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Dopo un esordio apprezzato e ritenuto un successo, l'ansia di ripetersi è sempre molto forte, anche nei

musicisti più spavaldi e coraggiosi. Come ben sa chiunque tratti attivamente l'ambiente musicale tutto,
buona parte della critica è composta maggiormente da squali affamati, ansiosi di scovare un piccolo errore o
una minima pecca alla quale attaccarsi, da sfruttare come pretesto per screditare in toto un lavoro tutto
sommato più che buono. In pochi riuscivano e riescono stoicamente a resistere a critiche aspre e
stroncature gratuite, provenienti per la maggior parte da gente che mai ha imbracciato uno strumento e che
della vita (o del modus operandi) di un compositore (o di una band) ne sa poco o nulla. Un Santo resiste ma
poi desiste, un Diavolo ha forse il cinismo ed il piglio necessari per poter dire la propria ed asfaltare saccenti
ed "intellettuali". Ed un autentico demonio come Tom G. Warrior ha sicuramente dimostrato, lungo tutto il
corso della sua carriera, quanto ci voglia poco, alla fine, per smorzare certe voci. Criticato, bocciato,
stroncato, addirittura accusato di aver composto uno dei "peggiori lavori della storia del metal" ("Triumph of
Death", una delle primissime demo degli Hellhammer), la sua voglia di suonare e di proporsi non sono mai
cambiate di una virgola, anzi, paradossalmente ne sono uscite sempre più rafforzate, quasi come se la
fiamma dell'odio di molti alimentasse il fuoco che ardeva nel suo cuore, quel fuoco che lo avrebbe portato
di lì a breve ad imporsi come una delle massime autorità del metal estremo. Oggi sin troppi ne lodano le
azioni, dimenticandosi di quando canzonavano il nome del nostro oscuro protagonista.. ma questa, come si
suol dire, è un'altra storia. Tom c'era dunque riuscito, e questo conta(va): l'esordio del 1984, "Morbid Tales",
aveva sicuramente tracciato un ottimo sentiero da seguire, divenendo per molti un'ispirazione e per gli
stessi Celtic Frost un grande episodio da replicare assolutamente. Il giusto merito venne riconosciuto,
tuttavia la strada da battere era ancora moltissima, e tanto altro impegno doveva essere riversato su quegli
strumenti, forse anche più di quanto ne era stato effettivamente profuso durante la
composizione/registrazione del debutto. La prova del nove, fondamentale non sbagliare. Dopo la
partecipazione alla compilation targata "Noise Records" ed intitolata "Metal Attack n.1", nella quale i nostri
si ritrovano a dividere la scena assieme a gruppi come Warrant (trio tedesco speed metal, da non
confondersi con la celebre ed omonima glam band losangeliana) Sinner, Grave Digger e nuovamente in
compagnia di vecchi amici come i Running Wild e gli Helloween (con i quali avevano precedentemente
preso parte ad un'altra compilation, denominata "Death Metal" e sempre realizzata dalla "Noise Records"),
nel 1985 il Gelo Celtico raduna idee, forza e coraggio per presentare al mondo il successore di "Morbid
Tales". Reclutato a bordo il batterista Reed St. Mark (che diverrà in seguito un membro storico del combo
svizzero), i presupposti per l'affermazione di "Emperor's Return", questo il titolo del secondo episodio della
loro discografia, erano più che incoraggianti. Uscita ancora una volta patrocinata dalla "Noise Records",
recava un titolo coraggioso ed evocativo, un modo come un altro per stampare bene nella testa di tutti che i
Celtic Frost c'erano e non avevano intenzione di andarsene, per nessun motivo al mondo. Il Ritorno
dell'Imperatore spietato e dittatoriale, pronto a non concedere sconti ai suoi nemici nonché a fare a pezzi
tutto ciò che gli si parrà dinnanzi agli occhi. Come al solito, un EP diretto e senza fronzoli, a cominciare da un
artwork squisitamente perverso. La copertina raffigura infatti un demonio serpentiforme il quale
lascivamente abbranca tre schiave dal look spiccatamente sadomaso. Le premesse per shockare ed
impressionare sono possenti persino nell'impatto visivo, tant'è che proprio in questo periodo la band
svizzera comincia ad esagerare con il trucco e l'abbigliamento di pelle & borchie, dettando così i primi
canoni estetici del nascente movimento Black Metal. E la musica, invece, come sarà? Al solito,
abbandoniamoci nella selva oscura ove il gelo domina ed il sole giammai splende. Le fiamme danzano
creando ombre spettrali ed inquietanti, è tempo di intraprendere un nuovo viaggio in compagnia dei Celtic
Frost. To Hell and Back Again, tutto per voi, il resoconto dell'avventura vissuta nei meandri di "Emperor's
Return".

