco e gli
ioni rame(II). Quando una
lamina di zinco metallico viene
posta in una soluzione di ioni
Cu2+, ha inizio una reazione
redox (sinistra) in cui lo zinco si
ossida a Zn2+ e Cu2+ si riduce
a rame metallico. Con il pro-
Zn2+
cedere della reazione (destra)
Zn il colore blu della soluzione di
ioni Cu2+ idrati diventa più pal-
2e−
lido e Cu si deposita sullo Zn e
Cu poi cade in frammenti. (Il Cu
Zn appare nero perché è costituito
Cu2+ Cu
da particelle finemente divise).
Su scala atomica, ogni atomo
di Zn perde due elettroni che
vengono acquistati da uno ione
Cu2+. Il processo è riassunto in
Zn(s) + Cu 2+(aq) Zn 2+(aq) + Cu(s) simboli nella reazione bilanciata.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).

21txt.indd 713 17/05/19 09:02


714 Capitolo 21

stituito da un cavo elettrico e da un ponte salino (il tubo a U rovesciata nella figura;
discuteremo la sua funzione tra breve). Per poter misurare il potenziale generato
da una cella si inserisce un voltmetro lungo il cavo che collega i due elettrodi. Si
include poi un interruttore (non mostrato nella figura) per aprire o chiudere il cir-
cuito. Per convenzione la semicella di ossidazione (compartimento anodico) è mostrata
sulla sinistra e la semicella di riduzione (compartimento catodico) sulla destra. Di seguito
si individuano i punti fondamentali di una cella voltaica.
1. La semicella di ossidazione. In questo caso il compartimento anodico è costituito
da una barretta di zinco metallico (l’anodo) immerso in una soluzione elettroli-
tica di Zn2+ (per esempio solfato di zinco, ZnSO4). Per partecipare attivamente
come reagente nella semireazione di ossidazione, la barretta di zinco conduce
gli elettroni ceduti al di fuori della semicella.
2. La semicella di riduzione. In questo caso il compartimento catodico è costitu-
ito da una barretta di rame metallico (il catodo) immerso in una soluzione
elettrolitica di Cu2+ [per esempio solfato di rame(II), CuSO4]. Per partecipare
attivamente come reagente nella semireazione di riduzione, la barretta di rame
conduce gli elettroni all’interno della semicella.
3. Cariche relative degli elettrodi (polarità). Le cariche degli elettrodi sono deter-
minate dalla sorgente di elettroni e dalla direzione del flusso degli elettroni
attraverso il circuito. In questa cella lo zinco metallico viene ossidato all’ano-
do producendo ioni Zn2+ ed elettroni. Gli ioni Zn2+ entrano e fluiscono nella
soluzione mentre gli elettroni entrano nel cavo elettrico. Gli elettroni fluisco-
no da sinistra a destra attraverso il cavo verso il catodo. Qui gli ioni Cu2+ in
soluzione acquistano gli elettroni e vengono ridotti ad atomi di Cu. Durante il

Figura 21.5 Una cella voltai-


ca basata sulla reazione zinco- e−
rame. A. La semicella anodica
(ossidazione) è costituita da un 2 e− acquistati
elettrodo di zinco immerso in 2 e− ceduti per per ione Cu2+
una soluzione di ioni Zn2+. I due atomo di Zn ridotto
elettroni liberati nell’ossidazione ossidato
di ogni atomo di Zn si muovono Cu2+
attraverso la barretta di zinco e Zn Cu e−
il cavo elettrico fino all’elettrodo Zn2+
di Cu che è immerso in una solu- e− e−
zione di ioni Cu2+ nella semicella Voltmetro
catodica (riduzione). Lì gli elet-
troni riducono gli ioni Cu2+. In Anodo Ponte salino Catodo
questo modo gli elettroni fluisco- (+) Cu
Zn (−) Na+
no da sinistra a destra attraverso SO42−
gli elettrodi e il cavo. Un ponte
salino contiene gli ioni non reat-
tivi Na+ e SO42− che mantengono
elettricamente neutra la solu-
zione elettrolitica: gli anioni del
ponte salino migrano a sinistra
e i cationi a destra. Il voltmetro
registra l’“output” della cella.
A Zn2+ B Cu2+
B. Dopo che la cella ha funzio-
nato per diverse ore, l’anodo di
zinco pesa di meno perché gli Semireazione di ossidazione
atomi Zn sono stati ossidati a Zn(s) Zn2+(aq) + 2e−
ioni Zn2+ in soluzione, mentre
il catodo di rame pesa di più Semireazione di riduzione
perché ioni Cu2+ in soluzione Cu2+(aq ) + 2e− Cu(s)
sono stati ridotti a rame metal-
lico. (Foto: (B) © McGraw-Hill Reazione completa di cella
Education/Stephen Frisch, photo-
A Zn(s) + Cu2+(aq) Zn2+(aq) + Cu(s)
grapher).

21txt.indd 714 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 715

funzionamento della cella si ha una continua generazione di elettroni all’anodo


e un continuo consumo di elettroni al catodo, perciò l’anodo ha un eccesso di e− Voltmetro e−

elettroni e una carica negativa relativamente al catodo. In ogni cella voltaica


Anodo Catodo
l’anodo è negativo e il catodo è positivo. (−) (+)
K+
4. Lo scopo del ponte salino. La cella non può funzionare se il circuito non è com- NO3−
pleto. Inizialmente la semicella di ossidazione contiene una soluzione neutra
di ioni Zn2+ e SO42−, ma se gli atomi nella barretta di Zn metallico cedono
elettroni, nuovi ioni Zn2+ si formano nella soluzione, che acquisterebbe una
carica positiva netta. Similmente, nella semicella di riduzione la soluzione neu-
tra di ioni Cu2+ e SO42− svilupperebbe una carica negativa netta a seguito della I2
formazione di atomi di Cu dagli ioni Cu2+. Ci sarebbe uno sbilancio di cariche
e, se non si mantenesse l’elettroneutralità delle soluzioni nelle due semicelle, I− MnO4−, H+, Mn2+

la cella smetterebbe di funzionare. Per permettere alla cella di funzionare le


Semireazione di ossidazione
due semicelle sono collegate da un ponte salino che agisce come un “cavo
2I−(aq) I2(s) + 2e−
liquido” permettendo il flusso degli ioni tra i due comparti e completando il
circuito. Il ponte salino mostrato nella Figura 21.5A è un tubo a U rovesciata Semireazione di riduzione
contenente una soluzione di ioni non reattivi – in questo caso Na+ e SO42− – MnO4−(aq) + 8H+(aq) + 5e−
dispersa in un gel. In questo modo la soluzione non può uscirne ma gli ioni Mn2+(aq) + 4H2O(l)

possono diffondere attraverso di esso dentro e fuori dalle semicelle. Reazione completa di cella
Per mantenere l’elettroneutralità della soluzione nella semicella di riduzione 2MnO4−(aq) + 16H+(aq) + 10I−(aq)
(destra, compartimento catodico) man mano che ioni Cu2+ si convertono in 2Mn2+(aq) + 5I2(s) + 8H2O(l)
atomi Cu, ioni Na+ passano dal ponte salino alla soluzione (e alcuni ioni SO42−
passano dalla soluzione nel ponte salino). Analogamente, per mantenere l’elet- Figura 21.6 Una cella voltaica
con elettrodi inerti. Nella rea-
troneutralità nella semicella di ossidazione (sinistra, compartimento anodico) zione tra I− e MnO4− in soluzione
man mano che atomi di Zn si trasformano in ioni Zn2+, ioni SO42− passano dal acida non ci sono specie che pos-
ponte salino nella soluzione (e alcuni ioni Zn2+ passano dalla soluzione nel sano agire da elettrodi, perciò per
ponte salino). Così, come illustrato in Figura 21.5A, il circuito è completo: gli costruire una cella basata su que-
sta reazione si usano elettrodi inerti
elettroni si muovono da sinistra a destra nel cavo elettrico, mentre gli anioni si muo-
di grafite (C).
vono da destra a sinistra e i cationi da sinistra a destra attraverso il ponte salino.
5. Elettrodi attivi e inerti. Gli elettrodi nella cella Zn/Cu2+ sono elettrodi attivi per-
ché i metalli partecipano alle semireazioni. Durante il funzionamento della cella
la massa dell’elettrodo di zinco diminuisce gradualmente e la concentrazione
[Zn2+] nella semicella anodica aumenta. Parallelamente, la massa dell’elettrodo
di rame aumenta e la concentrazione [Cu2+] nella semicella catodica diminui-
sce. Si dice che Cu2+ si deposita sull’elettrodo. La Figura 21.5B mostra gli elet-
trodi rimossi dalle rispettive semicelle dopo diverse ore di funzionamento.
Per molte reazioni redox però non esistono reagenti o prodotti che possano funzio-
nare da elettrodi. In questi casi si utilizzano elettrodi inerti. Gli elettrodi inerti più
comuni sono barrette di grafite o platino: conducono elettroni entro e fuori la cella
ma non prendono parte alle semireazioni. Per esempio, in una cella voltaica basata
sulle seguenti semireazioni, le specie reagenti non possono agire da elettrodi:
2I− ( aq ) ⎯ ⎯
→ I 2 ( s ) + 2e− [anodo: ossidazione]
MnO−4 ( aq ) + 8H+ ( aq ) + 5e− ⎯⎯→ Mn 2+ ( aq ) + 4H2O( l ) [catodo: riduzione]
Perciò ciascuna semicella è costituita da elettrodi inerti immersi in una soluzione elet-
trolitica che contiene tutte le specie coinvolte nella semirazione (Figura 21.6). Nella se-
micella anodica ioni I− si ossidano a I2 solido. Gli elettroni ceduti fluiscono attraverso
l’anodo di grafite e il cavo elettrico fino al catodo di grafite. Lì gli elettroni sono acqui-
stati dagli ioni MnO4− che si riducono a ioni Mn2+. (Si utilizza un ponte salino di KNO3).
Dalle Figure 21.5A e 21.6 si può notare l’esistenza di elementi fissi nello sche-
ma di qualsiasi cella voltaica. La struttura fisica include i contenitori delle semicelle,
gli elettrodi, i cavi e il ponte salino ai quali si aggiungono i seguenti dettagli:
• componenti di semicella: materiali elettrodici, ioni elettrolitici e ogni altra
sostanza coinvolta nella reazione;
• nome dell’elettrodo (anodo o catodo) e carica; per convenzione il comparti- CELLA GALVANICA
mento anodico si pone a sinistra;

21txt.indd 715 17/05/19 09:02


716 Capitolo 21

• ogni semireazione con la sua semicella e la reazione completa della cella;


OPERAZIONI DI UNA
CELLA VOLTAICA • direzione del flusso di elettroni nel circuito esterno;
• natura degli ioni e direzione del flusso di ioni nel ponte salino.
Vedrete tra poco come specificare questi dettagli in uno schema abbreviato di una
cella.

Rappresentazione di una cella voltaica


Esiste un’utile notazione abbreviata per descrivere i componenti di una cella vol-
taica. Per esempio, il simbolismo per la cella Zn/Cu2+ è:
Zn( s ) | Zn 2+ ( aq ) || Cu 2+ ( aq ) | Cu( s )
Le parti essenziali del simbolismo sono spiegate di seguito.
• I componenti del compartimento anodico (semicella di ossidazione) sono
scritti alla sinistra delle componenti del compartimento catodico (semicella di
riduzione).
• Una linea verticale rappresenta una separazione di fase. Zn(s) | Zn2+(aq), per
esempio, indica che la fase solida Zn è diversa dalla fase acquosa Zn2+. Una
virgola separa i componenti di cella che sono nella stessa fase. Per esempio la
rappresentazione della cella voltaica in cui avviene la reazione tra I− e MnO4−
mostrata in Figura 21.6 è:
grafite | I− ( aq ) | I 2 ( s ) || H+ ( aq ), MnO−4 ( aq ), Mn 2+ ( aq ) | grafite

Ciò indica che, nel compartimento catodico gli ioni H+, MnO4− e Mn2+ sono
tutti in una soluzione acquosa in cui è immersa la grafite. Spesso si specifica
la concentrazione delle diverse componenti in soluzione; per esempio se la
concentrazione di Zn2+ e Cu2+ è 1 M, si scrive:
Zn( s ) | Zn 2+ (1 M ) || Cu 2+ (1 M ) | Cu( s )
• Le componenti di semicella appaiano generalmente nello stesso ordine in cui
appaiono nelle semireazioni e gli elettrodi all’estrema destra e all’estrema sini-
stra della rappresentazione.
• Una doppia linea verticale separa le semicelle e rappresenta la separazione di
fase a entrambe le estremità del ponte salino (gli ioni nel ponte salino vengono
omessi perché non prendono parte alla reazione).

Rappresentazione di celle voltaiche


PROBLEMA DI VERIFICA 21.2
Problema Disegnare, mostrare le equazioni bilanciate e rappresentare schematicamente
una cella voltaica costituita da una semicella con una barretta di Cr in una soluzione di
Cr(NO3)3, un’altra semicella con una barretta di Ag in una soluzione di AgNO3 e un ponte
salino di KNO3. Determinazioni sperimentali indicano che l’elettrodo di Cr è negativo e
l’elettrodo di Ag è positivo.
Piano Noti i componenti delle semicelle, possiamo scrivere le semireazioni. Dobbiamo
determinare qual è il compartimento anodico (ossidazione) e quale quello catodico (ridu-
zione). Per farlo, dobbiamo trovare la direzione della reazione spontanea, che è determinata
dalle cariche relative degli elettrodi (polarità). Poiché gli elettroni sono ceduti nell’anodo
durante l’ossidazione, l’anodo ha carica negativa. Ci è stato detto che Cr è negativo, perciò
deve essere l’anodo e dunque Ag è il catodo.
Risoluzione Scrivere le semireazioni bilanciate. Poiché l’elettrodo di Ag è positivo, la semi-
reazione consuma e−:

Ag + ( aq ) + e− ⎯ ⎯→ Ag( s )  [riduzione: catodo]


Poiché l’elettrodo di Cr è negativo, la semireazione cede e−:
Cr( s ) ⎯ ⎯→ Cr 3+ ( aq ) + 3e−   [ossidazione: anodo]

21txt.indd 716 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 717

Scrivere l’equazione bilanciata completa della cella. Moltiplichiamo per tre la semireazione
di riduzione per bilanciare gli e−, quindi sommiamo le semireazioni per ottenere la comple-
ta reazione redox spontanea:
e− e−
Cr( s ) + 3Ag + ( aq ) ⎯ ⎯→ Cr 3+ ( aq ) + 3Ag( s ) Voltmetro

Determinare le direzioni di flussi di elettroni e di ioni. Gli e− ceduti nell’elettrodo di Cr Anodo Catodo
(negativo) fluiscono attraverso il circuito esterno verso l’elettrodo di Ag (positivo). Man (−)
K+ (+)
Cr NO3− Ag
mano che ioni Cr3+ si formano nella soluzione elettrolitica anodica, ioni NO3− affluiscono
dal ponte salino per mantenere l’elettroneutralità della soluzione. Man mano che ioni Ag+
si separano dalla soluzione elettrolitica catodica e si depositano sull’elettrodo di Ag, ioni K+
affluiscono dal ponte salino per mantenere l’elettroneutralità della soluzione. Il disegno di
questa cella è riportato a lato.
Scrivere lo schema della cella:
Cr3+ Ag+
Cr( s ) | Cr 3+ ( aq ) || Ag + ( aq ) | Ag( s )
Verifica Essere sempre sicuri che sia le semireazioni sia la reazione completa di cella siano Semireazione di ossidazione
Cr(s) Cr3+(aq) + 3e−
bilanciate, che le semicelle contengano tutti i componenti delle semireazioni e che siano
mostrati i flussi di elettroni e ioni. Per controllo, dovreste essere in grado di scrivere le
semireazioni dallo schema della cella. Semireazione di riduzione
Ag+(aq) + e− Ag(s)
Commento Il punto cruciale nel rappresentare una cella voltaica è di usare una reazione
spontanea per identificare le semireazioni di ossidazione (anodo) e riduzione (catodo). Reazione completa di cella
Cr(s) + 3Ag+(aq) Cr3+(aq) + 3Ag(s)
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.2 In un compartimento di una cella
voltaica, una barretta di grafite è immersa in una soluzione acida di K2Cr2O7 e Cr(NO3)3;
nell’altro una barretta di stagno è immersa in una soluzione di Sn(NO3)2. Le due semicelle
sono unite da un ponte salino di KNO3. L’elettrodo di stagno è negativo rispetto alla grafite.
Disegnare la cella, scrivere le equazioni bilanciate e rappresentare schematicamente la cella.

Perché funziona una cella voltaica?


