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08/01/24, 16:42 231, la colpa organizzativa nella recente giurisprudenza di legittimità | NT+ Diritto

Il Commento Società

231, la colpa organizzativa nella recente giurisprudenza di legittimità


Nonostante alcuni “punti fermi”, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, si stagliano - ancora oggi - alcune questioni controverse con
riferimento alla declinazione “sostanziale” della colpa organizzativa

di Giulio Garuti, Gabriele Riatti*


08 Gennaio 2024

Con la sentenza del 14 settembre 2023, n. 42237 la Suprema Corte torna a ribadire alcuni importanti principi in
punto di colpa organizzativa dell’ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001.
Ad avviso della Corte di Cassazione, la motivazione della sentenza di condanna deve sempre argomentare in punto
di colpa di organizzazione, non essendo consentito procedere con un « mero automatismo » motivazionale tra
commissione del reato presupposto e responsabilità dell’ente.
Ciò indipendentemente dall’adozione, ex ante, di un idoneo ed efficace modello 231.
La citata pronuncia si pone in linea con un recente orientamento – formatosi “a valle” della sentenza “Impregilo bis”
(Cass. sez. VI, 11 novembre 2021, n. 23401-dep. 2022) – che punta a valorizzare, ai fini della responsabilità dell’ente,
la c.d. “ colpa organizzativa ”, quale vero e proprio elemento costitutivo dell’illecito amministrativo dipendente da
reato.
Prima di addentrarci nel merito dello “statuto” sostanziale della colpa di organizzazione secondo la giurisprudenza
di legittimità, vale la pena soffermarsi su alcuni “punti fermi”.
Infatti, sul tema della colpa organizzativa, in generale, sembrano ormai del tutto pacifici i seguenti principi:
a) la colpa organizzativa dell’ente presenta connotati squisitamente normativi (Cass. SS.UU., 18 settembre 2014, n.
38343);
b) la base normativa della colpevolezza dell’ente è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza
dell’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a
fondare la responsabilità del soggetto collettivo (tra le tante, Cass. sez. IV, 24 marzo 2021, n. 12149);
c) è necessario individuare precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione della persona fisica all’interesse
dell’ente e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la
responsabilità del medesimo (Cass. sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735);
d) per porre al riparo l’ente da forme di responsabilità oggettiva, è necessaria la dimostrazione della mancata
adozione da parte dell’ente «di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello
realizzato» (Cass. sez. IV, 4 ottobre 2022-dep.2023, n. 570);
e) non vi può essere alcuna inversione dell’onere probatorio, neppure nel caso di reato presupposto commesso
dagli apicali (tra le tante, ancora Cass. SS.UU., 18 settembre 2014, cit.).
Insomma, la colpa di organizzazione rappresenta «una […] forma, normativa, di colpevolezza per omissione
organizzativa e gestionale» (Cass. sez. VI, 17 settembre 2009, n. 36083) che «costituisce, per così dire, un modo di essere
“colposo”, specificamente individuato, proprio dell’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto (persona
fisica) organico all’ente di commettere il reato» (Cass. sez. IV, 15 febbraio 2022, n. 18413).
In questi termini, l’ente può essere punito qualora non si sia attenuto ai doveri di diligenza organizzativa rispetto
alle esternalità negative connesse all’attività economica.
Se questi sembrano essere i “punti fermi”, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità si stagliano, ancora oggi,
alcune questioni controverse con riferimento alla declinazione “sostanziale” della colpa organizzativa.
A riguardo, sembrano presentarsi due opzioni:
a) una prima, che tende ad “ appiattire ” la colpa organizzativa sul modello 231;
b) una seconda, che sembra invece valorizzare un concetto di colpa organizzativa non del tutto sovrapponibile con
il modello 231.
Nella prima prospettiva, si è affermato – valorizzando un dato schiettamente formale – che la colpa di
organizzazione è sempre integrata in caso di mancata adozione di un formale modello organizzativo, così
sancendo una sorta di corrispondenza biunivoca tra modelli 231 e colpevolezza dell’ente (in questo senso, Cass. sez.
III, 6 maggio 2019, n. 18842 e Cass. sez. VI, 8 agosto 2018, n. 38243).
In sostanza, secondo questa tesi, non sembrerebbe essere concesso all’ente di dimostrare, se non con l’adozione di
un modello 231 idoneo ed efficace, la corretta gestione organizzativa del rischio penale in funzione esimente della
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responsabilità da reato.
Questo orientamento è stato di recente ribadito anche da Cass. sez. V, 19 maggio 2023, n. 21640, secondo la quale
«la responsabilità dell’ente deriva dalla valutazione sulla bontà del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di
cui si è dotato: l’ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare
esente da responsabilità ex [d.lgs.] n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo
vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all’incentivazione dell’adozione di modelli di compliance
aziendale. Ovviamente, l’ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi risponderà verosimilmente del
reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse».
Nella seconda prospettiva, maggiormente incline a valorizzare un profilo sostanziale, sembra, invece, affacciarsi una
idea di una colpa organizzativa svincolata dal modello 231.
Si è così affermato che la «mancanza del modello organizzativo non può costituire elemento tipico dell’illecito
amministrativo […], per la cui sussistenza occorre invece fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di
organizzazione” dell’ente» (Cass. sez. IV, 15 febbraio 2022, cit).
Seguendo questa tesi, il modello 231 non sembrerebbe rappresentare l’esclusiva misura di contenimento della
colpa organizzativa dell’ente.
In linea con questa condivisibile impostazione, si pone una più recente pronuncia –relativa a fattispecie di reato in
materia antinfortunistica – secondo la quale «l’assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non
sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente» e «la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli
di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all’art. 30
del d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente» (Cass. sez. IV, 4 ottobre
2022-dep.2023, cit).
Insomma, secondo questo orientamento, se per un verso, l’assenza del modello 231 non significa
automaticamente colpa organizzativa, per altro verso, è onere dell’accusa dimostrare quali carenze organizzative
riconducibili alla societas abbiano assunto rilevanza rispetto alla realizzazione del reato presupposto.
Da ciò ne discende – come sancito anche da Cass. sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 39615 – che la colpa di organizzazione
non può basarsi unicamente sulla mancata adozione o sull’inefficace attuazione del modello 231, dovendosi invece
verificare il concreto assetto organizzativo adottato dall’azienda per la prevenzione dei reati.
La conseguenza sul piano concreto di questa impostazione è che anche nell’ipotesi in cui l’ente non sia dotato di
modello 231 ex ante , si dovrà comunque accertare di quali eventuali (diversi) presidi organizzativi era dotato
l’ente, verificando la sussistenza o meno di una colpa organizzativa, teleologicamente collegata all’illecito.
______
*A cura degli Avv.ti Giulio Garuti, Gabriele Riatti -

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