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CITTA’ STUDI BIELLA

Master in Tessile e Salute

MESSA A PUNTO DEI METODI PER LA


DETERMINAZIONE DI SOSTANZE TOSSICHE
NEI MANUFATTI TESSILI

Tutor aziendale: Dott. Riccardo INNOCENTI

Azienda: ISTITUTO CNR-ISMAC - BIELLA

Tesina finale di:


Dott.ssa Cinzia TONETTI

Anno Formativo 2005-2006

"Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento e la comunicazione e/o diffusione dei dati personali"

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- INDICE -

RIASSUNTO I
PRESENTAZIONE ISTITUTO III
1 – INTRODUZIONE 1
1.1 – IL CICLO PRODUTTIVO TESSILE 1
1.1.1 – Filiera della lana 3
1.1.2 – Filiera del cotone e del lino 4
1.1.3 – Filiera dei fili continui 4
1.1.4 – La nobilitazione tessile 5
1.2 – LE MATERIE PRIME 6
1.2.1 – Fibre naturali 6
1.2.2 – Fibre artificiali 9
1.2.3 – Fibre sintetiche 10
1.3 – RELAZIONE TRA CONTAMINAZIONE, FASI DEL CICLO
PRODUTTIVO E MATERIE PRIME 12
1.3.1 – Metalli pesanti 12
1.3.2 – Formaldeide 13
1.3.3 – Ammine aromatiche 13
1.4 – NORMATIVE E MARCHI ECOLOGICI 14
1.4.1 – Azioni volontarie 14
1.4.2 – Normative europee e nazionali 16
2 – MATERIALI E METODI 18
2.1 – DETERMINAZIONE DEI METALLI PESANTI 18
2.1.1 – Messa a punto del metodo 20
2.1.2 – Procedimento seguito 20

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2.1.3 – Analisi del cromo esavalente 21
2.2 – ESTRAZIONE DELLA FORMALDEIDE LIBERA 23
2.2.1 – Principio del metodo 23
2.2.2 – Procedimento seguito 24
2.3 – ESTRAZIONE DELLE AMMINE AROMATICHE 26
2.3.1 – Messa a punto del metodo 27
2.3.2 – Procedimento seguito 27
3 – RISULTATI E DISCUSSIONE 29
3.1 – DETERMINAZIONE DEI METALLI PESANTI 29
3.2 – DETERMINAZIONE DELLA FORMALDEIDE LIBERA 32
3.3 – DETERMINAZIONE DELLE AMMINE AROMATICHE 34
4 – CONCLUSIONI 36
5 – BIBLIOGRAFIA 38

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RIASSUNTO

Il progetto, svolto presso l’Istituto CNR-ISMAC di Biella, si propone di mettere a


punto i metodi di analisi per la determinazione di sostanze tossiche.
Le procedure di analisi, trovate in letteratura, si sono rivelate abbastanza
disomogenee e confuse, quindi durante lo svolgimento del progetto è stato
necessario ottimizzare i vari metodi di analisi, standardizzandoli e rendendoli più
efficienti possibile.
In particolare sono stati analizzati i seguenti parametri :
- presenza di metalli pesanti
- presenza di formaldeide
- presenza di ammine aromatiche.
La scelta di tali parametri è dovuta al fatto che i contaminanti considerati sono
spesso presenti nel manufatto tessile, nonostante la loro presunta ed, in alcuni casi,
provata pericolosità.
In particolare i metalli pesanti presentano una tossicità generalizzata e un forte
impatto ambientale. Essi producono effetti allergenici, cancerogeni ed effetti
fortemente negativi sul metabolismo di numerosi esseri viventi.
Per quanto riguarda le ammine aromatiche, contenute nei coloranti azoici, è stata
provata la loro potenziale pericolosità per la salute, in quanto cancerogene.
Infine, la formaldeide, sostanza organica estremamente volatile, è fortemente
irritante per inalazione e può causare dermatopatie ed è ritenuta sospetta
cancerogena.
Di notevole importanza, per valutare la qualità di un manufatto tessile, sono anche la
determinazione del pH dell’estratto acquoso e la determinazione del

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pentaclorofenolo, che è utilizzato per le sue proprietà antibatteriche ed antimuffa, ma
possiede attività cancerogena e un elevato impatto ambientale.
Questi due parametri sono stati oggetto di un secondo studio, svolto dalla Dott.ssa
Roberta Rossa Sergente presso il CNR-ISMAC di Biella.

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PRESENTAZIONE ISTITUTO

Il CNR-ISMAC (Foto 1) ha sede a Biella nel polo di Città Studi in cui sono presenti
enti ed istituti di ricerca e di formazione, tra cui il Politecnico di Torino con il corso di
laurea di primo livello in Ingegneria Tessile, l’Istituto Tecnico Industriale “Q. Sella”,
scuola di formazione superiore, l'Associazione Tessile & Salute, ente internazionale
che svolge attività di ricerca riguardanti lo sviluppo di prodotti tessili per la salute.
Inoltre, il CNR-ISMAC di Biella è un componente del Laboratorio di Alta Tecnologia
Tessile (LATT) e dal 2005 ospita tre apparecchiature (elettrofilatura, plasma e filatura
ad umido) acquisite grazie al finanziamento della Regione Piemonte e beneficia di
una borsa di Dottorato di Ricerca in collaborazione con Politecnico di Torino, con un
finanziamento della Fondazione Cassa Risparmio di Biella.

Foto 1 – CNR-ISMAC di Biella.

Storia
La presenza del CNR nell'area biellese, risale al 1969, quando, con
l'Associazione "Oreste Rivetti", fu stipulata una convenzione per dar vita al

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Centro Ricerche e Sperimentazione Laniera "O. Rivetti" con la finalità di
promuovere ricerche nell'ambito tessile laniero e contemporaneamente di
potenziare i servizi verso le aziende.
Considerata la grande importanza che riveste l'industria italiana del tessile-
abbigliamento, riconosciuta la validità dell'iniziativa, nel 1982 il Centro fu
trasformato nell'Istituto di Ricerca Laniera "O. Rivetti". Poiché a livello
universitario non esistono specializzazioni nel campo tessile, l'Istituto è
diventato punto di riferimento di tutte le iniziative di ricerca in questo settore. I
filoni storici di ricerca riguardano le proprietà e le caratteristiche chimico-fisiche
dei materiali tessili, le tecnologie di processi industriali, lo sviluppo di nuove
metodologie analitiche di laboratorio, l'ambiente di lavoro.
La notevole esperienza maturata ha permesso all'Istituto di essere parte attiva
nei Progetti Strategici e Finalizzati del CNR e nei Programmi finanziati dalla
Comunità Europea e di sviluppare autonomamente progetti di ricerca sia con
attività ordinaria che con contratti con enti internazionali.
Tesi di laurea e corsi su specifiche tematiche per personale dell'industria e della
pubblica amministrazione sono le principali attività nel settore della formazione.
Aspetto importante, legato all'attività del CNR, è quello normativo che si
sviluppa con la partecipazione alle Commissioni di lavoro di Enti di Normazione
nazionali ed internazionali (UNITEX, ISO, IWTO, CEN) e con la realizzazione di
norme tecniche: in questo campo l'Istituto fa parte, detenendone il marchio,
dell'organismo internazionale INTERWOOLLABS ed è punto di riferimento
mondiale per tutte le tematiche inerenti le fibre animali speciali.
A seguito della riforma del CNR, nel 2000 l’Istituto "O. Rivetti" è stato accorpato
all’Istituto di Chimica delle Macromolecole di Milano ed all’Istituto di Studi
Chimico-Fisici di Macromolecole Sintetiche e Naturali di Genova.
Tale accorpamento ha dato origine all’Istituto per lo Studio delle
Macromolecole, operativo dal 1° gennaio 2002, con sede a Milano e con due
sezioni a Biella e Genova.
A seguito della riforma del CNR del 2005 sono state abolite le sezioni degli
istituti e si è passati ad una gestione delle attività per commesse. Le attività

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della sede di Biella sono state inserite nella commessa "Materiali tessili,
tecnofibre e processi industriali per la filiera tessile".
Per tradizione, cultura e sue stesse radici, l'Istituto è sempre stato molto legato
al mondo industriale tessile italiano, interpretandone necessità e problemi: ed è
in quest'ottica, quindi, lo sviluppo ed il potenziamento di servizi che spaziano
dall'attività analitica, alla consulenza per finire allo sviluppo di ricerche su
tematiche direttamente proposte dalle aziende.