Possiamo vedere che la cella Zn/Cu2+ genera energia elettrica collegando una lampa-
dina nel circuito esterno o guardando il voltmetro. Ma qual è il principio che spie­ga
come avviene la reazione e perché il flusso di elettroni segue la direzione indi­cata?
Esaminiamo cosa succede quando l’interruttore è aperto e non avviene alcuna
reazione. Possiamo considerare l’elettrodo metallico in equilibrio con gli ioni nella
soluzione elettrolitica in ognuna delle semicelle, con gli elettroni legati al metallo:
Zn( s )   Zn 2+ ( aq ) + 2e− (in Zn metallico)


Cu( s )   Cu 2+ ( aq ) + 2e− (in Cu metallico)




Dalla direzione della reazione spontanea completa (mostrata a p. 713) sappiamo che
Zn cede i suoi elettroni più facilmente di Cu e, dunque, è un’agente riducente più
forte. La posizione di equilibrio della semireazione di Zn è più spostata a destra:
Zn produce più elettroni di Cu. Si può immaginare che gli elettroni nell’elettrodo
di Zn abbiano una “pressione elettronica” maggiore di quelli nell’elettrodo di Cu,
un’energia potenziale maggiore (chiamata potenziale elettrico) pronta a “spingere” gli
elettroni attraverso il circuito. Quando si chiude il circuito, gli elettroni fluiscono
dall’elettrodo di Zn a quello di Cu per rendere uguale la differenza di potenziale • Flusso di elettroni e flus-
so d’acqua Si consideri questa
elettrica (d.d.p.). Il flusso perturba l’equilibrio di ciascun elettrodo: la semireazione analogia tra “pressione” elettrica e
di Zn si sposta a destra per sostituire gli elettroni che fluiscono via e la semireazio- pressione dell’acqua. Un tubo a U
ne di Cu si sposta a sinistra per eliminare gli elettroni che vi affluiscono. Così, la (cella) è separato in due bracci (due
reazione spontanea avviene perché i due metalli hanno diversa capacità di cedere elettroni semicelle) da un rubinetto (inter-
ruttore), i due bracci contengono
e per la capacità degli elettroni di fluire attraverso il circuito.
acqua a diverse altezze (le semi-
celle contengono semireazioni con
21.3 POTENZIALE DI CELLA: diversi potenziali elettrici). Aprite
il rubinetto (chiudete l’interruttore)
L’“OUTPUT” DI UNA CELLA VOLTAICA e le due altezze diverse (differenza
di potenziale) diventano uguali con
Lo scopo di una cella voltaica è di convertire la variazione di energia libera di una il fluire dell’acqua (gli elettroni flui-
reazione spontanea in energia cinetica degli elettroni che si muovono in un circuito scono e si genera corrente).

21txt.indd 717 17/05/19 09:02


718 Capitolo 21

Tabella 21.1 Differenza di potenziale di alcune celle voltaiche


Celle voltaiche d.d.p. (V)
Comune batteria alcalina 1,5
Batteria piombo-acida dell’automobile (6 celle = 12 V) 2,0
Batteria di una calcolatrice (mercurio) 1,3
Batteria litio-ione di un computer portatile 3,7
Anguilla elettrica (∼5000 celle in un’anguilla di 2 m = 750 V) 0,15
Nervo di un calamaro gigante (attraverso la membrana cellulare) 0,070

esterno (energia elettrica). L’energia elettrica può essere utilizzata per compiere la-
voro ed è proporzionale alla differenza di potenziale elettrica tra i due elettrodi. Tale dif-
ferenza di potenziale elettrica tra gli elettrodi è il potenziale di cella (ΔE) anche
detto differenza di potenziale (d.d.p.) della cella o forza elettromotrice (fem).
Gli elettroni sono carichi negativamente perciò fluiscono spontaneamente dal
polo negativo al polo positivo, cioè verso l’elettrodo con potenziale elettrico più
positivo. Quando la cella funziona spontaneamente la differenza tra i potenziali elet-
trodici è positiva, ovvero il potenziale della cella è positivo:
ΔE > 0 per un processo spontaneo (21.1)
Più positivo è ΔE, maggiore è il lavoro che la cella può compiere e più la reazio­-
ne (scritta nel verso in cui avviene spontaneamente) procede verso destra. D’altro
canto un potenziale di cella negativo è associato con una reazione di cella non
spontanea. Se ΔE = 0 la reazione ha raggiunto l’equilibrio e la cella non può più
compiere lavoro. (C’è una chiara relazione tra ΔE, K e ΔG che discuteremo nel
Paragra­­fo 21.4).
Come sono correlate le unità di potenziale di cella a quelle dell’energia di­
sponibile per compiere lavoro? Come abbiamo visto precedentemente, viene
compiuto un lavoro quando si muovono le cariche tra diversi compartimenti
elettrodici con diverso potenziale elettrico. L’unità SI del potenziale elettrico è
il volt (V) e quella della carica elettrica è il coulomb (C). Per definizione per
due elettrodi il cui potenziale differisce di 1 V, viene rilasciato 1 joule di energia
(ovvero si può compiere un lavoro di 1 joule) per ogni coulomb di carica che si
muove tra gli elettrodi. Così:
1 V = 1 J/C (21.2)
La Tabella 21.1 elenca i potenziali (differenza di potenziale) di alcune celle voltai-
che commerciali e naturali. Vediamo ora come misurare il potenziale di cella.
Semicella di Cu Potenziali standard di cella
(catodo, riduzione)
La misura del potenziale di una cella voltaica è influenzata dalle variazioni in concen-
trazione che avvengono man mano che la reazione procede e dalle perdite di energia
dovute al riscaldamento della cella e del circuito esterno. Pertanto, per poter con-
frontare le uscite di diverse celle si utilizza il potenziale standard di cella (ΔE 0),
cioè il potenziale misurato a una determinata temperatura (generalmente 298 K),
senza flusso di corrente* e in cui tutti i componenti sono nel loro stato standard: 1 atm
Semicella di Zn per i gas, 1 M per le soluzioni, solido puro per gli elettrodi. Quando la cella zinco-
(anodo, ossidazione)
rame che abbiamo disegnato in Figura 21.5 opera in condizioni standard, ovvero
quando [Zn2+] = [Cu2+] = 1 M, la cella produce 1,10 V a 298 K (vedi foto):
Zn( s ) + Cu 2+ ( aq , 1 M ) ⎯ ⎯
→ Zn 2+ ( aq , 1 M ) + Cu( s ) ΔE 0 = 1,10 V
La cella zinco-rame opera in
condizioni standard a 298 K.
(Foto: © Richard Megna/ Potenziali standard di semicella Così come ogni semireazione costituisce una
Fundamental Photographs, NYC). parte della reazione complessiva, il potenziale di ogni semicella è parte del potenziale

* La corrente richiesta per far funzionare i moderni voltmetri digitali modifica in maniera trascurabile il
valore di ΔE 0.

21txt.indd 718 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 719

complessivo della cella. Il potenziale elettrodico standard (E0) è il potenziale


associato a una data semireazione (compartimento elettrodico) quando tutti i com-
ponenti sono nel loro stato standard.
Per convenzione, un potenziale elettrodico standard si riferisce sempre alla semi-
reazione scritta nel verso della riduzione. Per la reazione zinco-rame, per esempio,
i potenziali elettrodici standard per la semireazione dello zinco (E 0Zinco, comparti-
mento anodico) e per la semireazione del rame (E 0Rame, compartimento catodico) si
riferiscono ai processi scritti come riduzioni:
Zn 2+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Zn( s ) 0
EZinco (E anodo
0
) [ riduzione ]
2+ −
Cu ( aq ) + 2e ⎯ ⎯ → Cu( s ) ERame (Ecatodo )
0 0
[ riduzione ]
La reazione complessiva però coinvolge l’ossidazione dello zinco all’anodo, non la
riduzione di Zn2+, perciò invertiamo la semireazione dello zinco:
→ Zn 2+ ( aq ) + 2e−
Zn( s ) ⎯ ⎯ [ ossidazione ]
2+ −
Cu ( aq ) + 2e ⎯ ⎯ → Cu( s ) [ riduzione ]
La reazione complessiva è la somma di queste due semireazioni:
Zn( s ) + Cu 2+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn 2+ ( aq ) + Cu( s )
Poiché il flusso spontaneo di elettroni è diretto verso l’elettrodo di rame (catodo),
questo deve avere un potenziale di semicella E0 più positivo di quello dell’elettro-
do di zinco (anodo). Per ottenere un potenziale di cella ΔE0 positivo è necessario
sottrarre E 0Zinco da E 0Rame:
ΔE 0 = E 0Rame − E 0Zinco
Si può generalizzare questo risultato per ogni cella voltaica: il potenziale standard
di cella è la differenza tra il potenziale standard di semicella del catodo (riduzione) e il
potenziale standard di semicella dell’anodo (ossidazione).
ΔE 0 = E 0catodo − E 0anodo (21.3)

Determinare (E0): l’elettrodo standard di idrogeno Qual è il contributo della


semicella anodica (ossidazione dello zinco) e quale quello della semicella catodica
(riduzione del rame) al potenziale standard di cella ΔE0 per la reazione zinco-rame?
Ovvero come possiamo conoscere i potenziali di semicella se possiamo misurare
solo il potenziale della cella completa? I potenziali di semicella, come E 0Zinco ed
E 0Rame non sono valori assoluti, ma piuttosto valori relativi a quelli di uno standard. I
chimici hanno scelto una semicella di riferimento e definito il suo potenziale elettrodico
standard come zero (E 0riferimento ≡ 0,00 V). La semicella standard di riferimento è
un elettrodo standard di idrogeno, costituito da un elettrodo di platino, prepa-
rato con una tecnica particolare, immerso in una soluzione 1 M di un acido forte,
H+(aq) [o H3O+(aq)] attraverso la quale gorgoglia gas H2 alla pressione di 1 atm. La
semireazione dell’elettrodo di riferimento è:
2H+ ( aq , 1 M ) + 2e− 


 H2 ( g , 1 atm) 0
E riferimento =
0,00 V
Possiamo ora costruire una cella voltaica costituita dalla semicella di riferimento
e da un’altra semicella di cui vogliamo determinare il potenziale. Avendo definito
E 0riferimento come zero, il potenziale totale ΔE0 ci permette di determinare il poten-
ziale standard incognito E 0incognito. Se H2 viene ossidato, la semicella di riferimento è
l’anodo e la riduzione avverrà nella semicella incognita:
ΔE 0 = E 0catodo − E 0anodo = E 0incognito − E 0riferimento = E 0incognito − 0,00 V = E 0incognito
Se H2 viene ridotto, la semicella di riferimento è il catodo e l’ossidazione avverrà
nella semicella incognita:
ΔE 0 = E 0catodo − E 0anodo = E 0riferimento − E 0incognito = 0,00 V − E 0incognito = −E 0incognito
La Figura 21.7 mostra una cella voltaica in cui la semireazione Zn/Zn2+ avviene in
un compartimento e la semireazione H+/H2 (o H3O+/H2) nell’altro. L’elettrodo di

21txt.indd 719 17/05/19 09:02


720 Capitolo 21

e− 0,76 V e−

Voltmetro
H2
Anodo Catodo H2 (g)
Zn (−) Ponte salino (+)
e− 1 atm superficie
bolla di H2
di Pt

2 e− ceduti per
atomo di Zn ossidato Filo di Pt 2H2O
Zn 2+ Pt
2 e− acquistati per e−
molecola di H2
Zn formata
1 M Zn 2+ 1 M H3O+ 2H3O+

Semireazione di ossidazione
Zn(s) Zn2+(aq) + 2e−

Semireazione di riduzione
2H3O +(aq ) + 2e− H2(g ) + 2H2O(l )

Reazione completa di cella


Zn(s) + 2H3O +(aq ) Zn2+(aq) + H2(g) + 2H2O(l )

Figura 21.7 Determinare zinco è negativo rispetto all’elettrodo di idrogeno, perciò lo zinco verrà ossidato
un va­lore ignoto di E0 con all’anodo. Il potenziale misurato della cella è E0 = + 0,76 V e da questo valore pos-
l’elettrodo standard di riferi- siamo determinare il potenziale standard incognito, E 0Zinco:
mento (idrogeno). Una cella
voltaica è costruita con una 2H+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ H2 ( g ) 0
E riferimento = 0,00 V [ catodo: riduzione ]
semireazione di Zn in una
semicella e la semireazione di Zn( s ) ⎯ ⎯ 2+
→ Zn ( aq ) + 2e − 0
EZinco =
?V [ anodo: ossidazione ]
riferimento di idrogeno nell’al-
+ 2+
tra. L’ingrandimento della semi- Zn( s ) + 2H ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn ( aq ) + H2 ( g ) ΔE = 0,76 V
0

reazione dell’idrogeno mo­stra


ΔE 0 = Ecatodo
0
− E anodo
0
= E riferimento
0
− EZinco
0
due ioni H3O+ che vengono
ridotti a due molecole di H2O e 0
EZinco = E riferimento
0
− ΔE 0 = 0,00 V − 0,76 V = −0,76 V
una molecola di H2 che entra
nella bolla di H2. Il potenzia- Torniamo ora alla cella zinco-rame e usiamo il valore misura di ΔE0 (1,10 V) e il
le della semicella Zn/Zn2+ è valore appena trovato per E 0Zinco per calcolare E 0Rame:
negativo (anodo) e il potenziale ΔE 0 = Ecatodo
0
− E anodo
0
= ERame
0
− EZinco
0
di cella è 0,76 V. Il potenziale
ERame = ΔE + EZinco = 1,10 V + (−0,76 V) = 0,34 V
0 0 0
dell’elettrodo standard di rife-
rimento è per definizione 0,00 Ripetendo questo processo di costruzione di celle con un potenziale elettrodico
V perciò il potenziale di cella noto e uno incognito possiamo determinare molti altri potenziali elettrodici. Rive-
è uguale al potenziale anodi-
co con segno inverso: ovvero
diamo queste idee ancora una volta con un problema di verifica.
0,76 = 0,00 V − E0Zinco, perciò
E0Zinco = −0,76 V.
Calcolo di un potenziale incognito E 0 da ΔE 0
PROBLEMA DI VERIFICA 21.3
Problema In una cella voltaica avviene la reazione spontanea tra bromo acquoso e zinco
metallico:
Br2 ( aq ) + Zn( s ) ⎯ ⎯→ Zn 2+ ( aq ) + 2Br− ( aq ) ΔE 0 = 1,83 V
Calcolare E 0Bromo, sapendo che E 0Zinco = −0,76 V.
Piano ΔE 0 è positivo perciò la reazione procede spontaneamente nel verso in cui è scritta.
Dividendo la reazione in semireazioni vediamo che Br2 viene ridotto e Zn ossidato, cioè
che la semicella di zinco è l’anodo. Usiamo l’Equazione 21.3 per trovare E 0incognito (E 0Bromo).
Risoluzione Dividere la reazione in semireazioni:
Br2 ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯→ 2Br− ( aq ) 0
=
E incognito E=
0
Bromo ?V
2+ −
Zn( s ) ⎯ ⎯→ Zn ( aq ) + 2e 0
E Zinco =
−0, 76 V

21txt.indd 720 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 721

Calcolare E 0Bromo:
ΔE 0 = E 0catodo − E 0anodo = E 0Bromo − E 0Zinco
E 0Bromo = E 0 + E 0Zinco = 1,83 V + (−0,76 V) = 1,07 V
Verifica Una buona verifica è accertarsi che E 0Bromo − E 0Zinco dia ΔE 0 = 1,07 V − (−0,76 V) =
1,83 V.
Commento Ricordate che qualsiasi sia la semicella incognita, la riduzione è la semireazio-
ne catodica e l’ossidazione è la semireazione anodica. Sottrarre sempre E 0anodo da E 0catodo per
ottenere ΔE 0.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.3 Una cella voltaica basata sulla


reazione tra Br2 acquoso e ioni vanadio(III) ha ΔE 0 = 1,39 V:
Br2(aq) + 2V3+(aq) + 2H2O(l) 2VO2+(aq) + 4H+(aq) + 2Br−(aq)
Qual è il valore di E 0Vanadio, il potenziale elettrodico standard per la riduzione di VO2+ a V3+?