L'inizio è di quelli a dir poco eccezionali, ci viene presentato forse il primo vero pezzo in seguito divenuto
(sia per fan sia per critica) un autentico "must" della discografia tutta dei Celtic Frost. "Circle of the Tyrants"
(in seguito riproposta nel primissimo Full - Length della band, "To Mega Therion") si presenta a tutto campo
come un inno generazionale; tanto da essere stato indicato, da molti metalheads delle successive
generazioni, come uno pezzo ispiratore. Un brano di quelli storici, che riescono a farti appassionare ad
determinato genere estremo (Death o Black) riuscendo a far nascere per quest'ultimo una passione sincera
e più che mai importante. Anthem coverizzato da gruppi sui generis come gli Opeth e ben più brutali come
gli Obituary, è uno di quei pezzi che ti auguri venga sempre eseguito durante il concerto al quale assisti, quel
pezzo che brami dalla voglia di ascoltare perché capace di entrare prepotentemente nel tuo immaginario,
nelle tue ossa; capace di sconvolgere in meglio la tua giornata senza lasciarti nemmeno un secondo per
rifiatare. Le note iniziali sono poche e semplici, oscure quanto basta per lasciarci presagire un imminente
impatto: rullo sul charleston e stacco dettato dal celeberrimo "UH!" di Tom, il quale sancisce il definitivo
avvio. Un riff martellante ed ossessivo, spacca ossa e concitato, introduce dunque il proseguo pezzo,
accompagnato da una ritmica capace di renderlo ancora più incisivo e di mettere bene in chiaro che
difficilmente, questa volta, riusciremo a levarci dalla mente un oscuro motivo che diverrà il sottofondo
anche dei nostri momenti più normali e quotidiani. L'ascendente che questo brano riesce ad esercitare sugli
ascoltatori, difatti, è notevole a dire poco. La voce di Tom sembra venir fuori direttamente da una tomba
tanto è tetra e cupa, il sound della sua chitarra segue le stesse coordinate e giunge alle nostre orecchie con
la stessa potenza di un non morto che riemerge dalle profondità perché il suo sonno è stato minacciato. Riff
sferraglianti ed oscuri, ossessivi, un sound reso sapientemente oscuro grazie agli accorgimenti del nostro
Warrior, interessato come ogni grande musicista a cercare un suo timbro, un qualcosa che lo renda
riconoscibile e distinguibile. Martin si conferma ancora una volta un valore aggiunto, ben lungi dal ritratto
che lui stesso aveva dipinto pensando alle sue abilità (un bassista non all'altezza del ruolo), mentre Reed
riesce splendidamente a reggere il peso dell'abilità dei suoi compagni sfoderando un drumming cadenzato e
preciso, sulla stessa scia dell'ex Priestly, forse meno "forsennato" ma leggermente più tecnico ed incisivo.
