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DAVID BISCHOFF

LE PAGINE DELL'ODIO
(Quoth The Crow, 1998)

A Dean Koontz.
Maestro in passato, nel presente e nel futuro.

Un battito d'ala in segno di ringraziamento a:


Jimmy Vines, Martha Bayless, Robin Shurtz,
John Douglas e Jeff Conner.

Prologo

Ero stremato, stremato a morte dalla lunga agonia; e quando alla fine
mi liberarono e mi consentirono di mettermi a sedere, mi accorsi che stavo
per perdere ì sensi. La sentenza, la terribile sentenza di morte, fu l'ultimo
suono che mi giunse distintamente alle orecchie... Il pensiero giunse lento
e furtivo, e sembrò passare molto tempo prima che venisse compreso
appieno; ma quando alla fine il mio spirito lo avvertì e lo accolse, le
figure dei giudici scomparirono, come per magia, dal mio cospetto; gli alti
ceri svanirono nel nulla; le loro fiammelle si spensero completamente; la
nera oscurità prese il sopravvento; ogni sensazione sembrò inghiottita in
una folle e precipitosa caduta come dell'anima nell'Ade. Poi l'universo fu
silenzio, immobilità e notte.

EDGAR A. POE, Il pozzo e il pendolo

La casa urlò.
L'urlo era di quelli cinematografici, da raggelare il sangue, per i quali
erano famose le reginette dell'urlo protagoniste di molti film dell'orrore.
Sembrò far tremare i vetri alle finestre del piccolo edificio, scuotendone le
pareti. Le frequenze più basse fecero pulsare le fondamenta, l'acuto ululato
si librò verso il tetto piatto agitando il pietrisco e la carta catramata che lo
ricopriva.
La voce era piuttosto simile a quella di Jamie Lee Curtis, pensò il Conte
Mishka.
E in effetti si trattava proprio di Jamie Lee Curtis, la sua voce doppiata e
manipolata come un grido di Tarzan. Un taglia e incolla digitale operato su
classiche espressioni di angoscia e disperazione tratte sia da Terror Train,
sia da Non entrate in quella casa.
Il ragazzo, tutto vestito di nero (camicia nera, stivali neri, jeans neri,
maglietta nera, orecchino nero, piercing al naso nero, matita nera agli
occhi, corti capelli neri, sciarpa nera, giacca nera; abbigliamento e
accessori non banalmente neri, ma di un nero gotico, elegante) rise.
Premette ancora il tasto del nuovo campanello.
Un altro urlo di donna, questa volta un po' più breve e improvvisamente
smorzato, come se un killer avesse a un tratto mozzato la testa a chi lo
stava emettendo.
Che bellezza.
Le tenebre, fredde e autunnali, calarono sull'accogliente quartiere di
Baltimora. Un cane abbaiò in un vicolo. Una donna avvolta in un cappotto
con cappuccio si dirigeva verso la sua destinazione. L'odore di catrame
steso da poco si propagava nell'aria da un cantiere a qualche edificio di
distanza.
Un gabbiano, allontanatosi dal suo ambiente naturale nei dintorni del
porto, scendeva ripetutamente in picchiata sopra la fila di minuscole
casette a schiera di Fells Point.
Stringendo il bottino sotto un braccio, il Conte Mishka, noto ai genitori e
all'anagrafe con il nome di Richard Mark Henneman, infilò la chiave nella
serratura della porta di casa con la mano destra.
La porta si aprì, accompagnata dal tintinnio delle chiavi. La coda
dell'ultimo urlo registrato ed elaborato dal Conte si dissolse tra le ombre
come una nuvoletta di fumo scuro.
La casa sembrò percorsa da un gelido soffio di vento.
Richard rabbrividì, non solo a causa del freddo.
Che storia è questa? si domandò. Non sarà forse stregata, questa casa?
Stai calmo, si disse.
La gang avrebbe approvato.
Da ormai un anno Richard Henneman si era alleato a un sedicente
gruppo «d'élite», i Goths, rappresentanti locali e funebremente addobbati
di quella sottocultura post-punk il cui feroce rifiuto della società
consumistica veniva spesso oscurato da altrettanto rigide e narcisistiche
ossessioni, da un settarismo assolutista e una malsana passione per lo
smalto da unghie nero. Ultimamente, tuttavia, i Goths si erano trasformati
in un gruppo molto più unito. Un gruppo unito non solo da un patto di
sangue... ma anche dal denaro. Molto denaro. Che sarebbe diventato
ancora di più in futuro. Sì, i Goths stavano rapidamente prendendo le sem-
bianze di un'impresa: la Goths Inc.
E tutto questo per via di un piccolo, insignificante omicidio.
Che delizia!
Il corridoio del Conte era punteggiato da schizzi di sangue.
Resti umani in forma di locandine di film.
Dracula dai canini insanguinati appartenenti a generazioni diverse, da
Bela a Gary, si affacciavano minacciosi. Donne sventurate con ampie
scollature alzavano le braccia al cielo, urlando. Le locandine erano
affiancate da una serie di collage incorniciati, creati da Richard con
immagini fotocopiate tratte dalle sue riviste di cinema preferite, Fangoria,
Shivers, Midnight Marquee, European Trash Cinema, e da altre testate
meno note dedicate al genere. Opere esotiche dei truccatori
cinematografici e rappresentazioni di violenza. Teste mozzate. Corpi
squartati. Mostri bavosi che si lasciavano alle spalle una scia di interiora
fumanti, raramente le proprie.
Arte, pura e semplice.
Attimi immortalati di puro cinema pop al suo apice.
Sorridendo soddisfatto, il Conte accese la luce del soggiorno, si chiuse la
porta alle spalle con un calcio e puntò direttamente verso il suo santuario,
l'angolo dell'intrattenimento. Rivolse un lieve inchino al Buddha
posizionato sopra il televisore. «Abbiamo molto incenso da ardere questa
sera, o Illuminato!»
Lasciò cadere i suoi tesori sul divano e frugò tra i CD fino a trovare
quello nuovo di Iggy Pop; be', non propriamente nuovo, dato che si
trattava di Raw Power in versione rimixata, una rivisitazione vent'anni
dopo il classico album che era stato «rovinato» (secondo i fan più accaniti)
dal tentativo di David Bowie di renderlo più commerciale, in passato,
quando il signor Pop era ancora conosciuto come Iggy Stooge. Il Conte
inserì il dischetto nel lettore e premette il tasto «random play» (la più
importante innovazione nel campo delle moderne comodità domestiche
dopo il telecomando). Immediatamente Iggy e gli Stooges cominciarono a
riversare un fiume di autentico proto-punk attraverso il nuovo sistema
satellitare di casse acustiche Bose.
«Rock my world, Iggy!» incitò il Conte. Attraversò pogando la stretta
sala da pranzo fino ad arrivare nella stretta cucina, dove aprì il frigorifero
da cui estrasse una grossa lattina di Fosters. Tirò la linguetta, lasciando che
la schiuma fuoriuscisse nella migliore tradizione australiana. Ai tempi che
furono era stato costretto a bere anonime marche americane. Ora il Conte
poteva permettersi di bere roba buona. «Vai, Iggy, vai!» Rise, lasciandosi
scorrere la birra sul mento e sulla camicia.
Gli Stooges risposero elettronicamente all'appello.
Il basso pulsava e le chitarre suonavano stridenti. La batteria rullava e
martellava. «I am the world's forgotten boy!» gridava Iggy.
Iggy faceva tremare le pareti, adornate da immagini Gothic rock, icone
della darkwave. Sisters of Mercy, The Cure, The Mission, The Damned e i
Bauhaus; gruppi più recenti come Switchblade Symphony, Laibach, Chem
Lab, Attrition, Lycia, Dorian Gray, Die Laughing, London After Midnight;
ma anche rappresentazioni leggermente ammuffite di esponenti della
vecchia guardia come David Bowie (ehi, a Trent piace), i Kiss e Alice
Cooper (Marilyn Manson dovrebbe pagare i diritti a tutti questi per avergli
rubato immagine e spettacolo) per affermare la cattolicità dei suoi gusti.
Iggy faceva tremare la libreria, che ospitava volumi sul cinema e sulla
televisione e qualche romanzo dell'orrore. Iggy faceva tremare gli scaffali
carichi di fumetti protetti da buste di plastica. Iggy faceva tremare i porta
CD e le pile di dischi. Iggy faceva tremare l'angolo multimediale, affollato
da centinaia di video disposti accanto al televisore Sony da trentuno pollici
e una serie di lettori video, assediati da altre videocassette, laserdisc e
DVD.
Iggy faceva tremare tutto.
La collezione di cultura ed esalazioni pop del Conte irrompevano fuori
dal soggiorno, invadendo la sala da pranzo. Altre pile di video e CD
risalivano le scale, fino a giungere in cima, alle stanze del piano superiore,
anch'esse piene di librerie, fumetti, poster, statuette e robot giapponesi.
Molti degli oggetti erano rubati.
Richard era un eccellente taccheggiatore. Ancor prima della pubertà
aveva scoperto che la sua fame di fumetti e merci correlate eccedeva di
gran lunga le possibilità della sua paglietta. Di mano agile, di piede veloce
e con cappotto capiente, trovò la sua specializzazione nel furto. Prese a
vendere o a barattare gli articoli che non aveva interesse a conservare,
ponendo così le basi di una meravigliosa collezione. A quattordici anni si
era introdotto con scasso in un negozio di fumetti durante la notte, aveva
forzato il lucchetto della cassetta contenente i pezzi da collezione e aveva
rubato un autentico tesoro di fumetti Marvel e DC, e addirittura alcune
pubblicazioni della EC risalenti agli anni Cinquanta. All'età di diciotto anni
possedeva un tale numero di fumetti, libri, cassette, CD e dischi da
consentirgli di condurre una vera e propria attività commerciale nel suo
appartamento nel campus universitario, traendo insospettati benefici dalla
vendita di fumetti Image Comics (che splendide copertine!) durante il
boom del mercato.
Ahimè, era stato cacciato dal college al secondo anno, accusato di
numerose infrazioni alla disciplina. Per nulla scoraggiato, aveva proseguito
la sua attività truffaldina raffinando le proprie tecniche e ampliando
inventario e volume d'affari; ma la sua insaziabile fame di nuova refurtiva
aveva l'effetto di limitare la sua visione, rendendolo vittima dei propri
appetiti compulsivi.
Poi aveva conosciuto i Goths, o meglio aveva cominciato a frequentare
il Salon des Gothiques, un maleodorante scantinato che fungeva da luogo
di ritrovo, presieduto da un certo Baxter Brittle.
I suoi talenti arrivarono ben presto all'attenzione di Brittle, un artista
dedito all'alcol, già editor della Tome Press e recentemente beneficiario di
una inattesa eredità (il bar Cork'd Sailor, sotto il quale si trovava lo
scantinato). Anche le sue collezioni venivano spesso incrementate dalle
attività del Conte. Considerato in un primo momento solo uno sfigato
brufoloso dotato di una mano vellutata, la vita sociale di Richard
Henneman cominciò a intensificarsi. Divenne il «Conte Mishka». Riusciva
addirittura a ottenere, seppure non con assoluta regolarità, qualche
servizietto da alcune dalle Goths di sesso femminile attratte dal ruvido
carattere di Brittle (e dalle bevute gratis).
Tuttavia, era stato solo nel corso dell'ultimo anno, con l'ingresso nella
cerchia ristretta degli uomini di fiducia di Brittle, che la sua situazione
economica era sensibilmente migliorata. Aveva acquistato una piccola casa
a schiera a Fells Point, dove aveva trasferito tutto il contenuto del pre-
cedente appartamento e del magazzino. Certo, ben presto sarebbe stato
costretto ad affittare un altro spazio presso il deposito, ma il volume del
flusso di materiale che passava per le sue mani (in alcuni casi addirittura
comprato, come il bottino di quella sera) era tale da consentirgli di
continuare a vendere e trarre profitti da sommare al denaro guadagnato
lavorando alla Tome Press.
Iggy faceva tremare la cassapanca dei libri.
La cassapanca intarsiata, un autentico pezzo di antiquariato in legno di
quercia massiccio, era stato un regalo da parte della Tome Press («per gli
straordinari servizi resi», aveva detto Brittle). Tutte le chiusure erano state
sostituite con serrature moderne e l'interno era stato reso a tenuta d'aria e di
umidità, ideale per conservare i libri rari, proprio come i bauli utilizzati da
William Blessing per custodire la sua famosa collezione di opere di Poe.
Iggy Pop continuava a cantare di penetrazione e di «shake appeal», e il
Conte rise di nuovo. Scuotendo la testa, introdusse sorridendo la tessera
magnetica nell'antica piastra che celava la nuova serratura della
cassapanca. L'aprì e passò in rassegna il più prezioso dei suoi tesori,
composto da articoli che meritavano una doppia busta di plastica
protettiva.
Ecco! Prime edizioni. Prime edizioni autografate, sempre il miglior
investimento per qualsiasi collezionista, la cui lievitazione di valore era
garantita. C'erano tutti, da Stephen King ad Anne Rice, a Clive Barker, a
Dean Koontz, a Ramsey Campbell, a Robert Bloch, e ancora Shirley
Jackson e Richard Matheson. E le copie in ottime condizioni, o meglio
ancora firmate ma mai sfogliate, possedevano un valore intrinseco
superiore a qualsiasi piano di risparmio o fondo pensione. C'era una prima
edizione del Dracula di Bram Stoker, firmata. Un Ambrose Bierce. Alcuni
Lovecraft di pregio. Decine di splendidi oggetti da collezione.
Davvero roba magnifica.
Ma il materiale di primissimo ordine che aveva da poco ottenuto... il più
prezioso, il più antico... il più magico...
E per giunta gratis!
Era lì, davanti ai suoi occhi: una serie completa di prime edizioni di
Edgar Allan Poe. Risalivano a un'epoca in cui le prime edizioni avevano
una tiratura di poche centinaia di copie, e spesso venivano pubblicate solo
in forma privata. Frutto di quella terribile notte quattro mesi prima che poi
si era trasformata, chissà come, in un colpo di estrema buona fortuna.
Come era solito fare ogni sera, lasciò scorrere le dita sulle coste in pelle
delle vecchie sopraccoperte realizzate artigianalmente (in sé preziose
reliquie), che proteggevano i fragili volumi dall'azione corrosiva della
luce, dell'aria e dell'inutile maneggiamento. Provò un'emozione palpabile,
avvertendo un fremito di squisita energia all'interno di quei ricettacoli di
magia.
Già, chi avrebbe potuto prevedere che per mezzo di una morte e di un
furto una tale fortuna sarebbe piombata sulla sua testa di collezionista!
La Tome Press prosperava come non mai, espandendosi a grandi balzi.
In quanto membro della cerchia interna, Richard Mark Henneman era ora
il vicepresidente responsabile per i Progetti Speciali. Il che implicava, oltre
al consueto e agevole compito di supervisionare la trasformazione di una
piccola tipografia in una grande tipografia, la ricerca di altre vie di
espansione. Essendo un appassionato di musica e un cultore di cinema, era
naturale che gli interessi del Conte venissero agitati dal desiderio di
«produrre». E a giudicare dagli idioti già impegnati nel campo, aveva
concluso il Conte, non doveva trattarsi di un'attività tanto difficile. Quello
stesso giorno aveva parlato ad alcuni studenti di cinema dell'intenzione
della Tome Press di produrre il suo primo film dell'orrore. Ed era sicuro di
riuscire a convincere uno dei maghi degli studi di registrazione come Trust
Obey a occuparsi della musica, stringendo poi accordi per la colonna
sonora con qualche gruppo tipo Projekt, Tess o Cleopatra. Le possibilità
erano infinite.
Dio, che sballo!
Toccare quei volumi di Poe era come ricevere scosse di energia pura.
Energia grezza!
La Goth Inc. era in viaggio verso le stelle!
«E noi saremo in viaggio con lei, no, Iggy?» disse il Conte richiudendo
la preziosa edizione.
Per tutta risposta Iggy continuò a gridare, a lamentarsi e a ruttare.
«Give me danger, little stranger», cantarono insieme.
Prese un altro sorso di Fosters, poi si spostò ancheggiando nel
soggiorno. Balzò spensieratamente all'indietro (dopo aver appoggiato la
lattina sul tavolino, già affollato di figate) ricadendo sul divano.
Afferrò uno dei telecomandi.
Prese la mira. Premette un tasto. Via la testa di Iggy!
Premette un altro tasto e Intervista con il Vampiro prese a scorrere sullo
schermo da trentuno pollici. Il Conte mimò qualche battuta di Brad Pitt,
recitandole a memoria, poi bevette un altro sorso di birra australiana.
Eh, sì, dopo una lunga giornata nelle miniere di sale era ora di
concedersi un po' di meritato riposo. A patto di riprendersi in tempo per
andare al Fletcher's, dove suonavano i Death On Two Legs, una nuova
band che lo interessava parecchio. Avrebbe dato un'occhiata alle ragazze,
calato un po' di Ecstasy... scambiato qualche chiacchiera in compagnia...
E forse avrebbe trovato una femmina ben disposta (il suo obiettivo
personale: un autentico splendore di ragazza ritratta nel sito web Ragazza
Goth della settimana) da portarsi nella tana, con cui guardare i trailer di
sessanta film dell'orrore e abbandonarsi a un po' di sesso sfrenato.
Ragazzi, che prospettiva perfetta per una serata!
Cullato dall'inquietante colonna sonora del video vampiresco, il Conte si
sentì pervadere dalla spossatezza, che aveva trovato nella birra un'alleata.
Non era niente male dormire, ma tutto sommato avrebbe preferito farlo di
giorno. La notte, a suo modo di vedere, era sempre stata gravida di molte
altre possibilità.
Prendendo sonno sognò di volare sul dorso di un gigantesco uccello
nero. La creatura scendeva in picchiata e volteggiava sopra tenitori avvolti
nella nebbia e punteggiati da misteriosi castelli, sovrastati da arcobaleni.
Lampi e fulmini si scatenavano accompagnati da musica heavy metal in
oscure caverne.
Che storia, pensò. Incredibile.
I sogni erano una figata. Anche quelli brutti.
Forse soprattutto quelli brutti.
«Dopotutto», mormorò nel dormiveglia, cominciando a destarsi, «senza
i sogni sarei disoccupato.»
Allungò stancamente un braccio verso la lattina di Fosters per aiutarsi a
rimettere in moto i neuroni. La mano si richiuse sul vuoto, dove avrebbe
dovuto esserci la lattina.
«Ma che diavolo...» esclamò, poggiando i piedi a terra con i sensi ancora
annebbiati.
«Cercavi questa?» domandò una voce.
Una figura scura fece un passo in avanti e gli premette la lattina nella
mano.
«Te ne ho presa una fresca, Conte. La birra calda non va bene quando ci
si sta riprendendo da una pennichella.»
C'è qualcuno in casa...
Ma chi?
Il Conte alzò gli occhi dal suo giaciglio sul divano.
La figura sembrò danzare evanescente davanti a lui.
La luce proveniente dalla sala da pranzo scontornava la figura, ma la
testa sembrava circondata da un'aureola di totale oscurità.
Da qualche parte (forse dal piano di sopra?) giunse il rumore di un
battito di ali.
Lo scatto metallico di un cane.
Tutti gli ingranaggi si rimisero in moto e si scosse dal torpore.
«Ehi, amico. Non c'è molto da rubare qui. Ho un po' di soldi in tasca... il
mio televisore, e...»
Si voltò verso l'angolo dell'intrattenimento e lo indicò.
Dove prima aveva troneggiato un Sony XBR da trentuno pollici nuovo
di zecca, ora c'era solo un vuoto.
«Cristo! L'hai già preso!»
Fece per alzarsi.
La figura si chinò in avanti.
Gli infilò la canna di una Heckler e Koch HK-4 in una narice.
Il Conte si lasciò ricadere sul divano.
Riconobbe la pistola.
Era la sua.
«Merda. A quanto pare hai in mano tutta la situazione. Immagino che ora
ti prenderai tutto quello che vuoi, no?»
«So esattamente quello che voglio, signor Henneman. Ti chiami così,
non è vero, Conte? Richard Mark Henneman.»
La voce dell'uomo era rauca e aspra, stranamente sbagliata... come una
voce prodotta con effetti speciali, alterata di registro, a comunicare rabbia
attraverso i denti stretti.
«Sì. Sì, sono io.» La canna della pistola era fredda e pesante all'interno
del suo naso. E faceva un male d'inferno.
«Ascolta, mi dispiace essere d'impiccio. Prendi quello che vuoi, okay?
Non mi interessa. Ma non mi sparare.»
«No?»
«No! Sarebbe... davvero una sciocchezza.»
«Dici?»
«Che stai cercando di fare? Qualche giochetto psicologico? Ti ho detto
di prendere quello che ti interessa. Se vuoi ti faccio vedere dov'è tutta la
roba, okay? Ma toglimi la pistola dal naso!»
La pistola si ritrasse.
La figura fece un passo indietro.
Apparentemente si trattava di un uomo con indosso un cappotto nero,
ma nell'indietreggiare una parte dell'oscurità che gli avvolgeva il volto
sembrò dissiparsi. Era un uomo di una certa età, con la pelle stanca e tirata.
Portava un paio di occhiali scuri. Stava forse venendo rapinato da un
pensionato?
Magnifico!
«Stammi a sentire, nonno. Ti prometto di collaborare. Puoi anche
prenderti la pistola. Mi è costata un occhio della testa, credimi...»
E vorrei tanto averla tenuta sempre addosso... A quest'ora pezzi della
tua testa sarebbero sparsi per tutto il soggiorno...
Non era realmente capace di sparare, ma quel pensiero lo rallegrò e
contribuì a tenere sotto controllo la sua paura. Mick Prince lo aveva
accompagnato a comprare la pistola e gli avrebbe mostrato come usarla.
Mick stava mostrando al Conte un sacco di cose nuove e interessanti.
Quanto desiderava che Mick fosse lì con lui in quel momento.
Lui avrebbe saputo come comportarsi.
«Tu non hai idea di chi sono io!» gridò l'uomo. «Non hai idea!»
Senza alcun preavviso l'uomo spazzò il tavolino con la mano in cui
impugnava la pistola, gettando a terra i libri, le videocassette e la scatola
contenente il necessario per la droga.
Gli oggetti attraversarono in volo la stanza.
Due bicchieri si infransero contro la parete di fronte.
Per essere un vegliardo ne aveva di forza, quel tipo!
Istintivamente, il Conte si raggomitolò. Prese a scalciare sul divano nel
tentativo di allontanarsi dall'uomo e mettersi al sicuro.
Con sorprendente velocità l'Uomo delle tenebre protese un braccio e lo
afferrò per la maglietta con la mano libera. Trascinò poi il Conte sul
tavolino da caffè e ve lo sbatté violentemente sopra.
Il Conte era stordito al punto da percepire appena i movimenti successivi
dell'Uomo delle tenebre. Tentò di alzarsi, ma ben presto si rese conto di
essere stato legato. Era trattenuto da una serie di cinghie di cuoio. Era in
grado di muovere solo la testa, le mani e i piedi, ma non di molto.
«Merda! E ora come faccio a indicarti dov'è la roba?» si lamentò, per
nulla felice di come si mettevano le cose, prendendo coscienza lentamente
della realtà.
«So esattamente quello che voglio e so dov'è», ribatté l'Uomo delle
tenebre. «Ma ora ho bisogno di alcune cose che posso ottenere solo dal tuo
cervello.»
«Eh? Che vuoi dire? Informazioni? Cristo...»
Lo sconosciuto appariva oscuro ed evanescente in ogni sua parte. Ceri
rituali erano stati accesi e disposti in tutta la stanza, ma in alto, all'altezza
del soffitto, regnava il buio. Il Conte avvertì una forma, una presenza lassù
in alto, per certi versi sgraziata, ma enorme e minacciosa.
Per un attimo l'Uomo delle tenebre rimase in silenzio, forse per
consentire alla miccia del terrore di accendersi nel cuore del prigioniero.
Poi si inginocchiò accanto a lui.
«Ora ho dei poteri... poteri strani... percepisco cose come non ero mai
stato in grado di fare prima... cose a proposito della vita», affermò in un
solenne sussurro. «Cose a proposito della vita, signor Henneman. Io
percepisco, signor Henneman... Conte Mishka... che oltre i peccati e le
piccole atrocità che hai già tessuto nel cosmo, nel tuo destino ci sono mali
più grandi. Immagina, Conte... Immagina, per esempio, se in Joseph
Goebbels del Terzo Reich fosse stato riconosciuto per tempo il criminale
che sarebbe divenuto. Il mondo sarebbe stato migliore se la sua esistenza
fosse stata recisa. Le forbici del fato sono sempre in funzione, Conte. Ma
troppo spesso agiscono con eccessivo ritardo per il mondo. Sto prendendo
seriamente in considerazione di aiutare quelle forbici ad agire, stasera.»
L'Uomo delle tenebre tirò fuori delle cesoie di grandi dimensioni e le lame
fresche di affilatura brillarono alla luce danzante delle candele.
«Gesù! Che cosa vuoi fare con quelle?» ansimò il Conte. «Guarda, ti ho
detto che...»
«Tu non hai idea di chi sono io, vero?» domandò l'Uomo delle tenebre.
«Lascia che ti informi.» Si avvicinò. «Io sono il dottor Phibes, signore
Henneman. Sono l'attore shakespeariano calunniato dell'Oscar
insanguinato di Vincent Price. Sono Peter Cushing in Racconti dalla
tomba. Sono Claude Rains nel Fantasma dell'Opera. Potrei continuare,
Conte. Mi capisci ora che parlo il tuo gergo cinematografico?»
«Che cosa stai... Io non... non... Stai vaneggiando!» squittì il Conte.
Le cesoie si misero in azione.
L'Uomo delle tenebre si mise in ginocchio al suo fianco e si tolse gli
occhiali scuri. Il bagliore delle candele veniva riflesso dalla sua pelle
grigia e squamosa. Il Conte avvertì un lieve puzzo di putrefazione. Guardò
in quegli occhi e vide qualcosa che gli sembrò di ricordare. Qualcosa che
era accaduto pochi mesi prima.
Poi li riconobbe, quegli occhi.
Aprì la bocca per parlare, o almeno urlare, ma non riuscì a emettere
alcun suono.
Oh, Dio, oh, Dio, oh, Dio...
«Vedo la scintilla del riconoscimento nei tuoi occhi, Richard», osservò
l'Uomo delle tenebre. Tornò lentamente a inforcare gli occhiali scuri, poi si
alzò in piedi. «Questo mi fa bene all'anima. Penso che forse potrà scaturire
qualcosa di buono dalla mia morte. Ed è per questo che mi trovo qui. Vedi,
non si tratta solo di vendetta. Né solo di redenzione. Sono qui per il bene
delle generazioni future!»
Ancora paralizzato per l'orrore e incredulo, il Conte guardò l'Uomo delle
tenebre togliersi qualcosa di tasca. Era il telecomando del suo televisore...
Ma che diavolo voleva fare con?...
Clic, clic.
La forma sgraziata la cui presenza era stata avvertita dal Conte nel buio
nei pressi del soffitto improvvisamente si accese.
Era il suo enorme televisore Sony XBR, chissà come agganciato per i
cavi dell'antenna e dell'alimentazione all'attacco del lampadario sul
soffitto. In splendido technicolor, il Van Helsing interpretato da Peter
Cushing impugnava un picchetto di legno, scuotendo furiosamente i
capelli mentre lottava con il Dracula Christopher Lee.
Il gigantesco televisore era sospeso due metri sopra la testa di Richard
Henneman.
L'Uomo delle tenebre cominciò a recitare.
«'Ora osservai, inutile dire con quale orrore, che la sua estremità
inferiore consisteva in una mezzaluna di acciaio splendente, lunga circa un
piede da corno a corno; questi erano rivolti verso l'alto e la lama inferiore
appariva affilata come quella di un rasoio. E come un rasoio sembrava
massiccia e pesante, assottigliandosi dalla lama e saldandosi in una solida
e ampia struttura in alto. Era sospesa a una pesante barra di ottone, e tutto
l'insieme sibilava mentre oscillava nell'aria.'
«È l'ora del quiz, signor Henneman. Da dove è tratta questa citazione?»
«Io... non... lo so...» riuscì a bofonchiare il Conte, terrorizzato.
«Forse dovrei affrontare la materia attraverso il mezzo di comunicazione
a te più familiare.»
Improvvisamente balenarono sullo schermo scene tratte da un film che il
Conte conosceva. Vincent Price con indosso una cappa. Scalini di pietra,
una segreta... Una donna dal seno prosperoso...
Poi il protagonista di Millennium (grande serie!), anche lui avvolto in
una cappa. Una segreta. Una donna dal seno prosperoso, nuda...
«Il pozzo...» disse. «Il pozzo e il pendolo.»
«Risposta esatta, Conte», si complimentò l'Uomo delle tenebre. Sollevò
verso l'alto le cesoie e impresse una forte spinta al televisore. Cominciò a
oscillare avanti e indietro, avanti e indietro.
La luce produceva un effetto stroboscopico.
«Ci fu la memorabile interpretazione di Roger Corman... seguita dalla
versione più recente di Stuart Gordon», informò l'Uomo delle tenebre. «E
certamente ricorderai la vivida citazione del racconto da parte di Dario
Argento qualche anno fa.»
Avanti e indietro.
Avanti e indietro.
Luce stroboscopica sulla pelle secca e incartapecorita dell'Uomo delle
tenebre, riflessa dalle lenti dei suoi occhiali.
«Che cos'è questa storia?» domandò gridando il Conte. «Baxter! Che
scherzi sono? Baxter? Tutto questo è frutto del tuo senso dell'umorismo
malato e distorto?»
Il televisore oscillava avanti e indietro, sospinto dalle cesoie dell'Uomo
delle tenebre.
Avanti e indietro.
Luce stroboscopica.
Il poderoso tubo catodico sparava sullo schermo scene di film, sgargianti
sequenze da La notte dei morti viventi, vecchi film dell'orrore della
Universal, film degli anni Cinquanta con mostri per protagonisti, film
splatter degli anni Ottanta, film di Stephen King, film dimenticati che il
Conte aveva acquistato da Sinister Cinema e da Video Search a Miami, do-
po aver letto le recensioni in Video Watchdog...
Avanti e indietro, oscillavano le immagini.
Luce stroboscopica.
«Che arcobaleno di delizia, Conte! Dolore e sangue e orrore in
confezioni da novanta minuti! Una forma di divertimento piuttosto
decadente, non trovi? Ma certo non divertente quanto partecipare alla
melodrammatica scena di morte che ho preparato. Non divertente quanto
saltare sul carro del mio patrimonio, diretto a gran carriera verso l'inferno
commerciale.»
«Basta!» implorò il Conte. «Finiscila adesso!»
«Forse. Forse ti lascerò andare, se mi riveli dovo sono gli altri tuoi nobili
amici. Il... Marchese, credo si chiami, no?»
«Al Cross Club», non si fece pregare il Conte. «Sì. In questi giorni della
settimana solitamente bazzica da quelle parti.»
«Grazie.»
Tuttavia, l'Uomo delle tenebre che sosteneva di essere William Blessing,
risorto dalla tomba, non liberò il Conte dai legacci che lo
immobilizzavano.
«Mmm. Vedo che collezioni anche questi autentici modelli di cultura... i
fumetti.» L'Uomo delle tenebre zoppicò in direzione di una libreria e ne
afferrò un po'.
Avanti e indietro...
Il Sony oscillava sibilando sopra la sua testa.
«Guarda, guarda. The Sandman di Neil Gaiman.» Tornò zoppicante sui
suoi passi e gettò la pila di fumetti sul petto del Conte. «Tutte queste
edizioni sono incentrate su quell'inafferrabile invito al carcere che si
chiama Morte. Voglio stringere un patto con te, Conte. Tu mi spieghi
esattamente che cosa vorrebbero significare questi fumetti e io ti lascio
libero.»
«Che vuoi dire?»
«Ai miei occhi è evidente, ma del resto io sono un professore di lingua e
letteratura. Ascoltando il giudizio di un vero appassionato del genere potrò
forse cogliere qualche sfumatura che mi era sfuggita, non credi?»
Sul volto del Conte era apparsa un'espressione inorridita. Come poteva
rispondere a domande da quiz con un televisore di quarantacinque chili
che gli ballava sopra la testa come la palla d'acciaio per la demolizione?
«Sandman è... ehm, una specie di principe dei sogni... e va e viene
attraverso scene mitologiche... ed è un tipo... come dire... in gamba,
profondo... e...»
«No. Sapevo che non saresti stato in grado di spiegarmelo», sentenziò
l'Uomo delle tenebre con una lieve nota di tristezza nella voce. «Che senso
ha collezionare qualcosa se non ti prendi neppure la briga di comprendere
di che si tratta? È una 'figata' semplicemente perché piace agli altri o
perché piace a te? Capisci quello che intendo, no? Be', comunque sia, ben
presto lo capirai perfettamente.»
L'Uomo delle tenebre si allungò verso l'alto e tagliò i cavi del televisore
con un solo movimento delle pesanti cesoie. Ciac.

Il televisore stereo Sony XBR da trentuno pollici piombò verso il basso,


interrompendo il moto pendolare, con innaturale velocità, come se fosse
stato scagliato da un'altezza molto maggiore.
L'Uomo delle tenebre lo guardò cadere.
Non provava gioia, né soddisfazione.
Ma neppure dispiacere o rammarico.
Lo spigolo del televisore si abbatté come un'incudine su una mela sul
volto dell'uomo legato, riducendolo in poltiglia (spargendo dappertutto
schizzi di sangue e frammenti di cervello) prima di ricadere su un lato del
tavolino e fracassare anche quello. Con un forte rumore di legno spezzato,
simile a quello di un melone che si spappola, il televisore schiacciò a terra
un lato del tavolino spostando verso l'alto quello opposto, che come un
colpo di frusta dilaniò ulteriormente il corpo della vittima, spezzandolo.
Schegge di vetro vennero proiettate in ogni direzione, colpendo in più
punti le gambe dell'Uomo delle tenebre.
Le schegge gli lacerarono la carne, ma lui registrò appena il dolore.
Scintille elettriche esplosero dal televisore e, per un attimo, dai cavi
recisi. I rottami e i resti umani vennero avvolti dal fumo.
Poi, con uno scoppiettio, la corrente elettrica si interruppe.
I piedi del Conte furono scossi da uno spasmo, poi rimasero immobili.
L'Uomo delle tenebre stette in piedi in silenzio per qualche istante.
Da una tasca interna della giacca estrasse una penna nera.
Era la penna di un corvo.
La infilò in una mano del Conte.
«Ora vola verso le tenebre, mio nemico», disse l'Uomo delle tenebre.
«Vola verso un luogo che non conosciamo, né io, né tu.»
Poi si voltò e si allontanò in direzione del prossimo compito...
... mentre nella sua mente si affollavano i ricordi.

... il primo proiettile gli penetra nel petto. L'impatto è tremendo, la


pallottola attraversa la pelle, straziando costole, il polmone destro, vene,
arterie, esplodendo poi fuori dalla camicia e dal maglione di cashmere. È
come se un demone ghignante lo avesse trafitto con un attizzatoio
incandescente, ustionandolo e provocandogli un dolore lancinante...
Ma il demone porta sul volto la maschera contorta di un folle dallo
sguardo selvaggio, tendendo davanti a sé un'enorme pistola.
L'Uomo delle tenebre camminava per le strade della notte, le strade di
Baltimora, diretto al prossimo appuntamento. Quegli uomini lo avevano
ucciso, avevano distrutto tutto quello che in vita gli era stato più caro. Ora
toccava a loro morire.
L'Uomo delle tenebre percorse le strade di Fells Point.
... assillato dai ricordi...
... Amy! Oh, Dio mio! Amy! Non fate male a Amy!
... Ladri! Pazzi! Assassini!
Aiuto! Gesù! Aiuto!
Viene scagliato, agonizzante, contro la libreria. Volumi antichi e
preziosi cadono a terra. L'odore di pergamena e di carta invecchiata,
l'odore di cera misto a quello di sangue appena versato.
L'immagine dell'aggressore gli si imprime a fuoco nella mente, ogni più
piccola contrazione dei muscoli facciali, ogni dettaglio dei pori e della
curva del naso. Le labbra dure e sottili. Le sopracciglia folte e arricciate.
Gli occhi di granito. Gli unti capelli neri, legati in un codino sulla nuca da
un anello di osso...
E, guardando con la coda dell'occhio, l'immagine dell'altro aggressore,
che ha immobilizzato sua moglie. Un muscoloso gorilla d'uomo con i
capelli a spazzola, l'arcata sopracciliare sporgente, senza mento, uno
sguardo lussurioso negli occhi porcini.
Tenta di rialzarsi, cercando con le mani un appiglio sugli scaffali della
libreria, deciso a continuare a lottare, un unico pensiero nella mente:
«Devo salvare Amy, salvare la collezione...»
Poi l'uomo con la pistola gli rivolge un ghigno sprezzante...
... e lui ha la certezza, nel profondo dell'animo, che non sarà possibile.
L'Uomo delle tenebre percorreva le strade di Baltimora, la sua casa.
Baltimora, nel Maryland.
Era nato in città e lì era cresciuto permeandosi della sua storia e delle
sue promesse. Ora sentiva l'odore delle acque dell'Inner Harbor, il molo
poco più a sud. Baltimora, che sorgeva sull'estuario del fiume Patapsco
nella baia di Chesapeake. La più grande città del Maryland e uno dei porti
naturali più grandi del mondo. Una città caratterizzata dalla crescita
economica americana, dall'architettura americana, dal retaggio culturale
americano. Ora, mentre camminava, riusciva quasi ad assaporare nell'aria,
tra i cattivi odori e l'umidità, il granchio azzurro al vapore, la birra fredda e
a buon mercato, le ricche spezie della baia.
Baltimora.
Un buon posto per morire.
Ma non per riposare...
Non ancora.
L'Uomo delle tenebre camminò attraverso gli oscuri meandri di Little
Italy...
... assillato dai ricordi...
L'arma esplode un secondo colpo e l'impressione comunicatagli dai suoi
sensi acuiti dal dolore è che la pallottola fuoriesca dalla canna, in
un'aureola di fuoco, al rallentatore. Avverte il suo tentativo di negare
quanto sta accadendo, di gridare «No!» di fare ricorso a qualche sorta di
potere interiore per respingere il piombo che sta sfrecciando nella sua
direzione.
Quando arriva a destinazione la forza brutale dell'impatto lo scaraventa
contro la base della libreria dov'era finito dopo il primo colpo. La
pallottola affonda nell'addome, forando e dilaniando la camicia già
inzuppata di sangue, una sega circolare di potere allo stato puro,
impegnata a devastare la sua carne e la sua vita con totale abbandono,
sputando fuori pezzi del suo corpo che ricadono sanguinolenti sul
pavimento. La sente farsi strada dentro di lui, tranciargli il plesso solare e
gli organi interni con folle indifferenza, masticando ciò che rimane della
sua vita per poi sputarlo fuori.
Il suo aggressore sta dicendo qualcosa, ma non può più sentirlo. Si
rende conto che l'aggressore ha parlato tutto il tempo, rivolgendogli
accuse, ma lui non le ha registrate... non le ha recepite.
Tutti i suoi pensieri sono rivolti a Amy, a sua moglie, al suo amore...
E alla sua sensazione di impotenza, a quanto si sente consumato dal
dolore.
Sangue sangue sangue...
Ricade a terra in un bagno di sangue, la coscienza annegata in un lago
di sangue.
Affonda nel sangue denso e scuro della perdita di conoscenza
aggrappandosi a un unico pensiero: Amy.
L'Uomo delle tenebre camminava lungo le strade di Baltimora.
Passò accanto ai muri nuovi e puliti di Harborplace, oltre l'acquario e gli
alberghi con le luci scintillanti, oltre il riflesso della luna nelle finestre
degli edifici per uffici.
Ma non è morto.
... Non ancora.
Riesce a sfuggire all'oscurità, indietro, per salvare Amy, per salvare la
collezione, per salvare... salvare...
Apre gli occhi e si lascia sfuggire un lamento...
È costretto a guardare negli occhi l'orrore più grande di ogni altro...
L'Uomo delle tenebre camminava in direzione del Cross Club.
Avvertì un battito di ali, guardò verso l'alto e vide una forma oscura che
volava lungo i canyon della città, sopra le automobili e l'animazione della
vita notturna.
La seguì.
E mentre seguiva il corvo l'Uomo delle tenebre ricordò il suo sogno.
Il suo sogno di Edgar Allan Poe.

Prego Dio che possa giacere


Per sempre con occhi chiusi...
Nel profondo della foresta, buia e fredda,
Possa per lei aprirsi un alto sepolcro
Una tomba, che spesso ha spalancato le sue nere
E vampiresche ali di pietra
Svolazzando trionfante sopra i paramenti funebri
Dei suoi vecchi funerali di famiglia.

EDGAR A. POE, Al cuore benevolo, «Irene»

8 dicembre, 1811

Nella foresta sotto il cielo d'inverno c'era un uccello.


«William», aveva chiamato Edgar. «William! Un uccello!»
Un uccello di grandi dimensioni.
Un uccello nero.
Nero come i tenebrosi scantinati sotto il teatro dove lui e William
giocavano mentre la mamma era impegnata nelle prove. Nero come la
notte quando nella pensione tutte le candele si spegnevano e le nuvole
come un gigantesco paio d'ali oscuravano le stelle e la luna. Nero come
l'abito indossato il giorno prima dal cupo medico quando era venuto a
visitare la mamma.
«Dove?» Nel portico suo fratello William si alzò dal punto in cui era
seduto.
«Là! sull'albero...»
Ma nel punto indicato da Edgar c'erano adesso solo rami. Rami
scheletrici, memorie irrigidite di alberi un tempo carichi di foglie verdi, di
frutti e di vita, ma ora spogli nel freddo dicembrino.
«Io non vedo alcun uccello, Edgar», disse William, che aveva
continuato a giocare ai soldatini escludendo Edgar dal gioco.
Ora Edgar si trovava accanto a una finestra. Con lui nella stanza
c'erano l'infermiera, con la piccola Rosalie, che aveva un anno, e un
gruppetto di amici di famiglia, perlopiù gente di teatro, raccolti attorno al
letto. William, il volto privo di espressione, si aggrappava a una donna
che aveva trascorso tutta la notte al capezzale della mamma.
Edgar sedeva vicino alla finestra, stropicciandosi le mani e fissando gli
alberi all'esterno. Il grande volatile lo affascinava. Con il suo vibrante
gracchiare e il suo occhio consapevole, il becco affilato e i potenti artigli,
appariva al tempo stesso estremamente strano eppure perfettamente in
sintonia con il contesto. Come se potesse fornire la misteriosa risposta a
un enigma. Continuò a cercare con lo sguardo l'uccello perché le parole
degli adulti presenti nella stanza lo inquietavano, benché non ne
comprendesse esattamente il significato, e questo non solo perché
venivano sussurrate.
«Non potrà resistere ancora a lungo.»
«Che cosa ne sarà dei poveri bambini?»
«Io non potrò certo aiutarli! Ne ho già abbastanza di miei da accudire!»
«Dovranno essere separati. Che peccato. Danno l'impressione di volersi
così bene!»
«Povera donna. Che talento! Una voce da usignolo. Credo che ora
canterà per Gesù in persona.»
«Andrà certamente in un posto migliore di questo.»
La mamma che andava da qualche parte? Ma com'era possibile? si era
domandato Edgar. Indossava la camicia da notte ed era a letto, ben
infilata sotto le coperte. No, gli adulti si sbagliavano: anche se aveva solo
tre anni sapeva perfettamente che prima di andare da qualche parte
bisognava vestirsi... o comunque alzarsi dal letto. Ma ormai erano giorni
e giorni che la mamma riposava nel letto...
Certo, non era proprio da lei. La mamma era quasi sempre in piedi.
Mamma era un'attrice. Un'attrice famosa, affermava William. «Ha
calpestato le assi dei palcoscenici da Richmond a Boston!» aveva
declamato una volta il fratello di cinque anni, assumendo una posa
melodrammatica. «Signori, con la sua voce melodiosa ha conquistato
anche i freddi cuori degli abitanti di New York e di Filadelfia. È
semplicemente la più grande attrice e cantante di tutti i tempi.»
Edgar sapeva bene che la madre era la creatura più splendida di tutto il
mondo. Ma sua mamma era la donna che lo prendeva in braccio, gli
infilava il cappottino, gli allacciava le stringhe e lo consolava quando
cadeva e si sbucciava un ginocchio. La donna che si truccava il viso,
indossava vestiti ornati svolazzanti e cantava in Time Tells a Tale, o che
piangeva e si disperava nei melodrammi Tekeli o The Siege of Montgatz,
gli sembrava invece una persona quasi sconosciuta... ma comunque
meravigliosa.
Un fremito d'ala...
Una chiazza nera in movimento...
Eccolo... appena sopra l'orizzonte di quella lugubre domenica mattina.
Che cos'era quello strano uccello?
«Mi domando se suo marito è al corrente che è malata.»
«Quel mascalzone! David Poe! Nessuno ha sue notizie. Ha ab-
bandonato la famiglia l'anno scorso, quell'ubriacone.»
«Un pessimo padre.»
Edgar ricordava appena il padre. Nel suo profondo serbava qualche
memoria. Nel suo profondo serbava anche qualche sentimento. Tuttavia,
in quel momento ciò che più gli stava a cuore non erano i sussurri delle
persone che ronzavano attorno al letto della mamma, bensì la possibilità
di cogliere una fugace immagine di quell'oscuro emissario in forma di
uccello.
Dov'era finito?
«Edgar? Edgar, vieni qui caro. La tua cara mamma desidera parlare
con tutti i suoi figli.» Edgar riconobbe la voce. Era quella di Fanny Allan,
che tanto si era adoprata per la sua famiglia. Fanny gli piaceva molto.
Era una signora dolce. Suo marito John, al contrario, era severo,
sprezzante e spaventoso. Edgar non era sicuro che John Allan gli
piacesse.
«Sto cercando l'uccello!» rispose Edgar. «So che è lì fuori!»
«Lo cercherai dopo, caro», insistette Fanny. «Tua mamma vuole
parlarti immediatamente.»
Edgar sospirò. Scese dalla sedia accanto alla finestra e si avvicinò al
letto. William era già lì, triste e confuso, e stringeva la mano della mamma
nelle sue. Un'altra donna teneva in braccio Rosalie, la sorellina di Edgar,
che fissava la mamma con grandi occhi scuri senza emettere alcun suono.
Edgar si portò sul lato del letto e vi si appoggiò contro.
«Edgar?» chiamò una voce fioca e incerta. «Edgar, sei tu?»
«Sì, mamma.»
La sua voce era strana. Mamma aveva una voce molto femminile, ma
era anche la voce potente di una soprano. La voce che aveva appena
ascoltato non era che lo spettro di quella della mamma, e sembrava
uscirle a fatica dalla gola, come se avesse dovuto attraversare una
barriera di dolore.

Con un rantolo, William Blessing si destò.


Era sudato e ansimava. Le lenzuola erano madide di sudore.
«Oh, caro», lo consolò con voce sonnacchiosa la moglie Amy, girandosi
per appoggiargli una mano sulla spalla in un gesto di conforto. «Hai fatto
di nuovo quel terribile sogno su Poe?»
«Sì», ammise William Blessing. «Di nuovo quel sogno. Quel sogno con
il corvo...»
«Forse dovresti scrivere un bel romanzo d'amore, la prossima volta»,
sussurrò lei.

Gaiamente abbigliato,
Un galante cavaliere,
Con la luce e con le ombre
Da lungo tempo ormai viaggiava,
Cantando una canzone
In cerca dell'Eldorado.

EDGAR A. POE, «Eldorado»

Mick Prince aprì la porta.


I vapori dell'alcol e i fumi della droga si riversarono nel corridoio,
seguiti dal puzzo di cibo rancido e di vomito. Le veneziane abbassate, in
pessimo stato, lasciavano filtrare il mattino consentendogli di posarsi sui
corpi inerti, ancora sotto gli effetti della notte. Erano riversi sul sudicio
tappeto del soggiorno e sul divano strappato in più punti, in stato
semicomatoso nonostante il baccano infernale che risonava attorno a loro.
L'uomo dal fisico imponente e con indosso un lungo cappotto afferrò il
più vicino dei ragazzi per l'orecchio, lo tirò su e gli infilò la canna della
pistola semiautomatica nella bocca.
«Grimsley», ringhiò Mick Prince. «Dov'è?»
Un filo di bava aveva cominciato a scorrere dall'angolo della bocca del
ragazzo. Ora aveva gli occhi sgranati e prese a tossire, soffocato. L'uomo
con il lungo cappotto nero gli tolse la pistola dalla bocca per permettergli
di parlare.
«Non lo so», disse il ragazzo, che emanava ora un fetore di sudore misto
a urina.
Mick tornò ad affondare la canna, spezzandogli un dente.
«Pensaci bene.»
Cominciarono a scorrere lacrime e sangue. «Nel bagno», balbettò.
«Penso di averlo visto andare in bagno.»
Mick udì lo scatto metallico di un'arma. Non perse tempo per controllare
di che cosa si trattava voltandosi nella direzione del rumore: con un
riflesso automatico orientò e livellò la pistola, premette il grilletto e sparò
una raffica.
I primi proiettili colpirono un ragazzo bianco con i capelli lunghi
addormentato sul divano, che si svegliò di soprassalto giusto in tempo per
morire, il petto devastato da due pallottole che ne fecero schizzare via
ammassi sanguinolenti di carne e pelle grandi quanto pugni. Mick proseguì
il movimento facendo risalire la raffica verso l'alto, falciando il pistolero
che aveva estratto l'arma. Due dei colpi non andarono a segno, rompendo
un gong di plastica e scheggiando la superficie del tavolo sul quale
poggiava. Il terzo si schiantò nel cranio dell'uomo di colore, praticandoci
un foro perfettamente circolare e facendone schizzare fuori cervello e san-
gue. La mano che impugnava la pistola ebbe uno scatto e sparò un paio di
pallottole nella parete, formando nuvolette di intonaco polverizzato.
Gli altri tre drogati si svegliarono tra scatole per pizza marcescenti,
cannucce per coca e siringhe abbandonate, avvolti in una fine nebbiolina di
sangue e ossa che ricadeva attraverso l'aria carica di cordite. Uno di loro
portava una fondina ascellare dalla quale spuntava il calcio di una pistola.
Gli altri sembravano disarmati.
Non che importasse.
L'uomo con il lungo cappotto nero riorientò l'arma.
Mick Prince ricordò di aver letto la ricostuzione storica dell'attacco delle
forze cattoliche contro la città nella quale si erano rifugiati gli eretici
catari. Alla richiesta di ordini in merito all'opportunità di mostrare pietà nei
confronti di alcuni componenti della setta, l'erede di san Pietro aveva
risposto: «Uccideteli tutti. Sarà Dio a riconoscere i giusti tra loro».
Quel papa non era solo saggio, pensò Mick Prince. Era anche un
pontefice estremamente pratico.
Con collaudata facilità l'uomo svuotò il resto del caricatore contro i tre
ancora in vita. Le vittime morirono spruzzando sangue, dimenandosi e
scossi da spasmi come se ganci invisibili fossero stati calati dall'alto a
trafiggerli per farne marionette spastiche. Quando il caricatore fu vuoto e
la pistola quasi incandescente, una nube di fumo rimase sospesa sopra i
corpi senza vita come incenso, e le pareti, il soffitto e il pavimento
apparivano riverniciati di un cremisi umido e scioccante.
Senza sostare un secondo, il messaggero di morte affondò la mano in
una delle tasche del cappotto e ne estrasse un nuovo caricatore, che sostituì
a quello vuoto. Era stato assoldato per uccidere il capo di quel gruppo, e
per quanto i suoi mandanti sarebbero indubbiamente rimasti entusiasti
della carneficina e del terrore che avrebbe provocato tra i capi delle gang e
i signori della droga, non aveva ancora portato a termine la sua missione.
A grandi falcate Mick Prince si trasferì nel locale attiguo, eretto e
determinato, cercando il bagno.
Mick aveva trascorso buona parte della sua vita in istituti di ogni genere.
Ciascuno degli istituti era fornito di una biblioteca. E lui ne aveva letto il
contenuto, perlopiù volumi tascabili. Se fosse stato un appassionato di
cinema, si sarebbe identificato con Clint Eastwood, il mercenario dal volto
privo di espressione e gli occhi di ghiaccio, intento a compiere il suo
dovere nel selvaggio West. Tuttavia, preferiva considerarsi una sorta di
moderno Parker, il protagonista dei gialli scritti da Donald E. Westlake con
lo pseudonimo di Richard Stark. Parker, il freddo e spietato professionista
privo di scrupoli, elegante, rapido e letale.
Ecco Parker che si muove nella struttura di una prosa semplice e diretta,
pensò Mick Prince. Moderno e alla moda, protagonista di una scorreria
noir pre-Quentin Tarantino, impegnato a guadagnare il denaro necessario
per concedersi qualche mese di vacanza e inseguire un sogno postmoder-
no. Ecco Parker nella versione aggiornata. Sicario, professionista del
crimine...
Scrittore!
Impegnato a guadagnare il denaro sufficiente per isolarsi da qualche
parte con il taccuino e il computer, per scrivere taglienti racconti di puro,
sfrenato orrore.
Parker uccideva, ma non era un killer professionista. Mick Prince,
invece, lo era. Lavorava soprattutto nell'ambiente degli spacciatori di
droga, caratterizzato dalla grande disponibilità di denaro. Quando fosse
diventato uno scrittore ricco e famoso avrebbe forse fatto un lavoretto ogni
tanto, giusto per tenersi in allenamento. Ma intendeva smettere di farlo
come professione il più presto possibile.
Mick Prince si domandò quale sarebbe stata la reazione del suo
insegnante della Writer's Digest School al suo ultimo pezzo. Il racconto
soffriva di problemi strutturali, temeva, e forse andava accorciato. Il fatto
che si trattava di un racconto horror certo non aiutava, considerata l'attuale
situazione del mercato editoriale: così avrebbe certamente affermato
l'insegnante di Pittsburgh. Ma da qualche tempo Mick non riusciva a
scrivere altro.
Oltrepassò una cucina in sfacelo che puzzava di muffa da frigorifero.
Avanzando lungo il corridoio, il fetore si mescolò a quello proveniente dal
bagno.
Si stava avvicinando.
Da sotto una porta chiusa si allargava nel corridoio una pozza d'acqua.
Tutti i locali adiacenti sembravano vuoti e le finestre erano chiuse.
Grimsley doveva aver scelto il bagno per arroccarsi.
Il moderno Parker avanza, implacabile e meccanico, lungo i corridoi,
un nuovo uomo post-nietzschiano. È il detenuto che ha letto più libri nella
sua prigione, è in grado di citare per capitoli e capoversi filosofi, poeti e
scrittori pulp. Tuttavia, in quel momento zen, ogni cosa è dimenticata. È
tutt'uno con la sua metaforica spada-pistola, tutt'uno con la sua missione.
Il moderno Parker, sofisticato samurai.
Guerriero da strada.
La sua mente acuita è sintonizzata sull'Adesso e si prepara al futuro.
Il feroce nemico è in agguato.
Alzando la pistola, pronto a fare fuoco, Mick Prince trasse una serie di
lunghi e silenziosi respiri, come se stesse recitando un mantra.
Poi, come un esperto di arti marziali al cospetto del pubblico, alzò uno
degli scarponi con la suola metallica e sferrò un calcio nel punto esatto di
congiunzione tra la maniglia e lo stipite della porta.
La fragile barriera di legno si aprì, scheggiandosi.
Un secondo calcio la spalancò, mandandola a sbattere contro la parete di
fianco.
Mick Prince puntò immediatamente la pistola, pronta a sparare una
breve raffica di proiettili.
Ma qualcosa lo bloccò.
Il pavimento del bagno era rivestito di piastrelle bianche e nere, come
andava di moda un tempo, e la metà erano spaccate o sollevate. Le pareti
erano coperte di graffiti, lo specchio dell'armadietto dei medicinali da
tempo rotto e le tubature spaccate e arrugginite. Una finestrella stretta,
senza tendina, aveva il vetro rotto ed era aperta a metà.
Sulla tazza di porcellana scheggiata sedeva un uomo con indosso una
maglietta strappata. Aveva i boxer abbassati e raccolti attorno alle caviglie.
Era riverso all'indietro, gli occhi socchiusi.
Un laccio di gomma gli stringeva il braccio sinistro. L'ago di una siringa
ipodermica spuntava dall'incavo del gomito. Il braccio era blu.
Un filo di bava scorreva dalle labbra dell'uomo. Respirava a fatica, ma
era vivo. Non era armato.
Mick Prince lo riconobbe dalla fotografia che gli era stata consegnata.
Era Grimsley.
L'odore nel locale era insopportabile.
Un improvviso, inatteso presagio pervase l'uomo con il lungo cappotto.
C'era il sentore di qualcosa in quel luogo. Qualcosa che nasceva dagli
incubi più tremendi nelle celle più nascoste delle carceri.
L'Altro.
Era stato lì.
L'uomo sul water alzò la testa. Le sue palpebre erano così spalancate da
scomparire, e la pelle del volto si contrasse al punto che Mick Prince ebbe
l'impressione di fissare un teschio vivente con occhi esorbitanti.
«Mick», disse l'Altro, «il Nemico... è qui! Sono io il nemico!»
«No», lo contraddisse l'uomo con il lungo cappotto nero.
Fu colto dal panico. Alzò la pistola e fletté l'indice. La canna sputò
fuoco. L'uomo sulla tazza venne investito da una gragnuola di colpi. Lo
sollevarono verso l'alto come una forza invisibile, sempre più su,
riducendolo a un ammasso di brandelli di carne e cotone, schegge di osso e
fontanelle di sangue. Ma Mick Prince continuò a tenere premuto il gril-
letto, crivellando il corpo di proiettili. Un occhio sgranato balzò fuori
dall'orbita, il naso implose verso l'interno del cranio. Ancora qualche
pallottola e la testa del cadavere esplose producendo gli effetti di un
petardo infilato nel culo di una rana. Continuò a sparare finché non ebbe
svuotato il caricatore.
Ciò che restava del corpo del signore della droga rimase sospeso in
bilico per qualche istante, come se la carne e il sangue stessero compiendo
un ultimo, disperato tentativo di ricompattarsi. Poi il cadavere scivolò
verso il basso, cadendo a terra con un tonfo, sollevando schizzi dalla pozza
di sangue e urina.
L'uomo con il cappotto rimase in piedi in silenzio per un momento,
avvertendo il battito del cuore e ascoltando il respiro affrettato.
Il Nemico.
Quel fottutissimo Altro!
Era lì a Baltimora!
Doveva trovarlo... Rintracciarlo... Distruggerlo...
Una forma oscura, simile a un mucchietto di fuliggine che si consolidava
in un'indistinta figura animata, si posò sul davanzale della finestra. Un
becco si sporse verso l'interno. Ali aperte, per mantenere l'equilibrio. Gli
artigli incuneati sul legno. La testa inclinata per fissare, con un solo
occhio, Mick Prince, per squadrarlo con tenebrosa intelligenza.
La mascella dell'uomo con il cappotto cadde verso il basso.
Un corvo!
Che diavolo ci faceva un corvo lì?
Da bambino aveva vissuto in una fattoria. Sapeva che i corvi si cibavano
di carogne, astuti e codardi saccheggiatori di resti.
Il corvo rimase a fissarlo per qualche attimo, scrutandolo come se
riuscisse a vedere attraverso la sua pelle, a leggergli nell'anima. I loro
sguardi si incrociarono.
Fu come se il corvo dicesse: «Ti conosco!»
Mick Prince rabbrividì, incapace di muoversi. Aveva letto molti libri,
libri di ogni genere. La comparsa di un corvo non era mai un buon
presagio.
«Merda!»
Ma il fatto che avesse letto delle cose non implicava necessariamente
che le prendesse per oro colato.
Lasciò cadere la mitraglietta e si portò una mano alla cintura per
impugnare la sua Beretta Cougar semiautomatica calibro 32 dotata di
silenziatore. Ma nell'istante stesso in cui la sua mano toccò il calcio
dell'arma, l'uccello allargò le ali e balzò in avanti.
Una molla nera come la pece e dagli occhi infocati si avventò contro il
volto di Mick Prince, gli artigli protesi.
Se non fosse stato per i suoi riflessi felini, l'uomo con il cappotto
avrebbe perso un occhio. Un artiglio gli affondò nella fronte,
squarciandola per il lungo e staccando dal cuoio capelluto una lunga
ciocca di capelli.
Estrasse la pistola, tolse la sicura e sparò. I proiettili a punta cava
sfrecciarono dall'arma producendo un suono sibilante. Dal soffitto una
pioggia di intonaco gli ricadde sulla testa. Ma la creatura alata si allontanò
in volo, incolume.
«Merda!»
Mick Prince inseguì l'uccello e i passi pesanti dei suoi scarponi
risonarono lungo il corriodio. Il corvo schizzò fuori dalla porta. Mick
Prince fece di nuovo fuoco, poi lo eseguì all'interno del soggiorno.
Il covo dei drogati era ridotto a un ammasso di cadaveri con il
pavimento zuppo di sangue. Dapprima l'uomo con il cappotto pensò che il
corvo fosse scomparso. Ma poi, come ad annunciare «Sono qui!» balzò
sullo schienale del divano e riprese a fissarlo, alzando le ali, un po'
arruffato ma imperturbato.
Gracchiò, sfidando con lo sguardo Mick Prince.
Il buon senso consigliava all'uomo con il cappotto di lasciare perdere e
andarsene. La reazione nel bagno era stata automatica e comprensibile. Era
una macchina programmata per uccidere, e il corvo si era parato
all'improvviso davanti a lui.
Ma ora...
Ora aveva compiuto la sua missione ed era meglio allontanarsi.
Nonostante si trovasse in uno dei quartieri più degradati della città, più a
lungo si fosse soffermato, più avrebbe rischiato di essere preso. La miglior
cosa da fare era uscire da quella maledetta porta, sbattersela alle spalle e
lasciare che il corvo banchettasse... Dargliela vinta.
Ma c'era qualcosa... qualcosa di profondamente inquietante in quella
creatura. Era il corvo più grande che Mick Prince avesse mai visto, e
possedeva una strana presenza, qualcosa che faceva accapponare la pelle,
come se venisse dall'aldilà.
Ma la cosa peggiore era che in lui percepiva qualcosa dell'Altro.
Il Nemico.
Fin dai tempi ai quali risalivano i suoi primi ricordi, Mick Prince aveva
sempre avvertito la presenza del Nemico. Lo aveva percepito nei suoi
sogni, nelle ombre delle giornate e nelle distorte motivazioni di coloro che
l'avevano torturato, coloro che gli avevano reso così difficile la vita. Si
sentiva come se la sua anima fosse più vecchia dei suoi anni, come se
avesse attraversato le lande desolate del tempo inseguita da una oscura e
misteriosa creatura alla quale aveva dato il nome di Nemico.
Un nemico che voleva distruggerlo.
Un nemico che voleva consumarlo.
Per anni era fuggito a capo chino nel terrore. Ma ora le cose erano
cambiate. Ora era deciso a stanare il suo avversario, ad affrontarlo...
A ucciderlo.
«Chi sei?» domandò.
Il corvo si scrollò le penne. Saltò giù sul bracciolo del divano e
picchiettò il becco nell'aria, come se stesse utilizzando un arcano
linguaggio muto.
«Perché non potevi essere un fottuto corvo imperiale?» gridò l'uomo con
il lungo cappotto nero. «'Disse il corvo imperiale... Mai più, Lenore!' E
non un maledetto, schifosissimo corvaccio?»
Il corvo agitò la coda, come per esprimere indifferenza.
«Pensi che non abbia letto Poe?» domandò Mick Prince. «Quello
scribacchino sopravvalutato! Che barzelletta! Qualche francese si è
innamorato di lui... ed ecco fatto! Il Jerry Lewis della letteratura! Be',
lascia che ti dica una cosa: io appartengo alla vecchia scuola. Io dico che
aveva ragione Rufus Griswold. Edgar Allan Poe era un ubriacone bastardo
senza alcun valore.» Mick Prince si batté sul petto la punta della canna
della pistola. «E quando io scrivo, non m'inchino certo al suo altare!»
Il corvo gracchiò.
Fissò Mick Prince negli occhi, senza battere ciglio.
«Vaffanculo!» sussurrò Mick. Alzò la pistola e la puntò contro l'uccello,
prendendo con cura la mira. Immaginava già di vedere il proiettile
squarciarne il petto, mandando in pezzi l'intera fragile struttura ossea della
creatura in un fuoco d'artificio dai toni rossi e neri. Sarebbe stato tutto uno
svolazzare di penne, un frantumarsi di becco!
Aveva appena cominciato a premere sul grilletto quando l'uomo entrò
nella stanza. Indossava pantaloni larghi, una felpa strappata e un
cappellino dei Baltimore Orioles con la visiera sulla nuca. Nella mano
destra stringeva una Walther PPK.
«Figlio di...»
Senza esitare, Mick Prince gli sparò due volte. Fiori di sangue
sbocciarono sulla felpa. L'uomo indietreggiò barcollando di due passi,
roteando le braccia come per sfuggire volando alla morte imminente. Mick
Prince fece di nuovo fuoco e stavolta i colpi gli sfondarono metà del
cranio. Pezzi di cervello e spruzzi di sangue andarono ad aggiungersi alla
nuova tappezzeria alle pareti.
Un'estensione d'ali, poi un battito.
L'uomo con il cappotto riportò di scatto l'attenzione sul volatile.
Il corvo volò in direzione del corridoio.
Mick Prince gli sparò, ma la pallottola mancò il bersaglio e infranse una
finestra.
Il corvo virò, invertendo la direzione del volo e seguendo una traiettoria
irregolare e imprevedibile. Scese in picchiata su Mick Prince, poi
all'ultimo istante deviò.
Il corvo si posò sul davanzale della finestra. Si voltò e fissò ancora una
volta negli occhi l'uomo con il cappotto.
C'era qualcosa in quello sguardo che impedì a Mick Prince di fare fuoco.
C'era qualcosa di così intenso, così raggelante...
Non era sicuro che fosse stato il vento, o forse le tubature della casa.
Certamente non era stato l'uccello, perché i corvi non avevano il dono
della parola...
Eppure, la verità era che il becco affilato della tenebrosa creatura si era
mosso.
Non ora, avevano detto il vento o le tubature. Non ancora. Ma presto!
Poi l'uccello si era voltato e aveva allargato le ali.
«No!» gridò Mick Prince.
Alzò la pistola e sparò.
Ma il corvo era scomparso.
Mick Prince corse alla finestra, urlando.
«No, maledetto! Torna qui!»
Ma quando si affacciò il corvo era solo un lontano puntino nero
all'orizzonte sopra la spettrale e corrotta città, sotto un cielo che aveva il
colore di un livido appena comparso.

Una cupa mezzanotte, mentre meditavo debole e stanco,


Su molti bizzarri e curiosi volumi di un sapere dimenticato,
Mentre mi assopivo, quasi addormentato, all'improvviso
sentii ticchettare,
Come se qualcuno leggermente bussasse alla porta della
mia stanza.
«È qualcuno che viene in visita», mi dissi, «che bussa
alla mia porta.
Solo questo e nulla più.»

EDGAR A. POE, «Il corvo»

C'era qualcosa sul tetto.


