Sei sulla pagina 1di 9

Nwachukwu Stella

Musica e piacere in Aristotele


Introduzione

Nella Grecia antica la caratteristica fondamentale della mousiké, l’arte delle muse, era
il potere che essa esercita sull’uomo, come testimoniano le fonti che la coinvolgono da
protagonista: il mito d’Orfeo e quello di Dioniso sono attestazioni del potere
sovrannaturale della musica nel pensiero greco, e in particolare della sua capacità di
sovvertire le leggi naturali.
In ambito filosofico, questa attenzione al potere trasformativo della musica si
manifesta in particolare nei campi politico e pedagogico1: Damone, filosofo e musicista
Ateniese, ne parla nell’Areopagitico, discorso politico, dove sottolinea la necessità di
ufficializzare l’educazione musicale per mantenere l’equilibrio dello stato; Platone ne
sottolinea importanza e pericoli nella Repubblica, considerandola parte essenziale
dell’educazione tradizionale nella formazione dei reggitori della polis; e Aristotele ne parla
nella Politica.2 In particolare, le funzioni della musica indagate dal filosofo fondatore della
scuola peripatetica si riferiscono all’ambito etico, politico e pedagogico, come nella
tradizione platonica; tuttavia si vedrà come vi si discosti, non limitandosi a valutare la
musica in base ai suoi meriti pedagogici, ma immettendovi un’istanza edonistica valida sì
per l’educazione, ma anche per altri scopi.
In questo lavoro sarà dunque data particolare attenzione al modo in cui tale nesso
tra musica e piacere si articola nel pensiero aristotelico: ci si soffermerà in primo luogo su
come la musica crei piacere, e poi su come tale piacevolezza può essere utilizzata sul piano
pedagogico, etico e politico, attraverso l’analisi di frammenti del libro VIII della Politica e del
IX dei Problemi.

1
A eccezione del pensiero pitagorico, dove la musica ha rilevanza particolare nella concezione cosmologica della scuola e nello studio
delle leggi dell’armonia musicale.
2
FUBINI, L’estetica musicale dall’antichità al settecento, pp 3-28
Sul perché si gode della musica

Nonostante nella Politica Aristotele affermi più volte come il piacere uditivo sia
organicamente legato alla musica, è utile interrogarsi sulle ragioni per le quali la musica
provoca piacere nell’uomo: per fare ciò mi soffermerò in particolare sul XIX libro dei
Problemi, legato ai problemi musicali. 3
Il filosofo si pone tale quesito esplicitamente nel Problema 38, culmine della
meditazione sulla musica nei Problemi, nel quale si ravvisano quattro ipotesi a tale
proposito. Si dividerà l’estratto in tre parti per facilitarne l’analisi.

«Perché godono tutti di ritmo, di canto e, in generale, di armonie? Forse perché godiamo per natura dei
movimenti naturali? E ne è prova il fatto che, appena nati, i piccini godono di tali cose. Godiamo dei
diversi tipi di canto per il loro carattere morale. »4

La prima ipotesi riguarda il piacere che provano gli uomini nei movimenti naturali.
Improbabile che si stia descrivendo l’equazione musica = movimento = piacere, in quanto in
altri testi del Corpus Aristotelicum si critica la concezione di piacere come movimento
condivisa da molti pensatori a lui contemporanei, come ad esempio i Cirenaici. Lettura
forse più convincente, di Marenghi 5, è che il movimento a cui si fa riferimento non sia in sé
il piacere, ma che il piacere derivi dalla mimesis, l’imitazione. Essa viene invero identificata
nel principio della Poetica come naturale fonte di piacere per gli uomini6: l’imitazione è in
noi per natura.
Tale interpretazione sarebbe coerente con la seconda ipotesi, riguardante il carattere
morale della musica. Infatti, nel Problema 27, chiedendosi la ragione per la quale solo ciò
che si ascolta tra gli oggetti di sensazione abbia carattere morale, ipotizza che il motivo sia
che

«[...] solo quel che si ascolta ha un movimento, non certo quello che il suono produce in noi – un
movimento tale esiste pure negli altri sensi, perché, certo, anche il colore muove la vista – ma noi
avvertiamo il movimento che segue a un tale suono. Questo movimento ha somiglianza con le forme di

