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Martin S Silberberg, Patricia Amateis Chimica 230413 115445
Martin S Silberberg, Patricia Amateis Chimica 230413 115445
CHIMICA
La natura molecolare della materia
CHIMICA
Patricia Amateis
M.S. Silberberg
e delle sue trasformazioni La natura molecolare della materia
Il testo si rivolge agli insegnamenti di tutti i corsi di Chimica, Chimica genera-
e delle sue trasformazioni
le e inorganica, Fondamenti di chimica, in particolare quelli rivolti ai corsi di
laurea di Ingegneria, Chimica, Chimica industriale, Scienze e Tecnologie chimi-
che, Scienze e Tecnologie fisiche, Scienze Biologiche, Biotecnologie, Scienze Edizione italiana a cura di
e Tecnologie farmaceutiche, Scienze e Tecnologie animali, Scienze Naturali e Silvia Licoccia, Università di Roma "Tor Vergata"
Ambientali, e si propone di fornire le nozioni di base fondamentali per
comprendere il comportamento delle molecole.
CHIMICA
e delle sue trasformazioni
La natura molecolare della materia
L’approccio utilizzato descrive i fenomeni prima su scala macroscopica
per poi passare al punto di vista molecolare, grazie a puntuali illustrazioni
che permettono di visualizzare i modelli chimici e le reazioni. Lo studente
viene condotto all’interpretazione chimica dei fenomeni a partire da esempi
semplici e famigliari e l’apprendimento è facilitato dal frequente ricorso
all’esplicazione visiva dei concetti. Ogni capitolo, infine, presenta numerosi
problemi di verifica interamente svolti con soluzione numerica a fine
capitolo.
In questa quarta edizione i capitoli sono stati aggiornati in modo trasver-
sale, intervenendo soprattutto su tematiche in costante evoluzione, come le
energie rinnovabili e lo stato del clima, le nanotecnologie, le applicazioni
Quarta edizione
biomediche; sono state inoltre ampliate le schede dedicate alla Chimica
nelle altre scienze ed è stato aggiunto un nuovo capitolo dedicato agli
Elementi in natura e nell’industria.
Il codice d’accesso alla piattaforma Connect mette inoltre a disposizione
600 esercizi in italiano e 600 esercizi in inglese, a cui si aggiunge lo Smart-
book interamente aggiornato.
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Nell’eserciziario all’interno
del volume oltre 1900 esercizi
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Martin S. Silberberg
Patricia G. Amateis
CHIMICA
La natura molecolare della materia
e delle sue trasformazioni
Quarta edizione
Martin S. Silberberg
Patricia G. Amateis
Edizione italiana a cura di
Silvia Licoccia, Università di Roma “Tor Vergata”
Copyright © 2019, 2016, 2012, 2008, 2004 McGraw-Hill Education (Italy) s.r.l.
Via Ripamonti, 89 – 20141 Milano
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15%
di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso
previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
L’editore ha fatto tutto il possibile per contattare gli aventi diritto delle immagini che
compaiono nel testo e resta a disposizione di chi non è stato possibile contattare.
Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive
case produttrici.
ISBN a 13 978-88-386-9788-3
Prefazione all’ottava edizione americana XV Come la teoria di Dalton spiega le leggi di massa 36
Ringraziamenti XIX Le masse relative degli atomi 36
Prefazione alla quarta edizione italiana XX 2.4 Le osservazioni che condussero al modello
Gli autori e il curatore XXII nucleare dell’atomo 37
Guida alla lettura XXIII Scoperta dell’elettrone e delle sue proprietà 37
Scoperta del nucleo atomico 38
3.3 Scrittura e bilanciamento delle equazioni 5.2 Pressione di un gas e sua misurazione 140
chimiche 82 Dispositivi di laboratorio per misurare la pressione
di un gas 140
3.4 Calcolo delle quantità di reagenti
Unità di misura della pressione 143
e di prodotti 86
Rapporti molari stechiometricamente equivalenti 5.3 Le leggi dei gas e le loro basi sperimentali 144
ottenuti dall’equazione bilanciata 86 La relazione tra volume e pressione: la legge
Reazioni chimiche in sequenza 90 di Boyle 144
Reazioni chimiche a cui partecipa un reagente La relazione tra volume e temperatura: la legge
limitante 91 di Charles 145
Reazioni chimiche in pratica: resa teorica, resa effettiva La relazione tra volume e quantità: la legge
e resa percentuale 93 di Avogadro 147
3.5 Fondamenti di stechiometria delle reazioni Comportamento di un gas in condizioni normali
in soluzione 95 di temperatura e pressione 148
Espressione delle concentrazioni in termini L’equazione di stato dei gas perfetti 148
di molarità 95 Risoluzione dei problemi sulle leggi dei gas 150
Conversioni quantità-massa-numero 5.4 Ulteriori applicazioni dell’equazione
che implicano soluzioni 96 di stato dei gas perfetti 153
Preparazione e diluizione di soluzioni molari 97 Densità di un gas 153
Stechiometria delle reazioni chimiche in soluzione 99 Massa molare di un gas 155
La pressione parziale di un gas in una miscela di gas 156
CAPITOLO 4 Equazione di stato dei gas perfetti e stechiometria
Le principali classi di reazioni delle reazioni 159
CAPITOLO 13 CAPITOLO 14
Le proprietà delle miscele: Andamenti periodici negli
soluzioni e colloidi 403 elementi dei gruppi principali:
13.1 Tipi di soluzioni: forze intermolecolari legami, strutture e reattività 458
e previsione della solubilità 404 14.1 L’idrogeno, l’atomo più semplice 458
Forze intermolecolari nelle soluzioni 404 Dove si colloca l’idrogeno nella tavola periodica? 459
Soluzioni liquide e ruolo della polarità molecolare 405 Punti salienti della chimica dell’idrogeno 459
Soluzioni gassose e soluzioni solide 409 14.2 Tendenze attraverso la tavola periodica:
13.2 Forze intermolecolari e macromolecole gli elementi del periodo 2 460
biologiche 409 14.3 Gruppo 1A(1): I metalli alcalini 461
Le strutture delle proteine 410 Perché i metalli alcalini sono teneri, bassofondenti
La doppia polarità di saponi, membrane e e leggeri? 461
antibiotici 412 Perché i metalli alcalini sono così reattivi? 461
La struttura del DNA 414
Ritratto di famiglia Gruppo 1A(1) :
13.3 Variazioni di energia nel processo I metalli alcalini 464
di dissoluzione 415 Il comportamento anomalo del litio 466
Calori di soluzione e cicli di dissoluzione 415
14.4 Gruppo 2A(2): I metalli alcalino-terrosi 467
Calori di idratazione: solidi ionici in acqua 416
Un confronto tra le proprietà fisiche dei metalli
Il processo di dissoluzione e la variazione
alcalino-terrosi e quelle dei metalli alcalini 467
di Entropia 418
Un confronto tra le proprietà chimiche dei metalli
13.4 La solubilità come processo alcalino-terrosi e quelle dei metalli alcalini 467
di equilibrio 419 Ritratto di famiglia Gruppo 2A(2) :
Effetto della temperatura sulla solubilità 420 I metalli alcalino-terrosi 468
Effetto della pressione sulla solubilità 422
Il comportamento anomalo del berillio 470
13.5 Espressioni quantitative Relazioni diagonali: litio e magnesio 470
della concentrazione 423 Guardando indietro e avanti: i gruppi 1A(1), 2A(2)
Molarità e molalità 423 e 3A(13) 471
Parti di soluto per parti di soluzione 424 14.5 Gruppo 3A(13): La famiglia del boro 471
Conversione delle unità di concentrazione 427
Ritratto di famiglia Gruppo 3A(13) :
13.6 Proprietà colligative delle soluzioni 428 La famiglia del boro 472
Proprietà colligative delle soluzioni di non elettroliti
non volatili 428 In che modo gli elementi di transizione influenzano
Impiego delle proprietà colligative per determinare le proprietà del Gruppo 3A(13)? 474
la massa molare del soluto 434 Quali nuove caratteristiche compaiono nelle proprietà
Proprietà colligative delle soluzioni di non elettroliti chimiche del Gruppo 3A(13)? 475
volatili 436 Punti salienti della chimica del boro 476
Proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti 437 Relazioni diagonali: berillio e alluminio 478
14.6 Gruppo 4A(14): La famiglia
PROPRIETÀ COLLIGATIVE NELL’INDUSTRIA
del carbonio 478
E IN BIOLOGIA 438 In che modo il legame in un elemento influenza
13.7 Struttura e proprietà dei colloidi 440 le proprietà fisiche? 478
CHIMICA NELL’INGEGNERIA SANITARIA 444 Ritratto di famiglia Gruppo 4A(14) :
La famiglia del carbonio 480
Come cambia il tipo di legame nei composti
UNO SGUARDO D’INSIEME degli elementi del Gruppo 4A(14)? 482
ALLE PROPRIETÀ Punti salienti della chimica del carbonio 482
DEGLI ELEMENTI Punti salienti della chimica del silicio 484
Le principali proprietà atomiche 448 Relazioni diagonali: boro e silicio 485
Guardando indietro e avanti: i Gruppi 3A(13), 4A(14)
Le caratteristiche del legame chimico 450
e 5A(15) 485
Comportamento metallico 452
Il comportamento acido-base degli ossidi MINERALI SILICATICI E POLIMERI SILICONICI 486
degli elementi 453 14.7 Gruppo 5A(15): La famiglia dell’azoto 488
Comportamento redox degli elementi 454 Che cosa spiega l’ampio spettro di comportamento fisico
Stati fisici e cambiamenti di fase 456 nel Gruppo 5A(15)? 488
17.6 Condizioni di reazione e stato di equilibrio: 18.8 Generalizzazione del concetto di Brønsted-
principio di Le Châtelier 582 Lowry: l’effetto di livellamento 629
L’effetto di una variazione della concentrazione 583
L’effetto di una variazione della pressione 18.9 Donazione di coppie di elettroni e definizione
(del volume) 586 di acidi e basi secondo Lewis 630
L’effetto di una variazione della temperatura 588 Molecole come acidi di Lewis 631
L’assenza di effetto di un catalizzatore 589 Cationi metallici come acidi di Lewis 632
Uno sguardo d’insieme alle definizioni
CHIMICA NELLA PRODUZIONE di acidi e basi 633
INDUSTRIALE 591
CHIMICA NELLE SCIENZE BIOLOCIHE 593
CAPITOLO 19
CAPITOLO 18 Equilibri ionici in soluzione
Equilibri acido-base 595 acquosa 635
18.1 Acidi e basi in acqua 596 19.1 Equilibri dei sistemi tampone acido-base 635
Rilascio di protone o di ione idrossido e definizione Come funziona un tampone: l’effetto ione a comune 636
classica di acidi e basi 597 L’equazione di Henderson-Hasselbalch 640
Variazione della forza degli acidi: la costante Potere tamponante e campo di tamponamento 641
di dissociazione acida (Ka) 597 Preparazione di un tampone 642
Classificazione delle forze relative degli acidi
e delle basi 600 19.2 Curve di titolazione acido-base 644
Monitorare il pH con indicatori acido-base 644
18.2 Autoionizzazione dell’acqua
Curve di titolazione acido forte-base forte 645
e scala del pH 601
Curve di titolazione acido debole-base forte 647
Il carattere di equilibrio dell’autoionizzazione:
Curve di titolazione base debole-acido forte 650
il prodotto ionico dell’acqua (Kw) 602
Curve di titolazione per acidi poliprotici 651
Espressione della concentrazione dello ione idronio:
Amminoacidi come acidi poliprotici biologici 652
la scala del pH 603
18.3 Trasferimento protonico e definizione 19.3 Equilibri di composti ionici poco solubili 653
di acidi e basi secondo Brønsted-Lowry 606 L’espressione del prodotto ionico (Qps) e la costante
La coppia coniugata acido-base 607 prodotto di solubilità (Kps) 653
Forza relativa di acidi e basi e direzione netta Calcoli riguardanti la costante prodotto di solubilità 655
di reazione 608 L’effetto di uno ione a comune sulla solubilità 658
L’effetto del pH sulla solubilità 659
18.4 Risoluzione di problemi che implicano
Predire la formazione di un precipitato: Qps e Kps 660
equilibri coinvolgenti acidi deboli 610
Determinazione di Ka date le concentrazioni 611 19.4 Equilibri degli ioni complessi 661
Determinazione delle concentrazioni data Ka 612 Formazione degli ioni complessi 661
L’effetto della concentrazione sull’entità Ioni complessi e solubilità 664
della dissociazione di un acido 614 Ioni complessi di idrossidi anfoteri 664
Il comportamento degli acidi poliprotici 614 CHIMICA IN GEOLOGIA 667
18.5 Le basi deboli e la loro relazione CHIMICA NELLE SCIENZE AMBIENTALI 668
con gli acidi deboli 617
Molecole come basi deboli: ammoniaca e ammine 617
Anioni di acidi deboli come basi deboli 620 CAPITOLO 20
La relazione tra Ka e Kb di una coppia coniugata Termodinamica: entropia, energia
acido-base 621
libera e direzione delle reazioni
18.6 Proprietà molecolari e forza di un acido 622
Tendenze della forza acida degli idruri
chimiche 673
non metallici 622 20.1 La seconda legge della termodinamica:
Tendenze della forza acida negli ossiacidi 623 prevedere una trasformazione
Acidità degli ioni metallici idrati 624 spontanea 674
18.7 Proprietà acido-base delle soluzioni Limitazioni della prima legge della termodinamica 674
saline 625 Il segno di ΔH non permette di prevedere
Sali che producono soluzioni neutre 625 una trasformazione spontanea 675
Sali che producono soluzioni acide 626 Libertà di moto delle particelle e dispersione
Sali che producono soluzioni basiche 626 della loro energia 676
Sali di cationi debolmente acidi e di anioni Entropia e numero di microstati 677
debolmente basici 628 Entropia e seconda legge della termodinamica 680
Entropie molari standard e terza legge Protezione del ferro dalla corrosione 741
della termodinamica 681
21.7 Celle elettrolitiche: utilizzare energia
Previsione dei valori relativi di S0 di un sistema 681
elettrica per far avvenire una reazione
20.2 Calcolo della variazione di entropia non spontanea 742
di una reazione 685 Costruzione e funzionamento di una cella
Variazioni di entropia nel sistema: l’entropia standard elettrolitica 742
di una reazione ΔS°r) 685 Predizione dei prodotti di elettrolisi 744
Variazioni di entropia dell’ambiente: l’altra parte La stechiometria dell’elettrolisi: relazione tra quantità
del totale 687 di carica e prodotto 748
La variazione di entropia e lo stato di equilibrio 688 CHIMICA E SCIENZE BIOLOGICHE 751
Reazioni spontanee esotermiche ed endotermiche:
un riepilogo 689
CAPITOLO 22
CHIMICA IN BIOLOGIA 690
Gli elementi in natura
20.3 Entropia, energia libera e lavoro 691
Variazione di energia libera e spontaneità e nell’industria 753
di una reazione 691 22.1 Gli elementi in natura 753
Calcolare le variazioni di energia libera standard 692 La struttura della Terra e l’abbondanza naturale
ΔG e lavoro che un sistema può compiere 694 degli elementi 753
L’effetto della temperatura sulla spontaneità Fonti degli elementi 757
di una reazione 696
22.2 I cicli degli elementi nell’ambiente 758
Accoppiamento di reazioni per favorire
Il ciclo del carbonio 759
una trasformazione non spontanea 699
Il ciclo dell’azoto 760
20.4 Energia libera, equilibrio e direzione Il ciclo del fosforo 762
di una reazione 699
22.3 Metallurgia: estrarre un metallo
CHIMICA E SCIENZE BIOLOGICHE 704
dal suo minerale 765
Pretrattare il minerale 765
CAPITOLO 21 Convertire il minerale nell’elemento 766
Elettrochimica: variazioni chimiche Raffinazione e formazione di leghe 769
Mg2 2
O
Mg Mg energia elettrica O2
Mg2
O2
energia elettrica
2Mg(s) O2(g) 2MgO(s)
quale1. èScrivere
presentata unadirisoluzione
la sequenza concisa
equazioni bilanciate.
alla 2.fineAggiustare
del capitolo.
aritmeticamente le equazioni per elidere la sostanza comune.
3. Sommare le equazioni aggiustate per ottenere l’equazione bilanciata comples-
siva.
Il Problema di verifica 3.9 illustra il metodo proseguendo il processo di estrazione
del rame iniziato nel Problema di verifica 3.8. Perciò, il trifluoruro di boro è apolare .
(c) Per COS. La forma molecolare è lineare. Con C e S aventi la stessa elettronegatività, il
Calcolo delle quantità di reagenti e di prodotti in una sequenza
legame C S è apolare, mentre il legame C O è piuttosto polare (Δχ = 1,0); quindi è
di reazioni presente un dipolo molecolare netto orientato verso l’atomo di O:
Sequenze di reazioni in più passaggi, note come vie metaboliche, sono comuni nei
sistemi biologici. Nella maggior parte delle cellule, l’energia chimica nel glucosio
La chimica nelle altre scienze Figura S13.2 Scambio ionico per la rimozione dei cationi dell’acqua
dura. Una colonna a scambio ionico installata in un impianto idrico-sanitario
Chimica nell’ingegneria sanitaria domestico. In una tipica resina a scambio ionico, i gruppi carichi di segno
negativo si legano covalentemente alle sferette di resina; le cariche negative
sono neutralizzate da ioni Na+. Gli ioni dell’acqua dura, come Ca2+, si scam-
biano con gli ioni Na+, che vengono asportati nell’acqua corrente.
Soluzioni e colloidi nella depurazione delle acque l’osmosi, l’acqua migra da una soluzione diluita a una
L’acqua “pulita” è una risorsa preziosa e limitata che ab- di dimensioni tra 0,1 e 10 μm. Questa tappa è molto efficace soluzione concentrata attraverso una membrana semiper-
biamo cominciato a tesaurizzare soltanto di recente, dopo nel rimuovere alcuni microrganismi resistenti ai disinfettanti. meabile. La conseguente differenza tra i volumi dell’acqua
decenni di inquinamento e sprechi. A causa della tendenza 5. Sterilizzazione e disinfezione. Dopo che sono state rimosse crea una pressione osmotica. Nell’osmosi inversa, l’acqua
naturale dei sistemi a diventare disordinati, è necessario le particelle sospese e colloidali, l’acqua può ancora conten- effluisce dalla soluzione concentrata quando alla soluzio-
fornire energia per rimuovere le particelle disciolte, disper- nere microorganismi dannosi che vengono uccisi da uno dei ne viene applicata una pressione maggiore della pressione
se o sospese nell’acqua per renderla abbastanza “pulita” per seguenti agenti: osmotica, costringendo l’acqua a rifluire attraverso la mem-
essere idonea agli usi umani. • Il cloro, sotto forma di candeggina acquosa (ClO−) o Cl2, è brana abbandonando gli ioni: in un certo senso, si tratta di
La maggior parte dell’acqua destinata agli usi umani l’agente più comune anche se può formare composti organi- una filtrazione degli ioni a livello molecolare.
proviene da laghi, fiumi e serbatoi che possono servire an- ci clorurati tossici. Questi possono infatti essere rimossi per Nei sistemi domestici di depurazione dell’acqua, l’osmo-
adsorbimento su carbone di legna attivato. si inversa è utilizzata per rimuovere ioni tossici, quali gli
che da discarica finale dopo che l’acqua è stata utilizzata.
• La luce UV emessa da lampade fluorescenti ad alta intensità ioni dei metalli pesanti Pb2+, Cd2+ e Hg2+, presenti a concen-
Molti ioni minerali, quali NO3− e Fe3+, possono essere pre-
esercita l’azione disinfettante distruggendo il DNA dei mi- trazioni troppo basse per consentire la rimozione mediante
senti in concentrazioni elevate. E possono essere presenti croorganismi.
anche composti organici disciolti, alcuni dei quali tossici. scambio ionico. Su scala molto maggiore, l’osmosi inversa è
• L’ozono (O3) agisce come disinfettante grazie alle sue pro-
Particelle di argilla fini e un intero spettro di microrgani- utilizzata negli impianti di desalinizzazione, che rimuovo-
prietà ossidanti.
smi sono dispersi in forma colloidale. Può essere presente no grandi quantità di ioni dall’acqua di mare (Figura S13.3).
in sospensione ogni sorta di particelle e detriti più grandi. Queste tappe attraverso l’impianto di trattamento eliminano Gli impianti a osmosi inversa trovano crescente impiego nel-
i detriti e le sabbie, le argille colloidali, i microrganismi e le regioni aride, per esempio in Medio Oriente. L’acqua di
Impianti di trattamento dell’acqua molta della materia organica ossidabile, ma gli ioni disciolti caldaie e nelle condutture dell’acqua calda i quali interferisco- mare viene pompata sotto alta pressione in tubi contenenti
permangono nell’acqua. Molti di essi possono essere rimossi no con il trasporto del calore e danneggiano le condutture: milioni di fibre cave di membrana semipermeabile, ciascuna
I trattamenti delle acque richiedono una serie di tappe suc-
cessive (Figura S13.1). mediante addolcimento dell’acqua e osmosi inversa. '
Ca 2+ ( aq ) + 2HCO3 ( aq ) o CaCO3 ( s ) + CO 2 ( g ) + H2O( l ) dello spessore di un capello umano. Le molecole d’acqua,
1. Grigliatura e sedimentazione. Le particelle più grandi ven- Addolcimento dell’acqua mediante scambio ionico Questi problemi sono risolti dalla rimozione degli ioni ma non gli ioni, attraversano le membrane ed entrano nelle
gono rimosse fisicamente mediante griglie nel sito di entrata L’acqua che contiene grandi quantità di cationi bivalenti, dell’acqua dura, un processo detto addolcimento dell’ac- fibre per essere raccolte. L’acqua di mare contenente circa
mentre la sedimentazione permette la rimozione di sabbia. quali Ca2+, Mg2+ e Fe2+, è detta acqua dura. Questi ca- qua. Un tipico sistema a scambio ionico domestico contie- 40 000 ppm di solidi disciolti totali può essere depurata a
2. Coagulazione. In questa tappa e nelle due successive ven- tioni causano parecchi problemi. Durante il lavaggio della ne una resina a scambio ionico, un polimero insolubile che una concentrazione di circa 400 ppm (idonea per gli usi po-
gono rimosse le particelle colloidali. Le loro cariche negative biancheria, si combinano con gli anioni degli acidi grassi ha gruppi anionici legati covalentemente, quali SO3− o tabili) in un unico passaggio attraverso questo sistema.
superficiali vengono neutralizzate da ioni Al 3+ e Fe3+ aggiunti COO−, a cui sono legati ioni Na+ per bilanciare le cariche
nei saponi per produrre depositi insolubili sulla biancheria, Trattamento delle acque dopo l’utilizzazione
sotto forma di Al2(SO4)3 e FeCl3: le forze intermolecolari che su parti della lavatrice e negli scarichi: (Figura S13.2). I cationi bivalenti presenti nell’acqua dura
si generano causano la coagulazione delle particelle colloidali. Le acque utilizzate sono dette acque reflue e devono essere
sono attratti verso i gruppi anionici della resina e sostituisco-
3. Flocculazione e sedimentazione. L’aggiunta di agenti floccu- Ca 2+ ( aq ) + 2C17H35 COONa( aq ) o sottoposte a trattamento prima di essere immesse nuovamen-
sapone no gli ioni Na+ trasferendoli nell’acqua: viene scambiato un
lanti vasche di sedimentazione porta alla formazione di una te nelle acque sotterranee, nei fiumi o nei laghi. Il trattamen-
tipo di ione con un altro. La resina viene sostituita quando
massa gelatinosa, soffice a cui si aggiungono polimeri cationici (C17H35COO)2 Ca( s ) + 2Na+ ( aq ) to delle acque reflue è particolarmente importante per le ac-
tutti i suoi siti sono occupati, oppure può essere “rigenerata”
che formano lunghe catene che uniscono le particelle del gel deposito que di rifiuto industriali, che possono contenere componenti
Quando nell’acqua è presente una grande quantità di bicar- mediante trattamento con una soluzione molto concentrata
che fluisce in altre vasche dove sedimenta. tossici. Nel trattamento primario le acque vengono sottoposte
bonato (HCO3−), i cationi dell’acqua dura causano un’accumu- di Na+, che scambia ioni Na+ con ioni Ca2+ legati.
4. Filtrazione. Tra i vari filtri che possono essere utilizzati, è alle stesse tappe di trattamento a cui vengono sottoposte le
molti più comuni sono letti di sabbia o membrane con pori lazione di incrostazioni, depositi insolubili di carbonati nelle Osmosi inversa
Scheda di approfondimento acque che entrano nel sistema. La maggior parte delle cit-
Figura S13.1
Bellezza molecolare: forme strane con funzioni utili
Le tappe di purificazione in un tipico impianto di tratta- serbatoio
di accumulazione
Strumenti di laboratorio
Un altro modo di rimuovere gli ioni e le altre sostanze disciol- tà provvede oggi anche al trattamento secondario delle ac-
te nell’acqua è quello di utilizzare l’osmosi inversa. Nel- que reflue. In questo stadio, batteri appropriati degradano
mento dell’acqua destinata all’approvvigionamento idrico di una città.
Prima che l’acqua venga distribuita agli utenti, (1) l’acqua viene filtrata per Spettrometria di massa biologicamente i composti organici e alcuni microrganismi
ancora presenti in soluzione o nelle sostanze solide uscenti
rimuovere i detriti macroscopici, (2) le particelle più fini vengono catturate dalle vasche di sedimentazione. In certi casi, il trattamento
I chimici
in un gel di vedono unail gel
Al(OH)3, (3) strana bellezza
viene nella complicata
filtrato attraverso un letto digeometria
sabbia, dei più piccoli oggetti La spettrometria di massa, la tecnica più potente Un elettronesecondario
ad alta può essere
1 20
Ne integrato con il trattamento terziario
(4) il filtrato
esistenti in viene aerato
natura. per ossidare
La semplicità i composti
degli organiciscompare
atomi sferici e (5) l’acqua vieneessi si combinano per
quando per misurare la massa e l’abbondanza delle parti- energia urta un 20
disinfettata con cloro. 5 sterilizzazione in un processo
atomo di neon 10e adeguato allo specifico inquinante coinvolto.
Ne con carica 1
formare pentagoni, eliche e innumerevoli altre forme. Inoltre, molte molecole oltre a esseree disinfezione celle elettricamente cariche, nacque dagli studi Per esempio, gli ioni dei metalli pesanti9epossono essere elimi-
nel campione
“belle” hanno impieghi pratici meravigliosi.
2 coagulazione 3 Flocculazione/ aggiunta di cloro sulla deviazione, mediante campi elettrici e ma- gassoso nati cone una tappa di precipitazione prima del trattamento
2 4 3
Al (SO ) sedimentazione agli utenti gnetici, delle particelle cariche costituenti i rag- sorgente di primario e di quello
e additivi 10psecondario. Esistono trattamenti10p terziari
Cl2 gi catodici. Per esempio, quando un elettrone ad elettroni ad anchee
per i fosfati, 10n 0
i nitrati e le sostanze organiche 10n0 tossiche.
Fullereni Il buckminsterfullerene [informalmente polimerici bucky ball, in omag- Nanotubi Questi alta energia urta un atomo di neon-20, determina alta energia e
gio all’architetto R. valvola
Buckminster Fuller, che aveva progettato strutture più giovani cugini l’emissione di uno degli elettroni dell’atomo che, Figura S13.3 Osmosi inversa
di forma simile (cupole geodetiche a moduli pentagonali o esagonali)] dei fullereni sono di conseguenza, diventa una particella (uno ione) 2 L’urto determina per la rimozione di ioni.
m/e 19.992435
è1 un
filtrazione e grigliatura
icosaedro tronco
dei materiali grossolani di atomi di C, un “pallone da calcio” molecolare costituiti da cilindri con una carica positiva, Ne+ (Figura S2.1). Perciò, il l’emissione di un A. Ciascun permeatore contiene
elettrone dall’atomo 3 Viene prodotta una particella di neon carica
con 60 vertici e 32 facce (12 pentagoni e 20 esagoni). Questa struttura estremamente sottili suo rapporto massa/carica (m/e) è numericamente positivamente unchefascio
ha 10pdi fibrecave sottili
e 10n nel nucleo,
tazione di neon
C60, scoperta nella dimen
fuliggine
di se nel 1985 e lunghi, simili alla ma soltanto 9edi membrana semipermeabile.
sc he uguale alla massa divisa per 1+. La misurazione
va
e preparata in grande quantità nel 4 Filtrazione
grafite, con estremità dei rapporti m/e permette di determinare le masse Figura S2.1+ Formazione di una particella pata
B.
di L’acqua
neon (Ne) di mare
caricaviene pom-
positi-
1990, rappresenta una terza di fullerene. Sono attraverso il permeatore ad
di differenti isotopi di un elemento e quindi di vamente (Ne ). alta pressione. La maggior parte
forma di carbonio cristallino (le
entrata dell'acqua spesso “annidati” identificarli. magnetico, le particelle incidonodegli su unionirivelatore, che quindi
viene rimossa, re-
altre due sono la grafite e il l’uno dentro l’altro La Figura S2.2, parti A-C, mostra lo schema di un tipo gistra le loro posizioni e abbondanze relative.
nelle fibre entraPer misura-
acqua molto più
diamante). È il progenitore (come nella fotogra- di spettrometro di massa e i dati che fornisce. Il campione zioni molto accurate, come la determinazione pura, che viene delle masse
raccolta.
di una nuova famiglia di fia). Nonostante il viene introdotto nell’apparecchio e vaporizzato (se liqui- e delle abbondanze isotopiche, lo strumento viene tarato
strutture dette fullereni e ha loro spessore sia di do o solido), poi viene bombardato con elettroni ad alta con una sostanza di quantità e massa note.
generato un nuovo campo qualche nanometro, energia per formare particelle cariche positivamente. Que- La spettrometria di massa è impiegata anche in chimica
di sintesi. Inserendo atomi, queste strutture ste vengono attratte verso una serie di placche cariche strutturale e in scienza delle separazioni per misurare la mas-
come il potassio, all’inter- hanno un’alta conduttività lungo la dimensione negativamente e recanti fenditure che alcune particelle sa pressoché di qualsiasi atomo, molecola, o frammento di
no del “pallone” e legando maggiore e sono circa 40 volte più resistenti attraversano entrando in un tubo evacuato esposto a un molecola. Tra le sue molte applicazioni, la spettrometria di
innumerevoli tipi di gruppi dell’acciaio! Abbondano progetti avveniristici di campo magnetico. Mentre attraversano questa regione, le massa è impiegata in biochimica per determinare la struttura
chimici all’esterno, i ricerca- componenti elettronici su nanoscala fatti con loro traiettorie vengono deviate secondo il loro rapporto delle proteine (Figura S2.2, parte D), in scienza dei materiali
tori hanno scoperto una nuova nanotubi o di fili dello spessore di un atomo m/e: le particelle più “leggere” (con massa più piccola) per esaminare le superfici dei catalizzatori, in chimica foren-
gamma di possibili applicazioni, formati inserendo atomi metallici al loro interno. subiscono la deviazione più grande, quelle più “pesanti” se per analizzare i reperti investigativi, in chimica organica
comprendenti lubrificanti, supercondut- (Foto: © ustas7777/Shutterstock). (con massa più grande) subiscono la deviazione più pic- per la progettazione di nuovi farmaci e in chimica industria-
tori, combustibili per razzi, laser, batterie elettriche, film magnetici, cola. Alla fine della regione in cui è presente il campo le per studiare, per esempio, i componenti del petrolio.
farmaci antineoplastici e anti-AIDS: l’elenco si allunga ogni giorno!
(Foto: © molekuu_be/Shutterstock).
abbondanza delle
rivelatore
particelle Ne
Cubani Per piegare l’angolo tetraedrico normale del nella camera particelle più
80
carbonio a 90°, si deve fornire energia, che viene im- “pesanti”
nel campione
magazzinata nel legame. Per esempio, il ciclobutano, 60
un anello quadrato di atomi di C con due atomi di H 40
in ciascun vertice, è instabile a temperature superiori Sorgente
22
di elettroni Ne
a 500 K. Una grande quantità di energia viene imma- 20 21
Ne (9,2%)
(0,3%)
gazzinata nei legami del cubano, un cubo di atomi 5 Il campo magnetico separa
le particelle secondo il loro
di C con un atomo di H in ciascun vertice, sintetiz- rapporto massa/carica
20 21 22
C massa/carica
zato nel 1964. L’energia di tensione dei legami del A
cubano può generare un’enorme potenza esplosiva. 4 Il campo elettrico magnete
Il tetranitrocubano è un esplosivo molto potente, e accelera le particelle
cariche verso la regione
l’octanitrocubano, che è stato sintetizzato nel 2000, è dov’è presente
considerato il più potente esplosivo non nucleare che il campo magnetico
si conosca. Altre proprietà dei cubani, che, a quanto
pare, non sono correlate con l’energia di legame, com- Figure S2.2 Lo spettrometro di massa e i suoi dati. A Le particelle cariche ven-
prendono la capacità di attaccare le cellule cancero- gono separate sulla base dei valori dei loro rapporti m/e. In questo caso il campione è
gene e di inattivare gli enzimi coinvolti nel morbo di costituito da neon (Ne) gassoso. B I dati indicano l’abbondanza di ciascuna particella.
Parkinson. (Foto: © 3divan/Shutterstock). I tre picchi rappresentano tre isotopi del Ne. C Abbondanza percentuale di ciascuna
particella. D Lo spettro di massa di una molecola proteica. Ciascun picco rappresenta
un frammento della molecola. (© James King-Holmes Oxford Centre for Molecular D
Sciences/Science Source).
Problemi
Sono stati introdotti nuovi problemi, molti di livello avanzato, con applicazioni legate a biologia, chimica organica,
ingegneria e scienze ambientali. Sono stati inclusi anche numerosi problemi a livello di scenari molecolari.
Non esiste un team più professionale, talentuso e capace di supportarci di quello di McGraw-Hill: Managing Direc-
tor Thomas Timp, Director of Chemistry David Spurgeon, Ph. D., Associate Director of Digital Content Robin Reed,
Program Manager Lora Neyens, Content Project Manager Laura Bies, Designer David Hash, Marketing Manager
Matthew Garcia, e Director of Digital Content Shirley Hino. È un piacere lavorare con loro, la loro guida, la compe-
tenza e l’incoraggiamento costante sono stati di grande importanza per trasformare questa ottava edizione in realtà.
Mara Vorachek-Warren del St. Charles Community College ha effettuato un controllo estremamente accurato
di tutti i nuovi Problemi presenti nel progetto, comprese le Soluzioni agli esercizi.
I contenuti presenti in Smartbook, orientati a fornire strumenti di apprendimento agli studenti, sono stati sti-
lati e revisionati con l’aiuto di Margaret Ruth Leslie della Kent State University e da Adam I. Keller del Columbus
State Community College.
Molti esperti freelance hanno altresì contribuito al lavoro. Jane Hoover ha svolto come sempre in modo eccel-
lente l’editing del testo, mentre Lauren Timmer e Louis Poncz hanno compiuto un meticoloso lavoro di redazione.
E un ringraziamento particolare va a Jerry Marshall che ha pazientemente svolto la ricerca iconografica delle im-
magini nuove.
Quando ho esaminato la prima edizione del testo di Martin Silberberg, qualche hanno fa, mi sono resa conto che,
nel pur ampio panorama dei testi di Chimica Generale esistenti, questo rappresentava un importante contributo
alla didattica della chimica a livello universitario. Il successo che il testo ha avuto ha confermato questa impressione
e ci ha spinto a lavorare per una quarta edizione aggiornata.
La maggior parte degli studenti che affrontano lo studio della chimica di base ha interessi diversi: biologia,
scienza dei materiali, ingegneria, medicina e molto altro ancora. In un mondo in cui l’interdisciplinarietà è ormai
diventata indispensabile requisito per il progresso della scienza e della tecnica moderne, i fondamenti e le principali
applicazioni della chimica sono però conoscenze irrinunciabili.
Nella parte iniziale del testo, vengono proposti e sviluppati i concetti fondamentali della chimica a partire dalle
nozioni più elementari, cosicché non è necessaria una preparazione specifica acquisita a livello di scuola superiore;
anche gli studenti che non hanno mai studiato chimica nella loro carriera scolastica possono acquisire con facilità
familiarità con gli aspetti di base di questa affascinante scienza sperimentale.
Gli argomenti sono trattati in modo chiaro ed esauriente, con una logica molto efficace che permette di identi-
ficare chiaramente i passaggi da seguire nel risolvere problemi non solo strettamente di natura stechiometrica, ma
anche di carattere teorico, spesso contestualizzati in applicazioni reali. Benché rigorosa, la trattazione è condotta
in modo tale da non richiedere alcuna conoscenza specifica di matematica al di là dell’algebra elementare. Inoltre,
i numerosi esempi tratti dalla vita quotidiana rendono più assimilabili e interessanti i concetti trattati.
L’organizzazione del testo è induttiva: si passa dallo studio delle trasformazioni osservabili alla comprensione
delle loro cause non osservabili. Si può così evitare di fornire all’inizio del corso una serie di nozioni che lo studen-
te, ancora privo di sufficienti basi fisico-matematiche, riesce difficilmente a padroneggiare e che possono, pertanto,
apparire dogmatiche. Tuttavia, la relazione tra gli aspetti fenomenologici della chimica e i processi che avvengono
a livello atomico e molecolare è ampiamente sottolineata in tutto il testo, fornendo una chiave di lettura moderna
della chimica come scienza. La suddivisione dei diversi argomenti è strutturata in modo tale da permettere al do-
cente di seguire percorsi logici alternativi, spesso utilizzati nelle università italiane, in cui, talvolta, la trattazione
del legame chimico viene effettuata prima della descrizione delle classiche leggi di combinazione.
La scelta degli argomenti trattati nell’edizione italiana del testo si è basata sull’analisi dei programmi di nume-
rosi corsi di chimica tenuti nel primo anno delle lauree triennali di diversi corsi di laurea delle università italiane.
Questa quarta edizione italiana è stata ampiamente modificata non solo sulla base della mia esperienza didatti-
ca, ma soprattutto di quella dei Colleghi che hanno scelto di utilizzare questo testo. In previsione di un suo utilizzo
nelle lauree triennali in cui sia presente un solo corso di chimica, si è scelto di eliminare dalla versione cartacea
la trattazione della chimica organica e delle reazioni nucleari (e relative applicazioni), ora disponibili sul sito web
dedicato al libro. Benché non previsti in molti corsi di primo anno, tali argomenti, almeno negli aspetti di base, sono
certamente di interesse per tutti quegli studenti che intendono proseguire i loro studi rivolgendosi ad applicazioni
di carattere biomedico ed energetico.
In risposta all’interesse dimostrato dagli studenti per argomenti di tipo biologico e ambientale è stato scelto di
implementare gli approfondimenti di carattere biologico e di inserire un nuovo capitolo che tratta più diffusamente
quegli aspetti della chimica che influenzano il delicato equilibrio del nostro fragile pianeta assieme a esempi delle
più diffuse tecnologie di isolamento, produzione e uso degli elementi.
Lo sviluppo della “chimica verde”, ovvero di quell’insieme di metodologie chimiche innovative a ridotto im-
patto ambientale, trova spazio sia nel testo sia in numerosi esercizi, unitamente a un’approfondita discussione sulle
fonti di energia alternative e sui cambiamenti climatici globali. Per soddisfare il crescente interesse per lo sviluppo
di nuovi materiali il testo mantiene la trattazione riguardante i materiali polimerici e presenta alcune applicazioni
tra le più moderne dei materiali inorganici.
Un elemento di pregio del volume è rappresentato dalla grande attenzione rivolta alla visualizzazione dei concetti
attraverso grafici e figure. Tale aspetto è importante per il meccanismo di apprendimento delle nuove generazioni
di studenti, sviluppato attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche.
Il testo è stato inoltre diviso in due sezioni principali. Nella prima si trova la trattazione teorica dei diversi
argomenti con problemi di verifica che permettono allo studente una valutazione progressiva del proprio livello di
apprendimento. Nella seconda, costituita dall’Eserciziario, sono raccolti i riassunti dei paragrafi di testo, gli obiettivi
di apprendimento, le equazioni e le relazioni fondamentali, ovvero tutti quegli elementi indispensabili per affron-
tare la risoluzione degli esercizi.
In conclusione, oltre a fornire agli studenti un metodo che permetta loro di affrontare i problemi che possono
presentarsi in qualsiasi disciplina tecnico-scientifica, questo libro rappresenta, a mio avviso, un valido aiuto per chi
dovrà sostenere un unico esame di chimica e un ottimo punto di partenza per coloro che approfondiranno ulte-
riormente lo studio di questa scienza.
Silvia Licoccia
Professore Ordinario
di Fondamenti Chimici per le Tecnologie
Università di Roma “Tor Vergata”
RINGRAZIAMENTI DELL’EDITORE
L’Editore ringrazia i docenti che hanno partecipato alla review del testo e che, con le loro preziose indicazioni,
hanno contribuito alla realizzazione della quarta edizione di Chimica. La natura molecolare della materia e delle sue
trasformazioni:
Ivano Alessandri, Università degli Studi di Brescia
Andrea Balbo, Università degli Studi di Ferrara
Sonia Lucia Fiorilli, Politecnico di Torino
Dolores Fregona, Università degli Studi di Padova
Graziano Guella, Università degli Studi di Trento
Francesco Savorani, Politecnico di Torino
Sergio Tosoni, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Patricia G. Amateis ha conseguito il B.S. in Chemistry Education alla Concord University in West Virginia e il
Ph. D. in Analytical Chemistry alla Virginia Tech. Ha poi lavorato presso il Dipartimento di Chimica della Virginia
Tech per 31 anni, dedicandosi all’insegnamento della Chimica generale e della Chimica analitica. Negli ultimi 16
anni è stata Direttrice di Chimica generale, responsabile della supervisione sia dei Corsi sia dei laboratori del vasto
programma che afferisce a questa disciplina. Durante la sua carriera è stata docente di migliaia di studenti ed è stata
insignita dello University Sporn Award for Introductory Teaching, dell’Alumni Teaching Award e del William E.
Wine Award per la sua eccellenza nell’insegnamento universitario. Lei e il marito vivono a Blacksburg, Virginia, e
sono genitori di tre ragazzi adulti. Nel tempo libero le piace andare in bicicletta, fare trekking, partecipare occasio-
nalmente allo sprint triathlon e suonare nella banda di percussioni di Blacksburg.
Il curatore
Silvia Licoccia ha ricevuto la Laurea in Chimica Summa cum Laude dall’Università di Roma Sapienza. Ha trascorso
diversi estesi periodi di ricerca in Canada e negli Stati Uniti.
Dal 2001 è Professore Ordinario di Fondamenti Chimici delle Tecnologie presso l’Università degli Studi di
Roma “Tor Vergata”. È Delegato del Rettore per la Ricerca Scientifica di Ateneo, Presidente di AICIng (Associazione
Italiana di Chimica per l’Ingegneria), Direttore del Centro NAST (Nanoscienze, Nanotecnologie e Strumentazione
Avanzata a Tor Vergata), Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, Coordinatore del Dottorato
di Ricerca in “Materials for Health, Environment and Energy”.
La sua attività scientifica è sempre stata orientata verso lo sviluppo sostenibile attraverso la sintesi e caratteriz-
zazione di materiali nanostrutturati e compositi quali componenti in dispositivi ecosostenibili per la conversione
e l’accumulo di energia, per la sensoristica ambientale e per applicazioni biomedicali. Tale attività è testimoniata
da circa 300 pubblicazioni su riviste internazionali e numerose presentazioni a congressi nazionali e internazionali.
Nel 2011 le è stato attribuito l’American Ceramic Society ACerS Ross Coffin Purdy Award. Il premio viene con-
ferito agli autori che hanno prodotto il miglior contributo alla letteratura tecnica sui materiali ceramici nell’anno
precedente alla selezione. Nel 2018 le è stato conferito il Premio biennale AICIng per preclari meriti scientifici e
didattici.
Dal 1984 insegna Chimica nei Corsi di Laurea in Ingegneria dell’Università di Roma “Tor Vergata”.
10 relazio
ni qua S
ntità-mtechiometria
3
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dei com vedere formula a. Basta
possiamo simboli atomi ensionale
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element 8.3) immagin
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e gli atomi si ata , coperta rea ltà trid di legame boli di (Par agra • signifi agrafo 2.8) compo- quanta un chimico dei
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preso com La pagina sta e prodot sse dei suoi e essere utile
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re com la stupef , ciascuna cop zio rispetto • regola di legame, lunghe fico (Par di un modell zazione? questa mater polimeri che
Dopo ave per la chimi
ca. enticare n atomo lo spa e e • ordine me, energia di
legame • formula agrafo 1.3) o scienti- O suppo ia plastic sta te in elementi
facile dim , ciascu a posizione nel ze attrattiv i, motore a sarà pro preparando un una reazione. o pre
essenziale punti, rende ogni molecola le for
di lega e polarit
à colare empirica e form di un raz nete di essere dot a nuova Supponet -
pri cle fo 9.3) • leggi (Paragrafo 2.8) ula mo un ta da
di In ha la pro erminata dal tra i nu il (Paragra alenti polari le- miscela zo: che
quantità ingegnere chi una data rea materia plastic e
definite
di mas
coppie lecolare. ia (lone pair) det to legami
cov fo 9.4) chimiche sa nelle reaz combu
stib
ma mo sizione distanze estende in tut le • di legame (Paragra ioni ambienta ile? O im di gas mico zione
maginate di scarico sar che sta studia di polimeriz-
a:
della for pia solitar e coppie, po Con angoli e
(Paragra li
na cop che si pli ci, fo 2.2) inquinant che stanno à prodot no
e ciascu atomi e alle altr ta la materia. indipendente, ni sem esa di ess
ta da un la spinta del
i tut ura ola ri di reazio e del la vita immagin i atmosferici sar minando cam ere un memb tes
agli altr ern ano strutt i partic di sostentaz ion ate di ess à pio ro t di
che gov nuscola considerino antineop ere un rilasciata da qu ni di carbon di un’équipe di questa
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re biochi o campione fossile: che qu chimici
lec spazio. plessi pro cruciale. dotti me da una
una mo o volume di o i com fattore lecole
tabolic pia
i perme nta tropicale mico che quando antità di
col sintetici, lecolare è un delle mo
domand
tte : qual è ha est verrà bru
suo pic dei materiali le forme re di un com
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stoicheio e a una miriad rà di stabilire la sua for ratto una nu ciato? O
forma mo zione sul
proprietà e viventi: la ola
o l’atten formula molec uttura di Lew
is,
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n, “elem e una
ento”, e di altre simili dose sicura?
mula e
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la detta
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lecola, reazioni métron, “misu conosc
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O CAPIT
OL e con onale, ro la mo calcola- IN QU chimiche ra”), lo stechi
ere com ura bidimensi all’altro ent per ESTO CA studio
degli asp ometria (dal este
a qu
IN QUESTeremo a ved o Lewis eremo chimic .
inc di strutt o legati l’un strutture di esamin o: mette PITOLO svilupp etti quant greco
e com formula mi son Useremo le e. Poi pie chimic re itativi del
in una e gli ato legam tra cop he (atom in relazione erete alcune
posto a. rgie di ulsione le di ma la ma abi le
stra com ma complessiv i dalle ene ion, rep este formu ssa in i, mo
lecole ssa di lità
una sos essenziali per
che mo la for vandol Pai r Repuls mo qu classi
di equazi una formula o unità
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cal ori len ce-She a), con cui Ved remo le di in cui ess . ste abi
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sem mo una pol in tutta la comprensi quantitative linguaggio del
ura che e e con feriscono 3.1 LA MO
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concet
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strutt ntali re origin tà di legam a; quindi to di mo in esse.
fondame arsi per da ari LE partire le, di im-
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DELLE
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all’intera LE o chicch po. È più con ”) e scegliamo e le
NE E DI il metod cose contandol
NTAZION STRUTTUR tire la i ven
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i fagioli o più conven e o det
PPRESE CO molecola Lewis). Que- di conteg queste misur conveniente ien ermina
10.1 RADEGLI IONI
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ualizzazi
wi Lew
ra di Le da simboli di li tengono un
iti, svolgere
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te alla mi va). An ità di ma le matite che goli fagioli
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passo ver nella costitu ame che .* In mo Gli atomi zione. Per azione ent e, la vit di riso) . Per
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bidimens , le cop e quind le molecole o ò, quando si ten tanze per pre quotidiana in ità
sua formula di struttura gli atomi vicini cio esterno
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mu e gus segnazion o la si posso con formula ta di farlo, si inc are una soluzi oratorio
sta for atomo iono il da nell’as i non seguirem no
che e det contare unità
osc ere il nu sono ent ontra un one o fare
ciascun ie che riemp ) ci gui me ità
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itar rafo 9.1 lti altr i cas erminarne che son ro di entità che che reagiscon problema ovv
pie sol to (Parag is, ma in mo la massa o cos si o l’una io.
e le cop ola dell’ottet infor- Definizi (pesandol ì piccole? I chi mescolano tra con l’al
reg ura di Lew fornisce o one de e), hanno mi lor tra,
casi, la a strutt is perché li atomi son
lla mo ideato un ci, per contare o. Ma come
mi in un di Lew
formula e e mostra
qua ra” di La mole le le
agli ato mente “struttu a unità
di misur entità chimi-
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ion termine
corretta in uno
mata più moleco
la o , l’uso del te unità a detta mo
essere chia i in una ostante di quant le.
. Cionon fondam ità
Lewis può tiva degli atom imensionale entali del di sostanza
ttura di rela a trid nel Sis
* Una strusulla posizione indica la form . SI). È defi
i
mazion loro, ma non e che seguire
mo nita com tema Intern
e la qua azionale
legati trauna convenzion ntità di (è
Lewis è sostanza una
di un
264 trone in m
precedono. un elet uenza, Z eff au
Di co ns eg
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i princi
pali:
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rio
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Riassu ll’alto al stra re
au m enta da sin ist ra a de (o al diminui
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ggio io inuisce a posit
• il ra io ionico dim ; ta re de lla caric tio ni di
gg ni en nti ca
• il ra tioni agli anio uisce all’aum elettronica; r differe
dai ca min iso rica pe
nico di a serie della ca
il ra ggio io ga tiv a) in un l’aumentare
• rica ne minuisc
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ggio io nte
Tabella • il ra to elemento. decresce
il raggio
19.4 Equilib
ri ionici un da
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second
Ione co ti di fo in soluz l’or-
mplesso spieghi
rmaz ione (K ione ac
gli ioni nte, e si
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Ag(CN) − f ) di al decresce
Ordinam A 8.8
Kf cuni io raggio
2
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Ione co pl essi a IV ER ni se
EMA D ciascun insieme
Ag(NH + 3,0 × 10 20 25 °C di io i
3 )2 mplesso 663 iamo
Ag(S O 3− Fe(CN) 4− PROBL ni ordi
+ , Au
3+
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applich
2 3 )2 1,7 × 10 7 Kf ma Si − (c) Au la perio
Proble lla tavo
6
+ S2− , Cl ono
AlF63− Fe(CN) 3− to: (b) K , ento ne minuisc
4,7 × 10 13 3 × 10 35 dinamen 2+ , Mg2+ un elem 2A(2), di
6
2+ , Sr
io ne di ciasc al Gruppo
Al(OH) − Hg(CN) 2− (a) Ca siz tti
4 × 10 19 4,0 × 10 43
iam o la po sto. rte ng ono tu ande.
4 4
Tr ov te pa − è più gr
Piano presentati nel ap
2+
2+ , Ca e Sr di Cl ,
2+
Mg .
Ni(NH 2+ 2
Be(OH) 2− 3 × 10 33 9,3 × 10 38
3 )6 concetti é Mg Ca
2
minore K .
) Poich
4
endo Zeff
2
one (a Sr Cl
uppo: . S , av S2
2−
Risoluzi
CdI42− 4 × 10 18 Pb(OH) − 2,0 × 10 8 il gr ici ol o: 3+ .
ng o elettron pi cc
dezza lu 2− Cl− sono iso è il più + > Au
3
Co(OH) 2− Sn(OH) − per gran quindi ande: Au
1 × 10 6 8 × 10 13
ioni K
+, S , e
grande, 3+ , è più gr
un insie
-
4 3
(b) Gli Z più a di Au in ciasc
Cr(OH) − Zn(CN) 2− 3 × 10 25 e ha la eff di quell gli ioni
5 × 10 9 catione minore ordinino
4 4
K+ è un ric a 8 Si
TO 8.
una ca
Cu(NH 8,0 × 10 29 Zn(NH 4,2 × 10 19 + , avendo EN
2+
3 )4
2+
3 )4
(c) Au FOND IM
Zn(OH) 2− I APPRO 3+
EMA D
5,6 × 10 11 7,8 × 10 8 2+ , Cr
cente: (c) Cr
PROBLndo il raggio cres + , Mg2+ , F−
4
Calcolar 3 × 10 15
e la co me seco − F− (b) Na
ncentraz − , Br ,
PROBL ione di (a) Cl
EMA D uno ione
Proble I VERIF comples
ma Un ICA 19 so
(Kf = 7,8 chimico .10
soluzio × 10 8) miscela industriale tra
ne di NH ndo 50 sforma
Piano 3 0,15 M ,0 Zn(H
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volumi lla di re formaz
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numero le concentra azione per ca ione dello io [Xe] 6s
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ni. Cons e poi dividere ari iniziali de concen
tra
esso e
l’e Z = 8:
ossig i intern I < Ba
miamo id pe lle zio ni sp re ssi quindi elettron ) Xe <
ch prat erando il gran r il volume to due soluzioni all’equilibrio one di Kf e 8 elettr
oni, Po ha 78 < Se; (b
di [Zn(H e2+ icamen de ecce ta , . Co Cl < Br < Sr <
Ca
2 O)4 ] all te tutto sso di NHle ottenuto do perciò possiam nosciamo i ento ha 8.3 (a) I; (b) Ba 2 6 2 3p1
Risoluzi ’equilib Zn po o 8.1 L’elem < Sb <
one Sc rio è m (H2 O)42+ si sia 3 utilizzato e il mescolamen calcolare il 8.4 (a) Sn 2 2s 2p 3s
rivere l’e olto picc trasform il valore to inio: 1s 2+ ([Xe]) +
2e
olo, lo
indichiam ato in Zn(NH 2+ elevato delle due 1 l’a llu m
Ne)
quazione
di reaz di K , as +
0, m s = 2 8 8.5 Q è e] 6s )
2 o Ba
ico con
3 )4 . Po
Zn(H O) 2+
2 4 ( aq ) +
ione e
l’e
o con x. iché il f su-
valore 2, l = 1, m l = 2 3d
8. 6 (a) Ba ([X 2 4 ) + 2e o2 p6 ) (isoelettron
sp n= 4s
4NH ( aq ression
e di K : ttrone: 6 2 3d ; [A
8 r]
e] 2s 2
p 2 e] 2s 2
3 \\\
)[ \\Z
\ Zn(NH 2+ f Sesto ele 6 2 3p 4s
2 2s2 2p 3s (b) O ([H O ([H 10 ) 2e
Calcolar 3 )4 ( aq , 1s 2 ) o 2 4f 14 5d
Kf = [Zn(NH 2+ ) + 4H Per Ni 2 f 14 5d
10 6p e] 6s
Pb ([X
e le co 2
ncentra 3 )4 ] 2 O( l ) 8.2 (a) e] 6s 4 14 5d10 )
4e
zioni in
iziali de
[Zn(H O) 2+ (c) Pb ([X 4 ([Xe] 4f
i reagen 4 ][NH3 ] 4
2
10 6p )
2 o Pb
[Zn(H O) 2+ ti: 2 4f 14 5d
2 4 ]iniz = 50,0 L × 6 s ne tic o
Pb ([Xe]
2
0,0020 i. 6 5s2 ; [Kr] 5s 2 paramag
M i intern r] 3d ;
50,0 L + elettron 6 2 3p6 4s2 3d 4p
10 o
25,0 L = 1,3 ×10 3 V3+ : [A 8 agnetic agnetic
o)
Ni ha 18
2+
Scriver [NH3 ] 25,0 L × 2 2 2p 3s 8.7 (a) ; param o (diam+ Cr <
3+ Cr
M 2+ : [Ar] 3d
e una ta iniz = 0,15 M Sr, 1s 2s agnetic F− ; (c)
mato in be (b) Per (b) Ni n param Na <
Zn(NH 2+lla di reazione 50,0 L + 3+ : [Xe]; no Mg <
2+
= 5,0 ×10 2
25,0 L Br ; (b)
−
ogni m :
ole di Zn3 )4 e poniamo assumiamo ch M (c) La − < Cl <
−
(H2 O) 2+ x = [Zn( e pratica F
[NH3 ] 4 , perciò H 2 O)4 ]
2+ m ente tu 10 6p4 8.8 (a)
6 6s2 4f 5d
14
reagita
4 (1,3 × 3 la variazione all’equilibrio. tto Zn
Sono ne (H2 O)42+ si sia i. 6 5s2 4d 5p
10
10 M in
) = 5,2 ×10 3[NH3] è: i intern
Concen elettron 6 2 3p6 4s2 3d 4p
10
cessarie trasfor-
trazione M e 4 moli
di NH Sr ha 36 2 2s2 2p 3s
Valore in (M) Zn [Zn(H O) 2+ , 1s
(H2O) 2+ (c) Per Po
3
iziale 2 4 ] 1,3
Variazio 4 (aq) ×10 3
ne + 4NH M
1,3 × 10 −3 3 (aq)
Valore di ∼(−1,3 Zn(NH
5,0 × 10 −2 3 )4 (aq)
2+
equilibrio × 10 −3) + 4H O
∼(−5,2 2 (l)
Risoluzio x × 10 −3) 0
ne per ∼(+1,3 −
x, [Zn(H 2+ × 10 −3)
4,5 × 10 −2
2 O)4 ] rim −
anen 1,3 × 10 −3
Kf = [Zn(NH 2+ te all’equilib
) rio: −
[Zn(H O) 2+3 4 ]
2 4 ][NH 4 = 7,8 ×
3] 10 8 1,3 ×10 3
x = [Zn( x ( 4, 5 × 2 4
H2 O) 2+ 10 )
4 ] 4,1
× 10 −7
M
Figu segu esto tempo gge di Fa ume ques volta corr e il tem DI VERIFICA tale 3s, i
tre i
en po du 17.13 sei orbital
ra 21 per pr te è un tipo di pr . La sem raday spes te relazion elata con Problema In formino
untiv .26 Un la qu rantebrio
riass ti che modo un scolino e
ob
tria
dell’
o pe diag nend odurre 3, pico prob lemi pe ireazione so chiedo i. antità il della sostanza sottolineataumento di temperatura infl tali ibrid
i
elettr r la stec ramma o
una da una corr g di Cl
0 lema rc el no di uenza la conce 11.5 Gli orbi
pratic hé correl ettrodica di calcol (a) CaO(s) + H a e Kc per le reazio mi
olisi. hiom
e- en (g 2O(l) ni seguenti? ntrazione di equil
i- Figura e H2O. A. I diagramibri-
ta mas te di 2 ) per o di a la m fornis ar e co Ca(O H)2(aq) sp di NH3 caselle mostran
3 o
elettr ΔH r0 = −82 kJ
oni pe sa, perc 12 A? Il pr elettrolis elettrolis assa alla qu ce la ch rrente, CaCO3(s)
(b) ia . In NH3
CaO(s) + CO (g) orbitalic 3 e in CH4
te pe iò i i: iave sp , com orbitali sp è
3
rie ic
LEGEN
atom A(2): RIT om
Prop à at
DA
Nume
iche i me op ri et Si 761
Simbo
ro at
om ico e fis talli del Pr onica stati di Ge
lo iche alca e elettr di 708
Massa
at Prop
esse lino-t ns np
2
2
nfigu
razion2 Il numero verso
Valen omica rietà
nzia erro .
La co è ns2 np sce dall’a tre
lto Sn 715 2500
Gruppo 8A(18):
confi
gu
za e
elettr razione
La co
nfigu atom
iche li siDA
GEN
gruppo ione decre uppo, m eriore
en
1500
2000
(kJ/m
ol)
i gas nobili
on
gr
uppo raz ion
pleto). è ns 2 (so e elettron
LE az gr
ossid lungo il lo stato inf ta più
Pb
1000 azione
LEGENDA RITRATTO DI
Stati ica
ossid di GRUP di os Tutti i m livello
tto ica de mero
atom
ico
il ba sso
(+2) e.
div en 0
500
a di
prima
ionizz
dell’ossigeno
0
87,6 2 1 llizione Kr e Xe).
2 Elettr 72,6 2 zz
dure , sono do e all’inte
rn di ebo
la famiglia
ra
oneg 3 Si peratu 39,95
ati
4s 4p ) in C, = tem
ppo 6A(16):
5s 2 vità 2 ne
Prop 4 fusio i di legam valente Sn e Pb (T eb
3s 23p 6
FAMIGLIA Gru
(+2) riet +2 co
à fisi (+4, nei tip reticolo allico in (nessuno)
RITRATTO DI enziali
Il leg Be o: et
che solid legame m
e fisiche ess
56 ame
di va m 50 ,
lenza etallico
miche e Ge
Mg
. 36
Ba Proprietà ato Sn
cora . Ques impl testo)
ica 128
(vedi
Kr
re 1 105 7 a2500
molt lativamen ti metalli due e −
Ca 649 rso
o più lto ve
137,3 so
duri te teneri, no an- Sr 1494
118,7 dall’a a causa Proprietà fisic
839
cresce 83,80 he
6s 2
dei m m
etalli a sono
2
5srietà
Prop
2 5p atomiche nsità
po
grup denti
La de lungo il m
Ba 1381 La temperatura
2 en6
+2)
1A(1 768 4spr
(+2) 2,27 4p ento di fusione e la
). (+4, one il basso fattori, co (+2) am temperatura di
Ra 727 1850 LEGENDA La configurazi C va ri ll’i mpacc elementi gassos
ebollizione di
questi
88 1700 Numero atomic
o
82 elettronica del 2,34 di nze ne i sono
differe ino. te basse, ma aumen estremamen-
700
Be 2 4.
0 5,32
Simbolo gruppo è ns np 54
Ra 1,848 1000 Teb
Pb i
Si
cristall basso lungo il tano dall’alto al
(226 Nessu
Mg
1,738
(Teb
temper
atura
Tem
peratu 2000
ra (C)
Tf
Massa atomic
Valenza e
a
2
Come nei Grupp
207, 2 3A(13)
e 5A(15), Ge
7,26 1 1,34
Xe di dispersione
gruppo a causa
più intense. Si
di forze
) n ca Ca di ebo
llizione 3000
ne di ossi- gli intervalli di notino
7s 2 dispon mpione
1,55 ; Tf configurazio ) 2 6p
uno stato 131,3 temperatura estre-
GRUPPO 6A(16 rervato
temper 6s mamente piccol
(+2) ibile Sr atura elettronica +2) dazione inferioosse lta
Sn 12
5s 25p 6 i in cui gli eleme
(+4, vio: a più
di fusi
9 sono allo stato
2,63
La te
one)
Stati di Flero
divent a vo (+8, +6, liquido. nti
Ba
m ossidazione
(+4) la prim o Pb 6
mL)
3,62 tempe peratura comuni 114 comu r dall’alt
pe ne rant
du
e 3 tà (g/ +4, +2)
enti Densi
mente ratura di di fusione
Ra
Fl
basso 0
Foto eboll verso iles perimo. bna,
:© McG 5,5 di so diminui
lit izion e la lungo il gruppa Du
otti 98 86 Mass
sc e nel 19
raw- 0
il basso o aumen ono, e la general- ) cond a, co
Hill Ed
ucat
ion/
3
Densi 6
valor
i
lungo ta dall’a densità
il lto 8
(289 2
in Ru
Il raggio
7s 7p il raggio
2
ssi
atomi
ionico phot
ogra
ph er.
Rn spectral
peak
h,
Step tà (g/ degli sono molt gruppo. Quverso e n Frisc (222) La densità (in
O
9
he n Frisc mL)
elem o più ephe condizioni norma
esti aumentano
ion/St di temperatura
12 non li
h, ph è altre enti 1A(1 alti di qu ucat
6s 26p 6 e di
otog ttant ) e la dall’alto verso
Hill Ed
aumenta in modo pressione)
ra pher
. o rego tend elli 16,00 w-
lungo il (+2) regolare, come
lare. enza 2s2 2p
4 cGra
ilMbasso ci si attende.
: © grupp o, men-
(−1, −2) Foto 118 Oganesson: scopert
tre l’energia di in esperimenti o
34
Se
78,96
he
Proprietà fisic
4
ve reazioni rappresentative.
84
Po elementi allo
La densità degli progressivamen-
sta-
ta
(209) to solido aumen basso lungo il
il
te dall’alto verso
4
6s2 6p
(+4, +2) gruppo.
to
Livermorio: osservain
116 per la prima volta
Dubna,
esperimenti a
Lv Russia, in collabo
con scienziati
razione
statu-
ce
(293) nitensi del Lawrenal
Livermore Nation
4
7s2 7p 2000
Laboratory, nel grapher.
tion/Stephe n Frisch, photo
aw-Hill Educa
Foto: © McGr
244
Note a margine Propongono esempi
Cap
itolo
8
di applicazioni della materia nella
Nello
transi zinco, i so
zi
vita di tutti i giorni.
poi ri one term ttolivelli
em 4s e
nobile pito ne ina. Com 3d so
succes i sei el e è no
sivo. emen mostrat complet
ti succ o ne am
Princ essivi lla Tab ente pien
ipi g . Il Pe ella 8. i e la
enera riodo 4,
4 term il sottol
prim
Oltre
ai li delle ina co ivello 4p rie di
a se
minia 36 elem c o nfigu n il cr
m
lievo o le confi enti che ab razio ipton, viene
alcuni gu bi ni ele il gas
conc razioni el amo cons tt ronic
Confi etti es et id
senzia troniche erato es he
• A
tavo iuti mne
uno gurazion
de
gli el i temi ce elettro
i
li. degli isto
stati no altri 77
fondam
em n el em
ni elet enti in un ntrali de iche est
la pe mon entali en
a port
ata di riodica
ici pe
lla e per m ti noti. E
dica,
qu mano Se no r la (grup troniche es gruppo ha chimica rne sim ettere sa-
livelli esta disp una tavo n si ha il in ri-
che es i A) – gli terne sim nno prop e la chia i entro
p
osizio la
mem è in grad ne de perio- ve al
l’utilit un grup
elem ili (F ri
or o
to. El ia l’ordin di richiam i sotto- intest terne in enti igura età chim
az u n de l 8. 12). ic he à p o
en
indica cate i
e di
sottol riempim a
are all negli ioni
dei gr gruppo so blocco s Tra gl simili pe della tavo Ripeten
to ne el e del i rc la do
legget lla fi ivelli
come -
en intern ementi uppi
nella
no es
senz blocco elementi
hé ha
nno co periodica
e pa gu
rtendo ra sopr a (blo di
la di
re asta è cco f transizion Figura 8. ialmente p – le dei
confi gruppi p gurazio-
nfi :
Nota zione orie da 1s, se nte e ). e (gru 12 id
te ntata gu Ordin p pi B . Come ve entiche, gura rinc
• i va che: come zioni elet ipali
lori delle endo
frecc mente e di rie , bloc drem
talmen di n sono e. gl i elem m p iment co d) o, es istono è in dicato tr on i-
te; costan te, si e negl
• i va
lori di ti oriz ot ti en ti o de i el al cu da lle
pien gli orb
calm l sono zon- gend ene la riem emen ne va
o se ti di ri
• i va ente; costan si ot la tavola quenza ef do i livel itali Qua transi anti
lori ti ve ti da sini nd zione
costan combina
ti
rti-
Figura ene l’ord fe li
stra a ttiva degl e i sottol o “si co
ti diag in
onalm di n + l
ente. sono impa 8.13. L’or e energe destra, co i elemen ivelli in or struiscono
rare l’o ganizz tico m e si legg ti ne di ne ” pr
rdine az dei lla ta di en ogress
di riem ione della livelli e on vola er iv
Cate
g dei so o le righe periodic gia cresce a-
catego orie di e
pimen ta
lett to de vola period ttolivelli, di una pa a. Perciò n-
rie di gli or gina , leg-
1. E elettr roni Esa bitali ica è di com
certo e è mos ampata,
st
lettro oni. minan degli tr
do la elem il at
sono ni in tavola enti. modo m o nella
quelli terni (o period igliore
di
Rie nel ga elettr ica, si
2. E mpiono s on posson
lettro tutti nobile pr i di core). o dist
(valor ni este i livelli en ecedente Gli elettr inguer
e rn er oni in e tre
distan di n più i. Gli elet getici infe e in ogni te rn
3. E za alto tr rior seri i (o
lettro dal nucl ). Trascor oni estern i di un at e di tran elettron
ni d eo rono i omo. sizion i di
nella
fo i val . la mag sono quel e com core)
valenz rmazione enza. G gior pa li nel liv pletat
a.
li rte de ello en
ne de a sono gl dei compo elettroni l lo er
l i
anno legame in elettroni es sti. Negli
di va ro tempo getico più
verati le nz a sono al la mas alto
Num terven terni. elemen
e tr a gli el go N eg ti de qu el si m a
chie ro del g ettron no spesso li elemen i gruppi pr li che in
inform rup i di va an ti di inci terv
azioni po e nu lenza. che alcuni transizi pali, gli el engono
1. N essenz mero elettr one,
nella ettroni di
egli iali. del p oni d
al nu elementi eriod
o La intern formazio
pio,
mero dei gr tavola i, che so -
il clor degli elettr uppi prin period no
Pe o on cipa ica co
2. Il riodo 5, (Cl; Period i esterni (q li (Grupp ntiene
numer Grupp o 3, uelli i A ), parec-
do 2, o del pe o 6A) ne Gruppo con
il valo numero
il
il livello ri od o è il ha 6 7 A ) re del
n
3. Il = 5. con valore e così vi ha 7 elet di n più gruppo è
n= a. troni ugua
valore 2 ha di n del liv estern alto). Per le
energe di n elev l’ene
rgia ello energe i, il te es
llurio em-
di escl tico. Poic ato al quad più al ti
ta; ne co più al (Te;
us ione hé un ra to 2 l Peri to. C
lo en
ergeti ), 2n 2 dà orbitale no (n ) dà il nu odo
5, è
osì, ne
l
co. Pe il
r esem numero
n può mero il liv Perio-
co to ello
pio, ne massim ntenere tale di or con
l caso o di più bita
del liv elettroni di due el li in quel
ello co (o di ettr livel
n n = elemen oni (princ lo
3, il nu ti) in qu ipio
mero el
di or livel-
bitali
è
Scheda
ento biologia appr di
ali silic ofondimento
Miner
ofondimll’industria e in
di appr tinenza atici e
Scheda colligative ne
molta per vita nei
hanno
otica – o più sicura la in tutta polimer
tà ne osm i silicon
Proprie
don ssioni zio
e la pre pico ren applica
scopico samento criosco otica trova sono senza dub
bio
ici
ento crio bas ne osm ortanti
l’abbassam comuni dell’abnica. La pressio ili più imp
mente ni eab I silicat
– special une applicazio dustria elettrorane semiperm i e i sili
ligative l’in
pro pri età col quotidiana. Alc enziali per ché le memb molecola coni illu
strano
Le sono ess iche per re
teressantsi manifesta nel elegantement
vita
con la di. Altre itarie e biolog
pratica
ernali fred san e le e
classi strche entrambi proprietà del come l’organ
mesi inv e nelle scienze viventi. utturali: quest le sos izz
la natura rno alle cellule nto catene, i tipi di ma tanze macroazione a livello
quelle
atto
ll’abb assame strati e ter sco
impalcat iali presentin piche. È in-
zioni de Minera ure. o le ste
Applicapico Silicati li silica sse tre
ngelanti a caten tici
criosco lani e
antico
op H 6O 2) (C 2
La più
quando
e
semplic di tetraedri
per aer ole etilenico e classe (inosilic
cianti legami due dei ciascuna unità strutturale di ati)
Sghiac oli Il glicmediante estesi ione suoi ver
per au
toveic
l’acqua di ebolliz volatile
a una cat tici O contetraedrica SiOsilicati si ha
ile con peratura ialmente non ccianti” ena
per form . Due catene altre uni 4 condiv
è miscib e ha una tem tà SiO ide
o ere essenz e degli “sghia l’anno” Si4 O11 are un nastro pos sono leg 4 , formand
idrogen per ess ent tto 6−
rip ; il arsi o
asta nza alta pal e compon ti di tipo “tu cazione polianion etute. Ioni me nastro più com lateralmente
abb nci
È il pri icongelan di solidifi pe- esercitanoici per formare tallici legano une ha
100 °C. ani. Negli ant temperatura alza la sua tem strati neu tra loro unità
per aer
opl abbassa
la
erno e
inn materiale soltanto forze tri. i nas
oveicoli iatore in inv si presen intermole Fra gli stra tri
per aut nel rad ta in colari ti si
estate. famiglia
dei min filamenti fibro deboli e il
dell’acquaebollizione in erali di si,
ratura di amianto. come nella
Amiant Silicati
a
o La succes strati di tet
rae
traedric siva classe stru dri (fillosili
a
per form SiO4 condivide tturale di silic cati)
are uno tre dei ati
è condiv strato (o suoi qua si ha quando
interag iso con un altr foglio); si form ttro vertici O ciascuna uni
isco o tà
una sen no mediante strato. Nel talcano doppi stra con altre unità te-
sazione forz ti
Al(OH) di scivolo e deboli; per o, il minerale quando il qua SiO4
si più ten rto O
come la3 interfogliano sità. Se Al sos ciò, la polver ero, gli
cao tituisce e strati
le miche. linite. Differe con strati di una par di talco dà al
silic te
allumin Nella musco nti sostituzioni ati, ne risulta di Si, o se stratatto
osil vite
ioniche. icato. La mic , una mica, e/o interstratifi un alluminosil ti di
a si sfal gli caz icato,
da quando ioni giacciono ioni di ioni
vengon tra danno
o sopraff doppi strati
atte le di
e set- attrazio
i artici ni
li invern ica, produco-
ere neg est -
sopravviv la mosca dom struttu
ico Per sa con una
gelante
biolog i, compre – una sostanza miscibile con
e insett ) ssa .
Anticon i, molti pesci erolo (C 3H 8O 3 co e anch’e sangue
trio nal di glic etil eni ent o del loro
ten quantità del glic
ole
congelam
no grandi simile a quella temperatura di
ra molto che abbassa la
–
l’acqua
alla
addetti e il
adali Gli der
ioni str e CaCl 2, per fon ghiaccio
imentaz NaCl glie nel
o per pav li miscele di di sale si scio scioglie
tighiacci , qua ntità dolo. Si di
Sali an impiegano sali a piccola qua e fonden
cazione vantaggio scia
viabilità sulle strade. Unatura di solidifi io e così via. Un o e quindi rila Musco
vite, una
ghiaccio one la temper de altro ghiacc mente negativ o ghiaccio. mica
abbassand o sale che fon un ΔH soluz
alta e di altr
te fusion
quindi
altr
fatt o che ha con conseguen
nel ,
CaCl 2 sta ndo si scioglie
calore qua
ica
chim SERCIZI? proprietà intensive, quali la densità e la temperatura, sono • La precisione (il grado di vicinanza reciproca dei valori
della
indipendenti dalla quantità di sostanza. misurati) e l’accuratezza (il grado di vicinanza dei valori
IE
io S T
stud
misurati al valore “vero”) sono due aspetti della certezza.
QUE 1.6 Incertezza n- di misura: cifre significative
ERE
• Gli errori sistematici danno origine a valori misurati
r lo PER RISOLV
li) co
atura l’ultima
• i nPoiché eno. cifra di una misura è stimata, tutte le
i pe
gg che sono tutti maggiori o tutti minori del valore “vero”.
om
me le n fen hanno ti e un limite alla loro certezza, che è espressa
hiav VE SAPERE
umisure Gli errori casuali danno origine a valori misurati alcuni
olta co avviene dal trolla di cifre significative.
connumero
e talv
c é enti dei quali sono maggiori e alcuni minori del valore
spress o perch perim
e
1 L SA SI DE se rv az ioni (e su come
Le os o a ipotes no verifica
i te in es • La certezza
zaotdei i, si pdiuò un risultato calcolato dipende dalla certez-
es dati e nquindi i.
“vero”.
il risultato ha tante cifre significative •
Le misure precise sono affette da errori casuali piccoli; le
un’ip servazio i
CO
• n
duco esi vengo sario. orano re quante le os fesono nomen quelle nella misura meno certa. misure accurate sono affette da errori sistematici piccoli e
corrob
CHE li ella
ot es
Le ip te se nec raccolti a) per sp •vision
iega Lee cifre di in oeccesso
on
dati vengono eliminate mediante arroton- spesso da errori casuali piccoli. L’entità degli errori casuali
nzia
d • ai
ss e e n ta li priet
à ri
corret tti i dati ello (teo nella pre o sedamento comp nel risultato finale. dipende dall’abilità del ricercatore e dalla precisione dello
e p ro
etti fond
am ne e le od
Se tu ire un m lo è utile erfezionat strumento di misura.
Conc
che • La scelta dello strumento di misura dipende dalla certez-
ioni composizio à fisi e • costru on mod e essere
el p
finiz priet h za richiesta. •
Un errore sistematico è causato spesso da uno strumen-
e de udiano la ioni. di pro à chimic a- u
Un b ati, ma dev ica esatti lore
n vahanno tante cifre significative quante sono
lcun usivo riet si tr • him I numeri
i di c stitrichieste da u
to difettoso e può essere compensato mediante la tara-
1.1 A chimici st loro variaz sieme escl e di prop e con, o ateria • co rrel n ti. le m uita dal calcolo.o tura.
prob ezza è co misura. à si usan n
ta
• I ateria e le za ha un in za stessa) interagiscni della m stan- contr
as
d e i
m
sostan sostan ando azio essa so ne and à di nti unit ne è u
Ogni uti della stanza quLe trasform a della st luzio di una gr priata unit Comprendere iffere conversio la stessa
Riso in a)d La
ione) 1.4 La misu e un’app misura tt
• b so : ra ro
(attri uti della sostanze). rente form ). i
ore d differenza deltra proprietà
dezze rechimiche
-
la “vec - e fisiche.
chimiche e proprietà fisiche e e) Le comuni unità di misura di lunghezza, volume, massa e
b fe /e gregaz e • erico una n fa traan
(attri in, altre siche (dif sostanza ti di ag tteristich num primere rsione. U enti di gr moltiplica conversio
variazioni temperatura e i loro prefissi numerici.
m a re fi n te /i (sta ca ra o la al Lee caratteristiche
sfor
so n
ci
o esse e (differe stati fisi me). Le specchian za. • Per es di conve ure equiv i b) si dev
n it à nella che definiscono i diversi stati di aggre- f) Le differenze tra massa e peso, calore e temperatura, pro-
i cu u
pos
o ch imich te in tre o (aerifor stati ri o la sostan di is
fattor to tra m ore per “nuovgazione a” della materia.libro
es to
prietà intensive ed estensive.
za) is ssos o ques ti n tt in qu o perpotenziale
ateria
es
e ga ituisco aumen una
to rappor ed è il fa tenere la c)a” uLa nità.natura todell’energia
la e dell’energia cinetica e g) Il significato di incertezza di misura, l’uso delle cifre signi-
La m liquido distinguon che cost a da un ot ov i usa pian
• a da specie nità per ” alla “nu i probl laem loro interconversione.
re un rificare se ili.
la ficative e le regole di arrotondamento.
o,
solid abili che ticelle eterminat vertit u ia
chia” la “vecch luzione de d) ) idea i, (3di
Il(1processo ) veapproccio mscientifico a un problema e le dif- h) Le differenze tra accuratezza e precisione e tra errore
le par d re in parti: emi si ipotesi, esperimento e modello.
osserv izione del ne fisica ente esse a soltan
to
ne dal odo di riso quattro no nferenze ei calc tra
ol osservazione,
n probl sistemativo e casuale.
os io alm rt it co
disp asformaz ò gener ra. re inve Il met di solito are il pia p ratica
tr se r- re -
implic one, (2) at nso e (4Saper fare
Una ra p u u • a tu ) fa n
eratu temp
erat uò es trasfo dezze nda-
fo
ica p te da nza ittfattori
temp uzione di ne chim iche. o causa risoluzi e abbia se ie
a) scUtilizzare e grandi à fo ze
conversione
it nei calcoli e sviluppare c) Effettuare la conversione tra scala Celsius e scala Kelvin
in io im e so n d a lla unasaapproccio se
ra (u
n
e de
dim asformaz azioni ch e on su ez la risoluzione dei problemi
opich agnat soluzi isusistematico andper delle temperature.
zion ità (SI) si (piano,
b di m erose gr e).
tr
Una e trasform i macrosc comp
no ac isura unità risoluzione, num à dverifi erivatca) pic- d) Determinare il numero di cifre significative e arrotondare
La m ema di U lle relab)tiveoCalcolare
• tr n e. i- n
da al formazio scopich ateria so a pos edotte ra nit conoscendo
as ro la su o 1.5 n d la (u
densità molto e massa e volume. al corretto numero di cifre significative.
Le tr ni submic i della m ov
st
uta al uta al su , • Il Si tali e su se vengo à di misu isurazioni) ponenzial
• n d e
mazio formazio gia. rpo è o è dov una massa i damen li). Da es tiveEquazioni unit ati di m
e relazioni e es ati sull
as er n co rp la lt azion bas essenziali
Le tr ioni di en ale di u i un co sollevare triche d menta e e le re isure (risu no la not prefissi
deriv primere m and1.1 e al volume (p. 20): 1.2 Conversione di una temperatura da gradi celsius a kelvin
• zi d et a. at Calcolo i
sa della ddensità in base alla I
variaz gia poten cinetica zzata per riche el sistem i si u na serie (mmassa
).
li ca e del uta alle etro o in
L’ener l’energia ergia uti parare enzial Per es molto gr tifica) e u è il m a so n
massa (p. 22): T (in K) = T (in °C) + 273,15
•
zione; ento. L’en olla o
se a pot anza è d sostanze •
ov o
cole ione scie
n nel SIdensità = −12 m).
ic 1.3 Conversione di una temperatura da kelvin a gradi celsius
nergi st ezza a atom volume
movim re una
m
en ta l’e di una so ticelle. Le a quelle (n otaz di 10. lla lungh sulla scal (1 pm=10 za, è il (p. 22): T (in °C) = T (in K) − 273,15
ga au m ic a p ar to ze ra de sa ti etro gh ez à
allun opposto ale chim delle sue ili rispet poten di misu metro u e il picom ità di lun o le unit
o zi
segn gia poten terazion meno st
i ab una à
L’unit ultipli deESERCIZI
l −9 m)
all’un tro (L) so
n
in o chim
ica,
stabi- •
=10 ata d E PROBLEMI li
L’ener ni e alle ergia son ca o sottom etro (1 nm me, deriv cubo e il mate-
• io a più tà di
posiz he di en ergia. e fisi una form a quantità nanom SI di vo1.1
lu ro
il met definizioni uanti i massa è
cc azion 3 Alcune ica. la qfondamentali Esercizi
più ri ere di en trasform asforma in o una ce ica, capa-
rt
L’ unità bo (m ); te in chim isura del unità SI d il campo
ov d et cu m verifite
più p rso una abile si tr ile quan ergia cin
•
m etro e p iù usa (Problema
o, una di st an
ca. L’
1.1, a p.
va ri a co5)n
1.2 Descrivete i solidi, i liquidi e i gas in termini di come
lum rp
ve st
Attra za meno za più st verte in
ab en
di vo sa di Domande un co corpriassuntive o, è co un corpo anza
e riempiono un recipiente. Usate le vostre descrizioni per
•
sostan una sost ziale si co
an n
La mas è 1.1 fa o ilscene
ttLe p esAo ediB rappresentano i u a sost ratte- della mate- identificare lo stato fisico (a temperatura ambiente) di quanto
ntrasformazioni
Il d ca
le o in gia poten voro. h im ica o proces- • a di cu ria
i
m o (kg)scala
su
.
si trova. la massa à fisiche
atomica:
c n . ri i
logram ale in cu porto tr e propriet
a segue:
er
di en compiere
la
i d ella ia crearo VII secolo il ki ca lo re (a) elio in un palloncino;
gin tecnolog a dal X arsa azio n il ra p le su tà di ette
ce di e ori o sc gravit sità (d) è è una del uanti
iche icina e la la chim attribuivan ntrando
ic m (b) mercurio in un termometro;
h im d en e ed d ella q che si tras tem-
rti c ia, la m ortanti per ntifiche ttiva, con e spiega- •
ed ce La m u ra a a (c) minestra in un piatto.
2 A su o volu n a mis è energi ta a uno
1. alchim o imp rescie e ogge o su ll il
he. A (T) è
u
calore più al 1.3 Definite una proprietà fisica e una proprietà chimica.
• L’ che son izioni p entazion za pratica ristic peratura corpo. Il peratura ica, le
si ad erien o alla m
La te uta da un rpo a te
m chim ius
Identificate ciascun tipo di proprietà nei seguenti enunciati:
te tr sperim guard ni • (K). In adi cels
Ques tanza alla e sull’esp ero ri degli an d
posse ) da un sa.
co kelvin ) o in gr ala.
(a) Il cloro, un gas giallo-verde, attacca il sodio, un metallo
impor l’attenzi
on pensi à o, è il argenteo, per formare cristalli bianchi di cloruro di sodio (sale
in ò il a, alla met l’ossigen e (flu is ce
iù b as at u ra lv in (K
d el la sc
vo lu -
invece istiche. ogisto dom anni, m ostrò che mbustion ura p mper in ke zero sa, il da tavola).
m 0 m perat BSI di te o misurate o nello uali la mas stanza; le
zioni ia del fl quasi 10 voisier la co tre que-
L’un(a) ità son riscon o, q di so (b) Un magnete separa una miscela di limatura di ferro nera e
or er La o per en ature al e diffe di un corp antità
La te stione p I secolo, necessari ustibile m •
temp
erQuale(i) sc rappresenta(no) una qutrasformazione fisica? di sabbia bianca.
• u
comb ta del XV dell’aria,
II è comb (b) Le due rappresenta(no)
Quale(i) te nsive ono dallauna trasformazione chimica? 1.4 Quale dei seguenti fenomeni è una trasformazione chi-
dello ,
za C ). es
Settan ponente una sost
an
m o (°
(c) priet a,
Quale(i)
ro
à
d ipendorigine a differenti proprietà fisiche?
dà(nno) mica? Spiegate il vostro ragionamento. (a) Bollitura della
di unda di passi • Le(d) eQuale(i)
p
m
un co mbina co
n
e l’e nergidà(danno) origine differenti proprietà chimiche?
n
ruzio enza rigi spiegare e m e minestra in una pentola. (b) Tostatura di una fetta di pane. (c)
e si co cia. cost (e) Quale(i) causa(no) un cambiamento di stato di aggre- Spaccatura della legna da ardere. (d) Bruciamento della legna
fico: è una sequprefigge d
ru i
sta b n ti
d o scie fico non o che si gazione? da ardere.
meto scienti inam
ic
1.3 Il metodo processo d reali.
• Il ensì è un fenomeni
b i
dere
preve
Sito web
Sul sito web all’indirizzo highered.mheducation.com/sites/8838695393, sono disponibili i seguenti materiali
didattici di supporto:
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Foto: (in alto a sinistra) © McGraw-Hill Education/Mark Dierker, photographer; (in basso
a sinistra) © Ruth Melnick; (immagini a destra) © McGraw-Hill Education/ Stephen Frisch,
photographer.
L’energia totale posseduta da un corpo è la somma della sua energia potenziale e della sua
energia cinetica. L’energia potenziale è l’energia che un corpo possiede in virtù della
sua posizione. L’energia cinetica (o energia di movimento) è l’energia che un
corpo possiede in virtù del suo movimento (o moto). Esaminiamo quattro sistemi che
illustrano la relazione fra queste due forme di energia: (1) una massa sollevata a una
certa quota sopra il suolo; (2) due masse collegate da una molla; (3) due particelle
elettricamente cariche; (4) un combustibile e i suoi prodotti di rifiuto. Un concetto
essenziale illustrato da tutti e quattro i casi è che l’energia si conserva: può essere
convertita da una forma in un’altra, ma non può essere distrutta.
Guardiamo la Figura 1.3A e consideriamo una massa sollevata a una certa quota
sopra il suolo. L’energia impiegata per spostare la massa contro l’attrazione gravitazio-
nale della Terra fa aumentare la sua energia potenziale (l’energia dovuta alla sua posi-
zione). Quando la massa è lasciata cadere, questa variazione di energia potenziale si
converte in energia cinetica (energia dovuta al moto). Una parte di questa energia
cinetica si trasferisce al suolo quando la massa compie lavoro, per esempio conficca
nel suolo un paletto o semplicemente pone in movimento terra e sassi. Come si può
vedere, la variazione di energia potenziale non viene distrutta: viene convertita in
energia cinetica.
In natura, le situazioni a energia più bassa sono generalmente favorite rispetto a
quelle a energia più alta: la massa, avendo meno energia potenziale (e quindi meno
energia totale) quando è ferma (a riposo) sul suolo rispetto a quando è a una certa
quota sopra il suolo, cade quando è abbandonata a se stessa. La situazione in cui la
massa è a una quota più elevata e quindi ha una maggiore energia potenziale è meno
Figura 1.3 L’energia potenziale si converte in energia cinetica. In tutte e quattro le parti della figura, le rette orizzontali trat-
teggiate indicano l’energia potenziale del sistema in ciascuna situazione.
stabile, mentre la situazione dopo che la massa è caduta al suolo e ha una minore
energia potenziale è più stabile.
Per avvicinare questo concetto alla chimica, consideriamo il sistema composto
dalle due masse collegate da una molla nella Figura 1.3B. Quando si allontano le
masse l’una dall’altra, l’energia che si applica per allungare la molla aumenta l’energia
potenziale del sistema costituito dalle masse e dalla molla. Questa variazione di ener-
gia potenziale si converte in energia cinetica quando si abbandonano le masse a se
stesse ed esse si muovono l’una verso l’altra. Nella posizione in cui la molla è allunga-
ta, il sistema è meno stabile (ha più energia potenziale) rispetto a quando la molla è
rilassata. Si può anche aumentare l’energia potenziale del sistema spingendo le mas-
se l’una verso l’altra e comprimendo (accorciando) la molla. Le masse si allontanano
l’una dall’altra quando sono abbandonate a se stesse, riconvertendo la variazione di
energia potenziale in energia cinetica. Analogamente, quando si carica un orologio
meccanico, l’energia potenziale immagazzinata nella molla di carica aumenta via via
che la molla viene compressa. Via via che la molla si rilassa (si srotola), la sua energia
potenziale si converte lentamente nell’energia cinetica degli ingranaggi e delle lan-
cette che si muovono.
In una sostanza chimica non ci sono molle, ma la seguente situazione è simile in
termini di energia. Gran parte della materia esistente nell’universo è costituita da parti-
celle cariche positivamente e da particelle cariche negativamente. Un comportamento
ben noto delle particelle cariche (simile, sotto questo aspetto, al comportamento dei
poli magnetici) deriva da interazioni note come forze elettrostatiche: cariche di segno
opposto si attraggono e cariche dello stesso segno si respingono. Quando si compie lavoro
per separare una particella positiva da una particella negativa (come quando si allunga
la molla che collega due masse), l’energia potenziale del sistema delle due particelle
aumenta. Come è mostrato nella Figura 1.3C, la variazione di energia potenziale si con-
verte in energia cinetica quando le particelle si avvicinano l’una all’altra. Inoltre, quan-
do due particelle positive (o negative) sono spinte l’una verso l’altra (come quando si
comprime la molla che collega le due masse), l’energia potenziale del sistema delle due
particelle aumenta e, lasciandole libere, esse si allontanano l’una dall’altra, convertendo
la variazione di energia potenziale in energia cinetica. Come nel caso della massa che
è stata posta a una certa quota sopra il suolo e delle due masse collegate da una molla
che è stata allungata o accorciata, le particelle cariche tendono a muoversi verso una
posizione di energia più bassa e quindi di maggiore stabilità.
L’energia potenziale chimica di una sostanza è dovuta alle posizioni relative di tutte le
sue particelle e alle attrazioni e repulsioni che si esercitano tra di esse. Alcune sostanze sono
più ricche di altre di questa energia potenziale chimica. I combustibili e gli alimenti,
per esempio, contengono più energia potenziale rispetto ai prodotti di rifiuto che
formano. La Figura 1.3D mostra che, quando la benzina brucia nel motore di un’au-
tomobile, sostanze con energia potenziale chimica più alta (benzina e aria) formano
sostanze con energia potenziale più bassa (gas di scarico). Questa variazione di energia
potenziale si converte in energia cinetica utilizzata per fare muovere l’automobile,
riscaldare l’abitacolo, accendere le luci del veicolo e così via. Analogamente, la dif-
ferenza di energia potenziale tra il cibo e l’aria che inspiriamo e i prodotti di rifiuto
che eliminiamo è utilizzata per il movimento, la crescita, il riscaldamento corporeo, lo
studio della chimica e così via. Si noti di nuovo il punto essenziale: l’energia non viene
creata né distrutta ma si conserva sempre quando si converte da una forma a un’altra.
Tradizioni prechimiche
La chimica ha le sue origini in un passato prescientifico che comprendeva tre tradi-
zioni parzialmente sovrapposte: alchimia, medicina e tecnologia.
La tradizione medica Gli alchimisti ebbero una notevole influenza sulla pratica me-
dica nell’Europa medievale. A partire dal XIII secolo, distillati di radici, erbe e altre so-
stanze vegetali sono stati usati come fonti di medicinali. Il naturalista e medico svizzero
Paracelso (1494-1541) fu un alchimista attivo e un importante medico del suo tempo.
I suoi trattati sono di difficile comprensione ma, a quanto pare, egli considerò il corpo
umano come un sistema chimico il cui bilancio di sostanze poteva essere ripristinato
mediante il trattamento medico. I suoi seguaci introdussero farmaci minerali nella far-
macopea del XVII secolo. Anche se molti di questi farmaci erano inutili e alcuni erano
persino dannosi, i medici successivi impiegarono con crescente successo altri farmaci
minerali. Iniziarono così quell’alleanza tra medicina e chimica che oggi è rigogliosa.
restante si spegneva rapidamente, mostrando che il gas che si era combinato con
il mercurio era necessario per la combustione. Lavoisier denominò ossigeno questo
gas e ossidi metallici le calci metalliche.
La nuova teoria della combustione metteva ordine nella precedente confu-
sione. Una sostanza combustibile come il carbone di legna cessa di bruciare in un
recipiente chiuso dopo che si è combinata con tutto l’ossigeno disponibile. Un
ossido metallico ha una massa maggiore di quella del metallo perché contiene la
massa aggiunta di ossigeno. La vera natura della fusione metallurgica è che, quando
si riscaldano insieme carbone di legna e un ossido metallico, il carbonio presente
nel carbone si combina con l’ossigeno presente nell’ossido metallico per produrre
metallo, cenere di carbone e diossido di carbonio (anidride carbonica) gassoso:
ossigeno
Il metodo scientifico è illustrato dalla confutazione della teoria del flogisto da parte
di Lavoisier. Le osservazioni della combustione e della fusione metallurgica avevano
indotto a ipotizzare che la combustione implicasse la perdita di flogisto. Esperimen-
ti condotti da altri che avevano mostrato che è necessaria l’aria per la combustione
e che la massa di un metallo aumenta durante la combustione indussero Lavoisier a
formulare una nuova ipotesi, che egli verificò ripetutamente con esperimenti quan-
titativi. I dati che si andavano accumulando corroboravano il suo modello (teoria) in
via di sviluppo secondo cui la combustione implica la combinazione con un com-
ponente dell’aria (l’ossigeno). Innumerevoli previsioni basate su queste teorie ne
hanno corroborato la validità. Una teoria valida resta utile anche quando compaiono
eccezioni di secondaria importanza. Una teoria non valida, come la teoria del flogi-
sto, finisce per crollare sotto il peso di dati contrari e di perfezionamenti assurdi.
Figura 1.5 Alcune relazioni tra volumi nel SI. Il cubo a sinistra ha un volume di 1 dm3; ogni spigolo è lungo 1 dm e il cubo è
suddiviso in 10 strati spessi 1 cm. Vi sono 1000 dm3 in 1 m3. Il cubo in centro ha un volume di 1 cm3; ogni spigolo è lungo 1 cm
e il cubo è suddiviso in 10 strati spessi 1 mm; 1000 cm3 = 1 dm3 = 1 L = 1000 mL, e quindi 1 cm3 = 1 mL. Il cubo a destra ha un
volume di 1 mm3; ogni spigolo è lungo 1 mm; 1 mm3 = 1 mL. Vi sono 103 mL in 1 cm3 e 106 μL in 1 dm3 (1 L).
La Figura 1.6 mostra alcuni degli apparecchi di vetro (vetrerie) da laboratorio de-
stinati a contenere liquidi o a misurarne il volume. Molti hanno una capacità da
qualche millilitro a qualche litro. Beute (o matracci conici o matracci di Erlenmeyer)
e becher sono usati per contenere liquidi. Cilindri, pipette e burette graduati sono
usati per misurare e trasferire liquidi. I matracci volumetrici e molte pipette hanno
una capacità fissa indicata da un segno sul collo. Nel lavoro quantitativo, le soluzio-
ni liquide sono preparate in matracci volumetrici, misurate in cilindri, pipette e
burette graduati, e poi trasferite in becher o in beute per ulteriori operazioni chi-
miche. Le pipette automatiche trasferiscono accuratamente e rapidamente un dato
volume di liquido.
Massa La massa (m) di un corpo è una grandezza legata alla quantità di materia di
cui è fatto. L’unità di massa nel SI è il kilogrammo (kg), l’unica unità fondamentale
il cui campione è un oggetto fisico: un cilindro di platino-iridio conservato presso
il Bureau International del Poids et Mesures, a Sèvres, nelle vicinanze di Parigi. Il
kilogrammo è anche l’unica unità fondamentale del SI il cui nome abbia un prefisso
(kilo-) (però, a differenza delle altre unità fondamentali, si premettono i prefissi al
termine “grammo”, come in “microgrammo”, anziché al termine “kilogrammo”; per- UN KILOGRAMMO
ciò, non si dice mai “microkilogrammo”). PREZIOSO
Il termine massa e il termine peso si riferiscono a grandezze diverse, che non
devono essere confuse l’una con l’altra. Poiché la quantità di materia di un dato
corpo non può variare (in condizioni ordinarie), la sua massa è costante. Il peso del
corpo, invece, è la forza di gravità (la forza di attrazione gravitazionale esercitata
dalla Terra sul corpo) che deve essere equilibrata affinché il corpo sia in quiete e di-
pende dalla massa del corpo e dall’accelerazione di gravità nella posizione occupata
dal corpo. Poiché l’accelerazione di gravità varia al variare della quota sopra la su-
perficie terrestre, varia anche il peso del corpo. Per esempio, il peso di una persona
è lievemente minore sulla vetta di una montagna che al livello del mare. [Nel SI, il
peso di un corpo, come qualsiasi altra forza, è misurato in newton (N). (N.d.C.)]
Ciò significa forse che, se si pesasse su una bilancia di laboratorio un corpo a
Miami (al livello del mare) e a Denver (a una quota di circa 1,7 km sopra il livello
del mare), si otterrebbero differenti risultati? Per fortuna no. Queste bilance sono
progettate per misurare le masse, non i pesi, e quindi non si ha questa situazione
caotica. Le bilance meccaniche confrontano la massa incognita di un corpo con
masse note incluse nella bilancia e quindi le varie masse sono immerse nello stesso
campo gravitazionale e l’accelerazione di gravità a cui sono soggette è la stessa. Le
bilance analitiche elettroniche determinano la massa generando un campo elettrico
che compensa il campo gravitazionale locale. L’intensità della corrente elettrica
necessaria per ripristinare lo zero della posizione del piatto viene tradotta nella
massa del corpo e visualizzata come massa del corpo.
Se 1 m di fibra ha una massa di circa 10−3 kg, circa 107 m dovrebbero avere una massa di
circa 104 kg. La massa del cavo dovrebbe essere 6 volte tanto, ossia circa 6 × 104 kg.
Commento La densità lineare di un corpo filiforme è il rapporto tra la sua massa e la sua
lunghezza, ossia è la massa riferita all’unità di lunghezza. Nel SI, l’unità di misura della den-
sità lineare è il kg al metro (kg/m).
Densità La densità (d) di un corpo è il rapporto tra la sua massa e il suo volume,
ossia è la massa riferita all’unità di volume:
massa
densità = (1.1)
volume
Calcolo della densità di un corpo in base alla sua massa e alle sue dimensioni
PROBLEMA DI VERIFICA 1.5
Problema Il litio è un metallo solido grigio tenero che ha la densità più bassa tra tutti i
metalli. È un componente essenziale di alcune batterie elettriche. Se un blocchetto di litio a
forma di parallelepipedo ha una massa di 1,49 × 103 mg e misura 20,9 mm × 11,1 mm × 11,9
mm, quando vale la densità del litio in grammi al centimetro cubo (g/cm3)?
Piano Per trovare la densità in grammi al centimetro cubo (g/cm3), si devono conoscere
la massa del litio espressa in grammi (g) e il suo volume espresso in centimetri cubi (cm3).
La massa è data in milligrammi e quindi convertiamo i milligrammi in grammi. Il volume
non è dato, ma possiamo convertire le lunghezze degli spigoli da millimetri a centimetri
e poi calcolare il volume in centimetri cubi moltiplicando le lunghezze degli spigoli
espresse in centimetri. Infine, formando il rapporto tra la massa e il volume, otteniamo la
densità. I passi sono indicati nell’itinerario.
Risoluzione Conversione della massa da milligrammi a grammi:
⎛10−3 g ⎞⎟
massa (g) di litio = 1,49 × 103 mg ⎜⎜ ⎟ = 1,49 g
⎜⎝ 1 mg ⎟⎟⎠
una sostanza la cui temperatura è più alta di quella del bulbo stesso, si trasmette
4
10 K calore dalla sostanza al liquido attraverso il vetro, e il liquido si dilata e sale nel
cannello (tubo capillare) del termometro. Se una sostanza è a una temperatura più
6 u103 K: superficie del Sole bassa di quella del termometro, si trasmette calore dal liquido termometrico alla
(interno 107 K)
sostanza: il liquido si contrae e scende all’interno del tubo capillare del termometro.
3683 K: massima temperatura
di fusione di un elemento Le scale di temperatura (o scale termometriche) più importanti in chimica sono
metallico (tungsteno) la scala Celsius, precedentemente detta centigrada, in cui l’unità di temperatura è
1337 K: temperatura
di fusione dell’oro
il grado celsius (°C) e la scala Kelvin, in cui l’unità di temperatura è il kelvin (K);
Il kelvin (K) è l’unità di temperatura fondamentale nel SI. La scala Kelvin, detta
600 K: temperatura anche scala assoluta delle temperature, è preferita in tutte le branche della scienza,
103 K di fusione del piombo
anche se è usata spesso la scala Celsius. La scala Celsius, introdotta nel 1742 dal
fisico e astronomo svedese Anders Celsius (1701-1744), si basa sui cambiamenti di
stato fisico dell’acqua: è attribuito valore 0 alla temperatura del ghiaccio fondente in
373 K: temperatura
di ebollizione di H2O
equilibrio con acqua a pressione atmosferica e valore 100 alla temperatura di ebol-
370 K: temperatura diurna
lizione dell’acqua pura a pressione atmosferica. L’intervallo tra questi due “punti”
sulla Luna fissi è suddiviso in 100 parti uguali, ciascuna delle quali è detta grado celsius (°C).
273 K: temperatura La scala Kelvin (o scala assoluta delle temperature) fu introdotta nel 1848 dal
di fusione di H2O
140 K: strato nuvoloso
fisico britannico William Thomson (1824-1907), noto come Lord Kelvin, nel corso
102 K superiore di Giove dei suoi esperimenti sull’espansione e la dilatazione dei gas. La scala Kelvin attribu-
120 K: temperatura isce valore 273,15 alla temperatura del ghiaccio fondente in equilibrio con acqua
notturna sulla Luna
90 K: temperatura di a pressione atmosferica e valore 373,15 alla temperatura di ebollizione dell’acqua
ebollizione dell’ossigeno pura a pressione atmosferica e suddivide l’intervallo tra questi due punti fissi in 100
parti uguali, ciascuna delle quali è detta grado kelvin (K). L’ampiezza del grado kelvin
è uguale all’ampiezza del grado celsius. Lo zero della scala Kelvin, 0 K, è detto zero
assoluto ed è uguale a −273,15 °C. Sulla scala Kelvin, tutte le temperature hanno valori
27 K: temperatura di positivi. L’acqua congela a +273,15 K (0 °C) e bolle a +373,15 K (100 °C). Possiamo
ebollizione del neon
convertire le temperature misurate sulle scale Celsius e Kelvin tenendo presente la
101 K
differenza tra gli zeri delle due scale; poiché 0 °C = 273,15 K,
T (in K) = T (in °C) + 273,15 (1.2)
0K zero assoluto
(temperatura più bassa Risolvendo l’Equazione 1.2 rispetto a T (in °C), otteniamo
raggiunta 109 K)
T (in °C) = T (in K) − 273,15 (1.3)
Figura 1.7 Alcune temperatu
re interessanti.
Conversione di temperature
PROBLEMA DI VERIFICA 1.6
Problema Un bambino ha una temperatura corporea di 38,7 °C. Quanto vale la tempera-
tura del bambino in kelvin?
Piano Usiamo l’Equazione 1.2 per convertire la temperatura espressa in gradi celsius nella
temperatura equivalente espressa in kelvin.
Risoluzione Conversione della temperatura da gradi celsius a kelvin:
T (in K) = T (in °C) + 273,15 = 38,7 °C + 273,15 = 311,8 K
Verifica Sappiamo che il grado celsius e il kelvin hanno la stessa ampiezza. Perciò possiamo
verificare i calcoli approssimando la temperatura celsius in 40 °C e sommando 273: 40 + 273
= 313, un valore vicino al risultato del nostro calcolo. Quindi non abbiamo commesso un
errore grossolano.
un dispositivo detto orologio atomico. In laboratorio si studia la velocità di una • L’orologio atomico al
reazione misurando l’intervallo di tempo impiegato da una quantità fissa di una cesio. Il migliore orologio a pendo-
lo può commettere un errore massi-
sostanza per subire una trasformazione chimica. L’intervallo di possibili velocità
mo di 3 s ogni anno, il migliore oro-
di reazione è enorme: una reazione rapida può durare meno di 1 nanosecondo logio al quarzo può commettere un
(1 ns = 10−9 s), mentre le reazioni lente, quali l’arrugginimento e l’invecchiamen- errore massimo 1000 volte più pic-
to, impiegano anni. Oggi i chimici usano il laser per studiare le trasformazioni che colo. La più recente versione dell’o-
rologio atomico al cesio, il NIST-F-1,
durano qualche picosecondo (1 ps = 10−12 s) o persino qualche femtosecondo
realizzato dal Physics Laboratory del
(1 fs = 10−15 s). National Institute of Standard and
Technology (NIST), è 6000 volte
1.6 INCERTEZZA DI MISURA: CIFRE SIGNIFICATIVE più accurato, potendo commettere
un errore massimo di 1 s ogni 20
Poiché gli strumenti di misura sono costruiti per specifiche limitate, e poiché per milioni di anni! Invece di impiegare
le oscillazioni di un pendolo o le
leggerli usiamo i nostri sensi e le nostre capacità imperfette, non siamo mai in grado
vibrazioni di un cristallo di quarzo,
di misurare qualcosa esattamente o di conoscere con certezza assoluta il valore di l’orologio atomico misura le oscilla-
una grandezza, cioè di conoscerne il valore “vero”. In altre parole, ogni misura che zioni della radiazione a microonde
otteniamo da un’operazione di misurazione è affetta da un’incertezza. assorbita dagli atomi di cesio gassosi:
Il particolare strumento di misura che scegliamo in una data situazione dipende 1 secondo è definito come la durata
di 9 192 631 770 oscillazioni della
da quanta incertezza di misura siamo disposti ad accettare. Quando compriamo pata-
radiazione non perturbata emessa
te in un supermercato, la bilancia che misura la massa dei prodotti ortofrutticoli in dall’atomo di cesio-133 (133Cs) nello
incrementi di 0,1 kg è perfettamente accettabile: dice, per esempio, che la massa stato fondamentale nella transizione
delle patate è (2,0 ± 0,1) kg. Il termine “±0,1 kg” esprime l’incertezza di misura: la tra due particolari livelli. In questo
massa delle patate è compresa tra 1,9 kg e 2,1 kg. (Questa bilancia non sarebbe adat- nuovo orologio, gli atomi di cesio
vengono raffreddati con laser a infra-
ta per misurare la massa, per esempio, del prosciutto, in quanto l’incertezza di
rosso a una temperatura di circa
±0,1 kg sarebbe considerata eccessiva, dato il prezzo del prosciutto rispetto a quello 10−6 K sopra lo zero assoluto, il che
delle patate). Per una reazione su grande scala, un chimico potrebbe avere necessità permette tempi di osservazione degli
di una bilancia che misuri le masse in incrementi di 0,001 kg per ottenere, per esem- atomi molto più lunghi e quindi
pio, una massa di (2,036 ± 0,001) kg di una sostanza chimica, cioè una massa compre- un’accuratezza molto maggiore.
sa tra 2,035 kg e 2,037 kg. Il maggior numero di cifre nella misura della massa della
sostanza chimica indica che si conosce la massa con più certezza (o con meno incertez- L’IMPORTANZA
FONDAMENTALE
za) rispetto a quanto si conosca la massa delle patate. Quando si legge uno strumen- DELLA MISURAZIONE
to di misura si stima sempre l’ultima cifra. L’incertezza può essere espressa con il NELLA SCIENZA
simbolo ±, ma, generalmente, si tralascia questo simbolo e si presuppone un’incertezza
di una unità nell’ultima cifra. Le cifre registrate in una misurazione, sia quelle certe sia
quella incerta, sono dette cifre significative. Per esempio, la misura 2,036 kg ha 4
cifre significative, mentre la misura 2,0 kg ne ha 2. Maggiore è il numero di cifre signi-
ficative in una misura, maggiore è la certezza (o minore è l’incertezza). La Figura 1.8 illu-
stra la situazione per due termometri.
40 110
39 100
Figura 1.8 Il numero di cifre
38 90
significative in una misura
37 80 dipende dallo strumento per
36 70 misurazione. Sono mostrati due
termometri che misurano la
35 60
stessa temperatura, con viste
33 34 50 40 espanse di un tratto del cannello
33 40 (tubo capillare) di ciascuno. Il
termometro di sinistra è gradua-
32 32 30 30
to in decimi di grado celsius e
31 20 indica 32,3 °C; quello di destra è
31 30 10 20 graduato in gradi celsius e indica
32 °C. Perciò, il termometro di
0 0
32,3 °C 32 °C sinistra permette di ottenere una
misura con più cifre significative
(più certezza).
La regola generale per l’arrotondamento è che la misura meno certa impone il limi-
te di certezza all’intero calcolo e determina il numero di cifre significative nel risultato
finale. Supponiamo di volere trovare la densità di un nuovo materiale ceramico.
Misuriamo la massa di un campione del materiale con una bilancia analitica e ot-
teniamo 3,8056 g; misuriamo il suo volume mediante il volume dell’acqua spo-
stata in un cilindro graduato e otteniamo 2,5 mL. La misura della massa ha 5 ci-
fre significative, ma la misura del volume ha soltanto 2 cifre significative. Dovremmo
esprimere la densità del materiale come (3,8056 g)/(2,5 mL) = 1,5222 g/mL oppure
come 1,5 g/mL? Il risultato con 5 cifre significative implica più certezza in tutte le
misure usate per calcolare la densità rispetto al risultato con 2 cifre significative. Ma
non abbiamo misurato il volume con 5 cifre significative e quindi non possiamo co-
noscere la densità con quella certezza. Perciò, esprimiamo la densità come 1,5 g/mL.
preoccupatevi se il risultato che ottenete nel calcolo in più passaggi per con-
trollare un problema di verifica o un problema di approfondimento differisce
da quello indicato nel libro. Nei calcoli svolti nel testo, arrotondiamo i passaggi
intermedi per mostrare il numero corretto di cifre significative, e questo pro-
cedimento può talvolta modificare l’ultima cifra significativa.
il valore più alto è 15,7/9,0 = 1,744444… il valore più basso è 15,5/9,2 = 1,684782…
Indipendentemente da quante cifre la calcolatrice presenti, i valori differiscono nel-
la prima cifra decimale e quindi il risultato ha 2 cifre significativa e dovrebbe essere
espresso come 1,7. Molte calcolatrici hanno un tasto FIX che permette di fissare il
numero di cifre presentate sul display.
⎛1g ⎞⎟
(4,80 ×104 mg)⎜⎜⎜ ⎟⎟
⎝1000 mg ⎟⎠ 48,0 g
(b) = = 4,16 g/cm3
11,55cm3 11,55cm3
Verifica È importante notare che in (a) perdiamo una cifra decimale nel numeratore e
in (b) conserviamo 3 cifre significative nel risultato perché vi sono 3 cifre significative
in 4,80. Arrotondare al numero intero più vicino è sempre un buon metodo di verifica:
(a) (16 − 1)/7 2; (b) [(5 × 104)/(1 × 103)]/12 4.
Figura 1.10 Precisione e accuratezza in una taratura di laboratorio. Ogni diagramma rappresenta i risultati di quattro misura-
zioni effettuate con un cilindro graduato che viene tarato (vedi testo per i particolari). A. Alta precisione, alta accuratezza. B. Alta
precisione, bassa accuratezza (presenza di errore sistematico). C. Bassa precisione, valore medio vicino al valore “vero”. D. Bassa
precisione, bassa accuratezza.
La risoluzione dei problemi proposti in questo libro au- intensamente molte foreste e molti laghi in Germania, in
menterà notevolmente le possibilità dello studente di una Svezia, in Norvegia e in parecchi Paesi dell’Europa cen-
buona riuscita nel corso, ma in realtà non è questo lo scopo trale e orientale. Precipitazioni acide sono state osservate
finale. Anche se lo studente può non scegliere di diventare persino ai poli!
un chimico, la conoscenza della chimica è essenziale in Chimici e altri scienziati stanno collaborando alla
molti campi, comprendenti la medicina, l’ingegneria e le risoluzione di questo problema. Mentre i geochimici
scienze ambientali. È anche essenziale per comprendere cercano giacimenti di carbone fossile a basso tenore di
i problemi complessi attinenti alla scienza, quali il riciclo zolfo, i colleghi ingegneri progettano metodi migliori per
delle materie plastiche, la riduzione dello smog urbano e rimuovere gli ossidi di zolfo dai gas di combustione. I chi-
la potenzialità di clonazione genetica, per citarne soltanto mici dell’atmosfera e i meteorologi seguono l’andamento
tre dei molti. delle alterazioni attraverso le regioni interessate, svilup-
Un’importante disciplina scientifica come la chimica è pano modelli computerizzati per prevedere le alterazio-
costituita da parecchie sottodiscipline che formano connes- ni e coordinano i loro risultati con i chimici ambientali
sioni con altre scienze per generare nuovi campi scientifici. in stazioni al suolo. I chimici ecologici e i biologi delle
La chimica ha tradizionalmente cinque branche principali — acque monitorano gli effetti della pioggia acida sugli in-
chimica organica, inorganica, analitica, fisica e biologica — ma setti, sugli uccelli e sui pesci. I chimici agrari e gli agrono-
queste branche hanno formato da lungo tempo interconnes- mi studiano come proteggere le rese delle colture. I bio-
sioni, quali la chimica fisica organica e la chimica bioinorga chimici e gli ingegneri genetici sviluppano nuove specie
nica. Per risolvere i problemi del presente e del futuro sono di piante da raccolto più resistenti agli acidi. I chimici
necessarie ulteriori connessioni, quali la chimica ecologica, del suolo misurano le variazioni del contenuto di metalli,
la scienza dei materiali, la chimica planetaria e la biologia condividendo i loro dati con gli scienziati specializzati
molecolare. Più complesso è il sistema studiato, maggiore è in selvicoltura per salvare legname di elevato valore eco-
la necessità del pensiero scientifico interdisciplinare. nomico e boschi ricreativi. I chimici organici e gli inge
I problemi ambientali sono particolarmente complessi, gneri chimici convertono il carbone fossile in combusti-
e uno di quelli di più difficile risoluzione è il problema bili più “puliti”. A questa intensa attività sperimentale si
della pioggia acida. Vediamo come viene affrontato dai chi- sovrappone quella di esperti di economia e politiche eco-
mici che interagiscono con scienziati in campi correlati. nomiche con preparazione scientifica, i quali forniscono
La pioggia acida è causata in gran parte dalla combustione ai dirigenti delle imprese e delle pubbliche amministra-
di carbone fossile ad alto tenore di zolfo, uno dei princi- zioni le informazioni di cui necessitano per prendere le
pali combustibili utilizzato in gran parte del Nordamerica loro decisioni. Con tutti questi apporti, la comprensione
e dell’Europa. Quando il carbone brucia, i prodotti gassosi interdisciplinare della pioggia acida è aumentata enorme-
della combu stione, comprendenti un ossido dello zolfo mente e di certo continuerà ad aumentare.
presente nel carbone come impurezza, vengono asportati Queste professioni sono soltanto alcune di quelle
dai venti prevalenti. A contatto con l’ossigeno e la piog- coinvolte nello studio di un singolo problema correlato con
gia, questo ossido di zolfo subisce trasformazioni chimiche, la chimica. I principi della chimica valgono per molte altre
dando origine alla pioggia acida. (Esamineremo i partico- discipline, dalla medicina e dalla farmacologia al restauro
lari chimici di questo processo nei capitoli seguenti). Negli delle opere d’arte e alla criminologia, dalla genetica e dalla
Stati Uniti nordorientali e nelle parti adiacenti del Canada, ricerca spaziale all’archeologia e all’oceanografia. La risolu
la pioggia acida ha provocato morie di pesci, ha decimato zione dei problemi di chimica ha una pertinenza di vasta
le foreste, ha arrecato danni alle colture e ha rilasciato sos- portata in molti aspetti della vita quotidiana e anche nella
tanze nocive nel suolo. La pioggia acida ha danneggiato vostra carriera futura.
fattura, che indica “25,0” quando in realtà contiene circa 27 mL. Se si riuscisse a
identificare questo errore sistematico mediante un procedimento di taratura, si po-
trebbe correggere tutte le misure di volume ottenute con quel cilindro. La taratura
degli strumenti è una parte essenziale della misurazione diligente.
65 mg 1g 1kg
× × 3 × 3
1 goccia 10 mg 10 g
= 3,0 ×103 kg
Tabella 2.1 Alcune proprietà del sodio, del cloro e del cloruro di sodio
Proprietà Sodio + Cloro Cloruro di sodio
Per esempio:
un campione di ammoniaca è costituito da 14 parti di N e da 3 parti
di H in massa; N
1 atomo di N ha una massa pari a 14 volte la massa di 1 atomo di H;
H
perciò, 1 molecola di ammoniaca è formata da 1 atomo di N e 3 atomi
di H.
Un’altra caratteristica che definisce un composto è il fatto che le sue proprietà sono
diverse da quelle degli elementi componenti. La Tabella 2.1 presenta un esempio sor-
prendente. Il sodio, un metallo tenero di colore argenteo, e il cloro, un gas tossico
di colore giallo-verde, hanno proprietà molto diverse da quelle del composto che
formano: il cloruro di sodio cristallino, bianco, il comune sale da cucina! A differen-
za di un elemento, un composto può essere scomposto in sostanze più semplici: gli
elementi componenti. Per esempio, una corrente elettrica fatta passare attraverso
il cloruro di sodio fuso lo scompone in sodio metallico e in cloro gassoso. È im-
portante notare che questa scomposizione è una trasformazione chimica, non una
trasformazione fisica.
La Figura 2.1D illustra una miscela, un gruppo di due o più sostanze (elementi
e/o composti) che sono mescolati fisicamente. A differenza di un composto, i compo-
nenti di una miscela possono variare nelle loro parti in massa. Una miscela, non avendo
una composizione fissa, non è una sostanza. Per esempio, una miscela dei due com-
posti cloruro di sodio e acqua può avere molti differenti rapporti delle masse sale/
acqua. Poiché i componenti sono miscelati fisicamente, non combinati chimicamente,
una miscela, su scala atomica, è semplicemente un gruppo delle unità individuali che
costituiscono gli elementi e i composti componenti. Perciò, una miscela conserva molte
delle proprietà dei suoi componenti. Per esempio, l’acqua salata è incolore come l’acqua
e ha un sapore salato come il cloruro di sodio. A differenza dei composti, le miscele
possono essere separate nei loro componenti mediante trasformazioni fisiche; non sono
necessarie trasformazioni chimiche. In questo caso, l’acqua presente nell’acqua salata
può essere fatta evaporare mediante ebollizione, un processo fisico che separa il clo-
ruro di sodio dall’acqua.
Come si può vedere, la somma delle frazioni in massa (o delle percentuali in massa)
è uguale a 1,00 parte (o a 100%) in massa. La legge della composizione definita e
costante dice che i campioni puri di carbonato di calcio contengono sempre gli
stessi elementi nelle stesse percentuali in massa (Figura 2.3).
Poiché un dato elemento costituisce sempre la stessa frazione in massa di un
dato composto, possiamo usare la frazione in massa per trovare la massa effettiva
dell’elemento in qualsiasi campione del composto:
Verifica L’analisi ha mostrato che la maggior parte della massa della pechblenda è dovuta
all’uranio e quindi la grande massa di uranio ha senso. Arrotondando per verificare il proce-
dimento matematico, otteniamo:
70
100 kg pechblenda × = 82 kg uranio
85
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.1 Quante tonnellate (t) di ossigeno
sono combinate in un campione di pechblenda che contiene 2,3 t di uranio? (Suggerimento:
si ricordi che l’ossigeno è l’unico altro elemento presente).
Proporzioni multiple
Dalton descrisse un fenomeno che si produce quando due elementi formano più
di un composto. La sua osservazione è detta oggi legge delle proporzioni mul-
tiple: se gli elementi A e B reagiscono per formare due composti, le differenti masse di
B che si combinano con una massa fissa di A possono essere espresse come rapporti di
numeri interi piccoli. Consideriamo, per esempio, due composti che si formano a
partire da carbonio e ossigeno; per il momento li chiamiamo ossidi di carbonio I e
II. Questi composti hanno proprietà molto diverse. Per esempio, la densità, misurata
alla stessa temperatura e alla stessa pressione, dell’ossido di carbonio I è 1,25 g/L,
mentre quella dell’ossido di carbonio II è 1,98 g/l. Inoltre, l’ossido di carbonio I
è tossico e infiammabile, mentre l’ossido di carbonio II non ha queste proprietà.
L’analisi indica che le loro composizioni in massa sono
ossido di carbonio I: 57,1% in massa di ossigeno e 42,9% in massa di carbonio
ossido di carbonio II: 72,7% in massa di ossigeno e 27,3% in massa di carbonio
Per osservare il fenomeno delle proporzioni multiple, usiamo le percentuali in mas-
sa di ossigeno e di carbonio in ciascun composto per trovare le masse di questi
elementi in una data massa, per esempio 100 g, di ciascun composto. Poi dividiamo
la massa di ossigeno per la massa di carbonio in ciascun composto per ottenere la
massa di ossigeno che si combina con una massa fissa di carbonio:
La legge delle proporzioni multiple dice che in due composti degli stessi due ele-
menti la frazione in massa di uno dei due elementi rispetto all’altro varia in incre-
menti basati su rapporti di numeri interi piccoli. In questo caso, il rapporto è 2:1; per
una data massa di carbonio, l’ossido di carbonio II contiene 2 volte la massa di ossi-
geno contenuta nell’ossido di carbonio I, non 1,583 volte o 1,716 volte, né qualsiasi
altra quantità intermedia. Come vedremo tra poco, la teoria di Dalton permette di
spiegare su scala atomica la composizione degli ossidi di carbonio I e II.
elemento. Come base per queste masse relative, Dalton assegnò massa 1 all’atomo di
idrogeno, la sostanza di massa più piccola (“più leggera”) che si conosca. Poi, basan-
dosi sull’opera di Lavoisier, che aveva mostrato che l’acqua contiene 8 g di ossigeno
per ogni grammo di idrogeno, Dalton assegnò massa relativa 8 all’atomo di ossigeno.
Ma questa massa relativa sarebbe corretta soltanto se una molecola d’acqua avesse 1
atomo di ossigeno per ogni atomo di idrogeno:
1 atomo di ossigeno (massa relativa 8) 8
equivale a (rapporto delle masse)
1 atomo di idrogeno (massa 1) 1
Però, alcuni altri ricercatori, misurando i volumi di gas che reagiscono tra loro, tro-
varono che 2 L di idrogeno gassoso reagivano con 1 L di ossigeno gassoso. Questo
risultato implicava che una molecola d’acqua aveva 1 atomo di ossigeno per ogni 2
atomi di idrogeno e, perciò, che l’ossigeno aveva massa relativa 16:
1 atomo di ossigeno (massa relativa 16) 16 8
= equivale a (rapporto delle masse)
2 atomi di idrogeno (massa 1 ciascuno) 8 1
Quale delle due masse relative era quella corretta? Sorsero molti conflitti simili con
altri elementi e occorsero decenni per risolverli. Infine, poco dopo il Congresso di
Karlsruhe nel settembre del 1860, a cui parteciparono oltre 140 dei più eminenti
chimici dell’epoca, venne accettato un elenco di elementi con masse atomiche rela-
tive accurate – 16 per l’ossigeno, 12 per il carbonio e così via – e furono introdotte
nell’uso comune formule chimiche quali H2O per l’acqua, NH3 per l’ammoniaca e
CH4 per il metano. Il modello atomico di Dalton ebbe un’importanza cruciale per
questo sviluppo della conoscenza chimica perché propose l’ipotesi che le masse
degli elementi reagenti potessero essere spiegate in termini di atomi.
Poco dopo, però, il modello di Dalton si dimostrò troppo limitato. Non era in
grado di spiegare perché gli elementi si combinano come fanno: perché, per esem-
pio, 2, non 3, atomi di H si combinano con 1 atomo di O in una molecola d’acqua?
Inoltre, il modello dell’atomo di Dalton, basato su “palle da biliardo”, non era in gra-
do di spiegare le particelle elettricamente cariche che sarebbero presto comparse
in molti esperimenti. Per comprendere queste osservazioni era necessario un più ATOMI? ALLUCINAZIONI!
complesso modello dell’atomo.
poteva osservare un “raggio” che andava a incidere sulla superficie terminale del
tubo rivestita internamente di un fosfòro, che emetteva luce nel punto colpito
dal raggio. Questi “raggi” furono chiamati raggi catodici in quanto si originavano
all’elettrodo negativo (catodo) e si propagavano fino all’elettrodo positivo (anodo).
Si osservò che essi si propagavano rettilineamente e potevano essere deviati (o
deflessi) da un campo magnetico o da un campo elettrico, ed erano identici, indi-
pendentemente da quale fosse il metallo di cui era fatto il catodo. Le indagini sulle
proprietà dei raggi catodici sono riassunte nella Figura 2.5. Si giunse alla conclusio-
ne che i raggi catodici sono costituiti da particelle cariche negativamente, che sono
1
raggio catodico
OSSERVAZIONE CONCLUSIONE
Figura 2.5 Esperimenti per determinare le proprietà dei raggi catodici. Si genera un raggio catodico quando si applica
un’elevata differenza di potenziale elettrico (tensione elettrica) tra gli elettrodi inseriti in un tubo in cui è stato fatto un vuoto
spinto. Un foro nell’anodo permette al raggio catodico di attraversare questo elettrodo e di andare a colpire l’estremità del tubo
rivestita di fosfòri in un punto che, di conseguenza, emette luce. In assenza di un campo elettrico o magnetico esterno, il raggio
catodico si propaga in linea retta. 1. Il raggio catodico devia in presenza di un campo magnetico esterno e quindi deve essere
costituito da particelle cariche.
2. In presenza di un campo elettrico esterno, il raggio catodico devia verso la placca positiva, e quindi la carica delle particelle
da cui è costituito deve essere negativa. 3. Qualunque sia il materiale di cui è fatto il catodo, il raggio catodico generato è identi-
co e quindi queste particelle devono far parte di tutta la materia: particelle universali cariche negativamente.
I raggi X determinano
l’emissione di elettroni
dalle molecole di gas
nell’aria, e gli elettroni vengono
catturati dalla goccia
Le placche
()
elettricamente cariche
influenzano il moto
della goccia
()
L’osservatore Sorgente
cronometra il moto di raggi X
della goccia e regola
l’intensità del campo elettrico
Figura 2.6 Esperimento della goccia d’olio di Millikan per misurare la carica dell’elettrone. Il moto di una data goccia d’o-
lio dipende dalla variazione del campo elettrico e dalla carica totale che essa porta, la quale, a sua volta, dipende dal numero
di elettroni catturati dalla goccia. Secondo il ragionamento di Millikan, la carica totale della goccia doveva essere un multiplo,
secondo un numero intero, della carica dell’elettrone.
C Risultato reale
Foglio d’oro
particelle D
Si osservano incidenti
assai raramente
grandi deviazioni
delle particelle D Si osservano
deviazioni molto
Si osservano sporadicamente piccole o nulle
grande piccola
piccole deviazioni delle delle particelle D deviazione deviazione
particelle D
piccolo, denso, carico positivamente, presente all’interno degli atomi dell’oro. Con-
siderando la massa, la carica elettrica e la velocità delle particelle α, la frequenza di
• Le tre particelle suba
tomiche più importanti in
queste deviazioni secondo un grande angolo e le proprietà degli elettroni, Rutherford chimica Di tutte le particelle
calcolò che un atomo è costituito in prevalenza da spazio occupato da elettroni, ma in po- subatomiche scoperte (secondo il
conteggio più recente, oltre 40),
sizione centrale in questo spazio c’è una piccola regione, da lui chiamata nucleo, che
l’elettrone, il protone e il neutrone
contiene tutta la carica positiva ed essenzialmente tutta la massa dell’atomo. Rutherford sono le più importanti in chimi-
formulò l’ipotesi che nel nucleo fossero presenti particelle positive che chiamò pro- ca perché sono molto longeve. La
toni e poi calcolò con notevole accuratezza il valore della carica nucleare. Il modello teoria ipotizza che il protone e il
di Rutherford spiegava la natura elettricamente carica della materia, ma non era in neutrone, quando sono legati nel
nucleo, siano stabili almeno per
grado di spiegare tutta la massa dell’atomo. Questo problema fu risolto soltanto 20
1030 anni. L’elettrone è considerato
anni dopo, nel 1932, quando il fisico inglese James Chadwick (1891-1974) scoprì il eterno.
neutrone, una particella densa, elettricamente neutra, situata anch’essa nel nucleo.