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1 - INTRODUZIONE

1.1 – IL CICLO PRODUTTIVO TESSILE

In linea di massima, nel ciclo tessile (Fig. 1.1) si distinguono le lavorazioni di tipo
meccanico (filatura e tessitura), da quelle di tipo chimico (finissaggio e tintoria).
Si possono distinguere quattro macro - fasi del processo produttivo:
1. Il ciclo di filatura: è l’insieme delle operazioni con le quali è resa possibile la
trasformazione della fibra in filato.
2. Il ciclo di tessitura: è l’operazione principale che consente di trasformare il filato in
tessuto, mediante l’intreccio dei filati eseguito o su macchine di maglieria o su
telaio (tessitura ortogonale ordito trama). In questo caso il filato dell’ordito, avvolto
su cilindri metallici (subbi), viene rivestito da prodotti speciali (imbozzimatura) in
soluzioni acquose. L’operazione ha lo scopo di rendere i filati resistenti ed elastici
a sufficienza per essere tessuti. Le bozzime acquose sono prodotti che hanno la
caratteristica di essere facilmente asportabili dai tessuti finiti, mediante lavaggio
successivo con soluzione acquose. I prodotti più usati sono salde d’amido, eteri
cellulosici, acido poliacrilico.
3. Processi a umido-Finissaggio: nei processi a umido rientrano tutte le operazioni
cosiddette di nobilitazione e finissaggio, che hanno lo scopo di conferire al
tessuto greggio particolari proprietà fisico-meccaniche ed estetiche (aspetto della
superficie). La tintura è il processo principale che dà al prodotto tessile una
colorazione uniforme e duratura. Altre operazioni essenziali sono volte sia a
preparare il tessuto alla tintura (candeggio, purga, carbonizzo etc.), sia a conferire
al tessuto, dopo la tintura, altre proprietà di prestazione e di mano.
4. Confezione: nella confezione il tessuto viene sottoposto a operazione di taglio e
quindi avviato a formare il capo finito.

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FILATURA
CICLO DI
PREPARAZIONE

FILATURA

ORDITURA
TESSITURA
CICLO DI

IMBOZZIMATURA
INCOLLAGGIO

TESSITURA
PROCESSI
A UMIDO

TINTURA

FINISSAGGIO

LAVORAZIONE
CONFEZIONE

DEL TESSUTO

PRODOTTO
CIMATURA
FINITO

Figura 1.1 – Schema del ciclo produttivo tessile.

A seconda della materia prima i cicli di filatura e di tessitura possono subire


variazioni.
1.1.1 - FILIERA DELLA LANA

Il sistema o ciclo laniero si distingue fondamentalmente in cardato e pettinato. La


distinzione riguarda la materia prima che, per il ciclo pettinato, utilizza fibre più
lunghe e di diametro più fine, destinate alla lavorazione di filatura e tessitura

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pettinate, e per il ciclo cardato fibre corte e di diametro più grosso, che vanno nel
settore della filatura e tessitura cardata.

a) Pettinatura
In questa fase la lana grezza (lana sucida) viene sottoposta, in un primo momento,
ad una serie di trattamenti a umido (lavaggi con acqua calda, tensioattivi e sostanze
alcaline) per eliminare le impurità (residui organici, grasso, terra) presenti sulla
stessa e quindi asciugata. Le fasi successive consistono nelle operazioni di
cardatura e pettinatura.
Le due operazioni prevedono la miscelazione intima delle fibre, l’eliminazione
parziale dei materiali vegetali e delle fibre molto corte, la parallelizzazione e
l’accoppiamento delle fibre per trasformarle in stoppino o nastro. I due cicli, cardato e
pettinato, differiscono per la materia prima impiegata (fibre corte o lunghe), per il tipo
di operazioni meccaniche applicate, per il tipo e quantità di ensimages impiegati
(lubrificanti, antistatici).
Le fibre, variamente separate nel processo, hanno destinazioni diverse, e solo
frazioni minori di materia fibrosa non filabile vengono avviate verso usi alternativi.
La sostanza grassa residua recuperata dai bagni esauriti di lavaggio del sucido, ha
impieghi nell’industria cosmetica.
Da osservare che una certa quantità di lana lavorata in Italia arrivano avendo già
subito all’origine questo trattamento, ma molta della materia prima viene lavata nelle
pettinature italiane, concentrate soprattutto nell’area biellese e in aree adiacenti.

b) Filatura
Il ciclo di lavorazione di filatura è simile nei due settori lanieri, e parte da masse
fibrose già lavate e pulite. Si basa su una tecnologia di tipo meccanico, mentre i
principali trattamenti a umido sono quelli di tintura e di trattamento irrestringibile. Si
aggiungono alla massa fibrosa, per facilitare la lavorazione delle fibre, sostanze
emulsionanti e lubrificanti. Da notare che, per il ciclo laniero, la tintura delle fibre è
può essere anticipata valle della filatura (tintura in tops), a differenza di quanto
avviene negli altri cicli, ma consistenti quantità di materiali vengono tinti in filato e in

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tessuto. Le frazioni di materia prima o di prodotto finale residue vengono riutilizzate
per filati di titolo più grosso, e solo frazioni residuali escono dalla filiera.

c) Tessitura
Tale operazione, simile in tutte le filiere tessili, trasforma in tessuti i filati, ricorrendo a
tecnologie meccaniche, mentre solo la preparazione degli orditi coinvolge processi
chimico-fisici. I residui di tessitura sono, per un verso, parificabili a quelli di filatura, e,
per un altro, sono sfridi di tessuti destinati al riciclaggio (stracci).

1.1.2 – FILIERA DEL COTONE E DEL LINO

a) Filatura
Si tratta di processi omologhi, che intervengono su materie prime, già in parte
preparate (all’origine) per essere filate, e, quindi, prive di molte impurità naturali.
Anche nella filatura cotoniera e liniera si ha la caratterizzazione di due cicli (pettinato
e cardato), e analoga destinazione dei residui della lavorazione. Le operazioni di
filatura sono di carattere esclusivamente meccanico.

b) Tessitura
La tessitura del cotone e del lino è del tutto simile alla tessitura laniera.

1.1.3 – FILIERA DEI FILI CONTINUI

E’ diversa per tecnologie e materie prime, poiché tratta materiale costituito da bave
continue, di vario diametro, fra loro diversamente unite a costituire un filamento.
La filatura è costituita in questo caso da una semplice estrusione di massa, e i fili
sono arricchiti con preparati oleanti (enzimaggi) per aumentarne la lavorabilità
successiva.
La tessitura è operata come per le precedenti filiere, su macchine similari.
La testurizzazione è un’ operazione accessoria a valle della filatura, destinata a dare
ai fili caratteri fisici particolari (volume, resistenza, resilienza etc.), in funzione di

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destinazioni finali particolari. E’ operata attraverso un processo fisico meccanico,
senza particolari problemi di residui.

