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Dretske – Epistemic Operators (1970)

– Operatori epistemici: operatori che operano su enunciati. Un operatore enunciativo è


un’espressione linguistica che viene anteposta a un enunciato, o in qualche modo combinata con un
enunciato, a formare un enunciato più complesso.
– Esempi di operatori penetranti e non penetranti. La tesi centrale di Dretske è che gli operatori
epistemici sono semi-penetranti: si trovano in una posizione intermedia tra gli operatori enunciativi
pienamente penetranti e gli operatori enunciativi non penetranti. Possiamo anteporre ciascuno di
questi operatori ottenendo un enunciato più complesso.
*slide!
– Se noi prendiamo due enunciati, tali che il primo implica il secondo, allora se quello che
otteniamo, applicando l’operatore al primo enunciato, è vero, allora è vero anche quello che
otteniamo applicando l’operatore al secondo enunciato.
“Ci sono delle persone in quest’aula” – “Quest’aula non è vuota”. Se noi anteponiamo “è vero che”
a “ci sono delle persone in quest’aula non è vuota”, otteniamo un enunciato vero: necessariamente
sarà vero anche il secondo.
– Pag 275. “Possiamo dire allora che i suddetti operatori condividono la seguente proprietà: se p
implica q, allora Op implica Oq”.
– Pag 276. Elenco di sette esempi di utilizzo di vari operatori enunciativi, dove considera due
operatori epistemici, che hanno a che fare con l’avere una ragione per credere qualche cosa e col
sapere qualcosa, e degli operatori diversi, “s spera che”, “è strano che”, “è casuale che”. Queste
sono altre espressioni linguistiche che noi possiamo combinare con un enunciato della lingua
italiana per ottenere un enunciato più complesso. Sono operatori che non penetrano una
conseguenza logica di un enunciato come “Bill e Susan si sono sposati”.
– Operatori semi-penetranti. !
– Distinzione tra il vedere epistemico e il vedere non epistemico. Se io getto lo sguardo in una
certa direzione e vedo un dispenser del sapone, posso non vederlo come tale e quindi è un vedere
non epistemico. Il vedere epistemico è invece l’applicazione di concetti all’esperienza. Io vedo che
c’è un dispenser attaccato alla parete e lo riconosco come tale, si tratta di un vedere epistemico.
– Gli operatori epistemici sono semi-penetranti. Sono più penetranti di quelli “è strano che” etc,
ma sono meno penetranti di “è vero che” o “è un fatto che”. Per argomentare questa tesi, Dretske
deve argomentare da un lato che gli operatori epistemici sono più penetranti di quelli non
penetranti, dall’altro che non lo sono come quelli penetranti visti per primi.
– La prima tesi è la più facile da stabilire. Pag 276. Se Giovanna si è persa, qualcuno si è perso. Può
essere strano che Giovanna si sia persa, senza che sia strano che qualcuno si sia perso. Ma se so che
Giovanna si è persa, necessariamente so anche che qualcuno si è perso.
– Conoscenza dell’implicazione logica. Può darsi che un operatore epistemico non penetri le
conseguenze di un enunciato su cui opera, in quanto non sono note all’agente interessato. Questo fa
sì che gli operatori epistemici non siano completamente penetranti.

– Dretske passa subito a presentare una versione dell’argomento dell’ignoranza. Chi argomenta
alla maniera dell’argomento dell’ignoranza, chi solleva il problema dello scetticismo presentando
l’argomento dell’ignoranza, sta facendo leva, più o meno esplicitamente, sulla tesi che gli operatori
epistemici siano completamente penetranti.
– Se gli operatori epistemici non fossero penetranti, lo scettico avrebbe difficoltà a presentare i suoi
paradossi.
– Dretske introduce il tema attraverso il bizzarro dialogo nella slide (pomodori su albero di mele).
Questa risposta avrebbe successo se l’operatore “è strano che” fosse pienamente penetrante.
– Dretske comincia ad avanzare l’ipotesi che lo scettico ragioni un po’ come il secondo
interlocutore di questo dialogo bizzarro, cioè che assuma illecitamente che un certo operatore sia
penetrante, mentre in realtà lo è soltanto parzialmente.
– Pag 281. Dretske fa un po’ il punto della situazione e dice che cosa andrà a fare dopo le prime
pagine, nella parte rimanente del saggio. “Ciò che vorrei sostenere è che gli argomenti scettici
tradizionali … pienamente penetranti”. Dretske comincia ad argomentare a favore della sua tesi per
esempi. Usa prima una serie di esempi, e poi propone un argomento per analogia.
– Pag 281. Sofferma l’attenzione sull’operatore “S ha ragione di credere che”. È possibile credere
che la chiesa sia vuota avendo una buona ragione (la si è ispezionata di persona) senza avere una
buona ragione per credere che si tratti di una chiesa. Non crederò che la chiesa sia vuota se non
crederò che sia una chiesa. Ma una cosa è credere che si tratti di una chiesa, presupporre che si tratti
di una chiesa, assumere che si tratti di una chiesa, un’altra cosa è avere buone ragioni per credere
che si tratti di una chiesa.
– Secondo esempio. Fratello Harold sta visitando New York, sale a bordo di un bus affollato e
sgomita per prendere l’unico posto a sedere rimasto, prendendo il posto alla signora anziana che ne
avrebbe avuto più diritto. La signora anziana raggiunge il fratello di Dretske; sta lì qualche minuto;
rendendosi conto che il fratello non si sposterà, infine, sospira, torna in fondo al bus e rimane in
piedi.
– La signora sapeva che il fratello di Dretske non si sarebbe mosso, ma non sapeva che fosse il
fratello di Dretske.
– I due casi mirano a mostrare che operatori epistemici come “S ha ragione di credere che” o “S
sa che” non penetrano le conseguenze presupposizionali degli enunciati su cui operano. Se io
dico o affermo o asserisco che la chiesa è vuota, non dico affermo o asserisco che è la chiesa ad
essere vuota, ma questo lo presuppongo. È un presupposto di quello che dico che sia una chiesa
l’edificio di cui sto parlando.
– Distinzione tra de re e de dicto. La signora anziana sapeva dell’individuo che è il fratello di
Dretske che non si sarebbe mosso. Si può sapere questo dell’individuo senza sapere che
quell’individuo è il fratello di Dretske.
– 282-283 ulteriori esempi.
– Dopodiché Dretske nota che, se gli operatori epistemici non penetrano le conseguenze
presupposizionali, è lecito aspettarsi che la stessa cosa valga per gli operatori non penetranti.
Esempio scontro camion.
– Altra classe di conseguenze. Pag 284 “supponiamo che io asserisca che x è a” (slide dialogo
bizzarro parte sotto). Si costruiscono le conseguenze di contrasto: segue necessariamente dalla
proposizione che x è A che x non è B e Q se B è un predicato incompatibile con A. C’è un
particolare sottoinsieme della conseguenze di contrasto che interessa a Dretske. Esempio:
qualcuno pretende di sapere che il muro è rosso. Lo scettico trova un predicato B incompatibile con
A. Se il muro è rosso, ne segue necessariamente che non è bianco. Dal momento che “x è rosso”
implica “x non è bianco” implica necessariamente che “x non è bianco e Q” (qualsiasi altro
predicato). Dretske sceglie il predicato “illuminato di rosso”: il muro bianco illuminato di rosso
sembra rosso. Questa è una conseguenza di contrasto. Se il muro è rosso, necessariamente ne segue
che non è bianco ma è illuminato di rosso. Ma un muro bianco illuminato di rosso è indistinguibile
da un muro rosso.
– Se io so che il muro è rosso, devo per ciò stesso sapere che dunque non è bianco illuminato di
rosso. Ma se io ho solo l’esperienza visiva e niente altro, non so che il muro non è bianco ma
illuminato in maniera tale che appaia rosso. Allora lo scettico vuole costringermi a dire che se non
so che il muro non è bianco e illuminato di rosso, allora non so nemmeno che è rosso.
– Per rispondere allo scettico D sceglie la strada di negare che gli operatori epistemici penetrino
tutte le conseguenze di contrasto. Non penetrano le conseguenze di contrasto che interessano allo
scettico. Normalmente noi acquisiamo conoscenza sul colore delle cose senza fare indagini
approfondite sulla qualità dell’illuminazione e su altre circostanze che eventualmente potrebbero
ingannarci. Se non abbiamo ragioni di credere che l’illuminazione sia anormale, solitamente diamo
per scontato che non lo sia e sulla base della nostra esperienza visiva assegniamo colore alle cose
che ci circondano. Questo ci consente di sapere che il cestino è rosso e che il muro è bianco, ma non
di sapere che il cestino non è bianco illuminato di rosso o che il muro non è un ologramma. Per
sapere queste cose dovremmo fare delle indagini ulteriori, dovremmo acquisire delle prove diverse
che ci consentono di imparare che il cestino è rosso e il muro è bianco.
– Esempio della zebra. Gli esempi del muro rosso e della zebra sono famosissimi in epistemologia.
Ci troviamo in uno zoo, siamo davanti al recinto delle zebre. Lo sappiamo perché c’è il cartello su
cui c’è scritto ‘zebra’ e davanti abbiamo quella che ha tutto l’aspetto di essere una zebra. Sappiamo
che è una zebra? Ordinariamente riterremmo di poter sapere che quella è una zebra. Ma se qualcosa
è una zebra non è un mulo. Uno scettico potrebbe immaginare che lo zoo sia in crisi e non possa più
permettersi le zebre; al posto delle zebre ha messo allora dei muli sapientemente camuffati perché
sembrino delle zebre. Tu affermi di sapere che quella davanti a te è una zebra, ma sai che non è un
mulo sapientemente camuffato?
– A D sembra chiaro però che io sappia che quella è una zebra. Do per scontato che di solito i
cartelli sui recinti negli zoo siano veritieri e che le autorità che gestiscono gli zoo non ingannino i
visitatori.
– Gli scenari scettici che D considera sono semplicemente molto più locali degli scenari scettici che
abbiamo considerato sin qui, che hanno una portata molto più ampia e coinvolgono un numero
molto più ampio delle nostre pretese di conoscenza. Questi scenari sono molto locali; coinvolgono
un numero limitato di pretese di conoscenza ma funzionano più o meno allo stesso modo di quelli
visti fin qui. La posizione di D richiama e anticipa infatti molto da vicino la posizione di Nozick.
Pag 285.
– La posizione di D concede allo scettico che non sappiamo che l’animale non sia un mulo
camuffato da zebra, ma insiste che ciononostante possiamo sapere che l’animale sia una zebra e non
un mulo camuffato perché gli operatori epistemici sono soltanto semipenetranti, e specificamente
non penetrano le conseguenze di contrasto su cui fanno leva gli argomenti scettici.
– Pag 286: se siete inclini a resistere allo scettico, se siete inclini a non dargli ragione, allora dovete
abbandonare l’idea che gli operatori epistemici siano completamente penetranti.
– Argomento per analogia. D attira la nostra attenzione su altri tre operatori che non sono
operatori epistemici, o palesemente epistemici. Vedi slide. Mette in evidenza i tratti in comune tra
questi operatori e gli operatori epistemici.
– Pag 289. D comincia ad argomentare che questi tre nuovi operatori non penetrano un certo
insieme di conseguenze di contrasto.
– Pag 290 refuso: quinta riga dopo la parentesi ci deve essere una virgola + “potrei” va minuscolo.
– Il primo dei tre operatori dunque non penetra le conseguenze di contrasto.
– Slide: terzo operatore. I muri non gli sembrerebbero verdi a meno che non fossero verdi. Se non
fossero verdi, non gli sembrerebbero verdi. Da “il muro è verde” segue che il muro non è bianco
illuminato di verde. Ma dal fatto che il muro non gli sembrerebbe verde se non fosse verde, non
segue che il muro non gli sembrerebbe verde se non fosse bianco illuminato di verde. Gli
sembrerebbe verde anche se fosse bianco illuminato di verde.
– Articolo Conclusive reason. Dretske utilizza il condizionale R al congiuntivo per definire la
nozione di ragione conclusiva, e poi proporre un’analisi della conoscenza nei termini della ragione
conclusiva. Dretske propone quindi in termini diversi più varianti della sua analisi della conoscenza.
– Emerge questa possibilità da questo caso: il muro non sembrerebbe verde se non fosse verde. Il
fatto che il muro sembri verde è una ragione conclusiva per concludere che il muro sia verde; ma
non è una ragione conclusiva perché se il muro sembri verde sia verde. Conclusivo quindi non vuol
dire una ragione che garantisce infallibilmente una conclusione.
– Differenza rispetto a Nozick: i condizionali di Nozick collegano il valore di verità di una
conclusione alle credenze di un agente. Qui invece non si parla di credenze, ma si parla di “stati di
cose” o “fatti” che possono costituire ragioni per certe conclusioni.
– In questo articolo Dretske non fornisce un’analisi della consocenza. Al contrario di Nozick, che
adduce la indipendente plausibilità della sua analisi della conoscenza per sostenere che la sua
risposta allo scetticismo non è ad hoc perché è una conseguenza necessaria di un’analisi della
conoscenza che è indipendente plausibile, qui Dretske invece non fornisce un’analisi della
conoscenza.
– Semplicemente Dretske fornisce delle ragioni per ritenere che gli operatori epistemici non
penetrino gli operatori di contrasto. Queste ragioni non dipendono da un’accettazione di una
specifica analisi della conoscenza.
– Pag 291 Dretske comincia a tirare le fila. Brenda e il dessert.
– Alternative rilevanti. Dretske introduce la nozione in maniera un po’ diversa da Nozick. Nozick
dice: un’alternativa è rilevante quando, se non si fosse dato lo stato di cose attuale che si è
dato, si sarebbe data l’alternativa. Invece Dretske usa una formulazione un po’ più debole:
un’alternativa è rilevante quando avrebbe potuto realizzarsi.
– Dretske sostiene che gli operatori epistemici si comportano nello stesso modo di questi tre
operatori anche perché gli operatori epistemici operano su enunciati che esprimono proposizioni che
non vanno presi isolatamente.
– L’accento, reso nella slide col corsivo, serve a rendere salienti alcune alternative piuttosto che
altre. S sa che Lefty ha ucciso Otto.
– Quali sono le conseguenze di contrasto penetrate dall’operatore “S sa che”? vengono penetrate
soltanto quelle che sono già presenti fin dall’inizio nella cornice di alternative rilevanti. Se una
conseguenza di contrasto non è presente fin dall’inizio nella cornice di alternative rilevanti ma viene
aggiunta in un secondo momento, come fa lo scettico, allora quella conseguenza non è penetrante.
Io so che il cestino è rosso. Le alternative rilevanti sono che sia giallo, verde o bianco. Non è
un’alternativa rilevante che sia bianco illuminato di rosso.