Struttura dell’atomo
Un atomo è un’entità sferica, elettricamente neutra, costituita da un nucleo cen-
trale carico positivamente, circondato da uno o più elettroni carichi negativa-
mente (Figura 2.8). Gli elettroni si muovono rapidamente nel volume atomico
disponibile, ivi trattenuti dall’attrazione esercitata su di essi dal nucleo. Il nucleo
è estremamente denso: contribuisce in misura del 99,97% alla massa dell’atomo
ma occupa soltanto circa un decimillesimo di miliardesimo del suo volume. (Un
nucleo che avesse il diametro di un punto in questa pagina avrebbe una massa di
circa 100 t, pari a quella di 50 automobili!). Il diametro di un atomo (10−10 m)
è pari a circa 10 000 volte il diametro del suo nucleo (10−14 m).
Un nucleo atomico è costituito da protoni e neutroni, eccettuato il nucleo più sem-
plice, quello dell’idrogeno, che è costituito da un singolo protone. Il protone (p+) ha
una carica positiva e il neutrone (n0) è privo di carica; perciò, la carica positiva del
nucleo è dovuta alla carica complessiva dei suoi protoni. Il valore assoluto della carica
posseduta da un protone è uguale a quello della carica di un elettrone (e−), ma i
segni delle due cariche sono opposti. Un atomo è neutro perché il numero di protoni nel
nucleo è uguale al numero di elettroni attorno al nucleo. Alcune proprietà di queste tre
particelle subatomiche sono elencate nella Tabella 2.2. Figura 2.8 Caratteristiche
generali dell’atomo. A. Una
“nuvola” di elettroni carichi
negativamente, in rapido movi-
| 1010 m | 1014 m mento, occupa pressoché tutto
il volume atomico e circonda il
minuscolo nucleo centrale. B. Il
nucleo contiene pressoché tutta
la massa dell’atomo ed è costi-
tuito da protoni carichi positiva-
mente e da neutroni elettrica-
mente neutri. Se il nucleo aves-
protone, p se effettivamente le dimensioni
nucleo elettroni, e (carica positiva)
(carica negativa) indicate nella figura (diametro
neutrone, n0 1 cm), l’atomo avrebbe un
(neutro)
diametro di circa 100 m, lieve-
mente superiore alla lunghezza
A Atomo B Nucleo
di un campo di calcio.
Tutti questi isotopi del carbonio hanno 6 protoni e 6 elettroni. La Figura 2.9 indica il numero
numero atomico, il numero di massa e il simbolo di quattro atomi, due dei quali sono di massa
A
X
(numero di
isotopi dello stesso elemento. Un punto essenziale che noteremo molte volte è che le simbolo
p numero
atomico
proprietà chimiche di un elemento sono determinate principalmente dal numero di di n0)
Z
elettroni, e quindi tutti gli isotopi di un elemento hanno un comportamento chimico quasi numero
identico, anche se hanno differenti masse. atomico
(numero di p)
6e
Determinazione del numero di particelle subatomiche negli isotopi 6p 12
di un elemento 6n0
6 C
Problema Il silicio (Si) è essenziale per l’industria dei computer come principale compo-
8e
nente dei chip (piastrine) di semiconduttore su cui vengono realizzati i microprocessori. Ha
tre isotopi naturali: 28Si, 29Si e 30Si. Si determini il numero di protoni, neutroni ed elettroni 8p 16
8n0 O
8
in ciascun isotopo del silicio.
Piano Il numero di massa (A) di ciascuno dei tre isotopi è dato, quindi conosciamo la somma un atomo di ossigeno-16
del numero di protoni e del numero di neutroni. Consultando la tavola periodica degli ele-
menti riportata nell’Appendice H, troviamo il numero atomico (Z, il numero di protoni), che
è uguale al numero di elettroni. Otteniamo il numero di neutroni mediante l’Equazione 2.2. 92e
Risoluzione In base all’elenco degli elementi, il numero atomico del silicio è 14. Perciò,
92p
28
Si ha 14p+, 14e−, 14n0 (dati da 28 − 14) 143n0
235
92 U
29
Si ha 14p+, 14e−, 15n0 (dati da 29 − 14)
30
Si ha 14p+, 14e−, 16n0 (dati da 30 − 14)
un atomo di uranio- 235
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.2 Quanti protoni, neutroni ed elet-
11 41 131
troni vi sono in (a) 5Q? (b) 20X? (c) 53Y? Quali simboli atomici sono rappresentati da Q, X e Y? 92e
La massa di un atomo è misurata in modo più facile relativamente alla massa di un 92p 238
campione atomico prescelto. Il moderno campione di massa atomica è la massa 146n0 92 U
dell’atomo di carbonio-12. Per definizione, essa è pari esattamente a 12 unità di
1
massa atomica. Perciò, l’unità di massa atomica (u) è 12 della massa dell’atomo
1
di carbonio-12. In base a questo campione, l’atomo di H ha una massa di 1,008 u; un atomo di uranio- 238
in altre parole, un atomo di 12C ha una massa quasi 12 volte quella di un atomo di
1
H. L’unità di massa atomica è chiamata anche dalton (Da); perciò, 1 atomo di 12C Figura 2.9 Rappresentazione
dell’atomo. Sono mostrati gli
ha una massa di 12 Da (o di 12 u). L’unità di massa atomica, che è un’unità di massa
atomi di carbonio-12, ossige-
relativa, equivale a una massa assoluta di 1,66054 × 10−24 g. no-16, uranio-235 e uranio-238
La costituzione isotopica di un elemento viene determinata mediante la spet- (i nuclei non sono rappresentati
trometria di massa, un metodo per misurare con grande accuratezza le masse e in scala) con le loro rappresen-
le abbondanze relative delle particelle su scala atomica (vedi scheda Strumenti di tazioni simboliche. La somma
del numero di protoni (Z) e del
laboratorio a pagina 46). Per esempio, usando uno spettrometro di massa, si misura
numero di neutroni (N) è ugua-
il rapporto delle masse 28Si/12C come le al numero di massa (A). Un
massa dell’atomo di 28 Si atomo è elettricamente neutro,
= 2,331411 e quindi il numero di protoni
massa dell’atomo di 12 C assunta come campione
nel nucleo è uguale al numero
Da questo rapporto delle masse si ottiene la massa isotopica dell’atomo di 28Si, la di elettroni attorno al nucleo. I
massa dell’isotopo relativa alla massa dell’isotopo carbonio-12 assunto come campione: due atomi di uranio sono isotopi
dell’elemento.
massa isotopica di 28
Si = rapporto delle masse misurato × massa di 12
C
= 2,331411 × 12 u = 27,97693 u
Insieme alla massa isotopica, lo spettrometro di massa dà l’abbondanza (frazione) re-
lativa di ciascun isotopo in un campione dell’elemento. Per esempio, l’abbondanza
percentuale di 28Si è pari a 92,23%. Queste misurazioni forniscono dati per ottenere
la massa atomica (detta anche peso atomico) di un elemento, la media delle masse
dei suoi isotopi naturali ponderata secondo le rispettive abbondanze.
Ogni isotopo naturale di un elemento contribuisce con una certa percentuale
alla massa atomica. Per esempio, abbiamo detto che il 92,23% degli atomi di Si è
Piano Partendo dalla massa e dall’abbondanza dei due isotopi di Ag, dobbiamo trovare la
massa (g) di ciascun isotopo massa atomica di Ag (media ponderata delle masse isotopiche). Moltiplichiamo ciascuna
massa isotopica per la sua abbondanza frazionaria per trovare il contributo di ciascun isoto-
moltiplicare per l’abbondanza po alla massa atomica. La somma dei contributi dei due isotopi è la massa atomica.
frazionaria di ciascun isotopo
Risoluzione Determinazione del contributo di ciascun isotopo alla massa atomica:
contributo alla massa atomica contributo di Ag alla massa atomica = massa isotopica × abbondanza frazionaria
107
di ciascun isotopo = 106,90509 u × 0,5184 = 55,42 u
contributo di 109Ag alla massa atomica = 108,90476 u × 0,4816 = 52,45 u
sommare i contributi
isotopici Determinazione della massa atomica dell’argento:
in modo da conservare la sua utilità. Riesaminiamo la teoria atomica alla luce di ciò che
conosciamo oggi.
• L’eresia della “trasmuta
zione” radioattiva Nel 1902,
Ru ther
ford eseguì una serie di
1. Tutta la materia è costituita da atomi. Oggi sappiamo che gli atomi sono divisibili esperimenti con elementi radio-
e sono costituiti da particelle subatomiche più piccole (elettroni, protoni e attivi che sconvolsero il mondo
neutroni), ma l’atomo è ancora la particella ultima di ogni elemento, la quale scientifico. Quando un atomo
mantiene inalterata la sua identità nelle reazioni chimiche. radioattivo di torio (Z = 90) emet-
te una particella α (Z = 2), diventa
2. Gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di un altro elemento un atomo di radio (Z = 88), che
in una reazione chimica. Oggi sappiamo che nelle reazioni nucleari gli atomi di poi emette un’altra particella α e
un elemento si convertono spesso in atomi di un altro elemento, ma ciò non diventa un atomo di radon (Z = 86).
avviene mai in una reazione chimica. Rutherford ipotizzò che, quando un
3. Tutti gli atomi di un elemento hanno lo stesso numero di protoni e di elettroni, che atomo emette una particella α, si
trasformi in un atomo differente: un
determina il comportamento chimico dell’elemento. Oggi sappiamo che gli isotopi elemento si trasforma in un altro!
di un elemento differiscono nel numero di neutroni, e quindi nel numero di Molti considerarono questa conclu-
massa, ma un campione dell’elemento è trattato come se i suoi atomi avessero sione come un ritorno all’alchimia
una massa media. e, come nel caso della scoperta di
4. I composti sono formati dalla combinazione chimica di due o più elementi in rapporti Thomson del fatto che gli atomi
contengono particelle più piccole, i
specifici. Oggi sappiamo che alcuni composti possono presentare lievi varia- risultati di Rutherford furono accol-
zioni dei rapporti dei loro atomi, ma questo postulato rimane essenzialmente ti con scetticismo.
invariato.
Il modello continua a essere riveduto. Anche se abbiamo fiducia nella distribuzione REAZIONI NUCLEARI
degli elettroni nell’atomo (Capitoli 7 e 8), le interazioni tra protoni e neutroni nel E LORO APPLICAZIONI
nucleo sono ancora sulla frontiera della ricerca.
rivelatore
particelle Ne
21
Ne
20
Ne
particelle più “leggere”
2 Se necessario, un nel campione
riscaldatore vaporizza
il campione 19 20 21 22
3 Il fascio di elettroni fascio di particelle cariche B massa/carica
determina l’emissione
1 Il campione è di elettroni dagli atomi 22
Ne 20
Ne
introdotto (vedi Figura S2.1) 100 (90,5%)
abbondanza percentuale
40
Sorgente
22
di elettroni Ne
20 21
Ne (9,2%)
(0,3%)
5 Il campo magnetico separa
le particelle secondo il loro 20 21 22
rapporto massa/carica C massa/carica
A
4 Il campo elettrico magnete
accelera le particelle
cariche verso la regione
dov’è presente
il campo magnetico
4 K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr
39,10 40,08 44,96 47,88 50,94 52,00 54,94 55,85 58,93 58,69 63,55 65,39 69,72 72,61 74,92 78,96 79,90 83,80
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
5 Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe
85,47 87,62 88,91 91,22 92,91 95,94 (98) 101,1 102,9 106,4 107,9 112,4 114,8 118,7 121,8 127,6 126,9 131,3
55 56 57 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
6 Cs Ba La Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn
132,9 137,3 138,9 178,5 180,9 183,9 186,2 190,2 192,2 195,1 197,0 200,6 204,4 207,2 209,0 (209) (210) (222)
87 88 89 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117
118
7 Fr Ra Ac Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn Nh Fl Mc Lv Ts Og
(223) (226) (227) (265) (268) (271) (270) (277) (276) (281) (280) (285) (284) (289) (288) (293) (294) (294)
Figura 2.10 La tavola periodica moderna. La tavola periodica è costituita da caselle degli elementi organizzate secondo il
numero atomico crescente in gruppi (colonne verticali) e periodi (righe orizzontali). Ogni casella contiene il numero atomico, il
simbolo atomico e la massa atomica. (Una massa tra parentesi è il numero di massa dell’isotopo più stabile di quell’elemento). I
periodi sono numerati da 1 a 7. I gruppi (detti anche famiglie) hanno una designazione alfanumerica e un nuovo numero del grup-
po tra parentesi. I gruppi A sono gli elementi dei gruppi principali; i gruppi B sono gli elementi di transizione. Due serie di elementi
di transizione interna sono poste sotto il corpo principale della tavola ma in realtà si inseriscono tra gli elementi indicati. I metalli
sono situati al di sotto e a sinistra della linea a “scalinata” a tratto spesso [che decorre dalla sommità di 3A(13) al fondo di 6A(16)]
e comprendono i metalli dei gruppi principali (violetto-blu), gli elementi di transizione (blu) e gli elementi di transizione interna
(grigio-blu). I non metalli (giallo) sono situati a destra della linea. I metalloidi (verde) sono situati lungo la linea. Esamineremo la
posizione dell’idrogeno nel Capitolo 14.
divisione per questa classificazione. I metalli (tre sfumature di blu) compaiono nella
parte grande, in basso a sinistra, della tavola. Circa 3/4 degli elementi sono metalli,
comprendenti molti elementi dei gruppi principali e tutti gli elementi di transizio-
ne e gli elementi di transizione interna. I metalli sono generalmente solidi lucenti a
temperatura ambiente (il mercurio è l’unico liquido) che conducono bene il calore e
l’elettricità e possono essere lavorati e trasformati in lamine (sono malleabili) e in fili
(sono duttili). I non metalli (in giallo) compaiono nella parte piccola, in alto a destra,
della tavola. Sono di solito gas o solidi fragili, di colore smorto, a temperatura ambien-
te (il bromo è l’unico liquido) che conducono male il calore e l’elettricità. Lungo la
linea a scalinata sono situati i metalloidi (o semimetalli) (in verde), elementi che
hanno proprietà che si situano tra quelle dei metalli e quelle dei non metalli. Parecchi
metalloidi svolgono ruoli importanti nell’elettronica moderna. La Figura 2.11 mostra
alcuni esempi di queste tre classi di elementi.
Due branche principali della chimica possono essere definite mediante gli ele-
menti che ciascuna di esse studia. La chimica organica studia i composti del carbo-
nio, specialmente quelli che contengono idrogeno e spesso anche ossigeno, azoto e
qualche altro elemento. Questa branca della chimica studia i combustibili, i farmaci,
i coloranti, i polimeri e simili. La chimica inorganica, d’altra parte, concentra l’atten-
zione principalmente sui composti di tutti gli altri elementi. Studia i catalizzatori,
i materiali elettronici, le leghe metalliche, i sali minerali e simili. Con la crescita
esplosiva della ricerca biomedica e della ricerca sui materiali, la distinzione tra que-
ste branche tradizionali sta scomparendo rapidamente.
È importante imparare alcuni dei nomi dei gruppi (delle famiglie). Il Gruppo
1A(1), eccettuato l’idrogeno, è costituito dai metalli alcalini, e il Gruppo 2A(2) è
costituito dai metalli alcalino-terrosi. Entrambi i gruppi di metalli sono elementi
altamente reattivi. Gli alogeni, Gruppo 7A(17), sono non metalli altamente reattivi,
mentre i gas nobili, Gruppo 8A(18), sono non metalli relativamente non reattivi.
Gli altri gruppi principali [3A(13) ÷ 6A(16)] sono spesso denominati con il primo
elemento del gruppo; per esempio, il Gruppo 6A è la famiglia dell’ossigeno.
Cadmio
Rame Piombo
Cromo Bismuto
METALLI
Arsenico
Tellurio Zolfo
Boro
Carbonio
(grafite) Iodio
Figura 2.11 Metalli, metalloidi e non metalli. (© McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).
Il punto essenziale su cui ritorneremo molte volte è che, in generale, gli elementi in
un gruppo hanno proprietà chimiche simili e gli elementi in un periodo hanno proprietà
chimiche differenti. Cominceremo ad applicare il potere organizzatore della tavola
periodica nel paragrafo seguente, dove vedremo come gli elementi si combinano
per formare composti.
11p
12n0
11p
cede un elettrone 10e
12n0
ione sodio (Na )
11e D Il composto (visto su E Il composto (visto
atomo di sodio (Na) C Trasferimento scala atomica): in laboratorio):
di un elettrone Na e Cl nel cristallo cristallo di cloruro di sodio
La forza del legame ionico dipende in larga misura dall’entità complessiva di queste
attrazioni e repulsioni ed è descritta dalla legge di Coulomb, secondo cui due cariche
elettriche puntiformi esercitano l’una sull’altra una forza diretta secondo la loro con-
giungente, attrattiva o repulsiva a seconda che esse abbiano segno opposto oppure
lo stesso segno, di intensità direttamente proporzionale al valore di esse e inversa-
mente proporzionale al quadrato della loro distanza reciproca. L’energia d’interazio-
ne coulombiana (attrazione o repulsione) corrispondente a questa forza è direttamente
FORMAZIONE DI UN
COMPOSTO IONICO proporzionale al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale alla loro distanza
reciproca:
carica 1× carica 2
energia ∝
distanza
dove il simbolo ∝ significa “proporzionale a”. In altre parole, gli ioni con cariche
maggiori si attraggono (o si respingono) più intensamente rispetto agli ioni con ca-
riche minori. Analogamente, gli ioni più piccoli si attraggono (o si respingono) più
intensamente rispetto agli ioni più grandi, perché le loro cariche sono più vicine
tra loro. Questi effetti sono riassunti nella Figura 2.13.
I composti ionici sono elettricamente neutri; cioè, la loro carica netta è nulla. Affinché
ciò avvenga, essi devono contenere numeri uguali di cariche positive e di cariche
negative. Ma ciò non significa che devono contenere numeri uguali di ioni positivi
e di ioni negativi. Poiché gli ioni Na+ e Cl− hanno ciascuno una carica unitaria (1+
o 1−), nel cloruro di sodio sono presenti numeri uguali di ioni positivi e di ioni
negativi. Però, nell’ossido di sodio, per esempio, la carica degli ioni ossido, O2−, è
neutralizzata da un numero doppio di ioni Na+.
Siamo in grado di prevedere il numero di elettroni che un dato atomo cederà o
acquisterà quando forma uno ione? Nella formazione del cloruro di sodio, per esempio,
perché ciascun atomo di sodio cede soltanto 1 dei suoi 11 elettroni? Perché ciascun
atomo di cloro non acquista 2 elettroni, invece di acquistarne soltanto 1? Nel caso di
un elemento del gruppo A, la tavola periodica offre una risposta. Si trova generalmente
che i metalli cedono elettroni e i non metalli acquistano elettroni per formare ioni con
lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino [Gruppo 8A(18)]. I gas nobili hanno
una stabilità (bassa reattività) che è correlata con il numero (e la disposizione) dei loro
elettroni. Un atomo di sodio (11e−) può raggiungere la stabilità del neon (10e−), il
gas nobile più vicino, cedendo 1 elettrone. Analogamente, un atomo di cloro (17e−),
acquistando un elettrone, raggiunge la stabilità dell’argon (18e−), il gas nobile più vici- 3A
2A )
no. Perciò, quando un elemento vicino a un gas nobile forma uno ione monoatomico, 7A 8A 1A (1 3
(1 7) (1 8) (1 ) (2)
acquista o cede elettroni in numero tale da raggiungere lo stesso numero di elettroni di quel 5A
6A
gas nobile. Specificamente, gli elementi del Gruppo 1A(1) cedono 1 elettrone, quelli
(1 5)
(1 6) H He Li
3
del Gruppo 2A(2) cedono 2 elettroni e l’alluminio nel gruppo 3A(13) ne cede 3; gli N3 2 Al
O2 F
Ne Na
Mg
elementi del Gruppo 7A(17) acquistano 1 elettrone, l’ossigeno e lo zolfo nel Gruppo
2
S2
6A(16) acquistano 2 elettroni e l’azoto nel Gruppo 5A(15) ne acquista 3. Cl Ar K
Ca
Con la tavola periodica stampata su una superficie bidimensionale, come nel- 2
la Figura 2.10, è facile formarsi la falsa impressione che gli elementi del Gruppo Br Kr Rb
Sr
7A(17) siano “più vicini” ai gas nobili di quanto siano gli elementi del Gruppo 2
1A(1). In realtà, i due gruppi distano soltanto 1 elettrone dall’avere lo stesso nu-
I Xe Cs
Ba
mero di elettroni dei gas nobili. Per chiarire questo punto, la Figura 2.14 presenta
una tavola periodica modificata che è stata tagliata e ricongiunta, con i gas nobili Figura 2.14 La relazione tra
nel centro. Ora si può vedere che il fluoro (F; Z = 9) ha 1 elettrone in meno e il ioni formati e il gas nobile
sodio (Na; Z = 11) ha 1 elettrone in più rispetto al gas nobile neon (Ne; Z = 10); più vicino. La tavola periodi-
perciò, essi formano gli ioni F− e Na+. Analogamente, l’ossigeno (O; Z = 8) acquista ca è stata qui ridisegnata per
mostrare le posizioni relative
2 elettroni e il magnesio (Mg; Z = 12) cede due elettroni per formare gli ioni O2− e dei non metalli (giallo) e i
Mg2+ e raggiungere lo stesso numero di elettroni del neon. metalli (blu) rispetto ai gas
nobili e per mostrare gli ioni
formati da questi elementi. La
Previsione dello ione formato da un elemento carica ionica è uguale al nume-
ro degli elettroni ceduti (+) o
PROBLEMA DI VERIFICA 2.4 acquistati (−) per raggiungere
Problema Quali ioni monoatomici sono formati dai seguenti elementi? lo stesso numero di elettroni
(a) Iodio (Z = 53) (b) Calcio (Z = 20) (c) Alluminio (Z = 13) del gas nobile più vicino. Le
Piano Usiamo il valore dato di Z per trovare l’elemento nella tavola periodica e vedere dove specie situate nella stessa riga
è ubicato il suo gruppo rispetto ai gas nobili. Gli elementi dei gruppi situati dopo i gas nobili hanno lo stesso numero di elet-
troni. Per esempio, H−, He e Li+
cedono elettroni per raggiungere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino e
hanno 2 elettroni. [È importante
diventare ioni positivi; quelli dei gruppi situati prima dei gas nobili acquistano elettroni e
notare che H è collocato qui nel
diventano ioni negativi.
Gruppo 7A(17)].
e e Risoluzione (a) I− Lo iodio (53I) è un non metallo del Gruppo 7A(17), uno degli alogeni.
Come qualunque membro di questo gruppo, acquista 1 elettrone per avere lo stesso numero
p p di elettroni del membro del Gruppo 8A(18) più vicino, in questo caso 54Xe.
(b) Ca2+ Il calcio (20Ca) è un membro del Gruppo 2A(2), i metalli alcalino-terrosi. Come ogni
membro del Gruppo 2A, cede 2 elettroni per raggiungere lo stesso numero di elettroni del
A Nessuna interazione gas nobile più vicino, in questo caso 18Ar.
(c) Al3+ L’alluminio (13Al) è un metallo della famiglia del boro [Gruppo 3A(13)] e quindi cede
3 elettroni per raggiungere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino, 10Ne.
e e
p p PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 2.4 Quale ione monoatomico è forma-
to da ciascuno dei seguenti elementi?
(a) 16S (b) 37Rb (c) 56Ba
B Comincia l’attrazione
Analogamente, gli atomi di differenti elementi condividono elettroni per formare le mo-
lecole di un composto covalente. Per esempio, un campione di fluoruro di idrogeno
è costituito da molecole in cui un atomo di H forma un legame covalente con un
atomo di F; l’acqua è costituita da molecole in cui un atomo di O forma legami
covalenti con due atomi di H:
Come vedremo nel Capitolo 9, il legame covalente offre agli atomi un altro modo
di raggiungere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino.
Molti composti ionici contengono ioni poliatomici, costituiti da due o più atomi
legati covalentemente e hanno una carica netta positiva o negativa. Per esempio, il
composto ionico carbonato di calcio è una disposizione di anioni carbonato poli
atomici e di cationi calcio monoatomici che si attraggono reciprocamente. Lo ione
carbonato è costituito da un atomo di carbonio legato covalentemente a tre atomi ione carbonato
di ossigeno, e due elettroni addizionali conferiscono allo ione la sua carica 2− (Fi- CO32
gura 2.17). In molte reazioni, uno ione poliatomico resta unito come un tutt’uno
durante le interazioni con altri ioni. Figura 2.17 Uno ione poli
atomico. Il carbonato di
calcio è una disposizione tri-
dimensionale di cationi calcio
2.8 I COMPOSTI: FORMULE, NOMI E MASSE monoatomici (sfere violette) e
anioni carbonato poliatomici.
I nomi e le formule dei composti costituiscono il vocabolario del linguaggio chi- Come mostra la struttura in
mico; è giunto il momento di cominciare a parlare e scrivere questo linguaggio. In basso, ciascuno ione carbonato
questo paragrafo imparerete i nomi e le formule dei composti ionici e dei composti è costituito da quattro atomi
covalenti semplici e come si calcola la massa di un’unità di un composto partendo legati covalentemente. (Foto: ©
papa1266/Shutterstock.com).
dalla sua formula.
Tabella 2.3 Ioni monoatomici Qualche consiglio sull’apprendimento dei nomi e delle formule
comuni*
Forse nel futuro i nomi sistematici dei composti saranno usati da tutti. Però,
Carica Formula Nome molti manuali di consultazione, cataloghi di prodotti chimici e i chimici di pro-
Cationi fessione continuano a usare molti nomi comuni e quindi è opportuno imparare
1+ H+ Idrogeno anche quest’ultimi.
Li+ Litio Ecco alcuni punti da notare riguardo alle formule ioniche.
Na+ Sodio
K+ Potassio • I membri di un gruppo della tavola periodica hanno la stessa carica ionica;
Cs+ Cesio per esempio, Li, Na e K appartengono al Gruppo 1A e hanno una carica 1+.
Ag+ Argento • Nel caso dei cationi del Gruppo A, carica ionica = numero del gruppo; per
2 +
Mg 2+ Magnesio esempio, Na+ appartiene al Gruppo 1A, Ba2+ al Gruppo 2A. (Le eccezioni
Ca2+ Calcio nella Figura 2.18 sono Sn2+ e Pb2+).
Sr2+ Stronzio • Nel caso degli anioni, carica ionica = numero del gruppo meno 8; per
Ba2+ Bario esempio, S appartiene al Gruppo 6A (6 − 8 = −2), e quindi lo ione è S2−.
Zn2+ Zinco
Cd2+ Cadmio Ecco alcuni suggerimenti su come imparare i nomi e le formule.
3+ 3+
Al Alluminio 1. Memorizzate gli ioni monoatomici del Gruppo A della Tabella 2.3 (eccet-
Anioni tuati Ag+, Zn2+ e Cd2+) secondo le loro posizioni nella tavola periodica
1− H− Idruro della Figura 2.18. Questi ioni hanno lo stesso numero di elettroni di un
F− Fluoruro atomo del gas nobile più vicino.
Cl− Cloruro 2. Consultate la Tabella 2.4 per alcuni metalli che formano due differenti ioni
Br− Bromuro monoatomici.
I− Ioduro
3. Dividete le tabelle dei nomi e delle cariche in parti più piccole e imparate
2− O2− Ossido una parte al giorno. Provate a usare “schede” con il nome scritto su una fac-
S2− Solfuro
cia e la formula ionica sull’altra. Gli ioni più comuni sono scritti in neretto
3− N3− Nitruro nelle Tabelle 2.3, 2.4 e 2.5 affinché possiate impararli per primi.
* Elencati in ordine di carica; quelli
scritti in neretto sono i più comuni. Nomi e formule dei composti ionici
La formula di un composto ionico pone per primo lo ione positivo (catione),
seguito dallo ione negativo (anione). Il nome del composto ionico pone per
primo il nome dell’anione, seguito da quello del catione (con l’interposizione
della preposizione “di”).
Sn2
5 Rb Sr2 Ag Cd2 I
Sn4
Hg22 Pb2
6 Cs Ba2
Hg 2 Pb4
Poiché i composti ionici sono disposizioni di ioni carichi di segno opposto anziché
di unità molecolari separate, scriviamo una formula per l’unità formula, che in-
dica i numeri relativi di cationi e di anioni nel composto. Perciò, i composti ionici
hanno generalmente soltanto formule empiriche.* Il composto ha carica netta nulla,
e quindi le cariche positive dei cationi devono neutralizzare le cariche negative
degli anioni. Per esempio, il bromuro di calcio è costituito da ioni Ca2+ e ioni Br−;
perciò, 2 ioni Br− neutralizzano ciascuno ione Ca2+. La formula è CaBr2, non Ca2Br.
In questa e in tutte le altre formule:
Ca 2 + Br 1 − dà Ca1Br2 o CaBr2
* I composti dello ione mercurio(I), come Hg2Cl2, e i perossidi dei metalli alcalini, come Na2O2,
sono le uniche due eccezioni comuni. Le loro formule empiriche sono HgCl e NaO, rispettivamente.
Composti con metalli che formano più di uno ione Molti metalli, in par-
ticolare gli elementi di transizione (gruppi B), possono formare più di uno ione,
ciascuno con una particolare carica. La Tabella 2.4 presenta alcuni esempi. I nomi
dei composti contenenti questi elementi comprendono un numero romano tra
parentesi tonde immediatamente dopo il nome dello ione metallico per indicare la
carica ionica. Per esempio, il ferro può formare gli ioni Fe2+ e Fe3+. I due composti
formati dal ferro con il cloro sono FeCl2, denominato cloruro di ferro(II), e FeCl3,
denominato cloruro di ferro(III).
Nei nomi comuni, la radice latina del nome del metallo è seguita da uno di due
suffissi.
Tabella 2.4 Alcuni metalli che formano più di uno ione monoatomico*
Elemento Formula ionica Nome sistematico
− Nome comune
2+
Cromo Cr Cromo(II) Cromoso
Cr3+ Cromo(III) Cromico
Cobalto Co2+ Cobalto(II) Cobaltoso
Co3+ Cobalto(III) Cobaltico
Rame Cu+ Rame(I) Rameoso
Cu2+ Rame(II) Rameico
Ferro Fe2+ Ferro(II) Ferroso
Fe3+ Ferro(III) Ferrico
Piombo Pb2+ Piombo(II) Piomboso
Pb4+ Piombo(IV) Piombico
Mercurio Hg22+ Mercurio(I) Mercurioso
Hg2+ Mercurio(II) Mercurico
Stagno Sn2+ Stagno(II) Stannoso
Sn4+ Stagno(IV) Stannico
* Elencati alfabeticamente per nome del metallo; quelli scritti in neretto sono i più comuni.
Determinazione dei nomi e delle formule dei composti ionici Tabella 2.5 Ioni polioatomici
degli elementi che formano più di uno ione comuni*
Tabella 2.6 Prefissi numerici Per esempio, per i quattro ossoanioni del cloro,
per gli idrati
ClO4− è il perclorato, ClO3− è il clorato, ClO2− è il clorito, ClO− è l’ipoclorito
e i composti
covalenti binari Composti ionici idrati I composti ionici denominati idrati hanno un numero
Numero Prefisso specifico di molecole d’acqua associate a ciascuna unità formula. Nelle loro for-
1 mono- mule, questo numero è indicato dopo un punto a metà altezza della riga. Nel
2 di- nome sistematico è indicato con un prefisso numerico greco prima del nome idrato.
3 tri- Questi prefissi sono indicati nella Tabella 2.6. Per esempio, il minerale epsomite
4 tetra-
5 penta- (“sale inglese”) ha la formula MgSO4 ⋅ 7H2O e il nome solfato di magnesio eptaidrato.
6 esa- Analogamente, il minerale gesso ha la formula CaSO4 ⋅ 2H2O e il nome solfato di
7 epta- calcio diidrato. Le molecole d’acqua, dette “acqua di idratazione”, fanno parte della
8 octa- (otta-) struttura dell’idrato. Il riscaldamento è in grado di rimuoverne una parte o la tota-
9 nona-
lità, dando origine a una differente sostanza. Per esempio, le fotografie sottostanti
10 deca-
illustrano la conversione ottenuta per riscaldamento del solfato di rame(II) penta
idrato (CuSO4 ⋅ 5H2O) blu (a sinistra) in solfato di rame(II) (CuSO4) bianco (a destra).
Talvolta è buona pratica correggere i nomi o le formule che si sanno essere sbagliati.
Nomenclatura degli acidi Gli acidi sono un gruppo importante di composti con-
tenenti idrogeno che sono impiegati nelle reazioni chimiche da molto prima del
l’epoca degli alchimisti. In laboratorio, gli acidi sono impiegati di solito in soluzione
acquosa. Nella nomenclatura degli acidi e nella scrittura delle loro formule si può
considerarli come anioni legati a ioni idrogeno (H+) nel numero necessario per la
neutralità elettrica. I due tipi comuni di acidi sono gli acidi binari e gli ossiacidi.
1. Si forma una soluzione di un acido binario quando certi composti gassosi si
sciolgono in acqua. Per esempio, quando il cloruro di idrogeno gassoso (HCl)
si scioglie in acqua, forma una soluzione denominata acido cloridrico. Il nome
è formato dalle seguenti parti:
nome separato acido + radice del nome del non metallo + suffisso-idrico
acido + clor + idrico
ossia acido cloridrico. Questo schema di nomenclatura è valido per molti com-
posti in cui l’idrogeno si combina con un anione che ha un suffisso -uro.
2. I nomi degli ossiacidi sono simili a quelli degli ossoanioni, eccettuati due cam-
biamenti dei suffissi:
La massa molecolare di una molecola d’acqua (usando le masse atomiche con 4 cifre
significative prese dalla tavola periodica) è
massa molecolare di H2O = [2 × (massa atomica di H)] + [1 × (massa atomica di O)]
= (2 × 1,008 u) + 16,00 u
= 18,02 u
I composti ionici sono trattati nello stesso modo; però, poiché non sono costituiti
da molecole, per un composto ionico si usa il termine massa formula. Consideriamo
il nitrato di bario, Ba(NO3)2. Per calcolare la sua massa formula, si moltiplica il numero
di atomi di ciascun elemento tra parentesi per il pedice fuori delle parentesi:
massa formula di Ba(NO3)2 = [1 × (massa atomica di Ba)] + [2 × (massa atomica di N)]
+ [6 × (massa atomica di O)]
= 137,3 u + (2 × 14,01 u) + (6 × 16,00 u)
= 261,3 u
È importante notare che si usano masse atomiche, non masse ioniche. Anche se le
masse degli ioni differiscono da quelle dei rispettivi atomi per le masse degli elettroni,
il numero di elettroni ceduti è uguale al numero di elettroni acquistati nel composto e
quindi la massa degli elettroni ceduti e quella degli elettroni acquistati si compensano.
H
acido acetico H O
O O
(CH3COOH, 60,05 u), C H
H C C H
componente dell’aceto
H C O C
O
H H
C C C
H
C C O
H C H
H
acido acetilsalicilico
eme (C34H32FeN4O4, 616,49 u), (C9H8O4, 180,15 u), l’analgesico
componente della proteina più usato nel mondo
ematica emoglobina,
deputata al trasporto
dell’ossigeno ai tessuti
del corpo
Figura 2.20 La distinzione tra miscele e composti. A. Una miscela di ferro e zolfo può
essere separata con un magnete perché soltanto il ferro è magnetico. L’ingrandimento
mostra regioni separate dei due elementi. B. In seguito a un forte riscaldamento si forma il
composto solfuro di ferro(II), che non è più magnetico. L’ingrandimento mostra la struttu-
ra del composto, in cui non vi sono regioni separate degli elementi. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, photographer).
MATERIA
Qualunque cosa che abbia una massa e un volume
Esiste in tre stati di aggregazione: solido, liquido, gassoso
MISCELE
Due o più elementi o composti in proporzioni variabili
I componenti conservano le loro proprietà
TRASFORMAZIONI
FISICHE
Filtrazione
Estrazione
Distillazione
Cristallizzazione
Cromatografia
SOSTANZE PURE
Composizione fissa dovunque
Elementi Composti
• Costituiti da una sola specie di atomo • Due o più elementi combinati in
• Classificati come metalli, non frazione fissa in massa
metalli, o metalloidi • Le proprietà differiscono da quelle
• Il tipo più semplice di materia che ne degli elementi componenti
conserva le proprietà caratteristiche • La massa molecolare è la somma
• Possono esistere come singoli delle masse atomiche
atomi o come molecole
• La massa atomica è la media delle
masse isotopiche ponderata con
l’abbondanza
TRASFORMAZIONI CHIMICHE
Figura 2.21 Classificazione della materia da un punto di vista chimico. Le miscele vengono separate in elementi e composti
mediante trasformazioni fisiche. Sono necessarie trasformazioni chimiche per convertire gli elementi in composti e viceversa.
2.10 (a) HClO3; (b) acido fluoridrico; (c) CH3COOH (o C2H4O2); (c) tricloruro di bromo; Br è in un periodo superiore nel
(d) H2SO3; (e) acido ipobromoso Gruppo 7A(17) e quindi il suo nome è scritto per primo nella
2.11 (a) triossido di zolfo; (b) diossido di silicio; (c) N2O; (d) formula (e posto per secondo nel nome del composto)
SeF6 2.13 (a) H2O2, 34,02 u; (b) CsCl, 168,4 u; (c) H2SO4, 98,09 u;
2.12 (a) dicloruro di dizolfo; non è usato il suffisso -oso (d) K2SO4, 174,27 u
(b) NO; il nome indica 1 atomo di azoto
A contatto con
Figura S2.3 Filtrazione. il vetro freddo,
(Foto: © McGraw-Hill Education/ i vapori condensano
Stephen Frisch, photographer). per formare
distillato liquido
puro
refrigerante
raffreddato
ad acqua
20
18
Figura S2.7 Principio della cromatografia gas-liquido (GLC). A. La fase mobile (freccia violetta) trasporta il campione di
miscela in un tubo riempito della fase stazionaria (profilo grigio su sfere gialle), e ciascun componente si scioglie nella fase stazio-
naria in differente misura. Un componente (rosso) che si scioglie meno facilmente di un altro (blu) esce dal tubo più presto. B.Un
tipico cromatogramma gas-liquido di una miscela complessa presenta ciascun componente come un picco.
DA SAPERE PRIMA La chimica è una scienza pratica. Basta immaginare quanto potrebbe essere utile
• isotopi e massa atomica
determinare la formula di un composto in base alle masse dei suoi elementi o pre-
(Paragrafo 2.5) vedere le quantità di sostanze consumate e prodotte in una reazione. Supponete
• nomi e formule dei composti di essere un chimico dei polimeri che sta preparando una nuova materia plastica:
(Paragrafo 2.8)
• massa molecolare di un compo-
quanta di questa materia plastica sarà prodotta da una data reazione di polimeriz-
sto (Paragrafo 2.8) zazione? O supponete di essere un ingegnere chimico che sta studiano la spinta del
• significato di un modello scienti- motore di un razzo: che quantità di gas di scarico sarà prodotta da un test di questa
fico (Paragrafo 1.3)
• formula empirica e formula mole-
miscela combustibile? O immaginate di essere un membro di un’équipe di chimici
colare (Paragrafo 2.8) ambientali che stanno esaminando campioni di carbone fossile: che quantità di
• leggi di massa nelle reazioni inquinanti atmosferici sarà rilasciata da questo campione quando verrà bruciato? O
chimiche (Paragrafo 2.2)
immaginate di essere un ricercatore biochimico che ha estratto una nuova sostanza
antineoplastica da una pianta tropicale: qual è la sua formula e che quantità di pro-
dotti metabolici permetterà di stabilire una dose sicura? Si può rispondere a queste
domande e a una miriade di altre simili conoscendo la stechiometria (dal greco
stoicheion, “elemento”, e métron, “misura”), lo studio degli aspetti quantitativi delle
formule e delle reazioni chimiche.
IN QUESTO CAPITOLO svilupperete alcune abilità essenziali per l’attività del
chimico: mettere in relazione la massa di una sostanza con il numero di entità
chimiche (atomi, molecole o unità formula); convertire i risultati dell’analisi di
massa in una formula chimica; leggere, scrivere e pensare nel linguaggio delle
equazioni chimiche e applicare le informazioni quantitative contenute in esse.
Tutte queste abilità si basano sulla comprensione del concetto di mole, di im-
portanza fondamentale in tutta la chimica; quindi partiremo da qui.
3.1 LA MOLE
Nella vita quotidiana, misuriamo generalmente le cose contandole o determinan-
done la massa (“pesandole”) e scegliamo il metodo più conveniente per quel parti-
colare scopo. È più conveniente pesare i fagioli o il riso che contare i singoli fagioli
o chicchi di riso, ed è più conveniente contare le uova o le matite che pesarle. Per
effettuare queste misurazioni, si utilizza un’unità di massa (1 kg di riso) o un’unità
di conteggio (1 dozzina di uova). Analogamente, la vita quotidiana in laboratorio
è dedicata in parte alla misurazione di sostanze per preparare una soluzione o fare
svolgere una reazione. Però, quando si tenta di farlo, si incontra un problema ovvio.
Gli atomi, le molecole o le unità formula sono entità che reagiscono l’una con l’altra,
e quindi si vuole conoscere il numero di entità che si mescolano tra loro. Ma come
si possono contare unità che sono così piccole? I chimici, per contare le entità chimi-
che e determinarne la massa (pesandole), hanno ideato un’unità di misura detta mole.
sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbo-
nio-12 (12C). Questo numero è detto numero di Avogadro, in onore del fisico e
chimico italiano Amedeo Avogadro (1776-1856), e, com’è suggerito dalla definizio-
ne, ha un valore enorme:
1 mol contiene 6,022 × 1023 entità (con 4 cifre significative) (3.1)
Perciò,
1 mol di carbonio-12 contiene 6,022 × 1023 atomi di carbonio-12
1 mol di H2O contiene 6,022 × 1023 molecole di H2O
1 mol di NaCl contiene 6,022 × 1023 unità formula di NaCl
Però, la mole non è semplicemente un’unità di conteggio, come la decina o la doz- • Immaginate una mole di ...
Una mole di qualsiasi oggetto ordi-
zina, che specifica soltanto il numero di oggetti. La definizione della mole specifica il nario è una quantità sbalorditiva:
numero di oggetti in una massa fissa di sostanza. Perciò, 1 mol di una sostanza rappre- 1 mol di punti di interpunzione (.)
senta un numero fisso di entità chimiche e ha una massa fissa. Per vedere perché ciò è allineati consecutivamente avrebbe
una lunghezza pari al raggio della
importante, consideriamo le biglie nella Figura 3.1A, che useremo come analogia per
nostra Galassia; 1 mol di biglie
gli atomi. Supponiamo di avere un gruppo di biglie rosse e uno di biglie gialle, e che impilate l’una sull’altra coprirebbe
ciascuna biglia rossa abbia una massa di 7 g e ciascuna biglia gialla abbia una massa gli Stati Uniti con uno strato spesso
di 4 g. Sappiamo immediatamente che vi sono 12 biglie in 84 g di biglie rosse o in circa 115 km. Però, gli atomi e le
molecole non sono oggetti ordinari:
48 g di biglie gialle. Inoltre, poiché 1 biglia rossa ha una massa pari a 7/4 di quella
1 mol di molecole d’acqua (circa
di 1 biglia gialla, ogni dato numero di biglie rosse e di biglie gialle ha sempre questo 18 mL) può essere deglutita in un
rapporto delle masse 7:4. Per la stessa ragione, ogni data massa di biglie rosse e di solo sorso!
biglie gialle ha sempre un rapporto dei numeri 4:7. Per esempio, 280 g di biglie rosse
contengono 40 biglie, e 280 g di biglie gialle contengono 70 biglie. Come si può
vedere, le masse fisse delle biglie permettono di contarle determinandone la massa.
Anche gli atomi hanno masse fisse, e la mole offre un metodo pratico per
determinare il numero di atomi, di molecole o di unità formula in un campione
determinandone la massa. Concentriamo l’attenzione prima sugli elementi e tenia-
mo presente un punto essenziale presentato nel Capitolo 2: la massa atomica di
un elemento (che compare sulla tavola periodica) è la media ponderata delle masse
dei suoi isotopi naturali. Ai fini della determinazione della massa, si considera che
tutti gli atomi di un elemento abbiano questa massa atomica. Cioè, tutti gli atomi Figura 3.1 Conteggio di
oggetti di massa relativa fissa.
di ferro (Fe) hanno una massa atomica di 55,85 u, tutti gli atomi di zolfo (S) hanno A. Se le biglie avessero una
una massa atomica di 32,07 u e così via. massa fissa, potremmo contarle
La relazione fondamentale tra la massa di 1 atomo e la massa di 1 mol di quegli determinandone la massa (“pe-
atomi è che la massa atomica di un elemento, espressa in unità di massa atomica (u) sandole”). Ogni biglia rossa ha
una massa di 7 g e ogni biglia
è numericamente uguale alla massa di 1 mol di atomi dell’elemento espressa in grammi.
gialla ha una massa di 4 g; quin-
Lo si può vedere dalla definizione della mole, che è riferita al numero di atomi in di una massa di 84 g di biglie
“12 g di carbonio-12”. Analogamente, rosse e una massa di 48 g di
1 atomo di Fe ha una e 1 mol di atomi di Fe ha una biglie gialle sono costituite l’una
massa di 55,85 u massa di 55,85 g e l’altra da 12 biglie. Numeri
1 atomo di S ha una e 1 mol di atomi di S ha una uguali delle due specie di biglie
hanno sempre un rapporto 7 : 4
massa di 32,07 u massa di 32,07 g
delle masse delle biglie rosse e
1 atomo di O ha una e 1 mol di atomi di O ha una delle biglie gialle. B. Poiché gli
massa di 16,00 u massa di 16,00 g atomi di una sostanza hanno una
1 molecola di O2 ha una e 1 mol di molecole di O2 ha una massa fissa, possiamo determi-
massa di 32,00 u massa di 32,00 g nare la massa della sostanza
(“pesarla”) per contare gli atomi.
Come è mostrato qui, 55,85 g di
Fe (piatto sinistro della bilancia)
e 32,07 g di S (piatto destro)
sono costituiti, gli uni e gli altri,
da 6,022 × 1023 atomi (1 mol di
atomi). Due campioni qualsiasi
di ferro e di zolfo che contenga-
no numeri uguali di atomi hanno
un rapporto 55,85 : 32,07 delle
masse di ferro e di zolfo. (Foto:
© McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch).
Inoltre, in virtù delle loro masse atomiche fisse, sappiamo che 55,85 g di atomi di
Fe e 32,07 g di atomi di S contengono, gli uni e gli altri, 6,022 × 1023 atomi. Come
nel caso delle biglie di massa fissa, 1 atomo di Fe ha una massa pari a 55,85/32,07
di quella di 1 atomo di S, e 1 mol di atomi di Fe ha una massa pari a 55,85/32,07
di quella di 1 mol di atomi di S (Figura 3.1B).
Una relazione simile vale per i composti: la massa molecolare (o la massa formula)
di un composto, espressa in unità di massa atomica (u) è numericamente uguale alla
massa di 1 mol del composto espressa in grammi. Perciò, per esempio,
1 molecola di H2O ha una e 1 mol di H2O (6,022 × 1023 molecole) ha una
massa di 18,02 u massa di 18,02 g
1 unità formula di NaCl e 1 mol di NaCl (6,022 × 1023 unità formula)
ha una massa di 58,44 u ha una massa di 58,44 g
Figura 3.2 Una mole di Riassumendo i due punti essenziali riguardo all’utilità del concetto di mole:
alcune sostanze familiari. Una • la mole conserva la stessa relazione delle masse tra campioni macroscopici che
mole di una sostanza è la quan-
tità di sostanza che contiene
esiste tra singole entità chimiche;
6,022 × 1023 atomi, molecole, • la mole mette in relazione il numero di entità chimiche con la massa di un
o unità formula. Da sinistra a campione di quelle entità.
destra: 1 mol (63,55 g) di rame,
1 mol (18,02 g) di H2O liquida, Un negoziante non è in grado di ottenere 1 dozzina di uova pesandole e un ti-
1 mol (58,44 g) di cloruro di sodio pografo non è in grado di ottenere 1 risma (500 fogli) di carta pesandoli, perché
(sale), 1 mol (342,3 g) di saccaro- le singole uova e i singoli fogli di carta non hanno la stessa massa. Ma un chimi-
sio (zucchero) e 1 mol (26,98 g) co è in grado di ottenere 1 mol di atomi di rame (6,022 × 1023 atomi) pesando
di alluminio.
(Foto: © McGraw-Hill Education/
semplicemente 63,55 g di rame. La Figura 3.2 mostra 1 mol di alcuni elementi e
Charles Winters/Timeframe composti familiari.
Photography, Inc.).
Massa molare
La massa molare (M) di una sostanza è la massa di una mole delle sue entità
(atomi, molecole, unità formula). Perciò, la massa molare è espressa in grammi su
mole (g/mol). La Tabella 3.1 riassume il significato delle unità di massa impiegate
in questo libro.
Per il calcolo della massa molare di una sostanza è indispensabile la tavola pe-
riodica. Ecco come si eseguono i calcoli:
1. Elementi. Per trovare la massa molare di un elemento si cerca semplicemente
la sua massa atomica nella tavola periodica e poi si nota se l’elemento esiste in
natura sotto forma di singoli atomi o di molecole.
• Elementi monoatomici. Nel caso degli elementi che esistono in natura sotto
forma di insiemi di singoli atomi, la massa molare è il valore numerico
Tabella 3.2 Informazioni contenute nella formula chimica del glucosio, C6H12O6 (M = 180,16 g/mol)
Carbonio (C) Idrogeno (H) Ossigeno (O)
Atomi/molecola di composto 6 atomi 12 atomi 6 atomi
Moli di atomi/mole di composto 6 mol di atomi 12 mol di atomi 6 mol di atomi
Atomi/mole di composto 6(6,022 × 1023) atomi 12(6,022 × 1023) atomi 6(6,022 × 1023) atomi
Massa/molecola di composto 6(12,01 u) = 72,06 u 12(1,008 u) = 12,10 u 6(16,00 u) = 96,00 u
Massa/mole di composto 72,06 g 12,10 g 96,00 g
* Il valore della massa indicato nella tavola periodica è adimensionale perché si tratta di una massa ato-
mica relativa, data dalla massa atomica [in unità di massa atomica (u)] divisa per 1 u (1/12 della massa di
1 atomo di 12C, espressa in unità di massa atomica):
massa atomica (u)
massa atomica relativa = 1
12 massa di 1 atomo di 12 C (u)
Perciò, si usa lo stesso valore numerico per la massa atomica [massa media ponderata di 1 atomo in unità
di massa atomica (u)] e per la massa molare [massa di 1 mol di atomi in grammi (g)].
Calcolo delle moli e del numero di unità formula in una massa data
di un composto
PROBLEMA DI VERIFICA 3.2
Problema Il carbonato di ammonio [(NH4)2CO3] è una sostanza solida bianca che si decom-
massa (g) di (NH4)2CO3 pone per riscaldamento. Tra i suoi molti impieghi, è un componente del lievito in polvere,
della carica degli estintori d’incendio e dei “sali ammoniacali”. Quante unità formula vi sono
dividere per in 41,6 g di carbonato di ammonio?
' (g/mol)
Piano Conosciamo la massa del composto (41,6 g) e vogliamo conoscere il numero di unità
formula. Come abbiamo visto nel Problema di verifica 3.1(b), per convertire i grammi in
quantità (mol) di (NH4)2CO3
numero di entità, dobbiamo prima trovare il numero di moli e quindi dobbiamo dividere
moltiplicare per i grammi per la massa molare (M). A questo scopo, dobbiamo conoscere M, e, quindi,
6,022 u1023 determiniamo la formula (vedi Tabella 2.5) e calcoliamo la somma delle masse molari degli
unità di formula/mol elementi. Ottenuto il numero di moli, lo moltiplichiamo per il numero di Avogadro per
numero di (NH4)2CO3 in unità trovare il numero di unità formula.
di formula Risoluzione La formula è (NH4)2CO3. Calcolo della massa molare:
M = (2 × M di N) + (8 × M di H) + (1 × M di C) + (3 × M di O)
= (2 × 14,01 g/mol) + (8 × 1,008 g/mol) + 12,01 g/mol + (3 × 16,00 g/mol)
= 96,09 g/mol
Conversione dai grammi alle moli:
1 mol (NH4 ) 2 CO3
=
moli di (NH 4 ) 2 CO3 41, 6 g (NH4 ) 2 CO3 ×
96, 09 g (NH4 ) 2 CO3
= 0, 433 mol (NH4 ) 2 CO3
Conversioni dalle moli alle unità formula:
unità formula di (NH4 )2CO3 = 0,433 mol (NH4 )2 CO3
6,022 ×1023 unità formula (NH4 )2 CO3
×
1 mol (NH4 ) 2 CO3
= 2,61×1023 unità formula (NH4 ) 2 CO3
Verifica Le unità sono corrette. Poiché la massa è minore della metà della massa molare
(42/96 < 0,5), il numero di unità formula dovrebbe essere minore della metà del numero
di Avogadro [(2,6 × 1023/6,0 × 1023) < 0,5].
Commento Uno sbaglio comune è dimenticare il pedice 2 fuori delle parentesi in (NH4)2CO3,
in tal caso si otterrebbe una massa molare molto minore.
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.2 Il decaossido di tetrafosforo reagi-
sce con l’acqua per formare acido fosforico, un importante acido industriale. In laboratorio,
l’ossido è usato come agente essiccante.
(a) Quanto vale la massa (in grammi) di 4,65 × 1022 molecole di decaossido di tetrafosforo?
(b) Quanti atomi di P sono presenti nel campione?
Come sempre, la somma delle singole percentuali in massa degli elementi presenti
nel composto deve essere uguale a 100% (entro l’arrotondamento). Com’è illustrato
nel Problema di verifica 3.3, la percentuale in massa trova un importante impiego
pratico nella determinazione della quantità di un elemento in un campione di qual-
siasi grandezza di un composto.
12,01 g C
massa (g) di C =6 mol C × =72,06 g C
1 mol C
Determinazione della frazione in massa di C nel glucosio:
massa totale C 72,06 g
=
frazione in massa di C = = (0,4000 g) / (g glucosio)
massa di 1 mol glucosio 180,16 g
Determinazione della percentuale in massa di C:
percentuale in massa di C= frazione in massa di C ×100= 0,4000 ×100= 40,00 in massa C
Combinazione dei passi per ciascuno degli altri due elementi:
1, 008 g H
12 mol H ×
mol H × di H 1 mol H ×100
percentuale in massa di H = ×100 =
massa 1 mol glucosio 180,16 g
= 6, 714% in massa H
16,00 g O
6 mol O ×
mol O × di O 1 mol O ×100
percentuale in massa di O = ×100 =
massa 1 mol glucosio 180,16 g
= 53,29% in massa O
Formule empiriche
Un chimico analitico che studia un composto lo decompone in sostanze più semplici,
trova la massa di ciascun elemento componente, converte queste masse in numeri di
moli e poi converte matematicamente le moli in pedici costituiti da numeri interi.
Questo procedimento dà la formula empirica, il rapporto di numeri interi più semplici di
moli di ciascun elemento nel composto (vedi Paragrafo 2.8, p. 53). Segue un esempio
in cui è mostrato come si ottengono i pedici dalle moli di ciascun elemento.
L’analisi di un composto sconosciuto indica che il campione contiene 0,21 mol di
zinco, 0,14 mol di fosforo e 0,56 mol di ossigeno. Poiché i pedici in una formula rap-
presentano singoli atomi o singole moli di atomi, scriviamo una formula preliminare
che contiene pedici frazionari: Zn0,21P0,14O0,56. Poi convertiamo questi pedici frazionari
in numeri interi usando uno o due semplici passi aritmetici (arrotondando quando è
necessario).
1. Dividiamo ciascun pedice per il pedice più piccolo:
Zn 0,21P0,14 O 0,56 → Zn1,5P1,0O 4 ,0
0,14 0,14 0,14
•
Questo passo dà spesso pedici interi.
Una rosa con un altro 2. Se uno o più dei pedici non sono ancora numeri interi, moltiplichiamo tutti
nome... I chimici che studiano le i pedici per il numero intero più piccolo che trasforma tutti i pedici in numeri
sostanze naturali di origine vegetale
e animale isolano i composti e ne interi. In questo caso, moltiplichiamo tutti i pedici per 2, il numero intero più
determinano le formule. Il geraniolo piccolo che trasforma 1,5 (il pedice di Zn) in un numero intero:
(C10H18O) è il principale componen-
te che conferisce a una rosa il suo Zn(1,5×2)P(1,0×2)O(4 ,0×2) → Zn 3,0P2,0O8,0 , ossia Zn 3P2O8
profumo. È usato in molti profumi
È importante notare che, poiché abbiamo moltiplicato tutti i pedici per 2, il nu-
e cosmetici. È presente anche nella
citronella (Cymbopogon nardus, C. mero relativo di moli è rimasto invariato. Ed è importante verificare sempre che i
citratus) e, come parte di un com- pedici siano l’insieme di numeri interi più piccoli con gli stessi rapporti dei numeri
posto più grande, nelle foglie di originali di moli; cioè, 3:2:8 sono negli stessi rapporti di 0,21:0,14:0,56. Una notazio-
geranio, da cui prende il nome.
ne più tradizionale per questa formula è Zn3(PO4)2; il composto è il fosfato di zinco,
(Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer). usato come cemento in odontoiatria.
I seguenti tre problemi di verifica (3.4, 3.5 e 3.6) illustrano altri metodi comuni
per determinare le formule chimiche. Nel primo problema, si determina la formula
empirica partendo da dati analitici espressi come grammi di ciascun elemento an-
ziché come moli.
formula empirica
Abbiamo arrotondato il pedice di O da 3,98 a 4. La formula empirica è NaClO4 ; il nome
è perclorato di sodio .
Verifica I numeri di moli sembrano corretti perché le masse di Na e di Cl sono lievemente
maggiori di 0,1 delle loro masse molari. La massa di O è la più grande mentre la sua massa
molare è la più piccola, quindi è corretto che abbia il numero più alto di moli. I rapporti
dei pedici, 1:1:4, sono uguali ai rapporti delle moli, 0,123:0,123:0,489 (con arrotondamento).
Formule molecolari
Se conosciamo la massa molare di un composto, possiamo usare la formula em-
pirica per ottenere la formula molecolare, il numero effettivo di moli di ciascun
elemento in 1 mol di composto. In alcuni casi, quali l’acqua (H2O), l’ammoniaca
(NH3) e il metano (CH4), la formula empirica e la formula molecolare sono identi-
che, ma, in molti altri casi, la formula molecolare è un multiplo secondo un numero
intero della formula empirica. Per esempio, il perossido di idrogeno ha la formula
empirica HO e la formula molecolare H2O2. Dividendo la massa molare di H2O2
(34,02 g/mol) per la massa della formula empirica (17,01 g/mol) otteniamo il
multiplo secondo un numero intero:
massa molare (g/mol)
multiplo secondo un numero intero =
massa della formula empirica (g/mol)
34,02 g/mol
= = =
2,000 2
17,01 g/mol
Verifica La formula molecolare calcolata ha gli stessi rapporti delle moli di elementi (3:6:3)
della formula empirica (1:2:1) e corrisponde alla massa molare data:
forno
corrente di O2
altre sostanze
assorbitore di CO2
assorbitore di H2O non assorbite
delle masse di C e H dà la massa di O, il terzo elemento presente nella vitamina C. Poi proce-
diamo come nel Problema di verifica 3.5: calcolare i numeri di moli usando le masse molari
degli elementi, costruire la formula empirica, determinare il multiplo secondo un numero
intero in base alla massa molare data e costruire la formula molecolare.
Risoluzione Determinazione delle masse dei prodotti della combustione:
massa (g) di CO2 = (massa dell’assorbitore di CO2 dopo) − (massa prima)
= 85,35 g − 83,85 g
= 1,50 g CO2
massa (g) di H2O = (massa dell’assorbitore di H2O dopo) − (massa prima)
= 37,96 g − 37,55 g
= 0,41 g H2O
Calcolo delle masse di C e di H mediante le loro frazioni in massa:
massa di elemento nel composto
=
massa dell’elemento massa del composto ×
massa di 1 mol di composto
1 mol C × di C
=
massa (g) di C massa di CO 2 ×
massa di 1 mol CO 2
12,01 g C
=1,50 g CO 2 × = 0,409 g C
44,01 g CO 2
2 mol H × di H
=
massa (g) di H massa di H2O ×
massa di 1 mol H2O
2,016 g H
=0,41 g H2O × =0,046 g H
18,02 g H2O
Calcolo della massa di O:
massa (g) di O = (massa del campione di vitamina C) − (massa di C + massa di H)
=1,000 g − (0,409 g + 0,046 g) = 0,545 g O
Determinazione delle quantità (mol) di elementi: dividendo i grammi di ciascun elemento
per la sua massa molare otteniamo 0,0341 mol di C, 0,046 mol di H e 0,0341 mol di O.
Costruzione della formula preliminare: C0,0341H0,046O0,0341
Determinazione della formula empirica: dividendo tutti i pedici per il pedice più picco-
lo, otteniamo
C 0,0341H 0,046 O 0,0341 = C1,00H1,3O1,00
0,0341 0,0341 0,0341
Troviamo per tentativi che 3 è il minimo numero intero che converte approssimativamente
tutti i pedici in numeri interi:
C(1,00×3)H(1,3×3)O(1,00×3) = C3,00H3,9O3,00 C3H4O3
Determinazione della formula molecolare:
della vitamina C 176,12 g/mol
=
multiplo secondo un numero intero = = =
2,000 2
della formula empirica 88,06 g/mol
C(3×2)H(4×2)O(3×2) = C6H8O6
Verifica Le masse degli elementi sembrano corrette: il carbonio costituisce un po’ più
dello 0,25 della massa di CO2 [(12 g)/(44 g) > 0,25], così come le masse nel problema
[(0,409 g)/(1,50 g) > 0,25]. L’idrogeno costituisce un po’ più dello 0,10 della massa di H2O
[(2 g)/(18 g) > 0,10], così come le masse nel problema [(0,046 g)/(0,41 g) > 0,10]. La formula
molecolare ha gli stessi rapporti dei pedici (6 : 8 : 6) della formula empirica (3 : 4 : 3) e dà come
somma la massa molare data:
(6 × M di C) + (8 × M di H) + (6 × M di O) = M della vitamina C
(6 × 12,01 g/mol) + (8 × 1,008 g/mol) + (6 × 16,00 g/mol) = 176,12 g/mol
Commento Nella determinazione del pedice di H, se compendiamo i passi del calcolo,
otteniamo il pedice 4,0, anziché 3,9, e non abbiamo bisogno di arrotondare:
2,016 g H 1 mol H 1
=
pedice di H 0,41 g H2O × × × = ×3 4,0
18,02 g H2O 1,008 g H 0,0341 mol
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 3.6 Si sospetta che un solvente per
pulitura a secco (M = 149,99 g/mol) contenente C, H e Cl, contenga un agente canceroge-
no. Quando un campione di 0,250 g è stato studiato con l’analisi per combustione, si sono
formati 0,451 g di CO2 e 0,0617 g di H2O. Si calcoli la formula molecolare.
Tabella 3.3 Alcuni composti con formula empirica CH2O (composizione in massa: 40,0% C, 6,71% H, 53,3% O)
Multiplo
secondo
Formula un numero M
Nome molecolare intero (g/mol) Impiego o funzione
Formaldeide CH2O 1 30,03 Disinfettante; conservante di preparati biologici
Acido acetico C2H4O2 2 60,05 Polimeri acetati; aceto (soluzione al 5%)
Acido lattico C3H6O3 3 90,08 Causa l’inacidimento del latte; si forma nei muscoli durante l’esercizio fisico
Eritrosio C4H8O4 4 120,10 Si forma durante il metabolismo degli zuccheri
Ribosio C5H10O5 5 150,13 Componente di molti acidi nucleici e della vitamina B2
Glucosio C6H12O6 6 180,16 Importante nutriente per l’apporto di energia alle cellule
H per C16H19N3O4S! Di tutte le possibili formule di struttura per questa formula moleco-
C lare, soltanto una è l’antibiotico ampicillina (Figura 3.5). Quando scrivete una formula
o riflettete su di essa, provate a ricordare che essa rappresenta un oggetto reale.
O
3.3 SCRITTURA E BILANCIAMENTO
N
DELLE EQUAZIONI CHIMICHE
S
Il motivo più importante per pensare in termini di moli è forse il fatto che chiarisce
le quantità di sostanze che partecipano a una reazione. Un confronto delle masse
non indica il rapporto delle sostanze reagenti, mentre il confronto dei numeri di
moli lo indica e ci permette di considerare le sostanze come grandi popolazioni di
particelle interagenti anziché come numeri di grammi di sostanze. Per chiarire que-
sto concetto, consideriamo la formazione del fluoruro di idrogeno gassoso a partire
Figura 3.5 L’ampicillina. da H2 e F2, una reazione che avviene esplosivamente a temperatura ambiente. Se
Delle molte possibili formule
di struttura corrispondenti alla determiniamo le masse dei gas, troviamo che
formula molecolare C16H19N3O4S, 2,016 g di H2 e 38,00 g di F2 reagiscono per formare 40,02 g di HF
soltanto questa particolare
disposizione degli atomi è l’anti- Questa informazione dice poco, tranne che la massa si conserva. Però, se conver-
biotico ampicillina, ampiamente tiamo queste masse (espresse in grammi) in quantità di sostanza (espresse in moli),
usato nella terapia antibatterica. troviamo che
1 mol di H2 e 1 mol di F2 reagiscono per formare 2 mol di HF
Questa informazione rivela che popolazioni di uguale ammontare di molecole di
H2 e di F2 si combinano per formare una popolazione di ammontare doppio di mo-
lecole di HF. Dividendo tutti i termini per il numero di Avogadro, si può mostrare
l’evento chimico tra singole molecole:
1 molecola di H2 e 1 molecola di F2 reagiscono per formare 2 molecole di HF
La Figura 3.6 mostra che, quando si esprime la reazione in termini di moli, la
trasformazione macroscopica (molare) corrisponde alla trasformazione submicroscopica
(molecolare). Come vedremo, un’equazione chimica bilanciata mostra entrambe le
trasformazioni.
Un’equazione chimica è un enunciato, in formule, che esprime le identità
e le quantità delle sostanze che partecipano a una trasformazione chimica o fisica.
Le equazioni sono i “periodi” della chimica, così come le formule chimiche sono le
“parole” e i simboli chimici sono le “lettere”. Il primo membro di un’equazione chi-
mica mostra la quantità di ciascuna sostanza presente prima della trasformazione,
e il secondo membro mostra le quantità presenti dopo la trasformazione. Affinché
un’equazione rappresenti accuratamente queste quantità, deve essere bilanciata; cioè, nei
due membri dell’equazione deve comparire lo stesso numero di atomi di ciascuna specie.
Questa condizione deriva direttamente dalle leggi di massa e dalla teoria atomica.
• In un processo chimico, gli atomi non possono essere creati, distrutti o trasfor-
mati, ma possono essere soltanto riorganizzati in differenti combinazioni.
• si parte dalla sostanza più complessa, quella con il massimo numero di atomi
o di differenti specie di atomi;
• si arriva alla sostanza meno complessa, quale un elemento da solo.
• Nella maggior parte dei casi, si preferiscono i coefficienti costituiti dai numeri interi
più piccoli. I numeri interi permettono di trattare come particelle indivise le
entità come le molecole di O2. Non può esistere una metà di una molecola di
O2 e quindi moltiplichiamo l’equazione per 2:
5. Specificazione degli stati di aggregazione della materia. L’equazione finale indica an-
che lo stato fisico di ciascuna sostanza o se essa sia disciolta in acqua. I simboli usati
per denotare questi stati sono: solido (s), liquido (l), gas (g) e soluzione acquosa (aq).
Con riferimento all’enunciato iniziale, Mg sotto forma di “filo” è solido, O2 gassoso è
un gas, e MgO sotto forma di “polvere” è un solido. L’equazione bilanciata è
2Mg(s) + O2(g) 2MgO(s)
Ovviamente, il punto essenziale di cui rendersi conto è che, come è stato messo in
evidenza nella Figura 3.6, i coefficienti stechiometrici si riferiscono sia a singole entità
chimiche sia a moli di entità chimiche. Così, 2 mol di Mg e 1 mol di O2 danno 2 mol
di MgO. La Figura 3.7 presenta questa reazione da tre punti di vista: come il lettore
può vederla a livello macroscopico, come i chimici (e il lettore!) possono immagi-
narla a livello atomico (gli atomi di colore più scuro rappresentano la stechiometria)
e a livello simbolico dell’equazione chimica.
Si devono tenere presenti altri punti essenziali riguardo al procedimento di
bilanciamento.
• Un coefficiente opera su tutti gli atomi nella formula che lo seguono: 2MgO
significa 2 × (MgO), ossia 2 atomi di Mg e 2 atomi di O; 2Ca(NO3)2 significa
2 × [Ca(NO3)2], ossia 2 atomi di Ca, 4 atomi di N e 12 atomi di O.
• Nel bilanciamento di un’equazione, le formule chimiche non possono essere modi-
ficate. Nel passo 2 dell’esempio, non possiamo bilanciare gli atomi di O modifi-
cando MgO in MgO2 perché MgO2 ha una differente composizione elementare
e quindi è un differente composto.
• Non si possono aggiungere altri reagenti o prodotti per bilanciare l’equazione
perché questa modificazione rappresenterebbe una differente reazione chimi-
ca. Per esempio, non si possono bilanciare gli atomi di O cambiando O2 in O o
aggiungendo un atomo di O ai prodotti perché l’enunciato chimico non dice
che la reazione coinvolge atomi di O.
• Un’equazione bilanciata rimane bilanciata anche se si moltiplicano tutti i coef-
ficienti per lo stesso numero. Per esempio, anche l’equazione
4Mg(s) + 2O2(g) 4MgO(s)
è bilanciata: è semplicemente l’equazione bilanciata iniziale moltiplicata per 2.
Però, bilanciamo un’equazione con i coefficienti interi più piccoli.
Mg2 2
O
Mg Mg energia elettrica O2
Mg2
O2
energia elettrica
2Mg(s) O2(g) 2MgO(s)
Figura 3.7 Una vista su tre livelli della reazione chimica dalle frecce presentano una vista su scala atomica, una rap-
nella lampada di un flash fotografico. Le fotografie presen- presentazione dell’immagine della reazione nella mente del
tano l’immagine macroscopica visibile a occhio nudo. Prima chimico. Le sferette di colore più scuro mostrano la stechio-
che avvenga la reazione, un filamento sottile di alluminio è metria. Conoscendo le sostanze prima della reazione e dopo,
circondato da ossigeno (a sinistra). Dopo la reazione, uno stra- possiamo scrivere un’equazione bilanciata (in basso), la steno-
to sottile di ossido di magnesio in polvere riveste la superficie grafia simbolica della trasformazione usata dal chimico. (Foto:
interna della lampada (a destra). Gli ingrandimenti indicati © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).
Risoluzione
1. Traduzione dell’enunciato in un’equazione scheletro (con spazi vuoti per i coefficienti).
L’ottano e l’ossigeno sono reagenti; “ossigeno atmosferico” implica ossigeno molecolare, O2.
Il disossido di carbonio e il vapore acqueo sono prodotti:
C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ + CO 2 + H2O
2. Bilanciamento degli atomi. Partiamo dalla sostanza più complessa, C8H18, e bilanciamo per
ultima la sostanza meno complessa, O2:
1 C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ CO 2 + H 2O
Gli atomi di C in C8H18 finiscono in CO2. Ciascuna molecola di CO2 contiene un atomo
di C, quindi sono necessarie 8 molecole di CO2 per bilanciare gli 8 atomi di C in ciascuna
molecola di C8H18:
1 C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ 8 CO 2 + H2O
Gli atomi di H in C8H18 finiscono in H2O. I 18 atomi di H in C8H18 richiedono un coefficiente
9 davanti a H2O:
1 C8H18 + O 2 ⎯ ⎯→ 8 CO 2 + 9 H2O
Vi sono 25 atomi di O nel secondo membro (16 in 8CO2 più 9 in 9H2O), quindi poniamo
25
il coefficiente davanti
2 a O2:
25
1 C8H18 + 2 O 2 ⎯ ⎯→ 8 CO 2 + 9 H2O
3. Aggiustamento dei coefficienti. Moltiplichiamo per 2 tutti i coefficienti per ottenere numeri
interi:
2C8H18 + 25O2 16CO2 + 18H2O
4. Verifica del bilanciamento dell’equazione:
reagenti (16 C, 36 H, 50 O) prodotti (16 C, 36 H, 50 O)
5. Specificazione degli stati di aggregazione della materia. C8H18 è liquido; O2, CO2 e il vapore
di H2O sono gassosi.
+ +
+ +
5 mol O 2
moli di O 2 consumate= 10,0 mol H2O × = 12,5 mol O2
4 mol H2O
mol H2O =====⇒ mol O 2
rapporto molare
come fattore di conversione
Verifica Le unità sono corrette e la risposta è ragionevole perché questo rapporto molare
O2/Cu2S (15:10) è equivalente al rapporto nell’equazione bilanciata (3:2).
Commento Uno sbaglio comune è quello di usare il fattore di conversione sbagliato; il cal-
colo che ne deriverebbe sarebbe
2 mol Cu 2S 6,67 mol 2 Cu 2S
moli di O 2 = 10,0 mol Cu 2S × =
3 mol O 2 1 mol O 2
Queste unità strane evidenziano che è stato commesso uno sbaglio nella costruzione del fat-
tore di conversione. Inoltre, il valore numerico della risposta, 6,67, è minore di 10,0, mentre
l’equazione bilanciata indica che il numero di moli di O2 necessario è maggiore del numero di
moli di Cu2S. È molto importante riflettere a fondo sul calcolo quando si costruisce il fattore
di conversione e si elidono le unità.
(b) Determinazione della massa (g) di SO2 formata a partire da 10,0 mol di Cu2S
quantità (mol) di Cu2S
Piano In questo caso si vuole conoscere il numero di grammi di prodotto (SO2) che si for-
mano a partire dal numero dato di moli di reagente (Cu2S). Prima troviamo le moli di SO2
rapporto molare
usando il rapporto molare ottenuto dall’equazione bilanciata [(2 mol SO2)/(2 mol Cu2S)] e (2 mol Cu2S 2 mol SO2)
poi moltiplichiamo per la sua massa molare (64,07 g/mol) per trovare i grammi di SO2. I
passi sono indicati nell’itinerario.
quantità (mol) di SO2
Risoluzione Combinando i due passi di conversione in un unico calcolo, otteniamo
2 mol SO 2 64, 07 g SO 2 moltiplicare per ' (g/mol)
massa (g) di SO 2= 10,0 mol Cu 2S × × (1 mol SO2 64,07 g SO2)
3 mol Cu 2S 1 mol SO 2
= 641 g SO 2
massa (g) di SO2
Verifica La risposta ha senso, perché il rapporto molare indica che si formano 10,0 mol di
SO2 e che ciascuna ha una massa di circa 64 g. Abbiamo arrotondato a 3 cifre significative.
Sequenze di reazioni in più passaggi, note come vie metaboliche, sono comuni nei
sistemi biologici. Nella maggior parte delle cellule, l’energia chimica nel glucosio
N2H4 necessaria (4,34 mol) per reagire con la quantità data di N2O4. Perciò, N2H4 è limitante
e N2O4 è in eccesso. Determinato questo, proseguiamo con il calcolo finale per trovare la
quantità di N2.
AB
Reazioni chimiche in pratica: resa teorica, resa effettiva (reagenti)
e resa percentuale
C
Finora siamo stati ottimisti riguardo alla quantità di prodotto ottenuta da una reazione. (prodotto
Abbiamo supposto che il 100% del reagente limitante diventi prodotto, che esistano principale)
metodi ideali di separazione e purificazione per isolare il prodotto e che usiamo tec-
niche di laboratorio perfette per raccogliere tutto il prodotto formato. In altri termini, D
(prodotto collaterale)
abbiamo supposto di ottenere la resa teorica (o rendimento teorico), la quantità in-
dicata dal rapporto molare stechiometricamente equivalente nell’equazione bilanciata. Figura 3.9 L’effetto delle
Ma è giunto il momento di guardare in faccia la realtà. La resa teorica non si reazioni collaterali sulla resa.
ottiene mai, per motivi in gran parte incontrollabili. Tanto per cominciare, anche se Un motivo per cui non si può
predomina la reazione principale, molte miscele di reagenti percorrono anche una o mai ottenere la resa teorica è il
fatto che altre reazioni condu-
più reazioni collaterali che formano minori quantità di differenti prodotti, come cono alcuni dei reagenti lungo
mostrato nella Figura 3.9. Per esempio, nella precedente reazione del combustibile cammini collaterali per formare
per razzi i reagenti potrebbero formare una certa quantità di NO nella seguente prodotti indesiderati.
reazione collaterale:
2N2O4(l) + N2H4(l) 6NO(g) + 2H2O(g)
Questa reazione diminuisce le quantità di reagenti disponibili per la produzione
di N2. Ancora più importante è il fatto che, come vedremo nel Capitolo 4, molte
reazioni sembrano arrestarsi prima di completarsi, lasciando inutilizzata una certa
quantità di reagente limitante. Però, anche quando una reazione si svolge completa-
mente fino al prodotto, in pratica si verificano perdite in ogni passaggio di un pro-
cedimento di separazione (vedi Paragrafo 2.9 e la scheda Strumenti del laboratorio,
pag. 66-67): una piccola quantità di prodotto resta attaccata alla carta da filtro, un
po’ di distillato evapora, una piccola quantità di estratto resta nell’imbuto separa-
tore e così via. Adottando tecniche accurate, si possono ridurre al minimo queste
perdite ma non si riuscirà mai a eliminarle completamente. La quantità di prodotto
che si ottiene effettivamente è detta resa effettiva (o rendimento effettivo). La
resa percentuale (o rendimento percentuale) è la resa effettiva espressa come
percentuale della resa teorica:
Nelle sequenze di reazioni in più passaggi, le rese percentuali dei passaggi sono espresse
come frazioni e moltiplicate tra loro per dare la resa percentuale complessiva. Anche
quando la resa di ciascun passaggio è elevata, il risultato finale può essere sorpren-
dentemente basso. Supponiamo, per esempio, che una sequenza di reazioni in 6
passaggi abbia una resa del 90,0% per ciascun passaggio; cioè, in ciascun passaggio
si riesce a ottenere il 90,0% della resa teorica di prodotto. La resa percentuale com-
plessiva è soltanto lievemente maggiore del 50%:
resa percentuale complessiva =
(0,900 × 0,900 × 0,900 × 0,900 × 0,900 × 0,900) × 100 = 53,1%
Queste sequenze in più passaggi sono comuni nella sintesi dei farmaci, dei colo-
ranti, dei pesticidi e di molti altri composti organici. In una sintesi tipica, grandi
quantità di reagenti semplici, poco costosi, vengono convertite in piccole quantità
di prodotti complessi, costosi; perciò, la resa percentuale complessiva influenza
notevolmente le potenzialità commerciali di un prodotto.
Economia atomica: la resa dal punto di vista della “chimica verde” Du-
rante ogni passaggio di una sintesi, i reagenti sono spesso consumati in reazioni
collaterali non desiderate, cosicché la resa complessiva del processo diminuisce
sensibilmente. Inoltre molti prodotti collaterali possono essere dannosi. Un approc-
cio ambientalmente favorevole a questo problema è quello fornito dalla “chimica
verde”, ovvero lo sviluppo di processi chimici innovativi che riducano o eliminino
l’uso o la produzione di sostanze pericolose nella progettazione, fabbricazione e uso
di prodotti chimici.
Per valutare completamente nuovi processi si devono considerare diversi prin-
cipi della “chimica verde” tra cui, per esempio, la quantità di energia necessaria e
la natura dei solventi utilizzati. Quando questi elementi sono simili, la scelta di un
processo sintetico più efficiente si basa sul criterio dell’economia atomica, ovvero
della quantità di atomi dei reagenti che compaiono nei prodotti desiderati. L’effi-
cienza di una sintesi si misura come economia atomica percentuale:
si forma una soluzione, le singole entità chimiche del soluto si disperdono uniforme-
mente in tutto il volume disponibile e si circondano di molecole di solvente. La con-
centrazione di una soluzione è espressa di solito come la quantità di soluto disciolta
in una data quantità di soluzione. La concentrazione è una grandezza intensiva (come
lo sono la densità o la temperatura) e quindi è indipendente dal volume di soluzione:
un recipiente di 50 L di una data soluzione ha la stessa concentrazione [(quantità di so-
luto)/(quantità di soluzione)] di un becher di 50 mL di quella soluzione. La molarità
(M) esprime la concentrazione in moli di soluto per litro di soluzione:
MASSA (g)
di composto
in soluzione
& '
aggiunta
di solvente
(2) trovare il numero di moli di una sostanza; (3) metterlo in relazione con il nu-
mero stechiometricamente equivalente di moli di un’altra sostanza; (4) convertire
nell’unità desiderata.
1L
3,4 ×10−3 mol HCl ×
volume (L) di HCl =
0,10 mol HCl
= 3,4 × 10−2 L
Verifica Il valore numerico della risposta sembra ragionevole: un piccolo volume di acido
diluito (0,034 L di soluzione 0,10 M in HCl) reagisce con una piccola quantità di antiacido
(0,0017 mol).
Commento La reazione scritta è un’eccessiva semplificazione in quanto HCl e MgCl2
esistono come ioni separati in soluzione. Questi punti verranno esaminati in modo più par-
ticolareggiato nei Capitoli 4 e 18.
Verifica Come verifica, usiamo il metodo alternativo per trovare il reagente limitante (ve-
di Commento nel Problema di verifica 3.10). Determinazione delle moli di reagenti
disponibili:
0,010 mol Hg(NO3 ) 2
moli =di Hg(NO3 ) 2 0,050 L soluz. ×
1 L soluz.
= 5,0 ×10 −4 mol Hg(NO3 ) 2
0,10 mol Na 2S
=
moli di Na 2S 0,020 L soluz. ×
1 L soluz.
= 2,0 ×10 −3 mol Na 2S
Il rapporto molare dei reagenti è [1 Hg(NO3)2]/(1 Na2S). Perciò, Hg(NO3)2 è limitante perché
ci sono meno moli di quante sono necessarie per reagire con le moli di Na2S.
Determinazione dei grammi di prodotto in base alle moli di reagente limitante e al rap-
porto molare:
1 mol HgS 232,7 g HgS
massa (g) di HgS = 5,0 ×10 −4 mol Hg(NO3 ) 2 × ×
1 mol Hg(NO3 ) 2 1 mol HgS
= 0,12 g HgS
Figura 3.13 Uno sguardo d’in- La Figura 3.13 combina i singoli diagrammi stechiometrici riassuntivi in un unico
sieme alle relazioni stechiome- diagramma complessivo.
triche quantità-massa-numero
essenziali.
1 g 1 mol C 10 3 g 0,3500 g N
3.1 (a) moli di C = 315 mg C × × (b) massa=
(g) di N 35,8 kg NH4 NO3 × ×
10 3 mg 12,01 g C 1 kg 1 g NH4 NO3
= 2,62 ×10 −2 mol C = 1,25×10 4 g N
=
(b) massa (g) di Mn 3,22 ×1020 atomi Mn 1 mol S
3.4 moli di S =2,88 g S × =0,0898 mol S
1 mol Mn 54,94 g Mn 32, 07 g S
× ×
6,022 ×1023 atomi Mn 1 mol Mn 2 mol M
moli di =
M 0,0898 mol S × = 0,0599 mol M
= 2,94 ×10 −2
g Mn 3 mol S
3,12 g M
3.2 (a) massa (g) di P4 O=
10 4,65×1022 molecole P4 O10 massa=
molare di M = 52,1 g/mol
0,0599 mol M
1 mol P4O10 283,88 g P4O10 M è il cromo, e M2S3 è il solfuro di cromo(III).
× ×
6,022 ×10 23 molecole P4O10 1 mol P4O10 3.5 Supponendo 100,00 g di composto, abbiamo 95,21 g di
= 21,9 g P4O10 C e 4,79 g di H:
1 mol C
=
moli di C 95,21 g C ×
(b) numero di atomi=
P 4,65×10 22 molecole P4 O10 12,01 g C
4 atomi P = 7,928 mol C
× =1,86 ×10 23 atomi P
1 molecola P4O10 Allo stesso modo si ottiene 4,75 mol H.
Formula preliminare: C7,928H4,75 C1,67H1,00
14,01 g N Formula empirica: C(3 × 1,67)H(3 × 1,00) = C5H3
2 mol N ×
1 mol N 252,30 g/mol
3.3 (a) percentuale in massa di N = ×100 =
multiplo secondo un numero intero = 4
80,05 g NH4 NO3 63,07 g/mol
= 35,00% in massa N Formula molecolare = C20H12
all’elettrodo all’elettrodo
() ()
A L’acqua distillata non B Gli ioni positivi e negativi, C In soluzione, gli ioni positivi
conduce corrente elettrica essendo fissi in un solido, non e negativi si muovono e
conducono corrente elettrica conducono corrente elettrica
lampada che viene attraversata dalla corrente. La corrente elettrica che fluisce nella Figura 4.1 La conduttività
soluzione implica il movimento di particelle cariche: quando KBr si scioglie nell’acqua, elettrica delle soluzioni ioni-
gli ioni K+ e Br− nel solido si separano (si dissociano) e si muovono verso l’elettrodo che.
A. Quando gli elettrodi collegati
la cui carica è di segno opposto alla loro. Una sostanza che conduce corrente elettrica a una sorgente di differenza di
quando è sciolta in acqua è denominata elettrolita. I composti ionici solubili che potenziale sono inseriti nell’ac-
si dissociano completamente in ioni e conducono corrente di elevata intensità sono qua distillata, non fluisce alcuna
detti elettroliti forti. corrente e la lampada non si
Mentre il KBr si scioglie, ogni ione si circonda di molecole di solvente, questo accende. B. Un composto ionico
solido, quale KBr, non conduce
processo è detto solvatazione. Esprimiamo questa dissociazione in ioni solvatati corrente elettrica perché gli ioni
in acqua con la seguente equazione: sono fortemente legati tra loro.
H2O
KBr( s ) ⎯ ⎯⎯ → K + ( aq ) + Br− ( aq ) C. Quando si scioglie KBr in H2O,
gli ioni si separano e si muovono
“H2O” scritta sopra la freccia indica che l’acqua è necessaria ma non è un reagente attraverso la soluzione verso gli
nel senso consueto del termine. Quando un qualsiasi composto ionico idrosolubile elettrodi carichi di segno oppo-
(solubile in acqua) si scioglie, gli ioni carichi di segno opposto si separano l’uno dall’al- sto, conducendo così corrente
tro, si circondano di molecole d’acqua (si solvatano) e si disperdono in modo casuale in elettrica. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tutta la soluzione.
tographer).
La formula del composto indica il numero di moli di differenti ioni che si for-
mano quando il composto si scioglie. Nel caso in questione, 1 mol di KBr si dissocia
in 2 mol di ioni: 1 mol di K+ e 1 mol di Br−.
quindi non è presente uno squilibrio di carica. D’altra parte, nei legami covalenti
tra atomi non identici, la condivisione è disuguale: un atomo attrae la coppia di
• Solventi solidi per gli
ioni In virtù delle sue cariche par-
elettroni più intensamente rispetto all’altro. Per motivi che verranno esaminati ziali, l’acqua è un eccellente solven-
nel Capitolo 9, un atomo di O attrae gli elettroni più intensamente rispetto a te liquido per le specie ioniche, ma
alcuni solidi si comportano in modo
un atomo di H. Perciò, in ciascuno dei legami O H dell’acqua, gli elettroni tra-
simile. Per esempio, il poli(etilene
scorrono più tempo più vicino a O (Figura 4.2B). Questa distribuzione disuguale ossido) (PEO) è un polimero con
della carica negativa della coppia di elettroni crea “poli” parzialmente carichi alle una struttura ripetitiva scritta come
estremità di ciascun legame O H. L’estremità O si comporta come un polo lie-
vemente negativo (rappresentato dall’ombreggiatura rossa e dal δ−), e l’estremità
H si comporta come un polo lievemente positivo (rappresentato dalla sfumatura
blu e dal δ+). Nella Figura 4.2C, la polarità del legame è indicata anche con una
freccia polare (la punta è orientata verso il polo negativo e la coda è attraversata da
dove n indica molti gruppi identi-
una sbarretta per formare un segno “più”). Le cariche parziali, come quelle sugli
ci legati tra loro covalentemente.
atomi di O e di H nell’acqua, sono molto minori delle cariche ioniche complete. Le cariche negative parziali sugli
Per esempio, in un composto ionico quale KBr, l’elettrone si è trasferito dall’atomo atomi di ossigeno possono circon-
di K all’atomo di Br ed esistono due ioni. In un composto covalente, quale l’acqua, dare cationi metallici, come Li+, e
solvatarli mentre rimangono allo
non esistono ioni; in ogni legame O H polare, gli elettroni hanno semplicemente
stato solido. Il poli(etilene ossido)
spostato la loro posizione media avvicinandola all’atomo di O. e i polimeri correlati fanno parte di
La molecola d’acqua, inoltre, ha una forma “piegata”: gli atomi in H O H for- alcune batterie agli ioni litio usate
mano un angolo, non una linea retta. Per gli effetti combinati della forma piegata e nei computer portatili e in altri
apparecchi e dispositivi elettronici
dei legami polari, la molecola d’acqua è una molecola polare. Come si può vedere
portatili.
nella Figura 4.2D, la porzione O della molecola è il polo parzialmente negativo, e la
regione a metà strada tra gli atomi di H è il polo parzialmente positivo.
molecole d’acqua circostanti che in effetti forma un legame covalente con una di
esse. Di solito si rappresenta questa interazione scrivendo lo ione H+ in soluzione
acquosa come H3O+ (ione idronio). Per esempio, per rappresentare più accurata-
mente ciò che avviene quando HBr(g) si scioglie, si scrive
H3O
HBr(g) + H2O(l) H3O+(aq) + Br−(aq)
Per mettere in risalto l’interazione con l’acqua, scriviamo lo ione idronio come
(H2O)H+. Lo ione idronio si associa ad altre molecole d’acqua in una miscela che Figura 4.4 Il protone idra-
comprende H5O2+ [o (H2O)2H+], H7O3+ [o (H2O)3H+], H9O4+ [o (H2O)4H+] e aggregati tato. La carica dello ione H+ è
altamente concentrata perché lo
ancora più grandi; H7O3+ è mostrato nella Figura 4.4. Queste varie specie coesistono, ione è molto piccolo. In soluzio-
ma usiamo H+(aq) come notazione semplificata generale. Più avanti in questo capi- ne acquosa, esso forma un lega-
tolo e in gran parte del resto del libro, rappresenteremo il protone solvatato come me covalente con una molecola
H3O+(aq) per porre in risalto il ruolo dell’acqua. L’acqua interagisce covalentemente d’acqua ed esiste come ione
anche con molti ioni metallici. Per esempio, Fe3+ esiste in acqua come Fe(H2O)63+, H3O+ strettamente associato
ad altre molecole di H2O. Qui è
cioè uno ione Fe3+ legato a sei molecole di H2O. mostrato lo ione H7O3+.
elettrostatica tra gli ioni sopraffà la tendenza degli ioni a solvatarsi e a muoversi in
modo casuale in tutta la soluzione. Quando si miscelano soluzioni di questi ioni, gli
ioni si urtano e si uniscono, e la sostanza che ne deriva “si separa dalla soluzione”
sotto forma di solido.
REAZIONI
memorizzare un breve elenco di regole di solubilità (Tabella 4.1). Queste regole
DI PRECIPITAZIONE non coprono ogni possibilità ma, conoscendole, si è in grado di prevedere il risulta-
to di molte reazioni di precipitazione.
H2O Basi
MOH ⎯ ⎯⎯ → M+ ( aq ) + OH− ( aq )
Forti
(Altre definizioni di acido e di base saranno presentate più avanti in questo pa- Idrossido di sodio, NaOH
ragrafo e di nuovo nel Capitolo 18, insieme a una definizione più completa di Idrossido di potassio, KOH
neutralizzazione). Gli acidi e le basi sono gli ingredienti attivi in molti prodotti di Idrossido di calcio, Ca(OH)2
uso quotidiano: la maggior parte dei detergenti per scarichi di lavelli e lavandini, Idrossido di stronzio, Sr(OH)2
finestre e forni contengono basi; l’aceto e il succo di limone contengono acidi. Idrossido di bario, Ba(OH)2
Gli acidi e le basi sono elettroliti e vengono spesso classificati secondo la
loro “forza”, intendendo con questo termine il loro grado di dissociazione in ioni Deboli
Ammoniaca, NH3
in soluzione acquosa. Gli acidi forti e le basi forti si dissociano completamente in
ioni quando si sciolgono in acqua. Perciò, come i composti ionici solubili,
sono elettroliti forti e conducono bene corrente elettrica (vedi immagine
a lato, a sinistra). Per contro, gli acidi deboli e le basi deboli si dissociano così
poco che la maggior parte delle loro molecole rimane intatta. Di conseguen-
za, conducono soltanto una corrente di piccola intensità (vedi immagine
a lato, a destra) e sono elettroliti deboli. Nella Tabella 4.2 sono elencati
alcuni acidi e alcune basi con riferimento alla loro forza.
Sia gli acidi forti sia quelli deboli hanno uno o più atomi di H come
parte della loro struttura. Le basi forti hanno lo ione OH− oppure lo ione
O2− come parte della loro struttura. Gli ossidi ionici solubili, come K2O, si
comportano come basi forti perché lo ione ossido non è stabile in acqua e
reagisce immediatamente per formare lo ione idrossido: elettrolita forte elettrolita debole
Il colore indica che il catione del sale proviene dalla base e l’anione proviene dall’acido.
Questa equazione generale mostra che le reazioni acido-base, come le reazioni
di precipitazione, sono reazioni di doppio scambio (reazioni di metatesi). L’equazio-
ne molecolare per la reazione dell’idrossido di alluminio, l’ingrediente attivo in al-
cune compresse di antiacido, con HCl, il principale componente dell’acido gastrico,
lo evidenzia chiaramente:
3HCl(aq) + Al(OH)3(s) AlCl3(aq) + 3H2O(l)
L’equazione ionica netta è identica all’equazione ionica totale. Si tratta di una reazione di
precipitazione e di neutralizzazione. Non vi sono ioni spettatori perché tutti gli ioni sono
utilizzati per formare i due prodotti.
Titolazioni acido-base
I chimici studiano quantitativamente le reazioni acido-base mediante le titolazio-
ni. In ogni titolazione, si usa una soluzione di concentrazione nota per determinare
la concentrazione di un’altra soluzione mediante una reazione monitorata. In una ti-
pica titolazione acido-base si aggiunge lentamente una soluzione standardizzata
di una base, la cui concentrazione è nota, a una soluzione di un acido, la cui
concentrazione è incognita.
Il procedimento di laboratorio è semplice, ma richiede una tecnica accurata
(Figura 4.7). Si versa in un matraccio un volume noto della soluzione dell’acido e si
aggiungono alcune gocce di soluzione di indicatore. Un indicatore acido-base è una
sostanza il cui colore in un acido è diverso da quello in una base. (Esamineremo gli
Figura 4.7 Titolazione acido-
indicatori nei Capitoli 18 e 19). Si aggiunge al matraccio la soluzione standardizzata base. A. In questo procedimen-
di base lasciandola scendere lentamente da una buretta. Quando la titolazione si to, un volume misurato della
avvicina alla fine, le molecole di indicatore cambiano colore in prossimità di una soluzione incognita di acido è
goccia di base aggiunta per effetto di un eccesso temporaneo di ioni OH− in questa posto in un matraccio sotto una
regione. Però, non appena si agita la soluzione, si ripristina il colore dell’indicatore buretta contenente la soluzione
nota (standardizzata) di base. Si
in acido. Si ha il punto di equivalenza della titolazione quando tutte le moli di aggiungono al matraccio alcune
gocce di indicatore; l’indicatore
usato qui è la fenolftaleina, che
è incolore in soluzione acida e
Eccesso Eccesso rosa in soluzione basica. Dopo
OH temporaneo permanente una lettura iniziale della buretta,
di OH di OH si aggiunge lentamente la base
(ioni OH−) all’acido (ioni H+).
B. Verso la fine della titolazione,
l’indicatore cambia momenta
neamente colore, assumendo
quello che ha in soluzione basi-
H ca, ma ritorna al colore che ha
indicatore in soluzione acida in seguito
all’agitazione. C. Quando è stato
raggiunto il punto finale, è pre-
sente un piccolo eccesso di OH−,
indicato dal cambiamento per-
manente del colore dell’indicato-
A Prima della titolazione B Verso la fine della titolazione C Alla fine della titolazione re. La differenza tra l’indicazione
finale e l’indicazione iniziale
della buretta indica il volume di
H(aq) X(aq) M(aq) OH(aq) H2O(l) M(aq) X(aq)
base usato. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, photo-
grapher).
ioni H+ derivate dall’acido presente nel volume iniziale di soluzione hanno reagito con un
numero equivalente di moli di ioni OH− aggiunte dalla buretta:
moli di H+ (derivate dall’acido nel matraccio) = moli di OH− (aggiunte dalla buretta)
Si ha il punto finale della titolazione quando un piccolo eccesso di ioni OH− fa
assumere permanentemente all’indicatore il colore che ha in una base. Nei calcoli,
supponiamo che questo piccolo eccesso sia trascurabile e, quindi, la quantità di base
necessaria per raggiungere il punto finale è uguale alla quantità necessaria per raggiun-
gere il punto di equivalenza.
Perciò, l’acido cloridrico (una soluzione acquosa di HCl gassoso) è costituito in real-
tà dallo ione H3O+ solvatato e dallo ione Cl− solvatato.
Quando si aggiunge una soluzione di idrossido di sodio, lo ione H3O+ trasferisce
un protone allo ione OH− della base (con l’acqua prodotto indicata qui come HOH):
trasferimento di H+
l’evaporazione
gli ioni M e X dell’acqua
rimangono in soluzione lascia il sale
X solido
come ioni spettatori
H 3O
miscelazione di una
acido forte soluzione acquosa di acido
HX(aq) M
forte e di una soluzione
acquosa di base forte ' cristallo di sale
trasferimento di H X
M
M X
H3O(aq) X(aq)
miscelazione '
2H2O(l ) M(aq) X(aq) 2H2O(g) MX(s)
M(aq) OH(aq)
Perciò, nella reazione in soluzione acquosa tra un acido forte e una base forte, lo ione
H3O+ funge da acido e lo ione OH− funge da base. Poiché l’acido forte e la base forte si
ionizzano completamente, una data quantità di acido forte (o di base forte) crea una
quantità equivalente di H3O+ (o di OH−) quando si scioglie in acqua. (Esamineremo
più a fondo il concetto di Brønsted-Lowry nel Capitolo 18).
Considerare le reazioni acido-base come processi di trasferimento protoni-
co aiuta a comprendere un altro tipo comune di reazioni ioniche in soluzione
acquosa, quelle che formano un prodotto gassoso. Per esempio, quando un car-
bonato ionico, quale K2CO3, viene trattato con un acido, quale HCl, uno dei pro-
dotti è il diossido di carbonio. La forza motrice per questa reazione e per reazioni
simili è la formazione di un gas e di acqua perché entrambi i prodotti rimuovono ioni
reagenti dalla soluzione:
2HCl(aq) + K2CO3(aq) 2KCl(aq) + [H2CO3(aq)]
[H2CO3(aq)] H2O(l) + CO2(g)
Il prodotto H2CO3 è scritto tra parentesi quadre per indicare che è molto instabile.
Infatti, si decompone immediatamente in acqua e diossido di carbonio. Combinan-
do queste due equazioni, otteniamo l’equazione complessiva:
2HCl(aq) + K2CO3(aq) 2KCl(aq) + H2O(l) + CO2(g)
Quando indichiamo gli ioni H3O+ provenienti da HCl come la specie effettiva in
soluzione e scriviamo l’equazione ionica netta, gli ioni Cl− e K+ si eliminano. È
importante notare che ciascuno dei due ioni H3O+ trasferisce un protone allo ione
carbonato:
trasferimento
di 2H+
2H3O+ (aq) + CO32− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( l ) + [H2CO3 ( aq )] ⎯ ⎯
→ 3H2O( l ) + CO2 ( g )
Equazione molecolare
NaHCO3(aq) CH3COOH(aq) CH3COONa(aq) CO2(g) H2O(l )
La Figura 4.10A mostra che, durante la reazione, ogni atomo di Mg cede due
elettroni e ogni atomo di O li acquista; cioè, due elettroni si muovono da ciascun
atomo di Mg a ciascun atomo di O. Questa trasformazione rappresenta un tra-
sferimento di carica elettronica da ciascun atomo di Mg verso ciascun atomo di
O, con la conseguente formazione degli ioni Mg2+ e O2−. Gli ioni si aggregano e
formano un solido ionico.
Anche durante la formazione di un composto covalente a partire dai suoi ele-
menti si ha un movimento netto di elettroni; ma si tratta più di uno “spostamento”
di carica elettronica che di un trasferimento e, quindi, non è sufficiente per formare Figura 4.10 Il processo
redox nella formazione di un
ioni. Consideriamo la formazione di HCl gassoso: composto. A. Nella formazione
del composto ionico MgO, ogni
H2(g) + Cl2(g) 2HCl(g)
atomo di Mg trasferisce due
elettroni a ciascun atomo di O.
2e (Si noti che gli atomi si rimpic-
Mg2 cioliscono quando cedono elet-
trasferimento troni e si ingrandiscono quando
di elettroni molti acquistano elettroni). I risultanti
ioni
Mg O ioni Mg2+ e O2− si aggregano
con molti altri per formare un
solido ionico. B. Nei reagenti H2
O 2
e Cl2, le coppie di elettroni sono
A Formazione di un composto ionico solido ionico localizzate in posizione centrale
per indicare che sono ugual-
mente condivisi. Nel composto
covalente HCl, Cl attrae gli elet-
G G troni condivisi più intensamente
H H H Cl rispetto a H. In effetti, l’elet-
spostamento
distribuzione di elettroni distribuzione trone di H si sposta verso Cl.
uniforme disuniforme Si noti il carattere polare della
degli elettroni
degli elettroni molecola di HCl, mostrata dalla
G G più alta densità elettronica (in
Cl Cl H Cl rosso) in prossimità dell’estremi-
tà Cl e dalla più bassa densità
elettronica (in blu) in prossimità
B Formazione di un composto covalente dell’estremità H.
/
1
(a) cloruro di zinco (b) triossido di zolfo (c) acido nitrico numero di numero di
1 H ossidazione ossidazione
Piano Applichiamo la Tabella 4.3, notando le regole generali secondo cui la somma dei più alto più basso
valori dei numeri di ossidazione in un composto è zero e la somma dei valori dei numeri di
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A
ossidazione in uno ione poliatomico è uguale alla carica dello ione. 1 2 3 44 53 62 71
Risoluzione (a) ZnCl2. La somma dei numeri di ossidazione per gli ioni monoatomici nel Li Be B C N O F
2
composto deve essere uguale a zero. Il numero di ossidazione dello ione Zn2+ è +2. Il nume-
ro di ossidazione di ciascuno ione Cl− è −1, per un totale di −2. La somma dei numeri di 3 Na Mg Al Si P S Cl
ossidazione è +2 + (−2), o 0.
(b) SO3. Il numero di ossidazione di ciascun atomo di ossigeno è −2, per un totale di −6. 4 K Ca Ga Ge As Se Br
periodo
Poiché la somma dei numeri di ossidazione deve essere uguale a zero, il numero di ossida-
zione di S è +6. 5 Rb Sr In Sn Sb Te I
(c) HNO3. Il numero di ossidazione di H è +1, e quindi la somma dei numeri di ossidazione
del gruppo NO3 deve essere uguale a −1 affinché la somma dei numeri di ossidazione del 6 Cs Ba Tl Pb Bi Po At
composto sia zero. Il numero di ossidazione di ciascun O è −2, per un totale di −6. Perciò,
il numero di ossidazione di N è +5. 7 Fr Ra Nh Fl Mc Lv Ts
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 4.6 Si determini il numero di ossida- Figura 4.11 Numero di ossi-
zione di ciascun elemento nei seguenti composti: dazione più alto e numero di
(a) ossido di scandio (Sc2O3) (b) cloruro di gallio (GaCl3) ossidazione più basso degli
(c) ione idrogenofosfato (d) trifluoruro di iodio elementi reattivi dei gruppi
principali. Il numero del gruppo
A indica il numero di ossida-
La tavola periodica è di grande aiuto nell’apprendimento dei numeri di ossidazione zione più alto possibile per un
più alti e più bassi della maggior parte degli elementi dei gruppi principali, come elemento dei gruppi principali.
è mostrato nella Figura 4.11. (Due eccezioni importanti sono
O, che non ha mai il numero di
• Per la maggior parte degli elementi dei gruppi principali, il numero del gruppo ossidazione +6, e F, che non
A (1A, 2A e così via) è il numero di ossidazione più alto (sempre positivo) di ha mai il numero di ossidazione
+7). Nel caso dei non metalli
ogni elemento del gruppo. Le eccezioni sono O e F (vedi Tabella 4.3).
(in giallo) e dei metalloidi (in
• Per i non metalli e alcuni metalloidi dei gruppi principali, il numero del grup- verde), il numero del gruppo A
po A meno 8 è il numero di ossidazione più basso (sempre negativo) di ogni meno 8 dà il numero di ossida-
elemento del gruppo. zione più basso possibile.
Per esempio, il più alto numero di ossidazione di S (Gruppo 6A) è +6, come in SF6,
e−
e il più basso è 6 − 8 = −2, come in FeS e in altri solfuri metallici.
Come si può vedere, il numero di ossidazione di un elemento in un composto
trasferimento o
spostamento Y ionico binario ha un valore realistico, perché di solito è uguale alla carica ionica. D’al-
X
di elettroni tra parte, il numero di ossidazione ha un valore irrealistico nel caso di un elemento
in un composto covalente (o in uno ione poliatomico) perché non esistono cariche
X cede uno o Y acquista uno
intere sugli atomi di queste specie.
più elettroni o più elettroni Una reazione redox può essere definita anche come una reazione in cui i numeri
X viene ossidato Y viene ridotto di ossidazione delle specie variano, e i numeri di ossidazione trovano il più importante
X è l’agente Y è l’agente impiego nel monitoraggio di queste variazioni.
riducente ossidante
• Se un dato atomo ha un numero di ossidazione più alto (più positivo o meno
X aumenta il Y diminuisce il
suo numero suo numero di negativo) nel prodotto che nel reagente, la molecola o lo ione reagente che
di ossidazione ossidazione conteneva l’atomo è stata ossidata (ha ceduto elettroni). Perciò, l’ossidazione è
rappresentata da un aumento del numero di ossidazione.
Figura 4.12 Sommario della
terminologia per le reazioni • Se un atomo ha un numero di ossidazione più basso (più negativo o meno posi-
di ossidoriduzione (reazioni tivo) nel prodotto che nel reagente, la molecola o lo ione reagente che conte-
redox). neva l’atomo è stata ridotta (ha acquistato elettroni). Perciò, l’acquisto di elettroni
è rappresentato da una diminuzione (una “riduzione”) del numero di ossidazione. (Il
termine riduzione, come abbiamo detto poc’anzi, si riferisce alla “riduzione” di
un minerale metallifero al metallo. Gli agenti riducenti impiegati forniscono
elettroni che convertono lo ione metallico nella sua forma elementare).
La terminologia delle reazioni redox è riassunta nella Figura 4.12. Poiché i numeri di
ossidazione sono assegnati secondo l’attrazione relativa di un atomo per gli elettroni,
in ultima analisi essi si basano sulle proprietà atomiche, come vedremo nei Capitoli
8 e 9. (Nel resto di questo paragrafo e in quella seguente, i numeri di ossidazione blu
indicano ossidazione, e i numeri di ossidazione rossi indicano riduzione).
2Al( s ) + 3H2SO4 ( aq ) ⎯ ⎯
→ Al 2 (SO4 )3 ( aq ) + 3H2 ( g )
riduzione
Il numero di ossidazione di Al è aumentato da 0 a +3 (Al ha ceduto elettroni), quindi Al è
stato ossidato; Al è l’agente riducente .
Il numero di ossidazione di H è diminuito da +1 a 0 (H ha acquistato elettroni), quindi H+
è stato ridotto; H2SO4 è l’agente ossidante .
(b) Assegnazione dei numeri di ossidazione:
ossidazione
−2 −2 −2
+2 +2 0 +4
PbO( s ) + CO( g ) ⎯ ⎯
→ Pb( s ) + CO 2 ( g )
riduzione
Il numero di ossidazione di Pb è diminuito da +2 a 0, quindi PbO è stato ridotto; PbO è
l’agente ossidante .
Il numero di ossidazione di C è aumentato da +2 a +4, quindi CO è stato ossidato; CO è
l’agente riducente .
In generale, quando una sostanza (quale CO) si lega a più atomi di O (come in CO2), viene ossi-
data; e, quando una sostanza (come PbO) si lega a meno atomi di O (come in Pb), viene ridotta.
(c) Assegnazione dei numeri di ossidazione:
ossidazione
0 0 +1 −2
2H2 ( g ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( g )
riduzione
O2 è stato ridotto (il numero di ossidazione di O è diminuito da 0 a −2); O2 è l’agente
ossidante .
H2 è stato ossidato (il numero di ossidazione di H è aumentato da 0 a +1); H2 è l’agente
riducente .
L’ossigeno è sempre l’agente ossidante in una reazione di combustione.
Commento 1. Si confrontino i valori dei numeri di ossidazione in (c) con quelli in un’altra
reazione comune che forma acqua. Come si può notare, nella seguente equazione ionica
netta per una reazione acido-base
+1 +1−2
+1 −2
H+ ( aq ) + OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ H2O( l )
i valori dei numeri di ossidazione rimangono invariati in entrambi i membri dell’equazione
acido-base. Perciò, una reazione acido-base non è una reazione redox.
2. Se una sostanza è presente nella sua forma elementare in un membro di un’equazione,
essa non può essere nella sua forma elementare anche nell’altro membro, e quindi la reazione
deve essere un processo redox. Si noti che compaiono elementi in tutti e tre i casi precedenti.
+5 +5 −2
0 +1 −2 +2 −2 +4 +1 −2
Cu + HNO3 ⎯ ⎯
→ Cu(NO3 )2 + NO 2 + H2O
Cu + HNO3 ⎯ ⎯
→ Cu(NO3 )2 + NO 2 + H2O
acquista 1e−
Passo 4. Moltiplicare per fattori tali da rendere il numero degli elettroni ceduti uguale al
numero degli elettroni acquistati e usare i fattori come coefficienti stechiometrici. Cu ha
ceduto 2e− e quindi 1e− acquistato da N dovrebbe essere moltiplicato per 2. Scriviamo il
coefficiente 2 davanti a NO2 e a HNO3:
Verifica
reagenti (1 Cu, 4 H, 4 N, 12 O) prodotti [1 Cu, 4 H, (2 + 2) N, (6 + 4 + 2) O]
(b) Passo 1. Assegnare i numeri di ossidazione:
−2 −2 −2
+2 0 +2 +4
PbS + O 2 ⎯ ⎯
→ PbO + SO 2
Passo 2. Identificare le specie che sono ossidate e ridotte. PbS è stato ossidato: il numero
di ossidazione di S è aumentato da −2 in PbS a +4 in SO2. O2 è stato ridotto: il numero di
ossidazione di O è diminuito da 0 in O2 a −2 in PbO e in SO2.
Passo 3. Calcolare gli elettroni ceduti e gli elettroni acquistati e tracciare le linee di colle-
gamento. S ha ceduto 6e− e ciascun O ha acquistato 2e−:
cede 6e−
PbS + O 2 ⎯ ⎯→ PbO + SO 2
Passo 4. Moltiplicare per fattori che rendano il numero degli elettroni ceduti uguale al
numero degli elettroni acquistati. L’atomo di S cede 6e−, e ciascun O in O2 acquista 2e−,
per un acquisto totale di 4e−. Perciò, premettendo il coefficiente 3/2 a O2 si ottengono 3
atomi di O ciascuno dei quali acquista 2e−, per un acquisto totale di 6e−:
PbS + 32 O 2 ⎯ ⎯→ PbO + SO 2
Passo 5. Completare il bilanciamento per esame diretto. Gli atomi sono bilanciati, ma tutti
i coefficienti devono essere moltiplicati per 2 per ottenere numeri interi; aggiungiamo gli
stati di aggregazione della materia:
2PbS(s) + 3O2(g) 2PbO(s) + 2SO2(g)
Titolazioni redox
In una titolazione acido-base, si usa una concentrazione nota di una base per tro-
vare una concentrazione incognita di un acido (o viceversa). Analogamente, in una
titolazione redox, si usa una concentrazione nota di un agente ossidante per trovare
una concentrazione incognita di un agente riducente (o viceversa). Questa applica-
zione della stechiometria è usata in un’ampia gamma di situazioni, comprendenti
per esempio la misurazione del contenuto di ferro nell’acqua per usi potabili e del
contenuto di vitamina C nei prodotti ortofrutticoli.
Lo ione permanganato, MnO4−, è un agente ossidante comune in queste titola-
zioni perché è intensamente colorato e quindi serve anche da indicatore. Nella Figu
ra 4.13, MnO4− è usato per ossidare lo ione ossalato, C2O42−, al fine di determinarne la
concentrazione. Purché C2O42− sia presente a qualunque concentrazione, esso riduce
lo ione MnO4−, di colore violetto scuro, allo ione Mn2+, di colore rosa molto tenue
(quasi incolore) (Figura 4.13, a sinistra). Non appena tutto il C2O42− disponibile è stato
ossidato, la goccia successiva di MnO4− fa diventare di colore violetto chiaro la solu-
zione (Figura 4.13, a destra). Questo cambiamento di colore indica il punto finale, os-
sia il punto in cui il numero di elettroni ceduti dalla specie ossidata (C2O42−) è uguale
al numero degli elettroni acquistati dalla specie ridotta (MnO4−). Poi calcoliamo la
concentrazione della soluzione di C2O42− in base al suo volume noto, al volume e alla
concentrazione noti della soluzione di MnO4− e all’equazione bilanciata.
KMnO4(aq)
Verifica Le quantità relative di Ca2+ hanno senso. Se vi sono 2,5 × 10−6 mol/mL sangue, [massa (g) di Ca2]/
vi sono 2,5 × 10−4 mol/100 mL sangue. Una massa molare di circa 40 g/mol per Ca2+ dà (100 mL sangue)
100 × 10−4 g, ossia 10 × 10−3 g/100 mL sangue. In questo tipo di calcolo è facile commet-
tere uno sbaglio di ordine di grandezza (potenza di 10), e quindi si deve badare a includere 1g 1000 mg
tutte le unità.
Commento 1. L’intervallo normale di concentrazione ematica dello ione Ca2+ in un adulto [massa (mg) di Ca2]/
umano è di 9,0-11,5 mg Ca2+/100 mL sangue, e quindi il valore trovato sembra ragionevole. (100 mL sangue)
2. Durante una donazione di sangue, il sacco ricevente contiene una soluzione di Na2C2O4
che fa precipitare lo ione Ca2+ impedendo la coagulazione del sangue.
3. Una titolazione redox è analoga a una titolazione acido-base: nei processi redox vengono
ceduti e acquistati elettroni, mentre nei processi acido-base vengono ceduti e acquistati
ioni H+.
Combinazione di due elementi Due elementi possono reagire per formare com-
posti ionici binari o composti covalenti. In ogni caso, avviene una variazione netta
della distribuzione della carica elettronica e quindi variano i numeri di ossidazione
degli elementi. Ecco alcuni esempi importanti.
1. Un metallo e un non metallo formano un composto ionico. La Figura 4.14 mostra
la reazione tra un metallo alcalino e un alogeno su scala osservabile e su scala
atomica. Si noti la variazione dei numeri di ossidazione. Come si può vedere, K
Figura 4.14 Combinazione viene ossidato e quindi è l’agente riducente; Cl2 viene ridotto e quindi è l’agente
di elementi per formare un
composto ionico. Quando il ossidante.
metallo potassio e il non metal- L’alluminio reagisce con O2, come fa pressoché ogni metallo, per formare ossidi
lo cloro reagiscono, formano il ionici:
composto ionico solido cloruro 0 0 +3 −2
di potassio. Le fotografie (in
alto) presentano l’immagine 4Al( s ) + 3O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2Al 2O3 ( s )
che il chimico vede in labo-
ratorio. Le frecce indicano gli
ingrandimenti che rappresenta- 2. Due non metalli formano un composto covalente. In uno tra migliaia di esempi, l’am-
no il processo su scala atomica
(in centro); la stechiometria
moniaca si forma a partire da azoto e idrogeno in una reazione che nell’industria si
è indicata dalle sferette di svolge su scala enorme:
colore più scuro. L’equazione +1
redox bilanciata è presentata 0 0 −3
con i numeri di ossidazione (in N 2 ( g ) + 3H2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NH3 ( g )
basso). (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tographer).
+
K −
Cl K+ −
K K Cl
Cl2
0 0 +1 −1
2K(s) + Cl2(g) 2KCl(s)
potassio cloro cloruro di potassio
Gli alogeni formano molti composti con altri non metalli, come nella formazione
di tricloruro di fosforo, un importante reagente nella produzione di pesticidi e altri
composti organici:
−1
0 0 +3
P4 ( s ) + 6Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4PCl3 ( l )
Quasi tutti i non metalli reagiscono con O2 per formare un ossido covalente, come
quando si forma monossido di azoto alle altissime temperature generate nell’aria dai
fulmini: −2
0 0 +2
N2 ( g) + O2 ( g) ⎯ ⎯
→ 2NO( g )
PCl3 ( l ) + Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ PCl5 ( s )
O2 Hg
O2
Hg2 Hg2 Hg
'
O2
2 2 0 0
2HgO(s) ' 2Hg(l ) O2(g)
ossido di mercurio(II) mercurio ossigeno
Figura 4.15 Decomposizione L’osservazione dell’elettrolisi dell’acqua ebbe un’importanza cruciale per la deter-
di un composto nei suoi ele-
minazione delle masse atomiche:
menti. In seguito a riscalda-
mento, l’ossido di mercurio(II) +1 −2 0 0
solido si decompone in mercurio elettricità
liquido e ossigeno gassoso; 2H2O( l ) ⎯ ⎯⎯⎯→ 2H2 ( g ) + O2 ( g )
immagine macroscopica (vista
in laboratorio) (in alto); rappre- Molti metalli attivi, quali sodio, magnesio e calcio, vengono prodotti industrialmen-
sentazione su scala atomica, te mediante elettrolisi dei loro alogenuri fusi:
in cui le sferette di colore più
scuro mostrano la stechiometria +2 −1 0 0
(in centro); equazione redox elettricità
MgCl 2 ( l ) ⎯ ⎯⎯⎯ → Mg( l ) + Cl 2 ( g )
bilanciata (in basso). (Foto: ©
McGraw-Hill Education/Stephen
Frisch, photographer).
Esamineremo i dettagli dell’elettrolisi nel Capitolo 21.
H2O
OH−
Li Li Li+
Li+
H2
OH−
H2O
0 +1 −2 +1 −2 +1 0
2Li(s) + 2H2O(l ) 2LiOH(aq) + H2(g)
litio acqua idrossido di litio idrogeno
Figura 4.16 Un metallo attivo sposta l’idrogeno dall’ac- da un’equazione bilanciata (in basso). (Per chiarezza, la rap-
qua. Il litio sposta l’idrogeno dall’acqua in una reazione presentazione dell’acqua su scala atomica è stata molto sem-
vigorosa che dà una soluzione acquosa di idrossido di litio e plificata, e soltanto le molecole d’acqua che partecipano alla
idrogeno gassoso. Il processo è mostrato su scala macroscopi- reazione sono colorate in rosso e in blu). (Foto: © McGraw-Hill
ca (in alto) e su scala atomica (in centro) ed è rappresentato Education/Stephen Frisch, photographer).
2Al( s ) + 6H2O( g ) ⎯ ⎯
→ 2Al(OH)3 ( s ) + 3H2 ( g )
0 +1 +2 0
+ 2+
Ni( s ) + 2H ( aq ) ⎯ ⎯
→ Ni ( aq ) + H2 ( g )
Si noti che in tutte queste reazioni il metallo è l’agente riducente (il nume-
ro di ossidazione del metallo aumenta) e l’acqua o l’acido è l’agente ossidan-
Figura 4.17 Lo spostamento
te (il numero di ossidazione di H diminuisce). I metalli meno reattivi, quali di H2 dall’acido per opera del
l’argento e l’oro, non sono in grado di spostare H2 da qualunque fonte. nichel. (Foto: © McGraw-Hill
(b) Un metallo sposta lo ione di un altro metallo dalla soluzione. I confronti diretti Education/Stephen Frisch, pho-
delle reattività dei metalli sono più chiari in queste reazioni. Per esempio, lo tographer).
Ag
atomi di Ag
che rivestono
il filo atomi di Cu
nel filo
15 2 0 25 2 0
2AgNO3(aq) Cu(s) Cu(NO3)2(aq) 2Ag(s)
Li
K zinco metallico sposta lo ione rame(II) dalla soluzione di solfato di rame(II),
possono spostare
Ba H dall’acqua come indica l’equazione ionica totale:
2
Ca
Na +6 +6
+2 −2 0 0 +2 −2
Mg
Al Cu 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq ) + Zn( s ) ⎯ ⎯
→ Cu( s ) + Zn 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq )
Mn
potere riducente
possono spostare H2
Zn La Figura 4.18 illustra a livello atomico che il rame metallico è capace di
dal vapore acqueo
Cr spostare lo ione argento dalla soluzione. Perciò, lo zinco è più reattivo del
Fe
rame, il quale è più reattivo dell’argento.
Cd
Co Sui risultati di molte di queste reazioni tra metalli e acqua, acidi in soluzione ac-
Ni possono spostare quosa e soluzioni di ioni metallici si basa la serie di attività dei metalli, la quale
Sn H2 dagli acidi
è mostrata nella Figura 4.19 in forma di elenco ordinato: gli elementi che occupano
Pb
H2
le posizioni superiori sono agenti riducenti più forti rispetto a quelli che occupano
Cu le posizioni inferiori. L’elenco indica anche se il metallo sia capace di spostare H2 e,
Hg non possono in caso affermativo, quale sia la sua fonte. Usando semplicemente gli esempi appena
Ag spostare H2 esaminati, si può vedere che Li, Al e Ni sono situati al di sopra di H2, mentre Ag si
Au da qualsiasi fonte trova sotto, e che Zn è posizionato sopra Cu, il quale a sua volta è situato sopra Ag.
2. La serie di attività degli alogeni. La reattività decresce dall’alto al basso lungo il
Figura 4.19 La serie di attivi- Gruppo 7A(17), e quindi possiamo ordinare gli alogeni nella loro serie di attività:
tà dei metalli. Questo elenco di
metalli (e di H2) è ordinato con F2 > Cl2 > Br2 > I2
il metallo più attivo (l’agente
riducente più forte) alla sommità Un alogeno che occupa una posizione superiore nella tavola periodica è un agente
e il metallo meno attivo (l’agente ossidante più forte di uno che occupa una posizione inferiore. Così, il cloro è capace
riducente più debole) al fondo. I
di ossidare gli ioni bromuro o gli ioni ioduro in soluzione, e il bromo è capace di
quattro metalli al di sotto di H2
non sono capaci di spostarlo da ossidare gli ioni ioduro. In questo caso, il cloro sposta il bromo:
qualsiasi fonte. (La classificazione
−1 0 0 −1
si riferisce al comportamento in
−
soluzione acquosa). → Br2 ( aq ) + 2Cl− ( aq )
2Br ( aq ) + Cl 2 ( aq ) ⎯ ⎯
H2O2 è l’agente sia ossidante sia riducente . Il numero di ossidazione di O nei perossidi è −1.
Aumenta a 0 in O2 e diminuisce a −2 in H2O.
(c) Reazione di scambio (o di spostamento): due sostanze formano due sostanze. Come
mostrato nella Figura 4.19, Al è più attivo di Pb e, quindi, lo sposta dalla soluzione acquosa:
−2 −2
0 +2 +5 +3 +5 0
2Al (s ) + 3Pb (NO3 ) 2 (aq) ⎯→ 3Al ( NO3)3(aq) + 3Pb(s)
'
la reazione CO2 si miscela di
CaCO3 raggiunge forma e CaO e CaCO3
viene l’equilibrio permane
riscaldato
B Sistema in equilibrio
Via via che le quantità di CaO e CO2 aumentano, la reazione di formazione accelera
gradualmente. La reazione inversa (formazione) finisce per svolgersi alla stessa ve-
locità della reazione diretta (dissociazione), e le quantità di CaCO3, CaO e CO2 non
variano più: il sistema ha raggiunto l’equilibrio. Questa situazione è indicata con
una coppia di frecce orientate in versi opposti:
CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)
Si deve tenere presente che l’equilibrio può instaurarsi soltanto quando tutte le
sostanze partecipanti alla reazione sono mantenute a reciproco contatto. La scissione
di CaCO3 prosegue fino al completamento nel recipiente aperto perché CO2 fug-
ge dal recipiente.
Le reazioni acido-base in soluzione acquosa che formano un prodotto gassoso
proseguono fino al completamento in un recipiente aperto, per lo stesso motivo:
il gas fugge e quindi la reazione inversa non può avvenire. Anche le reazioni di
precipitazione e altre reazioni acido-base proseguono in gran parte fino al comple-
tamento, anche se tutti i prodotti rimangono nel recipiente di reazione. In questi
casi, gli ioni non sono disponibili in misura rilevante per partecipare al processo
inverso, perché sono legati o come solido insolubile (reazione di precipitazione) o
come molecole d’acqua (reazione acido-base).
Il concetto di reversibilità di una reazione è in relazione anche con il compor-
tamento degli acidi e delle basi che sono elettroliti deboli, cioè, sono elettroliti che
si dissociano in ioni soltanto in piccola misura. La dissociazione viene rapidamente
bilanciata da una riassociazione, cosicché viene raggiunto l’equilibrio in presenza
di pochissimi ioni. Per esempio, quando l’acido acetico si scioglie in acqua, alcune
delle molecole di CH3COOH trasferiscono un protone a H2O e formano gli ioni
H3O+ e CH3COO−. Quando si formano altri di questi ioni, essi reagiscono tra loro
più frequentemente per riformare acido acetico e acqua:
CH3COOH(aq) + H2O(l) H3O+(aq) + CH3COO−(aq)
In realtà, in una soluzione 0,1 M in CH3COOH a 25 °C, soltanto circa l’1,3% delle
molecole di acido è dissociato in ogni dato momento. Analogamente, l’ammoniaca,
una base debole, reagisce con acqua per formare ioni. Quando gli ioni prodotti
interagiscono, riformano ammoniaca e acqua, e la velocità della reazione inversa e
quella della reazione diretta si bilanciano presto:
NH3(aq) + H2O(l) NH4+(aq) + OH−(aq)
Si può quindi vedere che alcune reazioni procedono di pochissimo prima di rag-
giungere l’equilibrio, mentre altre procedono pressoché fino al completamento.
E anche due reazioni che procedono pochissimo, come quelle che abbiamo ap-
pena esaminato tra acido acetico o ammoniaca e acqua, procedono in differenti
misure. Sorge quindi una domanda fondamentale: perché ciascun processo, anche
nelle stesse condizioni, raggiunge l’equilibrio con il proprio particolare rapporto
tra concentrazioni dei prodotti e concentrazioni dei reagenti. Si avrà una risposta
esauriente nei capitoli successivi, qui possiamo suggerire i fattori che intervengono.
L’energia disponibile per lo svolgimento di una reazione è la sua energia libera. Il
punto in cui un processo raggiunge l’equilibrio si ha quando la miscela di reazione
ha la sua energia libera più bassa. Due componenti di questa energia libera sono il
calore che una reazione rilascia (o assorbe) e la variazione del grado di ordine del-
le particelle: i solidi sono più ordinati dei gas, le sostanze pure sono più ordinate
delle soluzioni e così via. Una particolare combinazione di questi fattori, esaminata
quantitativamente nel Capitolo 20, determina l’energia libera e, quindi, il punto di
equilibrio per una data miscela di reagenti e di prodotti a una data temperatura.
Molti aspetti dell’equilibrio dinamico sono pertinenti ai sistemi naturali, dal
riciclo dell’acqua nell’ambiente, all’equilibrio di leoni e antilopi sulle pianure afri-
cane, ai processi nucleari che si svolgono nelle stelle. Esamineremo l’equilibrio nei
sistemi chimici e fisici nei Capitoli 12, 13 e dal 17 al 21.
1 L
4.9 (a) moli
= di Ca 2+ 6,53 mL soluz. × 4.10 (a) Reazione di combinazione:
103 mL S8(s) + 16F2(g) 8SF4(g)
4,56 ×10−3 mol KMnO 4 S8 è l’agente riducente; F2 è l’agente ossidante.
×
1 L soluz. (b) Reazione di scambio:
5 mol CaC 2O 4 1 mol Ca 2+ 2CsI(aq) + Cl2(aq) 2CsCl(aq) + I2(aq)
× ×
2 mol KMnO 4 1 mol CaC 2O 4 Cl2 è l’agente ossidante; CsI è l’agente riducente.