Qualcosa di grosso e rumoroso, e molto, molto fastidioso.
Lo studio di William Blessing si trovava al quarto piano della sua grande
casa nel centro di Baltimora. A tarda notte, mentre lavorava al suo nuovo
romanzo, Cose oscure e rifulgenti, per l'editrice Knopf, aveva cominciato a
sentire uno strano rumore proveniente dal piccolo tetto dell'edificio a
schiera.
... Un ticchiettio...
... Un raschiare...
... Un battito...
Un uccello? si era domandato, alzando gli occhi dalla tastiera del
computer. Possibile che un uccello avesse costruito il nido lassù? In effetti
era primavera, la stagione della riproduzione per le piccole creature.
Blessing non voleva loro male. Tutt'altro: la presenza degli uccelli in città
lo rallegrava. Pettirossi, cardinali, ghiandaie, passeri... svolgevano tutti un
ruolo importante per la natura all'interno del tessuto urbano. Lo stesso
valeva per i piccioni e i gabbiani, tutto sommato. Per quanto lo riguardava,
se la sua amata Baltimora aveva un difetto, ebbene questo, in tutta
sincerità, era proprio la scarsità di alberi. Il più delle volte, la costruzione
delle brutte e minuscole case a schiera nei quartieri meno prestigiosi della
«città dello charme», come veniva chiamata, aveva implicato il semplice
abbattimento degli alberi, conferendo alle zone un aspetto spoglio e
dimesso. Per fortuna era stato approvato un piano per il ripristino di aree di
verde in quei quartieri meno considerati. Non che Baltimora fosse
totalmente priva di alberi, tuttavia. Gli enormi parchi erano ricchi di
querce, pini e cipressi, superstiti del rigoglioso patrimonio boschivo del
Maryland, suo autentico tesoro, che aveva dovuto subire nel corso della
storia il terribile attacco dell'industrializzazione. Blessing si riteneva un
uomo fortunato, non solo per l'enorme casa risalente al 1890 di cui era
proprietario, ma anche per il quartiere in cui essa sorgeva, pieno di grandi
querce, benevole e vecchie sentinelle contro l'avanzare dello squallore
urbano, espressione della volontà della natura di resistere.
Dunque poteva trattarsi di un uccello, ma a giudicare dal rumore che
produceva doveva essere un uccello di notevoli dimensioni.
Blessing interruppe il lavoro e guardò verso il soffitto.
Un frullio d'ali.
Un palpito.
Uno scricchiolio.
Maledizione! Che fastidio. Aveva sperato in una mattinata piacevole, e il
tempo aveva collaborato nel migliore dei modi, regalandogli una di quelle
splendide giornate primaverili con poca umidità, una leggera brezza, basse
concentrazioni di polline, un sole caldo e qualche elegante nuvola
cumuliforme in un cielo terso e sereno.
Era sabato, Amy era impegnata a scuola e il nuovo laureando non
sarebbe arrivato fino al tardo pomeriggio. Stephen King gli aveva inviato il
suo nuovo libro, sperando non semplicemente in una buona recensione da
parte di un collega scrittore, ma forse in una «caustica stroncatura per
sgravare la mia schiena stanca dal pesante fardello di vendere troppe
copie». Be', questo non sarebbe stato possibile perché il libro, che si
scostava notevolmente dalle classiche atmosfere di King, era davvero un
capolavoro e meritava una recensione entusiastica, che Blessing sperava di
riuscire a pubblicare sul New York Times Book Review. Peggio, il romanzo
era di quelli magici che tenevano incollati alle pagine il lettore, e benché
Blessing avesse una quantità di altre cose da fare, nulla gli sembrava ora
più urgente che giungere alle ultime pagine del volume.
In cima al piano più alto della casa, nel contesto di una serie di lavori di
ristrutturazione eseguiti da Blessing dopo il successo del suo terzo
romanzo Anima nera in agguato, era stato ricavato una sorta di balcone,
collegato a una piccola cupola realizzata in grandioso stile neogotico del
diciottesimo secolo. Unita al tetto a due spioventi che la casa già
possedeva, la cupola costituiva un meraviglioso salottino nel quale ospitare
amici e colleghi per una tazza di tè o una birra, e da cui ammirare i tetti
della vecchia Baltimora. In effetti erano visibili anche gli splendidi edifici
vittoriani che costituivano buona parte del complesso architettonico della
Johns Hopkins University, dove Blessing era ordinario di una cattedra nel
dipartimento di Lingua e letteratura inglese. Era su quel balcone, in quella
bellissima giornata, che aveva portato il caffè keniota accompagnato da
latte fresco, toast e marmellata, con l'intenzione di rilassarsi e immergersi
totalmente nel mondo di Stephen King.
Un fruscio.
Passi affrettati.
Un raspare.
In linea di principio, Blessing approvava la presenza degli uccelli.
D'altro canto, un volatile che lo disturbava con tutto quel terribile
rumore mentre stava cercando di scrivere o di leggere...
Be', quella era un'altra faccenda.
Sospirò, si alzò dalla poltrona e salì nella zona dove il legno stagionato e
intarsiato cedeva il passo alle tegole, e da cui il tetto angolava verso l'alto
in direzione della fila di comignoli e muretti che ne percorrevano la cima.
Appoggiandosi a un palo, sporse la testa e guardò verso l'alto cercando di
vedere che cosa si era posato lassù. Dev'essere dall'altra parte, pensò. Non
c'era traccia dei ramoscelli o dei rovi con cui gli uccelli in quel periodo
costruivano i loro nidi. Era tentato di abbandonare la sua postazione sul
tetto, scendere nella biblioteca, mettere un CD di Bach o Chopin sul lettore
e riprendere a leggere, avviluppato e protetto dalla musica. Tuttavia, aveva
in programma di tenere un festa la settimana seguente, e quello era uno dei
punti in cui i suoi ospiti più amavano raccogliersi per chiacchierare. La
presenza di un uccello sul tetto poteva essere negativa o positiva, a se-
conda dei punti di vista, ma se effettivamente di un uccello si trattava,
voleva perlomeno essere in grado di poterne disquisire con gli amici. Oltre
a possedere un intelletto raffinato e conoscenze approfondite in una varietà
di campi, William Blessing vantava una spiccata curiosità ed era una fonte
inesauribile di aneddoti. Amava conversare a lungo delle meravigliose
stranezze, accademiche e non, che la sua curiosità l'aveva aiutato a
scoprire. Indubbiamente Lincoln Holmes avrebbe partecipato alla festa e,
nel caso in cui l'uccello avesse manifestato la propria presenza sul tetto,
certamente avrebbe chiesto quale creatura possedesse mai tanta
sfrontatezza da costruire il proprio nido sul tetto della casa del grande
William Blessing. Se non fosse stato in grado di fornire una risposta
esauriente e dettagliata, Blessing non sarebbe stato Blessing. Non solo i
suoi amici si sarebbero preoccupati, ma i suoi colleghi più pericolosi e
gelosi avrebbero cominciato a bisbigliare dietro le spalle: «Povero Bill.
Comincia a perdere lo smalto».
Blessing conosceva gli uccelli. Gli sarebbe bastato solo un breve
sguardo per capire a che specie di volatile apparteneva. Inoltre, se il nido
che stava costruendo era ancora nelle fasi iniziali, avrebbe potuto
scacciarlo. Blessing non intendeva certo allontanarlo da eventuali uova o
piccoli; ma prima scopriva che cosa c'era sul tetto, meglio sarebbe stato
per tutti.
A dispetto dei suoi quarantasette anni era in forma fisica relativamente
buona e gli fu facile scavalcare la ringhiera e risalire la scanalatura nel
tetto, al centro della quale passava una grondaia in alluminio. Le tegole
erano ancora piuttosto nuove e offrivano una buona presa; inoltre, per
quanto ripida, l'inclinazione del tetto non era proibitiva. Fece comunque
molta attenzione, sporgendosi in avanti più volte per appoggiarsi alle
ruvide tegole.
In cima al tetto, issò verso l'alto una gamba, la posò sull'altro lato e si
sedette a cavalcioni degli spioventi, rizzandosi poi cautamente in piedi.
Ora vedeva lo stadio di Camden Yards, dove giocavano i Baltimore
Orioles, i grandi palazzi per uffici e gli alberghi nel centro della città,
raccolti attorno al centro vitale della rinascita di Baltimora negli anni
Settanta e Ottanta: l'Inner Harbor. Il sindaco Scheafer aveva fatto dragare il
vecchio porto e incaricato un architetto di ridisegnarlo in tutte le sue parti,
dopodiché ne aveva fatto un grande centro di attrazione per turisti, fiore
all'occhiello di una città stanca e dimessa. Guardando verso est Blessing
vedeva i ristoranti di Little Italy, l'acquario e, dall'altra parte del canale, il
Museo delle Scienze. Era sabato e decine di pedalò punteggiavano l'acqua
grigio-azzurra sotto gli imponenti alberi della vecchia nave coloniale
U.S.S. Constellation, restaurata e tirata a lucido, pronta per sopportare i
flash delle macchine fotografiche e i passi frenetici delle scarpe da
ginnastica dei bambini.
C'era un filo di brezza, nell'aria il profumo di boccioli di ciliegio,
caprifoglio e catrame. Blessing abbassò lo sguardo verso la strada. La casa
di sei piani, compreso il solaio e il tetto, era alta ventidue metri; a parole
non sembrava poi un granché, ma guardando in giù dalla cima del tetto
verso il marciapiede d'asfalto, a Blessing l'altezza sembrò ragguardevole.
Fu improvvisamente colto da vertigini. Ebbe un giramento di testa e
dovette accovacciarsi per non perdere l'equilibrio. Trasse un respiro
profondo. Forse non è stata una buona idea venire quassù, pensò. Ma che
cosa l'aveva spinto ad arrampicarsi? Era proprio per evitare questo genere
di cose che tornavano utili i soldi: meglio lasciare che fossero gli altri a
rischiare di spezzarsi il collo. Avrebbe fatto bene a chiamare un operaio e
chiedere a lui di investigare. Una persona esperta, abituata a camminare
sui tetti e con un ottimo senso dell'equilibrio.
Tuttavia, ben presto le vertigini passarono.
Be', si disse, giacché ci sono...
Poco avanti a lui s'innalzava il comignolo, un vecchio, coraggioso
avamposto di mattoni dotato ancora dei suoi originali, sbiaditi fumaioli di
ceramica rossa, orgogliosamente inclinati a fronteggiare gli elementi
atmosferici. E, oltre il camino, un fruscio, uno sgambettare, un raspare.
Blessing avanzò di qualche passo. Se fosse riuscito ad avvicinarsi ancora
un po', sarebbe riuscito a guardare dall'altra parte del camino. A quel punto
avrebbe scoperto se c'era o no un nido. Se si trattava semplicemente di un
grosso volatile posatosi sul tetto per riposare qualche ora, o anche im-
pegnato nel porre le basi di un nido, l'avrebbe scacciato, ponendo fine a
tutta quella storia. Non avrebbe dovuto chiamare alcun operaio e avrebbe
potuto vantarsi con Amy del suo exploit.
Raggiunse il comignolo. Odorava di fuliggine e di cenere. Blessing non
vedeva nulla oltre il fianco della base del camino. Era come se quel
maledetto uccello si fosse volutamente nascosto alla sua vista.
Se solo fosse riuscito a sporgere la testa oltre la base di mattoni, l'uccello
non avrebbe più potuto sfuggire al suo sguardo. Perlomeno avrebbe visto i
rametti o quant'altro veniva utilizzato per costruire un nido, il che gli
avrebbe consentito di trarre una conclusione. Dopodiché sarebbe tornato
prudentemente indietro e avrebbe potuto riprendere a leggere il libro di
Stephen King sapendo esattamente quale era la situazione sul tetto.
All'improvviso un'immagine gli balenò nella mente: era Stephen King in
persona, visto attraverso un grandangolo, intento a spiare nella sua vita, gli
occhiali dalla montatura nera enormi sul naso.
Non scendere in cantina, Bill!
«Ma sono sul tetto, non vedi?» rise a denti stretti Blessing. «E comunque
la vita non è un film dell'orrore!»
Sfruttando le scanalature tra i mattoni del camino come appigli, avanzò
lentamente ancora di un passo.
Notò con la coda dell'occhio qualcuno che camminava sul marciapiede.
Sentì dei passi risalire una serie di gradini.
E poi l'acuto clamore del campanello della porta di casa.
Maledizione! imprecò mentalmente Blessing. Chi può essere?
Distratto, si allungò per aggrapparsi al mattone più alto della base del
camino, senza notare che anni di esposizione alla pioggia, al vento, alla
neve e alla brina l'avevano eroso.
Blessing ci posò sopra la mano e si tirò verso l'alto per riprendere
l'equilibrio.
Con un rumore di sgretolamento che gli raggelò il sangue, il mattone
cedette.
Blessing si trovò sospeso in aria con le braccia che mulinavano. Lasciò
cadere i resti del mattone, che precipitò lungo lo spiovente del tetto,
rimbalzò sulla grondaia di alluminio e poi piombò sul barbecue a gas nel
giardino sul retro.
William Blessing cadde dall'altro lato.
Allungò disperatamente la mano destra per aggrapparsi alla copertura di
latta che percorreva la cima del tetto, ma non ce la fece. Il suo corpo sbatté
pesantemente sulle tegole e rimbalzò. Poi cominciò a scivolare.
L'inclinazione del tetto era ancora maggiore rispetto al lato dal quale era
salito e sapeva che c'erano ben poche speranze che la sottile grondaia di
alluminio potesse reggere il suo peso, anche nel caso in cui fosse riuscito
ad afferrarla.
Prese a scalciare con tutte le forze, tentando di riportarsi verso l'alto. Le
suole delle Rockport sfregarono contro le tegole provocando sufficiente
attrito per interrompere almeno temporaneamente la sua caduta.
Gettò verso l'esterno la mano sinistra e la chiuse come una morsa attorno
alla grondaia verticale. La Rockport sinistra scivolò sulle tegole e riprese a
scendere verso il basso. Cadde, e si trovò a reggere tutto il suo peso con il
braccio sinistro, ma riuscì in qualche modo a non mollare e a interrompere
all'ultimo istante lo scivolamento.
Blessing rimase aggrappato con tutte le forze, rendendosi conto che la
caduta l'aveva lasciato senza fiato. Inspirò faticosamente e nel frattempo
protese verso l'alto il braccio destro, cercando di afferrare la grondaia
anche con l'altra mano. Il primo tentativo andò a vuoto, ma al secondo
strinse saldamente l'alluminio tra le dita.
Restò immobile per qualche istante, la presa sulla grondaia salda,
tentando di riprendere fiato e raccogliere le forze. Dopo la breve pausa si
accorse di poter usare i piedi (grazie a Dio per le Rockport, scarpe solide
con una robusta suola a carrarmato!) e i jeans per risalire lentamente lo
spiovente. Poi avrebbe gettato le braccia oltre la cima e ripreso l'equilibrio.
A quel punto non sarebbe restato che scendere giù verso il balcone: certo
non era un piano che rivelava una brillante competenza ginnica, ma se non
altro avrebbe riguadagnato una piattaforma di assi di legno che l'avrebbe
salvato da una caduta di quasi venti metri.
Tuttavia, proprio quando Blessing stava riprendendo fiato e meditando
di dare il via ai suoi forzi, sentì uno svolazzare e un battito d'ali.
E un gracchio.
Spaventato, guardò verso il camino.
Da dietro la base in mattoni comparve il più grande uccello che William
Blessing avesse mai visto in libertà.
La sua prima impressione fu di vedere una macchia nera, come se
qualcuno avesse ritagliato un pezzo del buio della notte precedente e
l'avesse nascosto dietro il comignolo, da dove ora spuntava. Doveva avere
un'apertura alare di almeno un metro. Lo notò mentre veniva verso di lui.
Si posò in cima al tetto, a poche decine di centimetri dalle sue dita, e
inclinò la testa a fissarlo, come per ispezionarlo da vicino.
Un corvo.
Un corvo come quelli che Blessing era solito vedere volare alti sopra i
tetti delle fattorie del Maryland, o appollaiati sui fili del telefono in
campagna, intenti a scrutare i campi in cerca di una preda; ma che
raramente si avventuravano nel centro della città.
A una distanza tanto ravvicinata Blessing vide che in realtà non era
interamente nero. Aveva le zampe grigie, gli artigli bianchi e gli occhi
rossi.
«Sciò!» gridò Blessing. «Pussa via! Sciò!»
Invece di spiccare il volo l'uccello si avvicinò, muovendo qualche passo
di lato, graffiando con gli artigli affilati l'alluminio.
Aprì il becco tagliente e fissò Blessing negli occhi mentre continuava ad
avvicinarsi alle sue mani.

Ma ecco, tra la folla di mimi,


Si fa strada una forma strisciante!
Una cosa rosso sangue fuoriesce contorcendosi
Dalla scena deserta!
Si contorce! Si contorce! Tra spasmi mortali
Dei mimi fa il suo cibo,
E i serafini singhiozzano alle verminose zanne
Imbevuti di sangue umano.

EDGAR A. POE, «Il verme conquistatore»

Quando Baxter Brittle si svegliò sette minuti dopo mezzogiorno, si


ritrovò per metà zuppo di sangue che non era il suo.
Il sangue era appiccicoso e aveva un odore dolciastro. Il mal di testa da
sbornia raddoppiò d'intensità mentre sedeva fissandosi le mani, attonito,
domandandosi che cosa diavolo fosse successo. Sapeva che non poteva
essere sangue vero. Qualcuno aveva forse spruzzato in giro sangue finto
per ricreare l'atmosfera di un concerto degli Insane Clown Posse?
Tra le pareti della «segreta», il locale principale del Salon des
Gothiques, tuonava il suono dei Lustmord. Merda, pensò Baxter. Devo
smetterla di premere il tasto REPEAT quando metto su i CD. Le
inquietanti vibrazioni riecheggiavano in ogni angolo buio dello scantinato.
Nonostante si fosse sforzato di ripulire e mettere in ordine il locale dopo
aver ereditato l'intero edificio dai suoi genitori (glielo avevo detto che
dovevano cambiare le gomme della macchina), e a dispetto degli incensi
accesi a getto continuo dai membri della gang, nell'aria aleggiava ancora
l'odore di muffa e di umidità, il puzzo di Baltimora. Tutte le pareti erano
adornate da penne d'uccello, poster, catene, spade, spadini e pezze di
mussola bianca, ed enormi ceri (l'unica valida alternativa alle torce!)
ardevano in torciere, conferendo all'ambiente atmosfera e profondità.
Corridoi conducevano a un misterioso e mai finito sottoscantinato, un
progetto abbandonato negli ultimi giorni del proibizionismo. Ma il soffitto
era troppo basso e l'altare non era che un arredo di scena preso dal set di
qualche film dell'orrore girato direttamente in video. Sgargiante e
detestabile, tutto quanto, pensò Baxter. Se mai fosse riuscito a mettere
insieme una somma decente di denaro avrebbe rifatto tutto a modo suo... o,
meglio ancora, se ne sarebbe andato, lasciando perdere tutta quella storia
dei Goths. Si sarebbe ritirato nel sud della Francia, a bere vino rosso,
mangiare lumache e tartufi e ad ascoltare Chopin.
Si sollevò sulle ginocchia, con un lamento. Indossava il lungo cappotto,
raso nero all'esterno e raso rosso all'interno. Parte del dolore che avvertiva
non aveva a che fare con i postumi della sbornia, ma era concentrato
all'interno della bocca. Estrasse la dentiera di plastica e la posò su un
tavolino da mahjong in stile antico che aveva comprato da Goodwill.
Accidenti! Non ricordava di aver sfoggiato i suoi denti da Dracula la notte
prima.
D'altra parte, non ricordava granché. Barney e Wilhemina avevano preso
posto dietro il bancone verso le nove. Lui era rimasto nel locale seduto a
uno dei tavolini appartati in compagnia dei primi arrivati tra i componenti
della gang. Era stata una serata dedicata ai Goths della vecchia guardia,
con musica dei Bauhaus, The Cure, Sisters of Mercy e The Mission. Era in
concorrenza con l'Orpheus e l'Hepburns, due locali sconvenientemente
vicini, per conquistare l'esigua clientela Goth della città, che spaziava da
studentelli curiosi ai fan dei RenFest Celtic, e da metallari confusi a vecchi
punk. I suoi due DJ di punta lavoravano in due negozi di dischi della città,
il Modern Music e il Soundgarden, e stavano cominciando a crearsi un
seguito, sebbene le serate di maggior successo fossero ancora quelle del
fine settimana dedicate alla New Wave e alla disco-music.
Ricordava molto vagamente di aver bevuto qualcosa di verde con
striature azzurre, senza dubbio una bomba alcolica. Ah, già, poi c'era
quella ragazza nuova, una teenager molto carina con una tale quantità di
mascara e ombretto sugli occhi da sembrare un procione gotico. Capelli
platino ad aculei, maglietta strappata dei Siouxsie and the Banshees tenuta
assieme da spille da balia cromate. Palesemente minorenne, ma carina al
punto da convincerlo a non farla buttare fuori. Anzi, quando la gang era
scesa da basso per una riunione del Salon des Gothiques, aveva incaricato
il Barone DeBaskerville di accertarsi che lei li seguisse. Tuttavia, a quel
punto la sua memoria cominciava a perdersi in un'orgia di fumo, specchi,
chitarre elettriche pulsanti e cori gridati.
Il resto...
Il resto era buio.
Baxter Brittle si tirò su. Maledizione! Doveva aprire il bar. Nonostante
la sbornia della notte precedente, era sabato pomeriggio, e il turno dietro il
banco spettava a lui. Se non avesse aperto per accogliere i clienti fissi del
pomeriggio rischiava di perderli a vantaggio di uno delle altre miriadi di
bar nei pressi della Little Italy di Baltimora. Visto l'attuale flusso di cassa,
non era un buon momento perché ciò accadesse. Per nulla un buon
momento.
Il vero appartamento di Baxter era sopra il bar, ed era lì che Baxter
doveva trasferirsi per fare una doccia. Ma in un angolo della segreta c'era
un lavatoio con rubinetto, al quale si avvicinò e dove si bagnò con acqua
fredda dal sapore vagamente salmastro. Le tempie gli pulsavano. Aveva gli
occhi annebbiati. Tornò al tavolino da mahjong e ne guardò speranzoso la
superficie. Sì! C'era ancora una piccola fiala. Conteneva una dose
sufficiente per una sniffata.
La sottile riga tirata per mezzo di una cannuccia gli schiarì leggermente
la testa. Per il momento desiderava solo uscire da quel buco fetente; si
sarebbe occupato delle macchie di «sangue», o quant'altro, più tardi. Ma
nell'armadietto del dottor Caligari accanto all'altare della camera
dell'Orrore Nudo doveva esserci una bottiglia di buon cognac Napoleon
importato dalla Francia, e un sorso avrebbe certamente alleviato la
pressione degli artigli che sembravano affondare nella sua corteccia
cerebrale. Si avviò barcollante in quella direzione, sostando brevemente
per zittire il cavernoso tuonare dei Lustmord (dolce, dolce silenzio!), e
giunto a destinazione aprì lo sportello in finto noce dell'armadietto. E in-
fatti, all'interno trovò la bottiglia. Era quasi vuota, ma pochi sorsi potevano
bastare. Afferrò la bottiglia per il collo, ne tolse il tappo e ne bevve un
sorso.
Un concentrato di vino e fuoco.
Il liquido gli scivolò bruciante nella gola, esplodendo in un calore meno
aggressivo nello stomaco. Sentiva l'alcol allungare le sue soavi e
confortevoli dita lungo il torso, poi più su verso la testa, lenendo in parte il
dolore che lo attanagliava. Il sollievo fu tanto grande che prese un altro
lungo sorso. L'impatto iniziale fu minore, ma comunque efficace.
Ripose la bottiglia nell'armadietto, si girò e tornò sui suoi passi con
andatura incerta, calpestando il tappeto davanti al plasticoso altare degno
di un film di serie Z, dove...
... rischiò di inciampare nel corpo che vi era riverso.
Era una donna nuda.
Non l'aveva vista prima perché per metà era nascosta sotto il tavolo sul
quale erano poggiati i piatti e i calici rituali, insieme con tutte le altre
cianfrusaglie da magia nera. Era allungata, e la testa sormontata da aculei
neri di capelli sporgeva in fuori come un pezzo di carne ingrigita da
drappeggi e paramenti funebri.
«Oh, cazzo», imprecò Baxter Brittle. «Ehi! Non puoi stare qui...» Cristo,
quella ragazza rischiava di fargli passare dei guai. «Sveglia! Mi senti?»
Si chinò e la tirò con fare esitante verso di sé.
Quando allentò la presa lei ricadde all'indietro
Il mascara e il trucco che le aveva coperto il volto sembravano essersi
sciolti per poi gocciolarle lungo le guance e le tempie, e le labbra rosse
producevano l'effetto di una manciata di ciliegie ridotte in poltiglia.
Non aveva più l'aspetto di una sexy troietta punk.
Aveva l'aspetto di una ragazzina morta.
Tra i seni piccoli e banali spuntava il manico d'argento di un coltello.
Nonostante lo sgomento e l'orrore, Baxter lo riconobbe. Era uno dei
coltelli cerimoniali della gang.
Anch'esso era stato recuperato dal set di un film di serie Z, ma
apparentemente in origine proveniva, come molti degli oggetti utilizzati
per quei film, da uno dei banchi di pegni meno rispettabili del centro di
Baltimora. Fino a quel momento era stato uno degli oggetti ornamentali
della segreta di cui Baxter era stato più autenticamente orgoglioso. Insieme
ad altri Goths aveva passato ore a fare congetture sulla vera provenienza di
alcuni pezzi della mostruosa, macabra collezione. Il coltello dal manico
dorato e imperlato era stato uno dei preferiti. Certamente proveniva dalle
camere di tortura dell'inquisitore Torquemada! No. Era appartenuto a uno
dei soldati di Vlad, imperatore transilvanico, impegnato a combattere le
orde barbariche! No. Era stato rubato a un antico monastero buddhista in
Nepal!
Ora, pensò Baxter, era solo un pezzo di metallo affilato infilzato nel
corpo di una ragazza nuda.
C'era sangue dappertutto.
Era quella la fonte del sangue di cui lui stesso era imbrattato.
Oltre il cadavere, ce n'era una grande pozza, che stava già coagulandosi.
Aggrappandosi a una flebile speranza, Baxter appoggiò, esitante, due
dita sul lato del collo della ragazza, in cerca di un battito.
Nulla. Solo fredda carne morta.
Ritrasse le dita come se fosse stato scottato. Per un istante avvertì un
ronzio nella testa e si sentì svenire. Barcollò e dovette appoggiarsi al
tavolo. L'urto fece cadere un calice, dal quale si rovesciò altro sangue,
freddo e denso, che andò a macchiare il pentacolo al centro della
tovaglietta sulla quale era stato poggiato.
Aprì di nuovo l'armadietto, afferrò la bottiglia di cognac e ne tracannò
gli ultimi sorsi. Se la lasciò cadere dalle dita, poi si allontanò su gambe
malferme dalla scena di sangue, morte e ancora sangue.
Aveva avuto risvegli migliori.

E il serico, triste, incerto fruscio di ciascuna tenda


purpurea
Mi faceva rabbrividire, mi colmava di terrori fantastici
mai prima conosciuti;
E per acquietare il battito del mio cuore, ora ripetevo:
«E qualcuno alla porta, che chiede di entrare...
Qualcuno in visita a tarda ora, che chiede di entrare...
Solo questo e nulla più».

EDGAR A. POE, «Il corvo»

Donald Marquette premette il campanello per la terza volta.


Ne sentì di nuovo il suono riecheggiare nella casa. Era abbastanza forte
da risvegliare i morti, pensò. Ma dov'era finito il professor William
Blessing? Aveva detto di essere libero a mezzogiorno, e ora non
rispondeva...
Donald controllò l'orologio.
Mezzogiorno e sette minuti!
Marquette cominciò ad avvertire una certa ansia. Aveva avuto cura di
arrivare puntuale. Benché avesse intrattenuto una corrispondenza con
Blessing e gli avesse parlato al telefono, non si erano mai incontrati. Ci
teneva a dare una buona prima impressione e cominciare così con il piede
giusto il suo percorso letterario ed educativo con William Blessing, il
famoso scrittore; William Blessing, il brillante accademico; William
Belssing, autorità internazionale su Edgar Allan Poe; William Blessing,
«l'unico autore di sicuro valore e di solida formazione accademica a
entrare nel campo della letteratura popolare», secondo l'autorevolissmo
New Yorker, e... e...
«Non vali niente», gli sembrò di sentire dire da suo padre. «Sei un essere
inutile! Non fai che startene laggiù in cantina a leggere. Dio! Non sono
neppure certo che tu sia davvero mio figlio! Sei solo... uno sbaglio!»
E quando suo padre aveva pronunciato quelle parole, aveva desiderato
ucciderlo.
Marquette cercò di calmarsi appoggiandosi alla ringhiera. Si rese conto
che il battito cardiaco era aumentato e che la pressione sanguigna era
probabimente alle stelle. Era giunto il momento che aveva atteso con ansia
per mesi e mesi e si stava lasciando sfuggire di mano la situazione.
Calmati, ragazzo. Ventotto anni sono troppo pochi morire facendosi
saltare le coronarie. Certo, sei emozionato... ma anche Blessing s'infila i
pantaloni una gamba alla volta e probabilmente, come tutti gli uomini, si
dimentica di abbassare l'asse del water. D'accordo, è un grande! E
potrebbe rappresentare il veicolo verso la fama letteraria, la fortuna
economica e il riconoscimento accademico per un umile ragazzo di
campagna di Dubuque, nell'Iowa! E adori i suoi romanzi, i suoi racconti,
la sua critica, e la sua grandiosa opera Storia della tradizione gotica da Il
castello di Otranto a Stephen King e oltre! Ma lui stesso ha affermato di
non vedere l'ora di cominciare a lavorare con te, di conoscerti,
promettendo di portarti fuori a bere qualcosa con lui (a bere qualcosa con
lui!) questo pomeriggio a Fells Point, dove Edgar Allan Poe in persona
era caduto riverso sul pavimento con la bava alla bocca ed era morto.
Donald Marquette era un giovane alto e dinoccolato che dava
l'impressione di potersi trovare più a suo agio avviandosi lungo la strada
che dall'Iowa conduceva al Congresso degli Stati Uniti in compagnia dello
Smith di Jimmy Stewart. Aveva capelli lunghi e scuri che si legava in un
codino con un laccio di cuoio, occhi dallo sguardo sincero, un naso sen-
sibile e sottili labbra da tipico originario del Midwest. Aveva orecchie un
po' troppo grandi rispetto alle dimensioni della testa, particolare messo in
risalto dal taglio di capelli, che lo rendeva simile a Dumbo. Marquette fu
grato quando le lentiggini, che da ragazzo gli avevano coperto il volto, due
anni prima erano scomparse. Ora portava i baffi e un paio di occhiali scuri
con la montatura metallica per indurire il suo aspetto innocente e dargli un
più attendibile contegno da letterato. Non era mai stato attratto dalle
sigarette o dalla pipa, ma da qualche tempo aveva abbandonato il vizio
adolescenziale di masticare gomma (cominciando invece a tenere d'occhio
il peso).
Ora si trovava in quella bellissima via di Baltimora, costeggiata da
tulipani in fiore, cespugli curati e altre profumate forme di vegetazione: un
isolato impregnato dei colori della storia di cui il suo paese natale era
dolorosamente privo. La brezza gli arruffò i capelli e, mentre le farfalle
svolazzavano nel suo stomaco, le api si posavano sui denti di leone nel
lussureggiante prato verde davanti alla vecchia casa di mattoni rossi.
Un ramoscello cadde a un tratto sui gradini accanto a lui.
Poi volò giù un pezzette di tegola, che gli sfiorò la testa.
Guardò verso l'alto, proteggendosi con una mano gli occhi dal sole.
Non cadde altro.
Portò di nuovo lo sguardo al suo Timex, che ora fissava l'ora digitale a
mezzogiorno e nove minuti, e...
Oh, Gesù.
L'appuntamento inizialmente era stato fissato per mezzogiorno. Ma poi
Blessing aveva voluto spostarlo all'una.
E lui se n'era completamente dimenticato.
Dio, che gaffe!
Si girò, con l'intenzione di darsela a gambe, allontanandosi il più
rapidamente possibile prima che Blessing (probabilmente con indosso un
accappotoio) si affacciasse a una finestra e urlasse: «Marquette, idiota, sei
in anticipo. Tornatene nei campi da dove sei venuto».
Ma prima che fosse riuscito a scendere il primo gradino, la porta alle sue
spalle si aprì.
«Sì?»
Donald tornò a voltarsi.
Riconobbe immediatamente l'uomo sulla porta, le cui foto aveva visto
sulle sopraccoperte di molti libri. Tuttavia, in quelle foto William Blessing
era apparso ben più professionale e lucido. Ora aveva i capelli spettinati, la
camicia di flanella fuori dalla cintura dei pantaloni e tutto sommato
sembrava... be', un po' sbandato, sia mentalmente sia fisicamente. Aveva
un frammento di foglia secca su una spalla. Era alto circa un metro e
ottanta e, benché non fosse sovrappeso, era evidente che ormai da tempo la
sua unica attività fisica di un certo impegno consisteva nel recarsi a piedi
all'università, impresa di cui era orgoglioso. Aveva occhi chiari e un volto
regolare e anonimo; ma pur vedendolo in quello stato, Donald capì che
doveva essere un tipo pacato, cordiale. E non sembrava affatto irritato. La
constatazione lo aiutò in qualche modo a rilassarsi. Marquette tese la mano
al professore.
«Mi sono appena reso conto di essere in anticipo! Sono Donald
Marquette, ma tornerò più tardi, nel pomeriggio, e mi dispiace davvero
tanto averla disturbata, sono mortificato e...»
«Ah, Donald!» esclamò Blessing. La sua espressione perplessa si
trasformò in un sorriso. Spalancò la porta e accettò la stretta di mano. «In
effetti sei un po' in anticipo, ma non importa. A dire il vero sono felice di
avere compagnia. Stare in compagnia è una delle poche cose che mi
riescono bene.»
Donald gli strinse vigorosamente la mano, e il professore ricambiò con
una stretta salda e incoraggiante. Fu come se il cuore di Donald venisse
all'improvviso sgravato da un peso enorme.
«Sta bene, professor Blessing?»
«Donald, ti prego, te l'ho già detto: chiamami Bill e dammi del tu. Mi
rendo conto che sarai il mio assistente, ma siamo pur sempre due autori,
no? Siamo colleghi.» Blessing pronunciò la parola «autori» con ironica
pomposità. «E questo pomeriggio andremo a farci una bevuta. Dio sa
quanta voglia ho di una birra oggi. Ma ora entra. Vieni. Vuoi un caffè? Una
tazza di tè? Ho una caffettiera di miscela keniota in caldo e stavo giusto
per versarmene una tazza. Comunque sì, sto bene... sono solo un po'
scosso. Vieni in cucina, Donald. Da questa parte.»
Donald seguì il professore attraverso l'ingresso. Era già rimasto
impressionato dalla facciata della casa, con la porta fresca di riverniciatura,
i bellissimi fiori e i mattoni rossi di epoca vittoriana. Ma l'interno
sembrava uscito direttamente da una famosa rivista di arredamento come
House Beautiful. Più che l'agiatezza dei suoi occupanti, la casa
comunicava il loro ottimo gusto. Era arredata con splendidi pezzi d'anti-
quariato. Quadri di pregio adornavano le pareti e il lussuoso parquet era
coperto da magnifici tappeti orientali. Specchi e accessori d'argento
occhieggiavano e brillavano in più punti, e nell'ampia sala da pranzo oltre
l'ingresso troneggiava, sulla lucida superficie del tavolo, uno scintillante
candelabro. Nell'aria aleggiava il profumo di cera e di prodotti per la
pulizia dei tappeti: ben altra cosa rispetto alle squallide e umide case nelle
quali Donald aveva vissuto a Dubuque.
«È... davvero magnifica!» esclamò quasi senza accorgersene.
«Grazie. È mia moglie che la tiene così in ordine... E devo dire che
prima dell'improvviso successo che ho avuto dieci anni fa non avrei
davvero potuto permettermi l'esercito di collaboratori domestici che
abbiamo dovuto assumere. Ma è troppo grande per occuparsene da soli.
Allora, vuoi anche tu una tazza di caffè?»
«Sì, grazie.»
Blessing fece strada verso la grande, moderna cucina. Aprì un
armadietto e prese due tazze, nelle quali versò poi del caffè da una
caffettiera automatica della Braun sistemata sul piano di lavoro
piastrellato.
«Latte? Zucchero?»
«Solo un goccio di latte.»
«Anch'io lo bevo così. I grandi pensatori hanno gli stessi gusti. Ti dico
una cosa, Donald. Prima che si trasferisse qui mia moglie, non avevo tutti
questi moderni elettrodomestici. Possedevo la casa e un sacco di pezzi di
antiquariato, ma non mi ero mai preso la briga di sistemare tutto in
maniera ordinata. Il primo progetto di Amy è stato di ristrutturarla
interamente e di renderla come la vedi ora. Immagino che l'abbia voluto
per fare colpo sulle altre donne, e certo ci si sta molto bene ed è comoda...
Ma per certi versi mi manca la confusione che regnava qui prima. Aveva
un certo... carattere, capisci che cosa intendo?»
«Be', non essendo proprio ricco, anch'io ho abitato in diverse dimore con
un certo 'carattere'.»
«Ah! Ben detto! Ma non lo dire a Amy. È disperata per il mio studio, che
è un vero disastro. Ma quello è il mio territorio, e lei non è ammessa. Che
ne pensi, faccio male?»
«Penso che il termine usato in psicologia sia 'confini'... Bill.»
«Il linguaggio degli strizzacervelli! Lo adoro! La conduttrice di un talk-
show centrato sulla psicologia è una delle protagoniste del mio nuovo
libro», rise Blessing. «Viene impiccata con il cavo di un telefono e
fulminata. E chi dice che la mia fiction non possiede valore letterario!»
Donald scoppiò in una risata. Si sentiva molto più a suo agio. Inoltre, il
caffè era buonissimo. Lui solitamente beveva caffè solubile, per svegliarsi
al mattino o come stimolante mentre scriveva, quando il più delle volte lo
lasciava raffreddare fino a diventare imbevibile. Il caffè di Blessing, in-
vece, aveva un aroma ricco ed equilibrato, e il sapore era complesso ed
eccellente.
«Tutti gli autori di successo fanno un caffè così buono?» domandò.
«No, non è un requisito indispensabile, ma ti ringrazio per il
complimento. Mi piace il caffè. E Dio solo sa quanto ne avevo bisogno
ora... magari corretto. Vieni con me.
Blessing fece un cenno con il capo, poi si avviò di nuovo in direzione
della sala da pranzo. Al capo opposto del grande locale, pieno di mobili
antichi in noce e dominato da un incredibile tavolo in stile francese per
dodici commensali, si trovava un fornitissimo mobile bar, ovviamente
progettato su misura per adattarsi alle caratteristiche estetiche della stanza.
Blessing appoggiò la tazza sul tavolo e aprì uno sportello del mobile. La
schiera di bottiglie all'interno sarebbe stata sufficiente a rifornire un
cocktail-bar di medie dimensioni. Blessing ne scelse una e si voltò verso il
suo ospite per mostrargliela. «Gradisci un goccio di whisky irlandese,
Donald? Bushmills.»
«Ehm... no, grazie. Prenderò volentieri qualche birra con te, ma non
bevo superalcolici.»
«Buon per te.» Blessing svitò il tappo della bottiglia e versò una
generosa dose di liquido ambrato nel suo caffè, riempiendo la grande tazza
fino all'orlo. «Di solito non bevo a quest'ora della giornata, ma devo
confessarti, Donald, che i miei nervi hanno bisogno di una calmata, oggi.»
Blessing prese un sorso, fece schioccare le labbra, poi sembrò
rabbrividire. Sembrava qualcuno che avesse appena avuto una sorta di...
visione spettrale, pensò Donald.
«Ti senti bene?» Certo, un simile episodio avrebbe spiegato il suo
aspetto scompigliato.
«Ancora un paio di sorsi e starò meglio», rispose Blessing. Sollevò la
tazza, bevve di nuovo, poi tornò a posarla. «Ecco. Del resto, come si può
pretendere che un esperto di Poe stia lontano dal whisky?» Il professore
sembrava vagamente inquieto e distratto. Ma poi guardò Donald Marquette
e i suoi occhi riacquistarono intensità. «C'era un corvo sul tetto.»
«Un corvo? Un corvo imperiale?» indagò Donald.
«No. Un autentico corvo da fattoria di campagna... Di quelli per i quali i
contadini costruiscono grandi spaventapasseri. Ma questo era molto più
grosso del solito. Ero sul balcone, mi stavo godendo il sole primaverile e
leggevo le bozze del nuovo libro di Stephen King, quando ho sentito un
rumore che proveniva dal camino. E io, essendo un autentico cretino, sono
salito sul tetto per dare un'occhiata. Sono scivolato, e ho dovuto
aggrapparmi a una grondaia per evitare di cadere giù... magari proprio
sulla tua testa!» Rise e bevve un altro sorso di caffè corretto con il whisky.
Il pezzo di tegola! ricordò Donald.
«E mentre me ne sto aggrappato lì, salta fuori questo corvo e comincia a
fissarmi. Aveva grandi occhi rossi. Metteva davvero paura. Si avvicina alle
mie mani e per un attimo penso, Gesù! ora si metterà a beccarmi le dita
con quel beccaccio affilato!»
«Mamma mia!»
«Espressioni più forti mi sono passate per la testa in quel momento, te lo
posso garantire. Ma quel corvo... mi ha squadrato. Mi ha studiato. Era
come se volesse accertarsi che ero proprio io. Sembrava... dotato di
intelligenza. È rimasto a fissarmi per qualche istante, che a me sono
sembrati un'eternità, poi ha allargato le ali, ha gracchiato e ha spiccato il
volo. Non ho ancora idea se abbia costruito un nido lassù. Dovrò mandare
qualcuno a controllare.
«Ma certo non sarò io a tornarci», concluse Blessing. «Ci puoi contare.
Non io!»
Un altro sorso di caffè, al quale seguì una pausa di silenzio durante la
quale Blessing studiò Marquette.
Il professore sorrise. «No, Donald. Non ti arrampicherai affatto sul tetto.
Questo non fa parte del lavoro che svolgeremo assieme.» Gli posò una
mano paterna sulla spalla e gli diede un colpetto. «Sei qui in qualità di mio
assistente. E per aiutarmi con l'antologia.»
Blessing agitò un indice nell'aria, fingendo autoritarismo.
«Non sei qui per scacciare volatili che saccheggiano gli spioventi del
mio tetto.»
«È un sollievo. Ma se questo rientra nelle prove necessarie per poter
lavorare con un personaggio come te... Ebbene sono pronto!» dichiarò
Donald.
«No, no. Dovrai solo leggere, scrivere e condurre ricerche. Dovrai
sporcarti le mani solo portando a termine qualche lavoretto da impiegato.
A proposito, ti sei sistemato nella tua nuova abitazione?»
«Sissignore. La pensione che mi hai trovato è perfetta.»
«Sapevo che ti sarebbe piaciuta. Gli studenti più adulti dovrebbero
sempre avere qualcuno che si occupa di cucinare e fare le pulizie per loro.
Quelli con troppi impegni domestici... be' non hanno mai il tempo
necessario per il loro lavoro. E dal momento che tu stai scrivendo un
romanzo... e magari dovrai tenere anche qualche lezione... No, non se ne
parla. La pensione della signora McDonald è l'ideale. E puoi andare
all'università a piedi. E anche venire qui!»
«Ti sono davvero grato per avermela trovata.»
«Bene, bene. Dunque. Ora mi verserò ancora un po' di caffè e un goccio
di whisky, dopodiché andremo di sopra e ti mostrerò il resto della casa.»
«Mi mostrerà anche il luogo dove lavorerò?»
«Sì, il tuo posto ai remi di questo splendido galeone, impegnato a
navigare gli impetuosi mari della letteratura. Tutti i miei schiavi hanno un
loro cubicolo nel reparto dei computer!»
Blessing rise all'espressione comparsa sul volto di Donald. «Sto
scherzando, naturalmente. Ho un paio di studenti che lavorano per me
part-time per tenere aggiornato l'archivio e sbrigare qualche mansione di
segreteria. Anche Amy mi dà una mano. Sai, gli scrittori hanno a che fare
con una grande quantità di scartoffie.»
«Immagino che tu abbia bisogno di un aiutante a tempo pieno solo per
leggere la posta degli ammiratori», osservò Donald.
Blessing rise amabilmente. «Eh, sì. Il ragazzo è ben preparato nella sana,
vecchia arte dell'adulazione. Sempre una dote piuttosto eccezionale, direi.
Vieni, vieni ragazzo mio.» Blessing inarcò un sopracciglio. «Varca la
soglia del mondo di Edgar Allan Poe e di William Blessing. Abbandonate
ogni speranza, o voi che entrate!»
Donald lo seguì, felice, sentendosi un uomo davvero fortunato.
Chi avrebbe immaginato che i racconti realizzati all'università durante il
corso di scrittura creativa l'avrebbero portato fin lì! Aveva sempre amato la
letteratura, sia quella trovata sugli scaffali dei negozi di libri usati sia nelle
biblioteche. Era un lettore vorace, entusiasta delle emozioni e degli scopi
della narrativa, ed era stata una naturale conseguenza quella di cercare di
orientare la sua vita in quella direzione. Aveva conseguito la laurea in
Lingua e letteratura inglese all'Università dell'Iowa, a indirizzo pedagogico
in modo tale da ottenere l'abilitazione all'insegnamento. Dopo l'università
aveva lavorato come insegnante in un liceo di Dubuque, continuando a
studiare di sera per ottenere un master in Letteratura americana. Nel
frattempo, aveva anche preso a coltivare un hobby che cominciava a
rivelarsi remunerativo: scrivere racconti. Dapprima si era dedicato ai gialli
e alla fantascienza, ma ben presto si era reso conto di avere un'innata
predisposizione per l'horror. La maggioranza dei suoi racconti erano stati
pubblicati da piccole riviste come Cemetery Dance, Bones of the Children,
Frights e altri periodici gestiti semiprofessionalmente (parecchi erano stati
poi costretti a chiudere i battenti, come Inquities e Midnight Graphitti). Ma
alcuni dei suoi racconti avevano ottenuto la pubblicazione su Magazine of
Fantasy and Science Fiction e in altre riviste più prestigiose (incluso un
brevissimo racconto in Rage, la sua prima comparsa in un mensile per soli
uomini). Aveva anche scritto uno dei libri dell'eterna collana horror basata
sulla nota serie televisiva Tramonto oscuro. Purtroppo, era stato
praticamente riscritto dall'editor della serie televisiva, e il suo romanzo era
rimasto vittima della tendenza degli editori a ridurre il numero di
pubblicazioni di opere di fiction destinate a volumi di vendita limitati. In
altre parole, il libro non aveva venduto molto perché non era sufficiente-
mente ambizioso e l'autore non era ancora un nome conosciuto tra i lettori.
Ma lo sarà ben presto, si era detto.
La tesi che aveva discusso per ottenere il master era intitolata: «William
Blessing e la letteratura gotica americana». Era rimasto sorpreso ed
entusiasta quando Blessing si era degnato di rispondere alle domande che
gli aveva rivolto in una lettera. E quando aveva ricevuto una copia della
tesi, William Blessing aveva apprezzato a tal punto il lavoro di Marquette
da incoraggiare la sua pubblicazione, in forma di monografia, da parte di
una piccola casa editrice universitaria. Avevano cominciato a
corrispondere per mezzo di posta elettronica, e quando Donald aveva
cominciato a covare l'ambizione di conseguire un dottorato, Blessing gli
aveva dato il suo pieno appoggio. Avendo letto e apprezzato non solo la
saggistica di Donald Marquette, ma anche i suoi racconti, Blessing gli
aveva proposto di presentare domanda alla Johns Hopkins University e si
era adoperato per fargli ottenere una borsa di studio. Blessing stava inoltre
curando un'enorme antologia di fiction gotica in tre volumi: uno dedicato
agli autori nordamericani, uno agli inglesi e uno agli scrittori del resto del
mondo. In aggiunta ad altri compiti di editing, Blessing sperava che
Donald potesse avere interesse anche nell'aiutarlo a compilare l'antologia.
Naturalmente, Donald aveva reagito con entusiasmo alla proposta.
L'insegnamento al liceo cominciava a frustrarlo. Ottenere un dottorato
presso un'università prestigiosa come la Johns Hopkins gli avrebbe
consentito di aspirare al ruolo di assistente professore in qualche ateneo.
Inoltre, la sua collaborazione con un personaggio del calibro di Blessing,
sia a livello accademico che sul fronte della narrativa popolare, non poteva
che avere riflessi positivi sulla sua carriera di scrittore.
Con l'aiuto di Blessing la sua domanda venne accettata dalla sede di
Baltimora. Era giunto in città prima dell'inizio dell'anno accademico in
modo da ambientarsi e cominciare a lavorare insieme con Blessing
all'ambiziosa antologia in tre volumi.
Ora, la prospettiva di vedere la famosa biblioteca di Blessing con la sua
incredibile collezione di reperti, non solo attinenti a Edgar Allan Poe, ma
anche ad altri scrittori della tradizione gotica, provocò in Donald
un'eccitazione tale da percorrerlo come una scarica elettrica.
A parte la strana storia del corvo sul tetto, la giornata si prospettava
meravigliosa. Blessing, per quanto palesemente disturbato dall'episodio (e
dal suo incontro ravvicinato con la morte) era una brava persona e Donald,
per quanto ancora nervoso, si sentiva molto più a suo agio grazie alla
gentilezza e alla calorosa accoglienza del professore.
Che magnifica esperienza lo attendeva al piano di sopra!
Blessing fece una rapida deviazione in direzione del mobile bar.
«Andiamo», esortò, versandosi un altro goccio di whisky nella tazza,
stavolta senza diluirlo con caffè di prima qualità. Si lisciò i capelli sulla
testa e indicò il soffitto. Gli brillavano gli occhi. Era chiaro che adorava
mostrare la sua casa e i suoi tesori agli ospiti, soprattutto a quelli come
Donald Marquette, che potevano apprezzarli appieno. «Andiamo nel la-
boratorio e vediamo che c'è sul tavolo operatorio.»
«Un sacco di libri, immagino», disse Donald.
Mentre imboccavano il corridoio, diretti verso le scale, si aprì la porta
d'ingresso.
«Ah! Mia moglie!» esclamò Blessing. Tracannò rapidamente il whisky e
si pulì le labbra con una manica. Passò la tazza a Donald. «Fammi un
favore: occulta le prove, d'accordo?» Estrasse una caramella balsamica
dalla tasca, la liberò dell'involucro e se la infilò in bocca.
«Okay», lo assecondò Donald. Si fermò un istante a riflettere, poi tornò
in direzione della cucina. Si avvicino al lavandino e aprì il rubinetto
dell'acqua calda, sciacquando via dalla tazza ogni traccia di whisky.
Quando lo richiuse, sentì due voci nel locale attiguo: quella di un uomo
e quella di una donna.
«Per fortuna non ti sei fatto male.»
«Ti garantisco una cosa: nessuno riuscirà più a farmi salire su quel tetto
una seconda volta. Ma ora vieni, cara, è arrivato Donald Marquette.»
«Splendido! Non vedevo l'ora di conoscerlo.»
La voce della donna era ricca, dolce, melliflua.
Marquette uscì dalla cucina, asciugandosi furtivamente le mani sulla
camicia, preparandosi all'incontro con quella che immaginava come una
donna energica ed espansiva. Forse con qualche striatura di grigio tra i
capelli, ma solida nel fisico, dotata di un sorriso gentile e maturo, e
dell'equilibrio necessario a garantire a un grande scrittore e accademico
come Blessing una salda ancora su cui contare per affrontare le impetuose
burrasche della vita.
«Donald! William mi ha parlato così tanto di te», confessò la donna
quando lo vide.
Donald Marquette sbatté le palpebre e si bloccò.
Amy Blessing era una delle donne più belle e affascinanti che avesse
mai incontrato in vita sua.
E non poteva avere più di venticinque anni.

Si spengono le luci - si spengono tutte!


E su ciascuna figura tremante.
Il sipario, funebre drappo,
Cala con la furia di una tempesta,
E gli angeli, pallidi e sfiniti,
Si levano e svelandosi affermano
Che la tragedia ha per titolo «Uomo»
E l'eroe è il Verme Conquistatore.

EDGAR A. POE, «Ligeia»

Nello scantinato c'era una ragazza con un pugnale conficcato nel petto.
Baxter Brittle riuscì in qualche modo a controllare il tremore delle mani
mentre si versava una generosa correzione al cognac francese in un
bicchiere di Coca.
Una ragazza molto, molto morta.
Brittle bevve con gratitudine, permettendo all'alcol di distaccarlo una
frazione di più dal problema con cui era alle prese.
Anche la familiare atmosfera del locale in cui si trovava gli dava una
mano: la sensazione tattile delle bottiglie, l'odore delle birre e delle
sigarette consumate la sera precedente. Per fortuna Ed, l'uomo delle
pulizie, era arrivato di buon'ora come al solito e aveva dato una ripulita al
bar dopo i baccanali della notte. Baxter e gli altri baristi ce la facevano da
soli durante la settimana, ma al sabato e alla domenica mattina avevano
assoluto bisogno dell'aiuto di un professionista.
Ore tutte le lattine di birra vuote si trovavano in un sacco nero sul
marciapiedi davanti al locale, insieme agli altri relitti del venerdì notte.
Peccato che gli spazzini non passino a ritirare anche i cadaveri, pensò
Baxter.
Fuori era una bellissima giornata di primavera, purtroppo. Una delle
qualità migliori del suo bar erano le persiane alle finestre, che gli
permettevano di controllare l'illuminazione interna. La maggior parte del
tempo le teneva ben chiuse. Baxter era orgoglioso del fatto che nel suo
locale era in grado di creare una notte perpetua. In quel momento, infatti,
le persiane erano chiuse. L'interno era illuminato solo dalla fioca luce di un
neon al soffitto, da qualche lampada dietro il bancone e dal segnale
luminoso posto sopra l'uscita d'emergenza che dava sul retro.
Ciononostante, c'era fin troppa luce per i gusti di Baxter Brittle, date le
delicate condizioni in cui si trovava. Fu contento di aver preso l'abitudine
di portare saltuariamente occhiali scuri, all'interno del locale e all'esterno:
nessuno avrebbe notato alcunché di strano nel vederglieli inforcare quel
sabato pomeriggio (non solo per proteggersi dalla luce, ma anche per
nascondere gli occhi iniettati di sangue e le profonde occhiaie).
Buttò giù il resto della Coca, concedendo al cognac l'accesso al suo
organismo. Poi se ne versò dell'altro, liscio, e appoggiò il bicchiere sul
bancone. Dopodiché passò in rassegna il suo dominio.
Grazie a Dio non c'è nessuno, disse tra sé.
Sapeva che prima o poi qualche cliente barcollante si sarebbe fatto vivo,
ma voleva approfittare di ogni minuto di pace a sua disposizione per
rimettere in funzione a pieno regime il suo cervello.
Dopo l'intimo incontro con il sangue e la morte era riuscito a trascinarsi
nel suo appartamento al piano di sopra. Aveva fatto una lunga e rigenerante
doccia calda, che aveva contribuito notevolmente a rimetterlo sulla giusta
carreggiata per riacquistare uno stato se non altro prossimo alla sanità
mentale. Mentre si frizionava lo shampoo nei capelli e si lasciava
carezzare dal vapore aveva raggiunto una conclusione.
Qualsiasi cosa fosse accaduta la notte precedente, c'era tempo per
affrontarla.
Era trascorso il tempo sufficiente per permettere ad alcuni ricordi chiave
di tornare a prendere forma nella sua mente, il più importante dei quali era
il fatto che la ragazza veniva da lontano, da molto lontano; era scappata di
casa, se non ricordava male, ed era appena giunta in città, dove non co-
nosceva nessuno. Probabilmente gli altri Goths stavano smaltendo una
sbornia simile alla sua, rifletté Baxter. Anche nel caso in cui qualcuno di
loro ricordasse quello che era successo la notte prima, era ragionevolmente
sicuro che non si sarebbe rivolto alla polizia. No, sapeva troppe cose sul
loro conto ed esercitava un potere sufficiente da poter contare sul fatto che
si sarebbero recati al bar, per controllare la situazione e discutere con lui il
da farsi. Nessuno ancora si era fatto vedere, ma non c'era da stupirsene.
Molti componenti della gang non si alzavano mai dal letto prima del tra-
monto. Vampiri di Baltimora! Meglio così.
Dopo la doccia aveva indossato indumenti puliti, chiuso con un
lucchetto l'accesso allo scantinato e aperto la porta d'ingresso del locale.
Aveva concluso che la scelta di non aprire il locale avrebbe potuto destare
qualche sospetto. No, meglio tenere duro ancora un giorno, affrontare un
altro tipico sabato di lavoro, per poi dedicarsi all'orrore nello scantinato di
notte dopo la chiusura o il giorno successivo. Per questo aveva chiuso la
porta dello scantinato con un lucchetto. Certo, i poliziotti avrebbero potuto
sfondarla, ma era un'eventualità a cui avrebbe fatto fronte nel momento in
cui fosse accaduta. Per il momento la cosa giusta era far buon viso a
cattivo gioco, immettere nell'organismo una quantità sufficiente di droga e
alcol per apparire normale e continuare a servire da bere ai clienti come al
solito.
Aveva appena cominciato a pensare lucidamente, finalmente libero dal
cuneo di terrore e di ansia che sembrava gli penetrasse nel culo, quando la
porta si aprì ed entrò l'uomo tutto vestito di nero.
Era un uomo alto e muscoloso. Aveva il torace a forma di V e indossava
un paio di stretti blue jeans. Dalle spalle immense un cappotto di ottima
fattura pendeva giù fino all'altezza dei tacchi degli stivali di cuoio nero. I
capelli lunghi e mossi mettevano in risalto un volto che pareva scolpito
nella pietra. Gli occhi erano incastonati in profondità tra le arcate
sopraccigliari e gli zigomi, e guardavano Baxter con stupefacente intensità.
«Ehi, Brittle», salutò l'uomo, rivelando denti bianchi e lupeschi in un
sorriso da predatore. «Che ne dici di farmi un bel vodka martini?
Shakerato, non agitato. Proprio come te.»
Il sorriso si trasformò in un ghigno.
Baxter lo fissò.
Conosceva quell'uomo.
Già, lo conosceva... e le tessere del mosaico cominciarono a combaciare.
Ieri sera.
Quest'uomo era qui nel bar ieri sera!
Ma era tra quelli che erano scesi nello scantinato?
La mente di Baxter Brittle si era messa in moto a pieno regime, ma non
riuscì a ricordare altro. Tuttavia, per il momento era sufficiente. C'era
qualcosa di importante nella presenza di quell'uomo. Di vitale.
Difficile dire esattamente cosa fosse, ma poteva guadagnare tempo
preparando il cocktail che aveva ordinato.
Baxter sorrise. «Ehi, amico. Sei il primo cliente della giornata. Cocktail
doppio a prezzo di favore.»
«I cocktail si pagano sempre con qualcosa di più che semplice denaro»,
osservò l'uomo. Aveva un voce precisa e risonante, ricca di ironia.
Baxter si sforzò di ridere. «Già. Ma vanno giù bene.»
Tirò fuori lo shaker d'acciaio inossidabile e lo usò come una paletta per
raccogliere la giusta quantità di ghiaccio tritato. Una generosa dose di
vodka, una lacrima di vermouth. Coperchio. Movimento da manuale per
shakerare. Rapidamente, senza permettere al ghiaccio di sciogliersi,
posizionò uno dei suoi classici bicchieri da martini su una tovaglietta
davanti al cliente. La retina in cima allo shaker trattenne il ghiaccio mentre
versava il miscuglio trasparente. Era un rito con regole precise, e
l'esecuzione delle varie fasi gli procurò uno strano ma familiare conforto.
«Oliva o twist?»
«Cos'è, un romanzo di Charles Dickens?»
«Come? Ah, ho capito.» Guardò l'uomo e gli strizzò l'occhio come per
complimentarsi, puntandogli contro l'indice. «Buona. È un po' presto per
capire certe battute al volo.»
«Ci credo... dopo quello che è successo ieri notte.» L'uomo si sporse sul
bancone, mostrando i denti in un ghigno alla Jack Nicholson. «Prenderò
sia l'oliva, sia la buccia di limone. Grazie.»
Baxter aprì il cassetto che conteneva il vassoio dei condimenti, scelse
una grossa oliva spagnola farcita e la infilzò con uno stuzzicadenti. Poi
tolse un ricciolo di buccia da un limone e lo lasciò cadere delicatamente
nel drink. Con grande cautela, azzardò: «Non credo di capire a cosa ti
riferisci».
Studiò il volto dell'uomo, tentando di ricordare qualcosa di più, ma non
ottenne altro che la vaga certezza che l'uomo era stato in qualche modo
coinvolto negli eventi della notte.
L'uomo prese tra le dita l'estremità dello stuzzicadenti, lo agitò per
qualche istante nel cocktail, poi mangiò l'oliva. La masticò con metodo,
poi bevette un dito del drink, gli occhi penetranti sempre fissi in quelli di
Baxter.
«Spero che tu non voglia considerarmi nient'altro che un alleato, Baxter.
Ti dirò di più. Ci tengo a rassicurarti che mi trovo in pieno accordo e
armonia con tutto quello che fai nella vita. Ma io posso guidarti nella
direzione in cui desideri andare.»
«Scusami, ma non ti seguo.» Baxter aveva paura, ma era anche irritato.
«Senti, ammetto di aver bevuto troppo ieri sera. Non ricordo nulla di
quello che è successo dopo le dieci.»
«Ma mi riconosci.»
«Vagamente.»
«Bene. Conta solo questo. A proposito, fattene uno anche tu. Offro io.»
«Ti ringrazio.»
Baxter prese una bottiglia di vodka, se ne versò un bicchierino e bevve
un sorso. Il bruciore dell'alcol nella gola gli concesse un attimo di tregua
dall'angoscia che andava montando in lui. «Che stai cercando di fare, di
ricattarmi?» Sospirò. «Se sei a caccia di soldi, temo che tu abbia sbagliato
persona.»
L'uomo sorseggiò il suo cocktail, continuando a fissare intensamente
Baxter. Sembrava un gigantesco serpente che avesse intrappolato la preda
in un angolo, impegnato a squadrarla e a prepararsi per l'affondo mortale.
«Siamo entrambi a caccia di soldi, me ne rendo conto. Ma se riusciremo
a sviluppare una certa sincronia, più avanti verranno anche quelli.» L'uomo
raddrizzò la schiena, con fare rilassato. «Il tuo risveglio dev'essere stato
piuttosto scioccante, non è così Baxter Brittle? E io voglio aiutarti a venire
fuori dalla situazione in cui ti trovi.»
Baxter finì il contenuto del bicchiere. «Basta con i mezzi termini. Che
cosa mi stai proponendo?»
«L'hai visto quel film, Pulp Fiction?»
«Certo.»
«John Travolta e Samuel L. Jackson fanno saltare per sbaglio le cervella
al tipo sul sedile posteriore della loro macchina. Il risultato? Un gran
casino nel retro dell'auto. La portano nel garage di Quentin Tarantino. Il
boss dei due sicari chiama Harvey Keitel, che sa tutto quanto occorre fare
prima che arrivi la moglie di Tarantino. Lui è l''uomo che risolve i
problemi'.»
«Che vuoi dire?»
«Chiamami pure Harvey.» L'uomo sorrise. «Tu hai un problema. Io te lo
posso risolvere. Chiaro e semplice.»
Baxter scosse la testa. «Se tu sai che ho un problema, allora forse saresti
così gentile da dirmi che cos'è successo!»
«Forse è meglio che tu non lo sappia, Baxter. Dormirai molto meglio in
futuro se cerchi solo di metterti dietro le spalle questa brutta faccenda. E io
mi occuperò... di sollevarti dei pesi morti nella tua vita. Nessun altro lo sa,
Baxter. E a nessuno importa nulla della vittima. In ogni caso, io possiedo il
talento e il potere di cancellare ogni traccia che rischia di condurre qui
chiunque la stia cercando.»
Baxter era infinitamente grato per il fatto che non c'erano altri avventori
nel bar. L'essenza stessa della sua persona sembrava aver chiuso i battenti
dal momento in cui aveva visto quel pugnale conficcato nel corpo della
ragazza. Ora qualcosa di molto simile alla speranza andava prendendo
forma nei recessi della sua mente. Sapeva perfettamente che quell'uomo
poteva essere una strana specie di informatore. Forse era un investigatore
che si occupava di sette sataniche, impegnato a indagare nel mondo dei
Goths e che si era imbattuto in qualcosa di molto più grosso di quanto
avesse previsto: l'opportunità di inchiodare l'autore di un odioso omicidio a
danno di una povera vittima innocente.
No. Scrutando il volto roccioso dell'uomo, Baxter vi lesse ambizioni di
altro genere. Ambizioni dalle quali si sentiva già contagiato.
Baxter prese un pacchetto di sigarette francesi. Ne prese una e se la
infilò tra le labbra. Quel semplice gesto bastò a farlo sentire più forte.
«Dimmi come ti chiami. Prima devo sapere qual è il tuo nome», spiegò
offrendo una sigaretta allo sconosciuto.
L'uomo prese una Gauloise e se la portò alla bocca. Da una delle grandi
tasche del cappotto prese un accendino. Accese la sigaretta. Mentre
avvicinava poi la fiamma al tubicino di tabacco tra le labbra, Baxter Brittle
notò che l'accendino era fatto di legno e metallo, con le sembianze
intarsiate di uno dei famosi gargouille di Notre Dame.
«Prince. Mi chiamo Mick Prince.»
Mick Prince. Sì, aveva già sentito quel nome. La sera prima, certo... Ma
anche in un altro contesto.
«Sei un abbonato! Un abbonato a The Tome. E...»
E ci hai proposto racconti e poesie... La prosa e i versi più rivoltanti e
maligni che abbia mai letto in vita mia.
E io ho rifiutato di pubblicarne anche solo una virgola.
«... ci hai mandato del materiale, se non sbaglio.»
L'uomo sembrò illuminarsi in una sorta di infernale piacere. «Esatto.
Nulla che corrispondesse alle vostre esigenze, credo. Ma questa è una delle
cose di cui potremo discutere. Vedi, una dimensione tutta nuova sta per
aprirsi a te e alla Tome Press.» Una nuvoletta di fumo oscurò momentanea-
mente il suo volto. «E io voglio mostrarti come raggiungerla.»
Baxter comprese tutto in un lampo. Guadagnò tempo inspirando una
densa e aromatica boccata di fumo ed espirando lentamente, attraverso le
narici, esaminando nel frattempo la punta del cancerogeno bastoncino
gallico.
Quell'uomo era uno psicopatico. Uno degli spiacevoli effetti collaterali
che emergevano tra i gruppi estremisti di lettori della sua rivista, di cui era
editore e redattore, e dei vari libri della Tome Press. Apparteneva a quella
categoria di tristi personaggi che Baxter sapeva esistere ma che aveva sem-
pre cercato di evitare. Ma ora, a quanto pareva, uno di loro era riuscito a
insinuarsi sulla scena.
Che cos'era successo la notte precedente?
Se solo fosse riuscito a ricordare! Solo ricordando avrebbe potuto
giudicare fino a che punto fidarsi di quella tenebrosa creatura.
Brittle tentò di ricostruire mentalmente la scena. Immaginava di vedere i
sibaritici edonisti del Salon, fatti e ubriachi, mentre danzavano con la
Morte... Il pugnale cerimoniale, un mortale giocattolo, che affondava
inspiegabilmente nel corpo di una delle partecipanti, un tragico incidente
che poteva segnare la fine non solo del Salon des Gothiques ma anche
della libertà personale e della gioia di vivere di Baxter Brittle.
Era stato lui a impugnare il coltello?
Era stato lui a urlare di gioia mentre penetrava con la lama il torace
della ragazza?
No. Il rischio sarebbe stato troppo grande. Ma lo sconosciuto sapeva del
cadavere nello scantinato, e oltre a non sembrare affatto intenzionato a
denunciare il fatto alle autorità, gli stava offrendo un aiuto. Voleva
occuparsi del problema, risolverlo, facendolo sparire in una gettata di
cemento di un viadotto in costruzione, o nelle profonde acque della baia di
Chesapeake, zavorrato da un'ancora e destinato a diventare cibo per i
granchi.
Perché no? Perché non accettare il suo aiuto?
Un patto con il diavolo?
No. Certo che no. Il diavolo non esisteva, come del resto non esisteva
Dio.
Come disse il fratello Crowley, il caro vecchio Aleister: Fai quello che
vuoi, è questa l'unica legge.
Be', quello che voleva fare lui era evitare di finire rinchiuso in una
prigione o in una casa di reclusione statale, a offrire carne fresca di prima
qualità ai predatori sodomiti!
«E perché mai dovresti farlo?» domandò. «Perché vuoi aiutarmi?»
«Voglio trasferirmi a Baltimora. Voglio entrare a far parte dei Goths.»
«E perché? Chiunque sia dotato di un minimo di ambizione scappa via
da Baltimora appena può. Se non avessi questo bar, io stesso me ne sarei
andato da un pezzo.»
Gli occhi d'agata dell'uomo brillarono e si socchiusero. «Perché credo
che tu abbia... delle potenzialità. E sono convinto nel profondo dell'anima
di essere io la chiave di queste potenzialità.»
Di nuovo, le sue labbra si separarono e formarono quel sorriso forte,
duro.
Baxter Brittle rabbrividì. L'uomo aveva un lato oscuro impressionante.
Cercò di tornare con la memoria alle poesie e ai racconti che l'uomo aveva
inviato a The Tome. Ricordò vagamente scene di sventramenti, corpi in
decomposizione che gocciolavano di fetidi umori, bambini scuoiati, implo-
ranti salmodie rivolte a dèi dimenticati... la solita litania di adolescenziale
adorazione della morte. Ma il materiale scritto da quell'uomo aveva
qualcosa di diverso; conteneva una malsana intensità, una ferocia sfrenata
che risultava allarmante. Spaventosa. E se avesse contenuto solo un
accenno, un'ombra di valore letterario, Brittle ne avrebbe certamente
pubblicato una parte. Tuttavia, gli scritti erano piuttosto puerili, privi di
senso della struttura, di ritmo, di personalità o di altre qualità che potessero
renderle degne di nota... a parte la loro brutale, aggressiva, stranamente
confessionale intensità, naturalmente.
Eh, sì. La ferocia di quell'uomo faceva rabbrividire Baxter Brittle.
Ma ne era altresì intrigato.
E se proprio desiderava salvare il culo a Baxter Brittle...
Perché impedirglielo?
Non si fece illusioni. Era chiaro che avrebbe dovuto pagare un prezzo.
L'uomo scriveva come un demonio ed era orgoglioso del suo lavoro;
desiderava pubblicarlo. Chiaro e semplice. Ah, l'ambizione letteraria! Che
affascinante condizione umana! Certo, amico... Tutto sommato queste
poesie non sono affatto male. E i racconti... be', potrebbero avvantaggiarsi
di una revisione, di qualche miglioramento nel tono e scorrevolezza. Ma a
questo prowederemo noi. Certo! E seppure non riusciremo a pubblicarne
più di un certo numero in The Tome... potrebbe esserci un'alternativa. Ma
naturalmente! Un'edizione per collezionisti, firmata e numerata. Illustrata
da... da chi? Ma certo, Alan Clark oppure Harry O. Morris sarebbero
perfetti per la sopraccoperta, e poi uno di quei giovani artisti emergenti
della Chaos! Comics o della Verotik per le illustrazioni interne. Credo
proprio che potremo trovare un accordo, signore. E a proposito, grazie di
nuovo per aver fatto sparire dal mio armadio quella ragazza nuda allo
spiedo. Ho chiuso con le sedute chirurgiche alimentate dall'alcol, glielo
garantisco!
«Mmm. Sì... la gang è sempre in cerca di nuove forze!»
L'uomo gli tese la mano. Indossava guanti di pelle senza dita. Il
movimento della mano venne accompagnato da un tintinnio di catenelle e
braccialetti.
Baxter strinse il guanto nella mano. «Benvenuto nel club.»
«Niente bisboccia, stasera. Cerca di rimanere sobrio», consigliò l'uomo.
«Sei uno stronzo fortunato. Nessun altro ricorda quello che è successo ieri
notte.»
«E tu come lo sai?» indagò Baxter. Non che la cosa lo preoccupasse più
di tanto. I membri della gang erano legati da un patto di sangue e anche se
alcuni di loro erano stati presenti allo sciagurato, accidentale «sacrificio
umano», certamente ora soffrivano tutti della stessa, confusa amnesia di
Baxter. Nessuno sarebbe stato tanto stupido da rivolgersi alla polizia.
«Fidati, fratello.» Si guardò attorno. «Non hai mai clienti a quest'ora?»
«Sì. È che oggi non si sono ancora visti.»
«Proprio come pensavo. Ti raccomando solo una cosa: tieni ben chiuso
lo scantinato. Metterò tutto a posto io stanotte, dopo la chiusura.» Il lungo
cappotto dell'uomo si animò e ondeggiò come un sipario che si chiudeva a
celare un mistero. «Tornerò qui a mezzanotte. Fatti trovare.» Si avviò a
lunghe falcate verso la porta. Sulla soglia, si voltò e rivolse ancora una
volta il suo sorriso maniacale a Baxter Brittle. «È bello far parte della
tradizione gotica, vero, Baxter?»
E con questo sparì, una chiazza nera sullo sfondo luminoso di un sabato
mattina di sole.