22.02

Pritchard
– Nozione di credenza sensibile e credenza sicura. Discute dettagliatamente Nozick e poi
introduce una posizione che per certi versi è simile a quella di Nozick, perché essa pure fa ricorso a
un condizionale al congiuntivo.
– Partendo dal problema posto dai casi Gettier, sia quelli originali sia i tanti altri costruiti sulla
falsariga di quelli originali, Pritchard mette in evidenza che si potrebbe concepire il compito
dell’analisi della conoscenza (quella parte dell’epistemologia che si occupa di studiare la natura
della conoscenza) come il compito di trovare una condizione il cui soddisfacimento garantisca che
una credenza vera non sia tale in maniera fortuita. Questo è un po’ quello che la condizione della
giustificazione si può pensare plausibilmente cerchi di fare. Già Platone mette in evidenza che non è
sufficiente una credenza vera per avere conoscenza. Ci deve essere qualche cosa di più. Una
credenza può essere vera per caso, per coincidenza, in maniera fortuita. Ci vogliono ulteriori
condizioni che escludano questa possibilità.
– I casi Gettier ci mostrano però che non è sufficiente. Sfuggono vari casi in cui la credenza oltre a
essere vera è anche giustificata, ma continua a essere vera per caso, in maniera fortuita. Nei casi
Gettier c’è un concorso di sfortuna e fortuna della credenza. Prendiamo per esempio il caso
dell’orologio fermo. Qui c’è un concorso di sfortuna e fortuna epistemica: sfortuna perché la gente
si serve, per formarsi una credenza, di un metodo, di uno strumento, che è al momento inaffidabile.
La sfortuna epistemica è però compensata dal colpo di fortuna consistente nel fatto che consulta
l’orologio nel momento nell’arco della giornata in cui segna l’ora esatta. È possibile individuare in
tutti i casi Gettier un concorso di fortuna e sfortuna epistemica. Si può pensare allora che per
fornire un’analisi corretta della conoscenza proposizionale si debba trovare una condizione
antifortuita, cioè una condizione che scongiuri un’eventualità che una credenza sia vera in maniera
fortuita.
– La terza condizione dell’analisi di Nozick consente di non considerare conoscenza i casi Gettier
che invece l’analisi tripartita tradizionale è costretta a considerare conoscenza. Da questo punto di
vista l’analisi di Nozick funziona bene.

–Pritchard nel primo paragrafo parla delle teorie basate sulla sensibilità: quelle teorie di analisi
della conoscenza che ruotano attorno all’idea centrale che la sensibilità della credenza sia una
condizione necessaria per costituire conoscenza. Credenza che soddisfi condizione espressa dalla
terza condizione di Nozick. Se non fosse vero che P, S non crederebbe che P.
– Pag 78*. Pritchard propone in primo luogo una formazione della condizione della sensibilità.
Dopodiché passa a discutere l’analisi della conoscenza di Nozick, che ruota attorno alla nozione di
credenza sensibile. L’agente che guarda l’orologio fermo, secondo l’analisi di Nozick, non sa che
sono le 8:20 perché la sua credenza pur essendo vera non è sensibile. L’analisi di Nozick riesce
quindi a gestire in maniera soddisfacente i casi Gettier.
– Pag 80-81*. Caso della lotteria. In certi casi viene presentato come un paradosso. È al centro di
molte discussioni in epistemologia, perché ha una morale un po’ inaspettata sulla relazione fra
probabilità e giustificazione epistemica. Fine pagina 80.
– Questo esempio sembra suggerire che il tipo di giustificazione che è adeguato per la
conoscenza, il tipo di giustificazione che trasforma una semplice credenza vera in una
conoscenza, non può essere questione di alta probabilità. Sembra che un agente possa sapere che
ha il biglietto perdente utilizzando un metodo (quello di leggere il quotidiano) meno affidabile del
metodo di basarsi a priori sul calcolo della probabilità, quando secondo questo secondo metodo ci
sembra chiaro che non possa acquisire conoscenza.
– Correttamente Pritchard mette in evidenza che l’analisi di Nozick riesce a gestire anche il caso
della lotteria. L’agente non sa, perché se fosse falso che P l’agente continuerebbe a credere che P.
Anche se la sua verità è altamente probabile, tuttavia non è sensibile.
– Paragrafo Sensibilità e scetticismo. Presentata la soluzione di Nozick al problema dello
scetticismo: principio di chiusura, etc.
– Nel paragrafo 3 Pritchard comincia a discutere i limiti dell’analisi di Nozick.
1) Il primo limite, che è quello più grave dal punto di vista di Pritchard, ha a che fare con quelle che
un altro noto epistemologo contemporaneo ha chiamato le congiunzioni abominevoli. Nozick nega
la correttezza del principio di chiusura della conoscenza sotto implicazione logica nota; così noi
possiamo avere conoscenza ordinaria senza avere conoscenza anti-scettica. Anche se questo può
essere attraente – concediamo qualcosa allo scettico ma non gli concediamo ciò che più ci sta a
cuore – se ci si riflette bene il risultato con cui ci ritroviamo è abominevole secondo De Rose. Ci
ritroviamo a dover dire cose come: io so che ho due mani, ma non so che sono cervello in una vasca
su Alfacentauri privo di mani.
– Da dove scaturisce questo abominio? Dalla negazione del principio di chiusura, che non a caso
non è particolarmente popolare tra gli studiosi. I due principali fautori della negazione del principio
di chiusura sono Nozick e Dretske, ma la stragrande maggioranza degli epistemologi odierni non
sono disposti a seguirli in questa negazione (per il motivo detto prima).
– Per molti autori questa è una ragione molto forte per non accettare l’analisi della conoscenza di
Nozick e la sua soluzione al problema dello scetticismo.

– Non è però la sola ragione. A partire dalla prima metà degli anni ’80, Kripkey hanno cominciato a
presentare dei controesempi all’analisi di conoscenza di Nozick, che sì gestisce in maniera
soddisfacente i casi Gettier ma ci sono altri casi che non riesce a gestire in maniera soddisfacente.
– Ci sono alcuni controesempi che Nozick riesce a gestire complicando un po’ l’analisi. Nozick si
rende conto che ci sono alcuni potenziali controesempi alla sua analisi iniziale, e quindi si dà da fare
per riuscire a disinnescarli. Lo fa introducendo nella sua analisi qualche ulteriore complicazione che
ha a che fare col metodo utilizzato dalla gente nel formarsi la credenza.
– Nelle ultime pagine della sezione di Philosophical explanations Nozick introduce qualche
potenziale controesempio all’analisi iniziale e relativizza i suoi metodi per risolvere questi casi.
– Primo caso della nonna. Molto affezionata al suo giovane nipote: quando il nipote la va a trovare
è perfettamente in grado, guardandolo, di arrivare a sapere che il suo giovane nipote sta in piedi e
cammina. La nonna è perfettamente in grado di rendersi conto di questo. Se il nipote stesse male,
però, la nonna continuerebbe a credere che stia bene, perché se il nipote stesse male non andrebbe a
trovare la nonna ma i genitori del bambino telefonerebbero alla nonna e la rassicurerebbero sullo
stato di salute del nipote. Se fosse falso che il nipote sta bene, lei continuerebbe a credere che stia
bene. Ci sembra chiaro che nel momento in cui la nonna si trova di fronte il nipote, lei sappia che il
nipote sta bene. Questo è un potenziale controesempio all’analisi di Nozick.
– Secondo controesempio. Un padre assiste al processo del figlio accusato di un qualche crimine.
Il padre ha assoluta fiducia nell’innocenza del figlio, ma nel corso del processo vengono esibite
delle prove conclusive dell’innocenza del figlio. Quindi il padre si forma la credenza che il figlio sia
innocente sulla base di due metodi: sulla base del metodo della fiducia e sulla base del metodo
giudiziario. In questo caso, ci sono due metodi in gioco.
– Entrambi i casi fanno emergere la necessità di dire qualche cosa sui metodi utilizzati
dall’agente nella formazione della credenza.
– Nel caso della nonna, possiamo dire che la nonna sa, ha una credenza sensibile, relativamente al
metodo della visione e che non sa che ha una credenza non sensibile attraverso il metodo del
credere alle testimonianze dei genitori del nipote.
– Nozick allora definisce la nozione di sapere che P attraverso il metodo M. S sa che P attraverso il
metodo M se soddisfa le quattro condizioni del metodo M, per esempio se la sua credenza,
formatasi mediante l’utilizzo del metodo M, è sensibile.
– Le quattro condizioni dell’analisi iniziale vengono riformulate introducendo un riferimento
al metodo utilizzato. In questo modo possiamo dire, ad esempio nel caso della nonna, che la nonna
sa che il nipote sta bene relativamente sulla base del metodo della visione, ma non lo sa sulla base
del metodo del fidarsi della testimonianza dei genitori del bambino.
– Padre e figlio a processo. Possiamo dire che la credenza del padre è sensibile, che il padre sa che
il figlio è innocente sulla base della considerazione delle prove messe a processo, ma non sa che il
figlio è innocente sulla base della fiducia.
– Quando abbiamo più metodi in campo, come dobbiamo soppesare i vari metodi? Cosa
dobbiamo richiedere affinché l’agente sappia tout-court? Quello di Nozick è soltanto un passaggio
intermedio. Per avere un’analisi definitiva possiamo fare varie cose. Potremmo per esempio
richiedere che ci sia un metodo attraverso cui l’agente sa. Se sono coinvolti più metodi, come nel
caso della nonna e del padre, allora possiamo dire che l’agente ha conoscenza se conosce attraverso
almeno un metodo. Ma non va bene, perché se il padre ritenesse comunque il figlio innocente anche
a dispetto dell’evidenza processuale, il padre si forma la sua credenza sulla base di un metodo che
conferisce conoscenza, ma questo non è sufficiente per dire che sa che il figlio è innocente. Se ci
sono più metodi coinvolti, non è sufficiente accontentarsi che ce ne sia almeno uno buono.
Dovremmo allora richiedere che tutti i metodi siano buoni? No, perché ad esempio nel caso della
nonna ci sembra essere un caso di conoscenza anche se, anche in quel caso, c’è un metodo buono e
un metodo cattivo.
– Bisogna distinguere i casi di sovradeterminazione dagli altri. Differenza tra i due casi: nel caso del
padre c’è una sovradeterminazione, ci sono due metodi che agiscono contemporaneamente. Sono
attivi tutti e due i metodi. Invece nel caso della nonna il metodo attivo è soltanto uno: l’altro è un
metodo che la nonna utilizzerebbe in certe circostanze ma che di fatto non usa. Facendo leva su
questa differenza, Nozick decide di procedere considerando soltanto i metodi effettivamente
utilizzati. Quindi, nel caso della nonna, il fatto che la nonna arriverebbe a una credenza falsa se
utilizzassimo un altro metodo in certe circostanze, non depone a sfavore della conclusione che la
nonna abbia conoscenza. Invece nel caso del padre, i due metodi vengono entrambi utilizzati, e
allora bisogna in qualche modo pesarli e decidere qual è quello che prevale sull’altro. In caso di
discordanza tra i due metodi, l’agente a quale si affiderebbe? Se si affida al metodo cattivo, non ha
conoscenza; se si affida al metodo buono, ha conoscenza.
– Pag 53.