3
Per chiarezza e linearità discorsiva, un modo in cui la musica causa piacere, ovvero attraverso la purificazione, non sarà trattato in
questa sezione, ma ve ne sarà accenno nel capitolo "Catarsi: la musica come purificazione”.
4
ARISTOTELE, Probl. (IX, 38)
5
MARENGHI, (ed.), Aristotele, Problemi Musicali, Firenze 1957
6
ARISTOTELE, Poetica (4,1448b): «Sembra che due cause, entrambe naturali, abbiano dato fondamentalmente origine all’arte
poetica: il fatto che l’imitazione sia cosa ingenita negli uomini fino dalla fanciullezza – l’uomo differisce dagli altri animali in ciò che è
quanto mai proclive all’imitazione e si procura mediante l’imitazione i primi apprendimenti; il fatto che tutti godano delle
imitazioni.»
carattere morale sia nel ritmo sia nella disposizione dei suoni acuti e gravi, non nella loro mescolanza.
[...] Questi movimenti sono legati all’azione e le azioni sono sintomi di carattere morale.»7

La differenza risiede quindi nel movimento: ascoltando la musica si avverte un


movimento simile alle forme di carattere morale presenti nel ritmo e nella melodia; il
movimento è quindi l’elemento comune tra suono e animo, e su ciò si fonda la capacità
imitatrice della musica. È il movimento insito alla musica, che la distingue dalla staticità di
altre arti (come ad es. pittura o scultura), a permettere questo particolare effetto nell’animo.
La lettura dell’Ottavo libro della Politica è d’aiuto nell’analisi di questo passaggio: queste arti
“statiche” hanno un effetto nell’animo, ma “in piccola misura”, e non sono imitazione di
caratteri, bensì di segni. A questo proposito, il Problema 29 è complementare al problema
analizzato in precedenza: anche in esso si afferma che ritmi e canti sono movimenti, come le
azioni: e l’azione (che è attività) è un fatto morale, e produce quindi un carattere morale. Per
questa ragione anche ritmi e canti assomigliano a caratteri morali. Il piacere sarebbe causato
quindi, seguendo la linea di lettura di Marenghi, dai suoni imitativi, che spingono l’animo
dell’uomo nello stato d’animo corrispondente. Il piacere non è il movimento, ma dal
movimento può nascere il piacere.

«Godiamo del ritmo, perché ha un numero ben conosciuto e stabilito e ci muove secondo un modo
ordinato: in effetti il movimento ordinato ci è per natura più proprio di quello non ordinato e di
conseguenza è anche più in accordo con la natura. Ed eccone la prova: se compiamo gli esercizi, beviamo
e mangiamo secondo un modo ordinato, preserviamo e rafforziamo la nostra natura e la nostra capacità:
le roviniamo e le distruggiamo se lo facciamo secondo un modo disordinato; e, infatti, le malattie del
corpo sono innaturali sconvolgimenti dell’ordine.»8

La terza ipotesi è legata al ritmo e al piacere insito nell’ordine. Nella concezione


aristotelica ciò che è ordinato è bello9, e qui si afferma che dato che l’ordine è lo stato
naturale dell’uomo, allora le attività che muovono per moto ordinato ci sono naturali, e
quindi piacevoli. Per supportare la sua tesi si avvale dell’esperienza: per preservare le proprie
facoltà è necessario nutrirsi e fare esercizio in modo ordinato, e la malattia del corpo è
distruzione di questo ordine. Il senso dell’ordine è effettivamente una costante nel pensiero
di Aristotele: in ambito edonistico, ad esempio, afferma che riposo e divertimento devono
essere fatti in maniera saggia, seguendo i dettami della temperanza, la capacità di trovare il

7
ARISTOTELE, Probl. (IX, 27)

8
ARISTOTELE, Probl. (IX, 38)
9
ARISTOTELE, Etica Nicomachea (7): « Il bello consiste nella grandezza e nell’ordine.»
giusto mezzo tra incontinenza e insensibilità. Il tema dell’ordine è riproposto nella quarta
ipotesi.

«Godiamo dell’armonia perché è mescolanza di contrari che stanno tra loro in un determinato rapporto.
Ora il rapporto è ordine ed è nell’ordine che il piacere naturale consiste. Tutto quel che è mescolato è più
piacevole di quel che non è mescolato, soprattutto se, a livello di sensazione, i due estremi hanno
nell’armonia un rapporto di uguale valenza.»

Aristotele osserva che il piacere può derivare da ciò che è mescolato, e si avvale del
criterio della somiglianza; il piacere consisterebbe nell’ordine dei rapporti armonici.
D’altronde, il piacere si trova in misura maggiore in ciò che è mescolato. In particolare, si fa
riferimento al caso in cui “i due estremi hanno nell’armonia un rapporto di uguale valenza”,
probabilmente riferendosi ai suoni naturalmente in consonanza tra loro.
In ultimo, si può fare un breve appunto riguardante il piacere che deriva dal pensiero
derivante dall’ascolto della musica, esplorato nel Problema 5.