= 7,44 ×10−5 mol Ca 2+ 2Cs+(aq) + 2I−(aq) + Cl2(aq)
2Cs+(aq) + 2Cl−(aq) + I2(aq)
7,44 ×10−2 mol Ca 2+ 103 mL
molarità di Ca 2+ = × 2I−(aq) + Cl2(aq) 2Cl−(aq) + I2(aq)
2, 50 mL latte 1L
= 2,98 ×10−2 M Ca 2+ (c) Reazione di scambio:
(b) concentrazione di Ca2+ (g/L) 3Ni(NO3)2(aq) + 2Cr(s) 3Ni(s) + 2Cr(NO3)3(aq)
2,98 ×10−2 mol Ca 2+ 40,08 g Ca 2+ 3Ni2+(aq) + 6NO3−(aq) + 2Cr(s)
= × 3Ni(s) + 2Cr3+(aq) + 6NO3−(aq)
1L 1 mol Ca 2+
1,19 g Ca 2+ 3Ni2+(aq) + 2Cr(s) 3Ni(s) + 2Cr3+(aq)
= Cr è l’agente riducente; Ni(NO3)2 è l’agente ossidante.
1L
• Interconnessioni redox
esamineremo la pressione dei gas. Considereremo alcune leggi naturali che de-
scrivono il comportamento dei gas e poi esamineremo l’equazione di stato dei
tra atmosfera e biosfera I gas perfetti, che racchiude le altre leggi, e l’applicheremo alla stechiometria
differenti organismi che costituisco- delle reazioni. Spiegheremo il comportamento osservabile dei gas con un mo-
no la biosfera interagiscono intima-
dello molecolare semplice, ma poi troveremo che gli studi dei gas reali, special-
mente con i gas dell’atmosfera. Le
piante ver di, utilizzando l’energia mente in condizioni estreme, richiede perfezionamenti dell’equazione di stato
solare, riducono il CO2 atmosferico dei gas perfetti e del relativo modello. Infine, applicheremo questi principi alle
e in corporano gli atomi di C nella proprietà delle atmosfere planetarie.
propria sostanza. In questo processo,
gli atomi di O nelle molecole di
H2O vengono ossidati e rilasciati 5.1 UNO SGUARDO D’INSIEME
nell’aria sotto forma di O2. Certi mi
crorganismi che vivono sulle ra dici
AGLI STATI FISICI DELLA MATERIA
delle piante riducono N2 a NH3 e for- In opportune condizioni di pressione e temperatura, la maggior parte delle sostan-
mano composti che la pianta utilizza
ze possono esistere allo stato solido, liquido o gassoso. Nei Capitoli 1 e 2 abbiamo
per sintetizzare le proprie proteine.
Altri microrganismi che si alimen- descritto questi stati fisici facendo riferimento al modo in cui ciascuno riempie un
tano di piante e di animali morti recipiente e abbiamo cominciato a costruire un modello molecolare che spieghi
ossidano le proteine e rilasciano di questo comportamento macroscopico: un solido ha una forma fissa indipendente-
nuovo N2. Gli animali con sumano
mente dalla forma del recipiente perché le sue particelle sono mantenute rigida-
piante e altri animali, utilizzano O2
per ossidare il proprio alimento, e mente nelle loro posizioni; un liquido assume la forma del recipiente che lo contie-
restituiscono CO2 e H2O all’aria. ne ma ha un volume definito e una superficie libera perché le sue particelle sono
vicine l’una all’altra ma libere di muoversi l’una rispetto all’altra; un gas riempie il
recipiente che lo contiene perché le sue particelle sono lontane l’una dall’altra e si
muovono in modo casuale. Parecchi altri aspetti del loro comportamento distinguo-
no i gas dai liquidi e dai solidi.
1. Il volume di un gas varia notevolmente al variare della pressione. Quando un cam-
pione di gas è racchiuso in un recipiente di volume variabile, per esempio in
un sistema stantuffo-cilindro di un motore a combustione interna, una forza
esterna è in grado di comprimere il gas. Eliminando la forza esterna, il volume
del gas aumenta di nuovo. Per contro, un liquido e un solido si oppongono a
rilevanti variazioni del loro volume.
2. Il volume di un gas varia notevolmente al variare della temperatura. Quando un
campione di gas a pressione costante viene riscaldato (se ne aumenta la tempe-
ratura), il suo volume aumenta; quando viene raffreddato, il suo volume dimi-
nuisce. Questa variazione di volume nei gas è 50 ÷ 100 volte maggiore rispetto
ai liquidi e ai solidi.
3. I gas hanno una viscosità relativamente bassa. I gas fluiscono molto più facilmen-
te dei liquidi e dei solidi. Grazie alla loro bassa viscosità, i gas possono fluire
in tubi a grandi distanze e di effondere rapidamente da piccoli fori.
4. La maggior parte dei gas ha densità relativamente basse in condizioni normali di
temperatura e di pressione. Le densità dei gas sono di solito espresse in grammi
al litro (L), mentre le densità dei liquidi e dei solidi sono espresse di solito in
grammi al millilitro (mL), un’unità di densità 1000 volte maggiore (Tabella 1.5).
Per esempio, alla temperatura di 20 °C e a pressione atmosferica normale, la den-
sità di O2(g) è 1,3 g/L, mentre quella di H2O(l) è 1,0 g/mL e quella di NaCl(s) è
2,2 g/mL. Quando si raffredda un gas (se ne diminuisce la temperatura), la sua
densità aumenta perché il suo volume diminuisce: a 0 °C, la densità di O2(g)
aumenta a 1,4 g/L.
5. I gas sono miscibili. Le sostanze miscibili si miscelano l’una con l’altra in qual
siasi rapporto per formare una soluzione. Per esempio, l’aria secca “pulita” (non
inquinata) è una soluzione di circa 18 gas. Due liquidi, però, possono essere o
no miscibili: l’acqua e l’etanolo sono miscibili, mentre l’acqua e la benzina non
lo sono. Due solidi generalmente non formano una soluzione, salvo che non
vengano miscelati come liquidi fusi e poi lasciati solidificare. • Le espansioni compiono
lavoro Un martello pneumatico
Ciascuna di queste proprietà osservabili offre un indizio per giungere alle proprietà utilizza la forza esercitata dalla rapi-
da espansione dell’aria compressa
molecolari dei gas. Consideriamo, per esempio, questi dati relativi alla densità. A 20 °C per frantumare le rocce e il calce-
e a pressione atmosferica normale, N2 gassoso ha una densità di 1,25 g/L. Se viene raf- struzzo. Quando si preme la valvola
freddato al di sotto di −196 °C, N2 gassoso condensa trasformandosi in N2 liquido e la dell’ugello di una bomboletta di
sua densità sale a 0,808 g/mL. (Si noti il cambiamento di unità). La stessa quantità di pittura spray, i gas propellenti pres-
surizzati che contiene si espandono
azoto occupa ora uno spazio 600 volte più piccolo. Un ulteriore raffreddamento al di nell’aria ambiente a pressione più
sotto di −210 °C produce N2 solido (d = 1,03 g/mL), che è soltanto un po’ più denso bassa ed espellono goccioline di
di N2 liquido. Questi valori mostrano nuovamente che in un gas le molecole sono molto pittura. La rapida espansione di gas
più distanti l’una dall’altra che in un liquido o in un solido. Inoltre, una grande quantità di riscaldati genera fenomeni quali la
distruzione causata da una bomba,
spazio tra le molecole è compatibile con la miscibilità, la bassa viscosità e la comprimi- il decollo di un razzo e lo scoppio
bilità (o compressibilità) dei gas. Nella Figura 5.1 sono messe a confronto le immagini dei chicchi di mais nella preparazio-
macroscopica e molecolare degli stati fisici di una sostanza reale. ne del popcorn.
vuoto sopra
la colonna
di mercurio
pressione
pressione atmosferica, Patm
esercitata dalla
colonna di mercurio
È importante notare che non abbiamo specificato il diametro del tubo del barometro.
Se il mercurio in un tubo di 1 cm di diametro sale a un’altezza di 760 mm, esso sale alla
stessa altezza anche in un tubo di 2 cm di diametro. Il peso del mercurio è maggiore nel
tubo di diametro maggiore, ma è maggiore anche l’area della sezione del tubo; perciò,
la pressione, il rapporto tra il peso e l’area della superficie su cui si esercita, è la stessa.
Poiché la pressione della colonna di mercurio è direttamente proporzionale
alla sua altezza, un’unità di pressione di uso comune (ammessa tra le unità fuori del
Sistema Internazionale) è l’altezza della colonna di mercurio (simbolo atomico: Hg)
espressa in millimetri: il millimetro di mercurio (mmHg). Esamineremo tra poco
questa e altre unità di pressione. Alla temperatura di 0 °C e al livello del mare, la
pressione atmosferica normale è pari a 760 mmHg, ma sulla vetta del Monte Eve-
rest (8848 m), la pressione atmosferica è pari a soltanto circa 270 mmHg. Perciò,
la pressione diminuisce all’aumentare della quota: la colonna d’aria sopra il livello del
mare è più alta e pesa di più rispetto alla colonna d’aria sopra il Monte Everest.
I barometri da laboratorio contengono mercurio invece di qualche altro liquido
IL MISTERO DELLA
perché l’elevata densità del mercurio permette di realizzare uno strumento di di-
POMPA ASPIRANTE mensioni contenute. Per esempio, la pressione atmosferica a livello del mare sarebbe
uguale alla pressione di una colonna d’acqua alta circa 10 300 mm, ossia circa 10 m.
È importante notare che, per una data pressione, il rapporto delle altezze (h) delle
colonne dei due liquidi è uguale al reciproco del rapporto delle loro densità (d):
hH2O dHg
=
hHg dH2O
Il manometro è un dispositivo per misurare la pressione di un gas in un recipien-
te in un esperimento. La Figura 5.4 mostra due tipi di manometro. Figura 5.4A-B
mostra un manometro a tubo chiuso, esso è costituito da un tubo curvo pieno di
Figura 5.4 Due tipi di mano- mercurio che è chiuso a un’estremità e collegato a un recipiente all’altra. Quando
metro. A. In un manometro nel recipiente è fatto il vuoto (Figura 5.4A), i livelli del mercurio nei due rami
a tubo chiuso collegato a un del tubo sono uguali perché nessun gas esercita una pressione sull’una o sull’altra
recipiente in cui è stato fatto il superficie del mercurio. Quando il recipiente contiene un gas (Figura 5.4B), esso
vuoto i livelli del mercurio nei
due rami sono uguali. B. Un gas
fa scendere il livello del mercurio nel ramo collegato con il recipiente, e quindi il
esercita una pressione sul mer- livello del mercurio sale nel ramo chiuso. La differenza tra le altezze delle colonne
curio nel braccio collegato al (Δh) indica la pressione del gas. Si noti che, se si apre il rubinetto inferiore del re-
recipiente. Il dislivello del mercu- cipiente evacuato, affluendo l’aria nel recipiente Δh indica la pressione atmosferica
rio tra i due rami (Δh) è assunto e il manometro a tubo chiuso diventa un barometro.
come misura della pressione del
gas. C–E. Un manometro a tubo
Il manometro a tubo aperto (o ad aria libera), illustrato nella Figura 5.4C-E, è
aperto (o ad aria libera) in cui costituito anch’esso da un tubo curvo pieno di mercurio, ma in questo caso un’e-
la pressione del gas è uguale stremità del tubo è aperta, ossia in comunicazione con l’atmosfera, mentre l’altra è
alla pressione atmosferica (C), collegata al recipiente contenente il campione di gas. La pressione atmosferica si
la pressione del gas è minore esercita su una superficie del mercurio e la pressione del gas sull’altra. Poiché Δh
della pressione atmosferica
(D), e la pressione del gas è
indica la differenza tra le due pressioni, per calcolare la pressione di un gas con un
maggiore della pressione atmo manometro a tubo aperto si deve misurare la pressione atmosferica separatamente
sferica (E). tramite un barometro.
pallone
evacuato Pgas Pgas Pgas Pgas
Piano La pressione del CO2 è espressa in millimetri di mercurio (mmHg) e quindi costruia
mo i fattori di conversione in base alla Tabella 5.2 per esprimere la pressione nelle altre
unità di misura.
Risoluzione Conversione da millimetri di mercurio ad atmosfere:
1 atm
PCO2 (atm) = 291, 4 mmHg × = 0,3834 atm
760 mmHg
Conversione da atmosfere a kilopascal:
101,325 kPa
PCO2 (kPa) = 0,3834 atm × = 38,85 kPa
1 atm
Verifica Vi sono 760 mmHg in 1 atm e quindi 300 mmHg dovrebbero essere <0,5 atm.
Vi sono 100 kPa in 1 atm e quindi <0,5 atm dorrebbero essere <50 kPa.
Commento 1. Nella conversione da millimetri di mercurio ad atmosfere, abbiamo conser-
vato 4 cifre significative perché questo fattore di conversione contiene numeri esatti; cioè,
760 mmHg ha tante cifre significative quante sono richieste dal calcolo.
2. Da questo punto in poi, tranne che in situazioni particolarmente complesse, l’elisione delle
unità di misura nei calcoli non sarà più indicata.
P (mmHg) PV
V (mL) 1/Ptotale
'h Patm Ptotale (mmHg mL)
Patm
Patm
20,0 20,0 760 780 0,00128 1,56u104
Hg 15,0 278 760 1038 0,000963 1,56u104
10,0 800 760 1560 0,000641 1,56u104
Ptotale Ptotale 5,0 2352 760 3112 0,000321 1,56u104
C
780 mmHg 1560 mmHg
campione di gas
(aria intrappolata) 20 20
volume (mL)
volume (mL)
'h 800 mm 15 15
V 10 mL 10 10
V 20 mL 5 5
'h 20 mm
0 0
1000 2000 3000 0,0005 0,0010 0,0015
A B D Ptotale (mmHg) E 1/Ptotale (mmHg1)
all’aria intrappolata era la pressione atmosferica (misurata con un barometro) più Figura 5.5 La relazione tra
quella esercitata dalla colonna di mercurio (Figura 5.5A). Versando mercurio nel volume e pressione di un gas.
ramo lungo del tubo, Boyle aumentava la pressione totale esercitata sull’aria, e il vo- A. Una piccola quantità di aria
(il gas) è intrappolata nel brac-
lume dell’aria diminuiva (Figura 5.5B). Poiché la temperatura e la quantità dell’aria cio corto di un tubo a J; n e T
erano costanti, Boyle era in grado di misurare direttamente l’effetto della pressione sono fisse. La pressione totale
applicata sul volume dell’aria. sul gas (Ptotale) è la somma della
Si notino i seguenti risultati (Figura 5.5): pressione dovuta al dislivello
delle colonne di mercurio (Δh)
• il prodotto dei valori corrispondenti di P e di V è costante (Figura 5.5C, ultima e della pressione atmosferica
colonna a destra); (Patm). Se Patm = 760 mmHg,
• V è inversamente proporzionale a P (Figura 5.5D); Ptotale = 780 mmHg. B. Quando
si aggiunge mercurio, la pres-
• V è direttamente proporzionale a 1/P (Figura 5.5E) e genera una relazione sione totale sul gas aumenta
lineare (rappresentata da una retta) tra V e 1/P. Questa relazione lineare tra due e il volume (V) diminuisce. Si
variabili dei gas è una caratteristica del comportamento dei gas perfetti. noti che, se si raddoppia Ptotale
(portandola a 1560 mmHg), V
La generalizzazione delle osservazioni di Boyle è nota come legge di Boyle: a si dimezza. (I livelli del mer-
temperatura costante, il volume occupato da una quantità fissa di gas è inversamente curio non sono rappresentati
proporzionale alla pressione applicata (alla pressione esterna); ossia, in simboli, in scala). C. Alcuni tipici dati
sulla relazione volume-pressione
1 ottenuti dall’esperimento. D. Un
V∝ [T e n fisse ] (5.1) diagramma di V in funzione di
P Ptotale mostra che V è inversa-
Questa relazione può essere espressa nelle forme mente proporzionale a P. E. Un
diagramma di V in funzione di
costante 1/Ptotale è un segmento di retta
=PV =
costante ossia V [T e n fisse ]
P la cui pendenza (coefficiente
angolare) è una costante carat-
La costante è la stessa per la grande maggioranza dei gas. Per esempio, se si triplica teristica di ogni gas che abbia
la pressione esterna, si riduce il volume a 1/3 del suo valore iniziale; se si dimezza un comportamento ideale (si
la pressione esterna si raddoppia il volume; e così via. comporti come un gas perfetto).
L’enunciato della legge di Boyle concentra l’attenzione sulla pressione esterna.
Nel suo esperimento, però, l’aggiunta di altro mercurio ne fa salire il livello finché
la pressione dell’aria intrappolata non cessa di aumentare in corrispondenza di un
certo nuovo livello. A questo punto, la pressione esercitata sul gas è uguale alla
pressione esercitata dal gas. In altre parole, misurando la pressione applicata, Boyle
misurava anche la pressione del gas. Per esempio, quando la pressione del gas rad-
doppia, il volume del gas si dimezza. In generale, se Pgas aumenta, Vgas diminuisce,
e viceversa.
termometro
3,0
Patm Patm
tubo di 2,0
vetro
volume (L)
n 0,04 mol
P 1 atm
n 0,02 mol
tappo di P 1 atm
mercurio 1,0
campione
d’aria n 0,04 mol
intrappolato P 4 atm
riscaldatore 273 200 100 0 100 200 300 400 500 (qC)
0 73 173 273 373 473 573 673 773 (K)
A Bagno di acqua B Bagno di acqua C temperatura
ghiacciata: in ebollizione:
0qC (273 K) 100 qC (373 K)
Figura 5.6 La relazione tra chiaramente compresa soltanto all’inizio del XIX secolo, grazie all’opera indipendente
volume e temperatura di un degli scienziati francesi J. A. C. Charles (1746-1823) e J. L. Gay-Lussac (1778-1850).
gas. A pressione costante, il volu-
Esaminiamo questa relazione misurando il volume di una quantità fissa di un
me di una data quantità di gas
è direttamente proporzionale gas soggetto a pressione costante, ma a differenti temperature, come mostrato nella
alla sua temperatura assoluta. Figura 5.6. Un tubo diritto, chiuso a un’estremità, intrappola una quantità fissa di aria
Una quantità fissa di gas (aria) sotto un piccolo tappo di mercurio. Il tubo è immerso in un bagno d’acqua che può
è intrappolata sotto un piccolo essere riscaldato con un riscaldatore o raffreddato con ghiaccio. Dopo ogni variazione
tappo di mercurio a pressione
della temperatura dell’acqua, misuriamo la lunghezza della colonna d’aria, che è diret-
fissa. Il campione viene immerso
in un bagno di acqua ghiacciata tamente proporzionale al suo volume. La pressione esercitata sul gas è costante perché
(A) portata poi in ebollizione (B). il tappo di mercurio e la pressione atmosferica non variano (vedi Figura 5.6A e B).
All’aumentare della temperatura, Nella Figura 5.6C sono mostrati alcuni dati tipici per differenti quantità e pres-
il volume del gas aumenta (C). sioni del gas. Si noti di nuovo la relazione lineare, ma questa volta le variabili sono
Le tre linee (segmenti di retta)
direttamente proporzionali: per una data quantità di gas a una data pressione, il volu-
rappresentano l’effetto della
quantità (n) di gas (si confronti- me aumenta all’aumentare della temperatura. Per esempio, il segmento di retta rosso
no la linea rossa e la linea verde) mostra come varia il volume di 0,04 mol di gas alla pressione di 1 atm al variare
e della pressione (P) del gas (si della temperatura. Prolungando (estrapolando) il segmento di retta a temperature
confrontino la linea rossa e la inferiori (linea tratteggiata) si vede che il volume si contrae finché il gas non occupa
linea blu). Le linee tratteggiate
un volume teorico zero a −273 °C (esattamente −273,15 °C) (l’intercetta con l’asse
estrapolano i dati a temperature
inferiori. Per qualsiasi quantità di delle temperature). Diagrammi simili, per una differente quantità di gas (in verde) e
un gas perfetto a qualsiasi pres- una differente pressione del gas (in blu), mostrano segmenti di retta con differenti
sione, il volume, in teoria, è zero pendenze (coefficienti angolari), ma tutti, quando vengono prolungati, convergono
alla temperatura di −273 °C sempre verso la temperatura (−273 °C).
(0 K).
Cinquant’anni dopo le ricerche di Charles e di Gay-Lussac, il fisico britannico
William Thomson (Lord Kelvin) (1824-1907) usò questa relazione lineare tra volume
e temperatura di un gas per ideare la scala assoluta delle temperature (scala Kelvin)
(Paragrafo 1.5). In questa scala, lo zero (chiamato zero assoluto, 0 K = −273,15 °C)
è la temperatura a cui un gas perfetto avrebbe volume zero. (Lo zero assoluto non
è mai stato raggiunto, ma i fisici hanno raggiunto temperature molto basse come
10−9 K). Ovviamente, nessun campione di materia può mai avere volume zero, e
ogni gas reale condensa trasformandosi in un liquido a una certa temperatura supe-
riore a 0 K. Ciononostante, questa dipendenza lineare del volume dalla temperatura as-
soluta è valida per la maggior parte dei gas comuni in un ampio intervallo di temperature.
L’enunciato moderno della relazione volume-temperatura è nota come legge
di Charles (o prima legge di Gay-Lussac): a pressione costante, il volume occupato
da una quantità fissa di gas è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta;
ossia, in simboli,
V ∝T [P e n fisse] (5.2)
Questa relazione può anche essere espressa nelle forme
V
= =
costante ossia V costante ×T [P e n fisse]
T
Se T aumenta, V aumenta, e viceversa. Ancora una volta, per dati P e n, la costante
è la stessa per la grande maggioranza dei gas.
La dipendenza del volume di un gas dalla temperatura assoluta significa che nei
calcoli riguardanti le leggi dei gas si deve usare la scala Kelvin. Per esempio, se la tem-
peratura aumenta da 200 K a 400 K, il volume di 1 mol di gas raddoppia. Però, se
la temperatura aumenta da 200 °C a 400 °C, il volume aumenta secondo un fattore
1,42, dato da (400 °C + 273,15)/(200 °C + 273,15) = 673/473 = 1,42.
Altre relazioni basate sulla legge di Boyle e sulla legge di Charles Dalla
legge di Boyle e dalla legge di Charles conseguono altre due relazioni importanti.
1. La relazione pressione-temperatura. La legge di Charles è espressa come effetto di
una variazione della temperatura sul volume di un gas. Però, il volume e la pressione
sono interdipendenti, e quindi l’effetto della temperatura sul volume è in stretta re-
lazione con il suo effetto sulla pressione (legge di Amontons sui gas: a volume e massa
costanti, un dato aumento di temperatura causa in tutti i gas lo stesso aumento di
pressione). Se misuriamo la pressione negli pneumatici di un’automobile prima di
un lungo percorso e dopo, troviamo che è aumentata. Il riscaldamento per attrito
tra lo pneumatico e la strada fa aumentare la temperatura dell’aria all’interno dello
pneumatico stesso; però, poiché il volume dello pneumatico non varia in misura
rilevante, l’aria esercita una maggiore pressione. Perciò, a volume costante, la pressio-
ne esercitata da una quantità fissa di gas è direttamente proporzionale alla temperatura
assoluta:
P ∝T [V e n fisse] (5.3)
ossia
P
= =
costante ossia P costante ×T
T
2. La legge combinata dei gas. Una semplice combinazione della legge di Boyle e del-
la legge di Charles dà la legge combinata dei gas, che è valida nelle situazioni in cui
due delle tre variabili (V, P, T) variano e si deve trovare l’effetto sulla terza:
T T PV
V∝ ossia V =
costante × ossia =
costante
P P T
(4,4 g) di ghiaccio secco (CO2 solido) nella provetta A e 0,20 mol (8,8 g) nella pro-
vetta B. Quando il solido si riscalda, si trasforma direttamente in CO2 gassoso, che
si espande nel cilindro sovrastante e spinge verso l’alto lo stantuffo. Quando tutto il
solido si è trasformato in gas e la temperatura ha raggiunto un valore costante, tro-
viamo che il volume del gas nel cilindro B è il doppio del volume di gas nel cilindro
A. (Possiamo trascurare il volume di ciascuna provetta perché è molto minore del
volume di ciascun cilindro).
Questo risultato indica che la quantità (in moli) doppia di gas occupa il volume
doppio. Si noti che, per entrambi i cilindri, la temperatura T del gas è uguale alla
temperatura ambiente e la pressione P del gas è uguale alla pressione atmosferica.
Perciò, a una temperatura fissa e a una pressione fissa, il volume occupato da un gas è
direttamente proporzionale alla quantità (in moli) di gas:
V ∝n [ P e n fisse] (5.4)
Al crescere di n, V cresce, e viceversa. Questa relazione può essere espressa anche
nelle forme
V
= costante =
ossia V costante × n
n
PROPRIETÀ DEI GAS La costante è la stessa per tutti i gas a una data temperatura e a una data pressione.
Questa relazione è un altro modo di esprimere la legge di Avogadro secondo cui,
a una temperatura fissa e a una pressione fissa, volumi uguali di ogni gas perfetto con-
tengono numeri uguali di particelle (o di moli).
Molti fenomeni familiari si basano sulla relazione tra volume, temperatura e
quantità di un gas. Per esempio, in un cilindro di un motore a combustione interna
(come quello di un’automobile) avviene una reazione in cui un minor numero di
moli di benzina e O2 formano un maggior numero di moli di CO2 e vapore di H2O,
che si espandono in conseguenza del calore rilasciato ed esercitano una spinta sullo
stantuffo (pistone) mobile nel cilindro. La dinamite esplode perché un solido si de-
compone rapidamente per formare gas a temperatura elevata. L’impasto per la pre-
parazione del pane si rigonfia in una stanza calda perché il lievito forma bollicine di
LA RESPIRAZIONE
CO2 nell’impasto stesso, che si espande durante la cottura nel forno per conferire al
E LE LEGGI DEI GAS pane un volume ancora maggiore.
Nella Figura 5.8 sono messe a confronto le proprietà di tre gas semplici in condizio-
ni normali di temperatura e pressione.
L’equazione di stato dei gas perfetti
Ciascuna delle leggi dei gas concentra l’attenzione sull’effetto delle variazioni di
una delle variabili dei gas sul loro volume.
• La legge di Boyle concentra l’attenzione sulla pressione (V ∝ 1/P).
• La legge di Charles concentra l’attenzione sulla temperatura (V ∝ T).
• La legge di Avogadro concentra l’attenzione sulla quantità (in moli) di gas (V ∝ n).
sono mantenute costanti. Quando le condizioni iniziali [denotate con il pedice (1)]
variano diventando le condizioni finali [denotate con il pedice (2)], otteniamo
=P1V1 n1=
RT1 e P2V2 n2RT2
Si noti che, se due delle variabili, per esempio P e T, rimangono costanti, allora
P1 = P2 e T1 = T2 e si ottiene l’espressione per la legge di Avogadro:
P1 V1 P2 V2 V1 V2
= = ossia
n1 T1 n2 T2 n1 n2
Useremo riordinamenti dell’equazione di stato dei gas perfetti come questo per ri-
solvere i problemi sulle leggi dei gas, come vedremo tra poco. Il punto da ricordare
è che non è necessario memorizzare le singole leggi dei gas.
Siamo in grado di prevedere il verso della variazione: poiché P aumenta, V diminuirà; quindi,
V2 < V1. (Si noti che l’itinerario è suddiviso in due parti.)
Risoluzione Riassunto delle variabili del gas:
P1 = 1,12 atm P2 = 2,64 atm
V1 = 24,8 cm3 (convertire in litri) V2 = incognito T e n rimangono costanti
Conversione dell’unità di V1 dai centimetri cubi ai litri:
1 mL 1L
V=
1 24,8 cm 3 × × = 0,0248 L
1 cm 3 1000 mL
Riordinamento dell’equazione di stato dei gas perfetti e risoluzione rispetto a V2: con n e
T fisse, otteniamo
P1V1 P2V2
= = da cui P1V1 P2V2
n1 T1 n2 T2
P1 1,12 atm
V2 =V1 × = 0,0248 L × = 0,0105 L
P2 2,64 atm
Verifica Come abbiamo previsto, V2 < V1. Riflettiamo sui valori relativi di P e di V mentre
verifichiamo la matematica. P è più che raddoppiata, e quindi V2 dovrebbe essere minore di
(1/2)V1 (0,0105/0,0248 < 1/2).
Commento La previsione del verso della variazione fornisce un’altra verifica sull’imposta-
zione della risoluzione del problema: per rendere V2 < V1, dobbiamo moltiplicare V1 per
un numero minore di 1. Ciò significa che il rapporto delle pressioni deve essere minore di 1,
e quindi la pressione maggiore (P2) deve figurare nel denominatore, P1/P2.
Verifica La nostra previsione è corretta; poiché T2 > T1, abbiamo P2 > P1. Perciò, il rappor-
to delle temperature dovrebbe essere >1 (T2 a numeratore). Il rapporto delle temperature
è circa 1,25 (dato da 373/296), quindi il rapporto delle pressioni dovrebbe essere anch’esso
pari a circa 1,25 (infatti 950/750 1,25).
Verifica Arrotondiamo per verificare i valori della densità; per esempio, in (a), in condizio-
ni normali di temperatura e pressione:
50 (g/mol) ×1 atm
= 2 g/L 1,96 g/L
atm ⋅ L
0,1 × 250 K
mol ⋅ K
Alla temperatura più alta in (b), la densità dovrebbe diminuire, il che può avvenire soltanto
se c’è un minore numero di molecole al litro, quindi la risposta è ragionevole.
Commento 1. Un metodo alternativo per trovare la densità della maggior parte dei gas
semplici, ma soltanto in condizioni normali di temperatura e pressione, consiste nel dividere la
massa molare per il volume molare normale, 22,4 L:
44,01 g /mol
=d = = 1,96 g /L
V 22,4 L / mol
Quindi, poiché conosciamo la densità a una temperatura (0 °C), possiamo trovarla a qualsiasi
altra temperatura con la seguente relazione: d1/d2 = T2/T1 (se la pressione è costante).
2. Si noti che abbiamo differenti numeri di cifre significative per i valori della pressione.
In (a), “1 atm” fa parte della definizione di “condizioni normali di temperatura e pressione”,
e quindi è un numero esatto. In (b), abbiamo specificato “1,00 atm” per consentire 3 cifre
significative nella risposta.
Poiché ciascuno dei due gas occupa lo stesso volume totale ed è alla stessa tempe-
ratura, la pressione di ciascun gas dipende soltanto dalla sua quantità, n. Perciò, la
pressione totale è n RT n RT N2 H2
Ptotale = PN2 + PH2 = +
V V
(nN2 + nH2 ) RT ntotale RT
= =
V V
= nN2 + nH2 .
con ntotale
Ciascun componente di una miscela fornisce una frazione del numero totale
di moli presenti nella miscela, che è la frazione molare (X) di quel componente.
Moltiplicando X per 100 si ottiene la percentuale in moli (percentuale molare). Si
deve tenere presente che la somma delle frazioni molari di tutti i componenti in
ogni miscela deve essere 1 e che la somma delle percentuali in moli deve essere
100%. Nel caso di N2, la frazione molare è
nN2 nN2
=
X N2 =
ntotale nN2 + nH2
Poiché la pressione totale è dovuta al numero totale di moli, la pressione parziale
del gas A è data dalla pressione totale moltiplicata per la frazione molare di A, XA:
PA = XA × Ptotale (5.12)
L’Equazione 5.12 è un risultato molto importante. Per vedere che è valida per la
miscela di N2 e H2, teniamo presente che X N2 + X H2 = 1 per ottenere
Ptotale =PN2 + PH2 =( X N2 × Ptotale ) + ( X H2 × Ptotale ) =( X N2 + X H2 ) Ptotale =
1× Ptotale
Se K è limitante,
2 mol KCl
moli di KCl = 0,435 mol K × = 0,435 mol KCl
2 mol K
Cl2 è il reagente limitante perché forma meno KCl.
Conversione da moli a grammi di KCl:
74,55 g KCl
=
massa (g) di KCl 0,414 mol KCl × = 30,9 g KCl
1 mol KCl
Verifica Il calcolo basato sull’equazione di stato dei gas perfetti sembra corretto. In con-
dizioni normali di temperatura e pressione, 22 L di Cl2 gassoso contengono circa 1 mol, e
quindi un volume di 5 L conterrebbe un po’ meno di 0,25 mol di Cl2. Inoltre, poiché P (nel
numeratore) è lievemente minore e T (nel denominatore) è lievemente maggiore dei valori
in condizioni normali, il valore di n calcolato dovrebbe essere ulteriormente minore del
valore ideale. La massa di KCl sembra corretta: meno di 0,5 mol di KCl danno <0,5 × M
(30,9 g < 0,5 × 75 g).
La velocità quadratica media è legata alla temperatura e alla massa molare dalla
seguente relazione:
3RT
uqm = (5.13)
• Preparazione del
bustibile nucleare
com- Effusione e diffusione
Una delle
Il movimento dei gas, l’uno attraverso l’altro oppure da regioni di alta pressione a
più importanti applicazioni della
legge di Graham è l’arricchimen- regioni di bassa pressione, ha molte applicazioni importanti.
to del combustibile per reattori
nu cleari; separazione dell’isotopo Il processo di effusione Uno dei primi trionfi della teoria cinetica dei gas fu la
238
U non fissile, più abbondante, spiegazione dell’effusione, il processo con cui un gas fugge dal suo recipiente at-
dall’isotopo 235U, fissile, per aumen traverso un piccolo orifizio trasferendosi in uno spazio in cui è stato fatto il vuoto.
tare la percentuale di 235U nella Il chimico e fisico scozzese Thomas Graham (1805-1869) studiò questo processo e
miscela. Poiché i due isotopi hanno
proprietà chimiche identiche, ven- giunse alla conclusione che la velocità di effusione era inversamente proporzionale
gono separati in base alle differenze alla radice quadrata della densità del gas. La velocità di effusione è il numero di
delle velocità di effusione dei loro moli (o di molecole) di gas che effondono nell’unità di tempo. Poiché la densità è
composti gassosi. Il minerale urani- direttamente proporzionale alla massa molare, enunciamo la legge di Graham
fero viene convertito in UF6 gassoso
238 235
(una miscela di UF6 e UF6), che sull’effusione come segue: la velocità di effusione di un gas è inversamente propor-
viene pompato attraverso una serie zionale alla radice quadrata della sua massa molare.
di camere con diaframmi porosi. Le 1
molecole di 235UF6 (M = 349,03), velocità di effusione ∝
muovendosi a una velocità lievis-
simamente maggiore, effondono L’argon (Ar) ha una massa molare minore di quella del cripton (Kr) e quindi la sua ve-
attraverso ciascun diaframma a una
velocità 1,0043 volte maggiore di locità di effusione è maggiore di quella del cripton. Perciò, il rapporto delle velocità è
quella delle molecole di 238UF6
(M = 352,04). Vengono effettuati velocità Ar Kr velocità A B
molti passaggi, ciascuno = dei quali = ossia, in generale, (5.14)
velocità Kr Ar velocità B A
aumenta la frazione di 235UF6, fin-
ché non si ottiene una miscela con-
tenente una quantità sufficiente di La teoria cinetica dei gas spiega che, a una data temperatura e a una data pressione, il
235
UF6. Questo processo di arricchi- gas con la massa molare minore effonde più velocemente perché la velocità più probabile del-
mento isotopico fu sviluppato negli le sue molecole è più alta; perciò, fugge un maggior numero di molecole nell’unità di tempo.
ultimi anni della Seconda guerra
La legge di Graham è usata anche per determinare la massa molare di un gas
mondiale e produsse una quantità
235
di U sufficiente per le prime tre sconosciuto, X, confrontando la sua velocità di effusione con quella di un gas noto,
bombe nucleari del mondo. quale He:
velocità X He
=
velocità He X
Elevando al quadrato entrambi i membri e risolvendo rispetto alla massa molare di
X, otteniamo
⎛ velocità He ⎞⎟2
=
He ×⎜⎜ ⎟
X
⎜⎝ velocità X ⎟⎟⎠
quota (Km)
pressione, la temperatura non dimi- 70
nuisce in modo regolare all’aumenta- MESOSFERA
re della quota, e l’atmosfera viene di
solito classificata in regioni basate sul
verso della variazione della tempera-
tura (Figura S5.1). Nella troposfera, la 2 50
regione dell’atmosfera compresa fra
la superficie terrestre e una quota di
circa 11 km, la temperatura diminui-
sce di 7 °C al kilometro fino a −55 °C STRATOSFERA
(218 K). Tutti i fenomeni meteorologi- linea dell’Ozono 30
ci si producono nella troposfera, e qua-
si tutti gli aeromobili volano in questa
regione. Poi la temperatura aumenta 150
nella stratosfera, salendo da −55 °C a
circa 7 °C (280 K) alla quota di 50 km; 10
esamineremo la causa tra poco. TROPOSFERA
Nella mesosfera, la temperatura
760
diminuisce di nuovo in modo regolare 150 180 218 273 280 300 2000
scendendo a −93 °C (180 K) alla quo- temperatura (K)
ta di circa 80 km. Nella termosfera, che
si estende fino alla quota di 500 km, Figura S5.1 Variazioni di pressione, temperatura e composizione dell’atmosfera
la temperatura torna ad aumentare, ma terrestre
O2 per formare ozono (O3), un’altra forma molecolare di evolsero i cianobatteri (“alghe azzurre”). Questi organismi
ossigeno: unicellulari utilizzavano l’energia solare per produrre glu-
radiazioni ad alta energia
O 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ → 2O( g ) cosio mediante la fotosintesi:
energia solare
M + O( g ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ O3 ( g ) + M 6CO 2 ( g ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯⎯⎯ → C6H12O6 (glucosio) + 6O 2 ( g )
dove M denota qualsiasi particella capace di asportare ener-
Grazie a questa reazione, il contenuto di O2 dell’atmosfe-
gia in eccesso. Questa reazione rilascia calore, ed è questo
ra aumentò e il contenuto di CO2 diminuì. L’aumento del
uno dei motivi per cui la temperatura stratosferica aumenta
contenuto di O2 permise un aumento dell’ossidazione, che
all’aumentare della quota.
L’ozono stratosferico è essenziale per la vita sulla su- mutò la costituzione geologica e biologica della Terra. I mi-
perficie terrestre perché assorbe una grande percentuale nerali del ferro(II) si trasformarono in minerali del ferro(III), i
delle radiazioni solari ultraviolette (UV), con conseguente solfiti si trasformarono in solfati, e alla fine si evolsero orga-
decomposizione dell’ozono: nismi capaci di utilizzare O2 per ossidare altri organismi per
procurarsi energia. Affinché questi organismi potessero so-
radiazioni UV
O3 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → O( g ) + O( g ) + O( g ) pravvivere all’esposizione alle forme più energetiche di ra-
Le radiazioni ultraviolette sono estremamente nocive per- diazione solare (in particolare alle radiazioni ultraviolette),
ché sono tanto intense da rompere i legami chimici, inter- dovette formarsi una quantità di O2 sufficiente per c reare
rompendo così i normali processi biologici. In assenza di uno strato di ozono protettivo. Le stime indicano che la
ozono stratosferico, una quantità molto maggiore di queste percentuale in moli di O2 aumentò e raggiunse il valore
radiazioni raggiungerebbe la superficie terrestre, causando attuale (20%) circa 1,5 miliardi di anni fa.
un aumento dei tassi di mutazione e di cancro. La deplezio-
Uno sguardo d’insieme alle atmosfere planetarie
ne dello strato di ozono (“buco dell’ozono”) causata dai gas
industriali è esaminata nel Capitolo 16. La combinazione di pressione e temperatura della Terra, la
sua atmosfera ricca di ossigeno e la sua superficie coperta in
L’atmosfera terrestre primitiva gran parte da acqua sono uniche nel sistema solare (in effetti,
La composizione dell’atmosfera terrestre attuale somiglia se si scoprissero condizioni e composizione simili su un pia-
poco a quella dell’atmosfera che copriva la giovane Terra, ma neta in orbita attorno a un’altra stella, la possibilità di vita su
gli scienziati non sono d’accordo su quale fosse realmente la questo pianeta susciterebbe enorme entusiasmo). Le atmo-
composizione primitiva. Il carbonio e l’azoto avevano numeri sfere sugli altri pianeti del sistema solare sono molto diverse
di ossidazione bassi, come in CH4 (numero di ossidazione di dall’atmosfera terrestre. In alcune, in particolare quelle sui
C = −4) e in NH3 (numero di ossidazione di N = −3)? Oppu- pianeti esterni (Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone),
re questi atomi avevano numeri di ossidazione più alti, come esistono condizioni tali da causare estreme deviazioni dal
in CO2 (numero di ossidazione di C = +4) e in N2 (numero comportamento dei gas perfetti (Paragrafo 5.7). La Tabella
di ossidazione di N = 0)? Un punto generalmente accettato è S5.2, basata su dati attuali forniti dai veicoli spaziali della
che la miscela primitiva non conteneva O2 libero. NASA e su osservazioni compiute dalla superficie terrestre,
I modelli dell’origine della vita ipotizzano che, circa elenca le condizioni e la composizione delle atmosfere dei
1 miliardo di anni dopo la comparsa dei primi organismi, si pianeti del sistema solare e di alcune delle loro lune.
Cammino libero medio Usando la teoria cinetica e il diametro di una molecola, • Pericoli sulle autostrade
possiamo ottenere il cammino libero medio, il cammino medio che la molecola molecolari Per farci un’idea di
percorre tra due urti consecutivi a una data temperatura e a una data pressione. La quanto siano stupefacenti gli eventi
nel mondo molecolare, possiamo
nostra molecola media di N2 (diametro: 3,7 × 10−10 m) percorre 6,6 × 10−8 m prima esprimere la frequenza degli urti di
di urtare contro una molecola della stessa specie, la qual cosa significa che percorre una molecola in termini di un’espe-
un cammino pari a 180 diametri molecolari tra due urti consecutivi. (Un’analogia rienza comune nel mondo macro-
nel mondo macroscopico sarebbe una molecola di N2 di diametro uguale a quello scopico: viaggiare in automobile
su un’autostrada. Poiché un’auto-
di una palla da biliardo, che percorre circa 9 m prima di urtare contro un’altra mobile è molto più grande di una
palla). Perciò, anche se le molecole gassose non sono masse puntiformi (punti ma- molecola di N2, per uguagliare la
teriali), un campione di gas è costituito in prevalenza da spazio vuoto. Il cammino frequenza degli urti della molecola
libero medio è un fattore essenziale nella velocità di diffusione e nella velocità di dovremmo viaggiare a una velo-
cità di 4,5 miliardi di kilometri al
trasmissione del calore attraverso un gas. secondo (un’impossibilità, dato che
questa velocità è molto maggiore di
Frequenza degli urti Dividendo la velocità più probabile (cammino percorso ri- quella della luce) e urteremmo con-
ferito all’unità di tempo, espresso in metri al secondo) per il cammino libero medio tro un’altra automobile ogni 700 m!
(cammino medio percorso tra due urti consecutivi, espresso in metri), si ottiene la
frequenza degli urti (o delle collisioni) (espressa in secondi alla meno uno),
ossia il numero medio di urti che ogni molecola compie in 1 secondo:
4,7 ×102 m/s
frequenza degli urti = = 7,1×109 collisioni/s
6,6 ×10−8 m/collisione
La distribuzione delle velocità (e delle energie cinetiche) e la frequenza degli urti sono
concetti essenziali per comprendere la velocità di una reazione chimica, come vedremo
nel Capitolo 16. Com’è illustrato nella scheda La chimica nelle altre scienze (pp. 168-170)
la teoria cinetica si applica direttamente al comportamento dell’atmosfera terrestre.
verso il punto di condensazione del gas, la temperatura a cui esso liquefa. Come si
può vedere nella tabella, le deviazioni più grandi riguardano Cl2 e NH3, che sono già
vicini al relativo punto di condensazione alla temperatura normale di 0 °C.
A pressioni maggiori di 10 atm, si cominciano a osservare rilevanti deviazioni
dal comportamento ideale in molti gas. La Figura 5.20 presenta un diagramma di
PV/ RT in funzione di Pest per 1 mol di alcuni gas reali e di un gas perfetto. Nel caso
di 1 mol di un gas perfetto, il rapporto PV/RT è uguale a 1 a qualsiasi pressione.
I valori indicati sull’asse x sono le pressioni esterne a cui sono calcolati i rapporti
PV/ RT e si estendono da valori normali (PV/RT = 1 a 1 atm) a valori molto alti
(PV/ RT 1,6 ÷ 2,3 a 1000 atm).
La curva PV/RT per 1 mol di metano (CH4) è tipica della maggior parte dei gas
reali: scende al di sotto del valore ideale a pressioni moderatamente alte e poi sale
al di sopra di questo valore all’ulteriore crescere della pressione. Questo andamento
è dovuto a due effetti parzialmente sovrapposti delle due caratteristiche delle mo-
lecole reali menzionate poc’anzi.
1. A pressioni moderatamente elevate, i valori di PV/RT minori del valore ideale
(<1) sono dovuti in prevalenza alle attrazioni intermolecolari.
2. A pressioni molto alte, i valori di PV/RT maggiori del valore ideale (>1) sono
dovuti in prevalenza al volume molecolare.
Esaminiamo questi effetti a livello molecolare.
1. Attrazioni intermolecolari. Le forze attrattive intermolecolari sono molto più de-
boli delle forze di legame covalente che tengono unite le molecole. La maggior
parte delle attrazioni intermolecolari è causata da lievi squilibri nelle distribuzioni
elettroniche e sono importanti soltanto su distanze relativamente corte. A pressioni
ordinarie, gli spazi tra le molecole gassose sono così grandi che le attrazioni sono
trascurabili, e il gas presenta un comportamento quasi ideale. Però, all’aumentare
della pressione e al diminuire del volume del campione, la distanza intermolecolare
media diminuisce e aumenta l’effetto delle attrazioni.
Raffiguriamo una molecola a queste pressioni più alte (Figura 5.21). Quando
la molecola si avvicina alla parete del recipiente, le molecole vicine l’attraggono,
il che diminuisce la forza del suo urto. Questo effetto ripetuto in tutto il campione fa
diminuire la pressione del gas e, quindi, fa diminuire il numeratore nel rapporto PV/RT.
Una rilevante diminuzione della temperatura ha lo stesso effetto perché rallenta le
Pest
Figura 5.21 Effetto delle
attrazioni intermolecolari sulla
pressione misurata di un gas.
A pressioni ordinarie, il volume
è grande e le molecole gasso-
Pest Pest se sono troppo lontane l’una
aumenta
dall’altra per essere soggette
ad attrazioni rilevanti. A pres-
sioni esterne moderatamente
elevate, il volume diminuisce a
sufficienza affinché le molecole
Pest ordinaria: le Pest moderatamente elevata: le attrazioni diminuiscono la si influenzino reciprocamente.
molecole sono troppo le molecole sono abbastanza forza dell'urto contro la parete Come mostra l’ingrandimento,
lontane per interagire vicine per interagire una molecola gassosa che si
avvicina alla parete del reci-
piente è soggetta ad attrazioni
molecole, e quindi le forze attrattive esercitano la loro influenza più a lungo. A una intermolecolari da parte delle
molecole vicine, attrazioni che
temperatura abbastanza bassa, le attrazioni intermolecolari diventano prevalenti e
riducono la forza del suo urto.
il gas condensa trasformandosi in un liquido. Di conseguenza, i gas reali eser-
citano una pressione minore di
2. Volume molecolare. A pressioni normali, lo spazio tra le molecole (volume libero)
quella prevista dall’equazione di
è enorme rispetto al volume delle molecole stesse (volume molecolare), e quindi il stato dei gas perfetti.
volume libero è essenzialmente uguale al volume del recipiente. Però, all’aumenta-
re della pressione applicata e al diminuire del volume libero, il volume molecolare
costituisce una maggiore percentuale del volume del recipiente, come si può vede-
re nella Figura 5.22. Perciò, a pressioni molto alte, il volume libero diventa notevol-
mente minore del volume del recipiente. Continuando però a usare il volume del
recipiente quale volume V nel rapporto PV/RT, risulta che il numeratore diventa
artificiosamente più grande aumentando di conseguenza anche il rapporto finale.
L’effetto del volume molecolare diventa sempre più importante all’aumentare della
pressione finendo per sopraffare l’influenza delle attrazioni intermolecolari e fare
salire il rapporto PV/RT al di sopra del valore ideale.
Nella Figura 5.20, le curve relative a H2 e a He non presentano la tipica discesa a
pressioni moderate. Questi gas sono costituiti da particelle con attrazioni intermole-
colari così deboli che l’effetto del volume molecolare predomina a tutte le pressioni.
il comportamento dei gas reali. L’equazione di van der Waals per n moli di un
gas reale è
⎛ 2 ⎞
⎜⎜P + n a ⎟⎟ (V − nb) = nRT
⎝⎜ V 2 ⎟⎟⎠ coregge V
corregge p in diminuzione
in aumeto
suolo e i ciottoli nel punto d’impatto. Perciò, l’energia potenziale della massa si
converte in energia cinetica, che si trasferisce al suolo sotto forma di lavoro e calore.
• Ovunque guardiamo,
vediamo un sistema
La moderna teoria atomica ci permette di considerare altre forme di energia – Nell’esempio della massa che col
solare, elettrica, nucleare e chimica – come esempi di energia potenziale ed energia pisce il suolo, se definiamo come
sistema la massa in caduta, il suolo
cinetica su scale atomica e molecolare. Quali che possano essere i particolari della
e i ciottoli spostati e riscaldati in
situazione, quando si trasferisce energia da un corpo a un altro, essa si manifesta come seguito all’urto costituiscono l’am
lavoro e/o come calore. In questo paragrafo, esamineremo questo concetto in termini biente. Un astronomo può definire
della cessione o dell’acquisto di energia che avvengono durante una trasformazione come sistema una galassia e come
chimica o fisica. ambiente le galassie vicine. Un
ecologo che studia gli animali sel
Il sistema e l’ambiente vatici in Africa può definire come
sistema un branco di zebre e come
Per compiere osservazioni e misurazioni significative di una variazione di energia, ambiente gli altri animali, le piante
dobbiamo prima definire il sistema, quella parte dell’Universo la cui trasformazio e le fonti d’acqua. Un microbiologo
può definire come sistema una
ne vogliamo osservare. Nel momento in cui definiamo il sistema, ogni altro elemen
certa cellula e come ambiente la
to pertinente alla trasformazione è definito come ambiente. soluzione extracellulare. Perciò, in
La Figura 6.1 mostra un tipico sistema chimico e il suo ambiente: il sistema è il generale, sono l’esperimento e lo
contenuto del matraccio; il matraccio stesso, gli altri apparecchi e forse il resto del sperimentatore che definiscono il
laboratorio sono l’ambiente del sistema. In linea di principio, l’ambiente di un si sistema e l’ambiente.
stema è il resto dell’Universo, ma, in pratica, si devono considerare soltanto le parti
dell’Universo che sono pertinenti al sistema. Cioè, è improbabile che un temporale
nell’Asia centrale o una bufera di metano su Nettuno influenzino il contenuto del
matraccio, ma la temperatura, la pressione e l’umidità del laboratorio potrebbero
influenzarlo.
energia, E
energia, E
ambiente. A. Quando l’energia Einiziale Efinale
interna di un sistema diminuisce,
Efinale < Einiziale Efinale > Einiziale
la variazione di energia interna ΔE < 0 energia che il ΔE > 0 energia che il
(ΔE) viene ceduta all’ambiente; sistema cede sistema acquista
stato all’ambiente stato dall’ambiente
perciò, ΔE del sistema (Efinale −
Einiziale) è negativa. B. Quando finale iniziale
Efinale Einiziale
l’energia interna del sistema
aumenta, il sistema acquista la A L’energia del sistema diminuisce B L’energia del sistema aumenta
variazione dell’energia interna
(ΔE) dall’ambiente e ΔE è posi-
un diagramma dell’energia (o diagramma energetico) in cui lo stato finale e lo stato ini
tiva. Si noti che la freccia ver-
ticale gialla, che indica il verso ziale sono rappresentati con segmenti rettilinei orizzontali lungo un asse verticale
della variazione di energia, ha su cui è rappresentata l’energia. La variazione di energia interna, ΔE, è la differenza
sempre la coda nello stato inizia- tra le quote dei due segmenti orizzontali. Un sistema chimico reagente può variare
le e la punta nello stato finale. la sua energia interna in due modi:
1. cedendo una certa quantità di energia all’ambiente, come è mostrato nella Figu
ra 6.2A:
E finale < Einiziale ΔE < 0
2. acquisendo una certa quantità di energia dall’ambiente, come è mostrato nella
Figura 6.2B:
E finale > Einiziale ΔE > 0
Si noti che la variazione è un trasferimento di energia dal sistema al suo ambiente,
e viceversa.
Calore e lavoro: due forme di trasferimento di energia
Come abbiamo visto nel caso in cui una massa colpisce il suolo, il trasferimento di
energia dal sistema all’ambiente o dall’ambiente al sistema può manifestarsi in due
forme: calore e lavoro. Il calore (o energia termica, q) è l’energia che si trasferisce
tra un sistema e l’ambiente in virtù di una differenza tra le loro temperature. Per
esempio, si trasferisce energia sotto forma di calore da una minestra calda (il siste
ma) al piatto, all’aria e al tavolo (l’ambiente) perché la temperatura dell’ambiente
è inferiore a quella della minestra. Tutte le altre forme di trasferimento di energia
(meccanica, elettrica e così via) implicano qualche tipo di lavoro (w), cioè l’energia
trasferita quando un oggetto viene spostato da una forza. Per esempio, quando una
persona (il sistema) dà un calcio a un pallone (l’ambiente), si trasferisce energia
sotto forma di lavoro per spostare il pallone. Se il pallone deve essere gonfiato, l’a
ria interna (il sistema) esercita una forza sulla parete esterna e sull’aria circostante
(l’ambiente) e compie lavoro per spostarle verso l’esterno.
Poiché l’energia può essere trasferita sotto forma di calore e/o di lavoro, la va
riazione totale dell’energia interna di un sistema è
ΔE = q+w (6.2)
I valori numerici di q e w possono essere positivi o negativi, a seconda della trasforma
zione subita dal sistema. In altre parole, definiamo il segno del trasferimento di energia dal
punto di vista del sistema. L’energia uscente dal sistema è negativa. Delle innumerevoli
variazioni possibili dell’energia interna del sistema, esaminiamo quattro casi semplici:
due che implicano soltanto calore e due che implicano soltanto lavoro.
Trasferimento di energia soltanto sotto forma di calore Nel caso di un si
stema che non compie lavoro, ma trasferisce energia soltanto sotto forma di calore
(q), sappiamo che w = 0. Perciò, dall’Equazione 6.2 otteniamo che ΔE = q + 0 = q.
1. Calore uscente da un sistema. Supponiamo che il sistema sia costituito da
un campione di acqua calda; allora il becher che la contiene e il resto del
laboratorio sono l’ambiente. L’acqua trasferisce energia sotto forma di calore
all’ambiente finché la temperatura dell’acqua non è diventata uguale a quella
energia, E
zione Tsis =Tamb. Poiché
Einiziale Efinale Einiziale > Efinale e w = 0, ΔE < 0
Tsis = Tamb Tsis < Tamb e il segno di q è negativo.
calore (q) che il calore (q) che il
B. L’acqua ghiacciata acquista
H2O a temp. ΔE < 0 sistema cede ΔE > 0 sistema acquista
H2O energia sotto forma di calore
ambiente all’ambiente (q < 0) ghiacciata dall’ambiente (q > 0)
Tsis Tamb Tamb (q) dall’ambiente finché non si
Tsis
realizza la condizione Tsis =Tamb.
Efinale Einiziale Poiché Einiziale < Efinale e w = 0,
A Energia ceduta sotto forma di calore B Energia acquistata sotto forma di calore ΔE > 0 e il segno di q è nega-
tivo.
dell’ambiente. L’energia del sistema diminuisce mentre il calore esce dal siste-
ma e quindi l’energia finale del sistema è minore della sua energia iniziale. Il
sistema ha ceduto calore; quindi, q è negativa e, di conseguenza, ΔE è negativa.
Questa situazione è illustrata nella Figura 6.3A.
•
2. Calore entrante in un sistema. D’altra parte, se il sistema è costituito da acqua
ghiacciata, esso acquista energia sotto forma di calore dall’ambiente finché la Termodinamica in cuci
temperatura dell’acqua non è diventata uguale a quella dell’ambiente. In questo na L’aria racchiusa in un frigorifero
(l’ambiente) ha una temperatura più
caso, si trasferisce energia nel sistema e quindi l’energia finale del sistema è supe bassa di quella di un cibo appena
riore alla sua energia iniziale. Il sistema ha acquistato calore; quindi, q è positiva introdotto (il sistema) e quindi il
e, di conseguenza, ΔE è positiva. Questa situazione è illustrata nella Figura 6.3B. cibo cede energia sotto forma di
calore all’aria nel frigorifero, q < 0.
Trasferimento di energia soltanto sotto forma di lavoro Nel caso di un L’aria in un forno caldo (l’ambien
sistema che trasferisce energia soltanto sotto forma di lavoro (w) e non sotto forma te) ha una temperatura più alta di
di calore, sappiamo che q = 0; perciò, ΔE = 0 + w = w. quella di un cibo appena introdotto
(il sistema) e quindi il cibo acquista
1. Lavoro compiuto da un sistema. Consideriamo la reazione tra zinco e acido energia sotto forma di calore dall’aria
cloridrico che si svolge in un recipiente isolato termicamente e collegato a nel forno, q > 0.
un sistema stantuffo-cilindro. Per definizione, il sistema consiste negli atomi
Figura 6.4 Un sistema che
che costituiscono le sostanze. Nello stato iniziale, l’energia interna del sistema cede energia soltanto sotto
è quella degli atomi sotto forma di reagenti: Zn metallico e ioni H+ e Cl− in forma di lavoro. L’energia
soluzione acquosa. Nello stato finale, l’energia interna del sistema è quella degli interna del sistema diminuisce
atomi sotto forma di prodotti: H2 gassoso e ioni Zn2+ e Cl− in soluzione acquosa: quando i reagenti formano pro-
dotti perché H2(g) compie lavoro
Zn(s ) + 2H+ ( aq ) + 2CI− ( aq ) ⎯ ⎯
→ H2 ( g ) + Zn 2+ ( aq ) + 2CI− ( aq ) sull’ambiente spingendo all’in-
dietro lo stantuffo. Il recipiente
Mentre si forma H2 gassoso, una parte dell’energia interna viene utilizzata dal
di reazione è termicamente iso-
sistema per compiere lavoro sull’ambiente e spingere lo stantuffo verso l’ester lato, quindi q=0. Poiché Einiziale
no. Il sistema cede energia sotto forma di lavoro, e quindi w è negativo e ΔE > Efinale, ΔE < 0 e il segno di w
è negativa, come si può vedere nella Figura 6.4. L’H2 gassoso compie lavoro è negativo.
Patm Pambiente
Psys
sistema sistema H2(g)
HCl(aq)
energia, E
energia, E
Zn(s)
Einiziale Efinale
H2(g) PH2 Patm H2(g) Pambiente
È rilasciata energia per riscaldare l’ambiente e/o compiere lavoro su di esso, e quin
di ΔE è negativa. Due dei modi in cui può avvenire la variazione sono illustrati
nella Figura 6.6. Se bruciamo l’ottano in un recipiente aperto, ΔE si manifesta quasi
completamente sotto forma di calore (con una piccola quantità di lavoro compiuto
Figura 6.6 Due differenti per spingere all’indietro l’atmosfera). Se lo bruciamo nel motore di un’automobile,
cammini per la variazione di una percentuale molto maggiore (30%) di ΔE si manifesta sotto forma di lavoro
energia di un sistema. La varia- che fa muovere l’automobile, mentre il resto è utilizzato per riscaldare l’automobi
zione di energia interna durante
le, l’aria e i gas di scarico. Se bruciamo l’ottano nel motore a combustione interna di
la combustione di una data
quantità di ottano nell’aria è la una falciatrice da giardino o in quello di un aeroplano, ΔE si manifesta come altre
stessa indipendentemente da combinazioni di lavoro e calore.
come l’energia viene trasferita. A
sinistra, il combustibile viene bru-
ciato in un recipiente aperto e C8H18 (ottano)
l’energia viene ceduta quasi inte- + 25 O2
2
ramente sotto forma di calore. A Einiziale
energia, E
Perciò, anche se le quantità distinte di lavoro e di calore rese disponibili dalla varia
zione dell’energia interna dipendono separatamente da come avviene la variazione,
la sua variazione interna (la somma del calore e del lavoro) non dipende da come
avviene tale variazione. In altre parole, per una data variazione dell’energia interna,
ΔE (la somma di q e w) è costante, anche se q e w possono variare. Perciò, il calore e
il lavoro non sono funzioni di stato perché i loro valori dipendono dal cammino LA NOSTRA PERSONALE
seguito dal sistema nel subire la variazione di energia. FUNZIONE DI STATO
FINANZIARIO
La pressione (P) di un gas perfetto o il volume (V) dell’acqua in un becher
sono altri esempi di funzioni di stato. Questa indipendenza dal cammino significa
che le variazioni delle funzioni di stato (ΔE , ΔP e ΔV) dipendono soltanto dal loro
stato iniziale e dal loro stato finale. (Si noti che i simboli delle funzioni di stato,
quali E, P e V, sono scritti in caratteri maiuscoli).
Significato dell’entalpia
Per determinare ΔE, dobbiamo misurare sia il calore sia il lavoro. I due tipi più
importanti di lavoro chimico sono il lavoro elettrico [il lavoro compiuto spostando
particelle cariche (Capitolo 21)] e il lavoro PV (il lavoro compiuto da un gas in
espansione). Per trovare la quantità di lavoro PV compiuto si moltiplica la pressione
esterna (P) per la variazione del volume del gas (Vfinale − Viniziale = ΔV). In un ma
traccio aperto (o in un cilindro munito di uno stantuffo supposto privo di massa e
di attrito), un gas compie lavoro spingendo all’indietro l’atmosfera. Come mostrato
nella Figura 6.7, questo lavoro compiuto sull’ambiente è negativo per definizione
perché il sistema cede energia:
w = −P ΔV (6.4)
Nel caso delle reazioni che si svolgono a pressione costante, una variabile termodi
namica detta entalpia (H) elimina la necessità di considerare il lavoro PV. L’ental ambiente
pia di un sistema è, per definizione, l’energia interna più il prodotto della pressione P
per il volume:
P
H = E + PV
Confronto tra ΔE e ΔH
Conoscendo la variazione dell’entalpia di un sistema abbiamo molte informazioni
anche sulla variazione della sua energia. In realtà, poiché molte reazioni implicano
poco (o nessun) lavoro PV, la maggior parte (o la totalità) delle variazioni di energia
avviene come trasferimento di calore. Seguono tre casi.
1. Reazioni a cui non partecipano gas. Non compaiono gas in molte reazioni (rea
zioni di precipitazione, molte reazioni acido-base e molte reazioni di ossidori
duzione). Per esempio,
2KOH(aq) + H2SO4(aq) K2SO4(aq) + 2H2O(l)
Dato che i liquidi e i solidi subiscono soltanto piccolissime variazioni di volu
me, ΔV 0; perciò, P ΔV 0 e ΔH ΔE.
2. Reazioni in cui la quantità (in moli) di gas non varia. Quando la quantità totale di
reagenti gassosi è uguale alla quantità totale di prodotti gassosi, ΔV = 0, quindi
P ΔV = 0 e ΔH = ΔE. Per esempio,
N2(g) + O2(g) 2NO(g)
3. Reazioni in cui la quantità (in moli) di gas varia. In questi casi, P ΔV ≠ 0. Però, qP
è di solito tanto maggiore di P ΔV che ΔH è molto vicino a ΔE. Per esempio,
nella combustione di H2, 3 mol di gas danno 2 mol di gas:
2H2(g) + O2(g) 2H2O(g)
In questa reazione, ΔH = −483,6 kJ e P ΔV = −2,5 kJ, quindi (dall’Equazio
ne 6.5)
ΔE = ΔH − P ΔV = −483,6 kJ − (−2,5 kJ) = −481,1 kJ
Ovviamente, la maggior parte di ΔE si presenta come trasferimento di calore,
quindi ΔH ΔE.
Il punto essenziale che scaturisce da questi tre casi è che per molte reazioni, ΔH è
uguale, o è molto vicino, a ΔE.
entalpia, H
ΔH < 0 calore ΔH > 0 calore diminuzione dell’entalpia
uscente entrante perché una certa quantità di
calore esce dal sistema. Essendo
CO2 + 2H2O H2O(s) Hfinale < Hiniziale, il processo è
Hfinale Hiniziale
esotermico: ΔH < 0. B. Il ghiaccio
A Processo esotermico B Processo endotermico fonde con un aumento di entalpia
perché una certa quantità di
calore entra nel sistema. Poiché
nella Figura 6.8A. Un processo esotermico rilascia calore e determina una dimi- Hfinale > Hiniziale, il processo è
nuzione dell’entalpia del sistema: endotermico: ΔH > 0.
processo esotermico: Hfinale < Hiniziale ΔH < 0
Un processo endotermico assorbe calore e determina un aumento dell’entalpia
del sistema. Per esempio, quando il ghiaccio fonde, affluisce calore nel ghiaccio
dall’ambiente, e quindi rappresentiamo il calore come un “reagente” (nel primo
membro dell’equazione):
calore + H2O(s) H2O(l)
Poiché viene assorbito calore, l’entalpia dell’acqua allo stato liquido è maggiore
di quella dell’acqua allo stato solido, come indicato nella Figura 6.8B. Perciò, ΔH
(= Hacqua − Hghiaccio) è positiva:
processo endotermico: Hfinale > Hiniziale ΔH > 0
In generale, il valore di una variazione dell’entalpia si riferisce a reagenti e prodotti FLUSSO DI ENERGIA
alla stessa temperatura.
C3H5 (NO3 )3 ( l ) ⎯ ⎯
→ 3CO2 ( g ) + 25 H2O( g ) + 14 O2 ( g ) + 23 N 2 ( g ) ΔH = +40,7 kJ
reazione
La reazione è esotermica o endotermica? Si costruisca un diagramma dell’entalpia per questa endotermica
H2O(l)
reazione. (b) (reagenti)
E k(vibrazione)
• Quando 1 mol di un composto viene prodotta a partire dai suoi elementi, il
calore di reazione è il calore di formazione (ΔHf):
K( s ) + 12 Br2 ( l ) ⎯ ⎯
→ KBr( s ) ΔH = ΔH f
• Quando 1 mol di una sostanza fonde, la variazione di entalpia è il calore di
E k(elettroni)
fusione (ΔHfus):
NaCl(s) NaCl(l) ΔH = ΔHfus
• Quando 1 mol di una sostanza vaporizza, la variazione di entalpia è il calore
di vaporizzazione (o di evaporazione) (ΔHvap):
A Contributi all’energia cinetica (Ek)
C6H6(l) C6H6(g) ΔH = ΔHvap
E p(vibrazione)
Incontreremo tra poco il calore di combustione e il calore di formazione; esamine
remo in altri capitoli a seguire altre particolari variazioni di entalpia.
e− e−
Variazioni delle forze di legame: da dove proviene il calore
e− di reazione?
E p(atomo) e− 9+ e− Soffermiamoci brevemente a considerare un importante problema riguardo al ca
e− e− lore di reazione. Quando 2 g di H2 (1 mol) e 38 g di F2 (1 mol) reagiscono a 298 K
e− e− (25 °C), si formano 40 g di HF (2 mol) e sono rilasciati 546 kJ di calore:
H2(g) + F2(g) 2HF(g) + 546 kJ
La quantità (in moli) di gas non varia e quindi la variazione di entalpia è uguale alla
9+ variazione di energia interna. Da dove proviene questo calore?
E p(nucleo)
costante al valore 298 K (25 °C), e quindi non variano. Il moto degli elettroni
non è influenzato dalla reazione, quindi non varia neppure Ek(elettrone). Perciò,
Ek totale resta pressoché invariata durante la reazione.
2. Tra i contributi all’energia potenziale, possiamo eliminare Ep(atomo) ed Ep(nuclei)
perché gli atomi e i nuclei non variano. L’energia potenziale di vibrazione,
Ep(vibrazione), varia lievemente perché gli atomi legati variano, ma questa variazio
ne è piccola. L’unico contributo all’energia potenziale che varia notevolmente
in una reazione chimica è Ep(legame), l’energia potenziale della forza di attrazione
tra i nuclei e la coppia di elettroni condivisa che costituisce il legame covalente.
F F
H H
entalpia, H
In altre parole, la risposta alla nostra domanda iniziale è che in realtà il calore non
“proviene” da qualche parte: l’energia rilasciata o assorbita durante una trasformazione
chimica è dovuta a differenze tra le forze dei legami dei reagenti e le forze dei legami dei
prodotti. Esamineremo quantitativamente questi concetti nel Capitolo 9.
H H H H H H
Somma dei legami C⎯C e C⎯H 7 6 4 3
Somma dei legami C⎯O e O⎯H 0 2 0 2
ΔHcomb (kJ/mol) −1560 −1367 −890 −727
ΔHcomb (kJ/g) −51,88 −29,67 −55,5 −22,7
un carboidrato un grasso
Tabella 6.3 Calori e O H (rappresentati in rosso nella figura in alto). I carboidrati hanno un numero
di combustione molto maggiore di legami C O e O H. Entrambi i tipi di alimenti vengono meta
di alcuni grassi bolizzati nell’organismo a CO2 e H2O. Perché i grassi “contengono più kilocalorie”
e carboidrati per grammo rispetto ai carboidrati? Avendo un minor numero di legami con O (le
Sostanza ΔHcomb (kJ/g) gami rossi nella figura in alto), i grassi rilasciano più energia rispetto ai carboidrati,
come è confermato dalla Tabella 6.3.
Grassi
Oli vegetali −37,0
Margarina −30,1 6.3 CALORIMETRIA: MISURA DEI CALORI
Burro −30,0
DI REAZIONE IN LABORATORIO
Carboidrati
Zucchero −16,2 È chiaro che è importante misurare i valori energetici dei combustibili e degli
da tavola alimenti. Per esempio, la Tabella 6.3 mostra che, quando brucia 1 g di zucchero
(saccarosio) da tavola (saccarosio, C12H22O11), vengono rilasciati 16,2 kJ di calore. Ma come si
Riso integrale −14,9 può misurarlo? Potrebbe sembrare che si possano misurare semplicemente le en
Sciroppo di acero −10,4
talpie dei reagenti (saccarosio e O2) e sottrarle dalle entalpie dei prodotti (CO2 e
H2O). Il problema è che l’entalpia (H) di un sistema (in questo caso, certe quantità
di sostanze) in un dato stato non può essere misurata perché non si ha un punto
iniziale con cui confrontarla: non si ha un’entalpia zero. Però, si è in grado di mi
surare la variazione di entalpia (ΔH) di un sistema. In questo paragrafo, vedremo
come si determinano i valori di ΔH.
Si ricordi che ΔH è il calore rilasciato o assorbito dal sistema a pressione costante
(qP). Per misurare accuratamente qP, costruiamo un “ambiente” che non disperda il
calore e misuriamo la variazione di temperatura su un termometro immerso in que
sto ambiente. Quindi dobbiamo mettere in relazione la quantità di calore rilasciata
(o a ssorbita) con questa variazione di temperatura. Questa relazione implica una pro Tabella 6.4 Calori specifici
prietà fisica di una sostanza detta calore specifico (o capacità termica specifica). di alcuni
elementi,
Calore specifico composti
Come indica l’esperienza quotidiana, maggiore è la quantità di calore assorbita da e materiali
un corpo, più alta è la temperatura che esso raggiunge; cioè, la quantità di calore (q) Calore
assorbita da un corpo è direttamente proporzionale alla variazione di temperatura: specifico
q [J/(g · K)]*
q ∝ ΔT =
ossia q constante ×ΔT ossia = costante
ΔT Elementi
Ogni corpo ha la propria particolare capacità di assorbire calore, la propria capacità Alluminio, Al 0,900
termica (C), la quantità di calore necessaria per variare di 1 K la sua temperatura. Grafite, C 0,711
La capacità termica è la costante di proporzionalità nell’equazione precedente: Ferro, Fe 0,450
Rame, Cu 0,387
q Oro, Au 0,129
capacità termica = [unità di misura: joule su kelvin (J/K ) ]
ΔT
Composti
Una proprietà correlata è il calore specifico (o capacità termica specifica) (c), la Acqua, H2O(l) 4,184
capacità termica riferita all’unità di massa, definita come la quantità di calore neces Alcol etilico
saria per variare di 1 K la temperatura dell’unità di massa di una sostanza e quindi (etanolo),
misurata, in unità SI, in joule su kilogrammo e su kelvin [J/(kg ⋅ K)]. Per evitare C2H5OH(l) 2,46
valori numerici molto piccoli, in questo libro riferiremo la capacità termica a 1 g di Glicole etilenico,
sostanza e quindi definiremo il calore specifico come la quantità di calore necessaria (CH2OH)2(l) 2,420
per variare di 1 K la temperatura di 1 grammo di una sostanza, misurandolo in joule Tetracloruro
di carbonio,
su grammo e su kelvin [J/(g ⋅ K)]:
CCl4(l) 0,862
q
calore specifico ( c ) = [unità di misura: J/(g ⋅ K)] Materiali solidi
massa ×ΔT
Legno 1,76
Se conosciamo c della sostanza riscaldata (o raffreddata), possiamo misurare la sua mas Cemento 0,88
sa e la variazione di temperatura e calcolare la quantità di calore assorbita o rilasciata: Vetro 0,84
Granito 0,79
q = c × massa × ΔT (6.7) Acciaio 0,45
Si noti che quando un corpo si riscalda, ossia aumenta la sua temperatura, ΔT * A 298 K (25 °C).
(= Tfinale − Tiniziale) è positiva. Il corpo acquista calore, e quindi q > 0, come ci si
attende. Analogamente, quando un corpo si raffredda, ossia diminuisce la sua tem
peratura, ΔT è negativa; quindi, q < 0 perché il corpo cede calore. Nella Tabella 6.4
sono elencati calori specifici di alcune sostanze comuni.
Strettamente correlato con il calore specifico è il calore specifico molare (o
capacità termica molare) (Cm; si noti il simbolo in carattere maiuscolo), la quantità di
calore necessaria per variare di 1 K la temperatura di 1 mole di una sostanza, espres
sa in joule su mole e su kelvin [J/(mol ⋅ K)]:
q
calore specifico molare (C m ) = [unità di misura: J/(mol ⋅ K)]
moli ×ΔT
Il calore specifico molare dell’acqua allo stato liquido è 4,184 J/(g ⋅ K), quindi
J 18,02 g J
C m di H2O( l ) = 4,184 × =
75,40
g ⋅ K 1 mol mol ⋅ K
agitatore
Risoluzione Calcolo di ΔT e di q:
ΔT = Tfinale − Tiniziale = 300 °C − 25 °C = 275 °C = 275 K
termometro
q = c × massa (g) × ΔT = 0,387 J/(g ⋅ K) × 100 g × 275 K = 1,33 × 104 J
tappo
di sughero Verifica Il fondo di rame (il sistema) assorbe calore e quindi q è positiva. Arrotondando,
recipiente si vede che l’aritmetica sembra ragionevole: q 0,4 J/(g ⋅ K) × 100 g × 300 K = 1,2 × 104 J.
di polistirolo
espanso PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 6.3 Si calcoli la quantità di calore tra
(isolante sferita quando un chiodo di ferro di massa 5,5 g viene raffreddato da 37 °C a 25 °C (vedi Tabel-
termico)
la 6.4).
acqua
(ambiente)
campione
(sistema) I due principali tipi di calorimetria
Il calorimetro è un dispositivo usato per misurare la quantità di calore rilasciata (o
assorbita) da un processo fisico o chimico. Sappiamo che il calore si trasferisce dal
sistema all’ambiente (e viceversa). Il calorimetro è l’“ambiente” che costruiamo per
Figura 6.10 Calorimetro a
pressione costante. Questo misurare la variazione di temperatura determinata da questo trasferimento di calo
semplice apparecchio è usato re. Due tipi di calorimetro di uso comune sono il calorimetro a pressione costante
per misurare le quantità di e il calorimetro a volume costante.
calore a pressione costante (qP).
È costituito da una massa nota Calorimetria a pressione costante Il calorimetro a pressione costante illustrato
di acqua (o di soluzione) in un nella Figura 6.10 è usato per misurare la quantità di calore trasferita (qP) in molti
recipiente termicamente isolato, processi che si svolgono in comunicazione con l’atmosfera del laboratorio. Un im
provvisto di un termometro e di piego comune è la determinazione del calore specifico di un solido, purché esso
un agitatore. Si misura Tiniziale
non reagisca con l’acqua o non si sciolga in essa. Si determina la massa del solido (il
dell’acqua, si lascia svolgere il
processo (introduzione di un cor- sistema), lo si riscalda innalzandone la temperatura a un valore noto, e lo si introdu
po riscaldato, di un sale solubile, ce in un campione di acqua (l’ambiente) di massa e temperatura note nel calorime
di una soluzione ecc.), si agita tro. Si distribuisce il calore rilasciato agitando l’acqua nel calorimetro e si misura la
il contenuto e si misura Tfinale temperatura finale dell’acqua, che è uguale alla temperatura finale del solido.
dell’acqua.
La quantità di calore ceduta dal sistema (−q) all’ambiente è uguale in valore
assoluto ma opposta in segno alla quantità di calore (+q) acquistata dall’ambiente:
−qsolido = qH2O
Sostituendo l’Equazione 6.7 a ciascun membro di questa uguaglianza, si ottiene
−( csolido × massa solido ×ΔTsolido ) =
cH 2 O × massa H 2 O ×ΔTH2O
I valori di tutte le grandezze sono noti o misurati, tranne quello di csolido:
cH2O × massa H 2 O ×ΔTH2O
csolido = −
massa solido ×ΔTsolido
Calcolo di csolido:
c × massa H 2 O ×ΔTH2O 4,184 J/(g ⋅ K) × 50,00 g × 3,39 K
csolido = − H2O =−
massa solido ×ΔTsolido 25,64 g × (−71,51 K)
= 0,387 J/(g ⋅ K)
Verifica Poiché − qsolido = qH2O , possiamo controllare se i valori numerici siano uguali:
qH2O = 4,184 J/(g ⋅ K) × 50, 00 g × 3, 39 K =709 J
qsolido = 0,387 J/(g ⋅ K) × 25,64 g ×(−71,51 K ) = −710 J.
La lieve differenza è causata dall’arrotondamento.
Commento 1. Un errore comune è attribuire il segno sbagliato a ΔT: si ricordi che il sim
bolo Δ significa “valore finale − valore iniziale”.
2. Nell’enunciato del problema è stato detto di supporre che tutto il calore rilasciato sia
assorbito dall’acqua, ma questa ipotesi non è valida per una misura accurata perché una
certa quantità di calore deve essere acquistata anche dalle altre parti del calorimetro (agita
tore, termometro, tappo, pareti del recipiente). Per misure più accurate, si deve conoscere
la capacità termica dell’intero calorimetro.
bagno cavo
d’acqua di accensione Figura 6.11 Bomba calorime
trica. Questo apparecchio (non
disegnato in scala) è usato per
misurare il calore di combustione
sistema spaccato
a volume costante (qV). Mentre
(sostanza della “bomba”
d’acciaio si agita continuamente il bagno
combustibile
d’acqua la cui massa è già stata
e ossigeno
compresso) determinata, se ne determina la
O2 temperatura iniziale. La spirale
spaccato riscaldata elettricamente accen-
della camicia spirale
di accensione de il sistema (sostanza combusti-
isolante
bile in O2) racchiuso nella “bom-
ba” d’acciaio. Il calore rilasciato
dalla reazione di combustione si
trasferisce al resto del calorime-
tro, e si misura la temperatura
calore trasferito
massima raggiunta.
quantità di sostanza. Si trova inoltre che, in una particolare reazione, una certa quantità
di sostanza è termodinamicamente equivalente a una certa quantità di energia. Riguar-
do all’ultima reazione,
286 kJ sono termochimicamente equivalenti a 1 mol di H2(g)
286 kJ sono termochimicamente equivalenti a 12 mol di O2(g)
286 kJ sono termochimicamente equivalenti a 1 mol di H2O(l)
variazione di entalpia? Una delle più potenti applicazioni dell’entalpia (H) come
funzione di stato ci permette di farlo, di trovare la variazione di entalpia ΔH di
qualsiasi reazione per la quale si sia in grado di scrivere un’equazione, anche se è
impossibile farla svolgere.
Questa applicazione si basa sulla legge di Hess dell’additività delle varia-
zioni di entalpia: la variazione di entalpia di un processo complessivo è la somma
delle variazioni di entalpia delle sue singole tappe. Per applicare la legge di Hess, imma
giniamo una reazione complessiva come la somma di una serie di tappe di reazione,
si svolga o no in questo modo. Ciascuna tappa è scelta perché se ne conosce la ΔH.
Poiché la ΔH complessiva dipende soltanto dallo stato iniziale e dallo stato finale,
la legge di Hess dice che possiamo sommare i valori noti delle ΔH delle singole tap
pe per ottenere la ΔH della reazione complessiva. Analogamente, se conosciamo i
valori delle ΔH della reazione complessiva e di tutte le tappe tranne una, possiamo
trovare la ΔH incognita di quella tappa.
Vediamo come si applica la legge di Hess nel caso dell’ossidazione dello zolfo a
triossido di zolfo, il processo fondamentale nella produzione industriale di acido solfo
rico e nella formazione della pioggia acida. (Per introdurre il metodo, semplificheremo
le equazioni denotando lo zolfo con S, anziché con S8, più corretto). Quando si brucia
S in eccesso di O2, si forma diossido di zolfo (SO2), non triossido di zolfo (SO3). L’Equa
zione 1 mostra questa tappa e la sua ΔH. Se cambiamo le condizioni e poi aggiungia
mo altro O2, possiamo ossidare SO2 a SO3 (Equazione 2). In altre parole, non possiamo
porre S e O2 in un calorimetro e trovare ΔH per la reazione complessiva di S a SO3
(Equazione 3). Però possiamo trovarla con la legge di Hess. Le tre equazioni sono:
Equazione 1: S( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯→ SO 2 ( g ) ΔH1 = −296,8 kJ
Equazione 2: 2SO 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2SO3 ( g ) ΔH2 = −198,4 kJ
Equazione 3: S( s ) + 2 O2 ( g ) ⎯ ⎯
3
→ SO3 ( g ) ΔH3 = ?
La legge di Hess dice che, se siamo in grado di manipolare l’Equazione 1 e/o l’Equa
zione 2 in modo che la loro somma dia l’Equazione 3, allora ΔH3 sarà la somma dei
valori di ΔH manipolati delle Equazioni 1 e 2.
In primo luogo, identifichiamo l’Equazione 3 come equazione “obiettivo”, quel
la di cui vogliamo trovare la ΔH, e notiamo accuratamente il numero di moli di
reagenti e di prodotti che contiene. Notiamo anche che ΔH1 e ΔH2 sono i valori
per le Equazioni 1 e 2 così come sono scritte. Ora manipoliamo l’Equazione 1 e/o
l’Equazione 2 come segue, per far sì che la loro somma corrisponda all’Equazione 3.
• Le Equazioni 1 e 3 contengono la stessa quantità di S, quindi lasciamo invariata
l’Equazione 1.
• L’Equazione 2 contiene una quantità di SO3 pari al doppio di quella contenuta
nell’Equazione 3, quindi la moltiplichiamo per 12 , badando di dimezzare anche
ΔH2.
• Con le quantità obiettivo di reagenti e di prodotti presenti, sommiamo l’Equa
zione 1 invariata all’Equazione 2 dimezzata ed elidiamo i termini che com
paiono in entrambi i membri:
Equazione 1: S(s) + O2(g) SO2(g) ΔH1 = −296,8 kJ
1
2 Equazione 2: SO2(g) + 12 O2(g) SO3(g) 1
2(ΔH2) = −99,2 kJ
Equazione 3: S( s ) + O 2 ( g ) + SO 2 ( g ) + 12 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ SO2 ( g ) + SO3 ( g ) ΔH 3 = ?
da cui S(s) + 32 O2(g) SO3(g)
Poiché l’Equazione 1 invariata più l’Equazione 2 dimezzata è uguale all’Equazio
ne 3, abbiamo:
ΔH3 = ΔH1 + 12(ΔH2) = −296,8 kJ + (−99,2 kJ) = −396,0 kJ
Ancora una volta, il punto essenziale è che H è una funzione di stato e, quindi,
ΔH complessiva dipende soltanto dalla differenza fra l’entalpia iniziale e l’entalpia
finale. La legge di Hess dice che la differenza tra l’entalpia dei reagenti (1 mol di S
e 32 mol di O2) e l’entalpia del prodotto (1 mol di SO3) ha lo stesso valore, sia che S
venga ossidato direttamente a SO3 (impossibile) sia che l’ossidazione avvenga prima
attraverso la formazione di SO2 (effettiva).
Riassumendo, per calcolare una ΔH incognita sono necessari tre passaggi.
1. Identificare l’equazione obiettivo, il passo la cui ΔH è incognita, e notare il
numero di moli di reagenti e di prodotti.
2. Manipolare le equazioni la cui ΔH è nota in modo che i numeri obiettivo di moli
di reagenti e di prodotti si trovino dalla parte corretta dell’equazione. Ricordare di:
• cambiare il segno di ΔH quando si inverte un’equazione;
• moltiplicare il numero di moli e ΔH per lo stesso fattore.
3. Sommare le equazioni manipolate per ottenere l’equazione obiettivo. Tutte le
sostanze, eccettuate quelle nell’equazione obiettivo, devono elidersi. Sommare
i loro valori di ΔH per ottenere la ΔH incognita.
Tabella 6.5 Calori • Nel caso di un gas, lo stato standard è 1 atm e si assume che il gas abbia un
di formazione comportamento ideale.
standard • Nel caso di una sostanza in soluzione acquosa, lo stato standard è una concen
scelti a 25 °C trazione 1 M (soluzione contenente 1 mol/L).
(298 K) • Nel caso di una sostanza pura (elemento o composto), lo stato standard è di
solito la forma più stabile della sostanza a 1 atm e alla temperatura di interesse.
Formula ΔH 0f (kJ/mol)
In questo libro, la temperatura è normalmente di 25 °C (298 K).*
Argento Uno zero ad apice (0) posto a destra del simbolo indica che la variabile è stata de
Ag(s) 0 terminata con tutte le sostanze nei loro stati standard. Per esempio, quando ΔHr
AgCl(s) −127,0
è stata misurata con tutte le sostanze nei loro stati standard, essa è il calore stan-
Azoto
N2(g) 0 dard di reazione (ΔH 0r).
NH3(g) −45,9
NO(g) 90,3 Equazioni di formazione e loro variazioni standard di entalpia
Calcio
Ca(s) 0 In un’equazione di formazione, si forma 1 mol di un composto a partire dai suoi
CaO(s) −635,1 elementi. Il calore standard di formazione (ΔH 0f ) è la variazione di entalpia per
CaCO3(s) −1206,9 l’equazione di formazione quando tutte le sostanze sono nei loro stati standard. Per
Carbonio esempio, l’equazione di formazione per il metano (CH4) è
C(grafite) 0
C(diamante) 1,9 C(grafite) + 2H2(g) CH4(g) ΔH 0f = −74,9 kJ
CO(g) −110,5
Perciò, il calore standard di formazione del metano è −74,9 kJ/mol. Alcuni altri
CO2(g) −393,5
CH4(g) −74,9 esempi sono i seguenti:
CH3OH(l) −238,6
Na( s ) + 12 Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ NaCl( s ) ΔH 0f = −411,1 kJ
HCN(g) 135
CS2(l) 87,9 2C (grafite) + 3H2 ( g ) + 12 O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ C2H5OH( l ) ΔH 0f = −277,6 kJ
Cloro
Cl(g) 121,0 I calori standard di formazione sono stati tabulati per molti composti. La Tabella 6.5
Cl2(g) 0 presenta i valori di ΔH 0f per parecchie sostanze mentre una tabella molto più ampia
HCl(g) −92,3 è riportata nell’Appendice B.
Idrogeno
H(g) 218,0
I valori presentati nella Tabella 6.5 sono stati scelti in modo da mettere in rilie
H2(g) 0 vo due punti.
Ossigeno 1. A un elemento nel suo stato standard è assegnata una ΔH 0f uguale a zero. Per
O2(g) 0
O3(g)
esempio, si noti che ΔH 0f = 0 per Na(s), ma ΔH 0f = 107,8 kJ/mol per Na(g).
143
H2O(g) −241,8 Ciò significa che lo stato gassoso non è lo stato più stabile del sodio a 1 atm
H2O(l) −285,8 e 298,15 K e che si deve fornire calore per formare Na(g). Si noti anche che
Sodio lo stato standard del cloro è costituito dalle molecole di Cl2, non dagli atomi
Na(s) 0 di Cl. Parecchi elementi esistono in differenti forme, delle quali soltanto una è
Na(g) 107,8 lo stato standard. Per esempio, lo stato standard del carbonio è la grafite, non
NaCl(s) −411,1 il diamante, e quindi ΔH 0f di C(grafite) = 0. Analogamente, lo stato standard
Zolfo
S8(rombico) 0
dell’ossigeno è il diossigeno (O2), non l’ozono (O3), e lo stato standard dello
S8(monoclino) 2 zolfo è S8, disposto sotto forma di cristalli rombici, anziché sotto forma di cri
SO2(g) −296,8 stalli monoclini.
SO3(g) −396,0 2. La maggior parte dei composti ha una ΔH 0f negativa. Cioè, la maggior parte dei
composti ha reazioni di formazione esotermiche in condizioni standard. Ciò
significa che, nella maggior parte dei casi, il composto è più stabile dei suoi elementi
componenti.
* Nel caso del fosforo, la forma più comune, il fosforo bianco (P4), è scelta come stato standard, anche se il
fosforo rosso è più stabile a 1 atm e 298 K.
(c) 1
2 H2 ( g ) + C (grafite) + 12 N 2 ( g ) ⎯ ⎯→ HCN( g ) ΔH f0 = 135 kJ
reagenti
dei prodotti e dei reagenti
Hiniziale
e sono uguali ai coefficienti
ΔH 0r nell’equazione bilanciata, e il
simbolo Σ (lettera sigma maiu-
prodotti scola dell’alfabeto greco), detto
Hfinale sommatoria, significa “somma
ΔH 0r = ΣmΔH 0f (prodotti) − ΣnΔH 0f (reagenti) di”].
dove m e n sono le quantità (moli) dei prodotti e dei reagenti indicate dai coeffi
cienti tratti dall’equazione bilanciata.
Nella seguente scheda La chimica nelle altre scienze i concetti essenziali presentati
in questo capitolo sono applicati ai nuovi approcci sull’utilizzazione dell’energia.
(materia organica vegetale e animale), idrogeno, luce solare, presente nel carbone è convertito in H2S, che viene poi
vento, energia geotermica e maree. La seguente trattazione rimosso dalla miscela con una reazione acido-base, utiliz
pone in rilievo alcuni approcci a una più razionale utilizza zando come base un’ammina, quale per esempio etanolam
zione dell’energia e include alcuni aspetti della chimica “ver- mina (OHCH2CH2NH2). Il prodotto di questa reazione viene
de”, lo sforzo, promosso dalla pubblica amministrazione in poi scaldato per rilasciare H2S che viene successivamente
collaborazione con l’industria e le istituzioni accademiche, trasformato in zolfo elementare, un prodotto collaterale di
di ideare processi che evitino il rilascio di prodotti nocivi elevato valore, mediante il processo Claus.
nell’ambiente: conversione del carbone fossile in combustibi Le principali reazioni sono l’ossidazione esotermica del
li più “puliti” (meno inquinanti), produzione di combustibili carbone a CO e la reazione del carbone con il vapor d’acqua
dalle biomasse, sviluppo di un sistema economico alimen nella reazione del gas d’acqua (o reazione vapor acqueo-carbo-
tato dall’idrogeno, comprensione dell’effetto esercitato sul nio), una reazione endotermica che produce una miscela di
clima dai combustibili a base di carbonio, utilizzazione di CO e H2 chiamata gas d’acqua:
fonti energetiche che non richiedano la combustione e, ciò
che più importa, il risparmio dei combustibili disponibili. C( s ) + 12 O2 ( g ) ⎯ ⎯
→ CO( g ) ΔH 0 = −110 kJ
Approcci chimici a combustibili più puliti C( s ) + H2O( g ) ⎯ ⎯
→ CO( g ) + H2 ( g ) ΔH 0 = 131 kJ
Carbone fossile Le riserve statunitensi di carbone fossile Per produrre il syngas (synthesis gas, gas di sintesi), che è
sono enormi, ma il carbone fossile è un combustibile alta utilizzato nella produzione di reagenti chimici, si aumenta il
mente inquinante perché quando brucia produce non solo contenuto in H2 del gas d’acqua, mediante la reazione di sposta-
CO2 ma anche SO2, polveri sottili e rilascia tracce di mercu mento del CO (o reazione di spostamento del gas d’acqua):
rio nell’atmosfera. L’esposizione a SO2 e polveri sottili può
causare malattie respiratorie, inoltre SO2 può essere ossidato CO( g ) + H2O( g ) ⎯ ⎯
→ CO2 ( g ) + H2 ( g ) H0 =
−41 kJ
producendo H2SO4, il principale composto responsabile del
fenomeno delle piogge acide. Hg è una neurotossina, si diffon Il syngas, però, ha un valore energetico molto più basso di
de sotto forma di vapori di mercurio e dà luogo a bioaccumu quello del metano. Per esempio, una miscela contenente
Metano
15%
Monossido
di carbonio
60%
Più CO2
Radiazione IR in atmosfera
(calore) emessa intrappola
Radiazione IR
dalla Terra più calore
intrappolata
dall’atmosfera
.
La radiazione assorbita Più calore in atmosfera
dalla superficie terrestre scalda maggiormente.
è trasformata in calore la superficie terrestre
Figura S6.1 Intrappolamento del calore da parte dell’atmosfera. Circa il 25% della radiazione solare è riflesso dall’atmosfera.
Il resto attraversa l’atmosfera e raggiunge la superficie terrestre e viene convertito in calore dall’atmosfera e dalla superficie ter-
restre. Una parte del calore emesso dalla superficie terrestre viene intrappolato dai gas atmosferici, in prevalenza CO2, e una parte
viene ceduta allo spazio esterno.
• I successi
umana
della mente
di unità individuali di materia, e quando il modello nucleare dell’atomo di Ruther
ford sostituì atomi con una complessa struttura interna agli atomi assimilati a “palle
L’invenzione dell’automo
bi
le, della radio e dell’aeroplano
da biliardo” o a “plum pudding”. In questo capitolo vedremo come il dispiegarsi di
favorirono un sentimento di capa questo processo ha condotto allo sviluppo della moderna teoria atomica.
cità u ma na illimitata, e la sco Non appena Rutherford propose il suo modello nucleare dell’atomo, sorse
perta dei rag gi X, della radioatti un importante problema. Un nucleo e un elettrone si attraggono reciprocamente
vità, dell’elettrone e del nucleo e quindi, affinché rimangano separati, l’energia associata al moto degli elettroni
atomico fece pensare che la mente
umana avrebbe presto svelato tutti
(energia cinetica) deve bilanciare l’energia di attrazione (energia potenziale). Però,
i misteri della natura. In realtà, alcu le leggi della fisica classica avevano stabilito che una particella negativa in moto in
ni erano persuasi che restassero ben una traiettoria curva attorno a una particella positiva doveva emettere radiazione
pochi misteri da svelare. e quindi perdere energia. Se questo requisito valeva anche per gli atomi, perché
1895 Röntgen scopre i raggi X l’elettrone orbitante non perdeva continuamente energia e non cadeva sul nucleo
1896 Becquerel scopre la radioattività
1897 Thomson scopre l’elettrone seguendo una traiettoria a spirale? Chiaramente, se gli elettroni si comportassero
1898 Curie scopre il radio nel modo previsto dalla fisica classica, tutti gli atomi sarebbero crollati moltissimo
1900 Freud presenta la teoria dell’incon
scio tempo fa! Il comportamento della materia subatomica sembrava violare l’esperien
1901 Planck formula la teoria quantistica za del mondo reale e i principi accettati.
1903 I fratelli Wright fanno volare un
aeroplano I progressi decisivi che seguirono costrinsero a un completo ripensamento del
1905 Ford impiega la catena di mon modello classico della materia e dell’energia. Nel mondo macroscopico, la materia
taggio nella costruzione delle
automobili e l’energia sono entità distinte. La materia si presenta in campioni che possiamo
1905 Rutherford spiega la radioattività contenere in un recipiente e pesare, e possiamo variare gradualmente la quantità
1905 Einstein pubblica la teoria della
relatività e la teoria del fotone di materia in un campione. Per contro, l’energia è “priva di massa” e la sua quantità
1906 Saint-Denis crea la danza moderna varia in modo continuo. La materia si muove in traiettorie specifiche, mentre la
1908 Matisse e Picasso creano la pittura
moderna luce e gli altri tipi di energia si propagano in onde diffuse. Però, non appena gli
1909 Schönberg e Berg creano la musi scienziati del XX secolo sondarono il mondo subatomico, queste nette distinzioni
ca moderna
1911 Rutherford presenta il modello tra materia particellare (o corpuscolare) ed energia ondulatoria cominciò a venire
nucleare dell’atomo meno.
1913 Bohr presenta il modello atomico
1914 –1918 Prima Guerra Mondiale
1923 Compton dimostra l’esistenza
IN QUESTO CAPITOLO e in quello seguente esamineremo la meccanica quanti-
della quantità di moto del fotone stica, la teoria che spiega l’attuale modello della struttura atomica. Dopo avere
1924 De Broglie pubblica la teoria considerato le proprietà ondulatorie dell’energia, esamineremo le teorie e gli
ondulatoria della materia
1926 Schrödinger formula l’equazione esperimenti che condussero a un modello quantizzato, o particellare (o corpu-
delle onde scolare), della luce. Vedremo perché la luce emessa da un atomo di idrogeno
1927 Heisenberg presenta il principio (H) eccitato – il suo spettro atomico – suggerisce un atomo con livelli energetici
di indeterminazione
1932 Chadwick scopre il neutrone distinti e considereremo brevemente come si applicano oggi gli spettri atomici
• Le emissioni elettroma-
netiche sono dovunque Siamo
immersi in un bagno di radiazio
ni elettromagnetiche provenienti
dal Sole. Sia mo bombardati anche
dalle radiazio ni generate dalle atti
vità umane: segnali radiotelevisivi;
radiazioni a microonde generate dai
sistemi ra dar per il controllo del
traffico veicolare e dalle stazioni di
tra
smissione e ritrasmissione (ripe
titori) della rete telefonica cellula
re; radiazioni emesse dalle lampade
elettriche, dagli apparecchi per raggi
X per usi diagnostici e terapeutici,
dai motori elettrici degli autovei
coli e così via. Siamo bombarda
ti anche da fonti naturali terrestri:
fulmini, de cadimento radioattivo e
persino la luce emessa dalle lucciole!
Otteniamo quasi tutta la nostra cono Figura 7.3 Regioni dello spettro elettromagnetico. Lo spettro delle radiazioni elettromag-
scenza dell’Universo lontano dalle netiche (spettro elettromagnetico) si estende dalle lunghezze d’onda molto corte (frequenze
radiazioni che entrano nei nostri molto alte) dei raggi γ (gamma) alle lunghezze d’onda molto lunghe (frequenze molto alte)
telescopi ottici, telescopi a raggi X e delle radioonde, passando per la regione visibile. La regione visibile, relativamente stretta, è
radiotelescopi. espansa (e la scala è resa lineare) per mostrare i colori componenti.
Elettrodo positivo
−
+
Amperometro
Batteria
Poiché n è un numero intero positivo, l’atomo può variare la propria energia soltanto
di multipli di hν secondo numeri interi. Perciò, la minima variazione di energia di un
atomo in un dato stato energetico avviene quando l’atomo passa in uno stato energe
tico adiacente, cioè quando Δn = 1:
ΔE = hν
(7.2)
emette un fotone, una “particella” di luce, la cui energia è determinata dalla sua
frequenza:
• Fotoni come palline da
ping-pong Consideriamo questa
E fotone = hν = ΔE atomo analogia del fatto che la luce di
energia insufficiente non è capace
Vediamo come la teoria fotonica di Einstein spiega l’effetto fotoelettrico. di determinare l’emissione di un
elettrone dalla superficie metal
1. Presenza di una frequenza di soglia. Secondo la teoria fotonica, un fascio di luce lica. Se una singola pallina da ping-
è costituito da un numero enorme di fotoni. L’intensità (brillantezza) della luce pong non ha energia sufficiente per
è in relazione con il numero di fotoni che incidono sulla superficie metallica spostare un libro da uno scaffale,
nell’unità di tempo, ma non con la loro energia. Perciò, affinché sia emesso un non l’ha neppure una serie di pal
line, perché il libro non è capace di
elettrone, deve essere assorbito un fotone di una certa energia minima. Poiché immagazzinare l’energia comunicata
l’energia dipende dalla frequenza (E = hν), la teoria prevede una frequenza di a esso dai singoli urti. Però, una palla
soglia (soglia fotoelettrica). da baseball che si muova alla stessa
2. Assenza di un ritardo temporale. Un elettrone non è capace di “immagazzinare” velocità di una pallina da ping-pong
ha energia sufficiente per spostare il
l’energia ricevuta da parecchi fotoni di energia inferiore a quella minima finché libro. Mentre l’energia di una palla
non ne ha accumulato una quantità sufficiente per essere emesso. Invece, un elet dipende dalla sua massa e dalla
trone viene emesso nell’istante in cui assorbe un fotone di energia sufficiente. La sua velocità, l’energia di un fotone
corrente fotoelettrica è più debole in luce meno intensa che in luce più intensa dipende dalla sua frequenza.
perché nella prima è presente un minor numero di fotoni di energia sufficiente e,
quindi, viene emesso nell’unità di tempo un minor numero di elettroni. Ma una
certa corrente fluisce nell’istante in cui i fotoni raggiungono la lamina metallica.
Hg
Sr
Ne
vedere in un’insegna al neon. La Figura 7.8A illustra il risultato che si ottiene quando
la luce emessa dagli atomi di idrogeno eccitati attraversa una fenditura sottile e poi
viene rifratta da un prisma. È importante notare che questa luce non genera uno
spettro continuo, o arcobaleno, come fa invece la luce solare. Al contrario, genera uno
spettro a righe (o spettro discontinuo o spettro discreto), una serie di righe sottili corri
spondenti ai singoli colori, separate da spazi incolori (oscuri).* Le lunghezze d’onda di
queste righe spettrali sono caratteristiche dell’elemento che le genera (Figura 7.8B).
Gli spettroscopisti che studiavano lo spettro dell’idrogeno atomico avevano
identificato alcune serie di queste righe in differenti regioni dello spettro elettro
magnetico. La Figura 7.9 presenta tre di queste serie di righe. È stato constatato che
equazioni della forma generale seguente, detta equazione di Rydberg, prevedono la
posizione e la lunghezza d’onda di ogni riga in una data serie:
1 ⎛1 1 ⎞⎟
= R ⎜⎜⎜ 2 − 2 ⎟⎟⎟ (7.3)
λ ⎜⎝ n1 n2 ⎟⎠
dove λ è la lunghezza d’onda di una riga spettrale, n1 e n2 sono numeri interi posi
tivi con n2 > n1 e R è la costante di Rydberg (1,096776 × 107 m−1).
Figura 7.9 Tre serie di righe
spettrali dell’idrogeno ato
mico. Queste serie compaiono
in differenti regioni dello spettro
elettromagnetico. Lo spettro
dell’idrogeno mostrato nella
Figura 7.8A è la serie spettrale
visibile.
*
L’aspetto dello spettro come serie di righe è dovuto alla struttura dell’apparecchio usato per generarlo.
Se la luce attraversasse un forellino, anziché una fenditura sottile, lo spettro si presenterebbe come un
campo circolare di punti anziché come una serie orizzontale di righe. Il punto essenziale è che lo spettro
è discreto, invece che continuo.
Figura 7.11 La spiegazione di Bohr delle tre serie di righe spettrali. A. Secondo il modello di Bohr, quando un elettrone cade
da un’orbita esterna (più lontana dal nucleo) in un’orbita interna (più vicina al nucleo), esso emette un fotone di specifica ener-
gia. È importante notare che ciascuna delle tre serie è caratterizzata da una particolare orbita interna (un particolare valore di n1
nell’equazione di Rydberg). Il raggio dell’orbita è direttamente proporzionale a n2. Sono mostrate soltanto le prime sei orbite. B. Un
diagramma energetico mostra come si origina la serie ultravioletta. Quando un elettrone cade da una particolare orbita esterna in
una particolare orbita interna, la differenza di energia (rappresentata con una freccia orientata verso il basso) si manifesta come un
fotone di particolare lunghezza d’onda e dà origine a una delle righe spettrali nella serie. Entro ciascuna serie, maggiore è la dif-
ferenza tra i raggi delle orbite, maggiore è la differenza tra i livelli energetici, e maggiore è l’energia del fotone emesso. Per esem-
pio, nella serie ultravioletta, in cui n1 = 1, quando un elettrone cade da n = 5 a n = 1, esso emette un fotone con energia maggiore
(λ minore, ν maggiore) di quella del fotone che l’elettrone emette quando cade da n = 2 a n = 1. [Sull’asse verticale sono indicati
valori negativi perché n = ∞ (l’elettrone completamente separato dal nucleo) è, per definizione, l’atomo con energia zero].
sono popolati di elettroni. Quando l’elettrone cade dalle orbite esterne nell’orbita
con n = 3 (il secondo stato eccitato), i fotoni emessi generano la serie di righe in
frarossa. La serie visibile si origina quando gli elettroni cadono nell’orbita con n = 2
(il primo stato eccitato). La Figura 7.11B mostra che la serie ultravioletta si origina
quando gli elettroni cadono nell’orbita con n = 1 (lo stato fondamentale).
SPETTRI DI EMISSIONE
Limitazioni del modello di Bohr
Nonostante il grande successo nello spiegare le righe spettrali dell’atomo di idroge
no, il modello di Bohr non era in grado di prevedere lo spettro di nessun altro ato
mo, neppure quello dell’elio, l’elemento più semplice successivo. Il modello di Bohr
è essenzialmente un modello a un solo elettrone. Funziona magnificamente per
l’atomo di idrogeno e per altre specie monoelettroniche, come le numerose specie
create in laboratorio od osservate negli spettri stellari: He+ (Z = 2), Li2+ (Z = 3), Be3+
(Z = 4), B4+ (Z = 5), C5+ (Z = 6), N6+ (Z = 7) e O7+ (Z = 8). Però, non funziona nel
caso degli atomi polielettronici perché in questi sistemi sono presenti addizionali
attrazioni tra nucleo ed elettroni e repulsioni interelettroniche (elettrone-elettrone).
Però, esiste un motivo più fondamentale per le limitazioni del modello: gli elettro
ni non si muovono in orbite fisse. Come vedremo, il movimento degli elettroni è
definito molto meno chiaramente. Come modello dell’atomo, quello di Bohr non è
corretto, ma continueremo a usare i termini “stato fondamentale” e “stato eccitato” e
conserveremo nel modello attuale una delle sue ipotesi centrali: l’energia di un atomo
si presenta in livelli discreti.
ticale nella Figura 7.11B). Il segno negativo compare perché definiamo il livello zero
dell’energia dell’atomo quello in cui l’elettrone è completamente separato dal nucleo.
Perciò, E = 0 quando n = ∞ e, quindi, E < 0 per ogni n minore (Figura 7.12). E = −x
Poiché n compare nel denominatore dell’equazione dell’energia, quando l’elettro
ne si avvicina al nucleo (n diminuisce), l’atomo diventa più stabile (meno energetico) Figura 7.12 L’analogia del
e la sua energia diventa un numero negativo maggiore in valore assoluto (ossia, più ne- piano di un tavolo per l’ener-
gativo). Quando l’elettrone si allontana dal nucleo (n aumenta), l’energia dell’atomo gia dell’atomo di idrogeno. Se
si assegna, per definizione, ener-
aumenta [diventa un numero negativo minore in valore assoluto (ossia, meno negativo)].
gia potenziale zero al sistema
Questa equazione può essere facilmente adattata per trovare la differenza di quando il libro è appoggiato
energia tra due livelli qualsiasi: sul tavolo, il sistema ha energia
negativa quando il libro giace
⎛ 1 1 ⎞⎟
E = E finale − Einiziale = (−2,18 ×10−18 J)⎜⎜ 2 − 2 ⎟ (7.4) sul pavimento. Analogamente,
⎜⎝ nfinale niniziale ⎟⎟⎠ l’atomo di idrogeno, per
definizione, ha energia zero
Questa equazione ci permette di prevedere le lunghezze d’onda delle righe spet quando l’elettrone è completa-
mente separato dal nucleo, e
trali dell’atomo di idrogeno. (In realtà, Bohr ottenne un valore della costante di quindi la sua energia è negativa
Rydberg che differiva soltanto dello 0,05% da quello determinato dagli spettroscopisti!) quando l’elettrone è attratto dal
Si noti che, risolvendo il sistema formato dall’Equazione 7.4 e dall’Equazione 7.2, nucleo.
Figura S7.2 Spettro di emissione e spettro di assorbimento degli atomi di sodio. Le lunghezze d’onda delle righe di emissione
chiare (luminose) corrispondono a quelle delle righe di assorbimento oscure (buie) perché le une e le altre sono generate dalla stessa
variazione di energia: ΔEemissione = −ΔEassorbimento. (Qui sono mostrate soltanto le due righe più intense negli spettri atomici del sodio).
È usata spesso la luce visibile per studiare le sostanze co i liquidi puri, assorbono un numero molto maggiore di lun
lorate, che assorbono dalla luce bianca soltanto alcune delle ghezze d’onda essendo maggiori i numeri e i tipi di livelli
lunghezze d’onda. Per esempio, una foglia appare verde per energetici in una molecola, tra molecole, e tra molecole e
ché la sua clorofilla assorbe fortemente le lunghezze d’onda solvente.
rosse e blu e debolmente quelle verdi, e quindi viene riflessa Oltre che per identificare una sostanza, uno spettrome
la maggior parte della luce verde. Lo spettro di assorbimento tro può essere impiegato per misurarne la concentrazione
della clorofilla a sciolta in etere è presentato nella Figura S7.4. perché l’assorbanza, la quantità di luce di una data lunghezza
L’andamento complessivo della curva e le lunghezze d’onda assorbita da una sostanza, è direttamente proporzionale
d’onda dei massimi (picchi) principali sono caratteristici al numero di molecole. Supponiamo di volere determinare la
della clorofilla a, quindi il suo spettro serve come mezzo concentrazione della clorofilla in una soluzione in etere di
per identificarla da una fonte sconosciuta. La curva varia estratto di foglie. A questo scopo, scegliamo dallo spettro
in altezza perché la clorofilla a assorbe a differenti gradi della clorofilla una lunghezza d’onda che sia assorbita for
le lunghezze d’onda incidenti. Gli assorbimenti si presen temente (come la lunghezza d’onda di 663 nm nella Figura
tano come bande larghe, anziché come le righe distinte S7.4), misuriamo l’assorbanza della soluzione di estratto di
che abbiamo visto precedentemente nel caso dei singoli foglie, e la confrontiamo con l’assorbanza di una serie di
atomi gassosi, perché le sostanze disciolte, nonché i solidi e soluzioni in etere con concentrazioni note di clorofilla.
assorbanza
assorbanza a 663 nm
663 nm
assorbanza
della specie incognita
Figura S7.4 Lo spettro di assorbimento della clorofilla a. A. La clorofilla a è uno dei numerosi pigmenti delle foglie. Assorbe
fortemente le lunghezze d’onda rosse e blu, ma molto debolmente quelle verdi o gialle. Perciò, le foglie contenenti grandi quantità
di clorofilla a appaiono di colore verde. Il forte assorbimento a 663 nm può essere usato per quantificare la quantità di clorofilla a
presente in un estratto di foglie. B. L'assorbanza dell'estratto di foglie viene confrontata con quella di una serie di standard noti.
• Il microscopio elettronico
In un microscopio elettronico a tra
Se le particelle si muovessero di moto ondulatorio, gli elettroni dovrebbero pre
sentare diffrazione e interferenza (vedi Paragrafo 7.1). Poiché un elettrone in
smissione, un fascio di elettroni viene moto ad alta velocità ha una lunghezza d’onda di circa 10−10 m, gli spazi inte
focalizzato da una lente ma gnetica
ratomici in un cristallo servono da perfette “fenditure adiacenti”. Nel 1927, i fi
(lente obiettivo) e, attraversata una
sezione sottile del cam pione, rag sici statunitensi Clinton J. Davisson e Lester H. Germer diressero un fascio di
giunge una seconda lente magnetica. elettroni su un cristallo di nichel e ottennero una figura di diffrazione. La Figu
L’immagine così formata viene poi ra 7.14 mostra la figura di diffrazione che si ottiene quando un fascio di raggi
ingrandita da una terza lente mag
netica (lente di ingrandimento) in
X o di elettroni incide su un foglio d’alluminio. A quanto pare, gli elettroni –
modo da formare l’immagine finale. particelle dotate di massa e di carica elettrica – generano figure di diffrazione,
Le differenze tra un microscopio così come le generano le onde elettromagnetiche! Anche se gli elettroni non
elettronico e un microscopio ottico si muovono in orbite di raggio fisso, come pensava invece de Broglie, i livelli
sono che il primo impiega un fascio
di elettroni ad alta velocità invece
energetici dell’atomo sono in relazione con la natura ondulatoria dell’elettrone.
di un fascio di fotoni luminosi, e Se gli elettroni hanno proprietà tipiche dell’energia, i fotoni hanno proprietà
lenti costituite da elettromagneti tipiche della materia? L’equazione di de Broglie indica che possiamo calcolare la
invece di lenti di vetro ottico. Il quantità di moto (p), il prodotto della massa per la velocità, di un fotone di una data
microscopio elettronico a trasmis
sione è capace di ingrandimenti fino
lunghezza d’onda. Sostituendo la velocità della luce (c) alla velocità u nell’Equazio
a 200 000 × e di una risoluzione di ne 7.5 e risolvendo rispetto a p, otteniamo
0,5 nm. In un microscopio elettro h h h
nico a scansione, il fascio di elettroni =
λ = da cui =
p
esplora il campione, determinandovi mc p λ
l’emissione di elettroni che generano Si noti la proporzionalità inversa tra p e λ. Ciò significa che i fotoni di lunghezza
una corrente la cui intensità dipende
dalle irregolarità superficiali. La cor d’onda minore (energia più alta) hanno maggiore quantità di moto. Perciò, una
rente genera un’immagine simile diminuzione della quantità di moto di un fotone dovrebbe manifestarsi come un
alla superficie dell’oggetto. Il grande aumento della sua lunghezza d’onda. Nel 1923, il fisico statunitense Arthur H.
vantaggio della microscopia elettro Compton diresse un fascio di fotoni dei raggi X (fotoni X) su un campione di grafite
nica sta nel fatto che gli elettroni
ad alta velocità hanno lun ghezze e osservò che la lunghezza d’onda dei fotoni riflessi era maggiore di quella dei fo
d’onda molto minori di quelle delle toni incidenti. Questo risultato significava che i fotoni trasferivano una parte della
radiazioni luminose e quindi permet loro quantità di moto agli elettroni negli atomi di carbonio della grafite, così come
tono risoluzioni dell’immagine molto le palle da biliardo collidenti trasferiscono quantità di moto l’una all’altra. In questo
maggiori.
esperimento, i fotoni si comportano come particelle dotate di quantità di moto!
Per gli scienziati di quel tempo, questi risultati erano sconvolgenti. Gli esperimen
ti classici avevano mostrato che la materia è di natura particellare e che l’energia è di
A B
Figura 7.14 Confronto tra figure di diffrazione dei raggi X e degli elettroni. A. Figura
di diffrazione dei raggi X generata da un foglio di alluminio. B. Figura di diffrazione degli
elettroni generata da un foglio di alluminio. Il fatto che sia i raggi X, che sono radiazioni
elettromagnetiche, sia gli elettroni, che sono particelle, diano origine a figure di diffrazione
indica che essi si muovono di moto ondulatorio. (Foto: Copyright 2016 Education Development
Center, Inc. Riprodotta con permesso, tutti i diritti sono riservati).
• L’indeterminazione
inaccettabile?
è
Anche se il prin
Come mostrano i risultati del Problema di verifica 7.4, il principio di indetermina
zione ha profonde implicazioni per un modello atomico. Significa che non si possono
cipio di indeterminazione è univer assegnare agli elettroni traiettorie fisse, quali le orbite circolari del modello di Bohr.
salmente accettato dai fisici odierni,
Come vedremo nel paragrafo seguente, il massimo che possiamo sperare di conoscere
per Einstein alcuni dei suoi aspetti
erano difficili da accettare, come è è la probabilità di trovare un elettrone in una data regione di spazio. Però, non siamo
riflesso nella sua affermazione, diven sicuri che sia lì più di quanto un giocatore d’azzardo sia sicuro dell’esito del prossimo
tata famosa, “Dio non gioca a dadi lancio dei dadi.
con l’Universo”. Anche Rutherford
era scettico al riguardo. Quando Niels
Bohr, che era diventato un difensore 7.4 IL MODELLO QUANTOMECCANICO
della nuova fisica, tenne una confer
enza nel laboratorio di Rutherford DELL’ATOMO
sul principio di indeterminazione,
L’accettazione della natura duale della materia e dell’energia e del principio di inde
Rutherford disse: “Bohr, le vostre
conclusioni mi sembrano incerte terminazione è culminato nella meccanica quantistica, la quale esamina il moto
come il principio su cui si basano”. ondulatorio dei corpi su scala atomica. Nel 1926, il fisico austriaco Erwin Schrödin
Accettare idee rivoluzionarie non è ger dedusse un’equazione su cui si basa il modello quantomeccanico dell’atomo di
facile, neppure da parte di altri geni.
idrogeno. Il modello descrive un atomo che ha certe quantità permesse di energia
in virtù del moto ondulatorio permesso di un elettrone di cui è impossibile cono
scere la posizione esatta.
*
La forma completa dell’equazione di Schrödinger in tre dimensioni (in coordinate cartesiane ortogonali) è
⎡ 2 ⎛⎜ d 2 d2 d 2 ⎞⎟ ⎤
⎢− h ⎟ ⎥
⎢ 8π 2m ⎜⎜⎝ dx 2 + dy2 + dz 2 ⎟⎟⎠ + V ( x , y , z)⎥ Ψ ( x , y , z) = E Ψ ( x , y , z)
⎢⎣ e ⎥⎦
dove Ψ è la funzione d’onda; i primi tre termini descrivono come Ψ varia nello spazio; me è la massa
dell’elettrone; E è l’energia quantizzata totale del sistema atomico; e V è l’energia potenziale nel punto
(x, y, z). La risoluzione dell’equazione per quasi tutte le applicazioni pratiche richiede molto tempo di
calcolo al computer.
strato sferico. La ripida diminuzione della densità elettronica all’aumentare della di
stanza (vedi Figura 7.16B) ha un effetto importante. In prossimità del nucleo, il volu
me di ciascuno strato aumenta più rapidamente di quanto diminuisca la sua densità
elettronica. Di conseguenza, la probabilità totale di trovare l’elettrone nel secondo
strato è maggiore di quella di trovarlo nel primo. Ma la densità elettronica diminuisce
così rapidamente che questo effetto diminuisce presto all’aumentare della distanza.
Perciò, anche se il volume di ciascuno strato continua ad aumentare, la probabilità
totale in un dato strato finisce per diminuire. A causa di questi effetti antagonisti
della diminuzione della densità elettronica e dell’aumento del volume degli strati, la
probabilità totale raggiunge un massimo (un picco) in qualche strato in prossimità
del nucleo, ma oltre il primo. Questo andamento è rappresentato nella Figura 7.16D
come un diagramma della distribuzione di probabilità radiale.
Il massimo della distribuzione di probabilità radiale per l’atomo di idrogeno
nello stato fondamentale compare alla stessa distanza dal nucleo (0,529 Å, ossia
5,29 ⋅ 10−11 m) dell’orbita di Bohr più vicina al nucleo. Perciò, almeno per lo stato
fondamentale, il modello di Schrödinger prevede che l’elettrone trascorra la mag-
gior parte del suo tempo alla stessa distanza a cui l’elettrone trascorre la totalità del
suo tempo secondo la previsione del modello di Bohr. La differenza tra “maggior
parte” e “totalità” rispecchia l’indeterminazione della posizione dell’elettrone nel
• Una distribuzione di
probabilità radiale di mele
modello di Schrödinger.
A quale distanza dal nucleo possiamo trovare l’elettrone? Porsi questa domanda
Un’analogia potrebbe chiarire perché è come chiedersi: “Quanto è grande l’atomo?” Si ricordi che, come è mostrato nella
il diagramma della distribuzione di Figura 7.16B, la probabilità di trovare l’elettrone lontano dal nucleo non è nulla.
probabilità radiale sale fino a un
Perciò, non possiamo assegnare un volume definito a un atomo. Però, visualizziamo
massi
mo e poi scende. Si consideri
la raffigurazione delle mele cadute spesso gli atomi con una superficie di contorno a probabilità costante del
attorno alla base di un melo: la den 90%, come nella Figura 7.16E, che definisce il volume in cui l’elettrone dell’atomo
sità numerica di mele è massima vici di idrogeno trascorre il 90% del suo tempo.
no alla base dell’albero e decresce al
crescere della distanza. Immaginiamo
di suddividere il suolo sotto l’albero
in anelli concentrici larghi 30 cm
Numeri quantici di un orbitale atomico
e di raccogliere le mele in ciascun Finora abbiamo esaminato la densità elettronica per lo stato fondamentale dell’atomo
anello. La densità numerica di mele
è massima nel primo anello, ma l’area
di idrogeno. Quando l’atomo assorbe energia, esso esiste in uno stato eccitato e il
del secondo anello è maggiore di moto ondulatorio dell’elettrone è descritto da un differente orbitale atomico (una
quella del primo e quindi il secondo differente funzione d’onda atomica). Come vedremo, ciascun orbitale atomico ha
anello contiene un maggior numero una distribuzione di probabilità radiale e una superficie di contorno a probabilità
totale di mele. Via via che aumenta
la distanza degli anelli dalla base
costante caratteristiche.
dell’albero, aumenta l’area degli anelli Un orbitale atomico è specificato da tre numeri quantici. Uno è in relazione con
ma diminuisce la densità numerica la dimensione dell’orbitale, un altro con la sua forma, e il terzo con il suo orienta
di mele e quindi il numero totale mento nello spazio.* I numeri quantici hanno una relazione gerarchica: il numero in
di mele diminuisce. Un diagramma
del “numero di mele in un anello”
relazione con la dimensione limita il numero in relazione con la forma, che limita
in funzione della “distanza dell’anello il numero in relazione con l’orientamento. Esaminiamo questa gerarchia e poi con
dalla base dell’albero” presenta un sideriamo le forme e gli orientamenti.
massimo in cor rispondenza di una
certa distanza dalla base dell’albero, 1. Il numero quantico principale (n) è un numero intero positivo (1, 2, 3, …). Esso
come nella Figura 7.16D. indica la dimensione relativa dell’orbitale e quindi la distanza relativa dal nucleo
del massimo del diagramma della distribuzione di probabilità radiale. Il numero
quantico principale specifica il livello energetico dell’atomo di idrogeno: maggiore è
il valore di n, più alto è il livello energetico. Quando l’elettrone occupa un orbitale con
n = 1, l’atomo di idrogeno è nel suo stato fondamentale e ha un’energia inferiore a
quella che ha quando l’elettrone occupa l’orbitale con n = 2 (primo stato eccitato).
2. Il numero quantico del momento angolare (l) è un numero intero compreso tra
0 e n − 1. È in relazione con la forma dell’orbitale ed è detto anche numero quanti-
co della forma dell’orbitale. È importante notare che il numero quantico principale
*
Per facilitare la trattazione, parliamo di dimensione, forma e orientamento di un “orbitale atomico”, an
che se in realtà intendiamo la dimensione, la forma e l’orientamento di una “distribuzione di probabilità
radiale di un orbitale atomico”. Questa terminologia è comune sia nei testi propedeutici sia in quelli a
livello avanzato.
Figura 7.16 Probabilità elettronica nell’atomo di idroge- sentati in sezione trasversale) e contando i puntini in ciascuno
no nello stato fondamentale. A. Un diagramma della densità strato, si ottiene la probabilità totale di trovare l’elettrone in
elettronica presenta una sezione trasversale dell’atomo di quello strato. D. Un diagramma della distribuzione di probabi
idrogeno. I puntini, ciascuno dei quali rappresenta la probabi- lità radiale rappresenta la densità elettronica totale in ciascu-
lità che l’elettrone sia in un punto (in realtà, in un piccolissimo no strato sferico in funzione di r. Poiché la densità elettronica
volume), si diradano lungo una semiretta uscente dal nucleo. decresce più lentamente di quanto cresca il volume di cia-
B. Un diagramma dei dati presentati in A mostra che la pro- scuno strato concentrico, il diagramma presenta un massimo.
babilità (Ψ2) in un punto qualsiasi lungo la semiretta decresce E. Una superficie di contorno a probabilità costante del 90%
al crescere della distanza dal nucleo, ma non si annulla (lo mostra lo stato fondamentale dell’atomo di idrogeno (l’orbita-
spessore della linea fa apparire che lo faccia). C. Suddividendo le di energia minima) e rappresenta il volume in cui l’elettrone
il volume dell’atomo in strati sferici concentrici sottili (rappre- trascorre il 90% del suo tempo.
impone un limite ai valori del numero quantico del momento angolare; cioè, n limi
ta l. Per un orbitale con n = 1, l può assumere soltanto il valore 0. Per gli orbitali con
n = 2, l può assumere il valore 0 o il valore 1; per gli orbitali con n = 3, l può
assumere i valori 0, 1 o 2, e così via. È importante notare che il numero dei valori
possibili di l è uguale al valore di n.
3. Il numero quantico magnetico (ml) è un numero intero compreso tra −l e + l,
passando per 0. Esso impone l’orientamento dell’orbitale nello spazio attorno al
nucleo ed è detto anche numero quantico dell’orientamento dell’orbitale. I valori pos
sibili del numero quantico magnetico di un orbitale sono determinati dal numero
quantico del momento angolare (cioè, l determina ml). Un orbitale con l = 0 può
avere soltanto ml = 0. Però, un orbitale con l = 1 può avere ciascuno di tre valori
di ml, −1, 0, o +1; perciò, esistono tre orbitali possibili con l = 1, ciascuno con il
proprio orientamento. È importante notare che il numero dei valori possibili di
ml è uguale al numero degli orbitali, che è 2l + 1 per un dato valore di l.
La Tabella 7.2 riassume le relazioni fra i tre numeri quantici. Il numero totale di
orbitali per un dato valore di n è n2.
Gli stati energetici e gli orbitali dell’atomo sono descritti con termini specifici e
associati a uno o più numeri quantici.
1. Livello. I livelli (o gusci) energetici dell’atomo sono dati dal valore di n: minore
è il valore di n, più basso è il livello energetico e maggiore è la probabilità che
l’elettrone sia più vicino al nucleo.
2. Sottolivello. I livelli dell’atomo contengono sottolivelli (o sottogusci), che desi
gnano la forma dell’orbitale. Ciascun sottolivello è designato con una lettera:
l = 0 è un sottolivello s
l = 1 è un sottolivello p
l = 2 è un sottolivello d
l = 3 è un sottolivello f
(Le lettere derivano dai nomi delle righe spettroscopiche: sottile, principale,
diffusa e fondamentale). I nomi dei sottolivelli si ottengono abbinando il valore
di n e la designazione letterale. Per esempio, il sottolivello con n = 2 e l = 0
è detto sottolivello 2s.
3. Orbitale. Ciascuna combinazione permessa di valori di n, l e ml specifica uno degli
orbitali dell’atomo. Perciò, i tre numeri quantici che descrivono un orbitale ne
esprimono la dimensione (l’energia), la forma e l’orientamento spaziale. Si posso
no determinare facilmente i numeri quantici degli orbitali in ogni sottolivello se
si conoscono la designazione letterale del sottolivello e la gerarchia dei numeri
quantici. Per esempio, la gerarchia prescrive che il sottolivello 2s abbia un solo
orbitale, e i suoi numeri quantici sono n = 2, l = 0 e ml = 0. Il sottolivello 3p ha
tre orbitali: uno con n = 3, l = 1 e ml = −1, un altro con n = 3, l = 1 e ml = 0,
e un terzo con n = 3, l = 1 e ml = +1.
Determinazione dei nomi dei sottolivelli e dei numeri quantici
degli orbitali
PROBLEMA DI VERIFICA 7.6
Problema Si determinino il nome, i numeri quantici magnetici e il numero di orbitali per
ciascun sottolivello con i seguenti numeri quantici:
(a) n = 3, l = 2 (b) n = 2, l = 0 (c) n = 5, l = 1 (d) n = 4, l = 3
Piano Per determinare il nome del sottolivello, combiniamo il valore di n e la designazione
letterale l. Poiché conosciamo l, possiamo trovare i valori possibili di ml, il cui numero totale
è uguale al numero di orbitali.
Risoluzione
n l Nome del sottolivello Valori possibili di ml Numero di orbitali
(a) 3 2 3d −2, −1, 0, +1, +2 5
(b) 2 0 2s 0 1
(c) 5 1 5p −1, 0, +1 3
(d) 4 3 4f −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3 7
Figura 7.17 Gli orbitali 1s, tutte le Ψ2 è estesa a un volume molto maggiore. Tra le due regioni esiste un nodo
2s e 3s. Le informazioni per sferico, una regione a forma di guscio in cui la probabilità si annulla (Ψ2 = 0 nel
ciascuno degli orbitali s sono
rappresentate in tre modi:
nodo, analogamente all’ampiezza zero di un’onda). Poiché l’orbitale 2s è più grande
come diagramma della den- dell’orbitale 1s, un elettrone in questo orbitale trascorre più tempo più lontano dal
sità elettronica (in alto), come nucleo rispetto a quando occupa l’orbitale 1s.
nuvola elettronica (in centro), in L’orbitale 3s, mostrato nella Figura 7.17C, ha tre regioni di densità elettronica
cui l’ombreggiatura più intensa più alta e due nodi. Di nuovo, la probabilità radiale è massima alla massima distanza
coincide con i massimi del dia-
gramma sovrastante, e come
dal nucleo perché la somma di tutte le Ψ2 è estesa a un volume maggiore. Questo
distribuzione di probabilità radi- andamento di aumento del numero di nodi e della probabilità all’aumentare della
ale (in basso), in cui è mostrato distanza prosegue per gli orbitali s con maggiore valore di n. Poiché un orbitale s
dove l’elettrone trascorre il ha una forma sferica, esso può avere un solo orientamento e, quindi, un solo valore
suo tempo. A. L’orbitale 1s. del numero quantico magnetico: per ogni orbitale s, ml = 0.