– Torniamo a Pritchard. La nostra credenza di non essere cervelli in una vasca può essere simile
al caso della nonna. Noi ci formiamo la credenza di non essere cervelli in una vasca sulla base
della nostra esperienza percettiva. Il metodo che utilizziamo fa leva sulla nostra esperienza
percettiva e sulla nostra interazione, attraverso la percezione, con l’ambiente in cui viviamo. La
nostra esperienza è il prodotto della nostra interazione con tavoli, sedie, persone, oggetti reali. È
questo il metodo che usiamo nel mondo attuale per formarci la credenza che non siamo cervelli in
una vasca. Se lo fossimo, quale metodo useremmo? Secondo Pritchard è plausibile che non
useremmo lo stesso metodo. Faremmo certo anche in quel caso leva sulla nostra esperienza
percettiva, ma non si tratterebbe di un’esperienza dovuta a un’interazione con oggetti reali, ma si
tratterebbe di un’esperienza prodotta artificialmente attraverso stimolazioni sistematiche dei nostri
terminali nervosi. Quindi si può sostenere che il metodo che utilizzeremmo se fossimo cervelli in
una vasca per formarci la credenza che non lo siamo, non sia lo stesso metodo che utilizziamo
se effettivamente non siamo cervelli in una vasca.
– Se seguiamo Pritchard in questo ragionamento, allora la nostra credenza di non essere cervelli in
una vasca è sensibile e produce conoscenza. Il fatto che se fossimo cervelli in una vasca
utilizzeremmo un altro metodo non inficia la nostra conoscenza che non siamo cervelli in una vasca.
Pritchard suggerisce dunque che dopotutto è possibile riconciliare Nozick col principio di
chiusura della conoscenza sotto implicazione logica nota. Non dobbiamo negare id sapere che
non ci troviamo in uno scenario scettico semplicemente perché la nsotra credenza di non trovarci in
uno scenario scettico non è sensibile nel senso definito da Nozick. Una volta che prendiamo in
considerazione la considerazione finale di Nozick, allora possiamo sostenere non soltanto di avere
due mani, ma sappiamo anche di non essere cervelli in una vasca.
– Perché Nozick non imbocca questa strada? Pritchard se lo chiede e dà una risposta plausibile: un
po’ stranamente, un po’ inaspettatamente, Nozick pur essendo esternista riguardo alla
conoscenza, è internista riguardo all’individuazione dei metodi. Nozick dice cose come: due
metodi che appaiono indistinguibili dall’interno, sono lo stesso metodo. Il problema è quello di
decidere, quando abbiamo di fronte a noi due metodi, se siano distinti o se siano in realtà lo stesso
metodo. Il metodo che usiamo se siamo esseri umani sulla terra e il metodo che useremmo se
fossimo invece cervelli in una vasca, sono lo stesso metodo o non lo sono? Pritchard dice che sono
due metodi diversi, perché all’origine delle credenze stanno in un caso oggetti del mondo reale,
nell’altro caso impulsi elettrici. Ma l’agente non è in grado, dal suo punto di vista, di
distinguerli. Nozick pone l’accento su questo fatto, e quindi arriva alla conclusione che i due
metodi sono lo stesso, e perciò non ha la possibilità di seguire Pritchard nel suo ragionamento.
– Diversa concezione dell’individuazione dei metodi. Nozick individua metodi sulla base di
criteri internisti, cioè sulla base di ciò che è accessibile dal punto di vista dell’agente; invece
Pritchard individua metodi sulla base di fattori che possono anche sfuggire all’agente
coinvolto.
– Per rendere plausibile la scelta di criteri esternisti nell’individuazione dei metodi, Pirtchard
presenta il caso dei ??di pulcini. Questo caso dovrebbe suscitare in noi l’intuizione che fattori
esterni, fattori che sfuggono al punto di vista dell’agente coinvolto, possono essere rilevanti per
stabilire per esempio se un metodo, sia buono o cattivo, sia atto a conferire conoscenza oppure no.
– Il caso di persone in grado di stabilire se un pulcino sia maschio o femmina, la qual cosa è
utile per scopi pratici, in una maniera che non sono in grado di descrivere correttamente. Sono in
grado di riconoscere se un pulcino è maschio o è femmina, quando viene loro chiesto sulla base di
quali criteri operino la loro scelta normalmente fanno appello a sintomi di tipo visivo e dicono che li
riconoscono sulla base dell’aspetto. In realtà pare che li riconoscano sulla base di indizi olfattivi.
– Pur non essendo in grado di descrivere correttamente il criterio, essi lo fanno in maniera
affidabile. Un epistemologo esternista, come è Nozick sulla conoscenza, sarà solitamente disposto a
dire che i sessatori di pulcini sanno che il pulcino è maschio o femmina anche se non sono in
grado di produrre delle buone ragioni per giustificare la loro scelta.
– Questo esempio serve a Pritchard per sostenere che può essere un fattore rilevante, per
decidere se vi sia conoscenza o no, quale metodo sia utilizzato ma non semplicemente come il
metodo appaia dall’interno, ma come effettivamente il metodo si comporti, se sia affidabile o
no indipendentemente da come l’uso del metodo si presenti all’agente che ne fa uso.
– Differenza tra sessatore di pulcini provetto e inetto (!). Provetto utilizza un metodo affidabile: è
in grado di classificare affidabilmente i pulcini in maschi e femmine. Quello che distingue i due
metodi è quindi l’affidabilità, che ha a che fare con fattori, con l’interazione causale tra l’agente, i
pulcini e il suo ambiente che non hanno alcun riscontro nell’esperienza soggettiva degli stessi. Non
c’è nessun differenza dall’interno, ma c’è solo differenza dall’esterno. Un metodo è affidabile,
l’altro no. Questo dovrebbe convincerci, secondo Pritchard, del fatto che due metodi indistinguibili
possono essere così diversi da conferire in un caso la conoscenza, nell’altro no.
– Al di là della questione del rifiuto della chiusura e le questioni abominevoli, ci sono ulteriori
controesempi che l’analisi di Nozick è difficilmente in grado di gestire. Pritchard ne cita uno, il caso
dello scivolo dei rifiuti che mostra che l’analisi di Nozick è troppo forte. Nei condomini
statunitensi ci sono scivoli per i rifiuti. Si può gettare la spazzatura direttamente nello scivolo dei
rifiuti, e lo scivolo getta la spazzatura dove questa viene smaltita. Un agente può sapere che il
sacchetto della spazzatura è arrivato a destinazione? In condizioni normali, uno può saperlo: il
sistema funziona, il sacchetto della spazzatura entro pochi secondi arriva nella cantina, a
destinazione. Io posso credere questo, ma la mia credenza che il sacchetto che ho introdotto è giunto
a destinazione è sensibile? No, non è sensibile: se il sacchetto si fosse impigliato da qualche parte,
io continuerei a credere attraverso lo stesso metodo che il sacchetto è giunto a destinazione.
– Vari altri controesempi che sembrano mostrare che l’analisi di Nozick è troppo forte, cioè che
lascia fuori dei casi che intuitivamente dovrebbe ammettere come casi di conoscenza. È possibile
però formare dei controesempi che mostrano che l’analisi di Nozick è troppo debole, perché
accoglie dei casi che dovrebbe invece lasciare fuori. Uno degli esempi si deve a Colin McGuinn,
che ha immaginato il caso dei simulatori di dolore. C’è una popolazione di simulatori di dolore: fa
parte della loro cultura quella di simulare dolore. C’è un agente estraneo a questa popolazione che
per la prima volta arriva a contatto con questa popolazione e in realtà per la prima volta incontra
l’unico membro di questa popolazione che non simula il dolore. In questo momento manifesta
dolore. L’agente estraneo nel momento in cui si forma la credenza che ha dolore, sa che ha dolore?
Intuitivamente diremmo di no, e tuttavia la sua credenza è sensibile, è vera. In questo caso l’analisi
di Nozick è troppo debole, perché attribuisce conoscenza a un agente che intuitivamente
sembrerebbe non avere conoscenza.
– Sono stati formulati tanti altri casi che hanno convinto la maggior parte degli epistemologi che
l’analisi di Nozick, così com’è, sia infine insoddisfacente.
– Un altro caso celebre è di Kripke: caso dei fienili rossi. È il caso di un agente che si chiama
Harry passa in una zona di campagna indicando al figlio le varie cose che si vedono lungo il
percorso: quello è uno steccato, quello è un cavallo, quella è una mucca, quello è un fienile. Si vede
benissimo tutto. Diremmo che Harry sa che quello è un cavallo, quella è una mucca, quello è un
fienile. È vero che è un fienile, Harry sa che è un fienile. L’analisi di Nozick sembra dare il risultato
corretto.
– Situazione un po’ diversa: l’azienda per la promozione turistica ha pensato di erigere dei
fienili di cartapesta per attirare i turisti. Quindi non ci sono soltanto fienili reali, ma ci sono
anche fienili di cartapesta. Se questi fienili fossero lontani, non sarebbe un gran problema.
Casualmente Harry si forma la credenza che quello sia un fienile quando passa accanto all’unico
fienile reale. Se Harry si forma la credenza che quello sia un fienile reale in virtù del fatto che è
abbastanza fortunato di indicare l’unico fienile reale, non diremmo più che Harry sa che quello è un
fienile di cartapesta. La presenza di tanti fienili di cartapesta lì intorno rende rilevante l’alternativa.
– La sua credenza che sia un fienile è sensibile? No, perché se fosse un fienile di cartapesta
continuerebbe a credere che sia un fienile.
– Epiciclo alla storia: non è possibile dipingere dei fienili di cartapesta di rosso. I fienili rossi sono
inimitabili. Quindi la credenza che si tratta di un fienile rosso risulta conoscenza; la credenza che si
tratta di un fienile non risulta conoscenza. Queste due cose non stanno bene insieme.