Sì, è vero! Sono sempre stato e sono tuttora molto nervoso,


straordinariamente nervoso; ma perché insistete nel dire che sono pazzo?
EDGAR A. POE; Il rumore del cuore

Gli prese delicatamente la mano nella propria e gli regalò la più soave
stretta di mano che avesse mai ricevuto in tutta la sua vita. La mano era
soffice, con dita lunghe ed eleganti, e lui avrebbe desiderato sentire in
eterno il loro tocco sul proprio corpo.
«Ehm... Ah. Sì. Piacere di conoscerla, signora...»
Ma che cosa dici, cretino? Preso in contropiede, Donald Marquette
cercava le parole giuste. «Amy. Sì, piacere, Amy.»
«Stavo per mostrare la casa a Donald», intervenne il professor Blessing.
Gli occhi di Amy Blessing brillarono e il suo sorriso si fece malizioso.
«Dovresti farti pagare almeno dieci dollari, Donald. Tutte quelle sue
vecchie cianfrusaglie possono diventare piuttosto noiose, a lungo andare.»
Donald rise e con riluttanza le lasciò la mano. «Non puoi immaginare da
quanto tempo sogno di vedere quelle cianfrusaglie.» Non era sicuro di
essere riuscito a recuperare la sua capacità di parlare in modo coerente. Nel
suo intimo si sentiva ancora come un adolescente imbarazzato a cui era
stato mozzato il fiato. «E di trovarmi qui, di conoscere voi... di venire a
Baltimora per studiare all'università. Mi sembra davvero tutto un sogno
che si avvera.»
Lei rise, esprimendo una gioia quasi infantile. «Bene. È bello far parte
del sogno meraviglioso di qualcuno.»
Donald Marquette non aveva mai conosciuto prima una donna come
Amy Blessing. La prima volta che le posò gli occhi addosso fu per lui
come ricevere fisicamente un colpo, un colpo vellutato che lo scosse in
ogni sua fibra. Non era alta, un metro e sessantacinque al massimo, ma la
sua vitalità era tale da rendere la sua presenza fisica travolgente. Aveva
lunghi capelli biondi perfettamente acconciati, che ricadevano su una
semplice camicetta nera e andavano ad accarezzare seni né piccoli, né
grossi. Indossava un paio di blue jeans della Guess, che le fasciavano il
vitino ma permettevano al suo posteriore di esprimersi in tutta la sua
splendida forma di albicocca. Ai suoi piedi le semplici scarpe da ginnastica
nere della Reebok acquistavano grande femminilità. Un filo di trucco
accentuava il nasino all'insù, aveva un mento affilato ma non spigoloso e
zigomi alti. Tuttavia, forse la caratteristica più incredibile erano gli occhi.
Aveva grandi occhi nocciola, vivaci e scintillanti; gli occhi dell'innocenza
affamata di esperienza. Ogni gesto e movimento di quella donna tradivano
un temperamento brillante e vitale. Detto semplicemente, era tanto bella
che guardarla era doloroso.
E i suoi occhi lo scrutavano con schietto interesse, come a chiedergli:
Chi sei tu? Mi interessa molto. Voglio davvero saperlo. Ci tengo.
Nella sua vita Donald Marquette non aveva conosciuto molte persone
che tenessero davvero a lui.
«Be', qui i sogni sono vietati», ammonì il professor Blessing. «Sono
ammessi solo gli incubi. Sono loro la via alla ricchezza, alla fama e al
benessere!» Rise, sottolineando la propria ironia.
«Come ti trovi in pensione?» volle sapere Amy. «Ti sei sistemato? Se
dovessero esserci problemi abbiamo una camera degli ospiti a tua
disposizione.»
«No, no. Sono arrivato ieri e sta andando tutto a meraviglia. La signora
che gestisce la pensione mi sta già viziando», rispose Donald. «Non mi
sono ancora abituato al fatto che c'è qualcuno che mi prepara la colazione
al mattino.»
«Che guaio», commentò Amy. «Be' dovrai abituarti anche a mangiare da
noi, perché verrai certamente invitato spesso. Trovo che il progetto al
quale stai lavorando con il nostro caro dottore sia davvero eccitante.» I
suoi occhi sprizzavano contentezza «Sai, vi darò una mano anch'io. Certo,
nel limite delle mie possibilità... Sono piuttosto presa.»
«Anche Amy ha cominciato a scrivere, nei ritagli di tempo che i suoi
studi per conseguire un master in musica le consentono. Se lei non fosse
così impegnata probabilmente non avresti avuto questo impiego, Donald»,
gli fece notare Blessing.
«Temo che dovrai sopportare i miei studi musicali mentre lavori», lo
avvertì giocosamente Amy. «Ti assicuro che cerco di tenere ben accordato
il mio strumento. Per quanto riguarda invece le mie esecuzioni... e
composizioni... Be', non ti prometto nulla.»
Donald non si lasciò sfuggire l'occasione. «Ah! E che strumento suoni?»
«Il pianoforte», rispose lei.
«Pianoforte da concerto», precisò Blessing. «E a volte penso che mi
abbia sposato solo per il mio Steinway a coda.» La cinse con le braccia.
Lei si abbandonò al suo abbraccio con languore felino, sollevando la testa
a guardarlo con amore, ammirazione e qualcos'altro di ancora più intimo.
«A dire la verità, amore, preferisco il tuo organo.»
All'improvviso arrossì e si portò una mano alla bocca, ridendo mentre
guardava Donald.
«Oh, che gaffe. Ma il fatto è che ha davvero un organo molto bello, sai,
un organo a canne, come quelli delle chiese...»
Blessing arrossì leggermente a sua volta. «Ora non devi fare altro che
fornire misure e proporzioni, cara, e a quel punto il mio ego maschile
risulterà definitivamente confermato a beneficio del nostro ospite.» Sorrise
mestamente.
Donald sbatté le palpebre, fingendosi confuso. «Dovete scusarmi, ma io
non ci ho capito nulla!»
Entrambi i Blessing risero. Insieme con l'imbarazzo, scomparve anche
ogni frammento residuo di ghiaccio, di formalità.
William Blessing allungò un braccio e lo posò paternamente sulle spalle
di Donald. Ma Donald non fece caso a quel contatto fisico quanto
all'impatto del profumo dei capelli di Amy, floreale e muschioso al tempo
stesso. «Non ti preoccupare, ragazzo. Stammi accanto e vedrai che ben
presto riuscirai anche tu a dire sciocchezze a ripetizione. Ora, che ne dici
di andare a fare quel giro per la casa che ti ho promesso?»
«In altre parole, mi si sta chiedendo di andare a preparare da mangiare»,
fece notare Amy. «Ti fermi da noi, vero Donald?»
Il professor Blessing finse di venire meno e si portò il dorso di una mano
alla fronte, assumendo una posa melodrammatica. «Che onta! Il mio
segreto è stato svelato! Il mio status di scrittore politically correct è
perduto! Costringo mia moglie a preparare pranzetti.»
Lei inarcò un sopracciglio e si piazzò le mani sui fianchi. «A condizione
che non mi mandi in giro scalza e perennemente incinta, immagino di
poter sopportare la situazione. Ma ti prego di rimanere, Donald. A pranzo
il professore sa essere così noioso...»
«D'accordo, grazie», accettò Donald.
«Magnifico!» Amy rivolse a entrambi un saluto con la mano e si
allontanò per darsi da fare. Donald dovette costringersi a toglierle gli occhi
di dosso. Gli costò un notevole sforzo di concentrazione riportare la sua
attenzione su quanto diceva il professore mentre gli faceva strada salendo
la scalinata con corrimano d'epoca. Il profumo di lei, le tracce del suo
passaggio nell'aria sembrarono persistere come per una splendida
stregoneria.
«Siete davvero una coppia unica. Se mai dovessi raccontare tutto questo
in pubblico, verrebbero in massa a fare richiesta di un dottorato alla Johns
Hopkins University.»
«Credo che i nostri contatti precedenti abbiano contribuito molto a farci
sentire a nostro agio con te, Donald», spiegò amabilmente Blessing. «Sei
un giovane intelligente, dotato di talento, che lavora duro, e molto
promettente nel tuo campo. È un mio vanto quello di riuscire a individuare
simili qualità. Inoltre, hai qualcosa che riveste forse un'importanza pari a
tutte queste altre qualità. Hai iniziativa.»
Senza volerlo, Donaid annuì. «Direi più precisamente ambizione
sfrenata.»
Blessing si fermò in cima alle scale e si voltò, evidentemente colpito
dall'intensità, dalla sincerità e dalla convinzione con cui il nuovo assistente
aveva parlato.
«Bene, allora. Lungi da me fare altro che agevolare l'ascesa della nostra
nuova stella letteraria!»
Donaid sorrise alla venatura di ironia nella battuta. Ma provò anche una
bruciante punta di rabbia.
Aspetta e vedrai, bastardo compiaciuto che non sei altro.
Ti farò vedere io.
Gliela farò vedere a tutti.
«Se non sbaglio», disse Donaid con voce pacata, «già da ragazzo Edgar
Allan Poe era convinto che sarebbe diventato un grande poeta. E credo di
ricordare qualche frase tratta dai tuoi primi lavori in cui descrivevi la
missione della tua vita. È per questo che sono qui, professor Blessing. Bill.
Per stare a contatto con un personaggio di grande ambizione e
ispirazione.»
«Devo ripetere che i complimenti sono sempre ben accetti quando
vengono dal cuore.» Serrò le labbra, fingendosi mortificato. «Mmm. Credo
tu ti riferisca a quel breve saggio che scrissi all'epoca del mio dottorato,
'Sulle ali di Poe'.»
«Esatto.»
«Ero piuttosto giovane e sciocco, allora. Convinto delle mie idee come
solo i giovani sanno essere. Ora sono solo sciocco.»
«Capisco, ma allora invocasti Poe come tuo ispiratore, affermando di
sentirti a volte addirittura come se fossi la sua reincarnazione. E comunque
era come se invocassi il suo spirito. Ne rivendicavi quasi il possesso.
Un'autentica ostentazione di audacia. Un pezzo davvero stupefacente.
Potere e passione, una miscela esplosiva, eppure gestita con magistrale
controllo. Dio, mi fece venire la pelle d'oca quando lo lessi.» Donald
scosse la testa in segno di genuina e totale ammirazione. «La letteratura
possiede un tale potere.»
«Sì. In questo hai ragione. Trascende lo spirito. Trascende l'arte.
Trascende lo spazio e il tempo e le cose meschine dalle quali la nostra vita
è gravata», disse Blessing.
Seguì una pausa di condivisa serietà.
Donald Marquette notò il suo nuovo mentore che lo fissava in modo
strano e preoccupato. Lo stava soppesando, giudicando, ma al tempo
stesso si andava formando una unione... E un brivido di oscura luminosità
gli accarezzò il cuore. Avvertì una comunione di spiriti, ma anche
un'inspiegabile sensazione di pericolo. E le due cose assieme risultarono
eccitanti come il pensiero delle labbra di Amy Blessing che gli sfioravano
delicatamente il lobo dell'orecchio.
Blessing rise di nuovo, rompendo l'incantesimo. «Eh, sì, Poe! Poe!
Andiamo a fare qualcosa di più che invocare il suo spirito. Invochiamo la
gloriosa strada maestra che ci ha indicato!» Fece cenno all'ospite di
seguirlo. Tirò fuori un mazzo di chiavi. La robusta porta alla quale
giunsero era dotata di una serratura a combinazione e protetta da un si-
stema d'allarme. Blessing digitò una sequenza di numeri. La luce sul
congegno elettronico da rossa si fece verde e qualcosa nella porta scattò.
Blessing inserì una delle chiavi del nutrito e tintinnante mazzo che
teneva in mano. Mentre apriva la porta, Donald avvertì una corrente d'aria
fresca.
«Mmm... Sei sicuro che questa non sia la stanza H.P. Lovecraft?»
domandò Donald.
«Dio, che sagacia! Una battuta dopo l'altra. No, è solo consigliabile
tenere bassa la temperatura all'interno della stanza; per conservare meglio
la collezione, capisci.» Blessing fece un gesto plateale improvvisando
un'imitazione di Vincent Price. «Venga avanti, mio onorato ospite. Mi
perdoni se non ho con me il candelabro, ma lo sto facendo lucidare.»
Blessing allungò una mano all'interno e premette un interruttore. La
stanza venne inondata di luce soffusa. Si voltò a guardare il suo ospite con
un luccichio maniacale negli occhi, poi lo precedette oltre la soglia.
Incredibile, pensò Donald entrando nella stanza.
La prima cosa che lo colpì non fu tanto il contenuto della stanza, bensì
l'ordine che vi regnava. Era un locale ampio, con finiture in stile vittoriano,
ma arredato con tavoli, librerie e vetrinette moderne, tutte
impeccabilmente illuminate da faretti nascosti, oppure con fonti luminose
incastonate nella parte inferiore per conferire agli oggetti un senso di
profondità maggiore di quella data da tre dimensioni solo. C'erano
indumenti, occhiali, penne, pettini, bicchieri, bottiglie, scarpe, mobili,
schizzi, dipinti, fotografie e dagherrotipi, tutti meravigliosamente messi in
mostra ed etichettati.
Ma più che altro c'erano libri.
Libri, riviste, manoscritti. Lettere, quaderni, blocchi.
La stanza ne era stipata, e il loro argomento principale indicato dalla
posizione centrale riservata a un busto di Pallade sovrastato da un corvo
imperiale imbalsamato; alla parete, sopra la scultura, un grande ritratto
splendidamente incorniciato, il cui soggetto ostentava la familiare fronte
arcuata, le sottili labbra, i baffi, gli abiti da dandy e lo sguardo tenebroso,
con gli occhi che sembravano sopravvivere a fatica alla propria oscurità.
EDGAR A. POE erano le parole incise sulla targhetta sotto il pregevole
ritratto.
«Avrai tempo in abbondanza per ispezionare tutto da vicino, a tuo
piacimento», assicurò Blessing. «Alcuni indumenti e reperti appartenuti
all'uomo e risalenti alla sua epoca...» Avanzò nella stanza, accarezzando
delicatamente con un dito le superfici vitree dei mobili. «Lettere. Pezzi
autografi. Tutto quanto. Testimonianze e documenti del tempo trascorso
sulla terra da un grande personaggio. E, naturalmente, tutte le edizioni
ancora esistenti delle sue opere, incluse le edizioni estere degne di nota, le
edizioni pirata e le traduzioni non autorizzate. Tamerlano. Al Aaraaf.
Racconti del grottesco e dell'arabesco. Collected Tales. Eureka. Tutte
prime edizioni.»
Parlava con tono enfatico, ma Donald udiva appena la sua voce. Si
avvicinò alla vetrinetta indicata da Blessing e la fissò. I libri al suo interno
avevano un aspetto piuttosto modesto, ed erano innegabilmente vecchi.
Tuttavia, sembravano rifulgere di una luce ulteriore agli occhi del giovane
scrittore e studioso.
Le prime edizioni delle opere di Edgar Allan Poe.
Aveva forse tenuto lui stesso quei volumi tra le mani tremanti?
Li aveva autografati per i suoi ammiratori? Aveva accidentalmente
versato del vino sulle loro pagine? Erano i bambini di cui aveva potuto
seguire l'infanzia. Anche nei suoi più folli deliri, il loro creatore aveva mai
potuto immaginare quanto grandi sarebbero diventati, quanta ammirazione
avrebbero destato?
«Naturalmente le copie più rare sono protette da custodie fatte su
ordinazione, provenienti per la maggior parte dalle grandi biblioteche
private di Baltimora dell'epoca. Le rilegature personalizzate erano di gran
moda a quei tempi. Gli editori mettevano spesso a disposizione dei loro
clienti più appassionati e facoltosi copie non tagliate perché potessero
portarle dai loro rilegatori preferiti. Era uno status symbol. Si avvalevano
di artigiani di squisita bravura.
«Inoltre, sono riuscito a rintracciare tutte le riviste dell'epoca di Poe in
cui è apparso il suo lavoro. Non solo il Southern Literary Messenger,
Burton's, The Mirror, The Broadway Journal, ma anche tutte le altre
pubblicazioni in cui apparve o alle quali collaborò come redattore.
Possiedo anche alcune serie di riviste alle quali potrebbe aver collaborato
celandosi sotto pseudonimi, una pratica nella quale sappiamo che in-
dulgeva spesso. Credo anche di aver scoperto qualche racconto e alcune
poesie precedentemente non attribuite a Poe.» Gli occhi di Blessing
ardevano di entusiasmo. «Sto scrivendo proprio in questi giorni un articolo
in merito, in preparazione dell'uscita di un volumetto. Prova a immaginare!
Nuovi racconti e nuove poesie di Edgar Allan Poe.»
Donald Marquette era senza parole. Era inaudito. Centinaia di studiosi
dovevano aver indagato a fondo la vita di Poe, le sue opere e le riviste del
suo tempo; com'era possibile che nessuno si fosse accorto dell'origine di
simile materiale? La sua metà più razionale si rifiutava di credere a una
tale possibilità. Tuttavia, il cultore di Poe che c'era in lui trovò oltremodo
eccitante l'idea di una prospettiva del genere.
«Quella che vedi qui, Donald», continuò Blessing, «è la più grande
collezione privata del suo genere. È il motivo per cui non possiedo una
seconda casa negli Hamptons!» Sorrise. «Ho investito troppo tempo e
denaro in tutto questo, ma del resto tali sono i privilegi offerti dall'essere il
discendente di un'agiata famiglia di accademici. La mia famiglia com-
prendeva letterati e studiosi già prima della guerra civile americana. Molti
pezzi della mia collezione, e naturalmente questa stessa casa, sono il
risultato della lungimiranza dei miei antenati. Pur considerando le risorse
oggi a mia disposizione, dubito fortemente che sarei riuscito da solo a
mettere insieme una simile collezione.»
Il suo sguardo si fece distante, assente, come se stesse avendo una
visione. Dopo una breve pausa Blessing tornò a voltarsi verso Donald e
sorrise. «È per me fonte di costante ispirazione custodire qui tanta parte
della vita di Poe. E trovo altrettanto rinvigorente la consapevolezza di
dover affrontare solo un breve viaggio in automobile per potermi recare in
visita alla sua tomba, ai suoi resti terreni. È come se tutto questo
costituisse un arcano microfono attraverso il quale il suo spirito mi parla,
si identifica con me, si mette al mio servizio come io sono al servizio della
voce che trovò mesta e dolorosa espressione dalla sue labbra.»
Blessing produsse un sorriso furbo.
«Naturalmente tutto questo ha anche un notevole valore materiale.»
«Certo», commentò Donald. «Ma non è per questo che hai fatto della
collezione la tua ragione di vita. Lo hai fatto perché la passione ce l'hai nel
sangue.»
«E perché avevo i mezzi per farlo. The Blessing blessing, la benedizione
dei Blessing, potremmo definirla con un gioco di parole. Ho altri
manoscritti e libri sparsi per la casa. E altrove, al sicuro; neppure questa
grande casa sarebbe in grado di contenere tutto il materiale.» Si avvicinò al
busto e toccò lo splendido esempio di tassidermia appollaiato sopra di
esso. «La collezione è il mio hobby. Un tempo ne ero totalmente assorto, a
livelli forse eccessivi... poi conobbi Amy.»
«Eccessivi? A me sembra una passione ammirevole», assicurò Donald.
«Voglio dire, tu stesso hai ammesso di avere il tempo e il denaro
necessario...»
«Il denaro, certamente. Non mi fraintendere, Amy apprezza la mia
collezione. È solo che ha riportato una buona dose di equilibrio mentale
nella mia vita.» Blessing scosse la testa e sorrise. «Non sto dicendo che
fossi uno squilibrato, in precedenza. Forse a tratti solo un po'
monomaniacale.» Alzò le mani a indicare il ritratto di Poe. «Dio, quanto
sono felice! Felice! Non so immaginare che cosa abbia fatto per meritare
una tale contentezza. No, contentezza non è la parola giusta, Donald.
Felicità, Donald. È questa la parola adatta. Felicità. Grazie al cielo Zeus e
compagnia bella non bazzicano davvero nell'Olimpo. Altrimenti sarebbero
invidiosi!» Colse lo sguardo sul volto di Donald, si girò a guardarlo e gli
puntò contro l'indice. «Naturalmente. So che cosa stai pensando. Com'è
possibile che un professore matto e celibe abbia potuto conoscere una
creatura meravigliosa come Amy?» I suoi occhi si illuminarono. «Una
giovane e meravigliosa creatura come Amy. Ha venticinque anni, sai?
Venticinque!»
Ci avevo azzeccato, si disse Donald.
«La conobbi quando aveva ventidue anni, a un congresso mondiale di
autori fantasy a Providence, Rhode Island. Era in città per fare visita ad
alcuni parenti e aveva saputo che avrei partecipato a un incontro con i
lettori, per autografare le copie del mio nuovo romanzo. Non era
particolarmente appassionata di narrativa fantasy, e all'epoca io ero meglio
conosciuto come critico e autore di racconti. Anima nera in agguato era
appena stato pubblicato, e piuttosto in sordina, devo ammettere; dietro
richiesta del mio editore mi trovavo lì per promuoverlo, pur sapendo che il
congresso era riservato a soli settecentocinquanta partecipanti. Ma chissà
come lei conosceva il mio lavoro, e ne era stata sufficientemente intrigata
da venire a vedere che aspetto avevo.» Sorrise, meditabondo.
«Naturalmente me ne innamorai l'istante in cui la vidi. Chi avrebbe mai
detto che anche lei si sarebbe innamorata di me?»
Mentre Blessing, lo sguardo rapito, si abbandonava ai suoi piacevoli
ricordi, tra i due uomini calò un imbarazzante silenzio. Donald si ritrovò a
cercare disperatamente qualcosa di neutro da dire. L'impressione
lasciatagli da Amy Blessing aleggiava ancora attorno a lui, delicatamente
ma con insistenza. «Suonava già il pianoforte?» azzardò finalmente.
«Come? Ah, certo. Sì. Ed era molto brava, ma la cosa che più mi colpì
fu che componeva. Creatività! È questo il dono più grande che Dio ha dato
a noi esseri umani. La creatività e la capacità di amare.»
«E di collezionare!» aggiunse Donald.
«Be', sì. Comunque Amy rimase piuttosto affascinata da tutto questo, te
lo posso garantire. Ma fu lei a suggerire che avrei forse dovuto dedicare
più tempo all'aspetto creativo della mia carriera. Di fare un tentativo serio,
insomma.» Ghignò. «E infatti alla fine dell'anno accademico, durante il
quale spero di sistemarti e di completare con te una delle antologie che sto
preparando, prenderò un anno sabbatico. Che potrebbe trasformarsi in un
congedo permanente. Affitteremo una villa in Italia, affacciata sul
Mediterraneo, dove Amy si dedicherà alle composizione, e io a scrivere
due romanzi.» Blessing gli mostrò due dita. «Contale. Due romanzi. Vedi,
ho firmato un nuovo contratto che mi impegna a scrivere tre romanzi, e ho
quasi portato a termine il primo. Avrei dovuto finirlo questa estate, in
realtà. Mi aspettano tre trimestri di impegni accademici... e poi la
beatitudine.»
«Questo si prospetta come un anno fortunato per tutti», commentò
Donald. «Posso dire in tutta franchezza di non essere mai stato più eccitato
dalla direzione in cui sembra volgere la mia vita.»
«Allora siamo una bella coppia, Donald. Una bella coppia.» Si guardò
attorno felice, passando in rassegna i suoi tesori, poi si strofinò le mani.
«Ma prima di scendere da basso per il pranzo, lascia che ti mostri dove
lavoreremo insieme. Che ne dici?»
«Non vedo l'ora.»
Sul lato opposto del corridoio si apriva un soggiorno. Donald sbirciò
verso l'interno al suo passaggio davanti alla porta socchiusa. Tende di
chiffon, carta da parati di gusto, sedie di antiquariato e un divano. Da un
lato troneggiava un pianoforte Steinway a coda: nero, lucido, elegante. La
stanza profumava di fiori freschi.
«È la stanza della musica?»
«Sì. Pensavo di lasciare che fosse Amy a mostrartela. La sentirai suonare
spesso, ne sono certo. Ma ora vieni. Ho fatto preparare questo spazio
appositamente per te dalla nostra segretaria, e sono ansioso di fartelo
vedere.»
Donald lo seguì in cima a un'altra rampa di scale. «Quanti piani ha
questa casa?»
«Quattro, senza contare lo scantinato. Le camere e la zona giorno sono
al terzo. Il mio studio è al quarto. Salire e scendere le scale mi tiene in
forma. E vado all'università a piedi.»
Raggiunsero il pianerottolo al terzo piano. «Ecco, qui c'è il nostro
ufficio, e le due camere per gli ospiti.» Ne indicò una. «Questa potrai
usarla tu quando dovrai lavorare fino a tardi. Oppure quando avremo
bevuto troppo e non sarai in condizione di tornare barcollando fino alla
pensione.»
Donald sorrise. «Molto bene.»
Blessing lo condusse in una grande stanza piena di scrivanie, armadietti,
scaffali, schedari e computer. Di nuovo il profumo di fiori (violette?),
stavolta misto all'odore della carta e del toner per stampanti laser. A
Donald parve quasi di sentire nell'aria il sapore del lavoro e del successo,
venato di un vago sentore di colla per francobolli.
L'indice di Blessing diresse la sua attenzione verso un angolo della
stanza. Donald non poté fare a meno di notare su una scrivania una pila di
copie tascabili del secondo romanzo dell'orrore di Blessing, La sala
d'attesa nera.
Dopo anni di duro lavoro nell'anonimo ambito della fiction «seria», che
avevano prodotto una serie di lavori ben scritti, intellettualmente impegnati
ma emotivamente aridi, Blessing aveva cominciato a scrivere racconti
ispirati ai fondamentali principi creativi di Poe. Dapprima era stata una
sfida personale, per verificare le proprie capcità (chi non è in grado di
creare si volge all'insegnamento, recitava la massima); ma poi aveva
acquistato sufficiente sicurezza per tentare il salto di qualità. Anima nera
in agguato avrebbe riassunto in sé tutte le convinzioni e le interpretazioni
dell'autore relative alla tradizione della letteratura gotica. Era il libro con
cui aveva sfondato, il suo Rosemary's Baby, il suo Esorcista, il suo
Shining, il suo Storie di fantasmi.
E così era accaduto che, con sua grande sorpresa e, a tratti,
costernazione, Blessing aveva conosciuto il grande successo commerciale.
Il lavoro di Blessing conteneva qualcosa che aveva risvegliato una
nuova ondata di interesse per la tradizione gotica basata sul gusto per la
suspense e per l'orrore. Il mercato editoriale non reagiva con simile
entusiasmo alla comparsa sulla scena di un nuovo autore dai tempi del
debutto di Stephen King. E, a differenza di quanto accaduto per King, cri-
tici in tutto il mondo si erano fatti in quattro per elogiare i romanzi e le
raccolte di racconti di Blessing.
Quando gli avevano chiesto a che cosa attribuisse il successo dei suoi
libri, Blessing aveva risposto semplicemente: «Valori letterari accessibili».
Sette milioni di copie vendute solo negli Stati Uniti! ricordò ammirato
Donald Marquette.
«Ecco.» La voce di Blessing ruppe l'incantesimo. «Che ne pensi?»
La domanda scosse immediatamente Donald dal suo fantasticare. Si
voltò e guardò ciò che Blessing stava indicando.
In un angolo della stanza era stata sistemata una scrivania nuova di
zecca sulla quale faceva bella mostra di sé un Computer Compaq,
anch'esso nuovo, accanto a essa uno schedario, una libreria, una stampante
e una sedia da ufficio dal design ergonomico per garantire la massima
comodità.
Alla parete c'era un ritratto incorniciato di Edgar Allan Poe. Accanto, un
poster di Picasso. Sulla scrivania era stato appoggiato un mazzo di fiori
tenuto assieme da un nastro, e il biglietto che lo accompagnava recitava:
«Benvenuto Donald, nella stanza delle nobili imprese letterarie... e di
stupidi videogiochi a volontà, se ti aggradano. William e Amy Blessing».
«Sono senza parole», disse Donald avvicinandosi. «Videogiochi. Uau!»
«Già. Abbiamo organizzato tutto per te. Se non ricordo male, ti eri
definito uno spirito disorganizzato. Ma già prima di incontrare Amy, io
avevo compreso che poter disporre di un ufficio ben organizzato è
assolutamente fondamentale per liberare lo spirito creativo. Allora ci siamo
presi la libertà di fornirti tutto quanto ti sarà necessario. Se lo desideri,
potrai usare questo ufficio anche per scrivere le tue cose. Naturalmente
non vorremmo che interferisse con il lavoro che svolgerai per noi, ma se
dovessi essere colto da ispirazione...» Blessing scosse la testa, come se
fosse stato improvvisamente rapito da una musa. «La creatività.
L'ispirazione. Noi qui le adoriamo, Donald. Sono le nostre guide, e dob-
biamo riverirle. Capisci? Riverirle. Troppa gente pensa che gli scrittori non
facciano altro che sedersi, cominciare a inanellare parole e pum! ecco
fatto. Ma non è così!»
«Non potrei essere più d'accordo con te», assicurò Donald. «E inoltre...»
Stava per completare l'espressione del suo pensiero quando all'improvviso
vide qualcosa che lo fece rimanere di stucco. Ordinatamente raccolte tra
due fermalibri di legno a forma di leone, notò una serie di riviste e un
unico romanzo tascabile che gli erano familiari. Riconobbe le pubbli-
cazioni solo dopo un iniziale momento di choc, dopodiché si commosse al
punto da non riuscire più a proferire parola.
«Scrivere è diffìcile», spiegò Blessing. «Occorre tenere sempre
sott'occhio le prove che si è capaci di farlo, non credi?»
«I miei racconti pubblicati!» rise Donald. «Il mio stupido romanzetto
Tramonto oscuro. Li hai tutti!»
«Ti ho detto che sono un collezionista. Ho i miei contatti. Ma devi capire
che sono lì solo per essere consultati. Rimangono miei.» Blessing sorrise
calorosamente. «E spero che durante la tua permanenza qui tu possa
trovare il tempo per autografarli, per Amy e per me. Tutti tranne il
racconto pubblicato da Rage. Mia moglie potrebbe fraintendere», rise.
«Sei così gentile. Grazie! Certo che ve li firmerò», rispose Donald.
Blessing si chinò in avanti e fece scorrere il pollice sulla collezione di
pubblicazioni. Estrasse una rivista ordinatamente stampata, con una
copertina piuttosto rigida, che dava l'impressione di essere una sorta
d'incrocio tra una rivista letteraria e un tascabile di qualità.
«The Tome», mormorò. «Ti hanno pubblicato alcuni racconti e un paio di
poesie», disse come tra sé.
«Sì. E credo siano interessati anche a pubblicare una raccolta di miei
lavori», aggiunse Donald.
«E la loro sede è proprio qui a Baltimora.»
«Sì. Pensavo di farci un salto, uno di questi giorni. Sai, per salutarli, fare
un po' di pubbliche relazioni con gli editor.»
Blessing abbassò gli occhi sulla copertina della rivista.
Sulla copertina spiccava una bella riproduzione di un'incisione in stile
medievale rappresentante Satana in forma di caprone, acquattato al centro
di un pentacolo ornato di Barbie e Ken che copulavano in svariate
posizioni. Il caprone mostrava denti da vampiro finti, indossava occhiali
scuri e un mantello da Dracula in velluto. In una zampa impugnava una
chitarra elettrica. Nell'altra un'enorme canna ganja, la madre di tutti gli
spinelli.
Donald si sentì leggermente a disagio, avvertendo la disapprovazione di
Blessing.
«Questa è la gente che vedo travestita da mostri e vampiri ad alcune
delle convention fantasy a cui partecipo, non è vero?» domandò con tono
mesto.
«Be', per così dire», rispose Donald. «Non sono sicuro che partecipino
alle convention. Ma credo che si possano definire una diramazione dei
Goths.»
«I Goths. Li ho sempre reputati piuttosto inoffensivi. Una sottocultura
per certi versi affascinante, oserei dire.» Blessing prese a sfogliare la
rivista. «Inquietante rock'n'roll inglese. Leziosaggini europee. Strati di
trucco. Arroganza. Pelle. No, non trascuriamo la pelle. E... decadenza. E
questo il termine che cercavo. Decadenza byroniana.»
«È solo un gioco di ruolo.»
«Oh, certo. Ma credo che il problema con la sottocultura americana sia
che non offre sufficiente varietà. Allora i giovani inventano la propria,
affermando la propria individualità attraverso rituali e comportamenti di
gruppo», concluse Blessing, rendendosi conto troppo tardi di essere
passato ad adottare il tono professorale e accademico consueto. «Spero che
paghino; per il materiale pubblicato, intendo.»
«Qualche centesimo a parola.»
«Mmm. Meglio della maggioranza delle riviste letterarie.» Blessing
sembrava intrigato. «Interessante. Potrei farne lo spunto per un articolo,
e...» Stava leggendo il risvolto interno della copertina. «Editore e direttore,
Baxter Brittle.» L'espressione sul volto di Blessing si fece concentrata.
Aggrottò la fronte. «Questo nome non mi è nuovo... Ah, certo. Ho ricevuto
alcune lettere e telefonate da questo individuo. Voleva che gli scrivessi
dell'influenza di Edgar Poe su Aleister Crowley e il paganesimo
contemporaneo. Naturalmente tutto questo è assurdo! Ho cercato di
spiegarglielo in modo garbato. Per tutta risposta mi ha mandato un'ultima,
ingiuriosa lettera, dopodiché non si è più fatto vivo. Grazie a Dio.»
Blessing fu percorso da un brivido. «Questo gruppo di Goths in particolare
ha qualcosa che non mi piace.»
«Che cosa intendi?»
«Mi fanno un po' paura. Certo, so che non ho motivo di temerli. Ma se
vai a incontrarli ti consiglio di fare attenzione. Non c'è nulla di male nello
stringere contatti nel mondo dell'editoria, ma occorre prudenza. Ci sono
dei personaggi molto strani là fuori. Fortunatamente è la mia segretaria a
sbrigare la posta che ricevo dai pazzi sui quali evidentemente esercito una
certa attrattiva, e di conseguenza il mio livello di paranoia è ancora molto
basso. Tuttavia, me ne starei alla larga da questo Baxter Brittle se fossi in
te, Donald.»
Donald alzò le spalle. «Certo non è il motivo per cui sono venuto a
Baltimora.»
«No, infatti», disse Blessing. «Ma ora seguimi e ti mostrerò il mio
sancta sanctorum. Abbiamo ancora qualche minuto prima che sia pronto il
pranzo.»
«Il tuo studio!»
«Sì! Se non sbaglio in una delle tue lettere scrivevi che ti sarebbe
piaciuto vederlo.»
«Sì. È che ho la sensazione... la sensazione che ne rimarrei ispirato.»
«Be', ti ringrazio... a volte vorrei che ispirasse me più di frequente.»
Blessing rise e si avviò in direzione dello studio. Aveva lasciato la copia
del Tome sulla scrivania. Donald la raccolse, grato di aver incontrato
quell'uomo generoso e dal talento sconfinato... ma al tempo stesso
avvertiva una strana rabbia nei suoi confronti.
Bastardo condiscendente! sembrava accusare una voce nel suo
profondo. Io farò quello che voglio qui dentro, e incontrerò chiunque
abbia voglia di incontrare!
Ripose con cura la rivista al suo posto e seguì il suo mentore.

L'ora del vecchio era giunta! Con un grido spalancai la lanterna e


balzai dentro la stanza. Lui lanciò un urlo, un urlo solo.

EDGAR A. POE, Il rumore del cuore

Il corvo volteggiava sopra gli edifici sognanti.


Le nuvole ribollivano davanti alla mezza luna mentre l'oscurità
s'incuneava nelle vie e nei vicoli del quartiere di Baltimora, scorrendo
come dita liquide, toccando e cancellando ogni cosa.
Il corvo sbatté le palpepre, coprendo per un istante i suoi penetranti
occhi marrone quasi neri con pagliuzze rosse.
Descriveva ampi cerchi e fluttuava come una fetta di cielo ritagliata tra
le costellazioni, una porzione di destino sottratta con un colpo di forbice al
tessuto della realtà, smarrita e in cerca di un luogo dove posarsi.
E in basso sotto il suo volteggiare: movimento.
Il vento frusciò accanto alle sue orecchie mentre con un battito di ali
scendeva in picchiata. Si posò in cima ai resti di una vecchia chiesa
diroccata. L'edificio puzzava di guano di piccione, ma il corvo non se ne
curò.
Inclinò la testa, i sensi etereamente acuiti.
Laggiù.
Figure umane.
Si muovevano nell'ombra, loro stessi apparentemente fatti di ombra.
Il corvo si chinò in avanti, come un gargouille, seguendo le figure
mentre vorticavano e ruotavano nel vicolo. Il rumore del coperchio
metallico di un bidone delle spazzatura. Il riso degli ubriachi che
riecheggiava tra i vetri rotti delle finestre.
Una corrente d'aria smosse le nuvole e la luna tornò a mostrarsi,
inondando di serica luce il corvo.
Il volatile gracchiò, allarmato.
«Ehi!» gridò una voce. «E quello che diavolo è?»
«Porta sfortuna.»
Un fischio.
Una lattina vuota scagliata contro la grondaia, poco distante dal punto in
cui si era posato il corvo. Allarmato, lasciando che un antico istinto avesse
la meglio sulla sua indistinta missione, il corvo spiccò di nuovo il volo,
afferrando con le grandi ali l'aria e tirandosi su, facendo leva, riguada-
gnando il cielo, tornando in alto tra le stelle...
... per ora.

«Fottuto parassita volante!» gridò Mick Prince, sbattendo l'una contro


l'altra le mani guantate per liberarle dallo sporco che potevano aver
raccolto.
Con una risata solo per metà cosciente Baxter Brittle guardò il grande
uccello esplodere in volo. Una penna cadde giù oziosamente, sullo sfondo
luminoso della luna. La lattina vuota ricadde sul ciottolato del vicolo,
rotolando fino al piede del Conte Mishka.
«Passa!» disse la figura vestita di pelle nera, gli occhi anneriti dal trucco
e i lunghi capelli attorcigliati attorno al volto affilato. Diede un calcio alla
lattina, indirizzandola verso il Marchese de la Cinque e colpendolo a un
braccio, protetto da una spessa manica nera.
«Ehi! Attento!»
Il Conte Mishka alzò il volto pallido alla luna e rise selvaggiamente.
Scosso dalla propria ilarità barcollò e dovette sostenersi contro un muro
del vicolo per non cadere.
Quel bastardo è messo addirittura peggio di me, pensò Baxter Brittle.
«Un corvo!» ripeté, tornando con gli occhi al cielo. L'uccello era stato
ingoiato dall'oscurità. «Che fastidio ti dà un corvo?»
Mick aveva assunto una postura rigida ed era immobile come una statua.
Aveva i pugni chiusi e portati al petto, come se stesse preparandosi a
eseguire il primo movimento di un'arcana mossa di arti marziali.
Il suo grande cappotto venne gonfiato dalla brezza, come le vele di un
vascello fantasma.
«Io odio i corvi», sussurrò a denti stretti.
L'intensità con cui aveva pronunciato quelle parole era comica! Baxter
sentiva la droga cominciare a sortire il suo pieno effetto e gli sembrò che il
cervello si gonfiasse come una mongolfiera, librandosi verso il cielo per
essere portato dalla brezza e guardare dall'alto quel grandioso scherzo che
chiamavano terra.
Stai tranquillo, si ammonì. Non ti bucare urtando la punta di una stella!
«Avrei voluto avere la mia pistola», si rammaricò Mick. «L'avrei
spazzato via a colpi di piombo da lassù.» Sputava le parole come brandelli
di carne straziata. La sua immobilità era rapimento. La sua presenza
catarsi. Baxter Brittle avvertì all'improvviso la droga scorrergli impetuosa
nel corpo e scaraventarlo attraverso...
Qualcosa.
I detriti della distruzione salirono verso l'alto, più in alto, sempre più in
alto, il cervello che si dipanava in un vortice di coscienza. Si sentiva come
se si stesse librando in aria sulle ali di un corvo, volando oltre i pianeti,
oltre le costellazioni, per entrare nelle volte dell'Olimpo e del Walhalla,
attraverso le vertiginose verande del Cosmo...
E tutto nel delizioso fetore di bucce d'arancia marcescenti, di whisky
gettato nella spazzatura, accompagnato da una colonna sonora dei Nine
Inch Nails.
Sentiva nella bocca il sapore del sangue di un delirante piacere/dolore ed
era squisito, così squisito.
Come il corvo, volava alto, al pulsante battito industriale, al cocktail di
Ecstasy, metadone, morfina e cognac nel suo cervello, ai ritmi del suo
cuore, una martellante colonna sonora. Guardò i membri della gang, i
Vendicatori dei Gothiques, sguinzagliati a Baltimora nell'aria fresca di
inizio autunno, alle tre e mezzo del mattino.
Guidati da Mick, l'Arcidiacono in persona, il Chierico dello Chic.
Gravitando in quel modo attorno alla presenza di Mick, eppure in
qualche modo distaccato, Baxter sentì di poter guardare indietro ai mesi
passati con assoluta lucidità, e vedere la cristallina giustezza iniettata nelle
vene della notte.
Che spirito.
Che spirito oscuro e potente era Mick Prince, regale compagno!
E di parola. Il corpo di quella sventurata ragazza era stato fatto sparire
per sempre. Baxter lo sapeva. Aveva passato al setaccio i giornali per
intere settimane dopo il fatto. Nulla. Zero. La verità era che Baxter non
aveva avuto neppure la più pallida idea di che fare con quel coltello, tanto
meno con il corpo nel cui petto era imprigionato.
Più che una liberazione Mick era stato un dono divino. Esattamente di
quale tenebroso dio, a Baxter non interessava. Sapeva solo che
all'improvviso il Salon era rifornito delle migliori droghe e gli affari al bar
andavano bene al punto da costringerlo ad assumere altro personale,
incluso un gestore. Ora poteva dedicare tutto il tempo e le energie alle at-
tività di scrittore, redattore ed editore. The Tome e la Tome Press
prosperavano come non mai. Il primo libro di nuova pubblicazione era
stato Viti d'odio nelle cornee, una raccolta dei racconti e delle poesie di
Mick che in precedenza aveva così stupidamente rifiutato (Mick stesso
aveva partecipato alle spese di stampa). L'edizione di lusso a tiratura
limitata e illustrata da T.M. Caldwell era andata a ruba e l'edizione
commerciale stava riscuotendo un discreto successo. Concesso, nessun
editore di portata nazionale sembrava intenzionato a richiederne i diritti,
ma Baxter l'aveva previsto e non aveva realmente bisogno di alcun aiuto
esterno.
Il prossimo passo sarebbe comunque stato un tascabile di larga
distribuzione e aveva già stretto un accordo con il Publishers Group East
perché gestisse l'operazione. Mick stava ultimando il suo primo romanzo, e
con i nuovi fondi provenienti dagli impegni editoriali in crescita, Baxter
avrebbe potuto pubblicare altre pregevoli opere.
Ora che la Tome Press aveva steso un vero e proprio piano di uscite, le
librerie specializzate in opere di piccoli editori erano meglio disposte nei
suoi confronti, mettevano in mostra sugli scaffali anche buona parte del
catalogo di opere già pubblicate e alcune cominciavano addirittura a paga-
re puntualmente! Si era adoperato perché le sue pubblicazioni entrassero a
far parte del catalogo on-line di Amazon.com e dei siti web delle principali
catene di librerie, e ora cominciavano a comparire recensioni e articoletti
nei giornali universitari e nelle riviste alternative.
Inoltre, ora poteva dedicarsi al suo passatempo preferito in assoluto.
Bisboccia e casino, Belzebù!
Ah, che serate fantastiche avevano trascorso nello scantinato. Niente più
ragazze scappate di casa e ritrovate nude e morte, quello no. Ma tante altre
cose divertenti e stimolanti. Mick aveva introdotto strani (e piuttosti
schifosi) riti basati sul Golden Dawn. Dapprima erano stati piuttosto diffi-
cili da accettare. Già. Aveva cominciato con qualche pollo. Poi i conigli,
un maiale ogni tanto, e ora capre e pecore. C'era stato qualche incidente di
percorso, inutile negarlo, ma quali che fossero le parole pronunciate da
Mick mentre tagliava e squarciava, indubbiamente contribuivano in manie-
ra determinante alla buona sorte del Tome, del Cork'd Sailor e della vita in
generale.
Angeli delle tenebre!
Ritrovare quel giovane corpo nudo al risveglio dopo una mastodontica
sbornia era stato come toccare il fondo nella sua vita. (E che spreco, si era
detto poi. La ragazzina era stata proprio un bella fichetta.)
Ora si inarcava sempre più verso l'apice.
E che viaggio!
«Baxter!» ringhiò Mick.
Baxter Brittle, barcollante e assorto nella sua trance, riuscì a recuperare
in parte conoscenza e a ricompattare la sua rigonfia materia grigia nel
cranio.
«Eccomi!»
Baxter si voltò a guardare Prince e sbatté le palpebre. Il volto forte e
marcato dell'uomo era spaventoso nell'espressione che aveva assunto.
Aveva gli occhi sgranati. Vene gli pulsavano a entrambe le tempie.
Digrignava rumorosamente i denti. I tendini del collo erano tesi e in
rilievo. Senza alcun preavviso la sua mano destra sfrecciò in avanti e
afferrò Baxter per il bavero, portandolo a tiro del suo alito pesante di aglio
e sigarette francesi.
«Lo sento. Lo sento nell'aria. È vicino, Baxter.» Anche solo al chiaro di
luna e al bagliore dei lampioni Baxter vide che gli occhi di Mick erano
iniettati di sangue.
«Il Nemico, Mick» gridò il Conte Mishka.
«Avverto la sua presenza. Vorrebbe divorare la mia anima. Ma sarò io
per primo a strappargli il cuore. Glielo addenterò e ne masticherò i
ventricoli, poi lo risputerò nella polvere. Dovrò accertarmi che il suo
spirito venga ridotto in brandelli e affondi negli inferi del creato.»
A un tratto Baxter ricordò.
Già, era quello il motivo per cui era uscito in città nel cuore della notte.
Stavano oziando nello scantinato, le menti devastate dalle droghe e
dall'alcol, le casse dello stereo tuonanti di Usherhouse e Sleep Chamber,
quando Mick si era tirato su e aveva gridato: «È là fuori!»
Naturalmente si riferiva a lui, il Nemico. L'Anti-Mick. Che l'ossessione
di Mick fosse o meno una costruzione mentale, c'era effettivamente
qualcosa là fuori che lo turbava profondamente. Che lo seguiva. Che lo
portava a giurare che l'avrebbe distrutto prima di diventare sua vittima.
Non c'era nulla di male in un tocco di paranoia, naturalmente. Baxter
Brittle ne era sempre stato convinto, anche nei giorni dell'idealismo prima
di quella Brutta Cosa capitata ai suoi genitori (gliel'aveva detto di
comprare gomme nuove, ne era sicuro); anche a non essere paranoici, non
significava necessariamente che non ci fossero persone là fuori che vole-
vano fotterti. Ma Mick... Cristo, Mick a volte sembrava impazzire, andava
completamente fuori di testa quando avvertiva quella presenza...
«È per questo che sono venuto qui», aveva ammesso una volta, uno
sguardo selvaggio negli occhi. «È tutta la vita che avverto la sua presenza.
È tutta la vita che fuggo. Non so chi sia o che cosa sia. Sono stanco di
fuggire. Ho deciso di prendere in mano la situazione. Sono qui e lo
distruggerò quel bastardo! Lo affronterò. È il muro che devo sfondare. Per
giungere al mio destino. Capisci, Baxter? E tu mi aiuterai. Mi capisci,
vero?»
Baxter capiva, come no. Capiva che quando Mick era contento tutto
andava bene. Quando Mick non era contento, le cose diventavano spinose.
E così quando Mick decideva che era ora di fare un'uscita, di avventurarsi
in un'esoterica battuta di caccia notturna, lasciandosi trasportare dai sogni
alimentati dalle droghe, Baxter Brittle riteneva più saggio assecondarlo.
«Là!» ansimò Mick, puntando un indice dall'altra parte della strada.
«Laggiù, vicino alle rovine di quel castello. Lo sento. Avanti, miei prodi
cavalieri delle tenebre!»
Gonfiando quel suo grande cappotto balzò in avanti e cominciò ad
attraversare la strada.
Baxter fece cenno ai membri della gang di seguire il loro Principe,
sperando che non accadesse nulla di strano. Sentiva l'effetto della droga
cominciare a scemare, lasciandosi dietro l'inizio di un forte mal di testa ed
era sprovvisto dei medicamenti necessari per garantirsi un attcrraggio
morbido. Be', ora la facciamo finita con questa storia e me ne torno alla
mia pipetta d'oppio, si rincuorò.
Con sbalorditiva rapidità Mick era scattato sul lato opposto della via e
ora strisciava furtivamente contro un muro di mattoni, un'ombra che si
fondeva con il buio della notte.
Affaticati e ansimanti, Baxter e gli altri si ritrovarono all'imbocco del
vicolo.
Cercarono di scrutare nell'oscurità. Baxter cominciò ad avvertire una
certa apprensione, che sembrava risalirgli la spina dorsale come un grosso
ragno. C'era qualcosa che non andava lì. Qualcosa di sbagliato.
«Ecco!» gridò l'inconfondibile voce rauca di Mick. «Venite!»
Udirono un rumore di scatoloni e uno svolazzare di giornali.
«Sei tu!» La voce si era fatta più dura, come venata da schegge di vetro.
«Ti ho trovato!»
Comparve il fascio di luce di una torcia elettrica. Avanzò lungo il vicolo,
cercando, oscillando, per poi fermarsi. Un grugnito, seguito dal rumore di
lattine e bottiglie sull'asfalto.
Una voce sonnacchiosa da un cumulo di rifiuti: «Ehi! Sto solo cercando
di dormire. Cazzo. Lasciatemi stare!»
«Vuoi dormire?» gridò Mick. «MacDuff ha assassinato il sonno!»
«Ma che...»
«Mi hai perseguitato a sufficienza, sporco cane bastardo. Torna nell'Ade,
dal quale sei venuto.»
Baxter e gli altri erano ora giunti vicini abbastanza da vedere che cosa
stava accadendo. Mick puntava una torcia elettrica tra l'asfalto e il muro in
fondo al vicolo, dove c'era un cumulo di scatoloni di cartone.
Raggomitolato tra stracci e giornali Baxter vide un barbone con un pesante
cappotto e una lunga barba, uguale agli innumerevoli altri senzatetto che
gli era capitato di incrociare per la strada nella sua vita. Cristo, perché non
li trasferivano tutti a Washington, dove si sarebbero trovati insieme con gli
altri della loro razza?
«Che cazzo stai dicendo?» domandò l'uomo, catarroso e puzzolente. Si
alzò in piedi, lasciando cadere una bottiglia vuota di liquore.
«Mick», chiamò Baxter. «È solo un barbone.»
Troppo tardi.
Mick fece un passo in avanti e sferrò un calcio.
Le punte degli stivali neri alti fino alla coscia di Mick brillarono
argentee, la luce danzante della torcia riflessa dai rinforzi metallici.
Un colpo violento, che mozzò il fiato alla vittima.
Il barbone si piegò in due, ansimò e poi vomitò di getto nel vicolo.
Vino, bile e pane in corso di digestione...
... e sangue.
Qualcosa scattò nella testa di Baxter. Avanzò e prese Mick per un
braccio.
«Ehi, amico! Calmati!»
Mick lo spinse all'indietro, indicando l'uomo a terra. «Vedi? Tenta di
sputarmi addosso il suo veleno! Non sottovalutare l'astuzia del Nemico!
Ora mi devi aiutare. Aiutare a rimuovere il mio Nemico. Tieni!»
Passò a Baxter la torcia.
Poi, dalle pieghe del cappotto estrasse qualcosa. Qualcosa che brillava in
modo più netto e definito nell'incerta luce della torcia.
Un coltello a scatto nero, dalla lama lunga almeno venti centimetri.
Prima che Baxter riuscisse a pronunciare anche una sola parola, il
coltello balenò nella mano di Mick, affondando, facendo scempio di carne
viva. Il barbone riuscì a emettere un solo lamento gorgogliante prima che i
fiotti di sangue rosso gli esplodessero dal collo e dal torso.
Mick indietreggiò, la lama e le mani grondanti di sangue.
Il barbone tremava, spruzzava sangue e cadeva in preda a convulsioni.
Mick si voltò a guardare i membri della gang. «Ora datemi prova della
vostra lealtà e fedeltà verso di me. Date inizio al suo viaggio. Calpestatelo,
prendetelo a calci con furia tale da scaraventarlo all'altro lato dell'aldilà,
per non fare mai più ritorno.»
«Mick... Mick...» implorò Baxter, la testa presa in un vortice, la realtà
che sembrava sfracellarsi davanti ai suoi occhi. «Non posso...»
«Certo, Mick», rispose il Conte Mishka.
«Eccomi», lo affiancò il Marchese.
Si fecero avanti e cominciarono una macabra partita di calcio con la
testa sanguinolenta del barbone.
Baxter non riusciva a muoversi. Era impietrito.
«Che c'è?» domandò Mick. «Che cazzo hai?» La lama del coltello a
scatto fendette l'aria, spruzzando gocce di sangue su Baxter. «Fallo.
Fallo!»
La paura affondò i suoi aculei nelle viscere di Baxter. Voleva scappare,
lasciarsi alle spalle quella follia, quella sconfinata follia.
Ma non osava. Sapeva che Mick Prince non avrebbe esitato ad
affondargli quello stesso coltello nella schiena. Baxter ebbe l'impressione
di sentire già la lama, calda di sangue, toccargli la spina dorsale...
Facendogli spazio, fissandolo di sbieco alla luce della torcia, il Conte e il
Marchese si spostarono a lato.
Separando la sanità mentale dal resto di sé, Baxter permise al proprio
corpo di fare un passo in avanti e dare un calcio al corpo prostrato.
Era cedevole, e perdette altro sangue. Carne morta.
Baxter indietreggiò. «Dall'altra parte dell'aldilà, Mick. Uno stronzo
perso per sempre nell'oblio», trovò la forza di dire.
Mick grugnì. «Bastardo!» gridò. Sputò sull'uomo appena ucciso. Poi
fece un passo indietro, inspirando vittoriosamente a pieni polmoni. «Sì!
Sono libero! Finalmente libero! Libero!»
Silenzio.
Una pausa di silenzio e riflessione, rotta solo per un istante da quello che
sembrò un battito d'ali.
«Dammi la torcia!» ordinò Mick.
Baxter gliela passò. Mick la prese e la indirizzò sull'ammasso
sanguinante in fondo al vicolo.
Mick sospirò, disgustato.
«Ingannato!» disse «Mi ha ingannato!»
«Come sarebbe?»
Mick alzò le spalle. «Non è lui. Non è il Nemico.» Sferrò un pugno
nell'aria. «Ma ti prenderò, bastardo!» Si voltò. «Forza, andiamo. Ho
bisogno di bere.»
Si allontanò a lunghe falcate.
Ridendo, il Conte e il Marchese lo seguirono.
Baxter, stravolto e sgomento, non poté fare altro che seguirli.
Nel cielo sopra di lui gli sembrò di udire soffici battiti di ali, ma non osò
guardare verso il cielo della notte, che andava di nuovo scurendosi.

Solo vivevo
In un mondo d'affanni.

EDGAR A. POE, «Eulalie»

... Il delicato battito di ali nel cielo della notte...


Via dal vicolo, lontano vola il corvo.
Vola verso il porto, dove brillano le luci delle imbarcazioni. Dal mare
giunge la nebbia, densa, avanzando su peduncoli catarrosi, e sa di mare, sa
di pesci morti.
... Il delicato battito di ali nel cielo diurno...
Il corvo vira e gracchia, volando verso un nuovo appuntamento,
scendendo in picchiata alla luce del sole. Si posa su un comignolo in cima
a un tetto, sopra la strada dalla quale si leva l'odore del catrame.
Segue con lo sguardo l'uomo che si chiama Marquette mentre entra nel
bar noto come il Cork'd Sailor. Batte le palpebre e monta solitario di
guardia. Il sole tramonta, le stelle si accendono. Il traffico ringhia e si
contorce nelle strade, risate e musica crescono e scemano d'intensità.
Quando la luna piena cala, al fondo della notte, lo scrittore conosciuto
con il nome di Marquette lascia il Sailor, libri sotto il braccio...
... barcollando quasi impercettibilmente.
Il corvo gracchia e si lancia verso lo spazio tra le stelle.
... Il delicato battito di ali nel cielo d'estate...
Il corvo vira e piomba verso il basso.
L'uccello nero passa in volo accanto al monumento a Washington, oltre
la Johns Hopkins University, attraverso il profumo delle bancarelle dei
venditori di hot dog e pretzel e il fruscio delle fronde delle querce.
Si abbassa e si posa sul tetto di una casa a schiera. Guarda giù verso il
balcone, sul quale è sistemato un tavolo. Il giovane scrittore di nome
Marquette e Amy Blessing siedono l'uno di fronte all'altra, mangiano
insalata e bevono vino. Parlano animatamente per qualche minuto. Poi la
ragazza ride e allunga una mano sul tavolo a toccare quella del giovane
scrittore. Lui gliela stringe, sorride, poi la lascia.
L'uccello gracchia e con un balzo si lancia verso lo spazio tra le nuvole,
muovendosi in avanti, sfrecciando in avanti...
... Il delicato battito di ali nel cielo d'autunno...
Gli edifici della Johns Hopkins University si stagliano verso l'alto,
venerabili e massicci, sopra le foglie che si vanno tingendo. Una corrente
fresca trasporta il corvo, rallentandone la discesa verso il marciapiede.
Lì, avvolto in un cardigan, con una grossa valigetta in mano e la pipa
stretta tra i denti, cammina l'uomo noto come il professor Blessing.
Il corvo plana e si posa sulla panchina di un giardinetto, inclinando la
testa e fissando con un occhio marrone il professore.
Il professore si blocca e guarda attentamente il corvo.
«Tu!» esclama il professore, fermandosi.
Il corvo rimane in silenzio.
«Tu sei quello che bazzica nei paraggi di casa mia, non è vero? Fin dalla
primavera scorsa.»
Il corvo rimane in silenzio.
«Be', posso solo ringraziare che tu non sia un corvo imperiale come
quello della poesia di Poe!» Ride e scuote la testa. Estrae dalla valigetta un
sacchetto di patatine metà vuoto. Il corvo inclina di nuovo la testa, quasi a
formulare una domanda.
«D'accordo, ammetto di avere dei brutti vizi. Ascolta, facciamo un patto.
Ti lascio tutte le patatine rimaste e in cambio tu non dici nulla a mia
moglie. Okay?»
Vuota il sacchetto sul marciapiede.
Il corvo le guarda per un attimo.
Poi salta giù dalla panchina e comincia a mangiare.
«Sai, se fossi superstizioso avrei l'impressione che tu stia cercando di
dirmi qualcosa, corvo. Sei un simbolo mitologico, lo sapevi?» Si piegò le
braccia sul petto. «Be', se non altro non sembri intenzionato a uccidermi.
Se avessi voluto farlo, mi avresti beccato le mani quando ero aggrappato
alla grondaia del mio tetto come uno stupido, no? Che dici, corvo?»
Il corvo non dice nulla. Si limita a mangiare un'altra patatina.
Non è ancora il momento.
«Bene. Ti auguro una buona giornata, amico. Spero che la tua vita sia
splendida quanto la mia.»
Ridendo, il professore si volta e riprende fischiettando il cammino verso
casa.
Il corvo continua a mangiare patatine finché l'uomo scompare dietro
l'angolo.
A quel punto spicca di nuovo il volo verso lo spazio tra le spire
vittoriane della Johns Hopkins University.
... Il delicato battito di ali nell'aria d'inverno...
Cala la notte in un gennaio imbiancato dalla neve. I cristalli di ghiaccio
luccicano alla luce dei lampioni. Dalle bancarelle dei venditori ambulanti
si leva il profumo di caldarroste.
Il corvo vola verso una casa a schiera. Una luce calda si diffonde da una
delle finestre. L'uccello nero plana sul davanzale.
All'interno, in un ampio ufficio, ci sono tre persone: il professor
Blessing, Donald Marquette e Amy Blessing.
Stanno parlando.
Il corvo li guarda, concentrato.
... Il delicato battito di ali nell'aria dell'oltretomba...
Presto.
Presto.

10

E i viaggiatori, ora, in quella valle,


Attraverso le finestre di rosso illuminate intravedono
Vaste forme che si muovono fantastiche
Al ritmo di una dissonante melodia,
Mentre, come un lugubre fiume in piena,
Dal cereo portale irrompe
Per sempre un'orrida folla
Che ride, ma non sorride mai più.

EDGAR A. POE, «Il palazzo stregato»

Il pugno si abbatté sul volto dell'uomo. Mick Prince udì il rumore di


denti che si spezzavano. Uno schizzo di sangue e saliva. La testa dell'uomo
venne frustata all'indietro e la sedia di legno alla quale era legato si inclinò,
scricchiolando, poi ricadde a terra con un tonfo. L'uomo immobilizzato si
piangeva e si lamentava. Mick sentiva l'odore del suo sudore, ne avvertiva
il dolore e la paura. Le sue narici si dilatarono per inebriarsi di quelle
sensazioni.
Tuttavia, erano periferiche rispetto al fulcro della sua attenzione. Era
concentrato sull'uomo con il pugno di ferro. Il torturatore. C'era qualcosa
in lui...
Un uomo di colore che indossava un abito italiano alzò la mano. Il
torturatore dalle nocche d'ottone fece un passo indietro, permettendo
all'elegantone di chinarsi sul prigioniero, attento a non sporcarsi di sangue
il vestito.
«Allora, pagliaccio. Ho sentito dire che hai intenzione di cambiare
campo.»
Si trovavano in un magazzino abbandonato. All'esterno era calata la
notte, come un'imbottitura protettiva. Un radiolone sputava fuori attraverso
gli altoparlanti l'ultimo gangsta rap californiano dei Mack 10, accanto agli
altri cinque membri della gang che facevano da pubblico. Mick si era
domandato perché l'avessero portato lì. Ora lo sapeva.
Gli occhi del pagliaccio erano quasi fuori dalle orbite, lividi di dolore. Il
suo volto aveva già cominciato a gonfiarsi. «Merda, sono bugie, Cobra!»
«Ah, sì?» Il longilineo uomo dai capelli rasati che indossava l'abito
italiano tornò a posizionarsi accanto al tavolo che era stato sistemato al
centro del magazzino. Estrasse dal secchiello di ghiaccio una bottiglia da
settanta centilitri di liquore di malto Cobra e versò il liquido ambrato in
due bicchieri da vino a gambo lungo. Ne passò uno a Mick. Mick
detestava quella roba, ma accettò comunque il bicchiere. Se vuoi fare affari
con qualcuno, devi bere quello che beve lui. «Sai una cosa, pagliaccio?
Potrebbe anche essere vero. Ma potrebbe anche non essere vero. I soldi,
amico... i soldi hanno la capacità di mandare a puttane il cervello di un
uomo. Sono capaci di fargli dimenticare il sangue del suo sangue.»
«Io non ti ho dimenticato, fratello!» protestò l'uomo legato alla sedia.
«Siamo amici da una vita.»
«Già. Da una vita. Ed è per questo che non ti ammazzo.»
L'uomo piagnucolò, quasi un espressione di sollievo.
«Mi limiterò a scassarti un po'.» Si voltò a guardare un imponente uomo
bianco. «Theodore. Fagli assaggiare ancora un po' di metallo, per favore.»
Pronunciato l'ordine, si portò con indifferenza il bicchiere alle labbra e
fece un sorso.
Theodore avanzò.
Mick pensò che doveva avere tra i venti e i trent'anni, ma il suo volto
portava le tracce di una lunga vita già vissuta. Era un volto che dimostrava
quarant'anni. L'uomo aveva l'aria di essere un ex marine, il tipico biondo
dalla scorza dura. Indossava pantaloni di tela neri fermati da una cintura
alla vita stretta e una maglietta traforata che metteva in risalto addominali
duri come le pietra, un torace da sollevatore di pesi e massicci bicipiti e
tricipiti. Deve aver tenuto fede agli allenamenti quotidiani iniziati in
prigione, pensò Mick.
L'uomo sembrava di origine nordica. Probabilmente da ragazzo era
somigliante in tutto e per tutto agli ariani le cui fotografie servivano a
Hitler per farsi le seghe. Ma ora aveva un aspetto più saggio e indurito. Era
un professionista di lunga esperienza. Eppure i suoi occhi non erano
annebbiati. Brillavano d'intelligenza. Non sembravano trarre particolare
godimento dal compito che stava portando a termine.
Theodore alzò il pugno rinforzato dal metallo e lo affondò nell'addome
dell'uomo. La vittima si piegò in due. Tossì, sputando sangue, ansimò e
lottò per respirare. Theodore caricò di nuovo il pugno, chiaramente
intenzionato ad assestare un colpo al volto. Sull'altro lato, stavolta.
«No!» urlò la vittima. «Basta! Okay, okay, ho venduto un paio di panetti
per i fatti miei. Merda! Ma è stato DelRoy... È stato DelRoy a spiegarmi
come avrei potuto fare. DelRoy è sul libro paga dei D.C. Crips!»
«Porca puttana!» Uno dei giovani vestiti con larghi pantaloni a cavallo
basso, felpe troppo grandi di quattro misure e voluminose scarpe da tennis
con la linguetta sollevata fece un passo indietro ed estrasse una pistola. «Io
non mi faccio spaccare la faccia, cazzo! Tutti fermi, stronzi! Non muovete
neppure un pelo di culo, o vi riempio di buchi, lo giuro. Bastardi figli di
puttana!»
«DelRoy, amico mio. Avevo dei sospetti su di te», confessò l'elegantone.
«Merda, ma che ti è saltato in mente? Perché l'hai fatto?» L'elegantone
sembrava calmo, come se episodi simili si ripetessero ogni giorno.
Mick, al contrario, sprizzava adrenalina da tutti i pori. Voleva solo
stringere un accordo con la gang a vantaggio della Tome Press, e non farsi
crivellare le budelle per una scaramuccia intestina.
«Perché stai andando fuori di testa, cazzo! Sei pieno di merda. Stai
reclutando stronzi bianchi, uomini delle mafia. Cristo, sto pensando
seriamente di alzare le mie chiappe nere e andarmene da Baltimora. Voglio
andare a Miami. Io non ho fatto niente per danneggiarti. Quindi lasciami
andare, cazzo, e lasciami...»
Il colpo di pistola riecheggiò nel magazzino.
Un grosso buco comparve al centro della fronte del ribelle nero. Dal lato
opposto della testa schizzarono fuori schegge di cranio, cervella e sangue,
accompagnate da una fine foschia rossa che andò a posarsi sul pavimento
cosparso di segatura. La pistola semiautomatica che aveva impugnato gli
cadde a terra dalle dita con un rumore metallico. Le gambe del ragazzo di
colore cedettero e si accartocciò all'indietro. La scarpa da tennis si staccò
da uno di suoi piedi, scosso da uno spasmo.
Mick si voltò di scatto.
Theodore stava in piedi immobile con una Coonan .357 Magnum
fumante nella mano sinistra.
«Sono ambidestro», spiegò.
«Bel colpo, cazzo!» L'elegantone sorrise e poi si abbandonò a una risata
di sollievo. «Sei caro, amico. Ma vali quello che costi.»
Tornò ad avvicinarsi al tavolo, tirò fuori la bottiglia dal secchiello.
«'Fanculo.» Scagliò lontano il bicchiere, che si infranse contro una parete.
Afferrò la bottiglia per il collo e tracannò qualche sorso. Quando ebbe
finito, la offrì a Mick.
«No, grazie. Sono a posto così», disse Mick, mostrandogli il bicchiere
da vino ancora mezzo pieno.
Cobra scrollò le spalle e tirò fuori una bottiglia nuova. «Immagino che
tu non sia qui per vederti puntare addosso una pistola. Ti sei spaventato,
eh?»
«Io non mi spavento.»
«Di che sei fatto? Di pietra? Vi presento Clint Eastwood.»
«Il cavaliere senza nome.»
«Già, è per questo che non incido nomi sui miei proiettili. Merda, voi
bianchi dovete sempre dimostrare quanto li avete grossi. Come li
chiamano i nostri fratelli latini? Cojones? Huevos?» Fece ancora un sorso
di liquore di malto, poi rivolse un cenno della testa agli altri. I membri
della gang si avvicinarono e presero dal secchiello le bottiglie rimanenti,
palesemente scossi nonostante i volti da malavitosi. «Allora, signor
Eastwood, che cosa vuoi dal Cobra?»
«Pace, fratello. Proprio come recita la vecchia canzone. Vedi, sto
meditando un avanzamento di carriera, essendomi da poco trasferito nella
tua bella città. Il gruppo con il quale lavoro si sta espandendo e ha
intrapreso un piccolo traffico di droghe leggere. Ho saputo che sei tu
l'uomo di riferimento a Baltimora, allora sono venuto a porgerti i miei
doverosi rispetti.»
«Ci hai azzeccato, e mi è piaciuto il modo in cui l'hai detto. Sei onesto,
ma che cos'è questo gruppo di cui parli?»
«Una società nata da poco, attiva nel campo dell'intrattenimento. Una
piccola casa editrice. Riviste. Libri. In futuro anche musica e film.»
«Ma che stai dicendo?» Il boss scosse la testa, come per schiarirsi
l'udito. «Che genere di riviste? E che libri? Non stai parlando di quei
giornali porno con foto di ragazzine e ragazzini, vero?»
Mick dovette dare fondo a tutto il suo autocontrollo per trattenersi dal
ridere. «No», rispose pazientemente. «Il nostro genere è il Dark Fantasy.»
«E che roba è?»
«Sai, libri dell'orrore, come quelli di Stephen King. Vampiri. Romanzi
noir.»
«Che storia!» esclamò Theodore, benché nessuno l'avesse coinvolto
nella conversazione.
Mick si voltò a guardarlo.
L'omone stava ridendo. Sul suo ampio volto il sorriso produceva uno
strano effetto.
«Mi stai prendendo per il culo, vero?» domandò Cobra. «In realtà è una
copertura per un traffico di pornografia a droga, l'ho capito. Ma non è un
problema. Possiamo trovare un accordo.»
Mick fece un nuovo tentativo. «Sì, trattiamo un po' di roba per
arrotondare, ma solo per qualche circolo riservato, o come favore
personale per rendere più interessante qualche festa. Fondamentalmente
l'attività della società è legittima e pulita, e offre buone possibilità di far
girare parecchi contanti, riciclare fondi sporchi e nasconderli dagli agenti
federali. E quando avremo ingranato faremo il salto di qualità nello show
business: musica e film.»
«Una casa discografica con un nome tipo Braccio della morte posso
concepirla, ma occuparsi di libri, cazzo», disse Cobra scuotendo la testa.
«Non c'è guadagno nei libri, a meno che non siano svuotati per contenere
qualcos'altro.»
«Capisco il tuo punto di vista, ma come disse il buon reverendo, io ho un
sogno. Credo ci siano ottime potenzialità di crescita nel settore, che
nessuno ha ancora avuto la lungimiranza di sfruttare.» Sorrise. «E la cosa
migliore è che non ci vedrai in giro armati per le strade a sparare alla
gente.» Accennò un ghigno. «La nostra è un'operazione pacifica. E
interamente legale.» Si batté leggermente il petto. «A parte il ramo di affari
di cui mi occupo io. Ed è per questo che sono qui.»
Cobra alzò le spalle. «Mmm. L'idea di riciclare denaro sporco è
interessante.» Indicò il ribelle ucciso. «Ma devi ricordarti una cosa: io non
prendo merda da nessuno.»
«Mi piaci così», rispose sorridendo Mick.
«D'accordo Clint, amico mio. Ne parleremo. Vieni nel mio ufficio.
Domani. 'Round Midnight, come dice il pezzo di Thelonius Monk.»
«Cobra!» chiamò l'uomo legato alla sedia. «Ehi, capo. Mi lasci andare
adesso, vero?»
Cobra alzò un dito e lo mostrò a Theodore.
Theodore si tolse il pugno di ferro.
Poi si passò la pistola nella mano destra, prese la mira e fece fuoco.
La pallottola centrò con un tonfo il cuore della vittima, attraversandolo e
sfondando lo schienale della sedia. Schegge di legno e carne lacerata
ricaddero a terra.
«Ecco», tagliò corto Cobra. «Vattene pure.» Si voltò verso gli altri, che
lo fissavano tentando di non lasciarsi turbare oltremodo dall'improvvisa
carneficina. «Ragazzi, a quanto pare abbiamo per le mani i resti umani di
una sparatoria da marciapiede tra gang.» Fece schioccare le dita. «Portate
via questi traditori, sistemateli nel punto giusto e magari si guadagneranno
il servizio di apertura del telegiornale delle sei di domani sera. Le loro
mamme ne saranno orgogliose.»
Mick assistette imperturbabile alla scena, senza reagire in alcun modo.
Era interessante osservare senza partecipare. A Mick non dispiaceva
affatto.
Cobra gli diede una pacca sulla spalla. «Ci vediamo, Clint.» Agitò la
mano in direzione del suo sicario personale, Theodore, che ripose la pistola
nella fondina e seguì verso l'uscita il suo datore di lavoro.
Ma l'omone sostò per un attimo accanto a Mick.
«Horror, eh?»
«Sì.»
«Mi piacciono i libri horror. E i film dell'orrore. Anche i gialli e i noir.
Sai, con il lavoro che faccio...» Alzò le spalle. «Mi aiutano a rilassarmi.»
«Lo so.»
«Magari possiamo andare a farci una birra assieme, o qualcosa del
genere. Dopo l'ora di Thelonius Monk, chiaramente.»
«Vuoi scambiare qualche tascabile?»
«Sì. Perché no.»
Mick alzò le spalle. «Non c'era niente di meglio da fare in carcere per
passare il tempo.»
«Anche per me è stato così.»
Mick annuì. «D'accordo.»
L'uomo dal fisico imponente e muscoloso annuì e fece uno strano
sorriso.
Poi inseguì a lunghe falcate Cobra.
Mick si controllò i pantaloni e le scarpe per accertarsi di non essere stato
colpito da schizzi di sangue. Quindi si avviò con fare rilassato verso l'altra
uscita del magazzino abbandonato. I libri, pensò. Incredibile come aiutano
la gente a conoscersi.

11

Presumo che tutti voi abbiate sentito parlare di me. Sono la Signora
Psyche Zenobia. Questo lo so per certo. Solo i miei nemici mi chiamano
Suky Snobbs.

EDGAR A. POE, Come scrivere un articolo alla Blackwood

«Questa è la cosa più ridicola che abbia mai letto in vita mia!»
Il professor William Blessing fissò la lettera e le diede un colpo con il
dorso della mano, come a tentare di renderla sensata con la forza.
«A dire il vero, caro, Donald me ne ha parlato», disse Amy, sorridendo
amabilmente. «E io penso che... Be', che sia invece un'idea piuttosto
interessante.» Rise, con birichina gaiezza. «Certo, ammetto di non essere
imparziale, essendo stata chiamata in causa personalmente...»
Blessing alzò gli occhi a guardare Marquette. Anche il suo assistente e
pupillo sorrideva, ma sembrava a disagio. «Vuoi farmi il favore di dirmi
esattamente che ruolo hai avuto in questa storia, Donald? So che sei in
contatto con questa gente. E loro evidentemente sanno che tu sei in
contatto con me... ma sono comunque confuso.»
«Ehm... Bill... forse non l'hai letta con attenzione», azzardò Donald. «Io
ho solo dato una scorsa alla copia di Amy. Forse se la leggi di nuovo...»
«D'accordo», concesse Blessing. Aveva degli strani presentimenti sul
conto di Donald, e quella lettera non faceva che rafforzarli. Tuttavia, lui
stesso, come spesso gli rimproverava Amy, aveva la tendenza a perdere le
staffe.
Un respiro profondo.
Due.
«Molto bene», disse, gonfiando tutto il suo piumaggio professorale per
non dare segni di debolezza o irritazione. «Allora credo che la cosa
migliore sia leggerla ad alta voce, non trovate?»
«Ottima idea, Bill», concordò Amy. Si avvicinò a lui con un saltello e lo
cinse allegramente con un braccio. «E ricordati che hai sempre promesso
che mi avresti aiutata a diventare famosa.»
«Famosa!» Ebbe l'impulso di esclamare «Stupidaggini», ma si trattenne.
Invece di commentare oltre, allungò un braccio sulla superficie della sua
scrivania e ne raccolse una delle numerose paia di occhiali da lettura che
aveva disseminato per la casa, li inforcò, rassettò la lettera e cominciò a
leggere:

Caro dottor Blessing,


sono certo che lei abbia sentito parlare di me, o almeno della collana di
libri di cui sono il curatore. Mi chiamo Roscoe Mithers.
Sì! Proprio il Roscoe Mithers curatore della collana Tramonto oscuro per
la casa editrice Paperback Gems. Certo! Basata naturalmente sulla serie di
telefilm e film (che indubbiamente lei segue, data l'influenza che ne
riscontro nel suo più che eccellente lavoro, benché in tutta onestà ritengo
che lei debba osservare più da vicino i vampiri di Tramonto oscuro per
imparare qualcosa di più su questa particolare creatura della notte!) e
presenza fissa nelle classifiche dei libri più venduti compilate da Walden e
B. Dalton, spalla a spalla con le sue degne opere.
Uno dei nostri autori, Donald Marquette (I fiori della tortura, numero
ventuno dalla collana Estremo tramonto oscuro), mi ha informato che non
solo è suo allievo in materia di letteratura gotica e dell'occulto, ma che sta
collaborando con lei in qualità di assistente alla compilazione di
un'antologia di maestri dell'orrore.
Come lei indubbiamente sa, la serie televisiva Tramonto oscuro e le sue
diramazioni Alba oscura, Aurora del giorno oscuro e Ricardo il vampiro,
insieme con i film di cassetta a esse ispirate, ha avuto il ruolo di mantenere
in vita l'horror agli occhi del mondo. Come avrebbe fatto altrimenti la sua
ben meritata popolarità a trovare il pubblico giusto?
Naturalmente lei è stata una delle prime persone a cui ho pensato quando
siamo riusciti a convincere gli Oscuri Poteri che ci governano (ha ha) della
potenziale efficacia di questo progetto: l'Antologia del tramonto oscuro.
Si tratterebbe di uno spesso volume tascabile (inevitabilmente destinato
ad andare a ruba tra i club di lettori e dunque a vedere la pubblicazione in
versione con copertina rigida) contenente racconti originali basati sui
personaggi più popolari della serie: Rupert lo Zombie, Hilda la Strega e,
naturalmente, Ricardo il Vampiro.
Saremmo entusiasti se lei volesse scrivere un racconto per l'antologia. In
verità ho già ventilato agli Oscuri Poteri la possibilità che, nel caso lei
accettasse, potrebbe volerlo ambientare nell'universo di uno dei suoi
romanzi. (Come se Stephen King raccontasse di una visita di Ricardo a
Castle Rock, no?)
Naturalmente siamo in attesa di un racconto anche da parte di Donald.
Inoltre, mi ha informato che lei ha una affascinante moglie a sua volta
impegnata nella fiction. Accetteremmo volentieri anche un suo contributo.
Oppure, poiché sappiamo che lei è un uomo molto impegnato,
un'eventuale collaborazione!
Noi di Tramonto oscuro siamo sempre stupiti dal fascino che la serie
esercita su milioni di lettori e telespettatori. Proprio la scorsa settimana mi
trovavo a una convention organizzata da Tramonto oscuro e ancora una
volta ho avuto modo di verificare con stupore quanto efficacemente il
fenomeno incarni la fruizione della tradizione della letteratura gotica e
horro nella cultura moderna!
Spero che lei voglia unirsi alle nostre crescenti schiere!
Grazie!
Roscoe Mithers

P.S. Le ho inviato, per sua referenza (e per la sua collezione), le più


recenti pubblicazioni della collana Tramonto oscuro, incluso l'eccitante
titolo di esordio della nostra serie per i giovani lettori, la Backbone
Shivers, dal titolo C'è un mostro nella mia gavetta.

Terminata la lettura, ci fu una pausa di silenzio.