B. L’orbitale 2s. C. L’orbitale
3s. Si notino i nodi (regioni di
probabilità zero) negli orbitali L’orbitale p Un orbitale con l = 1 ha due regioni (lobi) di alta probabilità, da parti
2s e 3s. opposte rispetto al nucleo, ed è detto orbitale p. Perciò, come si può vedere nella
Figura 7.18, il nucleo giace sul piano nodale di questo orbitale a forma di “manubrio
da ginnastica”. Poiché il valore massimo di l è n − 1, soltanto i livelli con n = 2
o maggiore possono avere un orbitale p. Perciò, l’orbitale p di energia più bassa
(quello più vicino al nucleo) è l’orbitale 2p. È importante tenere presente che un
Figura 7.18 Gli orbitali 2p. A. Un diagramma della un orbitale 2p e trascorre il 90% del suo tempo in questo
distribuzione di probabilità radiale dell’orbitale 2p presenta volume. L’orbitale 2px e l’orbitale 2py hanno la stessa forma,
un singolo massimo. Questo massimo è situato all’incirca ma giacciono lungo l’asse x e l’asse y, rispettivamente.
alla stessa distanza dal nucleo a cui è situato il massimo C. Raffigurazione schematizzata della superficie di contorno
maggiore nel diagramma relativo all’orbitale 2s (mostrato a probabilità costante degli orbitali 2p impiegata in tutto
nella Figura 7.17B). B. Una rappresentazione accurata della il libro. D. Nell’atomo, i tre orbitali 2p occupano regioni di
superficie di contorno a probabilità costante dell’orbitale spazio mutuamente ortogonali, contribuendo alla forma
2pz. Si noti il piano nodale in corrispondenza del nucleo. Un sferica complessiva dell’atomo.
elettrone occupa in uguale misura entrambe le regioni di
orbitale p è costituito da entrambi i lobi e che l’elettrone trascorre lo stesso tempo Figura 7.19 Gli orbitali 3d.
in entrambi. Come ci si attende dallo schema degli orbitali s, un orbitale 3p è più A. Un diagramma della di
stribuzione di probabilità radiale.
grande di un orbitale 2p, un orbitale 4p è più grande di un orbitale 3p e così via.
B. Una rappresentazione accurata
A differenza di un orbitale s, ciascun orbitale p ha un orientamento specifico della superficie di contorno a
nello spazio. Il valore l = 1 ha tre possibili valori di ml: −1, 0 e +1, che si riferiscono probabilità costante dell’orbitale
a tre orbitali p mutamente ortogonali (perpendicolari). Essi sono identici in dimensio 3dyz. Si notino i tre piani nodali
ne, forma ed energia, e differiscono soltanto in orientamento. Per comodità, asso mutuamente ortogonali e i lobi
tra gli assi. C. La rappresenta
ciamo gli orbitali p alla terna di assi mutuamente ortogonali x, y, z (ma non esiste
zione schematizzata dell’orbitale
alcuna relazione necessaria tra un asse spaziale e un dato valore di ml): l’orbitale px 3dyz impiegata in tutto il libro.
giace lungo l’asse x, l’orbitale py lungo l’asse y e l’orbitale pz lungo l’asse z. D. L’orbitale 3dxz. E. L’orbitale
3dxy. F. I lobi dell’orbitale 3d x 2− y 2
L’orbitale d Un orbitale con l = 2 è detto orbitale d. Sono possibili cinque valori sono situati sull’asse x e sull’asse
y. G. L’orbitale 3d z 2 ha due lobi
di ml per il valore l = 2: −2, −1, 0, +1, +2. Perciò, un orbitale d può avere ciascuno
e una regione centrale a forma di
di cinque differenti orientamenti, come è mostrato nella Figura 7.19. Quattro dei ciambella. H. Una rappresentazi-
cinque orbitali d hanno quattro lobi (“forma a quadrifoglio”) determinati da due piani one composita dei cinque orbitali
nodali mutuamente ortogonali, con il nucleo situato nella giunzione dei lobi. Tre di 3d, che contribuiscono anch’essi
alla forma sferica complessiva di
un atomo.
questi orbitali giacciono nei piani mutuamente ortogonali xy, xz, yz, con i loro lobi
tra gli assi e sono denominati orbitali dxy, dxz e dyz. Un quarto orbitale, l’orbitale d x 2 −y2 ,
giace anch’esso nel piano xy, ma i suoi lobi sono diretti lungo gli assi. Il quinto orbita
le d, l’orbitale dz2, ha una forma diversa: due lobi principali giacciono lungo l’asse z, e
una regione di densità elettronica a forma di ciambella circonda il centro. Un elettro
ne associato a un dato orbitale d ha uguale probabilità di essere in qualsiasi dei lobi
dell’orbitale.
Come abbiamo detto per gli orbitali p, le designazioni degli assi non sono as
sociate a un dato valore di ml. In accordo con le regole dei numeri quantici, un
orbitale d (l = 2) deve avere un numero quantico principale n = 3 o maggiore. Gli
orbitali 4d si estendono più lontano dal nucleo di quanto si estendano gli orbitali
3d, e gli orbitali 5d si estendono ancor più lontano.
Figura 7.20 Uno dei sette
possibili orbitali 4f. L’orbitale Orbitali con valori di l superiori Gli orbitali con l = 3 sono orbitali f e devono
4fxyz ha otto lobi e tre piani avere un numero quantico principale pari almeno a n = 4. Esistono sette orbitali f
radiali. Anche gli altri sei orbita- (2l + l = 7), ciascuno con una forma complessa, multilobata; la Figura 7.20 ne mostra
li 4f hanno superfici di contorno
uno. Gli orbitali con l = 4 sono orbitali g, ma non li esamineremo ulteriormente per
multilobate.
ché non svolgono un ruolo noto nel legame chimico.
dell’ottavo elemento sono analoghe a quelle del primo, quelle del nono sono analo-
ghe a quelle del secondo e così via (legge delle ottave, in analogia con le scale musicali).
Però, quando furono scoperti nuovi elementi, questi primi schemi numerici persero
gran parte della loro validità.
Nel Capitolo 2 abbiamo visto che lo schema di organizzazione che ebbe più
successo fu proposto dal chimico russo Dmitrij I. Mendeleev. Nel 1870, egli ordi-
nò i 65 elementi allora noti in una tavola periodica (sistema periodico degli elementi)
e riassunse il loro comportamento nella legge periodica: quando sono ordinati
secondo valori crescenti della massa atomica, gli elementi presentano una ricor-
renza periodica di proprietà simili. È un curioso capriccio della storia il fatto che
IL GRANDE CONTRIBUTO
Mendeleev e il chimico tedesco Julius Lothar Meyer (1830-1895) fossero arrivati
DI MENDELEEV pressoché simultaneamente, ma indipendentemente, alla stessa organizzazione de-
gli elementi. Mendeleev concentrò l’attenzione sulle proprietà chimiche, Meyer
sulle proprietà fisiche. Il merito maggiore è stato attribuito a Mendeleev perché
egli fu capace di prevedere le proprietà di parecchi elementi allora sconosciuti, per
i quali aveva lasciato caselle vuote nella sua tavola. La Tabella 8.1 mette a confronto
le proprietà effettive del germanio, a cui Mendeleev attribuì il nome di “ekasilicio”
(“primo sotto il silicio”), con le sue previsioni.
La tavola periodica odierna, presentata nell’Appendice H, somiglia nella maggior
parte dei particolari a quella di Mendeleev, anche se include 53 elementi che erano
sconosciuti nel 1870. L’unica differenza essenziale è che oggi gli elementi sono ordi-
nati secondo il numero atomico (il numero di protoni) crescente, invece che secondo
la massa atomica crescente. Questo cambiamento si è basato sulle ricerche condotte
dal fisico inglese Henry G.J. Moseley, che scoprì una dipendenza diretta tra la carica
nucleare di un elemento e la sua posizione nella tavola periodica.
• Moseley e il numero ato
mico Quando un metallo viene
bombardato con elettroni di alta
energia, un elettrone interno viene
8.2 CARATTERISTICHE DEGLI ATOMI emesso dall’atomo, un elettrone
POLIELETTRONICI esterno scende a riempire lo spazio
lasciato libero e vengono emes-
Come il modello di Bohr, l’equazione di Schrödinger non fornisce soluzioni esatte si raggi X. Bohr aveva ipotizzato
per gli atomi polielettronici. Però, a differenza del modello di Bohr, l’equazione di che lo spettro dei raggi X di un
Schrödinger fornisce ottime soluzioni approssimate. Queste mostrano che gli orbi- elemento avesse lunghezze d’onda
direttamente proporzionali alla cari
tali atomici degli atomi polielettronici sono idrogenoidi, cioè, sono simili a quelli ca nucleare. Nel 1913, Moseley
dell’atomo di idrogeno. Questa conclusione significa che, per descrivere gli orbitali studiò gli spettri dei raggi X di una
degli altri atomi, si possono usare gli stessi numeri quantici che si usano per l’atomo serie di metalli e riuscì a correlare
di idrogeno. la radice quadrata della frequen-
Ciononostante, l’esistenza di più di un elettrone in un atomo ci impone di za della riga di minore lunghezza
d’onda nello spettro dei raggi X di
considerare tre caratteristiche che non erano pertinenti nel caso dell’atomo di idro- ciascun metallo con il suo ordine
geno: (1) la necessità di un quarto numero quantico; (2) un limite al numero di nella tavola periodica (con il suo
elettroni permessi in un dato orbitale; (3) un più complesso insieme di livelli ener- numero atomico): la radice quadrata
getici degli orbitali. Esaminiamo queste nuove caratteristiche e poi determiniamo della frequenza è direttamente pro
la configurazione elettronica di ciascun elemento. porzionale a Z (legge di Moseley).
Dimostrò che la carica nucleare
aumentava di 1 unità per ciascun
Il numero quantico di spin elettronico elemento (vedi il seguente diagram-
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, i tre numeri quantici n, l e ml descri- ma di Moseley). Tra gli altri risultati,
le osservazioni sperimentali con-
vono, rispettivamente, la dimensione (l’energia), la forma e l’orientamento di un fermarono la collocazione di Co
orbitale atomico. Ma è necessario un numero quantico addizionale per descrivere (Z = 27) prima di Ni (Z = 28), nono-
una proprietà dell’elettrone stesso, detta spin, che non è una proprietà dell’orbitale. stante la maggiore massa atomica
Lo spin dell’elettrone diventa importante quando è presente più di un elettrone. del cobalto, e confermarono anche
Quando un fascio di atomi di idrogeno attraversa un campo magnetico non che nell’intervallo tra Cl (Z = 17) e
K (Z = 19) si inserisce Ar (Z = 18).
uniforme, come illustrato nella Figura 8.1, esso si separa in due fasci che deviano Moseley si arruolò come pilota allo
l’uno dall’altro. La spiegazione della separazione (o splitting) del fascio è che l’elet- scoppio della prima guerra mon-
trone genera un minuscolo campo magnetico, come se fosse una carica che ruota diale e morì tragicamente solo un
(spin in inglese) su se stessa. Il singolo elettrone in ciascun atomo di idrogeno può anno dopo questa scoperta, all’età
ruotare su se stesso in uno di due versi opposti, ciascuno dei quali genera un campo di 26 anni.
magnetico. Le opposte direzioni di orientamento di questi campi magnetici fanno
sì che metà degli elettroni sia attratta verso la regione del grande campo magnetico
esterno e l’altra metà ne sia respinta; quindi il fascio di atomi di idrogeno si separa.
Il numero quantico di spin (ms) indica il verso di rotazione dell’elettrone at-
torno al proprio asse e può assumere uno di due valori possibili: + 12 o − 12 . Di conse-
guenza, ciascun elettrone in un atomo è descritto completamente da un insieme di quattro
Figura 8.1 Osservazione dell’effetto dello spin dell’elettrone. Un campo magnetico non
uniforme, generato da magneti con espansioni di differenti forme, separa in due parti un
fascio di atomi di idrogeno. La separazione (splitting) del fascio è dovuta ai due possibili
orientamenti dello spin dell’elettrone in ciascun atomo.
numeri quantici: i primi tre descrivono il suo orbitale e il quarto descrive il suo spin. I numeri
quantici sono riassunti nella Tabella 8.2.
Ora siamo in grado di scrivere un insieme di quattro numeri quantici per ogni elet-
trone nello stato fondamentale di qualsiasi atomo. Per esempio, i quattro numeri quan-
tici per il singolo elettrone nell’atomo di idrogeno (H; Z = 1) è n = 1, l = 0, ml = 0 e
ms = + 12 . (Il numero quantico di spin di questo elettrone avrebbe potuto essere anche
− 12 , ma, per convenzione, si attribuisce il valore + 2 al primo elettrone in un orbitale).
1
Il principio di esclusione
L’elemento successivo all’idrogeno è l’elio (He; Z = 2), il primo elemento il cui atomo
ha più di un elettrone. Il primo elettrone nello stato fondamentale di He ha lo stes-
so insieme di quattro numeri quantici dell’elettrone nell’atomo di H, ma il secondo
elettrone di He no. Basandosi sull’osservazione degli stati eccitati degli atomi, il fisico
teorico svizzero di origine austriaca Wolfgang Pauli formulò il principio di esclu-
sione: in un atomo non possono esistere due elettroni aventi lo stesso insieme dei quattro
numeri quantici. Cioè, ciascun elettrone deve avere un’“identità” unica, espressa dai
suoi quattro numeri quantici. Perciò, il secondo elettrone di He occupa lo stesso or
UN’ANALOGIA PER I NUMERI
QUANTICI ISPIRATA A UN
bitale del primo, ma ha spin orientato nel verso opposto (antiparallelo): n = 1, l = 0,
ANFITEATRO ROMANO ml = 0 e ms = − 12
Poiché il numero quantico di spin (ms) può assumere soltanto due valori, la
principale conseguenza del principio di esclusione è che un orbitale atomico può
contenere al massimo due elettroni e questi devono avere spin antiparalleli. Si dice che
l’orbitale 1s nell’atomo di elio è occupato (o pieno o completo) e che gli elettroni
hanno spin appaiati (o accoppiati). Perciò, un fascio di atomi di He non si separa in
un esperimento come quello nella Figura 8.1.
atomici hanno una carica nucleare 2+, ma He ha due elettroni nell’orbitale 1s mentre
−
Questo e− He+ ne ha soltanto uno (Figura 8.4). Le energie degli orbitali sono
è più difficile
da rimuovere E di 1s in He+ = −5250 kJ/mol e E di 1s in He = −2372 kJ/mol
2+ Questo orbitale Per rimuovere un elettrone da He occorre all’incirca la metà dell’energia che è ne-
−5250 è più stabile
He 1s+ cessaria per rimuoverlo da He+. Perché il secondo elettrone nell’atomo di He rende
molto più facile rimuovere un elettrone? Ciascun elettrone “percepisce” non soltanto
Figura 8.4 L’effetto di un l’attrazione nucleare, ma anche la repulsione esercitata dall’altro elettrone. Questa
elettrone addizionale nello
stesso orbitale. Ciascuno dei
repulsione compensa in parte l’attrazione e facilita la rimozione di ciascun elettro-
due elettroni scherma parzial- ne, cosicché l’orbitale 1s di He è meno stabile (ha un’energia più alta). Si potrebbe
mente l’altro nei confronti della pensare che questo elettrone spinga via l’altro. Perciò, un elettrone addizionale innalza
carica nucleare completa e l’energia dell’orbitale mediante repulsioni interelettroniche. È quasi come se ciascun elet-
aumenta l’energia dell’orbitale. trone “schermasse” l’altro elettrone dall’influenza esercitata dall’intera carica nucleare.
Questa schermatura (o schermaggio o effetto di schermo) riduce l’intera carica nucle-
are a una carica nucleare effettiva (o efficace) (Zeff), cioè la carica nucleare a cui un
elettrone è soggetto effettivamente. (Gli altri elettroni nello stesso sottolivello hanno un
2s effetto simile). Perciò, la rimozione di un elettrone è facilitata dalla schermatura per opera
1s
Questo e− degli altri elettroni.
− è più facile
−
da rimuovere 2. Elettroni addizionali in orbitali interni. Per isolare l’effetto di elettroni addizionali
− negli orbitali interni, confronteremo sistemi atomici un po’ insoliti: l’atomo di Li
3+ Questo orbitale
−520 è meno stabile nello stato fondamentale e lo ione Li2+ nel primo stato eccitato. Entrambi i sistemi
Li 2s
hanno una carica nucleare 3+. L’atomo di Li ha due elettroni interni (1s) e un elet-
trone esterno (2s); lo ione Li2+ ha un solo elettrone che, nel primo stato eccitato,
Energia (kJ/mol)
2s
Questo e−
occupa l’orbitale 2s (Figura 8.5). Le energie degli orbitali sono
1s − è più difficile
da rimuovere E di 2s in Li 2+ = −2954 kJ/mol e E di 2s in Li = −520 kJ/mol
3+ Questo orbitale
Per rimuovere l’elettrone 2s dall’atomo di Li è necessaria una quantità di energia
−2954 è più stabile pari a circa 1/6 di quella che occorre per rimuoverlo dallo ione Li2+. Gli elettroni
Li2+ 2s
interni (1s), trascorrendo quasi tutto il loro tempo tra l’elettrone esterno (2s) e il
Figura 8.5 L’effetto di altri nucleo, schermano molto efficacemente l’elettrone 2s dall’attrazione nucleare; ciò
elettroni in orbitali interni. rende molto più facile rimuovere l’elettrone 2s nell’atomo di Li. Chiaramente, gli
Gli elettroni interni schermano elettroni interni schermano gli elettroni esterni più efficacemente di quanto facciano gli
molto efficacemente gli elettroni
esterni e aumentano notevol-
elettroni presenti nello stesso sottolivello.
mente l’energia dell’orbitale.
Penetrazione: l’effetto della forma dell’orbitale sulla sua energia Per iso-
lare l’effetto della forma dell’orbitale, confronteremo l’atomo di Li nel suo stato
fondamentale e l’atomo di Li nel suo primo stato eccitato. I due sistemi atomici
sono identici, eccettuato il fatto che l’elettrone esterno occupa orbitali con dif-
ferenti valori di l. Oltre all’orbitale 1s occupato, l’atomo di Li nello stato fonda-
mentale ha un elettrone nell’orbitale 2s, mentre l’atomo di Li nel suo primo stato
eccitato ha il suo terzo elettrone in un orbitale 2p. Le energie degli orbitali sono
E di 2s nel Li = −520 kJ/mol e E di 2p nel Li = −341 kJ/mol
Perché l’orbitale 2s è più stabile (ha un’energia più bassa)? Sulle prime, ci si potreb-
be attendere che l’elettrone 2s possa essere rimosso più facilmente perché, come
mostra il diagramma nella Figura 8.6, un elettrone 2s (curva blu) è, in media, un po’
più lontano dal nucleo rispetto a un elettrone 2p (curva arancio). Ma è importante
notare che una piccola porzione della distribuzione di probabilità radiale dell’orbi-
tale 2s compare molto vicino al nucleo. In effetti, l’elettrone 2s trascorre una parte
del suo tempo molto vicino al nucleo. Questa penetrazione aumenta l’attrazione
1s
Figura 8.8 Un diagramma Il successivo sottolivello di energia più bassa è il sottolivello 2p. Il sottolivello p ha
verticale degli orbitali per lo
stato fondamentale del Li.
l = 1, quindi i valori di ml (orientamento) possono essere −1, 0 o +1. I tre orbitali nel
L’energia dei sottolivelli aumen- sottolivello 2p hanno uguale energia (stessi valori di n e di l), la qual cosa significa che
ta dal basso verso l’alto. il quinto elettrone del boro può andare in qualsiasi degli orbitali 2p. Per comodità,
L’ottavo elettrone nell’ossigeno deve entrare in uno di questi tre orbitali 2p semi-
pieni e “appaiarsi” con l’elettrone già presente ossia avere spin antiparallelo a quello
di questo elettrone. Poiché gli orbitali 2p hanno tutti la stessa energia, procediamo
come prima e collochiamo l’elettrone nell’orbitale precedentemente de signato
ml =−1. I numeri quantici sono= n 2,= =l −1, ms = − 12 .
l 1, m
Il nono elettrone del fluoro entra nell’uno o nell’altro dei due orbitali 2p semipieni
restanti:=
n 2,= l 1, m= l =
0, m s − 12 .
Nel sottolivello 2p rimane un solo orbitale non occupato e quindi viene occupato
dal decimo elettrone del neon: n ==2, l 1, ml = +1, ms =− 12 . Con il neon, il livello
con n = 2 è pieno.
L’ottavo elettrone è nel primo orbitale 2p, designato con ml = −1, e ha una freccia orientata
all’ingiù:
=
n 2,= =
l 1, ml −1, ms = − 12
Dopo avere dedicato così tanta attenzione a queste notazioni, è facile dimenticare
che gli atomi sono corpi sferici reali e che gli elettroni occupano volumi con for-
me e orientamenti specifici. La Figura 8.9 mostra i primi 10 elementi organizzati
in forma di tavola periodica, con la raffigurazione delle superfici di contorno degli
orbitali.
Anche in questo stadio iniziale di completamento della tavola periodica, sia-
mo in grado di stabilire un’importante correlazione tra comportamento chimico e
configurazione elettronica: gli elementi nello stesso gruppo hanno configurazioni
elettroniche esterne simili. Per esempio, l’elio (He) e il neon (Ne) nel Gruppo 8A(18)
hanno livelli esterni occupati (n = 1 nel caso dell’elio e n = 2 nel caso del neon)
e nessuno dei due elementi forma composti. A quanto pare, i livelli esterni occupati
rendono non reattivi questi elementi.
il neon, si giunge alla fine del Periodo 3. (Come vedremo tra poco, gli orbitali 3d si
riempiono nel Periodo 4).
L’ultima colonna nella Tabella 8.3 presenta la configurazione elettronica conden-
sata. In questa notazione semplificata, la configurazione elettronica del gas nobile
precedente è rappresentata con il simbolo del suo elemento tra parentesi qua-
dre ed è seguita dalla configurazione elettronica del livello energetico che vie-
ne riempito. Per esempio, la configurazione elettronica condensata dell’ossigeno è
[He] 2s22p4, dove [He] rappresenta 1s2; quella del sodio è [Ne] 3s1, dove [Ne] rappre-
senta 1s22s22p6 (come mostra la Tabella 8.3); e così via.
con non metalli con formule quali MCl, M2O e M2S (dove M rappresenta il
metallo alcalino) e tutti reagiscono vigorosamente con l’acqua per sostituire H2
(Figura 8.11A).
• Nel Gruppo 7A(17), il fluoro e il cloro hanno la configurazione elettronica
condensata [gas nobile] ns2np5, così come l’hanno gli altri alogeni (Br, I, At).
L’astato (At), raro e radioattivo, è poco conosciuto, ma tutti gli altri elementi
sono non metalli reattivi che esistono come molecole biatomiche, X2 (dove X
rappresenta l’alogeno). Tutti formano composti ionici con i metalli (KX, MgX2)
(Figura 8.11B), composti covalenti con l’idrogeno (HX) i quali danno soluzioni
acide in acqua, e composti covalenti con il carbonio (CX4).
Riassumendo, l’importante connessione tra meccanica quantistica e periodicità chi-
mica è questa: gli orbitali si riempiono in ordine di energia crescente, dando origine a
configurazioni elettroniche esterne che ricorrono periodicamente, dando origine a proprie-
tà chimiche che ricorrono periodicamente.
1s1 ns2 colorato come elemento del blocco s ma è collocato con gli altri ns2np1 ns2np2 ns2np3 ns2np4 ns2np5 1s2
19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
4 K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr
4s1 4s2 4s23d1 4s23d2 4s23d3 4s13d5 4s23d5 4s23d6 4s23d7 4s23d8 4s13d10 4s23d10 4s24p1 4s24p2 4s24p3 4s24p4 4s24p5 4s24p6
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
5 Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe
5s1 5s2 5s24d1 5s24d2 5s14d4 5s14d5 5s24d5 5s14d7 5s14d8 4d10 5s14d10 5s24d10 5s25p1 5s25p2 5s25p3 5s25p4 5s25p5 5s25p6
55 56 57 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
6 Cs Ba La* Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn
6s1 6s2 6s25d1 6s25d2 6s25d3 6s55d4 6s25d5 6s25d6 6s25d7 6s15d9 6s15d10 6s25d10 6s26p1 6s26p2 6s26p3 6s26p4 6s26p5 6s26p6
87 88 89 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118
7 Fr Ra Ac** Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn Nh Fl Mc Lv Ts Og
7s1 7s2 7s26d1 7s26d2 7s26d3 7s26d4 7s26d5 7s26d6 7s26d7 7s26d8 7s26d9 7s26d10 7s27p1 7s27p2 7s27p3 7s27p4 7s27p5 7s27p6
Figura 8.13 La relazione tra riempimento degli orbitali e tavola periodica. Se “leggiamo” i periodi come le parole di una
pagina stampata, gli elementi sono disposti in blocchi di sottolivelli che si presentano in ordine di energia crescente. Questa for-
ma della tavola periodica mostra i blocchi di sottolivelli. (I blocchi f si inseriscono tra il primo e il secondo elemento dei blocchi d
nei Periodi 6 e 7). Riquadro in verde: una versione semplice dell’ordine dei sottolivelli.
K è un elemento dei gruppi principali nel Gruppo 1A(1) del Periodo 4, quindi esisto-
no 18 elettroni interni .
Mo è un elemento di transizione nel Gruppo 6B(6) del Periodo 5, quindi vi sono 36 elettroni
interni.
(c) Per Pb (Z = 82), la configurazione elettronica completa è
1s22s22p63s23p64s23d104p65s24d105p66s24f 145d106p2.
La configurazione elettronica condensata è
[Xe] 6s24f 145d106p2.
Il diagramma parziale degli orbitali per gli elettroni di valenza
(assenza di sottolivelli interni pieni) è
Pb è un elemento dei gruppi principali nel Gruppo 4A(14) del Periodo 6, quindi vi sono 54
(nello Xe) + 14 (nella serie 4f ) + 10 (nella serie 5d) = 78 elettroni interni.
Verifica Ci si deve accertare che la somma degli apici (elettroni) nella configurazione elet-
tronica completa sia uguale al numero atomico e che il numero degli elettroni di valenza
nella configurazione elettronica condensata sia uguale al numero di elettroni nel diagramma
parziale degli orbitali.
4
questa tendenza.
Fr 270 Ra 220
7
3B 4B 5B 6B 7B 8B 1B 2B
(3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12)
Sc 162 Ti 147 V 134 Cr 128 Mn 127 Fe 126 Co 125 Ni 124 Cu 128 Zn 134
4
Y 180 Zr 160 Nb 146 Mo 139 Tc 136 Ru 134 Rh 134 Pd 137 Ag 144 Cd 151
5
La 187 Hf 159 Ta 146 W 139 Re 137 Os 135 Ir 136 Pt 138 Au 144 Hg 151
6
sinistra a destra, il raggio atomico diminuisce nei primi due o tre elementi per-
ché aumenta la c arica nucleare. Procedendo ulteriormente, però il raggio atomico
rimane relativamente costante perché la schermatura per opera di questi elettroni
d interni compensa l’aumento di Zeff. Per esempio, il vanadio (V; Z = 23), il terzo
metallo di transizione del Periodo 4, ha lo stesso raggio atomico dello zinco (Zn;
Z = 30), l’ultimo metallo di transizione. Questo schema si osserva anche nei Perio-
di 5 e 6 nelle serie di transizione del blocco d e in entrambe le serie di elementi
di transizione interna.
Il riempimento intermedio di elettroni d determina una notevole diminuzione
del raggio atomico dal Gruppo 2A(2) al Gruppo 3A(13), i due gruppi principali che
fiancheggiano le serie di transizione. La diminuzione del raggio atomico nei Periodi 4,
5 e 6 (con una serie di transizione) è molto maggiore che nel Periodo 3 (senza una
serie di transizione). Poiché gli elettroni negli orbitali np penetrano più di quelli negli
orbitali (n = 1)d, il primo elettrone np “percepisce” una Zeff aumentata da tutti i proto-
ni aggiunti durante le serie di transizione. La variazione massima si osserva nel Perio-
do 4, in cui il calcio (Ca; Z = 20) è di quasi il 50% più grande del gallio (Ga; Z = 31).
Periodo 6
Periodo 1
Periodo 2
Periodo 4
Periodo 5
Periodo 3
250
per gli elementi nei Periodi 1 ÷ 6 K
mostra una variazione periodica:
il raggio generalmente diminui-
sce lungo un periodo fino al gas
In realtà, il gallio è lievemente più piccolo dell’alluminio (Al; Z = 13), anche se è più
lontano scendendo lungo lo stesso gruppo!
La Figura 8.16 mostra la variazione complessiva del raggio atomico al crescere
del numero atomico. Si noti il ricorrente andamento crescente e decrescente men-
tre il raggio atomico scende lungo un periodo fino al gas nobile e poi salta in su
fino al metallo alcalino che inizia il periodo successivo. Si noti anche come ciascuna
serie di transizione, a partire da quella nel Periodo 4 (da K a Kr), interrompe la di-
minuzione regolare del raggio atomico.
2500 He
Gruppo 1A(1)
Ne Gruppo 8A(18)
Periodo 4
Periodo 6
Periodo 3
Periodo 5
Periodo 2
Energia di prima ionizzazione (kJ/mol)
2000
Ar
1500
Kr
O Xe
Rn Figura 8.17 Periodicità del
1000 l’energia di prima ionizzazione
S
(Ei1). Un diagramma di Ei1 in
B funzione del numero atomico per
gli elementi dei Periodi 1 ÷ 6 pre-
500 Al senta un andamento periodico:
Li Na i valori più bassi si osservano
Periodo 1
Piano Come nel Problema di verifica 8.3, prima troviamo gli elementi nella tavola periodi-
ca e poi applichiamo le tendenze generali della Ei1 decrescente dall’alto al basso lungo un
gruppo e della Ei1 crescente da sinistra a destra lungo un periodo.
Risoluzione (a) He > Ar > Kr. Questi tre elementi sono nel Gruppo 8A(18) e Ei1 diminu-
isce dall’alto al basso lungo un gruppo.
(b) Te > Sb > Sn. Questi elementi sono nel Periodo 5 e Ei1 aumenta da sinistra a destra
lungo un periodo.
(c) Ca > K > Rb. Ei1 di K è maggiore di Ei1 di Rb perché K occupa una posizione più
alta nel Gruppo 1A(1). Ei1 di Ca è maggiore di Ei1 di K perché Ca è più lontano a destra
nel Periodo 4.
(d) Xe > I > Cs. Ei1 di I è minore di Ei1 di Xe perché I è più lontano a sinistra. Ei1 di I è
maggiore di Ei1 di Cs perché I è più lontano a destra e nel periodo precedente.
Verifica Poiché le tendenze in Ei1 sono generalmente opposte a quelle nel raggio atomico,
si possono ordinare gli elementi secondo il raggio atomico e si può verificare che si ottiene
l’ordinamento inverso.
Piano Cerchiamo un grande salto nei valori di Ei, che si produce dopo che tutti gli elettro-
ni di valenza sono stati rimossi. Poi consultiamo la tavola periodica per trovare l’elemento
del Periodo 3 con questo numero di elettroni di valenza e scriviamo la sua configurazione
elettronica.
Risoluzione Questo salto eccezionalmente grande si produce dopo Ei5; quindi, l’elemento
ha cinque elettroni di valenza e, perciò, è nel Gruppo 5A(15). Questo elemento del
Periodo 3 è il fosforo (P; Z = 15). La sua configurazione elettronica è 1s22s22p63s23p3.
* Le tabelle delle prime affinità elettroniche le elencano spesso come valori positivi, indicando la quantità
di energia rilasciata, invece della differenza tra il valore finale e il valore iniziale dell’energia. Si tenga
presente questa convenzione quando si cercano questi valori in manuali di consultazione. Essendo più
difficile misurare le affinità elettroniche che le energie di ionizzazione, i valori vengono corretti frequen-
temente quando diventano disponibili metodi più accurati.
elettroni nelle reazioni con non metalli. I non metalli sono localizzati nel quarto
in alto a destra della tavola. Sono tipicamente non lucenti, hanno temperature di
fusione relativamente basse, sono cattivi conduttori termici ed elettrici, e tendono
ad acquistare elettroni nelle reazioni con i metalli. I metalloidi sono localizzati nella
regione compresa tra le altre due classi e hanno anche proprietà intermedie tra
quelle delle due classi. Perciò, il comportamento metallico aumenta da destra verso
sinistra e dall’alto verso il basso nella tavola periodica (Figura 8.22).
Figura 8.22 Tendenze nel È importante però tenere presente che non tutti gli elementi possono inserirsi
comportamento metallico. La chiaramente nella nostra classificazione. Per esempio, il carbonio è un non metallo,
tendenza al comportamento ma, sotto forma di grafite, è un buon conduttore elettrico. Lo iodio, un altro non
metallico tra gli elementi è metallo, è un solido lucente. Il gallio e il cesio sono metalli, ma fondono a tempe-
rappresentata come gradazione
dell’ombreggiatura che partendo
rature inferiori alla temperatura corporea umana, e il mercurio è un liquido a tem-
da in alto a destra va verso il peratura ambiente. Anche se esistono queste eccezioni, possiamo formulare alcune
basso a sinistra, con frecce che generalizzazioni riguardo al comportamento metallico.
indicano il verso dell’aumento.
Gli elementi che si comportano Tendenza relativa a cedere elettroni I metalli tendono a cedere elettroni du-
come metalli compaiono nei 3/4 rante le reazioni chimiche perché hanno energie di ionizzazione basse rispetto a
in basso a sinistra. (L’idrogeno, quelle dei non metalli. L’aumento del comportamento metallico dall’alto al basso lun-
essendo un non metallo, compa-
re vicino all’elio in questa tavola
go un gruppo è più evidente nel comportamento fisico e chimico degli elementi dei
periodica). Gruppi 3A(13) ÷ 6A(16), che contengono più di una classe di elementi. Conside-
riamo, per esempio, gli elementi del Gruppo 5A(15), che compaiono verticalmente
nella Figura 8.23. In questo caso, il cambiamento è così grande che, rispetto agli
ioni monoatomici, gli elementi in alto tendono a formare anioni e quelli in basso tendono
a formare cationi. L’azoto (N) è un non metallo gassoso, mentre il fosforo (P) è un non
metallo solido. Entrambi si presentano talvolta come anioni 3− nei loro composti.
L’arsenico (As) e l’antimonio (Sb) sono metalloidi, e Sb è il più metallico dei due;
nessuno dei due forma facilmente ioni. Il bismuto (Bi), il membro più grande, è un
metallo tipico, che forma in prevalenza composti ionici in cui compare come catione
3+. Anche nel Gruppo 2A(2), costituito interamente da metalli, la tendenza a forma-
re cationi aumenta dall’alto al basso lungo il gruppo. Per esempio, il berillio (Be) for-
ma composti covalenti con non metalli, mentre i composti del bario (Ba) sono ionici.
Mentre ci si muove da sinistra a destra lungo un periodo, diventa sempre più
difficile cedere un elettrone (Ei aumenta) e più facile acquistarne uno (Eea diventa
più negativa). Perciò, riguardo agli ioni monoatomici, gli elementi a sinistra tendono
a formare cationi e quelli a destra tendono a formare anioni. La diminuzione tipica del
comportamento metallico da sinistra a destra lungo un periodo è chiara negli ele-
menti del Periodo 3, che compaiono orizzontalmente nella Figura 8.23. Il sodio e
il magnesio sono metalli. Il sodio è lucente quando è stato tagliato di recente sotto
un olio minerale, ma cede così facilmente un elettrone a O2 che, se tagliato nel
l’aria, la sua superficie si riveste immediatamente di un ossido opaco. Questi metalli
esistono in natura sotto forma di ioni Na+ e Mg2+ nel mare, nei minerali e negli
organismi. L’alluminio è metallico nelle proprietà fisiche e forma lo ione Al3+ in al-
cuni composti, ma si lega covalentemente nella maggior parte degli altri composti.
Il silicio (Si) è un metalloide lucente che non esiste come ione monoatomico. La
forma più comune di fosforo è un non metallo bianco e ceroso che, come abbiamo
notato prima, forma lo ione P3− in alcuni composti. Lo zolfo è un non metallo giallo
fragile che forma lo ione solfuro (S2−) in molti composti. Il cloro biatomico (Cl2) è
un non metallo gassoso giallastro che attrae avidamente elettroni ed esiste in natura
sotto forma di ione Cl−.
La tendenza di un elemento a cedere o acquistare elettroni è strettamente cor-
relata al suo comportamento redox, ovverso al suo comportarsi da agente ossidante o
riducente.
A causa dei loro bassi valori di Ei e di Eea gli elementi dei gruppi 1A(1) e 2A(2)
perdono facilmente elettroni, pertanto tendono a ossidarsi comportandosi come
forti agenti riducenti.
Al contrario, a causa dei loro elevati valori di Ei e di Eea gli elementi non metal-
lici dei gruppi 6A(16) e 7A(17) acquistano facilmente elettroni, pertanto tendono a
ridursi comportandosi come forti agenti ossidanti.
È importante notare che, via via che gli elementi diventano meno metallici da sinistra
a destra lungo un periodo, i loro ossidi diventano più acidi. Nel Periodo 3, il sodio e il
magnesio formano gli ossidi fortemente basici Na2O e MgO. L’alluminio metallico
forma ossido di alluminio anfotero (Al2O3), che reagisce con un acido e una base:
Al 2O3 ( s ) + 6HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ 2AlCl3 ( aq ) + 3H2O( l )
Al 2O3 ( s ) + 2NaOH( aq ) + 3H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2NaAl(OH)4 ( aq )
Il diossido di silicio è debolmente acido, formando un sale e acqua con una base:
SiO2 ( s ) + 2NaOH( aq ) ⎯ ⎯
→ Na 2SiO3 ( aq ) + H2O( l )
Gli ossidi comuni del fosforo, dello zolfo e del cloro formano acidi di forza crescen-
te: H3PO4, H2SO4 e HClO4.
Risoluzione (a) Lo iodio appartiene al Gruppo 7A(17); quindi acquista un elettrone diven-
tando isoelettronico con lo xenon:
I ([Kr] 5s2 4 d10 5p 5 ) + e− ⎯ ⎯→ I− ([Kr] 5s 2 4 d10 5p 6 ) (isoelettronico con lo xenon)
(b) Il potassio appartiene al Gruppo 1A(1); quindi cede un elettrone diventando isoelettro-
nico con l’argon:
→ K + ([Ar]) + e−
K ([Ar] 4s1 ) ⎯ ⎯
(c) L’indio appartiene al Gruppo 3A(13); quindi cede tre elettroni per formare In3+ (configu-
razione pseudonobile) oppure ne cede soltanto uno per formare In+ (coppia inerte):
→ In 3+ ([Kr] 4 d10 ) + 3e−
In ([Kr] 5s 2 4 d10 5p1 ) ⎯ ⎯
→ In+ ([Kr] 5s 2 4 d10 ) + e−
In ([Kr] 5s 2 4 d10 5p1 ) ⎯ ⎯
Verifica Si deve accertare che il numero di elettroni nella configurazione elettronica dello
ione, più gli elettroni acquistati o ceduti per formare lo ione, sia uguale a Z.
Avviene un aumento del paramagnetismo quando il metallo ferro (Fe) forma com-
posti contenenti lo ione Fe3+. Questo fatto è compatibile con la cessione degli
elettroni 4s e di uno degli elettroni 3d appaiati da parte di Fe:
→ Fe3+ ([Ar] 3d 5 ) + 3e−
Fe ([Ar] 4s 2 3d 6 ) ⎯ ⎯
Raggio ionico e raggio atomico Il raggio ionico è una stima della dimensione
di uno ione in un composto ionico cristallino. Possiamo raffigurarlo come la parte,
associata allo ione in questione, della distanza tra i nuclei di ioni adiacenti nel soli-
do (Figura 8.28). In base alla relazione tra carica nucleare effettiva e raggio atomico,
Figura 8.28 Rappresentazio
possiamo prevedere il raggio di uno ione rispetto all’atomo originale.
ne del raggio ionico. Il raggio
cationico (r +) e il raggio anio- • I cationi sono più piccoli degli atomi originali. Quando si forma un catione, ven-
nico (r −) costituiscono ciascuno
gono rimossi elettroni dal livello esterno. La conseguente diminuzione delle
una parte della distanza totale
tra i nuclei di ioni adiacenti in repulsioni interelettroniche permette alla carica nucleare di attrarre verso di
un composto ionico cristallino. sé gli elettroni restanti.
• Gli anioni sono più grandi degli atomi originali. Quando si forma un anione, ven-
gono aggiunti elettroni al livello esterno. L’aumento delle repulsioni fa sì che gli
elettroni occupino più spazio.
La Figura 8.29 presenta i raggi di alcuni ioni monoatomici comuni degli elementi
dei gruppi principali rispetto agli atomi originali. Come si può vedere, il raggio
ionico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo perché aumenta il numero dei livelli
energetici. Ma lungo un periodo l’andamento del raggio ionico è più complesso.
Il raggio ionico diminuisce tra i cationi, poi aumenta enormemente quando si rag-
giungono gli anioni, e infine torna a diminuire tra gli anioni.
Questo andamento è dovuto a variazioni della carica nucleare effettiva e delle
repulsioni interelettroniche. Nel Periodo 3 (da Na a Cl), per esempio, l’aumento di
Zeff da sinistra a destra fa sì che Na+ sia più grande di Mg2+, che a sua volta è più
grande di Al3+. Il grande salto del raggio ionico dai cationi agli anioni è dovuto al
fatto che si aggiungono elettroni invece di rimuoverli e quindi le repulsioni aumen-
tano rapidamente. Per esempio, P3− ha 8 elettroni in più rispetto a Al3+. Quindi,
il continuo aumento di Zeff fa sì che P3− sia più grande di S2−, che è più grande di
Cl−. Questi fattori causano alcuni effetti sorprendenti anche tra ioni con lo stesso
numero di elettroni. Consideriamo gli ioni entro il contorno tratteggiato nella Fi-
gura 8.29, che sono tutti isoelettronici con il neon. Anche se si formano cationi a SERIE ISOELETTRONICA
partire da elementi del periodo successivo, gli anioni sono ancora molto più grandi.
L’andamento è:
3− > 2− > 1− > 1+ > 2+ > 3 +
Quando un elemento forma più di un catione, maggiore è la carica ionica, minore è il
raggio ionico. Consideriamo Fe2+ e Fe3+. Il numero di protoni è lo stesso, ma Fe3+ ha
Po ha 78 elettroni interni.
8.3 (a) Cl < Br < Se; (b) Xe < I < Ba
Sesto elettrone: n = 2, l = 1, ml = 0, ms = + 12 8.4 (a) Sn < Sb < I; (b) Ba < Sr < Ca
8.2 (a) Per Ni, 1s22s22p63s23p64s23d8; [Ar] 4s23d8 8.5 Q è l’alluminio: 1s22s22p63s23p1
8.6 (a) Ba ([Xe] 6s 2 ) ⎯ ⎯→ Ba 2+ ([Xe]) + 2e−
(b) O ([He] 2s 2 2p 4 ) + 2e− ⎯ ⎯→
O 2− ([He] 2s 2 2p 6 ) (isoelettronico con Ne)
Ni ha 18 elettroni interni. (c) Pb ([Xe] 6s 2 4f 14 5d10 6p 2 ) ⎯ ⎯→
(b) Per Sr, 1s22s22p63s23p64s23d104p65s2; [Kr] 5s2 Pb 2+ ([Xe] 6s 2 4f 14 5d10 ) + 2e−
Pb ([Xe] 6s 2 4f 14 5d10 6p 2 ) ⎯ ⎯→ Pb 4+ ([Xe] 4f 14 5d10 ) + 4e−
8.7 (a) V3+: [Ar] 3d 2; paramagnetico
(b) Ni2+: [Ar] 3d 8; paramagnetico
Sr ha 36 elettroni interni. (c) La3+: [Xe]; non paramagnetico (diamagnetico)
(c) Per Po, 1s22s22p63s23p64s23d104p65s24d105p66s24f145d106p4 8.8 (a) F− < Cl− < Br−; (b) Mg2+ < Na+ < F−; (c) Cr3+ < Cr2+
Figura 9.1 Confronto generale dei metalli e dei non metalli. A. Tramite la legenda posta in alto si può individuare la posi-
zione dei metalli, dei non metalli e dei metalloidi nella tavola periodica. B. I valori relativi di alcune proprietà atomiche essenziali
variano da sinistra a destra in un periodo e sono correlati con il carattere metallico o non metallico di un elemento. Per esempio,
in un dato periodo, gli atomi metallici sono più grandi degli atomi non metallici.
1. Metallo con non metallo: trasferimento di elettroni e legame ionico (Figura 9.2A). Si
osserva generalmente il legame ionico tra atomi con grandi differenze nelle loro
tendenze a cedere o ad acquistare elettroni. Si osservano queste differenze tra metalli
reattivi [Gruppi 1A(1) e 2A(2)] e non metalli [Gruppo 7A(17) e sommità del Gruppo
6A(16)]. L’atomo metallico (bassa Ei) cede il suo o i suoi due elettroni di valenza,
FORMAZIONE DI UN
mentre l’atomo non metallico (Eea altamente negativa) acquista gli elettroni. Avviene
COMPOSTO IONICO un trasferimento di elettroni dal metallo al non metallo, e ciascuno dei due atomi forma
uno ione con una configurazione di gas nobile. L’attrazione elettrostatica tra questi
ioni positivo e negativo li colloca nella disposizione tridimensionale di un solido ioni-
co, la cui formula chimica rappresenta il rapporto catione/anione (formula empirica).
2. Non metallo con non metallo: condivisione di due elettroni tra due atomi e legame cova
lente (Figura 9.2B). Quando due atomi hanno una piccola differenza nella loro ten-
denza a cedere o ad acquistare elettroni, si osservano la condivisione di due elettroni
e la formazione di un legame covalente. Questo tipo di legame è più comune tra
Figura 9.2 I tre modelli del
legame chimico. A. Nel legame
ionico, atomi metallici trasfe-
riscono uno o più elettroni ad
atomi non metallici, formando
ioni carichi di segno opposto
che si attraggono mutuamente
per formare un solido. B. Nel
legame covalente, due atomi
condividono una coppia di elet-
troni localizzati tra i loro nuclei
(rappresentata qui come una
linea di legame). La maggior
parte delle sostanze covalenti
sono costituite da molecole
individuali, ciascuna costitui-
ta da due o più atomi. C. Nel
legame metallico, molti atomi
metallici mettono in comune il(i)
loro elettrone(i) di valenza per
formare un “mare di elettroni”
delocalizzato che tiene uniti gli
ioni metallici (i nuclei più gli
elettroni interni).
atomi non metallici (quantunque anche una coppia di atomi metallici possa forma-
re un legame covalente). Ciascun atomo non metallico trattiene fortemente i propri
elettroni (alta Ei) e tende anche ad attrarre altri elettroni (Eea altamente negativa).
L’attrazione esercitata da ciascuno dei due nuclei sugli elettroni di valenza dell’al-
tro attrae i due atomi. Una coppia di elettroni condivisa è considerata localizzata
tra i due atomi perché trascorre lì la maggior parte del suo tempo, legandoli in un
legame covalente di data lunghezza e forza. Nella maggior parte dei casi, si formano
molecole separate quando si formano legami covalenti, e la formula chimica rispec-
chia i numeri effettivi di atomi nella molecola (formula molecolare).
3. Metallo con metallo: messa in comune di elettroni fra molti atomi e legame metallico
(Figura 9.2C). In generale, gli atomi metallici sono relativamente grandi e i loro pochi
elettroni esterni sono efficacemente schermati dai livelli interni pieni. Perciò, cedo-
no in modo relativamente facile gli elettroni esterni (bassa Ei) ma non li acquistano
molto facilmente (Eea piccola o positiva). Queste proprietà fanno sì che gli atomi
metallici mettano in comune i loro elettroni di valenza, ma in modo diverso rispetto
alla formazione di un legame covalente. Nel più semplice modello di legame me-
tallico, tutti gli atomi in un campione mettono in comune i loro elettroni di valenza
in un “mare” di elettroni uniformemente distribuito che “fluisce” tra e attorno agli
ioni metallici e li attrae, tenendoli così uniti. A differenza degli elettroni localizzati
in un legame covalente, in un legame metallico gli elettroni sono delocalizzati, ossia
si muovono liberamente in tutto il campione di metallo.
È importante tenere presente che nel mondo delle sostanze reali esistono eccezioni
a questi modelli idealizzati di legame. Non sempre è possibile prevedere il tipo di
legame basandosi unicamente sulle posizioni degli elementi nella tavola periodica.
Per esempio, tutti i composti ionici binari contengono un metallo e un non metallo,
ma non tutti i metalli formano composti ionici binari con tutti i non metalli. Per
esempio, quando il metallo berillio [Gruppo 2A(2)] si combina con il non metallo
cloro [Gruppo 7A(17)], il legame che si forma si adatta meglio al modello del legame
covalente che al modello del legame ionico. In altre parole, come si osserva una
gradazione nel comportamento metallico nei gruppi e nei periodi, così si osserva
anche una gradazione da un tipo di legame a un altro.
• Le notevoli intuizioni di
Gilbert Newton Lewis Molti
La collocazione specifica dei puntini non è importante; cioè, oltre al modo mo-
strato nella Figura 9.3, il simbolo di Lewis per l’azoto può essere scritto anche in
dei concetti presentati in questo questi modi:
libro nacquero dalla mente del chi-
mico e fisico statunitense Gilbert
Newton Lewis (1875-1946). Fin
dal 1902, quasi 10 anni prima che
Il numero e l’appaiamento dei puntini forniscono informazioni sul comportamento
Rutherford proponesse il suo model-
lo nucleare dell’atomo, i taccuini di di legame di un elemento.
Lewis mostrano uno schema che
• Nel caso di un metallo, il numero totale di puntini è il numero massimo di
contempla il riempimento di “gusci”
(o “strati”) elettronici esterni per elettroni che il metallo cede per formare un catione.
spiegare i modi in cui gli elementi • Nel caso di un non metallo, il numero di puntini spaiati è il numero di elet-
si combinano. I suoi simboli in cui troni che si appaiano attraverso l’acquisto di elettroni oppure attraverso la
gli elettroni sono rappresentati con condivisione di elettroni. Perciò, il numero di puntini spaiati è uguale alla
puntini e le formule di struttu-
carica negativa dell’anione formato da un atomo oppure al numero di legami
ra associate (esaminate nel capitolo
seguente) sono diventati standard covalenti formati dall’atomo.
per la rappresentazione dei legami.
Per illustrare quest’ultimo punto, consideriamo il simbolo di Lewis per il carbonio.
Tra i suoi molti altri contributi si
può citare una comprensione gene- Invece di avere una coppia di puntini e due puntini spaiati, come indicherebbe la
rale del comportamento degli acidi sua configurazione elettronica ([He] 2s22p2), il carbonio ha quattro puntini spaiati
e delle basi (che esamineremo nel perché forma quattro legami. (Nel capitolo seguente useremo qualche altra disposi-
Capitolo 18). zione di puntini per i non metalli più grandi).
Lewis espresse in forma generale il comportamento degli elementi nel formare
legami attraverso la regola dell’ottetto: quando gli atomi si legano, essi cedono, ac
quistano o condividono elettroni per raggiungere un livello esterno pieno di otto (o due)
elettroni. La regola dell’ottetto è valida per la grande maggioranza degli elementi del
Periodo 2 e anche per un gran numero di altri composti.
La formula è Na2O.
Sommando questi valori, si trova che il processo di trasferimento di elettroni in due Figura 9.5 La reazione tra
tappe richiede di per sé energia: sodio e bromo. A. Nonostante
il processo di trasferimento
→ Li+ ( g ) + F− ( g )
Li( g ) + F( g ) ⎯ ⎯ Ei1 + Eea =
192 kJ elettronico endotermico, tutti
i metalli del Gruppo 1A(1) rea-
Il costo energetico totale di formazione degli ioni è ancora maggiore di questo per- giscono esotermicamente con
ché il litio metallico e il fluoro biatomico devono essere prima convertiti in atomi qualsiasi dei non metalli del
Gruppo 7A(17) per formare alo-
gassosi separati, un processo che richiede anch’esso energia. Ciononostante, il calore genuri solidi dei metalli alcalini.
standard di formazione (ΔH 0f) di LiF solido è −617 kJ/mol; cioè, vengono rilasciati L’esempio illustrato mostra il
617 kJ di energia per ogni mole di LiF(s) formata. Il caso di LiF è tipico: nonostan- sodio (nel becher immerso in
te un trasferimento elettronico endotermico, i solidi ionici si formano facilmente, olio minerale) e il bromo (liqui-
spesso vigorosamente. La Figura 9.5 mostra la formazione del NaBr. do di colore rosso scuro nel
pallone). B. La reazione è di
Chiaramente, se la reazione complessiva di Li(g) e F2(g) per formare LiF(s) rila- solito rapida e vigorosa. (Foto: ©
scia energia, devono esistere una o più componenti energetiche sufficientemente McGraw-Hill Education/Stephen
esotermiche da superare le tappe endotermiche. La componente esotermica deriva Frisch, photographer).
Figura 9.6 Il ciclo di Born- dalla forte attrazione tra ioni carichi di segno opposto. Quando 1 mol di Li+(g) e 1
Haber per il fluoruro di litio.
mol di F−(g) formano 1 mol di molecole gassose di LiF, viene rilasciata una grande
La formazione di LiF(s) a partire
dai suoi elementi si svolge in quantità di calore:
un’unica reazione complessiva Li+ ( g ) + F− ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( g ) ΔH 0 = −755 kJ
(freccia nera) oppure in cinque
tappe ipotetiche, ciascuna con Ovviamente, in condizioni ordinarie, LiF non è costituito da molecole gassose per-
la propria variazione di entalpia ché viene rilasciata una quantità molto maggiore di energia quando gli ioni gassosi si
(frecce arancio). È nota la varia-
uniscono per formare un solido cristallino. Quando ciò avviene, ciascuno ione attrae
zione complessiva di entalpia
per il processo (ΔH 0f ) e sono parecchi altri ioni di carica opposta. L’energia reticolare è la variazione di ental-
note ΔH 0tappa 1 ÷ ΔH 0tappa 4. Si pia che accompagna l’unione di ioni gassosi per formare un solido ionico:
può quindi calcolare ΔH 0tappa 5,
l’energia reticolare (ΔH 0raticolare
Li+ ( g ) + F− ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( s ) Δ
= 0
H reticolare di LiF =
energia reticolare −1050 kJ
di LiF). (ΔH 0atomo è il calore di
atomizzazione; El è l’energia di (Vedremo tra poco come si calcola questo valore). Il valore dell’energia reticolare
legame). indica l’intensità delle interazioni ioniche e influenza la temperatura di fusione, la
durezza e la solubilità dei composti ionici.
L’energia reticolare svolge un ruolo critico nella formazione dei composti ioni-
ci, ma non può essere misurata direttamente. Un metodo per determinare l’energia
reticolare applica la legge di Hess (vedi Paragrafo 6.5), che stabilisce che la variazio-
ne di entalpia di una reazione complessiva è la somma delle variazioni di entalpia
delle singole reazioni da cui è costituita: ΔH totale = ΔH1 + ΔH 2 + ⋅⋅⋅ . Le energie
reticolari si calcolano mediante un ciclo di Born-Haber, una serie di tappe che
portano dagli elementi ai composti ionici per i quali si conoscono tutte le entalpie*
eccettuata l’energia reticolare.
Percorriamo il ciclo di Born-Haber per il fluoruro di litio. La Figura 9.6 mostra
due percorsi possibili: la reazione di combinazione diretta (freccia nera) oppure il
percorso multitappa (frecce arancio), durante il quale in una tappa viene rilasciata
* A rigore, l’energia di ionizzazione (Ei) e l’affinità elettronica (Eea) sono variazioni dell’energia interna
(ΔE), non variazioni dell’entalpia (ΔH), ma in questi casi ΔH = ΔE perché ΔV = 0 (vedi Paragrafo 6.2).
l’energia reticolare incognita. La legge di Hess dice che i due percorsi implicano la
stessa variazione complessiva di entalpia:
ΔH 0f di LiF(s) = somma delle ΔH 0 per il percorso multitappa
È importante rendersi conto che, per rappresentare le componenti energetiche
della formazione di LiF, si scelgono ipotetiche tappe di cui si è in grado di misurare le
variazioni di entalpia, anche se queste non sono tappe effettive che avvengono quando il
litio reagisce con il fluoro.
Partiamo dagli elementi nei loro stati standard: il litio metallico e il fluoro bia-
tomico gassoso. Nel processo multitappa, gli elementi vengono convertiti in atomi
gassosi singoli (tappe 1 e 2), le tappe di trasferimento elettronico formano ioni
gassosi (tappe 3 e 4), e gli ioni formano un solido (tappa 5). Identifichiamo ciascuna
ΔH 0 con il suo numero di tappa:
Tappa 1. La conversione di 1 mol di Li solido per separare gli atomi di Li gassosi
implica la rottura di legami metallici, quindi richiede energia:
Li( s ) ⎯ ⎯
→ Li( g ) ΔH tappa
0
1 = 161 kJ
Li+ ( g ) + F− ( g ) ⎯ ⎯
→ LiF( s ) ΔH tappa
0
5 = ΔH reticolare di LiF = ?
0
reticolare dall’alto al basso lungo un gruppo sia che si mantenga costante il catione
(LiF o LiI) sia che si mantenga costante l’anione (LiF o RbF).
2. Effetto della carica ionica. Quando si confronta il fluoruro di litio con l’ossido di
magnesio, si trovano cationi di raggi circa uguali (Li+ = 76 pm e Mg2+ = 72 pm)
e anioni di raggi circa uguali (F− = 133 pm e O2− = 140 pm). Perciò, l’unica dif-
ferenza importante è la carica ionica: LiF contiene gli ioni monovalenti Li+ e F−,
mentre MgO contiene gli ioni bivalenti Mg2+ e O2−. La differenza fra le loro energie
reticolari è sorprendente:
ΔH reticolare
0
di LiF = −1050 kJ/mol e ΔH reticolare
0
di MgO = −3923 kJ/mol.
Questo aumento di quasi quattro volte di ΔH 0reticolare rispecchia l’aumento di
quattro volte del prodotto delle cariche (1 × 1 rispetto a 2 × 2) nel numeratore
dell’Equazione 9.2
L’elevata energia reticolare di MgO spiega anche perché esistono solidi ionici
con ioni 2+. Dopo tutto, per formare ioni 2+ è necessaria una quantità di energia
molto maggiore di quella necessaria per formare ioni 1+. La formazione di 1 mol
di ioni Mg2+ implica la cessione del primo e del secondo elettrone (e una variazio-
ne di entalpia uguale alla somma della prima e della seconda energia di ionizzazione):
Mg ( g) ⎯ ⎯
→ Mg 2+ ( g) + 2e− ΔH 0 = Ei1 + Ei2 = 738 kJ + 1450 kJ = 2188 kJ
L’aggiunta di 1 mol di elettroni a 1 mol di atomi di O (prima affinità elettronica,
Eea1) è esotermica, mentre l’aggiunta di una seconda mole di elettroni (seconda af-
finità elettronica, Eea2) è endotermica perché viene aggiunto un elettrone allo ione
O− negativo. La formazione complessiva di 1 mol di ioni O2− è endotermica:
O( g ) + e− ⎯ ⎯
→ O− ( g ) =ΔH 0 E=
ea1 −141 kJ
O− ( g ) + e− ⎯ ⎯
→ O 2− ( g ) =ΔH 0 E=
ea2 878 kJ
− − 2−
O ( g ) + 2e ⎯ ⎯
→ O ( g) ΔH =Eea1 + Eea2 = 737 kJ
0
– + – + – + – +
+ – + – – + + – – + + –
– + – + + – – + + – – +
+ – + – – + + – – + + –
+ – + –
A B
La maggior parte dei composti ionici non conducono l’elettricità quando sono nello
stato solido, ma la conducono quando sono fusi o sono sciolti in acqua. (Le eccezioni
notevoli comprendono i cosiddetti conduttori superionici, come AgI, e materiali
ceramici semiconduttori, che hanno una conduttività elettrica notevole quando
sono nello stato solido). Secondo il modello del legame ionico, il solido è costituito
da ioni immobilizzati. Però, quando fonde o si scioglie, gli ioni diventano liberi di
muoversi e capaci di condurre corrente elettrica, come illustrato nella Figura 9.9.
Il modello spiega anche che sono necessarie temperature elevate per fondere
e portare all’ebollizione un composto ionico (Tabella 9.1) perché per rendere gli
ioni liberi dalle loro posizioni (fusione) si devono fornire grandi quantità di energia
e, per vaporizzarli, si devono fornire quantità di energia ancora maggiori. In realtà,
l’attrazione ionica è così forte che, come mostrato nella Figura 9.10, il vapore è
costituito da coppie ioniche, molecole ioniche gassose anziché da singoli ioni.
Ma si deve tenere presente che nel loro stato ordinario (solido) i composti ionici
sono costituiti da filari di ioni alternati che si estendono in tutte le direzioni e non
esistono molecole separate.
Coppie di legame e coppie solitarie (lone pair) Nella formazione del legame
covalente, come nella formazione del legame ionico, ciascun atomo partecipante al
legame ottiene un livello esterno pieno di elettroni, ma con differenti mezzi. In un
legame covalente, ciascun atomo “conta” gli elettroni condivisi come appartenenti comple
tamente a se stesso. Perciò, i due elettroni della coppia di elettroni condivisa riem-
piono simultaneamente il livello esterno di entrambi gli atomi di H. La coppia
condivisa, o coppia di legame, è rappresentata con una coppia di puntini o con
un trattino: H : H o H H.
Una coppia di elettroni che fa parte del livello di valenza di un atomo ma
non interviene nella formazione del legame è detta coppia solitaria (o lone pair
o coppia non condivisa). La coppia di legame in HF riempie il livello esterno
dell’atomo di H e, insieme a tre coppie solitarie, riempie anche il livello esterno
dell’atomo di F:
(In questo libro generalmente le coppie di legame sono rappresentate con trattini
e le coppie solitarie con puntini).
Ciascun atomo di carbonio “conta” i quattro elettroni nel legame doppio e i quattro
elettroni nei suoi due legami singoli per ottenere un ottetto.
Figura 9.12 Le forze attrat- Un legame triplo (o triplo legame) è costituito da tre coppie di legame; due
tive e repulsive nella formazi-
one del legame covalente. L e
atomi condividono sei elettroni, quindi l’ordine di legame è uguale a 3. Nella mole-
attrazioni nucleo-elettrone e cola di N2, gli atomi sono tenuti uniti da un legame triplo, e ciascun atomo di N ha
le repulsioni nucleo-nucleo ed anche una coppia solitaria:
elettrone-elettrone avvengono si-
multaneamente. In corrisponden-
za di una certa distanza ottimale
(la lunghezza di legame), le for-
ze attrattive equilibrano le forze Sei elettroni del triplo legame e due elettroni della coppia solitaria conferiscono a
repulsive. L’attrazione esercitata ciascun atomo di N un ottetto.
dai nuclei sugli elettroni condivisi Come abbiamo notato precedentemente ed è illustrato nella Figura 9.12,
determina l’energia di legame.
(Anche se sono mostrati in posi-
il legame covalente deriva dall’equilibrio tra le attrazioni nucleo-elettrone e le
zioni specifiche nella figura, gli repulsioni interelettroniche (elettrone-elettrone) e internucleari (nucleo-nucleo).
elettroni sono in realtà distribuiti La “forza” del legame dipende dall’intensità della mutua attrazione tra i nuclei
in tutto il volume ombreggiato legati e gli elettroni condivisi. L’energia di legame (El) (detta anche entalpia di
in blu). legame o forza di legame) è l’energia necessaria per vincere questa attrazione. È de-
finita come la variazione standard di entalpia per la rottura del legame in 1 mol di
molecole gassose. La rottura del legame è un processo endotermico e quindi l’energia
di legame è sempre positiva:
A––B( g ) ⎯ ⎯
→ A( g ) + B( g ) ΔH=
0
rottura del legame EiA––B (sempre > 0)
In altri termini, l’energia di legame è la differenza di energia tra gli atomi sepa-
rati e gli atomi legati (la differenza di energia potenziale tra i punti 1 e 3 nella
Figura 9.11). La stessa quantità di energia che è assorbita per rompere il legame è
rilasciata quando esso si forma. La formazione di un legame è un processo esotermico,
quindi il segno della variazione di entalpia è negativo:
A( g ) + B( g ) ⎯ ⎯
→ A––B( g ) ΔH formazione
0
del legame = −E iA––B (sempre < 0)
Poiché le energie di legame dipendono dagli atomi legati – dalle loro configurazioni
elettroniche, dalle loro cariche nucleari e dai loro raggi atomici – ciascun tipo di
legame ha la propria energia di legame. Nella Tabella 9.2 sono elencate le energie
di legame per alcuni legami comuni. Inoltre, l’energia di un dato legame varia lie-
vemente da molecola a molecola, e anche all’interno della stessa molecola, quindi il
valore tabulato è un’energia di legame media.
Un legame covalente ha una lunghezza di legame, la distanza tra i nuclei
dei due atomi legati. Nella Figura 9.11 la lunghezza di legame è indicata come la
distanza tra i nuclei nel punto di energia minima. Nella Tabella 9.3 sono indicate
le lunghezze di alcuni legami covalenti. Anche in questo caso i valori rappre-
sentano lunghezze di legame medie per il legame dato in differenti sostanze. La
lunghezza di legame è in relazione con la somma dei raggi degli atomi legati. In
effetti, la maggior parte dei raggi atomici viene calcolata sulla base dei valori mi-
Figura 9.13 Lunghezza di
surati delle lunghezze di legame (vedi Figura 8.14C). Le lunghezze di legame per legame e raggio covalente.
una serie di legami simili aumentano all’aumentare dei raggi atomici, come viene In una serie di sostanze simili,
mostrato nella Figura 9.13 per gli alogeni. quali le molecole biatomiche di
Esiste un stretta relazione fra ordine di legame, lunghezza di legame ed energia alogeni, la lunghezza di legame
aumenta all’aumentare del
di legame. L’attrazione reciproca fra due nuclei e due coppie di elettroni condivise
raggio covalente.
è maggiore di quella fra i due nuclei e una sola coppia di elettroni condivisi: gli
atomi vengono ravvicinati ed è più difficile separarli. Perciò, per una data coppia di
atomi, un ordine di legame più alto dà origine a una lunghezza di legame più corta e a
un’energia di legame più alta. Perciò, come viene esposto nella Tabella 9.4, per una
data coppia di atomi, un legame più corto è un legame più forte.
In alcuni casi, si può estendere questa relazione fra raggio atomico, lunghezza
di legame e forza di legame mantenendo costante uno dei due atomi nel legame e
variando l’altro entro un gruppo o un periodo della tavola periodica. Per esempio,
la tendenza nella lunghezza dei legami singoli carbonio-alogeno, C I > C Br >
C Cl, è parallela alla tendenza nel raggio atomico, I > Br > Cl, ed è opposta alla
tendenza nell’energia di legame, C Cl > C Br > C I. Perciò, nel caso dei legami
singoli, i legami più lunghi sono di solito più deboli.
FORMAZIONE
DI UN LEGAME
COVALENTE
Risoluzione (a) Il raggio atomico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo, quindi F < Cl < Br.
lunghezza di legame: S Br > S Cl > S F
forza di legame: S F > S Cl > S Br
(b) Ordinando gli ordini di legame, C O > C O>C O, otteniamo
lunghezza di legame: C O>C O>C O
forza di legame: C O>C O>C O
Verifica Dalle Tabelle 9.2 e 9.3 vediamo che gli ordinamenti sono corretti.
Commento Si ricordi che, per differenti atomi, come nella parte (a), la relazione tra lunghez
za di legame e forza di legame è valida soltanto per i legami singoli e non in ogni caso; quindi
si deve applicarla con cautela.
così. Due esempi, il quarzo e il diamante, che sono illustrati nella Figura 9.15. Il
quarzo (SiO2) è molto duro e fonde a 1550 °C. È costituito da atomi di silicio e di
ossigeno connessi da legami covalenti che si estendono in tutto il campione; non
esistono molecole di SiO2 separate. Il diamante è costituito da atomi di carbonio
ciascuno dei quali è connesso da legami covalenti ad altri quattro atomi in tutto
il campione. È la sostanza più dura che si conosca e fonde a circa 3550 °C. Chia-
ramente, i legami covalenti sono forti; però, poiché la maggior parte delle sostanze
covalenti è costituita da molecole separate tra le quali si esercitano deboli forze,
le loro proprietà fisiche non rispecchiano questa forza di legame. (Esamineremo le
forze intermolecolari in modo particolareggiato nel Capitolo 12).
A differenza dei composti ionici, nella maggior parte dei casi le sostanze cova-
lenti sono cattivi conduttori elettrici, anche quando sono fuse o sciolte in acqua.
Una corrente elettrica è condotta da elettroni mobili o da ioni mobili. Nelle sostan-
ze covalenti, gli elettroni sono localizzati come coppie condivise o come coppie
non condivise, quindi non sono liberi di muoversi; e non sono presenti ioni.
ionici e parzialmente covalenti. Ora che i modelli ideali vi sono familiari, esaminia- Figura 9.16 La scala delle
elettronegatività di Pauling.
mo il continuo effettivo nel legame tra questi due estremi.
L’elettronegatività (χ) è indi-
cata dall’altezza della colonna
Elettronegatività con il valore alla sommità. La
legenda indica soglie arbitrarie
Uno dei concetti più importanti nel legame chimico è l’elettronegatività (χ: let- di elettronegatività. Nei gruppi
tera greca chi dell’alfabeto greco), la capacità relativa di un atomo legato di attrarre principali, l’elettronegatività
generalmente aumenta da sini-
gli elettroni condivisi.* Nella prima metà del 1900, il chimico statunitense Linus
stra a destra e dal basso all’alto.
Pauling sviluppò la più comune scala di valori relativi delle elettronegatività degli I gas nobili non sono mostrati.
elementi. Presentiamo qui un esempio per illustrare le basi del metodo adottato da Gli elementi di transizione e gli
Pauling. Ci potremmo attendere che l’energia del legame HF sia la media delle elementi di transizione inter-
energie di un legame H H (432 kJ/mol) e di un legame F F (159 kJ/mol), ossia na presentano una variazione
dell’elettronegatività relativa-
296 kJ/mol. Però, l’energia di legame effettiva di H F è 565 kJ/mol, ossia di
mente piccola. L’idrogeno è
269 kJ/ mol superiore all’energia media. Secondo il ragionamento di Pauling, questa mostrato vicino agli elementi di
differenza è dovuta a un contributo elettrostatico all’energia del legame H F. Se F elettronegatività simile.
attrae la coppia di elettroni condivisa più fortemente di quanto l’attragga H, cioè,
se F è più elettronegativo di H, gli elettroni trascorreranno più tempo più vicino a
F. Questa condivisione disuguale di elettroni fa sì che l’estremità F del legame sia
parzialmente negativa e l’estremità H parzialmente positiva, e l’attrazione tra que-
ste cariche parziali aumenta l’energia necessaria per rompere il legame.
Basandosi su studi simili condotti sui restanti alogenuri di idrogeno e molti al-
tri composti, Pauling giunse alla scala dei valori relativi dell’elettronegatività mostrata
nella Figura 9.16. I valori stessi non sono quantità misurate ma si basano sull’asse-
gnazione, fatta da Pauling, del più alto valore dell’elettronegatività, 4,0 per il fluoro.
* L’elettronegatività non coincide con l’affinità elettronica (Eea), anche se molti elementi con un’alta
elettronegatività hanno anche un’affinità elettronica altamente negativa. L’elettronegatività si riferisce a
un atomo legato che attrae la coppia di elettroni condivisa; l’affinità elettronica si riferisce a un atomo
isolato nella fase gassosa il quale acquista un elettrone per formare un anione gassoso.
Figura 9.17 Elettronegatività Tendenze nell’elettronegatività Il nucleo di un atomo più piccolo è più vicino
e raggio atomico. alla coppia condivisa di quanto sia quello di un atomo più grande e quindi attrae
A. In generale, un elemento con
raggio atomico minore (in alto)
più fortemente gli elettroni di legame (Figura 9.17A). Perciò, in generale, l’elettro-
ha un’elettronegatività più alta negatività è in relazione inversa con il raggio atomico. Come la Figura 9.17B chiari-
di quella di un elemento con sce per gli elementi dei gruppi principali, l’elettronegatività generalmente aumenta dal
raggio atomico maggiore (in basso all’alto lungo un gruppo e da sinistra a destra lungo un periodo. La figura mostra
basso) perché il nucleo dell’ato- il raggio atomico (in cima a ciascuna colonna) e mostra che il raggio diminuisce
mo più piccolo è più vicino alla
coppia di legame e quindi attrae
all’aumentare dell’elettronegatività. Sulla scala dell’elettronegatività di Pauling, e in
più fortemente la coppia. B. Le ognuna delle altre scale disponibili, i non metalli sono più elettronegativi dei metal
elettronegatività degli elementi li. L’elemento più elettronegativo è il fluoro, seguito dall’ossigeno. Perciò, tranne
dei gruppi principali dal Perio- quando si lega con il fluoro, l’ossigeno attrae sempre verso di sé gli elettroni di
do 2 al Periodo 6 (esclusi i gas legame. L’elemento meno elettronegativo (o più elettropositivo) è il francio, in basso
nobili) sono rappresentate come
colonne di differenti altezze. Alla
a sinistra nella tavola periodica, ma esso è radioattivo ed estremamente raro; quindi,
sommità di ciascuna colonna c’è per tutti gli scopi pratici, il cesio è l’elemento più elettropositivo.*
una semisfera che rappresenta il
raggio atomico relativo.
Elettronegatività e numero di ossidazione L’elettronegatività trova un impie-
go importante nella determinazione del numero di ossidazione di un atomo (vedi
Paragrafo 4.5):
1. all’atomo più elettronegativo in un legame sono assegnati tutti gli elettroni
condivisi; all’atomo meno elettronegativo non ne è assegnato alcuno;
2. a ciascun atomo in un legame sono assegnati tutti i suoi elettroni non condivisi;
3. il numero di ossidazione è dato da
numero di ossidazione = numero di e− di valenza
− (numero di e− condivisi + numero di e− non condivisi)
* Nel 1934, il chimico fisico statunitense Robert S. Mulliken ideò un approccio all’elettronegatività ba-
sato unicamente sulle proprietà atomiche: χ = (Ei − Eea)/2. Anche secondo questo approccio, il fluoro,
con un’alta energia di ionizzazione (Ei) e un’affinità elettronica (Eea) negativa grande in valore assoluto,
ha un’alta elettronegatività (χ); e il cesio, con una bassa Ei e una piccola Eea, ha una bassa χ.
(b) L’ordine di χ crescente è C < N < O, e ciascun atomo ha una χ più alta di quella di H.
Perciò, O esercita la massima attrazione sulla coppia legata rispetto a H, C la minima; quindi,
l’ordine della polarità di legame è H C < H N < H O.
Commento Nel capitolo seguente vedremo che la polarità dei legami in una molecola
contribuisce alla polarità complessiva della molecola, che è un fattore importante nella
determinazione dei valori delle proprietà fisiche.
una Δχ maggiore determina cariche parziali maggiori e un carattere ionico parziale più
elevato. Per esempio, Δχ per LiF(g) è 4,0 − 1,0 = 3,0; per HF(g), è 4,0 − 2,1 = 1,9; e
per F2(g) è 4,0 − 4,0 = 0. Perciò, il legame in LiF ha carattere ionico più di quello nel
legame H F, che ha carattere più ionico di quello del legame F F.
Sono stati fatti vari tentativi di classificare il carattere ionico dei legami, ma
tutti usano valori arbitrari di soglia, il che è incompatibile con la gradazione del
carattere ionico osservato sperimentalmente.
Un metodo usa valori di Δχ per suddividere i legami in ionici, covalenti polari
e covalenti apolari. Alcune linee guida approssimate, basate su un intervallo di
valori di Δχ esteso da 0 (legame completamente apolare) a 3,3 (legame altamente
ionico), sono presentate nella Figura 9.18.
Un altro metodo calcola il carattere ionico percentuale di un legame confrontan-
do il comportamento effettivo di una molecola polare in un campo elettrico con il
comportamento che essa avrebbe se l’elettrone venisse trasferito completamente
(legame ionico puro). Si sceglie spesso un valore del 50% di carattere ionico per
separare le sostanze riconosciute come “ioniche” da quelle riconosciute come “co-
valenti”. Questi metodi indicano che il legame H F ha il 43% di carattere ionico e
diminuzioni attese per gli altri alogenuri di idrogeno: H Cl ha il 19% di carattere
ionico, H Br ha l’11% e H I il 4%. Un diagramma del carattere ionico percentuale
in funzione di Δχ per varie molecole biatomiche gassose è presentato nella Figu-
ra 9.19. I valori specifici non sono importanti, ma è importante notare che il carat
tere ionico percentuale aumenta generalmente all’aumentare di Δχ. Un altro punto da
notare è che, mentre alcune molecole, come Cl2(g), hanno lo 0% di carattere ionico,
nessuna ha il 100% di carattere ionico. Perciò, in ogni legame è presente un certo grado
Figura 9.18 Intervalli di le- di condivisione di elettroni. anche nel legame tra un metallo alcalino e un alogeno
game per classificare il carat- (Figura 9.20).
tere ionico dei legami chimici.
A. La differenza di elettrone-
gatività (Δχ) tra atomi legati
Il continuo di legame lungo un periodo
presenta valori di soglia che Un metallo e un non metallo – elementi situati in parti opposte della tavola perio-
fungono da guida generale al dica – hanno una Δχ relativamente grande e interagiscono tipicamente mediante
carattere ionico relativo di un
trasferimento di elettroni per formare un composto ionico. I non metalli – elementi
legame. B. La gradazione nel
carattere ionico è rappresentata situati nella stessa parte della tavola periodica – hanno una piccola Δχ e interagi-
con l’ombreggiatura attraverso scono mediante condivisione di elettroni per formare un composto covalente. Se
l’intero intervallo di legame combiniamo un non metallo quale Cl2 con ciascuno degli altri elementi del Perio-
da ionico (verde) a covalente do 3, ci attendiamo di osservare una diminuzione regolare della Δχ e una gradazio-
(giallo).
ne nel tipo di legame, da ionico a covalente polare a covalente apolare.
La Figura 9.21 mostra campioni della maggior parte dei cloruri comuni di
elementi del Periodo 3 – NaCl, MgCl2, AlCl3, SiCl4, PCl3, S2Cl2 e Cl2 – assieme alle
formule di struttura (esaminate all’inizio del capitolo seguente) e alcune delle
loro proprietà. Il primo composto è il cloruro di sodio, un solido cristallino bianco
(incolore) con proprietà ioniche tipiche: elevata temperatura di fusione ed elevata
conduttività elettrica allo stato fuso o disciolto. Con queste proprietà e una Δχ
di 2,1, NaCl è ionico secondo ogni criterio. Il cloruro di magnesio è ancora consi-
derato ionico, con una Δχ di 1,8, ma ha una temperatura di fusione più bassa e
una conduttività elettrica più bassa.
Il cloruro di alluminio è ancora meno ionico. Il valore 1,5 della sua Δχ indica
un legame Al Cl covalente altamente polare. Invece di un reticolo di ioni Al3+ e
Cl−, esso è costituito da strati estesi di atomi di Al e di Cl legati. Forti interazioni
polari mantengono insieme le particelle in ogni strato, ma forze deboli tra gli strati
determinano una temperatura di fusione molto più bassa. La bassa conduttività
elettrica dell’AlCl3 fuso è compatibile con la scarsità di ioni.
Figura 9.20 La densità
La temperatura di fusione del tetracloruro di silicio è molto bassa a causa di di carica di LiF. Una sezione
forze deboli tra molecole separate, e non ha una conduttività elettrica apprezzabi- trasversale di una molecola
le. Ciascuna molecola è costituita da forti legami Si Cl con un valore 1,2 della Δχ, biatomica di LiF in cui sono rap-
vicino al centro della regione covalente polare. Il tetracloruro di fosforo, con un presentate (come curve sul piano
del foglio) le superfici di contorno
valore 0,9 della Δχ, prosegue la tendenza verso la diminuzione della polarità di
della densità di carica elettronica
legame, come è indicato dalla sua temperatura di fusione molto bassa. I legami pre- (intensità di colore) che decre-
senti nel dicloruro di dizolfo sono ancora meno polari (Δχ = 0,5). La serie termina sce dai nuclei verso l’esterno. È
con il cloro biatomico apolare, l’unica di queste sostanze che sia un gas a tempera- importante notare che anche in
tura ambiente. questa interazione ionica c’è una
notevole sovrapposizione parziale
Perciò, al diminuire della Δχ, il legame diventa sempre più covalente, e le proprietà
della densità elettronica tra gli
dei cloruri degli elementi del Periodo 3 variano da quelle di un solido costituito da atomi, il che indica un certo
ioni a quelle di un gas costituito da singole molecole. carattere covalente.
7 Fr Ra
il metallo
forza si deforma
esterna
H oscillazione
∼0,2% H2O, Banda C C CH
impurezza di combinazione C H
stiramento H H
C C C C stiramento
stiramento H H oscillazione H C C
stiramento C C
C H C N C C H H H
CH2
H C N C C H H
Acrilonitrile torsione
piegamento H C C C C
C C
CH2 C H
agitamento CH agitamento CH2
4000 3600 3200 2800 2400 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400
Numeri d’onda (cm−1)
Figura S9.2 Lo spettro infrarosso (IR) dell’acrilonitrile. In questo tipico spettro IR, le bande di assorbimento appaiono come
picchi proiettati verso il basso e sono caratterizzati da diversa profondità e ampiezza. La maggior parte delle bande corrisponde a
un particolare tipo di vibrazione [stiramento (stretching), piegamento (bending), oscillazione (rocking), torsione (twisting), agita-
mento (wagging)]. Alcuni picchi sono particolarmente larghi (picchi di combinazione) perché sono dovuti a più vibrazioni sovrap-
poste. La grandezza riportata nell’asse inferiore è il numero d’onda, l’inverso della lunghezza d’onda, la cui unità di misura è cm−1.
(La scala è espansa per numeri d’onda inferiori a 2000 cm−1.)
OH
CH3
CH3CH2CHCH3 H C H
2-Butanolo C C
C C
H C CH3
CH3CH2OCH2CH3 H
Etere dietilico CH3
H C H
C C
C C
H C H
CH3
4000 2000 1000 4000 2000 1000
Numeri d’onda (cm−1) Numeri d’onda (cm−1)
Figura S9.3 Gli spettri infrarosso (IR) del 2-butanolo (ver- Figura S9.4 Gli spettri infrarosso (IR) del 1,3-dimetilbenze-
de) e dell’etere dietilico (rosso). ne (verde) e del 1,4-dimetilbenzene (rosso).
un acido carbossilico, un estere e così via (vedi Capitolo una specie utilizzata per produrre materiali plastici
15) danno luogo a diversi assorbimenti. (Figura S9.2).
3.
Ogni composto è caratterizzato da uno spettro unico. Lo Nel Capitolo 3 abbiamo visto che gli isomeri costituzionali
spettro IR può essere utilizzato come un’impronta di- (strutturali) hanno la stessa formula molecolare ma differen-
gitale per identificare uno specifico composto perché te struttura. Ci si attendono perciò spettri diversi per i due
la quantità totale di radiazione di una determinata isomeri etere dietilico e 2-butanolo, la cui struttura mole-
energia assorbita dal composto è funzione della parti- colare è molto diversa (Figura S9.3). Anche molecole molto
colare struttura molecolare. Così, per esempio, nessun simili come 1,3-dimetilbenzene e 1,4-dimetilbenzene, però,
altro composto genererà lo spettro dell’acrilonitrile, hanno spettri diversi come illustrato in Figura S9.4.
* Una struttura di Lewis può essere chiamata più correttamente formula di Lewis perché fornisce infor-
mazioni sulla posizione relativa degli atomi in una molecola o in uno ione e mostra quali atomi sono
legati tra loro, ma non indica la forma tridimensionale. Ciononostante, l’uso del termine “struttura” di
Lewis è una convenzione che seguiremo.
Figura 10.1 Le tappe nella Impiego della regola dell’ottetto per scrivere le strutture
conversione di una formula
molecolare in una struttura
di Lewis
di Lewis. Per scrivere una struttura di Lewis ricavandola dalla formula molecolare, decidia-
mo sulla posizione relativa degli atomi nella molecola (o nello ione) – cioè, quali
atomi sono adiacenti e si legano l’uno all’altro – e distribuiamo il numero totale di
elettroni di valenza come coppie di legame e coppie solitarie. Cominciamo con
l’esaminare le strutture di Lewis per specie che “ubbidiscono” alla regola dell’ottet-
to: quelle in cui ciascun atomo riempie il suo livello esterno con otto elettroni (o
con due nel caso dell’idrogeno).
Strutture di Lewis per molecole con legami singoli Esaminiamo anzitutto le
tappe necessarie per scrivere le strutture di Lewis per molecole che hanno soltanto
legami singoli, usando come esempio il trifluoruro di azoto (NF3). Nel percorrere le
varie tappe è utile fare riferimento alla Figura 10.1.
Tappa 1. Collocare gli atomi l’uno rispetto all’altro. Per i composti di formula mole-
colare ABn, si colloca l’atomo con il numero di gruppo più basso nel centro perché
questo atomo necessita di più elettroni per raggiungere un ottetto. In NF3, l’atomo
N (Gruppo 5A) ha cinque elettroni e quindi necessita di altri tre elettroni, mentre
ciascun atomo F (Gruppo 7A) ha sette elettroni e quindi necessita soltanto di un
altro elettrone; perciò, N va nel centro con i tre atomi F attorno a esso:
F
N
F F
Se gli atomi in un composto hanno lo stesso numero di gruppo, come quelli in SO3 o
in ClF3, si colloca nel centro l’atomo con il numero di periodo più alto. Questo tipo di
collocazione di solito pone nel centro l’atomo meno elettronegativo (χ di N = 3,0 e χ
di F = 4,0). H può formare soltanto un legame e quindi non è mai un atomo centrale.
Tappa 2. Determinare il numero totale di elettroni di valenza disponibili. Per le moleco-
le, si sommano gli elettroni di valenza di tutti gli atomi. (Si ricordi che il numero di
elettroni di valenza è uguale al numero del gruppo A). In NF3, N ha cinque elettroni
di valenza, e ciascun F ne ha sette:
⎡1× N(5e− )⎤ + ⎡3 × F(7e− )⎤ =5e− + 21e− =26 e− di valenza
⎣ ⎦ ⎣ ⎦
Nel caso degli ioni poliatomici, si aggiunge un e− per ciascuna carica negativa dello
ione o si sottrae un e− per ciascuna carica positiva.
Tappa 3. Disegnare un legame singolo da ciascun atomo circostante all’atomo centrale e
sottrarre due elettroni di valenza per ciascun legame. Deve esserci almeno un legame
singolo tra atomi legati:
Si sottraggono 2e− per ciascun legame singolo dal numero totale di elettroni di
valenza disponibili (dalla Tappa 2) per trovare il numero di elettroni restanti:
3 legami N—F × 2e− =
6e− da cui 26e− − 6e− = 20e− restanti
Tappa 4. Distribuire gli elettroni restanti in coppie in modo che ogni atomo ottenga otto
elettroni (o due nel caso di H). In primo luogo, si collocano le coppie solitarie sugli
atomi (più elettronegativi) circostanti per conferire a ciascuno un ottetto. Se restano
elettroni, li si collocano attorno all’atomo centrale. Poi si verifica che ciascun atomo
abbia 8e−:
Questa è la struttura di Lewis per NF3. È sempre una buona idea verificare che il
numero totale di elettroni nella struttura di Lewis (legami più coppie solitarie) sia
uguale alla somma degli elettroni di valenza: 6e− in 3 legami più 20e− in 10 coppie
solitarie è uguale a 26 elettroni di valenza.
Questa particolare disposizione di atomi di F attorno all’atomo di N è stata scel-
ta perché somiglia alla forma molecolare di NF3, come vedremo nel Paragrafo 10.3.
Però, le strutture di Lewis non indicano la forma e quindi una rappresentazione
altrettanto corretta di NF3 sarebbe
o qualsiasi altra che conservi la stessa connettività degli atomi, cioè le stesse connes-
sioni tra gli atomi: un atomo di N centrale connesso da legami singoli a tre atomi
di F circostanti.
Usando queste quattro tappe, si può scrivere una struttura di Lewis per qualsia-
si molecola con legami singoli il cui atomo centrale è C, N od O, nonché per alcune
molecole con atomi centrali appartenenti a periodi superiori.
Tappa 2. Determinare il numero totale di elettroni di valenza (ricavandoli dai numeri dei
gruppi A). C è nel Gruppo 4A, F è nel Gruppo 7A e Cl è anch’esso nel Gruppo 7A. Perciò,
abbiamo
⎡ − ⎤ ⎡ − ⎤ ⎡ − ⎤ −
⎣1× C(4e )⎦ + ⎣ 2 × F(7e )⎦ + ⎣ 2 × Cl(7e )⎦ = 32 e di valenza
Tappa 3. Disegnare legami singoli con l’atomo centrale e sottrarre 2e− per ciascun legame:
Quattro legami singoli usano 8e−, quindi 32e− − 8e− = 24e− restanti.
Tappa 4. Distribuire gli elettroni restanti in coppie, partendo dagli atomi circostanti, in
modo che ogni atomo abbia un ottetto:
Verifica Il conteggio degli elettroni indica che ciascun atomo ha un ottetto. Si ricordi
che gli elettroni di legame sono contati come appartenenti a ciascun atomo nel legame. Il
numero totale di elettroni nei legami (8) e nelle coppie solitarie (24) è uguale a 32 elettroni
di valenza.
Si ha una situazione un po’ più complessa quando le molecole hanno due o più
atomi centrali legati tra loro, con gli altri atomi attorno a essi.
Il carbonio ha già un ottetto, quindi i quattro e− di valenza restanti formano due coppie solitarie
su O. Ora abbiamo la struttura di Lewis per il metanolo.
Verifica Ciascun H ha 2e−, e C e O hanno 8e− ciascuno. Il numero totale di elettroni di
valenza è 14e−, che è uguale a 10e−più 4e− in coppie solitarie.
Strutture di Lewis per molecole con legami multipli Accade talvolta che,
dopo le Tappe 1÷4, non vi siano elettroni sufficienti affinché l’atomo centrale (o
uno degli atomi centrali) raggiunga un ottetto. Ciò significa di solito che è presente
un legame multiplo e si rendono necessarie le seguenti tappe addizionali.
Tappa 5. Casi che implicano legami multipli. Se, dopo la Tappa 4, un atomo centrale
non ha ancora un ottetto, si forma un legame multiplo convertendo una coppia so-
litaria di uno degli atomi circostanti in una coppia di legame con l’atomo centrale.
Tappa 5. Convertire una coppia solitaria in una coppia di legame. L’atomo di C a destra ha
un ottetto, ma l’atomo di C a sinistra ha soltanto 6e−, quindi convertiamo la coppia solitaria
in un’altra coppia di legame tra i due atomi di C:
In questo caso, lo spostamento di una coppia solitaria per formare un legame doppio non
conferisce ancora un ottetto all’atomo di N a destra, quindi spostiamo una coppia solitaria
dall’atomo di N di sinistra per formare un legame triplo:
Verifica Nella parte (a), ciascun atomo di C conta i 4e− nel legame doppio come parte del
proprio ottetto. Il totale degli elettroni di valenza è 12e−, tutti in sei legami. Nella parte (b),
ciascun atomo di N conta i 6e− nel legame triplo come parte del proprio ottetto. Il totale
degli elettroni di valenza è 10e−, che è uguale al numero di elettroni in tre legami e due
coppie solitarie.
•
di elettroni delocalizzate). L’ibrido di risonanza è disegnato con una linea curva
Un mulo porpora, non tratteggiata per rappresentare le coppie delocalizzate:
un cavallo blu e un asino
rosso Un mulo è una miscela
genetica, un ibrido, di un cavallo
e un asino; non è un cavallo in
un istante e un asino nell’istante La delocalizzazione elettronica diffonde la densità elettronica su un volume mag-
successivo. Analogamente, il colore giore, la qual cosa riduce le repulsioni interelettroniche stabilizzando così la mole-
porpora è una miscela di altri due cola. La risonanza è molto comune, e molte molecole (e molti ioni) possono essere
colori, rosso e blu, non rosso in un rappresentati meglio come ibridi di risonanza. Per esempio, il benzene (C6H6) ha
istante e blu nell’istante successivo.
Nello stesso senso, un ibrido di
due importanti forme di risonanza in cui legami singoli e doppi alternati hanno
risonanza è una specie molecolare, differenti posizioni. La molecola reale ha sei legami carbonio-carbonio identici
non questa forma di risonanza in un perché vi sono sei legami C C e tre coppie di elettroni delocalizzate su tutti e
istante e quella forma di risonanza sei gli atomi di C, rappresentate spesso come una circonferenza tratteggiata (o
nell’istante successivo. Il problema semplicemente come una circonferenza):
sta nella nostra incapacità di rappre-
sentare accuratamente l’ibrido con
un’unica struttura di Lewis.
Il legame parziale, quale si osserva negli ibridi di risonanza, dà spesso origine a or-
dini di legame frazionari. Nel caso di O3, abbiamo
3 coppie di elettroni 3
=
ordine di legame =
2 legami atomo-atomo 2
Si noti che la struttura di Lewis di uno ione poliatomico è indicata tra parentesi quadre,
con la carica come apice (esponente) a destra fuori delle parentesi.
* Si tenga presente che la delocalizzazione degli elettroni in un metallo (Paragrafo 9.5), che interessa
tutti gli atomi nell’intero campione, è molto maggiore che in un ibrido di risonanza covalente, in cui gli
elettroni sono delocalizzati soltanto su un piccolo numero di atomi.
Per esempio, in O3, la carica formale dell’ossigeno A (OA) nella forma di risonanza I è
6e− di valenza − (4e− non condivisi + 12 di 4 e− condivisi) =
6−4 −2 = 0
Le cariche formali di tutti gli atomi nelle due forme di risonanza di O3 sono
Eliminiamo la forma A perché ha cariche formali più grandi delle altre e una carica
formale positiva sull’O (più elettronegativo). Le forme B e C hanno cariche formali
dello stesso valore, ma la forma C ha una carica −1 su O, che è più elettronegativo
di N. Perciò, B e C danno notevoli contributi all’ibrido di risonanza dello ione cia-
nato, con C più importante.
La carica formale (usata per esaminare le strutture di risonanza) non è uguale al
numero di ossidazione (usato per monitorare le reazioni di ossidoriduzione).
• Nella determinazione della carica formale, gli elettroni di legame sono asse-
gnati ugualmente agli atomi legati (come se il legame fosse covalente apolare),
cosicché ciascun atomo ne riceve la metà:
carica formale = e− di valenza − (e− delle coppie solitarie + 12 e− di legame)
• Nella determinazione del numero di ossidazione, gli elettroni di legame sono
assegnati completamente all’atomo più elettronegativo (come se il legame fosse
ionico):
numero di ossidazione = e− di valenza − (e− delle coppie solitarie + e− di legame)
Si noti che i numeri di ossidazione non variano da una forma di risonanza a un’altra
(perché le elettronegatività non variano), mentre le cariche formali variano (perché
i numeri delle coppie di legame e delle coppie solitarie variano).
Vi sono soltanto quattro elettroni attorno all’atomo di berillio e sei attorno all’ato-
mo di boro. Perché le coppie di non legame degli atomi di alogeno circostanti non
formano legami multipli con gli atomi centrali, soddisfacendo così la regola dell’ot-
tetto? Gli alogeni sono molto più elettronegativi del berillio o del boro, e le cariche
formali indicano che quelle seguenti sono strutture improbabili:
(Alcuni dati per il BF3 indicano un legame B F più corto di quello atteso. I legami
più corti indicano un carattere di legame doppio; quindi la struttura con il legame
B F può dare un contributo di secondaria importanza a un ibrido di risonanza). Il
modo principale in cui le molecole elettrondeficienti raggiungono un ottetto è la
formazione di legami addizionali nelle reazioni. Per esempio, quando BF3 reagisce
con l’ammoniaca, si forma un composto in cui il boro raggiunge il suo ottetto:**
* Nonostante il berillio appartenga ai metalli alcalino-terrosi [Gruppo 2A(2)], la maggior parte dei suoi
composti ha proprietà compatibili con un legame covalente, anziché ionico. Per esempio, il BeCl2 fuso
non conduce elettricità, la qual cosa indica l’assenza di ioni (Capitolo 14).
** Le reazioni del tipo mostrato qui, in cui una specie “dona” una coppia di elettroni a un’altra specie per
formare un legame covalente, sono esempi di reazioni acido-base di Lewis, un tipo di reazione estrema-
mente importante e ampiamente diffuso che esamineremo nel Capitolo 18.
Gusci di valenza espansi Molte molecole e molti ioni hanno più di otto elet-
troni di valenza attorno all’atomo centrale. Un atomo espande il suo guscio di valenza
per formare più legami, un processo che rilascia energia. L’unico modo in cui un
atomo centrale può accogliere coppie addizionali è quello di usare orbitali d esterni
vuoti oltre agli orbitali s e p occupati. Perciò, si hanno gusci di valenza espansi
soltanto con un non metallo centrale del Periodo 3 o di un periodo superiore, quelli in
cui sono disponibili orbitali d.
Un esempio è l’esafluoruro di zolfo, SF6, un gas notevolmente denso e inerte
impiegato come isolante negli apparecchi elettrici. L’atomo di zolfo centrale è cir-
condato da sei legami covalenti, uno con ciascun atomo di fluoro, per un totale di
12 elettroni:
Nei casi che abbiamo considerato finora, l’atomo centrale forma legami con più
di quattro atomi. Ma esistono molti casi di gusci di valenza espansi in cui l’atomo
centrale si lega a quattro o meno atomi. Consideriamo l’acido solforico, il composto
chimico prodotto industrialmente nella massima quantità. Due delle forme di riso-
nanza per H2SO4, con cariche formali, sono
Perciò, lo ione SO42− è un ibrido di risonanza con quattro legami S O e altre due
coppie di legame delocalizzate sulla struttura; perciò, ciascun legame zolfo-ossige-
no ha un ordine di legame pari a 32.
(0)
O
(0) (0) (0)
S S
O O O O
(0) (0)
La struttura II ha cariche formali più basse, quindi è la forma di risonanza più importante.
(b) Per BFCl2, la struttura di Lewis lascia B con soltanto sei elettroni attorno a esso:
Commento In (a), la struttura II è anche compatibile con le misure delle lunghezze di lega-
me, che indicano un legame fosforo-ossigeno più corto (152 pm) e tre più lunghi (157 pm).
ΔH r0 = ΔH rottura
0
dei legami nei reagenti + ΔH formazione dei legami nei prodotti
0 (10.2)
• in una reazione esotermica, l’energia totale dei legami formati nei prodotti è
maggiore di quella dei legami rotti nei reagenti e quindi la somma negativa
maggiore rende negativo ΔH 0r;
• in una reazione endotermica, l’energia totale dei legami formati nei prodotti
è minore di quella dei legami rotti nei reagenti e quindi la somma negativa
minore rende positivo ΔH 0r.
Dalle strutture di Lewis nella Figura 10.3, vediamo che la reazione implica la rottu-
ra di tutti i legami in CH4 e O2 e la formazione di tutti i legami in CO2 e H2O. Cer-
chiamo i valori dell’energia di legame (vedi Tabella 9.2), usando un segno positivo
per i legami rotti e un segno negativo per i legami formati.
Rottura dei legami
4 ×C ⎯H
= =
(4 mol)(413 kJ/mol) 1652 kJ
=2 × O2 =
(2 mol)(498 kJ/mol) 996 kJ
ΔH rottura
0
dei legami nei reagenti = 2648 kJ
Formazione dei legami
2 × C == H =
(2 mol)(−799 kJ/mol) = −1598 kJ
4 ×O ⎯H =
(4 mol)(−467 kJ/mol) = −1868 kJ
ΔH formazione
0
dei legami nei prodotti = −3466 kJ
A cosa è dovuta la discrepanza tra il valore dell’energia di legame (−818 kJ) e il Figura 10.3 Uso delle ener-
valore calorimetrico (−802 kJ)? Le variazioni del metodo sperimentale introducono gie di legame per calcolare
ΔH 0r del metano. Trattare la
sempre piccole discrepanze, ma in questo caso c’è un motivo più fondamentale. combustione del metano come
Come abbiamo notato precedentemente, le energie di legame sono valori medi un ipotetico processo in due
ottenuti da molti differenti composti in cui è presente il legame. L’energia del lega- tappe (vedi Figura 10.2) significa
me in una particolare sostanza è di solito vicina, ma non uguale, a questa media. Per rompere tutti i legami nei rea
esempio, il valore tabulato dell’energia del legame C H, pari a 413 kJ/mol, è il genti e formare tutti i legami
nei prodotti.
valore medio delle energie dei legami C H in molte differenti molecole. In effetti,
nel metano, sono in realtà necessari 1660 kJ per rompere 4 mol di legami C H,
ossia 415 kJ/(mol di legame C H), che danno un ΔH 0r un po’ più vicino al valore
calorimetrico. Perciò, non sorprende che si trovino discrepanze tra i due valori di
ΔH 0r. Ciò che sorprende – e soddisfa nella sua conferma della teoria del legame – è
che i valori siano così vicini.
H r0 = 0
H rottura dei legami +H formazione
0
dei legami 2381 kJ + (−2711 kJ) = −330 kJ
=
Verifica I segni delle variazioni di entalpia sono corretti: ΔH 0rottura dei legami dovrebbe essere
>0, e ΔH 0formazione dei legami dovrebbe essere <0. La quantità di energia rilasciata è maggiore
della quantità di energia assorbita e quindi ΔH 0r è negativo:
2400 kJ + [( −2700 kJ) ] = −300 kJ
tate con palloncini. Se gli oggetti sono i gruppi di elettroni di valenza di un atomo Figura 10.5 Repulsioni tra
centrale, le loro repulsioni massimizzano lo spazio occupato da ciascuno e danno gruppi di elettroni e le cinque
origine alle cinque disposizioni dei gruppi di elettroni di energia minima che si osser- forme molecolari fondamentali.
Quando un dato numero di
vano nella grande maggioranza delle molecole e degli ioni poliatomici. gruppi di elettroni connessi
La disposizione dei gruppi di elettroni è definita dai gruppi di elettroni di a un atomo centrale (rosso)
valenza, sia di legame sia di non legame, attorno all’atomo centrale. D’altra parte, la si respingono mutuamente,
forma molecolare è definita dalle posizioni relative dei nuclei atomici. La Figu- essi massimizzano l’angolo di
ra 10.5 mostra le forme molecolari che si originano quando tutti i gruppi di elettro- separazione e si orientano il più
lontano possibile nello spazio. Se
ni attorno all’atomo centrale sono gruppi di legame (si noti la corrispondenza con ciascun gruppo di elettroni è un
le cinque disposizioni di palloncini nella Figura 10.4). Quando alcuni sono gruppi gruppo di legame con un atomo
di non legame, si originano differenti forme molecolari. Perciò, la stessa disposizione dei circostante (grigio chiaro), si
gruppi di elettroni può dare origine a differenti forme molecolari: alcune con gruppi osservano le forme molecolari
tutti di legame (come nella Figura 10.5) e altre con gruppi di legame e gruppi di e gli angoli di legame mostra
ti qui, e il nome della forma
non legame. Per classificare le forme molecolari, assegniamo ciascuna a una speci- molecolare è uguale a quello
fica designazione AXmEn, dove m e n sono numeri interi, A è l’atomo centrale, X è della disposizione dei gruppi di
un atomo circostante ed E è un gruppo di elettroni di valenza di non legame (di elettroni. Quando uno o più dei
solito una coppia solitaria). gruppi di elettroni è una coppia
L’angolo di legame è l’angolo formato dai nuclei di due atomi circostanti solitaria, si osservano altre forme
molecolari, come si vedrà nelle
con il nucleo dell’atomo centrale posto nel vertice. Gli angoli indicati per le forme figure seguenti.
nella Figura 10.5 sono angoli di legame ideali, quelli previsti con la sola geometria
semplice. Sono quelli che si osservano quando tutti i gruppi di elettroni di legame
attorno a un atomo centrale sono identici e sono connessi ad atomi dello stesso
elemento. Quando non è così, gli angoli di legame deviano dagli angoli ideali,
come vedremo tra poco.
È importante rendersi conto che usiamo il modello VSEPR per spiegare le forme
molecolari osservate mediante vari tipi di spettroscopia. In quasi tutti i casi, le previ-
sioni ottenute mediante la teoria VSEPR sono in accordo con le osservazioni effettive.
Lo ione nitrato (NO3−) è uno di parecchi ioni poliatomici con la forma planare trigo-
nale. Una delle tre forme di risonanza dello ione nitrato (vedi Problema di verifica
10.4) è mostrata qui sotto. L’ibrido di risonanza ha tre legami identici di ordine di
Figura 10.7 Le due forme
molecolari della disposizione legame 43, cosicché si osserva l’angolo di legame ideale:
planare trigonale dei gruppi di
elettroni.
Effetto dei legami doppi In che modo gli angoli di legame si discostano dagli
angoli ideali quando gli atomi circostanti e i gruppi di elettroni non sono identici?
Consideriamo la formaldeide (CH2O), una sostanza con molti impieghi, compren-
denti la fabbricazione del laminato plastico formica (usato come rivestimento nei
mobili da cucina), la produzione di metanolo e la conservazione dei cadaveri. La sua
forma planare trigonale è dovuta a due tipi di atomi circostanti (O e H) e a due tipi
di gruppi di elettroni (legami singoli e legame doppio):
Gli angoli di legame effettivi si discostano da quelli ideali perché il legame doppio,
con la sua maggiore densità elettronica, respinge i due legami singoli più fortemente ri-
spetto a quanto essi si respingano mutuamente.
Effetto delle coppie solitarie La forma molecolare è definita soltanto dalla po-
sizione dei nuclei; perciò, quando uno dei tre gruppi di elettroni è una coppia
solitaria (AX2E), la forma è piegata o angolare (a V), non planare trigonale. Ne è
un esempio il cloruro di stagno(II) gassoso, con i tre gruppi di elettroni in un piano
trigonale e la coppia solitaria in uno dei vertici del triangolo. Una coppia solitaria
può avere un importante effetto sull’angolo di legame. Poiché una coppia solitaria è
attratta da un solo nucleo, è meno confinata ed esercita repulsioni più forti di quel-
le esercitate da una coppia di legame. Perciò, una coppia solitaria respinge le coppie
Le linee ordinarie rappresentano gruppi di elettroni condivisi nel piano del foglio,
un cuneo con la punta rivolta verso l’atomo centrale rappresenta il legame tra
quest’ultimo e un gruppo situato sopra il piano del foglio, verso chi guarda, e l’altro
cuneo con punta invertita (oppure una linea tratteggiata) rappresenta il legame tra
l’atomo centrale e un gruppo situato sotto il piano del foglio, dalla parte opposta a
chi guarda. Il modello ball-and-stick mostra chiaramente la forma tetraedrica.
Tutte le molecole o tutti gli ioni con quattro gruppi di elettroni attorno a un atomo Figura 10.8 Le tre forme
centrale adottano la disposizione (geometria) tetraedrica (Figura 10.8). Quando molecolari della disposizione
tutti e quattro i gruppi di elettroni sono gruppi di legame, come nel caso del me- tetraedrica dei gruppi di elet-
troni.
tano, anche la forma molecolare è tetraedrica (AX4), una geometria molto comu-
ne nelle molecole organiche. Nel Problema di verifica 10.1, abbiamo disegnato la
struttura di Lewis per la molecola tetraedrica diclorodifluorometano (CCl2F2), senza
prendere in considerazione come gli atomi degli alogeni circondano l’atomo di C.
Poiché le strutture di Lewis sono bidimensionali, sembra che si possano scrivere
due differenti strutture per CCl2F2, ma queste rappresentano in realtà la stessa mo-
lecola, come è chiarito dalla Figura 10.9.
Quando uno dei quattro gruppi di elettroni nella disposizione tetraedrica è una
coppia solitaria, la forma molecolare è quella di una piramide trigonale (AX3E),
un tetraedro “privo di un vertice”. Come ci si attende in base alle più forti repulsio-
ni dovute alla coppia solitaria, l’angolo di legame misurato è lievemente minore
dell’angolo ideale, pari a 109,5°. Per esempio, nell’ammoniaca (NH3), la coppia soli-
taria ravvicina le coppie di legame N H, e l’angolo di legame H N H è 107,3°.
La rappresentazione delle forme molecolari è un metodo efficace per visualiz-
zare ciò che avviene durante una reazione. Per esempio, quando l’ammoniaca rea-
gisce con il protone di un acido, la coppia solitaria sull’atomo di N della NH3 pira-
midale trigonale forma un legame covalente con H+ formando lo ione ammonio
(NH4+), uno dei molti ioni poliatomici tetraedrici. Si noti come l’angolo di legame
H N H si espande da 107,3° in NH3 a 109,5 in NH4+, quando la coppia solitaria
diventa un’altra coppia di legame:
Perciò, nel caso di molecole simili con una data disposizione dei gruppi di elettro-
ni, le repulsioni delle coppie di elettroni causano deviazioni dagli angoli di legame
ideali nell’ordine seguente:
coppia solitaria-coppia solitaria > coppia solitaria-coppia di legame >
(10.3)
> coppia di legame-coppia di legame
Si originano altre tre forme per le molecole con coppie solitarie. Poiché le coppie
solitarie esercitano repulsioni più forti di quelle esercitate dalle coppie di legame,
si trova che le coppie solitarie occupano posizioni equatoriali. Con una sola coppia
solitaria presente in una posizione equatoriale, la molecola ha una forma ad al-
talena (AX4E). Il tetrafluoruro di zolfo (SF4), un potente agente fluorurante, ha
questa forma, mostrata di seguito e nella Figura 10.10 con l’“altalena” capovolta su
un’estremità. Si noti come la coppia solitaria equatoriale respinge tutte e quattro le
coppie di legame riducendo gli angoli di legame:
Le molecole con tre coppie solitarie in posizioni equatoriali devono avere i due
gruppi di legame in posizioni assiali, il che conferisce alla molecola una forma linea
re (AX2E3) e un angolo di legame assiale-centrale-assiale (X A X) di 180°. Per
esempio, lo ione triioduro (I3−), che si forma quando I2 si scioglie in una soluzione
acquosa di I−, è lineare:
Poiché esiste un solo angolo di legame ideale, non ha importanza quale posizione
sia occupata da una coppia solitaria. Cinque atomi legati e una coppia solitaria de-
finiscono la forma piramidale quadrata (AX5E), come di seguito mostrato per il
pentafluoruro di iodio (IF5):
Però, quando una molecola ha due coppie solitarie, esse giacciono sempre in vertici
opposti per evitare le più forti repulsioni coppia solitaria-coppia solitaria a 90°. Que-
sta disposizione dà la forma planare quadrata (AX4E2), come nel tetrafluoruro
di xenon (XeF4):
Figura 10.12 Un riassunto delle forme molecolari per molecole contenenti da due a sei gruppi di elettroni.
Figura 10.13 Le tappe nella determinazione di una forma molecolare. Sono necessarie quattro tappe per convertire una for
mula molecolare in una forma molecolare. Per la prima tappa, cioè la scrittura della formula di Lewis, vedi Figura 10.1.
Verifica Confrontiamo le risposte con le informazioni generali contenute nelle Figure 10.7
e 10.8.
Commento Ci si deve accertare che la struttura di Lewis sia corretta perché essa determina
le altre tappe.
Tappa 4. Forma molecolare: cinque gruppi di elettroni e nessuna coppia solitaria danno la
forma bipiramidale trigonale (AX5):
Negli anni recenti, i chimici hanno sintetizzato alcune molecole organiche con forme
notevoli, meravigliose direbbe qualcuno. Eventuali loro impieghi sono ancora ipoteti-
ci, ma non ci sono dubbi sulla loro eleganza geometrica. Alcune di queste molecole
compaiono nella scheda Bellezza molecolare: forme strane con funzioni utili a fine capitolo.
Anche nella molecola d’acqua vi sono atomi identici legati all’atomo centrale, ma
essa ha un rilevante momento di dipolo (µ = 1,85 D). In ciascun legame O H, la
densità elettronica è attratta verso l’atomo di O, più elettronegativo. In questo caso,
le polarità di legame non si controbilanciano perché la molecola d’acqua è piegata
o angolare (vedi anche la Figura 4.2). Invece, le polarità di legame sono parzialmen-
te rinforzate, e l’estremità O della molecola è più negativa dell’altra estremità (la
regione tra gli atomi di H), la qual cosa è mostrata chiaramente dal modello della
densità elettronica:
I chimici vedono una strana bellezza nella complicata geometria dei più piccoli oggetti
esistenti in natura. La semplicità degli atomi sferici scompare quando essi si combinano per
formare pentagoni, eliche e innumerevoli altre forme. Inoltre, molte molecole oltre a essere
“belle” hanno impieghi pratici meravigliosi.
A B
Figura S10.3 Forma molecolare e azione enzimatica. A. Una piccola molecola di zucchero (in basso) è vicina a una specifica
regione della molecola di un enzima. B. Quando la molecola di zucchero si inserisce nel sito, la reazione inizia.
1s 1s
massima di due elettroni che devono avere spin opposti (antiparalleli). Per esempio,
1s 1s
H ↑ ↓ H ↑↓ quando si forma una molecola di H2, i due elettroni 1s dei due atomi di H occupano
H2 gli orbitali 1s sovrapposti e hanno spin opposti (Figura 11.1A).
A Idrogeno, H2
2. Sovrapposizione massima degli orbitali di legame. La forza di legame dipende dall’at-
z trazione esercitata dai nuclei sugli elettroni condivisi e, quindi, maggiore è la sovrap-
1s y posizione degli orbitali, più forte (più stabile) è il legame. L’entità della sovrapposizione
H ↑↓ F 2p dipende dalla forma e dall’orientamento degli orbitali coinvolti. Un orbitale s è
sferico, ma gli orbitali p e d hanno una maggiore densità elettronica in una direzio-
B Fluoruro di idrogeno, HF ne che in un’altra, e quindi un legame che implichi orbitali p o d tende a essere
z z orientato nella direzione che massimizza la sovrapposizione. Per esempio, nel lega-
y y
me in HF, l’orbitale 1s di H si sovrappone all’orbitale 2p semipieno di F lungo l’asse
2p F ↑↓ F 2p
maggiore di quell’orbitale (Figura 11.1B). Ogni altra direzione darebbe origine a una
minore sovrapposizione e, quindi, a un legame più debole. Analogamente, nel lega-
C Fluoro, F2 me F F di F2, i due orbitali 2p interagiscono di testa, cioè, lungo gli assi maggiori
degli orbitali, per massimizzare la sovrapposizione (Figura 11.1C).
Figura 11.1 Sovrapposizione
degli orbitali e appaiamento 3. Ibridazione degli orbitali atomici. Per spiegare il legame in molecole biatomiche sem-
degli spin in tre molecole bia plici come HF visualizziamo la sovrapposizione diretta degli orbitali s e p di atomi
tomiche. A. Nella molecola di isolati. Ma come possiamo spiegare le forme osservate in così tante molecole e in
H2, i due orbitali 1s sovrapposti così tanti ioni poliatomici più grandi mediante la sovrapposizione di orbitali s sferici,
sono occupati dai due elettroni
1s con spin opposti (antiparalle-
orbitali p perpendicolari a forma di manubrio da ginnastica e orbitali d a forma di quadrifoglio?
li). (Gli elettroni, rappresentati Consideriamo una molecola di metano. Essa è costituita da quattro atomi di H
come frecce, trascorrono la legati a un atomo di C centrale. Un atomo di C isolato nello stato fondamentale
maggior parte del tempo tra i ([He] 2s22p2) ha quattro elettroni di valenza: due nell’orbitale 2s e gli altri due, uno
nuclei ma si muovono in tutta ciascuno, in due dei tre orbitali 2p. Potremmo vedere facilmente come i due orbitali
la regione di sovrapposizione
degli orbitali). B. Per massimiz-
p semipieni di C potrebbero sovrapporsi agli orbitali 1s dei due atomi di H per forma-
zare la sovrapposizione in HF, re due legami C H con un angolo di legame H C H uguale a 90°, ma come pos-
gli orbitali semipieni 1s di H e sono questi orbitali sovrapporsi per formare i quattro legami C H identici con l’ango-
2p di F si sovrappongono lungo lo di legame di 109,5° che si osserva nel metano?
l’asse maggiore dell’orbitale 2p Linus Pauling rispose a queste domande ipotizzando che gli orbitali atomici di va-
coinvolto nella formazione del
legame. (È rappresentato l’or-
lenza nella molecola siano diversi da quelli negli atomi isolati. Calcoli quantomeccanici
bitale 2px coinvolto nel legame; indicano che il mescolamento matematico di certe combinazioni di orbitali in un dato
gli altri due orbitali 2p di F non atomo dà origine a nuovi orbitali atomici. Gli orientamenti spaziali di questi nuovi orbi-
sono rappresentati). C. In F2, tali danno origine a legami più stabili e sono compatibili con le forme molecolari osser-
l’orbitale 2px semipieno su un F vate. Il processo di mescolamento degli orbitali è detto ibridazione e i nuovi orbitali
è orientato di testa verso l’orbi-
tale simile sull’altro F per massi-
atomici sono detti orbitali ibridi. Due punti essenziali riguardo al numero e al tipo di
mizzare la sovrapposizione. orbitali ibridi sono i seguenti:
• il numero di orbitali ibridi ottenuti è uguale al numero di orbitali atomici mescolati;
• il tipo di orbitali ibridi ottenuti varia in funzione dei tipi di orbitali atomici
mescolati.
Possiamo immaginare l’ibridazione come un processo in cui si mescolano orbitali ato-
mici, si formano orbitali ibridi ed elettroni entrano in essi con spin paralleli (regola di
Hund) per creare legami stabili. Ma in verità l’ibridazione è un risultato dedotto matema
ticamente dalla meccanica quantistica, che spiega le forme molecolari che si osservano.
Figura 11.2 Gli orbitali ibridi sp nel BeCl2 gassoso. A. Un orbitale atomico 2s e un orbitale atomico 2p si mescolano per forma-
re due orbitali ibridi sp (rappresentati l’uno sopra l’altro e lievemente di lato per facilità di visualizzazione). Si notino il lobo grande
e il lobo piccolo degli orbitali ibridi. Nella molecola, i due orbitali sp di Be hanno orientamenti opposti. Per chiarezza, in tutto il
libro verranno usati gli orbitali ibridi semplificati, di solito senza il lobo piccolo. B. Il diagramma orbitalico a caselle per l’ibridazione
in Be è disegnato verticalmente e mostra che l’orbitale 2s e uno dei tre orbitali 2p formano due orbitali ibridi sp, mentre gli altri
due orbitali 2p rimangono non ibridati. Gli elettroni riempiono a metà gli orbitali ibridi sp. Durante la formazione del legame, cia-
scun orbitale sp si riempie condividendo un elettrone proveniente da Cl (non rappresentato). C. Il diagramma orbitalico a caselle
è rappresentato con superfici di contorno degli orbitali invece delle frecce rappresentative degli elettroni. D. BeCl2 si forma per
sovrapposizione dei due orbitali ibridi sp con gli orbitali 3p di due atomi di Cl; i due orbitali 2p non ibridati di Be sono perpendico-
lari agli orbitali ibridi sp. (Per chiarezza, è rappresentato per ciascun Cl soltanto l’orbitale 3p coinvolto nella formazione del legame).
Ibridazione sp2 Per spiegare la disposizione planare trigonale dei gruppi di elet-
troni e le forme molecolari basate su di essa, introduciamo il mescolamento di un
orbitale s e due orbitali p dell’atomo centrale per ottenere tre orbitali ibridi orientati
verso i vertici di un triangolo equilatero, con gli assi separati da 120°. Sono detti
orbitali ibridi sp2. È importante notare che, a differenza della notazione per le con-
figurazioni elettroniche, la notazione per gli orbitali ibridi impiega apici per il numero
di orbitali atomici di un dato tipo che sono mescolati, non per il numero di elettroni
nell’orbitale: in questo caso, sono stati mescolati un orbitale s e due orbitali p e quindi
si ha la notazione s1p2 ossia sp2.
Secondo la teoria VB, l’atomo di B centrale nella molecola di BF3 è ibridato sp2.
La Figura 11.3 mostra i tre orbitali sp2 nel piano trigonale, con il terzo orbitale 2p
non ibridato e perpendicolare a questo piano. Ciascun orbitale sp2 è sovrapposto
all’orbitale 2p di un atomo di F, e i sei elettroni di valenza – tre dall’atomo di B e
uno da ciascuno dei tre atomi di F – formano tre coppie di legame.
Per spiegare altre forme molecolari in una data disposizione di gruppi di elet-
troni, ipotizziamo che uno o più degli orbitali ibridi contengano coppie solitarie.
Per esempio, nell’ozono (O3), l’atomo di O centrale è ibridato sp2 e una coppia solitaria
riempie uno dei suoi tre orbitali sp2, e quindi l’ozono ha una forma molecolare piegata.
Figura 11.6 Gli orbitali ibridi sp3d in PCl5. A. Il diagramma orbitalico a caselle mostra che un orbitale 3s, tre orbitali 3p e uno
dei cinque orbitali 3d di P si mescolano per formare cinque orbitali sp3d semipieni. Quattro orbitali 3d sono non ibridati e vuoti.
B. La molecola bipiramidale trigonale di PCl5 si forma per sovrapposizione di un orbitale 3p da ciascuno dei cinque atomi di Cl
agli orbitali ibridi sp3d di P (gli orbitali 3d vuoti, non ibridati, non sono rappresentati). Durante la formazione del legame, ciascun
orbitale sp3d si riempie per aggiunta di un elettrone proveniente da Cl. (Le cinque coppie di legame non sono rappresentate).
L’atomo di O ha due orbitali sp3 semipieni e due pieni con coppie solitarie:
C O
H
H H
orbitale 3d. Un orbitale ibrido si riempie con una coppia solitaria, e quattro orbitali ibridi
sono semipieni. Quattro orbitali 3d non ibridati restano vuoti:
Durante la formazione dei legami, ciascun orbitale semipieno di S si riempie con i secondi
elettroni provenienti dagli atomi di F.
In base alla teoria VSEPR, prevederemmo che, come in H2O, i quattro gruppi di
elettroni attorno a H2S siano orientati verso i vertici di un tetraedro e che le due
coppie solitarie comprimano l’angolo di legame H S H a un valore lievemente
inferiore a quello ideale di 109,5°. In base alla teoria VB, prevederemmo che gli
orbitali 3s e 3p dell’atomo centrale di S si mescolino e formino quattro orbitali
ibridi sp3, due dei quali sono pieni con coppie solitarie, mentre gli altri due si so-
vrappongono agli orbitali 1s dei due atomi di H e sono pieni con coppie di legame.
Il problema è che l’osservazione non conferma questi ragionamenti. In realtà, la
molecola di H2S ha un angolo di legame di 92°, vicino all’angolo di legame di 90°
che ci si attende tra orbitali p atomici perpendicolari, non ibridati. Angoli di lega-
me simili si osservano negli altri idruri degli elementi del Gruppo 6A(16) e anche
nei più grandi idruri degli elementi del Gruppo 5A(15). Non ha senso applicare
una teoria quando i fatti non la confermano. Né la teoria VSEPR né il concetto
di ibridazione si applicano al caso di H2S e di questi altri idruri di non metalli. È
importante ricordare che la forma molecolare è influenzata da fattori reali, quali la
lunghezza di legame, il raggio atomico e le repulsioni interelettroniche. A quanto
pare, con questi atomi centrali più grandi e le loro maggiori lunghezze di legame
con H, l’affollamento e le repulsioni interelettroniche diminuiscono, e la semplice
sovrapposizione di orbitali atomici non ibridati spiega benissimo le forme osservate.
Un attento esame dei legami mostra in questo caso due tipi di sovrapposizione
degli orbitali.
1. Sovrapposizione di testa e legame σ (sigma). Entrambi gli atomi di C dell’etano sono Figura 11.10 I legami s e p
ibridati sp3 (Figura 11.9). Il legame C C implica la sovrapposizione di un orbitale nell’etilene (C2H4). A. I due
atomi di C sono ibridati sp2 e
sp3 di ciascun atomo di C e ciascuno dei sei legami C H implica la sovrapposizio-
formano un legame σ C C e
ne di un orbitale sp3 di C a un orbitale 1s di H. I legami nell’etano sono simili a tutti quattro legami σ C H. I loro
gli altri descritti finora in questo paragrafo. Esaminiamo attentamente, per esempio, orbitali 2p non ibridati, semipie-
il legame C C. Esso implica la sovrapposizione dell’estremità di un orbitale all’e- ni, sono perpendicolari all’asse
stremità dell’altro. Il legame che si origina da questa sovrapposizione di testa è del legame σ e sono rappresen-
tati sovrapposti di fianco. B. Le
detto legame σ (sigma). Ha la sua densità elettronica più alta lungo l’asse di legame
due regioni sovrapposte
(una linea immaginaria congiungente i nuclei) e ha la forma di un ellissoide (la figu- comprendono un legame π, che
ra generata dalla rotazione di un’ellisse attorno al suo asse maggiore, simile a un è occupato da due elettroni. I
pallone da football americano). Tutti i legami singoli, formati da qualsiasi combina- due lobi del legame π giacciono
zione di orbitali ibridi, s o p che si sovrappongono, hanno la loro densità elettronica al di sopra e al di sotto della
linea di legame σ C C.
concentrata lungo l’asse di legame e quindi sono legami σ.
C. Con quattro elettroni (un
2. Sovrapposizione di fianco e legame π (pi greca). Un attento esame della Figura 11.10 legame σ e un legame π) tra gli
atomi di C, la densità elettroni-
rivela la natura doppia del legame carbonio carbonio nell’etilene. In questo caso,
ca nella zona internucleare
ciascun atomo di C è ibridato sp2. I quattro elettroni di valenza di ciascun atomo di (ombreggiatura rossa) è elevata.
C riempiono a metà i suoi tre orbitali sp2 e il suo orbitale 2p non ibridato, che è D. Rappresentazione mediante
perpendicolare al piano sp2. Due orbitali sp2 di ciascun atomo di C formano legami linee di legame.
2p 2p π
H H
σ σ H H
2
H H
C sp σ sp2 C C C C C
σ σ H H
H H H H
A B C D
2p π
H
H σ 2p C
sp
C sp C
σ sp π
2p C sp H
σ
2p H
C
Figura 11.11 I legami σ e i σ C H sovrapponendosi agli orbitali 1s di due atomi di H. Il terzo orbitale sp2
legami π nell’acetilene (C2H2).
forma un legame σ C C con un orbitale sp2 dell’altro atomo di C perché il loro
A. I legami σ nell’acetilene si
formano quando un orbitale sp orientamento permette la sovrapposizione di testa. Con gli atomi di C legati da le-
di ciascun atomo di C si gami σ vicini l’uno all’altro, i loro orbitali 2p semipieni non ibridati sono tanto vici-
sovrappone per formare un lega- ni quanto basta per sovrapporsi di fianco. Questa sovrapposizione forma un altro
me σ C C e l’altro orbitale sp tipo di legame covalente detto legame π (pi greca). Un legame π ha due regioni di
di ciascun atomo di C si
densità elettronica, una al di sopra e l’altra al di sotto dell’asse del legame σ. Un legame
sovrappone a un orbitale s di un
atomo di H per formare due π contiene due elettroni che si muovono attraverso entrambe le regioni del legame. Un
legami σ C H. Restano due legame doppio è costituito sempre da un legame σ e da un legame π. Come mostrato
orbitali 2p non ibridati su nella Figura 11.10C, il legame doppio aumenta la densità elettronica tra gli atomi di C.
ciascun C; sono rappresentati
sovrapposti. B. Si originano due Ora siamo in grado di rispondere a una domanda sollevata nella trattazione della
legami π dalla sovrapposizione teoria VSEPR nel capitolo precedente: perché le coppie di elettroni in un legame
di fianco. Qui un legame π è doppio agiscono come un unico gruppo di elettroni; cioè, perché le due coppie
mostrato con i lobi al di sopra
di elettroni non si respingono mutuamente? La risposta è che ciascuna coppia di
e al di sotto del legame σ C C
e l’altro è mostrato con i lobi elettroni occupa un orbitale distinto, una specifica regione di densità elettronica, e
davanti e dietro questo legame quindi le repulsioni sono ridotte.
σ. Nella molecola reale, però, le Un legame triplo, quale il legame C C nell’acetilene, è costituito da un legame
nuvole elettroniche dei due σ e da due legami π (Figura 11.11). Per massimizzare la sovrapposizione in una for-
legami π coincidono parzialmen-
ma lineare, un orbitale s e un orbitale p in ciascun atomo di C formano due orbita-
te, il che conferisce alla
molecola una simmetria li ibridi sp, e due orbitali 2p rimangono non ibridati. I quattro elettroni di valenza
cilindrica. C. I sei elettroni – un riempiono a metà tutti e quattro gli orbitali. Ciascun atomo di C utilizza uno dei
legame σ e due legami π suoi orbitali sp per formare un legame σ con un atomo di H e utilizza l’altro per
– creano una densità elettronica formare il legame σ C C. La sovrapposizione di fianco di una coppia di orbitali 2p
ancora maggiore tra gli atomi di
dà un legame π, con densità elettronica al di sopra e al di sotto del legame σ. La
C rispetto all’etilene. D.
Rappresentazione mediante sovrapposizione di fianco dell’altra coppia di orbitali 2p dà l’altro legame, a 90° dal
linee di legame. primo, con densità elettronica davanti e dietro al legame σ. Il risultato è una mole-
cola H C C H a simmetria cilindrica. Si noti la densità elettronica ancora mag-
giore tra gli atomi di C creata dai sei elettroni di legame.