23.02

– Nonostante riesca a gestire i casi Gettier molto meglio dell’analisi tradizionale, l’analisi di Nozick
rimane vittima di alcuni controesempi che mostrano che essa è allo stesso tempo troppo forte e
troppo debole, nonché cade vittima dell’obiezione che ci costringe ad accettare le obiezioni
abominevoli che derivano del rifiuto del principio di chiusura blabla sotto implicazione logica nota.
– Andando a scavare in profondità, si scopre che molti dei problemi dell’analisi definitiva di Nozick
sorgono da problemi connessi a quelli su cui si sofferma Pritchard.
– Questione di descrivere al giusto livello di generalità il metodo adottato in ciascun singolo
caso. Lo stesso processo di formazione della credenza può essere descritto in modi differenti,
ottenendo così risultati differenti. Molti problemi dell’analisi di Nozick derivano dal fatto che è
difficile dire quale sia esattamente il metodo che utilizza la nonna o il padre del figlio processato.
Altro problema dell’analisi di Nozick è l’utilizzo del condiziale congiuntivo, e sebbene noi abbiamo
un’idea abbastanza chiara della verità o falsità di alcuni di questi casi (se fossi partito da casa
cinque minuti fa, non sarei qui ora a fare lezione – condizionale congiuntivo vero), quando abbiamo
a che fare con dei condizionali un po’ più complicati risulta meno chiaro se un condizionale sia vero
o falso, se la terza e la quarta condizione dell’analisi di Nozick siano soddisfatte oppure no. Il
ricorso al gergo dei mondi possibili perché bisogna stabilire una metrica, bisogna ordinare i mondi
possibili riguardo alla loro distanza dal mondo attuale per stabilire quali siano i mondi da
considerare in ogni singolo caso. Bisogna quindi fare delle scelte teoriche riguardo a quali fattori
abbiano più o meno peso quando si tratta di valutare la vicinanza tra i mondi possibili.
– Nozione di credenza sicura. La condizione necessaria e sufficiente affinché una credenza sia
sicura è espressa da Pritchard essa pure tramite un condizionale al congiuntivo, ma differente da
quelli di Nozick.
– Condizionale della sensibilità: se fosse falso che P, S non crederebbe che P. Il condizionale della
sicurezza è: se S credesse che P, non sarebbe falso che P. E’ dunque un condizionale
contrapposto, cioè un condizionale ottenuto negando il conseguente del condizionale della
sensibilità, negando l’antecedente del condizionale della sensibilità, e invertendoli.
– Condizione necessaria alla conoscenza: non che la credenza sia sensibile, ma che la credenza sia
sicura.
– I due condizionali sono contrapposti, e i condizionali, potremmo pensare, si contrappongono
validamente: cioè, se è vero che se P allora Q, allora necessariamente è vero anche che se nonQ
allora nonP. Ma il condizionale della sensibilità e quello della sicurezza non sono equivalenti,
non si contrappongono validamente. Non è lecito inferire da “se si desse il caso che P, allora si
darebbe il caso che Q” il condizionale contrapposto “se non si desse il caso che P, allora non si
darebbe il caso che Q”.
– Esempio proposto da Sosa. Se scorresse dell’acqua dal rubinetto della cucina, non scenderebbe
dell’acqua dal rubinetto della cucina con il rubinetto centrale chiuso. Se scendesse dell’acqua dal
rubinetto della cucina, allora non scenderebbe l’acqua dal rubinetto della cucina con il rubinetto
centrale della casa chiuso. Questo condizionale potremmo che dire che è vero: se scendesse
dell’acqua dal rubinetto della cucina, non scenderebbe col rubinetto centrale chiuso.
– Proviamo a negare conseguente e antecedente e invertirli. Se scendesse dell’acqua dal rubinetto
della cucina col rubinetto centrale chiuso, non scenderebbe dell’acqua dal rubinetto della cucina. È
falso. Da un condizionale al congiuntivo vero possiamo ricavare per contrapposizione un
condizionale al congiuntivo falso. Questo mostra che la contrapposizione, che è una regola di
inferenza valida quando abbiamo a che fare con condizionali materiali, non è una regola di
inferenza valida quando abbiamo a che fare con condizionali al congiuntivo. Le due condizioni
dunque non sono equivalenti: una può essere soddisfatta mentre l’altra non lo è.
– La credenza che non siamo cervelli in una vasca è sensibile? No, non è sensibile. Ma la credenza
di non essere cervelli in una vasca è sicura? Se noi credessimo di non essere cervelli in una vasca,
sarebbe vero che non siamo cervelli in una vasca?
Sì, è vero. Se io credessi di non essere un cervello in una vasca, sarebbe vero che non lo sono.
– Potremmo però avere il caso di un agente ipocondriaco, il quale riceve una sberla tremenda in
faccia all’improvviso e quindi prova un dolore lancinante. Si forma perciò la credenza: sto
provando un forte dolore. Questo agente, essendo ipocondriaco, si sarebbe formato tale credenza
anche ricevendo una sberla amichevole, non forte. La sua credenza, perciò, non è sicura, perché ce
l’ha anche in mondi possibili vicino all’attuale in cui è falsa.
– La via d’uscita è analoga a quella di Nozick, ovvero quella di prendere in considerazione il modo
in cui si forma tale credenza. Sosa e Pritchard però non parlano tanto di modo, ma della base su
cui l’agente si forma la credenza. La credenza in questione per essere conoscenza deve essere
sicura relativamente alla base, ovvero deve essere vera nei mondi possibili vicini a quello
attuale in cui l’agente ha la credenza sulla stessa base sulla quale se l’è formata nel mondo
attuale.
– Nei mondi possibili più vicini all’attuale in cui l’agente creda che il sacchetto della spazzatura sia
giunto a destinazione, è vero che il sacchetto è giunto a destinazione. Però bisogna tenere presente
che nella formulazione originaria di Sosa noi possiamo tradurre il condizionale in termini di mondi
possibili. Il modo in cui Sosa propone di interpretare questi condizionali al congiuntivo in termini di
mondi possibili richiede non che il conseguente sia vero in tutti i mondi possibili vicini all’attuale in
cui è vero l’antecedente, ma nella maggior parte di essi. Se c’è qualche sporadico mondo possibile
vicino all’attuale in cui l’antecedente è vero e il conseguente è falso, questo non fa sì che la
credenza non sia sicura. Per cui non c’è neanche bisogno di dire che i mondi in cui il sacchetto
della spazzatura non arriva a destinazione perché si è impigliato da qualche parte nel
percorso sono mondi non abbastanza vicini da essere meritevoli di considerazione nella
valutazione del condizionale. Si può ammettere che tra i tanti mondi possibili vicini a quello
attuale, in qualcuno sia falso.
– Nel quarto paragrafo Pritchard presenta le teorie basate sulla sicurezza.
– Nel quinto paragrafo P mette in evidenza due problemi. Il primo riguarda la conoscenza delle
negazioni delle ipotesi scettiche. Pag 93. Nel caso della conoscenza antiscettica sembra che “si
abbia tale conoscenza in virtù del possesso di una credenza controfattualmente ostinata (…)
proposizione creduta sia falsa”. Perché noi possiamo sapere che non siamo cervelli in una vasca dal
punto di vista di un’analisi della conoscenza che ruota intorno a credenza sicura? Semplicemente
perché siamo un po’ testardi, perché noi siamo aggrappati alla nostra credenza di non essere cervelli
in una vasca. Fortuitamente capita che le cose stanno in modo tale che nei mondi possibili vicini a
quello attuale non si incontra mai un mondo possibile in cui la nostra credenza sia falsa.
– Proposito di P: discutendo lo scetticismo e come gli approcci alla conoscenza basati su condizioni
espresse da condizionali congiuntive possano affrontare il problema dello scetticismo, Pritchard
mira a proporre una variante dell’approccio basato sulla sicurezza che sopravviva alle
principali obiezioni.
– La seconda obiezione è dovuta a John Greco, che è accomunato a Sosa dalla difesa di quella che
viene detta l’epistemologia della virtù. In realtà Sosa lo incontriamo in questo corso in due vesti:
come il primo fautore di un’analisi della conoscenza basata sul requisito della sicurezza, ma poi
Sosa ha modificato la sua posizione ed è diventato uno dei principali fautori dell’epistemologia
della virtù. John Greco è un altro esponente dell’epistemologia della virtù.
– Per rendere giustizia al caso dello scivolo della spazzatura, almeno a prima vista, bisogna
accontentarsi che la credenza sia vera nella maggior parte dei mondi possibili vicini a quello attuale,
ma non necessariamente proprio in tutti. Se dovesse essere vera proprio in tutti, allora o dichiariamo
che i mondi in cui il sacchetto si impiglia sono lontani, oppure siamo portati a dire che l’agente non
sa che il sacchetto è arrivato a destinazione poco dopo essere stato introdotto all’imboccatura dello
scivolo. Se però definiamo la sicurezza di una credenza in questi termini, cioè richiedendo soltanto
che la credenza sia vera nella maggior parte dei mondi possibili vicini a quello in cui l’agente ce
l’ha, allora non riusciamo a rendere giustizia al caso della lotteria. Nel caso della lotteria la
credenza di avere in mano un biglietto perdente è vera nei mondi possibili vicini a quello attuale.
– Per rendere giustizia al caso della lotteria, la credenza dovrebbe essere vera nella totalità dei
mondi possibili pertinenti.
– Paragrafo 6: epistemologia antifortuna. Perché dovremmo ritenere che la sicurezza sia una
posizione necessaria per la conoscenza? Interrogandosi sulla motivazione di questo requisito,
Pritchard cerca di arrivare alla formulazione del requisito più convincente, perché più fedele alla
motivazione, e quindi anche più in grado di resistere alle obiezioni.
– In che cosa consiste la fortuna epistemica? Pritchard si interroga su quali sia in generale la
natura della fortuna. Quando è che descriviamo come fortunato un evento? Descriviamo un evento
come fortunato quando soddisfa due condizioni: 1) è un evento che riveste una qualche importanza,
un qualche valore, per l’agente per cui risulta fortunato; 2) l’evento deve essere in qualche senso
improbabile. Non parliamo di un evento fortunato se un è un evento a cui l’agente attribuisce
valore, ma è un evento che si verifica ogniqualvolta che l’agente compie un certo lavoro, si
comporta in un certo modo.
– Deve trattarsi di un evento che si verifica nel mondo attuale, ma non in un’ampia classe di
mondi possibili vicini in cui le condizioni iniziali pertinenti sono le stesse del mondo attuale.
Torniamo al caso della lotteria. Ammettiamo che l’agente sia stato fortunato e sia stato estratto il
suo biglietto. L’estrazione del biglietto acquistato dall’agente è un evento fortunato perché ha valore
per l’agente ed è un evento che si verifica nel mondo attuale, ma non in un’ampia classe di mondi
possibili vicini in cui le condizioni iniziali pertinenti sono le stesse del mondo attuale.
– Pag 98.
– Obiezioni riguardo alle credenze antiscettiche. È troppo facile arrivare alla conclusione che queste
credenze costituiscano conoscenza sulla base fornita dall’epistemologia che ruota intorno alla
nozione di sicurezza. Ma Pritchard nota che nonostante le apparenze messe in luce dall’obiezione,
le nostre credenze antiscettiche rientrano perfettamente nella categoria delle credenze che hanno un
valore non fortuito.
– Nel senso che ha spiegato, le credenze antiscettiche sono vere in modo non fortuito. Sebbene
siano credenze a cui noi attribuiamo un valore, non sono credenze che siano vere soltanto nel
mondo attuale e non soltanto nei mondi possibili vicini al mondo attuale. Quindi rispondono
perfettamente al requisito per essere credenze che non sono vere in modo fortuito.
– Diverse dimensioni della valutazione di una credenza. Noi possiamo valutare una credenza
lungo tre dimensioni differenti: possiamo chiederci se una credenza sia vera o falsa (e preferiamo
una credenza vera a una falsa); possiamo chiederci se sia giustificata o non giustificata; una terza
dimensione è chiedersi se costituiscano conoscenza oppure no. Le tre cose non vanno
necessariamente assieme.
– Pritchard suggerisce che dal punto di vista della valutazione che ha a che fare con la conoscenza,
le nostre credenze antiscettiche sono ineccepibili. Sono credenze vere non fortuite. La
manchevolezza che pure sembrano manifestare è di un altro tipo. Non è questione di verità,
potrebbe essere questione di giustificazione. In realtà qui Pritchard non entra nei dettagli, ma si
limita a concedere che da qualche punto di vista, sotto qualche profilo, ci può essere una
manchevolezza nelle nostre credenze antiscettiche, ma se c’è non ha a che fare con il loro costituire
o meno credenze antiscettiche.
– Problema dell’instabilità. Un evento può essere più o meno fortunato. Pritchard ci presenta questo
caso. Può essere che un agente sia stato sfiorato da una pallottola. Non è stato ferito o peggio da
un colpo sparato a una certa distanza, perché la pallottola anziché colpirlo l’ha solo sfiorato. Questo
è un evento fortunato: nei mondi possibili vicini a quello attuale si sarebbe potuto verificare.
Anziché essere semplicemente sfiorato, però, un agente potrebbe non essere colpito in maniera
diversa: la pallottola sarebbe potuta passare a tre metri di distanza. Anche questo è un evento
fortunato, ma è un pochino meno fortunato nel senso che se si fosse verificato quell’evento l’agente
sarebbe stato colpito in un numero minore di mondi possibili vicini a quello in cui non è stato
colpito. Si possono comparare gli eventi riguardo a quanto sono fortunati.
– Pritchard applica questa idea al caso epistemico, e quindi riforma il requisito della sicurezza
ordinando i mondi possibili, mettendoli in due categorie diverse. Ci sono i mondi possibili
vicinissimi, e i mondi possibili piuttosto vicini. Allora l’idea è che si debba riformulare il
requisito della sicurezza richiedendo che la credenza rimanga vera in tutti i mondi possibili più
vicini, nessuno escluso, ma accontentandosi che la credenza rimanga vera nella stragrande
maggioranza dei mondi possibili vicini, ma non proprio quelli più vicini. !
– In questo modo P cerca di gestire in maniera soddisfacente sia l’esempio della lotteria, sia il caso
dello scivolo della spazzatura. Tutti i mondi possibili da considerare per valutare se l’agente sappia
di avere in mano un biglietto perdente rientrano nella categoria dei mondi più vicini, e quindi
affinché la credenza dell’agente sia sicura dovrebbe essere vera in tutti i mondi, e non è vera in tutti
i mondi. Dunque il verdetto sul caso della lotteria è corretto. Invece, per quanto riguarda il caso
dello scivolo, dobbiamo accontentarci della richiesta che la credenza sia vera in tutti i mondi
possibili vicinissimi, e lo è perché i mondi possibili più vicini in cui non c’è una deformazione del
tubo dello scivolo il sacchetto arriva a destinazione, ma i mondi in cui c’è una deformazione da
qualche parte e la spazzatura rischia di impigliarsi, non sono i mondi più vicini ma appartengono
alla seconda categoria dei “mondi piuttosto vicini”. Che in qualcuno di quei mondi la credenza
risulti falsa non impedisce che questa sia sicura.
– In questo modo Pritchard cerca di rendere stabile la posizione.
– Ultimo paragrafo del testo. Pritchard arriva a una conclusione se vogliamo un po’ ecumenica.
Cerca infatti un riavvicinamento tra le analisi della conoscenza basate sulla sensibilità e quelle
basate sulla sicurezza. In effetti ci ha già fatto vedere come, se accettiamo di individuare i metodi
sulla base dei fattori esterni, l’analisi di Nozick può essere riconciliata con l’accettazione del
principio di chiusura della conoscenza sotto implicazione logica nota. Questo già di per sé
costituisce un avvicinamento tra le due posizioni, perché entrambi in questo modo finiscono per
accettare il principio di chiusura. Ma Pritchard nota che il modo in cui Nozick formula la sua
concezione non è inevitabile. È possibile elaborare un’analisi della conoscenza imperniata sulla
nozione di credenza sensibile che dia dei risultati un po’ diversi, che assuma una configurazione
differente. In particolare, secondo Pritchard, quello che è controintuitivo e che non è essenziale alla
posizione di Nozick e che Nozick accetta perché ha certe idee su come si comportano i condizionali
al congiuntivo e su come si individuano i metodi, è l’idea che le alternative rilevanti, che
dobbiamo considerare per stabilire se un agente sappia o no che le cose stanno in un certo
modo, possano essere delle alternative modalmente remote. Per come Nozick costruisce la sua
analisi della conoscenza, quando noi dobbiamo stabilire se un agente sappia che non è un cervello
in una vasca su Alfacentauri, i mondi possibili che dobbiamo considerare sono i mondi possibili in
cui la sua credenza è falsa, e quindi i mondi possibili molto diversi da quello attuale. Secondo
Pritchard è questa l’idea sbagliata, che è collegata poi all’individuazione internista dei metodi.
Nozick configura la sua proposta in maniera tale che possano risultare rilevanti delle
alternative molto lontane dall’attualità, molto improbabili. Invece Pritchard ritiene che
un’alternativa per essere rilevante debba essere modalmente vicina, debba essere
un’alternativa non altamente improbabile, non estremamente lontana dall’attualità.
– L’ultimo capoverso invece menziona il fatto che tutte queste considerazioni, nella misura in cui
hanno rilevanza non soltanto per la questione dell’analisi della conoscenza ma anche per la
questione dell’analisi dello scetticismo, hanno una qualche forza soltanto riguardo a quel tipo di
argomento scettico di cui ci siamo occupati noi fin qui, riguardo a sfide scettiche, dubbi scettici,
riguardo alla nostra possibilità di avere conoscenza ordinaria, che vengano formulati sulla base
dell’argomento dell’ignoranza e quindi sulla base del principio di chiusura della conoscenza sotto
implicazione logica nota. Pritchard precisa che tutte queste considerazioni sono pertinenti se il
problema dello scetticismo è il problema sollevato dall’argomento dell’ignoranza e quindi
scaturisce dalla chiusura della conoscenza sotto implicazione logica nota. Ma Pritchard nota che ci
sono formulazioni della contestazione scettica della possibilità della conoscenza ordinaria che non
fanno leva sul principio di chiusura della conoscenza sotto implicazione logica nota. Riguardo a
queste formulazioni, tutte queste considerazioni diventano irrilevanti.

25.02

Sosa: Epistemologia della o delle virtù (Virtue epistemology)


– Slide Sosa con due citazioni Aristotele.
Nella prima Aristotele fa rientrare la virtù fra le disposizioni dell’animo. La virtù è una
disposizione stabile che progredisce in seguito all’abitudine ma che non è un’abitudine, non è
la ripetizioni costante di un certo comportamento ma è la disposizione a provare certe emozioni,
ad agire in certi modi in certe circostanze. È una disposizione che non si acquisisce una volta per
tutte ma che va continuamente coltivata perché rimanga stabile. Aristotele distingue virtù etiche da
quelle dianoetiche.
– Gli epistemologi della virtù prendono ispirazione chi dalle virtù etiche, chi dalle virtù
dianoetiche di Aristotele. Viene utilizzato un esempio aristotelico, quello della seconda citazione.
Esempio dell’arciere che tende la corda per centrare il bersaglio; Sosa, nell’introdurre la sua
epistemologia delle virtù, utilizza questo esempio.
– Mentre in precedenza Sosa aveva riflettuto sulla possibilità di fornire un’analisi della
conoscenza proposizionale in termini di credenza vera sicura relativamente alla base,
successivamente abbandona questo modello in favore di quello che chiama “il modello della tripla
A”, che ci viene presentato nella seconda lezione del testo A virtue epistemology (2007).
– Il testo prende le mosse dall’esempio dell’arciere. Semplificando un po’, ossia trascurando le
questioni di grado per cui un arciere si può avvicinare più o meno al centro del bersaglio, Sosa nota
che la prestazione, la scoccata di un arciere può essere valutata lungo tre dimensioni
differenti: 1) in primo luogo, possiamo chiederci se una specifica prestazione di un arciere abbia
centrato il bersaglio: se ha centrato il bersaglio, diremo che è accurata, mentre se l’ha fallito diremo
che non lo è; 2) adroitness: una scoccata di un arciere è adroit quando manifesta una virtù, una
competenza dell’agente. Sosa usa spesso i due termini ‘virtù’ e ‘competenza’ in maniera
intercambiabile. Qui stiamo parlando di una virtù, di una competenza, di un arciere; poi vedremo
che Sosa trasferirà il discorso al caso della conoscenza; 3) aptness, appropriatezza: quand’è che una
prestazione è non soltanto accurata, non soltanto competente, ma anche appropriata? Quando non
soltanto è accurata, non soltanto è competente ossia manifesta una competenza dell’agente, ma
quando è accurata in virtù del fatto che è competente, quando la sua accuratezza è attribuibile in
misura prevalente alla competenza dell’agente.
– Può capitare che una prestazione sia accurata e competente senza essere appropriata. Può
capitare che l’arciere scocchi la freccia in condizioni metereologiche avverse; però l’arciere riesce a
colpire il bersaglio. La sua prestazione è accurata, e l’arciere è competente. Ma il successo della
prestazione non è attribuibile in maniera preponderante alla competenza dell’arciere, perché una
folata di vento ha spostato la traiettoria della freccia, e la freccia non avrebbe colpito il bersaglio se
non fosse arrivata una ulteriore folata di vento opposta. L’arciere ha fatto buon uso della sua
competenza ma non è merito esclusivo e preponderante della sua competenza che egli abbia colto il
bersaglio. Questo per dire che una prestazione può essere accurata, può essere competente ma non
essere appropriata. È appropriata quando è accurata in virtù del fatto che è competente.