«Perché ascoltiamo con più piacere il canto di melodie conosciute che di melodie
sconosciute? Forse perché quando già conosciamo il motivo cantato, meglio appare che egli
raggiunge, diciamo così, il suo fine? E considerare questo è piacevole. Ovvero perché è
piacevole l’imparare? Motivo di ciò è che “l’imparare” è sia acquistare dottrina sia usarla e
ripensarla. D’altronde l’abituale è più gradevole del non abituale.»10

Aristotele, chiedendosi perché si goda maggiormente nel riascoltare una melodia già
conosciuta, afferma che godiamo nel constatare che il cantore raggiunge il suo fine; in
particolare il piacere nasce nel ripensare una dottrina acquisita, ipotesi di Marenghi che
afferma che, tenendo in considerazione l’ideale aristotelico della conoscenza come desiderio
e piacere di ogni essere umano, in questo problema il piacere del riascolto risiede nel
raggiungere una maggiore comprensione del brano. Si sa, d’altronde, che per il filosofo il
piacere più grande è il pensiero. Tale ipotesi è supportata dal Problema 911, nel quale si
sostiene che un corretto accompagnamento musicale (non eccessivo, pena l’oscuramento del
canto) renda l’ascolto del canto stesso più piacevole, in quanto permette al cantore di
raggiungere il suo fine più facilmente.

10
ARISTOTELE, Probl. (IX, 5)
11
ARISTOTELE, Probl.(IX, 9)
La musica, il riposo e il divertimento

Nel libro VIII della Politica Aristotele si interroga sulle ragioni per le quali si
dovrebbe inserire la musica nell’educazione: essa vale come strumento educativo, come
riposo, o come ricreazione intellettuale? In primo luogo tratta quest’ultima ipotesi. Afferma
che

«[...] la ricreazione intellettuale, per ammissione concorde di tutti, deve avere non soltanto
nobiltà, ma anche piacere (perché l’essere felici deriva proprio da questi due elementi) e la
musica diciamo tutti che è delle cose piacevoli, sia sola, sia accompagnata dal canto [...]: di
conseguenza anche per tale causa si potrebbe supporre che i giovani debbano apprenderla.»12

Il divertimento deve essere nobile (e infatti Aristotele, parlando della concezione


della musica negli antenati, afferma che la inserirono nell’educazione per “lo svago nobile
che c’è nell’ozio”: ozio inteso non come assenza di attività, ma esecuzione di attività fini a se
stesse), ma anche piacevole. La felicità nasce dall’unione di questi due fattori, e non può da
essi prescindere. Il fatto che la musica sia un piacere giusto, quindi, rende già di per sé valido
il suo insegnamento. Prosegue considerando il rapporto tra il piacere della felicità e quello
del riposo e del divertimento.

«Infatti tutti i piaceri innocui non sono solo convenienti al fine, ma anche al riposo, e poiché
raramente capita agli uomini di stare nel fine, mentre spesso si riposano e si danno ai
divertimenti non tanto in vista di qualcos’altro, ma solo per il piacere, sarebbe utile trovare
riposo nei diletti che dalla musica derivano. Ed è per ciò capitato agli uomini di farsi dei
divertimenti un fine: certo, pure il fine contiene un piacere, anche se non uno qualsiasi, e
cercando questo, prendono l’altro come se fosse questo, perché ha una certa uguaglianza col
fine delle azioni. E infatti il fine non è desiderato in vista di qualcosa che ne risulterà e i piaceri
di tal sorta non lo sono in vista di qualcosa che ne risulterà, bensì di cose accadute, quali le
fatiche e le sofferenze. E si potrebbe a ragione supporre che è questa la causa per cui gli uomini
cercano di procurarsi la felicità mediante tali piaceri: quanto al darsi alla musica non si può
spiegare solo con questa ragione, ma anche perché, come pare, è utile al riposo. »13

I piaceri non tendono solo al fine, ovvero alla felicità, ma anche al riposo; e visto che
gli uomini non sono spesso felici, ma sovente si riposano e si divertono, la musica può essere
utile in questo senso: pur non essendo la felicità, essi, attraverso il piacere, a lei tendono.
Cercando il piacere che caratterizza la felicità arrivano al piacere del divertimento. Dunque
12
ARISTOTELE, Politica (VIII, 5)
13
Ib.
da un lato la musica è utile al riposo in quanto lenitrice delle fatiche dell’essere umano, come
“una medicina delle sofferenze procurate dalle fatiche", ma dall’altro Aristotele suppone che
l’uomo cerchi la felicità nel piacere della musica, nel riposo che consente e nel divertimento
che ne deriva per eliminare fatiche e sofferenze.