Forza relativa di agenti ossidanti e riducenti


Una informazione che si può acquisire attraverso la misura del potenziale di celle
voltaiche è la forza relativa degli agenti ossidanti e riducenti coinvolti. Tre agenti os-
sidanti presenti nelle celle voltaiche discusse finora sono Cu2+, H+ e Zn2+. Possiamo
ordinarli in funzione della loro relativa forza ossidante scrivendo ogni semirazione
come acquisto di elettroni (riduzione) con i corrispondenti potenziali elettrodici
standard:
Cu2+(aq) + 2e− Cu(s) E 0 = 0,34 V
2H+(aq) + 2e− H2(g) E 0 = 0,00 V
Zn2+(aq) + 2e− Zn(s) E 0 = −0,76 V
Più è positivo il valore di E0, più facilmente la reazione avviene (nel verso in cui è scritta);
così Cu2+ acquista due elettroni più facilmente di H+ che, a sua volta, acquista due
elettroni più facilmente di Zn2+. Dunque, in termini di forza come agenti ossidanti
Cu2+ > H+ > Zn2+. Questo elenco ordina anche la forza degli agenti riducenti:
Zn > H2 > Cu. Si noti che questa lista di semireazioni in ordine di potenziali di
semicella decrescenti indica dall’alto verso il basso gli agenti ossidanti (reagenti) in or-
dine di forza decrescente e gli agenti riducenti (prodotti) in ordine di forza crescente:
ovvero Cu2+ (in alto a sinistra) è l’agente ossidante più forte e Zn (in basso a destra
è l’agente riducente più forte.
Combinando molte coppie di semicelle in celle voltaiche, possiamo creare una
lista di semireazioni di riduzione e ordinarle in funzione dei potenziali elettrodici
standard decrescenti (dal più positivo al più negativo). Questo elenco, chiamato
serie di fem o tabella dei potenziali elettrodici standard, è riportato nell’Appendice D
e alcuni esempi sono riportati nella Tabella 21.2. Si devono ricordare diversi punti
nell’usare questa lista:
• tutti i valori sono relativi all’elettrodo standard di idrogeno (riferimento)
2H+(aq, 1 M) + 2e− H2(g, 1 atm) E 0riferimento = 0,00 V
• per convenzione, le semireazioni sono scritte come riduzioni, il che significa
che solo i reagenti sono agenti ossidanti e solo i prodotti sono agenti riducenti;
• più positivo è il valore di E0, più facilmente avviene la semireazione;
• le semireazioni sono scritte con una doppia freccia di equilibrio perché posso-
no avvenire come riduzioni e come ossidazioni (cioè nel catodo o nell’anodo,
rispettivamente) in funzione delle condizioni e del valore del potenziale elet-
trodico standard dell’altra semireazione;
• nell’ordine indicato nell’Appendice D (e nella Tabella 21.2) la forza degli agenti
ossidanti (reagenti) aumenta dal basso verso l’alto e la forza degli agenti riducen-
ti (prodotti) aumenta dall’alto verso il basso.
F2(g) è dunque il più forte agente ossidante (ha il più elevato valore positivo di E0)
e F−(aq) il più debole agente riducente. Analogamente, Li+(aq) è il più debole agen-

21txt.indd 721 17/05/19 09:02


722 Capitolo 21

Tabella 21.2 Potenziali standard elettrodici (298 K)


Semireazione E0 (V)
F2(g) + 2e− 2F−(aq) +2,87
Cl2(g) + 2e−
2Cl−(aq) +1,36
MnO2(s) + 4H (aq) + 2e−
+
Mn2+(aq) + 2H2O(l) +1,23
NO3−(aq) + 4H+(aq) + 3e− NO(g) + 2H2O(l) +0,96
Ag+(aq) + e− Ag(s) +0,80

potere riducente
potere ossidante
Fe3+(aq) + e− Fe2+(aq) +0,77
O2(g) + 2H2O(l) + 4e−
4OH−(aq) +0,40
Cu2+(aq) + 2e− Cu(s) +0,34
2H+(aq) + 2e− H2(g) 0,00
N2(g) + 5H+(aq) + 4e− N2H5+(aq) −0,23
2+
Fe (aq) + 2e −
Fe(s) −0,44
Zn2+(aq) + 2e− Zn(s) −0,76
2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) −0,83
Na+(aq) + e− Na(s) −2,71
Li+(aq) + e− Li(s) −3,05

te ossidante (ha il valore più negativo di E0) e Li(s) è il più forte agente riducente.
Si può notare un’analogia con le coppie coniugate acido-base: un acido forte forma
una base coniugata debole e viceversa, proprio come un forte agente ossidante forma
un debole agente riducente e viceversa. Se dimenticate l’ordinamento della tabella,
dovreste contare sulle vostre conoscenze della chimica degli elementi. Infatti, do-
vreste sapere che F2 è molto elettronegativo e normalmente esiste come F−. Si ri-
duce facilmente (acquista elettroni), dunque deve essere un forte agente ossidante
(elevato E0, positivo). In maniera simile, Li metallico ha basso valore di energia di
ionizzazione ed esiste normalmente come Li+. Si ossida facilmente (cede elettroni),
perciò deve essere un forte agente riducente (basso E0, negativo).

Scrittura di reazioni redox spontanee L’Appendice D può essere utilizzata


come guida per scrivere reazioni redox spontanee, il che può essere utile nelle
analisi di laboratorio o nella costruzione di celle elettrochimiche.
Ogni reazione redox è la somma di due semireazioni, perciò c’è un agente ossidante
e un agente riducente in entrambi i lati della reazione. Nella reazione zinco-rame, per
esempio, Zn e Cu sono gli agenti riducenti e Zn2+ e Cu2+ sono gli agenti ossidanti.
Gli agenti ossidanti e riducenti più forti reagiscono spontaneamente per formare gli
agenti ossidanti e riducenti più deboli:

Zn( s ) + Cu 2+ ( aq ) ⎯⎯
→ Zn 2+ ( aq ) + Cu( s )
agente riducente agente ossidante agente ossidante agente riducente
più forte più forte più debole più debole

Anche qui, si noti la similarità con la chimica acido-base. L’acido e la base più forti
formano spontaneamente rispettivamente la base e l’acido più deboli. I membri di
una coppia coniugata acido-base differiscono per un protone: l’acido ha il protone e
la base non lo ha. I membri di una coppia redox, quali Zn e Zn2+, differiscono per uno
o più elettroni: la forma ridotta (Zn) ha gli elettroni e la forma ossidata (Zn2+) non
li ha. Nelle reazioni acido base confrontiamo la forza acida o basica tramite i valori
di Ka e Kb. Nelle reazioni redox confrontiamo la forza ossidante o riducente tramite
i valori di E0.
Sulla base dell’ordine dei valori di E0 riportati nell’Appendice D la semireazio­ne
del più forte agente ossidante (specie sulla sinistra) ha un valore di E0 più elevato (più
positivo o meno negativo) e la semireazione del più forte agente riducente (specie sulla
destra) ha un valore di E0 minore (meno positivo o più negativo). Perciò una reazione
spontanea (ΔE0 > 0) avverrà tra un agente ossidante e un agente riducente che
si trova al di sotto nella lista. Per esempio, Cu2+ (sinistra) e Zn (destra) reagiscono
spontaneamente e Zn è al di sotto di Cu2+. In altre parole, una reazione spontanea

21txt.indd 722 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 723

è costituita da una semireazione che procede nel verso della riduzione (cioè scritta
come nella tabella) e una seconda semireazione, elencata in posizione inferiore nel-
la tabella, che procede come un’ossidazione (cioè scritta nel senso inverso). Questo
accoppiamento di semireazioni assicura che l’agente ossidante più forte (in alto a
sinistra) e l’agente riducente più forte (in basso a destra) saranno i reagenti.
Conoscendo i potenziali elettrodici possiamo comunque scrivere una reazione
spontanea, anche se i dati dell’Appendice D non sono disponibili. Scegliamo una
coppia di semireazioni dall’appendice e, senza far riferimento alla loro posizione
relativa nell’elenco, uniamole per scrivere una reazione redox spontanea:

Ag + ( aq ) + e− ⎯ ⎯
→ Ag( s ) 0
E Argento = 0,80 V
Sn 2+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Sn( s ) 0
EStagno = −0,14 V
Si devono seguire due passi.
1. Invertire una delle semireazioni in un’ossidazione in modo che la differenza
dei potenziali elettrodici (catodo meno anodo) dia un valore positivo di ΔE0.
2. Sommare le semireazioni riarrangiate in modo da ottenere una reazione com-
plessiva bilanciata. Accertarsi di moltiplicare per gli opportuni coefficienti in
modo che e− ceduti siano uguali a e− acquistati e di elidere le specie presenti
in entrambi i lati della reazione.
(Potreste essere tentati, in questo caso, di sommare le due reazioni così come sono
scritte perché si otterrebbe un valore di ΔE0 positivo, ma si avrebbero due agenti
ossidanti che formano due agenti riducenti e questo non è possibile).
Vogliamo accoppiare il più forte agente ossidante e il più forte agente ridu-
cente come reagenti. Il valore più elevato (più positivo) di E0 della semireazione
dell’argento indica che Ag+ è un agente ossidante più forte (acquista più facilmente
elettroni) di Sn2+; il valore inferiore (più negativo) di E0 della semireazione dello
stagno indica che Sn è un agente riducente più forte (cede più facilmente elettroni)
di Ag. Perciò, invertiamo la semireazione dello stagno:
→ Sn 2+ ( aq ) + 2e−
Sn( s ) ⎯ ⎯ 0
EStagno =
−0,14 V

Sottraendo E0 della semireazione dello stagno (anodo, ossidazione) da E0 della se-


mireazione dell’argento (catodo, riduzione) si ottiene un valore positivo di ΔE0:
0,80 V − (−0,14 V) = 0,94 V.
Avendo scritto le semireazioni nella direzione corretta, dobbiamo essere si-
curi che il numero di elettroni ceduti nell’ossidazione sia uguale al numero di elettroni
acquistati nella riduzione. In questo caso, raddoppiamo la semireazione dell’argento
(riduzione) e sommiamo le due semireazioni per ottenere la reazione bilanciata:
2Ag + ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ 2Ag( s ) E 0 = 0,80 V [riduzione]
2+ −
Sn( s ) ⎯ ⎯
→ Sn ( aq ) + 2e E =
−0,14 V
0
[ossidazione]

Sn( s ) + 2Ag + ( aq ) ⎯ ⎯
→ Sn 2+ ( aq ) + 2Ag( s ) ΔE 0 = E Argento
0
− EStagno
0
= 0,94 V

Con la reazione spontanea scritta così, i reagenti sono l’agente ossidante più forte e
l’agente riducente più forte, il che conferma che Sn è una gente riducente più forte
di Ag e che Ag+ è un agente ossidante più forte di Sn2+.
È molto importante notare che nel raddoppiare i coefficienti della semirea-
zione dell’argento per bilanciare il numero di elettroni, non si è raddoppiato il suo
valore di E0 – è rimasto 0,80 V. Ovvero, variare i coefficienti di una semireazione non
cambia il valore di E0. Questo perché E0 è una proprietà intensiva che non dipende
dalla quantità di sostanza presente. Il potenziale è un rapporto tra energia e carica.
Quando si cambiano i coefficienti, aumentando così la quantità di sostanza, l’ener-
gia e la carica aumentano proporzionalmente e il loro rapporto rimane costante.
(Analogamente, la densità, che è anch’essa una proprietà intensiva, non varia con la
quantità di sostanza perché la massa e il volume aumentano proporzionalmente).

21txt.indd 723 17/05/19 09:02


724 Capitolo 21

Scrittura di reazioni redox spontanee e ordinamento


di agenti ossidanti e riducenti secondo la loro forza
PROBLEMA DI VERIFICA 21.4
Problema (a) Combinare le tre seguenti semireazioni in tre reazioni spontanee bilanciate
(A, B, C) e calcolare ΔE0 per ognuna di esse. (b) Ordinare secondo la loro forza gli agenti
ossidanti e riducenti.
(1) NO3−(aq) + 4H+(aq) + 3e− NO(g) + 2H2O(l) E 0 = 0,96 V
+ − +
(2) N2(g) + 5H (aq) + 4e N2H5 (aq) E 0 = −0,23 V
+ −
(3) MnO2(s) + 4H (aq) + 2e Mn (aq) + 2H2O(l)
2+
E 0 = 1,23 V
Piano (a) Per scrivere le reazioni redox combiniamo le possibili coppie di semireazioni:
(1) e (2), (1) e (3) e (2) e (3). Sono tutte scritte come riduzioni perciò gli agenti ossidanti
appaiono tra i reagenti e gli agenti riducenti tra i prodotti. In ogni coppia, invertiamo la
semireazione di riduzione che ha il valore di E0 minore (meno positivo o più negativo)
trasformandola in un’ossidazione per ottenere un valore positivo di ΔE0. Rendiamo uguali
i numeri di e− acquistati e ceduti senza variare il valore di E0 e sommiamo le semireazioni,
quindi applichiamo l’Equazione 21.3 per calcolare ΔE0. (b) Poiché la reazione è spontanea
nel verso in cui è scritta, gli agenti ossidanti e riducenti più forti sono i reagenti. Per otte-
nere l’ordine relativo completo, ordiniamo prima le forze relative per ogni reazione per poi
confrontarle.
Risoluzione (a) La combinazione delle semireazioni (1) e (2) dà la reazione (A). Il valore
di E0 di (1) è maggiore (più positivo) di quello di (2) perciò invertiamo (2) per ottenere un
valore positivo di ΔE0.
(1) NO3−(aq) + 4H+(aq) + 3e− NO(g) + 2H2O(l) E 0 = 0,96 V
(inv 2) N2H5+(aq) N2(g) + 5H+(aq) + 4e− E 0 = −0,23 V
Per rendere il numero di e− ceduti uguale a quello di e− acquistati moltiplichiamo (1) per
quattro e la semireazione (2) invertita per tre.
Sommiamo poi le semireazioni ed elidiamo il corretto numero di specie comuni ai
reagenti e ai prodotti (H+ ed e−):
4NO3−(aq) + 16H+(aq) + 12e− 4NO(g) + 8H2O(l) E 0 = 0,96 V
3N2H5+(aq) 3N2(g) + 15H+(aq) + 12e− E 0 = −0,23 V
(A) 3N2H5+(aq) + 4NO3−(aq) + H+(aq) 3N2(g) + 4NO(g) + 8H2O(l)
ΔE = 0,96 V − (−0,23 V) = 1,19 V
0

La combinazione delle semireazioni (1) e (3) dà la reazione (B). La semireazione (1) dev’es-
sere invertita:
(inv 1) NO(g) + 2H2O(l) NO3−(aq) + 4H+(aq) + 3e− E 0 = 0,96 V
(3) MnO2(s) + 4H+(aq) + 2e− Mn2+(aq) + 2H2O(l) E 0 = 1,23 V
Moltiplichiamo la semireazione (1) invertita per due e la semireazione (3) per tre, poi som-
miamo e semplifichiamo:
2NO(g) + 4H2O(l) 2NO3−(aq) + 8H+(aq) + 6e− E 0 = 0,96 V
3MnO2(s) + 12H+(aq) + 6e− 3Mn2+(aq) + 6H2O(l) E 0 = 1,23 V
(B) 3MnO2(s) + 4H+(aq) + 2NO(g) 3Mn2+(aq) + 2H2O(l) + 2NO3−(aq)
ΔE 0 = 1,23 V − 0,96 V = 0,27 V
La combinazione delle semireazioni (2) e (3) dà la reazione (C). La semireazione (2) dev’essere
invertita:
(inv 2) N2H5+(aq) N2(g) + 5H+(aq) + 4e− E 0 = −0,23 V
(3) MnO2(s) + 4H+(aq) + 2e− Mn2+(aq) + 2H2O(l) E 0 = 1,23 V
Moltiplichiamo la semireazione (3) per due, sommiamo e semplifichiamo:
N2H5+(aq) N2(g) + 5H+(aq) + 4e− E 0 = −0,23 V
2MnO2(s) + 8H (aq) + 4e−
+
2Mn2+(aq) + 4H2O(l) E 0 = 1,23 V
(C) N2H5+(aq) + 2MnO2(s) + 3H+(aq) N2(g) + 2Mn2+(aq) + 4H2O(l)
ΔE 0 = 1,23 V − (−0,23 V) = 1,46 V

21txt.indd 724 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 725

(b) Ordinare agenti ossidanti e riducenti in ogni reazione.


Equazione (A) Agenti ossidanti: NO3− > N2 Agenti riducenti: N2H5+ > NO

Equazione (B) Agenti ossidanti: MnO2 > NO3 Agenti riducenti: NO > Mn2+
Equazione (C) Agenti ossidanti: MnO2 > N2 Agenti riducenti: N2H5+ > Mn2+
Determinare l’ordine completo degli agenti ossidanti e riducenti. Il confronto delle forze
relative dalle tre equazioni bilanciate dà:
Agenti ossidanti: MnO2 > NO3− > N2
Agenti riducenti: N2H5+ > NO > Mn2+
Verifica Come sempre, controllare che atomi e cariche siano bilanciati nei due lati delle
reazioni. Un buon modo per controllare l’ordine relativo e le equazioni è elencare le semi-
reazioni date in ordine di E 0 decrescente:
MnO2(s) + 4H+(aq) + 2e− Mn2+(aq) + 2H2O(l) E 0 = 1,23 V
NO3−(aq) + 4H+(aq) + 3e− NO(g) + 2H2O(l) E 0 = 0,96 V
N2(g) + 5H+(aq) + 4e− N2H5+(aq) E 0 = −0,23 V
In questo modo, la forza degli agenti ossidanti (reagenti) diminuisce lungo l’elenco e la forza
degli agenti riducenti (prodotti) aumenta. Inoltre, ciascuna delle tre reazioni spontanee
ottenute nella risoluzione dovrebbe combinare un reagente con un prodotto che si trova in
una posizione inferiore nella lista.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.4 La seguente reazione è spontanea?


3Fe2+(aq) Fe(s) + 2Fe3+(aq)
Se non lo è, scrivere la reazione spontanea, calcolare ΔE 0 e ordinare le tre specie in ordine
di forza riducente decrescente.