1.1.4 – LA NOBILITAZIONE TESSILE

Il settore che presenta i maggiori problemi dal punto di vista ambientale è quello della
cosiddetta nobilitazione in cui rientrano tutte le operazioni di tintoria e finissaggio.
La successione delle diverse fasi è la seguente, sebbene alcuni processi possano
prevedere soltanto alcune fasi o includerne altre:
• preparazione del tessuto greggio (purga, sbozzimatura, carbonizzo): serve alla
eliminazione di impurità naturali, quali olio, resina, grasso e cera, sostanze vegetali e
bozzime;
• candeggio: passaggio del tessuto o del filato attraverso una soluzione di acqua
ossigenata o ipoclorito, per pulire ed eliminare i pigmenti colorati naturali;
• mercerizzazione: processo a cui sono sottoposti i tessuti di cotone, finalizzato
all’ottenimento di un tessuto lucido per aumentare la tenuta del colore;
• tintura e stampa: nella tintura, i tessuti o i filati vengono a contatto con una
soluzione acquosa contenente coloranti. Critico nel processo è il “fissaggio” del
colore alla fibra. Nella stampa i tessuti vengono trattati con una pasta composta da
coloranti, addensanti e fissanti;
• finissaggio: comprende tutte le operazioni effettuate sul tessuto atte a conferirgli
caratteristiche estetiche (colore, mano, aspetto superficiale) o chimico-meccaniche
(irrestringibilità, ingualcibilità, non infiammabilità, non macchiabilità, idrorepellenza,
resistenza agli agenti atmosferici o biologici) che lo rendano più gradevole all’aspetto
e più rispondente alle esigenze del mercato.

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1.2 – LE MATERIE PRIME

Le materie prime possono essere distinte in fibre naturali, artificiali e sintetiche.


Le fibre naturali sono ricavate dal regno animale, come la lana e la seta, e vegetale,
come il cotone e il lino.
Le fibre artificiali hanno origine naturale, ma vengono trattate chimicamente per
essere rese filabili. La viscosa e il modal sono due esempi di fibre artificiali.
Le fibre sintetiche, invece, vengono prodotte per via chimica tramite reazioni di
polimerizzazione. La fibra poliammidica, poliacrilica e il poliestere fanno parte di
questa classe di fibre.

1.2.1 – FIBRE NATURALI

a) La lana.
La lana è la fibra ottenuta dal vello delle pecore e dei montoni di varie razze. Viene
tolta dagli animali vivi per mezzo della tosa (lana da tosa) che si esegue
normalmente in primavera e talvolta due volte all’anno. Può anche essere ottenuta
dalle pelli di animali macellati o morti. Si ha allora la lana da concia.
La lana è costituita da una proteina, la cheratina. Secondo studi recenti la fibra è
costituita da catene polipeptidiche risultanti dall’unione di amminoacidi, tenute
insieme da legami idrogeno, legami ionici e legami trasversali cisteinici.
Dal lato fisico la fibra è costituita da tre strati concentrici (Fig. 1.2): la cuticola (strato
epidermico o parte esterna), che in genere presenta scaglie più o meno evidenti, lo
strato corticale o fibrillare (cortex), che costituisce la maggior parte della fibra ed è
formato da fibrille di cheratina fibrosa tenute insieme da un cemento di proteina non
fibrosa, ed infine il midollo (in parte riempito da materiale cellulare), che di solito è
presente nelle fibre grosse ed è assente in quelle fini.
Tra cuticola e strato corticale è presente una sottocuticola. Lo strato corticale risulta
costituito da fibrille, costituite a loro volta da microfibrille; ha una struttura bilaterale,
definita come orto e para cortex.

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Figura 1.2 – Fibra di lana (SEM).

Nella pratica commerciale, la lana è divisa in cinque classi di pregio a seconda della
finezza e lunghezza della fibra: fine, media, lunga, incrociata, per tappeti. In
quest’ordine si hanno all’incirca finezza decrescente e lunghezza crescente.

b) Il cotone.
La fibra è costituita dai peli che emergono, come cellule singole, dall’epidermide del
seme di alcune piante del genere Gossypium (Fig. 1.3), coltivate in tutta la zona
tropicale e subtropicale.

Figura 1.3 – Pianta del cotone.

La raccolta viene eseguita quando le capsule contenenti i semi sono giunte a


maturazione e si aprono lasciando asportare facilmente la bambagia (lint) che viene
separata dai semi per mezzo di sgranatoi e successivamente pressata in balle.
Sopra i semi rimane una peluria (linter) che viene utilizzata come cascame.

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La fibra del cotone (Fig. 1.4) è tanto più pregiata quanto più è lunga, sottile e
resistente, mentre il colore, la morbidezza e la lucentezza hanno importanza
notevole in ambito commerciale.

Figura 1.4 – Fibra di cotone (SEM)

Il carattere più importante a livello industriale è però la lunghezza della fibra, perché
con fibre lunghe è possibile ottenere filati più sottili.

c) Il lino.
Il lino è una fibra tessile che deriva dalla pianta Linum usitatissimus, coltivata sia per
la fibra che per i semi. Dagli steli si ottiene il tiglio per macerazione; gli steli vengono
poi fatti seccare e si separa la parte tigliacea dalla pianta legnosa per mezzo della
gramolatura, scatolatura.
Il lino greggio si sottopone alla pettinatura che lo divide in fibre lunghe (lino pettinato)
e fibre corte (stoppa). Il lino, a seconda della provenienza e dei sistemi di
macerazione eseguiti, può risultare di colore biancastro, giallognolo, rossiccio,
verdastro, grigio scuro. Il migliore è quello bianco-grigio lucente, molto tenace e
morbido al tatto.

d) La seta.
La seta è una fibra di origine animale, di provenienza cinese, prodotta dal
bozzolo delle larve dei bachi (Bombix mori); fu esportata a prezzi altissimi dal I
secolo a.C. in forma di filati grezzi e di tessuto.

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La fibra della seta è termoisolante, leggera, forte, flessibile, brillante e morbida
al tatto. La seta (Fig. 1.5) è formata da un asse principale di fibroina (proteina
fibrosa della seta, 75 %- 77%) rivestito da una guaina di sericina (proteina
gommosa, detta gomma della seta, 20%-22%); sono presenti inoltre piccole
quantità di sostanze cerose e minerali e di carotenoidi per le varietà colorate.

Figura 1.5 – Fibra di seta (SEM)

La seta non è molto elastica; la sua elasticità si colloca tra quella della lana
(elasticità superiore alla seta) e quella del cotone e del lino.

1.2.2 – LE FIBRE ARTIFICIALI

a) La viscosa.
I rayon e i fiocchi ottenuti con il procedimento viscosa sono i più importanti tra i
prodotti artificiali, per quanto riguarda la quantità prodotta. La cellulosa reagisce con
la soda caustica formando la sodio-cellulosa, che per reazione con solfuro di
carbonio dà lo xantogenato di sodio-cellulosa, la cui soluzione nelle liscivie alcaline
(soda, potassa), per la sua elevata viscosità, è chiamata viscosa.
La filatura consiste nel coagulare e rigenerare per via chimica la cellulosa dai filetti di
soluzione di xantogenato di cellulosa che escono dalle filiere.
Chimicamente è costituita da cellulosa la cui lunghezza della catena è minore
rispetto a quella del cotone. Si trova in forma commerciale come filamento o come

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fiocco, di tenacità normale, intermedia e alta. La fibra risulta brillante oppure
opacizzata, di colore bianco.

b) Il modal.
E’ una fibra artificiale a base di cellulosa rigenerata, ad alta tenacità ed ad alto
modulo di elasticità ad umido. Viene ottenuta partendo da cellulose ad alto peso
molecolare, evitandone la degradazione durante la fabbricazione ed apportando
delle modifiche al “procedimento viscosa”.