– Sosa introduce questo modello dell’arciere per poi applicarlo alla conoscenza. Ci si potrebbe
interrogare sulle differenza tra la prestazione di un arciere e la formazione della credenza di un
agente. Sosa cerca di dissipare le perplessità su questo trasferimento di modello dal primo caso al
secondo, notando che non è necessario che la prestazione valutata sia intenzionale, deliberata,
perché possa essere valutata in queste tre dimensioni.
– Si può prendere l’esempio della prestazione del cuore di un organismo umano. Il nostro cuore
non batte deliberatamente, non è intenzionalmente finalizzato a uno scopo, e tuttavia compie una
prestazione che può essere valutata per il suo successo nel pompare il sangue. Dunque non è
necessario che la prestazione valutata sia intenzionale perché vi si possa valutare il modello della
tripla A. E non è necessaria un’azione: la formazione di una credenza potrebbe essere considerata
un’azione ma anche un processo involontario (dibattito epistemologico su volontarietà della
credenza).
– Sosa nota che si può valutare anche uno stato, quale è la credenza, riguardo alla sua
accuratezza, competenza e appropriatezza. Anche uno stato può cogliere il segno, può essere
manifestazione di una competenza, e può cogliere il segno in virtù del fatto che è una
manifestazione di una competenza.
– Sosa distingue la conoscenza animale dalla conoscenza riflessiva. Siamo sempre nell’ambito del
genere “conoscenza proposizionale”. Secondo Sosa è possibile analizzare la conoscenza animale
come credenza appropriata. Una prestazione appropriata è una prestazione accurata in virtù del fatto
che è competente.
– In cosa consiste colpire il bersaglio? Nel caso epistemico colpire il bersaglio consiste nel formarsi
una credenza vera. Una credenza è accurata quando è vera, o corretta. In più ci vuole
l’appropriatezza.
– Una credenza è adroit quando manifesta una virtù o una competenza epistemica, quando è
l’esito di una virtù o competenza epistemica. Per virtù o competenza epistemica Sosa intende
disposizione della mente a formarsi credenze in maniera affidabile. Sono quindi competenze o virtù
epistemiche cose come la percezione, la memoria, l’introspezione, il ragionamento. Noi possiamo
formarci una credenza accurata, vera, sulla base dell’esperienza percettiva, sulla base della
memoria, dell’introspezione, del ragionamento, deducendola da qualche altra credenza. Questi sono
tutti modi in cui noi ci formiamo credenze. Sono virtù il cui esercizio tende a produrre credenze
vere.
– Tratto caratterizzante le competenze epistemiche: sono in larga parte affidabili, e perciò tendono a
produrre l’accuratezza della credenza. Una credenza accurata, una credenza vera, sostituisce
conoscenza animale se e soltanto se la sua accuratezza e la sua verità è attribuibile in maniera
preponderante, è spiegabile, menzionando l’esercizio di una competenza o virtù epistemica
dell’agente. La mia credenza che la luce sia accesa è conoscenza animale in virtù del fatto che la
correttezza di questa credenza è attribuibile in maniera preponderante all’esercizio di una virtù
epistemica identificabile in questo caso con l’esercizio della percezione.
– Pag 61: Sosa spiega come si possano introdurre le nozioni di conoscenza animale e conoscenza
riflessiva senza dover riscontrare un’ambiguità. Tre fasi.
– Per avere conoscenza riflessiva sono necessarie due credenze: 1) quella di partenza, di base, che
costituisce la conoscenza animale – che la luce sia accesa; 2) una credenza di livello superiore, cioè
una credenza che verte sulla credenza iniziale. Se ho una metacredenza, una credenza di livello
superiore il cui contenuto è che io credo appropriatamente che la luce è accesa, e questa credenza di
livello superiore è appropriata, allora io ho anche conoscenza riflessiva.
– In pratica la conoscenza riflessiva è conoscenza di avere conoscenza animale. Per sapere a livello
riflessivo che P, io devo sapere a livello animale di sapere a livello animale che P. Si ripete le K,
cioè l’operatore di conoscenza (vedi slide).
– Nelle pagine successive Sosa passa a mettere in relazione la nozione di credenza appropriata
con la nozione di credenza sicura. La nozione di credenza sicura è una nozione su cui Sosa ha
molto lavorato, che ha proposto negli anni precedenti per analizzare la conoscenza e che continua a
svolgere un ruolo anche in questa sua nuova analisi della conoscenza.
– Sosa non è l’unico epistemologo delle virtù: John Greco, Linda Zagzebski.
– Sosa non ritiene che la sicurezza sia necessaria per la conoscenza. Ritiene che svolga un qualche
ruolo quando si tratta di affrontare la natura della condizione della conoscenza riflessiva, ma è un
ruolo che, seppure di un certo rilievo, non ne fa una condizione necessaria della conoscenza.

– Lo scettico in qualche modo presuppone che la conoscenza richieda una credenza sensibile. È lo
scettico di cui parla Nozick; è lo scettico che crede, con Nozick, che una condizione necessaria per
la conoscenza sia la sensibilità.
– Secondo Sosa ci può sembrare che la sensibilità sia una condizione necessaria per la conoscenza
perché la scambiamo con la sicurezza, che è più plausibilmente una condizione necessaria per la
conoscenza. A questo punto però Sosa non sostiene più che la sicurezza sia una condizione
necessaria per la conoscenza.
– Una volta rimossa questa confusione, noi possiamo sapere di non essere cervelli in una vasca su
Alfacentauri semplicemente perché questa credenza è sicura.
– Questa strategia può avere successo quando si chiamano in causa scenari scettici
modalmente remoti, ma ha meno successo quando si chiamano in causa scenari scettici
moldalmente più vicini, come lo scenario del sogno.
– Nel primo capitolo del volume, Sosa non ha ancora introdotto il modello della tripla A e quindi
prova ad affrontare lo scetticismo basato sullo scenario del sogno senza far appello alla nozioni di
appropriatezza, ma facendo appello alla nozione di sicurezza. Sosa propone di affrontare lo
scetticismo del sogno sostituendo al modello del sogno come allucinazione, la concezione del sogno
come immaginazione.
– L’argomento è che noi non dobbiamo concepire i sogni in analogia con le allucinazioni, ma in
analogia con l’immaginazione. Se io ho una allucinazione e vedo davanti a me un elefante rosa, mi
formo una credenza falsa, ma mi formo una credenza. L’idea di Sosa è che nel sogno noi non ci
formiamo delle nuove credenze. Dobbiamo concepire il sogno sul modello dell’immaginazione, non
sul modello dell’allucinazione. Dobbiamo distinguere tra ciò che crediamo nel sogno e ciò che
crediamo mentre sogniamo.
– Quando in un incubo io sono assalito da una belva feroce, non mi formo realmente, mentre sogno,
la credenza che c’è una belva feroce davanti a me, ma conservo le credenze che avevo mentre ero
sveglio. Bisogna distinguere tra ciò che credo nel sogno e ciò che credo mentre sogno. Se io sogno
di tradire mia moglie, io non tradisco mia moglie mentre sogno, ma tradisco mia moglie nel sogno.
Non posso quindi essere biasimato allo stesso modo in cui potrei essere biasimato se la tradissi
mentre sono sveglio.
– Nella seconda lezione Sosa passa invece a sostenere un’analisi della conoscenza basata sulla
credenza appropriata. In primo luogo ci mostra che una credenza può essere sicura senza essere
appropriata, e può essere appropriata senza essere sicura. Quindi ci deve mostrare che le due
nozioni non coincidono e che non si implicano a vicenda.
– Possiamo tornare al caso dell’arciere. Sosa immagina due variazioni sul caso dell’arciere. La
prima è che l’arciere, competente nel suo mestiere, abbia assunto una droga. Questa droga ha
l’effetto, oltre una certa quantità, di rovinare la competenza dell’arciere. Sosa immagina che
l’arciere abbia assunto questa droga ma in quantità appena inferiore alla soglia che lo renderebbe
capace di centrare in maniera affidabile il bersaglio. L’arciere scocca la freccia, colpisce il
bersaglio. L’accuratezza della scoccata è attribuibile alla sua competenza, ma non è sicura, perché
nei mondi possibili vicini in cui l’arciere ha compiuto la sua prestazione il livello di droga assunto è
appena più alto, tanto da fargli perdere la sua competenza di arciere.
– Angeli che assicurano che la freccia colga sempre il bersaglio anche in condizioni
metereologiche avverse. In quel caso la prestazione dell’arciere è sicura, ma non è appropriata
perché nei mondi possibili in cui interviene l’angelo l’accuratezza non è attribuibile alla
competenza dell’arciere.
– Questo viene applicato in prima battuta alla questione del sogno. La vicinanza dei mondi possibili
in cui sto sognando influisce sulla appropriatezza della mia credenza? Io credo che la luce sia
accesa; ci sono dei mondi possibili vicini in cui io credo che la luce sia accesa, non sia accesa.
Questa possibilità influisce sull’appropriatezza della credenza che mi formo da sveglio che la luce
sia accesa? Secondo Sosa non influisce: la rende insicura, ma non la rende inappropriata. Quando
sono sveglio la correttezza della mia credenza che la luce sia accesa è attribuibile in maniera
preponderante all’esercizio della mia competenza epistemica.
– Tuttavia non è così scettico. Lo scettico può contrattaccare: non basta annotare che una credenza
può essere appropriata senza essere insicura per liquidare lo scettico.
– Ci sono due modi che Sosa identifica in cui la possibilità che stiamo sognando, una possibilità
scettica, può influire su una credenza epistemica. Può influire rendendola meno affidabile, come la
droga assunta in certe quantità dall’arciere, oppure può influire sulle condizioni circostanti in cui la
competenza viene utilizzata rendendo tali circostanze inidonee all’esercizio affidabile della
competenza (per esempio condizioni metereologiche: l’arciere può conservare la sua competenza,
essere perfettamente lucido, e tuttavia non essere in grado di esercitare la sua competenza perché le
condizioni metereologiche rendono il tutto imprevedibile).
– Pag 66.

– Per farci vedere che le cose non sono però così semplici, Sosa introduce il caso del burlone che
controlla la superficie caleidoscopica e l’illuminazione della stessa. C’è un tavolo che è rosso e
un osservatore che in condizioni di illuminazioni normali si forma la credenza che sia rosso. Però
questo non è un tavolo normale, ma è una superficie caleidoscopica, quindi è una superficie che è
controllata a distanza da un burlone, che può far sì che l’osservatore possa vedere o un tavolo rosso,
oppure un tavolo di superficie bianca illuminata di rosso. Nel primo caso l’osservatore si forma una
credenza vera, nel secondo caso si forma una credenza falsa.
– Utilizzando la distinzione tra conoscenza animale e conoscenza riflessiva, Sosa sottolinea che
l’osservatore ha conoscenza animale ma non conoscenza riflessiva. La sua credenza che il tavolo
sia rosso è vera, è appurata, è manifestazione di una competenza epistemica percettiva e la verità
della credenza è attribuibile in maniera preponderante all’esercizio della competenza. La credenza è
appropriata: costituisce conoscenza animale. Ma costituisce anche conoscenza riflessiva? Secondo
Sosa la sensazione che ci sia qualche cosa che non va è dovuta al fatto che non costituisce anche
conoscenza riflessiva. Non c’è una credenza di livello superiore che abbia come contenuto la
proposizione che l’agente stesso crede appropriatamente che il tavolo sia rosso, la quale sia a sua
volta appropriata. Perché l’agente potrebbe formarsi questa credenza di livello superiore, ma non
sarebbe appropriata.
– La credenza di livello superiore può consistere semplicemente nel dare per scontato che le cose
stiano in un certo modo, dare per scontato che la credenza di base sia appropriata. Non è necessaria
una vera e propria esplicita paradigmatica credenza, ma è sufficiente che l’agente dia per scontato.
– Il problema è però che, se anche l’agente dà per scontato che la sua credenza che il tavolo sia
rosso sia appropriata, non lo fa in maniera appropriata. Perché? Perché affinché l’appuratezza della
credenza che il tavolo è rosso sia attribuibile in maniera preponderante all’esercizio di una
competenza epistemica dell’agente, bisogna che questa credenza, avendo come contenuto che la
verità della credenza di base è attribuibile in maniera preponderante all’esercizio della competenza
epistemica, questa metacredenza deve avere come contenuto tra le altre cose che l’illuminazione sia
normale. Perché se l’illuminazione non fosse normale, non si potrebbe attribuire la correttezza della
credenza di base all’esercizio della competenza. Bisogna che l’agente a livello superiore dia per
scontato che l’illuminazione sia normale.
– Ma noi normalmente non ci mettiamo ogni volta a interrogarci sulla qualità dell’illuminazione.
Esercitiamo questa competenza di livello superiore: la competenza di dare per scontato che
l’illuminazione sia normale.
– Questa competenza di dare per scontato che l’illuminazione sia normale non è una
competenza solida e sicura, non è una competenza che non rischi di portarci fuori strada.
– Pag 68-69.
– Il caso del sogno è analogo a un caso della superficie caleidoscopica? Se la vicinanza dei
mondi possibili in cui stiamo sognando ha lo stesso effetto della vicinanza dei mondi possibili in cui
il burlone sottopone all’agente una superficie bianca illuminata di rosso, se le due situazione sono
analoghe allora ha vinto lo scettico.
– Le pagine successive della lezione sono dedicate a trovare una qualche asimmetria tra i due
casi. Sosa mira a mostrare che l’analogia non è perfetta e che nel caso della conoscenza
percettiva ordinaria noi possiamo avere anche conoscenza riflessiva. C’è una qualche differenza
tra i due casi che giustifica questa differenza di trattamento e che consente, dunque, di rispondere
allo scettico.
– Nelle nostre percezioni noi diamo per scontato di non star sognando. Allora ciò che corrisponde
alla competenza di ordine superiore di dare per scontato che l’illuminazione è normale, è, in questo
caso, la competenza di ordine superiore di dare per scontato che siamo svegli, che non stiamo
sognando. Come funziona questa competenza? Su che base diamo per scontato di non stare
sognando? Una prima ipotesi è che lo diamo per scontato sulla base del fatto che siamo coscienti.
– Se fosse questa la competenza esercitata, finirebbe per avere ragione lo scettico. Noi daremmo per
scontato di non stare sognando anche se stessimo sognando, se lo facciamo sulla base del mero fatto
che siamo coscienti. Se fosse così, allora l’esercizio di questa competenza ci porterebbe troppo
facilmente a sbagliarci.
– La base su cui ci formiamo, secondo Sosa, la credenza, o la base a partire dalla quale diamo per
scontato che siamo svegli quando siamo svegli, è diversa dalla base che utilizziamo per formarci la
credenza che siamo svegli quando in realtà questo è falso e stiamo sognando. L’idea è che ci siano
basi diverse, che vengono utilizzate per formarsi la credenza, o per dare per scontato che
siamo svegli nel caso in cui lo siamo e nel caso in cui non lo siamo.
– Qui Sosa fa appello da un lato a Cartesio e dall’altra parte a Austin, che in maniere diverse
sostengono entrambi che c’è una differenza tra il sogno e la verità. La differenza che Cartesio
riscontra fra il sogno e la veglia è affrontata nell’ultima delle Meditazioni metafisiche.
– Differenza secondo Cartesio: il sogno è molto più incoerente.
– Differenza secondo Austin: l’esperienza che abbiamo da svegli è molto più dettagliata, ricca,
articolata di quella che abbiamo quando sogniamo. C’è una differenza qualitativa fra l’esperienza
che abbiamo quando siamo svegli e quella che abbiamo quando dormiamo e sogniamo.
L’esperienza che abbiamo da svegli è molto più dettagliata, articolata e ricca di quella che abbiamo
quando sogniamo.
– Nella seconda lezione Sosa propone questo argomento in maniera non del tutto lineare; invece
nelle pagine di una lezione successiva è ricapitolato in maniera molto più chiara. Pdf su virtuale*.