Reattività relative dei metalli Nel Capitolo 4 abbiamo visto che un metallo
più attivo può ridurre lo ione di un metallo meno attivo alla sua forma elementare,
spostandolo dalla sua soluzione acquosa. La serie di attività dei metalli (vedi Figu-
ra 4.19) ordina i metalli in base a questa reattività relativa.
Ora vedremo perché avviene questo spostamento, perché molti metalli, ma
non tutti, reagiscono con acidi per formare H2 e perché alcuni metalli formano H2
persino semplicemente in acqua. Tutte queste variazioni della reattività dei metalli
diventano chiare se si esaminano i potenziali elettrodici standard.
1. Metalli che spostano H2 da acidi. La semireazione standard di idrogeno rappresenta
la riduzione a H2 di ioni H+ derivanti da un acido:
2H+(aq) + 2e− H2(g)    E 0 = 0,00 V

Per vedere quali metalli riducono H+ (spostano H2) dagli acidi, si sceglie un metallo,
si scrive la sua semireazione come un’ossidazione, si combina questa semireazione
con quella dell’idrogeno e si verifica se ΔE0 è positivo. Quello che si trova è che i
metalli da Li a Pb che si trovano al di sotto della semireazione dell’idrogeno (riferi-
mento) nell’Appendice D, danno un valore positivo di ΔE0 quando riducono H+.
Per esempio, il ferro riduce H+ derivante da un acido a H2:
Fe(s) Fe2+(aq) + 2e− E 0 = −0,44 V [anodo: ossidazione]
2H (aq) + 2e−
+
H2(g) E 0 = 0,00 V [catodo: riduzione]
Fe(s) + 2H+(aq) H2(g) + Fe2+(aq) ΔE 0 = 0,00 V − (−0,44 V) = 0,44 V
Più il metallo si trova in basso nella tabella, maggiore è la sua forza riducente:
pertanto maggiore sarà il potenziale di semicella quando la semireazione viene
invertita e maggiore ΔE0 per la riduzione di H+ a H2. Se ΔE0 di un metallo A per la
riduzione di H+ è più positivo di ΔE0 di un metallo B, il metallo A è un agente riducente
più forte del metallo B ed è un metallo più attivo.
2. Metalli che non spostano H2 da acidi. I metalli che si trovano al di sopra della semi-
reazione dell’idrogeno (riferimento) non possono ridurre H+ derivante da un acido.

21txt.indd 725 17/05/19 09:02


726 Capitolo 21

Invertendo la semireazione relativa al metallo si ottiene un valore negativo per ΔE0


e, conseguentemente, la reazione non è spontanea. Per esempio, i metalli da conio
[Gruppo 1B(11)] – rame, argento e oro – non sono agenti riducenti abbastanza forti
da ridurre H+ derivante da acidi:
Ag(s) Ag+(aq) + e−
E 0 = 0,80 V [anodo: ossidazione]
2H (aq) + 2e−
+
H2(g) E 0 = 0,00 V [catodo: riduzione]
2Ag(s) + 2H+(aq) 2Ag+(aq) + H2(g) ΔE 0 = 0,00 V − 0,80 V = −0,80 V

Semireazione di ossidazione
Più il metallo si trova in alto nella tabella, più negativo è ΔE0 per la riduzione di H+
Ca(s) Ca2+(aq) + 2e− a H2, minore è la sua forza riducente e meno attivo è il metallo. Così, l’oro è meno
attivo dell’argento, il quale è meno attivo del rame.
Semireazione di riduzione
2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) 3. Metalli che spostano H2 dall’acqua. I metalli sufficientemente attivi da spostare H2
dall’acqua si trovano al di sotto della semireazione relativa alla riduzione dell’acqua:
Reazione completa di cella
Ca(s) + 2H2O(l) Ca(OH)2(aq) + H2(g) 2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq)      E = −0,42 V
Figura 21.8 La reazione del (Il valore di potenziale mostrato qui è il valore non standard perché in acqua pu­ra
calcio in acqua. Il calcio è uno [OH−] è 1,0  ×  10−7, non il valore dello stato standard 1 M). Si consideri la reazione
dei metalli sufficientemente
del sodio in acqua (con la semireazione del sodio invertita e moltiplicata per due):
attivi da spostare H2 da H2O.
(Foto: © McGraw-Hill Education/ 2Na(s) 2Na+(aq) + 2e− E 0 = −2,71 V [anodo: ossidazione]
Stephen Frisch, photographer). 2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) E 0 = −0,42 V [catodo: riduzione]
2Na(s) + 2H2O(l) 2Na+(aq) + H2(g) + 2OH−(aq)
ΔE0 = −0,42 V − (−2,71 V) = 2,29 V
I metalli alcalini [Gruppo 1A(1)] e i metalli alcalino terrosi più grandi [Gruppo 2A(2)]
spostano H2 da H2O (Figura 21.8).
4. Metalli che spostano altri metalli dalle soluzioni. Si può anche predire se un metallo
può ridurre lo ione di un altro in soluzione acquosa. Ogni metallo che si trova più
in basso nell’elenco dell’Appendice D può ridurre lo ione di un metallo che si trova
più in alto e così spostarlo dalla soluzione. Per esempio, lo zinco può spostare il
ferro dalla soluzione:
Zn(s) Zn2+(aq) + 2e− E 0 = −0,76 V [anodo, ossidazione]
Fe (aq) + 2e−
2+
Fe(s) E = −0,44 V [catodo, riduzione]
Zn(s) + Fe2+(aq) Zn2+(aq) + Fe(s) ΔE 0 = −0,44 V − (−0,76 V) = 0,32 V
Al Al3+ + 3e− Foglio
Questa particolare reazione ha una grandissima importanza economica nella protezione
Ag/Sn/Hg Saliva
del ferro dalla corrosione. Il potere riducente dei metalli può avere anche conseguenze
Otturazione
che ci interessano più direttamente, come messo in evidenza nella nota a margine.
O2 + 4H+ + 4e−
2H2O

21.4 ENERGIA LIBERA E LAVORO ELETTRICO


• Il dolore di una cella vol-
taica dentale
Nel Capitolo 20 abbiamo discusso le relazioni tra lavoro utile, energia libera e
Avete mai sentito costante di equilibrio. In questo paragrafo affronteremo queste relazioni fonda-
un intenso dolore mordendo con un
dente otturato un pezzetto di foglio
mentali nel contesto delle celle elettrochimiche e vedremo l’effetto della concen-
di alluminio rimasto su un pezzo di trazione sul potenziale di cella.
cibo? Ecco perché. Il foglio di allumi-
nio agisce da elettrodo attivo (E0 di
Al = −1,66 V), la saliva da elettroli-
Potenziale standard di cella e costante di equilibrio
ta e l’otturazione (solitamente una Dal Paragrafo 21.3 sappiamo che a una reazione spontanea è associata una variazio-
lega di argento/stagno/mercurio) da ne negativa di energia libera (ΔG < 0), e ora abbiamo appena visto che a una rea-
catodo inerte. O2 viene ridotto ad
zione elettrochimica spontanea è associato un potenziale di cella positivo (ΔE > 0).
acqua e il cortocircuito con il foglio
di alluminio in contatto con l’ottura- Si noti che ΔG e ΔE hanno segno opposto per una reazione spontanea. Queste due
zione genera una corrente che viene indicazioni di spontaneità sono proporzionali l’una all’altra:
avvertita dal nervo del dente.
ΔG ∝ −ΔE

21txt.indd 726 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 727

Determiniamo la costante di proporzionalità. Il potenziale di cella (ΔE, in volt) è il


lavoro (w, in joule) compiuto dal sistema per unità di carica (in coulomb) che fluisce
attraverso il circuito.
w=
max carica ×ΔE
Se non c’è flusso di corrente non si dissipa energia per riscaldare i componenti
di cella e il potenziale rappresenta il massimo lavoro che la cella può compiere
sull’ambiente
Come discusso nel Capitolo 20, solo un processo reversibile può compiere il lavoro
massimo. Perché non si abbia flusso di corrente e il processo sia reversibile, a ΔE deve
opporsi, nel circuito di misura, un potenziale uguale. (In questo caso, dire che il pro-
cesso è reversibile significa dire che la direzione della reazione si invertirebbe per una
variazione infinitesima del potenziale opposto a ΔE.)
Il lavoro massimo che il sistema può compiere sull’ambiente è −ΔG:
w=
max carica ×ΔE = −ΔG o ΔG = −carica ×ΔE

La carica che passa attraverso la cella è uguale al numero di moli di elettroni (n)
trasferiti nella reazione redox bilanciata moltiplicato per la carica di una mole di
elettroni (simbolo F):
carica
numero di moli di e− ×
carica = o carica =
nF
1 mole di e−
La carica associata a una mole di elettroni è la costante di Faraday (F), dal nome
di Michael Faraday, lo scienziato inglese del XIX secolo che fu uno dei pionieri
dello studio dell’elettrochimica:
96 485 C
F=
mol e−
Poiché 1 V = 1 J/C, si ha che 1 C = 1 J/V e

J
=
F 9,65×104 (con tre cifre significative) (21.4)
V ⋅ mol e−
Sostituendo questo risultato, la costante di proporzionalità tra potenziale e varia-
zione di energia libera è nF:
ΔG = −nFΔE (21.5)
Quando tutti i componenti sono nei loro stati standard, si ottiene la seguente re-
lazione:
ΔG0 = −nFΔE 0 (21.6)
Utilizzando questa relazione possiamo collegare il potenziale standard di cella alla
costante di equilibrio della reazione redox. Ricordiamo che:
ΔG0 = −RT ln K
Sostituendo l’espressione di ΔG0 dall’Equazione 21.6, si ottiene:
−nFΔE 0 = −RT ln K
Risolvendo in funzione di ΔE0 si ha:
RT
ΔE 0 = ln K (21.7)
nF
La Figura 21.9 presenta un riassunto delle relazioni che collegano la variazione di
energia libera standard, la costante di equilibrio e il potenziale standard di cella. Le
procedure che abbiamo esaminato precedentemente per determinare K richiede-
vano la conoscenza di ΔG0, calcolata con l’equazione di Gibbs a partire dai valori di
ΔH0 e ΔS0 di reazione o dai valori di ΔG0f. Ora abbiamo un metodo sperimentale
diretto per determinare K e ΔG0 per le reazioni di ossidoriduzione: misurare ΔE0.

21txt.indd 727 17/05/19 09:02


728 Capitolo 21

Figura 21.9 Le correlazioni ΔG0 Reazione in


tra ΔG 0, E 0 e K. A. Ognuno di condizioni di
ΔG0 K ΔE0
stato standard
questi tre fondamentali para-
metri termodinamici può essere <0 >1 >0 Spontanea
usato per trovare gli altri due. 0 1 0 All’equilibrio
B. I segni di ΔG 0 e ΔE 0 deter- >0 <1 <0 Non spontanea

ΔG
E0

minano la direzione di reazione

0
=
B

−n
in condizioni di stato standard.

−R
=

Tl
ΔG 0

nK
ΔE0 K

ΔE0 = RT ln K
A nF

Se sostituiamo i valori delle costanti R e F e operiamo con la cella a 25 °C (298 K)


otteniamo una forma semplificata dell’Equazione 21.7 che mette in relazione ΔE0
e K quando vengono trasferite n moli di e− per mole di reazione:
J
8,314 × 298 K
RT mol reaz. K 0,0257 V
=
ΔE 0 = ln K ln K = ln K
nF n mol e− ⎛⎜ J ⎞⎟ n
⎜9,65×104 ⎟⎟
mol reaz. ⎝⎜ V ⋅ mol e− ⎟⎠

Moltiplicando per 2,303 si passa ai logaritmi in base 10 e si ottiene:


0,0592 V nΔE 0
=ΔE 0 = log K o log K (a 25 °C) (21.8)
n 0,0592 V

Calcolo di K e ΔG 0 da ΔE 0
PROBLEMA DI VERIFICA 21.5
Problema Il piombo può spostare l’argento da una soluzione:
Pb(s) + 2Ag+(aq) Pb2+(aq) + 2Ag(s)
Come conseguenza, l’argento è un prezioso sottoprodotto dell’estrazione industriale del
piombo dai suoi minerali. Calcolate K e ΔG0 a 25°C per questa reazione.
Piano Dividiamo la reazione redox spontanea in semireazioni e usiamo i valori riportati
nell’Appendice D per calcolare ΔE0. Poi sostituiamo il risultato nell’Equazione 21.8 per
calcolare K e nell’Equazione 21.6 per calcolare ΔG0.
Risoluzione Scrivere le semireazioni e i loro valori di E 0:
(1) Ag+(aq) + e− Ag(s) E 0 = 0,80 V

(2) Pb (aq) + 2e
2+
Pb(s) E 0 = −0,13 V
Calcolare ΔE : moltiplichiamo per due (1), invertiamo (2), sommiamo le semireazioni e
0

sottraiamo E 0Piombo da E 0Argento:

2Ag+(aq) + 2e− 2Ag(s) E 0 = 0,80 V


Pb(s) Pb2+(aq) + 2e− E 0 = −0,13 V
Pb(s) + 2Ag+(aq) Pb2+(aq) + 2Ag(s) ΔE 0 = 0,80 V − (−0,13 V) = 0,93 V

Calcolare K (Equazione 21.8): le semireazioni corrette indicano che vengono trasferite


2 moli di e− per mole di reazione, perciò n = 2:
0,0592 V 0,0592 V
= ΔE 0 = log K = log K 0,93 V
n 2
0,93 V × 2
Perciò: log K = = 31,42   e   K = 2,6  ×  1031
0,0592 V

21txt.indd 728 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 729

Calcolare ΔG0 (Equazione 21.6):


−2 mol e− 96,5 KJ
ΔG 0 = −nFΔE 0 = × −1,8  ×  102 kJ/mol reaz.
× 0,93 V =
mol reaz. V ⋅ mol e−
Verifica I valori delle tre variabili sono in accordo con la spontaneità della reazione:
ΔE0 > 0, ΔG0 < 0 e K > 1. Assicuratevi di approssimare correttamente e controllate l’or-
dine di grandezza: nel calcolo di ΔG0 per esempio, ΔG0  −2  ×  100  ×  1 = −200, perciò la
matematica sembra complessivamente corretta.
Un’altra verifica potrebbe essere quella di ottenere direttamente ΔG0 dalla sua relazio-
ne con K:
ΔG0 = −RT ln K = −8,314 J/mol reaz. ⋅ K  ×  298 K  ×  ln (2,6  ×  1031)
= −1,8  ×  105 J/mol reaz. = −1,8  ×  102 kJ/mol reaz.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.5 Quando il Cd metallico riduce


gli ioni Cu2+ in soluzione insieme al Cu metallico si formano ioni Cd2+. Sapendo che
ΔG0 = −143 kJ/mol reaz. calcolare K a 25 °C. Qual è il valore di ΔE0 di una cella che
utilizza questa reazione?

L’effetto della concentrazione sul potenziale di cella


Fin qui abbiamo considerato celle che operano con tutti i componenti nei loro
stati standard e abbiamo determinato i potenziali standard di cella (ΔE0) dai poten-
ziali standard di semicella (E0). La maggior parte delle celle però, non comincia a
funzionare con tutti i componenti nei loro stati standard e, anche se lo facesse, le
concentrazioni varierebbero dopo pochi istanti di operazione della cella. Inoltre, in
tutte le celle voltaiche di applicazione pratica, quali le batterie, le concentrazioni
dei reagenti sono molto lontane dai loro valori di stato standard. Chiaramente, dob-
biamo essere capaci di determinare il potenziale ΔE in condizioni non standard.
Possiamo derivare un’espressione della relazione tra il potenziale di cella e la
concentrazione basata sulla relazione tra energia libera e concentrazione. Dal Ca-
pitolo 20 (Equazione 20.13) ricordiamo che ΔG è uguale a ΔG0 (la variazione di
energia libera associata al passaggio del sistema dal suo stato standard alle condizio-
ni di equilibrio) più RT ln Q (la variazione di energia libera associata al passaggio del
sistema da condizioni non standard a condizioni standard):
ΔG = ΔG0 + RT ln Q
ΔG è correlato a ΔE e ΔG0 a ΔE0 (Equazioni 21.5 e 21.6), perciò sostituendo ot-
teniamo:
−nFΔE = −nFΔE 0+ RT ln Q
Dividendo entrambi i membri per nF si ottiene l’equazione di Nernst, sviluppata
dal chimico tedesco Walther Hermann Nernst nel 1899:

RT
ΔE = ΔE 0 − ln Q (21.9)
nF
L’equazione di Nernst ci dice che il potenziale di cella in ogni condizione dipende
dal potenziale con concentrazioni di stato standard e da un termine per il poten- • Walther Hermann Nernst
(1864-1941) Il grande chimico-
ziale con concentrazioni non standard. Com’è influenzato il potenziale di cella dalle
variazioni di Q? Dall’Equazione 21.9 possiamo vedere che: fisico tedesco aveva solo 25 anni
quando sviluppò l’equazione che
• quando Q < 1 e dunque [reagenti] > [prodotti], ln Q < 0 e ΔE > ΔE0; correla il potenziale di cella e la
concentrazione. Durante la sua car-
• quando Q = 1 e dunque [reagenti] = [prodotti], ln Q = 0 e ΔE = ΔE0;
riera, che culminò con il premio
• quando Q > 1 e dunque [reagenti] < [prodotti], ln Q > 0 e ΔE < ΔE0. Nobel nel 1920, formulò la terza
legge della termodinamica e il prin-
Come già fatto precedentemente, sostituendo i valori noti di R e F, operando con cipio del prodotto di solubilità;
la cella a 25 °C (298 K) e convertendo i logaritmi in base 10, otteniamo: contribuì inoltre con idee chiave
allo sviluppo della fotochimica e del
0,0592 V
ΔE = ΔE 0 − log Q (a 25 °C) (21.10) processo Haber. (Foto: © rook76/
n Shutterstock).