1.2.3 – FIBRE SINTETICHE

a) Il poliestere.
Vengono ottenute genericamente dalla condensazione polimerica di acido tereftalico
e glicole etilenico. Il polimero fuso viene filato a caldo da filiera per ottenere filamenti
di sezione e diametro variabile
Le fibre di poliestere hanno eccellenti proprietà tessili, tra cui soprattutto:
- ottimo rinvenimento delle pieghe ed ottima stabilità dimensionale
- elevato potere di voluminizzazione
- buona resistenza allo strappo e all’abrasione.
I manufatti tessili di fibra poliestere sono leggeri, asciugano rapidamente, sono di
facile manutenzione e presentano ottime caratteristiche sotto il profilo fisiologico.
Inoltre sono stabili alle influenze atmosferiche e alla luce solare, ad acidi, riducenti ed
ossidanti nonché alla maggior parte dei solventi organici. Presentano elevata
resistenza anche a insetti e a microrganismi.
Le fibre poliestere sono reperibili sul mercato sotto forma di filo continuo (filamento) o
tagliato (fibra corta). Possono pervenire alla tintura allo stato di fiocchi, filato, tops,
tessuto e maglia.

b) Le fibre acriliche.
Sono le fibre prodotte da poliacrilonitrile (almeno l’85% in massa) e da copolimeri di
varia composizione. Le fibre acriliche in commercio differiscono tra loro non soltanto

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per la natura di questo secondo componente, ma anche per il grado di
polimerizzazione, per il metodo di produzione, a secco o ad umido, per i trattamenti
subiti dal polimero successivamente all’estrusione. Tali fibre hanno buona resistenza
ad agenti chimici e fisici.
Vengono impiegate da sole o in mista nei settori dell’abbigliamento e
dell’arredamento.

c) Le fibre poliammidiche.
La fibra poliammidica è formata da macromolecole lineari che presentano nella
catena la ricorrenza del gruppo funzionale ammidico. E’ prodotta in numerosi tipi che
differiscono tra loro, oltre che per il monomero impiegato per la polimerizzazione,
anche per il peso molecolare, le modalità seguite nella fase di estrusione, i
trattamenti subiti dopo estrusione, la forma delle sezioni. Esistono infatti poliammidi a
forma piena, cava, a stella, trilobata, e ciò permette l’ottenimento di speciali effetti di
tatto, lucentezza o aspetto .
Commercialmente sono impiegati tre tipi fondamentali di fibre poliammidiche: la
poliammide 6, la poliammide 6.6 (nylon) e la poliammide 11.
La fibra poliammidica possiede ottime proprietà meccaniche: la tenacità e la ripresa
elastica sono elevate; la resistenza alle flessioni ripetute e all’usura sono superiori a
quelle di qualsiasi altra fibra; la resistenza alle gualciture è discreta, infatti è migliore
di quella del cotone, ma inferiore a quella della lana e dei poliesteri. E’ termoplastica,
pertanto è possibile pieghettarla e testurizzarla.
Le fibre poliammidiche sono utilizzate in tutte le applicazioni riguardanti
l’abbigliamento e l’arredamento e anche nel settore degli articoli tecnici.
Vengono lavorate sia da sole che in mista con altre fibre sintetiche o con le artificiali
o le naturali.

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1.3 – RELAZIONE TRA CONTAMINAZIONE, FASI DEL CICLO
PRODUTTIVO E MATERIE PRIME

Le fasi del ciclo produttivo che presentano maggiori rischi di contaminazione sia
ambientale sia del manufatto tessile sono relative ai cicli ad umido, al lavaggio della
lana sucida, alla mercerizzazione, al disincollaggio e alla sbozzimatura, al
candeggio, alla tintura, alla stampa ed al finissaggio, da cui si originano quantità
significative di reflui liquidi che vengono destinati al trattamento biologico o chimico-
fisico.
Infatti le acque di processo sono generalmente alcaline, con presenza di solidi, oli,
metalli pesanti derivanti dai processi di tintura e stampa e, a seconda dei processi
(in particolare nelle operazioni di finissaggio e candeggio), anche fenoli e composti
organici alogenati.

1.3.1 – METALLI PESANTI

I metalli pesanti sono per lo più utilizzati durante la fase di tintura, che prevede l’uso
di coloranti che li contengono. In particolare:
1. Cromo: metallo maggiormente impiegato nei cicli tintoriali soprattutto per i
prodotti lanieri. E’ contenuto nei coloranti a post-cromatazione e nelle
molecole di alcuni coloranti premetallizzati. E’ usato nelle colorazioni nere e
blu, e come mordente per tessuti. La forma ionica esavalente risulta
cancerogena e molto tossica rispetto a quella trivalente.
2. Rame: metallo dotato di scarsa tossicità, presente in coloranti e pigmenti
metallo-complessi blu/turchese usati per fibre di lana, cotone e
poliestere e seta; talvolta impiegato nei post-trattamenti tintoriali
per aumentare la solidità delle tinte alla luce e ai lavaggi.
3. Nichel: presente in coloranti e pigmenti metallo-complessi, usato come
mordente nella colorazione e nella stampa di tessuti. Metallo che
per contatto innesca molto facilmente reazioni allergiche in un
elevato numero di soggetti.

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1.3.2 – FORMALDEIDE

Tale sostanza è presente nel ciclo tessile nella fase di finissaggio, soprattutto per
tessuti in velluto, e di lavaggio delle fibre naturali. E’ contenuta nelle resine antipiega,
in ausiliari di finissaggio easy-care, in fissatori di materie coloranti, in leganti per
stampe a pigmento, in addensanti per stampa e come antimuffa e
stabilizzante. Recentemente è stata dimostrata la generazione di formaldeide
durante la fase di asciugatura e termofissaggio di materiali tessili contenenti dei
derivati dell’urea. La molecola è fortemente irritante per inalazione, può
causare dermatopatie ed è ritenuta sospetta cancerogena.

1.3.3 – AMMINE AROMATICHE

I coloranti azoici costituiscono una classe molto diffusa (70% del totale) e
trasversale (sostantivi, reattivi, dispersi, premetallizzati, acidi) di materie coloranti. In
questa classe di coloranti alcune molecole contengono nelle struttura primaria gruppi
amminici aromatici, potenzialmente dannosi per la salute in quanto, in presenza di
una azione riducente di tipo chimico o biologico ( enzimi epatici ed intestinali), si
possono sviluppare ammine aromatiche note per la loro azione cancerogena.

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1.4 – NORMATIVE E MARCHI ECOLOGICI

Nella seconda metà degli anni 90 le caratteristiche eco-tossicologiche dei prodotti


tessili hanno assunto un’importanza sempre maggiore nella valutazione del controllo
qualità dell’industria tessile.
Infatti condizione fondamentale per una corretta commercializzazione del prodotto
tessile è il rispetto dei requisiti eco-tossicologici nella produzione dei manufatti
tessili.
Le prime richieste di tali valutazioni sono state recepite inizialmente dai paesi nord-
europei a più alta sensibilità ambientale, e successivamente dalla maggioranza dei
paesi occidentali.
Una raccolta preliminare degli standard di qualità che caratterizzano i manufatti
tessili ha sostanzialmente evidenziato che esistono due grandi categorie di criteri: da
una parte, una serie di azioni volontarie che hanno portato alla creazione di
numerose etichette ecologiche e di marchi privati, dall’altra, esistono una serie di
normative nazionali, per la maggior parte derivanti da istanze specifiche, che
generano un panorama piuttosto complesso e di difficile inquadramento.