Finalmente, William Blessing rise in modo piuttosto forzato. «Certo. Ora
capisco. Si tratta di uno scherzo! Una specie di pesce d'aprile.»
Non poté fare a meno di notare l'espressione ferita sul volto di Donald.
«No, Bill. Non è uno scherzo. Mithers è l'editor che acquistò il mio libro
per Tramonto oscuro. E mi ha proposto di scriverne altri, raddoppiando il
mio compenso.»
«Oltre al racconto per l'antologia, naturalmente», osservò Blessing,
incapace di evitare una punta di acidità. «Capisco. È che speravo si
trattasse di uno scherzo.»
Amy si corruccio. «Bill, ti prego. La pubblicazione di quel libro è stato
un passo importante per Donald. E lo sai che non è ancora riuscito a
vendere l'altro romanzo che ha scritto. È servito a dargli la forza di andare
avanti. Non essere così negativo!»
Blessing cercò di riprendere il controllo.
Aveva avuto una serie di invettive sulla punta della lingua. Si trattenne
dal pronunciare le parole «puerile», «asinino» e «buffone». Tuttavia, non
poté evitare un piccolo commento.
«A quanto pare questo... Roscoe Mithers... è... ehm... molto preso dal
suo lavoro.»
«Sì, è vero. Devi scusarlo», disse Donald. «Roscoe è un grandissimo fan
della serie televisiva dalla prima puntata. Potersi occupare di questi libri è
per lui un sogno che si è avverato. Ci mette l'anima e il cuore nel suo
lavoro.»
«Già.» Blessing scosse mestamente la testa, riuscendo a placare la sua
rabbia. Ora era semplicemente afflitto da una lieve depressione.
«Scusatemi. Ovviamente puoi scrivere un racconto per la serie se lo
desideri, Amy. Stai diventando molto brava. E naturalmente tu devi farlo,
Donald. Hai già le qualità di un ottimo romanziere. L'esperienza che stai
maturando qui ha chiaramente migliorato le tue abilità più di quanto mi
sarei aspettato. Semplicemente speravo che ambissi a qualcosa di più che
pubblicare materiale adatto a Tramonto oscuro.»
«Non ti sembra di avere un atteggiamento un pochino pomposo ed
elitista, Bill?» obiettò Amy, la mani piazzate sui fianchi, non più carina nel
suo malumore ma decisamente bellissima. «Voglio dire, scendi dalla tua
torre d'avorio! Stiamo parlando di una serie divertente, di libri divertenti.
Io li seguo quei telefilm, e abbiamo anche visto l'ultimo film insieme!»
«Solo perché mi ci hai costretto», ribatté Bill. La sua ira stava di nuovo
montando. Non riusciva a credere che sua moglie lo stesse contraddicendo
apertamente sulla questione in presenza di Marquette. «Ascolta, io insegno
letteratura popolare all'università. So tutto quello che c'è da sapere sulla
letteratura di consumo. Sai quanti romanzi e racconti furono pubblicati nel
diciannovesimo secolo solo per cadere nel più oscuro oblio? E stiamo
parlando di fiction di livello ben superiore a quanto viene pubblicato nella
collana Tramonto oscuro. A mio modo di vedere, questa ondata di libri
commerciali tesi a trarre profitto da dubbie politiche editoriali, ora
intraprese direttamente da autentiche multinazionali dell'editoria,
contribuisce al graduale inaridimento della cultura occidentale in senso
lato. Rischiamo il declino e la caduta, gente. E voi volete unirvi alla follia
di massa? D'accordo, buon per voi. Ma non riesco a capacitarmi della fac-
cia di bronzo di chi abbia trovato il coraggio di chiedere a me di scrivere
simili... simili... ciarle.»
«In tal caso... forse è meglio lasciar perdere quell'altra questione, Amy»,
propose Donald timidamente.
«No», s'impose Amy. «Ne hai ogni diritto. E hai promesso di
chiederglielo.»
«Ma...»
«D'accordo, lo farò io.»
«Ma di che state farneticando?» volle sapere Blessing.
«Bill, il signor Mithers voleva sapere, nel caso non fossi interessato a
scrivere un racconto per l'antologia, se saresti invece disposto a scrivere
una recensione positiva per il libro quando verrà pubblicato.»
«Che cosa?»
«Hai capito perfettamente, Bill. Un pezzo che elogia il libro... o anche la
serie stessa. Lo fai sempre per i tuoi amici. Scrivi sempre recensioni
entusiaste per Dean, Peter, Stephen e Clive.»
Blessing vide rosso.
Si voltò e si avvicinò a una libreria. Si appoggiò contro gli scaffali,
respirando profondamente e lentamente, cercando di ricomporsi.
Finalmente, si girò.
«Sai, una delle cose che ho sempre fatto notare a proposito di Edgar
Allan Poe è che, sebbene abbia scritto molto nella sua vita, riuscì a fare
relativamente poco di cui andasse realmente fiero: le sue poesie e i suoi
racconti, Eureka... qualche articolo di critica... Il resto del suo tempo lo
passò svolgendo monotono lavoro per riviste letterarie. Che tortura
dev'essere stata per lui, in aggiunta alle altre sventure della sua vita.
Riuscite a immaginare che cosa sarebbe riuscito a fare se il suo odioso
patrigno John Allan avesse davvero creduto in lui? Se avesse ricevuto
un'istruzione di alto livello? O se fosse riuscito a ottenere un impiego da
insegnante come Longfellow? O se qualche mecenate avesse riconosciuto
il suo valore e lo avesse preso sotto la sua ala? Invece no. Fu costretto a
lavorare per un'industria patetica e squallida, piena di melensa fiction da
strapazzo, manierista nei sentimenti e nello stile.
«Questo dovette fare Poe. E quel poco che poté scrivere nella sua breve
vita trionfò.
«Ma ora l'insensato lavoro da scribacchini, lo stupido, sensazionalistico
nonsenso del gusto popolare, le inconsisenti menti capitaliste, hanno
sovvertito quelli che erano gli obiettivi della tradizione che lui tanto bene
modernizzò. E che cosa abbiamo oggi? Buffy l'ammazzavampiro? Xena?
E, Dio ce ne scampi, Tramonto oscuro.»
Sospirò.
«E voi avete pensato che avrei accettato di legare il mio nome a un
genere di prodotto che aborro!»
Blessing sentiva montare la sua pressione sanguigna. Era un sacrilegio!
La negazione di ogni suo ideale, di tutto ciò che lui stesso rappresentava!
Non c'era stato nulla da fare. Aveva dovuto esprimere il suo sdegno. Erano
questioni fondamentali per la sua esistenza. Non se ne rendevano conto?
Amy alzò gli occhi al cielo. «Per l'amor del cielo, Bill! Nessuno vuole
attentare alla tua integrità. E comunque ci riesci perfettamente da solo, a
quanto pare. Lascia perdere tutto, d'accordo? Non parliamone più.»
Lo guardò, e la rabbia che lampeggiava nei suoi lucidi occhi nocciola lo
scosse.
«Ti chiedo scusa, Bill», mormorò Donald. Sembrava a disagio e ferito,
evidentemente in imbarazzo per essersi trovato coinvolto in un litigio tra
coniugi.
Controlla la tua rabbia, diamine. Conta fino a dieci.
E così fece, rapidamente, muovendo le spalle dentro il cardigan di
cachemere, allentandosi la cravatta per agevolare la circolazione
sanguigna. «Avete toccato un nervo scoperto, ecco tutto.»
«Mi dispiace davvero. Dubitavo che l'idea ti sarebbe piaciuta», ammise
Donald. «Ma... alla fine abbiamo deciso che sarebbe comunque valsa la
pena fare un tentativo.»
L'espressione sul suo volto sembrava aggiungere: Non ci aspettavamo
certo che facessi saltare qualche valvola.
«Non nego di avere una posizione molto rigida su quest'argomento»,
concesse Blessing. «Ma non posso tradire i miei principi.» Si schiarì la
voce e azzardò uno sguardo in direzione della moglie. «Ascolta, cara. Ti
chiedo scusa. Fai pure quello che vuoi. Ne hai ogni diritto. Ma io non
voglio lasciarmi coinvolgere in un'operazione del genere. Ci sono cose più
degne a cui dedicare il mio tempo, e scopi più nobili a cui legare la mia
reputazione e tutto quanto ho fatto di buono fino a oggi nel campo
accademico e letterario. La ricerca del successo commerciale non obbliga
necessariamente un autore a scendere al livello del minimo comune deno-
minatore per ottenerelo.»
«Ma solitamente funziona così, su questo non ci sono dubbi», inveì
Amy. «Dio, Bill. A volte sei proprio... proprio uno stronzo!» Amy alzò le
braccia al cielo. Si voltò e uscì dalla stanza a grandi falcate, percorrendo
rumorosamente prima il corridoio e poi le scale.
Preoccupato, Donald fece per seguirla.
«No», lo richiamò Blessing. «Le passerà. Probabilmente è andata a fare
una passeggiata o a chiamare una delle sue amiche per lamentarsi e
chiacchierare un paio d'ore. Le chiederò scusa più tardi.»
Marquette non sembrava convinto.
«Scusami se mi sono comportato scioccamente, te lo chiedo per favore.
Ma giacché sei qui vorrei parlarti di una cosa.» Blessing sentiva ancora
l'adrenalina scorrergli nelle vene come un insieme di minuscole e affilate
lamette. Si avvicinò alla sua scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori una
mezza bottiglia di Johnnie Walker etichetta rossa e due bicchieri. «Bevi
con me?»
Per una volta, Marquette non esitò ad accettare l'offerta di un
superalcolico. «Sì, grazie.»
«Bravo ragazzo.» Blessing versò dosi sconsigliabili di scotch in
entrambi i bicchieri e ne passò uno a Marquette facendolo scivolare sulla
superficie della scrivania.
«A Poe!» esclamò, ripetendo il brindisi che lui e Marquette utilizzavano
quando uscivano a bere qualche birra insieme.
«A Poe», echeggiò Marquette, con minore trasporto.
Blessing trangugiò subito una lunga sorsata di whisky. Il liquido lasciò
dietro di sé una scia di fuoco pungente e aromatico, riversandosi poi
nell'acido calderone del suo stomaco. Avvertì immediatamente il calore
espandersi lungo tentacoli di calma e di ammiccamento all'oblio.
Oblio? Era questo che aveva cercato Edgar Poe? Una tregua dalla
travolgente agonia del quotidiano?
Avrebbe dovuto saperlo se davvero era la reincarnazione di Poe.
Posò lo sguardo sul suo assistente e pupillo. Anche Donald ci dava
dentro con il suo whisky. Ne aveva già bevuto metà.
Sentì un leggero brivido di paura percorrergli la schiena.
A proposito di quello di cui gli voglio parlare...
I nove mesi trascorsi in compagnia di Donald Marquette erano stati
positivi. Il ragazzo imparava in modo incredibilmente rapido. Assorbiva le
sue indicazioni come una spugna e lavorava duro. Il primo volume
dell'antologia era quasi stato completato, il dottorato di Marquette
procedeva bene e gli articoli che scriveva sulle «Manifestazioni della tra-
dizione gotica nella prosa moderna», oltre a essere basati su un ottimo
lavoro di ricerca, contenevano brillanti intuizioni. In più, produceva a gran
ritmo la propria fiction, come se irrefrenabilmente ispirato dai prolissi
seminari di Blessing e dall'osservare da vicino il maestro mentre scriveva a
rivedeva il suo lavoro. Quando gli forniva i suoi consigli e i suoi
insegnamenti, Marquette era sempre concentrato, focalizzato ed
estremamente attento.
Mi ricorda me da giovane, pensò Blessing. Ma ha qualcosa che non va, e
non riesco a capire cosa sia...
E poi c'era quel suo ultimo racconto.
Oltre a essere davvero molto buono, lo stile e la maestria nell'uso dei
tropi e dell'allusione complementavano ottimamente la trama
appassionante e originale. Più di un lettore avrebbe potuto scambiarlo per
un lavoro di William Blessing.
Era stata una constatazione allarmante, ma al tempo stesso piuttosto
gratificante. No, non era quello il problema. La questione che preoccupava
il professore era un'altra.
Blessing bevve ancora un sorso di whisky, poi posò il bicchiere.
Marquette, invece, teneva il suo stretto tra le mani come se intuisse
l'approssimarsi di qualcosa di spiacevole. Conteneva ancora un dito di
scotch, ma Donald guardava la bottiglia sulla scrivania come se si stesse
trattenendo con fatica dal chiederne ancora. Nei suoi occhi Blessing
vedeva già gli effetti dell'alcol.
«Donald. Ripetimi qual è la tua ambizione», esordì Blessing
amabilmente.
Gli occhi di Donald sembravano infuocati. «Quale ambizione?
L'immortalità letteraria?»
«Sì. Non è un traguardo da poco, non ti sembra? Era la stessa ambizione
di Poe. Fin da quando era più giovane di quanto lo sei tu adesso riteneva di
essere un grande. Naturalmente Tamerlano non è certo la più bella delle
poesie, ma rivela una fortissima ambizione, non credi?» Blessing con-
templò il suo drink. Appoggiò di nuovo il bicchiere sulla scrivania e
sospirò. «Sei bravo», disse, alzandosi e andando a prendere la sua grossa
cartella di cuoio. «Sei un bravo scrittore, dotato di grande talento. E
continui a migliorare. Sei troppo bravo per perdere tempo con progetti
infantili come Tramonto oscuro. Se hai bisogno di soldi... Be', ti aumenterò
la paga. Al diavolo, sono disposti a pagarti vitto e alloggio e spese di
cartoleria, se è di questo che hai bisogno. Ma questa storia di Tramonto
oscuro...»
«È che mi aiuta a sentirmi sicuro nei miei mezzi», spiegò Marquette con
tono affatto conciliante. «Mi stimola, serve a tenermi attivo, e vedere il
mio nome nelle classifiche dei bestseller... be', fa parte anche questo del
mio sogno.»
«Mmm. Di questo potremo discutere in seguito, credo.» Blessing aprì la
borsa di cuoio e ne estrasse un libro con copertina rigida. «A proposito,
congratulazioni.» Posò il libro sulla scrivania. Demoni sognanti,
proclamava il titolo. Racconti sospesi sull'orlo del baratro di Donald
Marquette.
«Pubblicato dalla Tome Press, vedo», rimarcò Blessing.
«Ah, ne hai preso una copia. Sì. È appena uscito. Volevo regalarne una
copia firmata a te e a Amy», disse Donald, ancora piuttosto apprensivo.
«Sei stato laggiù, vero? Hai socializzato con loro.»
Marquette alzò le spalle. «Sì. Qualche riunione di lavoro.»
Blessing scosse la testa. «D'accordo. Mi domando solo perché non ti sei
rivolto a qualche altro editore.»
«Be', francamente nessun editore non specializzato accetta raccolte di
racconti horror in questo periodo.»
«E perché non rivolgersi a qualche altro piccolo editore nello stesso
campo, ma più rispettabile? Perché proprio loro?»
«Erano disposti a pubblicarmi.» Marquette finì il whisky. «Tutto qua,
Bill. E in più la loro sede è qui in città. Mi permette di essere
maggiormente coinvolto nella gestione dei progetti. E comunque non sono
certo meno rispettabili di Necro, Subterranean o Terminal Fright. Il settore
della piccola editoria di genere horror non è certo quella che era negli anni
Ottanta, quando la Sream Press, la Underwood Miller, la Dark Harvest e
decine di altre case si contendevano un mercato in forte espansione.
Oggigiorno non ci sono molte alternative.»
«Be', spero che la cosa non abbia ripercussioni negative sulla tua
reputazione.» Blessing trasse un respiro profondo e sofferto. «E spero che
non danneggi la mia, dal momento che il tuo nome è ora associato al mio.»
«Non capisco. La Tome Press sta andando estremamente bene. Hanno
già distribuito metà della prima tiratura e stanno lavorando a una versione
tascabile. Non vedo che cosa ci sia di male.»
«È già accaduto in precedenza nel campo dell'horror la scorsa volta»,
rispose Blessing. «Alcuni scrittori disturbati ne hanno approfittato per
promuovere le proprie psicopatologie. E alcuni editori sono caduti
nell'inganno di credere che ciò che la gente ama della letteratura gotica,
che come ben sai è la definizione che di gran lunga preferisco, sia la sua
crudezza e sanguinolenza. Queste persone affette da turbe psichiche e
fuorviate vogliono semplicemente stravolgere le menti dei lettori, dare
sfogo ai loro inferni personali di pornografica violenza facendone una
sorta di manifesto. È questa la mia opinione di quelli della Tome. E posso
aggiungere di aver sentito cose preoccupanti sul loro conto da diverse altre
fonti. Si mormora di riti satanici e sacrifici di sangue. Sono cose brutte,
Donald. A noi, in qualità di scrittori seri, viene concessa ampia licenza, ma
dobbiamo fare molta attenzione a come ci comportiamo, per tutta una serie
di ragioni.»
«A me non hanno fatto una cattiva impressione», ribatté Donald. «Forse
sono un po' fuori, concesso. Si definiscono cultori del Goth estremo, così
lo chiamano, ma hanno a cuore la qualità letteraria. Prendono il loro lavoro
molto sul serio.»
«Non ne dubito. Ma la serietà non implica la bontà delle intenzioni.»
Blessing si incrociò le braccia sul petto e si portò un dito alle labbra.
«Questa gente... ho un cattivo presentimento sul loro conto.»
«Solo perché hai sentito parlare male di loro dalle bocche di scrittori
smidollati senza una vita di cui vantarsi!» protestò Donald.
«Donald», lo richiamò con polso Blessing. «La tua comparsa nella loro
rivista e la pubblicazione di questo libro probabilmente non mi arrecherà
grandi danni. Io tengo molto alla mia reputazione, e data la natura di parte
del mio materiale devo prestare molta attenzione alle mie frequentazioni.
Quello che sto cercando di dirti, è che per quanto io ti rispetti e mi sia
affezionato a te, se continuerai ad avere rapporti con questa gente, le nostre
strade dovranno dividersi.»
Marquette diede l'impressione di voler dire qualcosa a sua discolpa, in
difesa della Tome Press, ma si trattenne.
Annuì. «Okay. Mi dispiace che tu la veda così. Secondo me stai
diventando un po' paranoico, ma in fondo ti capisco.» Marquette accennò
un sorriso. «Vuoi ancora che ti firmi una copia con dedica per te ed Amy?»
«Te ne prego! Sarebbe un grande onore.»
Notevolmente sollevato dal vedere Marquette accettare la sua richiesta,
dato il talento del ragazzo e l'ottimo lavoro svolto nella preparazione
dell'antologia (senza trascurare il fatto che ormai stava diventando parte
della sua famiglia), Blessing si rilassò.
Nell'angolo dell'ufficio, accanto a una libreria, erano disposte due
poltrone Eames con poggiapiedi e un tavolino da caffè. Blessing afferrò la
bottiglia di whisky e il bicchiere e fece cenno a Donald di seguirlo.
«Ammetto che la tua decisione è un grande sollievo per me, Donald.
Perché non voglio perderti. E sono certo che anche Amy sarebbe stata
molto dispiaciuta e arrabbiata con me se avessimo dovuto interrompere il
nostro rapporto.»
«Anche a me sarebbe dispiaciuto.»
Blessing si avvicinò allo stereo e accese la radio, perennemente
sintonizzata su un canale di musica classica. Soavi melodie di Bach si
diffusero nello studio. Il professore versò un altro goccio di whisky nel
bicchiere di Donald e lo invitò a sedersi.
«Ho cominciato un progetto nuovo di zecca. Ora che abbiamo risolto il
nostro piccolo problema sento di potertene parlare», ammise Blessing.
«Davvero?» L'entusiasmo sul volto di Marquette era genuino.
«Sì. È piuttosto sorprendente e nessuno lo ha mai fatto prima. Se avrà
successo e mi sarà consentito farne un caso, scatenerà dibattiti e
polemiche. Non solo nel mondo accademico, ma anche nel quotidiano.»
«Muoio di curiosità. Ha a che fare con Poe?»
«Certamente.» Blessing si adagiò all'indietro, appoggiandosi allo
schienale della comoda poltrona di pelle. «Donald, abbiamo già discusso
di quanto Poe fosse affascinato dalla crittografia e dagli indovinelli, vero?»
«Naturalmente. Come nello Scarafaggio d'oro, per esempio.»
«Sì. Esattamente. Be', spingiamoci un passo più avanti. Conosci le teorie
avanzate di recente sul misticismo ebraico e sul Vecchio Testamento, sulle
quali si fonda l'attuale dibattito sul cosiddetto codice biblico?»
«No. Non ne ho sentito parlare.» Bevve un sorso di whisky. «Sembra un
argomento interessante.»
«Come materia di pettegolezzo per cocktail party hollywoodiani lo è.
Pseudoscienza di prim'ordine e molto in voga. Tuttavia, il dibattito mi ha
portato a considerare alcuni aspetti del lavoro di Edgar Poe.»
«Ma immagino che il codice di cui si parla abbia a che fare con forme di
esoterismo risalenti a migliaia di anni fa. Qual è il collegamento con
l'opera di Poe?»
«Messaggi nascosti, Donald. Vedi, pare che ci siano numerosissimi
messaggi e profezie celate negli originali testi biblici, che un certo
ricercatore sarebbe stato in grado di scoprire grazie a un programma che ha
permesso al suo computer di leggere le pagine dal basso verso l'alto, da
sinistra verso destra e al contrario, come un rebus basato su diagrammi di
parole da individuare. Il fatto che elementi arbitrari quali i margini delle
pagine siano necessari per il funzionamento della tecnica di
decodificazione viene minimizzato dai proponenti della teoria.
«Potrei addentrarmi oltre in dettagli tecnici, ma tutto questo è irrilevante.
Tutti i gruppi esoterici, dai templari ai rosacrociani, hanno sempre
affermato di essere a conoscenza di insegnamenti segreti. Basta leggere Il
pendolo di Foucault di Umberto Eco per averne la conferma. Ma secondo
un libro sull'argomento, avvenimenti recenti come l'assassinio del primo
ministro israeliano nel 1995 sarebbero stati annunciati in questi antichi
scritti. Naturalmente è una teoria ridicola, ma, come ti ho spiegato, mi ha
portato a pensare al fascino che simili cose esercitavano su Poe.»
«Allora immagino che tu abbia cominciato a condurre ricerche simili
sull'opera di Poe», esortò Donald, tentando di portare Blessing a
concludere il suo discorso.
«Sì. Ho scaricato una versione di questo software di decodificazione, ho
apportato qualche modifica e ho intravisto possibilità affascinanti. Ho
ancora parecchio lavoro da svolgere, dopodiché pubblicherò un articolo
che potrebbe fungere da spunto per un libro.»
«Hai scoperto qualcosa? Messaggi segreti da parte di Edgar Poe?»
indagò Marquette, ora totalmente concentrato.
Qualcosa di freddo e serpentino sembrò srotolarsi nel ventre di Blessing.
Rabbrividì, incapace di controllarsi.
Poi si sporse in avanti e rivelò tutto a Donald Marquette.

12

Una notte, mentre sedevo mezzo intontito in un miserabile antro, la mia


attenzione venne improvvisamente attratta da un oggetto nero in cima a
una delle gigantesche botti di gin o di rum che formavano per buona parte
l'arredamento del locale. Fissavo la botte da diversi minuti e mi sorprese
il fatto di non aver notato prima l'oggetto sopra di essa. Mi avvicinai e lo
toccai con la mano. Era un gatto nero, un gatto nero molto grosso.

EDGAR A. POE, Il gatto nero

«Pregate per me», invocò Donald Marquette. «Perché sono un'anima


dannata come mai un'anima è stata dannata prima.»
Il gruppo esplose in una risata.
Donald ghignò e bevve un altro sorso di birra. «È questo il messaggio
che il buon professore crede di aver trovato celato nell'opera di Edgar
Poe.»
«Come una specie di anello decodificatore segreto alla Capitano Planet,
no?» commentò il Conte Mishka, agitando le dita, mettendo in mostra i
numerosi gioielli di cui si adomava e le lunghe unghie color lavanda
tempestate di brillantini.
«Oppure alla Batman!» rilanciò il Marchese. Il Marchese attraversava
una fase retro ispirata al New Romantic, scimmiottando il Dracula di Gary
Oldman e Alan Jorgensen dei Ministry. Quella sera indossava un cappotto
di velluto viola, una camicia da sera a fiori (solo qualche macchia di vino
fino a quel momento), il cappello a cilindro di feltro portato schiacciato
sulla testa, come d'ordinanza, occhiali con montatura metallica e lenti
viola, e smalto smalto nero e lucido sulle unghie. Stava prendendo
seriamente in considerazione di farsi allungare i capelli con ciocche
posticce la settimana successiva. Quel look sembrava andargli a genio.
Il gruppo raccolto attorno al tavolo rise al racconto.
«Quello è fuori di testa, secondo me», sentenziò Baxter Brittle, che
sedeva a capotavola su una sedia vittoriana dallo schienale alto e intarsiato.
Era sdraiato, con le gambe a penzoloni oltre uno dei braccioli e un calice
stretto al petto. Ultimamente Baxter aveva adottato look e atteggiamenti
alla Oscar Wilde: palpebre sempre chiuse a metà, capelli scuri divisi sopra
la fronte, ampio cappotto edoardiano e calzoni neri con ghette. «Mi piace
come si vestiva Oscar, lo ammetto. Ma non mi piace succhiare cazzi, come
invece adorava fare lui», ripeteva quotidianamente per evitare che
qualcuno potesse cominciare a nutrire dubbi sui suoi gusti in camera da
letto.
L'odore pungente dell'assenzio si librava verso l'alto dal calice
incastonato di gioielli. Da qualche tempo Baxter ne aveva fatto il drink
preferito, essendo riuscito a distillarne in proprio e con buon successo una
versione accettabile da vendere nel bar. Grazie in parte al video The
Perfect Drug di Trent, l'esotico liquore, due volte più forte della vodka,
con lievi proprietà allucinogene e ben visto perché associato a personalità
artistiche del calibro di Hemingway e Rimbaud, stava conoscendo un
notevole ritorno di popolarità tra i Goths.
Donald Marquette fece una smorfia e abbassò gli occhi alla sua pinta
imperiale in stile britannico di birra Old Peculiar, un'altra recente aggiunta
alla lista degli alcolici in vendita al Sailor. Quella birra ad alto contenuto di
alcol e dal sapore ricco e particolare lo stava rapidamente conquistando.
Maledetto bastardo, pensò. Gliela farò vedere! Gliela farò vedere a
quello stronzo arrogante!
«Sì, ne farà l'argomento di un articolo», riferì dopo un altro, lievitoso
sorso di birra. «E dal momento che gode di tanta stima negli ambienti
accademici, letterari e anche popolari, la gente lo prenderà sul serio.»
«Ecco a voi un uomo che si meriterebbe di essere ridimensionato»,
decretò Baxter, agitando leggermente il suo assenzio e colpendo poi il
calice con un'unghia per farlo risonare come una campanella.
«È un pallone gonfiato», rincarò il Marchese, usando un comico tono di
voce alla George Sanders (avendo rinunciato alle poco credibili imitazioni
di Peter O'Toole e James Mason).
Donald sorrise, poi sospirò.
Già. Proprio un pallone gonfiato.
Avvertiva nelle vene il mormorio della birra, e la droga che avevano
fumato poco prima nello scantinato stava trasformando la sua mente in uno
studio di Escher. Era una bella sensazione. Stava bene. Molto bene.
Ridimensionarlo. Ci puoi scommettere! Arrogante pezzo di merda!
«C'è dell'altro», aggiunse.
Era un mercoledì sera al Cork'd Sailor, la serata del «bar di lusso», che
non aveva riscosso particolare successo tra la clientela priva di ironia con
cui Baxter era costretto a convivere. Tuttavia, l'aria era comunque satura di
fumo grigioazzurro. L'odore che aleggiava era quello di sigari, fiammiferi
e tovagliette di spugna impregnate di birra. Eppure Donald era
perfettamente a suo agio. Il locale era buio e rassicurante, con le pareti
decorate da quadri e ogni sorta di oggetto in stile vittoriano. Le file di
bottiglie di superalcolici dotate di beccuccio appoggiate allo specchio
dietro il bancone creavano l'impressione di un meraviglioso giardino di
vetro, che scintillava alla luce soffusa. Benché troppo vicino a Little Italy
per i suoi gusti, il locale possedeva il carattere esotico e l'atmosfera di Fells
Point, e Donald Marquette se n'era innamorato, quasi con lo stesso
trasporto con cui si era innamorato di Amy Blessing.
«Dell'altro?» strascicò Baxter, alzando gli occhi annebbiati a guardare il
suo autore.
«Sì. Si è infuriato quando ha visto la collezione di miei racconti
pubblicata dalla Tome Press. Ha capito che vengo qui spesso e che vi
conosco. Ora vuole che interrompa ogni rapporto che ho con voi. Niente
più racconti per The Tome, niente più libri per la Tome Press... e immagino
che se dovesse venire a sapere che continuo a venire qui anche solo per
bere birra mi licenzierebbe.»
Pronunciare quelle parole fece di nuovo montare la furia in Donald.
Come se tutti avessero a disposizione una serie di alternative!
E con il carico di lavoro che si trovava a gestire, era naturale volersi
scaricare in compagnia di amici ogni tanto! Il professor Adolf Hitler
Blessing stava trattando Donald come se fosse un adolescente, e per di più
suo figlio!
In effetti Donald aveva frequentato il locale solo nei fine settimana. Era
cominciato tutto in modo assolutamente innocente, con un paio di incontri
di lavoro. Ma dopo la firma del contratto per la pubblicazione della
raccolta di racconti, Baxter aveva cominciato a invitarlo al bar nei
weekend e a offrirgli da bere. Donald aveva fatto la conoscenza della sua
cricca, i cui componenti avevano tutti letto le sue novelle e le avevano
trovate fantastiche. Ai loro occhi Donald era ormai quasi una celebrità.
Pendevano dalle sue labbra, soprattutto quando si parlava di letteratura.
Baxter gli aveva ben presto offerto un lavoro da coredattore, «per dare
lustro a questa umile rivista», ma Donald aveva declinato. Aveva troppi al-
tri impegni. Tuttavia, era stato genuinamente lusingato, e il rispetto che gli
veniva tributato in quella cerchia, oltre a dargli sicurezza in se stesso,
aveva fatto sì che si trovasse a suo agio anche con... gli aspetti più
eccentrici del Salon des Gothiques.
Indubbiamente aveva imparato ad apprezzare il liquore che bevevano. E
anche qualcuna delle droghe di cui facevano uso, sebbene si limitasse
rigorosamente su quel fronte. Le accettava solo in occasioni speciali, a dire
il vero. Durante le feste. Ma quando la pressione esercitata dal suo carico
di lavoro cominciava ad avere la meglio, aveva provato ad assumere una o
due delle pasticche stimolanti che i ragazzi gli avevano regalato. E che
botta, che carica ne aveva ricevuto. Riusciva a lavorare molto di più e a
dormire molto meno. A suo avviso la droga aveva anche l'effetto di
migliorare la qualità della sua scrittura. Era come se spalancasse una porta
dentro di sé, permettendo alla sua creatività grezza, sì, al suo genio di
fluire.
Fare bisboccia con i Goths.
Era molto, molto divertente. Certo, quel Mick a volte lo inquietava...
c'era qualcosa nello sguardo, negli atteggiamenti e nel modo in cui vestiva.
E i racconti. Donald doveva ammettere che Blessing aveva fatto centro su
quell'aspetto della questione. Sia Mick, sia la sua prosa, erano duri, forzati,
strani, minacciosi. Donald si rendeva conto che proprio Mick aveva
ispirato un paio dei suoi racconti più recenti e meglio riusciti. Ma ora, in
quella che sarebbe stata la sua ultima visita al locale per parecchio tempo,
provava un certo sollievo per l'assenza di Mick.
«Cazzo», commentò Baxter, irritato. «Che maledetto bastardo.»
Già. Al punto, notò Donald, da scuotere il proprietario del bar, l'editore e
redattore, dal torpore indotto dalle pressioni del mondo e dall'alcol.
Qualcosa ardeva nei suoi occhi come l'estremità di un cavo elettrico
reciso.
«Questa cosa mi fa andare il sangue alla testa», esclamò Baxter.
Più che lusingato, Donald si sentì commosso nel vedere la reazione di
Baxter. Aveva spesso pensato che i Goths fossero semplicemente
condiscendenti nei suoi confronti, perché lo trovavano divertente e
interessante. Aveva immaginato che avrebbero accolto il suo annuncio con
un semplice «ciao, baby, peggio per te».
Ma era diverso.
Loro ci tenevano a lui.
Lui gli piaceva davvero...
Donald Marquette era sempre stato un tipo piuttosto solitario, e non
aveva mai riscosso grande successo con le ragazze o nei rapporti sociali. Si
sentiva ancora leggermente a disagio in presenza di William Blessing, che
trovava molto amichevole ma sempre pomposo e un po' troppo formale. Il
buonumore che mostrava in presenza del famose scrittore e studioso era
spesso falso o forzato. In fondo, il motivo per cui si trovava lì era
migliorare le proprie conscenze, apprendere l'arte della scrittura e,
soprattutto, promuovere la propria carriera.
Non aveva mai avuto rapporti con persone tanto composte, sicure di sé,
aggiornate e informate.
I Goths, invece... erano... be', in gamba. E gli piaceva il fatto che loro
considerassero lui in gamba.
Era davvero una bella sensazione, essere accettati e rispettati.
Baxter Brittle si strofinò il mento. Poi si alzò, infilando la fiaschetta di
assenzio in una delle sue grandi tasche. «Venite, Cerchia Interna. Questo è
davvero un problema molto serio. Dobbiamo scendere nel fetido sancta
sanctorum per cogitare.»
Con consumata platealità si avviò verso lo scantinato. Il Conte e il
Marchese lo seguirono. Ritenendo di essere stato a sua volta incluso, anche
Donald si alzò per seguirli.
Tuttavia, prima di giungere alla porta che si apriva sulle scale dello
scantinato, vennero interrotti dall'arrivo di una giovane coppia,
elegantemente vestita da vampiri Goths.
«Baxter Brittle», chiamò la ragazza, alzando una mano guantata di seta
nera.
«Al vostro servizio», rispose Brittle con un ossequioso mezzo inchino.
«Che cosa posso fare per voi, Lady Jessica e Principe Knowlton?»
La ragazza, un tipo spumeggiante, al limite del punk, con capelli
variopinti, fece un passo avanti, avvicinandosi a Baxter. «Stanno
accadendo un sacco di cose strane tra la tua gente, Baxter.»
«Chiedo scusa?»
«Ascolta, io amo la scena Goth quanto chiunque altro del giro. Forse più
di chiunque altro», disse la slanciata ragazza. «Ma stanno succedendo cose
che non mi piacciono affatto.»
«Ah, sì? E a che cosa ti riferisci?»
«Alcune persone che conosco, che erano perfettamente a posto, negli
ultimi sei mesi si sono trasformate in veri e propri tossici», riferì Lady
Jessica con fermezza. «Io non sono certo una santa, né dico sempre
'preferisco vivere', ma la cosa si sta facendo seria. Non è più divertente. E
il Principe è tornato a casa ieri sera con il mantello sporco di sangue!»
«Pietà!» esclamò Baxter. «Un vampiro con una macchiolina di sangue
addosso! Che scandalo.» Brittle barcollò leggermente, ovviamente sotto
l'effetto dell'assenzio.
«Io non ricordo niente di quello che è successo ieri notte!» dichiarò il
Principe Knowlton. «E questa è una cosa che mi fa cagare addosso dalla
paura!»
«Questa storia del Salon des Gothiques è nata come una forma
interessante e decadente di divertimento, non solo una scusa per bere e
drogarsi come degenerati», affermò Lady Jessica con tono accusatorio.
«La maggior parte di noi si alza il lunedì mattino per andare a lavoro, o a
scuola o quant'altro, e deve affrontare il mondo reale. A me dispiace per
quello che è successo ai tuoi genitori, lo sai, ma noi non disponiamo di
eredità con cui vivere. Non te ne sto facendo una colpa, non fraintendermi,
ma voialtri state cominciando a scavare troppo in profondità nelle
tenebre.» Scosse la testa. «Troppo in profondità.»
«Ti prego», oppose Baxter. «La concisione è l'anima dell'arguzia e dello
spirito. E devo dire che stai mancando di sprito.»
«Abbiamo deciso di lasciare i Goths», rivelò Lady Jessica. «Stiamo
formando un gruppo nostro. Io e Knowlton e qualche altro. Abbiamo
deciso di mollare questa scena e, soprattutto, allontanarci da te.»
Baxter allargò le dita di una mano e se la portò al petto. «Gasp! Mi hai
ferito!» esclamò sarcasticamente. «Sono davvero così cattivo, pazzo e
pericoloso?»
«Andiamo, Principe», esortò Lady Jessica, prendendolo per un braccio e
tirandolo in direzione della porta. «Andiamocene via da qui.»
«Oooooh!» chiamò Baxter alle loro spalle. «Andate a prendere il tè dagli
altri vampiri? Ricordatevi di tenere alzato il mignolo quando bevete, mi
raccomamdo!»
Donald si sorprese a ridere insieme con gli altri.
«Troppa paura di scottarsi, eh?» disse allegramente Baxter. Ma
all'improvviso l'espressione sul suo volto s'indurì. Guardò la sua cerchia
ristretta, il Marchese, il Conte e Donald Marquette, poi domandò: «Voi,
invece, ci state dentro, non è vero?»
Annuirono tutti. Loro non avevano paura di scottarsi.
Sì, pensò Donald, ci sto dentro. Questi sono i miei amici. È il genere di
compagnia che ho sempre cercato. E non sono gli unici a scavare nelle
tenebre... Anch'io lo faccio.
Lo facciamo tutti, in realtà, nel profondo del cuore.
Era una citazione tratta da uno dei suoi racconti e sapeva che
corrispondeva a verità.
Il gruppo passò oltre la tintinnante tendina di perline dietro il bancone,
attraversò la cucina mentre Baxter si toglieva le chiavi di tasca, poi scese
nella Segreta.
Se la prima volta che era sceso nello scantinato Donald aveva trovato il
«salon» intelligentemente decorato e affascinantemente misterioso, ora...
Be', ora la situazione finanziaria della Tome Press migliorava a vista
d'occhio e, di pari passo, cresceva l'opulenza di quella tana di dissolutezza.
Baxter Brittle aveva acquistato una serie di spettacolari tappeti orientali
che ora ricoprivano il pavimento, conferendo lusso e calore all'ambiente.
Pezzi di antiquariato e quadri con costose cornici si erano aggiunti
all'arredamento. Collane, croci e simboli esoterici e dell'occulto pendevano
qua e là, luccicanti al bagliore delle fiammelle di grosse candele
aromatiche. Il profumo ricco e denso dell'incenso, unito al fumo delle
sigarette francesi di Baxter, persisteva nell'aria. Sego, tabacco e incenso...
e tracce di profumi esotici e alcol.
Baxter li guidò verso uno splendido tavolo rotondo in legno di quercia
attorniato da sedie intarsiate riccamente. Gesticolò con una mano.
«Sedetevi.» Estrasse la sua fiaschetta e il calice e li posò sul tavolo davanti
a lui. «Che cosa bevete, fratelli?»
Scelsero tutti di bere birra. Baxter indicò la ghiacciaia. «Servitevi pure.»
Donald prese un'altra bottiglia di Old Peculier.
Tornarono a sedersi.
«Abbiamo un problema», annunciò Baxter. «Siamo alle prese con un
dilemma. Da un lato è una cosa molto positiva che alcuni membri del
nostro gruppo ci lascino. Dall'altra, dobbiamo sorvegliarli attentamente per
accertarci che tengano la bocca chiusa.» Le sue sopracciglia vibrarono
leggermente mentre pronunciò quelle parole. «Poi, abbiamo qui un amico
che non intende abbandonarci, ma che si vede costretto a farlo per motivi
professionali dal suo mentore.»
«William Blessing!» gridò il Conte.
«Un personaggio illustre e potente», puntualizzò il Marchese.
«Forse dovremmo invitare Blessing a unirsi a noi!» propose il Conte.
«Più volte in passato gli ho comunicato la nostra disponibilità», confessò
Baxter. «Ma a quanto pare il buon professore vive in una torre d'avorio. Si
ritiene superiore a noi. Ci disprezza. Facile, quando si ha denaro a palate e
si gode di successo. Eppure, fratelli, non attingiamo forse alla stessa fonte?
La letteratura, la filosofia e le emozioni che attraversano la nostra materia
grigia, che scorrono nelle nostre vene... non sono forse le stesse che
scorrono in quelle di William Blessing? Il nostro amico Donald Marquette
lo riconosce. Noi lo riconosciamo. Altri lo riconoscono. Ma evidentemente
Blessing è un negromante che nega l'odore di zolfo prodotto dal suo
incantesimo. Si crede impervio, potente e immune dai deliziosi vapori
della notte che ci ammantano.»
Baxter fece un pausa di silenzio.
Le fiammelle delle candele accanto al tavolo fluttuarono come se nei
locali alitasse un vento demoniaco.
«Forse dovremmo dare una sveglia a quel Blessing», suggerì il Conte.
«Sì», concordò il Marchese «Dovrebbe svegliarsi e prendere atto della
realtà.»
«Facile a parole», disse Donald. «Ma al momento tutte le persone che
sto incontrando, tutti i contatti nel mondo dell'editoria... e intendo le case
editrici di New York...»
«Capisco. Ma c'è sempre Tramonto oscuro, no?»
«Purtroppo non gli è andata giù neppure quella.»
«Ehi!» protestò il Marchese. «Ma è la mia serie preferita!»
«Devo ammettere di non essere imparziale», disse Baxter. «Ma
guardiamo la realtà: potrebbero chiamare gli autori di Star Trek per
scrivere quella roba e venderebbero comunque l'ira di Dio.»
«Ehi!» Stavolta toccò al Conte protestare. «A me piacciono i libri di Star
Trek!»
«Non tutti hanno gusto quando si tratta di letteratura», ribatté Baxter,
chinandosi in avanti e strofinandosi il naso per cercare di farne sgorgare
ispirazione.
Donald sorseggiò la birra. La situazione gli appariva nera. Avrebbe
semplicemente dovuto rifugiarsi ancora di più nel lavoro. Era dura stare
sempre in casa di Blessing e dover sopportare le eccentricità di quell'uomo.
Dio, quanto era logorroico, e parlava sempre in modo pomposo e perlopiù
di se stesso. Morditi la lingua e sorridi, Marquette. Baciagli quel culo
peloso! La Grande Autorità ha parlato e indicato la via! Fate tutti
attenzione alla nuova tediosa masturbazione mentale!
Ma la cosa peggiore era la vicinanza di Amy.
Si era innamorato perdutamente di lei fin dal primo istante in cui l'aveva
vista, e il suo sentimento non aveva fatto che crescere. Dio, quant'era
difficile starle vicino e trattenersi dallo stringerla tra le braccia, baciarla
per sempre. Era un persona così fisica. Adorava toccarlo. Ultimamente
aveva preso anche ad abbracciarlo. Sentire il seno di lei contro il petto, o
contro un braccio, era elettrizzante. La calda fragranza del suo profumo lo
mandava in estasi. A Natale gli aveva dato un bacio sotto il vischio. Sulla
guancia, certo, ma...
Mi vuole, pensò, bevendo altro liquido ambrato. Forse non se ne rende
ancora conto, ma è così!
Se solo avesse avuto più potere per gestire la situazione.
Se solo...
A un tratto si udirono passi lenti e precisi scendere le scale.
Baxter Brittle alzò la testa, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
«Chi mai potrebbe essere?»
Il fruscio di un lungo cappotto.
La cadenza delle suole di cuoio degli stivali.
Il lembo del cappotto si allungò e prese gradualmente la forma snella e
tenebrosa di Mick. Stringeva una bottiglia di Courvoisier in una mano.
Nell'altra impugnava un elegante frustino da fantino. Lo usò per colpire il
corrimano mentre scendeva.
Le fiammelle delle candele languirono. Stranamente, al suo ingresso
l'aria sembrò farsi più fredda, venata dell'odore della nebbia, del puzzo di
topi di fogna e di gabbiani.
Alle sue spalle un secondo paio di stivali, stavolta non sfiorati dal lembo
di un cappotto. Gli stivali neri s'inserivano fluidamente in un paio di
pantaloni di pelle nera. A mano a mano che le gambe scendevano i gradini,
rivelandosi alla vista, Donald notò che i pantaloni erano decorati con
borchie cromate. Le gambe dei pantaloni erano lunghe, e in alto fasciavano
un paio di potenti glutei, aprendosi in una brachetta sul davanti. Risalendo
ancora si vedeva una pancia piatta e tesa, una camicia di pelle aperta a
mostrare gli addominali ben formati, poi pettorali enormi, spalle larghe e
un volto di giocatore di football, squadrato e roccioso. Incoronato da un
cappuccio nero di pelle, con altre borchie.
«Vieni, Theodore», invitò Mick. «Non temere. Ti garantisco che questa
gente non morde.» Produsse un ghigno. «Ma non dubito che ti divertiresti
se lo facessero.»
Mick si rivolse agli altri. «Gang, vi presento una nuova recluta. Questo è
il cugino Theodore. Desidera diventare un faro della letteratura.»
La montagna di muscoli grugnì.
«Vuoi bere, Theodore?» offrì Mick.
«Una Becks.»
«Certamente. Serviti pure. Il frigorifero laggiù è ben fornito.»
L'omone si avvicinò alla ghiacciaia mentre Mick si dirigeva a passi lenti
verso il tavolo. Ne colpì leggermente la superficie con il frustino, poi si
sedette su una delle sedie.
«Una riunione in mia assenza?» domandò con tono sospettoso facendo
pensare le parole. «Qualcosa non va?»
Baxter si appoggiò allo schienale della sedia e si abbandonò a una risata
che aveva del maniacale. «Non più.»
Mick aggrottò la fronte. «Che cazzo vuoi dire?»
«Il tuo arrivo rappresenta la soluzione», spiegò Baxter. «Ho un'idea.
Un'idea per una soluzione meravigliosa!» Il suo volto, in precedenza scuro
e assente, era ora radioso mentre si voltava a guardare Donald. «E oltre a
permetterti di guadagnare ulteriormente la stima del nostro amato dottor
Blessing, e di continuare a frequentarci, renderà un contributo immenso
alla nostra causa!»
Ormai Donald era pronto a prendere in considerazione qualsiasi idea.
Bevve un altro sorso di birra, intrecciò le dita delle mani e si sporse in
avanti sul tavolo per ascoltare.

13

Allora spalancai le imposte e, con un frenetico battito di ali,


Entrò un maestoso corvo imperiale dei santi tempi che
furono;
Non fece inchini, né si fermò un istante;
Ma con fare da gentiluomo o da gran dama si appollaiò
sopra la mia porta.
Si appollaiò sul busto di Pallade sopra la mia porta.
Si posò, si sedette e nulla più.

EDGAR A. POE, «Il corvo»

William Blessing aveva sempre sentito parlare di quel genere di serata.


Tuttavia, in tutta la sua vita da celibe ne aveva disprezzato l'idea. Stupide
chiacchiere melense, si era detto. Sciocchezze senza senso, una forma di
propaganda evocata per minare l'indipendenza, imporre al maschio di
mordere il freno e imporgli di continuare a trascinare i suoi geni attraverso
le distese del tempo, verso un ineluttabile, gelido e totale inverno.
Ora, seduto davanti al camino, Blessing si rese conto che non solo tutto
ciò era piuttosto piacevole, non solo si sentiva contento e soddisfatto come
mai prima di allora...
Ma era anche felice.
Assaporava una pura, incontaminata felicità!
Il bagliore del fuoco crepitante nel camino lo avvolgeva di un caldo
manto di pace. L'odore ricco e aromatico del legno di cedro che ardeva si
fondeva perfettamente con i diffusori di essenze al poutpourri di cui Amy
aveva acceso le candeline. Il sapore della cioccolata sulla sua lingua
complementava splendidamente la forza del goccio di whisky con il quale
l'aveva corretta. Aveva tra le mani una copia dell'800 molto ben conservata
e meravigliosamente illustrata del romanzo Nicholas Nickleby di Charles
Dickens, il libro nel quale amava rifugiarsi in quei giorni di tranquillità,
cercando scampo alle rapide del mondo letterario per tuffarsi in un mondo
protetto di parole magiche e personaggi immortali. Era un piacevole sabato
sera di febbraio, e insieme con la sua amata si trovava al sicuro e al caldo
nella sua bella casa, al riparo dalla neve e dal vento che soffiava e sibilava
al di là della finestra.
Uno scoppiettio dal fuoco.
Alzò gli occhi alle fiamme, allarmato, ma subito si rassicurò, vedendo
che una scintilla era schizzata via dai ceppi e si stava ora spegnendo sulle
piastrelle di cotto. Nulla più. Si guardò attorno.
La verità, naturalmente, era che la sua contentezza, o meglio, felicità, era
interamente dovuta alla persona che ora sedeva nella poltrona di fronte alla
sua, immersa nella lettura di Mansfield Park di Jane Austen, dopo aver
messo da parte i ferri da maglia.
Amy.
La sua Amy.
Non poté fare a meno di soffermarsi ad ammirarla. Era così bella, e la
sua bellezza sembrava muovere qualcosa nel profondo della sua anima,
qualcosa di risonante e di puro... e di sacro. A quella bellezza contribuiva
la gioventù ma, quand'anche essa fosse sfiorita, la maturità avrebbe preso
il suo posto per creare forse una bellezza ancora maggiore e più completa.
Lei lo prendeva in giro, affermando che la sua ossessione per Poe aveva
travalicato ogni limite, che come Edgar aveva sposato la cuginetta
tredicenne così William Blessing si era preso una sposa bambina.
Naturalmente, quando avevano cominciato a scriversi e a parlare al
telefono dopo quel primo fine settimana trascorso insieme in occasione
della convention di autori fantasy (un weekend casto! la prima esperienza
del genere per lo scapolo Blessing), era risultato evidente che per molti
versi, sul lato emotivo e sentimentale, era Amy la più matura dei due. Poi,
qualche mese dopo l'eccitazione del matrimonio e della luna di miele,
settimane fatte costruite stando insieme, di fiori, bigliettini e tutte le altre
espressioni della gioia dell'amore, le sue battute sulla differenza di età
erano cessate. In modo rapido e alquanto naturale si erano fusi in un'unità
domestica improntata alla passione, l'amore e la comprensione reciproca.
Avevano stabilito un incredibile legame che trascendeva l'età e la carne,
celebrato dal sesso. Agli occhi di Blessing Amy incarnava il meglio della
poesia stessa: bellezza, gusto, talento musicale... e un animo dolce e
gentile. L'aveva intuito fin dal momento in cui aveva posato gli occhi su di
lei, sul suo sorriso timido, e di tanto in tanto scriveva versi dedicati a lei
con un'antica penna, intingendone la punta nell'inchiostro e facendola
vibrare mentre scorreva grattando sulla carta. Quando avrebbe completato
il quaderno sulle quali trascriveva le poesie d'amore, l'avrebbe chiuso con
un nastro rosso e l'avrebbe posato sul suo guanciale prima di partire per
uno dei suoi viaggi.
Dio, quanto l'amava!
Alzò di nuovo gli occhi dal libro per ammirare quei lineamenti perfetti,
come faceva spesso durante le serate dedicate alla lettura, e la sorprese a
guardarlo in modo piuttosto strano.
«Amy, va tutto bene?» domandò.
«Sì. Credo di sì, Bill.»
«Sembri... turbata.»
«Mmm. Sto facendo fatica a concentrarmi. Sono un po' preoccupata.»
«A che proposito?»
«Non lo so. È solo una sensazione strana...»
Si alzò e posò il libro. Le si avvicinò e si inginocchiò accanto alla sua
poltrona, cingendola con un braccio. Profumava di gelsomino e di tè Earl
Grey. I suoi capelli risplendevano alla luce del fuoco. «Sei ancora
arrabbiata per il battibecco che abbiamo avuto la settimana scorsa?»
«Che cosa? Quella storia di Tramonto oscuro?» Rise dolcemente.
«Perché mai? Ho vinto io. Scriverò un racconto e me lo pubblicheranno, a
dispetto del tuo atteggiamento borioso e presuntuoso.» Gli strinse il naso
delicatamente tra le dita. «E devo confessare di non essere per nulla
dispiaciuta se hai consigliato a Donald di non immischiarsi con quella
strana gente.»
«Sai, cara, non devi pensare che io disapprovi a priori i gruppi di
persone che si vestono e si comportano in modo strano, benché io da
giovane non l'abbia mai fatto.»
«Già. Eri troppo impegnato a scrivere note a piè di pagina.»
Sorrise in apprezzamento della battuta. «È che ho letto il materiale che
pubblicano e ne sono rimasto piuttosto turbato. Sono purtroppo riuscito a
crearmi una buona reputazione, chissà come, e devo stare molto, molto
attento a come mi muovo. Mi capisci?»
«Certo. E Donald non sembra averla presa male. Anche se vorrei che si
trovasse una ragazza. Ne ha bisogno. Forse abbiamo sbagliato a tenerlo
troppo impegnato. Ho cercato di presentarlo a una delle mia amiche del
Peabody, ma non sembra interessato.»
«È a lui che stavi pensando, Amy? A Donald?»
«Be', no... non solo.» Si morse il labbro, lo guardò con occhi tristi e gli
accarezzò la guancia. «Bill, a volte penso che siamo entrambi... troppo
impegnati. Abbiamo troppe cose da fare. Mi domando se le nostre vite non
ci stiano divorando.»
«Pensi che dovremmo prenderci una vacanza?»
Rise. «Mi conosci bene. Io ho sempre bisogno di una vacanza. No.» si
fermò a riflettere. «Sai, stavo pensando. Gli anni passano. So che sono
giovane, ma tu...»
«Sto invecchiando rapidamente?»
«Ma no, che dici? Be', forse è meglio che sputi il rospo. So che ne
abbiamo già parlato... di mettere su famiglia... e abbiamo deciso di
rimandare. Ma ora penso che se aspettiamo troppo... forse non ti godrai
appieno i bambini. E poi, chissà?» Sorrise mestamente, gli occhi gonfi di
lacrime. «Chissà che cosa ci porterà il futuro? Mi piacerebbe avere... dei
nipotini, e poterli coccolare insieme con te... e godere di tutti gli altri
sciocchi sentimentalismi.» Tirò su con il naso e girò la testa. «È troppo.
Poco tempo fa leggevo Herman Hesse e ascoltavo Kurt Cobain. Ora voglio
cominciare a fare maglioncini per i nipotini e organizzare crociere per
pensionati!»
Lui rise, profondamente commosso.
Prima di conoscere Amy aveva represso o negato molti dei suoi
sentimenti. Ora sembrava ospitarne una lussureggiante coltivazione... si
sentiva il possessore di un giardino di Matisse ricco di meraviglia e
vitalità, l'intero spettro dell'amore in tutte le sue sfumature e
rappresentazioni artistiche.
«Lo sapevo. La nostra differenza di età alla fine comincia a
preoccuparti.»
«Scusami», disse. «Sai che sono a disagio nell'esprimere i miei
sentimenti.»
«Non ti preoccupare», la rassicurò. «Non c'è nulla di male. E non stai
solo esprimendo i tuoi sentimenti. Stai affrontando una questione concreta
e logica. Una questione che dobbiamo affrontare insieme.»
«Temevo che ti arrabbiassi.»
«Scherzi? Pensi che sia tanto vanitoso da non voler ammettere che sto
invecchiando?»
«Non sei vecchio. Non è questo il problema.»
«Certo che no», rise. «Lo so.» Lei aveva di nuovo voltato la testa.
Allungò una mano e gliela fece girare, guardandola negli occhi. La baciò
delicatamente su una guancia. «Hai perfettamente ragione, tesoro. Non c'è
alcun motivo di non avere bambini. Dovremmo farlo subito. Ammetto di
essere stato molto egoista fino a oggi. Ho voluto averti tutta per me il più a
lungo possibile.»
I suoi occhi si riempirono di stupore e di gioia. «Bill! Dici sul serio?»
«Be', dovremo fare qualche sacrificio economico, ma sai quello che
dicono: quando hai dei bambini riesci sempre a recuperare in qulche modo
quello di cui hai bisogno.»
Parlò con voce da bambina. «Posso scrivere un romanzo per Tramonto
oscuro, papà!»
Poi, finalmente, lo abbracciò.
Lo strinse con tale forza da dargli l'impressione che volesse fondersi con
lui. E se fosse stato possibile, in quel momento William Blessing non
avrebbe avuto nulla da obiettare.
La strinse a sé, e la sua morbidezza, la sua inebriante fragranza e calda
essenza lo avvolsero in un'aura di sensazioni erotiche. Si baciarono, e fu il
bacio più dolce e più tenero di tutta la sua vita.
Senza neppure rendersene conto, l'istante dopo si trovarono intrecciati
sul pavimento presi in un vortice di passione, accanto al camino. Il suo
amore per lei ardeva come i tizzoni nel camino. Ma era destinato a durare
molto, molto di più.
«Sai, amore», disse Blessing. «Anche il fascino di Charles Dickens
impallidisce di fronte a te.» Alzò un dito a indicare il soffitto. «E sai una
cosa? Nonostante le tue affermazioni, penso di essere un po' troppo
vecchio per rotolarmi sul pavimento. Credo che sarei molto più felice di
impegnarmi per cominciare una gravidanza nel nostro letto caldo, bello e
decisamente caro.»
«Guastafeste», ribatté lei scherzosamente.
Amy balzò atleticamente in piedi e aiutò Blessing a tirarsi su. Lui mimò
un attacco di reumatismi e la seguì barcollante, facendosi guidare dal suo
sguardo amorevole e malizioso verso la scalinata che conduceva alla
camera da letto al piano superiore.
Erano giunti a metà strada quando suonarono alla porta.
«Chi può essere?» domandò Amy, seccata.
«Non può essere Donald», disse Blessing. «Ha la chiave e sarebbe
entrato senza suonare. E comunque non viene mai di sabato sera.»
«Lascia perdere, Bill. Non rispondere. Andiamo.» Lo tirò per un braccio.
«Facciamo finta di non essere in casa.»
«No. È evidente che ci siamo. Potrebbe essere qualcosa d'importante.»
Si liberò delicatamente dalla presa e le sorrise per rassicurarla. «Comincia
a salire. Chiunque sia, lo manderò via in un paio di minuti e poi ti
raggiungerò.»
«No. Ti aspetto qui.» Incrociò le braccia sul petto, vagamente irritata da
quella insubordinazione.
«Fuori nevica. Forse qualcuno ha avuto un incidente oppure ha la
macchina bloccata dalla neve e ha bisogno di fare una telefonata»,
ipotizzò. «Verremmo meno ai nostri doveri di buon vicinato se non
aprissimo.»
«Nel centro della città? Non credo proprio», replicò.
Amy era una ragazza della tranquilla periferia americana e vivere in un
contesto metropolitano la innervosiva ancora. Tuttavia, il loro era un
quartiere piuttosto sicuro e Blessing non credeva proprio che nei paraggi
criminali di strada girovagassero sotto la neve. Strade e marciapiedi
ghiacciati non erano certo l'ideale per una rapida fuga!
Inoltre, non era necessario aprire la porta per vedere chi avesse suonato.
Giunto all'ingresso, accese il monitor del sistema di sicurezza.
«Chi è?» domandò al citofono. Il monitor si schiarì, ma non produsse
immagini. Evidentemente la neve aveva coperto l'obiettivo della
telecamera all'esterno.
«Mi dispiace disturbarla, ma c'è stato un incidente. Avrei bisogno di
chiamare un carro attrezzi, e magari anche la polizia.»
Era la voce di una donna, leggermente tremante per via del freddo.
Blessing sentiva il sibilo del vento e i grossi fiocchi di neve che si
adagiavano sui vetri delle finestre. Solo ascoltando la voce della donna gli
sembrò di sentire il freddo pungente.
Ma non riusciva a vederla.
Maledetta neve. Non gli dispiaceva, solitamente, ma in momenti come
quello desiderava di aver scelto di vivere in un luogo dove il clima era più
mite. L'inverno sulla costa orientale degli Stati Uniti poteva essere
estremamente rigido. Per quale motivo quella donna avesse scelto di
bussare proprio alla sua porta era un mistero. Ma si sentì obbligato a
compiere il suo dovere di buon cittadino e a darle una mano.
Compose il codice che disattivava l'allarme, aprì la serratura, sganciò la
catenella di sicurezza e tirò a sé la pesante porta di quercia, aprendola.
L'aria fredda irruppe immediatamente nella casa, rapida e pungente,
portando con sé una spolverata di neve.
«Che cosa è succe...» cominciò a dire.
Vide subito che non c'era una donna sulla soglia di casa, ma un uomo
imponente con indosso un lungo cappotto, una figura nera monolitica sullo
sfondo più chiaro della notte innevata.
Prima che avesse anche solo il tempo di prendere in considerazione di
richiudere la porta sbattendola, l'uomo fece un passo in avanti e gli assestò
un pugno al plesso solare, con la precisione e la velocità di un pugile
esperto.
La neve si illuminò di stelle. Blessing emise un grido strozzato e gli si
annebbiò la vista. Si piegò in due per il colpo ricevuto e cadde in avanti.
L'uomo lo sostenne e lo sospinse nell'ingresso.
Blessing ebbe l'impressione di essere stato spezzato in due.
«Bravo, professor Blessing», disse un voce alle spalle dell'uomo che
l'aveva colpito. «Ci faccia un po' di spazio. Fa freddo qua fuori.»
Il dolore aveva cominciato a risalirgli dall'addome verso il petto.
Perdeva e riacquistava conoscenza, rendendosi conto a malapena che
l'altro uomo era entrato in casa sottraendosi alla nevicata e si stava
chiudendo la porta alle spalle.
Il cappotto nero era lungo, molto lungo.
Dita bianche sbucavano da guanti neri.
Un mento duro, squadrato.
Un ghigno sul volto.
«Ecco. Così va meglio», approvò con un tagliente sussurro. «Bene,
professore. Non c'è motivo di soffrire oltre, anche se disponiamo di tutti gli
strumenti nel caso fosse necessario, gliel'assicuro.»
«Già, cazzo. Coltelli e pistole», ringhiò l'uomo vestito di nero.
«E qualche altro simpatico attrezzo», sussurrò l'uomo con il lungo
cappotto. «Siamo professionisti, capisce, e ci piace il nostro lavoro.
Dunque, sappiamo che lei possiede una magnifica collezione, contenente
pezzi di notevole valore. È così professore?»
Il fiato fuoriuscì dai polmoni di Blessing, ma senza produrre suono.
«Le ho chiesto...» L'uomo si ravviò i capelli all'indietro e lo affrontò,
faccia a faccia. Blessing sentì l'odore di alcol, di aglio e di qualcosa ancora
peggio nell'alito dell'uomo. «Le ho chiesto se è così, professore.»
«Sì», riuscì con fatica a rispondere Blessing.
Una quantità sufficiente di adrenalina si era ora riversata nel suo
organismo per permettergli di mettere a fuoco la vista. In quell'istante capì
che la paura che provava non era per la possibile perdita della sua
collezione di cimeli di Poe... ma piuttosto per l'incolumità della moglie.
Amy.
Non devono fare del male a Amy.
«Sì, vi prego. Non c'è bisogno di usare la violenza», riuscì a dire «Potete
prendere quello che volete.»
«Che uomo di buon senso», commentò l'uomo con il cappotto.
«Tuttavia...» Fece un cenno con la testa.
Il teppista alto e massiccio con una faccia butterata che sembrava uscita
da un fumetto della Marvel afferrò Blessing da dietro, gli portò le braccia
dietro la schiena e gli immobilizzò i polsi.
Una fitta di dolore risalì le braccia di Blessing fino alle spalle. Era come
se l'uomo volesse staccargliele. Fu di nuovo sul punto di perdere i sensi,
ma come se l'avesse intuito, l'uomo allentò la pressione.
«Eccellente. Ora, possiamo rendere tutto molto rapido e, se non proprio
indolore, certamente meno tragico di quanto potrebbe essere», disse
l'uomo con il cappotto. «La prego, professore. Ci mostri la sua collezione.
Presumo che si trovi al piano di sopra, no?»
«Sì», confermò Blessing.
«Bene. Ora con calma e tranquillità andiamo a vedere. Ma non troppo
lentamente. Potremmo diventare impazienti.»
Entrambi gli uomini erano a volto scoperto e, a mano a mano che si
riacuivano i sensi, Blessing prese nota mentalmente di ogni dettaglio, di
ogni cicatrice, ogni curvatura di naso e ogni follicolo, imprimendoseli a
fuoco nella memoria.
State commettendo uno sbaglio, pensò. Vi prenderanno. Non riuscirete a
farla franca.
Era quello il pensiero che gli dava forza, che gli permetteva di
controllarsi e di non tentare una reazione. Che impediva il formarsi di
pensieri come Non può essere vero a vantaggio di Giustizia verrà fatta! e
Devo proteggere Amy.
Lo sospinsero su per le scale.
«Ora ci indichi quale porta dobbiamo aprire», pretese l'uomo con il
cappotto.
Blessing pensò di offrire loro denaro e oggetti di valore per convincerli
ad andarsene, ma sapeva che sarebbe stato inutile. Chiaramente sapevano
ciò che volevano ed erano decisi a ottenerlo.
Aveva sempre saputo che una simile collezione di oggetti preziosi era
vulnerabile. Ma aveva solo temuto che potessero cadere per caso nelle
grinfie di qualche topo d'appartamento. Non aveva mai immaginato che
qualcuno potesse desiderare quelle prime edizioni e quei reperti al punto
da organizzare un furto su commissione. Come potevano pensare di
riuscire a rivenderli, di trarre profitto da un saccheggio del genere?
Eppure evidentemente era la collezione l'obiettivo dei due. E che alla
fine non sarebbero riusciti a farla franca gli sembrava ovvio. Blessing era
preoccupato per la sorte degli oggetti che venerava e per i quali aveva
speso cifre esorbitanti; tuttavia, la salvezza della vita sua e di quella di
Amy era di gran lunga più importante.
Avrebbe obbedito a ogni loro istruzione.
Giunsero al primo piano nell'istante in cui Amy uscì dal bagno. «Bill, va
tutto?...»
Appena vide i due uomini che trattenevano Blessing il suo volto si
contorse in un'espressione di panico. Si voltò e tentò di fuggire.
«Amy. No!» chiamò Blessing.
L'uomo con il cappotto lungo scattò al suo inseguimento. Non ci fu
storia. La raggiunse all'altezza del primo gradino della rampa di scale, la
prese per la vita con un braccio e la trattenne.
Lei strillò.
«Zitta, puttana!» intimò l'uomo. La scosse come un cane scuote un
coniglio.
«Non farle male!» implorò Blessing.
Amy smise di divincolarsi. L'uomo con il cappotto la trascinò verso la
porta da dove era sbucata.
«Nessuno si farà male se obbedirai a quanto ti diciamo. D'accordo?»
Scosse di nuovo Amy. Lei annuì, gli occhi spalancati per la paura. Guardò
Blessing e sembrò sollevata nel vederlo apparentemente incolume.
«Vogliono solo i reperti nella stanza della collezione», spiegò Blessing.
«Ho intenzione di farglieli prendere.»
«Una decisione saggia e democratica, professore», si complimentò
l'uomo con il cappotto. «E adesso, prego...» Indicò la centralina del
sistema di allarme. «Ci pensi lei.»
«Lo farei se avessi una mano libera.»
«Naturalmente. Ma si ricordi: non esiteremo a fare del male alla signora
Blessing. Ed è quello che accadrà se cerca di fare il furbo.»
L'energumeno rimase vicino a Blessing e lo fissò mentre si strofinava le
braccia per riattivare la circolazione e poi volgeva la sua attenzione alla
centralina. Il professore digitò qualche cifra e la luce rossa si spense.
Si mise una mano nella tasca destra dei pantaloni.
«Occhio, professore», ammonì l'uomo con il cappotto.
«Sto solo prendendo le chiavi.»
«Molto bene.»
Blessing le estrasse, tintinnanti. Le mostrò all'uomo con il cappotto, poi
scelse quella che gli serviva.
La inserì nella toppa.
La girò.
E aprì la porta con una spinta.
All'apertura della porta dalla stanza uscì una corrente d'aria fredda,
carica del profumo di pelle, cuoio e carta. Allungò una mano veso l'interno
e accese la luce.
Il gruppetto varcò la soglia. Nel momento stesso in cui l'uomo con il
cappotto entrò e si guardò attorno, qualcosa cambiò.
In precedenza aveva avuto sul volto un ghigno soddisfatto e arrogante.
Ora, invece, appariva vagamente confuso. Disorientato. Turbato. Forse
addirittura spaventato.
«Cazzo», sussurrò.
«Che c'è?» indagò il complice.
«Tieni la donna», ordinò lui.
L'energumeno obbedì, facendo un passo di lato e afferrando Amy.
«Niente male, la ragazza. Ha anche un buon profumo.»
L'uomo con il cappotto si infilò una mano nella tasca, lo sguardo
assente, e ne tolse una pistola.
«Figlio di puttana!» esclamò.
Cominciò a fremere. Si voltò a guardare Blessing, gli occhi ora arrossati
e iniettati di sangue.
Puntò la pistola. Il foro della canna era quanto di più nero e freddo i
sensi di Blessing avessero mai registrato.
«Sei tu!» accusò l'uomo con il lungo cappotto.
«Che cosa?»
«No!» gridò Amy.
Istintivamente, nonostante la paura che lo attanagliava, Blessing si girò a
guardare la moglie.
Quanto stava accadendo nella stanza aveva distratto l'energumeno. La
vicinanza fisica con una donna tanto avvenente aveva evidentemente
innescato desideri più immediati di quello di rubare. Le sue narici bovine
erano dilatate e aveva affondato la bocca nel collo di Amy, stringendole
violentemente il seno destro in una grossa mano.
«Lasciala stare!» urlò Blessing. Senza preoccuparsi della propria
incolumità si scagliò contro l'energumeno, colpendolo al volto con un
pugno. Il colpo fece più male alla mano di Blessing che all'aggressore, ma
riuscì se non altro ad attirare la sua attenzione. Alzò lo sguardo, gli occhi
pieni di lussuria e di sfida.
A dispetto del dolore alla mano Blessing si stava preparando a sferrare
un secondo pugno quando venne atterrato da un tremendo colpo alla nuca.
Cadde dall'altra parte della stanza, urtando una pila di libri e rischiando
nuovamente di perdere conoscenza.
Si raggomitolò sul pavimento, tentando di rimanere cosciente.
Rimani sveglio! Rimani vivo!
Per amore di Amy!
Poi si rese conto che l'uomo con il cappotto si era piazzato sopra di lui e
gli stava puntando contro la pistola.
«Tu!» ringhiò a denti stretti. «Il mio persecutore!»
«Che cosa?» bofonchiò Blessing.
I tendini sul collo dell'uomo erano tutti in rilievo e le vene sulla fronte
sudata erano gonfie.
«Finalmente ti ho trovato!» dichiarò l'uomo con il cappotto. I suoi occhi
vibravano selvaggiamente. «Non mi darai più noia...»
«Di' a quella bestia di allontanarsi da mia moglie!»
Blessing fece per alzarsi.
Venne ricacciato a terra da due proiettili.
Il dolore fu intenso, immediato e viscerale. Le tenebre lo avvolsero
rapidamente.
E non portarono alcun conforto.

14

Poi quell'uccello d'ebano indusse a un sorriso il mio


mesto umore,
Con il grave e austero decoro del suo portamento,
«Benché rasata sia la tua cresta», dissi, «non sei un vile
Orrido e antico Corvo che vieni da notturne rive.
Dimmi qual è il tuo nobile nome sulle plutonie rive!»
Disse il Corvo: «Mai più».

EDGAR A. POE, «Il corvo»

Era un piano geniale!