21txt.indd 729 17/05/19 09:02


730 Capitolo 21

Come ricorderete, l’espressione di Q contiene solo quelle specie con concentrazio-


ni (o pressioni) che possono variare; perciò non appaiono i solidi anche se possono
agire da elettrodi. Per esempio, nella reazione tra cadmio e ione argento, gli elettro-
di di Cd e Ag non compaiono nell’espressione di Q:
[Cd 2+ ]
Cd( s ) + 2Ag + ( aq ) ⎯ ⎯
→ Cd 2+ ( aq ) + 2Ag( s ) Q=
[Ag + ]2

Utilizzo dell’equazione di Nernst per calcolare ΔE


PROBLEMA DI VERIFICA 21.6
Problema Nel test di un nuovo elettrodo di riferimento, un chimico costruisce una cella vol-
taica costituita da una semicella Zn/Zn2+ e da una semicella H2/H+ nelle seguenti condizioni:
=[Zn 2+ ] 0, 010
= M [H+ ] 2,=
5M PH2 0, 30 atm
Calcolare ΔE a 25 °C.
Piano Per applicare l’equazione di Nernst e determinare ΔE è necessario conoscere ΔE0
e Q. Scriviamo la reazione spontanea, calcoliamo ΔE0 dai potenziali elettrodici standard
(Appendice D) e utilizziamo i valori dati delle pressioni e concentrazioni per calcolare Q.
(Ricordate che la legge dei gas ideali permette di utilizzare P a T costante come un altro
modo di scrivere la concentrazione, n/V). Infine sostituiamo i valori trovati nell’Equazio-
ne 21.10.
Risoluzione Determinare la reazione di cella e ΔE0:
2H+(aq) + 2e− H2(g) E 0 = 0,00 V

Zn(s) Zn (aq) + 2e
2+
E 0 = −0,76 V
2H+(aq) + Zn(s) H2(g) + Zn2+(aq) ΔE0 = 0,00 V − (−0,76 V) = 0,76 V
Calcolare Q:
PH2 × [Zn 2+ ] 0, 30 × 0, 010
Q= = = 4, 8 ×10−4
[H+ ]2 2, 52
Calcolare ΔE a 25 °C (298 K) con n = 2:
0, 0592 V ⎡ 0, 0592 V ⎤
ΔE = ΔE 0 − log Q = 0, 76 V − ⎢ log (4, 8 ×10−4 )⎥
n ⎢⎣ 2 ⎥⎦
= 0, 76 V − (−0, 0982 V) = 0, 86 V
Verifica Dopo aver verificato l’aritmetica, seguite un ragionamento nella risposta:
ΔE > ΔE0 (0,86 > 0,76) perché il termine log Q è negativo e questo è in accordo con Q < 1;
ovvero le quantità dei prodotti, PH2 e [Zn2+], sono minori delle quantità del reagente [H+].

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.6 Si consideri una cella basata sulla


reazione: Fe(s) + Cu2+(aq) Fe2+(aq) + Cu(s). Se [Cu2+] = 0,30 M, quanto deve valere
[Fe ] affinché ΔE sia maggiore di 0,25 V rispetto a ΔE0 a 25 °C?
2+

Potenziale di cella e relazione tra Q e K


Riprendiamo in considerazione la cella zinco-rame per vedere come varia il poten-
ziale con le variazioni di concentrazione durante il funzionamento della cella:
[Zn 2+ ]
Zn( s ) + Cu 2+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn 2+ ( aq ) + Cu( s ) Q=
[Cu 2+ ]
Il valore positivo di ΔE0 (1,10 V) indica che la reazione procede spontaneamente da
una situazione in cui [prodotti] = [reagenti] = 1 M (Q = 1) a un’altra in cui [pro-
dotti] > [reagenti] (Q > 1). Supponiamo di far iniziare il funzionamento della cella
quando Q < 1, per esempio [Zn2+] = 1,0  ×  10−4 M e [Cu2+] = 2,0 M. In questo caso
il potenziale di cella è maggiore del potenziale standard di cella:
0, 0592 V [Zn 2+ ] ⎛ 0, 0592 V 1, 0 ×10−4 ⎞⎟
ΔE = ΔE 0 − log = 1,10 V − ⎜⎜ log ⎟
2 2+
[Cu ] ⎜
⎝ 2 2, 0 ⎟⎟⎠
⎡ 0, 0592 V ⎤
= 1,10 V − ⎢ (−4, 30)⎥ =1,10 V + 0,127 V =1, 23 V
⎢⎣ 2 ⎥⎦

21txt.indd 730 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 731

Durante il funzionamento della cella [Zn2+] aumenta (mentre si deteriora l’elettrodo


di Zn) e [Cu2+] diminuisce (mentre Cu si deposita sull’elettrodo di Cu). Benché le
variazioni siano graduali, siamo in grado d’identificare quattro momenti fondamen-
tali nel funzionamento della cella. La Figura 21.10A mostra i primi tre.
Il punto principale da mettere in evidenza è che il potenziale diminuisce durante
il funzionamento della cella.
ΔE > ΔE 0 quando Q < 1: quando la cella inizia a funzionare [Cu2+] > [Zn2+]
• 
perciò il termine [(0,0592 V/n) log Q] < 0 e ΔE > ΔE 0. Mentre il funzionamen-
to continua [Zn2+] aumenta mentre [Cu2+] diminuisce e Q diventa maggiore,
il termine [(0,0592 V/n) log Q] diventa meno negativo (più positivo) e ΔE
diminuisce.
ΔE = ΔE 0 quando Q = 1: nel momento in cui [Cu2+] = [Zn2+], Q = 1 perciò
• 
il termine [(0,0592 V/n) log Q] = 0 e ΔE = ΔE 0.
ΔE < ΔE 0 quando Q > 1: con l’aumentare del rapporto [Zn2+]/[Cu2+] il ter-
• 
mine [(0,0592 V/n) log Q] > 0 perciò ΔE < ΔE 0.
• ΔE = 0 quando Q = K: si raggiunge un momento in cui il termine
[(0,0592 V/n) log Q] diventa così grande che uguaglia ΔE 0, il che significa che
ΔE = 0. Questo avviene quando il sistema raggiunge l’equilibrio: non viene più
rilasciata energia libera e la cella non può più compiere lavoro. A questo punto
nella vita di una batteria diciamo che è “morta” (scarica).
La Figura 21.10B riassume i quattro momenti fondamentali del funzionamento di
una cella.
All’equilibrio l’Equazione 21.10 diventa:
⎛ 0, 0592 V ⎞⎟
0 = ΔE 0 − ⎜⎜ ⎟⎟⎠ log K
⎝ n
Risolvendo per ΔE 0 abbiamo:
0, 0592 V Figura 21.10 La relazione tra
ΔE 0 = log K ΔE e log Q. A. Un grafico di ΔE
n
in funzione di Q (in scala loga-
Si noti che questa equazione è identica all’Equazione 21.8 che abbiamo ottenuto ritmica) mostra un andamento
per ΔG0. Risolvendo per K per la cella zinco-rame (ΔE 0 = 1,10 V) si ha: lineare decrescente. Quando
Q < 1 (sinistra), [reagenti] è
2 ×ΔE 0
log K = , perciò = 10(2×1,10 V)/0,0592=
K V
= 1, 4 ×1037
1037,16 relativamente elevata e la cella
0, 0592 V può compiere relativamente più
lavoro. Quando Q > 1 (destra),
Dunque la cella zinco-rame può compiere lavoro finché il valore del rapporto
[reagenti] è relativamente bassa
[Zn2+]/[Cu2+] è molto elevato. e la cella può compiere rela-
In conclusione, esaminiamo il potenziale di cella in funzione del rapporto ini- tivamente meno lavoro. B. Un
ziale Q/K. sommario delle variazioni di
ΔE durante il funzionamento
• Se Q/K < 1, ΔE è positivo per la reazione nel verso in cui è scritta. Minore di una qualsiasi cella voltai-
è il rapporto Q/K, maggiore il valore di ΔE e maggiore la quantità di lavoro ca. Per la cella zinco-rame
elettrico che la cella può compiere. [reagenti] = [Cu2+] e [prodot-
• Se Q/K = 1, ΔE = 0. La cella è all’equilibrio e non può più compiere lavoro. ti] = [Zn2+].

1,30 Variazioni in ΔE e concentrazione

Q< Stato di Concentrazioni


1,20 1 funzionamento relative di 0,0592 V
log Q
della cella Q reagenti e prodotti n
ΔE0 = 1,10 V
ΔE (V)

1,10 1. ΔE > E ° <1 [prodotti] < [reagenti] <0


2. ΔE = E ° =1 [prodotti] = [reagenti] =0
Q>
1,00 1 3. ΔE < E ° >1 [prodotti] > [reagenti] >0
4. ΔE = 0 =K [prodotti]  [reagenti] =ΔEo
0,90
10−5 10−4 10−3 10−2 10−1 1 10 102 103 104
[Zn2+]
Q=
A [Cu2+] B

21txt.indd 731 17/05/19 09:02


732 Capitolo 21

• Se Q/K > 1, ΔE è negativo per la reazione nel verso in cui è scritta. La cella
funzionerà in senso inverso – avrà luogo la reazione inversa – e compirà lavoro
fino a che Q = K all’equilibrio.

Celle a concentrazione
Sappiamo che se una soluzione concentrata di un sale viene posta in contatto
con una soluzione diluita si ha mescolamento spontaneo e la concentrazione
finale delle due soluzioni diventa uguale e con un valore intermedio. Una cella
a concentrazione utilizza questa tendenza spontanea per generare energia
elettrica. Le due soluzioni sono in semicelle separate, perciò non si mescolano
fisicamente: le loro concentrazioni diventano uguali mediante il funzionamento
della cella. Chimici, biologi e scienziati ambientali utilizzano le celle a concen-
trazione in numerose applicazioni.

Come funziona una cella a concentrazione Supponiamo che entrambi i com-


partimenti di una cela voltaica ospitino la semireazione Cu/Cu2+. La reazione di
cella è la somma di due semireazioni identiche scritte in direzioni opposte, perciò
i potenziali standard di cella si cancellano (­E 0Rame − E 0Rame). Questo avviene perché
i potenziali elettrodici standard sono basati su concentrazioni 1 M per ogni com-
ponente in soluzione. In una cella a concentrazione le semireazioni sono le stesse ma le
concentrazioni sono diverse. Come risultato, anche se ΔE0 è uguale a zero, il poten-
ziale non standard di cella, ΔE, non è uguale a zero perché dipende dal rapporto
tra le concentrazioni degli ioni.
Consideriamo la Figura 21.11A in cui una cella a concentrazione ha 0,10 M
Cu2+ nella semicella anodica e 1,0 M Cu2+ nella semicella catodica:

→ Cu 2+ ( aq ; 0,10 M ) + 2e−
Cu( s ) ⎯ ⎯ [anodo: ossidazione]

Cu 2+ ( aq ; 1, 0 M ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Cu( s ) [catodo: riduzione]

La reazione completa di cella è la somma delle semireazioni:

Cu2+(aq; 1,0 M) Cu2+(aq; 0,10 M)    ΔE = ?

e− 0,0296 V e− e− 0,00 V e−
Voltmetro Voltmetro
Anodo Catodo Anodo Catodo
(−) (−)
Cu Ponte salino (+) Cu Cu Ponte salino (+) Cu

2e− 2e−

Figura 21.11 Una cella a Cu2+


concentrazione basata sulla Cu Cu2+ Cu
semireazione Cu/Cu2+. A. Le
semireazioni coinvolgono gli
stessi componenti, il che rende 0,10 M Cu2+ 1,0 M Cu2+ 0,55 M Cu2+ 0,55 M Cu2+
B
ΔE0 = 0. No­nostante ciò la cella
funziona perché le concentra-
Semireazione di ossidazione
zioni sono diverse nelle due
semicelle, il che rende ΔE > 0. Cu(s) Cu2+(aq; 0,10 M) + 2e−
B. La cella funziona spontanea-
mente fino a che le concentra- Semireazione di riduzione
zioni nelle semicelle diventano Cu2+(aq; 1,0 M) + 2e− Cu(s)
uguali. Si notino le variazioni
degli elettrodi (esagerate qui Reazione completa di cella
per renderle più evidenti) e il Cu2+(aq; 1,0 M) Cu2+(aq; 0,10 M)
colore identico delle soluzioni. A

21txt.indd 732 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 733

Il potenziale di cella ai valori iniziali delle concentrazioni 0,10 M (diluita) e 1,0 M


(concentrata) si ottiene dall’equazione di Nernst:
0, 0592 V [Cu 2+ ]dil ⎛ 0, 0592 V 0,10 M ⎞⎟
ΔE = ΔE 0 − log = 0 V − ⎜⎜ log ⎟
2 2+
[Cu ]conc ⎜⎝ 2 1, 0 M ⎟⎠

⎡ 0, 0592 V ⎤
= 0 V−⎢ (−1, 00)⎥ = 0, 0296 V
⎢⎣ 2 ⎥⎦
Come si può vedere da questo risultato ΔE di una cella a concentrazione dipende
unicamente dal termine [(0,0592 V/n) log Q] per condizioni non standard perché
ΔE0 è uguale a zero.
Cosa succede effettivamente durante il funzionamento della cella? Nella semi-
cella diluita (anodo) gli atomi di Cu dell’elettrodo cedono elettroni e diventano ioni
Cu2+ che passano in soluzione e la rendono più concentrata. Gli elettroni ceduti
all’anodo fluiscono nel compartimento catodico dove vengono acquistati da ioni
Cu2+ in soluzione che si riducono ad atomi di Cu. Questi si depositano sull’elet-
trodo e la soluzione diventa meno concentrata. Come in ogni cella voltaica ΔE
dimi­nuisce fino al raggiungimento dell’equilibrio, il che avviene quando le concen-
trazioni di Cu2+ nelle due semicelle sono uguali (Figura 21.11B). Si otterrebbe lo
stesso risultato miscelando le due soluzioni ma non si compirebbe lavoro elettrico.

Calcolo del potenziale di una cella a concentrazione


PROBLEMA DI VERIFICA 21.7
Problema Una cella a concentrazione è costituita da due semicelle Ag/Ag+. Nella semicella
A l’elettrodo A è immerso in una soluzione 0,010 M di AgNO3, nella semicella B l’elettrodo
B è immerso in una soluzione 4,0  ×  10−4 di AgNO3. Qual è il potenziale di cella a 298 K?
Quale elettrodo ha carica positiva?
Piano I potenziali standard di semicella sono identici perciò ΔE0 è uguale a zero e cal-
coliamo ΔE dall’equazione di Nernst. Poiché nella semicella A [Ag+] è maggiore, gli ioni
[Ag+] si ridurranno e si depositeranno sull’elettrodo. Nella semicella B Ag verrà ossidato e
ioni Ag+ passeranno in soluzione. Come in tutte le celle voltaiche, la riduzione avverrà al
catodo che è positivo.
Risoluzione Scrivere la reazione spontanea: [Ag+] diminuisce nella semicella A e aumenta
nella semicella B perciò la reazione spontanea è:

Ag+(aq; 0,010 M) [semicella A] Ag+(aq; 4,0×10−4 M) [semicella B]


Calcolare ΔE con n = 1:
0, 0592 V [Ag + ]dil
ΔE = ΔE 0 − log
1 [Ag + ]conc
⎛ 4, 0 ×10−4 ⎞⎟
= 0 V − ⎜⎜0, 0592 V log ⎟ = 0,0828 V
⎜⎝ 0, 010 ⎟⎟⎠
La riduzione avviene al catodo, l’elettrodo A: Ag+(aq; 0,010 M) + e− Ag(s). L’elettrodo
A avrà pertanto una carica positiva dovuta a carenza di elettroni .

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.7 Una cella a concentrazione è


costruita con due semicelle Au/Au3+. Nella semicella A [Au3+] = 7,0  ×  10−4 M e nella semi-
cella B [Au3+] = 2,5  ×  10−2 M. Qual è ΔE e quale elettrodo è negativo?

Applicazioni delle celle a concentrazione Il principio su cui si basano le celle


a concentrazione ha grande rilievo commerciale e biologico. La più importante
applicazione commerciale è la determinazione di concentrazioni incognite, in par-
ticolare [H+] (o pH). Supponiamo di costruire una cella a concentrazione basata
sulla semireazione H+/H2 in cui il compartimento anodico sia l’elettrodo standard
di idrogeno e il compartimento anodico abbia lo stesso apparato immerso in una
soluzione a [H+] incognita.

