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RIASSUNTO

Salvatore D’Onofrio
LÉVI-STRAUSS E LA CATASTROFE
NULLA È PERDUTO, POSSIAMO RIPRENDERCI TUTTO

Il libro pone l’attenzione su quei problemi e fenomeni eterogenei che affliggono l’umanità e che le
scienze sociali hanno raggruppato sotto il termine di “catastrofe”. In particolare andremo ad
esplorare in modo critico l’atteggiamento di Lévi-Strauss nei confronti del periodo della
Rivoluzione Industriale che egli situa tra conquista dell’America e i genocidi del XX secolo –
genocidio degli ebrei a cui egli stesso è riuscito a sfuggire. Viviamo in un “tempo di catastrofi” che
il progresso tecnologico non sembra più in grado di contrastare. Ma le recenti crisi ecologiche
(da Chernobyl al “morbo della mucca pazza”) non sono forse legate ad altri eventi che hanno
segnato per sempre il destino dell’umanità – come i genocidi seguiti alla conquista dell’America o
la Shoah? Il libro risponde a questa domanda, attraverso una lettura originale di Lévi-Strauss.
Salvatore D’Onofrio, tracciando un ritratto di Lévi-Strauss mostra come le idee di questo
intellettuale francese, ribelle e non consensuale, forniscano le chiavi per pensare sia l’avvento
della catastrofe sia la possibilità di uscirne. Vero e proprio manifesto antropo-ecologico, questo
libro si propone di considerare l’urgenza di un nuovo rapporto degli uomini con la natura, quindi
tra di loro. Questo è ciò che Lévi-Strauss aveva imparato dagli Amerindiani del Brasile e di cui
l’umanità ha grande bisogno.

IL RITORNO

«Ciò che constato è la devastazione attuale; è la scomparsa spaventosa delle specie viventi, siano
esse vegetali o animali; e il fatto che a causa della sua attuale densità, la specie umana vive in una
sorta di regime di avvelenamento interno - se così posso dire - e penso al presente e al mondo in
cui sto terminando la mia esistenza. Non è un mondo che amo».

Queste parole, pronunciate da Lévi-Strauss il 28 ottobre 2004, veicolano concetti che non
dipendono soltanto dai sentimenti cui può spingere l’età avanzata, ma attingono anche alle stesse
motivazioni che lo spinsero a introdurre l’analisi strutturale 1in antropologia.

Obiettivi di questo libro sono:

1
Lo strutturalismo è un modello metodologico e di pensiero nato originariamente nel campo della linguistica grazie a
Ferdinand de Saussure e si afferma, soprattutto in Francia, negli anni Cinquanta e Sessanta del ’900 in varie discipline:
dall’antropologia, dove fu introdotto da Lévi-Strauss, alla psicoanalisi, alla sociologia, sino alla critica letteraria. Lévi-
Strauss si avvicina alla linguistica e ciò che lo affascina è il rigore metodologico, che per molti aspetti la avvicina alle
scienze della natura e che gli fa pensare all’antropologia come a una scienza oggettiva che riesca a spiegare i fenomeni
culturali senza dipendere da interpretazioni soggettive, ma attingendo a strutture profonde, comuni a tutte le culture
umane. Egli riprende dunque il concetto di struttura, inteso come un sistema di relazioni costanti tra elementi al cui
interno i singoli elementi assumono significato e funzione solo in virtù di un tutto e si presentano come parti
interdipendenti di esso, ma lo riformula completamente in un “sistema di relazioni latenti nell’oggetto”, con la
convinzione che questo sistema di relazioni sia diffuso in ogni civiltà umana, come una sorta di matrice logica
inconscia.
1. Mostrare che l’attenzione di Lévi-Strauss ai problemi che preoccupano in questo
momento l’umanità - e che hanno permesso di riunire alcuni fenomeni eterogenei sotto la
nozione di “catastrofe” - non è estranea all’elaborazione dei principi dello strutturalismo.
2. Esporre il punto di vista critico di Lévi-Straus verso le forme della vita sociale che hanno
accompagnato la rivoluzione industriale.

Si evocano due opere di Lévi-Strauss:

• Tristi Tropici, 1955 (soprattutto la parte intitolata “Il ritorno”). Questo libro rappresenta per
l’autore stesso una sintesi di ciò che ha scritto e sognato. Quasi tutte le sue posizioni
eticopolitiche degli anni ’50 prefigurano alcune delle calamità che affliggono il cosiddetto
mondo globale in cui viviamo attualmente.
• Saudades do Brasil, 1994.