Il piacere della musica come strumento educativo

Il principio che guida l’educazione nella concezione aristotelica si riassume in questo


passaggio dell’Etica Nicomachea:

«Si vede che il piacere è del tutto proprio alla nostra natura e per ciò educano i giovani
dirigendoli col piacere e col dolore: si vede inoltre che ha importanza notevole anche per
formare l’eccellenza del carattere godere di ciò di cui si deve godere e detestare ciò che si deve
detestare. In effetti piacere e dolore durano per tutta la vita col loro peso e la loro influenza nei
riguardi della virtù e della vita felice, perché si sceglie quel che è piacevole, si fugge quel che è
doloroso.»14

In questo estratto Aristotele sottolinea il fatto che il piacere sia parte integrante della natura
umana, e per questa ragione funzionale all’educazione dei giovani: infatti, dato che si ricerca
ciò che è piacevole e si rifugge ciò che è doloroso, è giusto educare i giovani dirigendoli con il
piacere verso ciò che è giusto. Si sposta quindi sul piano etico, nominando la virtù: il piacere
è utile per formare il carattere, in quanto la virtù in Aristotele è azione non solo giusta, ma
anche piacevole per chi la compie: insegnare a provare piacere nel modo giusto, dunque,
permette di assimilare le azioni virtuose e di compierle non solo perché giuste, ma perché
piacevoli. La virtù non consiste in un mero compiere atti giusti per caso, ma risiede
nell’abitudine che è incoraggiata dal piacere; lecito è dire che, in Aristotele, l’etica e il piacere
inteso in uno dei tanti sensi che Aristotele vi assegna, coincidono. Lo stesso concetto
espresso nell’Etica Nicomachea declinato in ambito musicale si esprime nelle righe
successive del passaggio analizzato in precedenza dell’VIII libro della Politica:

«Ma poiché la musica possiede come qualità accidentale di essere piacevole, e la virtù concerne
il godere, l’amare e l’odiare in maniera giusta, è chiaro che a niente bisogna tanto interessarsi e
abituarsi quanto al giudicare in maniera giusta e al godere di caratteri virtuosi e di nobili
azioni.»15

14
ARISTOTELE, EN (B, X)
15
ARISTOTELE, Politica (VIII, 5)
Il piacere derivante dalla musica diventa quindi uno strumento utile all’educazione dei
giovani. L’educazione musicale può portare sulla via della virtù quando ancora non si sa
quali siano le azioni virtuose, abituandosi a provare sentimenti nella maniera giusta; essa non
è mera trasmissione di emozioni, ma insegna agli studenti a riconoscere le qualità morali
nella musica, generando in loro un atteggiamento ispirato da nobiltà e bellezza. E che nei
ritmi e nei canti vi siano rappresentazioni di tali qualità morali si osserva dall’esperienza:

«[...] nei ritmi e nei canti vi sono rappresentazioni, quanto mai vicine alla realtà, d’ira e di
mitezza e anche di coraggio e di temperanza e di tutti i loro opposti e delle altre qualità morali
(e questo è provato dall’esperienza, ché quando li ascoltiamo, data la loro natura, sentiamo una
trasformazione nell’anima): l’abitudine, poi, di addolorarsi o di gioire di fronte alle
rappresentazioni è un po’ come il comportarsi allo stesso modo nella realtà» 16

Segue una spiegazione concreta di questo fenomeno, prima considerando i modi, poi i
ritmi. Rifacendosi a teorie a lui precedenti, afferma che, ad esempio, chi ascolta il modo
mixolidio si sente “triste e grave”, chi ascolta i modi “molli” si sente “abbandonato nello
spirito”, chi ascolta il modo dorico “moderato e composto”, chi ascolta il frigio entusiastico.
Per quanto riguarda i ritmi il discorso è simile: taluni hanno carattere agitato, talaltri grave,
taluni sono volgari, talaltri nobili, e in modo corrispondente muoveranno l’anima
dell’ascoltatore.