Abbiamo il primo rallentamento al minuto 1:18, il quale introduce una lunga sezione in cui i Celtic Frost
decidono di premere sul deceleratore pur non risultando assolutamente meno spaventosi o violenti:
l'incedere è sempre squisitamente malvagio, quasi imperiale, come se ci trovassimo dinnanzi ad una marcia
di compatte schiere Mordoriane. Il ritmo scandito dalla batteria è ben più dilatato, Tom assume un tono
declamatorio e di quando in quando viene aiutato da una voce demoniaca e distorta all'inverosimile, atta a
rendere il clima ancor più disturbante. E' di nuovo il suo "UH!" a far ripartire i Celtic Frost alla massima e
folle velocità: una sezione strumentale che si avvia al minuto 2:24 ha il compito di farci udire il duo ritmico
Ain / St. Mark in tutto il suo splendore, mattatori di una sequenza sonora tiratissima e veloce. Viene poi il
turno di Tom, il quale ci si presenta mediante uno splendido momento solista, esagerando e letteralmente
segando le corde della sua chitarra. La follia termina al minuto 2:56, momento in cui si presenta il
rallentamento precedente che prosegue sono alla fine del pezzo, con tanto di effetti di voci distorte, a mo' di
coro dannato e maledetto. Il songwriting è al solito squisitamente criptico, tuttavia è possibile trovare un
argomento chiave nelle varie strofe. Il Circolo dei Tiranni ed il Tiranno al quale Tom fa così rabbiosamente
riferimento può benissimo essere inteso come il Demonio (e questo spiegherebbe perché il guerriero
protagonista in questione è nato in una terra così inospitale e desolata, in cui deserti ed oscurità la fanno da
padroni. Un ambiente intendibile come l'Inferno, la naturale casa dell'anticristo) o come una sorta di oscuro
signore della guerra partorito pensando a molti storici "malvagi" provenienti da racconti - film fantasy
ambientati in epoche lontane o create ex novo. Si pensi difatti a Sauron, Signore oscuro di Mordor e terribile
minaccia per tutti gli abitanti di Arda, universo ideato da J.R.R Tolkien ed ambientazione del romanzo "The
Lord of The Rings" ("Il Signore degli Anelli") o ad il celebre Thulsa Doom, sanguinario regnante dell'epoca
Hyboriana, stregone e condottiero privo di scrupoli o rimorsi, soggiogatore e flagellatore di innocenti,
spietato dominatore e nemico giurato del cimmero Conan, fittizio eroe mitologico nato dalla penna dello
scrittore Robert Ervin Howard e reso famoso dalla magistrale interpretazione di Arnold Schwarzenegger nei
film Conan il Barbaro e Conan Il Distruttore. Leggendo maggiormente fra le righe, possiamo addirittura
intendere il brano come una sorta di "autobiografia" del nostro Tom, il quale in una strofa fa un chiaro ed
esplicito riferimento a se stesso ("The new kingdoms rise by the circle of the tyrants! In the land of darkness
The Warrior, that was me - il nuovo regno sorge grazie al Circolo dei Tiranni! Nel Mondo Oscuro, Il Guerriero
ch'io fui..) forse mettendosi in relazione al suo passato (non molto felice, fatto di continui contrasti in
famiglia e solitudine) e a quanto questo abbia influito sulle sue scelte musicali ed artistiche (la scelta di una
musica come il Metal, che fosse capace di fargli tirar fuori tutta la rabbia che provava). Ottimo inizio, dei più
memorabili, non c'è che dire. Si prosegue il viaggio con una sorta di title track "fuori contesto". La successiva
"Morbid Tales" porta infatti il nome dell'EP d'esordio dei Celtic Frost, in precedenza recensito. Dopo la
tempesta intervallata a sulfurei rallentamenti che l'ha preceduta, questa nuova traccia si presenta alle
nostre orecchie dotata di una intro maggiormente cadenzata e dilatata nel sound, salvo poi "sfogarsi" in una
nuova esplosione di cattiveria e velocità sonora. L'urlo di Tom dopo pochi secondi di granitico ritmo
splendidamente scandito da Martin e Reed ci riporta in un contesto d'aggressività in cui i nostri sembrano
addirittura intraprendere una gara di velocità, pur non dando vita ad un caos senza né capo né coda ma anzi
mantenendo tutto sotto controllo. La cadenza già udita ritorna a brano inoltrato, e questa volta abbiamo
modo di godere appieno delle abilità del bassista, ancora una volta in grado di tirar fuori dal suo strumento
un suono ipnotico e disturbante, a tratti ossessivo e martellante, un sound che svolge meravigliosamente il