01.03.2021

– Nonostante Sosa distingua la più sofisticata conoscenza riflessiva dalla più rudimentale
conoscenza animale, con l’intento di rendere giustizia all’intuizione che noi riteniamo di avere
conoscenza in senso proprio, in senso stretto, quando abbiamo qualcosa di più che mera conoscenza
animale, quando siamo in grado di difenderla; nonostante questo, la soluzione di Sosa si colloca in
un’ottica fondamentalmente esternista. Per lui la conoscenza riflessiva è credenza appropriata
appropriatamente notata. I suoi argomenti non mostrano che abbiamo buone ragioni per rivendicare
il possesso di conoscenza riflessiva: in questo senso la sua proposta non è molto diversa da quella di
Nozick.
– Sosa introduce il problema scettico non facendo appello al principio di chiusura o ad altri
principii, ma facendo leva direttamente sull’idea che la conoscenza sia credenza sicura
relativamente alla base. Il problema scettico è introdotto facendo leva sull’idea che una credenza
che non sia sicura relativamente alla base non possa costituire conoscenza.

– Mentre le virtù epistemiche di Sosa e Greco sono delle disposizioni più o meno innate, cioè
sono dei tratti comuni a tutti gli esseri umani che sviluppano queste virtù in forma più o meno
acuta, le virtù epistemiche su cui focalizzano la loro attenzione i responsabilisti della virtù sono più
simili a virtù etiche, nel senso di Aristotele. Dunque sono in primo luogo tratti della personalità
acquisiti, sono cose come l’apertura mentale, il coraggio intellettuale, l’imparzialità. Si tratta di
virtù che non tutti possediamo in eguale misura, che sviluppiamo nel corso del tempo. Non
necessariamente tutti sviluppiamo queste virtù. Hanno una portata più ampia, più vasta di quelle
identificate dagli affidabilisti: mentre la virtù di formarsi credenze sulla base dell’esperienza
percettiva ci rende disponibili credenze riguardo a un ambito ben delimitato di stati di cose o di
fatti, quelli più o meno che hanno luogo nell’ambiente che ci circonda, virtù come l’imparzialità o
l’apertura mentale hanno a che fare con tutte le nostre indagini, e non semplicemente con settori
specifici delle nostre indagini e della nostra conoscenza.
– Le virtù epistemiche dei responsabilisti sono da un lato tratti acquisiti, dall’altro hanno una portata
più ampia, e in ultimo ci dicono qualche cosa riguardo al genere di persona che siamo, come le virtù
etiche di Aristotele.
– L’interesse nel problema dello scetticismo sta anche nel fatto che per affrontarlo possiamo essere
indotti a rivedere qualche elemento della nostra concezione della conoscenza. Ciò che spinge gli
epistemologi ad affrontare il problema dello scetticismo non è tanto il desiderio di trovare un
argomento definitivo, un argomento conclusivo per confutare lo scettico.
– Una possibilità presa in considerazione da molti epistemologi è che gli argomenti scettici abbiano
peso su di noi perché fanno leva su certi aspetti della nostra concezione della conoscenza che non
sono davvero corretti. Fin qui abbiamo visto come il tentativo di risolvere paradossi scettici possa
condurre ad abbandonare principii a prima vista plausibili, come quella della conoscenza sotto
implicazione logica nota.
– D’altro lato, il tentativo di risolvere paradossi scettici può condurre ad abbandonare l’idea che la
giustificazione sia una componente costitutiva della conoscenza. Questa conclusione è comune a
Nozick, a Sosa e a Pritchard, i quali adottano una concezione esternista della conoscenza. Questo
vale anche per Dretski, ma la sua posizione è un pochino più complessa.
– Opposizione tra internismo ed esternismo.

Goldman
– Ci presenta un’altra posizione esternista, ma di diverso tipo, e allo stesso tempo ci dà l’occasione
di considerare un’altra forma di affidabilismo. L’epistemologia della virtù di Sosa e di Greco è una
forma di affidabilismo della virtù, ma ci sono epistemologie che hanno importanti tratti in
comune con l’affidabilismo della virtù che non sono attribuibili all’ambito dell’epistemologia della
virtù.
– Saggio del 1979. Che cos’è una credenza giustificata? What is justified belief?
– Analisi causale della conoscenza da cui Nozick prende spunto, per poi cercare di generalizzare
l’idea centrale dell’analisi causale nei termini che abbiamo visto. Un’analisi causale della
conoscenza si trova in un saggio di Goldmann A causal theory of knowing, in cui cercava di reagire
alla pubblicazione dei casi Gettier proponendo come alternativa all’analisi tripartita tradizionale
della conoscenza un’analisi causale.
– Nel ’67 Goldmann propose un’analisi causale della conoscenza, la cui idea centrale è che un
agente sappia che le cose stanno in un certo modo se e solo se la sua credenza è vera e la sua
credenza è causata in maniera appropriata dal fatto che rende vera la proposizione creduta.
L’idea che sia necessario per la conoscenza non che l’agente abbia buone ragioni per credere le
ragioni in questione, ma che la credenza dell’agente sia causata in maniera appropriata dal fatto che
rende vera la proposizione creduta.
– Analisi esternista nel senso centrale: non richiede a una credenza vera che per essere
conoscenza debba essere giustificata.
– Un altro saggio molto discusso di Goldmann è Discrimination and perceptual knowledge del
1976. Anche in questo saggio, in cui viene proposta un’analisi della conoscenza percettiva basata
sulla nozione di discriminazione che fa uso ancora di elementi causali ma che si presenta sotto una
forma più raffinata, più perfezionata, Goldmann è assai esplicito nel dichiarare che la
giustificazione è superflua per la conoscenza.
– Goldmann quindi è molto chiaro sul fatto che la conoscenza tradizionale non richiede
giustificazione epistemica.

– Invece nel saggio di cui ci occupiamo noi Goldmann cambia un pochino direzione: si propone
di analizzare la giustificazione epistemica. Il tema del saggio è: che cos’è una credenza giustificata.
Qui Goldmann presuppone che la giustificazione sia una condizione necessaria per la
conoscenza. Il cambiamento però è meno profondo di quanto possa apparire a prima vista: in realtà
quella che intendeva respingere nella sua prima analisi della conoscenza era l’idea che la
giustificazione cartesianamente intesa fosse necessaria per la conoscenza. Per giustificazione
cartesianamente intesa Goldmann intende la giustificazione intesa come possesso di buone ragioni
accessibili all’agente.
– Goldmann continua quindi a rifiutare che una giustificazione intesa in tal modo sia necessaria per
la conoscenza. L’analisi della giustificazione epistemica che ci propone è perciò un’analisi diversa
da quelle tradizionali.

– Nel paragrafo introduttivo Goldmann spiega che quello che gli interessa fornire è una teoria
non epistemica di una nozione epistemica: quella di giustificazione è una nozione epistemica;
quello che Goldmann si propone di fare è di specificare delle condizioni necessarie e sufficienti
affinché una credenza sia giustificata, che siano formulate senza ricorrere a termini epistemici.
– Analogia con la morale. Pag 186. Teoria etica normativa spiega in che cosa consiste la giustizia di
un’azione in termini non etici, non normativi.
– Nel paragrafo introduttivo Goldmann ci dà una lista di termini epistemici e non epistemici. I
termini non epistemici sono, per esempio, “crede che” “è vero” “causa” “implica” “è deducibile” “è
probabile”; mentre termini epistemici sono “è giustificato”, “ha buone ragioni di credere”,
“stabilisce che”, “accetta che”.
– Nel capoverso finale del primo paragrafo Goldmann chiarisce che la sua teoria della
giustificazione non è una teoria cartesiana: non è un presupposto della sua concezione che una
credenza possa essere giustificata soltanto se l’agente sa che la propria credenza è giustificata.
– Slide Definizioni ricorsive. Si utilizza la nozione stessa che deve essere definita nella
definizione della nozione. Non sono però definizioni circolari, sono buone definizioni anche se
nella clausola ricorsiva viene utilizzato il termine da definire; il termine da definire però compare
soltanto nelle clausole ricorsive, e non nella clausola di base.
– Definizione ricorsiva messa in relazione con una definizione nel formato di un bicondizionale.
La clausola di chiusura è necessaria nella definizione ricorsiva perché le prime due condizioni
danno delle condizioni che sono singolarmente sufficienti affinché qualche cosa sia un
membro della famiglia reale. La terza clausola serve ad aggiungere che il soddisfacimento di una
di queste due condizioni è necessario affinché qualcuno sia un membro della famiglia reale. Si può
riscrivere la definizione nei termini di “per ogni x…se e solo se…”. Scompare la clausola di
chiusura e compare il “se e solo se”. Il senso della clausola di chiusura è quindi quello di
aggiungere l’elemento di necessità, che nella seconda formulazione è dato dal “solo se”.

– Nel primo paragrafo G prende in considerazione varie proposte classiche di condizioni


sufficienti per la giustificazione di una credenza. In primo luogo G concentra l’attenzione sulla
clausola di base, dunque su una prima clausola che fornisca una condizione sufficiente per la
giustificazione di una credenza senza riutilizzare il termine giustificazione. Passa in rassegna alcuni
approcci classici, alcune condizioni che sono state classicamente proposte come sufficienti per la
giustificazione epistemica. Questo lavoro lo fa nel paragrafo 1 fra pagina 188 e 195.
– In queste pagine G passa in rassegna 4 condizioni che si potrebbe pensare siano sufficienti
per la giustificazione di una credenza, per mostrare che sono tutte insoddisfacenti. Vedi slide.
– Nella letteratura sono state assunte varie proposte riassumibili in queste quattro categorie: 1) una
credenza indubitabile è una credenza giustificata; 2) sufficiente che una credenza sia auto-evidente;
3) è sufficiente che una credenza sia una credenza in una proposizione autopresentante, che si
impone da sé, affinché sia giustificata; 4) una credenza incorreggibile è giustificata.
– Goldmann argomenta che ciascuna di queste proposte fallisce o perché concepita in termini
epistemici, oppure non è adeguata perché cade vittima di controesempi.

– Paragrafo 2. Non possiamo ignorare le relazioni causali coinvolte.


– Pag 196.
– I principii della slide sono principii proposti come clausola di base della definizione; ma anche
principii ricorsivi avranno bisogno di una componente causale.
– Bisogna focalizzare l’attenzione sulle cause della credenza. In primo luogo esclude quelle che
palesemente non conferiscono giustificazione: ragionamento confuso, wishful thinking,
generalizzazioni avventate. Tutti questi sono processi di formazione della credenza che non
sembrano conferire giustificazione a una credenza.
– Idea di affidabilità centrale del saggio. La giustificazione è questione di affidabilità nel
processo di formazione della credenza.
– Goldmann fa notare in primo luogo che l’affidabilità, come la giustificazione, può avere dei
gradi. Questo è un accostamento che comincia a rendere plausibile l’idea che la giustificazione
possa essere una questione di affidabilità.
– Un altro punto in comune tra affidabilità e giustificazione è che un processo può essere
altamente affidabile senza essere del tutto affidabile; così una credenza può essere altamente
giustificata senza essere infallibilmente giustificata.
– Pag 199. Goldmann dice qualcosa in più su che cosa sia una tendenza. Due diverse
interpretazioni. Goldmann non sceglie né l’una né l’altra interpretazione perché vuole analizzare la
giustificazione ordinaria della credenza, nella quale non è importante, per noi, quando valutiamo i
processi di formazione della credenza, distinguere tra un’interpretazione frequentista e una
propensionale della tendenza.
– Discorso su input e output.
– Bisogna distinguere il processo di formazione delle credenze, questa operazione funzionale,
considerato come “tipo” e considerato come “occorrenza”. Bisogna considerare questi processi
come type, quindi astrattamente, come processi ripetibili, perché l’affidabilità è una
caratteristica dei processi come type. Non è la singola esecuzione del processo che può essere
affidabile o no: il processo è considerato in via del tutto generale come type.
– Un problema centrale per l’affidabilismo che Goldmann ha ben presente e che in questo saggio
comincia soltanto a tentare di affrontare, è il cosiddetto problema della generalità. Qualunque
processo di formazione della credenza può essere descritto a diversi livelli di generalità.
– Qual è il giusto livello di generalità?
– Un po’ tutte le posizioni esterniste che facciano riferimento a metodi o a processi di formazione
delle credenze si ritrovano a dover affrontare il problema della generalità, ovvero il problema di
individuare il giusto livello di generalità per l’individuazione dei metodi pertinenti. Questo
esercizio si rivela più complicato di quanto si potrebbe pensare in un primo momento.
– Pag 201. Altro problema: questi processi di formazione della credenza come vanno concepiti
in relazione alla loro estensione? Qual è la prima causa, il primo elemento che dobbiamo prendere
in considerazione nella descrizione del processo? Questo processo ha inizio col fatto che il monitor
è acceso o col fatto che la stanza è vuota, oppure ha inizio con le stimolazioni nervose dei miei
recettori? Ha inizio nel mondo o ha inizio alle estremità del mio sistema nervoso? Si possono
descrivere i processi attraverso cui ci formiamo le nostre credenze in entrambi i modi,
facendoli iniziare nel mondo, negli stessi fatti o stati di cose su cui vertono le nostre credenze,
oppure facendoli partire dalla periferia del nostro sistema nervoso. Goldmann è più incline ad
adottare la seconda prospettiva, perché ritiene che sia meglio concentrarsi sulle operazioni
cognitive che conducono alla formazione delle nostre credenze, che sono intese nella maniera
più plausibile come operazioni della facoltà cognitive degli agenti, cioè come processi di
elaborazione delle informazioni che l’organismo riceve dall’ambiente.