1.4.1 – AZIONI VOLONTARIE

a) Il marchio Ecolabel.
Il marchio, contraddistinto da una margherita (Fig. 1.6), ha come obiettivo quello di
orientare i consumatori verso scelte di consumo sostenibili. Tale marchio ha carattere
volontario, per cui la non adozione non comporta l’esclusione dal mercato ed ha lo
scopo di promuovere un minore impatto ambientale. Sono esclusi dall’etichetta i
prodotti alimentari, farmaceutici, bevande, sostanze pericolose o fabbricati con
processi che possono nuocere all’uomo o all’ambiente ed è attribuibile solo a beni di
consumo destinati al consumatore finale e non a prodotti intermedi.
Il marchio Ecolabel esprime un giudizio positivo sull’intero ciclo di vita del prodotto,
con riferimento alla quantità di rifiuti, all’inquinamento e al degrado del suolo, alla

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contaminazione dell’atmosfera, ai rumori, al consumo di energia, al consumo di
risorse naturali e agli effetti sugli ecosistemi.

Figura 1.6 – Etichetta eclogica Ecolabel.

Tale marchio mira a ridurre l’impatto della produzione tessile sull’ambiente e, di


conseguenza, sulla salute del consumatore: a tale scopo quindi introduce dei limiti
che riguardano sostanze potenzialmente contenute nelle diverse fibre tessili e che
regolamentano i processi e i prodotti chimici utilizzati nel corso di tutto il ciclo
produttivo, nonchè le emissioni in atmosfera e lo scarico nelle acque reflue di
determinati composti nocivi per l’ambiente.

b) Il marchio Oeko-Tex.
L’elaborazione di tale marchio è il risultato di un lavoro congiunto tra l’Istituto di
ricerca tessile austriaco e quello tedesco. Si tratta di uno standard che prende in
considerazione le sostanze potenzialmente pericolose che potrebbero essere
contenute nel prodotto finale e quindi venire a contatto con il consumatore.
Lo standard contiene una serie di test analitici da eseguire su determinati parametri e
ne specifica i limiti in base a considerazioni scientifiche.
Tale marchio (Fig. 1.7) mira a ridurre l’impatto del prodotto finale sulla salute del
consumatore.

Figura 1.7 – Marchio ecologico Oeko-Tex

23
1.4.2 – NORMATIVE EUROPEE E NAZIONALI

Il quadro delle normative nazionali si presenta complesso e difficilmente individuabile


dall’esterno. Si nota una scarsa attenzione nell’ambito dei paesi extra-europei; in
Europa, invece, i paesi nordici (soprattutto la Germania) sono promotori di iniziative
che spesso si diffondono al di fuori dei confini nazionali.
La difficoltà ad accedere alle normative dei singoli stati rende però difficile un
inquadramento ordinato della materia. Di più facile reperimento si sono dimostrate
invece le normative europee, grazie soprattutto all’esistenza on line di siti, quali
http://europa.eu.int/, dai quali è possibile accedere facilmente ai documenti ufficiali.
La prima regolamentazione a livello europeo in materia di restrizioni di uso di talune
sostanze e preparati pericolosi è la Direttiva 76/769/CEE “concernente il
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli
Stati Membri relative alle restrizioni in materia di immissioni sul mercato e di uso di
talune sostanze e preparati pericolosi”. Tale direttiva ha subito nel corso degli anni
numerose modifiche dettate dalla necessità di adattare detta norma alle nuove
sostanze ed ai nuovi parametri di riferimento che mano a mano venivano individuati
dalla ricerca scientifica e tecnologica.
Per quanto attiene invece alla normativa relativa alla sicurezza generale del prodotto,
per proteggere la salute e la sicurezza del consumatore, la legislazione comunitaria
ha stabilito che i produttori possano immettere sul mercato soltanto prodotti sicuri.
L’Italia ha regolamentato la materia della sicurezza del prodotto sostanzialmente
recependo a livello nazionale le varie direttive europee.
Per quanto riguarda l'immissione e l'uso di talune sostanze e preparati pericolosi si
fa riferimento al D.P.R. 10.09.1982 n. 904 “Attuazione della direttiva 76/769/CE
relativa all’immissione sul mercato e all’ uso di talune sostanze e preparati
pericolosi” (pubblicata sulla G.U. n° 336 del 07.12.1982). Per quanto riguarda la
sicurezza generale dei prodotti e la tutela del consumatore si segnalano:
- il D.L. 115 del 17.03.1995 che ha attuato la direttiva 92/59/CE relativa alla sicurezza
generale dei prodotti (pubblicato sulla G.U. n° 92 del 20.04.1995)
- la legge 10.04.1991 n. 126 “Norme per l’informazione del consumatore” (pubblicata

24
sulla G.U. n° 89 del 16.04.1991) ha altresì previsto un obbligo di informazione del
consumatore dei prodotti commercializzati in particolare in merito alla presenza di
"materiali e sostanze che possono arrecare danno all'UOMO" (art. 1 lett. c.)
- la L. 30.7.1998 n. 281 “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”
(pubblicata sulla G.U. n° 1889 del 14.08.1998) che ha riconosciuto e garantito i diritti
e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori, anche in forma collettiva
(riconoscimento delle Associazioni dei consumatori e degli utenti).

25
2 - MATERIALI E METODI

2.1 – ESTRAZIONE DEI METALLI PESANTI

La limitazione della presenza di metalli pesanti nei manufatti tessili deriva dal loro
riconosciuto effetto negativo sul metabolismo degli esseri viventi (tossicità e
mutagenesi) e dal loro effetto allergenico (nichel). La tossicità può esplicarsi per
ingestione (acqua, cibo) o per trasporto attraverso l’epidermide: quest’ultimo vettore
risulta di particolare importanza nel caso dei manufatti tessili destinati all’indosso.
La presenza di metalli pesanti nei materiali tessili può essere verificata secondo
due diverse ottiche:
a) determinazione della presenza assoluta nelle fibre dei metalli ritenuti tossici;
b) valutazione della tendenza del prodotto tessile a cedere i metalli ritenuti
tossici per contatto con l’epidermide (biodisponibilità).
Il concetto di presenza assoluta nei materiali tessili viene adottato da alcune
direttive europee relativamente al cadmio e al nichel, mentre il marchio ECO-
LABEL limita la presenza di metalli pesanti solo come impurità nei coloranti e
nei bagni reflui di tintura.
Il concetto di biodisponibilità, che ha una decisa valenza di tutela diretta della
salute del consumatore, si è affermato in tempi recenti grazie soprattutto ai
marchi ecologici privati (OEKO-TEX principalmente) e viene considerato come
prioritario. In particolare la tendenza è quella di valutare la biodisponibilità dei

26
metalli pesanti tramite un test di cessione dal manufatto tessile posto a contatto
con una soluzione artificiale simulante il sudore acido umano e successiva
analisi quantitativa dei metalli ceduti alla soluzione.
Il lavoro sperimentale svolto è stato orientato alla verifica di tale procedura
analitica.
Sono stati presi in considerazione diversi procedimenti per l’estrazione da
tessuto e la successiva analisi dei metalli pesanti, tra cui, in particolare, il
metodo DIN 54020, il metodo UNI EN ISO 105-E04, il metodo standard inglese
BS 6810:1987 e il progetto di norma A90000500, allo scopo di identificare una
metodologia di analisi ottimale per la determinazione dei metalli pesanti sui
manufatti tessili.
L’analisi strumentale è stata effettuata mediante ICP (spettroscopia di emissione con
sorgente al plasma; fig. 2.1).

Figura 2.1 – ICP-OES.