21txt.indd 733 17/05/19 09:02


734 Capitolo 21

Figura 21.12 La misu- Pt Elettrodo


Elettrodo Elettrodo di riferimento
ra di laboratorio di pH.
Elettrodo di riferimento a vetro (calomelano)
A. L’elettrodo di vetro (sinistra)
di vetro (calomelano)
è costituito da una semicella
Ag/AgCl immersa in una solu-
zione di HCl a concentrazione Hg
nota e racchiusa da una sottile
pasta di
membrana di vetro. Misura [H+] Hg2Cl2
AgCl su Soluzione
nella soluzione esterna relativa- in Hg
Ag su Pt da
mente al valore fisso e noto di esaminare
[H+] al suo interno. L’elettrodo Soluzione Soluzione
1 M HCl pH = ?
saturo di ca­lomelano (destra) da di KCl
agisce come riferimento. esaminare Tappo di ceramica
Sottile membrana pH = ? porosa
B. I pH-metri moderni usano un
di vetro
elettrodo combinato.
A B

Le semireazioni e la reazione complessiva sono:

→ 2H+ ( aq ; incognita) + 2e−


H2 ( g ; 1 atm) ⎯ ⎯ [anodo: ossidazione]
+ −
2H ( aq ; 1 M ) + 2e ⎯ ⎯
→ H2 ( g ; 1 atm) [catodo: riduzione]
+ +
2H ( aq ; 1 M ) ⎯ ⎯
→ 2H ( aq ; incognita) ΔE = ?

Come abbiamo visto per la cella a concentrazione Cu/Cu2+, ΔE0 è zero; le due se-
micelle differiscono però nella [H+], perciò ΔE non è zero. Dall’equazione di Nernst,
con n = 2, otteniamo:
0, 0592 V [H+ ]incognita
2
ΔE = ΔE 0 − log + 2
2 [H ]standard

Sostituendo 1 M al posto di [H+]standard e zero per ΔE0 si ottiene:


0, 0592 V [H+ ]incognita
2
0, 0592 V
ΔE = 0 V − log 2
=− log [H+ ]incognita
2 1 2
Poiché log x2 = 2 log x (vedi Appendice A), si ottiene:
⎡ 0, 0592 V ⎤
ΔE = − ⎢ (2 log [H+ ]incognita )⎥ = −0, 0592 V × log [H+ ]incognita
⎢⎣ 2 ⎥⎦

Sostituendo −log [H+] = pH, si ha:


ΔE = 0,0592 V  ×  pH

Così, misurando ΔE possiamo determinare il pH.


Una cella a concentrazione costituita da due elettrodi standard di idrogeno è

• Minimicroanalisi La minia-
troppo ingombrante e di difficile manutenzione per essere utilizzabile nelle misure
di routine di pH. Al suo posto viene utilizzato un pH-metro, come indicato nel Capi-
turizzazione dei componenti
elettronici ha molto ampliato le
tolo 18. Come mostrato in Figura 21.12, i due elettrodi di un pH-metro sono immer-
applicazioni dell’elettrochimica. I si nella soluzione da esaminare. Uno di essi è un elettrodo di vetro. Questo elettrodo
chimici ambientali usano pH-metri è costituito da una semireazione Ag/AgCl in una soluzione di HCl a concentrazione
tascabili per studiare le acque natu- fissa (di solito 1,000 M) all’interno di una sottile membrana (−0,05 mm) fatta di
rali e il terreno direttamente sul uno speciale vetro altamente sensibile alla presenza di ioni H+. L’altro elettrodo è
campo. I fisiologi e i biochimici
usano elettrodi così piccoli da poter
generalmente un elettrodo saturo di calomelano. Questo elettrodo di riferimento è
essere impiantati chirurgicamente costituito da un filo di platino immerso in una pasta di Hg2Cl2 (calomelano), Hg li-
in una singola cellula biologica per quido e una soluzione satura di KCl. L’elettrodo di vetro misura [H+] nella soluzione
studiare canali ionici e recettori. esterna relativamente a [H+] fissa al suo interno e lo strumento converte la differenza
Nella foto, si vede un microelettro- di potenziale in una misura di pH.
do che registra gli impulsi elettrici
di un singolo neurone nella cortec-
L’elettrodo per la misura di pH è un esempio di elettrodo ione-selettivo (o spe-
cia visiva di una scimmia. (Foto: © cifico). Sono stati progettati elettrodi con membrane specifiche per misurare se-
F.W. Goro). lettivamente le concentrazioni di molti ioni in campioni industriali, ambientali e

21txt.indd 734 17/05/19 09:02


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 735

Tabella 21.3 Alcuni ioni rilevati con elettrodi ione-specifici


Specie rilevate Tipico campione
NH3/NH4+ Acque reflue industriali, acqua di mare
CO2/HCO3− Sangue, acque sotterranee
F− Acqua potabile, urina, terreno, depositi di gas industriali
Br− Grano, tessuti delle piante
I− Latte, prodotti farmaceutici
NO3− Terreno, fertilizzanti, acqua potabile
K+ Plasma, terreni, vini
H+ Soluzioni di laboratorio, terreni, acque naturali

biologici. Quelli di più recente sviluppo permettono di misurare concentrazioni


dell’ordine del picomolare (10−12 M). La Tabella 21.3 mostra alcuni dei molti ioni
per i quali sono disponibili elettrodi ione-selettivi.

21.5 PROCESSI ELETTROCHIMICI NELLE BATTERIE


Le batterie hanno una grande influenza sul nostro modo di vivere a causa della loro
compattezza e mobilità. Nei Paesi industrializzati ogni persona usa una media di 10
batterie ogni anno. Una batteria in realtà è un insieme di celle galvaniche in serie
(più-meno-più e così via) in modo che le loro differenze di potenziale si possano
sommare. Nel linguaggio quotidiano il termine è anche utilizzato per una singola
cella voltaica.
Le batterie sono dispositivi ingegnosamente costruiti nei quali vengono ospitate
semireazioni e semicelle alquanto inusuali, ma la loro operazione è basata sui principi
elettrochimici che abbiamo discusso. Ci sono diverse classi di batterie. In questo pa-
ragrafo esamineremo tre tipi di batterie – primarie, secondarie e celle a combustibile
– ed esamineremo alcuni importanti esempi di ciascuno.

Batterie primarie (non ricaricabili)


Una batteria primaria non può essere ricaricata e dunque viene gettata dopo l’uso,
quando è scarica, cioè quando i componenti hanno raggiunto le concentrazioni di
equilibrio. Esamineremo la batteria alcalina, con alcuni riferimenti storici alla pila a
secco, le batterie a bottone a mercurio e argento e la batteria primaria al litio.
Batteria alcalina Inventata intorno al 1860, la comune pila a secco, o cella Le-
clanché, è diventata un elemento familiare in molte case durante i primi tre quarti
del XX secolo. L’anodo della pila a secco è un contenitore di zinco, all’interno del
quale sono situate una miscela di MnO2 e una pasta elettrolitica debolmente acida
costituita da NH4Cl, ZnCl2, H2O e amido. Polvere di grafite aumenta la conduttività
e il catodo è una barretta di grafite inerte. La semireazione catodica è complessa,
ma sostanzialmente avvengono la riduzione di MnO2(s) a Mn2O3(s) e una reazione
acido-base tra NH4+ e OH−. A elevata intensità di corrente, la reazione produce am-
moniaca gassosa che può accumularsi e causare un’elevata caduta di tensione. Inol-
tre l’anodo di zinco può reagire con gli ioni ammonio, debolmente acidi, limitando
così fortemente la durata della pila a secco.
Anche se più costosa della pila a secco, la batteria alcalina ne rappresenta lo
sviluppo. I materiali elettrodici sono gli stessi, zinco e diossido di manganese, ma
l’elettrolita è una pasta di KOH e acqua. Le semireazioni sono essenzialmente le
stesse, ma l’elettrolita basico evita l’accumulo di gas e non altera l’elettrodo di Zn
(Figura 21.13):
Anodo (ossidazione): Zn(s) + 2OH−(aq) ZnO(s) + H2O(l) + 2e−
Catodo (riduzione): MnO2(s) + 2H2O(l) + 2e− Mn(OH)2(s) + 2OH−(aq)
Reazione completa:
Zn(s) + MnO2(s) + H2O(l) ZnO(s) + Mn(OH)2(s)   ΔE = 1,5 V

21txt.indd 735 17/05/19 09:02


736 Capitolo 21

Figura 21.13 Batteria alcalina.


(Foto: © Jill Braaten). Bottone positivo

Contenitore d’acciaio

MnO in pasta di KOH


Zn (anodo)
Barra di grafite (catodo)
Assorbente/separatore
Terminale negativo

Come la pila a secco, la batteria alcalina fornisce energia a radio portatili, giocattoli,
torce elettriche, è economica, sicura e disponibile in diverse dimensioni. Inoltre,
non ha cadute di tensione e ha lunghi tempi di vita.
Batterie a bottone a mercurio e ad argento Le batterie a mercurio e ad argen-
to sono molto simili. Entrambe utilizzano un anodo di zinco (agente riducente) in
un mezzo basico. Una utilizza HgO come agente ossidante e l’altra Ag2O. Entrambe
Anodo: Catodo:
hanno un catodo di acciaio. I reagenti solidi sono compattati separatamente con KOH
Zn in gel
coperchio di KOH contenitore e carta umida costituisce il ponte salino.
di zinco (anodo) (−) di acciaio Anodo (ossidazione): Zn(s) + 2OH−(aq) ZnO(s) + H2O(l) + 2e−
Catodo (riduzione) (mercurio): HgO(s) + H2O(l) + 2e− Hg(l) + 2OH−(aq)
Catodo (riduzione) (argento): Ag2O(s) + H2O(l) + 2e− 2Ag(s) + 2OH−(aq)
Reazione completa (mercurio):
Zn(s) + HgO(s) ZnO(s) + Hg(l) ΔE = 1,3 V
Reazione completa (argento):
Guarnizione
Zn(s) + Ag2O(s) ZnO(s) + 2Ag(s) ΔE = 1,6 V
Separatore
poroso Entrambe sono costruite a forma di un piccolo bottone. La cella a mercurio è usata
Pasticca
di Ag2O in nelle calcolatrici. La cella ad argento ha un’uscita molto stabile ed è utilizzata in
in grafite
(catodo) (+)
orologi (Figu­ra 21.14), macchine fotografiche, pacemakers cardiaci, apparecchi acu-
stici. I loro principali svantaggi sono la tossicità del mercurio che viene rilasciato
Figura 21.14 Batteria a dalle celle gettate via e l’elevato costo delle celle ad argento.
elettrodo ad argento. (Foto:
© McGraw-Hill Education/Pat
Batterie primarie al litio Queste batterie sono ampiamente utilizzate in orologi e
Watson, photographer). impianti medici. (Figura 21.15) La batteria primaria al litio è caratterizzata da un ele-
vatissimo rapporto energia/massa: produce infatti 1 mol di e− (1 F ) da meno di 7 g di
metallo (M del Li = 6,941 g/mol). L’anodo è una lamina di litio metallico e dunque
l’elettrolita deve essere non acquoso. Il catodo è uno dei numerosi ossidi in cui lo ione
litio può intercalarsi tra i piani del cristallo. In molti dispositivi per impianti medici il
catodo è un ossido di vanadio e argento (Silver Vanadium Oxide, SVD; AgV2O5,5) e può
fornire energia per molti anni. Le semireazioni sono:
Anodo (ossidazione): 3,5Li(s) 3,5Li+ + 3,5e−
Catodo (riduzione): AgV2O5,5 + 3,5Li + 3,5e−
+
Li3,5AgV2O5,5
Reazione completa: AgV2O5,5 + 3,5Li(s) Li3,5AgV2O5,5

Pacemaker Feedthrough Insulative seal


cardiaco pin (+) Electrolyte
fill hole
Stainless
Figura 21.15 Batteria prima-
steel case (−) Multiplate cell
ria al litio. Un peacemaker che Cathode stack
contiene una batteria al litio. lead bridge Lithium (anode)
(Foto: © 2015 Boston Scientific
Polypropylene
Corporation or its affiliates. All separator
rights reserved). SVO (cathode)

21txt.indd 736 17/05/19 09:03


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 737

Batterie secondarie (ricaricabili)


Catodo
Diversamente dalle batterie primarie, quando una batteria secondaria, o ricaricabile (positivo):
− griglie
(o accumulatore), è scarica, può essere ricaricata fornendo energia elettrica per invertire
di piombo
la reazione di cella e riformare i reagenti. con polvere
+
In altre parole, in questo tipo di batterie le celle voltaiche sono periodicamente compressa
trasformate in celle elettrolitiche per ricreare concentrazioni di non equilibrio. La di PbO2

batteria secondaria più ampiamente utilizzata è certamente la comune batteria


delle automobili. Due tipi più recenti di batterie ricaricabili sono quella nickel-
metallo-idruro e la batteria litio-ione, una versione secondaria della batteria al litio.
Anodo
(negativo):
Batteria piombo-acida (accumulatore al piombo) Una tipica batteria da auto- simili griglie
mobile da 12 V ha sei celle collegate in serie, ognuna delle quali produce circa 2,1 V. con piombo
spugnoso
Ogni cella contiene due griglie di piombo nelle quali vengono compressi i materiali elet-
trodici: l’anodo è polvere di Pb spugnosa (a elevata area superficiale) e il catodo è PbO2.
Elettrolita H2SO4
Le griglie sono immerse in una soluzione elettrolitica di H2SO4 ∼4,5 M. Fogli di fibra
di vetro tra le griglie impediscono cortocircuiti dovuti a possibili contatti fisici (Figu­­-
Figura 21.16 Batteria
ra 21.16). Quando la cella si scarica genera energia elettrica come una cella voltaica: piombo-­acida.
Anodo (ossidazione): Pb(s) + HSO4−(aq) PbSO4(s) + H+ + 2e−
Catodo (riduzione): PbO2(s) + 3H+(aq) + HSO4−(aq) + 2e− PbSO4(s) + 2H2O(l)
Entrambe le semireazioni producono ioni Pb2+, una per ossidazione di Pb e l’altra
per riduzione di PbO2. Gli ioni Pb2+ formano PbSO4(s) a entrambi gli elettrodi per
reazione con HSO4−.
Reazione completa (scarica):
PbO2(s) + Pb(s) + 2H2SO4(aq) 2PbSO4(s) + 2H2O(l)     ΔE1 = 2,1 V
Quando la cella si ricarica utilizza energia elettrica come una cella elettrolitica e le
semireazioni e la reazione completa di cella sono invertite.
Reazione completa (carica):
2PbSO4(s) + 2H2O(l) PbO2(s) + Pb(s) + 2H2SO4(aq)
Per più di un secolo i possessori di automobili e camion si sono affidati agli accu-
mulatori al piombo per ottenere l’intensa corrente necessaria per avviare il motore
per lunghi periodi di tempo e in condizioni climatiche avverse. Gli accumulato-
ri al piombo hanno però diversi svantaggi tra cui perdita di capacità e sicurezza.
La perdita di capacità deriva da diversi fattori tra cui la corrosione della griglia di
piombo positiva, la rimozione dei materiali attivi per effetto di stress meccanici e
scosse in percorsi accidentati, e la formazione di cristalli di PbSO4, che è necessario
nella ricarica. Se troppo PbSO4 viene rimosso, la batteria non può essere ricaricata.
Le vecchie batterie avevano un tappo in plastica su ogni cella in modo da poterle
aprire per controllare la densità dell’elettrolita e aggiungere l’acqua persa durante la
scarica. Durante la carica parte dell’acqua potrebbe subire elettrolisi e produrre H2 e
O2, che costituiscono una miscela esplosiva in presenza di una scintilla. L’esplosione
potrebbe causare dispersione di H2SO4. Nelle moderne batterie si utilizza una lega
di piombo che inibisce l’elettrolisi e riduce le perdite d’acqua, perciò sono sigillate.

Batterie nickel-metallo idruro (Ni-MH) Le preoccupazioni per gli effetti tossici


della batteria al nickel-cadmio (nicad) hanno spinto a sostituirla con la batteria nickel-
metallo idruro. Nella semireazione anodica si ha ossidazione dell’idrogeno assorbito su
leghe metalliche (indicate con M, per esempio LaNi5) in un elettrolita basico (KOH),
mentre il nickel(III), sotto forma di NiO(OH), viene ridotto al catodo (Figura 21.17):
Anodo (ossidazione): MH(s) + OH−(aq) M(s) + H2O(l) + e−
Catodo (riduzione): NiO(OH)(s) + H2O(l) + e− Ni(OH)2(s) + OH−(aq)
Reazione completa: MH(s) + NiO(OH)(s) M(s) + Ni(OH)2(s)   ΔE = 1,4 V
La reazione di cella viene invertita durante la carica.