02.03.2021

– Pag 202: prime clausole (una di base e una ricorsiva) per una giustificazione di una credenza.
– Slide 6a-6b-6c. Perché abbiamo una clausola di base e una ricorsiva? Goldman nota che bisogna
distinguere tra due diversi tipi di processi di formazione della credenza: ci sono processi di
formazione della credenza che sono incondizionatamente affidabili, e processi di formazione della
credenza che sono soltanto condizionatamente affidabili. Esempi dei primi: formazione di credenze
basate su esperienze percettive.
– “Condizionatamente” e “Incondizionatamente” non significa “poco” o “molto”
– Il processo di formazione della credenza basato sull’esperienza percettiva opera su input
percettivi. Il segnale, lo stimolo in ingresso su cui opera il processo è l’esperienza percettiva
dell’agente. Ma in ingresso possiamo avere anche delle credenze: ci sono dei processi di formazione
della credenza che non partono da cose come l’esperienza percettiva o l’esperienza introspettiva, ma
partono dalle credenze. L’esempio paradigmatico è il ragionamento: noi ci formiamo credenze non
solo sulla base dell’esperienza percettiva, ma sulla base del ragionamento, cioè deducendo
proposizioni da altre proposizioni.
– Da questo possiamo pretendere soltanto che conduca da credenze giustificate a credenze
giustificate.
– Processi di formazione della credenza condizionatamente affidabili: operano in parte o totalmente
su credenze, prendono come input credenze.
– Condizione 6a. Se la credenza di un soggetto, di un agente, in una proposizione p all’istante di
tempo t è il risultato immediato di un processo (…) è giustificata. È un processo che conduce non
da credenze, ma da cose di altro gente (esperienze percettive o introspettive) a credenze. Se un
processo di questo tipo è incondizionatamente affidabile, perché non opera su credenze, allora la
credenza che ne è il risultato è giustificata. Una credenza che sia prodotta da un processo di
formazione della credenza incondizionatamente affidabile, un processo dunque che in ingresso non
accetta credenze ma altre cose, allora questa credenza è giustificata.
– Clausola 6b. Seconda condizione sufficiente per la giustificazione di una credenza. Se una
credenza è il risultato, è prodotta da un processo dipendente dalla credenza, quindi da un processo
che prende in ingresso delle credenze e che è condizionatamente affidabile (se in ingresso vi sono
delle credenze giustificate), allora la credenza è giustificata.
– Clausola di chiusura. Qualunque altra credenza che non soddisfi o la prima o la seconda
condizione non è giustificata. Quindi una credenza è giustificata se e solo se soddisfa o la prima o la
seconda condizione.
– Questa è la proposta a cui arriva Goldman. È una proposta ancora provvisoria, ma
sostanzialmente questo coglie già in maniera abbastanza chiara l’idea che Goldman vuole
esprimere.

– Pag 203. Questa teoria della giustificazione ci dice di fatto che una credenza è giustificata se e
solo se è ben formata, cioè se ha come antenati (vedi testo).
– Cosa sono questi antenati? Qui Goldman ricorre alla nozione di relazione ancestrale. Vedi slide. È
una definizione informale; si possono dare delle definizioni più rigorose di questa relazione.
Bisogna pensare a una catena di relazioni causali: A è causato da B, B è causato da C, C è causato
da D, D è causato da E. Abbiamo cinque eventi, ciascuno dei quali causa o è causato da un altro,
o tutti e due. La relazione tra i due estremi è la relazione ancestrale. E non è causa di A, ma è
un antenato causale di A. Così come un bisnonno è un antenato del bisnipote. Non è un genitore del
bisnipote, ma la relazione di antenato può essere definitiva come la relazione ancestrale della
relazione di genitore.
– Una credenza potrebbe non essere il risultato di un solo processo di formazione della
credenza, ma dell’azione di più processi o della ripetizione dello stesso processo. Se i processi
sono o incondizionatamente o almeno condizionatamente affidabili, operando su credenze
giustificate, la credenza risultante sarà essa stessa giustificata.
– Goldman applica delle etichette alla sua posizione, e descrive la sua teoria della credenza
giustificata come una teoria storica o genetica, contrapponendola alle teorie della sezione nel
tempo attuale (espressione di Nozick). Pag 203.
– Se una credenza sia giustificata o meno, secondo queste teorie, dipende esclusivamente da ciò che
avviene nell’istante stesso in cui l’agente ha la credenza. Se avere una credenza giustificata è avere
una credenza basata sulle buone ragioni a cui si ha accesso, allora se una credenza sia giustificata o
meno dipende dalle ragioni a cui la gente ha accesso nel momento stesso in cui si forma la credenza
o la credenza viene considerata. Quello che si deve considerare sono semplicemente le ragioni che
sono a disposizione dell’agente al momento in cui l’agente si forma o conserva la credenza. Non c’è
bisogno di risalire indietro nel tempo. Invece nella prospettiva di Goldman, bisogna tener conto
della genesi causale, della eziologia della credenza. Per stabilire se una credenza sia giustificata o
meno, dobbiamo risalire indietro nel tempo e considerare attraverso quali processi l’agente sia
arrivato ad avere quella credenza.
– Affidabilismo storico.
– Leggi esempi Goldman rispetto a diverse tradizioni.
– Nota 202. Mette in relazione la sua analisi con il paradosso della lotteria.

– Pag 204. Possibilità di definire l’analisi della giustificazione epistemica di Goldman una forma di
fondazionalismo.
– Quando si parla della giustificazione epistemica si incontra spesso un argomento classico che
tende ad avvalorare una particolare concezione della giustificazione epistemica: la concezione
fondazionalista.
– Argomento del regresso epistemico della giustificazione. Noi abbiamo tante credenze che sono
giustificate inferenzialmente, cioè che sono giustificate in quanto sono credenze in proposizioni che
abbiamo dedotto da altre proposizioni che crediamo giustificatamente.
– Tante delle nostre credenze ereditano la loro giustificazione per via deduttiva da altre credenze.
Ma se immaginiamo che la credenza A sia giustificata in virtù del fatto che era presente in una
proposizione che segue da una proposizione che è il contenuto della credenza B, quindi se
immaginiamo che la credenza A erediti la sua giustificazione tramite un’inferenza dalla
proposizione che è il contenuto della credenza B, da dove trarrà la credenza B la giustificazione?
Erediterà la giustificazione da un’ulteriore credenza. Allora immaginiamo che la credenza B erediti
la sua giustificazione dalla credenza C, che la eredita a sua volta dalla credenza D. Questa catena
può procedere all’infinito? Sembrerebbe di no: a un certo punto questa catena di trasmissione
della giustificazione deve ancorarsi da qualche parte, non si può risalire all’infinito senza mai
giungere a un ancoraggio saldo. Allora l’idea è che vi debbano essere delle credenze che sono bensì
giustificate, ma non inferenzialmente.
– L’idea è che vi siano delle credenze cosiddette di base che fungano da fondamento per il sistema
delle nostre credenze.
– Argomento del regresso epistemico delle giustificazioni, addotto spesso per legittimare una forma
di fondazionalismo sulla giustificazione epistemica: cioè l’idea che il sistema delle nostre credenze,
per contenere credenze giustificate, debba infine avere delle fondamenta in credenze di base
giustificate non inferenzialmente. A questo si contrappone il coerentismo, secondo cui invece,
affinché alcune delle nostre credenze possano risultare giustificate, non è necessario che vi siano
delle credenze di base, ma sono sufficienti delle relazioni intradoxastiche che collegano tutte le
varie nostre credenze e non sia necessario postulare l’esistenza di credenze di base giustificate non
inferenzialmente.
– Si usano talvolta due metafore per descrivere le due posizioni: la piramide per la posizione
fondazionalista, che poggia su fondamenta su cui viene costruito un complesso edificio, e la zattera,
che invece viene riparata in mare senza poggiare su alcuna fondamenta, nella quale vengono
sostituite le varie parti, le varie credenze, di volta in volta, quando è necessario, ma senza che il
tutto poggi su stabile fondamenta.

– Goldman descrive la sua teoria come una specie di fondazionalismo. L’unica precisazione è che
bisogna non dimenticare che non si tratta di un fondazionalismo statico come quello di Cartesio, ma
si tratta di un fondazionalismo che è associato a una concezione genetica, storica della
giustificazione epistemica.

– Goldman discute due obiezioni: la prima ha a che fare con le credenze introspettive e le credenze
logiche elementare. Credenze introspettive: sento freddo, ho sentito una puntura; riguardano non il
mondo intorno a noi ma i nostri stati soggettivi, di cui sembreremmo essere immediatamente
consapevoli in molti casi introspettivamente.
– Wishful thinking: il formarsi le proprie credenze non sulla base di prove, argomenti a disposizione
ma sulla base dei desideri.
– Non è un processo di formazione della credenza affidabile, non è un processo di formazione della
credenza che tenda a produrre credenze vere e giustificate.
– Immaginiamo che in un mondo possibile diverso da quello attuale le credenze formate sulla base
del wishful thinking risultino vere, perché c’è un genio benevolo il quale si assicura che le credenze
che gli agenti si formano sulla base dei loro desideri si avverino.
– Controesempio all’analisi di Goldman. Abbiamo un caso di credenze prodotte in maniera
affidabile, che scaturiscono da processi di formazione della credenza, che intuitivamente non ci
sembrano essere giustificate.
– 3 possibili reazioni: 1) ingoiare il rospo: fare buon viso a cattivo gioco, accettare questa
conseguenza dell’analisi e insistere che è corretta; 2) l’ambiente di questi agenti in questo mondo
possibile non sarebbe un ambiente normale, ma sarebbe un ambiente artificiale, governato da questo
genio benevolo che si assicura dell’avverarsi delle credenze degli agenti. L’idea sarebbe dunque di
chiedere di aggiungere il requisito che i processi di formazione della credenza in gioco siano
affidabili ma non in un ambiente artificiosamente predisposto; 3) valutare l’affidabilità dei processi
di formazione della credenza non nel mondo possibile in cui vengono utilizzati, ma nel mondo
attuale. È questa forse la proposta più promettente. Un processo di formazione della credenza deve
essere valutato, quanto alla sua affidabilità, non in tutti i mondi possibili, ma nel mondo attuale.
Giustificazione epistemica è dunque ancorata all’attualità.

– Variante: genio benevolo opera nel mondo attuale a partire da un certo istante. Nel nostro mondo
il genio benevolo è rimasto inattivo, ma a partire da un certo istante il genio attivo entra in azione e
comincia ad assicurarsi che le credenze basate sul wishful thinking si avverino. Con il passare del
tempo il wishful thinking diventa un processo di formazione della credenza affidabile. Nonostante
all’inizio ci sia stato un segmento nella storia umana in cui non lo è stato, se si considera l’intera
storia umana nel complesso, a lungo termine, la frequenza della formazione di credenze vere sulla
base di questo processo tenderà a convergere verso un valore molto alto.
– Leggi testo.

– Ulteriore controesempio che motiva la formulazione finale dell’analisi. Johns: amnesia a 7 anni.
Storia inventata dai genitori. Tuttavia Johns presta fede ai suoi ricordi di quando aveva 7 anni e si
forma tutta una serie di credenze che sono il risultato dell’esercizio di processi di formazione della
credenza affidabili. Siamo inclini a dire che Johns non si è comportato razionalmente nel
disattendere le avvertenze dei genitori: siamo inclini a dire che sia stato irresponsabile, sebbene il
frutto di questa irresponsabilità epistemica sia stato il frutto di un certo numero di credenze che
sono vere. Siamo più restii a giudicarle giustificate, perché appunto Johns aveva delle ragioni molto
forti per ritenere che si trattasse semplicemente di pseudoricordi.
– E’ un controesempio di sapore internista.

– Formulazione finale: slide.


– Formulazione doxastica. Pag 210. Errore nella traduzione: just in case “se e solo se” e non “solo
nel caso in cui”.

BonJour
– Saggio 1980 Externalist theories of empirical knowledge. Contiene una delle prime e più
articolate critiche alle concezioni esterniste alla giustificazione epistemica e alla conoscenza.
Contiene un argomento e degli esempi che cercano di mostrare che posizioni come quella di
Goldman infine non funzionano, non sono soddisfacenti.
– Bonjour prende le mosse dal fondazionalismo. Era un antifondazionalista: questo saggio si
presenta come una critica non in primo luogo dell’esternismo in generale, ma del fondazionalismo
esternista.
– Bonjour ha cambiato posizione in anni più recenti. Primo Bonjour coerentista, secondo
Bonjour fondazionalista.