Due libri che prolungano le sue riflessioni sul tema della memoria sotto lo stesso segno della
nostalgia e della malinconia. Di ritorno al Brasile (dove aveva fatto esperienza in Amazzonia e
studiato presso l’Università di San Paolo) sembra non comprendere la gravità degli eventi che, con
il governo Vichy –divenuto nel frattempo un governo collaborazionista nazista- lo costrinsero a
viaggiare verso l’America. Egli apparteneva alla generazione del ’45, che aveva vissuto la Prima
Guerra Mondiale e che era consapevole delle sue conseguenze.
In merito al genocidio degli Ebrei, gli intellettuali ebrei nelle loro opere fanno molteplici
riferimenti, ma con uno stile asciutto: non fanno una riflessione aperta sul genocidio; i riferimenti
al genocidio sono pressoché assenti, tanto che si parla di questi scrittori/autori come della
“generazione del silenzio”. Il “male assoluto” nella visione occidentale è identificato con la Shoah.
Intellettuali inglesi
considerano quest’ultima come un evento unico che non si può paragonare a nessun’altro. Si ha
un processo di sacralizzazione del fenomeno. Si parla di Shoah per riferirsi a una pianificazione
“industriale” della morte di massa.
In Tristi Tropici, Strauss, arriva al cuore del problema. Quando si imbarca per l’America dice di
sentirsi preda della volontà di sterminio. In una frase a inizio del capitolo “Amazzonia” (che
precede “Il ritorno”), esprime il rapporto di esaurimento e creazione che caratterizza la catastrofe
e riconosce nell’antropologia la soggettività creatrice: l’antropologia è lo strumento più efficace
per superare gli eventi catastrofici.

Dobbiamo fare chiarezza in merito ai significati dei termini che troviamo quando parliamo di tale
argomento: disastro e catastrofe, che abbiamo finito per riunire sotto il termine Shoah.

 SHOAH è il termine ebraico, che troviamo nella Bibbia e indica rovina, distruzione,
devastazione, calamità.
 DISASTRO indica un evento disastroso a cui è possibile rimediare (il termine “disastro”
viene dal latino dis-astrum, “cattiva stella”, che prevede, comunque, un superamento del
male).
 CATASTROFE è un evento che genera trasformazioni irreversibili. Il termine catastrofe
(deriva dal greco -strophê, riversamento, e kata-, verso il basso; termine coniato da
Aristotele nella Poetica – ritorno verso il basso) recupera delle oscillazioni assenti del
concetto di tragedia. La tecnica della tragedia provoca eventi come sotto la forza di un
destino e prevede la catarsi attraverso il pathos, cosa che invece non ha luogo nella Shoah.
Il concetto di “CATASTROFE” è al centro del pensiero dell’autore.
Alla pubblicazione di Tristi Tropici, nel 1955, ancora il termine “Shoah” non era stato associato al
genocidio degli ebrei; fino ad allora era ancora utilizzato il termine “ genocidio” appunto, coniato
da Raphael Lemkin nel 1943, o “olocausto”, usato da Bernard Lazard durante il XIX secolo. Il
termine “olocausto” circolò dal 1986 in Francia dopo il film (ancora al centro di vari dibattiti)
Shoah di Claude Lanzmann.
Nella Bibbia, il termine “Shoah” ricorre sei volte e traduce l’idea di una punizione o di una
calamità che si abbatte improvvisamente e inaspettatamente su degli individui o l’idea di un
disastro naturale. Nel corso del tempo, è finito per indicare quasi esclusivamente il completo
annientamento degli ebrei.
Secondo i linguisti, e soprattutto Lanzmann, il motivo del successo del termine Shoah, tradotto
spesso come “catastrofe” o “disastro” è da ricercare nella sua opacità. Per Lanzmann non c’era
altro titolo per il suo film, in quanto il termine gli rammentava qualcosa di opaco. Quando gli fu
chiesto che cosa significasse “Shoah” lui rispose che non lo sapeva perché ignora l’ebraico. Gli fu
quindi detto che senza una spiegazione le persone non avrebbero capito, ma proprio questo
voleva Lanzmann: che non capissero.