27
2.1.1 – MESSA A PUNTO DEL METODO
La lettura critica dei metodi succitati ha portato alle seguenti considerazioni:
 Il metodo DIN 54020, confrontato con gli altri metodi, si è dimostrato il più
completo e il più vicino alle esigenze del progetto. Per questo motivo le analisi
hanno seguito tale procedimento, apportando solamente alcune variazioni sul
peso iniziale del campione.
 Il metodo UNI EN ISO 105-E04 riguarda le prove di solidità del colore al
sudore acido, è stato preso in considerazione unicamente per la preparazione
della soluzione di sudore acido, che risulta coincidente con quella del metodo
DIN 54020.
 Il metodo standard inglese BS 6810:1987 si è rivelato troppo complesso e
non in linea con gli altri metodi.
 Il progetto di norma A90000500, concernente la determinazione del contenuto
di metalli nel cuoio, è stato seguito per la preparazione della soluzione acida,
coincidente con quella del metodo DIN 54020, ed è stato applicato per la
temperatura e la tempistica di estrazione.
Combinando i metodi sopra citati sono state eseguite serie di prove su 20 manufatti
tessili, per verificare la rispondenza e la riproducibilità del metodo messo a punto.

2.1.2 – PROCEDIMENTO SEGUITO

Si è deciso di operare nelle seguenti condizioni:


• numero di cicli di agitazione al minuto = 60
• rapporto bagno 1:50
• temperatura 40°C
• tempo 3 ore
• ampiezza oscillazione 1-1,5 cm.
a) Preparazione della soluzione di sudore acido. Aggiungere in un matraccio tarato
da 500 ml i seguenti reattivi: L-istidina-monocloruro-1-idrata in forma cristallina (0,5
g/l); sodio cloruro (5 g/l); sodio diidrogenofosfato-2-idrato (2,2 g/l). Sciogliere i reattivi

28
in acqua demineralizzata, correggere il pH a 5,5 con sodio idrossido (0,1 mol/l) e
portare a volume con acqua distillata. Suddividere in aliquote da 100 ml ciascuna,
trasferirla in beute con tappo e preriscaldare alla temperatura prescelta per la
successiva analisi.
b) Preparazione del campione. Pesare circa 2 g di campione tessile, tagliarlo in pezzi
da circa 0,5 cm, introdurli nella beuta preriscaldata e tappare. Posizionare la beuta in
un bagnomaria a scuotimento lineare e mantenere la temperatura scelta per il tempo
stabilito. Successivamente lasciar raffeddare.
c) Filtrazione. Filtrare la soluzione con un filtro di fibra di vetro sotto vuoto,
spremendo il campione con una bacchetta di vetro in modo da estrarre il più
possibile della soluzione acida.
d) Analisi strumentale. Determinare il contenuto di metalli pesanti dell’eluato tramite
ICP.

2.1.3 – ANALISI DEL CROMO ESAVALENTE

Il cromo esavalente viene determinato attraverso analisi spettrofotometrica diretta


mediante difenilcarbazide.
La forma esavalente di cromo risulta avere maggior rilevanza eco-tossicologica
rispetto a quella trivalente, poiché è potenzialmente cancerogena.
Con le tecniche analitiche utilizzate in precedenza per la determinazione dei metalli
pesanti è possibile quantificare il cromo totale, ma non il cromo esavalente, per il
quale viene utilizzata la determinazione spettrofotometrica.
Il metodo si basa sullo sviluppo del colore conseguente alla reazione tra cromo
esavalente e difenilcarbazide.
Il meccanismo di tale reazione, ancora non completamente noto, sembra consistere
in una riduzione del Cr6+ a Cr3+, e in una contemporanea ossidazione della
difenilcarbazide a difenilcarbazone, con conseguente formazione di un composto
colorato rosso-violetto.
Il Cr6+ viene determinato eseguendo le misure di assorbanza alla lunghezza d’onda
di 540 nm.

29
Questo metodo consente la determinazione del solo cromo esavalente direttamente
nel campione acquoso, nell’intervallo di concentrazione compreso tra 0,1 e 1 mg/L.
Lo strumento utilizzato è lo spettrofotometro per misure nel campo del visibile (Fig.
2.2), munito di celle con cammino ottico da 1 cm.

Figura 2.2 – Spettrofotometro UV-visibile.

30
2.2 – ESTRAZIONE DELLA FORMALDEIDE LIBERA

La formaldeide nei materiali tessili può essere presente in forma libera (raramente) o
come componente di sostanze in forma polimerica legata al tessile. La formaldeide in
forma polimerica può essere degradata a sottoprodotti volatili per azione termica o
chimica e la quantità e il tipo di sottoprodotti contenenti formaldeide possono variare
anche in funzione della composizione fibrosa e del tipo di manufatto tessile.
Pertanto i vari metodi di analisi della formaldeide variano in funzione delle
modalità di estrazione dei prodotti di degradazione dai manufatti tessili, a
seconda del tipo di effetto che si vuole indagare.
Generalmente si parla di:
a) formaldeide libera ed estraibile se si opera con una estrazione mediante
immersione del manufatto in una soluzione di estrazione;
b) formaldeide rilasciata se il manufatto viene sospeso al di sopra della soluzione
di estrazione in un recipiente sigillato in condizioni di tempo e temperatura
controllati.
Il lavoro sperimentale svolto è stato orientato alla verifica dell’analisi di formaldeide
rilasciata.
Il metodo seguito è l’UNI EN ISO 14184-2 e descrive le modalità operative per
determinare il contenuto di formaldeide rilasciata dai tessili, sotto qualsiasi forma,
con il metodo di assorbimento di vapore, in condizioni di invecchiamento accelerato.
Tale metodo è applicabile a quei tessuti che contengono una quantità di formaldeide
compresa tra 20 mg/kg e 3500 mg/kg. Sotto il limite inferiore il risultato, secondo la
metodica UNI, va riportato come “non rilevabile”, anche se è possibile comunque
effettuare una quantificazione.

2.2.1 – PRINCIPIO DEL METODO

Una provetta di tessuto, precedentemente pesata, viene sospesa sopra un


quantitativo misurabile d’acqua, in un recipiente ermeticamente chiuso. Si introduce
tale recipiente in una stufa termostatata per un determinato periodo di tempo.

31
La quantità di formaldeide rilasciata dal tessuto viene determinata per via
colorimetrica allo spettrofotometro UV - visibile.

2.2.2 – PROCEDIMENTO SEGUITO

a) Taratura dello strumento. Preparare una soluzione di riferimento contenente


approssimativamente 1500 mg/L di formaldeide, diluendo 3,8 ml di soluzione di
formaldeide al 37% m/v in un litro di acqua distillata. Determinare la concentrazione
di formaldeide nella soluzione di riferimento effettuando un’appropriata titolazione.
Prelevare 10 ml della soluzione di riferimento titolata e trasferirli in un matraccio da
200 ml, portando poi a volume con acqua distillata. Da quest’ultima soluzione si
preparano soluzioni di calibrazione in matracci da 500 ml, contenenti concentrazioni
di formaldeide di 7,5 mg/kg, 15 mg/kg, 37,5 mg/kg, 75 mg/kg, 112,5 mg/kg, 150
mg/kg, 225 mg/kg, 300 mg/kg. Calcolare la retta di regressione che sarà utilizzata
per effettuare tutte le misurazioni.
b) Preparazione del campione. Tagliare dal campione almeno due provette dal peso
complessivo di circa 1 g, con un’accuratezza di 10 mg. Versare 50 ml di acqua sul
fondo di recipienti in vetro; sospendere in ciascuno di essi una provetta sull’acqua,
utilizzando del filo cucirino, formando un cappio doppio nella provetta ripiegata 4
volte. Le estremità del filo vengono fissate saldamente al coperchio che chiude
ermeticamente il recipiente. I recipienti così preparati vengono posti in una stufa
termostatata a 49 ± 2 °C per 20 h ± 15 min. Raffreddare i recipienti per 30 min., poi
togliere la provetta da ciascun recipiente. Richiudere i recipienti e agitarli per
miscelare eventuali condensazioni formatesi sulle pareti dei recipienti.
c) Determinazione. Prelevare da ciascun recipiente aliquote di 5 ml di soluzione e
porli in appositi tubi da saggio, in cui si saranno già precedentemente pipettati 5 ml di
reattivo acetilacetone, preparato almeno 12 ore prima dell’uso. Preparare anche un
tubo da saggio per il bianco, in cui si pongono 5 ml di reattivo acetilacetone e 5 ml di
acqua. Agitare i tubi da saggio e metterli in un bagno di acqua a 40±2 °C per 30 min.
Lasciar raffreddare i tubi da saggio al buio per 10 min. e leggere l’assorbanza allo
spettrofotometro in confronto con il reagente in bianco, utilizzando una lunghezza

32
d’onda di 412 nm, in una cuvetta da 10 mm. Determinare la concentrazione di
formaldeide nelle soluzioni campione usando la curva di calibrazione preparata.
Se avviene qualche ritardo nella lettura dopo lo sviluppo del colore si devono
proteggere i tubi con una copertura esente da formaldeide libera, altrimenti si può
incorrere nello scolorimento del colore giallo sviluppato e nell’annullamento della
prova.