Assolutamente geniale, pensò Donald Marquette mentre la Volvo di
Baxter Brittle navigava sulle strade ghiacciate. La neve cadeva ora
talmente fitta da offuscare i lampioni. Marquette non indossava guanti e,
seduto al posto del passeggero, teneva le mani sul cruscotto dell'auto
davanti al bocchettone dell'aria calda per scaldarsi.
Al Marchese era stato ordinato di non bere quella sera e ora guidava la
macchina coadiuvato dalle pesanti gomme da neve. Baxter Brittle e il
Conte sedevano sul sedile posteriore. L'interno della macchina era pervaso
dall'odore dolciastro e nauseabondo dell'assenzio a cui Baxter non aveva
voluto rinunciare, nonostante Marquette avesse insistito perché rimanesse
sobrio. Indossava una pelliccia di taglio vittoriano e sembra affascinato,
quasi ipnotizzato dai fiocchi di neve che cadevano in larghe volute dal
cielo.
«Notte di pace e di gioia, eh?» strascicò Baxter. Cominciò a canticchiare
l'm dreaming of a white Christmas! con voce stridula e stonata.
«Ecco, siamo arrivati», disse Donald. «La casa è quella.»
«Parcheggia! Parcheggia!» esortò Baxter. «Ci piegheremo dalle risate!»
«Volentieri», rispose il Marchese, guardandosi attorno nella notte quasi
opaca per la neve. «Devo solo trovare un posto, okay?»
Donald si tirò su la manica e controllò l'orologio. «Non essere troppo
pignolo», invitò. «È quasi l'ora dell'appuntamento.»
Lui stesso, sebbene non proprio ubriaco, era piuttosto brillo. Benché
avesse caldeggiato la sobrietà come condizione ideale per quel genere di
situazione, aveva faticato a gestire l'eccitazione e il nervosismo durante
l'attesa al Cork'd Sailor. Nessuno sembrava curarsi del fatto che si fosse
scolato qualche birra e infilato una bottiglia di vodka nella tasca del
cappotto prima di uscire. Non si sa mai, si era detto. Avrebbe sempre
potuto lanciarla.
Un piano favoloso!
Mentre il Marchese lottava con il volante della Volvo nel tentativo di
parcheggiarla nello spazio che aveva individuato, il parabrezza inondato di
fiocchi di neve tra una spazzata e l'altra dei tergicristalli, a Donald
Marquette sembrò di ascoltare di nuovo Baxter Brittle che nello scantinato
sotto il bar illustrava la sua idea: «Un piano semplice ed efficace!» aveva
affermato, agitando la tazza di liquore con una mano e indicando Mick e
Theodore con l'altra. «Abbiamo davanti a noi la soluzione. Ecco: due
uomini dal fisico imponente e dall'aspetto minaccioso. Penetreranno in
casa di Blessing, minacciandolo allo stremo ma esercitando il minimo di
violenza fisica. Immagino che voi due ci stiate, no?» aveva domandato,
guardando gli uomini vestiti di nero.
«Potrebbe essere divertente», aveva commentato Mick con tono pacato.
«Già. Perché no?» concordò Theodore.
«Benissimo.» Baxter Brittle aveva continuato. «Dunque. A questo punto
fa la sua comparsa il nostro giovane eroe, Donald Marquette. Che cosa lo
spinge a visitare la dimora dei Blessing quel fatidico sabato sera? Ma per
appianare un disaccordo, naturalmente. Per deporre al diretto cospetto dei
Blessing l'oggetto stesso della controversia! Le cattive influenze in carne e
ossa! I Goths! A tal fine, in quanto rappresentanti del gruppo, il
sottoscritto, il Marchese e il Conte lo hanno accompagnato, portando con
loro offerte di pace e forse qualche libro da farsi autografare.»
Agitò con aria melodrammatica un dito.
«Ma che cosa vedono i nostri occhi! Sembra che ci siano guai! Sì, la
dimora dei Blessing e la meravigliosa collezione di reperti di Poe che
custodisce sono in pericolo! Noi, cittadini coraggiosi e intrepidi, oltre che
ottimi Goths, ci lanciamo in soccorso degli aggrediti.
«Pam! Pum! Schiaffi e cazzotti ai cattivi! Prendete questo, e
quest'altro!» Baxter Brittle si era a tal punto immedesimato nella parte che
si era alzato e aveva cominciato a sferrare pugni contro immaginari
avversari.
Sbuffava e ansimava, mimando un incontro di boxe. Poi aveva concluso
con un poderoso gancio, si era girato di scatto e aveva alzato le braccia al
cielo in segno di gloriosa vittoria.
«I cattivi sono sconfitti. Se la danno a gambe, dileguandosi nella notte.
Ma la collezione di reperti di Poe, il brillante professore e la sua signora
sono sani e salvi grazie al nostro valore. Ci acclameranno come eroi.»
Aveva raccolto la tazza di assenzio. «Grazie Donald! Grazie Goths. Ora
non possiamo che ricrederci sul vostro conto. Incontriamoci di nuovo in un
momento di maggiore tranquillità, beviamo qualcosa insieme e diventiamo
amici!»
Baxter si era voltato a guardare Donald.
«E lei, signor Marquette... ora le siamo così grati e la rispettiamo al
punto da non avere alcun problema con le sue frequentazioni; del resto, è
gente splendida!»
A quel punto aveva riso.
«Vedete? Molto semplice, ma estremamente efficace. E chissà che
valore aggiunto potrebbe ricavarne la Tome Press? Un'edizione esclusiva
di un inedito e oscuro racconto di William Blessing? Perché no? Che bella
idea, Baxter Brittle. Lei è un genio.» Si era inchinato. «Grazie! Grazie
mille a tutti!»
Avevano poi brindato insieme, celebrando la genialità della proposta.
Donald l'aveva trovato un piano perfetto.
Oltre a consolidare la sua posizione nei confronti dei Blessing, avrebbe
potuto continuare a frequentare i suoi amici... magari anche guadagnare
prestigio all'interno del gruppo. Avrebbero potuto ricompensarlo
pubblicando un'intera collana di suoi libri! Tutto era possibile. L'unico
limite in quel genere di situazione era imposto dalla fantasia, e la sua, di
fantasia, era... be', quella di uno scrittore e dunque illimitata.
L'urto delle ruote contro il marciapiede, il fischio della gomma in attrito
sul ghiaccio. La macchina era parcheggiata. Scese, immergendosi nell'aria
gelida. Estrasse la bottiglia. Non c'era nulla di meglio della vodka per
scaldare l'anima di un uomo. Prese un sorso, poi un secondo e si ripose in
tasca la bottiglia.
«Da questa parte.»
Li condusse alla scalinata all'ingresso della casa a schiera.
La via sembrava tratta da un fiabesco paesaggio urbano invernale.
Stalattiti di ghiaccio pendevano dai rami degli alberi come bizzarre
imitazioni di canini vampireschi. Le automobili erano coperte da cumuli di
neve. Come una fila di giganti congelati le case erano gravate del peso del
ghiaccio e della neve.
Dall'alto nell'oscurità, dal punto del cielo in cui si materializzava la
neve, giunse un suono.
Un gracchio!
Donald alzò lo sguardo. Un pezzo di notte sembrò volare via da lassù.
Poi una spruzzata di neve che gli cadde sul volto dall'alto lo costrinse ad
abbassare la testa.
Baxter Brittle faticava a camminare sulla neve, ma con l'aiuto del
Marchese e del Conte risucì a non scivolare, rimanendo in piedi. Che
magnifico gruppo di soccorritori. Per fortuna gli aggressori erano in
combutta con loro e avrebbero finto di cadere sotto i colpi, per poi darsi
alla fuga. Il minimo impiego di forza avrebbe sortito il massimo effetto.
Donald fece strada e salì i gradini ghiacciati. Dovette aggrapparsi al
corrimano per non scivolare. La porta era chiusa a chiave, naturalmente, e
presumibilmente il sistema di allarme era stato disattivato. Non si prese la
briga di bussare. Avrebbe potuto affermare di averlo fatto e, preoccupato di
non ricevere risposta, aveva utilizzato la chiave datagli in consegna dai
Blessing. «Grazie a Dio l'hai fatto», avrebbero detto, e non se ne sarebbe
più parlato.
La serratura scattò.
La porta si aprì con uno scricchiolio.
Donald entrò e rimase sorpreso da quanto udì.
Totale silenzio.
Alzò un mano, facendo cenno agli altri.
«Non sento rumori.»
«Questa casa ha i muri spessì», spiegò Baxter. «Se stanno già
saccheggiando la stanza della collezione non possiamo certo sentirli da
quaggiù. Facci entrare! Sto congelando.»
Donald avanzò nell'ingresso e gli altri lo seguirono. Si avvicinò alla
scalinata che conduceva al primo piano.
Colpi sordi.
Un grido strozzato.
Altri colpi.
«Okay, saliamo», disse.
Deglutì e si rese conto di essere nervoso e spaventato, benché
razionalmente non ne avesse motivo.
«Abbiamo sentito rumori sospetti», disse Brittle. «Allora abbiamo preso
oggetti da usare come armi. Ragazzi! La cucina è laggiù. Andate a vedere
che cosa riuscite a trovare.» Il Conte e il Marchese si avviarono in fretta
verso la cucina mentre Baxter Brittle si guardava attorno. Indicò il camino.
«Sì, abbiamo sentito rumori sospetti e ci siamo armati di attizzatoi e
palette. Perfetto!»
Baxter prese la paletta, Donald l'attizzatoio.
Il Conte e il Marchese emersero dalla cucina reggendo una piccola
mannaia e un coltello da cucina. Fortunatamente erano vestiti normalmente
quella sera, e davano l'impressione di essere ragazzi impegnati a
contrastare una rapina, proprio come previsto dal piano.
Salirono le scale.
La porta della sala Poe era aperta.
Ma i colpi sordi erano cessati.
«Entra prima tu», esortò Baxter. «Sei tu l'eroe.»
Donald annuì. Alzò l'attizzatoio e varcò la soglia.
Al centro della stanza sedeva Mick, il cappotto aperto e le gambe
divaricate. Aveva gli occhi fissi sulla pistola che impugnava in una mano.
Avvertendo l'arrivo di qualcuno alzò lo sguardo. Gli occhi annebbiati
misero a fuoco. Guardò Donald e gli rivolse il sorriso di una persona
posseduta dal demonio.
«Il mio Nemico è morto!» sussurrò raucamente. «Finalmente morto! Ora
potrò dormire di notte! Non mi perseguiterà più!»
Un'ondata di terrore travolse Donald. Rimase immobile, gli occhi fissi su
Mick, non sapendo che fare.
Poi Theodore si alzò da dietro un tavolo. Era rosso in volto e aveva gli
occhi assonnati e lucidi. Aveva i pantaloni abbassati fino a metà delle
potenti cosce. «Cazzo, ragazzi», disse. «Che figata!»
Donald gli andò incontro. A terra, dietro il tavolo giaceva Amy Blessing
seminuda, i vestiti strappati, insanguinata e priva di conoscenza. Donald
non ebbe bisogno di chiedere a Theodore che cosa le avesse fatto.
«Oh, mio Dio», esclamò.
Mollò la presa sull'attizzatoio, che cadde a terra rimbalzando con un
colpo sul tappeto.
Baxter Brittle entrò barcollando nella stanza e guardò Mick. «Cazzo»,
esclamò. «Mick! Mick!» lo rimproverò agitando un dito nella sua
direzione, come se si stesse rivolgendo a uno scolaretto indisciplinato.
«Questo non era nel piano.»
«È morto! Il Nemico è morto!» ripeté Mick.
«Come sarebbe?» domandò il Conte con un filo di voce. «Ha ucciso
Blessing? Cazzo, lo ha ucciso!»
Le parole riecheggiarono nella mente di Donald. Una parte di lui si
barricò semplicemente nella negazione e rifiutò di crederci. Un'altra parte
lo spinse all'azione.
«Di che stai parlando, Mick?» pretese di sapere, ormai ull'orlo
dell'isteria. L'orrore della vista del corpo nudo e insanguinato di Amy era
già troppo. Ora il timore concreto che Blessing fosse stato ucciso...
«Dov'è?»
«All'inferno! Ho mandato la sua anima dritta all'inferno, lontana da me.
Lontana un'infinità, un'eternità!» Mick gettò indietro la testa e rise.
Un'improvvisa consapevolezza fluì attraverso Donald come una febbre
inarrestabile. Comprese in un istante che il senso di disagio e tutti i cattivi
presentimenti che aveva avuto in presenza di Mick non erano che flebili
dubbi paragonati alla realtà che gli si parava davanti. L'uomo non era uno
scrittore affetto da qualche problema caratteriale, ma un vero e proprio
psicopatico, un autentico killer con turbe psichiche che si dilettava a
scrivere quando non era in giro a martoriare la sua ultima vittima.
Donald alzò la testa e si guardò attorno.
Gambe.
Vide un paio di gambe spuntare da dietro una sedia vittoriana con lo
schienale alto. Donald si affrettò in quella direzione. Le gambe erano
effettivamente quelle di William Blessing. Il suo corpo giaceva per metà su
un cumulo di libri caduti sul pavimento, sotto il corvo sistemato in cima al
busto di Pallade. Aveva nel petto due fori insanguinati ed era rigido,
immobile...
Morto.
Morto!
Donald Marquette sentì tutto il suo mondo incrinarsi e crollare a mano a
mano che si avvicinava allo scrittore falciato, vedendo il sangue che gli
gocciolava dal petto e andava a macchiare il pavimento, impregnando la
moquette di un rosso profondo.
Si girò di scatto.
«Sei un idiota!» inveì contro Mick. Poi si rivolse a Theodore,
puntandogli contro l'indice. «Perché avete fatto tutto questo? Non faceva...
non faceva parte del piano.»
Baxter Brittle scosse la testa sconsolato: «Mamma mia, che casino!»
«Ehi!» chiamò il Conte. «Guardate quante figate ci sono qui, però.»
«È vero!» rispose il Marchese. «Tanto vale prendere tutto, no?»
«Dovevate solo spaventarli!» strillò Donald. Abbassò la voce. «E poi noi
saremmo... arrivati... in soccorso.»
«Il Nemico è sconfitto», annunciò Mick, ridendo con uno sciocco
ghigno sul volto. «Il Nemico è kaput! Il Nemico è... al bando!»
Donald stava per scagliarsi in avanti e togliere a calci quella maledetta
pistola dalla mano di Mick. Ma doveva prima controllare Amy. Sì, se Amy
era ancora viva, solo priva di sensi, sarebbe stato ancora possibile
sopravvivere a quell'incubo. Forse...
Qualcosa lo afferrò per la gamba dei pantaloni.
Il cuore gli balzò in gola.
Si voltò di scatto.
Gli occhi di William Blessing erano aperti. Si era allungato in avanti e
aveva afferrato la gamba del pantalone di Donald Marquette con tale
violenza da affondargli le unghie nella carne.
«Tu!» accusò gracchiando Blessing. «Donald... Sei stato tu! Perché?»
Mentre guardava in basso, in preda allo choc e all'orrore, qualcosa nel
profondo dell'animo di Donald Marquette si raggelò. Si gelò di un freddo
antico, come quello dei ghiacciai. La scena si dipanava al rallentatore,
come la moviola di un'azione vincente di football. Il gelido Donald
Marquette ebbe il tempo di osservare, analizzare, di prendere la decisione
logica e assolutamente inevitabile.
«Tu... pagherai», ansimò Blessing, spingendosi in avanti, allungando un
braccio come a voler afferrare Donald per la gola. «Pagherai!»
Donald afferrò il busto di Pallade e lo alzò sopra la testa, facendo cadere
a terra il corvo imbalsamato. Mentre con tutte le forze abbatteva il busto
sulla testa di William Blessing con la mente gridava: No, caro vecchietto,
sarai tu a pagare!
Con un rumore nauseante di osso fratturato il cranio del professore si
spaccò.
Blessing non produsse più suono. Mollò la presa sul pantalone di Donald
e ricadde a terra, aggiungendo alla moquette una nuova, più grande
macchia di sangue. Il busto di Pallade rotolò giù e si fermò sul pavimento
con la faccia a terra.
Attonito per quanto aveva fatto, ma comunque freddamente convinto di
non aver avuto alternative, un Donald Marquette diverso, meno vivo e più
vicino alla morte, si voltò a guardare i compagni.
«Non avevo scelta», si giustificò con voce piatta.
«Il Nemico... non era morto», osservò Mick. Girò la testa a guardare
Donald, gli occhi colmi di nuova gratitudine e rispetto. «Tu... hai ucciso il
Nemico.»
«Mamma mia», commentò Baxter Brittle. Tirò fuori la sua fiaschetta e
fece un lungo sorso. «Mamma mia!»
Donald aggirò il tavolo e si portò accanto a Amy Blessing. Si
inginocchiò e le tastò il polso.
Sì, il cuore batteva. Era ancora viva. Misericordiosamente priva di sensi,
ma ancora viva.
«Ora ascoltatemi», disse Donald, sentendosi a un tratto totalmente
sobrio e deciso ad assumere il comando. «Prendete tutta la roba che
riuscite a trasportare. Non c'è nessuno fuori. Non ci sono testimoni, ma
dobbiamo comunque stare attenti. Ce ne andremo... poi io tornerò e
scoprirò quanto è successo. Intesi?»
Gli altri annuirono.
«Muoviamoci, allora!» ordinò Donald. «Vi farò vedere quali sono i
pezzi più preziosi.»
La pistola di Mick era munita di silenziatore. Dalle case attigue non
giungeva alcun segnale di allarme o di curiosità. Bene. Forse sarebbero
riusciti a farla franca.
Dovevano riuscirci.
Era l'unica speranza di Donald Marquette
E se ci riuscivano... se davvero avessero concluso gli inquirenti che i
Blessing erano caduti vittime di rapinatori drogati e violenti...
Donald guardò Amy Blessing, riversa a terra e insanguinata ma,
incredibilmente, bellissima.
Amy sarà mia!
E non solo lei, pensò, tirando fuori un fazzoletto e cominciando a
cancellare le impronte digitali.
All'esterno Donald ebbe l'impressione di udire un battito d'ali.
Lo ignorò.

15

Mimi, parodiando Dio nel cielo,


Mormorano e borbottano sottovoce,
Volando qua e là.
Mere marionette che vengono e vanno
Al cenno di cose immense informi
Che spostano gli scenari avanti e indietro,
Scuotendo dalle loro ali di Condor
Invisibile Pena!

EDGAR A. POE, «Il verme conquistatore»

Il resto non fu silenzio.


Il professor William Blessing si destò.
La prima cosa che vide fu una luce soffusa che penetrava attraverso i
vetri colorati delle finestre. Guardò in alto e si rese conto di trovarsi in
un'enorme stanza sovrastata da una rotonda. Nella parte alta della rotonda
un uccello bianco svolazzava, intrappolato. Mettendo a fuoco vide che era
una colomba. Una colomba che volava da un punto all'altro, posandosi, in
cerca di una via di fuga.
Guardò giù.
Era seduto su una vecchia sedia di legno. Sotto di essa uno splendido
pavimento piastrellato. Era attorniato da file di tavoli. Tavoli da lettura,
non occupati. Gli scaffali curvi erano colmi di libri, riviste e giornali.
Una biblioteca, dunque.
Si trovava in una vecchia e splendida biblioteca.
Il profumo nell'aria era quella deliziosa miscela di cuoio consunto e
carta, di silenzio e concentrazione. Granelli di polvere danzavano in un
raggio di luce, come atomi d'intelletto libero, volteggianti nei corridoi della
sapienza.
Indossava un abito scuro di foggia vittoriana. Era di seta e comodo.
Guardandosi attorno vide, accanto alla grande scrivania del bibliotecario,
che evidentemente non era ancora arrivato, una fontanella di acqua
potabile. Aveva la bocca secca e si alzò per bere. L'acqua era fredda e
rinfrescante, ma salmastra.
Dopo aver bevuto si girò e scorse un uomo dietro la grande e lucida
scrivania. Anche lui indossava una lunga giacca vittoriana, portava strani
occhialini, basette folte e cespugliose e un fiocco nero al collo, annodato
con estro byroniano. Era anziano, ma c'era qualcosa di familiare nella
forma della sua testa e nel suo sguardo.
«Posso esserle di aiuto?» domandò il bibliotecario.
«Io... io non so perché mi trovo qui», confessò Blessing.
«Certamente lei è qui per avvalersi della biblioteca, signore», rispose
l'uomo. «Posso vedere la sua tessera?»
«Naturalmente.» Blessing si controllò le tasche, ma le trovò vuote. «A
quanto pare non ce l'ho», disse.
«Allora evidentemente lei è qui per iscriversi», ribatté l'altro, in modo
oscuro e meditabondo. «Lasci che l'assista. Si avvicini alla scrivania.»
Blessing obbedì, ancora confuso e smarrito. L'uomo con l'abito scuro, il
fiocco e la fronte arcuata tirò fuori da sotto la scrivania un foglio di carta.
«Il suo nome, signore?» domandò il bibliotecario.
«William Clark Blessing.»
«Data di nascita?»
«Ehm... quindici dicembre millenovecentocinquanta.»
«Data di morte?»
Blessing sbatté le palpebre, poi fissò il vecchio bibliotecario. «Mi
scusi?»
«Mi occorre la data della sua morte, signore. Se intende entrare o uscire
dalla biblioteca e consultare il materiale che contiene devo disporre di tutte
le informazioni necessarie.» L'uomo sembrava vagamente spazientito e
piccato. Ma c'era dell'altro nel suo sguardo: una sorta di furia repressa.
Un'aria di sfida.
«Ma io non sono morto! Non so di che cosa sta parlando!»
«Nessun ricordo della propria morte. Mmm. Non è raro», osservò il
bibliotecario. «Be', forse i registri potranno venire in nostro aiuto. Ho il
suo nome. Mi lasci vedere se riesco a trovare qualcosa.» Sospirò, poi fece
un ampio gesto della mano. «Qui ci sono i periodici più recenti. Non è
permesso l'accesso agli scaffali, alle altre sale di lettura o alle cripte senza
la tessera. Tuttavia, nell'attesa, si senta pure libero di consultare i nostri
giornali. Sono sicuro che risolvere questo intoppo, deve solo avere un po'
di pazienza.»
Più che paziente, Blessing si sentiva sconcertato. L'esperienza che stava
vivendo possedeva le caratteristiche di realtà alterata di un sogno, ma tutte
le sensazioni che provava erano autentiche. «Grazie.» Non riuscì a dire
altro.
«Con permesso.»
La cadenza dei tacchi del bibliotecario riecheggiò nella rotonda.
Blessing guardò verso l'alto. La colomba svolazzava ancora lassù. In cerca
di una via di fuga. Ma tutte le finestre sembravano chiuse.
Blessing si avvicinò ai quotidiani e alle riviste ordinatamente disposte su
un tavolo.
La sua attenzione venne subito catturata da un titolo.
UCCISO SCRITTORE HORROR - CONTINUA LA CATENA DI
MISTERIOSI OMICIDI.
Lesse l'articolo. Dean Koontz era stato ucciso nonostante le straordinarie
misure di sicurezza che aveva adottato dopo le morti di Stephen King,
Peter Straub, Clive Barker e, il primo della serie, William Blessing.
Il quotidiano era il Washington Post.
Ironia del destino! Dean aveva sempre sostenuto di non essere uno
scrittore horror.
Blessing si sentiva stranamente distante.
Distaccato.
Era come se i suoi sentimenti si trovassero in un luogo remoto, lo stesso
cervello non più ben inserito nel cranio ma piuttosto sospeso sopra la testa
come un pallone aerostatico, stranamente dotato di un nuovo apparato
sensoriale che non aveva idea di come utilizzare.
Accanto al Washington Post c'era una copia del New York Times.
Lo sfogliò distrattamente, cercando la classifica dei libri più venduti
nelle ultime pagine.
Al numero uno della classifica trovò un libro che recava il suo nome ma
che non aveva mai scritto. La quinta posizione era occupata da un libro
scritto a quattro mani da William Blessing e Donald Marquette. Al numero
dodici un romanzo di Donald Marquette.
Blessing controllò poi la classifica dei libri tascabili.
Numero uno era William Blessing presenta i classici di Tramonto
oscuro.
Al numero tre Gli Spaventosi di William Blessing: i goblin mi hanno
mangiato le mutande!
In quinta posizione Soul Bite: i racconti di William Blessing, secondo
volume, a cura di Donald Marquette.
Al numero dieci un altro romanzo che non aveva mai scritto.
Sfogliò l'inserto. Notò la pubblicità della rivista L'occulto di William
Blessing e l'annuncio di romanzi di prossima pubblicazione scritti da lui in
collaborazione con Donald Marquette.
Lentamente, molto, molto lentamente, cominciò ad avvertire qualcosa di
simile a un sentimento. Dapprima sembrò permearlo dal pavimento, come
una fiamma che prima gli riscaldava le suole delle scarpe e poi risaliva
verso l'alto, all'altezza dell'addome.
Accanto ai due quotidiani trovò la rivista People.
La sfogliò con più attenzione. Nelle prime pagine riconobbe due persone
in una fotografia...
Il titolo dell'articolo era: L'eredità Blessing.
La didascalia della foto recitava: «I novelli sposi Donald Marquette e
Amy Blessing, vedova di William Blessing, in un momento di relax nella
loro villa in Maryland».
La pagina seguente era dominata da una fotografia di Amy Blessing in
tenuta da cavallo in sella a un purosangue. In quella dopo Donald
Marquette era ritratto seduto e attorniato da pile di libri con copertina
rigida, libri tascabili, videocassette e locandine di film.
Blessing lesse l'articolo con attenzione.
Scoprì che dopo la sua morte, inspiegabilmente, erano stati «ritrovati»
alcuni suoi romanzi inediti. Alcuni erano finiti, altri incompleti. Inoltre,
erano stati rinvenuti numerosi appunti per lunghe serie di telefilm, qualche
sceneggiatura e una quantità tale di annotazioni di concetti e trame da tene-
re impegnati diversi scrittori per molti anni. I diritti di molti romanzi erano
stati venduti per trarme film e ora William Blessing era acclamato come il
più famoso autore horror di tutti i tempi, avendo superato in popolarità
anche Stephen King, il quale, ahimè, alla sua prematura scomparsa non
aveva lasciato lavori incompleti o inediti, e oltretutto aveva esplicitamente
richiesto che il suo nome non venisse sfruttato per scopi commerciali dopo
la sua morte.
Secondo quanto affermato da Marquette, dopo il lancio della rivista
dedicata a Blessing, erano in cantiere una collana di maschere William
Blessing per Halloween e una serie di statuette ispirate ai personaggi da lui
creati.
Marquette prometteva inoltre la realizzazione di una serie televisiva, una
collana di fumetti e prospettava la possibile costruzione di un parco
divertimenti ispirato all'universo di Blessing. In quei giorni era al lavoro
sulla creazione di loghi ed emblemi ispirati alla simbologia antica che
avrebbero decorato una lussuosa serie di piatti e tazze di porcellana Wil-
liam Blessing, disponibili esclusivamente su richiesta alla QVC.
Un passaggio dell'articolo recitava: «'Sono stato addirittura contattato da
una cartiera. Volevano ottenere il permesso di utilizzare i loghi ispirati a
Blessing per decorare la carta igienica di loro produzione.' Marquette,
scostando i lunghi capelli dal volto abbronzato e pieno di salute, si
appoggia allo schienale della poltrona e ride. 'Ma ho avuto qualche remora
di natura morale in questo caso!'
«Tuttavia, dopo aver contattato la Esquire Paper, People ha appreso che
Marquette, presidente della Blessing Enterprises, avrebbe approvato la
produzione di carta igienica 'William Blessing presenta Edgar Allan Poe',
con illustrazioni, stralci di prosa e poesie del famoso autore americano, nel
contesto della serie di prodotti 'Letture da bagno'».
L'articolo si soffermava anche sul boom della Tome Press, affiliata della
Blessing Enterprises, e sulle stravaganti feste ed eccentricità di cui si era
reso protagonista lo staff dell'organizzazione di Baltimora in occasione dei
convegni e dei concerti promossi dalla stessa Tome Press. Una nuova eti-
chetta discografica, la Tome Records, stava per aprire i battenti, seguita da
una casa di produzione televisiva e cinematografica.
«Quando abbiamo chiesto a Marquette se a suo avviso William Blessing,
noto studioso e professore universitario, le cui escursioni nel campo della
fiction erano semplicemente una seconda attività, avrebbe approvato
un'uso del suo nome per il lancio di un programma commerciale tanto
intenso, la sua risposta è stata: 'È una questione che non ho neppure preso
in considerazione. Le opere dei grandi uomini deceduti appartengono alla
storia. Io stesso appartengo al mondo accademico e mi sono investito del
compito di accertare che il nome di William Blessing venga inciso a
caratteri cubitali nella pietra dell'immortalità letteraria'.
«E oltre all'immensa ricchezza e alla fama che si sta guadagnando con il
suo attuale lavoro, anche Marquette amerebbe assurgere all'immortalità
letteraria?
«'Perché mentire? Io sono solo un umile scribacchino... Ma credo che
chiunque di noi aspiri all'immortalità artistica. Ma non è la cosa che più mi
sta a cuore, glielo assicuro, e in ogni caso dovrei tutto all'eredità lasciatami
da Blessing. Ciò che più mi rende felice è la mia adorata moglie Amy,
separata da William Blessing nel momento della sua partenza per l'estremo
viaggio.'
«E se potesse dire qualcosa a William Blessing oggi, che cosa gli
direbbe?
«'Che mi sto prendendo cura di Amy'.»
Quando finì l'articolo William Blessing chiuse la rivista. La stanza
sembrava aver cambiato colore. Guardò in alto e vide che il cielo sopra la
cupola della rotonda si era annuvolato e che scoccavano fulmini. Cominciò
a tuonare e la pioggia prese a tamburellare contro i vetri.
William Blessing tornò alla grande e lucida scrivania, dove trovò ad
aspettarlo l'anziano bibliotecario, che ora teneva in mano una piccola
tessera plastificata. La sua testa sembrava attorniata da un'aura di mestizia,
e sul suo volto era comparso un sorriso che somigliava piuttosto a un
ghigno maligno.
«Ora ricordo», annunciò William Blessing.
Sentì un battito di ali sullo sfondo del rumore della pioggia.
Apparentemente non si trattava della colomba. Erano ali più tenebrose.
«Sì, ho trovato il registro. Circostanze spiacevoli, non c'è che dire. Ho
già scritto a inchiostro i dati nel certificato. Manca solo la sua firma,
dopodiché potrà rendere questa meravigliosa, tranquilla istituzione la sua
casa, esplorare gli scaffali di libri o riposare in pace, a suo piacimento.»
«Ci sono dei conti in sospeso», disse William Blessing. Sentiva il
sentimento risalirgli verso la testa, estendersi fino alle punte delle dita.
Il sentimento era il furore, travolgente e allo stato puro.
«Ci lasciamo tutti alle spalle dei conti in sospeso, signor Blessing.»
Blessing alzò le braccia e la testa ai tuoni e ai fulmini. Vide la forma
scura dare la caccia alla colomba.
«Sono io», annunciò. «Il corvo sono io.»
Dall'alto giunse un furioso svolazzare seguito da un verso stridulo.
Dolore e angoscia risonarono e riecheggiarono nella rotonda. Il lampo di
un fulmine, a illuminare per un istante il nero del carbone che dilaniava il
bianco candore.
Un corpicino piombò sulla scrivania, dibattendosi in preda a spasmi,
schizzando sangue sulla superficie lucida.
Con un ultimo fremito la colomba morì.
L'uccello nero, il predatore, scese dalla cupola.
Si posò accanto alla vittima, squadrando Blessing e il bibliotecario con
aria di sfida. Scure macchie cremisi gli macchiavano il becco e il petto.
«Disse il Corvo», recitò William Blessing.
D'istinto, Blessing tese il braccio destro e invitò la creatura nera a
posarvisi sopra.

16

Per quanto attiene, dunque, alla Bellezza come mio ambito, la mia
domanda successiva era riferita al tono delle sue più alte espressioni - e
ogni esperienza insegna che questo tono è quello della tristezza. La
bellezza di qualsiasi genere, nel suo supremo sviluppo, induce invaria-
bilmente l'animo sensbile alle lacrime. La Maliconia è dunque il più
legittimo di tutti i toni poetici.

EDGAR A. POE, La filosofia della composizione

Le malinconiche melodie di una sonata di Beethoven si diffondevano


dall'alto della grande casa di città.
«Meraviglioso», commentò Baxter Brittle, alzando gli occhi al soffitto e
al lampadario di cristallo. «Suona divinamente!»
«A dire la verità», confessò Donald Marquette con una punta di fastidio
nella voce, «preferirei ascoltare Roll Over Beethoven che questa roba. Lei
non fa altro che suonare malinconica e struggente musica classica. Quando
lavoro qui sono costretto a mettermi le cuffie.»
«Le ferite impiegano tempo a rimarginarsi», sentenziò il Marchese,
ispezionando un'ultima volta la disposizione dei posti, i bicchieri, le posate
e i piatti di portata d'argento. «Ecco fatto. Direi che siamo pronti.»
«Aspetta!» esclamò il Conte. «Abbiamo dimenticato di stappare il vino.
È un vino di grande qualità. Deve respirare...»
Baxter Brittle prese la grande bottiglia alla quale si erano già dedicati e
ne studiò analiticamente il contenuto, che andava rapidamente scemando.
«Be', digli di respirare a pieni polmoni, perché credo che lo berremo molto
presto.»
Brittle non indossava il completo alla Oscar Wilde.
Quella sera, anzi, era vestito in modo tradizionale, con una bella giacca,
cravatta e scarpe di cuoio. I capelli lunghi erano l'unico elemento superstite
del consueto look, così come lo erano per il Conte e il Marchese. Il look
decadente e gli accessori, per una volta, erano stati messi da parte. Quella
sera erano solo eleganti ultraventenni impegnati a controllare con cura tutti
i preparativi per la cena. In tutta la casa andava diffondendosi come una
promessa il magnifico profumo di squisito cibo italiano, un misto di
origano, basilico, salsa di pomodoro, olio di oliva extravergine e pane fatto
in casa.
Anche il vino era rosso.
Donald indossava abiti nuovi in stile casual: bei pantaloni, una camicia
azzurro chiaro, una giacca di tweed comprata da Saks sulla Quinta Avenue.
Gli stavano bene, e anche il recente influsso di denaro che gli aveva
consentito di acquistarli gli stava bene. Anzi, gli andava a genio. Il costoso
profumo Calvin Klein che si era spruzzato addosso gli conferiva un tocco
di sicurezza e autostima in più, coadiuvato dai due bicchieri di vino che
aveva già bevuto.
Tuttavia, stava cercando di limitare il suo consumo di alcol.
Quella era la grande serata, e benché avesse bisogno di allentare la
tensione nervosa, era deciso a fermarsi molto, molto prima di ubriacarsi.
Aveva ordinato al Conte e al Marchese di fare altrettanto. Con Baxter era
un'altra storia, dal momento che reggeva molto bene e il vino era comun-
que come acqua per lui, al confronto all'adorato assenzio. La serata si
sarebbe conclusa molto prima che il livello di intossicazione di Baxter
Brittle montasse oltre la soglia della piacevolezza e della socialità.
«Una domanda, ragazzo», disse Baxter, alzando lo sguardo dal vino
rosso d'annata. «Perché proprio cibo italiano?»
«È il preferito di Amy», spiegò Donald. «Blessing, invece, detestava la
cucina dell'Italia del sud. Era allergico alle spezie, credo. Non la
mangiavano mai.»
«Ottima scelta!» si complimentò il Conte. «E sono andato io a prendere
tutto nel miglior negozio di Little Italy.»
«Ho l'acquolina!» disse il Marchese. «Adoro la cucina napoletana. Ho
già assaggiato i formaggi... buoni da morire!»
«Pessima scelta di parole», commentò Baxter Brittle. «Hai preso i
cannoli per il dolce, spero.»
«Certamente. I migliori!» assicurò il Conte.
«Mmm. Molto bene. E molto decadente», osservò Baxter. «Siamo
pronti. Forse dovresti andare su a chiamare la padrona di casa.»
Donald annuì.
Sì. Era ora.
Si lisciò la giacca rimirandosi nello specchio del soggiorno, poi si passò
un pettine tra i capelli. Fece un respiro profondo e si avviò lungo le scale.
La sala Poe era chiusa da due serrature e da una serie di assi di legno.
Nessuno era entrato nella stanza dopo la conclusione dell'inventario
disposto per scoprire che cosa era stato rubato. Da quando era rientrata a
casa dall'ospedale Amy non era più riuscita a guardare quella porta, tanto
meno a pensare di varcarne la soglia. Era stata lei a tentare rozzamente di
murarla. Un peccato, poiché Donald avrebbe potuto mettere a profitto il
materiale ancora custodito nella sala. Che era tutt'altro che poco.
Ma se stasera andrà tutto bene, avrò il tempo che mi occorre, pensò
mentre saliva le scale.
Risonarono le prime note di uno studio di Chopin, delizioso, ma
eseguito più lentamente di quanto avrebbe dovuto. Non c'era da
sorprendersene. Tutto ciò che concerneva Amy era più lento di quanto
avrebbe dovuto essere in quel periodo. Tuttavia, riteneva già un successo il
fatto che fosse ragionevolmente reattiva e non rinchiusa in un istituto psi-
chiatrico.
Sorprendentemente, nonostante la morte, il sangue e lo stupro, le cose
erano andate molto meglio di quanto era stato previsto dal piano originale
di Baxter Brittle.
Avevano trasportato scatoloni pieni di libri, lettere e reperti di Poe alle
auto in attesa davanti alla casa. Gli altri erano fuggiti per nascondere la
refurtiva e non farsi trovare nei pressi del luogo del delitto. Poi Donald era
tornato e aveva «scoperto» l'orribile scena. Aveva chiamato la polizia,
componendo il 911 al telefono. I poliziotti erano arrivati. E avevano
creduto al suo racconto; anche nel caso in cui qualche indizio avesse
destato sospetti contro di lui, la versione di Amy, al suo risveglio due
giorni più tardi, l'avrebbe del tutto scagionato. Cominciò la caccia all'uomo
per rintracciare il ladro assassino e il ladro violentatore, ma senza
successo. La Tome Press aveva fornito loro i fondi necessari per prendersi
una lunga «vacanza».
Fu solo dopo l'accaduto, tuttavia, che Donald Marquette prese coscienza
del suo vero talento. A colloquio con i detective della polizia il suo
comportamento era stato perfetto: aveva interpretato a meraviglia il ruolo
dello studente afflitto, del pupillo inorridito. Ma non era stata che la prova
generale per la straordinaria performance fornita a beneficio della stampa.
All'improvviso, con le luci della ribalta puntate su di lui, Marquette si
era trasformato in Fred Astaire, capace di danzare con leggiadria e
catturare le menti e i cuori di lettori in ogni angolo del mondo. Gli ultimi
libri di Blessing, che già vendevano piuttosto bene, schizzarono in vetta
alle classifiche dei bestseller. Le proposte che giunsero dal mondo del
cinema si trasformarono ben presto in contratti di produzione. I diritti
vennero acquistati anche in quei paesi dove prima non erano stati trovati
acquirenti. E Donald Marquette, il cui nome era ormai inscindibile da
quello del famoso scrittore (e studioso!) horror assassinato, era riuscito a
vendere senza alcun problema il suo primo, esitante romanzo, firmando un
contratto che lo impegnava a scriverne altri due in cambio di una somma
ragguardevole. Una buona percentuale di questa fu con accortezza offerta
come ricompensa a chiunque fosse stato in grado di fornire informazioni
utili all'arresto e alla condanna dell'assassino di Blessing, oltre che al
recupero degli oggetti sottratti dalla sala Poe.
Naturalmente, essendo a conoscenza della vera identità dell'assassino,
sapeva anche che non avrebbe mai dovuto versare un soldo.
Accordi minori crescevano e scemavano d'intensità mentre entrava nella
stanza. Quel mattino aveva sistemato sullo Steinway un vaso di fiori e il
loro profumo era fresco e piacevole. Ciononostante, data la vicinanza con
la scena del delitto, nell'aria aleggiava ancora un lieve odore di sangue
raggrumato. Non era un odore poi così fastidioso... misto al profumo dello
shampoo di Amy. Non usava più profumi e aveva cominciato a indossare
vestiti scuri e semplici, ma ai suoi occhi era più bella che mai.
Ora, mentre sedeva sullo sgabello, sfiorando delicatamente i tasti e
premendo i pedali, appariva pallida e preziosa, un alito di vita sofferta in
un quadro immobile e congelato.
Si appoggiò al pianoforte, in modo che lei potesse percepire la mia
presenza con la coda dell'occhio, assumendo la posizione di un intento
ascoltatore. Quando terminò il pezzo di Chopin lui batté delicatamente le
mani. «Molto brava.»
Lei accennò un sorriso. «Grazie, Donald.»
«Ciao.»
Lei annuì, poi frugò tra gli spartiti sul leggio.
«Hai per caso sentito qualche particolare profumino arrivare quassù
dalla cucina nell'ultima ora?»
Lei batté le palpebre. «Oh, Dio! Stai preparando la cena? Me n'ero
dimenticata.»
«Sì. Ci crederesti? Rigatoni alla bolognese con l'aggiunta di qualche
salsiccia italiana per equilibrare il piatto. Preceduti da un antipasto e con
contorno di insalata di spinaci freschi perché non bisogna trascurare le
verdure. E il dolce: cannoli.» Mimò comicamente i gesti di un cameriere
che elencava i piatti del giorno. «Ah. E naturalmente un buon vino rosso.»
Questo sembrò rallegrarla un po'. Solo un po', ma bastò a creare
l'impressione che la luce nella stanza fosse aumentata lievemente
d'intensità. Non era mai stata una forte bevitrice in passato, ma ora aveva
aumentato il suo consumo di vino rosso. Era una delle ragioni per cui
Donald aveva optato per una cena italiana. Un ricco sugo di pomodoro
aveva bisogno di essere accompagnato da un vino rosso. Il pasto l'avrebbe
incoraggiata a bere.
«Niente male.» Distolse lo sguardo, distante e leggermente turbata.
«Non c'era anche dell'altro?»
«Hai dimenticato la cosa migliore. Ho invitato i ragazzi della Tome
Press.»
«Ah, già. I tuoi strani amici.» Tentò ancora un sorriso.
«Verremo sgravati dall'onere della conversazione. Baxter è appena
tornato da un convegno di autori inglesi e credo che abbia una quantità di
pettegolezzi e aneddoti da raccontare.»
Lei annuì, ma rimase seduta, assente e disorientata.
Era in quello stato, più o meno assente a seconda dei momenti, da
quando si era risvegliata. Era come se il dolore per la morte del marito e il
trauma della violenza carnale l'avessero resa, se non proprio socialmente
autistica, almeno parzialmente sfasata rispetto al resto della sua esistenza. I
medici avevano assicurato che le sue condizioni fisiche erano ora ottime,
ma lo avevano avvertito che probabilmente il recupero a livello emotivo
avrebbe richiesto molto più tempo. Donald aveva giurato di fare di tutto
perché la guarigione psicologica di Amy avvenisse in modo rapido ma
naturale. Tutti i medici che l'avevano curata, così come gli amici e i
parenti, sapevano quanto stretto fosse diventato il rapporto tra Donald e i
Blessing, e sembravano convinti che se c'era una persona in grado di
perforare il guscio in cui Amy Blessing si era rinchiusa, ebbene questa era
Donald Marquette. Nel frattempo, tuttavia, Amy era perfettamente capace
di prendere le decisioni necessarie alla gestione quotidiana del patrimonio
dei Blessing, occupandosi delle assicurazioni, del testamento e di tutto il
resto. Portava a termine tali mansioni in modo apatico, senza spirito o reale
interesse. A quattro mesi dall'uccisione di Blessing la situazione
relativamente ai suoi libri si era fatta piuttosto statica. Ce n'era uno nuovo
la cui pubblicazione era in programma per il mese successivo, ma il
romanzo che era stato impegnato a scrivere era completo solo per metà. E i
suoi racconti, gli articoli, gli appunti... nessuno sapeva granché a proposito
di quel materiale. Amy teneva tutto sotto chiave, nascondendolo anche a
Donald, che nel frattempo era ancora al lavoro per completare le antologie
curate da Blessing.
In parte, la cena di quella sera aveva anche a che fare con tali questioni.
«I ragazzi hanno fame. Da mezz'ora bevono vino, mangiano patatine e
ascoltano la tua musica. Mi hanno detto di chiederti se più tardi suonerai
per loro... ma ora credo che dovremmo metterci a tavola prima che la pasta
si raffreddi.»
«Certo.» Chiuse il coperchio della tastiera. «Non voglio farli aspettare.»
Si alzò e lui le offrì il braccio.
Lei lo prese e sospirò. «Questo è proprio un gesto simbolico, Donald.
Conto enormemente sul tuo conforto e sul tuo aiuto. Non so come farei
senza di te.»
«È un onore per me fare tutto ciò che posso», rispose lui. «Tu
rappresenti una parte molto importante delle mia vita. In questi giorni
m'importa solo del mio lavoro... e di te.» Fece una pausa, come se
un'improvvisa commozione gli rendesse difficile parlare. «Sei
importantissima... Fondamentale. Assolutamente fondamentale.»
Lei allungò una mano a carezzarlo. «Sì», disse, «è stata dura. Molto
dura.»
Lui finse di ricomporsi, a fatica. «Dura. Già.»
Le picchiettò in modo rassicurante la mano.
Era quello il trucco, naturalmente...
Mostrarle il suo cordoglio e i suoi sentimenti, per stanarla. In quel modo
si sarebbe creato un legame tra di loro. Avrebbero cominciato a convivere
in armonia. E, a poco a poco, avrebbe potuto indirizzare la composizione
che andava forgiando verso le lande musicali che più gli aggradavano.
Anche questo rientrava nella forza che aveva scoperto di possedere:
l'abilità di ritrarsi in un guscio freddo, razionale e analitico nel profondo
del suo animo e gestire le sue emozioni come un burattinaio. La verità era
che provava ancora un forte sentimento nei confronti di quella donna. Ma
ora che il suo obiettivo appariva più a portata di mano, era in grado di
riconoscere anche gli aspetti più legati alla lussuria e al possesso.
Ora aveva più obiettivi. L'amore e il desiderio erano solo due tra i tanti.
Obiettivi.
Sì.
Dentro di sé si abbandonò a una risata maliziosa.
Un tempo Donald Marquette aveva creduto che se mai avesse fatto del
male a qualcuno, non sarebbe stato in grado di convivere con il rimorso.
Non era particolarmente religioso ma aveva sempre ritenuto di rischiare la
paralisi e il collasso morale nel caso in cui si fosse comportato male. Ora,
invece, dopo che aveva addirittura ucciso un uomo... Be', in tutta onestà
non stava poi così male. Era colto di quando in quando da sensi di colpa,
ma le crisi di sconforto diventavano meno frequenti con il passare del
tempo. E a mano a mano che i vantaggi che potevano derivargli dalla
morte di Blessing andavano delineandosi più chiari, Marquette divenne
sempre più riconoscente nei confronti di Mick e della granitica Pallade,
che aveva fracassato il cranio di Blessing. Un uomo di talento e di grande
cultura, certamente... ma ripensando in maniera più distaccata alla
personalità di Blessing, Marquette si era reso conto che il rispetto e le
deferenza nei confronti dell'uomo che era stato il suo idolo l'aveva reso
cieco ai suoi palesi difetti.
Quell'uomo era stato un vero bastardo.
«Questo genere di conversazione non aiuterà il nostro appetito», osservò
lui. «Perché non scendiamo e cerchiamo semplicemente di goderci una
bella serata?»
L'accompagnò da basso, dove erano attesi dai Goths e da vino rosso a
profusione.

La cena si rivelò un successo strepitoso.


Il cibo era squisito, il vino corposo e di elevato contenuto alcolico.
Il Conte e il Marchese furono loquaci e si mostrarono in piena forma,
discutendo con passione della scena culturale di cui si sentivano parte.
Baxter Brittle mostrò tutto il suo fascino e il suo spirito, attento a rendere
Amy sempre partecipe della conversazione, benché le parole pronunciate
da lui contribuissero al minimo.
Anche Marquette le rivolse grande attenzione, senza tuttavia essere
opprimente. Le sorrideva spesso e si accertava che il suo bicchiere fosse
sempre pieno di vino. Quando ebbero finito i cannoli (assolutamente
deliziosi!) Baxter riuscì finanche a strapparle un sorriso o due.
A grande richiesta accettò di suonare il pianoforte per i suoi ospiti dopo
il caffè.
Mentre bevevano il caffè (corretto al cognac per Baxter, in misura
minore per se stesso e in modo più generoso per Amy), Donald Marquette
cominciò a spostare la conversazione sull'argomento che in realtà era la
ragione principale per la quale aveva organizzato la serata.
Aveva cominciato in modo quasi distratto, accertandosi di fare
riferimento a William Blessing in più occasioni nel corso della cena.
«Sapete, io credo che dovremmo essere molto grati», disse alzando le
mani. «Grati al nostro compianto amico per questa casa, per tutto ciò che
ci ha lasciato. Nessuno di noi sa quanto lunga sarà la sua permanenza su
questa terra. Ma poter lasciare dietro di sé qualcosa, qualcosa di valore, è
certamente un successo che deve suscitare la nostra gratitudine.»
«Io sarò certamente tra quelli che custodiranno con amore le edizioni
speciali delle opere di William Blessing», annunciò Baxter alzando il
bicchiere come se stesse pronunciando un brindisi.
«Anch'io!» concordò il Conte.
«E io!» si unì al coro il Marchese.
Amy scosse la testa, sconsolata. «Io non so se potrò mai più leggere
quello che ha scritto. Il suo lavoro era così pieno di dolore e angoscia,
sentimenti oscuri in un uomo in realtà tanto buono, un uomo... di luce.»
«Mmm. Eppure sei tu la curatrice della sua eredità letteraria, mia cara»,
le fece notare Baxter Brittle. «Hai ereditato un compito piuttosto arduo,
oltre a tutti i benefici derivanti da un'impresa letteraria in piena salute,
naturalmente.»
«In ogni caso», intervenne Marquette, «io ho giurato a me stesso di
dedicare una parte della mia vita alla conservazione e alla promozione
dell'eredità che ci ha lasciato. Sto pensando addirittura di scrivere una
biografia.» Era uno dei segnali in codice per dare il via allo scambio
accuratamente preparato in precedenza.
Silenzio.
Si voltò, seccato, a guardare Baxter Brittle, impegnato a vuotarsi nel
bicchiere il fondo di una bottiglia di vino.
«Baxter», lo richiamò. «Tu che ne pensi? Una biografia di William
Blessing!»
Essendo seduto di fronte a lui, poté assestargli un calcio nello stinco.
Baxter sussultò. Riuscì a stento a evitare di versare il vino sulla tovaglia.
Amy, sempre piuttosto assente, non si accorse di nulla.
«Una biografia? Ah, certo! Una biografia! Che splendida idea!»
Sorseggiò il vino, lasciando passare qualche attimo. Aggrottò la fronte,
meditabondo. «Però onestamente non credo che raccogliere l'eredità di
William Blessing possa significare limitarsi a una biografia... A mio avviso
il suo contributo alla letteratura, o meglio alla storia... be', credo che
possegga delle potenzialità molto maggiori.»
Con eccellente tempismo il Marchese domandò: «Che cosa intendi
esattamente, Baxter?»
«Semplicemente che ci sono racconti da raccogliere... lettere da
pubblicare. Chissà, potrebbero anche saltare fuori un paio di romanzi
inediti che Blessing teneva da parte. E in più appunti, spunti, idee... il
romanzo incompleto... e chi può dire quant'altro.» Si voltò a guardare
Amy, un sorriso di solidarietà sul volto. «Capisco che parlare di queste
cose ti rattrista... ma... No. Non importa. Meglio lasciare perdere.»
Grande! pensò Donald. Ottima interpretazione!
L'interesse di Amy, benché ancora velato dalla malinconia, era
chiaramente stato risvegliato.
Si sporse in avanti verso Baxter. «No, ti prego. Parla, Baxter. Sei sempre
una fonte di buone idee.»
«Be'... stavo solo pensando che il nostro Donald... Donald Marquette
conosce più di chiunque altro il lavoro di tuo marito. Chi più di lui sarebbe
indicato per assumere il ruolo di curatore aggiunto dell'eredità letteraria...
oppure, se vuoi sgravarti da una simile responsabilità, quello di curatore
letterario in toto?»
Amy sbatté le palpebre.
Donald la scrutò in volto. Non stava opponendo un rifiuto, ma neppure
sembrava decisa a rispondere sì. Ultimamente era molto difficile
interpretare le sue espressioni.
Decise di adottare una tattica in linea con quella di Baxter.
«Non saprei...» Esitò. «Si tratterebbe di un impegno davvero gravosa.»
«Naturalmente dovrà essere Amy a decidere», precisò Baxter. «Ma se
non sbaglio stai già svolgendo una notevole mole di lavoro con il materiale
lasciatoci da Blessing.»
Amy annuì. «È vero.» Guardò Donald. Allungò una mano ad
accarezzarlo. «Lo faresti, Donald? Mi rendo conto che devi anche portare
avanti il tuo lavoro... ma mi sembra un'ottima idea. Mi solleveresti da una
grande responsabilità e aiuteresti a perpetuare il ruolo che William ha
avuto nella letteratura.» Gli strinse un braccio. «So che ce la puoi fare. E
poi, io mi fido di te.»
«Sai, mi piacerebbe molto...» disse Donald. «Ma come faremo? Voglio
dire, c'è il testamento di Bill e tutto il resto...»
«Conosco un po' di codici e articoli di legge», intervenne Baxter. «Amy
non dovrebbe fare altro che firmare qualche documento.»
Amy annuì. «Lo farei con piacere. E date le circostanze, so che anche
William approverebbe con entusiasmo.»
«Secondo me è un'idea meravigliosa!» esclamò il Conte.
«Sì», concordò il Marchese. «E tu sei un bravo scrittore! Potresti anche
finire quel romanzo...»
Donald alzò timidamente le spalle. «Sono lusingato.» Si girò e guardò
intensamente negli occhi scuri e addolorati di Amy. «È un grosso impegno,
ma naturalmente farò del mio meglio.»
«Benissimo», concluse Baxter strofinandosi le mani. «Allora la
questione è chiusa. Ma Amy aveva promesso di suonare qualche pezzo al
piano. È tutta la sera che aspetto questo momento.»
Amy annuì e si alzò lentamente dalla sedia.
Mentre saliva le scale alle sue spalle, ammirando i movimenti di quel
delizioso culetto, Donald Marquette sapeva esattamente quale canzone
avrebbe voluto chiederle di eseguire, se avesse potuto.
Soldi soldi soldi!

17

I confini che separano la Vita dalla Morte sono tutt'al più sfuggenti e
vaghi. Chi può dire dove termina l'una e comincia l'altra?

EDGAR A. POE, La sepoltura prematura

Quando si destò e fece per alzarsi, William Blessing urtò il capo contro
il coperchio della bara.
La bara era foderata di velluto imbottito, per cui non si fece male. In
realtà, ciò che provò non sembrava correlarsi in alcun modo con il ricordo
che aveva del dolore. Tuttavia, fu comunque una sensazione inquietante e
sconcertante.
La bara sigillata era più che buia, e per quanto si trattasse di una bara
spaziosa, bastarono pochi movimenti delle mani e dei piedi per accertarsi
che di una bara si trattava. Odorava di terra umida, muffa e
decomposizione.
Concluse immediatamente di essere stato sepolto vivo. La constatazione
non indusse in lui alcuna riflessione o meditazione su La sepoltura
prematura di Edgar Allan Poe.
Scatenò invece un attacco acuto di claustrofobia, che lo colmò di un
terrore totale e devastante.
L'urlo montò in lui in maniera istintiva e sgorgò forte e travolgente dalla
sua gola.
La violenza stessa dell'urlo, tuttavia, lo scosse a sufficienza da
permettergli di riprendere a ragionare, cosa che tentò di fare.
La pistola, gli spari...
Donald Marquette con il busto di Pallade tra le mani, mentre lo
abbatteva su di lui, con violenza...
La ragione, sotto forma di una piccola, piatta voce nell'oscurità, gli
disse: «Sei morto».
Poi ricordò la biblioteca. E il bibliotecario, la colomba insanguinata e...
«Hai intenzione di rimanere a oziare laggiù tutta la notte?» domandò una
voce chiara e definita. Non sembrava giungergli attraverso l'udito, ma
piuttosto direttamente nella sua mente. Eppure possedeva un timbro e un
tono particolare... con un vago accento newyorchese, più precisamente di
Brooklyn.
Ricordò il corvo.
«Dove... dove mi trovo?» domandò.
«In un posto bello e privato, Dottore», rispose la voce. «Ma credo che
nessuno qui si abbracci.»
«Sono impazzito», concluse.
«Certo che sei impazzito. È per quello che sei qui.»
«Dove?»
«Due metri sotto terra!» rispose la voce, esasperata. «In un sepolcro! In
una tomba! Dottore, ti trovi in una bara nella tua tomba! Divertente, eh?»
Stranamente, nonostante avvertisse un crescente panico nel profondo
dell'animo, qualcosa impediva che avesse il sopravvento. Le sue potenti
capacità cognitive, certo, ma anche qualcos'altro. Un altro sentimento.
La rabbia.
Rabbia infocata, rabbia fredda, tutte le possibili varianti di rabbia. La
rabbia si estendeva dalla sua mente e cuciva assieme le cartilagini, le ossa
e la carne del suo corpo resuscitato. Appiccava il fuoco del suo essere e
pompava attraverso le sue vene, che un tempo avevano contenuto sangue,
la sostanza di cui era fatta la vendetta.
Comprese di essere resuscitato. La verità lo colse con una certezza tanto
travolgente quanto calmante.
«Sono tornato dalla morte», dichiarò con tono neutro.
«Ci hai azzeccato, amico! Bentornato!»
Comunque fosse, si trovava pur sempre in una bara sotto terra, a una
buona distanza dalla superficie. E gli sembrava un pessimo luogo da cui
ricominciare. Non aveva l'impressione di soffocare, né era particolarmente
affamato. Ma non era un posto dove sarebbe potuto rimanere a lungo.
«Chi sei?» indagò.
«Suvvia, non fare domande stupide. Alza il culo e vieni fuori da lì. Hai
del lavoro da portare a termine», esortò la voce.
«E come?»
«Coraggio! Sei tu lo scrittore horror. In che modo i corpi che tornano in
vita riescono a uscire dalle tombe? Eh? Trasporto molecolare? No, ritenta.
Che ne dici di provare a scavare? Tombola!»
«Sono tornato dalla morte per intercessione di un'entità soprannaturale»,
fece notare.
«Certo non per intercessione del ministero dei Trasporti.»
«Allora perché non posso uscire di qui secondo canoni soprannaturali?»
obiettò Blessing.
«Ascolta, amico. Sei già soprannaturale, okay? Pensi che un essere
umano normale sarebbe in grado di uscire da una bara scavando? Fidati,
fai un tentativo.»
Effettivamente, mentre contemplava le parole pronunciate dalla voce, si
rese conto di sentirsi cambiato. Si sentiva come sull'orlo di sensi alieni, di
poteri occulti. I tessuti e le molecole che costituivano ora la sua forma
corporea sembravano cariche di una sorta di insondabile energia.
Blessing alzò le mani. Si portò le mani davanti al viso e agitò le dita
nell'oscurità, immaginandole...
Le vide.
Nonostante la totale oscurità, vedeva le sue dita. Sembravano ardere di
una luce soprannaturale. Era acutamente cosciente di ogni ruga all'altezza
delle nocche, di ogni follicolo, di ogni unghia. Notò che erano cresciute
parecchio; più che unghie ora somigliavano ad artigli.
Le alzò, appoggiandole contro l'umido e setoso velluto che rivestiva
l'interno del coperchio della bara.
Spinse.
Il coperchio sembrò cedere di qualche millimetro. Una manciata di terra
ricadde all'interno della bara, che evidentemente si era aperta. Avvertiva la
pressione della terra sopra di lui, ma stranamente non gli parve
opprimente. La percepiva come... alterata.
«Così!» incoraggiò la voce. «Vedo che hai capito. Insisti! Insisti!»
Con uno sforzo per nulla eccessivo spinse verso l'alto il coperchio, che
piano piano si aprì. La terra prese a ricadergli sul volto e sul corpo. Sapeva
di humus e sassi e di vermi. Puzzava di ricordi, disperazione, rammarico.
La terra ricadde addosso a William Blessing, ma era terra che non aveva
mai conosciuto prima. Non densa, ma opalescente, fluida, come acqua
torbida. Spingeva verso l'alto e la terra cedeva lentamente, come se
riconoscesse il suo dominio sulla propria tomba, il suo trionfo sul luogo di
sepolutra. Cominciò a sollevare il suo corpo e a farsi largo nella strana
sostanza, risalendo lentamente ma in modo costante una scalinata di
pietrisco verso la superficie.
«Bravo, così!» rise la voce. «Hai già imparato. Viene naturale, no?»
Scavò tirandosi su, sempre più su, poi, allungando di nuovo il braccio
verso l'alto, sentì la mano sbucare attraverso la terra umida e l'erba bagnata
nell'aria fredda della notte. La sensazione lo caricò di energia allo stato
puro, che rese agevole la parte finale della sua sortita. Emerse nella cor-
roborante aria della mezzanotte, respirò la foschia umida e si liberò dalla
fossa in cui lo avevano imprigionato i suoi cari.
Crollò a terra, ansimante e annaspante, scuotendosi la terra dai capelli e
dal volto, sentendo la notte gonfiarsi attorno a lui come una sinfonia di
silenzio.
«Te l'avevo detto che ce l'avresti fatta!» risonò la voce, ora non più solo
nella sua mente, ma da un punto nell'oscurità vicino a lui. «Complimenti!»
Sputò terra e tossì. «Proprio come un fumetto dell'orrore della E.C.»,
disse amareggiato, avvertendo il sapore della bile non solo nella bocca ma
in tutto il corpo. Orientò la testa in direzione della voce. «E tu saresti il
guardiano della cripta?»
«No. Non ho origini tanto scontate. Anzi, se non fossi così
assolutamente vero forse mi accaserei in qualche romanzo molto
descrittivo. Preferibilmente francese. Oui! Bon soir, monsieur. Bentornato
su questo magnifico pianeta. Pronto a fare scorribande?»
Blessing si tirò su, riguadagnò barcollando le gambe. Attorno a lui vide
lapidi innalzarsi dal terreno, bianche al chiaro di una luna a falce nel cielo
notturno punteggiato di nuvole. Le sue articolazioni scricchiolavano come
catene strette attorno a un'anima in agonia. Quel luogo puzzava di storia e
trasudava noia.
«Dove sei?»
«Prova a guardare la tua lapide, signore!»
Si sforzò di mettere a fuoco gli occhi e il bagliore soprannaturale tornò
ad accendersi, come se indossasse occhiali agli infrarossi. Il cimitero che
illuminò era diverso da qualsiasi altro camposanto che avesse mai visto, o
anche solo immaginato.
Eppure, lo riconosceva.
Scosso, inciampò e cadde sul terriccio, picchiando la testa contro un
sasso. Alzò lo sguardo. Scolpite nel marmo lesse due date... e il suo nome.
«Amatissimo... Riposa in pace, amatissimo... Mai, mai dimenticato.»
Alzò una mano e fece scorrere le unghie sulle parole incise.
«Amy», sussurrò. «Amy.»
«Avrebbe anche potuto scrivere qualcosa in latino, non credi?» provocò
la voce. «Oppure in greco. In una delle lingue classiche, insomma. Roba di
classe, appunto. Tu le conosci entrambe, no?»
«Sì», rispose distrattamente Blessing.
«Kyrie eleison, amico. E al quarto mese risorse dalla tomba e, udite,
spaccò il culo!»
Blessing, irritato, guardò più su.
La lapide era in realtà una grossa croce celtica. Doveva essere stata
un'idea di Amy, dato che a lui non erano mai particolarmente piaciute le
croci, indipendentemente dalla loro foggia. Aveva sempre scherzato di
voler essere sepolto solamente con un computer portatile e una linea
telefonica per il modem.
In cima alla croce, a fissarlo con occhi scuri e intensi, vide un grande
corvo, di un nero radioso.
«Un corvo», disse pensosamente. «Un corvo... uno dei simboli più
antichi dell'umanità.»
«So che cosa stai pensando.» Il corvo inclinò la testa. «Ma questo non è
un fumetto, Blessing. Questa è realtà noir. Sei qui per un motivo. E io sono
qui per aiutarti. Fine del discorso.»
Blessing si voltò e si guardò attorno. Riconobbe il cimitero. Era il
famoso camposanto nel quale era stato sepolto il grande Edgar Allan Poe!
Naturalmente! Dal momento che vi aveva acquistato un lotto (più come
aggiunta alla sua collezione di cimeli di Edgar Allan Poe che non
realmente intenzionato a occuparlo) era logico che fosse stato sepolto lì.
«Per aiutarmi», ripeté lentamente. «Per aiutarmi.»
«Sì. Per aiutarti... a fare giustizia», spiegò il corvo, a un tratto serio e
pragmatico. «C'è solo caos nell'universo. Ma il caos crea anche ordine,
seppure in modo casuale. E l'ordine può essere strappato all'entropia, alla
strada che riconduce al caos... dalla più grande creazione dell'ordine
stesso: la volontà. La coscienza. L'autoconsapevolezza.» La voce del corvo
si mutò in un sussurro duro e sprezzante. «E benché alla fine il caos
inghiottirà tutto... noi possiamo controllare ciò che inghiotte. Poiché la
volontà, quando è davvero forte, sa distaccarsi dal caos... dalla morte e dal
nulla...» Il becco fece uno scatto. «Per qualche tempo. Solo per un breve
periodo.»
Tempo.
Breve periodo.
Blessing passò in rassegna il luogo della sua tumulazione.
Sembrava un paesaggio cimiteriale monocromo reso da Vincent Van
Gogh, con folate di azzurro e un'aura surreale. Una terra spettrale, di
allusioni sovrapposte a illusioni. Tre dimensioni che scivolavano nella
quarta... che si decomponevano e si essiccandosi, perdendo la loro ossuta
presa sulla vita, sul simbolismo e sull'architettura.
Ruggine alla polvere.
Sudari alla cenere.
L'uomo vive solo per un breve periodo...
... un periodo sgradevole, brutale e breve...
... privato anche solo di un sogno.
«Se non posso aspirare al sogno», dichiarò Blessing, «mi accontenterò
dell'incubo.»
Si avviò lentamente attraverso la foschia, un cadavere tornato alla vita
per portare a termine una missione...
E ben presto udì le ali del suo familiare volatile battere alle sue spalle.

18

... l'invisibile figura, che ancora mi stringeva il polso, aveva causato


l'apertura delle tombe di tutta l'umanità; e da ciascuna si diffondeva il
flebile, fosforescente livore della decomposizione, cosicché potevo vedere i
recessi più nascosti, e ivi scorgere i corpi avvolti nei sudori, nel loro triste
e solenne sonno verminoso. Ma, ahimè! i dormienti erano meno, molti
milioni di meno, di quelli che non riposavano affatto; e v'era un fiacco
dibattersi; e una diffusa, triste irrequietezza; e dalle profondità delle
innumerevoli fosse giungeva un malinconico fruscio di paramenti
sepolcrali.
EDGAR A. POE, La sepoltura prematura

La città era viva.


Per la prima volta Blessing vide Baltimora come una bestia, vivente e
ansimante. Ora sudava foschia, respirava attraverso le fognature, russava
lungo i fili del telefono.
Puzzava di ciminiere.
E aveva il sapore del destino.
Mentre lasciava zoppicante l'onirico cimitero, le stradine tortuose
sembrarono torcersi e modificarsi, allontanandosi dallo stile di Van Gogh
per avvicinarsi a quello di Picasso. Pezzi e frammenti si separavano, per
poi riconnettersi sottilmente come una variopinta lanterna lavica di
triangoli e quadrati e rettangoli, ma contenente anche ammassi informi e
sfere.
«Non so...» ansimò. «Non so dove...»
Alle sue spalle, ali che fendevano l'aria.
«Concentrati, Blessing. Ricorda. Immagina.»
Si fermò e si appoggiò a un muro di mattoni. Chiuse gli occhi.
Baltimora.
La mia città.
Quando li riaprì vide di nuovo strade, palazzi e luci al neon. I lampioni
brillavano di luce alogena. I semafori lampeggiavano.
Ma nulla era del tutto a perpendicolo. Ogni cosa era leggermente
curvata, circondata da nembi multicolori. C'era una musica nell'aria che
non aveva suono, una silente vibrazione. Avvertiva queste cose, le vedeva
con sensi che non aveva mai saputo di possedere prima.
Giunto all'imbocco di un ampio viale, sul declivio di una collina, si
fermò e guardò verso il basso. Sotto di lui vedeva estendersi la parte
meridionale del centro di Baltimora. Il porto brillava e scintillava, gli
edifici si stagliavano l'uno contro l'altro con esagerata nitidezza. Il cielo
appariva come un gigantesco calderone di galassie, inseguite da violente
striature di nubi. In alto, sopra l'asfalto iperreale e il cemento, il mattone
transdimensionale, scorrevano grotteschi stralci di volti, resti mutilati di
corpi con occhi tra le natiche o bocche sul petto, perduti e vaganti senza
meta. A tratti un grande ammasso di artigli e denti sembrava avventarsi su
un ectoplasma grumoso, come uno squalo su un banco di pesci, per
inghiottirlo e continuare poi a veleggiare maligno, in cerca, a caccia,
perpetuando la catena alimentare in quel fratturato mondo spettrale.
«Bene. Cominci a prenderci la mano», incoraggiò il corvo.
Blessing rabbrividì.
Distolse lo sguardo, rifugiandosi barcollando in un vicolo.
Il corvo si posò ai suoi piedi e lo guardò, dal basso verso l'alto. «Ehi.
Forza. Bisogna mettersi al lavoro.»
«Devo... devo solo ricompormi.»
«Naturalmente. In effetti ti stai decomponendo!»
«Oh, Dio! Dio mio!» esclamò, guardandosi le mani alla luce e temendo
di vedere brandelli di carne putrefatta penzolare da falangi scheletriche.
Invece le sue mani gli apparvero perfettamente formate. Di nuovo vide
ogni loro particolare, fin nel dettaglio delle più sottili creste epidermiche
dei polpastrelli. Si portò un palmo al naso. Non sentì odore di pu-
trefazione.
Abbassò gli occhi a guardare il corvo.
«Non chiederlo a me! Ti sei semplicemente ricomposto grazie alla forza
di volontà. Ma credimi, non potrà durare per sempre», avvertì la creatura
nera, zampettando al suolo, facendo scattare la coda e sollevando
leggermente le ali, come per rassettarsi le penne.
«Quanto tempo ho?» volle sapere Blessing.
«Qualche giorno. Forse un po' di più. Chissà», rispose il corvo. «Ma
devi restare risoluto. Se in te scema la passione, la rabbia e la decisione,
tornerai quello che eri.»
«Cielo. Ho bisogno di bere un goccio!»
«Qualcosa che contiene un po' di conservanti non ti farebbe certo male»,
pungolò il corvo. «Se svolti l'angolo laggiù penso che troverai quello che
cerchi.»
Blessing si staccò dal muro di mattoni sostenendosi con le braccia, poi si
avviò con passo incerto nella direzione indicatagli dal corvo.
Il volatile gli si posò sulla spalla. «Spero non ti dispiaccia se mi faccio
trasportare, di tanto in tanto.»
«No.»
«Se hai qualche domanda, meglio rivolgermela ora. Non penso che
lascino entrare i corvi nei bar. Accettano solo corvi vecchi.»
«Che dici?»
«Old Crow. Il whisky.»
Blessing non replicò. Forse aveva abbandonato il suo senso
dell'umorismo nella tomba. O forse era stato segregato nella parte di lui
che ora aveva preso la forma del corvo.
Quando svoltò l'angolo vide il bar che il corvo gli aveva promesso. Era
un bar per avventori del quartiere, privo di nome; era indicato solo da
un'enorme insegna al neon raffigurante un bicchiere da cocktail.
«Non lo so...» si lamentò fermandosi. «Non so se sarò in grado di fare...
quello che devo.»
«Bere un goccio di whisky? Se non sbaglio è qualcosa che hai già fatto
in più occasioni in passato», ribatté il corvo.
«Sai bene... che cosa intendo.»
«Ehi. Vendono anche liquori in bottiglia. Prenditi un paio dì bottiglie.
Tutto quello che ti serve, amico. Okay?» Blessing giunse all'ingresso del
bar. «Io devo andare. Ci vediamo!»
Il corvo spiccò il volo dalla sua spalla e s'inoltrò nella notte.
William Blessing aprì la porta ed entrò.
Era uno di quegli squallidi locali del centro tenuti in attività da clienti
affezionati nel corso della settimana e dai forti bevitori del fine settimana;
il genere di bar che negli anni Trenta e Quaranta avrebbe offerto pasti
gratuiti ai frequentatori più assidui. Due bevitori solitari sedevano ben
distanziati l'uno dall'altro al lungo, tarlato bancone di legno. Il barista
sedeva su uno sgabello accanto al registratore di cassa, impegnato a
fumare una sigaretta e a sfogliare una copia del Sun. Nessuno sembrò
notare il suo arrivo quando varcò la soglia.
Blessing era nervoso.
Era il genere di bar che aveva sempre evitato. Il liquore scadente e
l'atmosfera deprimente gli ricordavano in modo troppo insistente lo spettro
dell'alcolismo che pendeva sulla testa di tutti i bevitori. In quanto studioso
di Edgar Allan Poe, conosceva bene i danni provocati a lungo andare dal
bere. La maledizione della classe scrivente, amava definire
scherzosamente l'alcol durante le sue lezioni all'università.
Inoltre, Blessing si sentiva notevolmente a disagio. Dopotutto, era
morto. Come l'avrebbero trattato i vivi?
Tuttavia, la voglia di un buon drink era stata resuscitata con tutto il resto
della sua persona. Aveva bisogno di bere, e lì avrebbe potuto farlo.
Si sedette al bancone. Il barista chiuse il giornale e si avvicinò,
guardandolo in modo strano.
«Ehi, amico! Da dove arrivi, da una festa in maschera?»
Abbassò gli occhi a guardarsi. Ma certo! Indossava ancora gli indumenti
sepolcrali: il suo smoking migliore. Era stata sua volontà essere seppellito
con quell'abito. «Mi sta a meraviglia!» aveva precisato nel testamento.
«Ehm... Sì. Proprio così. Una cena, ma servita senza alcolici. Ho
disperato bisogno di bere qualcosa che sia più forte di un tè freddo.»
«Allora sei venuto nel posto giusto. Che prendi?»
«Un doppio Old Crow», ordinò. «Con acqua a parte.»
«Subito.»
Mentre il barista prendeva una delle bottiglie con il beccuccio allineate
davanti allo specchio dietro il bancone, Blessing si frugò le tasche in cerca
del portafogli.
Le trovò vuote.
Naturalmente. Nessuno veniva sepolto con denaro in tasca, almeno non
più. Non aveva i soldi per pagare il drink.
Il barista tornò con il doppio whisky e il bicchiere d'acqua.
«Sono tre e cinquanta», disse.
«Credo di aver dimenticato il portafogli... in macchina. Ti dispiace se
vado...»
«Non c'è problema. Ti tengo d'occhio io il whisky.»
Imbarazzato e frustrato, Blessing lo ringraziò con un cenno della testa e
uscì dal bar, domandandosi in che modo avrebbe potuto procurarsi dei
soldi. Una ragione in più per smetterla di bere.
Fuori, appollaiato in cima a un parchimetro ad aspettarlo, trovò il corvo.
Aveva una banconota da cento dollari nel becco.
Blessing, sorpreso ma grato, allungò una mano e la prese. «Grazie.»
«Avevo previsto che avresti avuto bisogno di qualche spicciolo per le
piccole spese. Non ci si allontana dalla propria tomba senza soldi»,
ammonì il corvo. «Mai vista una situazione del genere in Creature Feature
alla televisione, vero? Del resto, la risurrezione ha i suoi lati negativi!»
«Forse è meglio che compri una bottiglia», concluse Blessing.
Tornò nel locale e passò cento dollari al barista.
«Caspita», esclamò lui. Era un uomo sui cinquanta, rotondetto, con un
paio di sottili baffetti, ben avviato verso la calvizie. «Non hai nulla di più
piccolo?»
«Facciamo così. Prendo anche una bottiglia, d'accordo?» propose
Blessing.
Notò che a quello scambio gli altri due avventori avevano alzato lo
sguardo dai loro bicchieri di birra. Sembravano entrambi più prossimi alla
fossa di lui.
Il barista alzò le spalle. «Fanno altri venti dollari.»
«Va benissimo.»
«Ora dovrei riuscire a cambiartelo», disse il barista, sorridendo felice per
l'inatteso incasso. Si avvicinò al registratore di cassa mentre Blessing
prendeva posto davanti al drink. Ne tracannò metà in un solo sorso.
E aspettò.
Per un attimo non sentì alcun sapore. Poi, come se si fossero appena
risvegliate, le sue papille gustative si misero in azione. La gola gli bruciò e
il familiare calore cominciò a diffondersi attraverso di lui. Ma stranamente
frammisto ad altre sensazioni che non riusciva a identificare...
Cionondimeno, comunque dal whisky arrivò un accenno di oblio e di
rilassatezza, che accolse più che volentieri. Prese un sorso d'acqua, fredda
e altrettanto agognata. Quando il barista tornò con il resto e la bottiglia,
avvolta in un foglio di carta, aveva già vuotato il bicchiere.
«Un altro, per favore», ordinò. «E ancora acqua.»
«Dev'essere stata una serata dura», commentò il barista.
«Non puoi immaginare quanto.»
Il barista gli versò un altro doppio Old Crow, poi lo affiancò con un
secondo bicchiere d'acqua.
Missione.
Aveva una missione e sapeva bene in che cosa consisteva. Disponeva di
poco tempo soltanto per portare a termine quella missione. I fuochi del
whisky si fusero ai fuochi dentro di lui, alla feroce motivazione che
doveva averlo sospinto con forza fuori dalla tomba.
Giustizia!
Vendetta!
Tuttavia, pur continuando quegli incendi a divampare, l'effetto calmante
dell'alcol allentò la pressione che sembrava lacerargli lo spirito come
frammenti di vetro rotto su un nervo scoperto.
Chiuse gli occhi.
Ah, se potesse riposare!
Lasciarsi andare!
Abbandonarsi alla quiete e alla pace dei sensi laddove i sensi non
esistevano.
Avvertiva l'essenza stessa del bar pulsare in simpatia con lui. Mentre
vuotava il bicchiere sembrarono unirsi al coro anche i vapori stantii che lo
circondavano.
Rilassati, sembravano dirgli. Comunque presto tutto sarà nulla. Tutto si
riduce in polvere e in oblio, alla fine. Ti unirai ai fortunati che sono venuti
prima di te.
Pace, Blessing. Conforto e gioia, e dolce, dolce oscurità. La luce è la
menzogna. L'oscurità è la verità.
Il fiume Lete e le sue calme correnti di...
Aprì gli occhi.
C'era qualcosa nel suo bicchiere di whisky.
Era un naso.
Istintivamente, si portò una mano al volto.
Dove prima c'era stato il suo naso, ora c'era un buco.
Si guardò le mani. Le unghie erano crepate, la pelle andava seccandosi e
ingrigendosi sotto i suoi occhi.
No!
No, era troppo presto!
Si versò il naso nella mano sinistra, poi lo ricacciò con forza nel buco
che in origine aveva occupato, tenendoselo a posto. Con l'altra mano
afferrò il resto e la bottiglia incartata in un foglio marrone e uscì
frettolosamente dal bar, tornando a immergersi nella notte.
Lo schiaffo dell'aria fredda, il panico e la paura sembrarono arrestare
quanto gli stava accadendo. Ma sentiva ancora la pelle del volto che
cominciava a ritrarsi dai denti e dagli occhi.
«No!» ansimò. «No!»
Si fermò in un vicolo. Posò la bottiglia di whisky e si toccò le guance.
La pelle aveva cominciato a squamarsi. Si sporcò la mano di una sostanza
verde e muschiosa, viscida di pus e...
Che cos'era?
Il fluido utilizzato dagli imbalsamatoli?
Mentre fissava lo schifo che gli imbrattava la mano, il cui aspetto
malsano era reso ancora peggiore dal bagliore ambrato della luce dei
lampioni, avvertì qualcosa di duro e insistente premergli contro la schiena.
«Okay, stronzo. Dammi i soldi e arriverai vivo al mattino.»
La voce era dura e decisa.
Non c'erano dubbi su che cosa impugnasse la mano del proprietario di
quella voce.
Vide di nuovo la pistola nella mano dell'uomo con il lungo cappotto.
La vide fare fuoco.
Ne avvertì il fuoco, l'impatto delle due pallottole.
«No», disse.
Si voltò.
Riconobbe l'aggressore. Era uno dei due bevitori che erano stati seduti al
bancone del bar. Doveva aver notato la qualità del suo abito e il biglietto
da cento dollari, concludendo di aver identificato una preda facile. L'aveva
seguito fuori dal locale, sperando di riuscire a coglierlo di sorpresa in un
luogo poco illuminato.
«Cristo!» esclamò l'uomo.
Sparò.
Blessing avvertì appena il colpo, un lieve urto all'altezza dell'addome.
Non provò dolore. Solo un colpetto che servì a scatenare la rabbia che
covava nel suo profondo.
«Feccia!» gridò.
Blessing scostò di lato la pistola, poi alzò la bottiglia di whisky e la usò
per colpire la testa dell'uomo. La bottiglia si infranse, inondando la testa
dell'uomo di whisky e accecandolo. Cercò di livellare di nuovo la pistola e
sparare un secondo colpo.
Blessing si ritrovò, con incredibile velocità, potenza e agilità, a
conficcare il collo rotto della bottiglia nel torso dell'aggressore...
... trapassandolo, affondando l'avambraccio dentro di lui.
Dalla bocca dell'uomo sgorgò sangue. Gettò indietro la testa, colto da
spasmi, la luce nei suoi occhi sempre più fioca... e tutto questo, nella
percezione di Blessing, avveniva al rallentatore, fotogramma per
fotogramma.
Aveva il braccio inondato di sangue.
Blessing, in una sorta di trance, sostenne in quel modo l'aggressore per
alcuni lunghi attimi (il suo corpo non sembrava pesare molto)... dopodiché
abbassò semplicemente il braccio. Con un rumore liquido e raccapricciante
l'uomo si staccò, accasciandosi a terra in una massa ripugnante e inerte.
L'odore del whisky e del sangue era pungente. Blessing alzò il collo
della bottiglia, ora tinto di rosso, e l'annusò. Si sentì rinvigorito. La notte
sembrò esplodere in una carica elettrica risonante, ronzante, in armonia
con la sua rabbia, il suo sdegno e il suo cordoglio...
Il suo furore.
Abbassò gli occhi sul cadavere del suo aggressore e si sentì la
personificazione della giustizia. Quel vile ammasso di detriti umani non
avrebbe più importunato i viventi. Mentre fissava la carcassa, che già
andava raffreddandosi, vide l'anima corrotta dell'uomo strisciare fuori,
minuscola e rattrappita, per mescolarsi alla nebbia e agli spiriti della notte.
Aveva reso un servizio all'umanità. Tale consapevolezza ebbe l'effetto di
infondere in Blessing una rinnovata risolutezza. Sentiva le forze tornare in
lui...
La decisione.
Una forma scura e alata si posò sul cadavere. Affondò il becco nelle
budella fumanti, ne afferrò un lembo e lo deglutì.
«Mmm. Interiora al whisky. Che bontà», commentò il corvo.
«Devo andare... ho da fare», disse Blessing.
«Guarda guarda», disse il corvo, dando un'occhiata al volto rovinato di
Blessing. «Abbiamo perso un po' di fuoco interiore, eh? A quanto pare
dovrai smettere di bere per sempre. Ammesso che tu voglia comunque
aggiustare le cose. Ammesso che, tutto sommato, tu non preferisca vedere i
tuoi assassini godersi una lunga e agiata vecchiaia e dilettarsi a molestare i
ragazzini sulle giostre di Blessingland!»
Il furore di Blessing montò.
«Ammesso che non voglia vedere il tuo traditore fare i suoi porci
comodi migliaia di volte con tua moglie...»
Blessing emise un lamento, che si trasformò in una specie di ululato.
Scagliò i resti della bottiglia contro il muro. Il vetro si frantumò in
centinaia di pezzi.
«Ecco. È questo lo spirito giusto», si complimentò il corvo. «Sono qui
per aiutarti, William. Solo per aiutarti.»
«La mia faccia», disse Blessing. «Il mio naso...»
«Sì, vedo. Direi che occorre un piccolo intervento di chinirgia plastica
ricostruttiva, Spero che tu abbia messo da parte la tua proboscide caduta.»
Blessing abbassò gli occhi. Sì, era ancora nella sua mano sinistra.
«Bene. A quanto pare anche la tua faccia si sta... incartapecorendo un
po'. Per fortuna abbiamo qui una bella dose di abbondante protoplasma
fresco che potrà venire in tuo soccorso nell'opera di restauro.»
«Ma come?... Io non...»
«Lascia fare a me. Fidati. Dovrai essere pronto per domani mattino, no?
Non vorrai forse che la tua cara Amy ti veda senza naso?»
«Amy? Ma come?» domandò Blessing. Al solo pensiero di rivederla
l'intero suo essere sembrava stringersi in una morsa di ghiaccio. «Perché?»
«Devi scoprire il nome e l'indirizzo di almeno uno dei tuoi carnefici, no?
E inoltre, credo che sia tu, sia il bibliotecario, apprezzereste molto la
ricomposizione della collezione Poe e la sua restituzione alla sede
originale. Un uccellino mi ha detto che il nostro caro amico Donald
Marquette ha presentato diversi membri del suo nuovo club - membri che
hanno avuto un ruolo nella tua morte - a Amy.» Il corvo fece una pausa e
inclinò pensosamente la testa. «E poi», continuò freddamente, «devi
ricordare quello che hai perso, Blessing. Altrimenti durante questa
missione perderai ben altro che un naso.»
«Sì», concordò Blessing, abbandonando ogni esitazione e sbarrando la
mente a ogni riflessione. «Certo.»
William Blessing si inginocchiò accanto al cadavere che emetteva vapori
dell'uomo che aveva appena ucciso e, usando le unghie lunghe e affilate,
seguì le istruzioni del corvo.