– L’argomento del regresso epistemico delle giustificazioni viene spesso addotto come argomento a
favore di una posizione fondazionalista sulla giustificazione epistemica. Tante delle nostre
credenze sono giustificate inferenzialmente, ma alla fine, affinché molte delle nostre credenze
possano essere giustificate inferenzialmente, ve ne devono essere altre che sono bensì giustificate
ma non inferenzialmente. Ricavano la giustificazione, magari, dall’esperienza percettiva.
– All’inizio del saggio Bonjour dichiara che si occuperà della conoscenza empirica, ignorando
le epistemologie esterniste radicali: quelle che, come nei primi saggi di Goldman e come l’analisi
della conoscenza di Nozick, sostengono che la giustificazione non è necessaria per la conoscenza.
L’obiettivo polemico di Bonjour sono teorie della conoscenza che sono esterniste perché sono
associate a una teoria della giustificazione epistemica esternista. Non sono teorie della conoscenza
esterniste che sono tali perché sono formate in maniera tale che la giustificazione non è ritenuta una
condizione necessaria per la conoscenza.
– Ma perché queste teorie della conoscenza esterniste possono apparire plausibili? Che cosa
può far apparire desiderabile una epistemologia di questo tipo?
– Arriviamo a un altro argomento del regresso epistemico, che non costituisce una risorsa per il
fondazionalista ma costituisce un problema. C’è anche un argomento del regresso epistemico che
costituisce invece un problema per il fondazionalista. Su questo concentra la sua attenzione Bonjour
nelle prime pagine del suo saggio. Adottare una posizione esternista può costituire per un
fondazionalista preoccupato da questo secondo regresso una maniera per affrontare questo secondo
regresso. Il fondazionalista, una volta che si è reso conto che c’è un ulteriore regresso che questa
olta non costituisce un punto a favore per la sua teoria ma un problema, può scegliere di avvalersi di
una posizione esternista proprio per risolvere il problema suscitato da questo secondo regresso. È
importante distinguere i due regressi: non c’è un solo argomento del regresso epistemico, ma ce ne
sono due.
– Secondo regresso: pag 215.
– Primo punto: una credenza può essere giustificata per ragioni pragmatiche, forse anche per ragioni
morali; ma la giustificazione pragmatica o morale non ha a che fare con la verità della credenza.
Non ha significato epistemico.
– Secondo punto: giustificazione epistemica è un concetto normativo. Pag 216.

04.03.2021

Ascoltare i primi 15 minuti

– Criterio esternista di Armstrong.


– Ricorso a controesempi. Bonjour mobilita contro le concezioni esterniste della giustificazione
epistemica e delle conoscenza una serie di controesempi, i quali dovrebbero suscitare l’intuizione
che una credenza giustificata secondo i canoni esternisti non è una credenza epistemicamente
razionale, senza far appello a principii di ordine generale che l’esternista non sarebbe incline ad
accettare.

– Paragrafo 2. Bonjour precisa meglio la natura delle posizioni contro cui polemizza.
– Bonjour precisa che le posizioni che critica sono quelle che comportano una posizione esternista
della conoscenza nella misura in cui comportano una posizione esternista della giustificazione
epistemica.
– Pag 220.
– Connessione nomologica, necessità nomologica, relazione nomologica: si fa riferimento a
connessioni, necessità, relazioni che vivono in virtù di qualche legge naturale. Il nòmos di cui si
parla è la legge naturale. Agente interagisce in un certo modo con il suo ambiente, governato
da leggi naturali tali che escludono la possibilità che si sbagli. In un tal caso l’agente si
comporta come un termometro: noi possiamo misurare la temperatura in virtù del fatto che
c’è una connessione nomologica che lega il termometro con la temperatura misurata. Non è
necessario che la connessione nomologica tra il credere che le cose stiano in un certo modo e
l’essere vero che le cose stiano in un certo modo sia in tutto e per tutto generale: è necessario
che vigano alcune condizioni.
– Pag 221.

– Paragrafo 3. Bonjour introduce un metodo di formazione delle credenze che noi solitamente
non riteniamo essere affidabili: la chiaroveggenza, cioè la presunta facoltà di alcuni soggetti di
formarsi delle credenze vere di ciò che accade in altri luoghi, a distanza, senza fare ricorso
all’esperienza percettiva.
– Esempi che hanno per protagonisti dei chiaroveggenti: non ciarlatani, ma hanno effettivamente
questo potere.
– Caso 1: Samantha.
– Questo primo caso serve a Bonjour per suggerire un’integrazione alla posizione esternista, ovvero
che non basti, per la giustificatezza di una credenza, che questa sia prodotta in condizioni mentali in
cui ?, ma è necessario che l’agente non abbia nessuna prova contro la credenza in questione.
– Il caso di Johns solleva un problema analogo: Johns ha a disposizione delle prove che depongono
a sfavore della correttezza delle sue credenze, dei suoi ricordi riguardo al suo settimo anno di vita.
Goldman riconosce che bisogna fare i conti con l’intuizione: trascurare questi elementi è una cosa
che dal punto di vista epistemico Johns non dovrebbe fare.
– Caso 2. Casper. Mentre Samantha non aveva ragioni per credere di essere chiaroveggente, ma non
aveva nemmeno ragioni di credere di non esserlo, Casper ha molte prove del fatto che non è un
chiaroveggente affidabile.
– Caso 3. Maud.
– Perché una credenza sia giustificata in base a canoni esterniste, deve soddisfare ulteriori
condizioni.
– Caso 4. Agente che soddisfa condizione centrale dell’esternismo e anche le condizioni aggiuntive.
Normann.

8/04/2021

– Ricapitolando : la concezione di internismo ed esternismo di Greco è differente da quella di


Bonjour. Mentre Greco definisce l’internismo come una posizione secondo cui tutti i fattori che
determinano lo status epistemico di una credenza sono interni, in effetti Bonjour, considerando
esternista qualunque concezione ritenga che sia sufficiente soddisfare dei requisiti esternisti per
avere una credenza giustificata, in effetti caratterizza l’internismo in maniera logicamente più
debole di quanto faccia Greco. Già il fatto di ridefinire in questo modo la distinzione tra esternismo
ed internismo rende più facile a Greco difendere la sua tesi, che è che non tutti i fattori che
determinano la giustificatezza della credenza o qualche altro status epistemico interessante siano
interni.
– Mentre nell’approccio di Bonjour (il testo di B è uno dei primi ad essere stati pubblicati)
l’internismo sulla giustificazione epistemica va di pari passi con l’internismo sulla conoscenza e
idem per l’esternismo, e quindi assumere una posizione internista sull’una cosa comporta assumerla
anche sull’altra, quindi abbiamo due concezioni epistemologiche che si confrontano, con il passare
del tempo invece ci siamo resi conto che sono possibili posizioni più sfumate.
– Dopodiché Greco passa a spiegare la posizione internista in termini più dettagliati. Quando si
parla di internismo con Bonhour si ha in mente una concezione che privilegia il punto di vista
dell’agente stesso, il punto di vista interno alla prospettiva dell’agente. Secondo B, questo significa
sostanzialmente che è un punto di vista accessibile all’agente stesso nella situazione in cui si trova.
Si parla quindi di internismo accessibilista. Possesso di un accesso privilegiato dal punto di vista
dell’agente rispetto a quel fattore. Pag 236.
– L’accesso deve essere non un accesso conquistato al termine di un’indagine, ma deve essere un
accesso di cui l’agente dispone sulla base della sola riflessione, un accesso puramente riflessivo. Per
l’internista accessibilista tipicamente un fattore (che può essere una ragione, un elemento di prova,
un indizio, un sintomo) è accessibile all’agente sulla base della sola riflessione sulla propria
situazione. Basta che l’agente rifletta su dove si trova, su se stesso: questo è sufficiente perché possa
dirimere la questione se abbia o non abbia una certa ragione, una certa prova per credere qualche
cosa. Questo dunque è l’internismo accessibilista. Interno alla prospettiva di S, significa accessibile
riflessivamente ad S.
– C’è però un secondo tipo di internismo emerso cronologicamente più tardi del primo, ed è
l’accessibilismo mentalista. Un fattore è interno nel senso pertinente all’internismo mentalista se fa
parte della vita mentale di S, se è una sensazione di S, se è una credenza di S, se è insomma qualche
cosa che fa parte della vita, della biografia, della psicologia dell’agente. Per esempio, spiega Greco
pag 236.
– Le due posizioni sono concettualmente distinte. Qualcosa può essere interno nel senso di
accessibile riflessivamente a un agente anche se non fa parte della sua psicologia e viceversa. Però,
se si accetta una tesi che ha spesso attratto i filosofi riguardo all’accessibilità dei propri stati
mentali, le due posizioni finiscono per coincidere. Sono concettualmente distinte, ma sono distinte
anche in pratica solo se non si accetta questa tesi, che è una tesi controversa. Se si accetta questa
tesi, invece, le due posizioni finiscono per coincidere perlomeno in pratica, se non a livello
concettuale.
– Internismo sulla conoscenza. Greco può dare per ovvio che sia una questione esterna se una
credenza costituisca conoscenza, in quanto gli basta individuare un solo fattore esterno pertinente
per dichiarare un certo status epistemico esterno. Bonjour però sosteneva che tutta la tradizione
epistemologica fino a tempi recentissimi dava per scontato che la conoscenza andasse intesa
internisticamente. Cartesio, diceva Bonjour, non sarebbe stato minimamente mosso dalle
considerazioni esterniste.
– Perché Bonjour e Greco possono affermare cose così lontane? Bonjour: che la concezione
tradizionale della conoscenza è chiaramente internista; Greco: che la concezione giusta della
conoscenza sia esternista. Lo possono fare appunto perché tracciano la linea di divisione tra i due
campi in modo diverso. Bonjour è perfettamente consapevole che se una credenza sia vera dipende
da come stanno le cose nel mondo, ma questo non è sufficiente per lui per rendere la conoscenza un
affare esternista.
– Nelle pagine successive, Greco distingue due grandi classi di valutazioni epistemiche. Noi
possiamo valutare le questioni epistemiche da un punto di vista oggettivo o soggettivo.
– Pag 238. Cartesio e il fuoco: se fosse vittima di un inganno sistematico? Greco nota che possiamo
essere inclini a ritenere che dal punto di vista dell’appropriatezza soggettiva la credenza di Cartesio
che ci sia un fuoco di fronte a lui sia perfettamente adeguata, perfettamente in ordine.
– Pag 239. L’internismo non è un serio candidato, non inizia nemmeno la partita, quando si tratta di
discutere delle valutazioni appartenenti alla categoria dell’adattamento oggettivo. Evidentemente
quando si tratta di valutare la verità di una credenza, se un agente ci veda bene o ragioni in maniera
affidabile, questo dipenderà anche da fattori esterni. In questo senso appare chiaro a Greco che le
valutazioni di adattamento oggettivo sono trattate in maniera soddisfacente soltanto nell’ottica di
una concezione esternista.
– Una concezione internista sembra invece poter essere più plausibile nel campo delle valutazioni di
appropriatezza soggettiva. Cartesio ha una credenza oggettivamente cattiva nell’esempio di Greco,
si inganna. Dal punto di vista del buon adattamento al mondo la sua credenza è pessima, ma dal
punto di vista soggettivo si può sostenere che Cartesio abbia fatto tutto quello che doveva fare e che
non ci sia nulla da rimproverargli. È riguardo all’appropriatezza soggettiva che l’internismo sembra
avere qualcosa da dire.
– Ci sono vari tipi di appropriatezza soggettiva. Una credenza può essere ragionevole, razionale,
giustificata, irreprensibile. La tesi di Greco è che l’internismo è falso in tutte le sue varianti, cioè è
falso riguardo a tutte queste credenze di appropriatezza soggettiva.

– Secondo paragrafo. Greco rovescia tre argomenti portati spesso a favore dell’internismo.
– Paragrafo 2.1: prende in considerazione qualcosa di molto simile all’attacco di Bonjour nel suo
saggio dell’80. Pag 241. Premessa secondo cui una credenza C è giustificata epistemicamente per
una persona S se e solo se credere C da parte di S è epistemicamente responsabile. È una premessa
che lega in maniera strettissima la giustificazione epistemica alla responsabilità epistemica. Bonjour
nel suo saggio immagina casi in cui le credenze sono prodotte in maniera affidabile ma ci dovrebbe
apparire chiaro che gli agenti in questione si comportano in maniera epistemicamente
irresponsabile.
– L’argomento considerato da Greco costituisce una ricostruzione abbastanza fedele della linea di
ragionamento che troviamo nei tesi internisti come quelli di Bonjour. Greco concede che la
giustificazione epistemica sia questione di responsabilità epistemica. Greco non contesta questo
strettissimo legame. Quello che contesta è che la responsabilità epistemica a sua volta vada
concepita in termini internisti.
– In virtù del modo in cui definisce internismo ed esternismo, a Greco per confutare questa
premessa è sufficiente mostrare che fra i fattori che determinano se una credenza sia o meno
epistemicamente responsabile ve ne è almeno uno di esterno. Per farlo, propone tre esempi. Il primo
è l’esempio di Maria, pag 242. Maria crede che il famoso cantante Dean Martin sia italiano e non ha
al momento alcuna ragione di mettere in dubbio questa credenza. Ecc ecc.
– Il caso secondo Greco mostra chiaramente che anche fattori esterni possono influire
sull’appropriatezza soggettiva di una credenza, perché possono influire sulla responsabilità
epistemica dell’agente.
– L’eziologia conta. Conta anche come la credenza si è formata, conta la genesi causale della
credenza. Se nella genesi della credenza c’è una macchia a cui adesso l’agente non ha più accesso,
quella macchia può continuare a rendere la credenza epistemicamente irresponsabile.
– Gli altri due esempi servono a Greco per rafforzare la stessa confusione.
– Le questioni di responsabilità epistemica sono influenzate anche da fattori esterni.
– Seconda considerazione sull’internismo, pag 243. Questo è il nuovo argomento del genio
maligno.

– Se noi possiamo acquisire giustificazione o conoscenza semplicemente sulla base dell’affidabilità


di un metodo, senza avere una ragione per ritenere che quel metodo sia affidabile, allora
sembrerebbe che possiamo acquisire conoscenza troppo facile dell’affidabilità dei metodi che
utilizziamo.

1.07.57

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