33
2.3 – ESTRAZIONE DELLE AMMINE AROMATICHE

In generale, le normative cogenti e volontarie prevedono metodi di analisi che


ricalcano praticamente il medesimo schema analitico:
a) dissociazione riduttiva della materia colorante mediante trattamento a caldo
con una soluzione di sodio ditionito in tampone citrato;
b) estrazione liquido/liquido con solvente organico e purificazione;
c) analisi quantitativa in gas cromatografia con rivelazione di massa e/o
cromatografia liquida HPLC con rivelazione di massa.
E’ noto che i suddetti metodi sono complessi, necessitano di strumentazione
analitica sofisticata e i risultati ottenuti sono soggetti a livelli di precisione e
riproducibilità anche bassi. Pertanto è stato considerato interessante verificare
tale metodica analitica con alcune modifiche e varianti funzionali ad una
migliore ripetibiltà dei risultati.
Sono stati presi in considerazione diversi procedimenti per l’estrazione da tessuto e
la successiva analisi delle ammine aromatiche, tra cui, in particolare, il metodo UNI
EN 14362-1. L’analisi strumentale è stata effettuata con GC-massa
(gascromatografo a rivelatore di massa; Fig. 2.3).

Figura 2.3 – GC-massa.

34
2.3.1 – MESSA A PUNTO DEL METODO

La lettura critica del metodo succitato ha permesso di individuarlo come il più


completo e il più vicino alle esigenze del progetto.
A tale metodica, tuttavia, sono state apportate alcune modifiche al fine di ottimizzarla
e adeguarla alle esigenze dell’analisi.
In particolare si è deciso:
 di seguire il metodo per quanto riguarda le fasi di preparazione del campione e di
scissione riduttiva

 di non eseguire la separazione e purificazione su colonna contenente terra di


diatomee. Questo passaggio, infatti, è molto critico perché comporta un notevole
rischio di perdita di sostanza.

2.3.2 – PROCEDIMENTO SEGUITO

a) Preparazione del campione.Tagliare il campione in modo adeguato e pesarne 1 g


in una beuta. Se i tessuti hanno colori e fibre diverse devono essere analizzati
separatamente.
b) Scissione riduttiva. Aggiungere al campione nella beuta chiusa, 17 mL di
soluzione tampone (1,28 g di acido citrico in 100 ml di acqua distillata) preriscaldata
a 70°C circa. Agitare a mano per breve tempo e mantenere la soluzione a 70°±2°C
per 30 min. Tutte le fibre devono essere bagnate.
Aggiungere 3 mL di soluzione acquosa di sodio ditionito ( 2 g di sodio ditionito in 10
ml di acqua distillata) per la scissione riduttiva dei gruppi azo. Agitare vigorosamente
e portare subito a 70°±2°C per 30 min.
Lasciare raffreddare a temperatura ambiente (25°-20°) per 2 min.
c) Separazione e concentrazione delle ammine. Usando un pestello di vetro
spremere fuori dalle fibre la soluzione di reazione e travasarla in un imbuto
separatore. Aggiungere 80 ml di T-butilmetiletere e porre in agitatore meccanico per
20 minuti. Lasciare separare le due fasi, prelevare la fase superiore con una pipetta

35
Pasteur, facendo attenzione a non prelevare porzioni di fase acquosa, e trasferirla in
un beaker. La fase prelevata deve essere pulita e limpida.
Lasciare evaporare il solvente per concentrare le ammine, fino ad ottenere un
volume di circa 2 ml. Trasferire la soluzione concentrata in una provetta di vetro e
analizzare subito (in 24 ore). Se l’analisi non può procedere immediatamente,
conservare il campione a –18°C.
d) Analisi strumentale. Determinare il contenuto di ammine aromatiche dell’eluato
tramite GC-massa.

36
3 - RISULTATI E DISCUSSIONE

3.1 – DETERMINAZIONE DEI METALLI PESANTI

L’obiettivo di questa analisi è stato quello di determinare la concentrazione di cromo


(totale ed esavalente), rame e nichel in 10 manufatti tessili, di diversa composizione
fibrosa e diverso colore, per verificare la riproducibilità del metodo.
Le normative considerate fanno riferimento al marchio ecologico OEKO TEX
STANDARD 100, che pone severi limiti relativamente alla presenza di metalli nei
prodotti tessili per test di cessione nella soluzione utilizzata per l’estrazione. A
questo proposito i limiti previsti sono:
METALLO ABBIGLIAMENTO ABBIGLIAMENTO
PESANTE BAMBINO ADULTO**
Cromo totale 1 ppm* 2 ppm
Nichel 1 ppm 4 ppm
Rame 25 ppm 50 ppm
* ppm = mg di metallo pesante/Kg di fibra
** con e senza contatto pelle

Per quanto riguarda il cromo esavalente, le normative facenti riferimento al marchio


ecologico OEKO TEX STANDARD 100 impongono l’assenza di cromo6+ nei
manufatti tessili destinati all’abbigliamento per bambino e per adulto. E’ consentita
comunque una concentrazione inferiore al limite di quantificazione del metodo,

37
ovvero di 0,5 ppm.Sono state svolte 2 prove per ogni campione, per un totale di 20
prove. Le concentrazioni sono state espresse in mg di metallo su kg di tessuto e
sono riportate in tabella 3.1.

Tabella 3.1 – Concentrazione di metalli pesanti.

N° Cu Ni Cr tot Cr VI
COMPOSIZIONE COLORE
CAMPIONE (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg)

1A 0,50 2,37 0,81 0,11


100% acrilico nero
1B 0,45 1,71 0,81 0,27

2A 0,83 0,47 0,83 n.r.


70% acrilico,
nero
30% lana merinos
2B 1,14 0,73 0,83 n.r.

3A 1,41 0,47 0,89 n.r.


100% cotone blu
3B 0,94 0,31 0,94 n.r.

4A 0,76 1,24 0,88 n.r.


70 % acrilico
blu
30% lana
4B 0,78 0,83 0,88 n.r.

5A 0,31 0 0,78 n.r.


76% poliestere
nero
24% cotone
5B 0,05 0,10 0,78 n.r.

6A 53% lana 1,03 0,33 0,98 n.r.


35% poliammide viola
6B 12% viscosa 1,03 0,27 0,92 n.r.

7A 65% acrilico 0,47 0,16 0,83 n.r.


22% poliammide marrone
7B 13% lana 0,57 0,16 0,88 n.r.

8A 0,35 0,05 0,81 n.r.


86% acrilico
verde
14% poliammide
8B 0,25 0,05 0,81 n.r.

9A 63% acrilico 0,50 0,60 0,81 n.r.