19

Questa notte, la signora Poe, nel suo capezzale prostrata dalla malattia
e attorniata dai suoi bambini, chiede la tua assistenza; e la chiede forse
per l'ultima volta..

Richmond Enquirer, 29 novembre 1811

«Bene. Allora siete tutti qui», disse Eliza Poe. «Tutti i miei bambini.
Tutti i miei cari. Ora devo parlarvi.» La voce della donna dal pallore
cadaverico era fioca ed estremamente triste.
Riuscì a distogliere i pensieri del piccolo Edgar Poe dal grande corvo
nero che aveva visto tra gli alberi del giardino.
Edgar era confuso, ma rimase in silenzio ad ascoltare. Ascoltava
sempre quando parlava la mamma. Aveva sempre cose buone e
interessanti da dire.
La stanza sembrò farsi più buia, nonostante le lanterne e le candele. E
più fredda, a dispetto del fuoco ben alimentato che ardeva nel camino.
Nell'aria c'era odore di canfora e di sego, e il profumo del tè nero con
panna che i grandi sembravano bere incessantemente. Accanto alla teiera
era stato sistemato un vassoio con pasticcini e marmellata, ma Edgar non
ne aveva voglia, nonostante la marmellata di more fosse la sua preferita e
nonostante non avesse mangiato molto a colazione. Stranamente, non
aveva per nulla fame.
Sopra il mare lanoso delle coperte, la testa di Eliza Poe sembrava
affondare nel cotone bianco del guanciale. I suoi capelli neri erano stati
pettinati verso l'esterno in modo da formare una specie di sinistra aureola
nera a circondare la testa. Era pallida, di un pallore bianco e profondo,
del pallore dei vermi che Edgar trovava sotto i sassi; solo le guance e le
labbra erano rosse come ciliege. Aveva sopracciglie folte e nere e gli
occhi più grandi che Edgar avesse mai visto: grandi occhi scuri che erano
stati sempre pieni di vita e di curiosità... ma ora erano colmi solo di
tristezza.
Tuttavia, quando si posarono su Edgar, sembrò scoccare in loro una
piccola scintilla. Edgar provò un istante di felicità, perché lesse nello
sguardo della mamma l'amore e la dedizione che provava per lui. C'erano
momenti in cui aveva la sensazione che il mondo fosse un luogo freddo e
cattivo, abitato da gente fredda e cattiva, e in cui c'era ben poco spazio
per il divertimento e la gioia. Ma lui aveva sempre saputo, anche in
momenti tristi come quello, di essere un bambino fortunato, perché nel
mondo c'era pur sempre, e tutto per lui, il profondo calore, il confortante
amore della mamma.
«Oh, Edgar», disse lei con la sua vocina. «La tua cravatta della
domenica ha il nodo storto.»
«Sì, mamma», rispose lui, tentando di raddrizzarlo. Peggiorò la
situazione e una delle vecchiette presenti dovette intervenire in suo aiuto.
«Ecco fatto. Così va meglio», approvò Eliza Poe. «Avvicinati, Edgar.»
Edgar si portò accanto a William, che cedette in silenzio il suo posto e
la presa sulla mano della madre. Eliza Poe accarezzò i capelli scuri del
figlio, poi fece scorrere amorevolmente le dita sul suo volto, toccandogli
gli zigomi alti, le labbra sensibili, il nobile naso e il mento ben disegnato.
La sua mano era fredda e sudaticcia ed Edgar avvertì un brivido
corrergli lungo la schiena. Era allarmato, e avvertì l'impulso di piangere,
ma sapeva di doversi mostrare coraggioso per il bene della mamma e
trattenne le lacrime.
«Caro Edgar, nessuno potrà mai dubitare che tu sei mio figlio»,
dichiarò Eliza. «Hai i miei occhi.»
«Sì, mamma.»
«Hai fatto il bravo con i nostri cari amici?»
«Sì, mamma.»
«Non è vero», lo contraddisse a un tratto William. «Continua a cercare
un corvo tra i rami. Non fa altro che parlare di quel corvo, sempre il
corvo, il corvo...»
La madre tornò a posare lo sguardo su di lui. «Edgar, non devi
soffermarti su cose oscure. Tu vuoi bene a Gesù, Edgar?»
«Sì, mamma.»
«Gesù è il Figlio della luce, e in Lui non c'è oscurità. Rivolgiti a Gesù,
Edgar. E prega sempre il Signore.»
«Sì, mamma.»
Eliza Poe trasse una serie di lunghi e faticosi respiri, poi chiuse gli
occhi come per raccogliere le forze. Riaprì gli occhi e cominciò a parlare:
«Bambini. Temo che si preparino tempi difficili davanti a voi», sussurrò
con voce debole.

Non erano tempi d'oro.


Non erano tempi bui.
Era la fine del 1811.
L'Inghilterra avrebbe presto fatto un ultimo, debole tentativo di
riconquistare le colonie perdute, ma l'America aveva già un'identità e una
sua potenza. Le città crescevano, la sua autoconsapevolezza di nazione
andava rafforzandosi. L'Unione era appena stata costituita, e gli stati
avevano difficoltà a considerarsi parte di una nazione più grande, ma
l'idea attecchiva e la maggioranza dei commercianti prosperava. Grazie
agli ottimi porti, la costa atlantica si arricchiva e le nuove, coraggiose e
bellissime città attiravano ondate di immigranti in cerca di lavoro. La
nuova società necessitava di intrattenimenti e si rivolse al teatro e alla
musica. Una delle giovani attrici di maggiore successo era Eliza Arnold,
nata da una famiglia di attori, e da anatroccolo si era trasformata in uno
splendido cigno della ribalta. Si era sposata con un altro attore, di nome
David Poe. Pur dotato di notevole audacia e ambizione, purtroppo Poe
non era un buon attore. Il suo lavoro veniva abitualmente stroncato dalle
recensioni e ben presto cominciò a bere. A cavallo tra Settecento e
Ottocento l'alcol era socialmente accettato, al punto che negli uffici gli
impiegati si concedevano una pausa whisky alle undici del mattino.
Tuttavia, bere prima della colazione mattutina non sembrava una buona
idea, ma David Poe non riusciva più a controllare il suo amore per la
bottiglia. Quando si rese conto di essere un attore destinato al fallimento,
fece i bagagli e lasciò la famiglia.
Eliza aveva scelto di lottare e di andare avanti.
Ma ora, all'età di ventiquattro anni, Eliza Poe giaceva sul suo letto di
morte.
Era malata da mesi. Alcuni affermavano che non era stata più la stessa
dopo la nascita della piccola Rosalie, che la febbre da cui era stata
aggredita l'avrebbe forse risparmiata se non l'avesse trovata indebolita
dalla gravidanza e dal parto. Privata ormai da qualche mese del denaro
che Eliza si guadagnava calcando il palcoscenico, la famiglia era caduta
in miseria. Solo la gentilezza, l'ospitalità e il buon cuore cristiano di amici
come Fanny e John Allan avevano scongiurato la morte per stenti di
madre e figli.
Tuttavia, la comprensione che il giovane Edgar aveva della situazione
era minima. Era triste perché la mamma non stava bene e si alzava
raramente dal letto; ma non aveva mai smesso di accarezzarlo, di
abbracciarlo e di mostrargli il suo amore, e questo era indubbiamente un
miglioramento rispetto a quando la sua vita era stata un frenetico
viaggiare da un palcoscenico all'altro, intervallato da feste a cui era
obbligata a partecipare e a prove in teatro, che le lasciavano ben poco
tempo da dedicare ai figli. E gli aveva fatto bene vedere quanta gioia
infondesse in lei la sua presenza; la sicurezza del bambino e la coscienza
del proprio valore ne avevano indubbiamente giovato.
«Difficili?» domandò William. «Anche papà diceva sempre così. Le cose
erano sempre difficili nella 'nobile professione' dell'attore.»
«Non possiamo più fare conto su tuo padre neppure per le massime»,
ribatté Eliza Poe. «Ora dobbiamo affidarci alla gentilezza degli altri... E
io devo affidarmi alla pietà di Dio.»
Batté le palpebre e sembrò sul punto di venire meno, ma reagì,
esortandosi con un sussurro: «No, Eliza, no. Devi prima parlare ai
bambini. Parla ai bambini».
Una delle donne le diede una dose di medicina dall'odore cattivissimo,
imboccandola con un grande cucchiaio d'argento, poi l'aiutò a bere del tè
caldo con latte. Tornò pienamente cosciente e fu di nuovo in grado di
rivolgersi ai bambini.
«Sto per andare via», avvertì. «Gesù mi sta chiamando.»
«Veniamo anche noi!» ribatté subito Edgar.
«No, figlio mio. Solo io posso andare.»
All'improvviso Edgar fu molto irritato con Gesù. Gesù, che prima era
stato un signore tanto amichevole e dolce... e ora non voleva consentirgli
di andare con la mamma. Gli sembrava una cosa ingiusta... Molto
ingiusta. Ed Edgar intendeva comunicare il suo disappunto a Gesù senza
mezzi termini quando avrebbe recitato le preghiere quella sera.
«Tu, William e Rosalie dovete crescere e compiere buone azioni e
diventare brave persone. Dovete amare Dio e amare Gesù, e amare il
vostro prossimo.»
Mentre Eliza parlava, Edgar si sentì a un tratto freddo e abbandonato.
Quella non era la mamma così come la conosceva, sempre pronta a dargli
conforto; stava parlando come i pastori che predicavano nelle chiese dove
erano soliti andare a messa, fredda e distaccata, generosa di parole e
avara di dolcezza e conforto.
Eliza parlò ai bambini per qualche minuto, recitando passi della Bibbia
e istruendoli in materia di morale e di bontà. Edgar non poté fare a meno
di notare che gli altri presenti nella stanza, gli adulti con i loro abiti rigidi
e gli alti colletti inamidati, che odoravano di sapone grezzo e rettitudine,
di tanto in tanto annuivano e aggiungevano «amen» severi ma pieni di
approvazione alle istruzioni impartite da Eliza ai figli.
Poi Eliza baciò Rosalie e sussurrò qualcosa all'orecchio dell'infermiera.
A quel punto fece cenno a William di avvicinarsi per baciarle la guancia.
William lo fece. Sussurrò qualcosa anche a lui e lui annuì. William era
pallido in volto e aveva gli occhi gonfi di lacrime di smarrimento. Edgar
si domandò se avesse preso la febbre dalla mamma; sperava vivamente di
no.
«Edgar, per favore, vieni qui.»
Edgar si avvicinò e guardò negli occhi della madre.
... penne nere...
... battiti d'ali...
... battiti d'ali...
... le ali di un angelo delle tenebre...
Edgar indietreggiò. Il cuore gli batteva furiosamente nel petto. Sentiva il
bisogno di uscire. Non c'era più aria là dentro... Non si poteva respirare
altro che penne nere e...
Il bambino fece un passo indietro e sbatté contro la gamba di un uomo.
Si sentì calare addosso mani grosse e dure. Guardò verso l'alto e si trovò a
fissare il volto granitico di John Allan. «Ragazzo!» lo rimproverò Allan
con lo stesso tono autoritario che usava quando impartiva ordini ai suoi
domestici. «Fa' il tuo dovere. Vai da tua madre!»
Il terrore si mescolò allo smarrimento e accelerò ulteriormente il suo
battito cardiaco, ma le parole ebbero l'effetto di bloccarlo e si ritrovò di
nuovo accanto alla madre.
«Edgar», esortò Eliza. «Ricordati di me. Te ne prego.»
... ricordati...
... ricordati...
La parola riecheggiò nella sua mente.
«Sei tanto giovane... Temo che dimenticherai la madre che ti ha amato
così tanto. Per aiutarti a ricordare la mamma, Edgar, voglio darti la
miniatura di un mio ritratto...»
... ricordati...
«Alcune lettere che ho scritto e che credo contengano un po' della mia
anima, e forse posseggono anche una certa qualità letteraria; so che ami
molto leggere, le poesie, i racconti...»
... ricordati...
«E per ultimo ti regalo un acquerello del porto di Boston. Ti ricordi
Boston, Edgar? È la città in cui sei nato...»
... ricordati...
«È la città in cui tua madre ha conosciuto i suoi amici più cari e
solidali, alcuni dei quali sono qui oggi.»
Le mani di Eliza erano fredde al tocco di Edgar. E la mamma aveva
anche uno strano odore, che costringeva Edgar a sforzarsi di mantenere
la compostezza che intuiva gli veniva richiesta in quel momento.
La mamma disse dell'altro, ma le parole cominciarono a sembrargli
sempre meno sensate. Vaneggiava di Gesù e di Dio, della carità e della
forza, dell'amore e dell'onore, ma pronunciava anche parole che non
avevano senso, in lunghi e febbrili sussurri.
Alla fine, Eliza Poe non parlò più.
Una donna le tastò il polso, poi le avvicinò uno specchietto al volto e
alle narici.
«Dio la benedica, e rendiamo grazie a Dio», dichiarò con tono
flemmatico. «Se n'è andata in serenità.»
Fanny Allan si abbandonò a un pianto sommesso, ma il volto di John
Allan era duro come quello di una statua. «E così ci ha affibbiato il
moccioso di mezzo», mormorò.
Edgar non capiva.
Perché dicevano che se n'era andata? La mamma non era andata da
nessuna parte! Non era andata in paradiso a trovare Gesù. Era lì... bella
come sempre. Dormiva... non lo vedevano? Stava solo dormendo!
«Edgar, William», chiamò Fanny Allan. «Vostra madre se n'è andata.
Ora datele un bacio per rendere con il vostro amore il suo viaggio più
rapido.»
Diligentemente, William si avvicinò al letto, si chinò e baciò la madre
sulle labbra. Sembrava rapito, in trance.
Poi toccò a Edgar. Dovettero aiutarlo a salire sul letto. Guardò il volto
pallido della madre e disse: «Mamma, svegliati».
«Accidenti a te, bambino», ringhiò John Allan. «È morta. Non vedi?
Ora baciala e facciamola finita. Ho un appuntamento di lavoro che mi
aspetta.»
Alla voce tuonante di John Allan Edgar si fece piccolo per la paura.
Toccò il viso della madre. Stranamente, sembrava più caldo di prima. Le
baciò le labbra e anch'esse erano molto calde. «D'accordo, mamma»,
sussurrò. «Non svelerò a nessuno che stai facendo finta.»
Poi udì un improvviso ticchettio.
Si voltò a guardare la finestra. Sul davanzale, dall'altra parte del vetro,
si era posato il corvo. Aveva allargato le ali, impedendo a quel poco di
luce che si faceva strada attraverso il cielo coperto di penetrare nella
stanza. Il rumore delle penne sbattute contro la finestra si unì a quello
degli artigli sui mattoni e al picchiettio del becco sul vetro, poi si librò in
volo, scomparendo ancora una volta nel cielo plumbeo e nuvoloso.
«Guarda, mamma!» esclamò Edgar Poe. «Gliel'avevo detto! L'avevo
detto a tutti... Un grande uccello nero!»
Ma sua madre non rispose.
E non parlò mai più, né lo avrebbe più abbracciato o baciato, né
avrebbe sorriso per lui o cantato ridendo le sue meravigliose canzoni.
Mai.
Mai.
Mai più.

«Mai più», mormorò Donald Marquette.


Si destò, ansimante. Era disorientato.
Il sogno.
Aveva di nuovo fatto quel maledetto sogno.
«Poe», disse, allungando una mano a prendere il bicchiere d'acqua sul
comodino. «Non ne posso più di Poe.»
Coscienza sporca?
Forse. Respinse con forza il pensiero. C'erano un sacco di cose da fare,
imprese difficili da portare a termine se intendeva raggiungere i suoi
obiettivi. I sensi di colpa erano un lusso che non poteva permettersi.
Il bicchiere era freddo. Sorseggiò il liquido che conteneva...
... e lo sputò fuori.
Maledizione!
Aveva il sapore del sangue.
20

Prendi questo bacio sulla fronte!


E, ora che dobbiamo separarci,
Lascia che ti dica...
Non ti sbagli, quando affermi
Che i miei giorni sono stati un sogno;
Eppure se la speranza è volata via
In una notte o in un giorno,
In una visione o nel nulla,
È forse per questo meno perduta?
Tutto quel che vediamo o sembriamo
Non è che un sogno in un sogno.

EDGAR A. POE, «Un sogno in un sogno»

Amy Blessing era in cucina curva su una tazza di caffè caldo quando
suonarono alla porta.
Amy non aveva mai amato granché il caffè prima dell'uccisione di
William. Aveva preferito di gran lunga il tè. L'anno prima lei e Bill erano
tornati da un viaggio in Inghilterra carichi di tè di ogni tipo e qualità,
acquistato da Fortnum e Mason's a Londra. Darjeeling, Earl Grey, Lapsang
Suchong, English Breakfast e molti altri, conservati in splendidi barattoli
di latta. Aveva in casa anche tè proveniente da diverse province indiane e
cinesi, tè meraviglioso, di prima qualità, estremamente caro.
Ma ora beveva soprattutto caffè.
Quando ne beveva una tazza fatta con chicchi di caffè appena macinati
si sentiva scaldare e rinvigorire... e si sentiva vicina a Bill. Sorseggiava
l'aromatica bevanda addolcita con un'ombra di zucchero e un goccio di
latte, chiudeva gli occhi ed era di nuovo con lui. Il ricordo del suo
dopobarba muschiato le sembrava più vivo, come il suono della sua voce,
il sapore della sua pelle tra le lenzuola spiegazzate, la sua presenza che
tanta sicurezza le aveva dato.
Sapeva di essersi chiusa a riccio in se stessa, ma non conosceva altri
metodi per affrontare la tremenda perdita che aveva subito. Alla
conclusione di una brillante e divertente carriera di studentessa
universitaria aveva nutrito progetti ben definiti per la sua vita. Il professor
William Blessing era stata una sorpresa sconvolgente. La giovane
discepola sarebbe inorridita al pensiero di sposare un uomo più vecchio di
oltre vent'anni. Forse la parte di lui che era scrittore poteva esercitare un
certo fascino sulla ragazza, ma la parte accademica? Per carità! Così
borioso, teoretico, dolorosamente noioso... non era certo quello che aveva
sognato. Affatto. Una vita passata ad attraversare gli oceani e a balzare di
continente in continente, percuotendo appassionatamente i tasti del
pianoforte e inseguita da eccitanti uomini stranieri con occhi di fuoco e un
irrefrenabile bisogno di affondare le sensuali labbra nei suoi lunghi,
morbidi capelli. Sì, era questo che aveva sognato. Poi, in seguito, si
sarebbe sistemata, trovandosi un compagno con cui dividere il resto della
vita e formare una famiglia; probabilmente un musicista. Qualcuno con cui
duettare costantemente.
William Blessing aveva naturalmente rappresentato un notevole
scostamento dalla rotta stabilita, ma l'incontro con lui era apparso in tutto e
per tutto giusto, per non dire addirittura predestinato.
Ma il destino aveva evidentemente in serbo anche cose terribili.
Se solo Bill avesse rinunciato a tenere la sua collezione di libri e cimeli
di Poe in casa e avesse evitato di renderla di dominio pubblico. Se solo
non avesse insistito per continuare a insegnare all'università e a vivere nel
centro della città, indifeso e vulnerabile. Con tutto il denaro che aveva
guadagnato avrebbero potuto vivere in una bella e grande casa in un
quartiere protetto, lontani dalle minacce che assillavano chi non si
allontanava dai virus umani di cui era ormai appestata la società...
Se solo...
Suonarono di nuovo alla porta.
Si avvicinò alla postazione di controllo.
Dopo quella terribile sera, non essendo riuscito a convincerla ad
abbandonare la sua casa, Donald aveva insistito perché Amy facesse
potenziare il sistema di sicurezza. Era un'operazione costosa, ma l'aveva
convinta affermando che c'era ancora molto denaro nel conto in banca,
mentre la vita all'interno di quella casa era già stata dimezzata.
Il centro nevralgico del nuovo sistema d'allarme (che comprendeva
sbarre alle finestre e la garanzia di impenetrabilità del piano terreno e del
seminterrato) era costituito da un sistema video per il monitoraggio di tutti
gli ingressi e le finestre della casa, oltre che di buona parte dell'interno.
Una delle postazioni di controllo era stata allestita in un angolo della
cucina. Amy ci si avvicinò, stringendo la tazza di caffè in una mano come
un talismano.
Accese il monitor.
Sullo schermo comparve un uomo con un cappello in testa, occhiali
scuri e un lungo cappotto, il cui bavero era alzato e gli copriva il collo e
parte del mento. La primavera a Baltimora era stata ventosa e fresca, ma
certo non fredda al punto da richiedere un simile abbigliamento.
Tuttavia, era mattino, gli indumenti e il cappello dell'uomo sembravano
di ottima qualità e lui stesso appariva tutt'altro che minaccioso. Non c'era
motivo di chiamare la polizia.
Premette il tasto del citofono. «Sì?» domandò, con tono piatto. Era
ancora in grado di suonare il pianoforte, ma non riusciva a raccogliere
energie sufficienti per restituire alla sua voce la musicalità perduta.
«Signora Amy Blessing?» indagò l'uomo. La voce era roca e smorzata,
ma al tempo stesso stranamente familiare.
«Sì.»
«Mi chiedo se sarebbe così gentile da... avrei bisogno di parlarle.»
«Mi dica.»
«Di persona.»
Un brivido di paura le corse lungo la schiena.
Quella notte, quando Bill aveva aperto la porta...
Erano le undici meno un quarto del mattino. Donald era arrivato di
buon'ora e si era messo al lavoro nel suo ufficio, ma poi aveva ricevuto una
telefonata ed era dovuto uscire per un incontro d'affari, o così aveva detto.
Ora era sola in casa e non aveva alcuna intenzione di andare alla porta
d'ingresso a parlare di persona con nessuno. Non avrebbe rinunciato alla
sicurezza offertale dalle due spesse porte e dalle molte serrature che la
proteggevano dal mondo esterno.
«Temo che...»
«Capisco la condizione in cui si trova», la interruppe l'uomo. «Dopo la...
tragedia da cui è stata recentemente colpita, è giusto che lei sia molto
prudente. Tuttavia, le posso assicurare che non intendo affatto farle del
male. Sono venuto da... molto lontano... per parlare con lei.»
La voce dell'uomo, in precedenza piuttosto distaccata e fredda, sembrò
colmarsi di emozione.
«Chi è lei?»
«Sono... sono Delmore Blessing.»
«È un parente di Bill? Non ho mai sentito nominare alcun Delmore...
Bill non mi ha mai detto di avere un parente che...»
«Sono... un cugino di secondo grado, qualche anno più anziano di lui. I
nostri contatti erano piuttosto... sporadici, purtroppo. Ma eravamo in
contatto per corrispondenza e condividevamo l'uno con l'altro i nostri
sentimenti e i nostri segreti. Io e suo marito avevamo un rapporto di
immensa fiducia reciproca.» Fece una pausa. «Devo parlare con lei... a
proposito di alcune cose.»
Era indecisa. Esitò. «Come posso avere la certezza che lei è davvero il
cugino di mio marito? Chi me lo garantisce? Non ho mai trovato lettere
firmate da lei e non ricordo che ci abbia mai chiamato al telefono.»
«Lei può chiedermi ciò che vuole sul conto di William Blessing e io farò
del mio meglio per risponderle. Ma per prima cosa devo avvertirla che
dispongo di pochissimo tempo. Potrei cominciare dicendole che... suo
marito... l'amava moltissimo. Mi ha raccontato che in occasione del vostro
ultimo anniversario di matrimonio le ha regalato una poesia che aveva
scritto per lei, e che alla fine di ogni mese le forniva un indizio per la
risoluzione dell'indovinello posto dalla poesia. La poesia l'avrebbe
condotta in un posto segreto, dove avrebbe trovato un tesoro. Un tesoro
d'amore.»
Il cuore di Amy cominciò a battere più forte.
Il ricordo di quella poesia provocò la rottura di qualcosa nel suo animo.
Da quella falla il dolore sgorgò copioso, inondandola.
Ma insieme con esso sgorgò anche una gioia infinita...
Si rese conto di avere la vista appannata dalle lacrime.
Non piangeva dal giorno del funerale di William Blessing. E sebbene le
lacrime sembrassero bruciarle le guance, le accolse con gratitudine, perché
costituivano la prova che era di nuovo in grado di provare emozioni.
«Lei... lei sa di quella poesia. Nessuno ne sapeva nulla. Com'è
possibile?»
«Fui io a iniziarlo a scrivere poesie», spiegò l'uomo che aveva detto di
chiamarsi Delmore Blessing. «E gli diedi anche qualche lezione di prosa,
quando cominciò a scrivere. Fui io a regalargli il primo libro di racconti e
poesie di Edgar Allan Poe. Come vede... eravamo molto... molto intimi
anni fa.»
Nessun altro al mondo poteva essere a conoscenza dell'esistenza di
quella poesia.
Ora, a rigor di logica, avrebbe dovuto domandare al misterioso parente
di William come mai non aveva chiamato prima per annunciare il suo
arrivo. Non aveva mai neppure sentito parlare di lui.
Ma il pover'uomo sembrava a disagio là fuori. Ed era stato in rapporti
molto stretti con William. Doveva per forza essere così.
E stare in compagnia di quell'uomo non sarebbe forse stato come
avvicinarsi di nuovo al suo adorato marito morto?
«D'accordo», disse. «Le credo. Arrivo.»
Spense il monitor e andò alla porta d'ingresso per consentire a quello
strano ma meraviglioso uomo di entrare.

21

Una oscura e insondata marea


Di interminabile orgoglio
Un mistero, e un sogno,
Deve apparire la mia vita passata.

EDGAR A. POE, «Imitation»

«Tutto questo è terribile e sconcertante», disse Donald Marquette.


«Devo ammettere che non ho mai visto o anche solo sentito parlare di
nulla di simile», affermò il poliziotto. «Ma il mondo è pieno di pazzi.
Bisogna aspettarsene di tutti i colori. La realtà è più strana della finzione,
glielo dico io.»
«Chi altro è al corrente di quanto è accaduto?» domandò Marquette,
avvertendo lungo la spina dorsale una strana e inquietante sensazione di
catene trascinate sulla pelle.
«Solo i guardiani.»
«E dov'erano quando è successo?»
Il poliziotto si chiamava Daniels. Aveva una ciambella di grasso attorno
alla vita e la sua camicia azzurra era macchiata da chiazze di sudore.
Aveva un grumo di moccio che gli pendeva da una narice. Il meglio di
Baltimora, pensò Marquette. «È questa la cosa strana, signor Marquette.
Questo cimitero ha un servizio di prim'ordine. Voglio dire, è il cimitero in
cui è sepolto Edgar Allan Poe, mi capisce? Ma quelli della sicurezza, i
guardiani di turno ieri notte, con cui ho parlato, non hanno visto niente di
niente.»
Marquette abbassò gli occhi al terreno.
Era come se nella tomba fosse stata scavata un fossa e poi
frettolosamente colmata alla buona. Blocchi e agglomerati di terra
spuntavano dal prato dissestato e formavano una traccia che conduceva al
cancello del cimitero. La nuova, risplendente, costosa croce celtica sulla
tomba era intatta e non aveva subito alcun danneggiamento. Strano. Se di
atto di vandalismo si era trattato, la croce avrebbe dovuto essere il primo
obiettivo.
«Avete esaminato la bara?»
«No. Dobbiamo disseppellirla. È per questo che l'abbiamo chiamata.
Volevamo sapere se lei ha sospetti su chi possa aver tentato di riesumare e
trafugare il corpo del signore Blessing. Sa, essendo uno scrittore horror...
avrà certamente avuto un sacco di fan strani. Ho sentito dire che una volta
quell'altro scrittore, Stephen King, stava firmando autografi quando un
tizio gli si avvicina, si taglia il palmo della mano e chiede a King di
firmare il suo libro con il sangue.»
«Era Clive Barker», lo corresse Marquette.
«Davvero? Cazzo, sapevo che era un suo fan, ma arrivare a quel
punto...»
«No, intendo dire che era Clive Barker che stava firmando le copie di un
suo libro.»
L'avevano chiamato quel mattino per informarlo della profanazione della
tomba di Blessing. Meno male che gli idioti non avevano fatto in tempo a
parlare con Amy. Si era recato subito sul posto per vedere quanto era
accaduto, dicendo a Amy che si trattava di un impegno di lavoro.
Il genere di impegni di cui si farebbe volentieri a meno.
«Ah, certo. Comunque io non leggo quelle cose. A me piacciono i gialli
tradizionali, sa? Mi piace leggere di cose vere. Capisce cosa intendo?»
«Be', immagino che dovremo riesumare la bara per accertarci che non
sia stata danneggiata e che non siano state toccate le spoglie del dottor
Blessing», disse Marquette.
«Ma questo non rientra nei compiti della polizia, signore.»
«Mi rivolgerò alla direzione del cimitero per organizzare la cosa. Nel
caso ci fossero delle spese, verranno fatturate alla Fondazione Blessing.
Intanto vorrei ringraziarla, agente, per averci avvertito immediatamente di
questo brutto affare.»
«Non c'è di che. Dovere.»
«Svolto con meticolosità.»
Il poliziotto tornò mollemente alla sua auto e si allontanò, certamente
diretto alla più vicina rivendita di ciambelle per la pausa pranzo.
Donald Marquette andò a parlare con gli amministratori del cimitero.
Poiché all'esterno non c'era alcun segno evidente che qualcosa fosse
effettivamente stato rimosso dalla tomba, la riesumazione avrebbe
comportato un costo. Marquette non protestò. Avrebbero provveduto il
mattino seguente. Marquette avrebbe voluto che la faccenda venisse risolta
molto più celermente, ma l'idea di afferrare personalmente una vanga e
darsi da fare subito non era certo allettante.
Una volta accordatosi con la direzione del cimitero, trovò una cabina
telefonica e chiamò Baxter Brittle.
Baxter non si trovava in ufficio alla Tome Publishing, il che non era
sorprendente.
Marquette riprovò componendo il numero di casa e gli rispose una
segreteria telefonica. Anche in questo caso, nessuna sorpresa. Era molto
presto per Baxter.
Tuttavia, c'era un altro sistema per contattarlo senza andare fisicamente a
casa sua e tirarlo giù dal letto. Dopo quella terribile, ma in ultima analisi
meravigliosa notte in cui tutto era cambiato, Marquette aveva convinto
Baxter della necessità di stabilire tra loro un canale di collegamento imme-
diato e sempre aperto, nel caso in cui ci fossero stati sviluppi
imprevedibili. Avevano fatto installare linee telefoniche speciali e avevano
acquistato telefoni cellulari. Baxter odiava il suo telefonino e aveva chiesto
esplicitamente a Marquette di tentare tutti gli altri mezzi di comunicazione
prima di ricorrere al cellulare. Da parte sua, Brittle si era impegnato a
tenerlo sempre acceso. Ventiquattr'ore su ventiquattro. Non avrebbe mai
toccato l'interruttore dell'apparecchio. Non l'avrebbe sepolto sotto cumuli
di cuscini. Né l'avrebbe mai semplicemente ignorato (improbabile, dal
momento che Marquette si era accertato di acquistare il modello dotato
della suoneria più fastidiosa).
Marquette affondò la mano in una tasca interna della giacca e ne tirò
fuori il cellulare. Aprì lo sportellino. Premette il tasto programmato per
selezionare automaticamente il numero di Baxter.
Squillò ripetutamente, ma alla fine la voce di Baxter, distorta e roca,
giunse dall'altro capo.
«Dimmi, mio caro.»
«Baxter, sei sobrio?» domandò Marquette.
«Ho un mal di testa pazzesco per le bevute di ieri sera. Mi ci vuole un
goccio e una pastiglia, dopodiché sarò lucidissimo. Torno subito.»
«No. Aspetta. Devo parlarti.»
«D'accordo. Si tratta di qualcosa di molto importante, presumo.»
«Se così non fosse non ti avrei disturbato, Baxter. Io sono uno che
mantiene la parola.»
«Mi fa piacere. Mi dispiace solo che ci siano problemi. Che succede?»
«Mick e Theodore sono tornati in città, vero?»
«Sì. Come ti ho detto la settimana scorsa. Sono tornati dalla loro
avventura nei Caraibi in splendida forma e abbronzati.»
«Avrei comunque preferito che non fossero tornati qui a Baltimora.»
Quando parlavano al telefono si premuravano sempre di non parlare in
termini troppo espliciti, tenendosi il più possibile nel vago. La paranoia era
una condizione utile quando si era costretti a gestire questioni delicate
come la copertura di un furto degenerato in un omicidio.
«Hanno comunque una loro utilità.» Il fastidio che i postumi della
sbornia provocavano a Baxter Brittle cominciavano a trasparire nella sua
voce, insieme con una certa irritazione. «Ti prego di venire al sodo, mio
caro ragazzo.»
«Una certa tomba è stata profanata. Volevo solo assicurarmi che certi
nostri amici non siano dediti a simili preoccupanti attività.»
Una pausa di silenzio.
Poi una breve risata.
«Forse l'occupante è risorto il terzo giorno per ascendere al cielo. Ho
sempre pensato che soffrisse di un complesso di superiorità. Credeva di
essere Gesù Cristo.»
La replica di Marquette fu dura. «Non è il momento adatto per le tue
battute di pessimo gusto, Baxter. Voglio che indaghi. Mi hai capito?»
«Certamente, mio caro. Tuttavia, non credo ci sia motivo di farsi
prendere dal panico.»
«Niente panico. Solo estrema prudenza.»
«D'accordo, d'accordo. Ora posso andare a curare i miei dolori?»
«Sì, ma richiamami. E al più presto.»
«Devo usare questo odioso aggeggio?»
«No. Mi troverai in ufficio.»
«La prima buona notizia della giornata. Ciao.»
Marquette spense il telefonino.
Si ritrovò a tornare in direzione del cimitero e della tomba profanata.
Sostò pensierosamente accanto alla croce, fissando il prato e la terra
dissestata.
Marquette scosse la testa e rise.
Quell'episodio aveva fatto nascere in lui un'idea fantastica per un
racconto dell'orrore.
Si sentiva molto meglio. Tornò in direzione della sua auto, la mani
infilate nelle comode tasche foderate di seta della giacca sportiva italiana.

22

Molti e molti anni fa,


In un regno in riva al mare,
Viveva una fanciulla che forse conoscete
con il nome di Annabel Lee;
E questa fanciulla viveva con l'unico pensiero
Di amare ed essere amata da me.

EDGAR A. POE, «Annabel Lee»

Il dottor William Blessing, risorto dalla tomba, stava in piedi davanti alla
porta della casa dove un tempo era vissuto, in attesa che i viventi
rispondessero al citofono.
Il corvo era scomparso e non si era più fatto vedere. Tanto meglio. Dopo
una miserevole notte trascorsa sulla panchina di un parco, era tornato da
lui stringendo nel becco altre banconote da cento dollari. Le aveva usate
per comprare vestiti nuovi e del trucco in uno dei grandi magazzini del
centro.
Guardando nello specchio del bagno degli uomini, gli occhi fissi sulla
pelle squamata e spaccata del suo volto di cadavere, si era applicato uno
strato di fondo tinta. Poi, seguendo uno strano istinto, si era disegnato sul
volto con la matita nera un sorriso clownesco e stelle da pagliaccio attorno
agli occhi.
Dopo una pausa di riflessione aveva deciso che quello non era un
travestimento ideale.
Si era rassegnato a usare altro fondo tinta per coprire le cicatrici e le
lacerazioni più profonde. Il lavoretto con la carne fresca eseguito la sera
precedente aveva contribuito a riempire le spaccature attorno al naso
martoriato. Tuttavia, nonostante il fondo tinta, dimostrava più anni di
quelli che aveva avuto al momento della morte.
Di conseguenza, dall'estinto William Blessing era stato portato alla vita
(apparentemente) Delmore Blessing, cugino lontano ma intimo (per
corrispondenza).
Ora, sui gradini là fuori, in attesa che si aprisse la porta, quel che
rimaneva o che ora stava al posto del suo cuore sembrò battere più forte.
L'emozione di rivedere Amy era intensa.
Il suono della sua voce al citofono lo aveva quasi paralizzato. Era grato
di essere riuscito a parlare e a raccontare la sua storia, oltretutto in modo
sincero. Fortunatamente il suo aspetto e la sua voce erano cambiati a
sufficienza da permettergli di nascondere la vera identità.
Stai calmo, si esortò.
Questo incontro deve avvenire esclusivamente allo scopo di ottenere
informazioni.
Ma che strazio!
La sua voce era stata così dolce e triste. Aveva provato il folle impulso di
dirle la verità.
Amy! Sono tornato! Sono risorto dalla morte per fare giustizia!
Ma sapeva che non era possibile. Aveva già dovuto lasciarla una volta,
contro la sua volontà. Come poteva dirle chi era sapendo che poi avrebbe
dovuto separarsi nuovamente da lei... Quando?
Presto.
Molto presto.
La porta si aprì.
La vide affacciarsi cautamente all'ingresso, la catenella di sicurezza
ancora agganciata.
Oh, quanto era bella! Venne travolto da una tale ondata di emozioni che
temette di sentirsi spezzare il cuore.
Rimase il più distante possibile dalla porta, la mani, vuote, in vista lungo
i fianchi. Le rivolse un cenno con il capo.
«Buongiorno.»
«Buongiorno», rispose lei, esitante.
«La ringrazio infinitamente per essersi fidata di me», disse. «E devo
scusarmi di non averla avvertita del mio arrivo a Baltimora. La verità è che
fino a ieri sera non sapevo neppure io che oggi sarei stato in città. Ho
pensato che poteva essere il momento opportuno per presentarmi a lei,
spiegarle chi sono e in che modo potrebbe essermi di aiuto... e in che modo
potrei essere io di aiuto a lei.»
«Vorrei solo che William... Bill... mi avesse detto di avere un cugino...
con il quale si scriveva... e al quale confidava segreti tanto personali.»
«Sono in imbarazzo. Ma vede, è necessario che le dica queste cose... per
convincerla che non le voglio fare del male.»
Sorrise, e sentì il trucco che gli copriva il volto e la pelle secca e tirata
screpolarsi al movimento dei muscoli facciali.
«Farmi del male? No, certo che no. È solo che...»
«Mi creda, la capisco perfettamente.»
«Entri, la prego.»
«Grazie.»
Sganciò la catenella di sicurezza alla porta e si scostò di lato.
Mentre varcava la soglia dovette appellarsi a tutta la forza di volontà in
ogni fibra del suo essere per resistere all'impulso di abbracciarla. Voleva
stringerla a sé, sentire di nuovo la vita tra le braccia. Sentire di nuovo
vicino ciò che aveva perso.
Entrò e si fermò nell'ingresso. Era stato sul punto di procedere
automaticamente verso la cucina per prepararsi una tazza di caffè, ma si
fermò, rimanendo obbedientemente in attesa di istruzioni.
«Vuole una tazza di tè o di caffè?» offrì Amy.
«Sì, grazie.»
«Da questa parte.»
Mentre superava lo choc di trovarsi di nuovo in presenza della donna
che amava, Blessing dovette fare una constatazione.
Non era più la stessa.
Mancava una scintilla nel suo essere. Sembrava meno radiosa. Quella
scintilla era stata spenta.
E non c'era da sorprendersi.
Sentì crescere di nuovo la rabbia. Non avrebbe rischiato di perdere pezzi
lì, davanti a lei. La presenza di Amy e la rabbia che gli ardeva in corpo
avrebbero fortificato la fermezza della sua volontà.
Amy gli fece strada verso il tavolo della sala da pranzo.
«Sto preparando del caffè. Una miscela keniota che mi piace molto. La
vuole assaggiare?»
«Caffè e non tè?» domandò lui.
Lo guardò, incuriosita. «Sì, perché?»
«Oh, mi perdoni. È che William mi ha raccontato della sua passione per
i tè esotici. È strano trovarla che beve quello che era stato il suo caffè
preferito.»
«Quando bevo caffè... mi sento più vicina a lui», spiegò. «E poi aiuta a
tenermi sveglia. Ultimamente sto dormendo davvero troppo.»
«Pare che dormire molto aiuti a superare i momenti difficili e a
rimarginare le ferite», disse. «In ogni caso, una bella tazza di caffè va
benissimo. Grazie.»
Amy andò in cucina. Mentre aspettava che tornasse, seduto nella sua
sala da pranzo, gli vennero le lacrime agli occhi. Non aveva mai veramente
amato quella stanza. Aveva sempre pensato che avesse un aspetto troppo...
troppo... americano. Preferiva di gran lunga le sale da pranzo in stile
europeo. Eppure ora non c'era altro luogo al mondo dove avrebbe
desiderato trovarsi.
Blessing trattenne le lacrime.
Amy tornò reggendo un vassoio, lo posò sul tavolo e si voltò a
guardarlo.
«Perché non si toglie gli occhiali?»
«Ah... questi?» disse toccandosi gli occhiali da sole. «Sa, ho gli occhi...
molto sensibili alla luce.»
«Come Vincent Price nella Tomba di Ligeia», rispose lei quasi senza
pensare.
«Ah, ehm, sì. Certo, uno dei classici film di Roger Corman tratti da
Poe», puntualizzò Blessing.
Amy prese a versare il caffè. «Secondo Bill, uno dei migliori.»
«Già. Sceneggiatura scritta da Robert Towne e non da Richard
Matheson, l'autore più comunemente associato al ciclo di film di Corman
ispirati a Poe. Devo confessare che la versione resa da Charles Beaumont
del Palazzo stregato è da sempre una delle mie preferite.» Blessing, senza
accorgersene, rise. «Ma molto probabilmente questo è dovuto al fatto che
il film, in realtà, era tratto da un vecchio racconto di H.P. Lovecraft.»
«Ma a lei piace Poe, non è vero?»
«Come le ho detto prima, fui io a introdurre William a...»
«Il film che ci divertiva di più guardare assieme era forse Il corvo nella
versione di Corman... benché anche in questo caso il riferimento a Poe è
piuttosto limitato», disse Amy. «Ma credo che Peter Lorre sia stato
fantastico nel ruolo del corvo.»
«Sì, è vero. Devo ammettere, però, che gli uccelli parlanti mi hanno un
po' stufato ultimamente», confessò Blessing.
Versò un goccio di latte nella sua tazza.
«Prende il caffè con il latte. Proprio come Bill.»
«A quanto pare è un vizio di famiglia.»
«In effetti c'è una forte somiglianza.»
«Sì. Ce l'hanno fatto notare più volte quando uscivamo insieme.»
Blessing beve un sorso. Sentiva il calore del liquido, ma non poteva
gustarne il sapore. La sua rabbia crebbe.
«Lei ha detto che vuole parlarmi.»
«Sì. Io vivo a Vancouver, nella Columbia Britannica. Quando ho saputo
della morte di William i funerali si erano già svolti... mi dispiace
terribilmente di non esserci stato.»
«In realtà anch'io era piuttosto assente durante la cerimonia», disse lei.
«Forse avrei potuto darle un po' di conforto. La morte violenta e
improvvisa di William ha lasciato molte cose non dette. Non so come
andassero le cose tra voi in quel periodo... ma so solo che ogni volta che
mi ha scritto nel corso degli ultimi anni William non sembrava in grado di
parlare di altro che di lei... e dei suoi sentimenti per lei. L'amava mol-
tissimo.»
«Non c'è bisogno che lei me lo rammenti. Lo so. Non ho mai dubitato
del suo amore...» Sospirò. «Anch'io lo amavo. E lo amo ancora.»
«L'amore trascende la morte.»
«Sì. Ora lo so.»
Ci fu una pausa di silenzio.
«William aveva sempre sperato di poter condividere tutto con lei»,
riprese alla fine Blessing. «Ma mi confidò che c'erano molte cose nella sua
vita di cui non aveva mai parlato con lei. Nulla di terribilmente eccitante...
Solo dettagli, mi capisce? Io credo di essere qui per colmare le piccole
lacune. Sono qui per raccontarle di alcune cose, cose piccole, certo, ma
forse importanti, a proposito di suo marito.» Sospirò. «Mi rendo conto che
se tutto questo è troppo doloroso...»
Si sforzò di alzare lo sguardo.
Amy Blessing lo stava fissando.
C'era una luce nei suoi occhi. Una luce che prima non c'era stata.
«Sì. Sì... mi piacerebbe», disse. «Continui, la prego.»
Blessing bevve un sorso di caffè. Raccontò alla moglie cose di sé che
non le aveva mai confidato, che era stato troppo impegnato per dirle. La
loro vita insieme in qualche modo era stata lasciata incompleta,
assolutamente senza alcuna reale necessità. Lui l'aveva amata molto, ma
non era mai stato bravo a confidarsi; ora era deciso a lasciarle una parte
più grande di sé.
Le raccontò di alcuni fallimenti, di come i suoi primi racconti erano stati
rifiutati da vari editori. Di un brutto anno all'università, prima di avere la
certezza di voler dedicare la propria vita alla missione letteraria che sentiva
di dover portare a termine. Le raccontò delle difficoltà di rapporti che
aveva avuto con alcune persone, delle cose sciocche e stupide che aveva
fatto. Le aveva raccontato tutte le cose belle nel corso del loro breve,
troppo breve, matrimonio. Ma da vivo non aveva rivelato tutti i suoi difetti
e le sue debolezze; ora riteneva di non essere stato giusto nei suoi
confronti. Amy doveva ricordarlo per quello che era realmente stato.
Finalmente, un'ora più tardi, rendendosi conto che aveva ancora molto
da dire, ma che questo gli era impedito da una grande stanchezza d'animo,
si interruppe.
«Mi dispiace. È tutto quello che riesco a ricordare in questo momento»,
disse. «Ci sono certamente altre cose che William mi ha raccontato... ma
forse potrò parlargliene in un'altra occasione.»
La guardò di nuovo, temendo di vedere sul suo volto un'espressione di
disappunto. Disappunto per l'uomo pieno di difetti che aveva sposato.
Forse anche un po' sollevata di essere stata liberata dal peso di dover
trascorrere con lui un'intera vita.
Invece, sembrava felice, nonostante il velo di lacrime negli occhi.
«Grazie. Questo è davvero... molto importante per me», disse. «Ora, in
qualche modo, sento... di conoscere Bill ancora meglio.»
Lui annuì. «Bene.»
«Ma lei deve rimanere! Può riposare, se desidera... ci sono diverse
camere degli ospiti al piano di sopra.»
«No. Ho preso una stanza in un albergo qui a Baltimora.»
«La prego! Lasci la camera e venga a stare qui con me!»
«Temo di non poterlo fare. E la prego di non chiedermi per quale
motivo.»
«D'accordo. Come preferisce.»
«Ora devo andare. La chiamerò. Così le dirò quando potrò tornare.»
«Non vedo l'ora.»
«Un'ultima cosa. Durante la mia permanenza in città vorrei contattare
alcune persone. Per questioni personali. Legate alla letteratura. Mi riferisco
a persone coinvolte in un'operazione commerciale che se non sbaglio si
chiama Tome Press.»
«Ah, certo! La Tome Press. Naturalmente. Il mio amico e socio Donald
Marquette lavora a stretto contatto con loro. Lui potrà certamente
aiutarla.»
«Il problema è che devo muovermi con molta cautela. Non posso
spiegarle perché in questo momento. Ma lei deve fidarsi di me. È per
questo che sono stato così felice di poter parlare con lei come abbiamo
fatto oggi, Amy. La prego di portare pazienza. Preferirei ottenere alcune
informazioni direttamente da lei e non coinvolgere altre persone.»
Apparve confusa, ma annuì. «Va bene. Se è questo il prezzo che devo
pagare per ascoltare altri meravigliosi racconti a proposito di William, che
sia.»
«È in grado di dirmi come posso contattare queste persone?»
«Sì. Ho dei biglietti da visita che mi hanno lasciato. È stato proprio di
recente, durante una cena.»
«Se potesse prestarmeli...»
«Ma certo. Io non saprei che farne. Le occorrono ora?»
«Sì. Purtroppo devo andare.»
«Molto bene.»
Andò nel suo ufficio e ne tornò con una serie di biglietti da visita, tutti
decorati con simboli dell'occulto in rilievo.
Lui li prese e si alzò per andarsene. Era faticoso e doloroso, ma si
sentiva andare in pezzi. Doveva allontanarsi prima che le lacerazioni della
decomposizione si facessero troppo profonde.
«La ringrazio infinitamente...»
«Sono io che ringrazio lei», rispose Amy, e prima che avesse il tempo di
dire o fare altro lo abbracciò. La carne calda e morbida della moglie contro
la sua ebbe l'effetto di una scarica elettrica. Il suo profumo, il profumo di
talco misto all'odore di femmina, lo scosse come nessuna esperienza
spirituale o fisica avesse mai fatto prima. Era soffice e tenera, sentiva i
riccioli dei capelli sfiorargli la guancia e la vita che era in lei pulsava come
una febbrile dinamo di possibilità, di meraviglie, di luce sconfinata in un
universo oscuro e nichilista.
Per un attimo temette che si sarebbe letteralmente dissolto in una pozza
di lacrime.
Riuscì a farsi forza e a rimanere imperturbabile.
«Sono così contenta che sia venuto», gli disse. «Mi prometta che
tornerà.»
«Glielo prometto.»
Si staccò delicatamente da Amy e si congedò, sentendo il commiato di
Amy riecheggiare nella sua mente come le ultime note di una splendida
sinfonia.
Si ritrovò a camminare senza meta precisa lungo la strada, stringendo tra
le dita i biglietti da visita che lei gli aveva dato. Provava un senso di
vertigine. Era forse la luce del sole? Non lo sapeva. Si sentiva come un
cittadino della notte, dissotterrato e restituito alla luce... eppure la luce non
bruciava e non lo corrodeva, come invece accadeva a Christopher Lee nei
classici film della Hammer su Dracula. Stranamente, aveva la sensazione
contraria, come se la luce del sole accrescesse il suo potere e la sua
comprensione delle cose. Innegabilmente, ora era una creatura della notte.
Ma questo non implicava l'odio per il giorno.
Alla fine si ritrovò nel campus della Johns Hopkins University.
Si sedette su una panchina all'ombra di un albero.
Guardò distrattamente gli studenti che passavano. Riconobbe alcuni
ragazzi e ragazze. Suoi studenti. Dio, quant'erano giovani e freschi e pieni
di energia. Ora si pentiva di quanto era stato duro con alcuni di loro, e
quanto poco si era sforzato di conoscerli. Forse, se avesse cercato di com-
prenderli, loro avrebbero capito meglio lui. Avrebbe potuto trincerarsi nella
vita dell'ateneo, quella sacra e prestigiosa istituzione. E scrivere celandosi
dietro uno pseudonimo. Avrebbe potuto evitare l'assurdità della morte e
della resurrezione.
Avrebbe dovuto mettere su famiglia. Una famiglia normale.
Un giovane con un libro di Dean Koontz in edizione tascabile in una
mano e una bibita nell'altra si sistemò contro il tronco di un albero.
Cominciò a sfogliare attentamente il libro, cercando la pagina a cui era
arrivato, poi si immerse nella lettura.
Lentamente, mentre osservava il ragazzo, in Blessing si fece strada una
consapevolezza: somigliava in qualche modo a Amy, con i suoi capelli
ricci, le sopracciglia scure e la forma del mento.
E per altri versi somigliava a William Blessing.
Quello studente avrebbe potuto essere loro figlio.
Stringendo i biglietti da visita nella mano, Blessing dovette alzarsi dalla
panchina e allontanarsi, pronto a battere zone più desolate e malfamate
della città, ricordando quali erano state le intenzioni sue e di Amy quella
sera, prima che su di loro si abbattessero violenza e atrocità.
Pagheranno! si disse.
Il riscatto passerà attraverso la vendetta.

23

Non potevo più avere dubbi sulla condanna preparata per me


dall'ingegnosità monacale nella tortura. Gli inquisitori si erano accorti
della mia consapevolezza del pozzo - quel pozzo i cui orrori erano stati
destinati a un ribelle audace quale ero io - il pozzo, ispirato dall'inferno, e
generalmente considerato l'Ultima Thule di tutti i loro supplizi.

EDGAR A. POE, Il pozzo e il pendolo

La Croce era un nuovo locale notturno.


Uno di quei locali nati altrove, che per un periodo attecchiscono al
pulsare della musica da discoteca in un delirio di brillantini e amfetamine,
vengono alimentati dall'alcol e dalle infinite ore notturne, e sono
probabilmente destinati a procedere oltre per cambiare indirizzo o
semplicemente a morire di una morte spastica e innaturale.
Si trovava in fondo a un vicolo nel cuore della downtown di Baltimora,
stretta tra edifici per uffici, negozi e ristoranti la cui chiusura notturna era
già cominciata da parecchie ore. Un quartiere tutt'altro che residenziale.
Nascosto in un canyon di cemento armato, il locale permetteva a chi lo fre-
quentava di produrre rumore terribile e sfrenato fino all'alba. In assenza di
quiete pubblica da disturbare, non c'era alcun pericolo di venire accusati di
comportamenti delittuosi.
O comunque, non di quel genere.
Al capo opposto dell'ingresso c'era un'uscita di sicurezza. In teoria
doveva essere aperta solo in caso di emergenza, ma quella sera, come
accadeva spesso quando l'interno del locale si faceva troppo caldo, o i
bagni ansimavano troppo colmi di attività carnali, uno degli avventori uscì
nello spazio fresco e buio che lungo alcuni gradini di pietra conduceva in
un vicolo parallelo a quello dell'ingresso principale.
Era Evelyn Nichol, Marchese de la Cinque per i suoi confratelli.
Dio mio, pensò forando con il volto madido di sudore l'aria fresca della
notte. Fa caldo là dentro per essere un giorno feriale.
Evelyn tirò fuori un pacchetto di Virginia Slims dall'elegante pochette
nera su un lato della sua giacca di plastica rossa e la accese con uno zippo
decorato da un testa di morto. Contribuì all'inquinamento dell'aria di
Baltimora soffiando fumo nel vicolo già invaso dalla foschia, surreale nella
sua evanescenza.
Gli girava la testa. Troppe luci stroboscopiche. Troppa musica
martellante, aggressiva e cattiva: NIN, Prodigy, Ministry e tutti gli altri, un
trapanante megamix di rabbia e disperazione. Troppe droghe, troppo alcol
e troppi balli.
Cercò di rilassarsi, ondeggiando sui tacchi a spillo, lasciando che l'aria
fresca gli risalisse sotto la minigonna e abbassasse la temperatura delle
strette, strettissime mutandine. Si lisciò amorevolmente le calze di nylon,
ammirandosi di nuovo i polpacci perfettamente torniti e le caviglie sottili.
La cosa strana era che, sebbene personalmente avesse una preferenza per
gli uomini, il Marchese stava molto meglio quando era vestito da donna.
Soprattutto quando si truccava. Possedeva una rara qualità che lo collocava
a metà strada tra un transessuale e un travestito.
Sì, era solito ammettere con allegria, il Rocky Horror ha avuto un grosso
impatto sulla mia adolescenza.
Un tempo, prima dell'incontro con i Goths, Evelyn Nichol si era
procurato buona parte del suo reddito prostituendosi. Adescare gli uomini
era facile e fingere di essere una donna era sempre divertente. Ma in
ultimo si trattava di una pratica rozza, rancida e schifosa, con la costante
minaccia della malattia che ti pendeva sulla testa. Di conseguenza, quando
alla Tome Press aveva cominciato a guadagnare denaro a sufficienza per
comprarsi i vestiti che desiderava, aveva smesso di battere. Gli piaceva
sedurre e flirtare, ma aveva dato un taglio alle mani palpanti e ai grugniti
baritonali, al selvaggio commercio dell'amore.
Sì! esultò tra sé alzando le braccia al cielo come a riceverne poteri latenti
e nascosti. Un mondo nuovo si sta aprendo davanti a me! Sono stato
troppo a lungo a terra con la faccia nel fango! Ora i miei occhi si volgono
alle stelle!
In realtà il Marchese stava conquistando una forma di potere
completamente diversa. Stava scoprendo di possedere un certo talento nel
campo dell'amministrazione contabile. Chi lo avrebbe mai detto! Alla
Tome Press, il cui volume d'affari era in fortissima espansione e le regole
comportamentali imposte ai dipendenti erano improntate alla più assoluta
tolleranza, sarebbe potuto diventare un alto dirigente, contribuendo a
guidare la società verso le eccitanti prospettive che sarebbero nate dalla
sua associazione con l'eredità Blessing. Che botta di adrenalina quella
fatidica sera quando un ricco autore aveva trovato la morte e i Goths
avevano finalmente potuto cominciare ad aspirare alla grandezza! Inoltre,
era ancora libero di uscire e fare baldoria come gli pareva e piaceva.
No.
Errata corrige.
Fare baldoria era obbligatorio!
Fare baldoria rientrava nella filosofia stessa della Tome Press. La fetta di
lavoro costituita dal traffico di droga gestito da Mick Prince implicava di
per sé recarsi a cene e feste con selezionatissimi soci in affari. Era un giro
meraviglioso, bizantino, eccitante ed esaltante, ma soprattutto incredibil-
mente redditizio.
Dio, ora non solo aveva accesso alle droghe migliori...
Ma anche ai vestiti da donna più belli!
Che meravigliosa vita da sogno, pensò il Marchese, riempiendosi i
polmoni del fumo denso e ricco del tabacco, per poi lasciarlo fuoriuscire
attraverso le narici. E tutto questo per aver schiacciato come uno
scarafaggio un arrogante figlio di puttana che si era montato a dismisura la
testa.
E poi c'era l'aspetto più oscuro della faccenda. Ma quella era una libera
scelta. Non aveva dubbi che l'aumento delle entrate e l'accrescersi del
successo della Tome fossero dovuti in parte alle pratiche dell'occulto. Ma
la verità, rifletté, era che tutte quelle storie di satanismo e di venerazione
dell'occulto erano di per sé divertenti.
Il Marchese fece un sorriso e gettò via il mozzicone della sigaretta.
Ora di tornare a fare quattro salti. E poi magari pescare un bel fisichino
da portare a casa...
«Signor DeMille», sussurrò rassettandosi la parrucca. «Sono pronta per
il primo piano!»
Allungò una mano verso la porta, pronto a rituffarsi nella fragorosa,
deliziosa cacofonia, ma venne bloccato.
Una mano calò dall'alto, si infilò nel dietro del suo vestito, lo afferrò per
la parte posteriore del reggiseno e lo tirò verso l'alto.
Il Marchese si sentì come se fosse stato uncinato dal gancio di una gru.
Ebbe appena il tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo che già
era stato portato al livello della strada, trasportato oltre la ringhiera
metallica.
«Ehi, ma che...»
Una seconda mano lo afferrò.
Sentì un braccio stringersi attorno al collo e riuscire in qualche modo a
imbavagliarlo. Venne trascinato scalciante e ansimante prima lungo il
vicolo, poi attraverso la strada deserta in cui sbucava.
Il Marchese perse entrambi i tacchi a spillo.
L'adrenalina si riversò a fiotti nel suo organismo. Era forse a causa dello
spaccio di droga? C'era stato qualche malinteso, o qualche pagamento
ritardato? Che diavolo stava succedendo? Sapeva che Mick Prince era
rientrato in città. Era forse uno scherzo organizzato da lui?
C'era un cattivo odore nell'aria. Odore di sangue, di carne andata a male,
di putrefazione...
Si accorse di essere stato trasportato in un cantiere, al cui ingresso era
stato posto un cartello recante la scritta PERICOLO. Nella notte un
bulldozer Caterpillar comparve alla sua vista come un gigantesco insetto a
riposo. Nell'aria aleggiava l'odore di asfalto, di terra e di fogna.
All'improvviso il Marchese si ritrovò a guardare nelle profondità di uno
scavo stretto e buio. In fondo, molto, molto più giù, intravide vaghe forme
di spuntoni stagliarsi verso l'alto dalle fondamenta in costruzione di un
edificio. Il suo rapitore lo sospese sopra la voragine.
«No!» gridò, la voce smorzata dal bavaglio.
Ora penzolava, scalciante, sopra l'abisso.
«E invece sì, Evelyn. Chiedo scusa: Marchese.»
Il Marchese, colmo di terrore, con l'aria malsana proveniente dallo scavo
che gli risaliva per le cosce inguainate nelle calze, riuscì in qualche modo a
ricomporsi. Tentò di parlare, ma non riuscì a rendere comprensibili le sue
parole a causa del bavaglio.
Stava cercando di dire che aveva parecchi soldi nella pochette. Ma
l'aggressore non sembrava interessato al denaro.
«'Nella confusione'», recitò l'Uomo delle tenebre, «'in attesa di cadere,
non compresi immediatamente una circostanza piuttosto spaventosa, la
quale, tuttavia, pochi secondi più tardi, mentre ancora giacevo prono,
catturò la mia attenzione. Era questa: il mio mento poggiava sul pavimento
della prigione, ma le mie labbra e la parte superiore della testa, per quanto
apparentemente a un livello inferiore rispetto al mento, non poggiavano su
nulla. Allo stesso tempo la mia fronte sembrava immersa in un vapore ap-
piccicoso e il particolare odore di muffe in decomposizione mi salì alle
narici. Allungai in avanti un braccio e rabbrividii scoprendo di essere
caduto esattamente sul ciglio di una fossa rotonda, per determinare le cui
dimensioni, naturalmente, non possedevo al momento alcun mezzo.
Tastando i mattoni appena al di sotto dell'apertura riuscii a liberarne un
frammento e a lasciarlo cadere nell'abisso. Per molti secondi ascoltai il
riverbero dei suoi urti contro le pareti dello scavo; alla fine, dopo un
notevole intervallo, udii il tetro suono del coccio che piombava in acqua,
seguito da una forte serie di echi.'»
«Mmm!» si lamentò il Marchese.
«Sai perché ti sta accadendo questo, Marchese?» domandò l'Uomo delle
tenebre.
«No», rispose con voce soffocata il Marchese.
«Be', devo decidere se dirtelo. Del resto, che tu lo sappia o no, qual è la
differenza? Non sei che un brandello di penombra in un mare di oscurità, a
mio modo di vedere.»
L'Uomo delle tenebre rimase qualche istante in silenzio, come se stesse
riflettendo.
Il Marchese venne colto da un improvviso attacco di vertigini,
nonostante evitasse di guardare in basso.
Era come se avvertisse il vuoto sotto di lui.
Finalmente, l'Uomo delle tenbre parlò.
«Il passo che ti ho recitato. Sai da che cos'è tratto, Marchese? Facciamo
così. Se mi dai la risposta esatta forse non cadrai troppo in basso stanotte.
Che ne dici?»
Il Marchese annuì freneticamente.
L'Uomo delle tenebre piazzò i piedi sui bordi dello scavo.
Cristo, quanto è forte questo, per tenermi sospeso così, pensò il
Marchese.
«Se urli ti mollo subito», avvertì l'Uomo delle tenebre, liberandolo dal
bavaglio.
«Ma prima dimmi una cosa, Marchese. Dove si trova il tuo bravo
compagno Baxter Brittle in questa splendida serata?»
«A casa. Nel suo bar.»
«Come pensavo. Volevo solo una conferma. Allora, sentiamo la tua
risposta. Da che cosa è tratto il passo che ti ho recitato?»
Il Marchese rabbrividì.
Un pezzo di asfalto si staccò dal bordo della voragine e cadde nel vuoto.
«Un aiuto... dammi un aiuto.»
«Hai delle belle pretese, sai? Diciamo che è tratto da... un famoso
racconto dell'orrore.»
Il Marchese batté le palpebre.
Non aveva letto molti racconti dell'orrore in vita sua, un fatto che da
sempre cercava di nascondere agli altri Goths. Una preoccupazione che, a
quanto pareva, ben presto non l'avrebbe più afflitto.
«Ehm... Shining?»
«Sbagliato», sentenziò l'Uomo delle tenebre.
Gli rimise il bavaglio sulla bocca.
E lasciò cadere la sua vittima nella voragine.
Il Marchese piombò giù, urlando.
Ebbe l'impressione di cadere per un tempo infinito. Ma all'improvviso
impattò il fondo e fu come se dall'oscurità un maglio si fosse levato dal
basso, centrandogli le budella.
L'oscurità si tinse di rosso e il sipario, o meglio, la tendina del camerino,
si chiuse di colpo.

Quando riprese conoscenza, il Marchese avvertì un vago ma


sconvolgente dolore, ma soprattutto una sensazione di vuoto sotto il petto.
Si sentì bagnare il volto da onde successive di liquido. Rizzava di argilla
e di acqua torbida e stagnante. Sentiva il sapore di sangue nella bocca.
Tentò di muoversi, ma non ne fu in grado. Era come se un gigantesco
tacco a spillo esercitasse pressione su di lui, inchiodandolo al suolo.
Improvvisamente, a poche decine di centimetri dal suo volto, si accese
un fiammifero.
L'Uomo delle tenebre, il volto nascosto dalla penombra, lo fissò
dall'alto.
Riprese a citare: «'Sotto il mio sguardo la fessura si aprì rapidamente;
spirò un vento feroce e vorticoso; l'intero globo del satellite si parò a un
tratto alla mia vista; il mio cervello fu colto da vertigine mentre guardavo
le possenti mura crollare e ridursi in polvere; poi un lungo, tumultuoso ur-
lo risonò come la voce di migliaia di mari; e la profonda, oscura pozza ai
miei piedi si richiuse mestamente e in silenzio sui resti di Casa Usher'».
Il Marchese aprì la bocca. Sentì sgorgare il sangue. «Chi-sei?»
«Non l'hai ancora capito? Quei libri che hai rubato... La tua parte del
bottino... non ti ricorda niente?» domandò l'Uomo delle tenebre.
«I libri di Poe», ansimò il Marchese.
«Non darti pena. Li ho recuperati oggi. Ho i miei mezzi.»
Il fiammifero si spense.
Sullo sfondo del costante ronzio nelle sue orecchie, il Marchese udì uno
squittio. Poi il rumore di qualcosa che strisciava.
Si accese un secondo fiammifero. Stavolta era molto più vicino. «Non
mi hai ancora riconosciuto? Certo che no, come potresti. Probabilmente
non hai mai incontrato un uomo tornato dalla morte per vendicarsi, non è
così?»
C'era qualcosa che squittiva nelle vicinanze, ai margini dell'area
illuminata dalla luce intermittente gettata dal fiammifero. Il dolore ottuso
nella testa del Marchese cedette il passo alla comprensione. Respinse con
forza il pensiero appena si formò nella sua mente, ma il nome gli sfuggì
comunque dalle labbra.
«Blessing?»
«Proprio così, Marchese. Proprio così. A quanto pare esistono davvero
forze tese alla giustizia in questo universo... a patto che si desideri entrarne
in possesso con sufficiente decisione.»
Il Marchese girò la testa e tentò di nuovo di muoversi. Si guardò alle
spalle e capì la ragione della sua forzata immobilità.
Era impalato su una delle barre d'acciaio di rinforzo del cemento armato
sul fondo dello scavo per le fondamenta nel quale era stato spinto.
«Aiutami», implorò. «Chiama... i soccorsi... il nove... uno-uno...»
ansimò. «Aiuto!»
«Sai una cosa, Marchese? Il finale del racconto Il pozzo e il pendolo. Ti
ricordi che cosa succede?»
Il Marchese emise un lamento.
«Certo che no. Tu non sai nulla di Poe. A te non frega niente di Poe.
Quelle prime edizioni delle sue opere non hanno alcun significato per te, a
parte il loro valore in dollari. Ebbene, Marchese, il protagonista del
racconto è un prigioniero degli inquisitori spagnoli. Torquemada e gli altri.
Rinchiuso in una cella, viene torturato con il pendolo... un oggetto affilato
che oscilla avanti e indietro, avanti e indietro, mentre scende lentamente
verso il basso. Poi c'è il pozzo. Lui rischia di cadere nel pozzo, capisci. Ma
alla fine si salva... E io mi sono sempre chiesto che cosa sarebbe accaduto
se, invece, fosse caduto. Sarebbe stato trasportato via da un fiume
sotterraneo? O sarebbe semplicemente rimasto lì, in agonia, divorato da
topi di fogna con denti affilati come rasoi?»
Il fiammifero si spense.
Gli squittii e l'umido strisciare si fecero più forti. Il suono raspante di
piccole zampe.
«Ratti affamati», spiegò l'Uomo delle tenebre. «Buonanotte, Marchese.
Sogni d'oro.»
Qualcosa mordicchiò l'orecchio del Marchese.