compito al quale è chiamato ad adempiere: creare un'ambientazione che in pochi riusciranno a reggere,
una musica nuova, sconvolgente, che farà scappare a gambe levate critici e puristi ma che al contempo
conquisterà il cuore di migliaia di "affamati" di novità e potenza. Un assolo al fulmicotone di Tom ci riporta
nuovamente nel bel mezzo della tempesta, per poi accompagnarci sino alla fine mantenendo le stesse
coordinate. Ancora una volta, un notevole gioco di alternanza ed atmosfere. Il testo è di nuovo costruito in
maniera culturalmente interessante: si fanno riferimenti agli antichi riti dell'antico Egitto e a diverse
leggende collegate alla medesima nazione (il ritorno in vita delle Mummie, i rituali di negromanzia,
incantesimi per riportare in vita i defunti, sacrifici, pozioni) e viene portato in auge il collegamento fra H.P
Lovecraft ed i misteri di cui il medio oriente è colmo, in tutte le sfaccettature della sua cultura. L'Egitto e i
suoi antichi Dei sembrano il luogo ideale, difatti, dove ambientare un rituale evocatorio officiato dalla
leggendaria Nitocris, primo Faraone donna della storia d'Egitto (sulla quale, tuttavia, non esistono fonti o
documenti ritenuti sicuri ed attendibili). Alla sua chiamata risponderà nientemeno che Yog-Sothoth, "il tutto
in uno e l'uno in tutto", fra i più noti Dei Esterni dell'universo Lovecraftiano, entità capace di trovarsi in ogni
momento in ogni luogo ed epoca. I cadaveri risorgeranno divenendo l'armata della "faraonessa", e la
maledizione di Nitocris colpirà il mondo intero. Una tematica, quella legata ai "misteri" d'Egitto, comune a
molte band per attitudine simili ai Celtic Frost. Basti pensare alla celebre "Curse of the Pharaos" ("La
Maledizione dei Faraoni"), fra i brani più apprezzati dei danesi Mercyful Fate, inserita nel disco - Pietra
Miliare "Melissa" (1983). Si prosegue con la terza traccia, introdotta da un distortissimo sound di chitarra e
da un cavernoso lamento di Warrior, degno preludio di una track assai ruvida ed inquietante. "Dethroned
Emperor" è una ragionata decelerazione, un brano che cerca di incutere timore utilizzando un suono molto
più ampio e denso che facendo leva sulla velocità forsennata. Modus operandi che avevamo imparato ad
apprezzare nell'EP d'esordio, viene riproposto anche in questo secondo episodio, in forma decisamente più
marcata. La batteria di Reed mette per un secondo da parte fill e ritmi serrati per concedere spazio ad un
incedere buio e scandito, quasi fosse un percussionista incaricato di dettare il tempo agli schiavi rematori a
bordo di una nave. I suoi tamburi divengono il fulcro di un brano che attinge a piene mani dalla nobile
tradizione degli "Inni Oscuri" composti degli inglesi Venom, piacevolissime parentesi "calme" della loro
discografia a tutta velocità. Basti pensare a capolavori come "Buried Alive" (contenuta nel leggendario
"Black Metal", 1982), un brano che proprio come "Dethroned Emperor" riesce a catapultarci in un mix di
sensazioni angoscianti e claustrofobiche pur senza andare troppo veloce o comunque "scatenarsi". Una
carta vincente, il fiore all'occhiello di ogni buon disco metal che si rispetti. Una carta che i Celtic Frost sanno
giocare benissimo. Seguendo la batteria, anche Martin fa in modo di dilatare il suo sound, e dal canto suo
Tom adotta un cantato "alla Cronos" rendendo la voce della sua chitarra praticamente in linea con la sua,
distorcendo e "rattoppando" il suono, quasi come se stesse suonando dal profondo di una tomba. E difatti, il
pezzo sembra avere i connotati di una vera e propria marcia funebre, sia per la musica, sia per il tema
trattato. L'Imperatore Detronizzato è sicuramente la vittima di qualche oscuro gioco di potere, un
governante trovatosi all'interno di una congiura, scalzato dai suoi avversari che bramano la sua testa su di
un vassoio. Un regolamento di conti perfettamente riuscito, in quanto il Re sembra effettivamente morto
sotto le mani dei suoi aguzzini, i quali se ne compiacciono e sono prontissimi a cercare un successore
maggiormente gradito. I ritmi ipnotici e la parvenza d'oscurità del brano sembrano in effetti accompagnare
la salma nell'aldilà, forse direttamente sino all'inferno, in quanto comunque l'Imperatore non dovette
essersi dimostrato, in vita, poi molto superiore agli assassini, in quanto a tempra morale e bontà d'animo.