Catarsi: la musica come purificazione

Utile, in ultimo, è anche un accenno alla teoria della catarsi in relazione alla musica, in
quanto è qui che Aristotele si distacca fondamentalmente da Platone nell’uso della musica
in ambito educativo: infatti, se il secondo vieta fermamente l’utilizzo di tutti i modi a
eccezione di quelli che dimostrano nobiltà d’animo e temperanza 17, e sottolinea la necessità
di norme che ne regolino l’uso18, il primo li ritiene tutti validi, anche se in occasioni diverse.
Aristotele critica direttamente il Socrate della Repubblica: se in ambito educativo il primo
ritiene effettivamente necessario che i giovani siano esposti solo a modi e melodie etici, e
quindi in particolare ai canti dorici, vero è anche che riconosce la necessità di adoperare tutti
i modi, seppur con intenzioni diverse.

16
Ib.
17
PLATONE, Repubblica, libro III, pp. 940-941
18
Ib., pag 957
«In effetti le emozioni che colpiscono con forza talune anime esistono in tutte, ma
differiscono per la minore o maggiore intensità, ad esempio la compassione, la paura e
anche l’entusiasmo: ci sono, infatti, taluni, soggetti a questo perturbamento e, come
effetto delle melodie sacre, noi li vediamo costoro, quando sono ricorsi alle melodie che
trascinano l’anima fuori di lei, ridotti in uno stato normale, come se avessero ricevuto
una cura e una purificazione.»19

La catarsi aristotelica è omeopatica, non allopatica come quella damoniana: il sollievo deriva
dal provare una passione identica a quella già presente nell’anima. La musica può quindi
correggere le cattive inclinazioni dell’animo attraverso l'imitazione del vizio stesso. Questa
purificazione che trascina l’anima fuori di sé genera quindi sollievo accompagnato da
piacere.
Inoltre, a seconda del modo in cui l’individuo partecipa di una passione negativa, egli
deve purificarsi in maggiore o minore misura da essa: per questo Aristotele sostiene la
necessità di riservare competizioni e spettacoli dedicati a spettatori grossolani e ignoranti,
dato che la loro anima è maggiormente deviata dalla sua condizione naturale, e necessita
dunque, per purificarsi, di modi e ritmi non adatti a gente libera, nobile e colta. Si può
affermare che, in un certo senso, l’anima dello spettatore rozzo possa essere rieducata grazie
all’azione catartica della musica.

Conclusione

Come si è visto in questa analisi, allo stesso modo in cui, in generale, il piacere in
Aristotele è un concetto multisfaccettato, ciò è certamente valido anche per quanto
riguarda il piacere creato nell’uomo dalla musica. Tale piacere è fondamentale in ambito
educativo, in quanto l’educazione musicale può indirizzare alla virtù quando, giovani,
ancora gli uomini non comprendono cosa siano la virtù e la felicità. Ma il piacere che deriva
dalla musica non è solo funzionale all’educazione, la rende anche un balsamo per l’anima,
atta al divertimento e al riposo. Infine, la musica può fungere altresì da strumento di
purificazione omeopatica dalla quale l’uomo trae piacere.
Aristotele non è il primo ad affermare che la musica giovi al benessere dello stato e
dell’individuo, ma è forse l’attenzione all’aspetto edonistico della musica che lo differenzia
dai più influenti filosofi che prima di lui parlano di essa.20 Aspetto edonistico che, tuttavia,

19
ARISTOTELE, Politica (VIII, 7)
20
Ci si riferisce qui in particolare all’ambito filosofico: certo è che nell’antichità come oggi si ascoltasse musica perché essa è piacevole.
Ad esempio, nel De Musica lo Pseudo Plutarco osserva come la musica avesse ruolo essenziale nei banchetti, per dare sollievo ai
partecipanti.
non rende Aristotele mero edonista: se per gli edonisti ogni piacere è bene, per Aristotele è
la felicità ad essere il fine ultimo, mentre il piacere uno strumento nel suo raggiungimento.
Necessario è considerare quale tipo di piacere porti a una vita felice, che è una vita bella e
buona. Dunque, in questa concezione della musica, essa non è ridotta a espediente limitato
all’ambito pedagogico, né ad un piacere fine a sé stesso: è uno strumento che aiuta a
raggiungere la felicità.

Bibliografia

- Aristotele, Problemi Musicali, G. Marenghi, Firenze 1957


- Aristotele, Scritti sul piacere. Testi scelti, tradotti e commentati da Renato Laurenti, a cura di
A. Stavru, (prima edizione 1989) Aesthetica Edizioni, 2022
- Fubini Enrico, L’estetica musicale dall’antichità al settecento, Giulio Einaudi Editore s.p.a.,
Torino 1976
- Platone, Tutte le opere. La Repubblica, le Leggi, gli altri dialoghi, a cura di Giovanni
Pugliese Carratelli, Sansoni Editore, Firenze 1989

Potrebbero piacerti anche