Le grida smorzate erano musica per le sue orecchie. Più tenebrosa della
musica dark e più dura della musica hardcore.
Nel vicolo, Blessing si appoggiò al muro di mattoni e ascoltò,
ricomponendosi, riacquistando energie. E facevano due: il Conte e il
Marchese. Ne mancavano quattro.
Una forma nera comparve dal cielo e si posò sulla sua spalla.
«Corvo...» disse all'uccello. «Corvo... ora posso fare cose... ci sono
forze... io mi tendo verso di loro... e posso controllarle...»
Un ultimo, straziante urlo e poi dal fondo del baratro giunse solo
silenzio, accompagnato da un alito di foschia, simile a spiriti in fuga.
«Certo. Come ti avevo detto: tutto sta nella forza di volontà. È quella
che tiene assieme le parti del tuo corpo», spiegò il corvo. «Forza di volontà
allo stato puro. Il tuo amore sopravvive. E la tua rabbia...» Il corvo inclinò
il becco e guardò in direzione dello scavo. «Mmm. Chissà se hanno
lasciato qualcosa. Mi farei volentieri uno spuntino.»
«Ho ancora... forza di volontà sufficiente... per affrontarne un altro
stanotte?» domandò Blessing.
«Come sarebbe? Spero proprio di sì. Sei in pista. Io direi di continuare.»
«Non lo so... Io non...» Blessing si guardò le mani. «Ora sono un
assassino.»
«Direi piuttosto uno speciale messaggero intento a svolgere il lavoro
dell'Universo; tutto qua», replicò il corvo. «Stai solo facendo quello che
devi dare, sfruttando un'opportunità che alla maggior parte delle persone
non si presenta mai. Per cui non farti prendere dal dubbio, amico, o ti si
staccherà di nuovo il naso. E forse anche le orecchie. Vuoi rivedere Amy,
non è così?»
Blessing rimase in silenzio per alcuni, lunghi attimi.
«Io posso fare cose...» affermò finalmente, «che nessun essere umano
dovrebbe avere il potere di fare. Mi sto forse dannando per via della mia
rabbia?»
«Pensa a quello che ti hanno sottratto. Non solo Amy, non solo la tua
vita... ma anche il tuo legittimo posto nella storia. E ora vorrebbero
rovinare il tuo nome associandolo a spazzatura», disse il corvo. «Hai
ancora un grosso conto da saldare, William Blessing. Ma sei anche al
servizio di forze che, senza di te, potrebbero fare giustizia in modi che
troveresti meno soddisfacenti.»
«Io... Io...»
«Ammazzali, quei bastardi», esortò il corvo. «E lascia le loro anime alla
mercé dell'oscurità che venerano.» Il corvo volò via nella notte.
William Blessing annuì e s'incamminò di nuovo nella foschia che
avvolgeva il porto, in cerca di un bar.

24

Avevo tollerato come meglio potevo le mille offese di Fortunato, ma


quando degenerò nell'insulto giurai vendetta. Voi, che ben conoscete la
natura della mia anima, non supporrete tuttavia che io abbia pronunciato
minacce. Prima o poi mi sarei vendicato, questo era certo, ma proprio la
risolutezza con cui presi questa decisione precludeva l'idea di rischio. Non
dovevo solo punire, ma punire impunemente. Un torto non viene riparato
quando la punizione ricade sul vendicatore. Allo stesso modo, non viene
riparato quando il vendicatore non si rivela come tale a colui che lo ha
offeso.

EDGAR A. POE, La botte di Amantillado

«I casi sono due!» avvertì Baxter Brittle alzando lo sguardo, dalla sua
consueta postazione dietro il bancone. «O sparisce questa carta da parati, o
me ne vado io.»
Gli avanzi di un cattivo pasto cinese da asporto, a base di gamberetti
kung-pao, moo goo gai pan e untissimi involtini giacevano sul tavolo
davanti a lui. Sollevò una bottiglia di Newcastle Brown Ale e versò le
ultime gocce di birra schiumosa in un boccale di vetro di stile tradizionale.
Ogni cosa puzzava di olio di sesamo, continuava a ruttare rischiando di
rigurgitare luppolo e malto, e cominciava ad avvertire una certa nausea.
Aveva in mano un favoloso romanzo horror di un giovane autore di grande
talento che gli aveva chiesto di pubblicare un'edizione speciale del libro
qualche mese in anticipo rispetto alla distribuzione della versione
commerciale da parte del suo editore ufficiale. Baxter era deciso a crescere
rapidamente come editore in modo da poter pubblicare autonomamente
romanzi originali di autori sconosciuti, senza doversi limitare alle raccolte
di racconti e alle edizioni speciali, le briciole lasciategli dalle grandi case
di New York. Merda, pensò Baxter; non occorreva altro che denaro, una
materia prima la cui disponibilità era recentemente andata crescendo negli
uffici della Tome Press.
Eh, sì, la vita era bella.
Ma quella carta da parati non gli andava proprio giù. Giallognola e
decorata con gigli. Decise di farla rimuovere, e magari riportare alla luce il
legno originale che rivestiva le pareti (adeguatamente trattato,
naturalmente) per far risaltare le carabattole, gli oggetti da collezione e le
fotografie in cornice.
Il bar era tutf altro che affollato. Il barista di turno quella sera,
impegnato ad asciugare alcuni bicchieri, rise. «Conosce tutte le massime di
Oscar Wilde, signor Brittle?»
«Sì, e ne ho in repertorio anche alcune mie. Ma solo gli stupidi contano
esclusivamente su materiale originale. Noi persone intelligenti, invece,
sappiamo quanto torni utile il plagio.»
«Penso che sia il complimento più grande», commentò il giovane, che
sfoggiava un paio di baffi.
«A mio avviso ne fu colpevole anche lo stimatissimo Edgar Allan Poe,
oltretutto sempre pronto ad accusare gli altri», disse Brittle. Abbassò gli
occhi sui nauseanti resti di cibo. Si rese conto all'improvviso di aver
bisogno di qualcosa di più forte della birra scura inglese che stava
bevendo, e che aveva bisogno di consumarlo altrove. «Joe, ragazzo mio»,
disse alzandosi. «Saresti così gentile da togliere di mezzo questa roba? Ce
n'è abbastanza per risolvere il pranzo di domani, se vuoi. E non andare in
giro a dire che il padrone del Cork'd Sailor non è generoso con te.»
Il barista fece un profondo, ironico inchino. «Oh, padrone, grazie per gli
avanzi.»
Baxter Brittle si alzò, si lisciò il lungo cappotto e raccolse il manoscritto
macchiato di salsa di soia.
«Ah, Joe, un'altra cosa. Aspetto visite. Sul tardi potrebbe passare un
uomo con un lungo cappotto nero. Si chiama Mick. Lascialo scendere
nello scantinato. Ti avverto perché temo di potermi lasciare distrarre da
questo accattivante romanzo... e da altre cose, e potrei non sentirlo
bussare.»
«Ci può contare, signor Brittle.» Joe si spostò all'estremità opposta del
bancone, dove un gruppo di studenti sembrava in procinto di ordinare un
altro giro di birre.
Baxter Brittle si avviò verso la porta della sua tana privata. Ah, il
conforto del proprio angolo di paradiso, si compiacque mentre scendeva e
inspirava le familiari essenze di legno di sandalo e olio di hashish, di
candele e acqua di rose. Il suo rifugio somigliava sempre di più a un
dipinto di Maxfield Parrish, concluse Baxter accendendo le luci. Tutto un
fiorire di colonne romane, tendaggi di raso e tendine traforate, variopinti
tappeti persiani e anfore greche con piume di pavone. Dove una volta
c'erano stati orribili ed economici divani arancioni e marroni, ora
troneggiavano divini canapè e divanetti, ornati da un'infinità di cuscini di
seta.
Ahimè, se quello specialissimo scantinato aveva un tempo ospitato
innumerevoli feste riservate ai Goths e ai loro amici in un periodo di più
intensa socialità, ora, dato il gran ritmo al quale procedevano gli affari,
l'attività stessa che aveva reso possibile le migliorie al locale ne
determinava un uso molto meno frequente. Baxter Brittle era
semplicemente troppo impegnato a curare il suo crescente impero Tome
Press. Sempre più spesso doveva rinunciare alla sua postazione dietro il
bancone del bar per rimanere nei nuovi uffici affittati dalla Tome Press
qualche isolato più in là nella stessa via per ospitare i nuovi dipendenti.
Ormai Baxter utilizzava quel luogo meraviglioso soprattutto come un
rifugio, un luogo dove rilassarsi e dedicarsi ai suoi particolari vizi.
Inserì l'ultima compilation dub della Planet Dog nel nuovo stereo con
sistema audio surround. Il locale venne invaso da un ritmo pulsante come
il battito di un cuore.
Baxter muoveva la testa a tempo con il basso. «E ora un bel cocktail.»
Si inumidì le labbra e si avvicinò all'altare.
L'altare aveva prosperato e si era ingrandito di pari passo con il successo
della Tome Press. Non sfoggiava più solo qualche scarno simbolo magico,
un pentacolo qui e la testa di un caprone là. Ora era un autentico pantheon
di divinità, santi e demoni, da Hitler a Shiva, da Lucifero a Jeffrey
Dahmer. Grandi ceri votivi ardevano. Il sapore agrodolce del vino
utilizzato per i riti si levava ancora da una serie di calici caduti. Baxter
accese altre candele, poi inserì un paio di bastoncini di incenso nel grembo
di un buddha grasso e accese anche loro.
«Così ti brucerai le palle, fratello», si rivolse all'imperturbabile buddha.
Scelse da un umidificatore la qualità di incenso che preferiva: un
aromatico sigaro cubano, un El Presedente, nientemeno. Lo accese
avicinando la punta alla fiamma di una candela profumata.
Poi aprì lo stipo sotto l'altare.
Ordinatamente allineate vi trovò una serie di bottiglie di assenzio con
etichette scritte a mano.
Ne scelse una, poi si portò accanto al lavello della nuova cucina-bar.
Versò il liquido in un calice, lo annusò... Ah!... poi lo alzò e brindò
all'altare e, più in generale, a tutto il suo dominio.
«Temo di avere un solo modo per fronteggiare le tentazioni», annunciò.
«Cedere a esse!»
La batteria digitale in uscita dalle casse dello stereo approvò con un
rullo. La bevanda a elevato contenuto alcolico non impiegò molto a
esercitare i suoi effetti sul suo organismo, regalandogli quella incredibile,
illecita sensazione di calore e di radiosità, a un tempo seducente e
psichedelica, che era esclusiva prerogativa dell'assenzio. Certo, a lungo
andare avrebbe dovuto rinunciarci, accontentandosi di buon vino e birra.
L'uso protratto di assenzio, oltre a scaldare il cuore, poteva uccidere. Il
fardello del successo l'avrebbe indubbiamente salvato, rifletté Baxter. Chi
aveva più il tempo di ubriacarsi tutto il santo giorno ora che c'erano attività
ben più redditizie da portare avanti? Ma non era ancora giunto il momento
delle rinunce. Per ora poteva ancora godere dello splendore conferito dal
liquore ai colori della sua vita, e della pace che regalava al residuo di
coscienza nella sua psiche.
Prese il manoscritto e il calice e sprofondò in una comoda poltrona
davanti al suo focolare privato, il delizioso altare illuminato dalle candele.
Si sentiva molto meglio, ora. Perfettamente a suo agio. Guardò gli stoppini
delle candele, impegnati a eseguire la loro eterna danza, e si abbandonò
all'ipnotico conforto dei profumi, dell'assenzio e della calma che traeva
dalla consapevolezza che le ricompense del lavoro e dell'ambizione
stessero riversandosi piovendo a fiotti sopra di lui.
Certo, avere denaro era bello, ma ciò che più apprezzava erano le cose
materiali, le comodità e gli scenari futuri che i soldi potevano acquistare.
E c'erano poi cose che non si potevano comprare con il denaro, cose che
ora Baxter Brittle possedeva.
Accanto a lui un altro recente acquisto: una robusta libreria fatta su
misura, di lucido legno di rovere con antine di vetro. Guardò al suo
interno, ammirando i suoi libri di Gurdjieff, comprese alcune prime
edizioni. I suoi libri di Aleister Crowley, i suoi antichi volumi di
conoscenze arcaiche. Ma i pezzi più pregiati e più importanti erano i libri,
le riviste e i documenti che occupavano lo scaffale superiore, interamente
riservato a loro.
Data la sua discreta competenza nel campo, era stato rapido
nell'impossessarsi della parte migliore del bottino in quella fatidica sera in
casa Blessing. Neppure il caro Donald Marquette aveva fatto meglio di lui,
sebbene fosse entrato in possesso di un numero maggiore di volumi. Anche
in condizioni di coscienza alterata, come innegabilmente era stato quella
sera, Baxter era stato in grado di scegliere e selezionare con grande perizia.
E ora ammirava i suoi preziosi cimeli.
Era stato nel suo interesse aiutare Mick e Theodore, e anche il Marchese,
a vendere la loro parte di bottino. Aveva preteso solo una piccola
commissione per aver agevolato i contatti con un manipolo di trafficanti
della costa occidentale, pirati delle fiere del libro (invariabilmente grassi e
maleodoranti) che pagavano in contanti e non facevano mai domande. Lui
stesso avrebbe potuto realizzare un ottimo incasso vendendo i pezzi che
aveva preso, ma al pari di rare opere d'arte, i tesori più preziosi di Blessing
erano ben noti negli ambienti dei collezionisti, e certamente assicurati per
cifre notevoli. Da quel punto di vista era come se i libri fossero radioattivi,
oltremodo pericolosi per essere messi in circolazione. Ma custoditi nella
sua speciale libreria costituivano per Baxter una costante fonte di... be',
non sapeva esattamente cosa, ritrovandosi per una volta a corto di parole.
Ma era indubbiamente una sensazione piacevole.
Adorava ammirare la nuova collezione alla luce delle candele. Meditare
sul suo significato, sull'eredità letteraria di Poe. Crogiolarsi nel
rassicurante calore della storia e del genio.
Sorbì un altro lungo sorso di assenzio e rifletté, divertito, sull'ironia della
sorte.
Poe! Che uomo povero e misero era stato. Eppure aveva inventato forme
letterarie sulle quali avevano costruito autentiche fortune altri autori, che si
erano limitati ad applicare le formule da lui create e a imitare il suo modo
di usare la parola e il linguaggio.
Che cosa aveva letto una volta a proposito del contributo più importante
di Poe alla letteratura? Ah, certo. Non era un'intuizione su cui Baxter aveva
in un primo momento riflettuto a fondo, ma a ragion veduta corrispondeva
al vero.
Il critico aveva sottolineato il fatto che Edgar Poe era stato il primo
autore di fiction a trasferire nella prosa l'intera tavolozza delle tecniche e
delle licenze proprie della poesia. Ritmo, metrica, assonanza, tropi e così
via. Poe aveva utilizzato nei racconti l'intero repertorio a sua disposizione.
Ed era quello il motivo per cui le sue opere conservavano ancora una certa
modernità di stile, nonostante i fronzoli tipici del diciannovesimo secolo.
Perché, in ultima analisi, Poe aveva creato uno stile ancora assolutamente
attuale.
Mentre fissava i volumi nella vetrinetta, Baxter Brittle si domandò
distrattamente se non dovesse rileggere Poe.
Forse l'avrebbe fatto, una volta raggiunta una posizione che gli avrebbe
permesso di delegare una parte maggiore delle sue crescenti responsabilità
alla Tome Press... E forse avrebbe ripreso a scrivere. Già, gli affari
l'avevano coinvolto in modo eccessivo. Stavano creando una vera
industria, grazie al brillante talento editoriale di Donald Marquette e alle
originali idee di Mick Prince nel campo del marketing.
Perché non rivendicare per sé una fetta della torta letteraria?
Autori indubbiamente meno dotati di lui comparivano regolarmente
nelle classifiche dei bestseller, idolatrati da lettori in tutto il mondo...
Idolatrati...
Baxter Brittle si domandò che sapore avesse quel genere di successo.
Squisito, certo. Assolutamente squisito...
All'improvviso una corrente spazzò le fiammelle delle candele,
estinguendole.
Di colpo il locale si riempì di ombre evanescenti.
Baxter si guardò attorno.
Avvertì la corrente. Era fredda e lo fece rabbrividire.
Una presenza.
«C'è qualcuno?»
Tentò di alzarsi, ma aveva bevuto più assenzio di quanto fosse stato nelle
sue intenzioni e si ritrovò troppo ubriaco per spostarsi dalla poltrona, a
meno di non concentrarsi intensamente sull'impresa.
Ricadde all'indietro, scrutando con occhi annebbiati l'oscurità in cui era
piombato lo scantinato.
Una figura emerse dalle tenebre.
«Ciao, Baxter. Stai ammirando gli ultimi arrivi nella tua collezione,
vedo.»
Baxter socchiuse gli occhi. «Mick? Mick, sei tu?»
L'aveva chiamato quella sera chiedendogli di incontrarlo. Sì, doveva
essere Mick, impegnato in uno dei suoi macabri scherzi.
Che mascalzone.
«Vieni a bere qualcosa, Mick», invitò Baxter. «So che non ti aggrada
particolarmente l'assenzio, ma sono sicuro che troveremo qualcosa di più
affine ai tuoi gusti.»
La figura fece un passo in avanti. Indossava un cappotto scuro, ma per
nulla sfarzoso o particolare come quello di Mick Prince. L'uomo era
preceduto da uno strano odore. Una volta, durante una delle loro
scorribande alcoliche, la gang aveva visitato un macello. Pelli conciate,
carcasse in putrefazione, ossa e colla animale. Avevano ripreso con la
macchina fotografica alcune delle immagini post mortem più interessanti,
bizzarre sovrapposizioni di luce, ombre e distorte posizioni di morte. Ma il
ricordo più vivo che Baxter ancora serbava era il puzzo del luogo, uno
strano, ultraterreno ma immediato messaggio dai morti ai vivi; fatto di
istinto e promessa, come se ammonisse: «Noi ora siamo la carne oltre la
carne. Il riverbero del sangue. La risonanza di ciò che è stato. Prendetevi il
vostro tempo. Ma presto vi unirete a noi».
Ora, stranamente, nonostante l'incenso e il sapore dell'assenzio, Baxter
percepì un alito di quell'odore.
«No, Baxter. Non sono Mick. E non prendo niente da bere, grazie.»
La figura si fermò. Incrociò le braccia sul petto. «Sono una persona che
una volta hai chiesto di incontrare. Forse avrei dovuto prestare maggiore
attenzione all'epoca, prendere carta e penna e risponderti. Forse le cose
sarebbero andate diversamente. O forse no.»
La nebbia nella mente di Baxter gli impedì di elaborare rapidamente i
pensieri. «Come hai fatto a entrare qui?» domandò, rendendosi conto che il
visitatore era uno sconosciuto.
«Adesso ho dei mezzi... abilità... cose che sono in grado di fare...
Adesso. Che parola di natura qualitativa, non trovi? Il mio adesso non
durerà molto. A dire il vero, in termini molto concreti, il mio adesso è una
proiezione del passato, la persistenza di un'ombra.»
Baxter era confuso, ma il lieve puzzo di decomposizione che aveva
sentito nell'aria l'aveva messo in guardia, innescando una paura
automatica. La paura gli schiarì la testa abbastanza da permettergli di
alzarsi in piedi, il calice di assenzio ancora stretto nella mano.
«Chi sei?»
Mentre formulava la domanda posò il calice e fece mezzo passo indietro.
«Qualcuno che non avresti mai immaginato di incontrare di nuovo,
Baxter Brittle. Sono qui per due ragioni.»
Baxter indietreggiò cautamente verso una cassettiera. Aprì uno dei
cassetti, infilandoci lentamente e furtivamente una mano, tenendola
nascosta dietro la schiena. Era sempre stato paranoico a proposito di
eventuali intrusi nel suo sancta sanctorum e aveva preso precauzioni. A
quanto pareva, era stata una mossa saggia. Avvertiva un pericolo immedia-
to e serio. Tuttavia, e per fortuna, era troppo ubriaco per cedere al panico.
Prendila, si esortò, solo lievemente più lucido. Afferrala e tutto andrà
bene. Prendila e tutto si risolverà nel migliore dei modi.
L'uomo parlava. Parlare richiedeva tempo, una buona cosa date le
circostanze. Baxter sapeva che nel caso fosse stato costretto a denunciare
l'episodio, il fatto che ci fosse scappato il morto non avrebbe rappresentato
un particolare problema. Dopotutto, si trattava di un caso di legittima di-
fesa, no?
«Non so di che cosa stai parlando. Ma del resto, non so neppure chi sei,
no?» domandò Baxter.
La figura fece un altro passo avanti.
Il suo volto venne illuminato da una convergenza di luce alogena con
quella gettata dalle candele.
Era pallido e ceruleo. Presentava molte lesioni e appariva leggermente
rattrappito, ma conservava una certa eleganza. Gli occhi erano nascosti da
occhiali scuri, che l'uomo a un certo punto si tolse.
Gli occhi erano tenebrosi ma familiari.
Quando si formò in lui la coscienza dell'identità dell'intruso, Baxter subì
un tale choc che per un attimo la sua mano interruppe la ricerca della
pistola. La sua mente si ribellò all'immagine trasmessa dagli occhi.
«Blessing?»
«Esatto, Baxter.»
Baxter Brittle scoppiò in una risata. «Ma queste sono cose che
succedono solo in racconti dell'orrore particolarmente odiosi e banali!»
esclamò. «Mi rifiuto di crederci.»
«Anch'io la pensavo così, Baxter. Ma, tutto sommato, potrebbe anche
darsi che io e te siamo semplicemente personaggi odiosi e banali, non
credi? Intrappolati in un pessimo romanzo d'appendice da quattro soldi,
costretti a recitare una parte nella tediosa opera di un autore ancora più
disperato di quanto lo siamo noi!»
Baxter non riuscì a trattenere una nuova risata. «No, è solo
un'allucinazione.» Scosse la testa.
«Un pezzo di cartilagine che non sei riuscito a digerire? No, Baxter
Brittle, io non sono un Jacob Marley venuto a invocare una spettrale
redenzione. E conosco Ebenezer Scrooge. E tu, ragazzo, non hai nulla in
comune con Ebenezer Scrooge.» L'Uomo delle tenebre scosse la testa,
colmo di tristezza. «Qui non c'entra la redenzione, Baxter. Io sono qui per
un solo motivo... per vendicarmi!»
La telefonata di Donald Marquette.
... la tomba...
... profanata...
E ora, ecco davanti a lui un uomo in abito scuro che presentava una
preoccupante somiglianzà con William Blessing.
Baxter Brittle era sempre stato ateo. Aveva sempre ritenuto le sue
esplorazioni nel mondo dell'occulto un esercizio di automanipolazione
psicologica. Un divertimento, un metodo per il controllo ipnotico della
propria persona e degli altri. Era sempre stato convinto che tutti i poteri
risiedevano all'interno della persona, e che le cerimonie e i riti non erano
che mezzi per liberarli. Tutto il resto era un gioco, una moda. Un
particolare gusto per l'arredamento degli interni.
Se non altro, l'occulto aveva sempre offerto una buona scusa per il
consumo di alcol e di droga.
Ma ora, pensò, aveva davanti a sé la prova che si era sbagliato.
La sua mente si piegò.
Ma non si spezzò.
«Mamma mia», disse. «E così sei tornato dalla tomba per vendicarti. Ma
perché ce l'hai con me, caro dottore?»
Infilò la mano più in profondità nel cassetto.
«Tu hai contribuito a portarmi via mia moglie; mia moglie... e tutto il
resto della mia vita», spiegò perentoriamente l'uomo. «Ora vuoi
appropriarti del mio nome e della mia reputazione. E inoltre ti sei
impossessato di cose che appartengono a me, e che ora rivoglio.»
«E quali sarebbero queste cose, caro il mio signor Cadavere?»
«Gli oggetti che hai rubato nella mia biblioteca.»
«E che vuoi fare? Portarteli nella tomba?» Baxter rise. «Non c'è luce per
leggere laggiù.»
«Mi faresti un favore, Baxter?»
«Un favore? Ma certamente.»
«Dimmi dove posso trovare l'uomo il cui nome è Mick Prince.»
«Va bene.» Baxter gli diede l'indirizzo della casa di Mick. «Ci troverai
anche Theodore Melvins. Sono loro quelli che cerchi, Blessing. Non io. È
stato Mick a spararti. E Theodore ha violentato tua moglie. Per quanto mi
riguarda... io volevo solo diventare tuo amico! Era solo uno stratagemma
per conoscerti. Solo questo.»
«Ma sei stato tu a ideare il piano.»
«Il piano era mio, certo. Ma è andato tutto storto. Ti assicuro che le mie
intenzioni erano buone. Ero assolutamente in buona fede.»
L'Uomo delle tenebre, che rispondeva al nome di Blessing, rimase
immobile.
Le dita di Baxter trovarono la pistola. La sua mano si strinse attorno al
calcio, e l'indice si posò sul grilletto.
Ma decise di attendere, curioso di vedere che cosa quel... quel...
quell'essere intendeva fare.
«Le intenzioni sono il marciapiede, Baxter Brittle», disse William
Blessing. «Tu sei già in mezzo alla strada. È mio dovere darti una piccola
spinta.»
Merda, imprecò mentalmente Baxter Brittle.
Puntò la pistola e fece fuoco.
I due uomini si trovavano a poco più di cinquanta centimetri l'uno
dall'altro. Non fu difficile prendere la mira. Tre pallottole colpirono in
rapida successione l'Uomo delle tenebre. Baxter vide staccarsi dall'uomo
pezzi di carne e brandelli di vestiti. Ma William Blessing non cadde a
terra.
Si limitò invece a fare un passo avanti, ad afferrare la pistola e a
strapparla dalle mani del suo aggressore.
«Mi dispiace, Baxter. Ti sei appena reso la vita molto più difficile.»
Baxter, ansimante, si girò, tentando di divincolarsi.
L'Uomo sferrò un colpo con la mano libera e fece piombare Baxter
nell'oscurità.

Si risvegliò in un ambiente buio.


Avvertiva un vago dolore alla testa, ma più che altro si rese conto del
persistere degli effetti dell'assenzio. Era ancora ubriaco.
Per un attimo, Baxter Brittle provò smarrimento e confusione.
Dove si trovava? Era seduto, con la schiena appoggiata contro una
parete ruvida e strana. Vedeva un fioco bagliore penetrare l'oscurità
dall'alto. Davanti a lui, nascosto alla sua vista, sentiva qualcosa raspare e
ticchettare nel buio.
Poi ricordò tutto.
I libri di Poe. La pistola...
William Blessing risorto dalla tomba per vendicarsi, in piedi davanti a
lui.
«No», implorò.
Tentò di alzarsi e udì un tintinnio metallico. Aveva le mani e i piedi
immobilizzati. Dio, ma che cos'erano?
«Catene?» domandò incredulo, a corto di fiato. «Dove sono?»
Un raspare. Qualcosa di bagnato che cadeva sul terreno.
Il bagliore di una candela, uno spiraglio dell'oscurità sopra di lui.
«'Al capo più remoto della cripta'», intonò la voce, «'ne comparve
un'altra, meno spaziosa. Le sue pareti erano state rivestite di resti umani,
impilati fino alla volta sovrastante, come era consuetudine nelle grandi
catacombe di Parigi. Tre lati di questa cripta interna erano ancora decorate
in quel modo. Dal quarto le ossa erano state rimosse e giacevano
mescolate sul terreno, formando in un certo punto un cumulo di notevole
altezza. Oltre la parete rivelata dalla rimozione delle ossa, intravedemmo
un'ulteriore nicchia, profonda poco più di un metro, larga un metro e alta
quasi due. Sembrava che fosse stata costruita non per assolvere a una fun-
zione specifica, ma piuttosto formata dall'intervallo tra due delle colossali
colonne portanti del soffitto delle catacombe, ed era chiusa sul fondo da
uno dei muri perimetrali di solido granito.'»
«Basta!» gridò Baxter. Si ritrovò suo malgrado a ridere in modo
maniacale. «Dove... dove siamo? Che razza di posto è questo?»
Un raschiare, come se qualcuno stesse lavorando il cemento con un
frattazzo.
«Un attrezzo molto utile, questo», commentò Blessing. «Ci troviamo nel
locale non finito sottostante il tuo scantinato.»
«Sotto lo scantinato?» Baxter strizzò gli occhi nell'oscurità. Sì, sentiva
l'odore di pareti umide, i freddi odori delle cantine... e qualcos'altro...
Antico imputridimento. Carne morta. Vecchie carcasse di topi, forse?
«Sì. Era già tutto pronto. Non ho dovuto fare altro che prenderne
possesso.»
Di nuovo quel raschiare.
E un tintinnio metallico.
«Hai riconosciuto la fonte della mia citazione, Brittle?»
Baxter produsse una risata ebbra. «La botte di Amantillado.»
«Un racconto strutturato in maniera perfetta, non trovi? Data
l'opportunità che mi offriva questo posto non ho resistito alla tentazione di
inscenarlo.»
Brittle rise lottando per tenere a bada il panico.
Era ancora vivo, e fin quando lo fosse rimasto, ci sarebbe stata speranza.
Inoltre, c'era un cosa che Blessing, o chiunque fosse quel folle, non
poteva sapere!
Con molta cautela, facendo attenzione a non far tintinnare le catene e a
insospettire il suo carceriere, Baxter Brittle infilò una mano nella tasca
interna della giacca.
Sì.
C'era.
Al riparo e al sicuro nella tasca c'era un aggeggio elettronico. Baxter
Brittle rise tra sé. Oh, Donald, ragazzo mio! Marquette, caro amico, ti
ringrazio!
Il cellulare.
Avrebbe chiamato aiuto usando il cellulare.
Rise. «Murato vivo!» disse Brittle. «Che originalità.» Si tolse la mano
dalla tasca. «A questo punto, Blessing... o chiunque tu sia, la mia domanda
è: dov'è l'Amontillado?»
Un bagliore. Baxter vide che nel muro era rimasto un varco sufficiente
per ospitare ancora un mattone solo.
Due occhi, illuminati dalla luce di una candela, fissavano il prigioniero
attraverso l'apertura.
«Niente Amontillado, Baxter. Mi dispiace per te. Ho pensato piuttosto a
qualcosa che potrebbe esserti molto più gradito. Mi sono preso la libertà di
lasciarti alcune bottiglie di quella che sembrerebbe sia la tua bevanda
preferita.»
Baxter rise. «Assenzio! Mi hai lasciato dell'assenzio... Oh, quanta
pietà!» Si guardò attorno. «Peccato che non vedo niente.»
«Vicino a te c'è una candela con dei fiammiferi.»
«Molto gentile da parte tua.»
«'Per l'amor di Dio, Montressor!'» citò Blessing.
«'Sì', dissi, 'Per l'amor di Dio!'»
«'Ma a quelle parole attesi invano una risposta. Mi spazientii. Chiamai
ad alta voce.
«'"Fortunato!"
«'Nessuna risposta. Chiamai di nuovo...
«'"Fortunato!"
«'Ancora nessuna risposta. Conficcai una torcia nell'ultimo spiraglio
rimasto e la lasciai cadere all'interno. In risposta udii solo il tintinnare dei
campanelli. Mi si strinse il cuore nel petto; per via dell'umidità delle
catacombe. Mi affrettai a portare a termine il mio lavoro. Collocai con
forza l'ultima pietra nell'apertura; la fissai con la malta. All'esterno della
parete eressi di nuovo l'antico bastione di ossa. Per mezzo secolo nessun
mortale le ha più disturbate. In pace requiescat!'»
«Bravo!» si complimentò Baxter Brittle. «Eccellente. Molto più incisiva
della lettura di Vincent Price. Una vera impresa.»
Applaudì, facendo tintinnare le catene.
«Addio, Brittle», si congedò Blessing.
L'ultimo mattone cominciò a scivolare nel riquadro. Poi, a un tratto, si
bloccò. Venne tirato fuori. Ricomparvero gli occhi. «Ah, dimenticavo.
Volevo avvertirti che sei in buona compagnia.»
«Adieu!» salutò Baxter.
L'ultimo mattone venne posato, smorzando quel poco di luce che fino a
quel momento era penetrata nella sua umida tomba.
Baxter cominciò immediatamente a tastare il terreno in cerca dei
fiammiferi e della candela. Allungando una mano trovò la candela. La
afferrò. Ne prese lo stoppino tra le dita. Continuò a tastare con l'altra
mano, cercando i fiammiferi che gli erano stati promessi. Dapprima non
trovò nulla; poi, muovendo la mano verso l'esterno e descrivendo un arco
più ampio, le sue dita urtarono una scatoletta il cui contenuto produsse un
rumore inconfondibile al suo tocco.
La prese e se la poggiò in grembo, facendo del suo meglio a dispetto dei
bracciali di ferro che gli stringevano i polsi.
Immerso nella più totale oscurità, sentì per la prima volta scemare gli
effetti dell'alcol. Avvertiva un terrore crudo, bruciante e minaccioso alla
base della spina dorsale.
Baxter aveva disperatamente bisogno di bere.
Tanto più data la consapevolezza che aveva a disposizione dell'assenzio.
Sì, avrebbe acceso la candela. Avrebbe trovato le bottiglie della sua
qualità preferita di Amontillado. E poi, a differenza del povero Fortunato,
sarebbe riuscito a sfuggire a quella prigione. Dopotutto, non doveva fare
altro che tirare fuori il telefono cellulare e chiamare Marquette. E se
Marquette non fossa stato raggiungibile... Mmm. Che fare? Chiamare i
membri della gang? Sì, forse, ma nel caso in cui le cose si fossero messe
davvero male, non avrebbe esitato a chiamare la polizia.
Pronto, mi chiamo Baxter Brittle. Aiuto. Mi hanno murato vivo!
Con attenzione, Baxter estrasse un fiammifero. Ne appoggiò la
capocchia contro il lato della scatoletta e strofinò. La fiammata esplose
magnifica, un faro di speranza, e l'odore dello zolfo gli parve squisito.
Cautamente, frenando l'impazienza, avvicinò il fiammifero all'estremità
superiore della candela. La toccò.
Lo stoppino si accese quasi immediatamente. Gettò una luce intensa e
audace in tutta la nicchia.
Baxter alzò la candela per migliorare l'illuminazione e vide subito le
bottiglie che gli erano state promesse.
Erano state sistemate tra le braccia di un cadavere, evidentemente morto
da tempo. La carne era corrotta e lasciava intravedere le ossa sottostanti,
ma il corpo conservava tratti caratterizzanti, in primo luogo i capelli,
sufficienti da renderlo riconoscibile a Baxter.
Inoltre, aveva ancora conficcato nel petto il pugnale rituale.
La ragazza punk! Cristo, quando Mick aveva promesso di occuparsi del
cadavere, Baxter aveva immaginato che l'avrebbe trascinato fuori per
gettarlo nella baia, o qualcosa del genere. Mai avrebbe sospettato che
intendeva inumarlo proprio nei locali sottostanti il suo bar!
Gli occhi si erano decomposti, ridotti a oscene orbite scure che lo
fissavano da sopra un ammasso di cartilagine distorta, i resti di un naso. Le
orbite guardavano davanti ed erano puntate direttamente in direzione di
Baxter, come a dirgli: «Eccoti qua, Baxter. Vieni pure a prendere da bere».
Baxter venne colto da un parossistico attacco di panico. Perse la presa
sulla candela.
Il cilindro di cera cadde a terra e si spense, facendo ripiombare la tomba
nella totale oscurità.
Il silenzio lo avvolse come un sudario, interrotto solo dal frenetico
battere del suo cuore.
Come ne Il rumore del cuore di Poe: ... un suono basso, monotono,
rapido - un suono come quello di un orologio avvolto nella bambagia.
Si fece sempre più forte - più forte - più forte!
E il suono roco del proprio respiro terrorizzato.
«Ehi, festaiolo», gli parve di sentire una voce fuoriuscire dalla profonda
gola della notte. «Diamoci al gotico più autentico!»
Poi sentì il rumore di una bottiglia che si infrangeva contro la parete, il
sibilo di una lama estratta da un costato...
Sei in buona compagnia, aveva detto Blessing.
E lo scuotersi raspante di vecchie ossa e carne secca che venivano verso
di lui fu come il battito delle ali di un uccello predatore.

25

E infine sopraggiunse, come a rendere finale e irrevocabile la mia


caduta, lo spirito della PERVERSITÀ. Di questo spirito la filosofia non
tiene conto. Eppure non sono certo della vita della mia anima quanto lo
sono del fatto che la perversità è uno degli impulsi primitivi del cuore del-
l'uomo - una delle indivisibili facoltà primarie, o sentimenti, che
governano il carattere dell'uomo. Chi non si è scoperto, cento volte, a
commettere un'azione vile o stolta, per nessun altro motivo se non la
consapevolezza che non avrebbe dovuto?

EDGAR A. POE, Il gatto nero


Il telefono cellulare di Donald Marquette squillò.
Marquette era in piedi accanto alla finestra e fissava meditabondo la
strada in basso, sorseggiando caffè forte con un goccio di latte e sentendosi
più strano di quanto non gli fosse mai capitato prima in vita sua. Fu in
quell'istante che l'insistente, irritante suoneria del meraviglioso frutto della
tecnologia che teneva nel taschino della camicia si attivò come il motore di
un cuore artificiale.
Era mattino in casa Blessing. Fuori il cielo era coperto e la giornata si
prospettava calda e afosa, e minacciose nubi nere si andavano addensando
all'orizzonte. Nell'aria aleggiava l'odore elettrico del temporale.
Donald era giunto nel suo ufficio di buon'ora per mettersi al lavoro. Non
aveva dormito bene la notte precedente. Le poche ore di sonno erano state
funestate da incubi che non riusciva a ricordare con esattezza. E così aveva
deciso di alzarsi e di dare inizio alla sua giornata prima del solito. Non
credeva che sarebbe riuscito a scrivere quel giorno, attività che comunque
era solito svolgere a casa. No, quel giorno c'erano da sistemare alcune
questioni pratiche, legate al fatto che ora deteneva il controllo dell'eredità
letteraria di Blessing, i diritti sul nome Blessing e tutto quanto il resto.
Fortunatamente Amy aveva smesso di entrare in quell'ufficio. I ricordi che
induceva in lei erano troppo dolorosi. Aveva una segretaria, ma quel
mattino aveva chiesto un permesso.
Donald Marquette aprì lo sportellino del telefono cellulare.
«Pronto?»
Silenzio.
Un rumore raschiante, un'eco...
«Pronto!» disse di nuovo, esasperato. Quel mattino era nervoso, al punto
da voler rifiutare ogni forma di comunicazione.
Ma, data la situazione, sarebbe stata una mossa molto poco saggia.
«Pronto? Oh, scusami, Donald! Sono Roscoe! Roscoe Mithers!»
Il cuore di Donald sembrò mancare un battito. «Ah, sì. Buongiorno,
signor Mithers.»
«Diamoci del tu e chiamami Roscoe, Donald. Spero non ti dispiaccia se
ti ho chiamato a questo numero. Agli altri numeri mi hanno risposto
segreterie telefoniche e... ho pensato fosse comunque meglio contattarti
sulla tua linea personale.»
«Sì, certo. Hai fatto benissimo. Mi fa piacere sentirti tanto presto.»
«Naturalmente ho ricevuto la tua proposta. E ho a mia volta qualche idea
da sottoporti. Ma voglio essere chiaro fin da subito... Sono molto, molto
interessato. Come dice Ricardo il vampiro, penso di aver trovato qualcosa
in cui affondare i denti! Questo pomeriggio sarò in riunione con le alte
sfere. Presenterò le tue idee e alcune delle mie. Penso ci siano buone
possibilità di mettere in piedi un'operazione molto remunerativa; e
considerato il fatto che siamo una multinazionale con i tentacoli ben
inseriti in ogni settore mediatico e ogni settore commerciale, con infinite
possibilità sul fronte dei diritti e delle licenze, penso che riusciremo a
trovare un accordo molto soddisfacente per entrambe le parti.
Naturalmente dovremo definire i dettagli dell'accordo con il tuo agente, ma
non credo ci saranno problemi.»
Naturalmente Donald avrebbe potuto proporre l'eredità Blessing altrove.
C'erano contratti da rispettare. E poi le antologie, i romanzi... ma si
prospettavano altre possibilità e, nella persona di Roscoe Mithers, Donald
Marquette intravedeva opportunità sconfinate.
«Hai avuto occasione di dare un'occhiata al resto del materiale,
Roscoe?»
«Sì, certo, Donald. Che cosa posso dire? È eccellente. Sai, non posso
fingere di negare che tutto questo costituisca un'opportunità assolutamente
da non perdere anche per la mia carriera nell'azienda. Naturalmente mi
piacerebbe molto pubblicare anche i tuoi lavori individuali, oltre a quelli
proposti in collaborazione con Blessing...»
Sì!
«... e dal momento che sarò io a gestire l'operazione, ti prometto di
sostenerli con altrettanta forza e convinzione.»
Sì! Sì!
«Ma non posso fare nulla se prima non ottengo l'okay dall'alto, e anche
qualche dritta dai direttori vendite e marketing.»
«Capisco, Roscoe. Quando mi farai sapere qualcosa?»
«Nel tardo pomeriggio di oggi o domani mattina. In ogni caso dopo la
riunione.»
«D'accordo. Grazie, Roscoe. Aspetto notizie.»
«Okay. A presto, Donald. Che il Golem sia con te!»
Interruppero la comunicazione.
Marquette era sempre piuttosto irritato dal modo in cui Mithers metteva
sempre tutto in relazione con l'universo Tramonto oscuro. Per quanto lo
riguardava, l'unico motivo che l'aveva spinto ad avere a che fare con quella
robaccia erano i soldi e le possibilità di avanzamento della sua carriera. Ma
Roscoe Mithers era la persona ideale per aiutare Marquette a realizzare la
sua ambizione: legare indissolubilmente il suo nome a quello di William
Blessing.
Da un simile trampolino di lancio (oltretutto molto redditizio) il suo
lavoro sarebbe potuto decollare verso quote stratosferiche.
Donald Marquette.
Un bel nome da leggere con regolarità nelle classifiche dei bestseller!
La telefonata lo mise di buonumore. Si sedette nella poltrona di cuoio e
avvertì una scarica di vitalità. Buttò giù il resto del caffè, lasciando che la
caffeina provvedesse a calarlo in uno stato di sublime trance.
Le opportunità erano infinite, pensò.
Il futuro era sconfinato.
Il telefono cellulare squillò di nuovo.
Questa volta lo estrasse dal taschino più rapidamente, domandandosi se
fosse di nuovo l'editor di New York.
Ma non era Mithers.
«Marquette?» domandò una voce fredda e roca.
«Sì.»
«Ci sono guai.»
«Mick?»
«Sì. Sta succedendo qualcosa, amico. Il Conte e il Marchese. Fottuti. E
non riesco a rintracciare Baxter. È... sparito. Senza lasciare tracce, e non ha
neppure fatto le valigie o preso il passaporto.»
Marquette sgranò gli occhi. «Fottuti? Che cosa intendi, non capisco.»
«Morti. Ammazzati. Come... in uno dei miei racconti.»
Non aveva mai sentito Mick Prince parlare a quel modo.
Aveva i nervi a fior di pelle.
Aveva paura.
«Sta succedendo qualcosa, amico. Sento le vibrazioni negative»,
dichiarò Mick. «Theodore vuole sparire di nuovo dalla circolazione,
andare via da Baltimora, e anch'io comincio a pensare che sia una buona
idea.»
«Morti?» domandò Marquette. «Ma come...»
Mick gli raccontò tutto.
«La polizia non verrà da te», concluse Mick. «Io l'ho saputo perché
eravamo negli uffici della Tome quando sono venuti a cercare Baxter. Ce
la siamo data a gambe e dobbiamo continuare a correre prima che
comincino a cercare di incolpare noi degli omicidi. Ehi, dimmi una cosa.
Baxter ti ha mai parlato di... di nemici di cui io e Theodore non sappiamo
niente? Che ne so, un altro gruppo di Goths, o qualcosa del genere?»
E i tuoi, di nemici? pensò Marquette. Sei tu lo psicopatico criminale che
ci ha cacciati tutti in questa situazione.
«No. E poi tu sei entrato in scena molto prima di me.»
«Merda, amico. Non cercare di scaricare la colpa su di me.»
«Ascolta. Non dovremmo parlare di queste cose al telefono.»
«Merda. Hai ragione, cazzo.» Marquette colse la paranoia nella voce di
Mick. «Vuoi venire qui?»
«Sì. Ma prima devo sistemare alcune cose. Ce la fate a stare tranquilli
per un po' ad aspettarmi?»
«Sì, certo. Ma non fare troppo tardi.»
«Ascoltami, Mick. Io posso solo dirvi di stringere i denti e tenere duro.
La posta in palio è troppo grande.»
«Già. Una vera caccia alle streghe, cazzo.»
La conversazione era conclusa.
Che cosa voleva dire con quelle ultime parole?
A Marquette girava la testa. Si appoggiò alla scrivania. In lontananza,
udì il suono del campanello dell'ingresso. Si sedette. Avrebbe aperto
qualcun altro. Qualcun altro... Lui doveva concentrarsi per assorbire quello
che stava accadendo...
Aveva pensato che la violenza sarebbe finita dopo quella terribile notte.
Non disdegnava i vantaggiosi risultati del crimine, tutt'altro, ma per sua
natura non amava la violenza e certo non ne traeva godimento. Aveva
sempre ritenuto che la violenza fosse una risposta istintiva di menti poco
dotate, e aveva giurato di lasciare che fossero Baxter e i suoi scagnozzi,
nel caso, a occuparsi di quell'aspetto della faccenda. Quella notte... era
davvero stato fuori di sé.
Baxter è scomparso.
Il Conte e il Marchese... morti?
E la tomba profanata... Avrebbe dovuto interpretare l'episodio come un
monito. Qualcuno stava dando loro la caccia. Qualcuno al corrente del
fatto che la vicenda della morte di Blessing era più complessa di quanto
apparisse in superficie. Qualcuno di folle e imprevisto. Un fulmine a ciel
sereno.
Poteva chiamare la polizia, certo. Ma avrebbe dovuto raccontare loro
troppe cose. Troppe cose in cui era direttamente implicato: la rapina, lo
stupro, l'omicidio...
No. Doveva gestire la situazione da solo.
A un passo... A un passo dalla realizzazione del sogno di ogni scrittore.
Il successo, la ricchezza... la fama!
Forse addirittura l'immortalità letteraria.
Al liceo, i redattori dell'annuario scolastico gli avevano domandato quali
fossero le sue ambizioni nella vita. La risposta, stampata sotto la foto del
sorridente adolescente nell'annuario del liceo di Dubuque, era stata:
«Voglio diventare uno scrittore di fama mondiale!»
Donald Marquette picchiò con forza la mano sulla scrivania.
«No», protestò.
Era così vicino al successo da poterlo assaporare.
Niente lo avrebbe fermato.
Niente!
All'improvviso suonò l'interfono. «Donald?» Era la voce di Amy.
«Donald, sei lassù? Ho ricevuto una consegna che ha dell'incredibile.»
«Scusami, Amy», disse nel microfono dell'apparecchio. «In questo
momento non posso venire a vedere. Devo uscire di corsa. Starò via un
po'.»

26

Poi, l'aria parve farsi più densa, profumata da un


occulto turibolo
Fatto oscillare da serafini i cui passi risonavano
sul tappeto.
«Disgraziato!» gridai. «Dio ti offre - per mezzo
di questi angeli ti concede
Tregua - tregua e nepente dal ricordo di Leonore;
Dunque bevi, bevi questo nepente e dimentica
la perduta Leonore!»
Disse il corvo: «Mai più».

EDGAR A. POE, «Il corvo»

Si controllò il naso, le orecchie, le appendici.


Tutto sembrava saldamente al suo posto.
L'abbondanza di carne e sangue della notte precedente era stata come
una manna. L'alba aveva illuminato un uomo morto in ottima salute, più in
forma che mai. Ora, seduto nel parco su una panchina dalla quale vedeva
la sua casa a schiera, immaginò di poter sentire il profumo dei fiori pri-
maverili che crescevano in file ordinate nelle aiuole, di avvertire la calda
pressione del sole sulla sua pelle ingrigita e tumefatta.
Come se fossi davvero vivo, pensò William Blessing. Come se fossi
davvero umano, e non un vendicativo involucro di pseudovita impegnato
ad agitare il pugno insanguinato all'indirizzo della notte eterna.
Un battito d'ali.
Il corvo si posò accanto a lui sulla panchina.
«Ciao, campione!» si complimentò il corvo. «Gli abbiamo dato una bella
scossa. L'assassino Marquette è diretto verso il cimitero. E magari si
fermerà dal ferramenta per comprare una vanga. Hai tutto il tempo di
andare a parlare con Amy.»
«A parlare con lei per l'ultima volta», sussurrò Blessing.
Chinò il capo e si portò le mani al volto. «All'improvviso sono così
stanco di tutta questa storia. Il dolore non ha mai fine e tutto questo non
servirà a estinguerlo.»
«Ehi, calmati, amico», esortò il corvo. «Sbaglio o ho sentito il rumore
del tuo naso che cadeva nel drink? Ti sei spinto troppo avanti per fermarti,
ormai. Devi aumentare il ritmo, altroché! Non hai ancora chiuso il conto
con i tuoi assassini, per non parlare del bruto che ha violentato tua
moglie...» La voce del corvo si fece velenosa. «... O dell'assassino che
vuole fare altrettanto nei confronti della tua arte!»
«Marquette», sibilò Blessing. Si colmò di nuovo di furore, freddo e allo
stato puro.
«Non avevi mai notato come la toccasse appena ne aveva la possibilità?
Le risate compiici... il legame che cercava di stabilire con lei? Devi pur
avere avuto qualche sentore della fetida lussuria che emanava quel mostro
in presenza di tua moglie. Non è così? Un motivo in più per scagliarti
addosso la vecchia Pallade, non credi? L'allievo che scalza il maestro
attraverso l'eliminazione fisica.»
Blessing annuì. «Sì.»
«Allora vai a fare ciò che devi. Perché?» Il corvo batté il becco e i suoi
occhi sembrarono infocarsi. «Perché devi farlo!»
William Blessing si alzò dalla panchina e si diresse verso quella che era
stata la sua casa.
Il corvo volò via nella direzione opposta, per seguire i movimenti dei
loro nemici.
Gli scatoloni giacevano sul pavimento del soggiorno, tutti aperti.
Amy Blessing impugnava ancora il coltello da cucina.
Li guardava, ancora incredula per via del loro contenuto.
I libri...
Le riviste...
Le lettere e i cimeli...
La collezione Poe...
Non c'era tutto. Lo seppe per istinto. Ma il grosso era stato recuperato,
compresi i pezzi più importanti.
I reperti erano stati sistemati in scatoloni, chiusi con nastro adesivo e
spediti per mezzo di un corriere locale.
Si chinò su uno di essi. La confortante fragranza della pergamena antica
e di vecchia carta stampata la commosse, riempiendola di stupore e di una
strana soggezione.
Suonarono di nuovo alla porta. Fu felice di sentire la voce del cugino di
William al citofono. Lo lasciò entrare immediatamente.
«È accaduta una cosa assolutamente incredibile!» annunciò lei.
«Guardi.»
L'uomo aveva lo stesso aspetto della volta precedente, ma chissà perché
sembrava più forte, non tradendo più tracce di fragilità nascosta.
Si inginocchiò accanto ai libri. Li toccò.
«Sì», disse. «Bene. Molto bene. Sono tornati a casa.»
Amy ebbe la più strana delle sensazioni. «Non mi sembra sorpreso di
vederli.»
Lui si alzò in piedi, tenendo tra le mani una copia dei Racconti del
grottesco e dell'arabesco, lisciandone la copertina con amore. «Le avevo
detto che dovevo sbrigare alcune faccende a Baltimora, Amy.»
«Ma allora... è stato lei! Li ha mandati lei questi libri?»
«Li ho recuperati io. Sì, Amy. Confido ora in lei perché ne abbia cura. E
li restituisca alla collezione di cui fanno parte.»
«Naturalmente... ma come... come?...»
«Non posso dirglielo, Amy. Ma stia tranquilla, mi sto adoperando per
proteggere la memoria di suo marito e tutto quello a cui ha dedicato con
tanta passione la sua vita. E ho ancora molto da fare...»
«Be', sono felicissima di riavere questi libri. William li adorava... e
anch'io sono molto attaccata alla collezione. Ma non è solo questo.
William sperava di salvarli a beneficio dei posteri. Intendeva creare una
fondazione...»
«È questo che deve ricordare, Amy. E posso confermarlo; ne scrisse
anche a me in alcune sue lettere.»
«Senta, prendiamo una tazza di caffè... Deve fermarsi qui con me... Mi
deve raccontare tutto. E poi deve parlare con Donald. Dovete
assolutamente conoscervi.»
«No, grazie, niente caffè. Devo andare», disse l'uomo. «Ma prima, Amy,
devo dirle un'ultima cosa. C'è qualcosa di cui suo marito voleva metterla al
corrente... qualcosa che desiderava darle.»
L'uomo con il cappotto scuro le spiegò a bassa voce di che si trattava.

27

Teniamo ora in mente i punti sui quali ho attirato la vostra attenzione -


la voce particolare, l'inconsueta agilità, e quella sorprendente mancanza
di moventi per un omicidio tanto singolarmente efferato - ed esaminiamo
la carneficina in sé...

EDGAR A. POE, Gli omicidi della Rue Morgue

Mick Prince scagliò una lampada contro uno specchio. Il vetro si


infranse, facendo ricadere una pioggia di schegge sui fini pezzi di
antiquariato che arredavano la tana sotterranea. L'aria era pesante di
incenso. Il bagliore di una candela. Un movimento di drappi.
Mick Prince ansimò. «Maledetto bastardo, figlio di puttana. Meglio per
lui se ha lasciato i miei soldi quaggiù da qualche parte.»
Theodore Melvins prese un sorso di vino da una bottiglia trovata
abbandonata in un angolo. «Forse è semplicemente sparito con i soldi di
tutti.»
«Lo troverò», assicurò Mick.
«Forse... forse è morto, come quegli altri due coglioni.»
«Lo troverò comunque», ruggì Mick Prince, strappando il rivestimento
di un divano. «E poi lo ammazzerò di nuovo, cazzo.»
Dev'essere qui! pensò Mick. Estrasse un coltello dallo stivale e cominciò
ad attaccare i cuscini. L'imbottitura volò dappertutto, ma non trovò nulla.
Una volta, da ubriaco (una condizione piuttosto consueta nel caso di
Brittle), Baxter aveva accennato al fatto di aver messo da parte una
«riserva» per fronteggiare eventuali emergenze, conservata qua e là in
diversi punti. Dato il ritmo al quale le sue risorse finanziarie erano
incrementate negli ultimi tempi, tali riserve dovevano ormai essere
piuttosto consistenti. Il giorno prima, quando avevano parlato e deciso che
sarebbe stato opportuno per Mick Prince e Theodore Melvins lasciare di
nuovo la città per un certo periodo, Baxter gli aveva promesso il denaro
che gli doveva. Mick sarebbe dovuto passare dal locale la sera precedente
per discutere la strategia da adottare e ritirare quei soldi. Ed era stata sua
ferma intenzione a quel punto rivelare a Baxter il suo piano più ambizioso,
ottenendo ulteriori fondi per la sua esecuzione. Mick era stato
particolarmente irritato dalla scomparsa di Baxter, che forse aveva portato
con sé anche i capitali che potevano costituire le fondamenta di un'enorme
fortuna, perché era avvenuta proprio nel momento in cui lui era sul punto
di lanciarsi in un'impresa brillante. I piccoli crimini e il traffico di droga
che aveva affiancato all'attività della Tome erano stati utili sia per lui, sia
per la casa editrice. Ma ora che poteva contare su mortali muscoli d'acciaio
come quelli di Theodore, Mick Prince si era reso conto che doveva
cominciare a pensare in grande.
«Vedi, B.B.» avrebbe detto a Baxter, cingendogli amichevolmente le
spalle con un braccio, il boccale di birra inglese nell'altra mano a saldare
ulteriormente il loro legame. «È molto semplice. Ora che la Tome,
naturalmente in collaborazione con il nostro buon amico Donald
Marquette e l'eredità Blessing, comincerà a immettere sul mercato i suoi
prodotti, legando le nostre sorti finanziarie in modo particolare alle
posizioni nelle classifiche dei bestseller raggiunte dai libri pubblicati, ho
pensato a quale potrebbe essere il miglior sistema per garantirci una
sostanziosa fetta di mercato. Tu quale pensi che sia?»
E Baxter avrebbe scosso la testa distrattamente, alitando vapori di
assenzio sul volto di Mick per rispondere: «Non lo so, Mick». «Ma
eliminare la concorrenza, naturalmente! Sgombrare la strada per il nostro
successo. È veramente semplice, in fondo. Con il mio talento per il furto
con scasso, le qualità di mercenario di Theodore e il nostro talento con-
giunto per l'omicidio... non dovremo fare altro che... visitare altri autori
horror i cui libri vendono altrettanto bene dei nostri, se non addirittura
meglio, e farli sparire dalla faccia della terra! Naturalmente ci
assicureremo di ottenere prime edizioni firmate prima di ucciderli, e non
dubito che saccheggiare le loro case si rivelerà un'attività estremamente
redditizia. Ma la spinta principale dietro la nostra missione sarebbe quella
di seguire alla lettera il motto del capitalismo americano: seppellire la
concorrenza!»
E Baxter Brittle avrebbe commentato: «Che ottima idea, amico mio. Ti
prego, ti prego di portare via qualche souvenir per me. Ma non farti fare
autografi con dedica, mi raccomando!»
Mick Prince aveva elaborato il piano mentre si trovava ad Antigua con
Theodore, fuori della circolazione e intenti a spassarsela. Gli era sembrato
il metodo ideale per promuovere il miglioramento dei risultati nel settore
editoriale. Mick si domandò come mai il crimine organizzato non ci avesse
pensato prima. L'esecuzione del piano avrebbe potuto addirittura segnare il
primo passo nello sviluppo di un nuovo potentato nel campo dei media. Sì.
Droga, racket, prostituzione, gioco d'azzardo e bestseller! Merda, era un'i-
dea geniale!
E lui stesso, alla lunga, si sarebbe trovato in una posizione ideale per
vendere i suoi libri ai grandi editori. Proprio come aveva promesso Donald
Marquette. Avrebbe potuto entrare a far parte degli autori selezionati per la
collana di cui avevano parlato: William Blessing presenta: Occhi cavati e
affettati, di Mick Prince.
Dio, che trip sarebbe stato!
«Hai trovato qualcosa?» chiamò all'altro capo del locale.
«No, merda», rispose Theodore. «Solo qualche bottiglia e vecchi video
del cazzo!»
«Continua a cercare. Dev'esserci per forza qualcosa!»
Mick si avvicinò all'altare. Quel pazzo di Baxter venerava quell'angolo
dello scantinato. Forse era convinto che un Satana di plastica sarebbe
bastato a proteggere i soldi che aveva nascosto.
«Scusami, fratello», disse Mick rivolgendosi all'immagine della testa di
caprone sullo sfondo di un pentacolo che decorava un drappo. «Ho
bisogno di quella grana.»
Spazzò con un braccio la superficie dell'altare. Idoli e icone rovinarono a
terra. Rimosse il paramento rosso dell'altare. Sotto di esso trovò una
cassettiera. Mick cominciò a frugare nei cassetti.
Sì, sì. Ora che il Nemico era stato sconfitto, il mondo era suo.
Dopo quella sera nella casa di Blessing, quando aveva scoperto il vero
motivo che l'aveva portato a Baltimora, si era finalmente sentito un uomo
libero. Mick Prince aveva sempre avvertito la presenza di un Altro, un
terribile nemico, fin dai tempi del riformatorio. Non aveva mai conosciuto
i genitori, probabilmente una puttana e il suo magnaccia, come aveva
sempre pensato. Eppure non si era mai inserito negli orfanotrofi che lo
avevano ospitato, né aveva sopportato i genitori adottivi ai quali era stato a
più riprese affidato. Fu solo quando venne arrestato per spaccio di droga
nell'area della baia di San Francisco a quattordici anni che scoprì quanto
gli piacesse leggere. E in particolare amava leggere storie folli e
inquietanti, fiction e non. Era ugualmente felice di leggere il Marchese de
Sade o Clive Barker, libri sull'Olocausto e sui khmer rossi o romanzi di
Stephen King. Li divorava tutti.
Era proprio una bella passione, quella per i libri.
La maggioranza dei fuorilegge (ed era quello che Mick Prince si
considerava: un fuorilegge) passavano il tempo giocando d'azzardo,
andando a donne o quant'altro. Che spreco. La lettura, invece, era il
massimo. Ci si poteva dedicare in cella o fuori della cella, non faceva
alcuna differenza. I libri erano libri, e si potevano leggere dove cazzo ti
pareva.
Mick tirò a sé uno dei cassetti con violenza tale da strapparlo alle guide
e rovesciare a terra tutto il suo contenuto di candele. Ne raccolse una,
l'accese e la usò per illuminare gli angoli più bui della cassettiera e vedere
se c'era nascosto qualcosa.
Niente.
Merda!
Una furia nera s'impossessò di lui. Cominciò a scalciare e a spaccare
l'altare, scheggiando la balsa e il compensato. La rabbia si placò altrettanto
bruscamente di quanto l'aveva assalito. Ora che il Nemico era morto, Mick
aveva cose migliori da fare che andare in giro a elemosinare spiccioli.
Aveva degli obiettivi!
Aveva dei sogni!
Il Nemico era sempre stato il protagonista dei suoi incubi. Fin da quando
ricordava. Una forma oscura, nascosta nella penombra, che si ostinava a
far andare tutto storto nella vita di Mick.
Di tutti i racconti dell'orrore e dell'occulto che aveva letto, quelli con cui
Mick aveva incontrato maggiori difficoltà erano stati quelli di Edgar A.
Poe. Una volta aveva anche letto una biografia di Poe. Cristo, che bastardo
di uomo era stato! Non c'era da stupirsi di quanti nemici avesse. Il
personaggio con cui Mick più si identificava era l'esecutore letterario
Rufus Griswold. Il buon vecchio Griswold aveva detto la verità a proposito
di Edgar, questo era certo. La A tra il nome e il cognome dell'autore non
stava per «Allan», ma per asshole.
Comunque era un peccato che si fosse precipitato a vendere la sua parte
della collezione Poe. Quel denaro gli avrebbe certamente fatto più comodo
ora.
«Ehi, Mick!» chiamò Theodore dall'estremità opposta del locale.
«Abbiamo compagnia!»
«Baxter?»
Il grido di Mick fu per metà dettato dalla rabbia, per metà dal sollievo.
Se davvero si trattava di Baxter Brittle, la sua comparsa avrebbe risolto
un sacco di problemi. Avrebbero potuto ottenere i soldi di cui
necessitavano e poi adios, amigos! Adios Baltimora!
«No, amico. Non è Baxter.»
Mick si voltò di scatto aggrottando la fronte. Il lungo cappotto nero
descrisse un arco.
Un uomo stava in piedi nella penombra accanto all'ingresso del locale
sottostante lo scantinato. Era vestito di nero e il suo volto era nascosto
dall'oscurità.
Qualcos'altro sembrò muoversi alle sue spalle, dove il buio era più fitto.
«Chi sei?» pretese di sapere Mick, avanzando lentamente di un passo,
spingendo in fuori il petto e usando il tono più profondo e minaccioso.
«Come cazzo sei entrato qui?»
«Sono sceso dalle scale», rispose la figura. «Per quanto riguarda la
prima domanda, Mick... Ti chiami così, non è vero? Mick Prince?»
«Sì», confermò Mick, cercando di decidere che cosa diavolo fare in
quella situazione.
Un dito indicò il suo grosso, rozzo compagno dal volto segnato dalle
cicatrici. Durante la loro recente «vacanza» Theodore aveva ampliato la
sua collezione di tatuaggi e piercing. Ora gli orecchini pendevano dai suoi
lobi come ninnoli da un albero di Natale fatto di muscoli.
«E tu... tu sei Theodore.»
«E allora?» ribatté Theodore.
«Sì. Vi riconosco entrambi. Non vorrei mai prendermela con le persone
sbagliate. Sarebbe un peccato. Un vero peccato.»
«Ascolta, bello, vuoi dirci che cosa vuoi da noi?» esortò Mick. «Stiamo
lavorando!»
«Già, e a quanto pare mi state dando una mano», commentò l'uomo.
Mosse un passo in avanti.
L'uomo indossava occhiali da sole nonostante la poca luce nello
scantinato. Teneva le mani affondate nelle tasche di un lungo cappotto
scuro.
«Io sono l'uomo morto a cui tu hai violentato la moglie, Theodore»,
annunciò. «E vorrei scusarmi in anticipo per la mia mancanza di fantasia
nel tuo caso.»
Una mano emerse dal cappotto reggendo una Heckler e Koch. L'indice
coperto di croste premette il grilletto e indirizzò una pallottola dritto
all'inguine di Theodore.
Theodore urlò.
Si piegò in due e cadde a terra, contorcendosi.
«Merda!» imprecò Mick.
Estrasse il suo coltello.
La canna della pistola si orientò ancora e lo puntò.
«Non lo farei se fossi in te, Mick. Ti consiglierei di startene buono per il
momento e lasciare che mi occupi del nostro signor Theodore. Sono
indeciso se lasciarlo continuare a vivere privato dei suoi attributi
maschili... o se mandarlo dritto all'inferno privato dei suoi attributi
maschili. Tu che ne dici, signor stupratore?»
Theodore riuscì solo a produrre una serie di lamenti agonizzanti.
«Come vuoi.»
La pistola tornò a muoversi.
Stavolta la pallottola straziò la testa della vittima. Sangue e materia
grigia si riversarono sul pavimento come un getto di vomito
particolarmente ripugnante.
«Questo è il genere di piercing che mi piace di più, Theodore», disse
l'Uomo delle tenebre.
Il corpo di Theodore sussultò, fu colto da un spasmo, scalciò... e poi
rimase immobile.
Mick Prince tremò. Fece un passo indietro, cercando di decidere che
fare.
Uomo morto? Ha detto di essere l'uomo morto?
Ma di che cazzo sta parlando? Mick Prince non lo sapeva ancora, ma
l'uomo aveva ucciso Theodore, questo era chiaro, l'aveva visto con i suoi
occhi. Fece ricorso alle sue esperienze con la violenza in carcere e sulla
strada, oltre che con innumerevoli altre deliziose forme di espressione
umana. Non aveva sempre sentito dire che era fondamentale mantere il
sangue freddo quando gli altri perdevano il loro?
E così Mick alzò le mani per mostrare di non essere armato. Sapeva che
doveva guadagnare tempo. Dopodiché forse sarebbe stato in grado di
reagire in modo appropriato. Se avesse guadagnato tempo sufficiente
avrebbe avuto qualche possibilità di riuscire a fregare il misterioso
pazzoide che aveva davanti.
«Merda, amico! Io e te non abbiamo nessun conto in sospeso, chiunque
tu sia!»
«Ah, no? E allora perché mi hai sparato?»
Fu allora che Mick Prince comprese.
La cosa non aveva alcun senso, ma cionondimeno comprese.
Quel figlio di puttana credeva di essere William Blessing!
Doveva per forza essere così. Perché non c'era modo che quel pezzo di
merda potesse davvero essere Blessing! Lui stesso aveva sparato a
Blessing... e poi Marquette, che il cielo lo benedica, gli aveva sfondato il
cranio con quel busto.
«Amico, quando io sparo a qualcuno... quello muore. Muore per
davvero.»
«Non ti posso certo contraddire, Mick. Io sono morto, infatti. Morto per
davvero.»
«Tu... tu saresti William Blessing?»
«Esatto. Chi sarebbe in grado di riconoscere i suoi assassini in un caso
ancora irrisolto... se non la stessa vittima?»
«Cristo.» La mente di Mick sembrava distorcersi alla sola idea di quanto
sembrava intuire. Ma rimase calmo, freddo, continuando a credere, nel
profondo, che doveva pur esserci una spiegazione razionale. Nel
frattempo, la sua prima e unica priorità era continuare a respirare. «E
così... sei semplicemente... venuto fuori dalla tomba, ti sei procurato una
pistola e hai cominciato a dare la caccia a quelli che secondo te ti
avrebbero ucci...»
In quell'istante colse la vibrazione.
Era nell'aria...
La carica elettrica che percepiva a tarda notte, quando i suoi sensi
esasperati captavano quell'odore...
L'odore dell'Altro...
Del Nemico...
Mick raggelò, incapace di muoversi. Era assurdo: si trovava a fissare
negli occhi un uomo che aveva appena ucciso il suo compagno... e che
sosteneva di essere un cadavere tornato alla vita.
E all'improvviso, ogni sua fibra gli disse che quello era la cosa, l'entità
che per tutta la vita aveva temuto di incontrare, la forza che disturbava il
suo sonno, il suo anatema, la sua nemesi.
Ma tenne duro.
Era stato un duro per tutta la vita, e intendeva rimanere tale.
«Tornato dalla morte, eh?» riuscì a replicare. «A me quella pistola
sembra viva, invece.»
«Funziona. È questo che importa.»
Qualcosa scattò nella mente di Mick.
«Merda. Tu sei quello che ha ucciso il Conte... e il Marchese...»
«Sì, ho una missione da portare a termine.»
«E Baxter... che fine ha fatto?»
«Temo che anche Baxter sia andato incontro al suo destino.»
«D'accordo, maledetto. È tutta la vita che aspetto questo momento. Ti
sentivo aggirarti nella mia mente fin da quando ero ragazzino, ce l'hai
sempre avuta con me. Non so perché. Forse sei stato tu a fare di me quello
che sono. Io ho solo una domanda da farti.»
L'Uomo delle tenebre rimase in silenzio.
«Dimmi una cosa sola: chi è la mia vera madre? Perché mi ha
abbandonato? Devo saperlo.» Gli occhi di Mick tradirono la stessa
sorpresa per aver pronunciato quelle parole.
«Così le domande sono due. E poi credo che tu mi abbia scambiato per
uno psicoterapeuta. Invece sono il tuo becchino.»
«E allora cosa aspetti? Facciamola finita e smettila di sprecare il mio
tempo.»
«Sei veramente un duro, eh, Mick?»
«Sì», rispose Mick. «Duro fino all'ossso.»
«Hai paura?»
«Paura un cazzo!» sibilò sprezzante Mick.
«Mi piace il tuo coraggio, Mick», commentò l'Uomo delle tenebre. «Mi
piace il tuo atteggiamento. E allora ti dirò una cosa: voglio darti una
possibilità. Mi sembri uno abituato a cavartela e a lottare nelle strade, no?»
Suo malgrado, Mick avvertì un'ondata di orgoglio. «Ci puoi
scommettere.»
«Se batti il mio ragazzo ti lascerò andare via di qui vivo.»
«Il tuo ragazzo?»
«'Quando il marinaio guardò all'interno'», citò l'Uomo delle tenebre, «'il
gigantesco animale aveva afferrato Madame L'Espanaye per i capelli (che
erano sciolti, poiché li stava pettinando) e le faceva danzare il rasoio
attorno al volto, a imitazione dei movimenti di un barbiere. La figlia
giaceva a terra, immobile, svenuta. Le urla e i tentativi della vecchia donna
di divincolarsi (durante i quali le vennero strappati i capelli) ebbero
l'effetto di mutare le intenzioni pacifiche dell'orangotango in rabbia. Con
un solo, deciso colpo del muscoloso braccio, le staccò quasi la testa dal
corpo.'
«Dunque», disse l'Uomo delle tenebre. «Primo test: da dove è tratto il
passaggio?»
«Facile. L'ho letto. Gli omicidi delle Rue Morgue.»
«Eccellente. Allora hai già fatto la conoscenza del mio ragazzo.»
L'Uomo delle tenebre si scostò di lato.
Nel buio alle sue spalle si ripeté il movimento percepito in precedenza
da Mick. Una presenza, una forma che si adattava perfettamente
all'oscurità...
E una massa di peli.
Era una scimmia. Un primate... un orango.
Sgraziato, brutto e ricurvo, ma insolitamente grande e dall'aspetto
possente.
«Che ne dici, Mick? Batti il mio ragazzo e sei libero di andartene.»
«Allora mandalo avanti, non ho tempo da perdere.»
L'Uomo delle tenebre lasciò passare la bestia.
Dinoccolato e minaccioso, l'orango avanzò, le lunghe braccia tese in
avanti. Puzzava di frattaglie e di selvatico. Mick fu grato per il
rigonfiamento che avvertiva nello stivale: il suo coltello a scatto, l'arma per
eccellenza delle lotte di strada.
L'orango fece una smorfia e ritrasse le labbra sui denti, voltandosi a
guardare l'Uomo delle tenebre come in attesa di istruzioni.
Mick recuperò rapidamente il coltello e ne estrasse la lama in un unico,
fluido movimento.
Ma con un fulmineo colpo del gigantesco braccio l'enorme primate
sbalzò la lama dalla mano di Mick, rompendogli il polso.
Afferrandosi il polso con l'altra mano, Mick emise un grido di dolore.
L'orango avanzò lentamente di un passo. Mostrando gli affilati denti
gialli, alzò un braccio. Tra le dita stringeva un vecchio rasoio a lama libera.
Poi, nella sua mente, Mick sentì il primate parlare. Un borbottio basso e
soffocato, la rozza voce dell'Altro che s'incuneava nella sua testa per
scheggiare gli ultimi suoi pensieri coerenti.
Mick, vecchio mio, disse l'orango, ti farò a pezzi.