Nuovamente di sovrani si discute nel pezzo successivo, la splendida "Visual Aggression", brano criptico e
sapiente bilanciamento di aggressività, velocità e momenti di nera "calma". E' un brano dal doppio volto,
che parte aggressivo e velocissimo (tanto che il cantato di Warrior, anche e soprattutto per via della
produzione volutamente "sporca", risulta quasi essere accennato in alcuni punti) e che in diversi momenti
decelera all'improvviso, anticipando di netto episodi che faranno la fortuna di gruppi come gli Slayer. Si
pensi, ad esempio, alla splendida "Necrophobic", vera e propria "aggressione" mitigata nel finale: un pezzo
nel quale il gruppo americano, abbandonando per un momento la potenza vorticosa sino a quel momento
mostrata e scandendo un ritmo preciso e puntuale, declama gli ultimi istanti del brano; forse il momento
che più rimane impresso nella mente degli ascoltatori. Un particolare modus operandi che rende dunque i
colossali Slayer sicuramente debitori nei riguardi della formazione elvetica che sin qui dimostra quanto
siano stati imprescindibili i propri lavori. La crescita, dai tempi degli Hellhammer, è notevole e sotto gli occhi
di tutti. L'alternanza di velocità e quiete prima della tempesta diviene ormai uno dei marchi di fabbrica dei
Celtic Frost, i quali si sforzano disco dopo disco di rendere riconoscibile e "temibile" il loro sound, di
renderlo un qualcosa che possa essere nettamente separato dal calderone del "già sentito". Come
anticipato ad inizio descrizione, è un brano assai criptico e dai significati per lo più sfuggenti. Può
tranquillamente trattarsi, comunque, di una critica al mondo cattolico, il quale a detta dei nostri è inserito in
un contesto che ha ben poco del veritiero. La Speranza in un domani migliore, in un mondo nuovo, in una
vita di eterna beatitudine dopo la morte vengono viste in maniera assai critica dal Gelo Celtico, anche e
soprattutto a causa della visione nichilistico - meccanicista che il loro frontman Tom G. Warrior, ha del
mondo. Il Guerriero non perde occasione per riversare nei suoi testi la rabbia e l'alienazione che da
bambino ha provato suo malgrado, crescendo in un ambiente difficile ed assai restrittivo e bigotto. Egli
reputa gli umani sostanzialmente stupidi, troppo stupidi perché Cristo possa di nuovo giungere sulla terra a
salvarli ancora una volta, ed afferma che gli occhi dell'osservatore, molto probabilmente Dio, sono chiusi a
causa della polvere che l'umano idiota solleva attorno a se, cercandolo ma evitandolo al contempo (The
watcher's eyes are closed as the dust covers the madmen again / Gli occhi dell'osservatore sono chiusi,
fintanto che la polvere copre il pazzo, ancora). E' quindi l'uomo il primo artefice delle sue tristi condizioni di
vita, la colpa della Miseria e della Povertà sono esclusivamente sue, e nessun dio potrà mai salvarlo dalle
sue condizioni. Si accennava comunque a due "Re", i quali possono essere identificati con il Dio cattolico ed
il Diavolo, quest'ultimo visto come un sovrano di gran lunga più adatto a questo pianeta (There'll be a new
king and I was born to encounter him / Giungerà un nuovo Re ed io sono nato per incontrarlo.
Interpretazione resa plausibile dall'aura "demoniaca" che da sempre Tom ha voluto costruire attorno a se).
Giungiamo al capolinea di questa seconda fatica discografica targata Celtic Frost con la conclusiva "Suicidal
Wings", forse il brano più "tradizionale" e "venomiano" del lotto, che strizza indubbiamente l'occhio ad una
sorta di genere ibrido, certamente venato di oscurità squisitamente "Black in fieri" ma spiccatamente
crossover nella sua sostanza, alla maniera di band che proprio nello stesso anno di pubblicazione di
"Emperor's Return" vedevano concretizzarsi i propri debutti. Si pensi ai Carnivore di Peter Steele o agli
Stormtroopers of Death (altrimenti noti come S.O.D) di Scott Ian e Charlie Benante, gruppi che poggiavano
le loro fondamenta su vari pilastri, dall'aggressività del Punk alla dura concretezza del Metal, seguendo la
strada che per l'appunto i padri Venom avevano tracciato con il loro micidiale "Welcome To Hell"; un disco,
quest'ultimo, divenuto all'epoca della sua uscita (1981) un vero e proprio "tramite" fra due mondi allora
aspramente opposti, quello del Metal e quello del Punk. "Suicidal Wings" segue dunque queste coordinate,
una sfuriata in piena regola mantenuta sempre costante, in bilico fra l'anarchia Punk, l'oscurità tipica di un
brano proto Black Metal e la selvaggia fierezza dello Speed Metal/Thrash di matrice tipicamente british
(impossibile non citare i "colleghi" albionici degli Hellhammer prima e dei Celtic Frost poi, gli inglesi