L’entità della sovrapposizione influenza la forza di legame. Poiché la sovrapposizio-
ne di fianco non è tanto estesa quanto la sovrapposizione di testa, ci aspettiamo che un
legame π sia più debole di un legame σ, e quindi un legame doppio dovrebbe avere
una forza minore di quella di due volte un legame semplice. In effetti, questa previsio-
ne è confermata per i legami carbonio carbonio. Però, molti fattori, quali le repulsioni
tra coppie solitarie, le polarità di legame e altri contributi elettrostatici, influenzano la
sovrapposizione e la forza relativa dei legami σ e π tra altri elementi. Perciò, come
grossolana approssimazione, un legame doppio ha all’incirca una forza pari al doppio di
quella di un legame semplice, e un legame triplo ha una forza pari a circa il triplo.
Risoluzione Nel Problema di verifica 10.9 abbiamo determinato che le forme dei tre
atomi centrali dell’acetone sono tetraedriche attorno a ciascun atomo di C dei due gruppi
CH3 (gruppi metilici) e planari trigonali attorno all’atomo di C intermedio. Perciò, l’atomo
di C intermedio ha tre orbitali sp2 e un orbitale p non ibridato. Ciascuno dei due atomi di
C metilici ha quattro orbitali sp3. Tre di questi orbitali sp3 si sovrappongono agli orbitali 1s
degli atomi di H per formare legami σ; il quarto si sovrappone a un orbitale sp2 dell’atomo
di C intermedio. Perciò, due dei tre orbitali sp2 dell’atomo di C intermedio formano legami
σ con gli atomi di C terminali.
L’atomo di O è anch’esso ibridato sp2 e ha un orbitale p non ibridato che può forma-
re un legame π. Due degli orbitali sp2 dell’atomo di O contengono coppie solitarie, e il
terzo forma un legame σ con il terzo orbitale sp2 dell’atomo di C intermedio. Gli orbitali
p semipieni, non ibridati, su C e O formano un legame π. I legami σ e π costituiscono il
legame C O:
Commento La forma molecolare è la nostra guida agli orbitali usati nella formazione dei
legami. Perciò, non possiamo conoscere direttamente se un atomo terminale, quale l’atomo
di O nell’acetone, sia ibridato. Dopo tutto, esso potrebbe utilizzare i suoi due orbitali p
perpendicolari per legami σ e π con l’atomo di C e lasciare che l’altro orbitale p e l’orbitale
s contengano le due coppie solitarie. Però, una coppia solitaria in un orbitale s aumentereb-
be le repulsioni localizzando elettroni addizionali parzialmente nella regione di legame;
l’esistenza della coppia solitaria in un orbitale sp2 lontano dal legame C O lo evita. Inoltre,
si conoscono alcuni composti in cui l’atomo di O di un gruppo C O è legato a un altro
atomo, e in questi casi gli angoli di legame indicano che l’atomo di O è ibridato sp2.
A B
orbitali antileganti sono denotati con un asterisco ad apice, quindi quello derivato
dagli orbitali atomici 1s è σ*
1s (che si legge “sigma uno esse asterisco”).
Per interagire effettivamente e formare orbitali molecolari, gli orbitali atomici de-
vono avere energia e orientamento simili. Gli orbitali 1s su due atomi di H hanno energia
e orientamento identici, quindi interagiscono fortemente. Questo punto sarà impor-
tante quando considereremo molecole costituite da atomi con molti sottolivelli.
ni entrano negli orbitali molecolari per dare una coppia nell’orbitale molecolare σ1s e
un elettrone solitario nell’orbitale molecolare σ*1s. L’ordine di legame è 12 (2 − 1) = 12 .
Perciò, He2+ ha un legame relativamente debole, ma dovrebbe esistere. In effetti, que-
sta specie ionica molecolare è stata osservata frequentemente quando atomi di He
urtano contro ioni He+. La sua configurazione elettronica è (σ1s)2 e (σ*1s)1.
D’altra parte, He2 ha quattro elettroni da collocare nei suoi orbitali molecola-
ri σ1s e σ*1s. Come mostrato nella Figura 11.16B, sia l’orbitale legante sia l’orbitale
antilegante sono pieni. La stabilizzazione acquisita dalla coppia di elettroni
nell’orbitale molecolare legante è neutralizzata dalla destabilizzazione derivante
dalla coppia di elettroni nell’orbitale molecolare antilegante. In base al suo ordine
di legame pari a zero [dato da 12 (2 − 2) = 0], prevediamo che non esista una mole-
cola covalente di He2 e l’osservazione sperimentale l’ha finora confermato.
Previsione della stabilità di una specie mediante i diagrammi degli orbitali molecolari
PROBLEMA DI VERIFICA 11.3
Problema Usando i diagrammi degli orbitali molecolari, si preveda se esistano H2+ e H2−. Si
determinino i loro ordini di legame e le loro configurazioni elettroniche.
Piano In queste specie, gli orbitali 1s formano orbitali molecolari, quindi i diagrammi degli
orbitali molecolari sono simili a quello per H2. Determiniamo il numero di elettroni in
ciascuna specie e distribuiamo gli elettroni in coppie agli orbitali leganti e antileganti in
ordine di energia crescente. Otteniamo l’ordine di legame con l’Equazione 11.1 e scriviamo
la configurazione elettronica come è stato descritto nel testo.
Risoluzione Nel caso di H2+, H2 ha due e−, quindi H2+ ne ha soltanto uno, come è mostrato
qui a margine (diagramma superiore). L’ordine di legame è 12 (1 − 0) = 12 , quindi prevediamo
che H2+ esista effettivamente . La configurazione elettronica è ( σ1s )1 .
Nel caso di H2−, poiché H2 ha due e−, H2− ne ha tre, come è mostrato a margine (diagramma
inferiore). L’ordine di legame è 12 (2 − 1) = 12 quindi prevediamo che H2− esista effettivamente.
La configurazione elettronica è (σ1s ) 2 (σ1∗s )1 .
Verifica Il numero di elettroni negli orbitali molecolari è uguale al numero di elettroni
negli orbitali atomici, come dovrebbe.
Commento Entrambe queste specie sono state identificate con metodi spettroscopici: H2+
esiste nella materia contenente idrogeno attorno alle stelle; la specie H2− è stata formata in
laboratorio.
osservato. È importante notare che, nel diagramma degli orbitali molecolari per
Li2 e Be2, gli orbitali molecolari σ1s e σ*1s sono pieni. Poiché l’effetto stabilizzante
dell’orbitale molecolare σ1s pieno neutralizza l’effetto destabilizzante dell’orbi-
tale molecolare σ*1s, questi orbitali molecolari non danno un contributo netto al
legame. Da qui in poi, i diagrammi degli orbitali molecolari mostreranno soltanto
gli orbitali molecolari creati da combinazioni degli orbitali atomici degli elettro-
ni di valenza.
L’ordine dei livelli energetici degli orbitali molecolari, siano essi leganti o antile- Figura 11.18 Superfici di con
ganti, si basa sull’ordine dei livelli energetici degli orbitali atomici e sul modo di torno ed energie degli orbitali
combinazione degli orbitali p. molecolari σ e π come combi
nazioni di orbitali atomici 2p.
• Gli orbitali molecolari derivanti da orbitali 2s hanno energia inferiore a quella A. Gli orbitali p situati lungo
la linea tra gli atomi (e deno-
degli orbitali molecolari derivanti da orbitali 2p perché gli orbitali atomici 2s tati di solito con px) subiscono
hanno energia inferiore a quella degli orbitali atomici 2p. la sovrapposizione di testa e
• Gli orbitali molecolari leganti hanno energia inferiore a quella degli orbitali formano orbitali molecolari σ2p
molecolari antileganti, quindi σ2p ha energia inferiore a quella di σ*2p, e π2p ha e σ*2p. Si notino la maggiore
energia inferiore a quella di π*2p. densità elettronica tra i nuclei
nel caso dell’orbitale legante
• Gli orbitali p atomici sono capaci di interagire più estesamente di testa che di e il nodo tra i nuclei nel caso
fianco. Perciò, l’orbitale molecolare σ2p ha energia inferiore a quella dell’orbi- dell’orbitale antilegante. B.
tale π2p. Analogamente, l’effetto destabilizzante dell’orbitale molecolare σ*2p è Gli orbitali p perpendicolari
maggiore di quello dell’orbitale molecolare π*2p. all’asse internucleare (py e pz)
si sovrappongono di fianco per
Perciò, l’ordine energetico degli orbitali molecolari derivati da orbitali 2p è formare due orbitali molecolari
π. Le interazioni degli orbitali pz
σ 2 p < π 2 p < π∗2 p < σ∗2 p sono identiche a quelle mostrate
qui per gli orbitali py e quindi
In ciascun atomo esistono tre orbitali 2p perpendicolari; quindi, quando si com- si forma un totale di quattro
binano sei orbitali p, i due disposti l’uno verso l’altro di testa formano un orbi- orbitali molecolari π. Un orbitale
tale molecolare σ e un orbitale molecolare σ* e le due coppie che interagiscono π2p è un orbitale molecolare
di fianco formano due orbitali molecolari π della stessa energia e due orbitali legante con la sua massima den-
sità elettronica al di sopra e al
molecolari π* della stessa energia. Combinando questi orientamenti con l’ordine
di sotto dell’asse internucleare;
energetico si ottiene il diagramma degli orbitali molecolari atteso per le moleco- un orbitale π*2p è un orbitale
le biatomiche omonucleari degli elementi del Periodo 2 del blocco p, mostrato molecolare antilegante con un
nella Figura 11.19A. nodo tra i nuclei e la sua densità
L’ordine delle energie degli orbitali molecolari è influenzato anche da un altro elettronica all’esterno della
regione internucleare.
fattore. Si ricordi che soltanto orbitali atomici di energia simile interagiscono per
formare orbitali molecolari. L’ordine presentato nella Figura 11.19A presuppone
che gli orbitali atomici s e p abbiano energie così diverse da non interagire l’uno
con l’altro: nella terminologia degli orbitali molecolari, gli orbitali non si mescolano.
Ciò vale per O, F e Ne. In questi atomi, avvengono repulsioni quando gli elettroni
2p si appaiano: queste repulsioni innalzano l’energia degli orbitali 2p al di sopra
dell’energia degli orbitali 2s e come risultato si minimizza il mescolamento degli
I due elettroni addizionali presenti in C2 riempiono i due orbitali molecolari π2p. C2,
avendo due elettroni in più rispetto a B2, ha ordine di legame 2 e il legame atteso
più forte e più corto. Tutti gli elettroni sono appaiati e, come prevede il modello,
C2 è diamagnetico.
In N2, i due elettroni addizionali entrano nell’orbitale molecolare σ2p e lo riem
piono. L’ordine di legame risultante è 3, che è compatibile con il legame triplo
nella struttura di Lewis. Come prevede il modello, l’energia di legame è più alta e
la lunghezza di legame è più corta, e N2 è diamagnetico.
Con O2 si vede realmente la potenza della teoria MO rispetto alle teorie basate
sugli orbitali localizzati. Per anni è sembrato impossibile conciliare le teorie del
legame con la forza di legame e il comportamento magnetico di O2. D’altra par-
te, i dati indicano una molecola con legame doppio che è paramagnetica. Inoltre,
possiamo scrivere due possibili strutture di Lewis per O2, ma nessuna delle due dà
una molecola con entrambe le caratteristiche. Una ha un legame doppio e tutti gli
elettroni appaiati, mentre l’altra ha un legame singolo e due elettroni spaiati:
I due elettroni addizionali in F2 riempiono gli orbitali π*2p, il che fa diminuire l’or-
dine di legame a 1, e l’assenza di elettroni spaiati rende diamagnetico F2. Come ci
si attende, l’energia di legame è più bassa e la distanza di legame è più lunga che
in O2. Si noti che l’energia di legame per F2 è soltanto circa la metà di quella per
B2, anche se essi hanno lo stesso ordine di legame. F è più piccolo di B e quindi
potremmo attenderci un legame più forte. Ma i 18 elettroni nel minore volume
di F2 rispetto ai 10 elettroni in B2 causano repulsioni maggiori e facilitano la rot-
tura del legame singolo in F2.
Il membro finale della serie, Ne2, non esiste per lo stesso motivo per cui non
esiste He2: tutti gli orbitali molecolari sono pieni e quindi la stabilizzazione deri-
vante dagli elettroni leganti (di legame) neutralizza la destabilizzazione derivante
dagli elettroni antileganti (di antilegame), e l’ordine di legame è zero.
Si spieghino questi fatti con diagrammi che mostrino la sequenza e l’occupazione degli
orbitali molecolari.
Piano Prima determiniamo il numero di elettroni di valenza in ciascuna specie. Poi disegnia-
mo la sequenza di livelli energetici degli orbitali molecolari per le quattro specie, ricordando
che le sequenze sono diverse per N2 e O2 (vedi Figure 11.19 e 11.20), e li riempiamo di
elettroni. Infine calcoliamo gli ordini di legame e li confrontiamo con i dati. Si ricordi che
l’ordine di legame è in relazione diretta con l’energia di legame e in relazione inversa con
la lunghezza di legame.
Risoluzione Determinazione degli elettroni di valenza:
N ha 5 e− di valenza, quindi N2 ne ha 10 e N2+ ne ha 9
O ha 6 e− di valenza, quindi O2 ne ha 12 e O2+ ne ha 11
Disegno e riempimento dei diagrammi MO:
2 (8 − 2) = 2 (7 − 2) = 2 (8 − 4 ) = 2 (8 − 3) =
1 1 1 1
3 2,5 2 2,5
Quando N2 forma N2+, viene rimosso un elettrone legante e quindi l’ordine di legame dimi-
nuisce. Perciò, N2+ ha un legame più debole e più lungo di quello di N2. Quando O2 forma
O2+, viene rimosso un elettrone antilegante e quindi l’ordine di legame aumenta. Perciò, O2+
ha un legame più forte e più corto di quello di O2.
Verifica La risposta è ragionevole in termini delle relazioni tra ordine di legame, energia
di legame e lunghezza di legame. Si verifichi che il numero totale di elettroni leganti e
antileganti sia uguale al numero calcolato di elettroni di valenza.
La teoria MO, per contro, visualizza una struttura di orbitali molecolari leganti e an-
tileganti σ e π delocalizzati. La Figura 11.24 mostra le forme degli orbitali molecolari
leganti π di energia più bassa nel benzene e nell’ozono. Ciascun orbitale contiene
una coppia di elettroni. Le densità elettroniche estese permettono la delocalizzazio-
ne di questa coppia di elettroni π sull’intera molecola, eliminando così la necessità
di forme di risonanza distinte. Nel benzene, il lobo esagonale superiore e quello
inferiore di questo orbitale molecolare legante π giacciono al di sopra e al di sotto
del piano σ di tutti e sei i nuclei di carbonio. Nell’ozono, i due lobi dell’orbitale mo-
lecolare legante π di energia più bassa si estendono sopra e sotto tutti e tre i nuclei
A Benzene, C6H6
di ossigeno. Un altro vantaggio della teoria MO è la sua capacità di spiegare gli stati
eccitati e gli spettri delle molecole: per esempio, perché O3 si decompone quando
assorbe radiazione ultravioletta nella stratosfera (gli elettroni leganti vengono eccitati
ed entrano in orbitali antileganti vuoti) e perché lo spettro ultravioletto del benzene
ha le sue bande di assorbimento caratteristiche.
Figura 11.24 Gli orbitali molecolari leganti π di energia più bassa nel benzene e nell’o
zono. A. L’orbitale molecolare legante π più stabile in C6H6 ha lobi esagonali di densità elet-
tronica al di sopra e al disotto del piano σ dei sei atomi di C. B. L’orbitale molecolare legante
π in O3 si estende al di sopra e al di sotto del piano σ (rappresentato come linee di legame)
dei tre atomi di O. B Ozono, O3
(b)
'H 0vap
59
'H 0fus
'H 0 (kJ/mol)
38,6 40,7
34,1 Figura 12.1 Calori di vapo-
29 rizzazione (evaporazione) e di
fusione per alcune sostanze
comuni. ∆H 0vap è sempre mag-
8,9 10,0 giore di ∆H 0fus perché è neces-
6,3 7,3 6,02
5,0 2,3 saria più energia per separare
1,3 0,94
completamente le particelle che
Argon Metano Etere dietilico Benzene Etanolo Acqua M
Mercurio per renderle libere dalle loro
(Ar) (CH4) (C2H5OC2H5) (C6H6) (C2H5OH) (H2O) (Hg) posizioni fisse nel solido.
B
dell’entalpia. Si noti che la fusio-
e
ne, la vaporizzazione (o evapo-
Vaporizzazione
o n
r
razione) e la sublimazione sono
Condensazione
Entalpia, H
i
trasformazioni endotermiche
n
z i
(∆H0 positiva), mentre la solidi- (ΔH 0subl) (ΔH 0vap) (−ΔH 0vap) (−ΔH 0subl)
a
ficazione, la condensazione e il
a
brinamento sono trasformazioni
m
m
endotermiche (∆H0 negativa).
e
liquido
n
l
cazione
Solidifi-
b
Fusione
t
(ΔH 0fus) (−ΔH 0fus)
u
o
S solido
dovuta al fatto che una transizione di fase è essenzialmente un cambiamento della di
stanza intermolecolare e della libertà di movimento. Perciò, è necessaria meno energia
per vincere le forze che mantengono le molecole nelle loro posizioni fisse (per fondere
un solido) che per separarle completamente l’una dall’altra (per vaporizzare un liquido).
I tre stati di aggregazione dell’acqua sono così comuni perché sono tutti stabili
in condizioni ordinarie. Il diossido di carbonio, d’altra parte, è familiare come gas e
come solido (“ghiaccio secco”), mentre CO2 liquido esiste soltanto a pressioni ester
ne maggiori di 5 atm. Perciò, a temperature ordinarie, CO2 solido diventa un gas sen
za diventare prima un liquido. Questo passaggio diretto dallo stato solido allo stato
gassoso senza passare per lo stato liquido è detto sublimazione. Per esempio, in
una giornata invernale serena si può asciugare il bucato steso all’aperto anche se può
essere troppo freddo affinché il ghiaccio possa fondere, perché in queste condizioni
il ghiaccio sublima. Gli alimenti liofilizzati vengono preparati mediante sublimazio
ne. Il processo opposto, il passaggio diretto dallo stato gassoso allo stato solido senza
passare per lo stato liquido, è detto brinamento. Per esempio, i cristalli di ghiaccio
che si formano sul vetro freddo di una finestra sono prodotti dal brinamento del
vapore acqueo. Il calore di sublimazione (∆H 0subl) è la variazione di entalpia che
si produce quando sublima 1 mol della sostanza. La legge di Hess dice che è uguale
alla somma del calore di fusione e del calore di vaporizzazione:
solido ⎯ ⎯
→ liquido ΔH fus
0
liquido ⎯ ⎯
→ gas ΔH vap
0
solido ⎯ ⎯
→ gas ΔH subl
0
varia la velocità più probabile delle molecole. La quantità di calore ceduta o acqui
stata dipende dalla quantità di sostanza, dal calore specifico molare per quella
fase e dalla variazione di temperatura.
• Durante una transizione di fase, avviene una variazione di calore a temperatura
costante, associata a una variazione dell’energia potenziale, mentre varia la
distanza intermolecolare media. Entrambi gli stati fisici sono presenti durante
una transizione di fase. La quantità di calore ceduta o acquistata dipende dalla
quantità di sostanza e dall’entalpia della transizione di fase (∆H 0vap o ∆H 0fus).
Equilibrio
velocità di vaporizzazione
>
Pressione di vapore
velocità di condensazione
(T costante)
Vuoto Gas
velocità di vaporizzazione
Tempo =
velocità di condensazione
Liquido Liquido
Tempo
A Le molecole nel liquido B Il numero delle molecole che C
vaporizzano entrano nel liquido nell'unità di
tempo è uguale al numero di
quelle che ne escono
−ΔH vap ⎛ 1 ⎞⎟
ln P = ⎜⎜ ⎟ + C
R ⎝ T ⎟⎠
=y m x + b
dove ln P è il logaritmo naturale della pressione di vapore, ∆Hvap è il calore di Figura 12.7 Diagramma
vaporizzazione, R è la costante universale dei gas [8,31 J/(mol ⋅ K)], T è la tempe rettilineo della relazione
tra pressione di vapore e
ratura assoluta e C è una costante (non correlata con il calore specifico molare).
temperatura. L’equazione di
Questa equazione, nota come equazione di Clausius-Clapeyron, offre un me Clausius-Clapeyron dà come
todo per trovare il calore di vaporizzazione, l’energia necessaria per vaporizzare curva rappresentativa una
1 mol di molecole nello stato liquido. L’equazione scritta in caratteri blu sot retta quando si rappresenta
to l’equazione di Clausius-Clapeyron è l’equazione di una retta, dove y = ln P, il logaritmo naturale della
pressione di vapore (ln P) in
x = 1/T, m (il coefficiente angolare, o pendenza, della retta) = −∆Hvap/R, e b
funzione del reciproco della
(l’intercetta della retta con l’asse y) = C. La Figura 12.7 presenta diagrammi per temperatura assoluta (1/T). Le
l’etere dietilico e l’acqua. Una versione dell’equazione espressa come equazione pendenze (coefficienti angola-
rappresentativa di una retta passante per due punti permette una determinazione ri) (−∆Hvap/R) permettono di
non grafica (analitica) di ∆Hvap: determinare i calori di vaporiz-
zazione dei due liquidi. Si noti
che la pendenza è maggiore
P2 −ΔH vap ⎛⎜ 1 1⎞ (la retta è più ripida) nel caso
ln = ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟ (12.1) dell’acqua perché il suo ∆Hvap è
P1 R ⎝ T2 T1 ⎠
maggiore.
T=
1 34, 9 °C + 273,15
= 308, 0 K
T2 = 3,52 × 102 K − 273,15 = 79 °C
Verifica Arrotondiamo per verificare la matematica. La variazione avviene nel verso giu
sto: a una P più alta dovrebbe corrispondere una T più alta. Come vedremo in seguito, una
sostanza ha una pressione di vapore di 760 mmHg in corrispondenza della sua temperatura
di ebollizione normale. Consultando il CRC Handbook of Chemistry and Physics vediamo che la
temperatura di ebollizione dell’etanolo è 78,5 °C, molto vicina al valore che abbiamo trovato.
minore sulla superficie del liquido, e quindi le molecole nel liquido necessitano di
meno energia cinetica per formare bolle. A quote basse, avviene l’opposto. Perciò, la
• Cuocere a bassa
alta pressione
o ad
Le persone che
temperatura di ebollizione dipende dalla pressione applicata. La temperatura di ebollizione vivono nelle regioni montuose o
vi fanno escursioni cuociono i loro
normale si osserva in corrispondenza della pressione atmosferica normale (760 mmHg, pasti a pressioni atmosferiche più
equivalente a 101,3 kPa; vedi la retta tratteggiata orizzontale nella Figura 12.6). basse che al livello del mare. La
Poiché la temperatura di ebollizione è la temperatura a cui la pressione di vapo conseguente più bassa temperatura
re è uguale alla pressione esterna, possiamo interpretare le curve della Figura 12.6 di ebollizione del liquido significa
che il cibo impiega più tempo
anche come un diagramma della pressione esterna in funzione della temperatura di per cuocere. D’altra parte, in una
ebollizione. Per esempio, la curva relativa a H2O indica che l’acqua bolle a 100 °C pentola a pressione, la pressione
alla pressione di 760 mmHg (al livello del mare), a 94 °C a 610 mmHg (Boulder, nel è maggiore di quella atmosferica,
Colorado) e a circa 72 °C a 270 mmHg (vetta del Monte Everest). quindi la temperatura all’interno
della pentola sale al di sopra della
temperatura di ebollizione normale.
Equilibri solido-liquido A livello molecolare, le particelle in un cristallo vibrano Il cibo sale a una temperatura più
continuamente attorno alle loro posizioni fisse. All’aumentare della temperatura, alta e quindi impiega meno tempo
le particelle vibrano più energicamente, finché alcune non acquistano energia ci per cuocere.
netica sufficiente per spostarsi dalle loro posizioni, e comincia la fusione. Via via
che aumenta il numero delle molecole che entrano nella fase liquida (fusa), alcune
urtano contro il solido e tornano a occupare posizioni fisse. Poiché le fasi rimango
no in contatto, si stabilisce un equilibrio dinamico quando la velocità di fusione (la
quantità di sostanza che fonde nell’unità di tempo) è uguale alla velocità di solidi
ficazione (la quantità di sostanza che solidifica nell’unità di tempo). La temperatura
a cui ciò avviene è la temperatura di fusione (o punto di fusione); è uguale alla
temperatura di solidificazione, differisce soltanto il verso in cui fluisce l’energia.
Come nel caso della temperatura di ebollizione, la temperatura di fusione rimane
costante finché sono presenti entrambe le fasi.
I liquidi e i solidi sono quasi incompressibili e quindi una variazione della
pressione ha scarso effetto sul numero di particelle che entrano nel solido o ne
escono nell’unità di tempo. Perciò, a differenza della temperatura di ebollizione,
la temperatura di fusione è influenzata pochissimo dalla pressione, e un diagram
ma della pressione (rappresentata sull’asse y) in funzione della temperatura (rap
presentata sull’asse x) per una transizione di fase solido-liquido è generalmente
una retta quasi verticale.
Equilibri solido-gas I solidi hanno pressioni di vapore molto più basse di quelle
dei liquidi. La sublimazione, il passaggio diretto dallo stato solido allo stato gasso
so, è molto meno familiare della vaporizzazione perché le condizioni necessarie
di temperatura e pressione non sono comuni per la maggior parte delle sostanze.
Alcuni solidi hanno pressioni di vapore sufficientemente alte per sublimare in con
dizioni ordinarie; alcuni esempi sono il “ghiaccio secco” (diossido di carbonio), lo
iodio (Figura 12.8), gli antitarme (canfora, naftalina) e i deodoranti ambientali so
lidi. Una sostanza sublima invece di fondere perché la combinazione di attrazioni
intermolecolari e pressione atmosferica non è grande a sufficienza per mantenere Figura 12.8 Sublimazione
le particelle l’una vicina all’altra quando esse abbandonano lo stato solido. Il dia dello iodio. A pressione atmo-
gramma della pressione in funzione della temperatura per la transizione solido-gas sferica ordinaria, lo iodio solido
sublima (passa direttamente
mostra un grande effetto della temperatura sulla pressione del vapore; perciò, ha un dallo stato solido allo stato
andamento simile a quello della curva rappresentativa della transizione liquido-gas gassoso). Quando il vapore di
in quanto si piega verso l’alto all’aumentare della temperatura. I2 giunge in contatto con una
superficie fredda, quale la
provetta interna piena d’ac-
Diagrammi di fase: l’effetto della temperatura qua, vi deposita cristalli di I2,
e della pressione sullo stato fisico il fenomeno inverso della subli-
mazione, detto brinamento. La
Per descrivere le transizioni di fase di una sostanza in varie condizioni di tem sublimazione è un mezzo di
peratura e pressione, costruiamo un diagramma di fase, che combina le curve purificazione che, insieme alla
distillazione, fu probabilmente
liquido-gas, solido-liquido e solido-gas. La forma del diagramma di fase per CO2,
scoperto dagli alchimisti. (Foto:
presentato nella Figura 12.9A, è tipica della maggior parte delle sostanze. Un dia © McGraw-Hill Education/
gramma di fase ha le seguenti quattro caratteristiche. Richard Megna, photographer).
DIAGRAMMI DI FASE 1. Regioni del diagramma di fase. Ciascuna regione corrisponde a una fase della sostan
E STATI DI AGGREGAZIONE za. Una particolare fase è stabile per ogni combinazione di temperatura e pressione
DELLA MATERIA
nella sua regione. Se qualcuna delle altre fasi viene posta in queste condizioni, essa
si trasformerà nella fase stabile. In generale, il solido è stabile a bassa temperatura
e alta pressione, il gas è stabile ad alta temperatura e bassa pressione, e il liquido è
stabile nelle condizioni intermedie.
2.Curve tra le regioni. Le linee che separano le regioni sono le curve di transizione
di fase esaminate precedentemente. Ogni punto lungo una curva rappresenta la
temperatura e la pressione a cui le due fasi coesistono in equilibrio. Si noti che la
curva solido-liquido ha pendenza positiva (si inclina verso destra al crescere della
pressione) perché, per la maggior parte delle sostanze, il solido è più denso del
liquido. Poiché il liquido occupa uno spazio lievemente maggiore di quello occu
pato dal solido, un aumento della pressione favorisce la fase solida nella maggior
parte dei casi. (L’acqua è la principale eccezione, come vedremo più avanti in
questo capitolo).
3. Il punto critico. La curva liquido-gas termina nel punto critico. Immaginiamo
un liquido in un recipiente chiuso. Quando viene riscaldato, il liquido si espande e
quindi la sua densità diminuisce. Simultaneamente, aumenta la quantità di liquido
che evapora, quindi la densità del vapore aumenta. La densità del liquido e quella
del vapore si avvicinano sempre più finché, in corrispondenza della temperatura
critica (Tc), le due densità diventano uguali e la separazione tra le fasi scompare.
La pressione in corrispondenza della temperatura critica è la pressione critica
(Pc). In questo punto, l’energia cinetica media delle molecole è così alta che il va
pore non può essere condensato indipendentemente dalla pressione applicata. I
due gas più comuni nell’aria hanno valori della temperatura critica molto minori
della temperatura ambiente: indipendentemente dalla pressione applicata, O2 non
condenserà a temperature superiori a −119 °C, e N2 non condenserà a temperature
punto critico
punto critico
(374 °C, 218 atm)
(31 °C, 73 atm)
SOLIDO LIQUIDO
SOLIDO LIQUIDO
Pressione (atm)
Pressione (atm)
fusione/
solidificazione
1,0
sublimazione/ vaporizzazione/ punto triplo
brinamento condensazione (0,01 °C,
0,006 atm) GAS
1,0 punto triplo
(−57 °C, 5,1 atm)
GAS
−78 31 −1 100
A. CO2 B. H2O
Figura 12.9 Diagrammi di fase per CO2 e H2O. Ciascuna regione visualizza le temperature e le pressioni a cui la fase è stabile.
Le linee di separazione tra due regioni qualsiasi indicano le condizioni in cui le due fasi coesistono in equilibrio. Il punto critico
indica le condizioni oltre le quali non esistono più la fase liquida e la fase gassosa separate. Al di sopra del punto critico, la fase
liquida non può esistere, indipendentemente dalla pressione. Nel punto triplo, le tre fasi coesistono in equilibrio. (Le scale sugli assi
non sono lineari). A. Il diagramma di fase per il CO2 è tipico della maggior parte delle sostanze in quanto la curva solido-liquido si
inclina verso destra al crescere della pressione: il solido è più denso del liquido. B. L’acqua è una delle poche sostanze la cui curva
solido-liquido si inclina verso sinistra al crescere della pressione: il solido è meno denso del liquido. (Le pendenze delle curve solido-
liquido in entrambi i diagrammi sono esagerate).
superiori a −147 °C. Oltre la temperatura critica, esiste un fluido supercritico anzi • Il notevole comporta-
mento di un fluido supercri-
ché una fase liquida e una fase gassosa separate (vedi nota a lato).
tico Che tipo di sostanza si trova
4. Il punto triplo. Le tre curve di transizione di fase si incontrano nel punto triplo: oltre le familiari regioni del liquido
la temperatura e la pressione a cui le tre fasi coesistono in equilibrio. Il diagramma e del gas? Un fluido supercritico si
dilata e si contrae come un gas ma
di fase per le sostanze con più forme solide, come lo zolfo, hanno più di un punto ha le proprietà solventi di un liquido,
triplo. Per quanto strano possa apparire, nel punto triplo nella Figura 12.9A, il CO2 proprietà che i chimici sono in grado
presenta simultaneamente sublimazione e brinamento, fusione e solidificazione, di variare regolando la densità. Il CO2
vaporizzazione e condensazione! supercritico è il fluido supercritico
che finora ha ricevuto più attenzione
Il diagramma di fase per CO2 spiega perché il “ghiaccio secco” (CO2 solido) dal settore pubblico e dall’industria.
non fonde in condizioni ordinarie. La pressione nel punto triplo per CO2 è 5,1 atm; Estrae ingredienti apolari da miscele
perciò, a circa 1 atm, non esiste CO2 liquido. Seguendo la retta tratteggiata orizzon complesse, per esempio la caffeina
tale nella Figura 12.9A, si può vedere che, quando CO2 solido viene riscaldato alla dai chicchi di caffè, la nicotina dal
tabacco, e i grassi dalle patatine fritte
pressione di 1,0 atm, esso sublima alla temperatura di −78 °C trasformandosi in e dai corn chip, senza asportare gli
CO2 gassoso invece di fondere. Se la pressione atmosferica ordinaria fosse 5,2 atm, ingredienti che conferiscono sapore
il CO2 liquido sarebbe comune. e aroma, per produrre prodotti di
Il diagramma di fase per l’acqua differisce sotto un aspetto essenziale dal caso consumo più sani. Se si abbassa
la pressione, il fluido supercritico
generale e rivela una proprietà estremamente importante (Figura 12.9B). A diffe si disperde immediatamente sotto
renza di quasi tutte le altre sostanze, l’acqua solida è meno densa dell’acqua liquida. forma di gas innocuo. Il CO2 super
Poiché il solido occupa più spazio rispetto al liquido, l’acqua si dilata quando solidi- critico scioglie il grasso dalla carne,
fica. Questo comportamento è dovuto alla peculiare struttura cristallina aperta del insieme ai residui di pesticidi e di far
maci, che poi possono essere quan
ghiaccio, che esamineremo in un paragrafo successivo. Come sempre, un aumento tificati e monitorati. At tual
mente
della pressione favorisce la fase che occupa meno spazio, ma nel caso dell’acqua viene studiato come detergente a
questa fase è quella liquida. Perciò, la curva solido-liquido per l’acqua ha pendenza secco rispettoso dell’ambiente. In
negativa (si piega verso sinistra al crescere della pressione): più alta è la pressione, un’inattesa scoperta di grande utilità
potenziale, l’H2O supercritica si è
più bassa è la temperatura a cui l’acqua solidifica. Per esempio, la retta tratteggiata dimostrata capace di sciogliere le
verticale in corrispondenza di −1 °C attraversa la curva solido-liquido, la qual cosa sostanze apolari anche se l’acqua
significa che il ghiaccio fonde con soltanto un aumento della pressione. liquida non ne è capace! Sono in
Il punto triplo dell’acqua si ha a bassa pressione (0,006 atm). Perciò, quando l’ac corso studi per effettuare la rimozio
ne su vasta scala delle sostanze orga
qua solida viene riscaldata alla pressione di 1,0 atm, la retta tratteggiata orizzontale niche tossiche, quali i PCB (bifenili
attraversa la curva solido-liquido (a 0 °C, la temperatura di fusione ordinaria) ed entra policlorurati), dai rifiuti industriali
nella regione liquida. Perciò, a pressioni ordinarie, il ghiaccio fonde invece di sublima estraendoli in H2O supercritica; dopo
re. All’aumentare della temperatura, la retta orizzontale attraversa la curva liquido-gas questa tappa, si aggiunge O2 gassoso
per ossidare le sostanze tossiche a
(a 100 °C, la temperatura di ebollizione ordinaria) ed entra nella regione del gas. piccole molecole innocue.
questa distanza è il raggio covalente. La distanza più lunga è quella tra due atomi di Cl
H
37 non legati in molecole adiacenti. È detta distanza di van der Waals [dal nome del fisico
110 olandese Johannes van der Waals che studiò gli effetti delle forze intermolecolari sul
4A(14) 5A(15) 6A(16) 7A(17) comportamento dei gas reali]. È la minima distanza di avvicinamento di molecole di
Cl2, il punto in cui le attrazioni intermolecolari equilibrano le repulsioni delle nuvole
C N O F
77 75 73 72 elettroniche. La metà di questa distanza è il raggio di van der Waals, la metà della
165 150 140 135 minima distanza reciproca dei nuclei di atomi di Cl identici non legati. Il raggio di van
P S Cl
der Waals di un atomo è sempre maggiore del suo raggio covalente, ma i raggi di van
110 103 100 der Waals diminuiscono da sinistra a destra lungo un periodo e aumentano dall’alto
190 185 180
al basso lungo un gruppo, così come fanno i raggi covalenti. La Figura 12.11 mostra
Br queste relazioni per molti dei non metalli.
114
195 Esistono parecchi tipi di forze intermolecolari: forze ione-dipolo, forze dipolo-
dipolo, forze di legame idrogeno, forze dipolo-dipolo indotto e forze di dispersio
I ne. Mentre esamineremo queste forze intermolecolari (dette anche forze di van der
133
215 Waals) si tenga presente la Tabella 12.2, che le confronta con le forze intramolecolari
(di legame) più forti e le elenca in ordine d’intensità relativa decrescente.
Figura 12.11 Tendenze perio
diche nei raggi covalenti e Forze ione-dipolo
nei raggi di van der Waals
(in picometri). Come i raggi Quando uno ione e una molecola polare (dipolo) vicina si attraggono mutuamente,
covalenti (quarti di cerchio blu si origina una forza ione-dipolo. L’esempio più importante si ha quando un com
e numeri superiori), i raggi di posto ionico si scioglie in acqua. Gli ioni si separano perché le attrazioni tra gli ioni
van der Waals (quarti di cerchio e i poli carichi di segno opposto delle molecole di H2O vincono le attrazioni tra
verdi e numeri inferiori) aumen-
tano dall’alto al basso lungo un
gli ioni stessi. Le forze ione-dipolo in soluzioni e l’energia a esse associata verranno
gruppo e diminuiscono da sini- esaminate esaurientemente nel Capitolo 13.
stra a destra lungo un periodo. Il
raggio covalente di un elemento Forze dipolo-dipolo
è sempre minore del suo raggio
di van der Waals.
Nella Figura 10.15 abbiamo visto come le molecole polari gassose vengono orientate
da un grande campo elettrico esterno. Quando le molecole polari sono l’una vicina
all’altra, come nei liquidi e nei solidi, le loro cariche parziali agiscono da minuscoli
Figura 12.12 Orientamento campi elettrici che le orientano e danno origine a forze dipolo-dipolo: il polo po
di molecole polari dovuto a sitivo di una molecola attrae il polo negativo di un’altra molecola. La Figura 12.12
forze dipolo-dipolo. Nello stato mostra questi orientamenti.
solido e nello stato liquido, le
molecole polari sono abbastan-
Sono queste le forze che conferiscono al cis-1,2-dicloroetilene polare una tem
za vicine affinché le cariche peratura di ebollizione superiore a quella del composto trans (vedi Paragrafo 10.4).
parziali di una molecola attrag-
gano le cariche opposte vicine,
in questo modo le molecole si
orientano. La disposizione è
più ordinata nella fase solida
(a sinistra) di una sostanza che
nella fase liquida (a destra) per-
ché, alle temperature più basse
necessarie per la solidificazione,
l’energia cinetica media delle
particelle è più bassa. (Gli spazi
interparticellari sono stati esa-
gerati per chiarezza).
Tabella 12.2 Confronto delle forze di legame e delle forze di non legame
(intermolecolari)
Base Energia
Forza Modello dell’attrazione (kJ/mol) Esempio
Forze di legame
Forze di Catione-anione 400-4000 NaCl
+ − +
legame ionico
− + −
+ − +
+ + +
In realtà, nel caso dei composti molecolari aventi all’incirca la stessa dimensione e la
stessa massa, maggiore è il momento di dipolo, maggiori sono le forze dipolo-dipolo
tra le molecole e, quindi, maggiore è l’energia necessaria per separarle.
Consideriamo le temperature di ebollizione dei composti nella Figura 12.13.
Per esempio, il cloruro di metile ha un momento di dipolo minore di quello del
l’acetaldeide e, quindi, è necessaria meno energia per vincere le forze dipolo-dipolo
tra le sue molecole e il composto bolle a una temperatura inferiore.
Il legame idrogeno
Un tipo particolare di forza dipolo-dipolo si origina tra molecole che hanno un atomo
di H legato a un atomo piccolo, altamente elettronegativo, con coppie di elettroni solitarie.
150 130
100
50
8
0
Propano Etere dimetilico Cloruro di metile Acetaldeide Acetonitrile
CH3CH2CH3 CH3OCH3 CH3Cl CH3CHO CH3CN
44,09 g/mol 46,07 g/mol 50,48 g/mol 44,05 g/mol 41,05 g/mol
Gli atomi più importanti che si adattano a questa descrizione sono quelli di N, O e
F. I legami H N, H O e H F sono altamente polari e quindi la densità elettroni
ca è allontanata da H. Di conseguenza, l’atomo di H parzialmente positivo di una
molecola è attratto verso la coppia solitaria parzialmente negativa sull’atomo di N,
O o F di un’altra molecola, e si forma un legame idrogeno. Perciò, la sequenza di
atomi che conduce a un legame idrogeno (linea punteggiata) è ,
dove sia A sia B sono N, O o F. Tre esempi sono
(c) Per . Due di queste molecole possono formare un legame idrogeno tra l’H
legato a N e O, oppure possono formare i due seguenti legami idrogeno:
H
H O H H H
O H N
H C C N H O C C H oppure H C C C C H
N H O
H H H N H H H
H
H
Una terza possibilità (non rappresentata) potrebbe essere tra un H legato a N su una mole
cola e la coppia solitaria di N di un’altra molecola.
Verifica È presente la sequenza (con A e B che rappresentano N, O o F).
Commento Si noti che l’atomo di H legato covalentemente all’atomo di C non forma legami
idrogeno perché l’atomo di carbonio non è abbastanza elettronegativo per rendere altamente
polare il legame C H.
Ma negli altri gruppi il primo membro in ciascuna serie — NH3, H2O e HF — devia
enormemente da questo aumento atteso perché legami idrogeno tengono unite
queste molecole. Perciò, è necessaria energia addizionale per rompere i legami idro
geno prima che le molecole possano separarsi ed entrare nella fase gassosa. Per
esempio, sulla base della sola massa molare, ci si attenderebbe che l’acqua bolla a
una temperatura di circa 200 °C più bassa rispetto a quella a cui bolle effettivamen
te (linea tratteggiata nella figura). (I legami idrogeno dell’acqua hanno molti effetti
importanti in natura; vedi Paragrafo 12.5).
Anche se la forza di un singolo legame idrogeno è relativamente piccola (∼5%
dell’energia di un tipico legame singolo covalente), la forza combinata di molti lega
mi idrogeno può essere grande. Consideriamo i legami idrogeno nell’acido deossiribo
nucleico (DNA), la molecola gigante presente in tutte le cellule dove funge da “pro
getto” genetico che governa la funzione e la struttura dell’intero organismo. Come
mostrato nella Figura 12.15, il DNA è costituito da due catene molecolari avvolte
l’una attorno all’altra in una lunga doppia elica (vedi anche la scheda Rappresenta
zione delle molecole, Capitolo 2). Legami covalenti forti legano gli atomi in ciascuna
delle due catene, ma le due catene avvolte l’una attorno all’altra sono unite tra loro
da milioni di legami idrogeno. L’energia totale dei legami idrogeno mantiene unite
le catene durante molti processi; ma ciascun legame idrogeno è così debole che se
ne può rompere un piccolo numero per volta consentendo alle catene di separarsi
durante i processi cruciali della sintesi proteica e della riproduzione cellulare.
Tra le particelle deve agire una forza attrattiva perché altrimenti queste sostanze
sarebbero gas in qualsiasi condizione. La forza intermolecolare che è la principale
responsabile degli stati condensati delle sostanze apolari è la forza di dispersione
(o forza di London, così chiamata dal nome del fisico tedesco Fritz London che
per primo spiegò la base quantomeccanica dell’attrazione).
Le forze di dispersione sono causate da oscillazioni momentanee della carica elet-
tronica. Nel tempo, la carica elettronica in un atomo è distribuita uniformemente
attorno al nucleo, e l’atomo è apolare. Ma in ogni istante la carica può non essere
7A 8A
distribuita uniformemente, e l’atomo ha un dipolo istantaneo capace d'influenzare (17) (18)
gli atomi vicini. Quando sono lontani l’uno dall’altro, gli atomi non si influenzano
Sostanza
reciprocamente. Però, quando sono vicini l’uno all’altro, il dipolo istantaneo presente modello
in ciascun atomo induce un dipolo nell’atomo vicino. Il risultato è un moto sincronizza massa molare
He
to degli elettroni nei due atomi, moto che dà origine a un’attrazione tra i due atomi. Temperatura 4,003
Questo processo avviene con altri atomi vicini e, quindi, in tutto il campione. A di ebollizione 4,22
(K)
temperature abbastanza basse, le attrazioni tra i dipoli mantengono uniti tutti gli
atomi. Perciò, le forze di dispersione sono forze istantanee dipolo-dipolo indotto. La F2 Ne
Figura 12.16 illustra le forze di dispersione tra molecole apolari. 38,00 20,18
Le forze di dispersione sono deboli, ma si esercitano tra qualsiasi tipo di particel- 85,0 27,1
Intensità crescente
quelle capaci di formare legami idrogeno, la forza di dispersione è la forza intermole-
colare dominante tra molecole identiche. L’intensità relativa della forza di dispersione Cl2 Ar
dipende dalla polarizzabilità della particella, la quale, a sua volta, dipende dalla 70,91 39,95
sua dimensione. In generale, perciò, le forze di dispersione aumentano all’aumentare 239 87,3
del numero di elettroni, il quale è strettamente correlato con la massa molare perché le
particelle con massa maggiore hanno più atomi e/o atomi più grandi (più “pesanti”) Br2 Kr
e quindi hanno più elettroni. Per esempio, la Figura 12.17 mostra che, così come 159,8 83,80
la massa molare aumenta dall’alto al basso lungo gli alogeni o i gas nobili, anche le 333 120
forze di dispersione aumentano, un fatto che si riflette nell’aumento delle tempera
ture di ebollizione.
Nel caso delle sostanze apolari con la stessa massa molare, l’intensità del I2 Xe
le forze di dispersione può essere influenzata dalla forma molecolare. Le forme 253,8 131,3
molecolari che permettono un maggior numero di punti di contatto hanno una 458 165
maggiore area su cui le nuvole elettroniche possono essere distorte e quindi ne
conseguono attrazioni più forti. Consideriamo gli idrocarburi n-pentano e neopen
Figura 12.17 Massa molare
tano, che hanno la stessa formula (C5H12) ma differenti forme. Come mostrato nella e temperatura di ebollizione.
Figura 12.18, l’n-pentano è una catena di cinque atomi di carbonio e ha una forma L’intensità delle forze di disper-
pressocchè cilindrica. Il neopentano ha due rami CH3 che si dipartono da una ca sione aumenta all’aumentare del
tena di tre atomi di carbonio e, quindi, ha una forma più sferica. Di conseguenza, numero di elettroni che, di solito,
è correlato con la massa molare.
due molecole di n-pentano fanno maggiore contatto l’una con l’altra rispetto a due
Un effetto è l’aumento della tem-
molecole di neopentano. Un maggiore contatto permette alle forze di dispersione peratura di ebollizione dall’alto
di agire in un maggior numero di punti, quindi l’n-pentano ha una temperatura di al basso lungo i gruppi per gli
ebollizione più alta. alogeni e i gas nobili.
H legato a
N, O o F
Solo ioni: Ioni e molecole Solo molecole Molecole Solo molecole
LEGAME IONICO polari: polari: polari e apolari: apolari:
(Paragrafo 9.2) FORZE FORZE FORZE solo FORZE
IONE-DIPOLO DIPOLO-DIPOLO LEGAME DIPOLO-DIPOLO DI DISPERSIONE
IDROGENO INDOTTO
Tensione superficiale
In un campione di liquido, le forze intermolecolari esercitano su una molecola
situata sulla superficie libera del liquido effetti diversi da quelli esercitati su una
molecola situata all’interno del liquido (Figura 12.20). Le molecole interne sono
attratte dalle altre da ogni lato, mentre le molecole sulla superficie libera sono sog
gette a un’attrazione netta (risultante) orientata all’ingiù e si muovono verso l’interno
per aumentare le attrazioni e diventare più stabili. Perciò, la superficie libera di un
liquido tende ad avere la minima area possibile, quella di una calotta sferica, e si com
porta come una “pelle tesa” che copre l’interno del liquido. Figura 12.20 Le basi mole-
Per aumentare l’area della superficie, le molecole devono muoversi verso la su colari della tensione super-
perficie vincendo alcune attrazioni nell’interno, un processo che richiede energia. ficiale. Le molecole situate
La tensione superficiale è l’energia necessaria per aumentare di una quantità uni all’interno di un liquido sono
soggette ad attrazioni intermo-
taria l’area della superficie. Alcuni valori rappresentativi, espressi in joule per metro
lecolari in tutte le direzioni. Le
quadrato (J/m2), sono presentati nella Tabella 12.3. Confrontando questi valori con molecole situate sulla superficie
quelli elencati nella Tabella 12.2, possiamo vedere che, in generale, più forti sono le del liquido sono soggette a
forze interparticellari in un liquido, maggiore è la tensione superficiale. L’acqua ha un’al un’attrazione netta orientata
ta tensione superficiale perché le sue molecole formano legami idrogeno multipli. verso il basso (freccia rossa) e si
muovono verso l’interno. Perciò,
I tensioattivi (o surfattanti), quali i saponi, i detergenti, gli agenti per il recupero
un liquido tende a minimizzare il
del petrolio versato accidentalmente e gli emulsionanti biologici dei grassi, dimi numero di molecole sulla super-
nuiscono la tensione superficiale dell’acqua aggregandosi sulla superficie e rompen ficie, il che genera la tensione
do i legami idrogeno. superficiale.
Capillarità
La salita di un liquido in uno spazio stretto, in apparente contrasto con le ordinarie
leggi della statica dei liquidi, è detta azione capillare o capillarità. Questo fenome
no viene sfruttato durante le semplici analisi del sangue, in cui viene punto un dito
e viene applicato un tubo sottile, detto tubo capillare, contro l’apertura praticata
nella cute. La capillarità è dovuta a una competizione tra le forze intermolecolari
entro il liquido (forze coesive) e quelle tra il liquido e le pareti del tubo (forze
adesive).
Immaginiamo ciò che avviene a livello molecolare quando si introduce nell’ac
qua un tubo capillare di vetro. Il vetro è costituito in prevalenza da diossido di silicio
(SiO2), quindi le molecole d’acqua formano legami idrogeno con gli atomi di ossige
no della parete interna del tubo. Poiché le forze adesive (legami idrogeno) tra l’acqua
e la parete sono più forti delle forze coesive (legami idrogeno) entro l’acqua, uno
strato sottile di acqua risale la parete. Al tempo stesso, le forze coesive che danno
origine alla tensione superficiale mantengono tesa la superficie del liquido. Queste
forze adesive e coesive si combinano per innalzare il livello dell’acqua e generano il
familiare menisco concavo (Figura 12.21A). Il liquido sale finché la forza di gravità
orientata verso il basso non è equilibrata dalle forze adesive orientate verso l’alto.
D’altra parte, se si introduce un tubo capillare di vetro in una vaschetta di mer
curio, il livello del mercurio nel tubo scende al di sotto di quello nella vaschetta.
Il mercurio ha una tensione superficiale più alta di quella dell’acqua (vedi Tabel
la 12.3), la qual cosa significa che ha forze coesive (legami metallici) più forti. Le
forze coesive tra gli atomi di mercurio sono molto più forti delle forze adesive (in
prevalenza forze di dispersione) tra il mercurio e il vetro, quindi il liquido tende
a separarsi dalle pareti. Al tempo stesso, gli atomi nella superficie vengono attratti
verso l’interno del mercurio dalla sua stessa tensione superficiale, quindi il livello
del mercurio si abbassa. La combinazione di queste forze genera un menisco con Tabella 12.4 Viscosità
vesso (Figura 12.21B), osservato in un barometro o in un manometro di laboratorio. dell’acqua a
varie temperature
Viscosità Temperatura Viscosità
Quando un liquido fluisce, le sue molecole scorrono l’una accanto all’altra. La viscosi- (°C) (N · s/m2)*
tà di un liquido, la sua resistenza allo scorrimento, è dovuta alle attrazioni intermole 20 1,00 u103
colari che si oppongono al movimento. Sia i gas sia i liquidi fluiscono, ma le viscosità 40 0,65 u103
dei liquidi sono più alte perché le forze intermolecolari agiscono su distanze molto 60 0,47 u103
più corte. 80 0,35 u103
La viscosità diminuisce all’aumentare della temperatura, come mostrato dalla * L'unità di misura della viscosità nel
Tabella 12.4 nel caso dell’acqua. Quando le molecole si muovono a velocità più alte Sistema Internazionale è il newton per
secondo su metro quadrato (N · s/m2).
a temperature più alte, esse sono capaci di vincere più facilmente le forze intermo
lecolari e quindi la viscosità diminuisce. Per esempio, quando versiamo dell’olio in
una padella e lo riscaldiamo, possiamo osservare che l’olio fluisce più facilmente e
si disperde per formare uno strato sottile.
Nella viscosità di un liquido interviene la forma molecolare. Le molecole lun
ghe fanno più contatto l’una con l’altra rispetto a quelle sferiche e quindi, per gli
stessi tipi di forze, i liquidi contenenti molecole lunghe hanno viscosità più alte. Un
esempio sorprendente di variazione di viscosità si osserva durante la preparazione
di uno sciroppo. Anche a temperatura ambiente, una soluzione acquosa concentra
ta di zucchero ha una viscosità superiore a quella dell’acqua a causa dei legami
idrogeno tra i molti gruppi ossidrile ( OH) sulle molecole di zucchero a forma di
anello. Quando si riscalda lentamente la soluzione portandola all’ebollizione, le mo
lecole di zucchero reagiscono l’una con l’altra e si legano covalentemente, forman
do gradualmente lunghe catene. Legami idrogeno e forze di dispersione sono pre
senti in molti punti lungo le catene, e lo sciroppo che si forma è un liquido viscoso
che scorre lentamente e aderisce a un cucchiaio. Quando uno sciroppo viscoso
viene raffreddato, può diventare così rigido da poter essere sollevato e disteso a
formare una caramella morbida. La scheda Proprietà dei liquidi presenta altri esempi
familiari di queste tre proprietà dei liquidi.
Per la sua capacità di sciogliere così tante sostanze, l’acqua è il solvente ambientale
e biologico, che forma le soluzioni complesse che chiamiamo oceani, mari, laghi,
corsi d’acqua e liquidi cellulari. Gli animali acquatici non potrebbero sopravvivere
senza O2 disciolto, né le piante acquatiche potrebbero sopravvivere senza CO2 di
sciolto. Le scogliere coralline che coprono il fondo del mare alle latitudini tropicali
sono costituite da carbonati prodotti da minuscoli animali marini a partire da CO2
e HCO3− disciolti. Si ritiene che la vita si sia originata in un “brodo primordiale”, una
miscela acquosa di biomolecole semplici da cui emersero le molecole più grandi le
cui reazioni automantenute sono caratteristiche degli esseri viventi. Da un punto di
vista chimico, tutti gli organismi, dai batteri agli esseri umani, possono essere consi
derati come sistemi organizzati di membrane che racchiudono e compartimentano
soluzioni acquose complesse.
Proprietà molecolari
dell’acqua
Polarità
Legame idrogeno
Solvente Capacità
Tensione Struttura
per composti termica
superficiale aperta
ionici e di
e capillarità del ghiaccio
e molecolari vaporizzazione
• ioni nell'acqua di mare, • stretto intervallo • vita acquatica sulla • sopravvivenza della vita
nell'acqua dolce naturale di temperature corporee superficie dei laghi lacustre in inverno
e nel liquido cellulare
• stretto intervallo • acqua nel suolo per • turnover dei nutrienti
• CO2 disciolto per scogliere di temperature planetarie le piante nei laghi
madreporiche e piante
• ciclo naturale dell'acqua • formazione di rocce,
acquatiche
ciottoli, sabbia, suolo
• venti e temporali
• O2 disciolto per gli animali
acquatici
• zuccheri, proteine ecc.
disciolti
–1di atomo in
–1 –1di atomo in 8
8 di atomo in 8 8 vertici
8 vertici 8 vertici
1
–
1 atomo nel 2 di atomo nel
centro di 6 facce
centro della cella
1 1 1 1
Atomi/cella elementare = 8– × 8 = 1 Atomi/cella elementare = ( 8– × 8) + 1 = 2 Atomi/cella elementare = ( 8– × 8) + ( 2– × 6) = 4
Figura 12.27 Le tre celle elementari cubiche. A. Cella elementare cubica semplice. B. Cella elementare cubica a corpo cen-
trato. C. Cella elementare cubica a facce centrate. Prima riga: disposizioni cubiche di atomi in vista espansa. Seconda riga: visua-
lizzazione space-filling di queste disposizioni cubiche. Per chiarezza, gli atomi nei vertici sono rappresentati in blu, gli atomi nel
centro del corpo della cella in rosa e gli atomi nel centro delle facce in giallo. Terza riga: una cella elementare (ombreggiatura
blu) in una porzione del cristallo. Una particella (blu scuro in centro) circondata dal numero dato di primi vicini indica il numero
di coordinazione. Riga inferiore. Numeri totali di atomi nelle celle elementari effettive. La cella elementare cubica semplice ha un
solo atomo, la cella elementare cubica a corpo centrato ne ha due, e la cella elementare cubica a facce centrate ne ha quattro.
Nel caso di particelle dello stesso raggio, maggiore è il numero di coordinazione del
cristallo, maggiore è il numero di particelle in un dato volume. Perciò, come indicano
i numeri di coordinazione nella Figura 12.27, una struttura cristallina basata sulla
cella elementare a facce centrate contiene più particelle impaccate in un dato vo
lume rispetto a una basata sulla cella elementare cubica a corpo centrato, la quale
ne contiene di più rispetto a una basata sulla cella elementare cubica semplice.
Vediamo come si possono impaccare sfere dello stesso raggio per creare queste celle
elementari e anche la cella elementare esagonale.
1. La cella elementare cubica semplice. Supponiamo di disporre il primo strato di
sfere come viene mostrato nella Figura 12.28A. Si notino i grandi spazi rombici
(spaccato). Se collochiamo il successivo strato di sfere direttamente sopra il primo,
come mostrato nella Figura 12.28B, otteniamo una disposizione basata sulla cella
elementare cubica semplice. Se calcoliamo l’efficienza di impaccamento (o di
impacchettamento) di questa disposizione, cioè la percentuale del volume totale oc
cupata dalle sfere stesse, troviamo che soltanto il 52% del volume disponibile delle
celle elementari è occupato da sfere e che il 48% è costituito dallo spazio vuoto tra
di esse. Questo modo di impaccare le sfere è molto inefficiente e quindi né i frutti
né gli atomi sono di solito impaccati in questo modo.
2. La cella elementare cubica a corpo centrato. Invece di collocare il secondo strato
direttamente sul primo, possiamo sfruttare più efficientemente lo spazio collocan
do le sfere (colorate differentemente per chiarezza) sugli spazi rombici nel primo
strato, come mostrato nella Figura 12.28C. Poi impacchiamo il terzo strato sugli
spazi nel secondo in modo che il primo strato e il terzo si allineino verticalmente.
Questa disposizione si basa sulla cella elementare cubica a corpo centrato e la sua
efficienza di impaccamento è pari al 68%, molto maggiore di quella consentita dal
la cella elementare cubica semplice. Parecchi elementi metallici, comprendenti il
cromo, il ferro e tutti gli elementi del Gruppo 1A(1), hanno una struttura cristallina
basata sulla cella elementare cubica a corpo centrato.
3. La cella elementare esagonale e la cella elementare cubica a facce centrate. Le sfere
possono essere impaccate ancor più efficientemente. Prima spostiamo i filari nello
strato di fondo in modo tale che gli spazi rombici grandi diventino spazi triangolari
più piccoli. Poi collochiamo il secondo strato su questi spazi. La Figura 12.28D mostra
questa disposizione, con il primo strato contrassegnato con a (in arancio) e il secondo
strato con b (in verde).
Possiamo collocare il terzo strato di sfere in due modi e, a seconda del modo
adottato, si originano due differenti celle elementari. Se guardiamo attentamente
gli spazi formati nello strato b della Figura 12.28D, vediamo che alcuni sono di
colore arancio perché giacciono sopra sfere nello strato a, mentre altri sono bianchi
perché giacciono sopra spazi nello strato a. Se collochiamo il terzo strato di sfere (in
arancio) sopra gli spazi di colore arancio (verso il basso e a sinistra fino alla Figura
12.28E), esse giacciono direttamente su sfere nello strato a e otteniamo uno sche
ma di stratificazione abab... perché ogni altro strato è collocato in modo identico.
Otteniamo così l’impaccamento esagonale compatto (hexagonal closest packing,
hcp), basato sulla cella elementare esagonale.
D’altra parte, se collochiamo il terzo strato di sfere (in blu) sugli spazi bianchi
(verso il basso e a destra fino alla Figura 12.28F), le sfere giacciono su spazi nello
strato a. Questa collocazione è diversa sia dallo strato a sia dallo strato b, quindi ot
teniamo uno schema abcabc... Otteniamo così l’impaccamento cubico compat-
to (cubic closest packing, ccp), basato sulla cella elementare cubica a facce centrate.
L’efficienza di impaccamento sia dell’esagonale compatto sia del cubico com
patto è pari al 74% e il numero di coordinazione di entrambi è 12. È impossibile
impaccare sfere dello stesso raggio in modo più efficiente. La maggior parte degli
elementi metallici cristallizzano nell’una o nell’altra di queste disposizioni. Il ma
strato a
strato b
successivo strato c
strato a
o all’
ent to im
am t cub pacc
p acc ompa ico am
im c com ento
all’ onale pat
g to
esa
Figura 12.28 Impaccamento di sfere. A. Nel primo strato, ciascuna sfera è adiacente a un’altra sfera orizzontalmente e ver-
ticalmente; si notino i grandi spazi rombici (spaccato). B. Se le sfere nello strato successivo sono poste direttamente sopra quelle
nel primo strato, l’impaccamento è basato sulla cella elementare cubica semplice (cubo arancio chiaro, vertice inferiore destro).
C. Se le sfere nello strato successivo sono poste negli spazi rombici dello strato precedente, l’impaccamento è basato sulla cella
elementare cubica a corpo centrato (vertice inferiore destro). D. L’impaccamento più compatto possibile del primo strato (a; in
arancio) si ottiene spostando ogni altro filare nella parte A, riducendo così gli spazi rombici a spazi triangolari più piccoli. Le
sfere del secondo strato (b; in verde) sono poste sopra queste sfere; si notino gli spazi arancio e bianchi che ne conseguono. E. Si
segua la freccia sinistra a partire dalla parte D per ottenere l’impaccamento esagonale compatto. Quando il terzo strato (a; in
arancio) è posto direttamente sul primo, si ottiene uno schema abab... Ruotando di 90° gli strati si ottengono la vista laterale, con
la cella elementare esagonale mostrata come uno spaccato, e la vista laterale espansa. F. Si segua la freccia destra partendo da
D per ottenere l’impaccamento cubico compatto. Quando il terzo strato (c; in blu) copre gli spazi bianchi, giace in una differente
posizione rispetto al primo e al secondo strato per dare lo schema abcabc... Ruotando di 90° gli strati si ottiene la vista laterale,
con la cella elementare cubica a facce centrate come spaccato, e un’ulteriore inclinazione mostra chiaramente la cella elemen-
tare; infine, si vede la vista espansa. L’efficienza di impaccamento è indicata tra parentesi per ciascuna cella elementare.
Strato di E
Analisi per diffrazione di raggi X
particelle 2
Fascio non
L’analisi per diffrazione di raggi X è usata da decenni per diffratto
determinare le strutture cristalline. Nel Capitolo 7 abbiamo
esaminato la diffrazione delle onde e abbiamo visto come si Figura S12.1 Diffrazione di raggi X da parte di piani
formano figure di interferenza fatte di regioni chiare (lumi cristallini. Quando i fasci di raggi X A e B in accordo di fase en-
nose) e oscure (buie) quando la luce attraversa fenditure la trano in un cristallo con un’inclinazione θ, essi vengono diffratti
cui distanza reciproca è dell’ordine della lunghezza d’onda dall’interazione con le particelle. Il fascio B percorre il cammino
della luce stessa (vedi Figura 7.5). Nel 1912, il fisico teorico DE + EF in più rispetto al fascio A. Se questo cammino addizio-
tedesco Max von Laue, basandosi sul fatto che le lunghezze nale è uguale a un multiplo della lunghezza d’onda secondo
d’onda dei raggi X sono dell’ordine di grandezza degli spazi un numero intero, i due fasci rimangono in accordo di fase e
formano una macchia su uno schermo di osservazione o su una
fra strati di particelle in molti solidi, ipotizzò che questi
lastra fotografica. In base alla figura di macchie e all’equazione
strati potessero diffrangere i raggi X. (In realtà, von Laue di Bragg, nλ = 2d sin θ, si può calcolare la distanza d fra gli
formulò questa ipotesi per verificare se i raggi X fossero di strati di particelle.
natura particellare oppure ondulatoria). La diffrazione dei
raggi X fu presto riconosciuta come un potente strumento
per determinare la struttura di un solido. Ruotando il cristallo si varia l’inclinazione della radiazione
Vediamo come si usa questa tecnica per misurare un incidente e si produce un differente insieme di macchie,
parametro essenziale nella struttura di un cristallo: la di finendo per generare una figura di diffrazione completa
stanza (d) fra strati di atomi. La Figura S12.1 presenta una che si può usare per determinare le distanze e gli angoli
vista laterale di due strati in un reticolo semplificato. Due nel reticolo (Figura S12.2). La figura di diffrazione non
onde incidono sul cristallo con un’inclinazione θ e vengono è un’immagine effettiva della struttura cristallina, bensì
diffratte con lo stesso angolo da strati adiacenti. Quando la deve essere analizzata matematicamente per ottenere le
prima onda incide sullo strato superiore e la seconda incide dimensioni del cristallo. Un moderno apparecchio per l’a
sullo strato successivo, le onde sono in accordo di fase (i nalisi per diffrazione di raggi X ruota automaticamente il
picchi sono allineati con i picchi, le valli con le valli). Se cristallo e misura migliaia di diffrazioni, e un computer
esse sono ancora in accordo di fase dopo essere state dif calcola i parametri di interesse.
fratte, su una lastra fotografica vicina compare una macchia. L’analisi per diffrazione di raggi X permette di risolvere
Si noti che ciò avverrà soltanto se il cammino addizionale problemi in molte branche della chimica, ma ha avuto il
percorso dalla seconda onda (DE + EF nella figura) è pari massimo impatto in biochimica. Ha permesso di stabilire
a un multiplo della lunghezza d’onda secondo un numero che il DNA esiste sotto forma di una doppia elica e aiuta
intero, nλ, dove n è un numero intero (1, 2, 3 . . .). La trigo attualmente i biochimici a determinare la relazione fra la
nometria indica che struttura tridimensionale di una proteina e la sua funzione.
Solido
cristallino
B
Lastra
fotografica
C Cristallo di proteina
Molecola di proteina
Figura S12.2 Formazione di una figura di diffrazione dei raggi X da parte della proteina emoglobina. A. Il campione di
emoglobina cristallina viene ruotato per ottenere molti differenti angoli di raggi X incidenti e diffratti. B. Si ottiene una figura di
diffrazione come una serie complessa di macchie. (La grande macchia bianca nel centro è l’ombra di parte dell’apparecchio).
C. L’analisi computerizzata mette in relazione la figura di diffrazione con le distanze e gli angoli nel cristallo, fornendo dati impie-
gati per generare un’immagine della molecola di emoglobina.
sica nel 1986 per la loro invenzione. Questa tecnica si piccola differenza di potenziale elettrico agli estremi di
basa sul concetto quantomeccanico secondo cui un elet questo piccolo intervallo per aumentare la probabilità che
trone in un atomo ha una piccola probabilità di esistere gli elettroni lo attraversino per effetto tunnel. L’ampiezza
lontano dal nucleo e, quindi, nelle condizioni appropriate, dell’intervallo è mantenuta costante mantenendo costante
è in grado di attraversare una barriera di potenziale che la corrente di tunnel generata dagli elettroni che attraver
non potrebbe attraversare secondo la meccanica classica sano l’intervallo per effetto tunnel. Affinché ciò avvenga, la
(effetto “tunnel”) e finire più vicino a un altro atomo. sonda deve muoversi di piccole distanze su e giù seguendo
In pratica, gli elettroni che subiscono l’effetto tunnel l’andamento atomico della superficie. Questo movimento
generano una corrente (corrente di tunnel) che può essere è controllato elettronicamente e, dopo molte scansioni, si
usata per formare un’immagine degli atomi di una super ottiene una mappa tridimensionale della superficie. Questo
ficie adiacente. Una sonda con punta di tungsteno estre metodo ha permesso di formare magnifiche immagini di
mamente sottile, la sorgente degli elettroni che subisco atomi e molecole deposte su superfici e viene usato per
no l’effetto tunnel, è posta molto vicino alla superficie da studiare molti aspetti delle superfici, quali la natura dei
esaminare (a una distanza di circa 0,5 nm). Si applica una difetti e l’adesione dei film.
Verifica L’ordine di grandezza è corretto per un atomo (10−8 cm 10−10 m). Il valore
effettivo è 2,22 × 10−8 cm (vedi Figura 8.15), quindi il risultato sembra corretto.
La nostra comprensione dei solidi si basa sulla capacità di “vedere” le loro strutture
cristalline. Due tecniche usate a questo scopo sono descritte nella scheda Analisi per dif-
frazione di raggi X e microscopia elettronica a scansione a effetto tunnel riportata a pag. 376.
Solidi atomici I singoli atomi tenuti uniti da forze di dispersione formano un soli-
do atomico. I gas nobili [Gruppo 8A(18)] sono gli unici esempi e le loro proprietà
fisiche rispecchiano le debolissime forze che si esercitano tra i loro atomi. Le tempe
rature di fusione e di ebollizione e i calori di vaporizzazione e di fusione sono tutti
bassissimi e aumentano con andamento regolare all’aumentare della massa molare.
Come illustrato nella Figura 12.29, l’argon cristallizza in una struttura cubica impac
cata in modo compatto. Gli altri solidi atomici cristallizzano nello stesso modo.
Solidi molecolari Nelle molte migliaia di solidi molecolari i punti reticolari
sono occupati da molecole individuali. Per esempio, il metano cristallizza in una
struttura cubica a facce centrate, mostrata nella Figura 12.30, con l’atomo di carbo Figura 12.29 Impaccamento
cubico compatto dell’argon
nio di una molecola centrato su ciascun punto reticolare. solidificato. Gli elementi del
Nei solidi molecolari operano varie combinazioni di forze dipolo-dipolo, forze Gruppo 8A(18) formano solidi
di dispersione e forze di legame idrogeno, il che spiega la loro ampia gamma di pro atomici che adottano l’impac-
prietà fisiche. Le forze di dispersione sono le principali forze agenti nelle sostanze camento cubico compatto (cella
elementare a facce centrate).
apolari, quindi le temperature di fusione aumentano generalmente all’aumentare
della massa molare (Tabella 12.5). Tra le molecole polari, dominano le forze dipolo-
dipolo e, quando è possibile, i legami idrogeno. Eccettuate le sostanze costituite
dalle molecole più semplici, i solidi molecolari hanno temperature di fusione più
alte di quelle dei solidi atomici (gas nobili). Ciononostante, le forze intermolecolari
sono ancora relativamente deboli e, quindi, le temperature di fusione sono molto
più basse di quelle dei solidi ionici, covalenti reticolari e metallici.
Figura 12.30 Impaccamento cubico compatto del metano solidificato. Il metano adotta
una cella elementare cubica a facce centrate, con un atomo di C centrato su ciascun punto
reticolare. È mostrata soltanto una molecola di CH4 in un sito.
Solidi ionici Nei solidi ionici, cristallini, la cella elementare contiene particelle
con cariche intere anziché parziali. Di conseguenza, le forze interparticellari (forze
di legame ionico) sono molto più forti delle forze di van der Waals presenti nei
solidi atomici o molecolari. Per massimizzare le attrazioni, i cationi sono circondati
dal numero massimo possibile di anioni, e viceversa, con il più piccolo dei due ioni
giacente negli spazi (buchi) formati dall’impaccamento di quello più grande. La cella
elementare, essendo la più piccola parte del cristallo che mantiene la disposizione
spaziale complessiva, è anche la più piccola parte che mantiene la composizione
chimica complessiva. In altre parole, la cella elementare ha lo stesso rapporto cationi/
anioni della formula empirica.
I composti ionici adottano parecchie differenti strutture cristalline, ma mol
ti usano l’impaccamento cubico compatto. Consideriamo anzitutto due strut
ture che hanno un rapporto 1 : 1 degli ioni. La struttura del cloruro di sodio è
presente in molti composti, comprendenti la maggior parte degli alogenuri e
degli idruri dei metalli alcalini [Gruppo 1A(1)], gli ossidi e i solfuri dei metalli
alcalino-terrosi [Gruppo 2A(2)], parecchi ossidi e solfuri dei metalli di transizione
e la maggior parte degli alogenuri d’argento. Per visualizzare questa struttura,
prima immaginiamo gli anioni Cl− e i cationi Na+ organizzati separatamente
in disposizioni cubiche a facce centrate (impaccamento cubico compatto). La
struttura cristallina si origina quando queste due disposizioni di ioni si compe
netrano in modo tale che gli ioni Na+ più piccoli finiscano nei buchi tra gli ioni
Cl− più grandi, come mostrato nella Figura 12.31A. Perciò, ciascuno ione Na+ è
circondato da sei ioni Cl−, e viceversa (numero di coordinazione = 6). La Figu
ra 12.31B è una visualizzazione space-filling della cella elementare che mostra un
cubo a facce centrate di ioni Cl− con ioni Na+ interposti tra di essi. Si noti che
quattro ioni Cl− [(8 × 18 ) + (6 × 12) = 4 Cl−] e quattro ioni Na+ [(12 × 14) + 1 nel cen
tro = 4 Na+], danno un rapporto degli ioni pari a 1 : 1.
Un’altra struttura con rapporto degli ioni 1 : 1 è la struttura della zincoblenda (o
blenda) (solfuro di zinco, ZnS). Può essere visualizzata come due disposizioni cubi
che a facce centrate, una di ioni Zn2+ e l’altra di ioni S2−, che si compenetrano in
modo tale che ciascuno ione sia circondato tetraedricamente da quattro ioni di ca
rica opposta (numero di coordinazione = 4). Si noti il rapporto 1 : 1 degli ioni nella
cella elementare mostrata nella Figura 12.32. Molti altri composti, comprendenti
AgI, CdS e gli alogenuri di Cu(I) adottano la struttura della zincoblenda.
La struttura della fluorite (fluoruro di calcio, CaF2) è comune tra i sali con rap
porto cationi/anioni pari a 1 : 2, specialmente tra quelli che hanno cationi relativa
mente grandi e anioni relativamente piccoli. Nel caso di CaF2, la cella elementare è
una disposizione cubica a facce centrate di ioni Ca2+ con ioni F− che occupano tutti
CELLE ELEMENTARI
CUBICHE E LORO ORIGINI
Figura 12.32 La struttura della zincoblenda. Il solfuro di zinco adotta la struttura della
zincoblenda (o blenda). A. Il cubo traslucido mostra una disposizione cubica a facce centrate
di 4 ioni S2− (in giallo) [dati da (8 × 21 ) + (6 × 81 ) = 4] che circondano tetraedricamente ciascu-
no di quattro ioni Zn2+ (in grigio) per dare la formula empirica 1 : 1. (I legami sono mostrati
soltanto per chiarezza). B. La cella elementare effettiva lievemente espansa per mostrare gli
ioni interni.
gli otto buchi disponibili (Figura 12.33). Ne consegue un rapporto Ca2+ : F− pari
a 4 : 8 ossia a 1 : 2. Anche SrF2 e BaCl2 hanno la struttura della fluorite. La struttura
dell’antifluorite si osserva spesso in composti aventi un rapporto cationi : anioni pari
a 2 : 1 e un anione relativamente grande (per esempio, K2S). In questa struttura, i
cationi occupano tutti gli otto buchi formati dall’impaccamento cubico compatto
degli anioni, esattamente l’opposto della struttura della fluorite.
Le proprietà dei solidi ionici sono una conseguenza diretta delle posizioni fisse
degli ioni e delle forze interioniche molto forti, che creano un’alta energia reticolare.
Perciò, i solidi ionici hanno generalmente temperature di fusione alte e conduttivi
tà elettriche basse. Quando si fornisce una grande quantità di calore e gli ioni acqui
stano energia cinetica sufficiente per abbandonare le loro posizioni, il solido fonde
Figura 12.33 La struttura
e gli ioni mobili conducono corrente elettrica. I composti ionici sono duri perché della fluorite. Il fluoruro di
soltanto una forza esterna forte è in grado di variare le posizioni relative di molte calcio adotta la struttura della
migliaia di miliardi di ioni interagenti. Se si applica una forza sufficiente per variare fluorite. A. Il cubo traslucido
le posizioni degli ioni, gli ioni di carica dello stesso segno vengono avvicinati l’uno mostra una disposizione cubica
a facce centrate di quattro ioni
all’altro e le loro repulsioni rompono il cristallo (vedi Figura 9.8).
Ca2+ (in blu) che circondano
Solidi metallici A differenza delle deboli forze di dispersione tra gli atomi nei tetraedricamente ciascuno degli
otto ioni F− (in giallo) per dare
solidi atomici, potenti forze di legame metallico tengono uniti gli atomi individuali
il rapporto 4 : 8, ossia 1 : 2. B. La
nei solidi metallici. La maggior parte degli elementi metallici cristallizzano in cella elementare effettiva (lie-
una delle due strutture a impaccamento compatto (Figura 12.34). vemente espansa).
Le proprietà dei metalli – elevata conduttività elettrica e termica, lucentezza,
duttilità e malleabilità – sono dovute alla presenza di elettroni delocalizzati, la ca
ratteristica essenziale del legame metallico (introdotto nel Paragrafo 9.5). I metalli
hanno un ampio intervallo di temperature di fusione e di durezze, che sono in rela
zione con l’efficienza di impaccamento della struttura cristallina e con il numero di
elettroni di valenza disponibili per la formazione dei legami. Per esempio, i metalli
del Gruppo 2A(2) sono più duri e più altofondenti dei metalli del Gruppo 1A(1)
(vedi Figura 9.23), perché i metalli del Gruppo 2A(2) hanno strutture a impacca
mento compatto (eccettuato Ba) e il doppio di elettroni di valenza delocalizzati.
Solidi covalenti reticolari Nell’ultimo tipo di solido cristallino, non sono pre
senti particelle separate. Invece, forti legami covalenti legano tra loro gli atomi in
un solido covalente reticolare. In conseguenza dei legami forti, tutte queste
Figura 12.34 Strutture cristalline dei metalli. La maggior parte degli elementi metallici
cristallizzano in una delle disposizioni a impaccamento compatto. A. Il rame adotta l’impac-
camento cubico compatto. B. Il magnesio adotta l’impaccamento esagonale compatto.
metalliche più forti dell’acciaio e più leggere dell’alluminio; articoli sportivi fatti dei
materiali dei veicoli spaziali; macchine ultrapiccole costruite manipolando singoli
atomi e singole molecole. In questo paragrafo esamineremo brevemente alcuni di
questi notevoli materiali.
Materiali elettronici
L’ideale di un cristallo perfettamente ordinato è raggiungibile soltanto se è fatto
crescere molto lentamente in condizioni accuratamente controllate. Quando i cri
stalli si formano più rapidamente, si creano inevitabilmente difetti cristallini. I
piani di particelle sono allineati in modo errato, le particelle occupano posizioni
errate o sono del tutto assenti, e nel reticolo sono insediate particelle estranee.
Anche se i difetti cristallini indeboliscono di solito una sostanza, essi vengono
introdotti talvolta intenzionalmente per creare materiali con proprietà migliorate,
per esempio una maggiore resistenza o durezza o, come vedremo tra poco, per au
mentare la conduttività di un materiale da usare in dispositivi elettronici. Per esem
pio, nel processo di saldatura di due metalli tra loro, si formano vacanze atomiche in
Figura 12.39 Strutture cri- prossimità della superficie quando atomi evaporano e poi queste vacanze si trasfe
stalline e rappresentazioni
delle bande di semiconduttori
riscono in profondità quando atomi di filari inferiori salgono a riempire le vacanze.
drogati. A. Il silicio puro ha la La saldatura fa sì che i due tipi di atomi metallici si mescolino e riempiano l’uno
stessa struttura cristallina del le vacanze dell’altro. La formazione di leghe metalliche introduce parecchi tipi di
diamante, ma si comporta come difetti, come quando alcuni atomi di un secondo metallo occupano siti reticolari
un semiconduttore; l’intervallo del primo. La lega è spesso più dura del metallo puro; un esempio è l’ottone, una
proibito di energia (gap di ener-
gia) tra la sua banda di valenza
lega di rame e zinco. Un motivo per cui i metalli saldati sono più resistenti e la lega
e la sua banda di conduzione è più dura è il fatto che il secondo metallo fornisce elettroni di valenza addizionali
mantiene bassa la sua condut- per il legame metallico.
tività a temperatura ambiente.
B. Il drogaggio del silicio con
Semiconduttori drogati La fabbricazione e la miniaturizzazione dei semicon
fosforo (in violetto) aggiunge duttori drogati hanno rivoluzionato le telecomunicazioni, l’home entertainment e le
elettroni di valenza addiziona- industrie dell’informazione. I chimici e gli ingegneri, controllando il numero degli
li, che sono liberi di muoversi elettroni di valenza mediante la creazione di specifici tipi di difetti, sono in grado
attraverso il cristallo. Gli elettro-
di aumentare notevolmente la conduttività di un semiconduttore.
ni entrano nella parte inferiore
della banda di conduzione, che Il silicio (Si) puro, situato sotto il carbonio nel Gruppo 4A(14), è un cattivo
è adiacente agli orbitali vuoti di conduttore a temperatura ambiente perché un gap di energia separa la sua banda di
energia superiore, aumentando valenza piena dalla sua banda di conduzione (Figura 12.39A). Si può aumentare no
così la conduttività. C. Il dro- tevolmente la sua conduttività mediante il drogaggio, l’aggiunta di piccole quantità
gaggio del silicio con gallio (in
di altri elementi per aumentare o diminuire il numero di elettroni di valenza nelle
arancio) rimuove elettroni dalla
banda di valenza e introduce bande. Quando il silicio viene drogato con fosforo [o con un altro elemento del Grup
“buche” positive. Gli elettroni po 5A(15)], gli atomi di P occupano alcuni dei siti reticolari. Poiché P ha un elettrone
degli atomi di Si vicini possono di valenza in più rispetto a Si, questo elettrone addizionale deve entrare in un orbita
entrare in questi orbitali vuoti, le vuoto nella banda di conduzione, superando così il gap di energia e aumentando la
aumentando così la conduttività.
conduttività. Questo drogaggio crea un semiconduttore di tipo n, così chiamato perché
Gli orbitali da cui provengono
gli elettroni del Si diventano in esso sono presenti cariche negative (elettroni) addizionali (Figura 12.39B).
vuoti; in effetti, si sono mosse Quando il silicio viene drogato con gallio [un altro elemento del Gruppo 3A(13)],
le buche. gli atomi di Ga occupano alcuni siti (Figura 12.39C). Poiché il Ga ha un elettrone di
Cristalli liquidi
Nella membrana di ogni cellula del nostro corpo e nel display di ogni orologio
digitale, calcolatrice tascabile e computer laptop sono presenti sostanze peculiari
denominate cristalli liquidi. Queste sostanze fluiscono come i liquidi, ma, come
i solidi cristallini, sono impaccate con un alto grado di ordine.
Proprietà, preparazione e tipi di cristalli liquidi Per comprendere le proprietà
dei cristalli liquidi, prima esaminiamo come le particelle sono ordinate nei tre stati
fisici comuni e come questo ordine influenza le loro proprietà. Il grado di ordine tra
le particelle distingue chiaramente i solidi cristallini dai gas e dai liquidi: i gas sono
privi di ordine e i liquidi ne hanno poco più. Sia i gas sia i liquidi sono considerati
isotropi, cioè le loro proprietà fisiche sono le stesse in ogni direzione entro la fase. Per
esempio, la viscosità di un gas o di un liquido è la stessa indipendentemente dalla
direzione. Anche i vetri e gli altri solidi amorfi sono isotropi essendo privi di una
struttura reticolare regolare.
I solidi cristallini, per contro, hanno un alto grado di ordine tra le loro particelle.
Le proprietà di un cristallo dipendono dalla direzione e quindi un cristallo è aniso-
tropo. Per esempio, le facce di un diamante tagliato si originano perché il cristallo si
rompe in una direzione più facilmente che in un’altra. Anche i cristalli liquidi sono
anisotropi in quanto parecchie proprietà fisiche, comprendenti le proprietà elettri
che e ottiche che ne determinano le più importanti applicazioni, differiscono con la
direzione attraverso la fase.
Come i solidi molecolari cristallini, le fasi liquido-cristalline sono costituite da
molecole individuali. Nella maggior parte dei casi, le molecole che formano le fasi
liquido-cristalline hanno due caratteristiche: una forma cilindrica lunga e una strut
tura che permette attrazioni intermolecolari mediante forze di dispersione e forze
dipolo-dipolo o forze di legame idrogeno, ma che impedisce l’impaccamento cristal
lino perfetto. La Figura 12.42 mostra le strutture di due molecole che formano fasi
liquido-cristalline. Si notino le forme bastoncellari e la presenza di certi gruppi – in
questi casi sistemi ciclici piani simili all’anello benzenico – che mantengono estese le
molecole. Molti di questi tipi di molecole hanno anche un dipolo molecolare asso
ciato all’asse molecolare maggiore. Un campo elettrico esterno abbastanza intenso è
capace di orientare grandi numeri di queste molecole all’incirca nella stessa direzione,
come si orienta l’ago magnetico di una bussola in un campo magnetico esterno.
La viscosità di una fase liquido-cristallina è minima nella direzione parallela
all’asse maggiore. Come nel caso dei vetrini per microscopio bagnati, è più facile
per le molecole slittare l’una accanto all’altra (perché la forza attrattiva totale rima
ne invariata) che separarsi l’una dall’altra lateralmente. Di conseguenza, le molecole
tendono ad allinearsi mentre la fase fluisce.
Le fasi liquido-cristalline si possono originare in due modi generali e, talvolta,
entrambi i modi possono essere presenti nella stessa sostanza. Una fase termotropi-
ca si sviluppa per effetto di una variazione di temperatura. Quando si riscalda un
solido cristallino, le molecole abbandonano i loro siti reticolari, ma le interazioni in
termolecolari sono ancora tanto forti da mantenere le molecole allineate l’una con
l’altra lungo i loro assi maggiori. Come qualsiasi altra fase, la fase liquido-cristallina
ha temperature di transizione nette; però, esiste in un intervallo di temperature re
lativamente stretto. Un ulteriore riscaldamento fornisce alle molecole energia cine
tica sufficiente per diventare disordinate, come in un liquido normale. L’intervallo
di temperature tipico delle fasi liquido-cristalline delle sostanze pure si estende da
<1 °C a circa 10 °C, ma il mescolamento delle fasi di due o più sostanze è in grado
di estendere ampiamente questo intervallo. Per questo motivo, le fasi liquido-cri
stalline impiegate nei display, come pure quelle presenti nelle membrane cellulari,
sono costituite da miscele di molecole.
Una fase liotropica è presente in soluzione per effetto di variazioni di concen
trazione, ma le condizioni per la formazione di questa fase variano da sostanza a
sostanza. Per esempio, alcune biomolecole che esistono in natura nelle membrane
cellulari dei mammiferi, quando sono purificate, formano fasi liotropiche in ac
qua alla temperatura moderata che è presente nell’organismo. All’altro estremo,
il Kevlar, una fibra usata nella fabbricazione dei giubbotti antiproiettile e negli
attrezzi sportivi ad alte prestazioni, forma una fase liotropica ad alte temperature in Figura 12.43 I tre tipi comu-
soluzione concentrata di H2SO4. ni di fasi liquido-cristalline.
Le molecole che formano cristalli liquidi possono presentare vari tipi di ordine. A. Fase nematica. Un volume
Tre tipi comuni sono la fase nematica, la fase colesterica e la fase smettica. parallelepipedo della fase, con
vista espansa, mostra un primo
• In una fase nematica, le molecole sono orientate nella stessa direzione ma le piano della disposizione delle
loro estremità non sono allineate, all’incirca come un branco di pesci che nuo molecole. B. Fase colesterica. Si
tano in sincronismo (Figura 12.43A). La fase nematica è il tipo meno ordinato noti la disposizione a cavatappi
degli strati. C. Fase smettica. Un
di fasi liquido-cristalline. volume parallelepipedo mostra
• In una fase colesterica, che è alquanto più ordinata, le molecole giacciono in il più ordinato impilamento di
strati ciascuno dei quali presenta un ordine di tipo nematico. Però, invece di strati.
Figura 12.45
Rappresentazione schemati-
ca di un LCD (Liquid Crystal
Display, display a cristalli
liquidi). Un primo piano del “2”
su un LCD di orologio da polso
mostra due polarizzatori che
racchiudono due lamine di vetro,
che racchiudono a loro volta
uno strato liquido-cristallino, il
tutto applicato su uno specchio.
Quando onde luminose orientate
in tutte le direzioni entrano nel
primo polarizzatore, soltanto le
onde orientate in una partico-
lare direzione escono dal filtro
per entrare nello strato liquido-
cristallino. Un ingrandimento di
una regione oscura del nume-
ro (ingrandimento superiore)
mostra che, quando la corrente
è “accesa”, le molecole liquido-
cristalline sono allineate e la
luce non può attraversare l’altro
polarizzatore e arrivare allo
specchio; quindi l’osservatore
non vede luce. L’ingrandimento
di una regione luminosa (ingran-
dimento inferiore) mostra che,
quando la corrente è “spenta”,
le molecole liquido-cristalline
sono in una disposizione nema-
tica chirale (elicoidale), che
fa ruotare il piano delle onde
luminose e permette loro di
attraversare l’altro polarizzatore
e raggiungere lo specchio. La
luce, riflettendosi e ripercorren-
do questo cammino (non rap-
presentato), raggiunge l’occhio
dell’osservatore.
Materiali ceramici
Realizzati per la prima volta nell’età della pietra, i materiali ceramici (o, più sem
plicemente, i ceramici) sono definiti come solidi non metallici, non polimerici, che
vengono induriti dal riscaldamento ad alte temperature. I ceramici a base argillosa
sono costituiti da microcristalli di silicati in un mezzo cementante vetroso. Per esem
pio, nella “cottura” di un vaso ceramico, un forno riscalda l’oggetto fatto di argilla
costituita da alluminosilicato, come la caolinite, a 1500 °C e l’argilla perde acqua:
Si2Al2O5(OH)4(s) Si2Al2O7(s) + 2H2O(g)
Durante il processo di riscaldamento, la struttura si riorganizza formando un retico
lo esteso di tetraedri di atomi di O con al centro Si e Al.
I laterizi, le porcellane, le terraglie invetriate e gli altri ceramici a base argillosa
sono utili per la loro durezza e la loro resistenza al calore e agli agenti chimici. Gli
odierni ceramici ad alta tecnologia possiedono queste caratteristiche tradizionali
oltre a superiori proprietà elettriche e magnetiche (Tabella 12.7). Come esempio,
consideriamo l’insolito comportamento elettrico di certi materiali compositi di
ossido di zinco (ZnO). Lo ZnO, un semiconduttore in condizioni ordinarie, può
essere drogato in modo che diventi un conduttore. Includendo particelle dell’os
sido drogato in un ceramico isolante si ottiene un resistore variabile: quando gli è
applicata una bassa tensione elettrica, il materiale è un cattivo conduttore elettrico,
ma, quando gli è applicata un’alta tensione elettrica, diventa un buon conduttore.
L’aspetto migliore è che la tensione di commutazione può essere “prefissata” con
trollando le dimensioni delle particelle di ZnO e lo spessore del mezzo isolante.
Preparazione dei ceramici moderni I ceramici moderni importanti compren
dono il carburo di silicio (SiC) e il nitruro di silicio (Si3N4), il nitruro di boro (BN)
e gli ossidi superconduttori. Vengono preparati con metodi chimici standard che
implicano l’eliminazione di un componente volatile durante la reazione.
I ceramici SiC vengono preparati a partire da composti utilizzati nella prepa
razione dei polimeri siliconici (esamineremo le loro strutture e i loro impieghi nel
Paragrafo 14.6):
n(CH3)2SiCl2(l) + 2nNa(s) 2nNaCl(s) + [(CH3)2Si]n(s)
Questo prodotto viene riscaldato a 800 °C per formare il ceramico:
[(CH3)2Si]n nCH4(g) + nH2(g) + nSiC(s)
SiC può essere preparato anche per reazione diretta del Si e della grafite nel vuoto:
1500 °C
Si( s ) + C(grafite) ⎯ ⎯⎯⎯ → SiC( s )
Il nitruro viene preparato anche per reazione degli elementi:
>1300 °C
3Si( s ) + 2N 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯ → Si 3N 4 ( s )
verso uno ione O2− vicino, sia associato alla superconduzione, anche se il pro
cesso è ancora scarsamente compreso. A causa della loro fragilità, è stato difficile
trasformare questi ceramici in fili, ma recentemente sono stati sviluppati metodi
per preparare film e nastri superconduttori.
La ricerca sulla lavorazione dei ceramici sta cominciando a risolvere il problema
dell’intrinseca fragilità di questa intera classe di materiali. Questa fragilità è dovuta
alla forza del legame ionico-covalente in questi solidi e alla loro conseguente inca
pacità di deformarsi. Sotto sforzo, un difetto cristallino piccolissimo si allarga e si
allunga finché il materiale non si rompe. Un nuovo metodo forma ceramici privi di
difetti usando l’impaccamento controllato e il trattamento termico di particelle di
ossido piccole e uniformi, rivestite di polimeri organici. Un altro metodo si propone
di arrestare l’allargamento di un’incrinatura. In questi ceramici è incluso diossido
di zirconio (ZrO2), la cui struttura cristallina si dilata fino al 5% sotto lo sforzo
meccanico dell’apice di un’incrinatura: nel momento in cui l’incrinatura avanzante
le raggiunge, le particelle di ossido di zirconio la sigillano efficacemente. È stato
riferito recentemente un terzo metodo. Ricercatori giapponesi hanno preparato
un materiale ceramico costituito da monocristalli di Al2O3 e GdAlO3 fatti crescere
con precisione, i quali si intrecciano nel processo di solidificazione. Il materiale si
piega senza incrinarsi a temperature superiori a 1800 K.
Nonostante le difficoltà tecniche non ancora superate, chimici ingegnosi con
tinueranno a sviluppare nuovi materiali ceramici e ad applicare le loro proprietà
stupefacenti e utili nel XXI secolo inoltrato.
Materiali polimerici
Un polimero (dal greco “molte parti”) è una molecola estremamente grande, o ma-
cromolecola, costituita dall’unione di molecole più piccole, i monomeri (dal greco
“una parte”) unite da legami covalenti. Il monomero è l’unità ripetitiva del polimero,
e quest’ultimo può essere costituito da centinaia di migliaia di unità ripetitive. I po
limeri sintetici vengono preparati in laboratorio, quelli naturali (o biopolimeri) sono
prodotti da reazioni chimiche negli organismi. Esistono molti tipi di monomeri e
la diversità delle loro strutture chimiche permette di esplorare completamente il
campo delle forze intermolecolari.
I polimeri sintetici, quali le plastiche, le gomme e i vetri reticolati, sono presen
ti in innumerevoli oggetti utilizzati nella vita quotidiana dell’uomo: dalle vernici, ai
vestiti, ai componenti elettronici ecc. Alcuni di questi materiali sono difficilmente
degradabili e permangono molto a lungo nell’ambiente; pertanto, se non vengono
opportunamente riciclati, creano un serio problema ambientale. Naturalmente, i
polimeri sintetici utilizzati per le applicazioni mediche (pelle artificiale, compo
nenti delle valvole cardiache artificiali, protesi ossee) sono progettati in modo da
ottenere materiali la cui durata sia la più lunga possibile.
In questo paragrafo esamineremo la natura fisica dei polimeri sintetici e l’in
fluenza delle forze intermolecolari sulle loro proprietà e applicazioni.
Dimensioni di una catena polimerica: massa, grandezza e forma A causa del
la loro grande lunghezza i polimeri sono diversi dalle molecole più piccole sotto molti
aspetti. Vediamo come i chimici descrivono la massa, la grandezza e la forma di una
catena polimerica e come le catene sono organizzate in un campione di materiale po
limerico. Prenderemo come esempio il polimero sintetico più comune: il polietilene.
1. Massa del polimero. La massa molare di una catena polimerica (Mpolimero, espressa
in g/mol, spesso chiamata peso molecolare) dipende da due parametri – la massa
molare dell’unità ripetitiva (Munità ripetitiva) e il grado di polimerizzazione (n), il
numero di unità ripetitive nella catena:
Mpolimero = Munità ripetitiva × n
Per esempio, la massa molare dell’unità ripetitiva etilene è 28 g/mol. Se una catena
di polietilene in una busta di plastica ha un grado di polimerizzazione di 7100, la
Così, anche se la massa molare media numerica del polietilene nei sacchetti per la
spesa è, per esempio, 1,6 × 105 g/mol, la massa molare delle catene può variare da
circa 7,0 × 104 a 3,0 × 105 g/mol.
2. Lunghezza della catena polimerica. L’asse più lungo di una catena polimerica
è chiamato lo scheletro. La sua lunghezza è semplicemente il numero di unità
ripetitive (il grado di polimerizzazione, n) moltiplicato per la lunghezza di ogni
unità ripetitiva (l0). Per esempio, la lunghezza di un’unità ripetitiva di etilene è
circa 250 pm, così la lunghezza di una catena polimerica di polietilene nel nostro
sacchetto per la spesa è:
lunghezza della catena = n × l0 = (7,1 × 103) (2,5 × 102 pm) = 1,8 × 106 pm
Il confronto di questa lunghezza con lo spessore della catena, che è di soli 40 pm,
permette di visualizzare la struttura filamentosa della catena.
3. Forma e dimensione della spirale. È comunque molto importante comprendere che
una molecola polimerica, sia essa pura o in soluzione, non esiste come una catena
lineare, ma è molto più compatta. Per visualizzarne la forma reale si deve considerare
che, in prima approssimazione, la forma della catena è determinata dalla rotazione
libera attorno a tutti i legami semplici presenti nella catena stessa. Così, mentre
ogni unità ripetitiva ruota casualmente, la catena cambia continuamente direzione
arrivando infine a una struttura a spirale irregolare (random coil) (Figura 12.47),
adottata dalla maggior parte dei polimeri. In realtà, la rotazione non è completamen
te libera perché, nel piegarsi o ruotare di una parte della catena verso un’altra parte
della stessa o di una diversa catena, tra le due parti esistono forze attrattive.
Il fattore chiave che determina la forma di una catena polimerica è dunque la
natura delle forze intermolecolari tra diverse porzioni della stessa catena, tra diver
se catene o tra le catene e il solvente.
La dimensione delle spirali di una catena polimerica si chiama raggio di curva
tura Rg, la distanza media tra il centro di massa e l’estremità esterna della spirale
Figura 12.47 La forma a (Figura 12.47). Benché venga riportato un singolo valore di Rg per un dato polime
spirale disordinata (random ro, questo valore è in realtà la media dei valori relativi a molte catene. L’espressione
coil) di un polimero. Si noti il matematica che definisce il raggio di curvatura considera la lunghezza di ogni unità
piegamento disordinato a spira-
le della catena di atomi di car-
ripetitiva e la sua direzione casuale nello spazio assieme agli angoli di legame sia tra
bonio (nero). Porzioni di nume- gli atomi della singola unità ripetitiva sia tra diverse unità:
rose catene vicine (rosso, verde nl02
e giallo) sono aggrovigliate con Rg =
questa catena e mantenute 6
l’una vicina all’altra da forze
di dispersione. In realtà, altre Il raggio di curvatura aumenta con il grado di polimerizzazione e con la massa
catene aggrovigliate riempiono molare. Esperimenti di scattering della luce e altre misure di laboratorio danno
tutti gli spazi vuoti. Il raggio buone correlazioni con i valori calcolati; dunque il raggio di curvatura è, per molti
di curvatura (Rg) rappresenta polimeri, determinabile sperimentalmente.
la distanza media tra il centro
di massa della spirale e la sua
Per il nostro sacchetto della spesa di polietilene, si ha:
estremità. 2
nl02 (7,1×103 )(2,5×102 pm)
=
Rg = = 8,6 ×103 pm
6 6
Figura 12.49 La viscosità di in modo più simile al miele che non all’acqua. Le forze tra le catene, così come il loro
un polimero in soluzione. Un
modello ball and stick di una
impigliarsi l’una nell’altra, impediscono alle molecole di scorrere liberamente. Se la
sezione di una catena di polie- temperatura diminuisce, le attrazioni intermolecolari hanno un effetto maggiore e il
tilenossido in acqua (sinistra) polimero si trasforma in un solido rigido. Se le catene non cristallizzano, il materiale
mostra i legami idrogeno che si risultante viene chiamato un polimero vetroso. La transizione da liquido a vetro av
formano tra le coppie solitarie viene in un piccolo intervallo di temperatura (10-20 °C) per un dato polimero, ma
di elettroni degli atomi di ossi-
geno della catena e gli atomi
i chimici definiscono un singolo valore di temperatura a metà di questo intervallo
di idrogeno delle molecole come la temperatura di transizione vetrosa, Tg. Come i vetri delle finestre, molti poli
d’acqua. La catena polimerica, meri vetrosi sono trasparenti: ne è un esempio il polistirene dei bicchieri di plastica
disegnata come un bastoncino e il policarbonato dei compact disc.
rosso e blu a spirale (al centro) Le proprietà di flusso dei polimeri danno luogo al loro familiare comporta
forma molti legami H con le
molecole di solvente. I legami
mento meccanico di tipo plastico. La parola “plastica” si riferisce a un materiale
H con le molecole d’acqua per- che, dopo una deformazione, mantiene la sua nuova forma. Molti polimeri possono
mettono l’interazione di una essere deformati a caldo (allungati, piegati, curvati) e mantengono la loro forma
catena con quelle vicine. Con deformata quando vengono nuovamente raffreddati. È così che vengono realizzati
l’aumento della concentrazione innumerevoli oggetti di uso quotidiano – bottiglie, parti di automobili eccetera.
del polimero (destra) la viscosità
della soluzione aumenta perché
il movimento di ogni catena è
Architettura molecolare dei polimeri L’architettura dei polimeri – ovvero la
impedito dalle sue interazioni loro struttura molecolare e distribuzione spaziale complessiva – determina le loro
con il solvente e con le altre proprietà. In aggiunta alle catene lineari che abbiamo descritto sin qui, i chimici
catene. possono creare polimeri con architetture più complesse mediante i processi di rami
ficazione e reticolazione.
Le ramificazioni sono catene più piccole legate alla catena principale del
polimero. Con l’aumentare del numero di ramificazioni, diminuisce la possibilià di
impaccamento delle catene e, come conseguenza, diminuisce il grado di cristalli
nità del polimero, che diventa meno rigido. Una piccola quantità di ramificazioni
si sviluppa per effetto di reazioni collaterali nella sintesi del polietilene ad alta
densità (High Density PolyEthylene, HDPE). Il polimero è comunque sostanzialmente
lineare e quindi abbastanza rigido da poter essere utilizzato per fabbricare bottiglie
di plastica. Al contrario, la preparazione del polietilene a bassa densità (Low Density
delle forze intermolecolari sulle loro proprietà fisiche è solo una parte della storia
di questi utilissimi materiali. Nella scheda a pp. 486-487 vengono descritti i poli
meri siliconici.
Come abbiamo visto nel Capitolo 2, una miscela è definita da due caratteristiche: ha
una composizione variabile e conserva alcune proprietà dei suoi componenti. In questo
capitolo concentreremo l’attenzione su due tipi comuni di miscele: le soluzioni e i
colloidi. Una soluzione è una miscela omogenea, una miscela in cui non esistono inter
facce tra i suoi componenti; quindi, una soluzione esiste come un’unica fase. Una
miscela eterogenea ha due o più fasi. La ghiaia nel calcestruzzo o le bollicine di gas in
un calice di champagne sono indicazioni visibili del fatto che queste miscele sono
eterogenee. Un colloide è una miscela eterogenea in cui un componente è disperso
sotto forma di particelle di piccolissimo diametro in un altro componente, e quindi
non è facile osservare fasi distinte. Il fumo e il latte sono colloidi. La differenza es
senziale tra una soluzione e un colloide è la dimensione delle particelle:
• in una soluzione, le particelle sono singoli atomi, ioni o piccole molecole;
• in un colloide, le particelle sono tipicamente macromolecole oppure aggregati
di piccole molecole che non sono grandi a sufficienza per sedimentare.
Come vedremo più avanti in questo capitolo, queste differenze su scala molecolare
danno origine a molte differenze osservabili.
QUESTO CAPITOLO si apre con una panoramica sui tipi di soluzioni e sul ruolo
delle forze intermolecolari nella loro formazione. La previsione della solubilità è
un tema principale del primo paragrafo, in cui esamineremo sistemi che vanno
dai sali in acqua agli antibiotici in cellule batteriche. Poi indagheremo perché
una sostanza si scioglie, facendo riferimento a due fattori essenziali: la variazio-
ne di entalpia e l’aumento del grado di disordine che si produce quando si forma
una soluzione. Per comprendere il secondo fattore, introdurremo il concetto di
variazioni di entropia nel processo di dissoluzione. Poi esamineremo il carattere
di equilibrio della solubilità e vedremo come la temperatura e la pressione la
influenzano. Esamineremo i modi di esprimere la concentrazione e poi li use-
remo per indagare le differenze tra le proprietà fisiche delle soluzioni e quelle
delle sostanze pure. Seguirà un esame delle proprietà dei colloidi, e il capitolo
si chiuderà con l’applicazione della chimica delle soluzioni e dei colloidi alla
depurazione dell’acqua.
Quattro molecole d’acqua possono adattarsi tetraedricamente attorno agli ioni pic
coli, come Li+, mentre gli ioni più grandi, quali Na+ e F−, sono di solito circondati
ottaedricamente da sei molecole d’acqua. È importante vedere – e ritorneremo
su questo punto più avanti – che questo processo non conduce semplicemente a
un’accozzaglia casuale di ioni e molecole d’acqua; invece, c’è un certo ordine nel
l’orientamento delle molecole attorno agli ioni.
Le forze dipolo-dipolo e il particolare tipo di forza dipolo-dipolo noto come lega-
me idrogeno sono molto importanti nelle soluzioni. Il legame idrogeno è un fattore
primario nella capacità dell’acqua di sciogliere numerosi composti organici e bio
logici ossigenati e azotati, quali alcoli, zuccheri, ammine e amminoacidi. (Si ricordi
che O e N sono piccoli e quindi le loro coppie solitarie possono avvicinarsi molto
agli H parzialmente positivi di H2O).
I due tipi di forze carica-dipolo indotto si basano sulla polarizzabilità dei compo
nenti. Quando la carica di uno ione distorce la nuvola elettronica di una particella
apolare vicina, si genera una forza ione-dipolo indotto. Per citare un esempio
biologico essenziale, questa forza intermolecolare interviene nel legame tra lo ione
Fe2+ nell’emoglobina e una molecola di O2 nel torrente circolatorio. Uno ione può
anche aumentare il valore di un dipolo esistente in una molecola vicina. Perciò,
questa forza contribuisce alla formazione di qualsiasi soluzione contenente ioni: sali
sciolti in acqua o in solventi meno polari. La legge di Coulomb dice che una carica
maggiore determina una maggiore energia di attrazione. Perciò, la forza ione-dipolo
indotto è più forte della forza dipolo-dipolo indotto, che si origina quando
le cariche parziali di una molecola polare distorcono la nuvola elettronica di una
molecola polare vicina. La solubilità in acqua, benché limitata, dei gas atmosferici
apolari O2, N2 e dei gas nobili, è dovuta in parte a forze dipolo-dipolo indotto. An
che i solventi per pitture e per grassi funzionano mediante queste forze.
Si deve sempre riconoscere l’importanza delle forze di dispersione sempre presenti
perché esse contribuiscono alla solubilità di tutti i soluti in tutti i solventi. In realtà
esse sono le principali forze attrattive nelle soluzioni delle sostanze apolari; per esem
pio, il petrolio esiste come miscela omogenea in virtù delle forze di dispersione.
Tenendo presenti queste forze intermolecolari, esaminiamo i tipi di soluzioni.
Le soluzioni possono essere gassose, liquide o solide. Nella maggior parte dei casi,
lo stato fisico del solvente determina quello della soluzione. Concentriamo l’attenzione
sulle soluzioni in cui il solvente è liquido perché sono quelle di gran lunga più
comuni e importanti.
dante nell’ambiente ed è capace di sciogliere sia i composti ionici sia le molecole po
lari. Scioglie molte sostanze mediante la formazione di legami idrogeno. Le sostanze
apolari, quali l’olio da cucina e la cera per carrozzerie d’automobile, non si sciolgono
in misura rilevante nell’acqua ma si sciolgono liberamente in solventi meno polari o
apolari.
L’esperienza indica che le sostanze con tipi simili di forze intermolecolari si sciol-
gono l’una nell’altra. Questo fatto è riassunto dalla vecchia regola pratica il simile
scioglie il simile, che spesso fornisce un modo qualitativo ragionevole di preve
dere la solubilità.
Soluzioni liquido-liquido e solido-liquido Molti sali si sciolgono in acqua per
ché le forti attrazioni ione-dipolo formate dall’acqua con gli ioni sono molto simili
alle forti attrazioni tra gli ioni stessi e, quindi, possono sostituirsi a esse. Gli stessi
sali sono insolubili nell’esano (C6H14) perché le deboli forze ione-dipolo indotto
che i loro ioni potrebbero formare con questo solvente apolare non sono in grado
di sostituire le attrazioni tra gli ioni. Analogamente, l’olio non si scioglie nell’acqua
perché le deboli forze dipolo-dipolo indotto tra l’olio e le molecole d’acqua non
sono in grado di sostituire i forti legami idrogeno tra le molecole d’acqua. Ma l’olio
si scioglie nell’esano perché le forze di dispersione nell’uno sostituiscono facilmente
le forze di dispersione nell’altro. Perciò, affinché si formi una soluzione, la regola
“il simile scioglie il simile” significa che le forze generate tra il soluto e il solvente
devono avere intensità confrontabile con quella delle forze distrutte sia nel soluto
sia nel solvente.
Per approfondire l’esame di questo concetto, confrontiamo le solubilità di una
serie di alcoli in due solventi che agiscono mediante forze intermolecolari molto
diverse: acqua ed esano. Gli alcoli sono molecole organiche con un gruppo ossidrile
( OH) legato a un gruppo idrocarburico. Il tipo più semplice di alcol ha la formula
generale CH3(CH2)nOH; considereremo gli alcoli con n = 0 ÷ 5. Possiamo considera
re che la molecola di un alcol sia costituita da due parti: il gruppo OH polare e
la catena idrocarburica apolare. La parte OH forma legami idrogeno forti con
l’acqua e forze dipolo-dipolo indotto deboli con l’esano. La parte idrocarburica interagisce
mediante forze di dispersione con l’esano e mediante forze dipolo-dipolo indotto con
l’acqua.
Nella Tabella 13.2, i modelli indicano la variazione relativa delle dimensioni
della parte polare e della parte apolare delle molecole di alcol. Negli alcoli più pic
coli (1 ÷ 3 atomi di carbonio), il gruppo ossidrile è una parte relativamente grande,
quindi le molecole interagiscono l’una con l’altra mediante legami idrogeno, così
come fanno le molecole d’acqua. Quando si miscelano con l’acqua, i legami idroge
no nel soluto e nel solvente vengono sostituiti da legami idrogeno tra il soluto e il sol
vente (Figura 13.3). Di conseguenza, questi alcoli più piccoli sono miscibili con l’acqua.
La solubilità in acqua diminuisce drasticamente per gli alcoli con più di tre atomi
di carbonio, e quelli con catene più lunghe di sei atomi di carbonio sono insolubili
in acqua. Affinché questi alcoli più grandi si sciolgano, le catene apolari devono
muoversi tra le molecole d’acqua, sostituendo ai legami idrogeno forti esistenti tra le
molecole d’acqua, le loro attrazioni deboli con quelle stesse molecole d’acqua.
più lunga catena idrocarburica del propanolo è capace di formare soltanto forze deboli con
gli ioni, quindi è meno efficace nel sostituire le attrazioni ioniche nel soluto.
(b) Acqua. Le molecole di glicole etilenico hanno due gruppi OH, quindi le molecole
interagiscono l’una con l’altra mediante legami idrogeno. Sono più solubili in H2O, i cui
legami idrogeno sono capaci di sostituire i loro legami idrogeno meglio di quanto siano in
grado di fare le forze di dispersione nell’esano.
(c) Etanolo. Le molecole di etere dietilico interagiscono l’una con l’altra mediante forze di
dipolo e di dispersione e sono capaci di formare legami idrogeno sia con H2O sia con l’eta
nolo. L’etere è più solubile nell’etanolo perché questo solvente è capace di formare legami
idrogeno e di sostituire le forze di dispersione dell’etere. L’acqua, d’altra parte, è capace di
formare legami idrogeno con l’etere, ma è priva di una parte idrocarburica, quindi forma
forze di dispersione molto più deboli con quel soluto.
Soluzioni gas-liquido I gas apolari, come N2, o quasi apolari, come NO, hanno
temperature di ebollizione basse perché le loro attrazioni intermolecolari sono de
boli. Analogamente, non sono molto solubili in acqua perché le forze soluto-solven
te sono deboli. In effetti, come mostrato nella Tabella 13.3, nel caso dei gas apolari
la temperatura di ebollizione è generalmente correlata con la solubilità in acqua.
In alcuni casi, la piccola quantità di gas apolare che si scioglie effettivamente è
essenziale per un processo. L’esempio ambientale più importante è la solubilità di
O2 in acqua. Alla temperatura di 25 °C e alla pressione di 1 atm, la solubilità di O2 è
soltanto 3,2 mL/100 mL di acqua, ma gli animali acquatici morirebbero senza que
sta piccola quantità. In altri casi, la solubilità di un gas può sembrare alta, ma in re
altà il gas reagisce con il solvente o un altro componente. L’ossigeno sembra molto
più solubile nel sangue che nell’acqua perché le molecole di O2 si legano continua
mente con le molecole di emoglobina negli eritrociti (globuli rossi). Analogamen-
te, il diossido di carbonio, che è essenziale per le piante acquatiche e per le ma
drepore (coralli costruttori di scogliere), sembra molto solubile in acqua [81 mL
di CO2/100 mL di H2O a 25 °C e 1 atm] perché reagisce oltre a sciogliersi sempli
cemente:
CO 2 ( g ) + H2O( l ) H+ ( aq ) + HCO−3 ( aq )
Acido glutammico
Carbonio Azoto Ossigeno Idrogeno
−
Serina
Glicina
Lisina
α α α α
Legame
peptidico
Legami idrogeno
all’interno della catena
polipeptidica
+
Regione in cui
predominano
le forze
di dispersione
Forze
ione dipolo
−
+
Legami idrogeno
all’interno
della catena Legame
polipeptidica idrogeno
Disulfide
Ponte
bond
disolfuro
Figura 13.7 Le forze che mantengono la struttura di una proteina. Forze covalenti, ioniche e intermolecolari agiscono tra
le parti di questa porzione di una proteina e tra la proteina e le molecole di H2O che la circondano determinandone la forma.
(Le molecole d’acqua e alcune catene laterali di amminoacidi sono mostrate come modelli ball and stick all’interno dei contorni
space-filling).
porzione di una proteina e tra la proteina e il mezzo acquoso in cui è dispersa nella
cellula. In ordine di importanza, queste forze sono:
1. legami peptidici covalenti che creano lo scheletro (la catena polipeptidica);
2. legami idrogeno tra un gruppo C O di un legame peptidico e il gruppo N H di
un altro che generano segmenti elicoidali e a foglietto;
3. forze ione-dipolo e legame idrogeno tra l’acqua e le catene laterali polari e
ioniche che si estendono nel fluido cellulare;
4. forze di dispersione che si esercitano tra le catene apolari all’interno della pro
teina;
5. i gruppi terminali SH delle catene laterali di due molecole di cisteina for
mano un legame covalente S S , un ponte disolfuro, tra due parti lontane
della catena creando un ciclo;
6. i gruppi terminali ionici di carica opposta, COO− e NH+3, che si trovano
vicini l’uno all’altro formano un ponte salino (o coppia ionica) che fa piegare la
catena proteica;
7. altri legami idrogeno tra le catene laterali avvicinano parti lontane della catena
principale.
A causa di queste interazioni, le proteine solubili hanno esterni polari e interni apolari.
La sequenza degli amminoacidi determina la forma della proteina che, a sua volta,
ne determina la funzione.
Azione dei saponi Un sapone è un sale formato dalla reazione tra una base for
te (un idrossido metallico) e un acido grasso, un acido carbossilico con una lunga
catena idrocarburica. La molecola tipica di un sapone è costituita da una “coda”
apolare di circa 15-19 atomi di C e una “testa” polare-ionica costituita da un grup
po COO− e dal catione della base forte. Il catione ha una grande importanza nel
determinare le proprietà del sapone. I saponi che contengono litio sono duri, hanno
alti punti di fusione e sono utilizzati come lubrificanti nelle automobili. I saponi
che contengono potassio hanno bassi punti di fusione e sono usati in forma liquida.
Alcuni saponi a base di sodio, incluso lo stearato di sodio CH3(CH2)16COONa sono i
componenti delle comuni saponette:
− Na+
Quando il grasso sulle vostre mani o sui vostri vestiti è immerso in acqua saponata,
le code apolari delle molecole di sapone interagiscono con le molecole apolari di
grasso mediante forze di dispersione e le teste polari-ioniche attraggono le mole
cole d’acqua con forze ione-dipolo e legami idrogeno. Piccoli aggregati di molecole
di grasso, circondate da molecole di sapone le cui teste polari-ioniche sono legate
all’acqua vengono portate via dal flusso dell’acqua (Figura 13.8).
Le teste polari
delle molecole di sapone
interagiscono
con le molecole di H2O
Le code apolari
delle molecole
di sapone
interagiscono
con gli idrocarburi
in una macchia
di grasso
Molecole
non polari
in una macchia
di grasso
SEZIONE DI CANALE
DI UNA PROTEINA
TRANSMEMBRANA Regione
apolare
PROTEINA
DI MEMBRANA
Interno apolare
della membrana
Superficie interna
polare
della membrana
K+
K+
Membrana K+ Esterno apolare
INTERNO
batterica K+ della gramicidina A
DELLA CELLULA
Legami
– idrogeno
tra le basi Citosina (C)
– Guanina (G)
Esterno
Forze
polare-
– ione-dipolo
ionico –
– –
–
2-desossiribosio 2-desossiribosio
Legame
– G forma sempre
idrogeno
– una coppia con C
attraverso legami idrogeno
Interno
apolare – –
Carbonio Azoto Ossigeno Idrogeno
Figura 13.13 La doppia elica del DNA. Un segmento di DNA (a sinistra) espone la sua parte ionico-polare zucchero-fosfato
(rosa) all’acqua mentre le basi apolari (grigio) sono rivolte verso l’interno. L’ingrandimento (a destra) mostra come i legami idroge-
no accoppiano le basi guanina e citosina.
La variazione totale di entalpia che avviene quando si forma una soluzione a partire
da un soluto e un solvente è il calore di soluzione (ΔHsoluz); per trovarlo, combi
niamo le tre variazioni di entalpia individuali. Il processo complessivo è detto ciclo
di dissoluzione termochimico ed è ancora un’altra applicazione della legge di Hess:
solvente
separato
soluto soluto
separato ΔHmesc
solvente separato
Entalpia, H
separato ΔHsoluto
soluzione
+
Entalpia, H
ΔHsoluto ΔHsolvente
+ solvente soluto Hfinale
solvente soluto ΔHsolvente aggregato aggregato
ΔHsolvente
ΔHsolvente
aggregato aggregato
ΔHsoluto
ΔHsoluto
ΔHmesc
ΔHsoluz > 0
Hiniziale
soluzione Hiniziale
ΔHsoluz < 0
Hfinale
A Processo di dissoluzione esotermico B Processo di dissoluzione endotermico
→ M+ ( g ) + X− ( g )
MX( s ) ⎯ ⎯ ΔH soluto (sempre >0) =−ΔH reticolo
Perciò, il calore di soluzione dei composti ionici in acqua combina l’energia retico
lare presa con il segno negativo (sempre positiva) e la combinazione dei calori di
idratazione del catione e dell’anione (sempre negativa):
I valori assoluti dei singoli termini determinano il segno del calore di soluzione.
La Figura 13.15 mostra i diagrammi dell’entalpia per la dissoluzione di tre so
luti ionici in acqua. Il primo, NaCl, ha un calore di soluzione lievemente positivo
(ΔHsoluz = 3,9 kJ/mol). Il suo termine dell’energia reticolare è soltanto lievemente
maggiore della combinazione dei calori di idratazione ionici; quindi, se si scioglie
NaCl in acqua in un matraccio, non si nota alcuna variazione di temperatura. D’altra Figura 13.15 Dissoluzione
parte, se si scioglie NaOH in acqua, si osserva che il matraccio si riscalda. Il termine di composti ionici in acqua.
dell’energia reticolare per NaOH è molto minore della combinazione dei calori Il diagramma dell’entalpia per la
di idratazione ionici; quindi, la dissoluzione di NaOH è altamente esotermica dissoluzione di un composto ioni-
(ΔHsoluz = −44,5 kJ/mol). Infine, se si scioglie NH4NO3 in acqua, si osserva che il co in acqua comprende Δ Hreticolo
preso con il segno negativo
matraccio si raffredda. In questo caso, il termine dell’energia reticolare è molto (ΔHsoluto; sempre positivo) e i ca-
maggiore della combinazione dei calori di idratazione ionici, quindi il processo è lori di idratazione ionici combina-
altamente endotermico (ΔHsoluz = 25,7 kJ/mol). ti (ΔHidr; sempre negativo).
+ ΔHsoluz >> 0
ΔHsolvente
Entalpia, H
Entalpia, H
ΔHsolvente
ΔHsoluto
parazione del solvente è relativamente facile grazie alle forze di dispersione deboli,
mentre la separazione del soluto richiede una quantità di energia uguale in valore
a ΔHreticolo. Il mescolamento rilascia pochissima energia perché le attrazioni ione-
dipolo indotto tra gli ioni Na+ (o Cl−) e l’esano sono deboli.
La somma dei termini endotermici è molto maggiore del termine esotermico,
quindi ΔHsoluz è altamente positivo. In questo caso, la dissoluzione non avviene perché
l’aumento di entropia che avverrebbe quando il soluto e il solvente si mescolano non può
superare il grande aumento di entalpia necessario per separare gli ioni.
Consideriamo ora la seconda coppia soluto-solvente, l’ottano (C8H18) e l’esa
no (C6H14). Entrambi sono costituiti da molecole apolari tenute unite da forze di
dispersione di intensità confrontabile. Perciò si prevede che l’ottano sia solubile
nell’esano; in realtà, essi sono infinitamente solubili (miscibili). Ma la miscibilità non
significa necessariamente che è rilasciata una grande quantità di calore e in questo
caso il calore di soluzione è circa zero (Figura 13.16B). In assenza di una variazione di
entalpia che favorisca il processo, l’ottano si scioglie nell’esano perché l’entropia aumenta
notevolmente quando sostanze pure si mescolano. Perciò, il grande aumento di entro
pia favorisce la formazione di questa soluzione.
In alcuni casi, un aumento di entropia abbastanza grande è capace di fare forma
re una soluzione anche quando l’entalpia aumenta in misura rilevante (ΔHsoluz > 0).
Come la Figura 13.15C ha mostrato precedentemente, quando NH4NO3 si scioglie
in acqua, il processo è fortemente endotermico. Ciononostante, in questo caso,
l’aumento di entropia che avviene quando il cristallo ionico ordinato si distrugge e gli ioni
si mescolano con molecole d’acqua compensa ampiamente l’aumento di entalpia. L’impor
tanza dell’entropia nei sistemi fisici e chimici è trattata in dettaglio nel Capitolo 20. • Una soluzione satura è
simile a un liquido puro e al
suo vapore I processi di equili
13.4 LA SOLUBILITÀ COME PROCESSO brio in una soluzione satura sono
analoghi a quelli per un liquido
DI EQUILIBRIO puro e il suo vapore in un pallone
chiuso (Paragrafo 12.2). Nel caso del
Immaginiamo cosa avviene a livello molecolare quando un solido ionico si scioglie. liquido, la velocità di vaporizzazio
Gli ioni abbandonano il solido e si disperdono nel solvente. Alcuni ioni disciolti su ne e la velocità di condensazione
biscono collisioni casuali con il soluto non disciolto e ricristallizzano. Finché la velo sono uguali: nella soluzione, la velo
cità di dissoluzione e la velocità di
cità di dissoluzione è maggiore della velocità di ricristallizzazione, la concentrazione
ricristallizzazione sono uguali. Nel
di ioni aumenta. Alla fine, gli ioni provenienti dal solido si sciolgono alla stessa velo sistema liquido-vapore, particelle
cità a cui ricristallizzano gli ioni presenti nella soluzione (Figura 13.17). abbandonano il liquido per entrare
A questo punto, anche se la dissoluzione e la ricristallizzazione proseguono, la nel vapore, e la loro concentrazione
(la loro pressione) aumenta finché,
concentrazione rimane invariata nel tempo. Il sistema ha raggiunto l’equilibrio; cioè
all’equilibrio, lo spazio disponibile
il soluto indisciolto in eccesso è in equilibrio con il soluto disciolto: sopra il liquido non è “saturo” di
vapore a una data temperatura.
soluto (indisciolto) soluto (disciolto) Nella soluzione, particelle abbando
Questa soluzione è detta satura: contiene la quantità massima di soluto disciolto a nano il soluto solido per entrare nel
solvente e la loro concentrazione
una data temperatura in presenza di soluto indisciolto. Se si rimuove mediante fil aumenta finché, all’equilibrio, il sol
trazione la soluzione satura e si aggiunge a essa altro soluto, il soluto aggiunto non vente disponibile è saturo di soluto
si scioglie. Una soluzione contenente meno di questa quantità di soluto disciolto è a una data temperatura.
Figura 13.18 Acetato di sodio detta insatura: se si aggiunge altro soluto, se ne scioglie altro finché la soluzione
che cristallizza da una solu- non si è saturata.
zione soprassatura. Quando si In alcuni casi, si può preparare una soluzione contenente più della quantità di
aggiunge un cristallo di acetato
di sodio fungente da “germe” a
equilibrio di soluto disciolto. Questa soluzione è detta soprassatura. È instabile
una soluzione soprassatura del rispetto alla soluzione satura, la qual cosa significa che, se si aggiunge un cristallo di
composto (A), il soluto comincia soluto fungente da “germe” o si dà semplicemente un colpetto al recipiente, il solu
a cristallizzare separandosi dalla to in eccesso cristallizza immediatamente, lasciando una soluzione satura (Figu
soluzione (B) e continua a farlo ra 13.18). Si può spesso preparare una soluzione soprassatura di un soluto che ha
finché la soluzione restante non
è satura (C). (Foto: © McGraw-
una maggiore solubilità a una temperatura più alta. Mentre si riscalda il contenuto
Hill Education/Stephen Frisch del matraccio, si scioglie una quantità di soluto maggiore di quella necessaria per
Photographer). preparare una soluzione satura a una temperatura più bassa e poi si raffredda lenta
mente la soluzione. Se il soluto in eccesso resta disciolto, la soluzione è soprassatura.
senta alcuni esempi di relazioni tra solubilità e temperatura per composti ionici in
acqua. Si noti che per la maggior parte la curva ha pendenza positiva. Il solfato di
cerio è l’unica eccezione presente nella figura, ma parecchi altri sali, in prevalenza
solfati, si comporta analogamente. Alcuni sali presentano solubilità crescente fino a
una certa temperatura e poi solubilità decrescente a temperature ancora più alte.
Si potrebbe pensare che il segno di ΔHsoluz indichi l’effetto della temperatura.
La maggior parte dei solidi ionici ha un ΔHsoluz positivo perché per la maggior parte
l’energia reticolare è maggiore del calore di idratazione.
Perciò, viene assorbito calore per formare la soluzione a partire dal soluto e dal
solvente e, se si considera il calore come un reagente, un aumento della tempera
tura dovrebbe aumentare la velocità del processo diretto:
soluto + solvente + calore
soluzione satura
Temperatura e solubilità dei gas in acqua L’effetto della temperatura sulla so
lubilità dei gas è molto più prevedibile. Quando un solido si scioglie in un liquido,
le particelle di soluto devono separarsi, quindi si deve fornire energia; perciò, per
un solido, ΔHsoluto > 0. Per contro, le particelle di un gas sono già separate, quindi
ΔHsoluto 0. Poiché la tappa di idratazione è esotermica (ΔHidr < 0), la somma di
questi due termini deve essere negativa. Perciò, per tutti i gas in acqua, ΔHsoluz < 0:
soluto( g ) + acqua( l )
soluzione satura( aq ) + calore
Questa equazione significa che la solubilità dei gas in acqua diminuisce all’aumentare
della temperatura. I gas hanno forze intermolecolari deboli e quindi si esercitano forze
intermolecolari relativamente deboli tra un gas e l’acqua. Quando la temperatura
aumenta, l’energia cinetica media delle particelle in soluzione aumenta, permettendo
alle particelle di gas di vincere facilmente queste forze deboli e di ritornare nella fase
gassosa.
Questo comportamento può causare un problema ambientale noto come in-
quinamento termico. Nel corso di molti processi industriali, grandi quantità di acqua
vengono prelevate da un fiume o da un lago vicino, vengono pompate attraverso
il sistema per raffreddare liquidi, gas e impianti e poi vengono restituite al corpo
d’acqua a una temperatura più alta.
Le velocità metaboliche dei pesci e degli altri animali acquatici aumentano
nell’acqua più calda rilasciata dallo scarico dell’impianto; quindi la loro necessità di
O2 aumenta, ma la concentrazione di O2 disciolto diminuisce all’aumentare della
temperatura dell’acqua. La deplezione (depauperazione) di ossigeno può danneggia
re queste popolazioni acquatiche. Inoltre, l’acqua più calda è meno densa, quindi
galleggia sull’acqua più fredda sottostante e impedisce all’O2 di raggiungerla. Perciò,
anche gli organismi che vivono a profondità maggiori vengono deprivati di ossige
no. Più lontano dall’impianto, la temperatura dell’acqua ritorna a valori ambientali,
la solubilità di O2 aumenta e la stratificazione della temperatura scompare. Un
metodo per alleviare questo problema è ricorrere a torri di raffreddamento, che
raffreddano l’acqua prima che esca dall’impianto (Figura 13.20).