Quando fu tutto finito, l'orango si ritrasse dai resti di quello che una
volta era stato un uomo, gettò via il suo affilato strumento di lavoro e tornò
a immergersi nelle tenebre.
Le ombre mutarono.
La figura che riemerse dal buio non era più un primate, bensì un rapace.
Un corvo. «C'è parecchia materia prima a cui attingere laggiù, sei hai
bisogno di un ritocco di chinirgia plastica», reclamizzò il volatile.
«Vedo», rispose Blessing.
«Se fossi in te ne approfitterei. Il tuo aspetto non è a posto.»
«Non mi sento a posto neppure dentro.»
«Ancora uno, poi avremo finito e potrai riposare.»
Blessing annuì.
Sì. Il Riposo. Aveva ancora una sola dose di giustizia da somministrare.
E aveva detto a Amy tutto quello che c'era da dire.
Occasionalmente, nel corso della loro vita assieme, aveva scritto poesie
per lei. Alcune gliele aveva regalate. Altre, invece, le aveva tenute per sé,
raccogliendole in un unico volume data la loro coerenza tematica. Al
momento della sua uccisione lei non sospettava nemmeno l'esistenza di
quel volumetto, né aveva letto alcuna delle poesie in esso contenute.
L'aveva nascosto dietro l'opera completa di Shakespeare e alcuni libri di
Keats e Shelley.
Era quella la rivelazione che aveva fatto a Amy nei panni del proprio
cugino.
«Su, coraggio», esortò il corvo. Si posò sui resti del cadavere, sorseggiò
un goccio di sangue e beccò qualche brandello di carne. «Chi può dire che
non incontrerai più Amy? Ti conviene comunque assumere il tuo aspetto
migliore. Avanti, serviti! Ti ridarà un po' di colore alle guance!»
Il corvo riportò la sua attenzione sul pasto sacramentale.
Al margine della pozza di sangue, William Blessing si inginocchiò.
Ma il suo gesto non preludeva ad alcuna forma di preghiera.

28

«Profeta!» dissi io. «Figlio del male! profeta, uccello o


demonio che tu sia!
Mandato dalla tempesta o scagliato dalla tempesta qui
sulla riva,
Desolato ma indomito, in questa deserta terra incantata,
In questa casa infestata dall'orrore
dimmi il vero, t'imploro...
C'è, c'è un balsamo in Gilead? dimmelo, dimmelo, ti
imploro!»
Disse il corvo: «Mai più».

EDGAR A. POE, «Il corvo»

La tomba era vuota.


Donald Marquette fissò la bara che i becchini avevano estratto dalla
fossa. Ciò che vide lo sconvolse.
La bara si era riempita di terra, la quale naturalmente era stata rimossa. Il
coperchio era stato sfondato, spaccato a metà, ridotto in schegge.
«È la cosa più strana che abbia mai visto», commentò uno dei becchini,
grattandosi la testa. «Sembra quasi che il cadavere l'abbia sfondato a
cazzotti dall'interno!»
Il sole era tramontato da poco e una brezza agitava le foglie di un albero
accanto. Nell'aria c'era un forte odore di terra smossa e di gas di scarico,
prodotti dal motore diesel del vecchio camion nella strada attigua.
«Ma questo è impossibile, naturalmente», continuò l'uomo dall'aspetto
trascurato, che puzzava di sudore mescolato a birra e fumo di sigarette.
«Voglio ben sperare!» ribatté un altro, facendo un passo indietro.
«Ovviamente impossibile», concordò Donald Marquette. «L'importante
è aver scoperto che la tomba è stata profanata e il cadavere trafugato.» Si
rivolse al guardiano notturno del cimitero, un vecchietto rugoso che stava
mangiando un panino con pancetta, lattuga e pomodoro. «A chi devo ri-
volgermi per denunciare il fatto, a quale autorità, che non sia quell'idiota di
un poliziotto di strada con cui ho parlato ieri?»
Il vecchietto si pulì la maionese dai folti baffi. «Non saprei proprio. Per
quel che ne so io, una cosa del genere non è mai successa prima.» Si tolse
il cappello di panno e si grattò un solitario ciuffo di capelli al centro di una
testa ormai calva. Una nuvoletta di forfora e di pelle morta gli ricadde sulle
spalle. «La polizia ne ha già piene le tasche con i vivi, di sera. Secondo me
le conviene sporgere denuncia domani mattina.» Scrollò le spalle. «Meglio
parlare con quelli del turno di giorno.»
Marquette aveva impiegato tutta la giornata per far procedere la
riesumazione. I lavori erano cominciati relativamente presto solo in
seguito alle sue insistenze e all'offerta di pagare un sovrapprezzo. E a
dispetto della sua irritazione con il poliziotto della sera precedente, non era
più tanto sicuro che avvertire i piedipiatti fosse ancora una buona idea.
L'avrebbero certamente costretto a rispondere a una nuova, lunga serie di
domande sulle circostanze della morte di Blessing.
Il fresco della sera aveva cominciato ad accarezzargli le ossa come il
viscido tentacolo di una piovra e riteneva già un discreto successo il fatto
di non aver ancora ceduto al panico. Un nuovo pensiero aveva cominciato
a ronzargli per la testa come una battuta di una musica che si ripeteva
all'infinito: E se Blessing fosse davvero uscito dalla tomba da solo?
E se fosse tornato dalla morte per vendicare la moglie, per ricomporre
la collezione Poe, per trascinare via con lui quelli che l'avevano ucciso?
Sciocchezze, naturalmente.
Pura follia.
Qualcosa stava accadendo, questo era evidente. Il Conte e il Marchese
erano stati uccisi, Baxter era scomparso, e ora questa faccenda della
tomba. Che esistesse un filo comune era innegabile.
Ma certamente era tutto opera di persone ben vive. Forse un gruppo
Goth rivale, ossessionato dalla morte, oppure Baxter stesso, e si potevano
formulare altre centinaia di ipotesi. Quando si aveva a che fare con un
branco di personaggi morbosi e inquietanti come i Goths, c'era forsa da
stupirsi per la trafugazione di un cadavere ogni tanto? Chissà. La
messinscena poteva addirittura essere stata organizzata da quel pazzo di
Tramonto oscuro, o anche dell'editore di Blessing. Gli sembrava di leggere
i titoli dei giornali: Cadavere di scrittore horror in decomposizione
ritrovato nell'ufficio recensioni del New York Times.
Ottima pubblicità!
Sì. Qual era quel principio filosofico e scientifico?
Ma certo. Il rasoio di Occam.
La risposta più semplice a un quesito era sempre la risposta esatta!
E un cadavere con due pallottole conficcate negli organi vitali e il cranio
sfondato, dichiarato morto oltre ogni ombra di dubbio e pieno di unguenti
per l'imbalsamazione, non era certo il candidato ideale per riuscire a
liberarsi da una robusta bara di rovere sepolta sotto due metri di terra e
sassi!
«Non si può fare nulla adesso?» domandò al capo dei becchini.
«Temo di no», rispose l'uomo. Sputò una boccata di tabacco da
masticare sul terreno. «Che strana storia. Era uno scrittore horror, no?»
«Sì», confermò Marquette.
Le fronde degli alberi sbattevano ora le une contro le altre alla brezza,
che si stava trasformando in un vento piuttosto teso. Le stelle e la luna
venivano oscurate da nubi scure e minacciose, che annunciavano un altro
temporale. Nulla di strano in una zona dove il tempo era sempre
capriccioso; ma comunque in un cimitero fonte di un certo disagio.
«Il signor Poe è qui da un secolo e mezzo e non ha mai tentato di uscire
dalla sua tomba», informò il guardiano.
«Per quanto ne puoi sapere tu», ribatté uno dei becchini.
«Solitamente la gente esce dalle tombe quando è incazzata», scherzò
uno degli altri, appoggiandosi alla vanga e sorridendo. «Perché mai
sarebbe dovuto uscire Poe?»
«Probabilmente per reclamare i suoi diritti d'autore!» sbottò il guardiano.
«Quel poveraccio è morto senza un centesimo in tasca. Non come il nostro
signor Blessing. Ho visto i funerali e la bara. Il signor Blessing era ricco.
Non aveva bisogno di recuperare qualche soldo da portarsi nell'aldilà.»
Marquette ebbe un accesso di rabbia.
«Basta così!» intimò. «Ci troviamo sul luogo di un delitto. La tomba di
Blessing è stata violata e profanata, e il suo corpo è stato trafugato. È
un'odiosa dissacrazione e voglio che i colpevoli vengano scoperti.» La sua
voce era tagliente e profonda. Marquette aveva scoperto di aver acquisito
notevole autorevolezza e sicurezza in sé negli ultimi mesi. Uccidere un
uomo l'aveva indubbiamente fatto maturare. «Sta per piovere. Coprite la
fossa con un telone di plastica. Potrebbero esserci tracce e indizi utili per la
polizia.»
«Giusto», concordò il guardiano. «E terrò gli occhi aperti. Potrebbero
esserci in giro cadaveri ambulanti.»
«Se lo vedi, digli di tornare qui al suo posto!» rincarò il becchino più
spiritoso.
Marquette si voltò bruscamente e si allontanò a passo deciso.
Qualunque cosa stesse succedendo, non gli piaceva affatto. Aveva già
avvertito Mick e Theodore di sparire dalla circolazione. Erano tutti in
pericolo. Lo avvertiva nell'aria.
Mentre tornava in direzione della sua auto venne scosso da un brivido.
Una grossa goccia di pioggia gli cadde sulla fronte.
Era ora di ritirarsi in territori più sicuri. Ora di prendersi quella vacanza
a cui pensava da tempo. Avrebbe potuto mandare avanti gli affari per
telefono e per fax anche se si fosse trovato altrove. E nel frattempo
avrebbe lasciato che si calmassero le acque.
Il problema era che avrebbe dovuto convincere anche Amy a partire. Se
lui era in pericolo, poteva esserlo anche Amy. E c'erano molti, molti motivi
per cui era importante che Amy Blessing rimanesse viva e in salute.
Perché l'amava?
È così? si domandò, mentre oltrepassava in fretta il cancello del cimitero
e correva verso la macchina. Dal cielo una pioggia gelida cadeva ora a
tamburo battente.
Mentre apriva la portiera della sua fiammante BMW, immergendosi nel
delizioso profumo delle macchine nuove, Donald Marquette sorrise
mestamente tra sé.
Già.
«Amore» era sempre una parola utilissima.

Un fragoroso tuono risonò all'esterno.


Amy Blessing si svegliò.
Era seduta al tavolo della stanza che ospitava la collezione Poe, il libro
schiacciato sotto il petto. Avvertì sulle guance il bagnato salato delle
lacrime. I fogli di carta stampati al laser, che William aveva accuratamente
rilegato di persona, erano ancora umidi. I suoi capelli erano sciolti e in
disordine. Sentiva l'odore del proprio corpo, misto a quello delle candele
che aveva acceso e sistemato attorno a lei sul tavolo, accanto alla copia del
New York Times che aveva sfogliato in quella stessa stanza la settimana
precedente, per sentirsi vicina a William e alle cose che lui amava fare, e
nonostante i terribili ricordi evocati da quell'ambiente.
Si era addormentata.
Aveva portato con sé il libro che aveva trovato, il volume di poesie che
William aveva avuto intenzione di darle, perché voleva leggerle in quel
luogo speciale, il luogo che William aveva riempito con la poesia
dell'autore che tanto aveva significato per lui.
Le candele alla lavanda erano quasi interamente consumate. Aveva
dormito solo per poco tempo. Ma com'era successo?
Poi ricordò.
Abbassò gli occhi alla pagina alla quale era aperto il libro. La poesia che
la occupava, molto breve, ricordava i giorni che avevano passato insieme
in un rustico di montagna accanto a un bellissimo lago. Un mattino, dopo
una squisita colazione a base di paste ai mirtilli, gli aveva tagliato i capelli.
L'interno della casa profumava ancora dei dolci che aveva da poco
sfornato, e lei si era sentita viva e piena d'energia gustando il sapore di una
tazza di ottimo tè Earl Grey. Guardando fuori verso l'azzurro del lago, il
verde dei pini e il rosso brillante delle bacche su un cespuglio accanto alla
veranda, lui le aveva confessato di aver appena colto il reale significato di
eternità. L'eternità non poteva essere misurata tra la nascita e la morte,
perché non era affatto lineare. Si poteva conoscere la vita eterna se la vita
di ciascuno era piena dell'autentica profondità dei sentimenti offerti dalla
vita stessa. Ogni attimo del presente diventava eternità. Ma la chiave,
aveva spiegato, consisteva nell'essere veramente innamorato e poter
guardare l'oggetto del proprio amore nella bellezza di quell'attimo.
Per sempre.
Per sempre era una precisazione scontata per gli innamorati.
E poi William aveva detto di essere veramente ed eternamente
innamorato di lei. Per sempre. Per l'eternità. Ora come allora.
Aveva espresso meravigliosamente i suoi sentimenti nella poesia, e lei,
leggendola, era stata travolta dall'emozione. Aveva pianto a lungo, a
dirotto, appoggiandosi al singolare libro come a volersi avvicinare il più
possibile a esso. Aveva pianto, affondando il volto nelle braccia piegate sul
tavolo.
E si era addormentata.
Chiuse il libro e si strofinò gli occhi. Si sentiva strana.
«Per stasera basta», sussurrò fra sé. Avrebbe portato il volume con sé in
camera da letto e l'avrebbe sistemato sul cuscino accanto al suo nel grande
letto matrimoniale.
Il cuscino di William.
Così avrebbe potuto leggere un'altra poesia l'indomani, se pensava di
averne la forza.
Fuori la notte le sembrò particolarmente buia e impenetrabile. Poi si rese
conto che stava piovendo e che era stato un tuono a svegliarla.
Un lampo illuminò la finestra. La luce persistette per un attimo. Poi
scemò.
Passò un istante.
Poi di nuovo un tuono.
Aveva davanti a sé una teiera e una tazza. Naturalmente il tè si era
raffreddato. Prese la tazza.
Continuava ad avvertire una sensazione strana. Molto strana. C'era
qualcosa che non andava. Aveva fatto dei sogni assurdi, di cui però non
ricordava nulla. Sembrava che fossero celati alla coscienza del suo ricordo
da un tenda diafana e opaca. Oltre quel velo sembravano muoversi forme
di cui serbava una vaga memoria, ma nessuna di esse era tangibile...
Tuttavia, si sentiva molto vicina a William. Era come se la sua morte
fosse stata il sogno dal quale si era appena destata.
Il dolore della violenza, il trauma di quella serata... c'erano interi lassi di
tempo di cui non riusciva a ricordare nulla. Come una sorta di blackout
indotto dall'alcol.
Un fenomeno di rimozione, aveva spiegato lo psichiatra che l'aveva in
cura. Una reazione perfettamente normale e sana. Era il modo in cui la
mente affrontava cose troppo terribili per essere accettate. Non aveva udito
gli spari che avevano ucciso William, né visto quale degli uomini malvagi
aveva sollevato il busto di Pallade, usandolo per fracassare la testa del
marito.
Si era svegliata in ospedale, già sedata. Prendeva ancora gli
antidepressivi. I suoi amici e la sua famiglia erano stati tutti gentili e di
grande conforto, ma ciononostante dal momento in cui aveva appreso della
morte di William le sembrava di vagare sul fondo di un oceano di un altro
pianeta, avvolta nella penombra. A volte si pentiva di aver deciso di
rimanere nella casa nel centro della città, ma d'altra parte non poteva
neppure immaginare di abbandonarla.
Un altro lampo, questa volta più intenso. Gettò un'ondata di luce fino
all'altro capo della stanza, che prima era immerso nell'oscurità.
C'era qualcosa che non andava là.
C'era qualcosa di molto sbagliato in quell'estremità della stanza!
La malinconia e la tristezza, la sensazione di smarrimento, vennero
spazzate via da un fiotto di adrenalina. Amy si alzò, si avvicinò alla parete
e premette l'interruttore. I faretti sistemati in modo da illuminare i pezzi
più importanti della collezione si accesero. Il più distante era stato
orientato in modo da illuminare il busto di Pallade, sovrastato dal corvo
imbalsamato. Ma il busto era stato portato via dalla polizia per eseguire i
rilievi delle impronte digitali e in quanto arma del delitto. Anche il corvo
era stato rimosso, ma Amy non si era curata di chiedere perché, né dove
fosse stato trasferito.
Eppure ora erano lì.
La testa di marmo bianco di Pallade Atena, la dea greca della saggezza.
L'uccello nero.
Intatto. Uno sguardo di sfida negli occhi.
Mentre fissava impietrita i due oggetti (era stato Donald a riportarli nella
biblioteca? E se così era, perché l'aveva fatto?) Amy sentì la porta al piano
terreno chiudersi con un colpo.
Sentì il rumore di passi che risalivano rapidamente le scale.
«Amy! Amy, sei in casa?»
Era la voce di Donald. Era agitato, la chiamava gridando.
Si precipitò alla porta della sala Poe e la aprì.
«Donald!» chiamò. «Sono qui.»
La casa era illuminata a giorno. Aveva acceso tutte le luci. Salì di corsa
gli ultimi scalini, gli occhi sgranati, profondamente turbato.
«Amy? Stai bene?»
«Be', sì, credo di sì... ma sono molto scossa.»
Lui l'afferrò per le spalle e le domandò ansimante: «Che cos'è
successo?» Guardò alle sue spalle, verso l'interno della biblioteca. «Che ci
fai qua dentro, Amy?»
«Il busto di Pallade. Il corvo... Sei stato tu a riportarli qui?»
«Che cosa?»
Donald la scostò di lato ed entrò come una saetta nella stanza, gli occhi
rivolti verso la parete più distante. Amy osservò Donald mentre, attonito,
fissava il busto e l'uccello imbalsamato. Poi lui notò gli scatoloni che Amy
aveva trasferito nella biblioteca. Gli scatoloni di libri che aveva aperto e
portato su dal piano superiore, ma che non aveva ancora svuotato.
Lui si avvicinò ai libri, come in trance, si chinò e sfiorò il dorso di alcuni
con la mano.
Quando tornò a guardarla, i suoi occhi erano colmi di stupore; sembrava
quasi sotto choc.
«Questi libri... Questi sono...» Donald scosse la testa, come se volesse
riallineare parti del suo cervello che si erano scollegate. «Voglio dire,
questi fanno parte della collezione rubata...»
«Sì. Non è incredibile? Li hanno consegnati stamattina, dopo che sei
uscito!» lo informò. «Sono tornati a casa, nel posto dove è giusto che
stiano. Ma non ho la più pallida idea di chi abbia riportato qui il busto e il
corvo. Sei forse...»
Lui scosse la testa, tentando di nuovo di mettere ordine nella mente.
«No. No, Amy.» Fece un passo verso di lei, la prese per un braccio. «Ma
questi libri consegnati stamattina... hai idea di chi possa?...»
Donald notò sul tavolo accanto alle candele il volumetto di poesie
rilegato a mano. Si avvicinò e lo girò.
«Un libro di poesie di William Blessing. Non sapevo nulla di questo!»
«No, infatti. William intendeva darlo a me... È stato suo cugino a dirmi
dov'era nascosto.»
«Suo cugino?» domandò Donald. «Non sapevo che avesse un cugino
con cui sei in contatto.»
«Si chiama Delmore Blessing. Ultimamente non si erano frequentati
molto. Ma sa un sacco di cose su Bill, cose di cui anch'io ero all'oscuro»,
spiegò Amy. «È stato Delmore a recuperare i libri.»
«Recuperare...» fece eco Donald. «Ma... come ha fatto?»
«Non lo so.»
«Come hai conosciuto... questa persona?»
«È passato a trovarmi... ieri. Si è presentato. Abbiamo parlato. Avrei
voluto raccontartelo, ma lui mi aveva chiesto di non dirti nulla. Non
subito, comunque. Ha detto che vi sareste incontrati a tempo debito.»
Donald l'afferrò per le braccia. La fissò negli occhi con un'intensità che
Amy non aveva mai visto prima in lui.
«Amy», disse. «Ascoltami molto attentamente. Tu sei in grave pericolo.
E, di conseguenza, potrei esserlo anch'io.»
«Pericolo? Ma perché? In che modo?»
«Un pazzo, forse proprio quest'uomo che è venuto a trovarti, benché non
possa dirlo con certezza, sta commettendo una serie di atrocità a
Baltimora. Atrocità collegate con William Blessing.»
«Atrocità? Cosa vuoi dire?»
«Ci sono stati... degli omicidi! E la salma di Bill...» Distolse lo sguardo,
mordendosi le labbra, dando l'impressione di essere enormemente
combattuto. «È...»
«La salma di mio marito? Che cos'è successo? Dimmelo!» pretese,
sull'orlo di una crisi di pianto isterico. «Dimmi che cos'è successo alla
salma di mio marito!»
«È stata trafugata.»
«Che cosa?»
«Sì. Devo denunciare il fatto alle autorità competenti. Ma stasera...
Ascoltami: stasera dovremmo andare da un'altra parte. Via da qui. Non sei
al sicuro in questa casa.»
Lei non era ancora riuscita ad afferrare appieno il significato delle parole
di Donald. «Trafugata... Trafugata dalla tomba? Ma perché? Chi può aver
fatto una cosa simile?»
«Amy, tuo marito ha avuto una vita lunga e intensa prima di conoscere
te. Potrebbe aver avuto segreti che non ti ha mai rivelato. Dio solo sa quali
strane conoscenze e frequentazioni avesse. Forse ha fatto un torto a
qualcuno... Forse c'è di mezzo... non lo so... la maledizione di qualcuno.
Sono tutte cose che potremo scoprire più avanti. Ma ora devi preparare in
fretta una borsa. Ti porterò in un albergo, ti accompagnerò nella tua stanza
e ne prenderò una accanto alla tua. E magari avvertiremo la polizia per
precauzione. Non so esattamente che cosa stia succedendo, ma sono
assolutamente certo che dobbiamo andarcene da questa casa!»
«Ma io abito qui... E devo proteggere...»
«Avvertirò la polizia. Possiamo anche ingaggiare una guardia di
sicurezza, o qualcosa del genere. Amy, tutto quello che c'è in questa casa
sarà al sicuro, te lo prometto. Ma noi dobbiamo andarcene!»
Qualcosa nel profondo del suo animo non solo si ribellò all'idea di
abbandonare la casa, ma la portò a guardare Donald Marquette con occhi
nuovi, a vedere in lui una persona diversa.
Una vocina sembrò sussurrarle nella mente: Chi è che nasconde davvero
molti segreti?
«Se c'è qualcosa da temere, perché non possiamo semplicemente
chiamare la polizia da qui e chiedere un servizio di protezione?»
«Non basta, Amy», replicò, scuotendo con energia la testa.
«In questo caso... se possiamo rivolgerci a una società di vigilanza...
perché non farlo subito, e da qui? Non possiamo chiamarli e far venire
qualcuno?» Fece un ampio gesto con le braccia. «Questa collezione, questi
libri e cimeli, erano cose a cui William teneva moltissimo. Ora che sono
stati restituiti non voglio rischiare di perderli di nuovo.»
«Tutti questi oggetti non valgono nulla rispetto a te. Alla tua sicurezza,
alla tua vita.» Donald sembrava sottoposto a grande stress, come se
qualcosa gli pesasse sulla coscienza da tempo e cominciasse solo in quel
momento a esercitare appieno la sua pressione.
Amy scosse la testa. «Perché mai la mia vita dovrebbe essere in
pericolo? Non capisco, Donald. Se vuoi che lasci la mia casa, devo sapere
esattamente che cosa ti fa pensare che io sia in pericolo.»
Per un attimo Donald fu a corto di parole.
«Questo uomo... questo sedicente cugino di William... la cosa mi suona
strana. Potrebbe essere lui il pericolo. Potrebbe essere un folle!»
«Se avesse voluto farmi del male, avrebbe potuto farlo già in due
occasioni!» ribatté con decisione Amy. «Ora devi dirmi tutto quello che
sai. Lo pretendo. Perché dici che potrei correre un pericolo stasera?»
Amy cominciava a sentirsi come se stesse emergendo da una fitta
nebbia. E ciò che vedeva differiva enormemente da quanto avesse mai
immaginato. Fino a poco prima non aveva voluto conoscere altro che lo
stupore chimicamente indotto della malinconia, unico scudo di protezione
contro un'esistenza che non si sentiva di affrontare. Ora, invece, stava
uscendo dal sonno e prendeva coscienza di un mondo strano; oltremodo
strano. «Dimmelo! Devo saperlo.»
Donald aprì la bocca, ma non riuscì a emettere suono. I suoi occhi
sfrecciavano a destra e a sinistra, colmi di panico e indecisione, ma privi di
una risposta alla domanda di Amy.
Poi una voce giunse dalla porta della stanza.
«Sì, Donald. Forse dovresti dirglielo.»

29

«Signor Valdemar, ci può spiegare quali sono ora i suoi


sentimenti o i suoi desideri?»

EDGAR A. POE, La verità sul caso del signor Valdemar

«Che queste parole siano il nostro commiato, uccello o


creatura malvagia» gridai, alzandomi.
«Ritorna alla tempesta e alle plutonie rive della notte!
Non lasciare alcuna penna nera come pegno della
menzogna espressa dalla tua anima!
Lascia intatta la mia solitudine! Abbandona il busto
sopra la mia porta!
Togli il becco dal mio cuore e la tua figura dalla porta!»
Disse il corvo: «Mai più».

EDGAR A. POE, «Il corvo»

Il cuore gli batteva veloce, insistente e martellante nel petto, e le


orecchie sembravano ronzare e riecheggiare senza sosta in un vertiginoso
tintinnio di parole disgiunte, paure e sentimenti contrastanti.
Tuttavia, quando quella voce giunse dalla porta, le parole lo colpirono
come uno schiaffo al volto assestato dalla gelida mano della notte. Donald
Marquette venne scosso dal suo stato e recuperò una feroce
concentrazione.
Girò la testa in direzione della porta.
Sulla soglia c'era un uomo con un lungo cappotto scuro. Indossava un
cappello, la falda abbassata sulla fronte. Il bavero del cappotto era alzato e
gli nascondeva la parte inferiore del volto. Buona parte del resto della
faccia era celata dietro un grande paio di occhiali scuri.
Donald Marquette ritrovò la lingua.
«Chi sei? Come sei entrato?»
Il panico e la paura sembravano svaniti, cancellati da una possente
scarica di adrenalina. Sembrava aver recuperato il controllo. Non avvertiva
altro che un'oscura minaccia nella figura ferma sulla porta, ma qualcosa di
profondo, di istintivo, una sorta di atavico istinto di sopravvivenza prese il
sopravvento in lui.
La reazione di Amy fu molto meno allarmata.
«Delmore», disse, muovendosi in direzione dell'uomo. «Che piacere
vederla. Aveva ragione! Ho trovato quel libro di poesie...» Amy tornò a
passi rapidi verso il tavolo e sollevò il volumetto per mostrarlo allo
sconosciuto. «Vede?»
«Sono contento», seplicò l'Uomo delle tenebre. «Ha già avuto occasione
di leggerne qualcuna?» La sua voce si era sensibilmente ammorbidita.
«Sì! Certo. Sono meravigliose. È come... È come se mi avessero
restituito William. Ora posso rassegnarmi all'idea di non averlo più accanto
perché so quali erano i suoi veri e più profondi sentimenti nei miei
confronti. E so che sarà sempre nel mio cuore.»
L'Uomo delle tenebre annuì. «È questo... è questo che William avrebbe
amato sentirle dire, Amy.»
Donald Marquette sentì la rottura nella voce dell'uomo. Forse per via
della commozione, forse a causa di qualcos'altro.
«Presumo che questo sia il misterioso cugino, non è così?» domandò
Donald, la voce carica di sospetto e diffidenza.
«Oh, sì, scusami. Delmore, le presento Donald Marquette. Il collega di
William. È rimasto per continuare il suo lavoro e per aiutarmi a gestire
l'eredità... e un sacco di altre cose.»
«Sì, certo», disse l'uomo. «William mi ha scritto di lui.» La sua voce
tornò a indurirsi. «Ed è proprio con Donald che voglio parlare. È per
questo che sono tornato qui stasera, Amy. Speravo di non disturbarla.
Vorrebbe lasciarci soli, andare a sbrigare qualche faccenda di sopra?
Magari suonare un po' il pianoforte? Peccato che la serata sia così brutta e
piovosa, fuori. Ma potrebbe comunque andare a trovare un'amica. Le
chiamo volentieri un taxi, se vuole.»
Donald venne assalito da un dubbio feroce. «Ha a che fare con l'eredità
Blessing?»
«Per certi versi sì», rispose l'Uomo delle tenebre.
«Allora perché chiedere a Amy di andarsene? Lei è ancora direttamente
coinvolta. Io non ho nulla da nascondere a Amy per quanto riguarda la
gestione dell'eredità. Se vuole, può rimanere.»
L'Uomo delle tenebre scosse la testa. «Preferirei che ci lasciasse.»
«Amy.» Donald parlò con voce tesa e dura. «Tutto quello di cui ti ho
parlato... le ragioni per cui volevo che ce ne andassimo da questa casa
finché non avremmo avuto la certezza di essere al sicuro... tutto è
cominciato con la comparsa di questo uomo. Ho paura che ci sia lui dietro
tutto quello che sta succedendo. È lui l'uomo che dobbiamo temere!»
«Ma... Ma perché?» Amy si voltò a guardarlo, con veemenza. «Mi ha
raccontato moltissime cose. È riuscito in qualche modo a recuperare i
libri...»
Donald si rivolse all'uomo che si faceva chiamare Delmore Blessing. «Il
corpo di William Blessing non è più nella sua tomba. Sei stato tu a
trafugarlo?»
L'Uomo delle tenebre allargò le mani guantate, implorante. «Amy, la
prego. Deve andare ora!»
Amy scosse la testa e il suo sguardo si fece più freddo. «Che cosa? È la
verità? È stato lei a trafugare la salma di William? È lei la causa delle
preoccupazioni di Donald? È così?»
«Deve fidarsi di me, Amy!» A giudicare dalla sua voce, l'uomo
sembrava sull'orlo delle disperazione. «Vada! Vada via! Ora!»
«William mi diceva sempre che la verità e la cosa più dura da accettare,
ma è sempre la migliore. Perché crea sempre un legame tra i giusti e
distrugge i malvagi», sibilò Amy. «Lei è malvagio, Delmore? Sta
riversando la sua malvagità sul ricordo di suo cugino?»
«No, Amy! No, glielo giuro.»
L'Uomo delle tenebre alzò le mani in un gesto di supplica.
«E allora quale sarebbe la questione di cui non può parlare in mia
presenza?» pretese di sapere.
Donald avvertì nella sua voce una forza che non aveva mai sospettato in
Amy Blessing.
«Sentiamo», rincarò Donald, già impegnato mentalmente a cercare il
modo di guadagnare qualche attimo per chiamare la polizia. Poteva
scattare fuori dalla stanza e comporre il 911 sul cellulare che aveva in
tasca. Si pentì di non aver chiamato un servizio di vigilanza prima di
essere tornato alla casa. «Che cos'ha da nascondere a Amy?»
L'Uomo delle tenebre si voltò a fissare Donald Marquette. A un tratto
sembrò prendere le sembianze di una statua animata, fredda e distaccata...
eppure qualcosa di intenso ardeva in lui.
«Molto bene. Lei non mi lascia altra scelta, Amy. Speravo di
risparmiarle quest'esperienza, ma sono a corto di tempo.»
Lentamente, l'uomo si tolse il cappello.
Poi si abbassò il bavero.
Per ultimi, si tolse gli occhiali.
I lineamenti dell'uomo erano vaghi, cerei e mal definiti. Più che al volto
di un essere umano normale, il suo somigliava alla rappresentazione
impressionistica che avrebbe potuto darne uno scultore. Perdeva scaglie di
pelle e aveva le guance e il collo punteggiate da lesioni simili a croste.
Marquette notò che la metà di un orecchio era scomparsa, mentre l'altro
padiglione si trovava a una strana angolatura rispetto alla testa.
Gli occhi, per quanto leggermente velati, ardevano comunque di identità
e personalità.
Una identità che Marquette aveva riconosciuto ma che non riusciva
ancora a convincersi di accettare.
«Amy», disse William Blessing. «In futuro voglio che tu ricordi questo
episodio come un sogno. Un sogno, Amy. Mi capisci? Non voglio che
diventi parte della tua realtà interiore.»
«Ma io non...» La voce le uscì smorzata e inorridita. «Non capisco.
Somiglia... Ora somiglia ancora di più... a suo...»
«Non esiste alcun cugino, Amy», rivelò l'Uomo delle tenebre. «Io sono
William Blessing. Sono io, tuo marito. Ci sono... conti in sospeso. Non so
come, mi è stata concessa... una seconda, breve possibilità.» Guardò
Donald e i suoi occhi sembrarono ardere, duri e infocati. «Per mettere a
posto le cose. Per proteggere il mio ricordo, la mia eredità... e te, Amy, da
ulteriori atrocità.»
Donald Marquette scosse con convinzione la testa. Sentiva la follia
mordicchiargli già i talloni, ma quella forza che aveva trovato dentro di sé,
quell'istinto vitale che si era impossessato di lui, che l'aveva salvaguardato
nei momenti di catastrofe, tornò a farsi valere.
«No, Amy. È un trucco. Un inganno. Non può essere William Blessing.
William Blessing è morto!» gridò.
L'Uomo delle tenebre scosse tristemente la testa. «Non ho mai sostenuto
di essere vivo, Marquette.»
Mosse un passo verso di lui, puntandogli contro l'indice in un gesto di
accusa.
«Li ho uccisi tutti, Donald. Tutti i tuoi compagni, i Goths. Ho cancellato
loro e la rovina che volevano portare nella mia casa... e forse anche alla
letteratura. Vendetta? Può darsi. Giustizia? Senza ombra di dubbio! E ora
devo chiudere il conto con te.»
«William...» lo chiamò Amy, la voce tremante. «Bill...»
Donald fece un passo indietro, ma prima che riuscisse ad allontanarsi
l'Uomo delle tenebre sfrecciò in avanti.
Una mano gelida e cerea si strinse attorno alla gola di Donald.
«No!» gridò Amy. «No!»
Il braccio e la mano dell'uomo erano incredibilmente forti, A quella
distanza, preso nella sua morsa, con l'odore della tomba ancora addosso e
il forte, sprezzante senso di ultraterreno che l'uomo emanava, Donald non
poté più negare, a dispetto delle resistenze della parte più razionale di sé,
che si trattava realmente di William Blessing.
Sentendosi soffocare, allungò una mano verso quel volto. Un lembo di
pelle si staccò sotto le sue dita.
Annaspando, disperato, Donald si scagliò contro il braccio che lo
tratteneva, tentando con tutte le forze di staccare quella mano dalla sua
gola. «È stato questo infame», disse l'Uomo delle tenebre. «E stato questo
infame a uccidermi, Amy. Questo ripugnante traditore che avevamo
accolto nella nostra casa, di cui ci eravamo fidati. È stato lui a introdurre le
forze del caos e della corruzione nelle nostre vite!»
«Aiuto... Amy!» riuscì a squittire Donald. «Chiama... la polizia!»
«No!» urlò Amy Blessing
La vista di Donald cominciava ad annebbiarsi e a tingersi di rosso
mentre continuava a lottare disperatamente. Colse con la coda dell'occhio
il movimento di Amy. Accanto all'ingresso c'era una sedia, un pezzo
d'antiquariato. Si diceva che un tempo fosse appartenuta a Edgar Poe. Amy
afferrò la sedia e corse verso di loro. Con il volto trasformato in una
maschera orripilata e confusa, scagliò con forza la sedia contro la schiena
dell'uomo che sosteneva di essere risorto dalla tomba
Con un rumore forte e secco il pezzo di antiquariato si spaccò,
scheggiandosi.
La morsa mortale sulla gola di Donald si allentò. Lui si scaraventò
all'indietro, sfuggendo all'aggressore, tenendosi il collo come per aiutarsi a
immettere aria nei polmoni che disperatamente la reclamavano. Barcollò,
urtando il tavolo.
Una pistola! Perché non si era munito di una pistola!
L'Uomo delle tenebre rimase fermo e immobile; l'attacco alle spalle non
gli aveva causato alcun danno, ma lo aveva sbalordito.
«Amy!»
«La gente non torna dalla tomba!» gridò Amy. «I morti non risorgono!»
«Ma sono io... Amy... Sono io... Bill.»
Amy parlò con voce acuta, stentata a causa della tensione e
dell'incredulità. «Se sei davvero mio marito, allora mio marito non è stato
ucciso! Io non l'ho visto morire», disse. «Ma se è così, se sei Bill... allora
devi essere impazzito! Bill Blessing non avrebbe mai, mai fatto male a
nessuno. Mai. Era un persona gentile, civile. Non... non un mostro!»
Per un attimo l'Uomo delle tenebre parve malfermo sulle gambe. Mosse
le braccia in un gesto sgraziato, spastico, incerto, voltandosi verso Amy
Blessing. «Amy... Tu non capisci...»
A Donald sembrò di vedere Boris Karloff che interpretava il mostro di
Frankenstein, nell'atto di protendersi pietosamente verso la luce e la
compassione.
Un brandello di pelle si staccò dal suo volto e cadde a terra.
La parte più forte di Donald Marquette, la parte attaccata alla
sopravvivenza e ancora in grado di comprendere, colse all'improvviso la
realtà della situazione a un livello più profondo di quanto sarebbe mai stato
in grado di fare la sua mente. Intuì la vera natura di quell'essere, la verità
della sua asserzione, il tremendo pericolo che rappresentava, il significato
impresso nelle oscure fondamenta che reggevano l'universo... il significato
che aveva per lui...
E ciò che avrebbe potuto fare per salvarsi.
La parte di lui che voleva sopravvivere, quell'oscuro istinto, respinse con
forza l'orrore del momento e si avventò all'attacco: «Ha ragione!» gridò
Donald. «Tu non puoi essere Blessing! Blessing non avrebbe mai, mai
commesso un omicidio. Blessing non avrebbe mai inflitto dolore! La sua
opera ne è la prova. Certo, scriveva di morte e distruzione, ma adottando lo
schema morale della commedia, della tragedia, della grandezza intcriore
dell'uomo. Non scadeva certo nell'assoluta banalità del racconto di
vendetta, nel melodramma proprio degli autori minori!»
L'Uomo delle tenebre si girò verso di lui.
Donald colse nel suo sguardo l'ombra di un dubbio.
Un lembo più grande di pelle si staccò dalla sua fronte e cadde
volteggiando sul pavimento. Dallo squarcio del volto cominciò a sgorgare
lentamente un denso fluido rosso, come da una piaga purulenta.
Sì! gridò il suo istinto. Ci sei!
«No!» protestò l'Uomo delle tenebre. «Castigo! Dev'esserci il castigo...
la prevenzione!»
«Sei pazzo! Chiunque tu sia, sei pazzo. Prevenzione di che?» Fece un
balzo di lato, evitando l'attacco dell'uomo e portandosi al fianco di Amy,
cingendole la vita con un braccio come a offrirle conforto. Lei si aggrappò
a lui, lo strinse, terrorizzata dall'oscuro spettro che avevano davanti a loro.
«Lei ha bisogno di aiuto!» disse Amy. «Lasci che chiamiamo qualcuno
che possa aiutarla!»
«Castigo!» ruggì l'Uomo delle tenebre, sempre più una creatura ricurva,
una malefica imitazione di Basii Rathbone che interpretava il gobbo
Riccardo III. Avanzò lentamente, ma i suoi movimenti sembravano ora
provocargli dolore. Zoppicava. «Prevenzione!»
«Io non ho fatto nulla per danneggiare Amy! Ho solo fatto cose buone
per proteggere la memoria dell'eredità di William Blessing. I suoi libri
continueranno ad avere successo grazie al mio lavoro. Il suo nome rimarrà
nelle classifiche dei bestseller, i suoi racconti e romanzi saranno oggetto di
studio nelle scuole. Verrà ricordato dai posteri... tenuto in vita da valori
come il bene, la virtù e l'amore, valori di cui si elevava a personificazione
nelle sue opere migliori», affermò Donald Marquette. «Qualunque cosa tu
sia, sei uno strumento della follia, una cosa squallida e oscura, che porta
distruzione nella casa di amici, di persone che credono nell'eredità
spirituale e letteraria di William Blessing!»
L'Uomo delle tenebre tese una mano.
«La prego! Non ci faccia del male!» gridò Amy. «Chiunque...
Qualunque cosa lei sia... deve sapere che William Blessing era pieno di
amore e di buona volontà. Non di furia omicida e vendetta!»
Due dita della mano protesa si staccarono e finirono a terra uno sopra
l'altro.
«Amy... No. Io devo... Ci sono forze: il destino, l'amore, la memoria, la
giustizia, la volontà. E forze che devo contrastare... il male, l'oscurità... Io
sono tornato per contrastare l'oscurità. Sono tornato... per amore! Per amor
tuo. Per amore delle mia arte... Per tutto quello che rappresenta il mio
lavoro! I valori! La virtù! L'arte! La bellezza!» Emise un gemito, rivol-
gendo la testa al soffitto. «Oh, tempo! Oh, poesia! Oh, muse!» invocò.
«Datemi le parole di cui ho bisogno per convincere!»
«Non hai letto gli articoli dei giornali, mostro?» domandò Donald
Marquette, infondendo nel tono di voce la giusta dose di ironia per rendere
la sua osservazione velenosa. «Gli scrittori del gotico sono persone gentili!
Sono persone civili. Danno forma all'oscurità per permettere il passaggio
alla luce. E poi, William Blessing... o comunque mi rivolgo alla parte di te
che crede di essere William Blessing, tutta questa storia puzza. Puzza della
sconsideratezza, della grossolanità tipica della letteratura che tanto
disprezzavi! Non eri un accanito sostenitore del sottile? Di un horror
latente? Tutto questo, invece... mio povero Blessing... sembra tratto da un
film dell'orrore di infimo livello!»
L'Uomo delle tenebre gorgogliò.
Tremò, sembrò scosso da un brivido.
Parte del suo volto cominciò a incavarsi. L'intero lato sinistro cominciò a
sciogliersi, rivelando lo scuro teschio sottostante. Piccoli vermi bianchi
sbucarono strisciando dai globi oculari.
La forza di volontà, comprese l'oscuro istinto di Donald. Sta perdendo la
sua forza di volontà.
«Amy», ansimò la creatura, perdendo pus dallo squarcio che era stata la
sua bocca. «Amy...»
Perse la mascella, che si ripiegò e cadde giù come una candela
surriscaldata, colpendo il pavimento e macchiandolo.
L'Uomo delle tenebre perse anche il naso, e si aprì un altro varco da cui
fuoriuscirono liquidi di corruzione.
Ora emanava un deciso puzzo di marcio e di putrefazione.
Amy emise un gemito strozzato. La sua presa su Marquette si allentò. Si
accasciò, mollandolo.
Era svenuta.
Amy crollò a terra, priva di sensi.
«Bastardo sconsiderato!» accusò Marquette. «Guarda cos'hai fatto!»
L'unico occhio ancora integro si orientò verso il basso a fissare la
splendida donna che giaceva sul pavimento. La creatura emise un lungo
ululato di dolore, la cui origine era da rintracciare in un luogo ben più
profondo di qualsiasi bocca, gola o diaframma.
«Sai una cosa, Blessing. Non ti ha mai amato veramente», gli disse
Donald. «Me l'ha confessato... Sì. Aveva semplicemente una specie di
fissazione per te in quanto figura paterna. Una debolezza psicologica. Sei
sempre stato solo un illuso.»
La volontà, lo esortava la voce nella sua mente. Privalo della sua
volontà!
«Proprio così, Blessing. Me l'ha detto lei. E abbiamo flirtato parecchio,
anche quando eri vivo. Alle tue spalle. Abbiamo flirtato e riso insieme. E ci
siamo baciati! Lo sapevi? Quelle dolci, dolci labbra si sono congiunte alle
mie.» Marquette rise di gusto. «E io capivo... capivo quanto mi deside-
rasse. E capivo che quando i tuoi vecchi e decrepiti lombi non sarebbero
più stati in grado di soddisfarla, lei sarebbe venuta da me... Da me!»
«No...»
Il cadavere proseguì nella sua disgustosa decomposizione.
«Sai, Blessing, sei davvero uno spettacolo! Sembri la strega cattiva del
Mago di Oz! L'unica differenza è che non ho dovuto usare l'acqua per
avere la meglio su di te, bensì solo la verità!»
Con un sospiro di gas organici che si liberavano, le ossa del morto
cedettero e la massa in decomposizione si accartocciò su se stessa,
riducendosi a un cumulo di materiale crepuscolare tra gli abiti sparsi sul
tappeto macchiato e impregnato.
Per un attimo Donald Marquette rimase inebetito a fissare l'orrendo
mucchio di materia corrotta.
È sparito, gli disse il suo oscuro istinto. È finito peggio di un palloncino
bucato.
Poi Marquette scoppiò a ridere.
La risata sgorgò dal profondo, come generata dallo stesso istinto che lo
aveva salvato. Gli permeava lo spirito, gli attraversava l'anima e
raggiungeva le sue parti più recondite. Saliva sempre più su, muovendosi
attraverso il suo corpo fino a raggiungergli la gola e poi la bocca, dalla
quale esplodeva tenebrosa e maniacale.
Uno scherzo cosmico!
Il famoso scrittore horror...
... risorto dalla tomba!
Ed eccolo lì: niente più che un secchio di untuose interiora che
macchiavano un tappeto orientale!
«Ho vinto!» esclamò. «Il ragazzo del Midwest si è finalmente
riscattato!»
Il cumulo di resti organici non ebbe alcuna reazione.
Marquette venne invaso da un'inebriante ilarità.
«E sai qual è la cosa più divertente di tutte, Blessing? Che ti sei
trasformato nel più trito dei cliché dell'horror. Che ne pensi di questo, eh?
La copertina di un pessimo fumetto! Qualcosa che sembra uscito da un
film destinato a non vedere mai il grande schermo.»
Il cumulo di ossa rotte e umori raggrumati non replicò.
La risata era lo sfogo di quell'oscuro istinto; la sensazione era veramente
inebriante. Si sentiva come se avesse finalmente scoperto se stesso. Aveva
intravisto il proprio destino. Sentiva quel nuovo potere riverberare al suo
interno come una canzone che aveva appena trovato un esecutore. Lo
colmò dell'eccitazione della scoperta, della forza, della risolutezza... e di
una crescente euforia pregna di passione, bisogno e desiderio.
Vedere la morte sfiorarlo senza coglierlo aveva scatenato nelle sue
ghiandole una lussuria improvvisa e irrefrenabile.
Distolse gli occhi dal cumulo di morte. (Oh, quali altre verità serbava la
vita, che fino a quel momento aveva negato! Gli scenari che in virtù di
questa consapevolezza si aprivano davanti a lui erano ora infinitamente più
ampi della semplice creatività e ricchezza. Quali audaci dimensioni lo
attendevano!) Posò gli occhi su Amy Blessing. Il suo corpo prostrato era
incredibilmente carnale; i lunghi capelli si allargavano verso l'esterno con
erotico abbandono e la bocca era socchiusa, come se stesse succhiando il
membro di un invisibile demone.
Allungò una mano e toccò la morbida ma soda rotondità della sua natica,
coperta dal tessuto del vestito. Poi, eccitato come non lo era mai stato in
vita sua, lasciò che la sua mano si infilasse sotto la lunga gonna di lana,
risalendo la coscia, oltre l'elastico delle mutandine... per posarsi sulla carne
più dolce e sconvolgente che avesse mai conosciuto. Il segreto... il
proibito... il sublime...
«Vedi, Bill», disse. «Qui abbiamo a che fare con i capricci del destino.
In realtà, dei due sono io lo scrittore più dotato. Ma usurpando il tuo
mondo... e limitandomi nel farlo a obbedire, dovrei precisare, alle leggi di
natura, potrò assurgere alla grandezza che mi è dovuta, sfruttando i tuoi
successi come un trampolino di lancio... e trascinando le tue opere verso
l'immortalità sulla scia delle mie. Credo che i posteri ti avrebbero ben
presto dimenticato. I miei romanzi, invece, verranno ricordati, te lo
assicuro. E potrò scriverli nel lusso assoluto, coccolato dal successo.»
Avvertì l'accelerazione del suo battito cardiaco, il pulsare alle tempie.
L'odore di Amy gli giungeva forte alle narici e sentiva crescere dentro di sé
il desiderio, turgido e complesso. Tolse la mano da sotto la gonna di Amy e
cominciò a sbottonarle il maglioncino.
Rise di nuovo.
Amy era ancora priva di sensi e intuiva che lo sarebbe rimasta per
parecchio tempo. Gli riusciva impossibile controllarsi in quel momento:
sembrava far parte della natura stessa del suo oscuro istinto la necessità di
schernire i vinti.
Che sia.
«Ah, un'altra cosa. Ti ringrazio davvero molto per avermi portato Amy.
Non penso sarebbero bastati interi anni passati a setacciare il mondo per
trovare un fiore tanto splendido da piantare nel mio letto!» Aprì il
maglioncino, scoprendo un reggiseno di pizzo nero. Non era bianco! Dio,
quanto si era agitato di notte, rigirandosi infinite volte, incapace di
dormire, figurandosi quel momento.
Una sbirciatina. Una palpatina. Che male c'era? Poi avrebbe potuto
rivestirla, rimetterla in ordine, infilarla nel letto e sistemarle sul comodino
una bottiglia di vino e le sue pastiglie. Il giorno dopo le avrebbe raccontato
che aveva rischiato un'overdose, che si era dimenata tutta la notte, urlando,
in preda agli incubi. Incubi terribili. Inimmaginabili!
«Mio caro Bill, che uomo fortunato eri! Che dolce frutto da assaporare.
Che bel bocconcino abbiamo qui! Non ti dispiace se mi prendo un piccolo
antipasto, vero?» Rise. «Certo che no. Dopodiché raccoglierò lo schifo che
rimane di te e ti butterò via. Le autorità non scopriranno mai che cosa sia
accaduto al cadavere trafugato di William Blessing. Mai. E non se ne
daranno pena. Dopotutto, non farà che accrescere la leggenda. Sì. Mi
accerterò di passare la notizia al National Enquirer. TOMBA DI
SCRITTORE HORROR PROFANATA! E tutti i supermercati della
nazione cominceranno a esporre le edizioni tascabili dei tuoi libri sugli
scaffali accanto alle casse.»
Scostò di lato e verso il basso il pizzo nero.
Il capezzolo del seno destro di Amy era perfetto. Assolutamente
perfetto! Rosa e succulento, ben disegnato e turgido.
Le sue dita ebbero un lieve tremore mentre si allungavano a toccarlo.
Sfiorò il capezzolo con i polpastrelli. La sensazione che provò fu
elettrizzante, esattamente come aveva immaginato. Sentiva il sangue come
un fiume in piena scorrergli verso l'inguine.
«Presto, Blessing», disse. «Molto presto potrò succhiare questo dolce
bocciolo. Presto...»
Qualcosa si strinse attorno alla sua caviglia.
Con forza.
Con grande forza.
«Ma che?...»
Girò la testa e guardò giù, colto di sorpresa.
Stretta attorno alla gamba c'era un mano. Per metà carne e per metà
scheletro. Ma sotto i suoi occhi, mentre la fissava inorridito, vide le
cartilagini e la carne riassemblarsi, ricomporsi, ricrescere e tornare a
prendere la forma di una mano completa.
Oltre la mano, mezza faccia si ricompose tornando a tendersi sopra un
teschio che lo fissava con orbite vuote. Lembi di pelle vibravano come
anemoni di mare. Vene e arterie si materializzarono, la pelle si riformò,
capelli e peli rispuntarono da un brodo protoplasmatico.
«No!» urlò Marquette.
Alzò il pugno e colpì il teschio sul suo macabro sorriso. La colonna
vertebrale cedette e la testa ricadde all'indietro, staccandosi dal precario
perno. Aveva appena sollevato il piede sinistro per liberarsi la caviglia
dalla morsa della mano del morto quando all'altro capo della stanza udì
gracchiare.
Alzò lo sguardo.
Vide il busto di Pallade, di nuovo al suo posto. Ma ciò che si trovava
sopra il busto era ben più preoccupante. Anche il corvo imbalsamato era
ricomparso, appollaiato sulla testa marmorea... ma ora si stava
ingrandendo e diventava sempre più nero, a mano a mano che allargava le
ali.
I suoi occhi marroni venati di rosso si fecero di fuoco. L'uccello balzò in
avanti. Batté due volte le ali e piombò addosso a Marquette,
scaraventandolo all'indietro.
Mentre il corvo volteggiava nella stanza, Marquette si portò una mano al
volto e vide che era insanguinata. Riprese a scalciare, riuscendo finalmente
a liberarsi dalla mano del morto.
Il corvo virò e tornò nella sua direzione.
Ma invece di attaccare si posò a terra tra Marquette e la porta.
Tu non vai da nessuna parte, amico, sembrava minacciare.
Marquette esitò solo un secondo.
Poi scattò verso la porta, sospinto dalla voce del suo oscuro istinto, che
gli ordinava la fuga immediata.
Il corvo rimase fermo, gli occhi fissi su di lui.
Marquette si preparò a spazzarlo via con un calcio, ma prima che
riuscisse ad abbassare il piede venne afferrato alle spalle da un braccio, un
braccio filamentoso dai muscoli esposti e ricoperto da chiazze di pelle
isolate. Il braccio lo tirò all'indietro, sempre più indietro, e sentì di nuovo
l'odore della tomba. Ma stavolta era diverso; era l'odore di un'altra tomba:
la sua.
Donald Marquette venne scagliato contro il tavolo. I documenti e i libri
posati sopra volarono a terra. Fece uno sforzo sovrumano nel tentativo di
divincolarsi, dando fondo a ogni residua forza di cui era ancora in
possesso. Ma la creatura, che ormai aveva ben poco di umano, lo tenne
inchiodato dov'era.
«Ho portato qualcosa che ho trovato nella tana del tuo amico Baxter
Brittle», disse il cadavere ricomposto, parlandogli con voce rauca e aspra
nell'orecchio.
Marquette vide apparire l'oggetto e ne colse il riflesso metallico.
L'aveva visto in precedenza sull'assurdo altare di Baxter. Era un pugnale,
elaboratamente decorato e intagliato. Un pugnale del tipo utilizzato per i
sacrifici di animali... e di chissà che cos'altro.
Un pugnale rituale.
«No!» urlò Donald Marquette. «Non puoi farlo... Non puoi... Ti prego...
Ti prego!»
«No, Donald», rispose freddamente la voce. «Non capisci. Io esaudirò il
tuo desiderio! Te lo prometto. Avrai esattamente quello che hai sempre
sognato!»
Il coltello descrisse un arco argenteo mentre piombava su di lui.
Si conficcò nel basso ventre di Donald fino all'altezza del manico.
Il dolore lo travolse, feroce e implacabile.
Donald guardò incredulo un fiotto del proprio sangue macchiare i
documenti ancora sparsi sulla superficie del tavolo.
Le immagini cominciarono a danzargli davanti agli occhi, creando un
effetto stroboscopico. Guardò verso il basso e vide la mano del mostro
tirare il coltello verso l'alto, le proprie viscere riversarsi fuori e ricadere sui
fogli. Vide con stupore che i fogli erano in realtà una copia del New York
Times Book Reviews, aperto a una pagina che conosceva bene.
«Ecco fatto, Donald» gli bisbigliò all'orecchio la voce del morto. «Hai
sempre desiderato comparire nella lista dei bestseller del Times, non è
così?»
Poi l'oscuro istinto si librò verso l'alto a reclamarlo, avviluppandolo
come la densa nebbia della baia che si raccoglieva in un vicolo di Fells
Point.

William Blessing trattenne il corpo finché non ne avvertì la fuga dello


spirito. Poi mollò la presa sul cadavere e sul manico del coltello. Donaid
Marquette, decisamente morto, cadde prima sul tavolo, poi crollò a terra,
portando con sé il coltello.
Il corvo si posò sulla superficie lignea.
«Era l'ultimo», disse Blessing.
«L'ultimo», concordò il corvo.
«Ora posso... posso riposare.»
«Sì», disse il corvo. «E io posso proseguire... per continuare a fare ciò
che devo.»
Blessing si guardò la mano. Era di nuovo rivestita di pelle. Certo, era in
uno stato pietoso, ma non c'erano dubbi che si trattasse di una mano. La
sollevò e si tastò il volto.
Sì. Per buona parte si era ricomposto.
Eppure, ora che aveva portato a termine la missione, sentiva di nuovo
venire meno la sua risolutezza. Sapeva di avere delle riserve, ma era
desciso a non finire ridotto in un ammasso di resti ripugnanti nella sua
stessa casa.
No, ora doveva trasferirsi in un'altra casa. La sua nuova casa era il
cimitero, dove sapeva di dover tornare.
«Devo tornare nella mia tomba», disse Blessing.
«Come tutti, prima o poi», replicò il corvo. «Ma nulla dura per l'eternità.
Vedrai.»
William Blessing si voltò e guardò sua moglie. Amy giaceva scomposta
sul pavimento, ancora priva di sensi.
«Non posso lasciarla così, con un ricordo simile.»
«No», convenne il corvo. «Tu hai il potere di aggiustare le cose,
Blessing.»
William Blessing annuì.
Si avvicinò alla moglie. Si chinò e le rassettò il maglioncino,
abbottonandolo. Poi, con estrema cura e riverenza, la sollevò e la prese tra
le braccia.
William Blessing la portò al piano di sopra. L'adagiò sul loro letto,
appoggiandole delicatamente la testa sul cuscino. Ora che la sua rabbia si
era placata, provava solo amore. L'amore ardeva luminoso dentro di lui,
agendo da legante per il suo corpo precario.
I bellissimi capelli di Amy si irradiavano a ventaglio sul cuscino
ricamato. Era così bella che tolse al morto il poco fiato di cui disponeva.
Sembrava la principessa di una fiaba, mentre riposava, in attesa del bacio
del suo principe.
Le posò una mano sulla fronte.
«Riposa, Amy. Riposa per un giorno intero. Sogna. Ricordati di come
ero. Non ricordare quello che sono dovuto diventare.»
Avvertiva i suoi poteri rimescolarsi in lui, per poi cominciare ad agire
sulla moglie.
William Blessing venne travolto da un'ondata di intenso sentimento.
«Ora devo lasciarti, Amy», sussurrò. «Quando ti risveglierai, l'orrore
sarà scomparso; e guarirai in fretta. Guarirai presto. E io posso lasciarti
solo il mio nome, se lo vuoi... e una benedizione. Una benedizione perché
tu possa continuare a vivere la tua vita consapevole del valore, del signifi-
cato e della bellezza che hai regalato alla mia.»
William Blessing si chinò e, con labbra che di nuovo si decomponevano,
baciò la guancia arrossata della moglie viva.

Mentre Blessing passava davanti alla porta del suo vecchio ufficio,
diretto al cimitero e al riposo eterno, il corvo si posò sulla sua spalla
sinistra. Poi squillò il telefono.
Senza essere in grado di spiegare perché, William Blessing si fermò e
ascoltò.
«Risponde la Blessing Enterprises!» annunciò la voce allegra di Donald
Marquette dalla segreteria telefonica. «In questo momento non possiamo
rispondere alla vostra chiamata, ma lasciate un messaggio dopo il segnale
acustico.»
Bip.
«Donald!» chiamò «na voce. «Sono Roscoe Mithers! Sì, so che è tardi,
ma la riunione si è protratta e poi sono andato a cena con l'editore. Questo
è il giorno più eccitante della mia vita. Erano tutti entusiasti delle tue idee!
Le hanno accolte dalla prima all'ultima! E hanno accettato anche alcune
delle mie! C'erano tutti i direttori di divisione, e il caso ha voluto che fosse
presente anche il direttore generale del settore media della sede sulla costa
occidentale, che si trovava a New York per affari. C'è molto, moltissimo,
interesse a sfruttare appieno il nome e l'eredità di William Blessing. E non
stiamo solo parlando di libri, ma anche di film, di televisione, di video, di
merchandising, di concessioni... I diritti per la produzione delle statuette
ammonteranno da soli a una cifra da capogiro! La tua idea di associare il
tuo nome a quello di Blessing per la pubblicazione di libri scritti a quattro
mani ha mandato tutti in visibilio. E vogliono che sia io il responsabile per
l'intera operazione!
«Ma la cosa migliore è stata l'approvazione immediata che ho avuto
dall'editore durante la cena per una mia idea: una serie di libri William
Blessing come parte della collana Tramonto oscuro, ma scritti da te.
Unione delle forze, Donald! Sinergia! Una brillante strategia di marketing,
non credi? Le possibilità sono infinite. Per cui ti prego di richiamarmi. Ho
urgente bisogno di parlarti. Chiamami appena puoi domani mattino, in
ufficio, o anche stasera, a casa. Il numero ce l'hai. Svegliami pure! Non c'è
problema. Gesù, Donald! Non avevo idea di quanto grossa si sarebbe
rivelata tutta questa operazione. Sei un genio. Sono in debito con te! Che il
sole possa sempre splendere...»
Blessing alzò la cornetta.
«Pronto?» disse Mithers. «Sei tu, Donald? Lo sapevo che se avessi
parlato abbastanza a lungo avresti risposto. Hai sentito tutto?»
«Basta così», rispose il morto.
«Ehi, chi parla? Lei non è Donald.»
«Sono l'esecutore dell'eredità letteraria di William Blessing. Donald
Marquette ha dovuto rassegnare le dimissioni.»
«Una decisione improvvisa, non c'è che dire», replicò Mithers, senza
sforzarsi di mascherare i suoi dubbi sulla situazione, il timore che
qualcuno stesse in qualche modo tentando di fargli le scarpe.
«Si è presentata una questione di primaria importanza e Marquette si è
ritrovato nell'impossibilità di svolgere le sue mansioni.»
«Ma avevamo un accordo. Stavamo discutendo dei dettagli», obiettò
Mithers.
«Ha firmato un contratto? Un accordo scritto?»
«Non esattamente, ma un patto è un patto.»
«Già, immagino che lo sia. Anche nel caso di un patto con il diavolo.
Anzi, soprattutto in quel caso.»
All'altro capo del filo ci fu una lunga pausa di silenzio mentre Mithers
cercava di elaborare una risposta. Cominciava ad avere un brutto
presentimento. La strana voce al telefono sembrava impastata di terra
umida. C'era da farsi venire i brividi, pensò l'editor. Riusciva quasi a
immaginare che all'altra estremità del filo potesse esserci davvero uno
zombie, o qualche altra creatura resuscitata dalla morte uscita dal pantheon
di Tramonto oscuro.
«Signor Mithers», continuò l'inquietante voce. «Qualsiasi accordo lei
possa credere di aver stretto con gli esecutori testamentari di Blessing è da
considerarsi nullo. Revocato e rescisso. Mi capisce?»
«Francamente, no, non capisco. Chi è esattamente lei? Dov'è Marquette?
Tutto questo non ha senso.»
«E invece lo ha, signor Mithers. Tutto è perfettamente sensato. E voglio
chiarirglielo.»
Un'onda d'urto di orrore si propagò lungo la linea telefonica,
percorrendo le fibre ottiche e abbattendosi su Mithers tra un respiro e
l'altro. Un fuoco di fila di immagini di morte gli assalì la mente. La sua
mano si strinse con tale forza attorno al telefono che il ricevitore si incrinò.
Non poté fare altro che tremare impotente mentre la Morte, in tutte le sue
forme, ribolliva nel suo cervello, raggelandogli il sangue. Cominciò a
piangere e a perdere bava dagli angoli della bocca, l'anima trafitta da gelidi
e incandescenti fendenti di terrore.
Ora capisci perché è impossibile portare avanti i tuoi progetti?
sembrava domandare la voce da un punto dietro il suo orecchio sinistro.
Sarebbe molto deleterio per la tua salute. Ora dormi.
Come se fosse stato improvvisamente sganciato da una forca, Mithers
cadde a terra privo di sensi ansimando.
A Baltimora il corvo planò sulla scrivania. «Sono impressionato», si
complimentò con Blessing. «Ci stai davvero prendendo la mano nel ruolo
di vendicatore risorto. Peccato che tu non sia stato ucciso per linciaggio da
una folla di malviventi.»
«Credi che abbia recepito il messaggio?» domandò Blessing,
riagganciando il ricevitore.
«Non capirà mai perché», rispose l'uccello, «ma il semplice suono del
tuo nome evocherà nel signor Mithers una personalissima e incontrollabile
forma di terrore. Non passerà molto tempo prima che cominci a prendere
in considerazione la possibilità di cambiare lavoro e campo di attività.»
«Già. Anch'io ho bisogno di cambiare attività, a questo punto», disse
Blessing.
Sostò per un attimo nella sala Poe per attingere sostentamento da ciò che
rimaneva della dimensione terrena di Donald Marquette. La staffa.
Poi William Blessing uscì nella notte, diretto al suo appuntamento con la
tomba.

Epilogo

E il corvo, senza mai volare, siede ancora, siede ancora


Sul pallido busto di Pallade sopra la mia porta
E i suoi occhi sembrano quelli di un demone sognante
E la luce della lampada getta la sua ombra a terra
E la mia anima da quell'ombra che galleggia sul pavimento
Non si solleverà - mai più!

EDGAR A. POE, «Il corvo»

1849

Avvertì sul suo corpo la pesantezza della nebbia che giungeva dalla baia
mentre giaceva nel vicolo di Fells Point.
Si destò e subito venne scosso da violenti tremori. Il freddo; un freddo
terribile. Lo trapassava senza pietà come la lama di un coltello. L'uomo
tremava in modo spaventoso mentre si alzava e si trascinava sopra i
ciottoli. Batteva i denti.
L'odore del mare e l'odore di marcio erano forti e sembravano ricadere
su di lui come una patina umida. Ondate di caldo e di freddo e di violento
orrore lo lasciavano in preda a un parossismo di brividi e vampate, brividi
e vampate...
Tremante, sbucò dal vicolo e vide la nebbia avviluppare vecchi edifici e
moli, il languido movimento delle acque scure... In alto, sopra una
carrozza trainata da una coppia di cavalli, notò un volatile, enorme e nero,
che si allontanava nella foschia battendo le ali.
Poco distante da lui un uomo che indossava un abito, con gilet e un
cappello a cilindro camminava a braccetto di una donna, in testa una cuffia
e in mano un ombrello guarnito di nappine. Nella strada si mescolavano gli
odori dei cavalli e quello di un mercato.
Mentre zoppicava in direzione della coppia, le ginocchia gli cedettero.
Ansimante e scosso da brividi, cadde in una pozzanghera di fango.
Non riuscì neppure a reggersi in ginocchio, e cadde riverso in avanti.
L'oblio della perdita della conoscenza volteggiò attorno a lui come uno
sciame di irati e alati frammenti di notte.
Come mi chiamo? domandò una voce. Come mi chiamo?
Una seconda voce rispose, ma lui non fu in grado di sentire.
«Signore! Si è fatto male?» domandò l'uomo.
«No, sto bene», rispose, riuscendo in qualche modo a rialzarsi. «Sono
solo... bagnato. E infreddolito per via di queste maledette piogge. Qualcosa
da bere! Ecco di che cosa ho bisogno. Qualcosa da bere per scaldarmi. Mi
potrebbe indicare dove posso prendere un drink, signore?»
«Ma certo. Laggiù c'è il Gunner's Hall. Oggi è giorno di elezioni, e ci
troverà molta gente impegnata a votare», disse l'uomo. «Lì troverà
qualcosa da bere... E anche aiuto, se ne ha bisogno.»
«Sì», borbottò mentre si girava e puntava barcollando in direzione
dell'edificio indicato dall'uomo. «Lontano dai miei nemici.»
Mentre zoppicava lungo la strada la nebbia di Fells Point cominciò a
penetrargli di nuovo nella mente...

«Signor Poe», chiamò una voce. «Beva, signor Poe. Deve bere
quest'acqua.»
Si destò e vide l'immagine offuscata di un uomo vestito di nero, con
folte basette, che gli offriva un bicchiere d'acqua. Venne immediatamente
colto dai dolori, devastato dalla febbre e della sudorazione abbondante.
Vedendo che si era risvegliato, il medico gli premette l'orlo del bicchiere
contro le labbra, lasciandone cadere una goccia sulla sua lingua secca.
Buona parte dell'acqua colò dalla bocca sul pigiama.
Poe, pensò. Io non mi chiamo Poe!
Ma se non si chiamava Poe, pensò, in preda a brividi alternati a fitte di
dolore, qual era il suo nome?
Un altro po' d'acqua nella bocca, poi gli permisero di riadagiarsi sul
guanciale. Sentiva nell'aria odore di liscivia e di malattia: si trovava in
qualche ospedale antiquato.
Mentre si abbandonava al sonno, brandelli di memoria tornarono alla
sua mente... tutti accompagnati da spasmi di dolore e da infinita
malinconia.
Virginia, morta di tubercolosi. Una lunga, tormentosa agonia.
La lunga e terribile battaglia contro l'alcol, quell'angelo di lenimento
contro la tortura di una vita fatta di stenti e di cordoglio...
Alcol, demone della disperazione, che gli procurava emicranie e
bruciori di stomaco, dolori lancinanti e una depressione senza fine...
Le sporadiche isole di liberazione che erano i versi e i racconti, le
recensioni e gli articoli, in un mare di pene e di guai.
Era quella la sua miserabile vita.
Ed era la vita, ora lo sapeva con certezza, di Edgar Allan Poe.
L'uomo si svegliò di soprassalto e scattò a sedere nel letto. «Ma io non
sono Poe!» urlò. «Che cosa ci faccio qui?»
«Io sono il dottor John J. Moran. Lei si trova al Washington Medical
College di Baltimora», lo informò l'uomo. «È stato trovato in stato di
semicoscienza al Gunner's Hall. Lei non sta affatto bene. Ha delirato.»
Tentò di scendere dal letto. Venne immediatamente circondato da
infermieri. Doveva tornare a casa, nell'Iowa... rimettersi al lavoro.
«Devo rimettermi al lavoro!» gridò. «Il lavoro mi aspetta! Devo
diventare uno scrittore di successo! È questo il sogno della mia vita!»
Le figure da cui era attorniato lo trattennero, costringendolo a sdraiarsi
di nuovo nel letto. «Ma lei è uno scrittore, signore. E anche un poeta molto
conosciuto. Ora si calmi! Deve rimanere fermo. Nelle condizioni in cui si
trova non è consigliabile agitarsi in questo modo.»
Le forti mani degli infermieri vennero rapidamente rimpiazzate da
cinghie di cuoio che lo legavano alle colonne del letto e gli impedivano
ogni movimento, a eccezione di quelli più inutili.
Mentre sprofondava di nuovo nell'oblio, sentì il medico sussurrare: «La
mesta e inarrestabile devastazione del demone alcol lo tiene stretto nelle
sue grinfie».
No! pensò lui. La rabbia! Poe è morto di rabbia!
E io non sono Poe!
No, io mi chiamo Donald Marquette!
Ma non riuscì a pronunciare quelle parole. Il torpore dei sensi si allungò
su di lui e lo reclamò. Non riuscì a fare altro che bofonchiare frasi senza
senso.
Gli sembrava di galleggiare in un mare di oscurità e di confusione. Lo
smarrimento e il delirio erano troppo grandi per consentirgli sentimenti di
rammarico, di riflessione o di pentimento per il sangue e il dolore che
sentiva gravare su di sé come un macigno.
Emerse ancora una sola volta dal suo stato confusionale.
«Dio aiuti la mia povera anima!» ansimò, muovendo avanti e indietro la
testa.
Quando udì le parole uscite di bocca, le riconobbe immediatamente.
Erano state le ultime parole di Poe. Spalancò il suo essere e si preparò
all'agognato sollievo del nulla e della morte.
Ma la morte, invece, giunse su nere ali.
Lo portò via, facendolo volteggiare come un marinaio aggrappato a un
relitto dopo un naufragio, in balia del maëlstrom. Giù, sempre più giù,
verso un nucleo profondo e oscuro...
E quel nucleo improvvisamente prese vita.
Sbattendo le palpebre, si trovò a guardare fuori da una finestra. Oltre il
vetro le foreste e gli scarni campi di un gelido autunno inoltrato. Il cielo
era oscurato da pesanti nubi scure. La stanza attorno a lui sapeva di
canfora e di polverosa mestizia. Avvertiva una sensazione di pesantezza
nel petto.
L'uccello nero che aveva richiamato la sua attenzione si librò in aria e si
posò sul tetto di un portico, da dove lo fissò con penetranti occhi marroni
venati di cremisi.
«Un uccello!» si udì esclamare. «Te l'avevo detto! Guarda l'uccello
nero!»
L'immagine riflessa nel vetro era il volto di un bambino.
Vedeva attraverso gli occhi di un bambino!
«Edgar!» chiamò la voce di una donna. «Vieni via da lì. Vieni a sederti
accanto alla tua povera mamma morta!»
«Maledizione», imprecò la voce severa di un uomo. «Ho già capito che
questo ci causerà dei guai.»
Si voltò.
Su un letto, circondata da persone che indossavano abiti del primo
Ottocento, giaceva una donna morta.
Inspiegabilmente, Marquette capì che si trattava della madre di Poe.
Che ora era anche sua madre...
Ricordò il suo sogno... il suo incubo.
Venne colto da un pensiero improvviso: allora doveva essere... il 1811?
O il 1812?
Ma che ci faccio qui?
E mentre la sua mente elaborava la domanda, andava già prendendo
forma la sconvolgente risposta.
Venne avvicinato da una donna. «È un corvo, John. C'è un grande corvo
nero, là fuori!»
«Allora scacciatela, quella maledetta bestiaccia», ordinò l'uomo cattivo e
accigliato. «È un cattivo presagio!»
L'anima di Donald Marquette attraverso gli occhi di Edgar Poe fissò la
creatura che lo aveva trasportato lì.
Intrappolato!
Era intrappolato nel corpo di un bambino condannato a vivere una vita
di inimmaginabili agonie, crisi depressive e indigenza!
Intrappolato in una sorta di infernale e infinito vortice temporale!
Vivere e morire... per rivivere...
In quell'essere maledetto...
L'estrema vendetta...
Per i suoi peccati...
Gli sembrò di sentire il corvo che gli parlava.
«Ora sei uno scrittore famoso in tutto il mondo, Donald», disse con voce
tagliente e inquietante. «Quello che hai sempre desiderato!»
Si appoggiò al vetro gelido e scuro della finestra e riuscì per un attimo a
parlare attraverso quella bocca di bambino, sapendo che non sarebbe mai
più riuscito a farlo, né a influenzare in alcuno modo l'ambiente o il destino
dell'individuo in cui si trovava.
Era condannato solo a soffrire, in eterno.
«Prega per me», implorò Donald Marquette rivolgendosi all'oscuro fato
che l'aveva condannato a sprofondare in quell'inferno, «perché sono
un'anima dannata come mai ne sono esistite.»
«Per quanto tempo?» domandò al corvo, cosciente che quel fugace
momento di piena consapevolezza volgeva al termine. «Quanto a lungo?»
L'uccello lo fissò e per un attimo i suoi occhi divennero occhi umani.
Occhi che avevano conosciuto un cordoglio smisurato.
Per quanto tempo? gridò l'anima tormentata di Donald Marquette.
Quanto a lungo?
E l'uccello aprì il becco per parlare.
Disse il corvo: «Sempre più!»

FINE

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