27%poliammide rosso
9B 10% lana 0,54 0,59 0,79 n.r.

10A n.r. 0,15 0,76 n.r


93% acrilico
arancione
7% poliestere
10B n.r. 0,20 0,76 n.r.

*n.r. = non rilevabile

38
Osservando i risultati ottenuti è possibile concludere che:
• il metodo messo a punto per la determinazione dei metalli pesanti è valido ed ha
buona riproducibilità;
• i metalli pesanti considerati sono presenti in quantità trascurabili nei prodotti
tessili analizzati;
• la concentrazione di cromo6+ è nettamente al di sotto del limite di quantificazione
del metodo (0,5 ppm riferiti all’abbigliamento per bambino e per adulto), in
accordo col marchio ecologico OEKO TEX STANDARD 100.

39
3.2 – DETERMINAZIONE DELLA FORMALDEIDE LIBERA

L’obiettivo di questa analisi è stato quello di determinare la concentrazione di


formaldeide libera in 10 manufatti tessili, di diversa composizione fibrosa e diverso
colore, per verificare la validità e la riproducibilità del metodo scelto.
I limiti consentiti dalle normative cogenti nazionali, dalla etichetta ecologica
EcoLabel e dai marchi volontari possono differire tra di loro così come le
metodiche analitiche.
In generale i limiti più stringenti sono:
- bambini fino a due anni: 20-25 ppm;
- abbigliamento con contatto pelle : 75 ppm;
- abbigliamento senza contatto pelle : 300 ppm.
Sono state svolte 2 prove per ogni campione, per un totale di 20 prove.
Le concentrazioni sono state espresse in mg di formaldeide su kg di tessuto e
sono riportate in tabella 3.2.

Tabella 3.2 – Concentrazione di formaldeide.


Formaldeide
N° CAMPIONE COMPOSIZIONE COLORE
(mg/kg)
1A n.r.*
100% acrilico nero
1B n.r.
2A 9,62
70% acrilico, 30% lana merinos nero
2B 6,16
3A 4,83
100% cotone blu
3B 5,99
4A 8,54
70 % acrilico, 30% lana blu
4B 4,42
5A 2,74
76% poliestere, 24% cotone nero
5B 3,56
6A 53% lana, 35% poliammide, 12,78
viola
6B 12% viscosa 13,27
7A 65% acrilico, 22% poliammide, 2,12
marrone
7B 13% lana 2,80
8A 3,52
86% acrilico, 14% poliammide verde
8B 3,53
9A 63% acrilico, 27%poliammide n.r.
rosso
9B 10% lana n.r.
10A 1,20
93% acrilico, 7% poliestere arancione
10B 1,97

40
*n.r. = non rilevabile
Osservando i risultati ottenuti è possibile concludere che:
• il metodo scelto per la determinazione della formaldeide libera è adeguato alle
necessità del progetto ed ha buona riproducibilità;
• la concentrazione di formaldeide è comunque sempre sotto i limiti più bassi forniti
dalle normative cogenti e dai marchi volontari.

41
3.3 – DETERMINAZIONE DELLE AMMINE AROMATICHE

L’obiettivo di questa analisi è stato quello di determinare la concentrazione di


ammine aromatiche in 10 manufatti tessili, di diversa composizione fibrosa e diverso
colore, per verificare la validità e la riproducibilità del metodo scelto.
Le normative cogenti nazionali europee e l’etichetta EcoLabel prevedono un limite di
30 ppm (30 mg/Kg materiale) mentre il marchio Oeko Tex prevede un limite di 20
ppm. I limiti vanno intesi per singola ammina.
Attualmente esiste una lista di 22 ammine aromatiche considerate sicuramente
cancerogene per l’uomo, quindi non possono essere utilizzati coloranti azoici che
per scissione riduttiva possono originare tali molecole.
I risultati ottenuti sono riportati in tabella 3.3.

Tabella 3.3 – Concentrazione di ammine aromatiche.

N° CAMPIONE COMPOSIZIONE COLORE C ammine (mg/kg)


1A < 30
100% acrilico nero
1B < 30
2A < 30
70% acrilico, 30% lana merinos nero
2B < 30
3A < 30
100% cotone blu
3B < 30
4A < 30
70 % acrilico, 30% lana blu
4B < 30
5A < 30
76% poliestere, 24% cotone nero
5B < 30
6A 53% lana, 35% poliammide, < 30
viola
6B 12% viscosa < 30
7A 65% acrilico, 22% poliammide, < 30
marrone
7B 13% lana < 30
8A < 30
86% acrilico, 14% poliammide verde
8B < 30
9A 63% acrilico, 27%poliammide < 30
rosso
9B 10% lana < 30
10A < 30
93% acrilico, 7% poliestere arancione
10B < 30

42
Osservando i risultati ottenuti è possibile concludere che:
• il metodo messo a punto per la determinazione delle ammine aromatiche è
valido, riproducibile e adeguato a tale analisi;
• nei manufatti tessili analizzati, la concentrazione di ammine aromatiche è inferiore
al limite imposto dalle normative cogenti e da EcoLabel di 30 ppm e
presumibilmente anche al limite di 20 ppm imposto da Oeko Tex.

In realtà la norma UNI EN 14362 dice che si deve considerare un limite di


rilevabilità, detto anche “valore di ricognizione”, pari a 30 ppm, al di sotto del
quale non vengono considerati presenti coloranti azoici in grado di liberare
ammine aromatiche. Al di sopra di tale limite, possono essere presenti
coloranti azoici in grado di liberare ammine aromatiche.

43
5 - CONCLUSIONI

Nella seconda metà degli anni 90 le caratteristiche eco-tossicologiche dei


prodotti tessili hanno assunto un’importanza sempre maggiore nella valutazione
del controllo qualità dell’industria tessile. Infatti condizione fondamentale per
una corretta commercializzazione del prodotto tessile è il rispetto dei requisiti
eco-tossicologici nella produzione dei manufatti tessili.
Questo comporta la necessità di mettere a punto metodi analitici validi e
riproducibili, al fine di determinare nel modo più preciso possibile la
concentrazione di sostanze tossiche in manufatti tessili posti al consumo.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di ottimizzare i protocolli sperimentali
già esistenti, o mettere a punto nuove metodiche per la determinazione di
metalli pesanti, formaldeide libera e ammine aromatiche.
La scelta di tali parametri è dovuta al fatto che i contaminanti considerati sono
spesso presenti nel manufatto tessile, nonostante la loro presunta ed, in alcuni casi,
provata pericolosità.
In particolare i metalli pesanti presentano una tossicità generalizzata e un forte
impatto ambientale. Essi producono effetti allergenici, cancerogeni ed effetti
fortemente negativi sul metabolismo di numerosi esseri viventi.
La formaldeide, sostanza organica estremamente volatile, è fortemente irritante per
inalazione, e può causare dermatopatie ed è ritenuta sospetta cancerogena.

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Infine per quanto riguarda le ammine aromatiche, contenute nei coloranti azoici, è
stata provata la loro potenziale pericolosità per la salute, in quanto cancerogene.
I risultati ottenuti dalle analisi, effettuate su 10 manufatti tessili, dimostrano che le
tecniche analitiche ottimizzate e messe a punto in laboratorio sono valide e
riproducibili. Inoltre le concentrazioni di metalli pesanti (cromo totale ed esavalente,
rame e nichel), formaldeide libera e ammine aromatiche, trovate nei campioni tessili
analizzati, sono risultate entro i limiti imposti dalle normative facenti riferimento alle
normative cogenti o di marchio volontario. Sarà necessario, tuttavia, eseguire
numerose altre prove di applicazione dei metodi ottimizzati, al fine di ottenere ulteriori
conferme della loro validità e ripetibilità.

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- BIBLIOGRAFIA -

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