21txt.indd 737 17/05/19 09:03


738 Capitolo 21

Figura 21.17 Batteria NiO(OH) (anodo)


Separatore
nickel-metallo idruro. (Foto: ©
MH (catodo)
McGraw-Hill Education/Stephen
Guarnizione
Frisch, photographer).
(−)

Isolante (+)

Guaina termoaderente

La batteria Ni-MH viene utilizzata comunemente in apparecchi cordless e flash


fotografici. È leggera, fornisce elevata potenza ed evita la tossicità del cadmio, ma si
scarica anche quando non utilizzata.
Batterie litio-ione La moderna batteria litio-ione ha un anodo di atomi di litio
intercalati (giacenti) tra piani di grafite (indicati come LixC6). Il catodo è un ossido
misto di litio e un altro metallo, quale LiMn2O4, e un tipico elettrolita è LiPF6 1 M
in un solvente organico, spesso una miscela di dimetilcarbonato ed etilmetilcar-
bonato. Gli elettroni fluiscono attraverso il circuito, mentre gli ioni Li+ solvatati
(−)
Li+
(+) fluiscono dall’anodo al catodo (Figu­ra 21.18). Le reazioni di cella sono:
Anodo Catodo
Elettrolita Anode (ossidazione): LixC6 xLi+ + xe− + C6(s)
Li in LiPF6 in
(CH3)2CO3
LiMn2O4 Catodo (riduzione): Li1−xMn2O4(s) + xLi + xe−
+
LiMn2O4(s)
grafite
Reazione completa: LixC6 + Li1−xMn2O4(s) LiMn2O4(s) + C6(s)
ΔE = 3,7 V
La reazione di cella viene invertita durante la carica. La batteria litio-ione viene uti-
lizzata in computer portatili, telefoni cellulari, videocamere. I suoi principali difetti
Figura 21.18 Batteria litio-
sono il costo relativamente elevato e l’infiammabilità dei solventi organici.
ione. (Foto: © AP/Wide World
Photos).
Celle a combustibile
Contrariamente alle batterie primarie e secondarie, una cella a combustibile, o
batteria a flusso, non è racchiusa in un singolo contenitore. I reagenti (solitamente
un combustibile e ossigeno) entrano nella cella e i prodotti ne escono, generando
elettricità attraverso l’ossidazione controllata del combustibile. In altre parole, le
celle a combustibile utilizzano una reazione di combustione per produrre energia.
Il combustibile non brucia perché, come nelle altre batterie, i reagenti reagiscono
in semireazioni distinte e gli elettroni sono trasferiti attraverso un circuito esterno.
La più comune cella a combustibile progettata per le automobili è la cella a
elettrolita polimerico (Proton Exchange Membrane Fuel Cell, PEMFC) che utilizza H2
come combustibile e ha una temperatura di funzionamento di circa 80 °C (Figu-
ra 21.19). Le reazioni di cella sono:
Anodo (ossidazione): 2H2(g) 4H+(aq) + 4e−
Catodo (riduzione): O2(g) + 4H (aq) + 4e−
+
2H2O(g)
Reazione completa: 2H2(g) + O2(g) 2H2O(g) ΔE = 1,2 V
Le reazioni che avvengono nelle celle a combustibile hanno velocità molto inferiori
a quelle che avvengono nelle altre batterie e pertanto è necessario un catalizzatore
elettrodico per diminuire l’energia di attivazione (vedi Paragrafo 16.8). Gli elettrodi
di una PEMFC sono materiali compositi costituiti da un catalizzatore a base di Pt
depositato su grafite. L’elettrolita è una membrana polimerica a scambio protonico
costituita da una catena perfluoroetilenica [F2C CF2]n sostituita con gruppi sol-
fonici (RSO3−) che trasferiscono ioni H+ dall’anodo al catodo. All’anodo, due moleco-
le di H2 vengono scisse sullo strato catalitico e ossidate. Gli e− entrano nel circuito

21txt.indd 738 17/05/19 09:03


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 739

H2(g) in O2(g) in Figura 21.19 Cella a combu-


entrata e− e− entrata stibile a idrogeno.
Anodo Catodo
(−) (+)

ELETTROLITA
(membrana
polimerica
perfluorosolfonica)
H3O+
H3O+
+
H3 O
H3O+

Catalizzatore a base
di Pt depositato su grafite H O(l) in
2
uscita

e migrano verso il catodo, mentre i due ioni H+ formati si idratano, formando H3O+,
e migrano attraverso l’elettrolita. Il meccanismo proposto prevede una serie di pas-
saggi: sullo strato catalitico del catodo O2 acquista un e– per formare O2−, uno ione
H3O+ cede il suo protone allo ione O2−, formando HO2 (ovvero HOO). Il legame OO
si allunga e si rompe quando un altro ione H3O+ cede il suo H+ e il catalizzatore
fornisce un secondo e–: si è formata la prima molecola di H2O. In modo analogo, un
terzo H+ e un e− attaccano l’atomo di O che si è liberato e formano OH, che lega un
quarto H+ e un e− per formare una seconda molecola di H2O. A questo punto si ha
il desorbimento di en­trambe le molecole d’acqua, che lasciano la cella.
Le celle a combustibile sono state utilizzate per anni per produrre energia e
acqua pura durante le missioni spaziali. Nel prossimo futuro, simili celle forniranno
energia per l’autotrazione e la produzione di energia elettrica civile e industriale.
Già oggi molte case automobilistiche producono prototipi di auto alimentate con
celle a combustibile. Queste celle non producono inquinanti e convertono circa
il 75% dell’energia di legame del carburante in elettricità, a differenza del 40% di
una centrale elettrica e del 25% del motore di un’automobile. Naturalmente il loro
reale impatto ambientale deve essere valutato considerando il metodo di produ-
zione dell’idrogeno. L’idrogeno può essere prodotto dall’elettrolisi dell’acqua e se
l’energia necessaria viene ottenuta attraverso energia solare l’impatto ambientale è
trascurabile, ma se si utilizza energia elettrica da una centrale a carbone le conse-
guenze sull’ambiente sono significative. La ricerca sulle celle a combustibile proce-
de sistematicamente e, attualmente, l’attenzione è focalizzata principalmente sullo
sviluppo di membrane a elevata conducibilità e di catalizzatori più efficienti.

21.6 CORROSIONE: UN CASO


DI ELETTROCHIMICA AMBIENTALE
A questo punto, si potrebbe pensare che i processi elettrochimici spontanei siano sem-
pre utili, ma consideriamo il problema della corrosione, il processo redox naturale
che ossida i metalli ai loro ossidi e solfuri. In termini chimici, la corrosione rappresenta
il processo inverso dell’estrazione di un metallo dai minerali che ne contengono l’ossi-
do o il solfuro; in termini elettrochimici il processo ha molti punti in comune con le
celle voltaiche. Il danneggiamento di automobili, navi, edifici e ponti causato dalla cor-
rosione ha un costo annuale di miliardi di euro ed è dunque un grave problema nella
maggior parte del mondo. Anche se qui fisseremo l’attenzione sulla corrosione del fer-
ro, molti altri metalli, quali il rame e l’argento, danno luogo a fenomeni di corrosione.
La corrosione del ferro
Il processo di corrosione più comune ed economicamente più distruttivo è la for-
mazione di ruggine sul ferro. Circa il 25% della produzione di acciaio degli Stati Uni-
ti ha l’unico scopo si sostituire acciaio già utilizzato che si è corroso. Contrariamen-

21txt.indd 739 17/05/19 09:03


740 Capitolo 21

3 Gli ioni Fe2+ migrano


3 Goccia d’acqua
attraverso la goccia O
2 2
e reagiscono con O2
e H2O per formare
nH2O 2 Elettroni al catodo
ruggine 2H2O
2Fe2+ (inerte) di Fe
riducono O2 a H2O
Ruggine
Fe2O3 ⋅ nH2O
4H+ O2
2+ −
Pit
2Fe 2Fe + 4e 4e − (regione catodica)
(regione anodica)
BARRA DI FERRO 1 L’ossidazione di Fe forma una buca e libera
elettroni che viaggiano attraverso il metallo

Figura 21.20 La corrosione te alla visione semplificata presentata in precedenza, la ruggine non è il ­prodotto
del ferro. A. Vista ravvicinata di diretto della reazione tra ferro e ossigeno ma la sua formazione è dovuta a una serie
una superficie di ferro. La cor- di complessi processi elettrochimici. Esaminiamo ora i fatti relativi alla corrosione
rosione avviene solitamente su
irregolarità della superficie.
del ferro, quindi utilizzeremo le caratteristiche delle celle voltaiche per spiegarli.
B. Una rappresentazione sche- Fatto 1. Il ferro non arrugginisce in aria secca: deve essere presente umidità.
matica ingrandita della super- Fatto 2. Il ferro non arrugginisce in acqua priva di aria: deve essere presente ossigeno.
ficie che mostra i passaggi del
Fatto 3. La perdita in ferro e la deposizione della ruggine avvengono spesso in posti
processo di corrosione. (Foto: ©
Vincent Roy mastweb/Alamy).
diversi dello stesso oggetto.
Fatto 4. Il ferro arrugginisce più rapidamente a bassi pH (elevata [H+]).
Fatto 5. Il ferro arrugginisce più rapidamente in contatto con soluzioni ioniche.
Fatto 6. Il ferro arrugginisce più rapidamente se è in contatto con un metallo meno
attivo (quale Cu) e più lentamente se è in contatto con un metallo più
attivo (quale Zn).
Immaginiamo la superficie ingrandita di un pezzo di ferro o di acciaio (Figura
21.20). Deformazioni, rigature e indentazioni in contatto con l’acqua sono tipica-
mente i siti di perdita di ferro (Fatto 1). Questi siti sono chiamati regioni anodiche
perché lì avviene la seguente semireazione:
Fe(s) Fe2+(aq) + 2e−      [regione anodica: ossidazione]
Quando il ferro ha ceduto elettroni, il danno è stato fatto e si forma una buca dove
si è perduto il ferro.
Gli elettroni ceduti si muovono attraverso il circuito esterno – il ferro stesso
– finché non raggiungono una regione in cui c’è una concentrazione di O2 relativa-
mente alta (Fatto 2), per esempio vicino alla superficie di una gocciolina d’acqua. In
questa regione catodica gli elettroni ceduti dal ferro riducono le molecole di O2:
O2(g) + 4H+(aq) + 4e− 2H2O(l)      [regione catodica: riduzione]
Si noti che il processo redox è completo ed è avvenuta perdita di ferro senza for-
mazione di ruggine:
2Fe(s) + O2(g) + 4H+(aq) 2Fe2+(aq) + 2H2O(l)
La ruggine si forma attraverso un’altra reazione redox in cui i reagenti entrano di-
rettamente in contatto. Gli ioni Fe2+ formati originariamente nella regione anodica
migrano attraverso l’acqua che li circonda e reagiscono con O2, spesso in una regio-
ne lontana dalla buca (Fatto 3).
La reazione complessiva per questo passaggio è:
2Fe2+ ( aq ) + 12 O 2 ( g ) + (2 + n )H2O( l ) ⎯ ⎯
→ Fe2O3 ⋅ nH2O( s ) + 4H+ ( aq )

(Il coefficiente non esatto n per H2O nell’equazione precedente è dovuto al fatto
che la ruggine, Fe2O3 ⋅ nH2O, è una forma di ossido di ferro(III) con un numero va-
riabile di molecole d’acqua di idratazione).
La somma delle due equazioni precedenti dà la reazione complessiva per la
formazione di ruggine sul ferro:
2Fe( s ) + 23 O2 ( g ) + nH2O( l ) + 4H+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Fe2O3 ⋅ nH2O( s ) + 4H+ ( aq )

21txt.indd 740 17/05/19 09:03


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 741

Abbiamo mostrato gli ioni H+ semplificati nei due membri dell’equazione di reazione
per mettere in evidenza la loro azione catalitica: essi vengono usati in una reazione
e creati in un’altra. Come risultato di questa azione, il ferro arrugginisce più rapida-
mente a bassi pH (elevata [H+]) (Fatto 4). Le soluzioni ioniche accelerano il processo
di formazione della ruggine perché migliorano la conduttività del mezzo acquoso
vicino alle regioni anodica e catodica (Fatto 5). L’effetto degli ioni è particolarmente
evidente sui veicoli nautici e sulla carrozzeria delle automobili circolanti in zone a
clima freddo dove si usano sali per sciogliere il ghiaccio su strade sdrucciolevoli.
I componenti del processo di corrosione ricordano, per molti aspetti, quelli di
una cella voltaica:
• le regioni anodica e catodica sono spazialmente separate;
• le regioni sono collegate attraverso un circuito esterno nel quale viaggiano gli
elettroni;
• nella regione anodica il ferro si comporta come un elettrodo attivo, mentre
nella regione catodica come un elettrodo inerte;
• l’umidità che circonda la buca ha, in qualche modo, la funzione di ponte salino,
un mezzo per gli ioni ferro di muoversi avanti e indietro mantenendo l’elettro-
neutralità della soluzione.

Protezione del ferro dalla corrosione


Un approccio comune per prevenire o limitare la corrosione è di eliminare il con-
tatto con gli agenti corrosivi. La semplice azione di lavare il sale dalle strade rimuo-
ve le soluzioni ioniche dalla carrozzeria delle automobili. Spesso gli oggetti di ferro
vengono verniciati per proteggerli da O2 e dall’umidità, ma il processo di formazio-
ne della ruggine procede se si formano crepe nella vernice. Tra le ricoperture più
a lunga durata c’è il cromo sulle apparecchiature idrauliche. La “brunitura” delle
canne di fucile, delle cucine a legna e di altri oggetti d’acciaio consiste nel legare
una ricopertura adesiva di Fe3O4 (magnetite) alla superficie.
Il solo fatto concernente la corrosione che non abbiamo ancora trattato riguarda
l’attività relativa di altri metalli in contatto con il ferro (Fatto 6). Questo argomen-
to ci porta alla discussione del metodo più efficace di protezione dalla corrosione.
L’idea essenziale è che il ferro svolge sia la funzione di anodo sia di catodo nel proces-
so di formazione della ruggine. Sembra pertanto ragionevole che qualsiasi cosa faccia
agire maggiormente il ferro da anodo aumenti la corrosione. Come si può vedere in
Figu­ra 21.21A, quando il ferro è in contatto con un metallo meno attivo (un agente
riducente più debole), quale il rame, la sua funzione anodica è enfatizzata. Come
risultato, quando tubazioni di ferro sono direttamente collegate a tubazioni di rame,
senza alcun isolamento elettrico tra essi, la tubazione di ferro si corrode rapidamente.
D’altra parte, qualsiasi cosa faccia agire maggiormente il ferro da catodo pre-
viene la corrosione. L’applicazione di questo principio viene chiamata protezione
catodica. Per esempio, se il ferro è in contatto con un metallo più attivo (agente ri-
ducente più forte), quale lo zinco, il ferro diventa catodico e rimane intatto, mentre
lo zinco agisce come anodo e cede elettroni (Figura 21.21B). Ricoprire l’acciaio con
Figura 21.21 Effetto dei con-
tatti metallo-metallo sulla cor-
rosione del ferro. A. Quando
2 Elettroni da Fe riducono O2 a H2O 2 Elettroni da Zn riducono O2 a H2O
il ferro è in contatto con un
Goccia d’acqua
metallo meno attivo, quale il
4H+ O2 2H2O
2Zn2+ rame, perde elettroni più facil-
2+ O2 mente (è più anodico) perciò
2H2O 2Fe 4e− 4H+
Cu si corrode più rapidamente. B.
2Zn
2Fe (catodo (anodo)
Quando il ferro è in contatto
4e−
(anodo) inerte) con un metallo più attivo, quale
Fe
lo zinco, lo zinco agisce come
(catodo inerte)
anodo e perde elettroni. Perciò
1 Fe cede elettroni al catodo di Cu 1 Zn cede elettroni al catodo di Fe il ferro è catodico e non si cor-
rode. Il processo è noto come
A Corrosione amplificata B Protezione catodica protezione catodica.

21txt.indd 741 17/05/19 09:03


742 Capitolo 21

uno strato “sacrificale” di zinco è la base del processo di galvanizzazione. Non solo lo
zinco blocca il contatto fisico con H2O e O2, ma viene anche “sacrificato” (ossidato)
asta di
al posto del ferro.
Mg Gli anodi sacrificali vengono impiegati per proteggere strutture di ferro e
di acciaio (tubazioni, serbatoi, oleodotti ecc.) in ambienti marini e sotterranei. I
tubo di ferro metalli più usati per questo scopo sono il magnesio e l’alluminio, elementi molto
più attivi del ferro, che agiscono da anodi mentre il ferro agisce da catodo. Un
esempio è illustrato nella Figura 21.22. Un altro vantaggio di questi metalli è che
essi formano strati superficiali di ossidi adesivi che rallentano la loro stessa corro-
Figura 21.22 L’uso di anodi
sacrificali per prevenire la cor- sione.
rosione del ferro. Metalli attivi,
quali il magnesio e l’alluminio,
vengono collegati a tubazioni 21.7 CELLE ELETTROLITICHE: UTILIZZARE ENERGIA
sotterranee di ferro per preve-
nire la loro corrosione mediante
ELETTRICA PER FAR AVVENIRE
protezione catodica. Il metallo UNA REAZIONE NON SPONTANEA
attivo viene sacrificato al posto
del ferro. Sin qui abbiamo considerato celle voltaiche, dispositivi che generano energia elet-
trica da una reazione redox spontanea. Il principio di una cella elettrolitica è esat-
tamente l’opposto: energia elettrica da una sorgente esterna fa avvenire una reazione
non spontanea.