P1
Figura 13.21 Effetto della
pressione sulla solubilità di un
P2 P2
gas. A. Una soluzione satura
di un gas è in equilibrio alla
pressione P1. B. Se si aumenta
la pressione a P2, il volume del
gas diminuisce. Di conseguenza,
la frequenza degli urti contro
la superficie aumenta, e una
maggiore quantità di gas entra
in soluzione. C. Si raggiunge
nuovamente l'equilibrio alla A B C
pressione P2.
Molarità e molalità
La molarità (M), o concentrazione molare, è il numero di moli di soluto disciolti in 1 L
di soluzione:
quantità (mol) di soluto (13.4)
molarità ( M ) =
volume (L) di soluzione
Nel Capitolo 3, abbiamo usato la molarità per convertire i litri di soluzione in moli
di soluto disciolto. Ma l’espressione della concentrazione in termini di molarità può
avere inconvenienti. Poiché il volume è influenzato dalla temperatura, lo è anche la
molarità. Una soluzione si dilata quando viene riscaldata, quindi una unità di volu
me di soluzione calda contiene un po’ meno soluto rispetto a una unità di volume
di soluzione fredda. Questa può essere una causa di errore nei lavori molto precisi.
Ciò che più importa, a causa di interazioni soluto-solvente difficili da prevedere, i
volumi di soluzione possono non essere additivi; cioè l’aggiunta di 5,00 × 102 mL di una
soluzione a 5,00 × 102 mL di un’altra può non dare 1,000 × 103 mL. Perciò, nei lavori
precisi, può non essere facile preparare una soluzione con una molarità desiderata.
Un’espressione della concentrazione che non contiene il volume nel rapporto
che la definisce è la molalità (m), o concentrazione molale, il numero di moli di
soluto disciolte in 1000 g (1 kg) di solvente:
Si noti che la molalità è espressa in termini della quantità di solvente, non della
quantità di soluzione. Le soluzioni molali si preparano misurando masse di soluto
e di solvente, non volumi di solvente o di soluzione. La massa non varia al variare
della temperatura, quindi non varia con la temperatura neppure la molalità. Inoltre,
a differenza dei volumi, le masse sono additive: aggiungendo 5,00 × 102 g di una
soluzione a 5,00 × 102 g di un’altra soluzione si ottengono 1,000 × 103 g di soluzione
finale. Per questi motivi, si preferisce la molalità, come misura della concentrazione,
quando la temperatura, e quindi la densità, possono variare, come nell’esame delle
proprietà fisiche delle soluzioni. È importante rendersi conto che, poiché 1 L di
acqua ha una massa di 1 kg, la molalità e la molarità sono quasi identiche per soluzioni
acquose diluite.
Parti in massa La più comune delle espressioni della concentrazione come parti
in massa è la percentuale in massa, che abbiamo già incontrato nel Capitolo 3. La
percentuale in massa di soluto è la massa di soluto disciolta in ogni 1,00 × 102 parti
in massa di soluzione, ossia è la frazione in massa moltiplicata per 100:
massa di soluto
percentuale in massa = ×100
massa di soluto + massa di solvente (13.6) • Concentrazioni ultrabas-
se insalubri
massa di soluto I tossicologi ambien
= ×100 tali misurano spesso concentrazioni
massa di soluzione
di inquinanti estremamente basse.
La percentuale in massa è espressa talvolta come % (w/w) in cui il w/w indica che I CDC (Centers for Disease Control
and Prevention), l’agenzia federale
la percentuale è un rapporto tra pesi (o più correttamente masse). Sulle etichette statunitense per la salute, consi
delle bottiglie si possono vedere valori della percentuale in massa di sostanze chi derano la TCDD (tetraclorodiben
miche solide per indicare le quantità di impurità presenti. Due espressioni molto zodiossina) una delle sostanze più
simili della concentrazione sono le parti per milione (ppm) in massa e le parti per tossiche che si conoscano. Questo
miliardo (ppb, parts per billion) in massa: grammi di soluto per milione o per miliar composto appartiene alla famiglia
delle diossine di idrocarburi cloru
do di grammi di soluzione, rispettivamente. (Nell’Equazione 13.6 si moltiplica per rati, un sottoprodotto dello sbian
106 o per 109, rispettivamente, invece che per 100). camento della carta. La TCDD è
considerata insicura a livelli nel
Parti in volume La più comune delle espressioni della concentrazione come parti suolo superiori a 1 ppb. Per con
in volume è la percentuale in volume, il volume di soluto in 1,00 × 102 volumi tatto con l’aria, l’acqua e il suolo,
di soluzione: la maggior parte dei nordamericani
ha una media di 0,01 ppb di TCDD
volume di soluto nel tessuto adiposo. L’EPA (En vi
=
percentuale in volume ×100 (13.7) ronmental Protection Agen cy) ha
volume di soluzione
valutato recentemente la TCDD
Un simbolo comune per questa espressione della concentrazione è % (v/v). Per esem insicura a tutte le concentrazioni
misurate.
pio, l’alcol per frizioni commerciale è una soluzione acquosa di alcol isopropilico (un
alcol a tre atomi di carbonio) che contiene 70 volumi di alcol isopropilico per ogni
1,00 × 102 volumi di soluzione, che l’etichetta indica come “70% (v/v)”. Le concentra
zioni espresse in parti in volume sono le più usate per i liquidi e i gas. I componenti at
mosferici minori sono presenti in parti per milione in volume (ppmv, parts per million
by volume). Per esempio, vi sono circa 0,05 ppmv (50 ppbv) del gas tossico monossido
di carbonio (CO) nell’aria non inquinata, 1000 volte tanto (circa 50 ppmv di CO) nell’a
ria inquinata dal traffico urbano, e 10 000 volte tanto (circa 500 ppmv di CO) nel fumo
di una sola sigaretta. Esistono in natura alcune concentrazioni estremamente piccole. I
feromoni sono composti organici secreti da un membro di una specie per comunicare
agli altri membri della specie informazioni sul cibo, i pericoli, la recettività sessuale e
così via. Molti organismi, tra cui i cani e le scimmie, rilasciano feromoni, e i ricercatori
prospettano la possibilità che lo facciano anche gli esseri umani. La maggior parte
degli studi sui feromoni rivolgono l’attenzione agli insetti sociali. Alcuni feromoni
degli insetti sono attivi a concentrazioni soltanto di qualche centinaio di molecole per
millilitro di aria, circa 100 parti ogni 1015 (milione di miliardi) in volume.
Un simbolo usato spesso per le soluzioni acquose è % (m/v), un rapporto tra
massa di soluto e volume di soluzione. Per esempio, una soluzione di NaCl all’1,5%
(m/v) contiene 1,5 g di NaCl ogni 1,00 × 102 mL di soluzione. Questo modo di espri
mere le concentrazioni è particolarmente comune nei laboratori clinici e in altre
strutture sanitarie.
Frazione molare La frazione molare (X) di un soluto è il rapporto tra il numero
di moli di soluto e il numero totale di moli (soluto più solvente), cioè è il numero
di parti in quantità (moli); mentre la percentuale molare (o percentuale in moli) è la
frazione molare espressa come percentuale:
Abbiamo esaminato questi termini nel Capitolo 5 in relazione alla legge di Dalton
delle pressioni parziali nel caso di miscele di gas, ma essi sono validi anche per i
liquidi e i solidi. Le concentrazioni espresse come frazioni molari offrono il quadro
più chiaro del rapporto effettivo tra le particelle di soluto (o di solvente) e tutte le
particelle presenti nella soluzione.
= 1,16 × 104 ppm Ca
11,5 L alcol
=
volume (L) di alcol 0,750 L di vino × = 0,0862 L
1,00 ×102 L vino
(c) Determinazione delle frazioni molari. Conversione dai grammi alle moli:
1 mol C3H7OH
moli di C3H7OH =142 g C3H7OH × =2,36 mol C3H7OH
60,09 g C3H7OH
1 mol H2O
moli di H2O =58,0 g H2O × =3,22 mol H2O
18,02 g H2O
(c) Dalla percentuale in massa e dalla densità alla molarità. Conversione dalla massa di solu
zione al volume di soluzione:
1 mL
volume (mL) di soluzione = 100,0 g × = 90,1 mL
1,11 g
Si noti che Keb per l’acqua è soltanto 0,512 [(°C ⋅ kg)/mol], quindi le variazioni della
temperatura di ebollizione sono piuttosto piccole: se si sciogliessero 1,00 mol di
glucosio (1,80 × 102 g; 1,00 mol di particelle) in 1,00 kg di acqua, oppure 0,500 mol
di NaCl (29,2 g; un elettrolita forte, quindi anche 1,00 mol di particelle) in 1,00 kg
di acqua, le temperature di ebollizione delle risultanti soluzioni a 1 atm sarebbero
soltanto 100,512 °C invece di 100,000 °C.
Abbassamento della temperatura di solidificazione (abbassamento crio-
scopico) Come abbiamo appena visto, soltanto le molecole di solvente sono in
grado di vaporizzare dalla soluzione, quindi le molecole del soluto non volatile
restano nella soluzione. Analogamente, in molti casi, soltanto le molecole di solvente
sono in grado di solidificare, lasciando anche in questo caso le molecole di soluto
nella soluzione per formare una soluzione un po’ più concentrata. La temperatu
ra di solidificazione di una soluzione è la temperatura a cui la sua pressione di
vapore è uguale a quella del solvente puro. A questa temperatura, le due fasi – il
solvente solido e la soluzione liquida – sono in equilibrio. Poiché la pressione di
vapore della soluzione è inferiore a quella del solvente a qualsiasi temperatura,
la soluzione solidifica a una temperatura inferiore a quella a cui solidifica il sol
vente. In altre parole, il numero di particelle di solvente che escono dal soluto
nell’unità di tempo e il numero di quelle che vi entrano diventano uguali a una
temperatura inferiore. L’abbassamento della temperatura di solidificazione
o abbassamento crioscopico (ΔTs) è mostrato nella Figura 13.24; si noti che la
curva solido-liquido per la soluzione giace a sinistra di quella per il solvente puro
a qualsiasi pressione.
Come ΔTeb, l’abbassamento crioscopico ΔTs ha un valore direttamente propor
zionale alla concentrazione molale del soluto:
dove Kcr è la costante crioscopica molale, che è espressa anch’essa in gradi celsius per
kilogrammo su mole [(°C ⋅ kg)/mol] (vedi Tabella 13.6).
Inoltre, come il valore di ΔTeb, anche il valore di ΔTs è considerato positivo,
quindi sottraiamo la temperatura inferiore da quella superiore, ma in questo caso
sottraiamo la Ts della soluzione dalla Ts del solvente:
1,86 °C
ΔTs = × 3,62 m/kg =°
6,73 C
m/kg
Ts(soluzione) = Ts(solvente) − Δ
=Ts 0,00 °C − 6,73 °C =−6,73°C
In linea di principio, per trovare la massa molare del soluto si può usare una qual
siasi delle proprietà colligative, ma, in pratica, alcuni sistemi forniscono dati più
accurati rispetto ad altri. Per esempio, per determinare la massa molare di un soluto
sconosciuto mediante l’abbassamento crioscopico, si dovrebbe scegliere un solven
te che abbia la costante crioscopica molale più grande possibile (vedi Tabella 13.6).
Per esempio, se il soluto è solubile in acido acetico, una concentrazione 1 mol/kg
di esso abbassa di 3,90 °C la temperatura di solidificazione, una variazione di tem
peratura pari a più del doppio di quella in acqua (1,86 °C).
Delle quattro proprietà colligative, la pressione osmotica causa le variazioni
più grandi e quindi permette le misurazioni più precise. I biochimici e i chimici
dei polimeri stimano masse molari fino a 105 g/mol misurando la pressione osmo
tica. Poiché si scioglie soltanto una piccola frazione di 1 mol di un soluto ma
cromolecolare, essa creerebbe una variazione troppo piccola delle altre proprietà
colligative.
Determinazione della quantità (in moli) di soluto (dopo la conversione dei millilitri in litri):
moli di soluto = M ×V =
Calcolo della massa molare dell’emoglobina (dopo la conversione dei milligrammi in gram-
mi):
0,0215 g
= = 6,89 × 104 g/mol
3,12 ×10−7 mol
Verifica I risultati sembrano ragionevoli: la pressione osmotica piccola implica una molarità
molto piccola. L’emoglobina è una proteina, una macromolecola biologica, quindi ci atten
diamo un piccolo numero di moli [(2 × 10−4 mol/L)(1,5 × 10−3 L) = 3 × 10−7 mol] e una
grande massa molare [(21 × 10−3 g)/(3 × 10−7 mol) = 7 × 104 g/mol].
Psolvente =
X solvente × Psolvente
0
e Psoluto =
X soluto × Psoluto
0
dove Xsolvente e Xsoluto si riferiscono alle frazioni molari nella fase liquida. Secondo
la legge di Dalton delle pressioni parziali, la pressione di vapore totale è la somma
delle pressioni di vapore parziali:
Come un soluto non volatile abbassa la pressione di vapore del solvente rendendo
minore di 1 la frazione molare del solvente, così la presenza di ciascun componente
volatile abbassa la pressione di vapore dell’altro rendendo minore di 1 ciascuna fra
zione molare.
Esaminiamo questo effetto in una soluzione contenente quantità uguali (lo stes
so numero di moli) di benzene (C6H6) e di toluene (C7H8): Xbenzene = X
toluene = 0,500.
A 25 °C, la pressione di vapore del benzene puro (P0benzene) è 95,1 mmHg e quella
del toluene puro (P0toluene) è 28,4 mmHg; si noti che il benzene è più volatile del
toluene. Troviamo le pressioni parziali usando la legge di Raoult:
Come si può vedere, la presenza del benzene abbassa la pressione di vapore del
toluene e viceversa.
La composizione del vapore differisce da quella della soluzione? Per stabilirlo,
calcoliamo la frazione molare di ciascuna sostanza nel vapore applicando la legge di
Dalton. Come abbiamo visto nel Paragrafo 5.4, XA = PA/Ptotale. Perciò, per il benzene
e il toluene nel vapore,
Applicazioni dell’abbassamento
crioscopico
Sghiaccianti per aeroplani e anticongelanti
per autoveicoli Il glicole etilenico (C2H6O2)
è miscibile con l’acqua mediante estesi legami
idrogeno e ha una temperatura di ebollizione
abbastanza alta per essere essenzialmente non volatile a
100 °C. È il principale componente degli “sghiaccianti”
per aeroplani. Negli anticongelanti di tipo “tutto l’anno”
per autoveicoli abbassa la temperatura di solidificazione
dell’acqua nel radiatore in inverno e innalza la sua tem
peratura di ebollizione in estate. (Foto: © Alhim/Shutter
stock).
Regolazione della forma della Per studiare il contenuto cellulare, In una soluzione ipertonica, una
cellula Il termine tono (o tonicità) i biochimici rompono le membrane soluzione in cui la concentrazione
designa la “saldezza” di una cellula collocando le cellule in una soluzione di particelle di soluto è maggiore
biologica. Una soluzione isotonica ha ipotonica, una soluzione che ha una di quella nel liquido cellulare,
la stessa concentrazione di particelle concentrazione di particelle di soluto la cellula si contrae per effetto
che è presente nel liquido cellulare, inferiore a quella del liquido cellulare. dell’efflusso netto di acqua.
quindi la quantità di acqua che entra Di conseguenza, la quantità di acqua (Foto: © David M. Phillips/Science
nella cellula nell’unità di tempo è che entra nella cellula nell’unità di Source).
uguale alla quantità che ne esce e tempo è maggiore della quantità che
viene così mantenuta la forma nor ne esce, facendo sì che la cellula si
male della cellula. dilati e scoppi.
(Foto: © David M. Phillips/Science (Foto: © David M. Phillips/Science
Source). Source).
Soluzioni isotoniche per impie- Approvvigionamento
ghi sanitari I liquidi di lavaggio idrico ipotonico degli alberi
delle lenti a contatto sono costituiti Le sostanze disciolte nella linfa degli alberi
da una soluzione salina isotonica creano una soluzione più concentrata
(soluzione 0,15 M di NaCl) per dell’acqua sotterranea circostante. L’ac
impedire eventuali variazioni del qua entra attraverso le membrane delle
volume delle cellule corneali. Sono cellule radicali e sale nell’albero, creando
sempre isotoniche le soluzioni per una pressione osmotica che può supe
la somministrazione endovenosa di rare 20 atm negli alberi più alti! (Foto:
nutrienti o di farmaci. © David M. Phillips/Science Source).
Il valore misurato del fattore di van’t Hoff è tipicamente minore del valore atteso in
base alla formula. Questa deviazione implica che gli ioni non si comportano come
particelle indipendenti. Però, altri dati indicano che i sali solubili si dissociano com
pletamente in ioni. Il fatto che la deviazione sia maggiore nel caso degli ioni biva
lenti e trivalenti è una forte indicazione del fatto che la carica ionica è in qualche
modo coinvolta (Figura 13.27).
Per spiegare questo comportamento non ideale, consideriamo che gli ioni siano
separati ma vicini l’uno all’altro. In prossimità di uno ione positivo sono aggregati,
in media, più ioni negativi e viceversa. La Figura 13.28 mostra ciascuno ione circon
dato da un’atmosfera ionica di carica netta di segno opposto. Mediante queste
associazioni elettrostatiche, ciascun tipo di ione si comporta come se fosse “vinco
lato”, quindi la sua concentrazione sembra più bassa di quanto sia in realtà. Perciò,
Figura 13.27 Comportamenti si parla di concentrazione effettiva, ottenuta moltiplicando i per la concentrazione
non ideali di soluzioni di elet- stechiometrica basata sulla formula. Maggiore è la carica, più forti sono le associazio
troliti. Il fattore di van’t Hoff (i) ni elettrostatiche, quindi la deviazione dal comportamento ideale è maggiore per i
per vari soluti ionici in soluzione composti che si dissociano in ioni polivalenti.
acquosa diluita (0,05 m) indica-
In condizioni e concentrazioni ordinarie, il comportamento non ideale delle
no che il valore osservato (in blu
scuro) è sempre minore del valo- soluzioni è molto più comune e le deviazioni sono molto maggiori rispetto al
re atteso (in blu chiaro). Questa comportamento ideale dei gas, perché le particelle nelle soluzioni sono molto più
deviazione è dovuta a interazioni vicine le une alle altre. Ciononostante, i due sistemi presentano alcune similarità
ioniche che, in effetti, riducono il interessanti. I gas presentano un comportamento quasi ideale a basse pressioni per
numero di ioni liberi in soluzione.
ché le distanze interparticellari sono grandi. Analogamente, il fattore di van’t Hoff
La deviazione è massima per gli
ioni polivalenti. (i) tende al suo valore ideale via via che la soluzione diventa più diluita, cioè via
via che aumenta la distanza interionica. Nei gas, le attrazioni interparticellari cau
sano deviazioni dalla pressione attesa. Nelle soluzioni, le attrazioni interparticellari
causano deviazioni dal valore atteso di una proprietà colligativa. Infine, sia per i gas
reali sia per le soluzioni reali, si usano valori numerici determinati empiricamente
(costante di van der Waals o fattore di van’t Hoff) per trasformare le teorie (l’equa
zione di stato dei gas perfetti o la legge di Raoult) in relazioni più utili.
•
tenue
“Saponi” nell’intestino
Nell’intestino tenue, i gras
si vengono digeriti dai sali biliari,
molecole simili a saponi con una
parte polare-ionica più piccola e
una parte apolare più grande. I sali
biliari, secreti dal fegato, accumulati
nella cistifellea e rilasciati nell’in
testino, emulsionano i grassi così
come li emulsionano i saponi: gli
aggregati grassi vengono demoliti
(degradati) in particelle di dimen
sioni colloidali e dispersi nel liquido
acquoso. In questa forma, i grassi
vengono demoliti ulteriormente e
trasportati nel sangue per essere
sottoposti al metabolismo cellulare.
= 18,9% in massa
= 81,1% in massa
1 mol C3H7OH
35,0 g C3H7OH ×
60,09 g C3H7OH
X C3H7OH =
⎛ ⎞ ⎛ ⎞
⎜⎜35, 0 g C3H7OH × 1 mol C3H7OH ⎟⎟ + ⎜⎜150 g C2H5OH × 1 mol C2H5OH ⎟⎟
⎜⎝ ⎟
60,09 g C3H7OH ⎟⎠ ⎝ ⎜ 46,07 g C2H5OH ⎟⎟⎠
= 0,152
= 1190 g soluz
massa di HCl 2,00 g
%=
in massa HCl = ×100 180,15 g/mol
massa di soluzione = ×101 mmHg
2,00 g 50,0 g
+
430 g 180,15 g/mol 32,04 g/mol
= ×100
= 36,1% in massa HCl
1190 g
= 0,713 mmHg
1 kg
% in massa (kg) di H2O = (1190 g soluz − 430 g HCl) ×
1000 g
ΔTs 178 °C
13.7 m = = = 9,56 =
mol/kg 9, 56 m
= 0, 760 kg H 2O Kcr 1,86 [( °C ⋅ kg)/mol]
1,190 ×10−3 kg soluz 13.8 Π = MRT
=
massa (kg) di soluz 1 L soluz ×
1×10−3 L soluz
⎛ atm ⋅ L ⎞⎟
= 1,190 kg soluz = (0,30 mol/L ) ⎜⎜0,0821 ⎟ (37 °C + 273,15)
⎝ mol ⋅ K ⎟⎠
36,46 g HCl 1 kg
massa (kg) di HCl = 11,8 mol HCl × × 3 = 7,6 atm
1 mol HCl 10 g
= 0,430 kg HCl
mol HCl mol HCl
molalità di HCl = =
kg acqua kg soluz − kg HCl
del gel, il quale fluisce in altre vasche dove sedimenta. Quando nell’acqua è presente una grande quantità di bicar
4. Filtrazione. Tra i vari filtri che possono essere utilizzati, i bonato (HCO3−), i cationi dell’acqua dura causano un’accumu
più comuni sono letti di sabbia o membrane con pori di di lazione di incrostazioni, depositi insolubili di carbonati nelle
5 sterilizzazione
e disinfezione
2 coagulazione 3 Flocculazione/ aggiunta di cloro
Al2(SO4)3 sedimentazione agli utenti
e additivi Cl2
polimerici
valvola
1 filtrazione e grigliatura
dei materiali grossolani
ione
edimentaz
e di s
vasch 4 Filtrazione
entrata dell'acqua
Tipi di legame
Il legame covalente è formato
Vi sono tre modelli idealizzati di legame: dall’attrazione tra due nuclei
ionico, covalente e metallico. e una coppia di elettro-
ni localizzati. Il legame
covalente si forma per
condivisione di elettroni
tra atomi con una piccola
∆χ (di solito due non
metalli) e dà origine a mo-
lecole discrete con forme
Il legame ionico è formato dall’at- specifiche o a reticoli estesi
trazione tra ioni positivi e ioni nega- (Paragrafo 9.3).
tivi. Gli ioni si formano per trasferi-
mento di elettroni tra atomi con Il legame metallico è
una grande ∆χ (da metallo formato dall’attrazione
a non metallo). Il legame tra i nuclei degli atomi
ionico dà origine a metallici e i loro elet-
solidi cristallini in cui troni di valenza de-
gli ioni sono stretta- localizzati. Secondo
mente impaccati in un modello, questo
disposizioni regolari tipo di legame si
(Paragrafo 9.2). forma per condivi-
sione (compartecipa-
zione) di elettroni di
valenza forniti da molti
atomi e dà origine a solidi
cristallini (Paragrafi 9.5 e
12.6).
Nelle sostanze reali il legame effettivo si situa di solito
tra questi modelli distinti (Paragrafo 9.4). Le rappresentazioni
della densità elettronica mostrano che le nuvole elettroni-
che si sovrappongono: lievemente nel legame ionico (NaCl);
notevolmente nel legame covalente polare (un legame SiCl
in SiCl4); completamente nel legame covalente apolare (Cl2).
Natura della sovrapposizione Gli orbitali si sovrappongono in due modi, che danno
origine a due tipi di legami (Paragrafo 11.2):
degli orbitali
• la sovrapposizione di testa (degli orbita-
In un legame covalente, gli elettroni condivisi risiedono
li atomici s, p e ibridi) dà origine a un lega-
nell’intera regione costituita dagli orbitali sovrapposti dei
me σ (sigma), in cui la densità elettronica è
due atomi. Il disegno schematico
distribuita simmetricamente lungo l’asse di
rappresenta i legami nell’etilene
legame. Un legame singolo è un legame σ;
(C2H4).
• la sovrapposizione di fianco (degli
L’ordine di legame è la metà orbitali p con p, o talvolta d) dà origine a
del numero di elettroni condivisi. un legame π (pi greca), in cui la densità
Gli ordini di legame 1 (legame elettronica è distribuita al di sopra e al di
singolo) e 2 (doppio legame) sono sotto dell’asse di legame. Un doppio legame
comuni; un ordine di legame 3 è costituito da un legame σ e da un legame
(triplo legame) è molto meno π. Un legame π limita la rotazione attorno
comune. Si hanno ordini di le- all’asse di legame, permettendo differenti
game frazionari quando esistono disposizioni spaziali degli atomi e, quindi, la
strutture di risonanza per specie formazione di differenti molecole. I legami π
con legami singoli e doppi legami sono spesso siti di reattività; per esempio:
adiacenti (Paragrafi 9.3 e 10.1).
CH2 CH2(g) + H Cl(g) CH3 CH2 Cl(g)
CH3 CH3(g) + H Cl(g) nessuna reazione
Numero di legami e forma molecolare
La forma di una molecola è definita dalle posizio-
ni dei nuclei degli atomi legati. Secondo la teoria
VSEPR (Paragrafo 10.3), il numero di gruppi di
elettroni nel livello di valenza di un atomo cen-
trale, che si basa sul numero di coppie di legame
e di coppie solitarie (lone pairs), è il fattore chiave
che determina la forma molecolare. La piccola
tavola periodica a fianco mostra che:
• gli elementi del Periodo 2 non sono capaci di formare
più di quattro legami perché hanno un massimo
di quattro orbitali di valenza (un orbitale s e tre
orbitali p). (Soltanto il carbonio forma di solito
quattro legami). Le forme molecolari (cerchio
piccolo) sono basate su disposizioni lineari, planari
trigonali e tetraedriche dei gruppi di elettroni;
• molti elementi nel Periodo 3 o in periodi superio
ri sono capaci di formare più di quattro legami
usando orbitali d vuoti ed espandendo così i
loro livelli di valenza. Le forme molecolari com-
prendono quelle citate sopra e altre basate su
disposizioni bipiramidali trigonali e ottaedriche
dei gruppi di elettroni (cerchio grande).
La piccola tavola periodica riportata qui sotto mostra la posizione Nella piccola tavola periodica sottostante
dei metalli, dei metalloidi e dei non metalli tra gli elementi dei ombreggiata in blu si noti che:
gruppi principali. Si noti che: • il comportamento metallico cambia gradual-
• i metalli sono situati nella parte inferiore sinistra della tavola; mente tra gli elementi;
• i non metalli risiedono nella parte superiore destra della tavola; • il comportamento metallico è parallelo all’an
• i metalloidi sono situati tra i metalli e i non metalli. Questi ele- damento del raggio atomico: i più grandi
menti hanno valori intermedi del raggio atomico, dell’energia di membri di un gruppo (in basso) o di un
ionizzazione e dell’elettronegatività periodo (a sinistra) sono più metallici; i
e presentano un carattere metallico membri più piccoli sono meno metallici.
intermedio; sono solidi lucenti con
bassa conduttività; si comportano
come cationi con i non metalli (per
esempio, AsF3) e come anioni con i
metalli (per esempio, Na3S).
I metalli e i non metalli formano tipicamente composti ionici cristallini quando reagiscono tra loro, e il raggio ionico e la
carica ionica determinano l’impaccamento in questi solidi. Gli ioni monoatomici presentano chiare tendenze nel raggio
ionico:
• i cationi sono più piccoli degli atomi originali, mentre gli anioni sono più grandi;
• il raggio ionico aumenta dall’alto al basso lungo un gruppo;
• il raggio ionico
diminuisce da si
nistra a destra
lungo un periodo,
ma gli anioni
sono molto più
grandi dei catio-
ni.
• gli elementi con elettronegatività intermedia (alcuni metalloidi e metalli) formano ossidi anfoteri, che reagiscono con
acidi e con basi. Per esempio, Al2O3 è un ossido anfotero:
reagisce con un acido: Al2O3(s) + 6H+(aq) 2Al3+(aq) + 3H2O(l)
−
reagisce con una base: Al2O3(s) + 2OH (aq) + 3H2O(l) 2Al(OH)4−(aq)
© McGraw-Hill Education/
© McGraw-Hill Education/
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
(1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)
1
2 Li Be O2 F2
3 Na Mg Cl2
4 K Ca Br2
5 Rb Sr I2 La piccola tavola periodica riportata a sinistra mostra che la capacità ossidante e
la capacità riducente sono in relazione con le proprietà atomiche:
6 Cs Ba
• gli elementi con bassa energia di ionizzazione e bassa elettronegatività [Grup-
7
pi 1A(1) e 2A(2)] sono agenti riducenti forti;
agente riducente forte • gli elementi con alta energia di ionizzazione e alta elettronegatività [Grup-
agente ossidante forte po 7A(17) e ossigeno nel Gruppo 6A(16)] sono agenti ossidanti forti.
I composti cova-
lenti reticolari,
come la silice,
hanno tempera-
tura di fusione,
temperatura
di ebollizione,
∆Hfus e ∆Hvap
estremamente alte.
I composti ionici,
come il cloruro
di sodio, hanno
temperatura di
fusione, tempe
ratura di ebol-
lizione, ∆Hfus e
∆Hvap molto alte.
Nello studio della chimica che avete compiuto finora, avete imparato come attri-
DA SAPERE PRIMA
buire un nome ai composti, come bilanciare le equazioni e come calcolare la resa
• vedi “Uno sguardo d’insieme alle
proprietà degli elementi” delle reazioni. Avete visto come il calore è in relazione con il cambiamento chimico
(pp. 447-457) e fisico, come la configurazione elettronica influenza le proprietà atomiche, come
gli elementi si legano per formare composti e come la disposizione delle coppie di
elettroni di legame e delle coppie solitarie (lone pairs) di elettroni spiega le forme
delle molecole. Avete visto anche come le proprietà atomiche e molecolari danno
origine alle proprietà macroscopiche dei gas, dei liquidi, dei solidi e delle soluzioni.
Lo scopo di queste conoscenze, ovviamente, è spiegare la magnifica diversità
del comportamento chimico e fisico del mondo che ci circonda. La tavola periodica
degli elementi è stata dedotta da fatti chimici osservati nel corso di lunghe ricer-
che condotte nel XVIII e nel XIX secolo. Uno dei più importanti risultati scientifici
è la teoria quantistica sviluppata nel XX secolo, la quale fornisce un fondamento
teorico per l’organizzazione della tavola periodica. Ma si deve tenere presente che
raramente un’unica teoria è in grado di spiegare tutti i fatti. Perciò, è giustificato
meravigliarsi del potere di previsione degli andamenti periodici che si osservano nella
tavola periodica, ma non ci si deve preoccupare se si osservano sporadiche eccezioni a
queste periodicità: dopo tutto, i nostri modelli sono semplici, ma la natura è complessa.
IN QUESTO CAPITOLO applicheremo i concetti generali di legame, struttura e
reattività agli elementi dei gruppi principali e vedremo come il loro comporta-
mento è correlato con la loro posizione nella tavola periodica. Esamineremo per
primo l’idrogeno, il più semplice e, sotto alcuni aspetti, il più importante di tutti
gli elementi, e poi useremo il Periodo 2 per passare in rassegna i cambiamenti
generali attraverso la tavola periodica. Ciascuna delle sezioni restanti di questo
capitolo si occuperà di una delle otto famiglie di elementi dei gruppi principa-
li. Elementi particolarmente importanti – boro, carbonio, silicio, azoto, fosforo,
ossigeno, zolfo e gli alogeni – saranno esaminati in maggiore dettaglio. (Se
non avete ancora letto la sezione “Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli
elementi”, che precede questo capitolo, è giunto il momento di farlo. Passate in
rassegna le principali tendenze che si osservano in tutta la tavola periodica, in
preparazione alla trattazione che sta per cominciare.)
formare H2 e OH−:
→ Na+ ( aq ) + OH− ( aq ) + H2 ( g )
NaH( s ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
Lo ione idruro è anche un potente riducente; per esempio, riduce Ti(IV) a metallo libero:
TiCl 4 ( l ) + 4LiH( s ) ⎯ ⎯
→ Ti( s ) + 4LiCl( s ) + 2H2 ( g )
Idruri covalenti (o molecolari) L’idrogeno reagisce con i non metalli per forma-
re molti idruri covalenti (o molecolari), quali CH4, NH3, H2O e HF. La maggior parte di
essi sono gas costituiti da piccole molecole, ma molti idruri del boro e del carbonio
sono liquidi o solidi costituiti da molecole molto più grandi. Nella maggior parte
degli idruri covalenti, l’idrogeno ha numero di ossidazione +1 perché l’altro non
metallo ha elettronegatività più alta di quella dell’idrogeno.
Le condizioni per la preparazione degli idruri covalenti dipendono dalla reat-
tività dell’altro non metallo. Per esempio, con N2 stabile, in cui i due atomi sono
legati da un triplo legame, l’idrogeno reagisce a temperature elevate (400 °C) e a
pressioni elevate ( 250 atm) e la reazione richiede un catalizzatore per procedere
a una velocità d’impiego pratico:
catalizzatore
N 2 ( g ) + 3H2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → 2NH3 ( g ) ΔH r0 = −91,8 kJ
In tutto il mondo gli impianti industriali utilizzano questa reazione per produrre ogni
anno milioni di tonnellate di ammoniaca per la preparazione di fertilizzanti, esplosivi e
fibre sintetiche. D’altra parte, l’idrogeno si combina rapidamente con F2 reattivo, in cui
è presente un legame singolo, anche a temperature estremamente basse (−196 °C):
F2 ( g ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯→ 2HF( g ) ΔH r0 = −546 kJ
• Il potere riducente decresce nella serie dei metalli e il potere ossidante cresce
nella serie dei non metalli. Nel Periodo 2, i numeri di ossidazione comuni sono
uguali al numero del Gruppo A nel caso di Li e Be e al numero del Gruppo A
meno otto nel caso di O e F. Il boro ha più numeri di ossidazione. Ne non ne
ha alcuno, e C e N presentano tutti i numeri di ossidazione possibili per i loro
gruppi.
Un punto che si presenterà spesso, ma che non è indicato nella Tabella 14.1, è il
comportamento anomalo degli elementi del Periodo 2 entro i gruppi. Gli elementi
del Periodo 2 presentano un comportamento che non è rappresentativo dei loro
gruppi perché hanno raggio atomico relativamente piccolo e un piccolo numero di or-
bitali entro il livello energetico.
Tabella 14.1 Tendenze nelle proprietà atomiche, fisiche e chimiche degli elementi del Periodo 2
Gruppo 1A(1) 2A(2) 3A(13) 4A(14)
Elemento/N. atomico Litio (Li) Z = 3 Berillio (Be) Z = 4 Boro (B) Z = 5 Carbonio (C) Z = 6
Proprietà atomiche
Configurazione
elettronica [He] 2s1 [He] 2s2 [He] 2s22p1 [He] 2s22p2
condensata;
diagramma parziale
degli orbitali 2s 2p 2s 2p 2s 2p 2s 2p
Proprietà fisiche
Aspetto
Proprietà chimiche
Reattività generale Reattivo Bassa reattività a Bassa reattività a Bassa reattività a temperatura
temperatura ambiente temperatura ambiente ambiente; grafite più reattiva
Legame tra gli atomi Metallico Metallico Covalente reticolare Covalente reticolare
dell’elemento
Legame con non Ionico Covalente polare Covalente polare Covalente (legami
metalli π comuni)
Legame con metalli Metallico Metallico Covalente polare Covalente polare
• Saponi al litio per • Ogive di razzi • Detergente (borace) • Cografite: lubrificanti, fibre
grassi lubrificanti • Leghe per molle e • Colliri, antisettici strutturali
• Bombe termonucleari ingranaggi (acido borico) • Diamante: gioielli,
• Batterie ad alta • Componenti di • Corazze (B4C) strumenti di taglio,
tensione di piccola reattori nucleari • Vetri borosilicati pellicole protettive calcare
massa • Tubi per raggi X • Nutrienti per le piante (CaCO3)
• Trattamento dei • Composti organici: farmaci,
disturbi maniaco- combustibili, tessili, ecc.
depressivi (Li2CO3)
a temperatura
rafite più reattiva nessun campione
disponibile
colare
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
(1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)
ami
Non metallo Non metallo Non metallo Non metallo
re — — — — energia di prima Ne
ro Tf e Teb molto basse Tf e Teb molto basse Tf e Teb molto basse Tf e Teb estremamente ionizzazione 2080
basse (kJ/mol)
ente acido F
1681
N
1402 O
ssidazione 1314
inattivo a temperatura Molto reattivo Estremamente reattivo Chimicamente inerte C
a
1086
tiva ambiente Be
899 B
Molecole N2 covalenti Molecole O2 (o O3) Molecole F2 covalenti Nessuno; atomi separati 800
covalenti Li
520
Covalente (legami S Covalente (legami S Covalente Nessuno
rificanti, fibre comuni) comuni)
1A 2A 3A 4A 5A 6A 7A 8A
oielli, Ionico/covalente Ionico Ionico Nessuno (1) (2) (13) (14) (15) (16) (17) (18)
Na Cs Cs
atomico e il raggio
ionico aumentano,
Rb
0,8
K
39,10
1347
4s1 Li
(+1) Proprietà fisiche 181
881
Na
Il legame metallico è relativamente 98
766
37
debole perché c’è un solo elettrone K
63
Rb di valenza. Perciò, questi metalli
sono teneri e hanno temperature di
Rb
39
688
705
85,47 fusione e di ebollizione relativamen- Cs
28 Teb
5s1 te basse. Questi valori diminuiscono Tf
Fr
(+1) progressivamente dall’alto al basso 0 500 1000 1500
lungo il gruppo perché i nuclei Temperatura (°C)
55
atomici più grandi attraggono meno (Teb = temperatura di ebollizione; Tf = temperatura di fusione)
Il potere riducente dei metalli alcalini (indicati con E) è 1. I metalli alcalini riducono H in H2O dallo stato di ossida-
indicato nelle reazioni 1÷4. Alcune applicazioni indu- zione +1 allo stato 0:
striali dei composti degli elementi del Gruppo 1A(1) sono 2E( s ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯ → 2E+ ( aq ) + 2OH− ( aq ) + H2 ( g )
indicate nelle reazioni 5÷6.
La reazione diventa sempre più vigorosa dall’alto al basso
lungo il gruppo (vedi fotografia).
2. I metalli alcalini riducono l’ossigeno, ma il prodotto
dipende dal metallo. Li forma l’ossido, Li2O; Na forma il
perossido, Na2O2; K, Rb e Cs formano il superossido, EO2:
4Li( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2Li 2O( s )
2Na( s ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯ → Na 2O2 ( s )
K( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯→ KO 2 ( s )
Nei sistemi di respirazione di emergenza, KO2 reagisce con
H2O e CO2 presenti nell’aria espirata per rilasciare O2.
3. I metalli alcalini riducono l’idrogeno per formare idruri
ionici (salini):
2E( s ) + H2 ( g ) ⎯ ⎯ → 2EH( s )
Reazione del potassio NaH è una base industriale e un agente riducente usato per
con l’acqua.
preparare altri agenti riducenti come NaBH4.
(Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen
4. I metalli alcalini riducono gli alogeni per formare aloge-
Frisch, nuri ionici:
photographer). 2E( s ) + X 2 ⎯ ⎯ → 2EX( s ) ( X = F, Cl, Br, I)
segue da pagina 461 La configurazione ns1, da cui dipendono le loro proprietà fisiche, è anche il motivo
per cui questi metalli formano sali così facilmente. Per esempio, in un ciclo di Born-
Haber della reazione tra un metallo alcalino e un non metallo, il metallo solido si
separa in atomi gassosi, ciascuno degli atomi trasferisce il proprio elettrone esterno
al non metallo, e i cationi che ne risultano attraggono gli anioni nel solido ionico
(Paragrafo 9.2). Con ciascuna di queste tappe sono correlate alcune delle proprietà
basate sulla configurazione ns1.
1. Basso calore di atomizzazione (ΔH 0atom). Conformemente alle basse temperature
di fusione e di ebollizione dei metalli alcalini, i loro deboli legami metallici deter-
minano bassi valori del calore di atomizzazione ΔH 0atom (l’energia necessaria per
convertire il solido in singoli atomi gassosi), che diminuisce lungo il gruppo:*
E( s ) ⎯ ⎯
→ E( g ) ΔH atom (Li > Na > K > Rb > Cs)
2. Bassa Ei e piccolo raggio ionico. Ciascun metallo alcalino ha le dimensioni più gran-
di e l’energia di ionizzazione Ei più bassa nel suo periodo. Avviene una grande di-
minuzione delle dimensioni quando va perduto l’elettrone esterno: il volume dello
ione Li+ è minore del 13% di quello dell’atomo Li! Perciò, gli ioni del Gruppo 1A(1)
sono piccole sfere con una notevole densità di carica.
3. Alta energia reticolare. Quando i sali cristallizzano, vengono liberate grandi quan-
tità di energia perché i piccoli cationi sono vicini agli anioni. Perciò, le tappe en-
dotermiche di atomizzazione e ionizzazione sono facilmente più che compensate
dalla formazione altamente esotermica del solido. Per un dato atomo, la tendenza
dell’energia reticolare è l’inverso della tendenza del raggio del catione: quando il
raggio del catione aumenta, l’energia reticolare diminuisce in valore assoluto. Questa
diminuzione regolare del valore assoluto dell’energia reticolare nei cloruri degli
elementi dei Gruppi 1A(1) e 2A(2) è mostrata nella Figura 14.2.
Nonostante le forti attrazioni ioniche nel solido, quasi tutti i sali degli elementi
del Gruppo 1A(1) sono solubili in acqua. Gli ioni attraggono le molecole d’acqua svi-
luppando un elevato calore di idratazione (ΔHidr), e quando gli ioni presenti nel
cristallo ordinato si distribuiscono in modo casuale e si idratano in soluzione si ha
LiCl 853
BeCl2 3020 un grande aumento del disordine del sistema; questi fattori, nel loro insieme, più
che compensano l’elevata energia reticolare.
MgCl2 2526
NaCl 786 Il valore assoluto dell’energia di idratazione decresce al crescere del raggio io
CaCl2 2258 nico:
KCl 715
E+ ( g ) ⎯ ⎯
→ E+ ( aq ) ΔH = −ΔH idr (Li+ > Na+ > K + > Rb+ > Cs+ )
SrCl2 2156
RbCl 689
È interessante notare che gli ioni più piccoli attraggano le molecole d’acqua tanto
BaC2 2056l 1A(1) fortemente da formare ioni idrati più grandi. Questa tendenza delle dimensioni ha
CsCl 659
un importante effetto sulla funzione dei nervi, dei reni e delle membrane cellulari
RaC2 2004l 2A(2)
FrCl 632 perché i raggi di Na+(aq) e di K+(aq), i cationi più comuni nei liquidi cellulari, in-
fluenzano il loro movimento dall’interno all’esterno delle cellule e viceversa.
0 1000 2000 3000
Valore assoluto dell'energia
reticolare (kJ/mol) Il comportamento anomalo del litio
Figura 14.2 Energie retico- Come abbiamo notato nell’esame della Tabella 14.1, tutti gli elementi del Periodo 2
lari dei cloruri di elementi dei
presentano un qualche comportamento anomalo (non rappresentativo) all’interno
Gruppi 1A(1) e 2A(2). Il valore
assoluto dell’energia reticola- dei loro gruppi. Anche entro le tendenze regolari, prevedibili, del Gruppo 1A(1), il
re decresce in modo regolare Li ha alcune proprietà atipiche. È l’unico elemento del gruppo che formi un ossido
in entrambi i gruppi di cloruri e un nitruro, Li2O e Li3N, in seguito alla reazione con O2 e N2 in aria.
metallici via via che i cationi Soltanto Li forma composti molecolari con gruppi idrocarburici provenienti da
diventano più grandi. Le ener-
alogenuri organici:
gie reticolari dei cloruri degli
elementi del Gruppo 2A(2) sono
2Li( s ) + CH3CH2Cl( g ) ⎯ ⎯
→ CH3CH2Li( s ) + LiCl( s )
maggiori perché i cationi 2A
hanno una carica maggiore e
un raggio minore. * In tutto il capitolo useremo il simbolo E per rappresentare qualsiasi elemento in un gruppo.
137,3
1,848
6s2 Be
(+2) 1,738 La temperatura di fusione e la
Mg
temperatura di ebollizione general-
1,55
88 Ca mente diminuiscono, e la densità
Ra Nessun campione
Sr
2,63
3,62
di solito aumenta dall’alto verso
il basso lungo il gruppo. Questi
(226) disponibile Ba valori sono molto più alti di quelli
7s2 Ra
5,5 degli elementi 1A(1) e la tendenza
(+2) non è altrettanto regolare.
0 3 6 9 12
Densità (g/mL)
2. I metalli più grandi riducono 6. Eccettuato BeO anfotero, gli ossidi sono basici:
l’acqua per formare idrogeno
gassoso: → E2+ ( aq ) + 2OH− ( aq )
EO( s ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
E( s ) + 2H2O( l ) ⎯ ⎯
→ Combustione di un nastro di Ca(OH)2 è un componente del cemento e della malta.
magnesio. (Foto: © McGraw-
2+ −
E ( aq ) + 2OH ( aq ) + H2 ( g ) Hill Education/Stephen 7. Tutti i carbonati subiscono la decomposizione termica
Frisch, photographer).
(E = Ca, Sr, Ba) all’ossido:
Be e Mg formano un rivestimento aderente di ossido che Δ
ECO3 ( s ) ⎯ ⎯ → EO( s ) + CO 2 ( g )
consente soltanto una reazione blanda.
3. I metalli riducono gli alogeni per formare alogenuri ionici: Questa reazione è utilizzata per produrre CaO (calce) in
E( s ) + X 2 ⎯ ⎯
→ EX 2 ( s ) (X = F, Cl, Br, I) enormi quantità a partire da calcare naturale.
segue da pagina 467 carica nucleare addizionale, e quindi Zeff è maggiore. Perciò, gli elementi del Grup-
po 2A(2) hanno raggi atomici minori ed energie di ionizzazione maggiori rispetto
agli elementi del Gruppo 1A(1). Nonostante le energie di ionizzazione più alte, tutti
i metalli alcalino-terrosi (eccettuato Be) formano composti ionici sotto forma di cationi
2+. Il berillio si comporta in modo diverso perché la quantità di energia necessaria
per rimuovere due elettroni da questo piccolo atomo è così grande che esso non
forma mai ioni Be2+ discreti, e i suoi legami sono covalenti polari.
Come i metalli alcalini, i metalli alcalino-terrosi sono forti riducenti. Questi
elementi riducono O2 nell’aria per formare l’ossido (Ba forma anche il perossido,
BaO2). Eccettuati Be e Mg, che formano rivestimenti di ossido aderenti, i metalli
alcalino-terrosi riducono H2O a temperatura ambiente per formare H2. E, con
l’eccezione del Be, riducono gli alogeni, N2 e H2 per formare composti ionici. Gli
ossidi del Gruppo 2A(2) sono fortemente basici (eccettuato BeO anfotero) e rea-
giscono con gli ossidi acidi per formare sali, quali solfiti e carbonati; per esempio,
SrO( s ) + CO 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ SrCO3 ( s )
I carbonati naturali, quali i calcari e i marmi, sono importanti materiali strutturali e
fonti industriali della maggior parte dei composti 2A.
I metalli alcalino-terrosi sono reattivi perché le alte energie reticolari di questi
composti più che compensano la grande energia di ionizzazione totale necessaria
per formare il catione 2+ (Paragrafo 9.2). I sali degli elementi del Gruppo 2A(2)
hanno energie reticolari molto più alte di quelle dei sali degli elementi del Grup-
po 1A(1) (vedi Figura 14.2) perché i cationi 2A sono più piccoli e doppiamente
carichi.
Una delle principali differenze tra i due gruppi è la più bassa solubilità dei sali
degli elementi 2A in acqua. I loro ioni sono più piccoli e hanno carica più elevata
degli ioni degli elementi 1A e quindi hanno maggiori densità di carica. Anche se ciò
4
rispetto a quelli nel Gruppo 1A(1). 5 Rb
Sr In
Gruppo
spettro di comportamento in 2A è più ampio che in 1A a causa di Be, ed è ancora
più ampio nel Gruppo 3A(13) dal boro metalloide al tallio metallico. Figura 14.6 Guardando
indietro al Gruppo 1A(1) e
avanti al gruppo 3A(13) dal
14.5 GRUPPO 3A(13): LA FAMIGLIA DEL BORO punto di vista del Gruppo
2A(2).
La terza famiglia di elementi dei gruppi principali contiene alcuni membri insoliti
e alcuni membri familiari, alcuni legami “esotici” e alcune proprietà fisiche strane.
Il capofamiglia è il boro (B), ma, come vedremo, le sue proprietà non rappresentano
di certo gli altri membri.
L’alluminio metallico (Al) ha proprietà che sono le più tipiche del gruppo, ma
la sua grande abbondanza e importanza contrastano con la rarità del gallio (Ga),
dell’indio (In) e del tallio (Tl). Le proprietà atomiche, fisiche e chimiche di questi
elementi sono riassunte nel Ritratto di famiglia del Gruppo 3A(13) (pp. 472-473). continua a pagina 474
Stati di
GRUPPO 3A(13) Raggio Raggio diventa più comune
atomico ionico 589
ossidazione (pm) (pm) via via che si scende Tl
comuni lungo il gruppo.
B 0 500 1000 1500 2000 2500
85 Il raggio atomico è Energia di prima ionizzazione (kJ/mol)
minore e l’elettrone-
5 Al Al3
143 54
gatività è maggiore
B che nel caso degli
elementi 2A(2); B
2,0
10,81 Ga Ga3
però, l’energia di
2s22p1 135 62 1,5
ionizzazione è più Al
(+3) bassa perché è più 1,6
Ga
In In3 facile rimuovere e−
13 167 80 dal sottolivello ener- 1,7
In
Al getico p superiore.
Tl
1,8
26,98 Tl Tl Il raggio atomico,
3s23p1 170 150 l’energia di ionizza- 0 1 2 3 4
(+3) zione e l’elettrone- Elettronegatività
gatività non variano dall’alto verso
31 il basso lungo il gruppo nel modo
che ci si attende a causa dell’inseri-
Ga mento degli elementi di transizione e degli elementi di transizione interna.
69,72
4s24p1
(+3, +1) B 2180 a3650
Proprietà fisiche Al
2467
49 660
Il legame cambia da covalente 2403
Tl
0 3 6 9 12
Densità (g/mL)
tamento è più simile a quello di un metallo nel suo stato inferiore, e anche questo fatto
è in relazione con la densità di carica ionica. In questo esempio, la minore carica di
In+ non polarizza lo ione O2− tanto quanto faccia la maggiore carica di In3+. Perciò,
nei composti di formula generale E2O, il legame di E con O è più ionico di quanto
sia nei composti di formula generale E2O3, cosicché lo ione O2− è più disponibile
per agire come base (vedi “Uno sguardo d’insieme alle proprietà degli elementi”,
pagina 453).
(Queste reazioni, in cui un reagente accetta una coppia di elettroni da un altro per
formare un legame covalente, sono molto diffuse nei processi inorganici, organici e
biochimici. Sono note come reazioni acido-base di Lewis; le esamineremo nel Capito-
lo 18 e vedremo esempi di esse in tutta la seconda metà di questo volume).
Analogamente, B ha soltanto sei elettroni nell’acido borico, B(OH)3 (indicato
talvolta con la notazione H3BO3). In acqua, l’acido stesso non rilascia un protone;
invece, accetta una coppia di elettroni da O in H2O, formando un quarto legame e
rilasciando uno ione H+:
• Borati in laboratorio Il
il raggio, l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività di C sono compresi tra quelli di
B e quelli di N (vedi Tabella 14.1). Inoltre, C ha quattro elettroni di valenza, mentre B
⋅ ⋅ ⋅ ⋅
riscaldamento forte dell’acido borico
ne ha tre e N ne ha cinque, cosicché i gruppi ⋅ C — C⋅ e ⋅ B —N⋅ hanno lo stesso numero
(o dei borati) separa le molecole d’ac- ⋅ ⋅ ⋅ ⋅
qua e dà ossido di boro: 2B(OH)3(s) di elettroni di valenza. Perciò, H3C CH3 (etano) e H2B NH3 (amminoborano) sono
Δ isoelettronici, così come lo sono il benzene e la borazina (Figura 14.9A e B).
⎯⎯ → B2O3(l) + 3H2O(g). L’ossido
fuso scioglie gli ossidi metallici per Il nitruro di boro (Figura 14.9C) ha una struttura costituita da esagoni fusi a
formare vetri borati. Quando viene formare strati, assai simile a quella della grafite. Inoltre, come nella grafite, i suoi
miscelato con silice (SiO2), forma
vetro borosilicato. Grazie alla sua
elettroni π sono altamente delocalizzati per risonanza. Però, i calcoli degli orbitali
trasparenza e alla piccola variazio- molecolari indicano che nel nitruro di boro esiste un ampio gap di energia tra la
ne delle dimensioni in seguito a banda di valenza completa e la banda di conduzione vuota, intervallo che non esi-
riscaldamento o a raffreddamento, il ste nella grafite (vedi Figura 12.37).
vetro borosilicato serve a fabbricare Di conseguenza, il nitruro di boro è un isolante elettrico di colore bianco,
recipienti di vetro per la cottura dei
cibi e per gli usi di laboratorio.
mentre la grafite è un conduttore elettrico di colore nero. A pressione e tempera-
(Foto: © McGraw-Hill Education/ tura elevate, il nitruro di boro forma borazone (Figura 14.9D), che ha una struttura
Stephen Frisch, photographer). cristallina simile a quella del diamante ed è estremamente duro e abrasivo.
COMPOSTO
DEL CARBONIO
etano (C2H6)
benzene (C6H6)
diamante C
grafite
ANALOGO BN
amminoborano (BNH6)
borazina (B3N3H6)
borazone N B
A B C nitruro di boro D
Figura 14.9 Similarità fra sostanze contenenti legami C C e sostanze contenenti legami B N. Si noti che, in ciascun
caso, B raggiunge un ottetto elettronico legandosi con N ricco di elettroni. A. L’etano e il suo analogo BN. B. Il benzene e la
borazina, detta spesso “benzene inorganico”. C. La grafite e la simile struttura esagonale estesa del nitruro di boro. D. Il diaman-
te e il borazone hanno la stessa struttura cristallina e sono tra le sostanze più dure che si conoscano.
Formare legami a ponte con atomi poveri di elettroni Nel boro elementare
e nei suoi molti idruri (borani) non c’è un atomo ricco di elettroni che fornisca
elettroni al boro. In queste sostanze il boro raggiunge un ottetto elettronico me-
diante la formazione di qualche legame insolito. Per esempio, nel diborano (B2H6) e
in molti diborani più grandi esistono due tipi di legame B H. Il primo tipo è un
tipico legame mediante condivisione di una coppia di elettroni. La rappresentazio-
ne del legame di valenza nella Figura 14.10 mostra un orbitale di B sovrapposto
all’orbitale 1s di H in ciascuno dei quattro legami B H terminali, usando due dei
tre elettroni nel livello di valenza di ciascun atomo B.
L’altro tipo di legame è un legame a ponte negli idruri (o legame a tre centri e
due elettroni), in cui ciascun gruppo B H B è tenuto unito soltanto da due elettroni.
Due orbitali sp3, uno da ciascun B, si sovrappongono a un orbitale 1s di H tra di essi.
Due elettroni si muovono attraverso questo orbitale di legame esteso – uno provenien-
te da uno degli atomi B e l’altro dall’atomo H – e uniscono i due atomi B tramite il
ponte costituito dall’atomo H. È importante notare che ciascun atomo B è circondato da
otto elettroni: quattro forniti dai due legami B H normali e quattro dai due legami a
ponte B H B. In molti borani e nel boro elementare (Figura 14.11), un atomo B lega
a ponte altri due atomi B in un legame B B B a tre centri e due elettroni.
Tabella 14.2 Tipo di legame e processo di fusione nei Gruppi 3A(13), 4A(14) e 5A(15)
Periodo
Pressione (atm)
104
particolare pressione e temperatura. Il Gruppo 4A(14) offre il primo esempio im-
pressionante di allotropia nelle forme del carbonio. È difficile immaginare due so- 103
grafite
stanze costituite interamente dalla stessa specie atomica che siano più diverse della 102
grafite e del diamante. La grafite è un conduttore elettrico nero, tenero e “untuoso”,
101 vapore
mentre il diamante è un isolante elettrico incolore estremamente duro. La grafite
è lo stato normale del carbonio, la forma più stabile a temperatura e pressione or- 100
0 2000 4000 6000
dinarie, come mostrato dal diagramma di fase nella Figura 14.12. Per fortuna dei
Temperatura (°C)
proprietari di gioielli, il diamante si trasforma in grafite a una velocità trascurabile
in condizioni normali. Figura 14.12 Diagramma di
Alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso destò grande interesse un fase del carbonio. La grafite è
la forma di carbonio più stabile
allotropo del carbonio da poco scoperto. L’analisi della fuliggine condotta con
in condizioni ordinarie (circo-
la spettrometria di massa aveva indicato la presenza di una molecola a forma di letto rosso in basso all’estrema
pallone da calcio e di formula C60 (Figura 14.13A; vedi anche la scheda Bellezza sinistra). Il diamante è più stabi-
molecolare: forme strane con funzioni utili, Capitolo 10). Indagini più recenti hanno le a pressioni molto alte.
rivelato la presenza di questa molecola in campioni geologici formati dall’urto di
meteoriti, anche da quello avvenuto al tempo dell’estinzione dei dinosauri. La
molecola è stata denominata buckminsterfullerene (informalmente buckyball), in
omaggio all’architetto R. Buckminster Fuller, che aveva progettato strutture di
forma simile (cupole geodetiche a moduli pentagonali o esagonali). L’eccitazione
aumentò nel 1990, quando gli scienziati impararono a preparare quantità di C60 e
dei fullereni correlati dell’ordine dei grammi, sufficienti per studiarne il compor-
tamento macroscopico e le possibili applicazioni. Da allora sono stati incorporati
nella struttura dei fullereni atomi metallici e sono stati legati molti differenti
gruppi (fluoro, ossidrile, zuccheri ecc.) per preparare composti con un’ampia gam-
ma di proprietà utili.
Poi, nel 1991, gli scienziati fecero passare una scarica elettrica attraverso bac-
chette di grafite sigillate in un recipiente in un’atmosfera di elio gassoso e otten-
nero tubi simili a grafite (1 nm di diametro) con fullereni alle estremità (Figu
ra 14.13B). Questi nanotubi sono rigidi e, a parità di massa, sono molto più resistenti
dei tubi d’acciaio lungo l’asse longitudinale. Inoltre, essi conducono corrente elet-
trica lungo l’asse longitudinale in virtù degli elettroni delocalizzati. Resoconti sui
fullereni e sui nanotubi compaiono quasi giornalmente nei periodici scientifici. Con
potenziali applicazioni nell’elettronica, nella catalisi, nei polimeri e nei farmaci su
nanoscala, la chimica dei fullereni e dei nanotubi riceverà crescente attenzione nel
corso del XXI secolo.
Lo stagno ha due allotropi. Lo stagno β bianco è stabile a temperatura ambiente
e a temperature superiori, mentre lo stagno α grigio è la forma più stabile a tem-
perature inferiori a 13 °C. Quando lo stagno bianco viene tenuto per lungo tempo
a bassa temperatura, una parte di esso si converte in microcristalli di stagno grigio. continua a pagina 482
32
Ge C
Instabile
4100
72,61 ∼3280
4s24p2 Proprietà fisiche Si
1420
2850
(+4, +2) Le tendenze nelle proprietà Ge
945
fisiche, quali la diminuzione della 2623
50 Sn
durezza e della temperatura di 232
Sn
1751 Teb
fusione, sono dovute a variazioni Pb Tf
327
nei tipi di legame all’interno del
118,7 solido: reticolo covalente in C, Si 0 1000 2000 3000 4000
5s25p2 e Ge, legame metallico in Sn e Pb
Temperatura (°C)
82
Pb 2,27
C
207,2
6s26p2 Si
2,34
(+4, +2)
5,32 La densità cresce dall’alto verso
Ge
114 Flerovio: osservato il basso lungo il gruppo a causa
per la prima volta 7,26 di vari fattori, comprendenti
Fl durante
Sn
1 1,34 differenze nell’impaccamento
esperimenti Pb cristallino.
(289)
7s27p2 condotti a Dubna,
in Russia, nel 1998 0 3 6 9 12
Densità (g/mL)
segue da pagina 479 La formazione e la crescita casuale di queste regioni di stagno grigio, che hanno una
differente struttura cristallina, indeboliscono il metallo facendolo sgretolare. Nelle
cattedrali non riscaldate dell’Europa settentrionale medievale, le canne di stagno
degli organi talvolta si sgretolavano in conseguenza della “malattia dello stagno”
causata da questa transizione allotropica dallo stagno bianco allo stagno grigio.
La Figura 14.15 mostra tre dei numerosi milioni di composti organici che si cono- Figura 14.15 Tre dei
scono. I legami multipli sono comuni nelle strutture del carbonio perché il legame molti milioni di composti
C C è sufficientemente corto da permettere la sovrapposizione da lato a lato di organici noti del carbonio.
L’acrilonitrile, un precursore
due orbitali 2p semioccupati per formare legami π. (Nel Capitolo 15, disponibile sul delle fibre acriliche. Il PCB, uno
sito web del volume, esamineremo in dettaglio come le proprietà atomiche del dei bifenili policlorurati. La lisi-
carbonio danno origine alla differente struttura e reattività dei composti organici). na, uno di circa 20 amminoacidi
Poiché gli altri elementi 4A sono più grandi del carbonio, i legami E E diventano che sono presenti nelle proteine.
progressivamente più lunghi e più deboli dall’alto al basso lungo il gruppo; perciò,
la forza di legame diminuisce nell’ordine, C C > Si Si > Ge Ge. Gli orbitali d
vuoti di questi atomi più grandi rendono le catene molto più suscettibili all’attacco
chimico. Per esempio, si conoscono alcuni composti con lunghe catene di Si, ma
essi sono molto reattivi, e la catena di Ge più lunga ha soltanto otto atomi. Inoltre,
i legami più lunghi di solito non permettono una sufficiente sovrapposizione degli
orbitali p per formare legami π. Soltanto recentemente sono stati preparati compo-
sti con legami π tra atomi Si e atomi Ge, ma anche essi sono estremamente reattivi.
A differenza dei suoi composti organici, i composti inorganici del carbonio
sono semplici. I carbonati metallici sono la principale forma minerale. Il marmo,
il calcare, il corallo e parecchi altri tipi di carbonati sono presenti in enormi
giacimenti in tutto il mondo. Molti di questi composti sono resti di organismi
marini fossilizzati. I carbonati sono usati in parecchi antiacidi di uso comune
perché reagiscono con HCl nell’acido gastrico:
CaCO3 ( s ) + 2HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ CaCl 2 ( aq ) + CO 2 ( g ) + H2O( l )
Reazioni ioniche nette identiche con acido solforico e acido nitrico proteggono i
laghi delimitati da depositi di calcare contro gli effetti dannosi delle pioggie acide.
A differenza degli altri elementi 4A, che formano soltanto ossidi covalenti reti-
colari o ossidi ionici, solidi, il carbonio forma due ossidi gassosi comuni, il diossido di
carbonio (comunemente detto anidride carbonica), CO2, e il monossido di carbonio,
CO. Il diossido di carbonio è essenziale per tutte le forme di vita: è la principale
fonte di carbonio nelle piante, attraverso la fotosintesi, e negli animali, poiché si nu-
trono di piante. La sua soluzione acquosa è la causa dell’acidità nelle acque naturali.
Però, la sua accumulazione nell’atmosfera per effetto della deforestazione e dell’ec-
cessivo uso di combustibili fossili (carbone fossile, petrolio e gas naturale) può avere
un profondo effetto sul clima planetario. Il monossido di carbonio si forma quando il
carbonio o i suoi composti bruciano in presenza di una quantità insufficiente di O2:
2C( s ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2CO( g )
I siliconi hanno proprietà sia delle materie plastiche sia dei minerali. I gruppi orga-
nici conferiscono loro la flessibilità e le deboli forze intermolecolari tra
le catene che sono caratteristiche di una materia plastica, mentre lo scheletro
O Si O conferisce la stabilità termica e l’ininfiammabilità di un minerale. Nella
scheda Minerali silicatici e polimeri siliconici (nella pagina successiva) si notino i pa-
ralleli strutturali tra silicati e siliconi.
Minerali silicatici
Silicati a catene di tetraedri (inosilicati)
La più semplice classe strutturale di silicati si ha
quando ciascuna unità tetraedrica SiO4 condivide
due dei suoi vertici O con altre unità SiO4, formando
una catena. Due catene possono legarsi lateralmente
per formare un nastro; il nastro più comune ha unità
6−
Si4O11 ripetute. Ioni metallici legano tra loro i nastri
polianionici per formare strati neutri. Fra gli strati si
esercitano soltanto forze intermolecolari deboli e il
materiale si presenta in filamenti fibrosi, come nella
famiglia dei minerali di amianto. (Foto: © Jiri
Vaclavek/Shutterstock).
Grano di zeolite
Quarzo
(Foto: © Albert Russ/
Shutterstock).
Polimeri siliconici
Siliconi a catena
La più semplice classe strutturale di siliconi è costituita dalla catena polidimetilsilossano, in cui ciascuna unità
(CH3)2Si(OH)2 usa entrambi i gruppi OH per legarsi ad altre due unità. Per controllare la lunghezza della catena si addizio-
na un composto di terminazione di catena con un terzo gruppo organico, quale (CH3)3SiOH. Questi polimeri sono liquidi
oleosi non reattivi, con alta viscosità e bassa tensione superficiale. Sono utilizzati come oli idraulici e lubrificanti, come
agenti antischiumogeni per la frittura delle patatine, e come componenti degli oli abbronzanti, dei polish per carrozzerie
di automobile, dei farmaci digestivi e dei cosmetici.
Siliconi a strati: elastomeri siliconici Siliconi a impalcature: resine siliconiche
Nella successiva classe di siliconi, è presen- Nell’ultima classe strutturale di siliconi, reazioni che liberano gruppi
te un composto quale CH3Si(OH)3 il cui ter- OH e al tempo stesso sostituiscono gruppi organici più grandi ad alcu-
zo gruppo OH funge da ponte, reagendo per ni gruppi CH3 interconnettono gli strati per produrre resine termosta-
condensare lateralmente le catene e formare bili resistenti. Queste resine siliconiche sono usate come lamine iso-
strati gommosi che danno origine a elastomeri lanti su schede a circuiti stampati e come rivestimenti antiaderenti di
(gomme siliconiche), che sono flessibili, elasti- tappi di sughero e simili. Gli elastomeri siliconici e le resine siliconiche
ci e stabili da −100 °C a 250 °C. Gli elasto- hanno rivoluzionato la moderna pratica chirurgica fornendo numerose
meri siliconici sono impiegati in guarnizioni, parti che possono essere impiantate in permanenza in un paziente per
rulli, isolamenti di cavi elettrici, tute spaziali, sostituire quelle danneggiate. Alcune di queste parti sono la cute, le
lenti a contatto e protesi dentarie. ossa, le articolazioni, i vasi sanguigni e le parti di organi artificiali.
33
As
74,92 Proprietà fisiche
4s24p3
(−3, +5, Le proprietà fisiche rispecchiano il
+3) cambiamento da molecole singole
(N, P) a reticolo covalente (As, Sb) a
51 metallo (Bi). Perciò, la temperatura
di fusione prima aumenta e poi
Sb diminuisce.
121,8
5s25p3
(−3, +5,
+3)
Il grande raggio atomico e la pic-
83 cola massa atomica determinano
Bi una bassa densità. Poiché la massa
atomica aumenta dall’alto verso il
209,0 basso lungo il gruppo più di quan-
6s26p3 to aumenti il raggio atomico, la
(+3) densità degli elementi allo stato so-
Moscovio: osservato lido aumenta. Il drastico aumento
115 per la prima volta in da P ad As è dovuto all’inserimento
Mc esperimenti a Dubna,
Russia, nel 2003 e
degli elementi di transizione.
introdotto ufficialmente
(288)
nella tavola periodica
7s27p3 dalla IUPAC nel 2015
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.
segue da pagina 489 soltanto il trialogenuro, non essendo in grado di espandere il suo guscio di valenza.
La maggior parte dei trialogenuri vengono preparati per combinazione diretta:
P4 ( s ) + 6Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4PCl3 ( l )
PCl3 ( l ) + Cl 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ PCl5 ( s )
Come nel caso degli idruri, la termostabilità degli alogenuri decresce via via che il
legame E X si allunga. Per esempio, tra gli alogenuri di azoto, NF3 è un gas stabile,
scarsamente reattivo. NCl3 è esplosivo e reagisce rapidamente con l’acqua. (Il chimi-
co che lo preparò per primo perse tre dita e un occhio!). NBr3 può essere preparato
soltanto al di sotto di −87 °C. NI3 non è mai stato preparato, ma un derivato am-
moniacale (NI3 ⋅ NH3) esplode al minimo urto.
In uno schema di reazione in soluzione acquosa tipico di molti alogenuri non
metallici, gli alogenuri degli elementi 5A reagiscono con l’acqua per dare l’aloge-
nuro di idrogeno e l’ossiacido, in cui E ha lo stesso stato di ossidazione che aveva
nell’alogenuro di partenza. Per esempio, PX5 (numero di ossidazione di P = +5)
produce acido fosforico (numero di ossidazione di P = +5) e HX:
PCl5 ( s ) + 4H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H3PO 4 ( l ) + 5HCl( g )
Si produce monossido di azoto anche quando l’aria viene riscaldata ad alte tem-
perature, come nel motore a combustione interna di un autoveicolo o durante un
temporale accompagnato da fulmini:
alta T
N 2 ( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯ → 2NO( g )
Questo tipo di reazione redox, detto disproporzione, si volge quando una sostanza
agisce sia da ossidante sia da riducente in una reazione. In questo processo, un atomo
con uno stato di ossidazione intermedio nel reagente è presente nei prodotti di rea-
zione sia nello stato inferiore sia nello stato superiore: lo stato di ossidazione di N in
NO (+2) è intermedio tra quello in N2O (+1) e quello in NO2 (+4).
Il diossido di azoto (NO2), un gas tossico di colore bruno, si forma anche quando
NO reagisce con ulteriore ossigeno:
2NO( g ) + O 2 ( g ) ⎯ ⎯
→ 2NO 2 ( g )
Come NO, anche NO2 è una molecola con numero dispari di elettroni, ma l’elettro-
ne spaiato è più localizzato sull’atomo N. Perciò, NO2 dimerizza reversibilmente a
tetrossido di diazoto:
O 2N ⋅ ( g ) + ⋅NO2 ( g )
O2N ⎯ NO2 ( g ) (o N 2O4 )
Gli atomi O urtano contro le molecole O2 e formano ozono, O3, un potente ossidante
che danneggia la gomma sintetica e le materie plastiche, nonché i tessuti vegetali e
animali:
O 2 ( g ) + O( g ) ⎯ ⎯
→ O3 ( g )
Una complessa serie di reazioni tra NO2, O3 e gli idrocarburi incombusti nelle emis-
sioni dei motori a combustione interna forma perossiacilnitrati (PAN), un gruppo
di potenti irritanti del naso e degli occhi. Il risultato di questa affascinante chimica
atmosferica è lo smog bruno soffocante.
Ossiacidi e ossoanioni di azoto I due ossiacidi di azoto comuni sono l’acido ni-
trico e l’acido nitroso (Figura 14.20). Il processo Ostwald per la produzione di acido
nitrico avviene in tre tappe: l’ossidazione di NH3 a NO (vedi pag. 492) e quella di
NO a NO2 (vedi pag. 493). Il passaggio finale è una disproporzione, come indicano
i numeri di ossidazione:
+4 +5 +2
3NO 2 ( g ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2HNO3 ( aq ) + NO( g )
• Con un acido ancora più concentrato, N si riduce soltanto allo stato +4 in NO2:
Cu( s ) + 4HNO3 ( aq ; 12 M ) ⎯ ⎯
→ Cu(NO3 )2 ( aq ) + 2H2O( l ) + 2NO 2 ( g )
Cu( s ) + 4H+ ( aq ) + 2NO−3 ( aq ) ⎯ ⎯
→ Cu 2+ ( aq ) + 2H2O( l ) + 2NO2 ( g )
Si formano nitrati quando HNO3 reagisce con metalli e con i loro idrossidi, ossidi o
carbonati. Tutti i nitrati sono solubili in acqua.
Si forma acido nitroso, HNO2, un acido molto più debole di HNO3, quando i
nitriti metallici vengono trattati con un acido forte:
NaNO 2 ( aq ) + HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ HNO 2 ( aq ) + NaCl( aq )
Questi due acidi presentano un andamento regolare generale nella forza relativa del
l’acido tra gli ossiacidi: maggiore è il numero di atomi O legati al non metallo centrale,
più forte è l’acido. Così, HNO3 è più forte di HNO2. Gli atomi O rimuovono densità
elettronica dall’atomo N, il che, a sua volta, rimuove densità elettronica dall’atomo O
del legame O H, facilitando il rilascio dello ione H+. Gli atomi O agiscono anche in
modo da stabilizzare il risultante ossoanione delocalizzando la sua carica negativa. Si
osserva lo stesso andamento regolare negli ossiacidi dello zolfo e degli alogeni; esami-
neremo quantitativamente questo andamento regolare nel Capitolo 18.
Però, in eccesso di una base forte, i tre protoni si dissociano completamente in tre
tappe per dare tre ossoanioni fosfato:
Δ
2Na 2HPO 4 ( s ) ⎯ ⎯ → Na 4 P2O7 ( s ) + H2O( g )
Lo ione difosfato, il più piccolo dei polifosfati, è costituito da due unità PO4 legate
attraverso un comune vertice di ossigeno (Figura 14.22A).
La sua reazione con l’acqua, l’inverso della reazione precedente, genera calore:
P2O74− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2HPO−4 ( aq ) + calore
Il fosforo forma molti solfuri e nitruri. P4S3 è usato nelle capocchie dei fiammiferi
“accendibili ovunque”, e P4S10 è usato nella produzione di pesticidi organofosforici
quali il malathion, il parathion, il sarin ecc. I polifosfazeni hanno proprietà simili a
quelle dei siliconi. In effetti, l’unità (R2)P N è isoelettronica con l’unità silico-
nica, (R2)Si O . I fogli, le pellicole, le fibre e le schiume di polifosfazeni sono
idrorepellenti, resistenti alla fiamma e ai solventi, e flessibili a basse temperature:
perfetti per le guarnizioni e gli O-ring (tipo di guarnizione a forma di O e di sezione
circolare) nei veicoli spaziali e polari.
34
Se
78,96
4s24p4
(−2, +6,
+4, +2) Proprietà fisiche
La temperatura di fusione aumenta
52 fino a Te, in cui sono presenti lega-
Te mi covalenti, e poi diminuisce nel
caso di Po, in cui si hanno legami
127,6 metallici.
5s25p4
(−2, +6,
+4, +2)
84
Po
(209)
6s26p4
(+4, +2) La densità degli elementi allo sta-
to solido aumenta progressivamen-
Livermorio: osservato te dall’alto verso il basso lungo il
116 per la prima volta in
gruppo.
Lv esperimenti a Dubna,
Russia, in collaborazione
(293) con scienziati statu-
nitensi del Lawrence
7s27p4 Livermore National
Laboratory, nel 2000
segue da pagina 497 noto come “buco dell’ozono”), osservato sopra il polo nord e specialmente sopra il
polo sud, significa che una maggiore quantità di radiazioni ultraviolette raggiungerà
la superficie terrestre, con effetti potenzialmente dannosi. (Nel Capitolo 16 esami-
neremo le cause chimiche della deplezione dell’ozono).
Lo zolfo, con più di 10 forme, detiene il “primato” dell’allotropia nella tavola
periodica. La capacità dell’atomo S di legarsi ad altri atomi S crea numerosi anelli e
catene, con lunghezze del legame S S comprese tra 180 pm e 260 pm e angoli di
legame compresi tra 90° e 180°. A temperatura ambiente, la molecola di zolfo è un
anello di otto atomi a forma di corona, detto molecola ciclica S8 (Figura 14.23). L’allo-
tropo più stabile è l’α-S8 ortorombico, costituito interamente da queste molecole;
tutti gli altri allotropi di S finiscono per ritrasfomarsi in questo.
Anche il selenio ha parecchi allotropi, alcuni costituiti da molecole Se8 a forma
• Selenio
di corona. Se grigio è costituito da strati di catene elicoidali. La sua conduttività
e xerografia La elettrica in luce visibile ha rivoluzionato l’industria della fotocopiatura. Quando si
fotocopiatura fu inventata negli anni mescolano vetro fuso, solfuro di cadmio e Se grigio e si riscalda la miscela in assenza
Quaranta del secolo scorso come
mezzo a secco, rapido e poco costo-
di aria, si forma un vetro di colore rubino che ciascuno di noi vede quando si ferma
so, di copiatura di documenti (il davanti a un semaforo rosso.
termine xerografia deriva dal greco
xerós, “secco”, e gràphein, “scrive-
re”, e quindi significa letteralmente Un confronto tra le proprietà chimiche della famiglia
“scrittura a secco”). Il processo si dell’ossigeno e quelle della famiglia dell’azoto
basa sulla capacità del selenio di con-
durre una corrente elettrica quando Anche le variazioni del comportamento chimico in questo gruppo sono simili a
è esposto alla luce. Uno strato sot- quelle osservate nel gruppo precedente. Anche se O e S si presentano come anioni
tile di Se amorfo depositato su un più frequentemente rispetto a N e P, come N e P essi si legano covalentemente con
cilindro di alluminio viene caricato quasi tutti gli altri non metalli. Compaiono legami covalenti nei composti di Se e
elettrostaticamente. L’esposizione
Te (come in quelli di As e Sb), mentre Po si comporta come un metallo (come fa Bi)
dello strato di selenio a un docu-
mento vi produce un’“immagine” in alcuni dei suoi composti salini. A differenza dell’azoto, l’ossigeno ha pochi stati
costituita da cariche positive grandi di ossidazione comuni, ma il precedente andamento regolare si ripresenta con gli
e piccole che corrispondono alle altri membri del gruppo: gli stati +6, +4 e −2 si presentano più frequentemente, e
aree chiare e scure del documento. lo stato positivo inferiore (+4) diventa più comune in Te e in Po [come fa lo stato
Le particelle di inchiostro secco
positivo inferiore (+3) in Sb e in Bi].
nero (toner), cariche negativamente,
vengono attratte verso le regioni Lo spettro di proprietà atomiche è più ampio in questo gruppo rispetto al
cariche più intensamente più che Gruppo 5A(15) a causa dell’elettronegatività elevata (3,5) dell’ossigeno e della gran-
verso le regioni cariche meno inten- de forza ossidante, seconda soltanto a quella del fluoro. Come nel Gruppo 5A(15)
samente. Questa configurazione di e nei gruppi precedenti, spicca il comportamento dell’elemento del Periodo 2. In
particelle nere viene trasferita elet-
realtà, a parte una configurazione elettronica esterna simile, i più grandi elementi
trostaticamente sul foglio di carta,
dove vengono fuse sulla superficie del Gruppo 6A hanno un comportamento poco simile a quello dell’ossigeno: sono
della carta mediante riscaldamento o molto meno elettronegativi, formano anioni molto meno spesso (S2− si presenta con
applicazione di un solvente. Il toner metalli attivi) e i loro idruri non presentano legami idrogeno.
in eccesso viene rimosso dallo strato Eccettuato O, tutti gli elementi 6A formano idruri (H2E) gassosi, maleodoranti e
sottile di Se, le cariche vengono
tossici, per trattamento con acido del solfuro, di sali metallici di zolfo, selenio, ecc.
“cancellate” mediante l’esposizione
alla luce, e lo strato di selenio è Per esempio,
pronto per la copiatura del docu-
mento successivo. FeSe( s ) + 2HCl( aq ) ⎯ ⎯
→ H2Se( g ) + FeCl 2 ( aq )
Il solfuro di idrogeno si forma anche in natura nelle paludi per degradazione della ma-
teria organica. È tanto tossico quanto HCN e, ciò che è peggio, anestetizza i nervi olfat-
tivi, cosicché, quando la sua concentrazione aumenta, diminuisce la percezione da par-
te del sistema olfattivo! Gli altri idruri sono circa 100 volte più tossici. Nella formazione
di legami e nella termostabilità questi idruri degli elementi del Gruppo 6A(16) hanno
parecchie caratteristiche in comune con quelli degli elementi del Gruppo 5A(15).
• Soltanto l’acqua può formare legami idrogeno, cosicché le sue temperature di
fusione ed ebollizione sono molto più alte di quelle degli altri composti H2E
(vedi Figura 12.14). (Anche l’altro idruro dell’ossigeno, H2O2, presenta un’este- • Il perossido di idrogeno:
il cugino dell’idrazina
sa rete di legami idrogeno).
• Gli angoli di legame diminuiscono dal valore quasi tetraedrico nel caso di H2O L’ossigeno forma un altro idruro
denominato perossido di idrogeno,
(104,5°) a circa 90° nel caso degli idruri più grandi, la qual cosa indica che H2O2 (HO OH). Come l’idrazina
l’atomo centrale impiega orbitali p non ibridati. (H2N NH2), l’idruro di azoto corre-
• La lunghezza del legame E H aumenta (l’energia di legame diminuisce) pro- lato, il perossido di ossigeno ha una
gressivamente dall’alto al basso lungo il gruppo. Così, H2Te si decompone sopra forma asimmetrica. È un liquido
0 °C, mentre H2Po può essere preparato soltanto a bassissima temperatura incolore con un’elevata densità,
viscosità e temperatura di ebollizio-
perché l’energia termica emessa dal Po radioattivo ne causa la decomposizione ne in virtù di estesi legami idrogeno.
a temperature superiori. Un’altra conseguenza dei legami più lunghi (più debo- Nei perossidi, O è nello stato di
li) è che gli idruri degli elementi del Gruppo 6A(16) sono acidi in acqua e la ossidazione −1, intermedio tra quel-
loro acidità aumenta da H2S a H2Po. lo in O2 (zero) e quello negli ossidi
(−2); perciò, H2O2 subisce facilmen-
Eccettuato O, gli elementi del Gruppo 6A(16) formano un’ampia gamma di aloge- te una reazione di disproporzione:
nuri, la cui struttura e reattività presentano un andamento regolare che dipende dal H2O 2 ( l ) ⎯ ⎯→ H2O( l ) + 12 O 2 ( g )
raggio dell’atomo centrale e da quello degli alogeni che lo circondano. Oltre al familiare impiego di H2O2
come decolorante dei capelli e
• Lo zolfo forma molti fluoruri, alcuni cloruri, un solo bromuro, ma non forma di
sinfettante, più del 70% delle
ioduri stabili. 500 000 tonnellate prodotte
• Quando l’atomo centrale diventa più grande, gli alogenuri diventano più stabili. annualmente è usato per sbiancare
Per esempio, si conoscono tetracloruri e tetrabromuri di Se, Te e Po, così come si la polpa di legno per la produzione
della carta, i tessili, la paglia e il
conoscono ioduri di Te e Po. Però si conoscono esafluoruri soltanto di S, Se e Te. cuoio e per produrre altri composti
La relazione inversa tra lunghezza di legame e forza di legame che abbiamo visto chimici. H2O2 è usato anche nel trat-
tamento terziario delle acque reflue
precedentemente non spiega questo andamento regolare. Esso è invece basato (scheda Chimica nell’ingegneria sani-
sull’effetto di repulsioni elettroniche dovute all’ingombro di coppie solitarie e di taria, Capitolo 13) per ossidare gli
atomi di alogeno (X) attorno all’atomo centrale del Gruppo 6A(16). Nel caso di S, gli effluenti maleodoranti e ossigenare
atomi X più grandi diventano troppo ingombrati, il che spiega perché non esistono le acque reflue stesse.
ioduri di zolfo. Però, al crescere del raggio di E e quindi della lunghezza dei legami
E X, non c’è altrettanto ingombro reciproco tra le coppie solitarie e gli atomi X,
e si forma un maggior numero di alogenuri stabili.
Due fluoruri di zolfo illustrano chiaramente come l’ingombro e la disponibilità
di orbitali influenzano la reattività. Il tetrafluoruro di zolfo (SF4) è estremamente
reattivo. Forma SO2 e HF quando è esposto all’umidità ed è impiegato comunemen-
te per fluorurare molti composti:
3SF4 ( g ) + 4BCl3 ( g ) ⎯ ⎯
→ 4BF3 ( g ) + 3SCl 2 ( l ) + 3Cl 2 ( g )
Per contro, l’esafluoruro di zolfo (SF6) è quasi tanto inerte quanto un gas nobile! È
inodore, insapore, ininfiammabile, atossico e insolubile. I metalli caldi, l’HCl in ebol-
lizione, il KOH fuso e il vapore acqueo ad alta pressione non hanno alcun effetto su
di esso. L’esafluoruro di zolfo è usato come gas isolante nei generatori elettrici ad alta Figura 14.24 Differenze
strutturali tra SF4 e SF6.
tensione, resistendo a una differenza di potenziale di oltre 106 V (volt) applicata tra SF4 ha una coppia solitaria e
elettrodi posti a una distanza reciproca soltanto di 50 mm. Un’occhiata alle strutture orbitali d vuoti che possono inter-
di questi due fluoruri offre la chiave per spiegare queste stupefacenti differenze (Figu venire nella formazione di lega-
ra 14.24). Il tetrafluoruro di zolfo può formare legami con un altro atomo donando la mi. SF6 ha già il numero massimo
di legami che possono essere
propria coppia solitaria di elettroni oppure accettando una coppia solitaria in uno dei
formati da S, e gli atomi F stret-
suoi orbitali d vuoti. D’altra parte, l’esafluoruro di zolfo è privo di una coppia solitaria tamente impaccati racchiudono
centrale, e i sei atomi F formano attorno all’atomo S centrale una guaina tetraedrica l’atomo S centrale, rendendo
che blocca l’attacco chimico. chimicamente inerte SF6.
luce
nH2O( l ) + nCO 2 ( g ) ⎯ ⎯⎯ → nO 2 ( g ) + (CH2O)n (carboidrati)
Con più di 40 milioni di tonnellate prodotte ogni anno nei soli Stati Uniti, H2SO4
è il primo fra tutti i prodotti chimici industriali. La produzione di fertilizzanti, il
trattamento di metalli, pigmenti e tessuti, e la fabbricazione di saponi e detergenti
sono soltanto alcuni dei principali settori industriali che si basano sull’acido solforico.
L’acido solforico concentrato per usi di laboratorio è un liquido viscoso, incolo-
re, costituito dal 98% di H2SO4 in massa. Come gli altri acidi forti, H2SO4 si dissocia
completamente in acqua, formando lo ione idrogenosolfato (o bisolfato), un acido
molto più debole:
Gli idrogenosolfati e i solfati più comuni sono idrosolubili, ma quelli degli elementi
del Gruppo 2A(2) (eccettuato MgSO4), Pb2+ e Hg22+ non lo sono.
L’acido solforico concentrato è un eccellente disidratante. Il suo protone
legato debolmente si trasferisce all’acqua nella reazione di formazione altamente
esotermica di ioni idronio (H3O+). Questo processo può svolgersi anche quando
la sostanza reagente non contiene acqua libera. Per esempio, H2SO4 disidrata
il legno, le fibre naturali e molte altre sostanze organiche rimuovendo dalla
struttura molecolare l’acqua presente come componente e lasciando una massa
carbonacea (Figura 14.25).
L’acido tiosolforico (H2S2O3) è un analogo strutturale dell’acido solforico, in
cui un secondo S sostituisce uno degli atomi O (tio- significa “contenente zolfo
al posto di ossigeno”). Lo ione tiosolfato (S2O32−) è un importante riducente nel
l’analisi chimica. Però trova il suo impiego commerciale più ampio in fotografia,
dove il tiosolfato di sodio pentaidrato (Na2S2O3 ⋅ 5H2O) è impiegato nel fissaggio
dell’immagine fotografica.
Molti metalli si combinano direttamente con S per formare solfuri metallici.
In realtà, i solfuri naturali sono minerali, che vengono estratti per ricavarne molti
metalli, comprendenti rame, zinco, piombo e argento. A parte i solfuri degli ele- Figura 14.26 Un minerale
menti dei Gruppi 1A(1) e 2A(2), la maggior parte dei solfuri metallici non hanno solfuro comune. La pirite (FeS2),
ioni S2− discreti. l’“oro degli sciocchi”, è un mine-
Numerosi metalli di transizione, quali cromo, ferro e nichel, formano con S rale molto bello ma relativa-
mente poco costoso, che contie-
composti non stechiometrici, covalenti, simili a leghe, quali Cr0,88S o Fe0,86S. Alcuni ne lo ione S22−, ma non contiene
minerali importanti contengono S22−; un esempio è la pirite (detta l’“oro degli scioc- oro. (Foto: © Doug Sherman/
chi” per il suo aspetto ingannevole) (FeS2) (Figura 14.26). Geofile).
F2 ( g ) + 2X− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2F− ( aq ) + X 2 ( aq ) (X =
Cl, Br, I)
0 −1 +1
X 2 + H2O( l )
HX( aq ) + HXO( aq ) (X =
Cl, Br, I)
All’equilibrio, è presente pochissimo prodotto salvo che non si aggiunga ione OH−
in eccesso, che reagisce con HX e HXO e fa procedere la reazione fino al comple- Figura 14.29 Capacità ossi-
dante relativa degli alogeni.
tamento: A. Il comportamento redox degli
alogeni si basa su proprietà
X 2 + 2OH− ( aq ) ⎯ ⎯
→ X− ( aq ) + XO− ( aq ) + H2O( l )
atomiche quali l’affinità elettro-
nica, la densità di carica ionica
Quando X è Cl, la miscela di prodotti agisce come uno sbiancante: lo sbiancante per e l’elettronegatività. Un alogeno
(X2) che risiede più in alto nel
usi domestici (“candeggina”) è una soluzione diluita di ipoclorito di sodio (NaClO).
gruppo è capace di ossidare
uno ione alogenuro (X−) di un
alogeno che risiede più in basso.
B. Come esempio, quando si
aggiunge Cl2 acquoso a una
soluzione di I− (strato superio-
re), esso ossida I− a I2, che si
scioglie nel solvente CCl4 (strato
inferiore) per dare una soluzione
violetta. (Foto: © McGraw-Hill
Education/Stephen Frisch, pho-
tographer).
35
Br
79,90
4s24p5 Proprietà fisiche
(−1, +7, Le temperature e le entalpie di
+5, +3, cambiamento di fase presentano
+1) tendenze regolari. La temperatura
di fusione e la temperatura di ebol-
53
lizione aumentano dall’alto verso il
I basso lungo il gruppo in conseguen-
za delle più intense forze di disper-
126,9 sione tra molecole più pesanti.
5s25p5
(−1, +7,
+5, +3,
+1)
85
At Rarissimo. Nessun
La densità degli elementi allo sta-
to liquido (a una data T) aumenta
(210) campione in modo regolare all’aumentare
6s26p5 disponibile della massa molare.
(−1)
Tennessio: osservato
117 per la prima volta in
Ts esperimenti a Dubna,
Russia nel 2010 e intro-
dotto ufficialmente
(294) nella tavola periodica
7s27p5 dalla IUPAC nel 2015 Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.
segue da pagina 505 Il riscaldamento fa aumentare la disproporzione di XO−, creando ossoanioni con X
in uno stato di ossidazione superiore:
+1 −1 +5
Δ
3XO− ( aq ) ⎯ ⎯ → 2X− ( aq ) + XO−3 ( aq )
CaF2 ( s ) + H2SO 4 ( l ) ⎯ ⎯
→ CaSO 4 ( s ) + 2HF( g )
In IF3, I impiega due elettroni di valenza addizionali per formare due legami addizio-
nali:
+1 +3
IF+ F2 ⎯ ⎯
→ IF3
Un elemento in un gruppo con numero pari, quale lo zolfo nel Gruppo 6A(16), pre-
senta la stessa tendenza: i suoi composti hanno elettroni appaiati. Lo zolfo elementare
(numero di ossidazione = 0) acquista o condivide due elettroni per completare il suo
strato (numero di ossidazione = −2). Per esempio, usa due elettroni per reagire con il
fluoro e forma SF2 (numero di ossidazione = +2), altri due elettroni per formare SF4
(numero di ossidazione = +4) e altri due elettroni ancora per formare SF6 (numero di
ossidazione = +6). Perciò, un elemento con uno stato di ossidazione pari ha tipicamen-
te tutti gli stati pari, mentre un elemento con uno stato dispari ha tipicamente tutti gli
stati dispari. Ripetendo il punto principale, gli stati di ossidazione successivi differiscono di
due unità perché le molecole stabili hanno gli elettroni in coppie attorno ai loro atomi.
2NaClO3 ( s ) + SO 2 ( g ) + H2SO 4 ( aq ) ⎯ ⎯
→ 2ClO 2 ( g ) + 2NaHSO 4 ( aq )
2. Stato di ossidazione dell’alogeno. Tra gli ossiacidi di un dato alogeno, quale il cloro,
la forza dell’acido decresce al decrescere dello stato di ossidazione dell’alogeno:
Più alto è lo stato di ossidazione (il numero di atomi O legati) dell’alogeno, maggio-
re è la densità elettronica che esso rimuove dal legame O H. Considereremo quan-
titativamente queste tendenze nel Capitolo 18.
ta, tutti gli esperimenti avevano corroborato questa ipotesi. Poi, nel 1962, tutto
questo cambiò quando fu preparato il primo composto di un gas nobile. In che
modo i gas nobili, con livelli esterni completi ed energie di ionizzazione estrema-
mente alte, riescono a reagire?
La scoperta della reattività dei gas nobili è un classico esempio di ragionamen-
to chiaro di fronte a un evento inatteso. A quel tempo, Neil Bartlett, un giovane
chimico inorganico, stava studiando i fluoruri di platino, noti come forti ossidanti.
Quando espose accidentalmente PtF6 all’aria, il suo colore rosso intenso si schiarì
lievemente, e l’analisi mostrò che PtF6 aveva ossidato O2 per formare il composto
ionico [O2]−[PtF6]−. Sapendo che l’energia di ionizzazione della molecola di ossige-
no (O2 O2+ + e−; Ei = 1175 kJ/mol) è molto vicina a Ei1 dello xenon (1170
kJ/mol), Bartlett ipotizzò che PtF6 potesse essere capace di ossidare lo xenon. Poco
dopo, Bartlett preparò XePtF6, un solido di colore arancio-giallo. Entro qualche
mese furono preparati anche XeF2 e XeF4, solidi cristallini bianchi. Oltre che negli
stati di ossidazione +2 e +4, Xe esiste nello stato +6 in parecchi composti, come
XeF6, e nello stato +8 nell’ossido instabile XeO4. Sono stati preparati anche alcuni
composti di Kr. I fluoruri di xenon reagiscono rapidamente in acqua per formare HF
e vari altri prodotti, comprendenti vari composti dello xenon.
36
Proprietà fisiche
Kr La temperatura di fusione e la
83,80 temperatura di ebollizione di questi
4s24p6 elementi gassosi sono estremamen-
(+2) te basse, ma aumentano dall’alto al
basso lungo il gruppo a causa di forze
54
di dispersione più intense. Si notino
Xe gli intervalli di temperatura estre-
mamente piccoli in cui gli elementi
131,3 sono allo stato liquido.
5s25p6
(+8, +6,
+4, +2)
86 Mass
La densità (in condizioni normali
spectral
Rn peak
di temperatura e di pressione)
aumenta in modo regolare, come
(222) ci si attende.
6s26p6
(+2)
Oganesson: scoperto
118 in esperimenti condotti
Og in collaborazione da
scienziati russi e statu-
(294) nitensi nel 2002 e inse-
rito ufficialmente dalla
7s27p6 IUPAC nella tavola
periodica nel 2015
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.
Anche se Wöhler non si rese conto dell’importanza di questa reazione – era più
interessato al fatto che due composti possano avere la stessa formula molecolare – il
suo esperimento è considerato un evento fondamentale nell’origine della chimica
organica.
I chimici sintetizzarono presto il metano, l’acido acetico, l’acetilene e molti
altri composti organici partendo da fonti inorganiche. Oggi sappiamo che gli stessi
principi chimici governano sia i sistemi organici sia quelli inorganici perché il com-
portamento di un composto deriva dalle proprietà dei suoi elementi, indipenden-
temente da quanto possa apparire meraviglioso.
A B
tra le fasi, quindi può essere necessario procedere a un’agitazione vigorosa e alla
macinazione. In questi casi, più finemente è diviso un reagente solido o liquido, mag-
giore sarà l’area della sua superficie riferita all’unità di volume, di conseguenza maggiore
il contatto che esso avrà con l’altro reagente e quindi la reazione sarà più veloce. La
Figura 16.2A mostra che un chiodo d’acciaio portato a temperatura elevata in os
sigeno emette una luce debole; nella Figura 16.2B, la stessa massa di lana d’acciaio
s’infiamma emettendo luce intensa. Per lo stesso motivo, per accendere un fuoco
da campo si usano schegge di legno e ramoscelli, non tronchi.
3. Temperatura: le molecole devono urtarsi con energia sufficiente per reagire. La tem
peratura ha di solito un effetto importante sulla velocità di una reazione. Questo
effetto è sfruttato da due elettrodomestici familiari: un frigorifero rallenta i processi
chimici che alterano gli alimenti, mentre un fornello accelera i processi chimici che
li cuociono.
Si ricordi che le molecole in un campione di gas hanno un intervallo di velocità
e che la velocità più probabile dipende dalla temperatura (vedi Figura 5.18). Perciò,
all’aumentare della temperatura, aumenta il numero di urti in un dato intervallo di tempo.
Ma ancora più importante è il fatto che la temperatura influenza l’energia cinetica
delle molecole, quindi, l’energia delle collisioni. Nell’insieme di molecole nella rea
zione tra NO e O3 menzionata prima, per la maggior parte degli urti le molecole
rimbalzano semplicemente, come palle da biliardo, senza che avvenga una reazione.
Però, alcuni urti avvengono con un’energia così alta che le molecole reagiscono
(Figura 16.3). All’aumentare della temperatura, aumenta il numero di questi urti
abbastanza energetici. Perciò, un aumento della temperatura aumenta la velocità di
reazione aumentando il numero e, soprattutto, l’energia degli urti:
velocità di reazione ∝ energia degli urti ∝ temperatura
Il concetto qualitativo secondo cui la velocità di reazione è influenzata dalla frequen
za e dall’energia degli urti dei reagenti suscita alcune domande quantitative. Come si
Figura 16.3 Energia delle può descrivere matematicamente la dipendenza della velocità di reazione dalla con
collisioni e velocità di reazio centrazione dei reagenti? Tutte le variazioni della concentrazione influenzano nella
ne. La reazione è visualizzata stessa misura la velocità di reazione? Tutte le velocità di reazione subiscono lo stesso
nella parte superiore della figu- aumento per effetto di un dato aumento della temperatura? In che modo le molecole
ra. Anche se avvengono molti
dei reagenti utilizzano l’energia degli urti per formare le molecole dei prodotti e come
urti tra NO e O3, sono relativa-
mente pochi quelli che hanno si può determinare questa energia? Come si presentano i reagenti quando stanno per
energia sufficiente per causare trasformarsi in prodotti? Risponderemo a queste domande nei paragrafi seguenti.
una reazione. A questa tem-
peratura, soltanto l’urto a ha
energia sufficiente per formare 16.2 ESPRESSIONE DELLA VELOCITÀ DI REAZIONE
il prodotto; negli urti b e c, le
molecole di reagenti rimbalzano Prima di potere descrivere quantitativamente gli effetti della concentrazione e del
semplicemente l’una sull’altra. la temperatura sulla velocità di reazione, dobbiamo esprimerla matematicamente.
Una velocità, in senso generale, è una variazione di una grandezza riferita all’unità
di tempo. Per esempio, la velocità di un corpo (assimilato a un punto) dal punto di
vista meccanico è la variazione della posizione del corpo riferita all’unità di tempo.
Supponiamo, per esempio, di misurare la posizione di partenza x1 di un cavallo da
corsa all’istante t1 e la sua posizione finale x2 all’istante t2. La velocità media del ca
vallo è data dalla variazione della sua posizione (spostamento) riferita all’intervallo
di tempo in cui si compie:
variazione della posizione x 2 − x1 Δx
=
velocità media = =
intervallo di tempo impiegato t 2 − t1 Δt
Per esprimere la concentrazione in moli su litro (mol/L) si racchiude l’elemento tra paren-
tesi quadre [ ]. Cioè [A] è la concentrazione di A in moli su litro (mol/L), quindi, la
velocità di reazione, espressa in funzione di A è
Δ[A]
velocità di reazione = − (16.1)
Δt
L’unità di misura della velocità di reazione è la mole su litro e su secondo [mol ⋅ L−1 ⋅ s−1
ossia mol/(L ⋅ s)]. Come unità di tempo si può scegliere qualsiasi unità che sia conve
niente per la reazione di interesse: il minuto (min), l’anno (a) e così via.
Se, per determinare la velocità di reazione, si misurano le variazioni del prodot-
to, si trova che la sua concentrazione aumenta nel tempo. Cioè, conc B2 è sempre
maggiore di conc B1.
Perciò, la variazione della concentrazione del prodotto, Δ[B], è positiva, e la
velocità della reazione A B espressa in funzione di B, è
Δ[B]
velocità di reazione =
Δt
Tabella 16.1 Concentrazione reazione reversibile in fase gassosa tra etilene e ozono, una delle molte reazioni che
di O3 in vari istanti nella sua possono intervenire nella formazione dello smog fotochimico:
reazione con C2H4 a 303 K
C2H4(g) + O3(g) C2H4O(g) + O2(g)
Tempo Concentrazione di O3
(s) (mol/L) Consideriamo per il momento soltanto la concentrazione dei reagenti. Dai coeffi
−5 cienti dell’equazione possiamo vedere che, per ogni molecola di C2H4 che reagisce,
0,0 3,20 × 10
10,0 2,42 × 10−5 reagisce con essa una molecola di O3. In altre parole, le concentrazioni di entrambi
20,0 1,95 × 10−5 i reagenti diminuiscono alla stessa velocità in questa particolare reazione:
30,0 1,63 × 10−5 Δ[C2H4 ] Δ[O3 ]
40,0 1,40 × 10−5 velocità di reazione = − =−
Δt Δt
50,0 1,23 × 10−5
60,0 1,10 × 10−5 Misurando la concentrazione dell’uno o dell’altro reagente, siamo in grado di segui
re la velocità di reazione.
Supponiamo di avere una concentrazione nota di O3 in un recipiente di reazio
ne chiuso mantenuto alla temperatura di 30 °C (303 K). La Tabella 16.1 mostra la
concentrazione di O3 a vari istanti durante il primo minuto dopo l’introduzione di
C2H4 gassoso. La velocità di reazione nell’intero intervallo di tempo di 60,0 s è data
dalla variazione totale della concentrazione divisa per l’intervallo di tempo:
Durante gli ultimi 10,0 s, tra l’istante 50,0 s e l’istante finale 60,0 s, la velocità media
di reazione è
Δ[O3 ] (1,10 ×10 −5
mol/L ) − (1,23 ×10−5 mol/L )
velocità di reazione = − =−
Δt 60,0 s − 50,0 s
−7
= 1,30 ×10 mol/(L ⋅ s)
La velocità di reazione precedente è 6 volte quella successiva. Perciò, la velocità di
reazione diminuisce nel corso della reazione. Ciò ha perfettamente senso dal punto di
vista molecolare: via via che le molecole di O3 vengono consumate, ne è presente
un numero sempre minore per urtare contro le molecole di C2H4 e la velocità di
reazione diminuisce.
Si può visualizzare la variazione della velocità di reazione anche rappresentan
do le concentrazioni in funzione dei tempi in cui sono state misurate (Figura 16.4).
Si ottiene così una curva, la qual cosa significa che la velocità di reazione varia. La
pendenza (il coefficiente angolare) Δy/Δx (cioè Δ[O3]/Δt) della retta congiungente due
punti qualsiasi della curva dà la velocità media di reazione in quell’intervallo di tempo.
Più breve è l’intervallo di tempo prescelto, più la velocità media di reazione
è vicina alla velocità istantanea di reazione, ovvero la velocità di reazione
Si notino di nuovo i valori negativi per i reagenti e i valori positivi per i prodotti
(si ricorda, però, che per convenzione il segno positivo solitamente viene omesso).
La Figura 16.5 mostra i diagrammi del monitoraggio simultaneo di reagenti e pro
dotti per due diverse reazioni. Nel primo caso (Figura 16.5A, reazione tra etilene e
ozono) la concentrazione del prodotto aumenta alla stessa velocità a cui diminuisce
la concentrazione del reagente, le curve hanno la stessa forma ma sono l’una capo
volta rispetto all’altra.
Nella reazione tra l’etilene e l’ozono, i reagenti scompaiono e i prodotti compaio
no alla stessa velocità perché tutti i coefficienti nell’equazione bilanciata sono uguali.
Consideriamo ora la reazione tra idrogeno e iodio per formare ioduro di idrogeno:
H2(g) + I2(g) 2HI(g)
Per ogni molecola di H2 che scompare, scompare una molecola di I2 e compaiono
due molecole di HI. In altre parole, la velocità di diminuzione di [H2] è uguale alla
velocità di diminuzione di [I2], ma entrambe le velocità sono pari alla metà della
velocità di aumento di [HI] (Figura 16.5B). Riferendo la variazione di [I2] e di [HI]
alla variazione di [H2], otteniamo:
Δ[H2 ] Δ[I 2 ] 1 Δ[HI]
velocità di reazione = − =− =
Δt Δt 2 Δt
Concentrazione (mol/L)
[C2H4]
[O2] all’inizio della reazione è
speculare all’elevata pendenza
negativa (inclinazione verso il
basso) della curva rappresenta-
tiva di [C2H4] perché, più velo-
cemente viene consumato C2H4,
più velocemente viene formato
O2. In questo caso le due curve
hanno la stessa forma perché i [HI]
coefficienti delle equazioni che [O2]
le descrivono sono identici in
valore assoluto. B. [H2] e [HI]. In
questo caso H2 viene consumato
più lentamente di quanto non
si formi HI perché i coefficienti
stechiometrici sono diversi. A Tempo (s) B Tempo (s)
Verifica (a) Una buona verifica è usare l’espressione della velocità di reazione per ottenere
l’equazione bilanciata: [H2] varia a una velocità pari al doppio di quella di [O2], quindi reagi
scono due molecole di H2 per ogni molecola di O2. [H2O] varia a una velocità pari al doppio
di quella di [O2], quindi si formano due molecole di H2O per ogni molecola di O2. In base a
questo ragionamento, otteniamo 2H2 + O2 2H2O. [H2] e [O2] diminuiscono, quindi
assumono segni negativi; [H2O] aumenta, quindi assume un segno positivo. Un’altra verifica
consiste nell’usare l’Equazione 16.2, con A = H2, a = 2; B = O2, b = 1; C = H2O, c = 2.
Perciò,
1 Δ[A] 1 Δ[B] 1 Δ[C]
velocità di reazione = − =− =
a Δt b Δt c Δt
1 Δ[H2 ] Δ[O 2 ] 1 Δ[H2O]
da cui velocità di reazione = − =− =
2 Δt Δt 2 Δt
(b) Data l’espressione per la velocità di reazione, ha senso che il valore numerico della velo
cità di aumento di [H2O] sia pari al doppio della velocità di diminuzione di [O2].
Commento Percorrere mentalmente questo tipo di problema a livello molecolare è il meto
do migliore, ma si deve usare l’Equazione 16.2 per confermare la risposta ottenuta.
Le ipotesi su come una reazione avvenga a livello moleco Nella reazione di ossidazione la soluzione passa da incolore
lare devono basarsi su misure delle velocità di reazione. Esi a blu (Figura S16.1B) e l’intensità della colorazione è fun
stono molti metodi sperimentali, ma tutti devono ottenere zione della concentrazione della forma ossidata del blu di
i risultati in modo rapido e riproducibile. Consideriamo metilene.
quattro metodi comuni, con esempi specifici.
Metodi conduttometrici
Metodi spettrometrici
Quando reagenti non ionici formano prodotti ionici, o vi
I metodi spettrometrici sono impiegati per misurare la con ceversa, la variazione della conduttività elettrica della so
centrazione di un reagente o di un prodotto che assorbe luzione nel tempo può essere usata per misurare la velo
(o emette) la luce di uno stretto intervallo di lunghezze cità di reazione. Si immergono elettrodi nella miscela di
d’onda. La reazione può essere fatta svolgere direttamente reazione, e l’aumento (o la diminuzione) della conduttività
nel compartimento di uno spettrofotometro impostato per è correlato con la formazione del prodotto. Consideriamo
misurare una lunghezza d’onda caratteristica di una delle la reazione tra un alogenuro organico, quale il 2-bromo-
specie in esame (Figura S16.1A; vedi anche la scheda Spet- 2-metilpropano, e l’acqua:
trofotometria nell’analisi chimica nel Capitolo 7). Per esem
pio, il blu di metilene (un colorante usato nell’industria (CH3)3C Br(l) + H2O(l)
alimentare e tessile) è incolore nella sua forma ridotta e blu (CH3)3C OH(l) + H+(aq) + Br−(aq)
nella sua forma ossidata:
L’HBr che si forma è un acido forte in acqua, quindi si dis
socia completamente in ioni. Con il trascorrere del tem
H po, aumenta il numero degli ioni che si formano, quindi
N
aumenta la conduttività della miscela di reazione.
Metodi manometrici
(H3C)2N S N(CH3)2 Se una reazione implica una variazione del numero di moli
H di gas, si può determinare la velocità di reazione in base
alla variazione della pressione (a volume e temperatura
costanti) nel tempo. In pratica, si collega un manometro
riduzione ossidazione
a un recipiente di reazione di volume noto, immerso in
un bagno a temperatura costante. Per esempio, può esse
N + re monitorata con questo metodo la reazione tra zinco e
acido acetico:
(b) A quale velocità decresce [O2] quando [NO] decresce alla velocità di 1,60 × 10−4 mol/(L ⋅ s)?
Ecco alcuni esempi reali. Per la reazione tra ossido nitrico e ozono,
NO(g) + O3(g) NO2(g) + O2(g)
la legge cinetica, determinata sperimentalmente, è
velocità di reazione = k[NO][O3]
Questa reazione è del primo ordine rispetto a NO (o del primo ordine in NO), la
qual cosa significa che la velocità di reazione dipende dalla concentrazione di NO
elevata alla prima potenza, cioè [NO]1 (un esponente 1 è generalmente omesso). È
anche del primo ordine rispetto a O3, ossia [O3]1. Questa reazione è del secondo
ordine complessivo (1 + 1 = 2).
Consideriamo ora una differente equazione in fase gassosa:
2NO(g) + 2H2(g) N2(g) + 2H2O(g)
È stato determinato che la legge cinetica per questa reazione è
velocità di reazione = k[NO]2[H2]
La reazione è del secondo ordine in NO, del primo ordine in H2 e, quindi, è del
terzo ordine complessivo.
Infine, per l’idrolisi del 2-bromo-2-metilpropano, esaminata nella scheda Misura
delle velocità di reazione, pagg. 524-525,
(CH3)3C Br(l) + H2O(l) (CH3)3C OH(l) + H+ + Br−(aq)
è stato trovato che la legge cinetica per questa reazione è
velocità di reazione = k[(CH3)3CBr]
ubbidisce alla legge cinetica: velocità di reazione = k[Br−][BrO3−][H+]2. Quali sono gli ordini
di reazione in ciascun reagente e qual è l’ordine di reazione complessivo?
Per trovare gli ordini di reazione, eseguiamo una serie di esperimenti, ciascuno dei quali
comincia con un differente insieme di concentrazioni dei reagenti e da ciascuno otteniamo
una velocità iniziale di reazione.
La Tabella 16.2 mostra esperimenti nei quali si varia la concentrazione di un
reagente lasciando invariata la concentrazione dell’altro. Se confrontiamo gli Espe
rimenti 1 e 2, vediamo l’effetto del raddoppio di [O2] sulla velocità di reazione.
Iniziamo formando il rapporto delle loro leggi cinetiche:
Dividendo, otteniamo
1,99 = (2,00)m
Arrotondando a una cifra significativa, otteniamo
2 = 2m; da cui, m = 1
La reazione è del primo ordine in O2; quando [O2] raddoppia, la velocità di reazione
raddoppia.
Per trovare l’ordine rispetto a NO, confrontiamo gli Esperimenti 3 e 1, in cui
[O2] è mantenuta costante e [NO] è raddoppiata:
velocità di reazione 3 k[O 2 ]m3 [NO]n3
=
velocità di reazione 1 k[O 2 ]1m [NO]1n
Come prima, k è una costante, e in questa coppia di esperimenti [O2] rimane inva
riata, quindi queste quantità si elidono:
n
velocità di reazione 3 ⎛⎜ [NO]3 ⎞⎟
=⎜ ⎟⎟
velocità di reazione 1 ⎜⎝ [NO]1 ⎟⎠
Usando i dati seguenti si determinino gli ordini di reazione parziali e l’ordine di reazione
complessivo.
Velocità iniziale
di reazione [NO2] iniziale [CO] iniziale
Esperimento (mol/L ⋅ s) (mol/L) (mol/L)
1 0,0050 0,10 0,10
2 0,080 0,40 0,10
3 0,0050 0,10 0,20
Piano Dobbiamo risolvere la legge di velocità generale rispetto agli ordini di reazione
m e n. Per risolvere rispetto a ciascun esponente, procediamo come nel testo, formando
il rapporto delle leggi cinetiche per due esperimenti in cui varia soltanto il reagente in
questione.
Risoluzione Calcolo di m in [NO2]m. Formiamo il rapporto delle leggi cinetiche per gli
Esperimenti 1 e 2, in cui [NO2] varia mentre [CO] rimane invariata:
m
0, 080 mol/(L ⋅ s) ⎛⎜ 0, 40 mol/L ⎞⎟
=⎜ ⎟⎟
0, 0050 mol/(L ⋅ s) ⎜⎝ 0,10 mol/L ⎠
da cui
16 = 4,0m
da cui 1,0 = (2,0)n. Perciò, n = 0. La velocità di reazione rimane invariata al variare di [CO],
quindi la reazione è di ordine zero in CO.
Perciò, la legge cinetica è
Si verifichi sempre che i valori di k nella stessa serie siano costanti entro l’errore
sperimentale. Con tre cifre significative, il valore medio di k per i cinque esperi
menti nella Tabella 16.2 è 1,72 × 103 L2/(mol2 ⋅ s).
Si noti l’unità di misura della costante di velocità. Quando le concentrazioni
sono misurate in moli su litro (mol/L) e la velocità di reazione è misurata in moli
su litro e su unità di tempo [mol/(L ⋅ unità di tempo)], l’unità di misura di k di
penderà dall’ordine di reazione e, ovviamente, dall’unità di tempo. In questo caso,
l’unità di misura di k deve essere il litro quadrato su mole quadrato e su secondo
[L2/ (mol2 ⋅ s)] affinché l’unità di misura della velocità di reazione sia la mole su litro
e su secondo [mol/(L ⋅ s)]:
2
mol L2 mol ⎛⎜ mol ⎞⎟
= × ×⎜⎜ ⎟⎟
L ⋅s mol ⋅ s
2
L ⎝ L ⎠
La costante di velocità avrà sempre questa unità per una reazione del terzo ordine
complessivo con il secondo come unità di tempo. La Tabella 16.3 indica l’unità di
k per alcuni ordini di reazione complessivi, ma si può sempre determinare mate
maticamente l’unità.
16.4 L
EGGI CINETICHE INTEGRATE:
LA CONCENTRAZIONE VARIA NEL TEMPO
È importante notare che le leggi cinetiche di reazione che abbiamo formulato finora
non comprendono il tempo come variabile. Esse ci dicono la velocità di reazione o
la concentrazione a un dato istante, permettendoci di rispondere alla domanda di
importanza critica: “A quale velocità procede la reazione nel momento in cui y moli
per litro di A stanno reagendo con z moli per litro di B?”. Però, impiegando differenti
forme delle leggi di velocità, dette leggi cinetiche integrate (o leggi di velocità
integrate), possiamo considerare la variabile tempo e rispondere ad altre domande
quali “Quanto tempo impiegheranno x moli per litro di A a essere consumate com
pletamente?” oppure “Quanto vale la concentrazione di A dopo y minuti di reazione?”.
Uguagliando tra loro queste differenti espressioni della velocità di reazione, otte
niamo:
Δ[A]
− = k[A]
Δt
Con i metodi dell’analisi matematica si può integrare questa espressione rispetto al
tempo per ottenere la legge cinetica integrata per una reazione del primo ordine:
[A]0
= ln (reazione del primo ordine; velocità di reazione
kt= k[A]) (16.4)
[A]t
dove ln è il simbolo del logaritmo naturale (logaritmo in base e), [A]0 è la concen
trazione di A all’istante t = 0, e [A]t è la concentrazione di A a qualsiasi istante t
durante un esperimento. In termini matematici, ln (a/b) = ln a − ln b; quindi,
ln [A]0 − ln [A]t = kt
Integrando rispetto al tempo, otteniamo la legge cinetica integrata per una reazione
del secondo ordine a cui partecipa un solo reagente:
1 1
= − (reazione del secondo ordine; velocità di reazione
kt= k[A]2 ) (16.5)
[A]t [A]0
Conosciamo k (87 s−1), t (0,010 s) e [C4H8]0 (2,00 M), quindi possiamo risolvere rispetto a [C4H8]t.
(b) La frazione decomposta è la concentrazione che si è decomposta divisa per la concen
trazione iniziale:
[C H ] − [C 4 H8 ]t
frazione decomposta = 4 8 0
[C 4 H8 ]0
Risoluzione (a) Sostituzione dei dati nella legge cinetica integrata:
2,00 mol/L
= ln (87
= s−1 )(0,010 s) 0,87
[C 4 H8 ]t
Prendendo l’antilogaritmo di entrambi i membri, otteniamo:
2,00 mol/L
= e 0,87
= 2,4
[C 4 H8 ]t
Risolvendo rispetto a [C4H8]t, otteniamo:
2,00 mol/L
= [C 4 H8 ]t = 0,83 mol/L
2,4
(b) Determinazione della frazione che si è decomposta dopo 0,010 s:
[C 4 H8 ]0 − [C 4 H8 ]t 2,00 mol/L − 0,83 mol/L
= = 0,58
[C 4 H8 ]0 2,00 mol/L
Verifica La concentrazione restante dopo 0,010 s (0,083 mol/L) è minore della concentrazio
ne iniziale (2,00 mol/L), il che ha senso. Elevando e a un esponente lievemente minore di 1,
si dovrebbe ottenere un numero (2,4) lievemente minore del valore di e (2,718). Inoltre, il
risultato finale ha senso: un’alta costante di velocità indica una reazione rapida, quindi non
è sorprendente che si decomponga così tanta sostanza in un intervallo di tempo così breve.
Commento Le leggi cinetiche integrate vengono usate anche per trovare l’intervallo
di tempo impiegato per raggiungere una certa concentrazione del reagente, come nel
Problema di approfondimento 16.4.
Figura 16.6 Leggi cinetiche Perciò, un grafico di ln [A]t in funzione di t è una retta con pendenza = −k e inter
integrate e ordine di reazione. cetta con l’asse y = ln [A]0 (Figura 16.6A).
A. Un diagramma di ln [A]t Per una reazione del secondo ordine semplice, abbiamo
in funzione di t è una retta nel
caso di una reazione che è del 1 1
primo ordine in A. B. Un dia- − = kt
[A]t [A]0
gramma di 1/[A]t in funzione
Riordinando, otteniamo:
di t è una retta nel caso di una
reazione che è del secondo 1 1
ordine in A. C. Un diagramma = kt +
di [A]t è una retta nel caso di [A]t [A]0
una reazione che è di ordine =
y mx + b
zero in A.
In questo caso, un grafico di 1/[A]t in funzione di t è una retta con pendenza = k e
ln [A]0 intercetta con l’asse y = 1/[A]0 (Figura 16.6B).
Nel caso di una reazione di ordine zero, abbiamo
[A]t − [A]0 = −kt
pendenza = −k
Riordinando, otteniamo
ln[A]t [A]t = −kt + [A]0
=
y mx + b
Quindi, un grafico di [A]t in funzione di t è una retta con pendenza = −k e inter
cetta con l’asse y = In [A]0 (Figura 16.6C).
A Primo ordine Tempo Perciò, è necessaria una certa rappresentazione grafica per tentativi (per prova
ed errore) per ottenere l’ordine di reazione dai dati relativi alla concentrazione e al
tempo.
• Se si ottiene una retta, quando si rappresenta graficamente, ln [reagente] in
funzione del tempo, la reazione è del primo ordine rispetto a quel reagente.
• Se si ottiene una retta, quando si rappresenta graficamente, 1/[reagente] in
1 funzione del tempo, la reazione è del secondo ordine rispetto a quel reagente.
[A]t
pendenza = k
• Se si ottiene una retta, quando si rappresenta graficamente, [reagente] in
funzione del tempo, la reazione è di ordine zero rispetto a quel reagente.
1 La Figura 16.7 mostra come si usa questo metodo per determinare l’ordine di rea
[A]0 zione per la decomposizione di N2O5. Poiché il grafico di ln [N2O5] è una retta e i
B Secondo ordine Tempo
grafici di [N2O5] e di 1/[N2O5] non sono delle rette, la decomposizione di N2O5 deve
essere del primo ordine in N2O5.
state consumate 0,0300 mol/L e restano 0,0300 mol/L; dopo 48 min (2 tempi di
dimezzamento), restano 0,0150 mol/L; dopo 72 min (3 tempi di dimezzamento),
restano 0,0075 mol/L e così via (Figura 16.8).
Possiamo vedere dalla legge cinetica integrata perché il tempo di dimezzamen
to di una reazione del primo ordine è indipendente dalla concentrazione:
[A]0
ln = kt
[A]t
ln 2 0,693
t=
1/2 = (reazione del primo ordine; velocità di reazione
= k[A]) (16.7)
k k
Come si può vedere, l’intervallo di tempo impiegato per raggiungere la metà della con-
centrazione iniziale in una reazione del primo ordine non dipende dal valore iniziale della
concentrazione.
Il decadimento radioattivo di un nucleo instabile è un altro esempio di proces
so del primo ordine. Per esempio, il tempo di dimezzamento per il decadimento
dell’uranio-235 (235U) è 7,1 × 108 a (anni). Dopo 710 milioni di anni, una campione
di 1 kg di uranio-235 conterrà 0,5 kg di uranio-235 e un campione di 1 mg di
uranio-235 conterrà 0,5 mg. Si consideri una molecola oppure un nucleo radioatti
vo, la decomposizione di ciascuna particella in un processo del primo ordine è indipenden-
te dal numero delle altre particelle presenti.
La costante di velocità è 9,2 s−1. (a) Quanto vale il tempo di dimezzamento della reazione?
(b) Quanto tempo impiega la concentrazione del ciclopropano per raggiungere 1/4 del
valore iniziale?
Piano (a) Il riarrangiamento del ciclopropano è un processo del primo ordine, quindi, per
trovare t1/2, usiamo l’Equazione 16.7 e sostituiamo a k il valore dato (9,2 s−1). (b) Ogni
tempo di dimezzamento riduce la concentrazione alla metà del suo valore iniziale, quindi
due tempi di dimezzamento la riducono a un quarto del valore iniziale.
Risoluzione (a) Risolvendo rispetto a t1/2, si ottiene:
ln 2 0,693
t=
1/2 = = 0,075 s
k 9,2 s−1
Occorrono 0,075 s affinché la metà del ciclopropano formi propene a questa temperatura.
(b) Determinazione dell’intervallo di tempo impiegato per raggiungere 1/4 della concen
trazione iniziale:
intervallo di tempo = 2(t1/2) = 2(0,075 s) = 0,15 s
Verifica (a) Arrotondando, otteniamo 0,07/(9 s−1) = 0,08 s, quindi il risultato sembra
corretto.
A differenza del tempo di dimezzamento di una reazione del primo ordine, il tem
po di dimezzamento di una reazione del secondo ordine dipende dalla concentra
zione del reagente:
1
t1/2 = (reazione del secondo ordine; velocità di reazione k[A]2 )
k[A]0
[A]0
t1/2 = (reazione di ordine zero; velocità di reazione k)
2k
Perciò, se una reazione di ordine zero ha un’alta concentrazione iniziale del reagen
te, ha un tempo di dimezzamento più lungo di quello che avrebbe se avesse una
bassa concentrazione iniziale del reagente.
La Tabella 16.4 riassume le caratteristiche essenziali delle reazioni di ordine
zero, del primo ordine e del secondo ordine.
Velocità 0,400
Esperi- di reazione k
mento [Estere] [H2O] T (K) [mol/(L s)] [L/(mol s)]
1 0,100 0,200 288 1,04u103 0,0521 0,300
k (L/mol s)
3
2 0,100 0,200 298 2, 02u10 0,101
3 0,100 0,200 308 3, 68u103 0,184
0,200
4 0,100 0,200 318 6,64u103 0,332
A
Figura 16.9 Dipendenza della costante di velocità dalla temperatura. A. Nel 0,100
l’idrolisi di un estere, quando le concentrazioni vengono mantenute costanti e la
temperatura viene aumentata, la velocità di reazione e la costante di velocità au-
mentano. Si noti il quasi raddoppio di k con ciascun aumento di 10 K (= 10 °C) della
temperatura. B. Un diagramma della costante di velocità in funzione della tempera- 288 298 308 318
tura per questa reazione è una curva che sale con andamento regolare. B Temperatura (K)
T1
T2 > T1
Figura 16.14 Diagramma dei livelli energetici per una reazione. Affinché le molecole
reagiscano, devono urtarsi con energia sufficiente per raggiungere uno stato attivato. Questa
energia minima delle collisioni è l’energia di attivazione, Ea. Una reazione può procedere in
entrambi i versi, quindi il diagramma presenta due energie di attivazione. In questo caso, la
reazione diretta è esotermica perché Ea(diretta) < Ea(inversa).
di p) per questa reazione è 0,006; soltanto 6 urti ogni 1000 (1 su 167) hanno un
orientamento che determina una reazione.
Gli urti tra singoli atomi hanno valori di p vicini a 1: quasi indipendentemente
da come si urtano, purché l’urto abbia energia sufficiente, le particelle reagiscono.
In questi casi, la costante di velocità dipende soltanto dalla frequenza e dall’energia
degli urti. All’altro estremo si situano le reazioni biochimiche, in cui i reagenti sono
spesso due piccole molecole che possono reagire soltanto quando urtano contro
una piccola, specifica, regione di una macromolecola: una proteina o un acido nu
cleico. Per queste reazioni, il fattore di orientamento è spesso minore di 10−6; meno
di 1 su 1 milione di urti abbastanza energetici determina la formazione del prodot
to. Il fatto che avvengano innumerevoli reazioni biochimiche proprio nel momento
in cui il lettore sta leggendo questa frase aiuta a porre in risalto che il numero di
urti al secondo è davvero stupefacente.
OH− si avvicina all’atomo di carbonio con energia sufficiente per cominciare a forma
re un legame C O, con conseguente indebolimento del legame C Br. Nello stato
di transizione (Figura 16.17), l’atomo di carbonio è circondato da cinque atomi in una
forma bipiramidale trigonale, che non è mai presente nei composti stabili del carbo
nio. Questa specie ad alta energia è costituita da tre legami C H normali e da due
legami parziali, uno con O e l’altro con Br; non vi sono mai cinque legami normali con
Figura 16.17 Natura dello il carbonio.
stato di transizione nella rea
Il raggiungimento dello stato di transizione non assicura che la reazione proce
zione tra CH3Br e OH−. Si noti-
no i legami parziali (allungati) da fino alla formazione dei prodotti; uno stato di transizione può variare in entram
C O e C Br e la forma bipi- bi i versi. In questo caso, se il legame C O continua ad accorciarsi e a rafforzarsi,
ramidale trigonale dello stato di si formeranno i prodotti; però, se il legame C Br si accorcia e si rafforza di nuovo,
transizione di questa reazione. lo stato di transizione tornerà a decomporsi nei reagenti.
Figura 16.18 Diagramma Visualizzazione della trasformazione con diagrammi dell’energia di rea
dell’energia di reazione per zione Un modo utile di visualizzare gli eventi che abbiamo appena descritto è
la reazione tra CH3Br e OH−. usare un diagramma dell’energia di reazione, che rappresenta con una curva
Un diagramma dell’energia
potenziale in funzione dell’avan-
regolare l’energia potenziale del sistema durante la reazione. La Figura 16.18 mostra
zamento della reazione mostra il diagramma dell’energia di reazione per la reazione tra bromuro di metile e ione
i livelli energetici relativi dei idrossido, con una formula strutturale (a legami cuneiformi) e una vista su scala
reagenti, dei prodotti e dello molecolare in vari punti durante la trasformazione.
stato di transizione congiunti con L’asse orizzontale, contrassegnato “coordinata di reazione” (o “avanzamento della
una curva, nonché le energie di
attivazione degli stadi diretto e
reazione”), indica che i reagenti si trasformano in prodotti via via che ci si muove da
inverso e il calore di reazione. Le sinistra a destra. La reazione è esotermica, quindi i reagenti hanno un’energia superio
formule di struttura e le viste su re a quella dei prodotti. La differenza di energia è dovuta a differenze nell’energia di
scala molecolare visualizzano la legame, che si manifestano come calore di reazione, ΔHr. Il diagramma presenta anche
trasformazione in cinque punti. l’energia di attivazione della reazione diretta e della reazione inversa; in questo caso,
Si noti la graduale formazione di
legami e rottura di legami quan-
Ea(diretta) < Ea(inversa).
do il sistema passa per lo stato di Secondo la teoria dello stato di transizione, ogni reazione (e ogni stadio in una reazio-
transizione. ne complessiva) passa per il proprio stato di transizione. Perciò, secondo questo modello,
H H H H H
Br C + OH − Br C OH Br C OH Br C OH −
Br + C OH
H H
H H H H H H H H
Ea(diretta)
Ea(inversa)
CH3Br + OH−
ΔHr
Br− + CH3OH
tutte le reazioni sono reversibili. Possiamo immaginare quale forma potrebbe avere lo Figura 16.19 Diagrammi
stato di transizione in molte reazioni esaminando i legami che subiscono variazioni dell’energia di reazione
nel reagente e nel prodotto. La Figura 16.19 presenta diagrammi dell’energia di e possibili stati di transizione
per tre reazioni.
reazione per tre reazioni semplici. Si noti che in ciascun caso la forma dello stato di A. 2NOCl(g) 2NO(g) + Cl2(g)
transizione ipotizzato si basa su un urto tra atomi che si legano nel prodotto. (nonostante la formula NOCl, la
sequenza di atomi è ClNO).