Onslaught e Warfare). La chitarra suona come sempre magnificamente distorta ed oscura, scandendo riff
precisi e lineari, la voce di Tom eccelle, fornendo sicuramente la prova migliore di tutto l'EP, mentre la
sezione ritmica si mantiene sempre e perfettamente solida e costante dietro il proprio frontman. Il testo è di
per se un piccolo capolavoro di polisemia: il tema affrontato, come recita il titolo, è quello del suicidio, in
questo caso inserito comunque in spunti e contesti che ne rendono difficile l'interpretazione. La
depressione la fa ancora da padroni, il protagonista di queste liriche è perso nella sua malattia, vista come
una vera e propria distorsione della realtà, portatrice di scenari apocalittici ("the flood is still in motion, the
ground on fire all round" - "l'alluvione ancora incalza, il terreno brucia tutto intorno), dalla quale ci si può
salvare solamente compiendo l'insano gesto ("Leave the thought of crying, deny and harm the endless day"
- "abbandona il pensiero di piangere, dimentica, distruggi questo giorno senza fine [molto probabilmente la
vita, ndr]). Il finale arriva però a stridere con queste dichiarazioni, in quanto sembra quasi che il
protagonista voglia riscattarsi da questi suoi presupposti di volerla fare finita, alzando la testa e
combattendo ("Along the way i'm leaving this wreck without the suicidal horde, the day will come and i'll be
able to see the flag rising of the free, until eternity" - "e lungo il percorso abbandono questo relitto, privo
dell'orda suicida. Verrà il giorno e potrò veder sventolare la bandiera della libertà"). Forse vi è ancora molto
di autobiografico in queste lyrics, e sicuramente ritorna il tema della musica come salvezza del giovane Tom,
che in essa ha trovato un fantastico modo per abbandonare le sue paure e la sua depressione. L'avventura
giunge così al termine, sconvolgente e tellurica come i Celtic Frost ci avevano promesso sin dal primo
secondo di questo EP.

Il duo formato da "Morbid Tales" ed "Emperor's Return" è sicuramente una grande prova generale, una
sorta di puntata 0 di quel che poi diverrà, sempre nel corso del 1985, lo spettacolo vero e proprio. Sarebbe
difatti impossibile arrivare immediatamente al colossale "To Mega Therion" non passando prima per queste
due piccole grandi strade, due autentiche dichiarazioni di guerra e di poetica, due manifesti programmatici
che hanno reso il nome dei Celtic Frost un nome altisonante, imponente, importante per i giovani
metalheads di tutto il mondo e non solo dell'Europa. Soprattutto il compito che "Emperor's" doveva
assolvere era alquanto spinoso ed impegnativo: bissare il successo di un debutto ("Morbid Tales"), che già
dopo pochi mesi dalla sua nascita sapeva di leggenda. Il successore di un album ritenuto "di culto" è sempre
trattato, dal pubblico, come il fratello "che si impegna ma non riesce", colui il quale poteva "applicarsi di
più", "che eccelle" ma vive alla costante ombra del primogenito. Ebbene, questo non è affatto il caso
dell'Imperatore, il quale ha scelto di ritornare nel momento giusto al posto giusto. Un solo album
leggendario può in qualche modo renderti "ricordato", due ottimi lavori messi in fila possono renderti
"considerato". E sicuramente ben avviato sul sentiero della Leggenda, in quanto di lì a poco Tom e soci
avrebbero sfoderato il loro arsenale migliore ed avrebbero regalato al mondo il micidiale e già citato "To
Mega Therion", il loro primo ed indimenticabile full length, lavoro che avrebbe scosso non poche coscienze
e che avrebbe fatto venir voglia di imbracciare uno strumento musicale a moltissimi. Mica male, per chi era
stato accusato, ai tempi degli Hellhammer, di aver prodotto dei lavori orribili; ma che non si è arreso, ed ha
continuato a dire a tutti quanto aveva da dire, finché chi sa fare e sa capire si è accorto di quanto certa
musica fosse degna d'essere ascoltata. "Emperor's" ci ha dimostrato come non sia per forza necessario
aderire alla sequenza "disco bello/disco brutto" che in qualche modo risulta essere una "costante" di molte
band. Quando la creatività è lasciata libera di progredire ed esprimersi, possono verificarsi molte e
bellissime sorprese. Come un EP di cinque tracce che risulta incredibilmente più valido di dischi composti
invece da 13 canzoni piene di virtuosismi e dettagli omettibili, perché inutili al fine ultimo della musica:
L'ESPRESSIONE DI CIO' CHE SI HA DENTRO. Un insieme di sentimenti sia positivi sia negativi; ma come dire,
non conta abbracciare la luce o l'oscurità, quel che conta è ciò che si tira fuori. Bene o Male.. è solo una
questione di lana caprina.

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