Costruzione e funzionamento di una cella elettrolitica


Esaminiamo il funzionamento di una cella elettrolitica costruendone una a partire
da una cella voltaica. Consideriamo la cella stagno-rame in Figura 21.23A.
L’anodo di Sn viene gradualmente ossidato a ioni Sn2+ e gli ioni Cu2+ si ridu-
cono gradualmente depositandosi sul catodo di Cu perché la reazione di cella è
spontanea in questa direzione.
Per la cella voltaica
Sn(s) Sn2+(aq) + 2e− [anodo: ossidazione]
Cu (aq) + 2e−
2+
Cu(s) [catodo: riduzione]
Sn(s) + Cu2+(aq) Sn2+(aq) + Cu(s)      ΔE 0 = 0,48 V e ΔG0 = −93 kJ

e− e− e− Generatore esterno e−
0,48 V maggiore di 0,48 V
Voltmetro
Anodo Catodo Anodo Catodo
(−) (+) Cu (−) (+) Cu
Sn Ponte salino Sn Ponte salino

2e− 2e− 2e− 2e−

Sn Sn2+ Cu2+ Cu Sn2+ Cu2+ Cu


Sn

Figura 21.23 La reazione


stagno-rame come base di una 1 M Sn2+ 1 M Cu2+ 1 M Sn2+ 1 M Cu2+
cella voltaica e di una cella
elettrolitica. A. La reazione Semireazione di ossidazione Semireazione di ossidazione
spontanea tra Sn e Cu2+ genera Sn(s) Sn2+(aq) + 2e− Cu(s) Cu2+(aq) + 2e−
0,48 V in una cella voltaica.
B. Se si forniscono alla cella più
Semireazione di riduzione Semireazione di riduzione
di 0,48 V, la stessa apparec-
Cu2+(aq) + 2e− Cu(s) Sn2+(aq) + 2e− Sn(s)
chiatura diventa una cella elet-
trolitica e avviene la reazione
non spontanea tra Cu e Sn2+. Reazione completa di cella Reazione completa di cella
Notare le variazioni nella carica Sn(s) + Cu2+(aq) Sn2+(aq) + Cu(s) Cu(s) + Sn2+(aq) Cu2+(aq) + Sn(s)
degli elettrodi e nella direzione
del flusso di elettroni. A Cella voltaica B Cella elettrolitica

21txt.indd 742 17/05/19 09:03


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 743

La reazione inversa è dunque non spontanea e non avverrà mai senza interventi
esterni, come indica il valore negativo di ΔE0 e quello positivo di ΔG0:
Cu(s) + Sn2+(aq) Cu2+(aq) + Sn(s)      ΔE 0 = −0,48 V e ΔG0 = 93 kJ
Possiamo però far avvenire questo processo fornendo dall’esterno un potenziale
elettrico maggiore di ΔE0. In tal modo convertiamo la cella voltaica in una cella
elettrolitica e cambiamo la natura degli elettrodi – l’anodo è ora il catodo e il catodo
è l’anodo (Figura 21.23B):
Per la cella elettrolitica
Cu(s) Cu2+(aq) + 2e− [anodo: ossidazione]
Sn2+(aq) + 2e− Sn(s) [catodo: riduzione]
Sn2+(aq) + Cu(s) Sn(s) + Cu2+(aq) [reazione completa di cella]
Si noti che in una cella elettrolitica, come in una cella voltaica, l’ossidazione ha luo-
go all’anodo e la riduzione ha luogo al catodo, ma la direzione del flusso di elettroni e le
polarità degli elettrodi sono invertite. Per capire queste variazioni, ricordate il motivo
del flusso di elettroni:
• in una cella voltaica si generano elettroni all’anodo che è pertanto negativo, e
si consumano elettroni al catodo, che è pertanto positivo;
• in una cella elettrolitica gli elettroni provengono dalla sorgente esterna di
Figura 21.24 I processi che
energia elettrica che li fornisce al catodo, che è quindi negativo, e li rimuove avvengono durante la scarica
dall’anodo, che è dunque positivo. e carica di una batteria
piombo-­acida. Quando una
Una batteria ricaricabile funziona come cella voltaica nella scarica e come cel- batteria piombo-acida si scarica
la elettrolitica nella carica: essa fornisce perciò un buon sistema per confrontare (alto) si comporta come una
questi due tipi di cella e le variazioni nel funzionamento degli elettrodi. La Figura cella voltaica: l’anodo è negativo
21.24 mostra queste due funzioni nell’accumulatore al piombo. Nel processo di (elettrodo I) e il catodo è positivo
(elettrodo II). Quando si ricarica
scarica (cella voltaica) l’ossidazione avviene all’elettrodo I rendendo quale elettrodo
(basso) si comporta come una
negativo l’anodo. Nel processo di carica (cella elettrolitica) l’ossidazione avviene cella elettrolitica: l’anodo è posi-
all’elettrodo II rendendo quale elettrodo positivo l’anodo. Analogamente il catodo tivo (elettrodo II) e il catodo è
è positivo nella scarica (elettrodo II) e negativo nella carica (elettrodo I). Ribadendo negativo (elettrodo I). (Foto: ©
ancora una volta il concetto, l’ossidazione avviene all’anodo e la riduzione al catodo. Jill Braaten).

VOLTAICA (Scarica)

Motore di
e− avviamento e−

Semireazione di ossidazione a I Semireazione di riduzione a II


e− Pb(s) + HSO4−(aq) PbO2(s) + 3H+(aq) + HSO4−(aq) + 2e− e

PbSO4(s) + H+ + 2e− PbSO4(s) + 2H2O(l )

(−) (+)
Anodo Catodo
Interruttore I CELLA PIOMBO-ACIDA II
Catodo Anodo
(−) (+)

e− Semireazione di riduzione a I Semireazione di ossidazione a II


PbSO4(s) + H+ + 2e− PbSO4(s) + 2H2O(l ) e−
Pb(s) + HSO4−(aq) PbO2(s) + 3H+(aq) + HSO4−(aq) + 2e−

e− e−
Generatore

ELETTROLITICA (Carica)

21txt.indd 743 17/05/19 09:03


744 Capitolo 21

Tabella 21.4 Confronto tra celle voltaiche ed elettrolitiche


Elettrodo
Tipo di cella ΔG ΔE Nome Processo Segno
Voltaica <0 >0 Anodo Ossidazione −
Voltaica <0 >0 Catodo Riduzione +
Elettrolitica >0 <0 Anodo Ossidazione +
Elettrolitica >0 <0 Catodo Riduzione −

La Tabella 21.4 riassume i processi e le polarità nei due tipi di cella elettrochi-
mica.

Previsione dei prodotti di elettrolisi


L’elettrolisi, la scissione di una sostanza per effetto dell’energia elettrica è spesso
utilizzata per decomporre un composto nei suoi elementi. Celle elettrolitiche sono
utilizzate in un gran numero di importanti processi industriali per la produzione di
alcuni tra gli elementi più importanti dal punto di vista commerciale, tra cui cloro,
alluminio e rame. La prima elettrolisi di H2O a H2 e O2 fu condotta in laboratorio nel
1800 e il processo è ancora utilizzato per produrre idrogeno e ossigeno gassosi di
elevatissima purezza. L’elettrolita in una cella elettrolitica può essere un composto
puro (come H2O o un sale fuso), una miscela di sali fusi o una soluzione acquosa di
sali. La natura dei prodotti che si ottengono dipende dalle proprietà atomiche e da
numerosi altri fattori, perciò esaminiamo alcuni casi reali.

Elettrolisi di sali fusi Molte applicazioni elettrolitiche coinvolgono l’isolamento


di un metallo o di un non metallo da un sale fuso. Predire il prodotto a ogni elettro-
do è semplice se il sale è puro perché il catione verrà ridotto e l’anione verrà ossidato.
L’elettrolita è lo stesso sale fuso e gli ioni si muovono attraverso la cella attratti
dagli elettrodi di segno opposto.
Consideriamo l’elettrolisi del cloruro di calcio fuso. Le due specie presenti sono
Ca2+ e Cl−, perciò lo ione Ca2+ viene ridotto e lo ione Cl− viene ossidato:

2Cl−(l) Cl2(g) + 2e− [anodo: ossidazione]


Ca2+(l) + 2e− Ca(s) [catodo: riduzione]
Ca2+(l) + 2Cl−(l) Ca(s) + Cl2(g) [reazione completa]

Il calcio metallico si prepara industrialmente in questo modo, come numerosi altri


metalli attivi, quali Na e Mg, e gli alogeni Cl2 e Br2.

Elettrolisi di miscele di sali fusi Nella maggior parte dei casi, l’elettrolita è una
miscela di sali fusi, che viene sottoposta a elettrolisi per ottenere un particolare
metallo. Quando è possibile ottenere più di un prodotto, come possiamo sape-
re quale specie reagirà a quale elettrodo? La regola generale per tutte le celle
elettrolitiche è che la specie che si ossida più facilmente (agente riducente più forte)
reagisce all’anodo e la specie che si riduce più facilmente (agente ossidante più forte)
reagisce al catodo.
È importante realizzare che per l’elettrolisi di miscele di sali fusi non si possono
utilizzare i valori tabulati di ΔE0 per conoscere la forza relativa degli agenti ossidan-
ti e riducenti. Quei valori sono riferiti alle variazioni da ioni acquosi a elementi li-
beri, Mn+(aq) + ne− M(s), nei loro stati standard, ma non ci sono ioni acquosi
in un sale fuso. Dobbiamo basarci piuttosto sulle nostre conoscenze delle tendenze
delle proprietà periodiche per predire quale degli ioni presenti acquista o cede
elettroni più facilmente (Paragrafi 8.4 e 9.4).

21txt.indd 744 17/05/19 09:03


Elettrochimica: variazioni chimiche e lavoro elettrico 745

Previsione dei prodotti dell’elettrolisi di una miscela di sali fusi


PROBLEMA DI VERIFICA 21.8
Problema Un ingegnere chimico fonde una miscela naturale di NaBr e MgCl2 e la decom-
pone in una cella elettrolitica. Predire quali sostanze si formano a ciascun elettrodo e scri-
vere le semireazioni bilanciate e la reazione di cella completa.
Piano Dobbiamo determinare quale metallo e quale non metallo si formeranno più facil-
mente agli elettrodi. Come prima cosa elenchiamo gli ioni come agenti ossidanti o riducenti.
Se un metallo trattiene i suoi elettroni più fortemente di un altro, ha una maggiore energia
di ionizzazione (Ei). Perciò, come catione, acquista elettroni più facilmente: è l’agente ossi-
dante più forte e si riduce al catodo. Similmente, se un non metallo trattiene i suoi elettroni
con meno forza di un altro, ha una minore elettronegatività (χ). Perciò, come anione, perde
elettroni più facilmente: è l’agente riducente più forte e si ossida all’anodo.
Risoluzione Elencare gli ioni come possibili agenti ossidanti o riducenti.
I possibili agenti ossidanti sono Na+ e Mg2+
I possibili agenti riducenti sono Br− e Cl−
Determinare il prodotto catodico (il catione che si riduce più facilmente): Mg si trova a
destra di Na nel Periodo 3. Ei aumenta da sinistra a destra, dunque Mg ha Ei più elevata. È
necessaria una maggior quantità di energia per rimuovere un e− da Mg piuttosto che da Na:
ne segue che Mg2+ ha una maggiore attrazione per e− e dunque si riduce più facilmente
(più forte agente ossidante):

Mg 2+ ( l ) + 2e− ⎯ ⎯→ Mg( l ) [catodo: riduzione]


Determinare il prodotto anodico (l’anione che si ossida più facilmente): Br si trova al di sotto
di Cl nel Gruppo 7A(17). χ decresce lungo il gruppo, dunque Br ha χ inferiore a Cl. Pertanto
Br− trattiene i suoi elettroni meno fortemente di Cl−, perciò Br− si ossida più facilmente
(agente ossidante più forte):

2Br− ( l ) ⎯ ⎯→ Br2 ( g ) + 2e− [anodo: ossidazione]


Scrivere la reazione di cella completa:

Mg 2+ ( l ) + 2Br− ( l ) ⎯ ⎯→ Mg( l ) + Br2 ( g ) [reazione completa]


Commento La temperatura della cella deve essere sufficientemente alta da mantenere fusa
la miscela di sali. In questo caso, la temperatura è maggiore della temperatura di fusione di
Mg, che appare dunque come liquido nella reazione, e maggiore del punto di ebollizione di
Br2 che compare perciò come gas.

PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.8 Un campione di AlBr3 contami-


nato con KF viene fuso e sottoposto a elettrolisi. Determinare i prodotti agli elettrodi e la
reazione di cella completa.

Elettrolisi dell’acqua e potenziali non standard di semicella Prima di poter


analizzare i prodotti dell’elettrolisi di soluzioni acquose, dobbiamo esaminare l’elet-
trolisi dell’acqua stessa. È difficile sottoporre a elettrolisi l’acqua estremamente pura
perché sono presenti molti pochi ioni per condurre corrente. Però se si aggiunge
una piccola quantità di un sale non reattivo (quale Na2SO4) l’elettrolisi procede rapi-
damente. Una cella elettrolitica in vetro con compartimenti separati per i gas viene
utilizzata per evitare la miscelazione di H2 e O2 gassosi (Figura 21.25). All’anodo si
ha ossidazione dell’acqua con variazione del numero di ossidazione di O da −2 a 0:
2H2O(l) O2(g) + 4H+(aq) + 4e−    E = 0,82 V       [anodo: ossidazione] Figura 21.25 L’elettrolisi
dell’acqua. All’anodo si forma
Al catodo si ha riduzione dell’acqua con variazione del numero di ossidazione di ossigeno per ossidazione di H2O
H da +1 a 0: (a destra) e il doppio del suo
volume di idrogeno si forma al
2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq)    E = −0,42 V      [catodo: riduzione] catodo per riduzione di H2O (a
sinistra). (Foto: © McGraw-Hill
Dopo aver raddoppiato la semireazione catodica per rendere uguale il numero di e− Education/Stephen Frisch, pho-
ceduti e il numero di e− acquistati, sommato le semireazioni (che implica combinare tographer).

21txt.indd 745 17/05/19 09:03


746 Capitolo 21

H+ e OH− in H2O e semplificare e− e l’acqua in eccesso) e calcolato ΔE, la reazione


completa è:
2H2O(l) 2H2(g) + O2(g) Ecell = −0,42 V − 0,82 V = −1,24 V [reazione completa]
Si noti che questi potenziali elettrodici non sono indicati con un apice zero perché
non sono potenziali elettrodici standard. Il valore di [H+] e [OH−] è 1  ×  10−7 M e non
il valore dello stato standard, 1 M. Questi valori di potenziale sono ottenuti applican-
do l’equazione di Nernst. Per esempio, il calcolo del potenziale anodico (con n = 4) è:
0, 0592 V
E = E0 − log(PO2 × [H+ ]4 )
4

Il potenziale standard per l’ossidazione dell’acqua è −1,23 V (Appendice D) e


PO2  1 atm nella semicella, per cui abbiamo

E = −1, 23 V − { 0, 0592
4
× ⎣⎢log1 + 4 log (1, 0 ×10 )⎤⎦⎥ } = −0, 82 V
V ⎡ −7

Anche in soluzioni ioniche acquose [H+] e [OH−] valgono approssimativamente


1  ×  10−7 M, perciò utilizzeremo questi potenziali elettrodici non standard per pre-
dire i prodotti di elettrolisi.
Elettrolisi di soluzioni ioniche acquose e il fenomeno della sovratensione
Le soluzioni saline acquose sono miscele di ioni e acqua perciò si devono confron-
tare i vari potenziali elettrodici per predire i prodotti di elettrolisi. Quando due
semireazioni sono possibili a un elettrodo:
• avviene la riduzione con il potenziale elettrodico meno negativo (più positivo);
• avviene l’ossidazione con il potenziale elettrodico meno positivo (più negativo).
Cosa succede, per esempio, quando si fa l’elettrolisi di una soluzione di ioduro di
potassio? I possibili agenti ossidanti sono K+ e H2O e le rispettive semireazioni di
riduzione sono
K+(aq) + e− K(s) E 0 = −2,93 V
2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) E = −0,42 V [riduzione]
Il potenziale elettrodico meno negativo per l’acqua indica che questa è molto più
facile da ridurre rispetto a K+, perciò al catodo si forma H2. I possibili agenti ridu-
centi sono I− e H2O e le rispettive semireazioni di ossidazione sono
2I−(aq) I2(s) + 2e− E 0 = 0,53 V [ossidazione]
2H2O(l) O2(g) + 4H+(aq) + 4e− E = 0,82 V
Il potenziale elettrodico meno positivo per I− indica che è necessario un potenzia-
le minore per ossidarlo rispetto al potenziale necessario per ossidare H2O, perciò
all’anodo si forma I2.
I prodotti

Potrebbero piacerti anche