Disegno dei diagrammi dell’energia di reazione e degli stati B. NO(g) + O3(g) NO2(g) + O2(g).
C. 2ClO(g) Cl2(g) + O2(g).
di transizione Si noti che la reazione A è endo-
termica, le reazioni B e C sono
PROBLEMA DI VERIFICA 16.7 esotermiche, e la reazione C ha
una Ea(diretta) molto piccola.
Problema Una reazione importante nell’alta atmosfera è la seguente:
O3(g) + O(g) 2O2(g)
Ea(diretta) è 19 kJ e ΔHr della reazione scritta è −392 kJ. Si disegni un diagramma dell’energia
di reazione per questa reazione, si ipotizzi uno stato di transizione e si calcoli Ea(inversa).
Piano La reazione è altamente esotermica (ΔHr = −392 kJ), quindi l’energia dei prodotti è
molto più bassa di quella dei reagenti. La piccola Ea(diretta) (pari a 19 kJ) significa che l’ener
gia dei reagenti è lievemente inferiore a quella dello stato di transizione. Per raggiungere
lo stato di transizione a partire dai prodotti sarebbe necessaria una quantità di energia pari
a ΔHr + Ea(diretta); perciò, Ea(inversa) = ΔHr + Ea(diretta). Per ipotizzare lo stato di transizione,
disegniamo schematicamente la specie e notiamo che uno dei legami in O3 si indebolisce,
e questo O parzialmente legato comincia a formare un legame con l’atomo di O separato.
Risoluzione Il diagramma dell’energia di reazione (non disegnato in scala), con lo stato di
transizione, è
O
O O
O
Ea(diretta)
= 19 kJ
stato di
Energia potenziale
O3 + O transizione
Ea (inversa)
= 411 kJ
ΔHr = −392 kJ
2O2
2OH
78 kJ +72 kJ
O + H 2O
Per questa reazione è stato proposto un meccanismo a due stadi. Il primo stadio
elementare è una reazione unimolecolare, ossia una reazione che implica la de
composizione o il riarrangiamento di una singola particella:
(1) O3(g) O2(g) + O(g)
Il secondo stadio è una reazione bimolecolare, ossia una reazione in cui reagi
scono due particelle:
(2) O3(g) + O(g) 2O2(g)
Si conoscono alcuni stadi elementari trimolecolari, ma essi sono estremamente rari,
essendo molto piccola la probabilità che tre particelle si urtino simultaneamente
con energia sufficiente e con un orientamento efficace. Non si conoscono moleco
larità più alte. Salvo che non esistano dati sperimentali che indicano il contrario, il
buon senso chimico suggerisce di proporre soltanto reazioni unimolecolari o bimo
lecolari come stadi elementari in un meccanismo di reazione.
La legge cinetica per una reazione elementare, a differenza di quella per una
reazione complessiva, può essere dedotta dalla stechiometria della reazione.
Una reazione elementare si svolge in un solo stadio, quindi la sua velocità deve
essere direttamente proporzionale al prodotto delle concentrazioni dei reagenti. Per
ciò, usiamo i coefficienti dell’equazione come gli ordini di reazione nella legge cinetica per
uno stadio elementare; cioè, l’ordine di reazione è uguale alla molecolarità (Tabella 16.6).
Si deve tenere presente che questa affermazione è valida soltanto quando si conosce
che la reazione è elementare; abbiamo già visto che, per una reazione complessiva,
gli ordini di reazione devono essere determinati per via sperimentale.
NO 2Cl( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) + Cl( g )
NO 2Cl( g ) + Cl( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) + Cl 2 ( g )
NO 2Cl( g ) + NO 2Cl( g ) + Cl( g ) ⎯ ⎯→ NO 2 ( g ) + Cl( g ) + NO 2 ( g ) + Cl 2 ( g )
(b) Determinazione della molarità di ciascuno stadio. Il primo stadio elementare ha un solo
reagente, NO2Cl, quindi è unimolecolare. Il secondo stadio elementare ha due reagenti,
NO2Cl e Cl, quindi è bimolecolare.
(c) Scrittura delle leggi cinetiche per le reazioni elementari:
(1) velocità di reazione1 = k1[NO2Cl]
(2) velocità di reazione2 = k2[NO2Cl][Cl]
Verifica Nella parte (a), si badi che l’equazione sia bilanciata; nella parte (c), si badi che le
sostanze tra parentesi quadre siano i reagenti di ciascuno stadio elementare.
Poiché la seconda molecola di NO2 compare nello stadio che segue quello determi
nante la velocità, essa non compare nella legge cinetica complessiva. Vediamo quin
di che la legge cinetica complessiva comprende soltanto specie attive nella reazione fino
a, e comprendenti, quelle nello stadio determinante la velocità. Questo punto è stato il
lustrato anche dal precedente meccanismo NO2 CO. Il monossido di carbonio era
assente dalla legge cinetica complessiva perché compariva dopo lo stadio determi
nante la velocità.
La Figura 16.20A presenta un diagramma dell’energia di reazione per la reazio
ne tra NO2 e F2. Si noti che:
•
ciascuno stadio nel meccanismo di reazione ha il proprio stato di transizione (si
noti che una sola molecola di NO2 interviene nello stadio 1 ed è visualizzato
soltanto il primo stato di transizione);
•
l’atomo di F che è un intermedio di reazione è una specie instabile, reattiva
(come si sa dalla chimica degli alogeni), quindi la sua energia è superiore a
quella dei reagenti o del prodotto;
• il primo stadio è più lento (limita la velocità), quindi la sua energia di attivazione
è maggiore di quella del secondo;
• la reazione complessiva è esotermica, quindi l’energia del prodotto è inferiore a
quella dei reagenti.
Meccanismi di reazione con uno stadio iniziale veloce Se lo stadio limitante
la velocità in un meccanismo di reazione non è lo stadio iniziale, esso agisce come
una strozzatura (un “collo di bottiglia”) più avanti nella sequenza di reazione.
Di conseguenza, il prodotto di uno stadio iniziale veloce si accumula e co
mincia a riconvertirsi in reagente, in attesa che lo stadio lento lo rimuova. Con il
trascorrere del tempo, il prodotto dello stadio iniziale si riconverte in reagente alla
stessa velocità a cui si forma. In altre parole, lo stadio iniziale veloce raggiunge l’equi-
librio. Come vedremo, questa situazione ci permette di adattare il meccanismo di
reazione alla legge cinetica complessiva.
Consideriamo ancora una volta l’ossidazione dell’ossido nitrico:
2NO(g) + O2(g) 2NO2(g)
La legge cinetica determinata sperimentalmente è
velocità di reazione = k[NO]2[O2]
e un meccanismo di reazione proposto è
(1) NO(g) + O2(g) NO3(g) [veloce, reversibile]
(2) NO3(g) + NO(g) 2NO2(g) [lento; determinante la velocità]
Si noti che, con la cancellazione dell’intermedio di reazione NO3, il primo cri
terio è soddisfatto perché la somma degli stadi dà l’equazione complessiva. Si
noti che è soddisfatto anche il secondo criterio perché entrambi gli stadi sono
bimolecolari.
Per soddisfare il terzo criterio (il meccanismo è conforme alla legge cinetica
complessiva), iniziamo scrivendo le leggi cinetiche per gli stadi elementari:
(1) velocità di reazione1(diretta) = k1[NO][O2]
velocità di reazione2(inversa) = k−1[NO3]
dove k−1 è la costante di velocità per la reazione inversa;
(2) velocità di reazione2 = k2[NO3][NO]
Ora dobbiamo mostrare che la legge cinetica per lo stadio determinante la velocità
(stadio 2) dà la legge cinetica complessiva. Così com’è scritta, non la dà, perché
contiene NO3 intermedio e una legge cinetica complessiva può contenere soltanto rea-
genti (e prodotti). Perciò, dobbiamo eliminare [NO3] dalla legge cinetica dello stadio
2. A questo scopo, esprimiamo [NO3] in termini di reagenti. Lo stadio 1 raggiunge
l’equilibrio quando la velocità della reazione diretta e la velocità della reazione Figura 16.20 Diagramma
inversa sono uguali: dell’energia di reazione per
le reazioni in due stadi tra
velocità di reazione1(diretta) = velocità di reazione2(inversa) NO2 e F2 (A) e tra NO e O2 (B).
ossia k1[NO][O2] = k−1[NO3] Ciascuno stadio nel meccanismo
di reazione ha il proprio stato
di transizione. Si noti che allo
Per esprimere [NO3] in termini di reagenti, la isoliamo algebricamente:
stadio più lento corrisponde una
k1 Ea più alta. Entrambe le reazioni
[NO3 ] = [NO][O2 ] complessive sono esotermiche
k−1 (ΔHr < 0).
Quindi, sostituendo questa espressione a [NO3] nella legge di velocità per lo sta
dio 2, otteniamo:
⎛k ⎞ kk
velocità di=
reazione2 k2=
[NO3 ][NO] k2 ⎜⎜ 1 [NO][O 2 ]⎟⎟⎟ [NO] = 2 1 [NO]2 [O2 ]
⎜⎝ k−1 ⎟⎠ k−1
k2k1
Perciò, questa legge cinetica è identica alla legge cinetica complessiva, con k = .
k−1
La Figura 16.20B presenta un diagramma dell’energia di reazione per la reazione
tra NO e O2.
Riassumiamo l’approccio per un meccanismo di reazione con uno stadio inizia
le reversibile veloce nei tre punti seguenti:
1. scrivere le leggi cinetiche per entrambi i versi dello stadio veloce e per lo
stadio lento;
2. mostrare che la legge cinetica dello stadio lento equivale alla legge cinetica
complessiva, esprimendo la [intermedio] in termini della [reagente]: uguagliare la
legge cinetica diretta dello stadio veloce reversibile alla legge cinetica inversa
e risolvere rispetto alla [intermedio];
3. sostituire l’espressione della [intermedio] nella legge cinetica dello stadio lento
per ottenere la legge cinetica complessiva.
Alcuni dei problemi proposti nell’Eserciziario a fine volume, offrono altri esempi di
questo approccio.
STATI DI
TRANSIZIONE
non catalizzato
Figura 16.21 Diagramma
dell’energia di reazione di un Ea(diretta) *
Energia potenziale
Catalisi omogenea
Un catalizzatore omogeneo esiste in soluzione con la miscela di reazione. Tutti i
catalizzatori omogenei sono gas, liquidi o solidi solubili. Alcuni processi industriali
che impiegano questi catalizzatori sono indicati nella Tabella 16.7 (in alto).
Un esempio di catalisi omogenea studiata accuratamente è l’idrolisi di un este Figura 16.22 Meccanismo
re organico (RCOOR′), una reazione che abbiamo esaminato nel Paragrafo 16.5: per l’idrolisi catalizzata di un
estere organico. Nello stadio 1,
il catalizzatore, lo ione H+, si
lega all’atomo di ossigeno ricco
di elettroni. L’ibrido di risonan-
za di questo prodotto (vedi la
casella in grigio) mostra che
In questa formula R e R′ sono gruppi idrocarburici, è un acido organico, l’atomo di C è più positivo di
quanto sarebbe normalmente.
e R′ OH è un alcol. La velocità di reazione è bassa a temperatura ambiente, ma la
Questa carica aumentata su C
si può aumentare aggiungendo una piccola quantità di un acido forte inorganico, attrae più fortemente l’atomo di
che fornisce lo ione H+, il catalizzatore nella reazione. O parzialmente negativo dell’ac-
Nel primo stadio della reazione catalizzata (Figura 16.22), lo ione H+ forma un qua, aumentando la frazione
legame con l’atomo di O con legame doppio. Considerando le forme di risonanza, di urti efficaci e quindi acce-
lerando lo stadio 2, lo stadio
vediamo che il legame di H+ rende più positivo l’atomo di C, il che aumenta la sua
determinante la velocità. La per-
attrazione per l’atomo di O parzialmente negativo dell’acqua. In effetti, lo ione H+ dita di R′OH e il rilascio di H+
aumenta la probabilità che avvenga il legame con l’acqua, che è lo stadio determi avvengono in una serie finale di
nante la velocità. Dopo alcuni stadi, lo ione H+ ritorna in soluzione. Perciò, lo ione stadi veloci.
etano
(C2H6)
Catalisi eterogenea
Un catalizzatore eterogeneo accelera una reazione che si svolge in una fase se
parata. Il catalizzatore è molto spesso un solido che interagisce con reagenti gas
sosi o liquidi. Poiché la reazione avviene sulla superficie del solido, i catalizzatori
eterogenei hanno di solito un’enorme area superficiale per il contatto, compresa
tra 1 e 500 m2/g. È interessante notare che molte reazioni che avvengono su una
superficie metallica, quali la decomposizione di HI su oro e la decomposizione
di N2O su platino, sono di ordine zero perché lo stadio determinante la velocità
avviene sulla superficie stessa. Perciò, nonostante un’enorme area superficiale,
dopo che il reagente gassoso ha coperto la superficie, un aumento della con
centrazione del reagente non è in grado di aumentare la velocità di reazione. La
Tabella 16.7 (in basso) elenca alcuni processi di fabbricazione dei polimeri che
impiegano catalizzatori eterogenei.
Uno dei più importanti esempi di catalisi eterogenea è l’addizione di H2 ai
legami C C dei composti organici per formare legami C C.
Le industrie del petrolio, delle materie plastiche e degli alimenti impiega
no spesso l’idrogenazione catalitica. Ne è un esempio la conversione di un olio
vegetale in margarina.
L’idrogenazione più semplice converte l’etilene in etano:
Gli atomi di H migrano sulla superficie, finiscono per urtare contro una moleco
la di C2H4 assorbita, e avviene la reazione. La rottura del legame H H è lo stadio
• Depurazione catalitica
dei gas di scarico di un
determinante la velocità nel processo complessivo, e l’interazione con la super autoveicolo Un catalizzatore
ficie del catalizzatore fornisce lo stadio a bassa Ea come parte di un meccanismo eterogeneo che usiamo ogni giorno,
ma vediamo raramente, è ubicato
di reazione alternativo. Nella scheda di fine capitolo Chimica nella scienza atmo- nel convertitore catalitico (marmit
sferica si esamina come entrambi i tipi di catalisi intervengono in un processo ta catalitica) nel sistema di scari
atmosferico che desta grande preoccupazione. co della nostra automobile. Questo
dispositivo è progettato per conver
Cinetica e azione dei catalizzatori biologici tire i gas di scarico inquinanti in gas
non tossici. In un singolo passaggio
Contrariamente alla maggior parte dei processi chimici industriali che avviene in attraverso il catalizzatore, CO e la
condizioni drastiche e con elevate concentrazioni, migliaia di reazioni comples benzina incombusta vengono ossi
se avvengono in tutte le cellule viventi in soluzione diluita e in condizioni di dati a CO2 e H2O, mentre NO viene
temperatura e pressione ordinarie. Inoltre, la velocità di ogni reazione è funzione ridotto a N2. Come nel meccani
smo per l’idrogenazione catalitica di
della velocità di altre reazioni, di segnali chimici provenienti da altre cellule e da
un alchene, il catalizzatore abbassa
stress ambientali. In questa meravigliosa armonia chimica ogni velocità è control l’energia di attivazione dello stadio
lata da un enzima, un catalizzatore proteico la cui funzione si è perfezionata con determinante la velocità adsorben
l’evoluzione. do le molecole e indebolendo così
Gli enzimi sono in genere proteine globulari di forma complessa e di massa i loro legami. Miscele di metalli di
transizione e dei loro ossidi, incluse
molecolare da 15 000 a 1 000 000 g/mol. Una piccola parte della superficie di un
in supporti inerti, convertono la
enzima, come una piccola valle in una montagna, è il sito attivo, una regione la massima quantità possibile di gas di
cui forma è generata dalle catene di amminoacidi coinvolti nel processo catalitico. scarico nel tempo più breve possibi
Spesso lontani nella sequenza primaria della catena di polipeptidi, questi gruppi le. Per esempio, è stato stimato che
si vengono a trovare vicini a causa del piegamento tridimensionale della catena. una molecola di NO venga adsorbita
e dissociata in atomi di N e di O
Quando le molecole dei reagenti, dette substrati, collidono efficacemente con i
legati al catalizzatore in me no di
sito attivo, interagiscono attraverso forze intermolecolari e ha inizio la reazione. 2 × 10−12 s!
Caratteristiche dell’azione enzimatica L’azione catalitica degli enzimi è ca
ratterizzata da una serie di caratteristiche comuni.
3. Specificità catalitica. Data la particolarità dei gruppi presenti nel sito attivo, gli en
zimi sono altamente specifici: generalmente ogni enzima catalizza solo una reazione.
L’ureasi catalizza solo l’idrolisi dell’urea e nessun altro enzima è in grado di farlo.
Modelli dell’azione enzimatica Sono stati proposti due modelli per l’azione
enzimatica.
1. Secondo il modello più antico chiave-serratura (Figura 16.24A), la reazione
inizia quando la “chiave” (il substrato) si inserisce nella “serratura” (il sito attivo).
+ Sito attivo
Rapida Lenta
A Modello chiaveserratura: la geometria definita del sito attivo combacia con la geometria
.
del substrato.
SUBSTRATI PRODOTTO
Sito attivo
+
Rapida Lenta
B Modello dell’adattamento indotto: il sito attivo cambia forma per legare più efficacemente
il substrato.
gruppi acidi che forniscono ioni H+ per accelerare la scissione dei legami. Due
esempi sono il lisozima, un enzima che si trova nelle lacrime, che catalizza l’idrolisi
di un polisaccaride presente nelle cellule batteriche proteggendo così gli occhi
dalle infezioni, e la chimotripsina, un enzima presente nell’intestino che catalizza
l’idrolisi delle proteine durante la digestione.
Indipendentemente dallo specifico meccanismo di azione, tutti gli enzimi svol-
gono la loro azione catalitica stabilizzando lo stato di transizione. Per esempio, nella
reazione catalizzata dal lisozima, lo stato di transizione è costituito da una por
zione di polisaccaride i cui legami sono allungati e distorti dall’azione dei gruppi
del sito attivo fino a che non si adattano al sito stesso. Stabilizzare lo stato di
transizione significa abbassare l’energia di attivazione aumentando così la velocità
di reazione.
Il processo di deplezione dello strato di ozono atmosferico (vedi la scheda Chi-
mica nella scienza atmosferica a fine capitolo) include processi catalitici omogenei ed
eterogenei come nella catalisi enzimatica.
1 Ea (inversa) = 6 kJ
= − (−1,60 ×104 mol/L = ⋅ s) 4,00 ×10−5 mol/L ⋅ s
4 Ea (diretta) = 78 kJ
16.2 Primo ordine in Br−, primo ordine in BrO3−, secondo ΔHr = +72 kJ
ordine in H+, quarto ordine complessivo.
16.3 Velocità di reazione = k[H2]m[I2]n. In base agli Esperimen
ti 1 e 3, m = 1. In base agli Esperimenti 2 e 4, n = 1.
Perciò, velocità di reazione = k[H2][I2]; secondo ordine com O + H2O
plessivo.
16.4 1/[HI]1 − 1/[HI]0 = kt;
Avanzamento della reazione
111 L/mol − 100 L/mol = (2,4 × 10−21 L/mol ⋅ s)(t)
t = 4,6 × 1021 s (ossia 1,5 × 1014 anni)
16.5 t1/2 = (ln 2)/k; k = 0,693/13,1 h = 5,29 × 10−2 h−1
16.6 ln 0,286 L/(mol ⋅ s) = 16.8 (a) Equazione bilanciata:
k1 2NO(g) + 2H2(g) N2(g) + 2H2O(g)
1,00 ×105 J/mol ⎛⎜ 1 1 ⎞⎟ (b) Lo stadio 2 è unimolecolare. Tutti gli altri stadi sono
=− ×⎜ − ⎟=
8,314 J/(mol ⋅ K) ⎜⎝ 5,00 ×102 K 4,90 ×102 K ⎟⎠ bimolecolari.
(c) Velocità di reazione1 = k1[NO]2; velocità di reazione2 =
= 0,491
k2[H2]; velocità di reazione3 = k3[N2O2][H]; velocità di reazio
k1 = 0,175 L/mol ⋅ s ne4 = k4[HO][H]; velocità di reazione5 = k5[H][N2O].
Ea(non catalizzata) = 17 kJ
Ea1(catalizzata) = 2 kJ
Non catalizzata
Energia potenziale
O3 + O
O3 + O + Cl
ClO
Ea2(catalizzata) = 0,4 kJ
ΔHr = −392 kJ
Catalizzata
2O2
2O2 + Cl
Figura S16.3 Diagramma dell’energia per la reazione di dissociazione dell’ozono (non in scala).
Figura 17.1 Raggiungimento dell’equilibrio a livello macroscopico e a livello molecolare. A. All’inizio dell’esperimento, la
miscela di reazione è costituita in prevalenza da N2O4 incolore. B. Via via che N2O4 si decompone in NO2 bruno rossastro, il colore
della miscela diventa bruno chiaro. C. Quando è raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni di NO2 e di N2O4 sono costanti e il colore
raggiunge la sua tonalità finale. D. Poiché la reazione prosegue nel senso diretto e nel senso inverso a uguali velocità, le concentra-
zioni (e il colore) rimangono costanti. (Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer).
Tabella 17.1 Rapporti delle concentrazioni iniziali e delle concentrazioni di equilibrio per il sistema
N2O4-NO2 a 100 °C
Concentrazioni iniziali Rapporto (Q ) Concentrazioni di equilibrio Rapporto (K )
2
Esperimento [N2O4] [NO2] [NO2] /[N2O4] [N2O4]eq [NO2]eq [NO2]2eq/[N2O4]eq
1 0,1000 0,0000 0,0000 0,0491 0,1018 0,211
2 0,0000 0,1000 ∞ 0,0185 0,0627 0,212
3 0,0500 0,0500 0,0500 0,0332 0,0837 0,211
4 0,0750 0,0250 0,00833 0,0411 0,0930 0,210
Le curve nella Figura 17.3 visualizzano l’Esperimento 1 nella Tabella 17.1. Si noti
che, com’è indicato dalle curve, [N2O4] e [NO2] variano in modo regolare nel corso
della reazione e, quindi, varia in modo regolare il valore di Q. Dopo che il sistema
ha raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni non variano più e Q = K. In altre parole,
per ogni dato sistema chimico, K è un valore particolare di Q che si ha quando i termi-
ni di concentrazione dei reagenti e i termini di concentrazione dei prodotti hanno i loro
valori di equilibrio.
[C]c [D]d
Qc = (17.4)
[A]a [B]b
Figura 17.3 La variazione di Per costruire il quoziente di reazione per qualsiasi reazione, si scrive anzitutto
Q durante la reazione l’equazione bilanciata. Per esempio, per la formazione dell’ammoniaca a partire dai
N2O4-NO2. I diagrammi curvi e la suoi elementi, l’equazione bilanciata è
sovrastante striscia di colore che
si scurisce da sinistra a destra
mostrano che [N2O4] e [NO2], e
N2(g) + 3H2(g) 2NH3(g)
quindi il valore di Q, variano nel
tempo. Prima che sia raggiunto A seguire, si scrivono, sempre moltiplicandoli tra loro, i termini del prodotto a
l’equilibrio, le concentrazioni numeratore e i termini dei reagenti a denominatore e si eleva ciascun termine a
variano con continuità, quindi una potenza pari al suo coefficiente di bilanciamento. Nel nostro caso (nota i colori
Q ≠ K. Dopo che è stato raggiun- corrispondenti a quelli nell’equazione bilanciata)
to l’equilibrio (retta verticale) e
in un qualsiasi istante successivo,
Q = K. (Basato sui dati sperimen- [NH3 ]2
Qc =
tali della Tabella 17.1). [N 2 ][H2 ]3
[CO 2 ]3 [H2O]4
(b) C3H8(g) + 5O2(g) 3CO2(g) + 4H2O(g) Q c =
[C3H8 ][O 2 ]5
Verifica Si controlli sempre che gli esponenti in Q siano uguali ai coefficienti di bilancia-
mento. Una buona verifica è invertire il procedimento: convertire il numeratore in prodotti
e il denominatore in reagenti e convertire gli esponenti in coefficienti.
Forma di Q per una reazione complessiva Si noti che abbiamo scritto quo-
zienti di reazione senza sapere se un’equazione rappresenti uno stadio parziale
di una reazione oppure una reazione complessiva in più stadi. Questo perché la
stessa espressione per la reazione complessiva la si ottiene combinando le espres-
sioni per gli stadi parziali. Cioè, se una reazione complessiva è la somma di due o più
complessiva:
N 2 ( g ) + 2O 2 ( g )
2NO 2 ( g )
[NO 2 ]2
Q c (complessivo) =
[N 2 ][O 2 ]2
Scrittura dei quozienti di reazione per gli stadi parziali:
[NO]2
per lo stadio 1, Q c1 =
[N 2 ][O 2 ]
per lo stadio 2, [NO 2 ]2
Qc 2 =
[NO]2 [O 2 ]
Moltiplicazione dei quozienti di reazione parziali e semplificazione:
[NO]2 [NO 2 ]2 [NO 2 ]2
Q c1 ×Q=
c2 × = = Q c (complessivo)
[N 2 ][O 2 ] [NO]2 [O 2 ] [N 2 ][O 2 ]2
(b) Calcolo di Kc complessiva:
Kc(complessiva) = Kc1 × Kc2 = (4,3 × 10−25)(6,4 × 109) = 2,8 × 10−15
Verifica Arrotondiamo e verifichiamo il calcolo nella parte (b):
Kc (4 × 10−25)(6 × 109) = 14 × 10−16 = 2,4 × 10−15
Forma di Q per una reazione diretta e una reazione inversa La forma del
quoziente di reazione dipende dal verso in cui è scritta l’equazione bilanciata. Si
consideri, per esempio, l’ossidazione del diossido di zolfo a triossido di zolfo, uno
stadio essenziale nella formazione della pioggia acida e nella produzione dell’acido
solforico:
2SO2(g) + O2(g) 2SO3(g)
Il quoziente di reazione per questa equazione come è scritta è
Q c(diretta) = [SO3 ]2
[SO 2 ]2 [O 2 ]
Se avessimo scritto la reazione inversa, la decomposizione del triossido di zolfo,
2SO3(g) 2SO2(g) + O2(g)
il quoziente di reazione sarebbe stato il reciproco di Q c(diretta):
[SO 2 ]2 [O 2 ] 1
Q c(inversa) = =
[SO3 ] 2
Qc(diretta)
Perciò, il quoziente di reazione (o la costante di equilibrio) per una reazione diretta è il
reciproco del quoziente di reazione (o della costante di equilibrio) per la reazione inversa:
Q c′ (diretta) = [SO3 ]
[SO 2 ][O 2 ]1/2
Si noti che Q c per l’equazione dimezzata è uguale a Q c per l’equazione di partenza
elevata alla potenza 12 :
Ancora una volta, vale la stessa proprietà per le costanti di equilibrio. Mettendo in
relazione la reazione dimezzata con quella di partenza, otteniamo:
K′c(diretta) = K1/2
c(diretta) = (261)
1/2
= 16,2
Analogamente, se raddoppiamo i coefficienti, il quoziente di reazione è uguale a
quello iniziale elevato al quadrato; se triplichiamo i coefficienti, il quoziente di
reazione è uguale a quello iniziale elevato al cubo e così via. Può apparire che
abbiamo variato l’entità della reazione, come risulta dalla variazione di K, variando
semplicemente i coefficienti di bilanciamento dell’equazione, ma, chiaramente, ciò
non può essere vero. Un particolare valore di K ha significato soltanto in relazione a
una particolare equazione bilanciata. In questo caso, Kc(diretta) e K′c(diretta) sono in relazio-
ne con differenti equazioni e quindi non possono essere confrontate direttamente.
Piano Confrontiamo ciascuna equazione con l’equazione di riferimento per vedere come
siano cambiati i versi e i coefficienti. In (a), l’equazione è l’equazione di riferimento molti-
plicata per 13 , quindi Kc è uguale a Kc(rif) (2,4 × 10−3) elevata alla potenza 13 . In (b), l’equazione
è la metà dell’inverso dell’equazione di riferimento, quindi Kc è il reciproco di Kc(rif) elevato
alla potenza 12 .
[NH3 ]2
Risoluzione Il quoziente di reazione per l’equazione di riferimento è Q c(rif) = .
[N 2 ][H2 ]3
⎛ 2 ⎞1/3 2/3
(a) 1/3
Q c = Q c(rif) = ⎜⎜ [NH3 ] ⎟⎟ = [NH3 ]
⎜⎝ [N 2 ][H2 ]3 ⎟⎟⎠ 1/3
[N 2 ] [H2 ]
−3 1/3
Perciò, Kc = K c(rif) = (2,4 × 10 )
1/3
= 0,13
⎛ 1 ⎞⎟1/2 ⎛ 1 ⎞⎟1/2
Kc = ⎜⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎟ = 20
⎜⎝ Kc(rif) ⎟ ⎠ ⎜⎝ 2,4 ×10−3 ⎟⎠
Verifica Una buona verifica è ripetere il procedimento matematico a ritroso. Per la parte
(a), (0,13)3 = 2,2 × 10−3, entro l’arrotondamento di 2,4 × 10−3. La reazione procede nello
stesso verso, quindi, all’equilibrio, dovrebbe contenere in prevalenza reagenti, come indi-
ca Kc < 1. Per la parte (b), 1/(2,0 × 101)2 = 2,5 × 10−3, di nuovo entro l’arrotondamento.
All’equilibrio, la reazione inversa dovrebbe contenere in prevalenza prodotti, come indica
Kc > 1.
Forma di Q per una reazione a cui partecipano liquidi e solidi puri Finora
abbiamo considerato equilibri omogenei, sistemi in cui tutti i componenti della rea-
zione sono nella stessa fase, come un sistema di gas reagenti. Quando i componenti
sono in differenti fasi, il sistema raggiunge l’equilibrio eterogeneo.
Consideriamo la decomposizione del calcare in calce e diossido di carbonio,
nella quale i componenti della reazione sono un gas e due solidi:
CaCO3(s) CaO(s) + CO2(g)
In base alle regole per la scrittura del quoziente di reazione, abbiamo
[CaO][CO 2 ]
Qc =
[CaCO3 ]
Ma un solido puro, quale CaCO3 o CaO, ha sempre la stessa concentrazione a una
data temperatura, cioè lo stesso numero di moli per litro di solido, così come ha la
stessa densità a una data temperatura. Inoltre, poiché il volume di un solido varia
pochissimo al variare della temperatura, anche la sua concentrazione varia pochis-
simo. Per questi motivi, la concentrazione di un solido puro è costante, e lo stesso
ragionamento vale per la concentrazione di un liquido puro.
Poiché ci interessano soltanto le concentrazioni che variano mentre si avvici-
nano all’equilibrio, eliminiamo i termini per i liquidi e i solidi puri dal quoziente di rea-
zione. A questo scopo, includiamo le loro concentrazioni costanti in un quoziente
di reazione riordinato, Q ′c. Moltiplichiamo entrambi i membri dell’equazione per
[CaCO3] e dividiamo entrambi i membri per [CaO]. Perciò, l’unica sostanza la cui
concentrazione può variare è il CO2 gassoso:
[CaCO3 ]
=Qc′ Q=
c [CO 2 ]
[CaO]
Indipendentemente da quanto CaO e quando CaCO3 siano presenti nel recipiente
di reazione, finché ne è presente una qualche quantità di ciascuno, il quoziente di rea-
zione per la reazione è uguale alla concentrazione di CO2 (Figura 17.4).
La Tabella 17.2 riassume i modi di scrivere Q e di calcolare K.
PNO × PO2
2
(Nei capitoli seguenti, incontreremo casi in cui alcuni componenti della reazione
sono espressi come concentrazioni e altri come pressioni parziali). La costante di
equilibrio ottenuta quando tutti i componenti sono presenti alle loro pressioni
parziali di equilibrio è denotata con Kp, la costante di equilibrio basata sulle pressioni.
In molti casi, Kp ha un valore diverso da quello di Kc, ma le due costanti sono cor-
relate; perciò, se conosciamo una delle due, possiamo calcolare l’altra deducendo
la variazione della quantità (numero di moli) di gas, Δngas, dall’equazione bilanciata.
Vediamo questa relazione convertendo i termini di Q c per la reazione NO-O2 in
quelli di Q p:
2NO(g) + O2(g) 2NO2(g)
Denotando con Δ lo stato finale meno lo stato iniziale (prodotti meno reagenti),
abbiamo
Δngas = moli di prodotto gassoso − moli di reagente gassoso = 2 − 3 = −1
Teniamo presente questo valore di Δngas perché compare nella conversione algebri-
ca che segue. Il quoziente di reazione basato sulle concentrazioni è
[NO 2 ]2
Qc =
[NO]2 [O 2 ]
Usando l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma n/V = P/RT, prima espri-
miamo le concentrazioni come n/V e le convertiamo in pressioni parziali, P; poi
raccogliamo i termini in RT e li elidiamo:
2
2
nNO 2
PNO 2
1
2
V 2 (RT )2 PNO (RT )2 P2
Qc = 2 = = 2 2
× = 2 NO2 × RT
nNO nO2 2
PNO P PNO × PO2 1 1 PNO × PO2
× × O2 ×
V2 V (RT )2 RT (RT )2 RT
Conversione tra Kc e Kp
ta di CO2, il sistema comincia a produrre CO. Dopo che è stato raggiunto l’equili-
brio, la pressione totale nel recipiente è 0,757 atm. Si vuole calcolare Kp.
Come sempre, cominciamo con lo scrivere l’equazione bilanciata e il quoziente
di reazione:
CO2(g) + C(grafite) 2CO(g)
I dati sono espressi in atmosfere e dobbiamo trovare Kp, quindi scriviamo Q in ter-
mini di pressioni parziali (si noti l’assenza del solido, C):
2
PCO
QP =
PCO2
Conosciamo i valori iniziali di PCO2 e Ptotale all’equilibrio. Per trovare Kp, dobbiamo
trovare le pressioni di equilibrio di CO2 e di CO, quindi dobbiamo risolvere un
problema stechiometrico, poi sostituiamo i valori trovati nell’espressione per Q p.
Soffermiamoci un momento prima di iniziare i calcoli per ripercorrere mental-
mente ciò che è avvenuto nel recipiente. Una quantità incognita di CO2 ha reagito
con la grafite per formare una quantità incognita di CO. Conosciamo le quantità
relative di CO2 e di CO in base all’equazione bilanciata: per 1 mol di CO2 che reagi-
sce, si formano 2 mol di CO, la qual cosa significa che, quando reagiscono x atm di
CO2, si formano 2x atm di CO2:
x atm di CO2 2x atm di CO
In base ai dati noti, abbiamo già alcune informazioni sul valore di Kp. Se essa fosse
molto grande, quasi tutto il CO2 si convertirebbe in CO, quindi la pressione (totale)
finale sarebbe pari al doppio della pressione iniziale [2(0,458 atm) 1 atm].
D’altra parte, se Kp fosse molto piccola, si formerebbe una quantità pressoché
nulla di CO, quindi la pressione finale sarebbe vicina alla pressione iniziale, 0,458
atm. Però, la pressione finale (0,757 atm) è compresa tra questi due estremi, quindi
Kp deve avere un valore intermedio. La pressione di CO2 all’equilibrio, è la pressione
iniziale, PCO2(iniz), meno la pressione del CO2 che reagisce, x:
PCO2(iniz) − x = PCO2(eq)
Analogamente, la pressione di CO all’equilibrio, PCO(eq), è la pressione iniziale,
PCO(iniz) , più la pressione del CO che si forma, 2x. Poiché è nulla all’inizio della rea-
zione, abbiamo
PCO(iniz) + 2x = 0 + 2x = 2x = PCO(eq)
Un modo utile di riassumere queste informazioni è impiegare una tabella di reazio-
ne che presenta l’equazione bilanciata e le informazioni note concernenti:
• i valori iniziali delle quantità (concentrazioni o pressioni) dei reagenti e dei
prodotti;
• le variazioni di queste quantità durante la reazione;
• i valori di equilibrio delle quantità.
Pressione (atm) CO2(g) + C(grafite) 2CO(g)
Valore iniziale 0,458 — 0
Variazione −x — +2x
Valore di equilibrio 0,458 − x — 2x
Si noti che in ciascuna colonna abbiamo sommato il valore iniziale alla variazione per
ottenere il valore di equilibrio. Si noti anche che abbiamo incluso soltanto i dati per le
sostanze le cui concentrazioni variano; perciò, in questo caso, la colonna della grafite
è vuota. Useremo tabelle di reazione in molti dei problemi di equilibrio presentati
in questo capitolo e in quelli seguenti.
Per risolvere rispetto a Kp, sostituiamo i valori di equilibrio nel quoziente di
reazione, quindi dobbiamo trovare x. A questo scopo, usiamo l’altro dato noto,
Ptotale. Usando la legge di Dalton delle pressioni parziali e i valori di equilibrio delle
quantità indicati nell’ultima riga della tabella di reazione, otteniamo
Ptotal = 0,757 atm = PCO2(eq) + PCO(eq) = (0,458 atm − x) + 2x
Perciò,
0,757 atm = 0,458 atm + x da cui x = 0,299 atm
Nota x, determiniamo i valori di equilibrio delle pressioni parziali:
PCO2(eq) = 0,458 atm − x = 0,458 atm − 0,299 atm = 0,159 atm
PCO(eq) = 2x = 2(0,299 atm) = 0,598 atm
Sostituiamo ora questi valori nell’espressione per Qp per trovare Kp:
2
PCO(eq) 0,5982
Q
= P = = =
2,25 Kp
PCO2 (eq) 0,159
Come previsto, Kp non è molto grande e nemmeno molto piccola.
(0,011)(0,011)
Perciò, =Kc = 0.020
(0,078) 2
Verifica Arrotondando, otteniamo 0,012/0,082 = 0,02. Poiché all’equilibrio il valore ini-
ziale di [HI], pari a 0,100 M, è sceso lievemente a 0,078 M, si è formato relativamente poco
prodotto; quindi ci attendiamo che Kc < 1.
In una variante un po’ più complessa, conosciamo K e i valori iniziali delle quantità
e dobbiamo trovare i valori di equilibrio delle quantità, per cui usiamo la tabella di
reazione. Nel problema di verifica seguente, le quantità sono state scelte in modo
da semplificare il procedimento matematico, permettendo di concentrare l’atten-
zione più facilmente sul metodo complessivo.
x
* La radice negativa dà −1,25 = , da cui −2,50 + 1,25x = x.
2,00 − x
Quindi −2,50 = −0,25x, e x = 10 M
Questo valore non ha significato chimico perché siamo partiti con 2,00 M di ciascun reagente e quindi
è impossibile che reagiscano 10 M. Inoltre, la radice quadrata di una costante di equilibrio è un’altra
costante di equilibrio, che non può avere un valore negativo.
Uso della formula risolutiva delle equazioni di 2° grado per risolvere ri-
spetto all’incognita La scorciatoia che abbiamo seguito per semplificare il pro-
cedimento matematico nel Problema di verifica 17.8 è un caso particolare che si
presenta quando il numeratore e il denominatore del quoziente di reazione sono
quadrati perfetti. Ha funzionato perché siamo partiti con concentrazioni uguali dei
due reagenti, ma di solito non è così.
Supponiamo, per esempio, di iniziare invece la reazione nel problema di verifi-
ca con CO 2,00 M e H2O 1,00 M. La tabella di reazione è
[CO 2 ][H2 ] ( x )( x ) x2
=Qc = = 2
[CO][H2O] (2, 00 − x )(1, 00 − x ) x − 3,00x + 2,00
All’equilibrio, abbiamo
x2
1,56 =
x − 3,00x + 2,00
2
−b ± b 2 − 4 ac
x=
2a
Il segno ± significa che sono possibili due valori di x:
4,68 ± ( − 4,68) 2 − 4(0,56)(3,12)
x=
2(0,56)
= =
x 7,6 M e x 0,73 M
Si noti che soltanto uno dei valori di x ha senso chimicamente. Il valore maggiore
dà concentrazioni negative all’equilibrio (per esempio, 2,00 M − 7,6 M = −5,6 M),
che è privo di significato chimico. Perciò, x = 0,73 M, e
[CO] = 2,00 M − x = 2,00 M − 0,73 M = 1,27 M
[H2O] = 1,00 M − x = 0,27 M
[CO2] = [H2] = x = 0,73 M
Verificando se questi valori diano la Kc nota, otteniamo
(0,73)(0,73)
=Kc = 1,6 (entro l’arrotondamento di 1,56)
(1,27)(0,27)
Possiamo immaginare una situazione simile nella vita quotidiana. Su una bilancia
pesapersone, possiamo avere una massa di 75 kg. Se ci togliamo l’orologio da polso,
la nostra massa continua a essere 75 kg. Entro la precisione della misura, la massa
di un orologio da polso è così piccola rispetto alla nostra massa che può essere
trascurata:
massa iniziale del corpo − massa dell’orologio = massa finale del corpo
massa iniziale del corpo
Per giustificare l’ipotesi che x sia trascurabile, dobbiamo verificare che l’errore in-
trodotto non sia rilevante. Ma quanto è grande un errore “rilevante”? Un criterio
comune, anche se alquanto arbitrario, è la regola del 5%: se l’ipotesi determina una
variazione (un errore) della concentrazione che è minore del 5%, l’errore non è rilevante e
l’ipotesi è giustificata. Risolviamo un problema di verifica e formuliamo questa ipo-
tesi per vedere come semplifica il procedimento matematico e poi vediamo se
l’ipotesi sia giustificata nel caso di due differenti concentrazioni iniziali. Formulere-
mo spesso questa ipotesi nei Capitoli 18 e 19.
5,00 mol
=
[COCl 2 ]iniz = 0,500 M
10,0 L
Costruzione della tabella di reazione, con x = [COCl2]reagente:
[CO][Cl 2 ] x2
=Qc = = K=
c 8,3 ×10−4
[COCl 2 ] 0,500 − x
Poiché Kc è piccola, la reazione non avanza molto verso destra, quindi supponiamo che
x (la [COCl2] che reagisce) sia tanto minore della concentrazione iniziale, 0,500 M, che la
concentrazione di equilibrio sia quasi uguale. Perciò,
0,500 M − x 0,500 M
[CO][Cl 2 ] x2
=Qc = = K=
c 8,3 ×10−4
[COCl 2 ] 0,0100 − x
Formulazione dell’ipotesi che 0,0100 M − x 0,0100 M e risoluzione rispetto a x:
x2
Kc = 8,3 × 10−4
0,0100
x 2,9 × 10−3
Verifica dell’ipotesi:
2,9 ×10−3
× 100 = 29% 29% è maggiore di 5%, quindi l’ipotesi non è giustificata
0,0100
Dobbiamo risolvere l’equazione di 2° grado, x2 + (8,3 × 10−4)x − (8,3 × 10−6) = 0, per la
quale l’unica soluzione significativa è x = 2,5 × 10−3 (vedi Appendice A).
Risoluzione rispetto alla concentrazioni di equilibrio:
Commento Si noti che l’ipotesi era giustificata nel caso dell’alta concentrazione iniziale, ma
non lo è nel caso della bassa concentrazione iniziale.
A questo punto, abbiamo visto parecchie varianti del tipo di problema di equilibrio
in cui si conoscono K e i valori iniziali di alcune quantità e si devono trovare i va-
lori di equilibrio delle quantità. La Figura 17.6 presenta un utile sommario dei
passi implicati nella risoluzione di questi tipi di problemi di equilibrio. Un buon
metodo per organizzare i passi è raggrupparli in tre parti generali.
una certa quantità di PCl3; se rimuoviamo una certa quantità di PCl5, la posizione
dell’equilibrio si sposta verso destra, com’è avvenuto quando abbiamo aggiunto
una certa quantità di Cl2. In altre parole, indipendentemente da come si origina la
variazione della concentrazione che perturba il sistema, questo reagisce in modo
da ripristinare l’uguaglianza di Q c e Kc. Riassumendo gli effetti delle variazioni della
concentrazione:
• la posizione dell’equilibrio si sposta verso destra se si aggiunge una certa quan-
tità di un reagente o si rimuove una certa quantità di un prodotto;
• la posizione dell’equilibrio si sposta verso sinistra se si rimuove una certa quan-
tità di un reagente o si aggiunge una certa quantità di un prodotto.
In generale, quando la concentrazione di un componente varia, il sistema in equilibrio
reagisce in modo da consumare una certa quantità della sostanza aggiunta o da produrre
una certa quantità della sostanza rimossa. In questo modo, il sistema “riduce l’effetto
della perturbazione”. Ma l’effetto non viene eliminato completamente, come vedremo
qui di seguito confrontando la posizione dell’equilibrio iniziale con quella successiva.
Ritornando all’esempio sotto analisi, consideriamo il caso in cui abbiamo aggiun-
to una certa quantità di Cl2 al sistema in equilibrio. Supponiamo che la posizione di
equilibrio iniziale si sia stabilita con le seguenti concentrazioni: [PCl3] = 0,200 M,
[Cl2] = 0,125 M e [PCl5] = 0,600 M. Perciò,
[PCl 5 ] 0,600
=
Qc = = =
24,0 Kc
[PCl3 ][Cl 2 ] (0,200)(0,125)
Aggiungiamo ora una quantità di Cl2 sufficiente per aumentare di 0,075 M la sua
concentrazione. Prima che avvenga qualche reazione, questa aggiunta crea un nuo-
vo insieme di concentrazioni iniziali. Il sistema reagisce e raggiunge una nuova
posizione dell’equilibrio. In base al principio di Le Châtelier, prevediamo che l’ag-
giunta di altro reagente produrrà altro prodotto, cioè, sposterà verso destra la
posizione dell’equilibrio. L’esperimento indica che la nuova [PCl5] all’equilibrio
è 0,637 M.
La Tabella 17.3 presenta una tabella di reazione dell’intero processo: la posi-
Figura 17.7 L’effetto zione dell’equilibrio iniziale, la perturbazione, la (nuova) concentrazione iniziale,
dell’aggiunta di Cl2 al sistema
PCl3-Cl2-PCl5. Nell’equilibrio l’entità e il verso della variazione necessaria per ripristinare l’equilibrio e la nuova
iniziale (regione grigia), tutte posizione dell’equilibrio; la Figura 17.7 visualizza il processo.
le concentrazioni sono costanti. In base alla Tabella 17.3,
Quando si aggiunge Cl2 (curva
gialla), la sua concentrazione fa [PCl5] = 0,600 M + x = 0,637 M, da cui x = 0,037 M
un balzo in alto e poi comincia
Inoltre, [PCl3] = [Cl2] = 0,200 M − x = 0,163 M
a diminuire via via che Cl2 rea-
gisce con una certa quantità di Perciò, all’equilibrio,
PCl3 per formare più PCl5. Dopo 0,600
un certo intervallo di tempo, si =
Kc(concentrazione iniziale) = 24,0
ristabilisce l’equilibrio in corri- (0,200)(0,125)
spondenza di una nuova concen-
0,637
trazione (regione azzurra) ma =
Kc(nuova concentrazione) = 24,0
con la stessa K. (0,163)(0,163)
Si devono notare alcuni punti essenziali riguardo alle nuove concentrazioni di equi-
librio che esistono dopo l’aggiunta di Cl2:
• come previsto, [PCl5] (0,637 M) è più alta della concentrazione iniziale
(0,600 M);
• [Cl2] (0,163 M) è più alta della concentrazione di equilibrio iniziale (0,125 M),
ma più bassa della concentrazione iniziale immediatamente dopo l’aggiunta
(0,200 M); perciò la perturbazione (aggiunta di Cl2) è ridotta ma non eliminata;
• [PCl3] (0,163 M), l’altro componente nel primo membro, è più bassa della con-
centrazione iniziale (0,200 M) perché una parte ha reagito con il Cl2 aggiunto;
• ciò che più importa, anche se la posizione dell’equilibrio si è spostata verso
destra, Kc rimane invariata.
È importante notare che il sistema si adatta variando le concentrazioni, ma il valore
di Q c all’equilibrio è uguale a quello nel sistema di partenza. In altre parole, a una
data temperatura, Kc non varia in seguito a una variazione della concentrazione.
non compare in Q c. Ma la quantità di solido può variare. Quindi, l’aggiunta di H2S sposta la
reazione verso destra, e si forma altro S.
La reazione diretta è esotermica (rilascia calore; ΔH 0r < 0), quindi la reazione inversa
è endotermica (assorbe calore; ΔH 0r > 0):
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g) + calore (esotermica)
PCl3(g) + Cl2(g) PCl5(g) + calore (endotermica)
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 17.13 In che modo una diminuzione di • Sistemi dipendenti dalla
temperatura Esiste un’impres-
temperatura influenza la pressione parziale della sostanza sottolineata e il valore di Kp per sionante somiglianza tra le espressio-
ciascuna delle seguenti reazioni? ni per la dipendenza di K (costante
(a) C(grafite) + 2H2(g) CH4(g) ΔH0r = −75 kJ di equilibrio), k (costante di velocità)
(b) N2(g) + O2(g) 2NO(g) ΔH0r = 181 kJ e P (pressione di vapore di equilibrio)
dalla temperatura:
(c) P4(s) + 10Cl2(g) 4PCl5(g) ΔH0r = −1528 kJ
K ΔH r0 ⎛⎜ 1 1⎞
ln 2 = − ⎜ − ⎟⎟
K1 R ⎜⎝ T2 T1 ⎟⎟⎠
L’equazione di van’t Hoff: variazione di K al variare di T L’equazione di van’t k2 E ⎛1 1⎞
Hoff mostra matematicamente come la costante di equilibrio varia al variare della ln = − a ⎜⎜ − ⎟⎟⎟
k1 R ⎜⎝ T2 T1 ⎟⎠
temperatura:
P2 ΔH vap ⎛⎜ 1 1⎞
⎛1 ⎞ ln =− ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟
K ΔH r0
⎜⎜ − 1 ⎟⎟ P1 R ⎝ T2 T1 ⎠
ln 2 = − (17.10)
K1 R ⎝ T2 T1 ⎟⎟⎠
⎜ Ciascun termine (K, k o P) correlato
con la concentrazione dipende da
dove K1 è la costante di equilibrio alla temperatura T1, K2 è la costante di equili- T attraverso un termine di energia
brio alla temperatura T2 e R è la costante universale dei gas [8,314 J/(mol ⋅ K)]. Se (ΔH 0r , Ea o ΔH vap) diviso per R. La
somiglianza è dovuta al fat to che
conosciamo ΔH 0r e K a una temperatura, l’equazione di van’t Hoff ci permette di le equazioni esprimono la stessa
trovare K a qualsiasi altra temperatura (o di trovare ΔH 0r se conosciamo le due K in relazione. K è uguale a un rapporto
corrispondenza di due T). di costanti di velocità, e Ea(diretta) −
Proponiamo qui un tipico problema che richiede l’equazione di van’t Hoff. I Ea(inversa) = ΔH 0r . Nel caso della pres-
sione di vapore, per la transizione
processi di gassificazione del carbone fossile cominciano di solito con la formazione di fase A(l) A(g), il calore di
di syngas (gas di sintesi) a partire da carbonio e vapore acqueo: reazione è uguale al calore di vapo-
rizzazione: ΔH vap = ΔH 0r . Inoltre, la
C(s) + H2O(g) CO(g) + H2(g) ΔH 0r = 131 kJ/mol costante di equilibrio è uguale alla
Un ingegnere sa che Kp è soltanto 9,36 × 10−17 a 25 °C e quindi vuole trovare una pressione di vapore di equilibrio:
Kp = PA.
temperatura che permetta una resa molto più alta. Si vuole calcolare Kp a 700 °C.
K2 ΔH r0 ⎛⎜ 1 1⎞
ln =− ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟
K1 R ⎝ T2 T1 ⎠
Kp2
= 8,51×1015
9,36 ×10−17
Kp2 = 0,797
• Moto
zato?
perpetuo cataliz-
Aumento di [prodotto]
Diminuzione di [prodotto]
Verso
Verso
la
la
formazione
formazione
di
di
reagente
prodotto
Nessuno
Nessuno
La macchina mostrata qui
sopra è costituita da uno stantuffo Pressione
orizzontale collegato a un volano, il Aumento di P Verso la formazione di meno Nessuno
cui bilanciere, contenente un cata- (diminuzione di V ) moli di gas
lizzatore, entra nella reazione che Diminuzione di P Verso la formazione di più Nessuno
si svolge nel cilindro e ne esce. (aumento di V ) moli di gas
Cosa accadrebbe se il catalizzatore
riuscisse ad aumentare la velocità di Aumento di P Nessuno; concentrazione invariata Nessuno
dissociazione di PCl5 ma non quella (aggiunta di gas inerte,
della sua formazione? Nel cilindro, nessuna variazione di V )
il catalizzatore accelererebbe la dis- Temperatura
sociazione di PCl5 in PCl3 e Cl2 −
1 mol di gas in 2 mol – aumentando Aumento di T Verso l’assorbimento di calore Aumenta se ΔH 0r > 0
la pressione del gas e spingendo lo Diminuisce se ΔH 0r < 0
stantuffo verso l’esterno. Quando il
Diminuzione di T Verso il rilascio di calore Aumenta se ΔH 0r < 0
catalizzatore è fuori del cilindro, PCl3
e Cl2 riformerebbero PCl5, abbassan-
Diminuisce se ΔH 0r > 0
do la pressione del gas e facendo Aggiunta di catalizzatore Nessuno; l’equilibrio è raggiunto Nessuno
muovere lo stantuffo verso l’interno.
Il processo fornirebbe energia utile
senza alcun apporto di energia dal
l’esterno. Se un catalizzatore spostas-
se la posizione dell’equilibrio, sarem-
un’energia di attivazione più bassa, aumentando così nella stessa misura la velo-
mo in grado di progettare macchine cità della reazione diretta e quella della reazione inversa. In altre parole, abbrevia
stupefacenti! l’intervallo di tempo necessario per raggiungere le concentrazioni finali. Perciò, un
catalizzatore abbrevia l’intervallo di tempo necessario per raggiungere l’equilibrio, ma
non influisce sulla posizione dell’equilibrio.
Per esempio, se aggiungiamo un catalizzatore a una miscela di PCl3 e Cl2 a 523 K,
il sistema raggiungerà le stesse concentrazioni di equilibrio di PCl3, Cl2 e PCl5 più
rapidamente che in assenza del catalizzatore. Come vedremo tra poco, i catalizzatori
svolgono spesso ruoli essenziali nell’ottimizzazione dei sistemi di reazione.
La scheda Chimica nella produzione industriale a fine capito concentra l’atten-
zione su un settore che applica i principi dell’equilibrio chimico: un importante
processo industriale, il processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca.
La Tabella 17.4 riassume gli effetti del cambiamento delle condizioni sulla
posizione dell’equilibrio. Si noti che molte perturbazioni variano la posizione del
l’equilibrio, ma soltanto le variazioni di temperatura variano il valore della costante
di equilibrio.
⎛ atm ⋅ L ⎞−1 17.9 (a) In base alla tabella di reazione e nell’ipotesi che
1,67 ⎜⎜0,0821
17.4 Kp = Kc(RT )−1 = × 5, 00 ×102 K⎟⎟⎟ 0,20 M − x 0,20 M,
⎝ mol ⋅ K ⎠
= 4,07 × 10−2 4x 2
Kc = 2,94 × 10−10 x 3,8 × 10−6 M
0,20
17.5 Q p = (PCH2Cl )(PHCl ) = (0,24)(0,47) = 25; Errore = 1,9 × 10−3 %, quindi l’ipotesi è giustificata; perciò,
(PCH4 )(PCl2 ) (0,13)(0,035) all’equilibrio, [I2] = 0,20 M e [I] = 7,6 × 10−6 M.
Q p < Kp , quindi si forma CH3Cl. (b) In base alla stessa tabella di reazione e alla stessa
17.6 Dalla tabella di reazione per 2NO + O2 2NO2 , ipotesi, x 0,10 M; errore = 50%, quindi l’ipotesi non è
giustificata. Risolviamo l’equazione:
PO2 = 1,000 atm − x = 0,506 atm; x = 0,494 atm
Inoltre, PNO = 0,012 atm e PNO2 = 0,988 atm, quindi 4x2 + 0,209x − 0,042 = 0 x = 0,080 M
Figura S17.2 Stadi essenziali nel processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca.
Metabolismo cellulare:
architettura e controllo di un percorso metabolico
Qualsiasi cellula, dal più semplice batterio al neurone 1.
Ogni passaggio procede con una resa vicina al 100%.
più specializzato, ospita migliaia di reazioni che le per- Ogni molecola di treonina che entra nella zona inte-
mettono di crescere, riprodursi, nutrirsi, espellere pro- ressata della cellula si trasforma in 2-chetobutirrato,
dotti di scarto, muoversi e comunicare. Complessiva- ogni molecola di 2-chetobutiurrato nel prodotto suc-
mente, questa miriade di processi di scissione e sintesi cessivo e così via.
e i flussi di energia connessi costituiscono il metabolismo 2.
Le concentrazioni di reagenti e prodotti rimangono
cellulare e sono strutturati in sequenze di reazioni chia- praticamente costanti, perché si raggiunge uno stato
mate percorsi metabolici. stazionario.
• Le uguali velocità della reazione diretta e di
Continuo spostamento verso i prodotti quella inversa in un sistema in equilibrio gene-
In linea di principio, ogni passaggio di un percorso me- rano una concentrazione costante di reagenti e
tabolico è una reazione reversibile catalizzata da uno prodotti.
specifico enzima (Paragrafo 16.8). L’equilibrio però non • Quando il sistema è nello stato stazionario, le
è mai raggiunto in un percorso metabolico perché ogni uguali velocità delle reazioni che coinvolgono
prodotto diventa il reagente della reazione successiva. le specie che entrano ed escono dal sistema
Si considerino i cinque passaggi del percorso in cui generano una concentrazione costante degli
l’amminoacido treonina è convertito nell’amminoacido intermedi.
leucina (Figura S17.3). La treonina, proveniente da una
diversa regione della cellula, forma il 2-chetobutirrato Il 2-chetobutirrato, per esempio, si forma nella reazio-
attraverso l’azione catalitica dell’enzima 1. L’equilibrio ne 1 con la stessa velocità con cui è consumato nella
della prima reazione è spostato verso destra perché il reazione 2 e la sua concentrazione è costante. (Si può
prodotto, 2-chetobutirrato, è il reagente della seconda generare uno stato stazionario per l’acqua riempiendo
reazione. Analogamente, la reazione 2 è anch’essa spo- un lavandino e poi regolando il flusso del rubinetto in
stata verso destra perché il prodotto, 2-etil-2-idrossi- maniera tale che le velocità di immissione e di deflusso
3-osso-butanoato, è utilizzato nella reazione 3. Così, dallo scarico dell’acqua siano uguali).
ogni reazione successiva sposta la precedente verso
destra. Il prodotto finale, l’isoleucina, viene utilizzato Controllo attraverso inibizione feedback
in ulteriori reazioni di sintesi di proteine in altre zone Nel Capitolo 16 abbiamo visto che le concentrazioni di
della cellula, così l’intero percorso metabolico opera in substrato sono molto minori di quelle degli enzimi. Se i
una sola direzione. siti attivi di tutte le molecole di enzima fossero sempre
occupati, tutte le reazioni cellulari avverrebbero alla loro
Creazione di uno stato stazionario massima velocità. Benché ideale per un processo indu-
striale, questo effetto potrebbe danneggiare un organi-
Il continuo spostamento della posizione di equilibrio ha
smo in cui le quantità delle varie specie presenti devono
due conseguenze sul processo metabolico.
essere accuratamente controllate. Per regolare la forma-
2-Etil-2-idrossi-
2-Chetobu- Diidrossi- 3-Metil-2-osso-
TREONINA 3-osso- ISOLEUCINA
tirrato metilvalerato pentanoato
butanoato
INIBIZIONE
Figura S17.3 La biosintesi dell’isoleucina a partire dalla treonina. L’isoleucina viene sintetizzata attraverso una sequenza
di cinque reazioni catalizzate da enzimi. Quando la concentrazione di isoleucina diventa sufficientemente alta, essa esercita
un’azione inibitoria sulla treonina deidratasi che è l’enzima che catalizza il primo passaggio della sequenza.
prodotto. Percorsi metabolici più complessi hanno sche- Figura B17.4 Effetto del legame con un inibitore sulla
mi regolatori più elaborati. forma del sito attivo.
* Nonostante ciò che i chimici del XVII secolo possano avere fatto, non si deve MAI assaggiare o toccare
i composti chimici di laboratorio. Infatti, molti di essi, compresi gli acidi e le basi comuni, sono nocivi
e possono causare gravi ustioni. Per soddisfare la vostra curiosità, verificate il sapore acido di un acido
nell’aceto usato per condire l’insalata o nel succo di limone usato per insaporire le fritture di pesce.
Tabella 18.1 Alcuni acidi e basi comuni e loro impieghi nella casa
Sostanza Uso
Acidi
Acido acetico, CH3COOH Aromatizzante, conservante
Acido citrico, H3C6H5O7 Aromatizzante
Acido fosforico, H3PO4 Rimozione della ruggine
Acido borico, H3BO3 Antisettico blando; insetticida
Sali di alluminio, Nel lievito in polvere, insieme a
NaAl(SO4)212H2O idrogenocarbonato di sodio
Acido cloridrico Detergente per mattoni e piastrelle
(acido muriatico), HCl di ceramica
Basi
Idrossido di sodio, Detergente per forni, disotturante
NaOH per scarichi
Ammoniaca, NH3 Detergente per usi domestici
Carbonato di sodio, Na2CO3 Addolcitore dell’acqua, sgrassante
Idrogenocarbonato di sodio, Estinguente antincendio, agente
NaHCO3 lievitante nelle miscele per dolci
(lievito in polvere), antiacido blando
Fosfato di sodio, Detergente per superfici prima
Na3PO4 della pitturazione o dell’applicazione
di carte da parati
Foto: © McGraw-Hill Education/Stephen Frisch, photographer.
In effetti, come mostra l’equazione ionica netta di questa reazione, l’acqua è il pro
dotto:
H+ (aq ) + OH− (aq ) ⎯ ⎯
→ H2O(l )
Come abbiamo visto in quella trattazione, l’acqua circonda il protone per formare
Figura 18.1 Natura del pro-
tone idrato. Quando un acido una specie con legami idrogeno di formula generale H(H2O)+ n . Poiché il protone è
si scioglie in acqua, il protone molto piccolo, la sua densità di carica (carica volumica) è molto alta, quindi la sua
rilasciato forma uno ione idronio attrazione verso l’acqua è particolarmente forte. Il protone si lega covalentemente a
(H3O+) legandosi covalentemen- una delle coppie solitarie di elettroni dell’atomo di O di una molecola d’acqua per
te a una molecola d’acqua. Lo
formare uno ione idronio, H3O+, che forma legami idrogeno con altre molecole
ione H3O+ si lega con legami
a idrogeno ad altre molecole d’acqua; lo ione H(H2O)3+ è visualizzato nella Figura 18.1. Per porre in rilievo il ruolo
d’acqua, formando una miscela attivo dell’acqua nella chimica degli acidi e delle basi in soluzione acquosa e la na
di specie di formula generale tura dell’interazione protone-acqua, il protone idrato è rappresentato generalmente
H(H2O)n+. Qui è mostrato lo ione nel testo come H3O+(aq), anche se in alcuni casi questa specie idrata è rappresenta
H(H2O)3+ (o H7O3+).
ta più semplicemente come H+(aq).
Il sale disciolto che si formava insieme all’acqua, per esempio NaCl nella reazione
dell’idrossido di sodio con l’acido cloridrico,
Na+ (aq ) + OH− (aq ) + H+ (aq ) + Cl− (aq ) ⎯ ⎯
→ Na+ (aq ) + Cl− (aq ) + H2O(l )
• Gli acidi deboli si dissociano molto debolmente in ioni in acqua (Figura 18.2B):
[H3O+ ][CN− ]
=Qc = (all’equilibrio, Q c Kc 1)
[HCN][H2O]
H3O
Numero relativo di moli
A
HA HA H3O A
(Da questo punto in poi, le parentesi quadre senza pedice verranno usate per deno
tare la concentrazione molare all’equilibrio; cioè [X] significa [X]eq. Poiché in questo
capitolo ci occupiamo di sistemi all’equilibrio, invece di presentare Q e di enunciare
che Q è uguale a K all’equilibrio, esprimeremo K direttamente come un insieme di
termini di concentrazione di equilibrio).
A causa dell’effetto della concentrazione sulla velocità di reazione (Paragrafo
16.1), questa drastica differenza in [H3O+] causa una drastica differenza nella velo
cità di reazione quando una concentrazione uguale di un acido forte o di un acido
debole reagisce con un metallo attivo, quale lo zinco (Figura 18.3):
Zn( s ) + 2H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn 2+ ( aq ) + 2H2O( l ) + H2 ( g )
L’intervallo di valori delle costanti di dissociazione acida degli acidi deboli si esten
de su molti ordini di grandezza. Sono elencati qui di seguito alcuni valori di riferi
mento di Ka per acidi deboli tipici che ci daranno un’idea generale della frazione di
molecole di HA che si dissociazione in ioni.
• Nel caso di un acido debole con una Ka relativamente alta (10−2), in una
soluzione 1 M il 10% circa delle molecole di HA è dissociata. Per esempio, la
Ka dell’acido cloroso (HClO2) è 1,12 × 10−2, e l’HClO2 1 M è dissociato al 10,6%.
• Nel caso di un acido debole con una Ka moderata (10−5), in una soluzione
1 M lo 0,3% circa delle molecole di HA è dissociato. Per esempio, la Ka dell’aci
do acetico (CH3COOH) è 1,8 × 10−5, e il CH3COOH 1 M è dissociato allo 0,42%.
• Nel caso di un acido debole con una Ka relativamente bassa (10−10), in una
soluzione 1 M lo 0,001% circa delle molecole di HA è dissociato. Per esempio,
la Ka di HCN è 6,2 × 10−10, e HCN 1 M è dissociato allo 0,0025%.
Perciò, nel caso delle soluzioni della stessa concentrazione iniziale di HA, minore è
la Ka più bassa è la dissociazione percentuale di HA:
DISSOCIAZIONE DI ACIDI
DEBOLI E FORTI
Ka minore =⇒ dissociazione % di HA più bassa =⇒ acido più debole
La Tabella 18.2 elenca i valori di Ka di alcuni acidi monoprotici (quelli con un solo
protone ionizzabile) deboli in acqua. Gli acidi forti sono assenti perché non hanno
valori di Ka significativi. Si noti che negli acidi organici il protone ionizzabile è
l’atomo di H legato all’ossigeno nel gruppo COOH; in questi acidi, gli atomi di H
legati agli atomi di C non si ionizzano. Nel Paragrafo 18.4 esamineremo il compor
tamento degli acidi poliprotici (quelli con più di un protone ionizzabile).
H O
H H O
* Il carattere rosso indica il protone ionizzabile; le strutture hanno carica formale zero.
È importante notare che compaiono uno ione H3O+ e uno ione OH− per ogni molecola
di H2O che si dissocia. Perciò, in acqua pura, si trova che
[H3O+ ] =
[OH− ] =1,0 ×10−14 =
1,0 ×10−7 M (a 25 °C)
L’acqua pura ha una concentrazione di circa 55,5 M (cioè 100 g/L/18,02 g/mol)
quindi queste concentrazioni di equilibrio sono raggiunte soltanto quando una
molecola d’acqua su 555 milioni si dissocia reversibilmente in ioni!
L’autoionizzazione dell’acqua ha due conseguenze importanti per la chimica
degli acidi e delle basi in soluzione acquosa.
1. Una variazione di [H3O+] determina una variazione inversa di [OH−], e viceversa:
[H3O+ ] più alta =⇒ [OH− ] più bassa e [OH− ] più alta =⇒ [H3O+ ] più bassa
Si ricordi che, come abbiamo visto nella trattazione del principio di Le Châtelier, una
variazione della concentrazione dell’uno o dell’altro ione sposta la posizione dell’equi
librio, ma non varia la costante di equilibrio. Perciò, se si aggiunge una certa quantità di
acido, [H3O+] aumenta, quindi [OH−] deve diminuire, se si aggiunge una certa quantità
di base, [OH−] aumenta, quindi [H3O+] deve diminuire. Però, l’aggiunta di H3O+ o di
OH− determina semplicemente la formazione di H2O, quindi il valore di Kw rimane
invariato.
2. Entrambi gli ioni sono presenti in tutti i sistemi acquosi. Perciò, tutte le soluzioni
acide contengono una bassa concentrazione di ioni OH− e tutte le soluzioni basi
che contengono una bassa concentrazione di ioni H3O+. Il carattere di equilibrio
dell’autoionizzazione ci permette di definire le soluzioni “acide” e “basiche” in ter
mini di valori relativi di [H3O+] e [OH−]:
in una soluzione acida, [H3O+] > [OH−]
in una soluzione basica, [H3O+] < [OH−]
in una soluzione neutra, [H3O+] = [OH−]
La Figura 18.4 riassume queste relazioni e l’acidità relativa delle soluzioni. Inoltre,
se si conosce il valore di Kw a una particolare temperatura e la concentrazione di
pH
Tabella 18.3 La relazione tra Ka e pKa
14 NaOH 1 M
(14,0) Nome dell’acido (formula) Ka a 25 °C pKa
soda caustica 2
13
(13,0) Ione idrogenosolfato(HSO4) 1,02 u 10 1,991
Acido nitroso (HNO2) 7,1 u 104 3,15
12
ammoniaca per Acido acetico (CH3COOH) 1,8 u 105 4,75
usi domestici
Acido ipobromoso (HBrO) 2,3 u 109 8,64
PIÙ BASICO
11 (11,9)
latte di magnesia Fenolo (C6H5OH) 1,0 u 1010 10,00
(10,5)
10
soluzione detergente
(10)
La Figura 18.5 mostra che i valori del pH di alcune soluzioni acquose familiari cado
9 no nell’intervallo 0 ÷ 14. Un altro punto importante si presenta quando si confronta
acqua di mare
[H3O+] in differenti soluzioni. Poiché la scala del pH è logaritmica, una soluzione di
8
(7,0-8,3) pH 1,0 ha una [H3O+] che è 10 volte quella di una soluzione di pH 2,0, 100 volte
sangue (7,4)
quella di una soluzione di pH 3,0 e così via. Per ottenere la [H3O+] dal pH, si esegue
7 NEUTRO
il procedimento aritmetico opposto; cioè si trova l’antilogaritmo del pH preso con
latte (6,4)
6 urina (4,8-7,5) il segno negativo:
acqua piovana
non inquinata [H3O+ ] = 10−pH
5 (5,6)
Si usa una scala p anche per esprimere altre grandezze.
birra
4 (4,0-4,5) • La concentrazione dello ione idrossido può essere espressa come pOH:
PIÙ ACIDO
aceto
3 (2,4-3,4) pOH = −log[OH− ]
succo di limone
2 (2,2-2,4) Le soluzioni acide hanno un pOH più alto (una [OH−] più bassa) rispetto alle solu-
succo gastrico
zioni basiche.
1 (1,0-3,0) • Le costanti di equilibrio possono essere espresse come pK:
0 HCl 1 M (0,0)
pK = − log K
Un basso pK corrisponde a un’alta K. Una reazione che, raggiunto l’equilibrio, ha
Figura 18.5 I valori del pH di in prevalenza prodotti (avanza molto verso destra) ha un basso pK (un’alta K),
alcune soluzioni acquose familiari.
mentre una reazione che all’equilibrio ha in prevalenza reagenti ha un alto pK
(una bassa K). La Tabella 18.3 mostra questa relazione per alcuni acidi deboli.
La relazione tra pH, pOH e pKw Prendendo il logaritmo con il segno negativo
di entrambi i membri dell’espressione per il Kw si ottiene una relazione molto utile
tra pKw, pH e pOH:
[H3O+ ][OH− ] =
Kw = 1,0 ×10−14 (a 25 °C)
Perciò, la somma del pH e del pOH è 14,00 in ogni soluzione acquosa a 25 °C. Es
sendo il pH, il pOH, la [H3O+] e la [OH−] interrelati attraverso il Kw, conoscendo il
valore di uno qualsiasi dei parametri si possono determinare i valori di tutti gli altri
(Figura 18.6).
In questo caso, H2O (l’acido) ha donato lo ione H+, e NH3 (la base) lo ha accettato.
Perciò, H2O è anfotera: si comporta come una base in un caso e come un acido
nell’altro. Come vedremo, anche molte altre specie sono anfotere.
Nella reazione diretta, H2S si comporta come un acido donando uno ione H+ a NH3,
che si comporta come una base. La reazione inversa implica un’altra coppia acido-
base. Lo ione ammonio, NH4+, si comporta come un acido donando uno ione H+ allo
ione solfuro di idrogeno, HS−, che si comporta come una base. Si noti che l’acido,
H2S, diventa una base, HS−, e la base, NH3, diventa un acido, NH4+.
Nella terminologia di Brønsted-Lowry, H2S e HS− sono una coppia coniugata
acido-base: HS− è la base coniugata dell’acido H2S. Analogamente, NH3 e NH4+
formano una coppia coniugata acido-base: NH4+ è l’acido coniugato della base NH3.
Ogni acido ha una base coniugata, e ogni base ha un acido coniugato. Perciò, per ogni
coppia coniugata acido-base:
• la base coniugata della coppia ha un H in meno e una carica negativa in più
rispetto all’acido;
• l’acido coniugato della coppia ha un H in più e una carica negativa in meno
rispetto alla base.
Avviene una reazione acido-base di Brønsted-Lowry quando un acido e una base
reagiscono per formare la loro base coniugata e il loro acido coniugato, rispettivamente:
acido1 + base2
base1 + acido2
La Tabella 18.4 mostra alcune reazioni acido-base di Brønsted-Lowry. Si noti che:
• ciascuna reazione ha un acido e una base come reagenti e come prodotti, e
questi comprendono due coppie coniugate acido-base;
• gli acidi e le basi possono essere neutri, cationici o anionici;
• la stessa specie può essere un acido o una base, a seconda dell’altra specie che
partecipa alla reazione. L’acqua si comporta in questo modo nelle reazioni 1 e
4 (Tabella 18.4), e HPO42− lo fa nelle reazioni 4 e 6.
Coppia coniugata
Coppia coniugata
Reazione 1 HF H2O F H3O
Reazione 2 HCOOH CN HCOO HCN
Reazione 3 NH4 CO32 NH3 HCO3
Reazione 4 H2PO4 OH HPO42 H2O
Reazione 5 H2SO4 N2H5 HSO4 N2H62
Reazione 6 HPO42 SO32 PO43 HSO3
si scioglie in acqua, esso trasferisce uno ione H+ alla base, H2O, formando la base
coniugata di HNO3, la quale è NO3−, e l’acido coniugato di H2O, il quale è H3O+:
HNO3 + H 2O ⎯⎯
→ NO−3 + H3O+
acido più forte + base più forte ⎯ ⎯
→ base più debole + acido più debole
(In questo caso, la direzione netta è così inoltrata a destra che non sarebbe appro
priato indicare una freccia di equilibrio). HNO3 è un acido più forte di H3O+, e H2O
è una base più forte di NO3−. Perciò, nel caso di acidi forti come HNO3, H2O vince la
competizione per il protone perché A− (NO3−) è una base molto più debole. D’altra
parte, nel caso di acidi deboli come HF, A− (F−) vince la competizione perché è
una base più forte di H2O:
HF + H 2O
F− + H3O+
acido più debole + base più debole ←⎯⎯ base più forte + acido più forte
In base a molte di queste reazioni, si possono classificare le coppie coniugate in
termini della capacità dell’acido di trasferire il suo protone (Figura 18.9). Si noti, in
particolare, che un acido più debole ha una base coniugata più forte.
Ciò è perfettamente ragionevole: l’acido cede il suo protone meno facilmente
perché la sua base coniugata lo trattiene più fortemente. Possiamo usare l’elenco
di Figura 18.9 per prevedere il verso di una reazione tra due coppie qualsiasi, cioè
se la posizione dell’equilibrio sia situata in prevalenza a destra (Kc > 1) oppure a
sinistra (Kc < 1). Una reazione acido-base procede verso destra se l’acido reagisce con
una base che è più in basso nell’elenco perché questa combinazione produce una base
coniugata più debole e un acido coniugato più debole.
ACIDO BASE
HCl Cl
H3O H2O
HSO4 SO42
H2SO3 HSO3
H3PO4 H2PO4
HF F
FORZA DELL'ACIDO
CH3COOH CH3COO
H2CO3 HCO3
debole
H2S HS
debole
HSO3 SO32
H2PO4 HPO42
HCN CN
NH4 NH3
Figura 18.9 Forze di coppie
HCO3 CO32 coniugate acido-base. Più forte
è l’acido, più debole è la base
HPO42 PO43 coniugata. L’acido più forte
compare in alto a sinistra e la
H2O OH base più forte in basso a destra.
Quando un acido reagisce con
HS S2 forte
trascurabile
una base situata più in basso
OH O2 lungo l’elenco, la reazione pro-
cede verso destra (Kc > 1).
• Per trovare [H3O+]: conosciamo il pH, quindi possiamo trovare [H3O+]. Poiché un
pH 2,60 è di più di quattro unità di pH (104 volte) inferiore al pH dell’acqua pura
(pH = 7,0), possiamo ipotizzare che [H3O+ ]HPAc [H3O+ ]H2O . Di conseguenza si avrà,
[H3O+ ]HPAc + [H3O+ ]H2O [H3O+ ]HPAc [H3O+ ].
• Per trovare [PAc−]: poiché ogni HPAc che si dissocia forma uno ione H3O+ e uno ione
PAc−, [H3O+] [PAc−].
• Per trovare [HPAc]: conosciamo [HPAc]iniz. Poiché l’HPAc è un acido debole, ipotizziamo
che se ne dissoci pochissimo, quindi [HPAc]iniz = [HPAc]dissoc = [HPAc] [HPAc]iniz.
Costruiamo una tabella di reazione, formuliamo le ipotesi, sostituiamo i valori di equilibrio,
risolviamo rispetto a Ka e poi verifichiamo le ipotesi.
Risoluzione Calcolo di [H3O+]:
[H3O+=] 10−pH
= 10−2,60
= 2,5 ×10−3 M
Costruzione di una tabella di reazione, con x = [HPAc]dissoc = [H3O+]HPAc = [PAc−] [H3O+]:
2,5 ×10−3 M
2.
Per [HPAc]dissoc : ×100 = 2,1% < 5% ; l’ipotesi è giustificata. Avevamo già
0,12 M
mostrato prima che, con 2 cifre significative, la concentrazione era rimasta invariata,
quindi questa verifica non è realmente necessaria.
Verifica La [H3O+] è ragionevole: il pH 2,60 dovrebbe dare [H3O+] compresa tra 10−2 M
e 10−3 M. Anche il valore calcolato di Ka sembra essere dell’ordine di grandezza corretto:
(10−3)2/10−1 = 10−5, e questo valore sembra ragionevole per un acido debole.
Commento [H3O+]H2O è così piccolo rispetto a [H3O+]HA che, da qui in poi, lo trascureremo
e le immetteremo come zero nelle tabelle di reazione.
[H3O+ ][ Pr− ]
K=
a = 1, 3 ×10−5
[HPr]
Conosciamo [HPr]iniz, ma non [HPr]. Se poniamo x = [HPr]dissoc, x è anche [H3O+]HPr e [Pr−]
perché ciascuna molecola di HPr che si dissocia produce uno ione H3O+ e uno ione Pr−.
Con queste informazioni, possiamo costruire una tabella di reazione. Nella risoluzione
rispetto a x, supponiamo che, avendo HPr una piccola Ka, esso si dissoci pochissimo; perciò,
[HPr]iniz − x = [HPr] [HPr]iniz. Trovata x, verifichiamo l’ipotesi.
Risoluzione Costruzione della tabella di reazione, con x = [HPr]dissoc = [H3O+]HPr = [Pr−]
= [H3O+]:
[H3O+ ][Pr− ] ( x )( x )
K=
a = 1, 3 ×10−5
[HPr] 0,10
x (0,10)(1,3 ×10−5 ) =
1,1 × 10−3 M = [H3O+]
1,1×10−3 M
×100 = 1,1% < 5% ; l’ipotesi è giustificata.
0,10 M
Verifica [H3O+] sembra ragionevole per una soluzione diluita di un acido debole con una
Ka moderata. Invertendo il calcolo, possiamo verificare l’aritmetica: (1,1 × 10−3)2/0,10 =
1,2 × 10−5, che è entro l’arrotondamento della Ka data.
Commento In questi problemi, supponiamo che la concentrazione di HA che si dissocia
([HA]dissoc = x) possa essere trascurata perché Ka è relativamente piccola. Ma ciò vale soltan
to se [HA]iniz è relativamente grande. Una semplice verifica rivela se l’ipotesi sia giustificata:
[HA]iniz
•
se > 400, l’ipotesi è giustificata; trascurando x, si introduce un errore <5%;
Ka
[HA]iniz
•
se < 400, l’ipotesi non è giustificata; trascurando x, si introduce un errore >5%,
Ka
quindi dobbiamo risolvere un’equazione di 2° grado per trovare x.
Quest’ultima situazione si presenta nel seguente problema di approfondimento.
[HA]dissoc
=
percentuale di HA dissociato ×100 (18.5)
[HA]iniz
[H2PO−4 ][H3O+ ]
=
Ka1 = 7,2 ×10−3
[H3PO 4 ]
[HPO24− ][H3O+ ]
=
Ka2 = 6,3 ×10−8
[H2PO−4 ]
[PO34− ][H3O+ ]
K=
a3 = 4, 2 ×10−13
[HPO 24− ]
Come possiamo vedere dai valori relativi di Ka, H3PO4 è un acido molto più
forte di H2PO4−, che è molto più forte di HPO42−. La Tabella 18.5 elenca alcuni
acidi poliprotici comuni e i valori delle loro Ka. Si noti che, in ogni caso, il pri-
mo protone si dissocia in misura molto maggiore rispetto al secondo e, quando
è possibile, il secondo protone si ionizza in misura molto maggiore rispetto al
terzo:
O O
FORZA DELL'ACIDO
O H
O O H
O H C H O
7,1×10−14 M
2. [H2 Asc]dissoc [H2 Asc]iniz : ×100 = 1,4% < 5% ; l’ipotesi è giustificata.
0,050 M
Inoltre, dal commento nel Problema di verifica 18.7, notiamo che:
[H 2 Asc]iniz 0,050
= = 5000 > 400
K a1 1,0 ×10−5
Calcolo di [Asc2−]:
[BH+ ][OH− ]
Kb = (18.6)
[B]
Nonostante il nome “costante di dissociazione basica”, in questo processo non si dis-
socia alcuna base, come si può vedere dalla reazione.
Come nella relazione tra pKa e Ka, sappiamo che pKb, il logaritmo della costante
di dissociazione basica preso con il segno negativo, decresce al crescere di Kb (cioè,
al crescere della forza della base). In soluzione acquosa, le due grandi classi di basi
deboli sono le molecole azotate (contenenti azoto), quali l’ammoniaca e le ammine,
e gli anioni degli acidi deboli.
H H H
H H
H C C H
H H
H
Trietilammina [(CH3CH2)3N] H C C N 5,2 u 104
H
H H
H C C H FORZA DELLA BASE
H H
H H
Verifica dell’ipotesi:
3,0 ×10−2 M
×100 = 2,0% < 5% ; l’ipotesi è giustificata
1,5 M
Si noti che il commento del Problema di verifica 18.7 è valido anche per le basi deboli:
[B]iniz 1,5
= = 2,5 ×103 > 400
Kb 5,9 ×10−4
Calcolo del pH:
+ Kw 1,0 ×10−14
[H=
3O ] = = 3,3 ×10−13 M
[OH− ] 3,0 ×10−2
pH = −log (3,3 ×10−13 ) =
12,48
Verifica Il valore di x sembra ragionevole: (6 ×10−4 )(1,5) =×9 10−4 = 3 ×10−2. Poiché
(CH3)2NH è una base debole, il pH dovrebbe essere di parecchie unità di pH maggiore di 7.
[HF][OH− ]
F− ( aq ) + H2O( l ) HF( aq ) + OH− ( aq )
Kb =
[F− ]
Perché una soluzione di HA è acida e una soluzione di A− è basica? Affrontiamo
questa domanda esaminando le concentrazioni relative delle specie presenti in una
soluzione 1 M di HF e in una soluzione 2 M di NaF.
1. L’acidità di HF(aq). Poiché HF è un acido debole, la maggior parte di HF esiste in
forma indissociata. Una piccola frazione delle molecole di HF si dissocia effettiva
mente, donando i propri protoni a H2O e dando piccole concentrazioni di H3O+ e
F−. La posizione dell’equilibrio del sistema è situata assai a sinistra:
Di tutte le specie presenti (HF, H2O, H3O+, F− e OH−), le due che sono in grado di
influenzare l’acidità della soluzione sono H3O+, proveniente in prevalenza da HF, e
OH−, proveniente dall’acqua. La soluzione è acida perché [H3O+ ]HF [OH− ]H2O .
2. La basicità di A−(aq). Consideriamo ora le specie presenti in una soluzione
1 M di NaF. Il sale si dissocia completamente per dare una concentrazione relativa
mente grande di F−. Lo ione Na+ si comporta come uno spettatore, ma una parte di
F− reagisce come base debole con l’acqua per produrre una piccolissima quantità
di HF (e di OH−):
* Questa equazione e l’espressione per l’equilibrio sono dette talvolta reazione di idrolisi e costante di
idrolisi, Ki, perché l’acqua è dissociata (idrolizzata) e le sue parti finiscono nei prodotti. In realtà, eccet
tuata la carica sulla base, questo processo è identico al processo di estrazione di un protone nel caso di
basi molecolari come l’ammoniaca, quindi non sono necessari un nuovo termine e una nuova costante di
equilibrio. Perciò, Ki è semplicemente un altro simbolo per Kb, quindi useremo dovunque il simbolo Kb.
HA + H2O H 2 O+ + A −
A − + H 2O HA + OH−
2H2O H3O+ + OH−
La somma delle due reazioni di dissociazione è l’autoionizzazione dell’acqua. Si ricordi
che, come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel caso di una reazione che è
la somma di due o più reazioni, la costante di equilibrio complessiva è il prodotto
delle costanti di equilibrio parziali. Perciò, scrivendo le espressioni per ciascuna
reazione, otteniamo:
[H3O+ ] [A− ] [HA] [OH− ]
× [H3O+ ][OH− ]
=
[HA] [A− ]
ossia
Ka × Kb =
Kw (18.7)
Questa relazione ci permette di trovare la Ka dell’acido in una coppia coniugata
data la Kb della base e viceversa. Usiamo questa relazione per ottenere un dato
essenziale per la risoluzione dei problemi di equilibrio. Le tabelle di consultazione
contengono di solito valori di Ka e Kb soltanto per specie molecolari. Per esempio,
la Kb per F− o la Ka per CH3NH3+ non compaiono nelle tabelle standard, ma possia
mo calcolare semplicemente l’uno o l’altro valore cercando il valore della specie
coniugata molecolare e mettendolo in relazione con Kw. Per esempio, per il valore
di Kb per F−, cerchiamo il valore di Ka per HF e lo mettiamo in relazione con Kw:
=
Ka di HF 6,8 ×10−4 (dalla Tabella 18.2)
Perciò, abbiamo
( Ka di HF) × ( Kb di F− ) =
KW
− Kw 1,0 ×10−14
ossia, K=
b di F = = 1,5×10−11
Ka di HF 6,8 ×10−4
Ka per l’acido originario, HAc (1,8 × 10−5). Dobbiamo calcolare il pH della soluzione di Ac−,
che si comporta come una base in acqua:
[HAc][OH− ]
Ac− ( aq ) + H2O( l ) HAc( aq ) + OH− ( aq )K b =
[Ac− ]
Se calcoliamo [OH−], possiamo trovare [H3O+] e convertire in pH. Per risolvere rispetto a [OH−],
dobbiamo conoscere la Kb di Ac−, che otteniamo da Ka di HAc e da Kw. Tutti i sali di sodio
sono solubili, quindi sappiamo che [Ac−] = 0,25 M. L’ipotesi solita è che [Ac−]iniz [Ac−].
Risoluzione Costruzione della tabella di reazione, con x = [Ac−]reagente = [HAc] = [OH−]:
Concentrazione (M) Ac(aq) H2O(l) W HAc(aq) OH(aq)
Valore iniziale 0,25 0 0
Variazione x x x
Valore di equilibrio 0,25 x x x
H2O HF Verifica Il valore calcolato di Kb sembra ragionevole: (10 × 10−15)/(2 × 10−5) = 5 × 10−10.
Poiché Ac− è una base debole, [OH−] > [H3O+]; quindi, pH > 7, che è ragionevole.
costituente attivo della “candeggina”. Quanto vale il pH di una soluzione 0,20 M di NaClO?
H2Se HBr
* In realtà, l’energia di legame si riferisce alla rottura del legame con formazione di un atomo di H, mentre
l’acidità si riferisce alla rottura del legame con formazione di uno ione H+, quindi i due processi non sono
identici. Ciononostante, le entità dei due tipi di rottura di legame sono simili.
Ne consegue che HNO3 è più forte di HNO2, che H2SO4 è più forte di H2SO3 e così via.
→ M(H2O)nx+ ( aq ) + nNO−3 ( aq )
M(NO3 )n ( s ) + xH2O( l ) ⎯ ⎯
Se lo ione metallico, Mn+, è piccolo e altamente carico, esso ha un’alta densità di cari
ca e attrae, allontanandola dai legami O H delle molecole d’acqua legate, una
densità elettronica sufficiente per il rilascio di un protone. Cioè, il catione idrato,
M(H2O)xn+, si comporta come un tipico acido di Brønsted-Lowry. Nel processo, la
molecola di H2O legata che rilascia il protone diventa uno ione OH− legato:
Ciascun tipo di ione metallico idrato che rilascia un protone ha un valore caratteri
stico di Ka. La Tabella 18.7 presenta alcuni esempi comuni.
Per esempio, lo ione alluminio ha il raggio piccolo e la carica positiva alta ne
cessari per produrre una soluzione acida.
Ione Ione
libero idrato Ka
Fe 3
Fe(H2O)63(aq) 6u103
Sn2 Sn(H2O)62(aq) 4u104
Cr3 Cr(H2O)63(aq) 1u104
FORZA DELL'ACIDO
la densità elettronica
H2O vicina si Figura 18.13 Il comportamen-
comporta come base to acido dello ione Al3+ idrato.
è attratta verso Al3
Quando uno ione metallico entra
nell’acqua, si idrata quando
molecole d’acqua si legano a
esso. Se lo ione è piccolo e ha
Al3 Al3 una carica multipla, come lo
ione Al3+, esso attrae la carica
elettronica, allontanandola dai
legami O H delle molecole di
acqua legate, in misura suffi-
ciente per rendere i legami più
Al( H2O)63 H2O Al( H2O)5OH2 H3O polari, e uno ione H+ si trasferi-
sce a una molecola d’acqua
vicina.
Quando un sale di alluminio, quale Al(NO3)3, si scioglie in acqua, avvengono i se
guenti stadi:
→ Al(H2O)36+ ( aq ) + 3NO−3 ( aq )
Al(NO3 )3 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯
[dissoluzione e idratazione]
Si notino le formule degli ioni metallici idrati nell’ultimo stadio. Quando H+ viene
rilasciato, il numero di molecole di H2O legate diminuisce di 1 (passando da 6 a 5) e
il numero di ioni OH− legati aumenta di 1 (passando da 0 a 1), il che riduce di 1 (da
3 a 2) la carica positiva dello ione (Figura 18.13).
Uno ione metallico centrale altamente carico, mediante la sua capacità di attrarre
densità elettronica allontanandola dai legami O H delle molecole d’acqua legate, si
comporta come un atomo elettronegativo centrale in un ossiacido. I sali della maggior
parte degli ioni M2+ e M3+ danno soluzioni acquose acide.
→ NO−3 ( aq ) + H3O+ ( aq )
HNO3 ( l ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
H2O è una base molto più forte di NO3−, quindi la reazione procede essenzialmente
fino al completamento. Lo stesso ragionamento si può fare per qualsiasi acido forte:
l’anione di un acido forte è una base molto più debole dell’acqua. Perciò, l’anione di un
acido forte si idrata, ma non accade altro.
Come abbiamo visto precedentemente, gli ioni metallici piccoli, altamente carichi,
costituiscono un altro gruppo di cationi che producono H3O+ in soluzione. Per
esempio, Fe(NO3)3 produce una soluzione acida perché lo ione Fe3+ idrato si com
porta come un acido debole, mentre lo ione NO3−, l’anione di un acido forte, non
reagisce:
H 2O
Fe(NO3 )3 ( s ) + 6H2O( l ) ⎯ ⎯⎯ → Fe(H2O)36+ ( aq ) + 3NO−3 ( aq )
[dissoluzione e idratazione]
Un terzo gruppo di sali che producono ioni H3O+ in soluzione sono costituiti dai
cationi di basi forti e dagli anioni di acidi poliprotici con un altro protone ionizzabile. Per
esempio, NaH2PO4 produce una soluzione acida perché Na+, il catione di una base
forte, non reagisce, mentre H2PO4− è un acido debole:
H 2O
NaH2PO4 ( s ) ⎯ ⎯⎯ → Na+ ( aq ) + H2PO−4 ( aq ) [dissoluzione e idratazione]
(c) Acida. Gli ioni sono Cr3+ e Cl−. Cl− è l’anione dell’acido forte HCl, quindi non reagisce
con l’acqua. Cr3+ è un piccolo ione metallico con una carica positiva elevata, quindi lo ione
idrato, Cr(H2O)63+, reagisce con l’acqua per produrre H3O+:
Cr(H2O)36+ ( aq ) + H2O( l ) Cr(H2O)5OH 2+ ( aq ) + H3O+ ( aq )
(d) Acida. Gli ioni sono Na+ e HSO4−. Na+ è il catione della base forte NaOH, quindi non
reagisce con l’acqua. HSO4− è il primo anione dell’acido diprotico H2SO4 e reagisce con l’ac
qua per produrre H3O+:
HSO−4 ( aq ) + H2O( l ) SO 42− ( aq ) + H3O+ ( aq )
La reazione che procede più verso destra avrà la maggiore influenza sul pH della
soluzione, quindi dobbiamo confrontare la Ka di NH4+ con la Kb di HS−, Si ricordi
che nelle tabelle di Ka e di Kb sono elencati soltanto i composti molecolari, quindi
dobbiamo calcolare questi valori per gli ioni:
+ Kw 1,0 ×10−14
K=
a di NH 4 = = 5,7 ×10−10
Kb di NH3 1,76 ×10−5
− Kw 1, 0 ×10−14
K=
b di HS = = 1×10−7
Ka1 di H2S 9 ×10−8
La differenza tra i valori delle costanti di equilibrio (Kb 200 Ka) ci dice che l’estra
zione di un protone da H2O per opera di HS− procede di più rispetto al rilascio di
un protone a H2O per opera di NH4+. In altre parole, poiché Kb di HS− > Ka di NH4+,
la soluzione di NH4HS è basica.
− Kw 1,0 ×10−14
K=
b di HCOO = = 5,6 ×10−11
K a di HCOOH 1, 8 ×10−4
2K + ( aq ) + O 2− ( aq ) + H2O( l ) ⎯ ⎯
→ 2K + ( aq ) + 2OH− ( aq )
Indipendentemente da quale specie saggiamo, ogni acido più forte di H3O+ dona
semplicemente il suo protone a H2O, e ogni base più forte di OH− accetta un proto
ne da H2O. Perciò, l’acqua esercita un effetto di livellamento su ogni acido forte
o su ogni base forte reagente con esso per formare i prodotti di autoionizzazione
dell’acqua. L’acqua, agendo come una base, livella la forza di tutti gli acidi forti
facendoli apparire ugualmente forti e, agendo come un acido, livella anche la forza
di tutte le basi forti.
Per classificare gli acidi forti in termini di forza relativa, dobbiamo scioglierli in
un solvente che sia una base più debole dell’acqua, una base che accetti i loro pro
toni meno facilmente. Per esempio, abbiamo visto nella Figura 18.11 che la forza
degli acidi alogenidrici aumenta all’aumentare del raggio dell’alogeno, in conse
guenza dell’allungamento e dell’indebolimento del legame H X. In acqua, HF è
più debole degli altri alogenuri di idrogeno, ma HCl, HBr e HI appaiono ugualmen
B H W BH
A B W AB (addotto)
Perciò, il concetto di Lewis estende radicalmente il concetto di reazioni acido-base.
Quella che per Arrhenius era la formazione di H2O a partire da H+ e OH− è diven
tata, per Brønsted-Lowry, il trasferimento di un protone da un acido più forte a una
base più forte per formare una base più debole e un acido più debole. Per Lewis, lo
stesso processo è diventato la donazione e l’accettazione di una coppia di elettroni per
formare un legame covalente in un addotto.
Come abbiamo visto, la caratteristica essenziale di una base di Lewis è una coppia
solitaria di elettroni da donare. La caratteristica essenziale di un acido di Lewis è un
orbitale vuoto (o la capacità di riorganizzare i suoi legami per formarne uno) per
accettare quella coppia solitaria e formare un nuovo legame. Esiste un’ampia varietà
di molecole neutre e di ioni carichi positivamente che soddisfano questo requisito.
Acidi di Lewis con atomi poveri di elettroni Alcuni acidi di Lewis molecolari
contengono un atomo centrale che è povero di elettroni (elettrondeficiente), essendo
circondato da meno di otto elettroni di valenza. I più importanti sono composti
covalenti degli elementi del Gruppo 3A(13) boro e alluminio. Come abbiamo
notato nei Capitoli 9 e 14, questi composti reagiscono vigorosamente per com
pletare il loro ottetto. Per esempio, il trifluoruro di boro accetta una coppia di
elettroni dall’ammoniaca per formare un legame covalente in una reazione acido-
base di Lewis in fase gassosa:
Cl
Cl
CH3 CH2 O Al W CH3 CH2 O Al
Cl
CH3 CH2 CH3 CH2
Cl Cl Cl
base acido addotto
Acidi di Lewis con legami multipli polari Anche le molecole che contengono
un legame doppio polare si comportano come acidi di Lewis. Quando la coppia di
elettroni sulla base di Lewis si avvicina all’estremità parzialmente positiva del lega
me doppio, uno dei legami si rompe per formare il nuovo legame nell’addotto.
Consideriamo, per esempio, la reazione che avviene quando SO2 si scioglie in acqua.
Gli atomi di O elettronegativi in SO2 attraggono la densità elettronica allontanan
dola dall’atomo di S centrale, quindi esso è parzialmente positivo. L’atomo di O
dell’acqua dona una coppia solitaria all’atomo di S, rompendo uno dei legami π e
O H
G
G
S H O H W S
O O H O O
acido base addotto
2
O
2
Ca2 O O C O W Ca2 C
G G O O
Mg 2
Mg2+
si scioglie in acqua:
H3C
N N
CH3
H 2C
H
H
CH2
C O
O C O O
CH 2
CH 3
H2 C
CH 2
H3C C
M(H2O)2+
CH2
H2C
M 2+ 4H2O( l ) 4 ( aq )
CH2 acido base addotto
H3C
CH2
H2C
L’ammoniaca è una base di Lewis più forte dell’acqua perché sposta H2O da uno
CH2
H3C
ione idrato quando si aggiunge NH3 in soluzione acquosa:
CH2
H2C
H3C
A B
C D
Figura 19.1 L’effetto dell’ag- Come funziona un tampone: l’effetto ione a comune
giunta di un acido o di una I tamponi funzionano attraverso un meccanismo noto come l’effetto ione a co-
base a una soluzione non
mune. Un esempio di questo effetto è rappresentato dalla dissociazione in acqua
tamponata o tamponata. A.
Un campione di 100 mL di una dell’acido acetico seguito dall’aggiunta di ioni acetato. Come sapete l’acido acetico
soluzione diluita di HCl viene si dissocia solo parzialmente in acqua:
portato a pH 5,00. B. Dopo
l’aggiunta di 1 mL di HCl 1 M CH3COOH( aq ) + H2O( l ) CH3COO− ( aq ) + H3O+ ( aq )
(a sinistra) o di NaOH 1 M (a
destra) si ha un’elevata variazio-
ne di pH. C. Si porta a pH 5,00 Dal principio di Le Châtelier (Paragrafo 17.6) sappiamo che se si aggiunge una
un campione di 100 mL di una certa quantità di ioni CH3COO−, la posizione dell’equilibrio si sposta verso sinistra:
soluzione tampone costituita [H3O+] diminuisce, diminuendo l’entità della dissociazione acida:
mescolando CH3COOH 1 M con
CH3COONa 1 M. D. Dopo l’ag-
giunta di 1 mL di HCl 1 M (a sini-
CH3COOH( aq ) + H2O( l ) CH3COO− ( aq ; aggiunto) + H3O+ ( aq )
stra) o di NaOH 1 M (a destra) la
variazione di pH è trascurabile. Analogamente, se si scioglie acido acetico in una soluzione di acetato di sodio,
(Foto: © McGraw-Hill Education/ lo ione acetato già presente si combina con parte degli ioni H3O+ derivanti dalla
Stephen Frisch, photographer). dissociazione dell’acido, il che fa diminuire [H3O+]. L’effetto è nuovamente quello
di reprimere la dissociazione dell’acido. Lo ione acetato è chiamato in questo caso
lo ione comune, perché è “comune” sia alla soluzione di acido acetico sia a quella di
acetato di sodio: ovvero lo ione acetato viene aggiunto a una soluzione in cui è già
presente.
L’effetto ione a comune avviene quando un reagente contenente un dato ione è ag-
giunto a una miscela di equilibrio che contiene già quello ione e la posizione dell’equilibrio
si sposta lontano dalla sua formazione.
La Tabella 19.1 riporta la dissociazione percentuale e il pH di una soluzione
di acido acetico contenente varie concentrazioni di ione acetato (fornite aggiun-
gendo acetato di sodio solido). Si noti che lo ione comune, CH3COO−, reprime
la dissociazione percentuale di CH3COOH, rendendo la soluzione meno acida (pH
maggiore).
La caratteristica essenziale di un tampone Nel caso precedente abbiamo pre-
parato un tampone miscelando un acido debole (CH3COOH) e la sua base coniugata
(CH3COO−). Come si oppone questa soluzione a una variazione di pH se si aggiun-
gono H3O+ o OH−? La caratteristica essenziale di un tampone è che è costituito da
concentrazioni elevate delle componenti acida (HA) e basica (A−). Quando si aggiungono
Si noti che, poiché Ka è costante, la [H3O+] della soluzione dipende direttamente dal
[CH3COOH]
rapporto delle concentrazioni delle componenti del tampone :
[CH3COO−]
• se il rapporto [HA]/[A−] aumenta, [H3O+] aumenta;
• se il rapporto [HA]/[A−] diminuisce, [H3O+] diminuisce.
Se si aggiunge una piccola quantità di un acido forte, la quantità aumentata di ioni
[H3O+] reagisce con una quantità quasi stechiometrica di ioni acetato nel tampone
Figura 19.2 Come funziona
per formare altro acido acetico: un tampone. Un tampone è
costituito da elevate concentra-
H3O+ ( aq ; ggiunto) + CH3COO− ( aq ) ⎯ ⎯
→ CH3COOH( aq ) + H2O( l ) zioni di una coppia coniugata
acido-base. In questo caso acido
Come risultato, [CH3COO−] diminuisce della stessa quantità e [CH3COOH] aumenta acetico (CH3COOH) e ione
della stessa quantità, il che aumenta il rapporto tra le concentrazioni delle compo- acetato (CH3COO−). Quando si
nenti del tampone, come si può vedere in Figura 19.2. Anche [H3O+] aumenta, ma aggiunge una piccola quanti-
solo di una piccolissima quantità. tà di H3O+ (a sinistra), questa
si combina con una quantità
uguale di CH3COO−, aumen
Tampone con uguali tando leggermente la quantità
Tampone dopo l’aggiunta di H3O+ concentrazioni di acido Tampone dopo l’aggiunta di OH− di CH3COOH. Analogamente,
e base coniugata quando si aggiunge una piccola
quantità di OH− (a destra), que-
sta si combina con una quantità
uguale di CH3COOH, aumen-
H3O+ OH− tando leggermente la quantità
CH3COO− CH3COOH CH3COO− CH3COOH CH3COO− CH3COOH di CH3COO−. In entrambi i casi
le variazioni relative delle com-
ponenti del tampone sono pic-
cole, così il rapporto delle loro
H2O + CH3COOH H3O+ + CH3COO− CH3COOH + OH− CH3COO− + H2O concentrazioni, e dunque il pH,
cambiano molto poco.
L’aggiunta di una piccola quantità di una base forte produce il risultato opposto. Se
si forniscono ioni OH−, questi reagiranno con una quantità quasi stechiometrica di
CH3COOH nel tampone per formare altro CH3COO−:
Controllare l’ipotesi:
1,8 ×10−5 M
×100 =3,6 ×10−3 < 5%
0,50 M
L’ipotesi è giustificata e la utilizzeremo nelle parti (b) e (c). Calcolare il pH:
pH = −log [H3O+ ] = −log (1,8 ×10−5 ) =
4,74
(b) Il pH dopo l’aggiunta della base (0,020 mol di NaOH a 1 L di tampone). Calcolare
[OH−]agg
0,020 mol OH−
= [OH− ]agg = 0,020 M OH−
1,0 L soluz.
Costruire una tabella di reazione per la dissociazione acida, usando queste nuove concentra-
zioni iniziali. Come nella parte (a) x = [CH3COOH]diss = [H3O+]:
L’aggiunta di una base forte aumenta la concentrazione della componente basica del tampone
a spese della componente acida. Si noti specialmente che il pH è aumentato leggermente, da 4,74
a 4,77.
(c) Il pH dopo l’aggiunta dell’acido (0,020 mol di HCl a 1 L di tampone). Calcolare [H3O+]agg:
Ora procediamo come nella parte (b), prima costruendo una tabella di reazione per la ste-
chiometria dell’aggiunta di H3O+ a CH3COO−:
L’equazione di Henderson-Hasselbalch
Per qualsiasi acido debole, HA, l’equazione di dissociazione acida all’equilibrio e la
costante di dissociazione Ka sono:
HA + H2O H3O+ + A−
[H3O+ ][A− ]
Ka =
[HA]
Questa equazione può essere trasformata in una più utile per i calcoli sui tamponi
con un semplice riarrangiamento matematico. Si ricordi che la variabile chiave che
determina [H3O+] è il rapporto delle concentrazioni della specie acida e della specie
basica. Isolando [H3O+] si ottiene
[HA]
[H3O+=] Ka ×
[A− ]
Prendendo il logaritmo negativo (in base 10) di entrambi i termini si ottiene
⎛ [HA] ⎞
− log [H3O+ ] = − log Ka − log ⎜⎜ −1 ⎟⎟⎟
⎜⎝ [A ] ⎠
Da cui si ottiene
⎛ [A− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟
⎜⎝ [HA] ⎟⎟⎠
(Si noti l’inversione del rapporto tra le concentrazioni delle componenti del tam-
pone quando si cambia il segno del logaritmo). Un punto fondamentale che sottoli
neeremo è che, quando [A−] = [HA], il loro rapporto diventa 1, il termine logaritmi-
co diventa 0 e così pH = pKa.
Generalizzando l’equazione precedente per ogni coppia coniugata acido-base si
ottiene l’equazione di Henderson-Hasselbalch:
⎛ [base] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟ (19.1)
⎜⎝ [acido] ⎟⎠
parte (b) del Problema di verifica 19.1, avrebbe dato il pH del tampone dopo l’ag-
⎛ [CH3COO− ] ⎞⎟ 0,30
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟
⎜⎝ [CH3COOH] ⎟⎟⎠
0,10
⎛ 0,52 ⎞⎟
= 4,74 + log ⎜⎜ ⎟ = 4,77
⎝⎜ 0,48 ⎟⎠ 0,030
7,33 − 7,000
variazione percentuale = ×100 =
4,7%
7,00
Come si può vedere, la variazione nel rapporto delle concentrazioni delle compo-
nenti del tampone è molto maggiore quanto le concentrazioni iniziali delle com-
ponenti sono molto diverse.
Ne segue che un tampone ha il massimo potere tamponante quando le concentra-
zioni delle componenti sono uguali, cioè quando [A−]/[HA] = 1:
⎛ [A− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟= pKa + log1= pKa + 0= pKa
⎜⎝ [HA] ⎟⎟⎠
Si noti questo importante risultato: per una data concentrazione, un tampone il cui
pH è uguale o vicino al pKa della sua componente acida ha il massimo potere tamponante.
Il campo di tamponamento è il campo di pH in cui il tampone agisce ef-
ficacemente. Più il rapporto tra le concentrazioni delle componenti del tampone
è lontano da 1, meno efficace è l’azione tamponante (ovvero inferiore il potere
tamponante). In pratica, si trova che se [A−]/[HA] è maggiore di 10 o minore di 0,1
– ovvero una componente è 10 volte più concentrata dell’altra – si ha una scarsa
azione tamponante. Poiché log 10 = +1 e log 0,1 = −1, i tamponi hanno un campo
di tamponamento utilizzabile entro ±1 unità di pH dal valore di pKa della componente
acida:
⎛10 ⎞ ⎛1⎞
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟⎟⎟ =
pKa + 1 e pKa + log ⎜⎜ ⎟⎟⎟ = pKa − 1
pH =
⎝1⎠ ⎝10 ⎠
Preparazione di un tampone
Ogni fornitore di prodotti chimici ha in catalogo molti tamponi disponibili in
un’ampia gamma di valori di pH e concentrazioni. Perciò ci si potrebbe chiedere,
perché imparare a preparare un tampone? In molti casi, non è disponibile un tam-
pone con i valori di pH e concentrazione necessari ed è indispensabile prepararlo.
In molte applicazioni avanzate di ricerca in campo medico o biologico può essere
necessario un tampone di composizione non convenzionale per simulare un siste-
ma cellulare o una delicata macromolecola biologica. Anche il più sofisticato labo-
ratorio automatizzato ha spesso bisogno di personale specializzato che sia in grado
preparare un tampone. La preparazione di un tampone con il pH voluto richiede
necessari diversi passaggi che esamineremo attraverso un esempio.
1. Scegliere la coppia coniugata acido-base. La prima cosa da decidere è la composizione
chimica del tampone, cioè la coppia coniugata acido-base. La scelta è basata, in gran
parte, dal valore del pH voluto. Si ricordi che un tampone è più efficace quando il rap-
porto tra le concentrazioni delle componenti è vicino a 1, quando pH pKa dell’acido.
Supponiamo di avere bisogno di un tampone il cui pH sia 3,90: il pKa della compo-
nente acida deve essere il più vicino possibile a 3,90, o Ka = 10−3,90 = 1,3 × 10−4.
Esaminando una tabella di costanti di dissociazione acida (vedi Tabella 18.2) si os-
serva che l’acido formico (Ka = 1,8 × 10−4; pKa = 3,74) è una buona scelta. Perciò le
componenti del tampone saranno acido formico, HCOOH, e ione formiato, HCOO−,
derivante da un sale solubile, quale il formiato di sodio, HCOONa.
2. Calcolare il rapporto delle concentrazioni delle componenti del tampone. Il secondo
passaggio consiste nel calcolare il rapporto [A−]/[HA] che dà il pH voluto. Con
l’equazione di Henderson-Hasselbalch si ottiene:
⎛ [A− ] ⎞⎟ ⎛ [HCOO− ] ⎞⎟
=
pH pKa + log ⎜⎜ ⎟ o = 3,74 + log ⎜⎜
3,90 ⎟
⎜⎝ [HA] ⎟⎟⎠ ⎜⎝ [HCOOH] ⎟⎟⎠
⎛ [HCOO− ] ⎞⎟ ⎛ [HCOO− ] ⎞⎟
log ⎜⎜ ⎟ = 0,16 perciò ⎜⎜ = ⎟ 10=
0,16
1,4
⎜⎝ [HCOOH] ⎟⎟⎠ ⎜⎝ [HCOOH] ⎟⎟⎠
Quindi, per ogni mole di HCOOH in un dato volume di soluzione, sono necessarie
1,4 moli di HCOONa.
3. Determinare la concentrazione del tampone. Si deve poi decidere quale deve essere
la concentrazione del tampone. Ricordiamo che maggiore è la concentrazione delle
Preparazione di un tampone
PROBLEMA DI VERIFICA 19.2
Problema Un chimico ambientale ha bisogno di un tampone carbonato a pH 10,00 per
studiare gli effetti della pioggia acida su terreni ricchi di calcare. Quanti grammi di Na2CO3
deve aggiungere a 1,5 L di una soluzione preparata di fresco di NaHCO3 0,20 M per prepa-
rare il tampone? Ka per HCO3− vale 4,7 × 10−11.
Piano La coppia coniugata è già stata scelta, HCO3− (acido) e CO32− (base), così come il volu-
me (1,5 L) e la concentrazione (0,20 M) di HCO3−, perciò si deve trovare il rapporto delle
concentrazioni delle componenti del tampone che dia pH 10,00 e la massa di Na2CO3 da
sciogliere. Prima convertiamo pH in [H3O+] e usiamo l’espressione di Ka dall’equazione di
reazione per calcolare [CO32−] richiesta. Moltiplicando per il volume di soluzione si ottiene
la quantità (mol) di CO32− richiesta, quindi usiamo la massa molare per calcolare la massa
(g) di Na2CO3.
Risoluzione Calcolare [H3O+]: [H3O+] = 10−pH = 10−10,00 = 1,0 × 10−10 M
Risolvere per [CO32−] nel rapporto delle concentrazioni:
[H3O+ ][CO32− ]
HCO−3 ( aq ) + H2O( l ) H3O+ ( aq ) + CO32− ( aq ) K a =
[HCO−3 ]
(0,20 M HCO3−), o 0,30 mol di HCO3− e 0,14 mol CO32−; 0,30 : 0,14 = 2,1 il che sembra ade-
guato. È opportuno accertarsi che le quantità relative delle componenti del tampone siano
ragionevoli: poiché si vuole un pH inferiore al pKa di HCO3−, è ragionevole che si abbia più
specie acida che specie basica.
Questo metodo è basato sullo stesso processo chimico che avviene quando un aci-
do debole viene titolato con una base forte come vedremo nel prossimo paragrafo.
Il modo in cui percepiamo i colori ha una profonda influenza sull’uso degli indi-
catori. Tipicamente, lo sperimentatore vedrà il colore di HIn se il rapporto [HIn]/
pH
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Violetto di metile
Blu di timolo
2,4-Dinitrofenolo
Blu di bromofenolo
Verde di bromocresolo
Rosso di metile
Alizarina
Blu di bromotimolo
Rosso fenolo
Fenolftaleina
Giallo alizarina R
[In−] è 10 : 1 o maggiore, e vedrà il colore di In− se il rapporto [HIn]/[In−] è 1 : 10 o Figura 19.4 Variazioni di
minore. Tra questi due estremi i colori delle due forme sono mescolati in una to- colore e intervalli approssimati
di pH per alcuni comuni indi-
nalità intermedia. Perciò un indicatore ha un campo di viraggio (intervallo di colore)
catori acido-base. La maggior
che riflette una variazione di 100 volte del rapporto [HIn]/[In−], il che significa che parte degli indicatori ha un
un indicatore cambia colore in un intervallo di 2 unità di pH. Per esempio, come si può intervallo di viraggio di circa
vedere nella Figura 19.4, il blu di bromotimolo ha un intervallo di pH da circa 6,0 2 unità di pH, mantenendosi in
a 7,6 e, come mostrato nella Figura 19.5, è giallo al di sotto di questo intervallo di un campo di tamponamento uti-
lizzabile (pKa ± 1). (Lo specifico
pH, blu al di sopra e verdastro per valori intermedi.
pH dipende in parte dal solvente
usato per preparare l’indicatore).
Curve di titolazione acido forte-base forte
Una curva rappresentativa per la titolazione di un acido forte con una base forte
è mostrata in Figura 19.6, assieme ai dati usati per costruirla. Ci sono tre regioni
distinte della curva che corrispondono alle tre principali variazioni di pendenza.
1. Il pH iniziale è basso, riflettendo l’elevata [H3O+] dell’acido forte, e aumenta
gradualmente man mano che l’acido viene neutralizzato dalla base aggiunta.
2. Il pH aumenta bruscamente. L’aumento inizia quando il numero di moli di
OH− che sono state aggiunte è quasi uguale al numero di moli di H3O+ ini-
zialmente presenti nell’acido. L’ulteriore aggiunta di una o due gocce di base
neutralizza il piccolissimo eccesso di acido e introduce una piccolissima quan-
tità di base, perciò il pH “salta” da 6 a 8 unità.
3. Dopo questa parte ripida della curva, il pH continua a crescere lentamente Figura 19.5 La variazione
di colore dell’indicatore blu
man mano che viene aggiunta altra base.
di bromotimolo. Gli indicatori
Il punto di equivalenza, che avviene vicino al flesso verticale della curva, è il sono acidi deboli organici le
cui forme acida e basica hanno
punto in cui il numero di moli di OH− aggiunte è uguale al numero di moli di H3O+
colori diversi. Il viraggio (la
inizialmente presenti. Al punto di equivalenza di una titolazione acido forte-base variazione di colore) avviene in
forte la soluzione è costituita dall’anione dell’acido forte e dal catione della base forte. Ri- un intervallo di 2 unità di pH.
cordiamo dal Capitolo 18 che questi ioni non reagiscono con l’acqua, perciò la soluzione La forma acida del blu di bro-
è neutra, pH = 7,00. Il volume e la concentrazione di base necessari per raggiungere motimolo è gialla (a sinistra) e
la forma basica è blu (a destra).
il punto di equivalenza ci permettono di calcolare la quantità di acido inizialmente
Nell’intervallo di pH in cui
presente (vedi Problema di verifica 4.5). l’indicatore vira, sono presenti
Prima che inizi la titolazione si aggiungono poche gocce di un appropriato entrambe le forme e la miscela
indicatore per mettere in evidenza il momento in cui si raggiunte il punto di equi- appare verdastra (al centro).
valenza. Il punto finale della titolazione è quello in cui l’indicatore cambia colore. (Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).
Si sceglie un indicatore con un punto finale vicino al punto di equivalenza, che cambia
colore nel campo di pH nella parte ripida della curva di titolazione. La Figura 19.6
pH
40,01 9,40 di equivalenza
variazione di pH per una piccola 6
40,05 9,80
aggiunta di OH−. Si raggiunge
40,10 10,40
il punto di equivalenza quando: 40,25 10,50 4
quantità (mol) di OH− aggiunta 40,50 10,79
= quantità (mol) di H3O+ ini- 41,00 1 1,09 Rosso di metile
zialmente presente. Si noti che, 45,00 1 1,76 2
per una titolazione acido forte- 50,00 12,05
base forte, si ha pH = 7,00 al 60,00 12,30
punto di equivalenza. Sia il rosso 70,00 12,43 0
di metile sia la fenolftaleina, 80,00 12,52 10 20 30 40 50 60 70 80
aggiunti prima che abbia inizio A B Volume di NaOH aggiunto (mL)
la titolazione, sono indicatori
adeguati in questo caso perché mostra le variazioni di colore per due indicatori adeguati per la titolazione acido
entrambi cambiano colore nella forte-base forte. Il rosso di metile cambia da rosso a pH 4,2, a giallo a pH 6,3, men-
zona a massima pendenza della tre la fenolftaleina passa da incolore a pH 8,3, a rosa a pH 10,0. Anche se nessuno
curva, come illustrato dalle
dei due cambia colore al punto di equivalenza (pH = 7,00) entrambe le variazioni
strisce colorate. Le immagini a
fianco mostrano le variazioni di avvengono nel tratto verticale della curva, dove l’aggiunta di una sola goccia causa
colore causate dall’aggiunta di una grande variazione di pH: quando il rosso di metile diventa giallo, o la fenolfta-
1-2 gocce di indicatore. Oltre al leina diventa rosa, sappiamo che siamo a una frazione di goccia dal punto di equi-
punto di equivalenza, l’aggiunta valenza. Per esempio, nel passare da 39,90 a 39,99 mL, una o due gocce, il pH varia
di OH− causa nuovamente un
di un’intera unità. Per tutti gli scopi pratici dunque, la visibile variazione di colore
aumento graduale del pH.
dell’indicatore segnala l’invisibile punto in cui il numero di moli di base aggiunta è
uguale al numero di moli iniziali dell’acido (punto di equivalenza).
Conoscendo le specie chimiche presenti durante la titolazione, possiamo cal-
colare il pH in vari punti durante il processo. In Figura 19.6, 40,00 mL di HCl
0,1000 M vengono titolati con NaOH 0,1000 M. Un acido forte è completamente
dissociato, dunque [HCl] = [H3O+] = 0,1000 M. Il pH iniziale è pertanto*
pH = −log [H3O+ ] = −log (0,1000) = 1,00
Non appena si inizia ad aggiungere titolante avvengono due variazioni che devo-
no essere incluse nei calcoli di pH: (1) parte dell’acido viene neutralizzata e (2) il
volume della soluzione aumenta. Per calcolare il pH in vari punti della titolazione,
si calcola la quantità (mol) di H3O+ (o OH−) presenti, si usa la variazione di volume
per calcolare la concentrazione ([H3O+] o [OH−]) e si converte in pH. Come esempio,
calcoliamo il pH in tre punti della curva di titolazione.
1. Prima del punto di equivalenza. Dopo aver aggiunto 20,00 mL di NaOH 0,1000 M.
• Calcolare le moli di H3O+ residue. Sottraendo il numero di moli di H3O+ che
hanno reagito da quelle inizialmente presenti, si ottiene il numero di moli
residue. Moli di H3O+ reagite uguale a moli di OH− aggiunte, perciò
moli iniziali di H3O+ = 0,04000 L × 0,1000 M = 0,004000 mol H3O+
− moli di OH− aggiunte = 0,02000 L × 0,1000 M = 0,002000 mol OH−
moli di H3O+ residue = 0,002000 mol H3O+
* Nelle titolazioni acido-base i volumi e le concentrazioni possono essere noti con quattro cifre decimali,
ma i valori di pH sono di solito riportati con non più di due cifre a destra della virgola decimale.
L’osservazione del pH nel punto centrale della regione tampone è infatti un comu-
ne metodo sperimentale per stimare il valore incognito del pKa di un acido.
• Il pH al punto di equivalenza è maggiore di 7,00. La soluzione contiene il catione
della base forte, Na+, che non reagisce con l’acqua, e l’anione dell’acido debole, Pr−,
che agisce come base debole accettando un protone da H2O producendo OH−.
La nostra scelta di indicatore è più limitata in questo caso di quanto non fosse nella
titolazione acido forte-base forte perché il salto di pH avviene in un intervallo più
ristretto. La fenolftaleina è adatta perché la sua variazione di colore avviene in que-
sto intervallo (Figura 19.7). Al contrario, la variazione di colore del rosso di metile,
la nostra scelta alternativa nel caso della titolazione acido forte-base forte, avviene
prima e lentamente per aggiunta di un grande volume (10 mL) di titolante, dando
perciò un’indicazione vaga e falsa del punto di equivalenza.
La procedura di calcolo per una titolazione acido debole-base forte è diversa
da quella precedentemente illustrata perché si devono considerare la parziale dis-
sociazione dell’acido debole e la reazione della base coniugata con l’acqua. Ci sono
quattro regioni chiave nella curva di titolazione, ognuna delle quali richiede un
diverso tipo di calcolo per trovare [H3O+].
1. Soluzione di HA. Prima dell’aggiunta della base, [H3O+] è quella di una soluzione
di acido debole, perciò calcoliamo [H3O+] come nel Paragrafo 18.4: si costruisce
una tabella di reazione con x = [HPr]diss, si assume [H3O+] = [HPr]diss = [HPr]iniz, e
si risolve per x:
[H3O+ ][Pr− ] x2
Ka =
[HPr] [HPr]iniz
questo calcolo non si deve considerare il nuovo volume totale perché i volumi si
semplificano nel rapporto delle concentrazioni. In altre parole [HPr]/[Pr−] = moli di
HPr/moli di Pr−, perciò non è necessario calcolare le concentrazioni.
3. Quantità equivalenti di HA e di base aggiunta. Al punto di equivalenza, la quantità
iniziale di HPr ha reagito completamente, perciò il recipiente contiene una soluzio-
ne di Pr−, una base debole che reagisce con l’acqua per formare OH−:
Pr− ( aq ) + H2O( l ) HPr( aq ) + OH− ( aq )
Dunque, come detto precedentemente, in una titolazione acido debole-base forte,
la soluzione al punto di equivalenza è debolmente basica, pH > 7,00. Si calcola
[H3O+] come visto nel Paragrafo 18.5: si calcola Kb di Pr− da Ka di HPr, si scrive una
tabella di reazione (assumendo [Pr−] ? [Pr−]reagito) e si risolve in funzione di [OH−].
È necessario un solo valore di concentrazione, [Pr−], per calcolare [OH−], perciò non
è necessario conoscere il volume totale.
Questi due passaggi sono:
Kw moli di HPriniz
(1) [OH− ] Kb × [Pr− ] , dove Kb = e [Pr− ] =
Ka volume totale
+ Kw
(2) [H3O ] =
[OH− ]
Combinando in un solo passaggio si ha
Kw
[H3O+ ]
Kb × [Pr− ]
[H3O+ ] K a × [HPr]iniz =
(1,3 ×10−5 )(0,1000) =
1,1×10−3 M
pH = 2,96
(b) Aggiunta di 30,00 mL di NaOH 0,1000 M. Calcolare il rapporto molare di HPr e Pr−:
moli iniziali di HPr = 0,04000 L × 0,1000 M = 0,004000 mol HPr
moli di NaOH aggiunte = 0,03000 L × 0,1000 M = 0,003000 mol OH−
Per ogni mole di NaOH che reagisce, si forma una mole di Pr−, perciò costruiamo la seguente
tabella per la stechiometria di reazione:
L’ultima riga di questa tabella mostra le nuove quantità iniziali di HPr e Pr− che reagiranno
per stabilire un nuovo equilibrio. Poiché x è molto piccolo, faremo l’ipotesi che il rapporto
[HPr]/[Pr−] all’equilibrio sia sostanzialmente uguale al rapporto di queste nuove concentra-
zioni iniziali (vedi commento al Problema di verifica 19.1). Così
[HPr] 0,001000 mol
= = 0,3333
[Pr− ] 0,003000 mol
Risolvendo in funzione di [H3O+]:
[HPr]
[H3O+ ] =Ka × =(1,3 ×10−5 )(0,3333) =4,3 ×10−6 M
[Pr− ]
pH = 5,37
(c) Aggiunta di 40,00 mL di NaOH 0,1000 M. Calcolare [Pr−] dopo che HPr ha reagito
completamente:
0,004000 mol
[Pr− ] = = 0,05000 M
0,04000 L + 0,04000 L
Calcolare Kb:
Kw 1, 0 ×10−14
=
K b = = 7, 7 ×10−10 M
Ka 1, 3 ×10−5
Risolvere in funzione di [H3O+] come descritto nel testo:
Kw 1,0 ×10−14
[H3O+ ] = = 1,6 ×10−9 M
K b × [Pr−] 7,7 ×10−10 ×(0,05000)
pH = 8,80
(d) Aggiunta di 50,00 mL di NaOH 0,1000 M.
moli di OH− in eccesso = (0,1000 M)(0,05000 L − 0,04000 L) = 0,001000 mol
moli di OH− in eccesso 0,001000 mol
=[OH− ] = = 0,01111 M
volume totale 0,09000 L
+ Kw 1,0 ×10−14
[H=
3O ] = = 9,0 ×10−13 M
[OH−] 0,01111
pH = 12,05
Verifica Come atteso dalla continua aggiunta di base, il pH aumenta nei quattro passaggi.
Assicuratevi di usare il corretto numero di cifre significative e controllate l’aritmetica nel
corso della risoluzione.
Figura 19.9 Curva per la Titolazione di 40,00 mL di H2SO3 0,1000 M con NaOH 0,1000 M
14
titolazione di un acido debole
poliprotico. La titolazione di
40,00 mL di H2SO3 0,1000 M
con NaOH 0,1000 M porta a 12
una curva con due regioni tam-
pone e due punti di equivalenza.
Poiché i valori di Ka differiscono 10 pH = 9,86
per diversi ordini di grandezza, al secondo
punto di
la curva di titolazione sembra
pKa2 = 7,19 8 [HSO3−] = [SO2−
3 ]
equivalenza
costruita unendo ai due estremi
due curve di titolazione acido
pH
E
debole-base forte. Il pH del MPON
NE TA
GIO
primo punto di equivalenza è 6 RE
0
20 40 60 80 100
Volume di NaOH aggiunto (mL)
Nella titolazione di un acido diprotico, come H2SO3, sono necessari due ioni OH− per
rimuovere completamente entrambi gli ioni H+ da ogni molecola di acido. La Figu-
ra 19.9 mostra la curva di titolazione dell’acido solforoso con una base forte. A causa
della grande differenza nei valori di Ka, assumiamo che ogni mole di H+ sia titolata
separatamente, ovvero che tutte le molecole di H2SO3 perdano un protone prima
che qualsiasi ione HSO3− ne perda uno:
− −
H2SO3 ⎯1⎯⎯⎯⎯
mol OH
→ HSO−3 ⎯1⎯⎯⎯⎯
mol OH
→ SO32−
Come si può vedere dalla curva, la perdita di ogni mole di H+ dà luogo a un diverso
punto di equivalenza e a una diversa regione tampone. Come nel caso della curva
relativa a un acido debole monoprotico, il pH a metà della regione tampone è uguale
al pKa di quella specie acida. Si noti inoltre che è necessario lo stesso volume di base
aggiunta (in questo caso 40,00 mL di OH− 0,1000 M) per rimuovere ogni mole di H+.
− −
forma protonata (basso pH) zwitterione (pH neutro) forma non protonata (alto pH)
A pH fisiologico (pH 7), intermedio tra i due valori di pKa, un amminoacido esiste
come uno zwitterione (dal tedesco zwitter: ibrido), una specie complessivamente
elettricamente neutra in cui sono però presenti sulla stessa molecola cariche oppo-
ste. Lo zwitterione della glicina è +NH3CH2COO−.
Alcuni dei 20 possibili gruppi R presenti negli amminoacidi hanno ulteriori
gruppi COO− o NH3+ a pH neutro. Quando gli amminoacidi si legano per for-
mare una proteina, i guppi R carichi determinano la carica complessiva della pro-
teina che a sua volta spesso ne determina la funzione. Un esempio molto studiato Forma
normale
di questa relazione si verifica nell’anemia falciforme ereditaria. I globuli rossi sani
contengono la proteina emoglobina in cui sono presenti due molecole di acido
glutammico i cui sostituenti R ( CH2CH2COO−) generano una carica negativa in Forma anomala
una specifica regione della proteina. Nella stessa regione, nei globuli rossi caratteri-
stici dell’anemia falciforme si trovano invece due molecole di valina (R = CH3),
prive di carica. La sostituzione di solo due amminoacidi, tra i 574 di cui è costituita
l’emoglobina, diminuisce la repulsione elettrostatica tra due molecole di emoglobi-
Figura 19.10 La forma
na che, agglomerandosi in strutture fibrose, portano alla caratteriatica forma a falce anomala dei globuli rossi
dei globuli rossi (Figura 19.10). Le cellule “deformi” bloccano i capillari e il doloroso nell’anemia falciforme. (Foto:
decorso dell’anemia falciforme porta spesso a morte precoce. © Jackie Lewin, Royal Free
Hospital/Science Source).
La grandezza di Kps è una misura di quanto procede verso destra il processo di dissoluzione
all’equilibrio (saturazione). Useremo questo criterio più avanti per confrontare le solu-
bilità. La Tabella 19.2 elenca alcuni valori rappresentativi di Kps per composti ionici
poco solubili. (L’Appendice C ne dà un elenco molto più ampio). Si noti che, anche se
i valori sono tutti piuttosto bassi, il loro intervallo copre diversi ordini di grandezza.
Calcoli riguardanti la costante prodotto di solubilità
Nei Capitoli 17 e 18 sono stati descritti due tipi di problemi relativi agli equilibri.
In un tipo si usano le concentrazioni per calcolare K e, nell’altro, si usa K per calco-
lare le concentrazioni. Incontreremo qui gli stessi due tipi di problemi.
Determinare Kps dalla solubilità Le solubilità dei composti ionici poco solubili
vengono determinate sperimentalmente e sono tabulate in molti prontuari chimi-
ci. La maggior parte dei valori di solubilità è espressa in unità di grammi di soluto
disciolti in 100 grammi di H2O. Poiché la massa di soluto in soluzione è piccola,
si introduce un piccolo errore nell’assumere che “100 g di acqua” siano uguali a
“100 mL di soluzione”. Si converte quindi la solubilità da grammi di soluto per
100 mL di soluzione in solubilità molare, la quantità (mol) di soluto per litro di
soluzione (ovvero la molarità del soluto). Successivamente, si utilizza l’equazione
di reazione bilanciata per calcolare la molarità di ogni ione e si sostituiscono questi
valori nell’espressione del prodotto ionico per calcolare il valore di Kps.
Calcolo di Kps dalla solubilità
PROBLEMA DI VERIFICA 19.5
Problema (a) Il solfato di piombo(II) (PbSO4) è un componente essenziale delle batterie
piombo-acide utilizzate normalmente nelle automobili. La sua solubilità in acqua, a 25 °C,
è 4,25 × 10−3 g/100 mL di soluzione. Qual è il Kps di PbSO4?
(b) Dibattendo con acqua pura il fluoruro di piombo(II) a 25 °C, si determina che la sua
solubilità è 0,64 g/L. Calcolare Kps per PbF2.
Piano Sono date le solubilità in varie unità di misura e si deve calcolare Kps. Scriviamo
un’equazione per la dissoluzione di ogni composto per vedere il numero di moli di ogni
ione, quindi scriviamo l’espressione del prodotto ionico. Convertiamo la solubilità in solubi-
lità molare, calcoliamo la molarità di ogni ione e sostituiamo nell’espressione del prodotto
ionico per calcolare Kps.
Risoluzione (a) Per PbSO4. Scrivere l’equazione del prodotto ionico (Kps):
PbSO 4 ( s ) Pb 2+ ( aq ) + SO 24− ( aq )
[Pb 2+ ][SO 24−]
K ps =
Convertire la solubilità in solubilità molare:
0,00425 g PbSO 4 1000 mL 1 mol PbSO 4
solubilità molare di =PbSO 4 × ×
100 mL soluzione 1L 303,3 g PbSO 4
= 1,40 ×10−4 M PbSO 4
Determinare le molarità degli ioni: poiché si formano 1 mole di Pb2+ e 1 mole di SO42− quan-
do si scioglie 1 mole di PbSO4, [Pb2+] = [SO42−] = 1,40 × 10−4 M.
Calcolare Kps:
2
K ps =[Pb 2+ ][SO 42−] =(1,40 ×10−4 ) =1,96 × 10−8
(b) Per PbF2. Scrivere l’equazione del prodotto ionico (Kps):
Pb 2+ ( aq ) + 2F− ( aq ) K ps =
PbF2 ( s ) [Pb 2+ ][F−]2
Convertire la solubilità in solubilità molare:
0,64 g PbF 1 mol PbF2
solubilità molare di PbF2 = 2 × 2,6 ×10−3 M PbF2
=
1 L soluzione 245,2 g PbF2
Determinare le molarità degli ioni: poiché si formano 1 mole di Pb2+ e 2 moli di F− quando
si scioglie 1 mole di PbF2,
[Pb 2+ ] = 2 (2,6 ×10−3 M ) =
2,6 ×10−3 M e [F−] = 5, 2 ×10−3 M
Calcolare Kps: 2
K ps =[Pb 2+ ][F−]2 =(2,6 ×10−3 )(5,2 ×10−3 ) =7,0 × 10−8
Verifica Le basse solubilità sono in accordo con i bassi valori di Kps. Nella parte (a) la solubili-
4 ×10−2 g/L
tà molare sembra corretta: 1,3 ×10−4 M. Elevando al quadrato questo nume-
3 ×10−2 g/mol
ro si ottiene 1,7 × 10−8, valore vicino a quello calcolato per Kps. Nella parte (b) controlliamo il
2
passaggio finale: (3 ×10−3 )(5 ×10−3 ) = 7,5 ×10−8, valore vicino a quello calcolato per Kps.
Commento 1. Nella parte (b) la formula PbF2 significa che [F−] è il doppio di [Pb2+] perciò
dobbiamo elevare al quadrato questo valore di [F−]. Seguire sempre l’espressione esplicita del
prodotto ionico.
2. Per questi composti, i valori di Kps riportati nelle tabelle (Tabella 19.2) sono più bassi di
quelli che abbiamo calcolato. Per PbF2, per esempio, il valore nella tabella è 3,6 × 10−8, ma
noi abbiamo calcolato 7,0 × 10−8 dai dati di solubilità. Questa differenza deriva dall’assun-
zione fatta che in soluzione PbF2 sia completamente dissociato in Pb2+ e F−. Questo è un
esempio della complessità di cui si è trattato all’inizio di questo paragrafo. In realtà, circa un
terzo del PbF2 disciolto esiste come PbF+(aq) e una piccola quantità come PbF2(aq) indisso-
ciato. La solubilità (0,64 g/L) è determinata sperimentalmente e include queste altre specie,
che non abbiamo considerato nei nostri semplici calcoli. Questa è una delle ragioni per cui
si trattano i valori calcolati di Kps come approssimazioni.
Usare valori di Kps per confrontare le solubilità I valori di Kps sono una guida
alle solubilità relative finché si confrontano composti nelle cui formule ci sia lo
stesso numero totale di ioni. In questi casi, maggiore è Kps, maggiore è la solubilità. La
Tabella 19.3 illustra questo punto per diversi composti. Si noti che, per i composti
che formano tre ioni, la relazione sussiste sia se il rapporto catione : anione è 1 : 2 sia
se è 2 : 1 perché l’espressione matematica che contiene S da utilizzare nei calcoli
è la stessa (4S 3) (vedi Problema di verifica 19.6).
Pb 2+ ( aq ) + CrO24− ( aq )
PbCrO4 ( s ) [Pb2+ ][CrO24−] =
Kps = 2,3 ×10−13
A una data temperatura Kps dipende solo dal prodotto delle concentrazioni. Se
la concentrazione di uno dei due ioni aumenta, quella dell’altro deve diminuire
per mantenere costante Kps. Supponiamo di aggiungere Na2CrO4, un sale molto
solubile, alla soluzione satura di PbCrO4. La concentrazione dello ione a comune,
CrO42−, aumenta e alcuni di questi ioni si combinano con ioni Pb2+ per formare altro
PbCrO4 solido (Figura 19.11).
L’effetto complessivo è uno spostamento verso sinistra della posizione di equi-
librio:
PbCrO 4 ( s ) Pb 2+ ( aq ) + CrO 24− ( aq , aggiunto)
Dopo l’aggiunta, [CrO42−] è maggiore, ma [Pb2+] è minore. In questo caso [Pb2+] rap-
presenta la quantità di PbCrO4 disciolto: perciò, in effetti, la solubilità di PbCrO4 è
diminuita.
Lo stesso risultato si ottiene se si scioglie PbCrO4 in una soluzione di Na2CrO4.
Si ottiene ancora lo stesso risultato se si aggiunge un sale solubile di piombo(II),
quale Pb(NO3)2. Gli ioni Pb2+ aggiunti si combinano con parte degli ioni CrO42+(aq),
abbassando la quantità di PbCrO4 disciolto.
AgCl( s ) Ag + ( aq ) + Cl− ( aq )
Poiché lo ione Cl− è la base coniugata di un acido forte (HCl), può coesistere in
soluzione con elevate [H3O+]. Lo ione Cl− non lascia il sistema, perciò la posizione
dell’equilibrio non subisce variazioni.
(b) Cu(OH) 2 ( s ) Cu 2+ ( aq ) + 2OH− ( aq )
La solubilità aumenta. OH− è l’anione di H2O, un acido molto debole, perciò reagisce con
lo ione H3O+ aggiunto:
OH− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ 2H2O( l )
(c) FeS( s ) + H2O( l ) Fe2+ ( aq ) + HS− ( aq ) + OH− ( aq )
La solubilità aumenta. Abbiamo notato precedentemente che lo ione S2− reagisce imme-
diatamente con l’acqua per formare HS−. Gli ioni H3O+ aggiunti reagiscono con entrambi
gli anioni di acidi deboli, HS− e OH−:
HS− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ H2S( aq ) + H2O( l )
OH− ( aq ) + H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯→ 2H2O( l )
Molti principi relativi agli equilibri ionici manifestano la loro azione in formazioni
naturali come illustrato nella scheda Chimica in geologia, p. 667.
Predire la formazione di un precipitato: Qps e Kps
Nel Capitolo 17 abbiamo confrontato i valori di Q e K per vedere se una reazione
avesse raggiunto l’equilibrio e, se no, in quale direzione netta avrebbe proceduto
per raggiungerlo.
Ora utilizzeremo lo stesso approccio per vedere se si formerà un precipitato e,
se no, quali concentrazioni di ioni ne causeranno la formazione.
Come sappiamo, Qps = Kps quando la soluzione è satura. Se Qps è maggiore di
Kps, la soluzione è momentaneamente supersatura e un po’ di solido precipiterà
finché la soluzione rimanente non sarà satura (Qps = Kps). Se Qps è minore di Kps la
soluzione è insatura e non si formerà precipitato a quella temperatura (anzi, altro
solido potrà sciogliersi). Riepilogando:
• Qps = Kps: la soluzione è satura e non avvengono variazioni;
• Qps > Kps: si forma precipitato fino a quando la soluzione è satura;
• Qps < Kps: la soluzione è insatura e non si forma precipitato.
Come dimostrato nella scheda Chimica nelle scienze ambientali, i principi degli equi-
libri ionici spesso sono di aiuto nel comprendere i fondamenti chimici di complessi
problemi ambientali e possono fornire i metodi per risolverli.
scuno di essi dai dati di concentrazione e volume, quindi dividendo per il volume totale dal
momento che una soluzione diluisce l’altra. Poi scriviamo l’espressione del prodotto ionico,
calcoliamo Qps e confrontiamolo con Kps.
Risoluzione Gli ioni presenti sono Ca2+, Na+, F− e NO3−. Tutti i sali di sodio e i nitrati sono
solubili (Tabella 4.1) perciò l’unica possibilità è CaF2 (Kps = 3,2 × 10−11).
CaF2 ( s ) Ca 2+ ( aq ) + 2F− ( aq )
Q ps =[Ca 2+ ][F− ]2
Calcolo delle concentrazioni ioniche:
2+
moli di Ca= 0,30 M Ca 2+ × 0,100
= L 0,030 mol Ca 2+
2+
0,030 mol Ca
[Ca 2+ ]iniz = = 0,10 M Ca 2+
0,100 L + 0,200 L
−
moli di F= 0,060 M F− × 0,200= L 0,012 mol F−
−
0,012 mol F
[F− ]iniz = = 0,040 M F−
0,100 L + 0,200 L
Sostituire nell’espressione del prodotto ionico e confrontare Qps e Kps:
2
Q ps= [Ca 2+ ]iniz [F−]iniz
2
= (0,10)(0,040)= 1,6 ×10−4
Poichè Qps > Kps, CaF2 precipiterà fino a che Qps = 3,2×10−11.
Verifica Non dimenticate di arrotondare e controllare velocemente i calcoli. Per esempio, Precipitazione di CaF2. (Foto:
2
Q ps = (1×10−1 )(4 ×10−2 ) = 1,6 ×10−4 . Essendo il valore di Kps così basso, CaF2 avrà una © McGraw-Hill Education/
basa solubilità e, considerata la concentrazione piuttosto elevata delle soluzioni da miscela- Stephen Frisch, photographer).
re, ci aspetteremo che CaF2 precipiti.
NH3
M M M
3NH3
M(H2O)42+(aq) + NH3(aq) M(H2O)3(NH3)2+(aq) M(NH3)42+(aq) + 4H2O(l)
3 ulteriori passaggi
Figura 19.14 La sequenza di A livello molecolare (Figura 19.14), il processo avviene attraverso una serie di pas-
reazioni di scambio di H2O con saggi successivi in ognuno dei quali si forma una specie intermedia per ognuna
NH3 per M(H2O)42+. Gli ingran-
dimenti a livello molecolare
delle quali si può scrivere una costante di formazione:
mostrano il primo scambio e lo
M(H2O)24+ ( aq ) + NH3 ( aq ) M(H2O)3 (NH3 )2+ ( aq ) + H2O( l )
ione ammoniacale finale.
[M(H2O)3 (NH3 )2+ ]
K f1 =
[M(H2O)24+ ][NH3 ]
M(H2O)3 (NH3 ) 2+ ( aq ) + NH3 ( aq ) M(H2O) 2 (NH3 ) 22+ ( aq ) + H2O( l )
[M(H2O)(NH3 )32+ ]
K f3 =
[M(H2O)2 (NH3 )22+ ][NH3 ]
x = [Zn(H2O)42+] 4,1 × 10−7 M
AgBr( s ) Ag + ( aq ) + Br− ( aq )
[Ag + ][Br−]
K ps =
Sappiamo che:
S = [AgBr]disciolto = [Ag+] = [Br−]
Perciò:
S = 7,1 × 10−7 M
(b) Solubilità nel bagno di fissaggio 1 M. Scrivere l’equazione totale:
AgBr( s ) Ag + ( aq ) + Br− ( aq )
Ag + ( aq ) + 2S 2O32− ( aq ) Ag(S 2O3 )32− ( aq )
AgBr( s ) + 2S 2O32− ( aq ) Ag(S 2O3 )32− ( aq ) + Br− ( aq )
Calcolare Ktotale:
[Ag(S 2O3 )32−][Br−]
K totale = = K ps × K f = (5,0 ×10−13 )(4,7 ×1013 ) = 24
[S 2O32−]2
Scrivere una tabella di reazione con S = [AgBr]disciolto = [(Ag(S2O3)23−].
−
3H3O+ −
OH−
Al Al Al
− −
− −
3H3O+ OH−
3H2O(l) + Al(H2O)63+(aq) Al(H2O)3(OH)3(s) Al(H2O)2(OH)4−(aq) + H2O(l)
Molti altri idrossidi poco solubili, tra cui quelli di cadmio, cromo(III), cobalto(III),
piombo(II), stagno(II) e zinco, sono anfoteri e danno luogo a reazioni simili:
Zn(H2O)2 (OH)2 ( s ) + OH− ( aq ) Zn(H2O)(OH)−3 ( aq ) + H2O( l )
Al contrario, gli idrossidi poco solubili di ferro(II), ferro(III) e calcio si sciolgono in
ambiente acido ma non in ambiente basico perché le tre molecole d’acqua legate
non sono sufficientemente acide:
Fe(H2O)3 (OH)3 ( s ) + 3H3O+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Fe(H2O)36+ ( aq ) + 3H2O( l )
Fe(H2O)3 (OH)3 ( s ) + OH− ( aq) ⎯ ⎯
→ nessuna reazione
La differenza di solubilità in soluzione basica di Al(OH)3 e Fe(OH)3 viene utilizzata
per separare i due metalli in un importante passaggio della produzione dell’allumi-
nio metallico e verrà discussa nuovamente nel Paragrafo 22.4.
O2
NO nelle emissioni
Nebbia acida automobilistiche
Figura S19.1 Formazione delle precipitazioni acide. Le piogge acide e i loro effetti dannosi sono il risultato di complesse inter-
relazioni tra attività umane, chimica dell’atmosfera e distribuzione ambientale. I gas di scarico delle automobili e delle fabbriche
producono ossidi di azoto e zolfo. Questi vengono ossidati nell’atmosfera da O2 (od O3, non mostrato) a ossidi a più elevato numero
di ossidazione (NO2, SO3) che reagiscono con l’umidità acidificando pioggia, neve e nebbia. Molti laghi si acidificano per contatto
con le precipitazioni acide, mentre i laghi in bacini calcarei formano un tampone carbonato che previene l’acidificazione.
strutture è responsabile della salvezza di quei laghi i cui calcare delle emissioni industriali. Si utilizzano sia processi
bacini sono ricchi di calcare. Con la caduta della pioggia a secco e sia in soluzione. Un altro metodo è la riduzione
acida, H3O+ reagisce con lo ione carbonato disciolto nei di SO2 con metano o carbone ad H2S.
laghi per formare bicarbonato: La miscela è poi convertita cataliticamente in zolfo che è
un prodotto commerciale:
CO32− ( aq ) + H3O+ ( aq ) HCO−3 ( aq ) + H2O( l )
catalizzatore
16H2S( g ) + 8SO2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → 3S8 ( s ) + 16H2O( l )
Sostanzialmente, i laghi con bacini calcarei costituiscono Un’altra possibilità per ridurre la formazione di SO2 è la com-
una enorme soluzione tampone HCO3−/CO32− che assorbe bustione di carbone a basso contenuto di zolfo, ma i depositi
l’eccesso di H3O+ e mantiene un pH relativamente stabile. di questo tipo di carbone sono rari e l’estrazione è costosa.
In realtà, i laghi, i fiumi e le acque sotterranee in terreni Il carbone può anche essere trasformato in combusti-
ricchi di calcare sono debolmente basici. bili liquidi a basso contenuto di zolfo (Chimica nelle scienze
Per i laghi e i fiumi in contatto con terreni poveri ambientali, Capitolo 6). Lo zolfo viene poi rimosso (come
di calcare sono necessari costosi metodi di purificazione. H2S) in un depuratore dopo la gassificazione.
Un attacco diretto ai sintomi è la cosiddetta “calcificazio- Mediante l’uso dei convertitori catalitici nelle marmitte
ne” (trattamento con calcare) di laghi e fiumi. La Svezia delle automobili, gli NOx sono ridotti a N2 e NH3. Nelle cen-
ha speso decine di milioni di dollari negli anni 1990 per trali per la produzione di energia, la quantità di NOx viene
neutralizzare più di 3000 laghi aggiungendo calcare. diminuita modificando i parametri di combustione, ma può
Questo approccio però è solo un rimedio temporaneo anche essere eliminata per trattamento con ammoniaca:
perché, dopo alcuni anni, i laghi erano nuovamente catalizzatore
acidi. 4NO( g ) + 4NH3 ( g ) + O2 ( g ) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ → 4N 2 ( g ) + 6H2O( g )
Come abbiamo sottolineato precedentemente (vedi Le emissioni di NOx dovranno essere drasticamente ridotte
scheda Chimica nelle scienze ambientali, Capitolo 6) il prin- per raggiungere gli standard posti dalle nuove normative
cipale metodo per controllare le emissioni di diossido di volte a ridurre la deplezione dello strato di ozono e nel
zolfo è rappresentato dai processi di desolforizzazione con processo sarà ridotto anche HNO3.
(e)
19.4 (a) K ps = [Ca 2+ ][SO 24− ] 19.7 (a) In acqua: K ps= [Ba 2+ ][SO 24−=] 1,1×10−10
(b) K ps = [Cr 3+ ]2 [CO32−]3 S = 1,05 × 10−5 M
(c) K ps = [Mg 2+ ][OH−]2 (b) In Na2SO4 0,10 M: [SO42−] = 0,10 M
1 mol AlCl 3
2, 4 g AlCl 3 ×
133, 33 g AlCl 3
B [Al(H2O)36+ ]iniz = = 0, 072 M [F− ]iniz = 0,560 M
0, 250 L
[AlF63− ] 0,072
Kf = = 4 ×1019
[Al(H2O)36+ ][F− ]6 x (0,128)6
=x [Al(H2O)36+ ] 4 ×10−16 M
1,0 − 2 3
4 3
= 1×109
=
[Ag(NH3 )+2=]2,9 ×10 M −3
0,75 − 3
La solubilità è maggiore nella soluzione di fissaggio 1,0 M che −
= =
[Pb(OH) 3] 0,25 M
in NH3 1,0 M.
Negli ultimi capitoli abbiamo posto alcune domande estremamente importanti ri-
DA SAPERE PRIMA
guardo alle trasformazioni chimiche e fisiche, alle quali abbiamo risposto. A quale
velocità avviene una trasformazione e in che modo la velocità è influenzata dal- • energia interna, calore e lavoro
(Paragrafo 6.1)
la concentrazione e dalla temperatura? Quanto prodotto sarà presente quando la • funzioni di stato (Paragrafo 6.1) e
trasformazione netta sarà terminata e in che modo questa resa è influenzata dalla stato standard (Paragrafo 6.6)
concentrazione e dalla temperatura? Abbiamo indagato questi problemi per un’am- • entalpia, ΔH, e legge di Hess
(Paragrafi 6.2 e 6.5)
pia gamma di sistemi, dalla stratosfera a una grotta di calcare, ai laghi della Svezia. • entropia e disordine
È giunto il momento di soffermarci per porre la domanda più profonda di tutte: (Paragrafo 13.3)
perché avviene una trasformazione, in primo luogo? Sappiamo che alcune trasforma- • confronto di Q e K per determi-
nare la direzione di una reazione
zioni chimiche e fisiche che rientrano nell’esperienza quotidiana sembrano avere (Paragrafo 17.4)
una direzione naturale e svolgersi spontaneamente, altre no. Per esempio, il meta-
no brucia in atmosfera di ossigeno con un vigoroso rilascio di calore per produrre
diossido di carbonio e vapore acqueo, ma questi prodotti non riformeranno il meta-
no e l’ossigeno per quanto a lungo possano interagire. Una catena d’acciaio lasciata
all’aperto arrugginisce lentamente, ma una catena arrugginita non tornerà lucida.
Una zolletta di zucchero si scioglie in una tazza di caffè dopo qualche secondo di me-
scolamento, ma un altro secolo di mescolamento non riuscirà a fare ricomparire
la zolletta.
Tutte le nostre indagini sulla natura ci permettono di definire una trasfor-
mazione spontanea (o processo spontaneo) come una trasformazione che si svolge
da sola. Alcune trasformazioni spontanee assorbono energia, altre la rilasciano. I
principi della termodinamica furono formulati nella prima metà del XIX secolo
per aiutare a utilizzare in modo più efficiente la macchina a vapore inventata di
recente. Nonostante quell’ambito di applicazione piuttosto limitato, i principi della
termodinamica sono validi, per quanto sappiamo, per ogni sistema esistente nel
l’Universo e ci permettono di capire perché avviene una trasformazione spontanea.
* Ogni enunciato moderno della conservazione dell’energia deve tenere conto dell’equivalenza massa-
energia e delle trasformazioni che avvengono nelle stelle, le quali convertono quantità enormi di materia
in energia. Perciò, l’enunciato della conservazione dell’energia può essere così formulato: la massa-energia
totale dell’Universo è costante.
H2O( s ) ⎯ ⎯
→ H2O( l ) ΔH r0 =+6, 02 kJ ( endotermica; spontanea a T > 0°C)
A temperatura ambiente e a pressione ordinaria, l’acqua liquida vaporizza sponta-
neamente in aria secca, un’altra trasformazione endotermica:
H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H2O( g ) ΔH r0 = +44, 0 kJ
In realtà, tutte le fusioni e vaporizzazioni sono trasformazioni endotermiche che
sono spontanee in determinate condizioni.
* Il simbolo W nella formula originale di Boltzmann (che è scritta come epitaffio sulla sua tomba a Vien-
na) è l’iniziale di Wahrscheinlichkeit, “probabilità” in tedesco, nel senso di “probabilità di stato”, il numero
di “microstati” che corrispondono a uno stesso stato macroscopico del sistema (N.d.C.).
Analogamente, ΔSsistema < 0 quando l’entropia del sistema diminuisce durante una
trasformazione, come, per esempio, nella condensazione del vapore acqueo:
H2O( l ) ⎯ ⎯
→ H2O( g ) ΔS sistema = S H2O liquido − S H2O gassoso
A A
1 21 2 A
1 atomo
A B
B A
A 22 4
1 B
A
2 atomi A
B B
C A
A B
C Figura 20.3 Espansione di un
B
gas e aumento del numero di
microstati. Quando il gas confi-
A C A nato in un pallone viene lasciato
C B B libero di espandersi in entrambi
C
1 23 8 i palloni, l’energia delle par-
A B
ticelle si distribuisce su un
A C A
3 atomi B maggiore numero di microstati
B C e quindi l’entropia è maggiore.
Ogni combinazione di particelle
C B A nel volume disponibile rappre-
B senta un diverso microstato.
A C
L’aumento del numero di micro-
1 10 atomi 210 1024 stati che si ha quando il volume
23 aumenta è pari a 2n, dove n è il
1 6,02 u 1023 atomi 26,02u10
numero di particelle.
=
ΔS sistema R=
/N A ln 2N A =
( R /N A )N A ln 2 (8,314 J/mol ⋅ K)(0,693)
= 5,76 J/mol ⋅ K
O, per una mole:
ΔS sistema = 5,76 J/K
Il secondo metodo che si può utilizzare per calcolare ΔSsistema è basato sugli scambi
di calore che avvengono durante le trasformazioni ed è stato sviluppato nel XIX se-
colo nel corso di studi volti a comprendere il lavoro svolto dalle macchine a vapore.
In tali processi la variazione di entropia è definita come:
qrev
ΔS sistema = (20.2)
T
in cui T è la temperatura a cui avviene lo scambio di calore e q è il calore assorbito.
Il pedice “rev” si riferisce a un processo reversibile, un processo che avviene così
lentamente che il sistema è sempre in condizioni di equilibrio e la direzione del
processo può essere invertita da una perturbazione infinitesima.
Un’espansione veramente reversibile di un gas reale può solo essere immaginata,
ma possiamo approssimarla se mettiamo il nostro campione di 10 L di neon in un
sistema costituito da un pistone e da un cilindro circondati da un serbatoio di calore
mantenuto a 298 K e in cui la pressione è esercitata da un becker pieno di sabbia
posto sul pistone. Se con delle pinzette rimuoviamo un granello di sabbia (una va-
riazione “infinitesima” di pressione), il gas si espanderà pochissimo facendo alzare il
pistone e compirà lavoro sull’ambiente, −w. Se il neon si comporta idealmente, assor-
birà dal serbatoio una piccolissima quantità di calore, q, equivalente a −w. Togliendo
un altro granello di sabbia, il gas si espanderà ancora di una piccolissima quantità e
assorbirà un’altra piccolissima quantità di calore. Questa espansione è molto vicina
a un’espansione reversibile perché, in qualsiasi momento, il processo può essere in-
vertito aggiungendo un granello di sabbia nel becker e causando una piccolissima
compressione del gas. Se continuiamo il processo di espansione fino a raggiungere il
volume di 20 L e applichiamo i metodi del calcolo differenziale per sommare tutti i
piccolissimi incrementi di calore, otteniamo che qrev = 1718 J. Utilizzando poi l’Equa-
zione 20.2, abbiamo la variazione di entropia:
=
ΔS sistema 1718
= J/298 K 5,76 J/K
Questo risultato è uguale a quello ottenuto con il metodo statistico. Quel metodo
aiuta a visualizzare le variazioni di entropia in termini del numero di microstati in cui
si distribuisce l’energia, ma i calcoli sono limitati a sistemi semplici quali i gas ideali.
Il secondo metodo, basato su scambi incrementali di calore, è più difficile da visua-
lizzare ma può essere applicato non solo ai gas, ma anche a solidi, liquidi e soluzioni.
essere negativa, cioè il sistema o l’ambiente può avere un’entropia minore dopo la
T minore
trasformazione. Ma la seconda legge stabilisce che, nel caso di una trasformazio-
ne spontanea, la somma delle variazioni di entropia deve essere positiva. Quando
l’entropia del sistema diminuisce, l’entropia dell’ambiente aumenta ancor più per Minore libertà di moto
compensare questa diminuzione di entropia del sistema, e quindi l’entropia dell’U-
niverso (sistema più ambiente) aumenta. Un enunciato quantitativo della seconda Minore numero di microstati
legge è che, per ogni trasformazione spontanea,
S minore
ΔS Universo = ΔS sistema + ΔS ambiente > 0 (20.3)
Calore
Entropie molari standard e terza legge della termodinamica
Sia l’entropia sia l’entalpia sono funzioni di stato, ma la natura dei loro valori diffe- T maggiore
risce in modo fondamentale. Si ricordi che non possiamo determinare le entalpie
assolute perché non abbiamo un punto di partenza, cioè un valore di base dell’ental- Maggiore libertà di moto
pia di una sostanza. Perciò, si possono misurare soltanto le variazioni di entalpia. Per
contro, siamo in grado di determinare l’entropia assoluta di una sostanza. A questo Maggiore numero di microstati
scopo dobbiamo applicare la terza legge (o terzo principio) della termodina-
mica, che stabilisce che un cristallo perfetto ha entropia zero alla temperatura dello zero
S maggiore
assoluto: Ssistema = 0 a 0 K. “Perfetto” significa che tutte le particelle sono disposte
ordinatamente nella struttura cristallina senza alcun tipo di difetto. Allo zero asso-
luto tutte le particelle esistenti nel cristallo hanno la loro energia minima e possono Figura 20.4 Movimento
essere disposte in un solo modo; perciò, nell’Equazione 20.1, W = 1, quindi S = k ln casuale in un cristallo. Questa
simulazione al computer mostra
1 = 0. Se riscaldiamo il cristallo, l’energia totale del sistema aumenta, il che conferi- i cammini dei centri delle par-
sce alle particelle un più ampio intervallo di energie, la qual cosa significa che la loro ticelle in un solido cristallino.
energia è distribuita su più microstati (Figura 20.4). Perciò, W > 1, ln W > 0 e S > 0. A ogni temperatura maggiore
Per ottenere il valore di S a una data temperatura, raffreddiamo un campione di 0 K, ciascuna particella si
cristallino della sostanza alla temperatura più vicina possibile a 0 K. Poi lo riscal- muove attorno alla sua posi-
zione reticolare. Più alta è la
diamo fornendo calore in piccoli incrementi, dividiamo q per T per ottenere l’au- temperatura, più vigoroso è il
mento di S per ciascun incremento e infine sommiamo tutti gli aumenti di S fino movimento. Fornendo energia
alla temperatura di interesse, generalmente 298 K. L’entropia di una sostanza a termica si aumenta l’energia
una data temperatura è quindi un valore assoluto, uguale all’aumento di entropia totale, quindi le energie delle
che essa subirebbe se venisse riscaldata da 0 K a quella temperatura. particelle si distribuiscono in un
maggior numero di microstati,
Come nel caso delle altre variabili termodinamiche, di solito si confrontano i quindi l’entropia aumenta.
valori dell’entropia delle sostanze nei loro stati standard alla temperatura di interes-
se. Si ricordi che gli stati standard usati in tutto il libro sono 1 atm per i gas, 1 M
per le soluzioni e la sostanza pura è nella sua forma più stabile nel caso dei solidi o dei
liquidi. L’entropia è una proprietà estensiva, cioè una proprietà che dipende dalla
quantità di sostanza, quindi interessa l’entropia molare standard (S0), misurata
in joule su mole per kelvin [J/(mol ⋅ K)], ossia J ⋅ mol−1 ⋅ K−1]. Un elenco di valori di S0
a 298 K (25 °C) per molti elementi, composti e ioni è presentata, con altre variabili
termodinamiche, nell’Appendice B.
Entropia (S )
viste su scala molecolare visua-
lizzano l’aumento della libertà
di movimento delle particelle
quando il solido fonde e l’au-
mento molto maggiore quando liquido
il liquido vaporizza.
entropia
di fusione
solido
temperatura temperatura
di fusione di ebollizione
Temperatura
La Figura 20.5 mostra l’entropia di una sostanza quando viene riscaldata e subisce
una transizione di fase. Si noti l’andamento regolare di graduale aumento entro una
fase via via che la temperatura aumenta e un grande, improvviso aumento in corri-
spondenza della transizione di fase. Nel solido l’energia è meno dispersa e l’entropia
è più bassa: le sue particelle vibrano attorno alle loro posizioni, ma, in media,
Figura 20.6 La variazione di rimangono fisse. Via via che la temperatura aumenta, l’entropia aumenta gradual-
entropia che accompagna la
mente all’aumentare dell’energia cinetica. Quando un solido fonde, le particelle si
dissoluzione di un sale. Quando
un solido cristallino e l’acqua muovono liberamente l’una tra le altre e attorno alle altre nel liquido, quindi si pro-
liquida pura si mescolano per duce un improvviso aumento di entropia. Un ulteriore aumento della temperatura
formare una soluzione, la varia- aumenta la velocità delle particelle nel liquido, e l’entropia aumenta gradualmente.
zione di entropia riceve due Alla fine, le particelle, non più soggette alle forze intermolecolari, subiscono un
contributi: un contributo positivo
altro improvviso aumento di entropia e si muovono caoticamente come gas. Si noti
quando il cristallo si separa in
ioni e il liquido puro li disperde, che l’aumento di entropia da liquido a gas è molto maggiore di quello da solido a liquido.
e un contributo negativo quando
Dissoluzione di un solido o di un liquido L’entropia di un solido disciolto o di
le molecole d’acqua si organiz-
zano attorno a ciascuno ione. I un soluto liquido è di solito maggiore dell’entropia del soluto puro, ma il tipo di so-
valori relativi di questi contributi luto e di solvente e la natura del processo di dissoluzione influenzano la variazione
positivo e negativo determinano di entropia complessiva (Figura 20.6):
la variazione di entropia com-
plessiva. Nella maggior parte NaCl AlCll3 CH3OH
dei casi, l’entropia della solu- 0
S (s o l): 72,1(s) 167(s) 127(l)
zione è maggiore di quella del
S0(aq): 115,1 148 132
solido ionico e del solvente.
Quando un solido ionico si scioglie in acqua, il cristallo si mescola con il liquido puro
e si trasforma in ioni idrati separati, dispersi nella soluzione. Le particelle hanno più
libertà di movimento e la loro energia è distribuita su un numero maggiore di micro-
stati, perciò ci si attende che l’entropia degli ioni stessi sia maggiore nella soluzione
che nel cristallo. Però, alcune delle molecole d’acqua si organizzano attorno agli ioni
(vedi Figura 13.2), la qual cosa dà un contributo negativo alla variazione di entropia
complessiva. In realtà, nel caso di ioni piccoli con carica multipla il solvente è tal-
mente attratto dagli ioni che la sua energia diventa localizzata, piuttosto che dispersa
e il suo contributo negativo può essere predominante e determinare valori negativi
di S0 per lo ione in soluzione. Per esempio, lo ione Al3+(aq) ha un valore di S0 pari a
−313 J/mol ⋅ K.* Perciò, quando AlCl3 si scioglie in acqua, Cl−(aq) ha un’entropia po-
sitiva, ma Al3+(aq) ha un’entropia così negativa che l’entropia complessiva di AlCl3
disciolto è minore di quella del solido.
Nel caso dei soluti molecolari, l’aumento di entropia in seguito alla dissoluzione
è tipicamente molto minore di quello che si osserva nel caso dei soluti ionici. Nel
caso di un solido, quale il glucosio, è assente la separazione in ioni e, anche nel caso
di un liquido, quale l’etanolo, è assente la distruzione di una struttura cristallina.
Inoltre, sia nell’etanolo puro sia nell’acqua pura, le molecole formano molti legami
idrogeno, quindi, quando essi si mescolano, è relativamente piccola la variazione
della loro libertà di movimento (Figura 20.7). Il piccolo aumento in entropia del
l’etanolo disciolto deriva dal mescolamento casuale dei due tipi di molecole.
Dissoluzione di un gas Le particelle di un gas sono così libere di muoversi e
hanno energia così dispersa che la dissoluzione in un liquido o in un solido causa
sempre una diminuzione del numero di microstati possibili. Perciò, l’entropia di una
soluzione di un gas in un liquido o in un solido è sempre minore dell’entropia del
gas puro. Quando l’O2 gassoso [S 0(g) = 205,0 J/mol ⋅ K] si scioglie in acqua, la sua en-
tropia diminuisce rapidamente [S 0(aq) = 110,9 J/mol ⋅ K] (Figura 20.8). Ma, quando
un gas si scioglie in un altro gas, l’entropia aumenta a causa del mescolamento dei
due tipi di molecole.
Raggio atomico o complessità molecolare In generale, le differenze tra i valori
dell’entropia per sostanze nella stessa fase si basano sul raggio atomico e sulla com-
plessità molecolare. Per gli elementi in un gruppo della tavola periodica, il raggio ato-
mico riflette la massa molare, e l’entropia aumenta dall’alto al basso lungo il gruppo:
Li Na K Rb Cs
Raggio atomico (pm): 152 186 227 248 265
Massa molare (g/mol): 6,941 22,99 39,10 85,47 132,9 Figura 20.8 La grande
S 0(s): 29,1 51,4 64,7 69,5 85,2 diminuzione di entropia di un
gas quando si scioglie in un
liquido. Il movimento caotico e
* Un valore di S0 per uno ione idrato può essere negativo perché è relativo al valore di S0 del protone l’alta entropia di O2 gassoso si
idrato, H+(aq), a cui è assegnato valore 0. In altre parole, Al3+(aq) ha un’entropia minore di quella di riducono molto quando esso si
H+(aq). scioglie in acqua.
La stessa tendenza alla crescita dell’entropia dall’alto al basso lungo un gruppo vale
per composti simili:
HF HCl HBr
H HI
Massa molare (g/mol): 20,01 36,46 80,91 127,9
S 0(g): 173,7 186,8 198,6 206,3
Nel caso di un elemento che esiste in differenti forme (allotropi), l’entropia è mag-
giore nella forma con legami che permettono agli atomi un maggiore movimen-
to. Per esempio, la S0 della grafite è 5,69 J/(mol ⋅ K), mentre la S0 del diamante è
2,44 J/(mol ⋅ K). Nel diamante, i legami covalenti si estendono in tre dimensioni, per-
mettendo agli atomi poco movimento; nella grafite, i legami covalenti si estendono
soltanto in un piano reticolare, e il movimento dei piani reticolari è relativamente
facile, quindi l’entropia è maggiore.
Nel caso dei composti, l’entropia aumenta all’aumentare della complessità chi-
mica, cioè del numero di atomi nel composto. Questa tendenza è valida sia per i
composti ionici sia per quelli covalenti, purché le sostanze siano nello stesso stato
fisico:
La tendenza si basa sul tipo di movimento disponibile agli atomi (o agli ioni) in
ciascun composto, che è in relazione con il numero di modi equivalenti in cui la
loro energia può essere distribuita, ovvero al numero di microstati. Per esempio,
come mostrato nella Figura 20.9, tra gli ossidi di azoto elencati sopra: i due atomi
in NO possono vibrare soltanto in un modo, l’uno verso l’altro e nel verso opposto;
i tre atomi in NO2 hanno parecchi moti vibrazionali; i sei atomi in N2O4 ne hanno
ancora di più.
Nel caso delle molecole più grandi, consideriamo anche come le parti della
molecola si muovono l’una rispetto all’altra. Una lunga catena idrocarburica può
ruotare e vibrare in un maggior numero di modi rispetto a una catena corta, quindi
l’entropia aumenta all’aumentare della lunghezza della catena. Un composto cicli-
co, come il ciclopentano (C5H10), ha un’entropia minore di quella del composto
lineare della stessa massa molare, in questo caso il pentene (C5H10), perché la strut-
tura ciclica limita la libertà di movimento.
CH4(g) C2H6(g) C3H8(g) C4H10(g) C5H10(g) C5H10(ciclo, g) C2H5OH(l)
0
S: 186 230 270 310 348 293 161
Si ricordi che queste tendenze valgono soltanto per sostanze nello stesso stato fisico.
Si noti, per esempio, che il metano (CH4) gassoso ha un’entropia maggiore di quella
dell’etanolo (C2H5OH) liquido, anche se le molecole di etanolo sono molto più com-
plesse. Quando si confrontano i gas con i liquidi, l’effetto dello stato fisico predomina
di solito su quello della complessità molecolare.
Figura 20.9 Entropia e moto
vibrazionale. Una molecola
biatomica, quale NO, può vibra-
re in un solo modo. NO2 può
vibrare in più modi e N2O4 in
un numero ancora maggiore di
modi. Perciò, quando il numero
di atomi aumenta, una molecola
può distribuire la sua energia
vibrazionale in un maggior
numero di modi e quindi ha una NO NO 2 N2O 4
maggiore entropia.
Talvolta, anche quando il numero di moli di gas rimane costante, possiamo preve-
dere il segno della variazione di entropia considerando la variazione di libertà di
movimento. Per esempio, quando il ciclopropano viene riscaldato a 500 °C, l’anello
si apre e si forma il propene. La catena aperta ha più libertà di movimento rispetto
all’anello, quindi l’entropia del prodotto è maggiore di quella del reagente; cioè
l’entropia aumenta durante la reazione
CH2
'
H2C CH2(g) o CH3 CH CH2(g) 'S0r S 0prodotti S 0reagenti ! 0
Si deve però sempre ricordare che, in generale, non si può prevedere il segno della
variazione di entropia associata a una reazione a meno che non ci sia variazione del
numero di moli di gas.
Si ricordi che, applicando la legge di Hess, possiamo combinare i valori di ΔH 0f
per trovare il calore standard di reazione, ΔH 0r. Analogamente, possiamo combinare
le entropie molari standard per trovare l’entropia standard di reazione, ΔS 0r:
ΔS r0 = ΣmS prodotti
0
− ΣnS reagenti
0
(20.4)
dove m e n sono le quantità delle singole specie, rappresentate dai loro coefficienti
nell’equazione bilanciata. Per la sintesi dell’ammoniaca, abbiamo
di microstati). Il Problema di verifica 20.3 illustra questa situazione per una delle
reazioni che abbiamo considerato precedentemente.
100
'S XQLYHUVR
ΔH sistema
0
1 kJ
ΔS ambiente
0
= =− = 308 J/K
0
T 298
'S VLVWHPD Determinazione di ΔS 0Universo:
–100
ΔS Universo
0
= ΔS sistema
0
+ ΔS ambiente
0
= −197 J/K + 308 J/K =
111 J/K
–200
ΔS 0Universo > 0, quindi la reazione avviene spontaneamente a 298 K (vedi figura a margine).
Verifica Arrotondando per verificare l’algebra, otteniamo:
ΔH r0 2 (−45 kJ) = −90 kJ
ΔS ambiente
0
−(−90000 J) /300 K = 300 J/K
ΔS Universo
0
−200 J/K + 300 J/K =
100 J/K
Dato il ΔH 0r, negativo, il principio di Le Châtelier prevede che la bassa temperatura dovreb-
be favorire la formazione di NH3 e quindi la risposta è ragionevole (vedi la scheda Chimica
nella produzione industriale, sul processo Haber, Capitolo 17, pp. 591-592).
Commento 1. Si noti che l’unità di misura di ΔH 0 è il kilojoule (kJ), mentre l’unità di misu-
ra di ΔS0 è il joule su kelvin (J/K), quindi non si deve dimenticare di convertire i kilojoule
in joule perché altrimenti si introdurrebbe un grande errore.
2. Questo esempio pone in rilievo la distinzione tra considerazioni termodinamiche e con-
siderazioni cinetiche. Anche se NH3 si forma spontaneamente, lo fa lentamente; l’industria
chimica spende molto per catalizzare la sua formazione affinché possa essere prodotta a una
velocità d’impiego pratico.
Come mostra il Problema di verifica 20.3, è cruciale tenere conto dell’ambiente per
determinare la spontaneità di una reazione. Inoltre, chiarisce la pertinenza della
termodinamica per la biologia, come mostra la scheda Chimica in biologia (p. 690).
ΔS=
0
Universo 109 J/K + (−109 J/K) = 0
6 mol di gas producono 12 mol di gas; perciò, ΔSsistema > 0, ΔSambiente > 0 e
ΔSUniverso > 0.
• D’altra parte, se l’entropia del sistema diminuisce quando avviene la reazione
(ΔSsistema < 0), l’entropia dell’ambiente deve aumentare in misura maggiore
L’entropia del sistema diminuisce perché la quantità (il numero di moli) di gas
diminuisce. Però, il calore ceduto fa aumentare ancor più l’entropia dell’am-
biente; perciò, ΔSsistema < 0, ma ΔSambiente 0, quindi ΔSUniverso > 0.
2. Per una reazione endotermica (ΔHsistema > 0), il calore ceduto dall’ambiente dimi
nuisce la libertà del moto molecolare e la dispersione di energia dell’ambiente stes-
so, diminuendo così la sua entropia (ΔSambiente < 0). Perciò, l’unico modo in cui una
reazione endotermica può avvenire spontaneamente è che ΔSsistema sia positivo e
'S 0ambiente
'S 0universo 'S 0ambiente
S0 S0 'S 0universo S0
'S 0sistema 'S 0ambiente 'S 0universo
0 0 0
'S 0sistema 'S 0ambiente
A B C
Questa importante relazione è usata spesso per trovare una qualsiasi di queste tre
variabili termodinamiche fondamentali quando si conoscono le altre due. Appli-
chiamo questa relazione in un problema di verifica.
sto a partire dai suoi elementi, con tutti i componenti nei loro stati standard. Poi-
ché l’energia libera è una funzione di stato, possiamo combinare i valori di ΔG 0f
dei reagenti e dei prodotti per calcolare ΔG 0r indipendentemente dal cammino di
reazione:
ΔGr0 = ΣmΔGf0(prodotti) − ΣnΔGf0(reagenti) (20.8)
il sistema può compiere potenzialmente. Ma il lavoro che il sistema compie effettiva- gas a Viniziale
mente dipende da come viene rilasciata l’energia libera. Per comprenderlo, conside-
riamo prima una trasformazione non chimica. Supponiamo che un gas sia confinato
in un cilindro, a un volume iniziale Viniziale = 0, da uno stantuffo collegato a un peso
di massa di 1 kg (vedi figura a margine). Quando il gas si espande e solleva il peso, la
sua pressione viene equilibrata dal peso a un volume finale Vfinale. Il gas ha sollevato
il peso in un solo stadio, compiendo così una certa quantità di lavoro. Il gas, espan-
dendosi, può compiere più lavoro sollevando un peso di massa 2 kg alla metà di
Vfinale; il peso di 2 kg viene poi sostituito con il peso di 1 kg, che il gas solleva per il
gas a Vfinale
resto del cammino fino a Vfinale; cioè, Vfinale viene raggiunto in due stadi. Analogamen-
te, il gas può compiere una quantità di lavoro ancora maggiore sollevando un peso di
3 kg fino a un terzo di Vfinale, il peso di 2 kg fino a un mezzo di Vfinale e poi un peso
di 1 kg per il resto del cammino fino a Vfinale, cioè in tre stadi. All’aumentare del
Un gas, espandendosi, può
numero di stadi, aumenta la quantità di lavoro compiuta dal gas. Il gas compirebbe compiere lavoro sollevando un peso.
molto più lavoro, quasi il massimo, se i pesi fossero sostituiti da un contenitore
pieno di sabbia il cui peso venisse variato sistematicamente aggiungendo un gra-
nello di sabbia per volta, come abbiamo visto precedentemente. In questo modo il
gas solleverebbe il contenitore in un numero elevatissimo di stadi. Al limite, il gas
compirebbe la quantità massima possibile di lavoro sollevando pesi in un numero
infinito di stadi. Si noti che, in questa trasformazione ipotetica, un aumento infini-
tesimo del peso in qualsiasi stadio invertirebbe l’espansione.
In generale, una trasformazione reversibile è una trasformazione che può essere in-
vertita nell’una o nell’altra direzione da una variazione infinitesima di una variabile. La
quantità massima di lavoro compiuta da una trasformazione spontanea si ottiene soltanto
se il lavoro è compiuto reversibilmente.
Ovviamente, in ogni trasformazione reale, il lavoro è compiuto irreversibilmente,
cioè in un numero finito di stadi, quindi non si può mai ottenere la quantità massima
di lavoro. L’energia libera non utilizzata per compiere lavoro si manifesta come ca-
lore ceduto all’ambiente. Questa energia “inutilizzata” è una conseguenza di ogni
trasformazione spontanea reale.
Consideriamo due esempi di sistemi che utilizzano una reazione chimica per
compiere lavoro: un motore di automobile e una batteria elettrica. Quando la ben-
zina (rappresentata dall’ottano) viene bruciata nel motore a combustione interna di
un’automobile,
C8H18 ( l ) + 25
2 O2 ( g) ⎯ ⎯
→ 8CO2 ( g ) + 9H2O( g ),
viene ceduta una grande quantità di energia sotto forma di calore (ΔHsistema < 0) e, poi-
ché il numero di moli di gas aumenta, l’entropia del sistema aumenta (ΔSsistema > 0).
Questa reazione è spontanea (ΔGsistema < 0) a tutte le temperature. L’energia libera
disponibile compie lavoro facendo girare le ruote, muovere le cinghie, ricaricare
la batteria e così via. Però, soltanto se l’energia libera è rilasciata reversibilmente,
cioè in una serie di stadi infinitesimi, otteniamo realmente la quantità massima di
lavoro disponibile da questa reazione. In realtà, la trasformazione si svolge irrever-
sibilmente e molta dell’energia libera totale serve soltanto a riscaldare il motore e
l’aria esterna, il che aumenta la libertà di movimento delle particelle nell’Universo,
in accordo con la seconda legge della termodinamica.
Una batteria elettrica è essenzialmente una reazione di ossidoriduzione spon-
tanea “impacchettata” che cede energia libera all’ambiente (torcia elettrica, radio-
ricevitore, motore elettrico ecc.). Se colleghiamo i terminali (poli) della batteria
l’uno all’altro mediante un filo conduttore, la variazione di energia libera viene
rilasciata tutta immediatamente ma non compie lavoro: riscalda semplicemente il
filo conduttore e la batteria stessa. Se colleghiamo i poli della batteria a un motore
elettrico, l’energia libera viene rilasciata più lentamente, e una parte rilevante di
essa fa girare il motore, ma una parte si converte ancora in calore nella batteria e nel
motore. Se scarichiamo la batteria ancora più lentamente, una maggiore frazione
della variazione di energia libera compie lavoro e una minore frazione si converte
2H2O2 ( l ) ⎯ ⎯
→ 2H2O( l ) + O2 ( g ) ΔH = −196 kJ e ΔS = 125 J/K
non spontanea Prevediamo che questa reazione abbia una variazione di entropia positiva a causa
ΔH
ΔG > 0 ΔH
dell’aumento del numero di moli di gas; infatti, ΔS = 165 J/K. Inoltre, essendo la
TΔS T di transizione reazione non spontanea a temperature più basse, essa deve avere un ΔH positivo
= 352 K (58,1 kJ). Poiché il termine −TΔS diventa più negativo all’aumentare della tem-
peratura, esso finirà per predominare sul termine ΔH positivo, e la reazione av-
verrà spontaneamente.
Temperatura
Calcoliamo ΔG per questa reazione a 25 °C e poi troviamo la temperatura al di
sopra della quale la reazione è spontanea. A 25 °C (298 K),
Figura 20.11 L’effetto della
temperatura sulla spontaneità ⎡ 1 kJ ⎤
di una reazione. I due termi- ΔG = ΔH − TΔS = 58,1 kJ − ⎢ 298 K ×(165 J/K)× ⎥ = 8,9 kJ
⎢ 1000 J ⎥⎦
ni che costituiscono ΔG sono ⎣
rappresentati in funzione di T.
La figura mostra un ΔH rela- Poiché ΔG è positiva, la reazione non procederà spontaneamente a 25 °C. Alla
tivamente costante e un TΔS temperatura di transizione, ΔG = 0, quindi
sempre più positivo (e quindi
un −TΔS sempre più negativo) 1000 J
all’aumentare della temperatura 58,1 kJ ×
ΔH 1 kJ
per la reazione tra Cu2O e C. A T= = = 352 K
bassa T, la reazione è non spon- ΔS 165 J/K
tanea (ΔG > 0) perché il ter-
mine ΔH positivo ha un valore A ogni temperatura superiore a 352 K (79 °C), una temperatura moderata per
assoluto maggiore di quello del estrarre un metallo dal suo minerale, la reazione avviene spontaneamente. Questo
termine TΔS negativo. risultato è illustrato nella Figura 20.11. La retta rappresentativa di TΔS mostra che
A 352 K, ΔH = TΔS, quindi
ΔG = 0. A ogni T più alta, la
esso diventa sempre più positivo (e quindi il termine −TΔS diventa sempre più
reazione diventa spontanea negativo) al crescere della temperatura. Essa interseca la retta rappresentativa di
(ΔG < 0) perché il termine ΔH, relativamente costante, in corrispondenza di 352 K. A ogni T più alta, il termi-
−TΔS predomina. ne −TΔS è maggiore del termine ΔH, quindi ΔG è negativa.
Cu 2O( s ) + C( s ) ⎯ ⎯
→ 2Cu( s ) + CO( g ) ΔG375 = −3,8 kJ
Q
=
ΔG =
RT ln RT ln Q − RT ln K (20.11)
K
Che cosa significa questa relazione fondamentale? Come abbiamo visto, Q rappre-
senta le concentrazioni (o le pressioni) dei componenti di un sistema in un istante
arbitrario durante la reazione, mentre K le rappresenta quando la reazione ha rag-
giunto l’equilibrio. Perciò, l’Equazione 20.11 stabilisce che la variazione di energia
libera del sistema è la differenza tra l’energia libera del sistema in uno stato iniziale,
Q, e l’energia libera del sistema nel suo stato finale, K. Per un sistema all’equilibrio,
Q è diventato uguale a K, quindi ΔG = 0. In altre parole, all’equilibrio, non avviene
un’ulteriore variazione di energia libera; in effetti, il sistema ha rilasciato tutta la sua
energia libera nel processo di raggiungimento dell’equilibrio.
Il valore di ΔG dipende dalla differenza tra i valori di Q e K. Scegliendo per Q
valori nello stato standard, otteniamo la variazione di energia libera standard (ΔG0).
Quando tutte le concentrazioni sono pari a 1 M (o tutte le pressioni sono pari a
1 atm), ΔG è uguale a ΔG0 e Q è uguale a 1:
ΔG 0 = RT ln1 − RT ln K
Sappiamo che ln 1 = 0, per cui il termine RT ln Q scompare e otteniamo
ΔG 0 = −RT ln K (20.12)
Questa relazione molto importante ci permette di calcolare la variazione di energia
libera standard di una reazione (ΔG0) in base alla costante di equilibrio, o viceversa.
Poiché ΔG0 è legata a K da una relazione logaritmica, anche una piccola variazione
del valore di ΔG0 ha un grande effetto sul valore di K. La Tabella 20.2 indica i valori
di K che corrispondono a un intervallo di valori di ΔG0. Si noti che, via via che ΔG0
diventa più positiva, la costante di equilibrio diminuisce, la qual cosa significa che
la reazione raggiunge l’equilibrio con meno prodotto e più reagente. Analogamen-
te, via via che ΔG0 diventa più negativa, la reazione raggiunge l’equilibrio con più
prodotto e meno reagente. Per esempio, se ΔG0 = +10 kJ, K 0,02, il che significa
che i termini del prodotto sono pari a circa 1/50 dei termini del reagente; invece,
se ΔG0 = −10 kJ, sono 50 volte tanto.
Ovviamente, la maggior parte delle reazioni non cominciano con tutti i compo-
nenti nei loro stati standard. Sostituendo la relazione tra ΔG0 e K (Equazione 20.12)
nell’espressione per ΔG (Equazione 20.11), otteniamo una relazione valida per con-
centrazioni iniziali qualsiasi:
ΔG = ΔG 0 + RT ln Q (20.13)
Il Problema di verifica 20.7 illustra come si applicano le Equazioni 20.12 e 20.13.
(a) Si calcoli K a 298 K e a 973 K. (ΔG 0298 = −141,6 kJ/mol di reazione com’è scritta; usando
valori di ΔH0 e di ΔS0 a 973 K, ΔG 0973 = −12,12 kJ/mol di reazione com’è scritta).
(b) In esperimenti volti a determinare l’effetto della temperatura sulla spontaneità della
reazione, due recipienti sigillati vengono riempiti con 0,500 atm di SO2, 0,0100 atm di O2
e 0,100 atm di SO3 e mantenuti a 25 °C e a 7,00 × 102 °C. In quale direzione eventuale
procederà la reazione per raggiungere l’equilibrio a ciascuna temperatura?
(c) Si calcoli ΔG per il sistema nella parte (b) a ciascuna temperatura.
Piano (a) Conosciamo ΔG 0, T e R, quindi calcoliamo le K con l’Equazione 20.12. (b) Per
determinare se avverrà una reazione netta alle pressioni date, calcoliamo Q con le pressioni
parziali date e lo confrontiamo con ciascuna K della parte (a). (c) Poiché queste non sono
pressioni nello stato standard, calcoliamo ΔG in corrispondenza di ciascuna T con l’Equa-
zione 20.11 con i valori di ΔG 0 (dati) e di Q [determinato nella parte (b)].
Risoluzione (a) Calcolo di K alle due temperature:
0 / RT )
ΔG 0 = −RT ln K da cui K = e −( ΔG
A 298 K, l’esponente è
⎪⎧⎪ (−141,6 kJ/mol) × 1000 J ⎪⎫⎪
⎪⎪ 1 kJ ⎪⎪
−( ΔG /RT ) = − ⎨
0
⎬ = 57,2
⎪⎪ [8,314 J/(mol ⋅ K)] × 298 K ⎪⎪
⎪⎪ ⎪⎪
⎪⎩ ⎪⎭
0
Quindi =
K e −( ΔG /=
RT )
=
e 57,2 7 × 1024
A 973 K, l’esponente è
⎪⎧⎪ (−12,12 kJ/mol) × 1000 J ⎪⎫⎪
⎪⎪ 1 kJ ⎪⎪
−( ΔG /RT ) = − ⎨
0
⎬ = 1,50
⎪⎪ [8,314 J/(mol ⋅ K)] × 973 K ⎪⎪
⎪⎪ ⎪⎪
⎪⎩ ⎪⎭
0
Quindi =
K e −( ΔG /RT
= )
=
e1,50 4,5
(b) Calcolo del valore di Q:
2
PSO 0,1002
Q= 3
= = 4,00
2
PSO × PO2
3
0,5002 × 0,0100
Figura 20.12 La relazione tra energia libera e grado di avanzamento di una reazione. L’energia libera del sistema è rappre-
sentata in funzione del grado di avanzamento della reazione. Ciascuna reazione procede spontaneamente (Q ≠ K e ΔG < 0; frecce
verdi curve) dai reagenti puri (A o C) oppure dai prodotti puri (B o D) alla miscela di equilibrio, e, a questo punto, ΔG = 0. La rea-
zione dalla miscela di equilibrio ai reagenti puri oppure ai prodotti puri è non spontanea (ΔG > 0; frecce rosse curve). A. Per la
reazione A B, G A0 > G 0B, quindi ΔG0 < 0 e K > 1. B. Per la reazione C D, G0D > G0C, quindi ΔG0 > 0 e K < 1.
ΔS universo
0
= ΔS sistema
0
+ ΔS ambiente
0
= −136,6 J/K + 945 J/K
= 808 J/K; la reazione è spontanea a 298 K
ADP
–
ADP –
Glucosio
Glucosio fosfato
ENZIMA
Figura S20.1L’accoppiamento di una reazione non spontanea all’idrolisi dell’ATP. Il glucosio si trova vicino all’ATP (indicato
come ADP−O−PO3H) nel sito attivo dell’enzima. ADP (indicato come ADP−OH) e glucosio fosfato vengono rilasciati dalla reazione.
Molecole
Cibo + O2 complesse
ATP
SCISSIONE
SINTESI
ADP
HO P O HO P O HO P O
La maggiore repulsione tra le cariche e la minore delo-
calizzazione elettronica rendono il contenuto di energia B
O O O
dell’ATP maggiore (che è quindi meno stabile) della som-
ma delle energie di ADP e HPO42−. Questa energia viene in
parte liberata dalla reazione di idrolisi dell’ATP e utilizzata Figura S20.3 ATP è una molecola ad alto contenuto di
dall’organismo in reazioni metaboliche che non potrebbe- energia. A. La trasformazione di ATP in ADP riduce la repulsio-
ro altrimenti avvenire. ne tra le cariche. B. Le formule di risonanza dello ione HPO42−.
• Un tipo di cella compie lavoro rilasciando energia libera da una reazione spon-
tanea per produrre elettricità; un simile tipo di cella si trova in una batteria.
L’applicazione è tutt’altro che nuova: la batteria dell’automobile, per esempio,
fu inventata più di 135 anni fa.
• L’altro tipo di cella compie lavoro assorbendo energia libera da una sorgente di
elettricità per far procedere una reazione non spontanea. Questo tipo di celle è
utilizzato per l’elettrodeposizione (rivestire oggetti di sottili strati metallici) e,
in importanti processi industriali, per produrre alcuni importanti composti e
separare alcuni metalli dai minerali che li contengono.
OSSIDAZIONE
• Un reagente perde elettroni. Lo zinco perde elettroni.
• L’agente riducente si ossida. Lo zinco è l’agente riducente
e viene ossidato.
• Il numero di ossidazione Il numero di ossidazione
aumenta. di Zn aumenta da 0 a +2.
RIDUZIONE
• Altri reagenti acquistano Lo ione idrogeno acquista Figura 21.1 Un riassunto della
elettroni. elettroni. terminologia redox. Nella rea-
• L’agente ossidante si ossida. Lo ione idrogeno è l’agente zione tra lo zinco e lo ione idro-
ossidante e viene ridotto.
Il numero di ossidazione di H
geno, Zn si ossida e H+ si riduce.
• Il numero di ossidazione
diminuisce. diminuisce da +1 a 0. (Foto: © McGraw-Hill Education/
Stephen Frisch, photographer).
cariche. Poi una semireazione, o entrambe, si moltiplicano per numeri interi per
rendere uguali i numeri di elettroni ceduti e acquistati. Infine si riuniscono le due
semireazioni per ottenere la reazione redox bilanciata. Il metodo delle semireazioni
offre alcuni vantaggi per lo studio dell’elettrochimica.
• Separa i passaggi di ossidazione e riduzione, similmente alla loro reale separa-
zione fisica nelle celle elettrochimiche.
• Rende più facile bilanciare le reazioni redox che avvengono in soluzione acida
o basica, come comunemente accade nelle celle elettrochimiche.
• Non rende necessario (di solito) assegnare i numeri di ossidazione. (Nei casi in
cui le semireazioni non sono ovvie, assegneremo i numeri di ossidazione per
determinare per quali atomi essi variano e scriveremo le semireazioni per le
specie che contengono questi atomi).
Generalmente inizieremo con lo “scheletro” di una reazione ionica che mostra solo
le specie che vengono ossidate e ridotte. Se la forma ossidata di una specie è nella par-
te sinistra dello scheletro di reazione, la forma ridotta sarà nella parte destra e viceversa.
(H2O, H+ e OH− non appariranno nello scheletro della reazione a meno che non
siano tra le specie che vengono ossidate e ridotte). Il metodo delle semireazioni per
bilanciare una reazione redox è costituito da 5 passi:
Passo 1. Dividere lo scheletro della reazione in due semireazioni ognuna delle quali
contiene la forma ossidata e ridotta di una delle specie. (Quale semireazione sia
quella di ossidazione e quale sia quella di riduzione sarà evidente dopo il bilancia-
mento delle cariche nel prossimo passo).
Passo 2. Bilanciare gli atomi e le cariche in entrambe le semireazioni.
• Gli atomi si bilanciano nel seguente ordine: prima gli atomi diversi da O e H,
poi O, poi H.
• Le cariche si bilanciano aggiungendo elettroni (e−). Gli elettroni si aggiungo-
no nel lato sinistro della semireazione di riduzione perché il reagente li acquista; si
aggiungono nel lato destro delle reazioni di ossidazione perché il reagente li cede.
Passo 3. Se necessario, moltiplicare una o entrambe le semireazioni per un numero
intero per rendere il numero di e− acquistati nella riduzione uguale al numero di
e− ceduti nell’ossidazione.
Passo 4. Sommare le due semireazioni bilanciate e indicare gli stati di aggregazione.
Passo 5. Verificare che atomi e cariche siano bilanciati.
Bilanceremo una reazione redox che avviene in soluzione acida, poi svolgeremo il
Problema di verifica 21.1 per bilanciarne una che avviene in soluzione basica.
Passo 2. Bilanciare atomi e cariche in ciascuna semireazione. Utilizziamo H2O per bilan-
ciare gli atomi di O, H+ per bilanciare gli atomi di H ed e− per bilanciare le cariche.
• Semireazione Cr2O72−/Cr3+.
a. Bilanciare gli atomi diversi da O e H. Bilanciamo i due atomi di cromo sulla
sinistra aggiungendo un coefficiente 2 sulla destra:
Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+
b. Bilanciare gli atomi di O aggiungendo molecole H2O. Ogni H2O contiene un O, per-
ciò aggiungiamo sette H2O nella parte destra per bilanciare i sette O in Cr2O72−:
Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
c. Bilanciare gli atomi di H aggiungendo ioni H+. Ogni H2O contiene due H e ab-
biamo aggiunto sette H2O, perciò aggiungiamo 14 ioni H+ nella parte sinistra
della semireazione:
14H+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
d. Bilanciare le cariche aggiungendo elettroni. Ogni ione H+ ha carica +1 e 14 H+
più Cr2O72− portano a una carica complessiva +12 nella parte sinistra della semi-
reazione. I due ioni Cr3+ causano una carica complessiva +6 nella parte destra.
C’è un eccesso di carica +6 nella parte sinistra quindi aggiungiamo lì 6 e−:
6e− + 14H+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
Questa semireazione è bilanciata e possiamo vedere che è la riduzione perché
gli elettroni sono stati aggiunti sulla sinistra: il reagente Cr2O72− ha acquistato
elettroni (è stato ridotto), ovvero Cr2O72− è l’agente ossidante. (Notare che il nu-
mero di ossidazione del Cr è diminuito da +6 sulla sinistra a +3 sulla destra).
• Semireazione I−/I2.
a. Bilanciare gli atomi diversi da O e H. Bilanciamo i due atomi di iodio sulla de-
stra aggiungendo un coefficiente 2 sulla sinistra:
2I− ⎯ ⎯
→ I2
b. Bilanciare gli atomi di O aggiungendo molecole H2O. Non è necessario: non ci
sono atomi di O.
c. Bilanciare gli atomi di H aggiungendo ioni H+. Non è necessario: non ci sono
atomi di H.
d. Bilanciare le cariche con e−. Per bilanciare la carica −2 a sinistra aggiungiamo
2e− sulla destra:
2I− ⎯ ⎯
→ I 2 + 2e−
Questa semireazione bilanciata è l’ossidazione perché gli elettroni sono stati ag-
giunti sulla destra: il reagente I− ha ceduto elettroni (è stato ossidato), ovvero I− è
l’agente riducente. (Notare che il numero di ossidazione di I è aumentato da −1 a 0).
Passo 3. Moltiplicare, se necessario, ogni semireazione per un numero intero in modo
che il numero di e− ceduti nell’ossidazione sia uguale al numero di e− acquistati
nella riduzione. Nell’esempio due e− sono persi nell’ossidazione e 6 e− sono acqui-
stati nella riduzione, perciò moltiplichiamo per 3 l’ossidazione:
3(2I− ⎯ ⎯
→ I 2 + 2e− )
−
6I ⎯ ⎯ → 3I 2 + 6e−
Passo 4. Sommare le due semireazioni, eliminando le sostanze presenti sia tra i reagen-
ti sia tra i prodotti e aggiungere l’indicazione degli stati di aggregazione:
6e− + 14H+ + Cr2O72− ⎯ ⎯
→ 2Cr 3+ + 7H2O
6I− ⎯ ⎯
→ 3I 2 + 6e−
6I− ( aq ) + 14H+ ( aq ) + Cr2O72− ( aq ) ⎯ ⎯
→ 3I 2 ( s ) + 7H2O( l ) + 2Cr 3+ ( aq )
Passo 5. Verificare che atomi e cariche siano bilanciati:
Reagenti (6I, 14H, 2Cr, 7O; 6+) ⎯ ⎯
→ Prodotti (6I, 14H, 2Cr, 7O; 6+)
Piano Procediamo fino al Passo 4 come se fossimo in soluzione acida. Poi aggiungiamo l’ap-
propriato numero di ioni OH− e cancelliamo l’eccesso di molecole di H2O (Passo 4 Basico).
Risoluzione
1. Dividere in semireazioni.
MnO4− MnO2 C2O42− CO32−
2. Bilanciare.
a. Atomi diversi da O e H a. Atomi diversi da O e H
Non necessario C2O42− 2CO32−
b. Atomi di O con H2O b. Atomi di O con H2O
MnO4− MnO2 + 2H2O 2H2O + C2O42−
2CO32−
+
c. Atomi di H con H c. Atomi di H con H+
+ −
4H + MnO4 MnO2 + 2H2O 2H2O + C2O42−
2CO32− + 4H+
−
d. Cariche con e d. Cariche con e−
− + −
3e + 4H + MnO4 MnO2 + 2H2O 2H2O + C2O42−
2CO32− + 4H+ + 2e−
[riduzione] [ossidazione]
3. Moltiplicare ogni semireazione, se necessario per un numero intero per rendere uguali
gli e− ceduti con quelli acquistati.
2(3e−+4H++MnO4− MnO2+2H2O) 3(2H2O+C2O42− 2CO32−+4H++2e−)
6e−+8H++2MnO4− 2MnO2+4H2O 6H2O+3C2O42− 6CO32−+12H++6e−
4. Sommare le semireazioni ed elidere le sostanze presenti in entrambi i lati:
6e− + 8H+ + 2MnO−4 ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 4H2O
2 6H2O + 3C 2O 24− ⎯ ⎯→ 6CO32− + 4 12H+ + 6e−
2MnO−4
+ 2H2O + 3C 2O 24− ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 6CO32− + 4H+
4. Soluzione basica. Aggiungere OH− da entrambi i lati per neutralizzare H+ e cancellare
H2O.
L’aggiunta di 4OH− a entrambi i lati causa la formazione di 4H2O sulla destra. Due
di queste si semplificano con le due sulla sinistra. Rimangono così due molecole H2O sulla
destra:
2MnO−4 + 2H2O + 3C 2O 24− + 4OH− ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 6CO32− + [4H+ + 4OH− ]
2MnO−4 + 2H2O + 3C 2O 24− + 4OH− ⎯ ⎯→ 2MnO 2 + 6CO32− + 2 4 H2O
Includendo l’indicazione degli stati di aggregazione si ottiene l’equazione finale bilanciata:
2MnO−4 ( aq ) + 3C 2O 24− ( aq ) + 4OH− ( aq ) ⎯ ⎯→ 2MnO 2 ( s ) + 6CO32− ( aq ) + 2H2O( l )
5. Controllare che atomi e cariche siano bilanciati.
(2Mn, 24O, 6C, 4H; 12−) ⎯ ⎯→(2Mn, 24O, 6C, 4H; 12−)
Commento Come passaggio finale possiamo ottenere l’equazione molecolare bilanciata
per questa reazione osservando il numero di moli di ciascun anione nella reazione ionica
bilanciata e aggiungendo il corretto numero di ioni spettatori (in questo caso Na+) per otte-
nere composti neutri. Per esempio, per bilanciare la carica di due ioni MnO4− è necessario
aggiungere 2 moli di Na+ in modo da ottenere NaMnO4. L’equazione molecolare bilanciata è:
2NaMnO 4 ( aq ) + 3Na 2C 2O 4 ( aq ) + 4NaOH( aq ) ⎯ ⎯→ 2MnO 2 ( s ) + 6Na 2CO3 ( aq ) + 2H2O( l )
Celle elettrochimiche
Le celle elettrochimiche si classificano in due categorie in funzione della natura
termodinamica della reazione.
1. Una cella voltaica (o cella galvanica) usa una reazione spontanea (ΔG < 0)
per generare energia elettrica. Nella reazione di cella la differenza in energia
• Quale semireazione
avviene a quale elettrodo?
potenziale chimica tra i reagenti, ad alto contenuto di energia, e i prodotti,
a minore contenuto di energia, viene convertita in energia elettrica. Questa
Se qualche volta dimenticate quale energia è poi utilizzata per far funzionare un dispositivo quale una lampadina,
semireazione avviene a quale elet-
trodo, sicuramente non siete soli. Ci
un riproduttore CD, il motore d’avviamento di un’automobile, o qualsiasi altro
sono alcuni trucchi mnemonici che dispositivo elettrico. In altre parole, il sistema compie lavoro sull’ambiente. Tutte
possono aiutare. le batterie contengono celle voltaiche.
1. Le parole anodo e ossidazione 2. Una cella elettrolitica usa energia elettrica per far avvenire una reazione non
iniziano con vocali; le parole cato-
spontanea (ΔG > 0). Nella reazione di cella l’energia elettrica fornita da una
do e riduzione cominciano con
consonanti. sorgente esterna viene utilizzata per trasformare i reagenti, a basso contenuto
2. La A di anodo viene prima della di energia, in prodotti a maggior contenuto di energia. In questo caso l’ambiente
C di catodo in ordine alfabetico, compie lavoro sul sistema. L’elettrodeposizione e la separazione dei metalli dai
così come la O di ossidazione
materiali che li contengono sono basati su questo tipo di celle.
viene prima della R di riduzione.
3. L’immagine riportata sopra si rife-
risce a un trucco usato in inglese: I due tipi di celle hanno in comune alcune parti della loro struttura (Figura 21.3).
ANode, OXidation; REDuction, Due elettrodi, gli oggetti che conducono la corrente tra la cella e l’ambiente, sono
CAThode ⇒ AN OX and a RED
immersi in un elettrolita, una miscela di ioni, solitamente in soluzione acquosa, che
CAT (un toro e un gatto rosso).
sono coinvolti nelle reazioni o nel trasporto di cariche. In funzione della semireazione
che vi avviene un elettrodo viene identificato come anodo e l'altro come catodo.
e− e− e− e−
Anodo Ambiente Anodo Generatore
(Resistenza esterna) Catodo Catodo
(ossidazione) (ossidazione)
(riduzione) (riduzione)
Energia Energia
Come illustrato in Figura 21.3, le cariche degli elettrodi hanno segno opposto nei
due tipi di cella. Vedremo nelle prossime sezioni che il segno opposto delle cariche
è conseguenza dei diversi fenomeni che causano il flusso degli elettroni.
Cu 2+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Cu( s ) [riduzione]
2+ −
Zn( s ) ⎯ ⎯
→ Zn ( aq ) + 2e [ossidazione]
2+ 2+
Zn( s ) + Cu ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn ( aq ) + Cu( s ) [reazione completa]
In questo paragrafo esamineremo questa reazione spontanea come base di una cella
voltaica (galvanica).
stituito da un cavo elettrico e da un ponte salino (il tubo a U rovesciata nella figura;
discuteremo la sua funzione tra breve). Per poter misurare il potenziale generato
da una cella si inserisce un voltmetro lungo il cavo che collega i due elettrodi. Si
include poi un interruttore (non mostrato nella figura) per aprire o chiudere il cir-
cuito. Per convenzione la semicella di ossidazione (compartimento anodico) è mostrata
sulla sinistra e la semicella di riduzione (compartimento catodico) sulla destra. Di seguito
si individuano i punti fondamentali di una cella voltaica.
1. La semicella di ossidazione. In questo caso il compartimento anodico è costituito
da una barretta di zinco metallico (l’anodo) immerso in una soluzione elettroli-
tica di Zn2+ (per esempio solfato di zinco, ZnSO4). Per partecipare attivamente
come reagente nella semireazione di ossidazione, la barretta di zinco conduce
gli elettroni ceduti al di fuori della semicella.
2. La semicella di riduzione. In questo caso il compartimento catodico è costitu-
ito da una barretta di rame metallico (il catodo) immerso in una soluzione
elettrolitica di Cu2+ [per esempio solfato di rame(II), CuSO4]. Per partecipare
attivamente come reagente nella semireazione di riduzione, la barretta di rame
conduce gli elettroni all’interno della semicella.
3. Cariche relative degli elettrodi (polarità). Le cariche degli elettrodi sono deter-
minate dalla sorgente di elettroni e dalla direzione del flusso degli elettroni
attraverso il circuito. In questa cella lo zinco metallico viene ossidato all’ano-
do producendo ioni Zn2+ ed elettroni. Gli ioni Zn2+ entrano e fluiscono nella
soluzione mentre gli elettroni entrano nel cavo elettrico. Gli elettroni fluisco-
no da sinistra a destra attraverso il cavo verso il catodo. Qui gli ioni Cu2+ in
soluzione acquistano gli elettroni e vengono ridotti ad atomi di Cu. Durante il
possono diffondere attraverso di esso dentro e fuori dalle semicelle. Reazione completa di cella
Per mantenere l’elettroneutralità della soluzione nella semicella di riduzione 2MnO4−(aq) + 16H+(aq) + 10I−(aq)
(destra, compartimento catodico) man mano che ioni Cu2+ si convertono in 2Mn2+(aq) + 5I2(s) + 8H2O(l)
atomi Cu, ioni Na+ passano dal ponte salino alla soluzione (e alcuni ioni SO42−
passano dalla soluzione nel ponte salino). Analogamente, per mantenere l’elet- Figura 21.6 Una cella voltaica
con elettrodi inerti. Nella rea-
troneutralità nella semicella di ossidazione (sinistra, compartimento anodico) zione tra I− e MnO4− in soluzione
man mano che atomi di Zn si trasformano in ioni Zn2+, ioni SO42− passano dal acida non ci sono specie che pos-
ponte salino nella soluzione (e alcuni ioni Zn2+ passano dalla soluzione nel sano agire da elettrodi, perciò per
ponte salino). Così, come illustrato in Figura 21.5A, il circuito è completo: gli costruire una cella basata su que-
sta reazione si usano elettrodi inerti
elettroni si muovono da sinistra a destra nel cavo elettrico, mentre gli anioni si muo-
di grafite (C).
vono da destra a sinistra e i cationi da sinistra a destra attraverso il ponte salino.
5. Elettrodi attivi e inerti. Gli elettrodi nella cella Zn/Cu2+ sono elettrodi attivi per-
ché i metalli partecipano alle semireazioni. Durante il funzionamento della cella
la massa dell’elettrodo di zinco diminuisce gradualmente e la concentrazione
[Zn2+] nella semicella anodica aumenta. Parallelamente, la massa dell’elettrodo
di rame aumenta e la concentrazione [Cu2+] nella semicella catodica diminui-
sce. Si dice che Cu2+ si deposita sull’elettrodo. La Figura 21.5B mostra gli elet-
trodi rimossi dalle rispettive semicelle dopo diverse ore di funzionamento.
Per molte reazioni redox però non esistono reagenti o prodotti che possano funzio-
nare da elettrodi. In questi casi si utilizzano elettrodi inerti. Gli elettrodi inerti più
comuni sono barrette di grafite o platino: conducono elettroni entro e fuori la cella
ma non prendono parte alle semireazioni. Per esempio, in una cella voltaica basata
sulle seguenti semireazioni, le specie reagenti non possono agire da elettrodi:
2I− ( aq ) ⎯ ⎯
→ I 2 ( s ) + 2e− [anodo: ossidazione]
MnO−4 ( aq ) + 8H+ ( aq ) + 5e− ⎯⎯→ Mn 2+ ( aq ) + 4H2O( l ) [catodo: riduzione]
Perciò ciascuna semicella è costituita da elettrodi inerti immersi in una soluzione elet-
trolitica che contiene tutte le specie coinvolte nella semirazione (Figura 21.6). Nella se-
micella anodica ioni I− si ossidano a I2 solido. Gli elettroni ceduti fluiscono attraverso
l’anodo di grafite e il cavo elettrico fino al catodo di grafite. Lì gli elettroni sono acqui-
stati dagli ioni MnO4− che si riducono a ioni Mn2+. (Si utilizza un ponte salino di KNO3).
Dalle Figure 21.5A e 21.6 si può notare l’esistenza di elementi fissi nello sche-
ma di qualsiasi cella voltaica. La struttura fisica include i contenitori delle semicelle,
gli elettrodi, i cavi e il ponte salino ai quali si aggiungono i seguenti dettagli:
• componenti di semicella: materiali elettrodici, ioni elettrolitici e ogni altra
sostanza coinvolta nella reazione;
• nome dell’elettrodo (anodo o catodo) e carica; per convenzione il comparti- CELLA GALVANICA
mento anodico si pone a sinistra;
Ciò indica che, nel compartimento catodico gli ioni H+, MnO4− e Mn2+ sono
tutti in una soluzione acquosa in cui è immersa la grafite. Spesso si specifica
la concentrazione delle diverse componenti in soluzione; per esempio se la
concentrazione di Zn2+ e Cu2+ è 1 M, si scrive:
Zn( s ) | Zn 2+ (1 M ) || Cu 2+ (1 M ) | Cu( s )
• Le componenti di semicella appaiano generalmente nello stesso ordine in cui
appaiono nelle semireazioni e gli elettrodi all’estrema destra e all’estrema sini-
stra della rappresentazione.
• Una doppia linea verticale separa le semicelle e rappresenta la separazione di
fase a entrambe le estremità del ponte salino (gli ioni nel ponte salino vengono
omessi perché non prendono parte alla reazione).
Scrivere l’equazione bilanciata completa della cella. Moltiplichiamo per tre la semireazione
di riduzione per bilanciare gli e−, quindi sommiamo le semireazioni per ottenere la comple-
ta reazione redox spontanea:
e− e−
Cr( s ) + 3Ag + ( aq ) ⎯ ⎯→ Cr 3+ ( aq ) + 3Ag( s ) Voltmetro
Determinare le direzioni di flussi di elettroni e di ioni. Gli e− ceduti nell’elettrodo di Cr Anodo Catodo
(negativo) fluiscono attraverso il circuito esterno verso l’elettrodo di Ag (positivo). Man (−)
K+ (+)
Cr NO3− Ag
mano che ioni Cr3+ si formano nella soluzione elettrolitica anodica, ioni NO3− affluiscono
dal ponte salino per mantenere l’elettroneutralità della soluzione. Man mano che ioni Ag+
si separano dalla soluzione elettrolitica catodica e si depositano sull’elettrodo di Ag, ioni K+
affluiscono dal ponte salino per mantenere l’elettroneutralità della soluzione. Il disegno di
questa cella è riportato a lato.
Scrivere lo schema della cella:
Cr3+ Ag+
Cr( s ) | Cr 3+ ( aq ) || Ag + ( aq ) | Ag( s )
Verifica Essere sempre sicuri che sia le semireazioni sia la reazione completa di cella siano Semireazione di ossidazione
Cr(s) Cr3+(aq) + 3e−
bilanciate, che le semicelle contengano tutti i componenti delle semireazioni e che siano
mostrati i flussi di elettroni e ioni. Per controllo, dovreste essere in grado di scrivere le
semireazioni dallo schema della cella. Semireazione di riduzione
Ag+(aq) + e− Ag(s)
Commento Il punto cruciale nel rappresentare una cella voltaica è di usare una reazione
spontanea per identificare le semireazioni di ossidazione (anodo) e riduzione (catodo). Reazione completa di cella
Cr(s) + 3Ag+(aq) Cr3+(aq) + 3Ag(s)
PROBLEMA DI APPROFONDIMENTO 21.2 In un compartimento di una cella
voltaica, una barretta di grafite è immersa in una soluzione acida di K2Cr2O7 e Cr(NO3)3;
nell’altro una barretta di stagno è immersa in una soluzione di Sn(NO3)2. Le due semicelle
sono unite da un ponte salino di KNO3. L’elettrodo di stagno è negativo rispetto alla grafite.
Disegnare la cella, scrivere le equazioni bilanciate e rappresentare schematicamente la cella.
esterno (energia elettrica). L’energia elettrica può essere utilizzata per compiere la-
voro ed è proporzionale alla differenza di potenziale elettrica tra i due elettrodi. Tale dif-
ferenza di potenziale elettrica tra gli elettrodi è il potenziale di cella (ΔE) anche
detto differenza di potenziale (d.d.p.) della cella o forza elettromotrice (fem).
Gli elettroni sono carichi negativamente perciò fluiscono spontaneamente dal
polo negativo al polo positivo, cioè verso l’elettrodo con potenziale elettrico più
positivo. Quando la cella funziona spontaneamente la differenza tra i potenziali elet-
trodici è positiva, ovvero il potenziale della cella è positivo:
ΔE > 0 per un processo spontaneo (21.1)
Più positivo è ΔE, maggiore è il lavoro che la cella può compiere e più la reazio-
ne (scritta nel verso in cui avviene spontaneamente) procede verso destra. D’altro
canto un potenziale di cella negativo è associato con una reazione di cella non
spontanea. Se ΔE = 0 la reazione ha raggiunto l’equilibrio e la cella non può più
compiere lavoro. (C’è una chiara relazione tra ΔE, K e ΔG che discuteremo nel
Paragrafo 21.4).
Come sono correlate le unità di potenziale di cella a quelle dell’energia di
sponibile per compiere lavoro? Come abbiamo visto precedentemente, viene
compiuto un lavoro quando si muovono le cariche tra diversi compartimenti
elettrodici con diverso potenziale elettrico. L’unità SI del potenziale elettrico è
il volt (V) e quella della carica elettrica è il coulomb (C). Per definizione per
due elettrodi il cui potenziale differisce di 1 V, viene rilasciato 1 joule di energia
(ovvero si può compiere un lavoro di 1 joule) per ogni coulomb di carica che si
muove tra gli elettrodi. Così:
1 V = 1 J/C (21.2)
La Tabella 21.1 elenca i potenziali (differenza di potenziale) di alcune celle voltai-
che commerciali e naturali. Vediamo ora come misurare il potenziale di cella.
Semicella di Cu Potenziali standard di cella
(catodo, riduzione)
La misura del potenziale di una cella voltaica è influenzata dalle variazioni in concen-
trazione che avvengono man mano che la reazione procede e dalle perdite di energia
dovute al riscaldamento della cella e del circuito esterno. Pertanto, per poter con-
frontare le uscite di diverse celle si utilizza il potenziale standard di cella (ΔE 0),
cioè il potenziale misurato a una determinata temperatura (generalmente 298 K),
senza flusso di corrente* e in cui tutti i componenti sono nel loro stato standard: 1 atm
Semicella di Zn per i gas, 1 M per le soluzioni, solido puro per gli elettrodi. Quando la cella zinco-
(anodo, ossidazione)
rame che abbiamo disegnato in Figura 21.5 opera in condizioni standard, ovvero
quando [Zn2+] = [Cu2+] = 1 M, la cella produce 1,10 V a 298 K (vedi foto):
Zn( s ) + Cu 2+ ( aq , 1 M ) ⎯ ⎯
→ Zn 2+ ( aq , 1 M ) + Cu( s ) ΔE 0 = 1,10 V
La cella zinco-rame opera in
condizioni standard a 298 K.
(Foto: © Richard Megna/ Potenziali standard di semicella Così come ogni semireazione costituisce una
Fundamental Photographs, NYC). parte della reazione complessiva, il potenziale di ogni semicella è parte del potenziale
* La corrente richiesta per far funzionare i moderni voltmetri digitali modifica in maniera trascurabile il
valore di ΔE 0.
e− 0,76 V e−
Voltmetro
H2
Anodo Catodo H2 (g)
Zn (−) Ponte salino (+)
e− 1 atm superficie
bolla di H2
di Pt
2 e− ceduti per
atomo di Zn ossidato Filo di Pt 2H2O
Zn 2+ Pt
2 e− acquistati per e−
molecola di H2
Zn formata
1 M Zn 2+ 1 M H3O+ 2H3O+
Semireazione di ossidazione
Zn(s) Zn2+(aq) + 2e−
Semireazione di riduzione
2H3O +(aq ) + 2e− H2(g ) + 2H2O(l )
Figura 21.7 Determinare zinco è negativo rispetto all’elettrodo di idrogeno, perciò lo zinco verrà ossidato
un valore ignoto di E0 con all’anodo. Il potenziale misurato della cella è E0 = + 0,76 V e da questo valore pos-
l’elettrodo standard di riferi- siamo determinare il potenziale standard incognito, E 0Zinco:
mento (idrogeno). Una cella
voltaica è costruita con una 2H+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ H2 ( g ) 0
E riferimento = 0,00 V [ catodo: riduzione ]
semireazione di Zn in una
semicella e la semireazione di Zn( s ) ⎯ ⎯ 2+
→ Zn ( aq ) + 2e − 0
EZinco =
?V [ anodo: ossidazione ]
riferimento di idrogeno nell’al-
+ 2+
tra. L’ingrandimento della semi- Zn( s ) + 2H ( aq ) ⎯ ⎯
→ Zn ( aq ) + H2 ( g ) ΔE = 0,76 V
0
Calcolare E 0Bromo:
ΔE 0 = E 0catodo − E 0anodo = E 0Bromo − E 0Zinco
E 0Bromo = E 0 + E 0Zinco = 1,83 V + (−0,76 V) = 1,07 V
Verifica Una buona verifica è accertarsi che E 0Bromo − E 0Zinco dia ΔE 0 = 1,07 V − (−0,76 V) =
1,83 V.
Commento Ricordate che qualsiasi sia la semicella incognita, la riduzione è la semireazio-
ne catodica e l’ossidazione è la semireazione anodica. Sottrarre sempre E 0anodo da E 0catodo per
ottenere ΔE 0.
potere riducente
potere ossidante
Fe3+(aq) + e− Fe2+(aq) +0,77
O2(g) + 2H2O(l) + 4e−
4OH−(aq) +0,40
Cu2+(aq) + 2e− Cu(s) +0,34
2H+(aq) + 2e− H2(g) 0,00
N2(g) + 5H+(aq) + 4e− N2H5+(aq) −0,23
2+
Fe (aq) + 2e −
Fe(s) −0,44
Zn2+(aq) + 2e− Zn(s) −0,76
2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) −0,83
Na+(aq) + e− Na(s) −2,71
Li+(aq) + e− Li(s) −3,05
te ossidante (ha il valore più negativo di E0) e Li(s) è il più forte agente riducente.
Si può notare un’analogia con le coppie coniugate acido-base: un acido forte forma
una base coniugata debole e viceversa, proprio come un forte agente ossidante forma
un debole agente riducente e viceversa. Se dimenticate l’ordinamento della tabella,
dovreste contare sulle vostre conoscenze della chimica degli elementi. Infatti, do-
vreste sapere che F2 è molto elettronegativo e normalmente esiste come F−. Si ri-
duce facilmente (acquista elettroni), dunque deve essere un forte agente ossidante
(elevato E0, positivo). In maniera simile, Li metallico ha basso valore di energia di
ionizzazione ed esiste normalmente come Li+. Si ossida facilmente (cede elettroni),
perciò deve essere un forte agente riducente (basso E0, negativo).
Zn( s ) + Cu 2+ ( aq ) ⎯⎯
→ Zn 2+ ( aq ) + Cu( s )
agente riducente agente ossidante agente ossidante agente riducente
più forte più forte più debole più debole
Anche qui, si noti la similarità con la chimica acido-base. L’acido e la base più forti
formano spontaneamente rispettivamente la base e l’acido più deboli. I membri di
una coppia coniugata acido-base differiscono per un protone: l’acido ha il protone e
la base non lo ha. I membri di una coppia redox, quali Zn e Zn2+, differiscono per uno
o più elettroni: la forma ridotta (Zn) ha gli elettroni e la forma ossidata (Zn2+) non
li ha. Nelle reazioni acido base confrontiamo la forza acida o basica tramite i valori
di Ka e Kb. Nelle reazioni redox confrontiamo la forza ossidante o riducente tramite
i valori di E0.
Sulla base dell’ordine dei valori di E0 riportati nell’Appendice D la semireazione
del più forte agente ossidante (specie sulla sinistra) ha un valore di E0 più elevato (più
positivo o meno negativo) e la semireazione del più forte agente riducente (specie sulla
destra) ha un valore di E0 minore (meno positivo o più negativo). Perciò una reazione
spontanea (ΔE0 > 0) avverrà tra un agente ossidante e un agente riducente che
si trova al di sotto nella lista. Per esempio, Cu2+ (sinistra) e Zn (destra) reagiscono
spontaneamente e Zn è al di sotto di Cu2+. In altre parole, una reazione spontanea
è costituita da una semireazione che procede nel verso della riduzione (cioè scritta
come nella tabella) e una seconda semireazione, elencata in posizione inferiore nel-
la tabella, che procede come un’ossidazione (cioè scritta nel senso inverso). Questo
accoppiamento di semireazioni assicura che l’agente ossidante più forte (in alto a
sinistra) e l’agente riducente più forte (in basso a destra) saranno i reagenti.
Conoscendo i potenziali elettrodici possiamo comunque scrivere una reazione
spontanea, anche se i dati dell’Appendice D non sono disponibili. Scegliamo una
coppia di semireazioni dall’appendice e, senza far riferimento alla loro posizione
relativa nell’elenco, uniamole per scrivere una reazione redox spontanea:
Ag + ( aq ) + e− ⎯ ⎯
→ Ag( s ) 0
E Argento = 0,80 V
Sn 2+ ( aq ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Sn( s ) 0
EStagno = −0,14 V
Si devono seguire due passi.
1. Invertire una delle semireazioni in un’ossidazione in modo che la differenza
dei potenziali elettrodici (catodo meno anodo) dia un valore positivo di ΔE0.
2. Sommare le semireazioni riarrangiate in modo da ottenere una reazione com-
plessiva bilanciata. Accertarsi di moltiplicare per gli opportuni coefficienti in
modo che e− ceduti siano uguali a e− acquistati e di elidere le specie presenti
in entrambi i lati della reazione.
(Potreste essere tentati, in questo caso, di sommare le due reazioni così come sono
scritte perché si otterrebbe un valore di ΔE0 positivo, ma si avrebbero due agenti
ossidanti che formano due agenti riducenti e questo non è possibile).
Vogliamo accoppiare il più forte agente ossidante e il più forte agente ridu-
cente come reagenti. Il valore più elevato (più positivo) di E0 della semireazione
dell’argento indica che Ag+ è un agente ossidante più forte (acquista più facilmente
elettroni) di Sn2+; il valore inferiore (più negativo) di E0 della semireazione dello
stagno indica che Sn è un agente riducente più forte (cede più facilmente elettroni)
di Ag. Perciò, invertiamo la semireazione dello stagno:
→ Sn 2+ ( aq ) + 2e−
Sn( s ) ⎯ ⎯ 0
EStagno =
−0,14 V
Sn( s ) + 2Ag + ( aq ) ⎯ ⎯
→ Sn 2+ ( aq ) + 2Ag( s ) ΔE 0 = E Argento
0
− EStagno
0
= 0,94 V
Con la reazione spontanea scritta così, i reagenti sono l’agente ossidante più forte e
l’agente riducente più forte, il che conferma che Sn è una gente riducente più forte
di Ag e che Ag+ è un agente ossidante più forte di Sn2+.
È molto importante notare che nel raddoppiare i coefficienti della semirea-
zione dell’argento per bilanciare il numero di elettroni, non si è raddoppiato il suo
valore di E0 – è rimasto 0,80 V. Ovvero, variare i coefficienti di una semireazione non
cambia il valore di E0. Questo perché E0 è una proprietà intensiva che non dipende
dalla quantità di sostanza presente. Il potenziale è un rapporto tra energia e carica.
Quando si cambiano i coefficienti, aumentando così la quantità di sostanza, l’ener-
gia e la carica aumentano proporzionalmente e il loro rapporto rimane costante.
(Analogamente, la densità, che è anch’essa una proprietà intensiva, non varia con la
quantità di sostanza perché la massa e il volume aumentano proporzionalmente).
La combinazione delle semireazioni (1) e (3) dà la reazione (B). La semireazione (1) dev’es-
sere invertita:
(inv 1) NO(g) + 2H2O(l) NO3−(aq) + 4H+(aq) + 3e− E 0 = 0,96 V
(3) MnO2(s) + 4H+(aq) + 2e− Mn2+(aq) + 2H2O(l) E 0 = 1,23 V
Moltiplichiamo la semireazione (1) invertita per due e la semireazione (3) per tre, poi som-
miamo e semplifichiamo:
2NO(g) + 4H2O(l) 2NO3−(aq) + 8H+(aq) + 6e− E 0 = 0,96 V
3MnO2(s) + 12H+(aq) + 6e− 3Mn2+(aq) + 6H2O(l) E 0 = 1,23 V
(B) 3MnO2(s) + 4H+(aq) + 2NO(g) 3Mn2+(aq) + 2H2O(l) + 2NO3−(aq)
ΔE 0 = 1,23 V − 0,96 V = 0,27 V
La combinazione delle semireazioni (2) e (3) dà la reazione (C). La semireazione (2) dev’essere
invertita:
(inv 2) N2H5+(aq) N2(g) + 5H+(aq) + 4e− E 0 = −0,23 V
(3) MnO2(s) + 4H+(aq) + 2e− Mn2+(aq) + 2H2O(l) E 0 = 1,23 V
Moltiplichiamo la semireazione (3) per due, sommiamo e semplifichiamo:
N2H5+(aq) N2(g) + 5H+(aq) + 4e− E 0 = −0,23 V
2MnO2(s) + 8H (aq) + 4e−
+
2Mn2+(aq) + 4H2O(l) E 0 = 1,23 V
(C) N2H5+(aq) + 2MnO2(s) + 3H+(aq) N2(g) + 2Mn2+(aq) + 4H2O(l)
ΔE 0 = 1,23 V − (−0,23 V) = 1,46 V
Reattività relative dei metalli Nel Capitolo 4 abbiamo visto che un metallo
più attivo può ridurre lo ione di un metallo meno attivo alla sua forma elementare,
spostandolo dalla sua soluzione acquosa. La serie di attività dei metalli (vedi Figu-
ra 4.19) ordina i metalli in base a questa reattività relativa.
Ora vedremo perché avviene questo spostamento, perché molti metalli, ma
non tutti, reagiscono con acidi per formare H2 e perché alcuni metalli formano H2
persino semplicemente in acqua. Tutte queste variazioni della reattività dei metalli
diventano chiare se si esaminano i potenziali elettrodici standard.
1. Metalli che spostano H2 da acidi. La semireazione standard di idrogeno rappresenta
la riduzione a H2 di ioni H+ derivanti da un acido:
2H+(aq) + 2e− H2(g) E 0 = 0,00 V
Per vedere quali metalli riducono H+ (spostano H2) dagli acidi, si sceglie un metallo,
si scrive la sua semireazione come un’ossidazione, si combina questa semireazione
con quella dell’idrogeno e si verifica se ΔE0 è positivo. Quello che si trova è che i
metalli da Li a Pb che si trovano al di sotto della semireazione dell’idrogeno (riferi-
mento) nell’Appendice D, danno un valore positivo di ΔE0 quando riducono H+.
Per esempio, il ferro riduce H+ derivante da un acido a H2:
Fe(s) Fe2+(aq) + 2e− E 0 = −0,44 V [anodo: ossidazione]
2H (aq) + 2e−
+
H2(g) E 0 = 0,00 V [catodo: riduzione]
Fe(s) + 2H+(aq) H2(g) + Fe2+(aq) ΔE 0 = 0,00 V − (−0,44 V) = 0,44 V
Più il metallo si trova in basso nella tabella, maggiore è la sua forza riducente:
pertanto maggiore sarà il potenziale di semicella quando la semireazione viene
invertita e maggiore ΔE0 per la riduzione di H+ a H2. Se ΔE0 di un metallo A per la
riduzione di H+ è più positivo di ΔE0 di un metallo B, il metallo A è un agente riducente
più forte del metallo B ed è un metallo più attivo.
2. Metalli che non spostano H2 da acidi. I metalli che si trovano al di sopra della semi-
reazione dell’idrogeno (riferimento) non possono ridurre H+ derivante da un acido.
Semireazione di ossidazione
Più il metallo si trova in alto nella tabella, più negativo è ΔE0 per la riduzione di H+
Ca(s) Ca2+(aq) + 2e− a H2, minore è la sua forza riducente e meno attivo è il metallo. Così, l’oro è meno
attivo dell’argento, il quale è meno attivo del rame.
Semireazione di riduzione
2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) 3. Metalli che spostano H2 dall’acqua. I metalli sufficientemente attivi da spostare H2
dall’acqua si trovano al di sotto della semireazione relativa alla riduzione dell’acqua:
Reazione completa di cella
Ca(s) + 2H2O(l) Ca(OH)2(aq) + H2(g) 2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) E = −0,42 V
Figura 21.8 La reazione del (Il valore di potenziale mostrato qui è il valore non standard perché in acqua pura
calcio in acqua. Il calcio è uno [OH−] è 1,0 × 10−7, non il valore dello stato standard 1 M). Si consideri la reazione
dei metalli sufficientemente
del sodio in acqua (con la semireazione del sodio invertita e moltiplicata per due):
attivi da spostare H2 da H2O.
(Foto: © McGraw-Hill Education/ 2Na(s) 2Na+(aq) + 2e− E 0 = −2,71 V [anodo: ossidazione]
Stephen Frisch, photographer). 2H2O(l) + 2e− H2(g) + 2OH−(aq) E 0 = −0,42 V [catodo: riduzione]
2Na(s) + 2H2O(l) 2Na+(aq) + H2(g) + 2OH−(aq)
ΔE0 = −0,42 V − (−2,71 V) = 2,29 V
I metalli alcalini [Gruppo 1A(1)] e i metalli alcalino terrosi più grandi [Gruppo 2A(2)]
spostano H2 da H2O (Figura 21.8).
4. Metalli che spostano altri metalli dalle soluzioni. Si può anche predire se un metallo
può ridurre lo ione di un altro in soluzione acquosa. Ogni metallo che si trova più
in basso nell’elenco dell’Appendice D può ridurre lo ione di un metallo che si trova
più in alto e così spostarlo dalla soluzione. Per esempio, lo zinco può spostare il
ferro dalla soluzione:
Zn(s) Zn2+(aq) + 2e− E 0 = −0,76 V [anodo, ossidazione]
Fe (aq) + 2e−
2+
Fe(s) E = −0,44 V [catodo, riduzione]
Zn(s) + Fe2+(aq) Zn2+(aq) + Fe(s) ΔE 0 = −0,44 V − (−0,76 V) = 0,32 V
Al Al3+ + 3e− Foglio
Questa particolare reazione ha una grandissima importanza economica nella protezione
Ag/Sn/Hg Saliva
del ferro dalla corrosione. Il potere riducente dei metalli può avere anche conseguenze
Otturazione
che ci interessano più direttamente, come messo in evidenza nella nota a margine.
O2 + 4H+ + 4e−
2H2O
La carica che passa attraverso la cella è uguale al numero di moli di elettroni (n)
trasferiti nella reazione redox bilanciata moltiplicato per la carica di una mole di
elettroni (simbolo F):
carica
numero di moli di e− ×
carica = o carica =
nF
1 mole di e−
La carica associata a una mole di elettroni è la costante di Faraday (F), dal nome
di Michael Faraday, lo scienziato inglese del XIX secolo che fu uno dei pionieri
dello studio dell’elettrochimica:
96 485 C
F=
mol e−
Poiché 1 V = 1 J/C, si ha che 1 C = 1 J/V e
J
=
F 9,65×104 (con tre cifre significative) (21.4)
V ⋅ mol e−
Sostituendo questo risultato, la costante di proporzionalità tra potenziale e varia-
zione di energia libera è nF:
ΔG = −nFΔE (21.5)
Quando tutti i componenti sono nei loro stati standard, si ottiene la seguente re-
lazione:
ΔG0 = −nFΔE 0 (21.6)
Utilizzando questa relazione possiamo collegare il potenziale standard di cella alla
costante di equilibrio della reazione redox. Ricordiamo che:
ΔG0 = −RT ln K
Sostituendo l’espressione di ΔG0 dall’Equazione 21.6, si ottiene:
−nFΔE 0 = −RT ln K
Risolvendo in funzione di ΔE0 si ha:
RT
ΔE 0 = ln K (21.7)
nF
La Figura 21.9 presenta un riassunto delle relazioni che collegano la variazione di
energia libera standard, la costante di equilibrio e il potenziale standard di cella. Le
procedure che abbiamo esaminato precedentemente per determinare K richiede-
vano la conoscenza di ΔG0, calcolata con l’equazione di Gibbs a partire dai valori di
ΔH0 e ΔS0 di reazione o dai valori di ΔG0f. Ora abbiamo un metodo sperimentale
diretto per determinare K e ΔG0 per le reazioni di ossidoriduzione: misurare ΔE0.
ΔG
E0
FΔ
minano la direzione di reazione
0
=
B
−n
in condizioni di stato standard.
−R
=
Tl
ΔG 0
nK
ΔE0 K
ΔE0 = RT ln K
A nF
Calcolo di K e ΔG 0 da ΔE 0
PROBLEMA DI VERIFICA 21.5
Problema Il piombo può spostare l’argento da una soluzione:
Pb(s) + 2Ag+(aq) Pb2+(aq) + 2Ag(s)
Come conseguenza, l’argento è un prezioso sottoprodotto dell’estrazione industriale del
piombo dai suoi minerali. Calcolate K e ΔG0 a 25°C per questa reazione.
Piano Dividiamo la reazione redox spontanea in semireazioni e usiamo i valori riportati
nell’Appendice D per calcolare ΔE0. Poi sostituiamo il risultato nell’Equazione 21.8 per
calcolare K e nell’Equazione 21.6 per calcolare ΔG0.
Risoluzione Scrivere le semireazioni e i loro valori di E 0:
(1) Ag+(aq) + e− Ag(s) E 0 = 0,80 V
−
(2) Pb (aq) + 2e
2+
Pb(s) E 0 = −0,13 V
Calcolare ΔE : moltiplichiamo per due (1), invertiamo (2), sommiamo le semireazioni e
0
RT
ΔE = ΔE 0 − ln Q (21.9)
nF
L’equazione di Nernst ci dice che il potenziale di cella in ogni condizione dipende
dal potenziale con concentrazioni di stato standard e da un termine per il poten- • Walther Hermann Nernst
(1864-1941) Il grande chimico-
ziale con concentrazioni non standard. Com’è influenzato il potenziale di cella dalle
variazioni di Q? Dall’Equazione 21.9 possiamo vedere che: fisico tedesco aveva solo 25 anni
quando sviluppò l’equazione che
• quando Q < 1 e dunque [reagenti] > [prodotti], ln Q < 0 e ΔE > ΔE0; correla il potenziale di cella e la
concentrazione. Durante la sua car-
• quando Q = 1 e dunque [reagenti] = [prodotti], ln Q = 0 e ΔE = ΔE0;
riera, che culminò con il premio
• quando Q > 1 e dunque [reagenti] < [prodotti], ln Q > 0 e ΔE < ΔE0. Nobel nel 1920, formulò la terza
legge della termodinamica e il prin-
Come già fatto precedentemente, sostituendo i valori noti di R e F, operando con cipio del prodotto di solubilità;
la cella a 25 °C (298 K) e convertendo i logaritmi in base 10, otteniamo: contribuì inoltre con idee chiave
allo sviluppo della fotochimica e del
0,0592 V
ΔE = ΔE 0 − log Q (a 25 °C) (21.10) processo Haber. (Foto: © rook76/
n Shutterstock).
• Se Q/K > 1, ΔE è negativo per la reazione nel verso in cui è scritta. La cella
funzionerà in senso inverso – avrà luogo la reazione inversa – e compirà lavoro
fino a che Q = K all’equilibrio.
Celle a concentrazione
Sappiamo che se una soluzione concentrata di un sale viene posta in contatto
con una soluzione diluita si ha mescolamento spontaneo e la concentrazione
finale delle due soluzioni diventa uguale e con un valore intermedio. Una cella
a concentrazione utilizza questa tendenza spontanea per generare energia
elettrica. Le due soluzioni sono in semicelle separate, perciò non si mescolano
fisicamente: le loro concentrazioni diventano uguali mediante il funzionamento
della cella. Chimici, biologi e scienziati ambientali utilizzano le celle a concen-
trazione in numerose applicazioni.
→ Cu 2+ ( aq ; 0,10 M ) + 2e−
Cu( s ) ⎯ ⎯ [anodo: ossidazione]
Cu 2+ ( aq ; 1, 0 M ) + 2e− ⎯ ⎯
→ Cu( s ) [catodo: riduzione]
e− 0,0296 V e− e− 0,00 V e−
Voltmetro Voltmetro
Anodo Catodo Anodo Catodo
(−) (−)
Cu Ponte salino (+) Cu Cu Ponte salino (+) Cu
2e− 2e−
⎡ 0, 0592 V ⎤
= 0 V−⎢ (−1, 00)⎥ = 0, 0296 V
⎢⎣ 2 ⎥⎦
Come si può vedere da questo risultato ΔE di una cella a concentrazione dipende
unicamente dal termine [(0,0592 V/n) log Q] per condizioni non standard perché
ΔE0 è uguale a zero.
Cosa succede effettivamente durante il funzionamento della cella? Nella semi-
cella diluita (anodo) gli atomi di Cu dell’elettrodo cedono elettroni e diventano ioni
Cu2+ che passano in soluzione e la rendono più concentrata. Gli elettroni ceduti
all’anodo fluiscono nel compartimento catodico dove vengono acquistati da ioni
Cu2+ in soluzione che si riducono ad atomi di Cu. Questi si depositano sull’elet-
trodo e la soluzione diventa meno concentrata. Come in ogni cella voltaica ΔE
diminuisce fino al raggiungimento dell’equilibrio, il che avviene quando le concen-
trazioni di Cu2+ nelle due semicelle sono uguali (Figura 21.11B). Si otterrebbe lo
stesso risultato miscelando le due soluzioni ma non si compirebbe lavoro elettrico.
Come abbiamo visto per la cella a concentrazione Cu/Cu2+, ΔE0 è zero; le due se-
micelle differiscono però nella [H+], perciò ΔE non è zero. Dall’equazione di Nernst,
con n = 2, otteniamo:
0, 0592 V [H+ ]incognita
2
ΔE = ΔE 0 − log + 2
2 [H ]standard
• Minimicroanalisi La minia-
troppo ingombrante e di difficile manutenzione per essere utilizzabile nelle misure
di routine di pH. Al suo posto viene utilizzato un pH-metro, come indicato nel Capi-
turizzazione dei componenti
elettronici ha molto ampliato le
tolo 18. Come mostrato in Figura 21.12, i due elettrodi di un pH-metro sono immer-
applicazioni dell’elettrochimica. I si nella soluzione da esaminare. Uno di essi è un elettrodo di vetro. Questo elettrodo
chimici ambientali usano pH-metri è costituito da una semireazione Ag/AgCl in una soluzione di HCl a concentrazione
tascabili per studiare le acque natu- fissa (di solito 1,000 M) all’interno di una sottile membrana (−0,05 mm) fatta di
rali e il terreno direttamente sul uno speciale vetro altamente sensibile alla presenza di ioni H+. L’altro elettrodo è
campo. I fisiologi e i biochimici
usano elettrodi così piccoli da poter
generalmente un elettrodo saturo di calomelano. Questo elettrodo di riferimento è
essere impiantati chirurgicamente costituito da un filo di platino immerso in una pasta di Hg2Cl2 (calomelano), Hg li-
in una singola cellula biologica per quido e una soluzione satura di KCl. L’elettrodo di vetro misura [H+] nella soluzione
studiare canali ionici e recettori. esterna relativamente a [H+] fissa al suo interno e lo strumento converte la differenza
Nella foto, si vede un microelettro- di potenziale in una misura di pH.
do che registra gli impulsi elettrici
di un singolo neurone nella cortec-
L’elettrodo per la misura di pH è un esempio di elettrodo ione-selettivo (o spe-
cia visiva di una scimmia. (Foto: © cifico). Sono stati progettati elettrodi con membrane specifiche per misurare se-
F.W. Goro). lettivamente le concentrazioni di molti ioni in campioni industriali, ambientali e
Contenitore d’acciaio
Come la pila a secco, la batteria alcalina fornisce energia a radio portatili, giocattoli,
torce elettriche, è economica, sicura e disponibile in diverse dimensioni. Inoltre,
non ha cadute di tensione e ha lunghi tempi di vita.
Batterie a bottone a mercurio e ad argento Le batterie a mercurio e ad argen-
to sono molto simili. Entrambe utilizzano un anodo di zinco (agente riducente) in
un mezzo basico. Una utilizza HgO come agente ossidante e l’altra Ag2O. Entrambe
Anodo: Catodo:
hanno un catodo di acciaio. I reagenti solidi sono compattati separatamente con KOH
Zn in gel
coperchio di KOH contenitore e carta umida costituisce il ponte salino.
di zinco (anodo) (−) di acciaio Anodo (ossidazione): Zn(s) + 2OH−(aq) ZnO(s) + H2O(l) + 2e−
Catodo (riduzione) (mercurio): HgO(s) + H2O(l) + 2e− Hg(l) + 2OH−(aq)
Catodo (riduzione) (argento): Ag2O(s) + H2O(l) + 2e− 2Ag(s) + 2OH−(aq)
Reazione completa (mercurio):
Zn(s) + HgO(s) ZnO(s) + Hg(l) ΔE = 1,3 V
Reazione completa (argento):
Guarnizione
Zn(s) + Ag2O(s) ZnO(s) + 2Ag(s) ΔE = 1,6 V
Separatore
poroso Entrambe sono costruite a forma di un piccolo bottone. La cella a mercurio è usata
Pasticca
di Ag2O in nelle calcolatrici. La cella ad argento ha un’uscita molto stabile ed è utilizzata in
in grafite
(catodo) (+)
orologi (Figura 21.14), macchine fotografiche, pacemakers cardiaci, apparecchi acu-
stici. I loro principali svantaggi sono la tossicità del mercurio che viene rilasciato
Figura 21.14 Batteria a dalle celle gettate via e l’elevato costo delle celle ad argento.
elettrodo ad argento. (Foto:
© McGraw-Hill Education/Pat
Batterie primarie al litio Queste batterie sono ampiamente utilizzate in orologi e
Watson, photographer). impianti medici. (Figura 21.15) La batteria primaria al litio è caratterizzata da un ele-
vatissimo rapporto energia/massa: produce infatti 1 mol di e− (1 F ) da meno di 7 g di
metallo (M del Li = 6,941 g/mol). L’anodo è una lamina di litio metallico e dunque
l’elettrolita deve essere non acquoso. Il catodo è uno dei numerosi ossidi in cui lo ione
litio può intercalarsi tra i piani del cristallo. In molti dispositivi per impianti medici il
catodo è un ossido di vanadio e argento (Silver Vanadium Oxide, SVD; AgV2O5,5) e può
fornire energia per molti anni. Le semireazioni sono:
Anodo (ossidazione): 3,5Li(s) 3,5Li+ + 3,5e−
Catodo (riduzione): AgV2O5,5 + 3,5Li + 3,5e−
+
Li3,5AgV2O5,5
Reazione completa: AgV2O5,5 + 3,5Li(s) Li3,5AgV2O5,5
Isolante (+)
Guaina termoaderente
ELETTROLITA
(membrana
polimerica
perfluorosolfonica)
H3O+
H3O+
+
H3 O
H3O+
Catalizzatore a base
di Pt depositato su grafite H O(l) in
2
uscita
e migrano verso il catodo, mentre i due ioni H+ formati si idratano, formando H3O+,
e migrano attraverso l’elettrolita. Il meccanismo proposto prevede una serie di pas-
saggi: sullo strato catalitico del catodo O2 acquista un e– per formare O2−, uno ione
H3O+ cede il suo protone allo ione O2−, formando HO2 (ovvero HOO). Il legame OO
si allunga e si rompe quando un altro ione H3O+ cede il suo H+ e il catalizzatore
fornisce un secondo e–: si è formata la prima molecola di H2O. In modo analogo, un
terzo H+ e un e− attaccano l’atomo di O che si è liberato e formano OH, che lega un
quarto H+ e un e− per formare una seconda molecola di H2O. A questo punto si ha
il desorbimento di entrambe le molecole d’acqua, che lasciano la cella.
Le celle a combustibile sono state utilizzate per anni per produrre energia e
acqua pura durante le missioni spaziali. Nel prossimo futuro, simili celle forniranno
energia per l’autotrazione e la produzione di energia elettrica civile e industriale.
Già oggi molte case automobilistiche producono prototipi di auto alimentate con
celle a combustibile. Queste celle non producono inquinanti e convertono circa
il 75% dell’energia di legame del carburante in elettricità, a differenza del 40% di
una centrale elettrica e del 25% del motore di un’automobile. Naturalmente il loro
reale impatto ambientale deve essere valutato considerando il metodo di produ-
zione dell’idrogeno. L’idrogeno può essere prodotto dall’elettrolisi dell’acqua e se
l’energia necessaria viene ottenuta attraverso energia solare l’impatto ambientale è
trascurabile, ma se si utilizza energia elettrica da una centrale a carbone le conse-
guenze sull’ambiente sono significative. La ricerca sulle celle a combustibile proce-
de sistematicamente e, attualmente, l’attenzione è focalizzata principalmente sullo
sviluppo di membrane a elevata conducibilità e di catalizzatori più efficienti.
Figura 21.20 La corrosione te alla visione semplificata presentata in precedenza, la ruggine non è il prodotto
del ferro. A. Vista ravvicinata di diretto della reazione tra ferro e ossigeno ma la sua formazione è dovuta a una serie
una superficie di ferro. La cor- di complessi processi elettrochimici. Esaminiamo ora i fatti relativi alla corrosione
rosione avviene solitamente su
irregolarità della superficie.
del ferro, quindi utilizzeremo le caratteristiche delle celle voltaiche per spiegarli.
B. Una rappresentazione sche- Fatto 1. Il ferro non arrugginisce in aria secca: deve essere presente umidità.
matica ingrandita della super- Fatto 2. Il ferro non arrugginisce in acqua priva di aria: deve essere presente ossigeno.
ficie che mostra i passaggi del
Fatto 3. La perdita in ferro e la deposizione della ruggine avvengono spesso in posti
processo di corrosione. (Foto: ©
Vincent Roy mastweb/Alamy).
diversi dello stesso oggetto.
Fatto 4. Il ferro arrugginisce più rapidamente a bassi pH (elevata [H+]).
Fatto 5. Il ferro arrugginisce più rapidamente in contatto con soluzioni ioniche.
Fatto 6. Il ferro arrugginisce più rapidamente se è in contatto con un metallo meno
attivo (quale Cu) e più lentamente se è in contatto con un metallo più
attivo (quale Zn).
Immaginiamo la superficie ingrandita di un pezzo di ferro o di acciaio (Figura
21.20). Deformazioni, rigature e indentazioni in contatto con l’acqua sono tipica-
mente i siti di perdita di ferro (Fatto 1). Questi siti sono chiamati regioni anodiche
perché lì avviene la seguente semireazione:
Fe(s) Fe2+(aq) + 2e− [regione anodica: ossidazione]
Quando il ferro ha ceduto elettroni, il danno è stato fatto e si forma una buca dove
si è perduto il ferro.
Gli elettroni ceduti si muovono attraverso il circuito esterno – il ferro stesso
– finché non raggiungono una regione in cui c’è una concentrazione di O2 relativa-
mente alta (Fatto 2), per esempio vicino alla superficie di una gocciolina d’acqua. In
questa regione catodica gli elettroni ceduti dal ferro riducono le molecole di O2:
O2(g) + 4H+(aq) + 4e− 2H2O(l) [regione catodica: riduzione]
Si noti che il processo redox è completo ed è avvenuta perdita di ferro senza for-
mazione di ruggine:
2Fe(s) + O2(g) + 4H+(aq) 2Fe2+(aq) + 2H2O(l)
La ruggine si forma attraverso un’altra reazione redox in cui i reagenti entrano di-
rettamente in contatto. Gli ioni Fe2+ formati originariamente nella regione anodica
migrano attraverso l’acqua che li circonda e reagiscono con O2, spesso in una regio-
ne lontana dalla buca (Fatto 3).
La reazione complessiva per questo passaggio è:
2Fe2+ ( aq ) + 12 O 2 ( g ) + (2 + n )H2O( l ) ⎯ ⎯
→ Fe2O3 ⋅ nH2O( s ) + 4H+ ( aq )
(Il coefficiente non esatto n per H2O nell’equazione precedente è dovuto al fatto
che la ruggine, Fe2O3 ⋅ nH2O, è una forma di ossido di ferro(III) con un numero va-
riabile di molecole d’acqua di idratazione).
La somma delle due equazioni precedenti dà la reazione complessiva per la
formazione di ruggine sul ferro:
2Fe( s ) + 23 O2 ( g ) + nH2O( l ) + 4H+ ( aq ) ⎯ ⎯
→ Fe2O3 ⋅ nH2O( s ) + 4H+ ( aq )
Abbiamo mostrato gli ioni H+ semplificati nei due membri dell’equazione di reazione
per mettere in evidenza la loro azione catalitica: essi vengono usati in una reazione
e creati in un’altra. Come risultato di questa azione, il ferro arrugginisce più rapida-
mente a bassi pH (elevata [H+]) (Fatto 4). Le soluzioni ioniche accelerano il processo
di formazione della ruggine perché migliorano la conduttività del mezzo acquoso
vicino alle regioni anodica e catodica (Fatto 5). L’effetto degli ioni è particolarmente
evidente sui veicoli nautici e sulla carrozzeria delle automobili circolanti in zone a
clima freddo dove si usano sali per sciogliere il ghiaccio su strade sdrucciolevoli.
I componenti del processo di corrosione ricordano, per molti aspetti, quelli di
una cella voltaica:
• le regioni anodica e catodica sono spazialmente separate;
• le regioni sono collegate attraverso un circuito esterno nel quale viaggiano gli
elettroni;
• nella regione anodica il ferro si comporta come un elettrodo attivo, mentre
nella regione catodica come un elettrodo inerte;
• l’umidità che circonda la buca ha, in qualche modo, la funzione di ponte salino,
un mezzo per gli ioni ferro di muoversi avanti e indietro mantenendo l’elettro-
neutralità della soluzione.
uno strato “sacrificale” di zinco è la base del processo di galvanizzazione. Non solo lo
zinco blocca il contatto fisico con H2O e O2, ma viene anche “sacrificato” (ossidato)
asta di
al posto del ferro.
Mg Gli anodi sacrificali vengono impiegati per proteggere strutture di ferro e
di acciaio (tubazioni, serbatoi, oleodotti ecc.) in ambienti marini e sotterranei. I
tubo di ferro metalli più usati per questo scopo sono il magnesio e l’alluminio, elementi molto
più attivi del ferro, che agiscono da anodi mentre il ferro agisce da catodo. Un
esempio è illustrato nella Figura 21.22. Un altro vantaggio di questi metalli è che
essi formano strati superficiali di ossidi adesivi che rallentano la loro stessa corro-
Figura 21.22 L’uso di anodi
sacrificali per prevenire la cor- sione.
rosione del ferro. Metalli attivi,
quali il magnesio e l’alluminio,
vengono collegati a tubazioni 21.7 CELLE ELETTROLITICHE: UTILIZZARE ENERGIA
sotterranee di ferro per preve-
nire la loro corrosione mediante
ELETTRICA PER FAR AVVENIRE
protezione catodica. Il metallo UNA REAZIONE NON SPONTANEA
attivo viene sacrificato al posto
del ferro. Sin qui abbiamo considerato celle voltaiche, dispositivi che generano energia elet-
trica da una reazione redox spontanea. Il principio di una cella elettrolitica è esat-
tamente l’opposto: energia elettrica da una sorgente esterna fa avvenire una reazione
non spontanea.
e− e− e− Generatore esterno e−
0,48 V maggiore di 0,48 V
Voltmetro
Anodo Catodo Anodo Catodo
(−) (+) Cu (−) (+) Cu
Sn Ponte salino Sn Ponte salino
La reazione inversa è dunque non spontanea e non avverrà mai senza interventi
esterni, come indica il valore negativo di ΔE0 e quello positivo di ΔG0:
Cu(s) + Sn2+(aq) Cu2+(aq) + Sn(s) ΔE 0 = −0,48 V e ΔG0 = 93 kJ
Possiamo però far avvenire questo processo fornendo dall’esterno un potenziale
elettrico maggiore di ΔE0. In tal modo convertiamo la cella voltaica in una cella
elettrolitica e cambiamo la natura degli elettrodi – l’anodo è ora il catodo e il catodo
è l’anodo (Figura 21.23B):
Per la cella elettrolitica
Cu(s) Cu2+(aq) + 2e− [anodo: ossidazione]
Sn2+(aq) + 2e− Sn(s) [catodo: riduzione]
Sn2+(aq) + Cu(s) Sn(s) + Cu2+(aq) [reazione completa di cella]
Si noti che in una cella elettrolitica, come in una cella voltaica, l’ossidazione ha luo-
go all’anodo e la riduzione ha luogo al catodo, ma la direzione del flusso di elettroni e le
polarità degli elettrodi sono invertite. Per capire queste variazioni, ricordate il motivo
del flusso di elettroni:
• in una cella voltaica si generano elettroni all’anodo che è pertanto negativo, e
si consumano elettroni al catodo, che è pertanto positivo;
• in una cella elettrolitica gli elettroni provengono dalla sorgente esterna di
Figura 21.24 I processi che
energia elettrica che li fornisce al catodo, che è quindi negativo, e li rimuove avvengono durante la scarica
dall’anodo, che è dunque positivo. e carica di una batteria
piombo-acida. Quando una
Una batteria ricaricabile funziona come cella voltaica nella scarica e come cel- batteria piombo-acida si scarica
la elettrolitica nella carica: essa fornisce perciò un buon sistema per confrontare (alto) si comporta come una
questi due tipi di cella e le variazioni nel funzionamento degli elettrodi. La Figura cella voltaica: l’anodo è negativo
21.24 mostra queste due funzioni nell’accumulatore al piombo. Nel processo di (elettrodo I) e il catodo è positivo
(elettrodo II). Quando si ricarica
scarica (cella voltaica) l’ossidazione avviene all’elettrodo I rendendo quale elettrodo
(basso) si comporta come una
negativo l’anodo. Nel processo di carica (cella elettrolitica) l’ossidazione avviene cella elettrolitica: l’anodo è posi-
all’elettrodo II rendendo quale elettrodo positivo l’anodo. Analogamente il catodo tivo (elettrodo II) e il catodo è
è positivo nella scarica (elettrodo II) e negativo nella carica (elettrodo I). Ribadendo negativo (elettrodo I). (Foto: ©
ancora una volta il concetto, l’ossidazione avviene all’anodo e la riduzione al catodo. Jill Braaten).
VOLTAICA (Scarica)
Motore di
e− avviamento e−
(−) (+)
Anodo Catodo
Interruttore I CELLA PIOMBO-ACIDA II
Catodo Anodo
(−) (+)
e− e−
Generatore
ELETTROLITICA (Carica)
La Tabella 21.4 riassume i processi e le polarità nei due tipi di cella elettrochi-
mica.
Elettrolisi di miscele di sali fusi Nella maggior parte dei casi, l’elettrolita è una
miscela di sali fusi, che viene sottoposta a elettrolisi per ottenere un particolare
metallo. Quando è possibile ottenere più di un prodotto, come possiamo sape-
re quale specie reagirà a quale elettrodo? La regola generale per tutte le celle
elettrolitiche è che la specie che si ossida più facilmente (agente riducente più forte)
reagisce all’anodo e la specie che si riduce più facilmente (agente ossidante più forte)
reagisce al catodo.
È importante realizzare che per l’elettrolisi di miscele di sali fusi non si possono
utilizzare i valori tabulati di ΔE0 per conoscere la forza relativa degli agenti ossidan-
ti e riducenti. Quei valori sono riferiti alle variazioni da ioni acquosi a elementi li-
beri, Mn+(aq) + ne− M(s), nei loro stati standard, ma non ci sono ioni acquosi
in un sale fuso. Dobbiamo basarci piuttosto sulle nostre conoscenze delle tendenze
delle proprietà periodiche per predire quale degli ioni presenti acquista o cede
elettroni più facilmente (Paragrafi 8.4 e 9.4).
E = −1, 23 V − { 0, 0592
4
× ⎣⎢log1 + 4 log (1, 0 ×10 )⎤⎦⎥ } = −0, 82 V
V ⎡ −7