Va ricordato che la scelta di usare la parola “Shoah” per indicare il genocidio degli Ebrei è stata
criticata per 3 motivi:

1. l’uso del termine che si applica a un fenomeno naturale per designare una barbarie
umana;
2. la scelta di una parola ebraica per designare un crimine è il risultato di secoli di odio
antisemita;
3. il rischio è che questa parola possa portare a identificare la storia ebrea con il loro
genocidio.

Tuttavia ciò non ha impedito agli intellettuali di usarla senza troppe preoccupazioni. Non
conosciamo l’opinione di Strauss su questi cambiamenti semantici ma egli associa le calamità
naturali provocate dall’uomo agli stermini di cui sono responsabili gli uomini.

Sempre Strauss riunisce due significati che possono essere associati alla parola Shoah:

 significato biblico di disastro naturale;


 significato contemporaneo di catastrofe causata dall’uomo.

Come già detto, Lévi-Strauss non conosceva ancora il termine “Shoah” quando scrisse Tristi Tropici,
dunque, continuò a fare riferimento alle catastrofi naturali e agli eventi biblici.

Lévi-Strauss approda così all’etnologia: lo schizzo della foresta di mani (parte dalla mano ferita da
un taglio, giungendo così alla mescolanza di forme di una foresta: si fondono così mani a corpi
contorti e ingarbugliati) era stato rubato durante i saccheggi alle dimore degli ebrei da parte dei
nazisti. Attraverso questo schizzo egli anticipa nel 1930 in Amazzonia la tragedia europea, che è
stata ben prevista da Lévi-Strauss: i corpi intrecciati sembrano rappresentare le conseguenze
sociali all’islamizzazione della Francia e dell’Occidente. Per queste sue considerazioni Lévi-Strauss
fu accusato di razzismo, tuttavia, la sua non era una semplice riflessione sull’Islam. L’islam e il
cristianesimo esigono il riconoscimento dei loro principi. Il cristianesimo non ha donato la propria
umanità agli Amerindiani, vittime della conquista americana, che non hanno voluto aderire alla
conversione.

Sappiamo che l’idea di un rinnovamento del pensiero socialista non l’abbandonò mai fino alla
guerra e alla fine di essa divenne per 3 anni consigliere culturale presso l’ambasciata di Francia
negli USA, sebbene preferì dedicarsi all’etnologia.

Lévi-Strauss inoltre, adotta tecniche narrative che fanno riferimento ad un modello epico, in
particolare all’Odissea, soprattutto nel modo in cui utilizza la risorsa della memoria. Secondo Italo
Calvino, nell’Odissea vi è la memoria e il desiderio di ritorno (nostos) e questi sono così intrecciati
da poter parlare di un “ritorno-racconto” che c’è già prima di essere compiuto. Lévi-Strauss ha
sicuramente sempre pensato al ritorno e in Tristi Tropici, traspare il fatto che il suo è un viaggio di
ritorno che deve essere raccontato per essere compiuto -c’era tuttavia il rischio di non poter
tornare, a causa della guerra nucleare.
Inoltre, va rilevato che la capacità dell’etnografo di tornare alle fonti è uno degli apparati
concettuali più sofisticati di cui dispone la disciplina per sopprimere il tempo. Questo riporta il
ritorno a una dimensione temporale circolare, a un tempo senza durata che è stato sempre al
centro della riflessione dell’antropologo francese.
In effetti, più che la decisione di partire o il desiderio di ritornare, è il “movimento immobile” del
pensiero che definisce le scelte levistraussiane. È un pensiero che esprime la sua solitaria
“esistenza errante”: il viaggio errante è al centro del pensiero levistraussiano . Questo viaggio, che
gli ha permesso di sfuggire al sistema chiuso della società occidentale e alle persecuzioni, si duplica
con la mobilità di pensiero -quest’ultimo però, può solo essere immobile. Questo ossimoro
“movimento immobile”, può essere spigato dicendo che, come ogni antropologo, egli dà
l’impressione di essere qui e altrove di colmare il divario tra mondi diversi; i mondi diversi non
sono uno superiore all’altro, bensì hanno differenze che rendono possibili gli scambi tra gli uomini.
L’antropologia levistraussiana trova le sue basi nella politica e sembra comprendere e cambiare
il mondo. In Tristi Tropici egli dice di aver percorso i deserti per ripulirli dai rifiuti umani.
Frammenti di ricordi di Lévi-Strauss, come frammenti di musica o di poesia e della campagna
francese, sfociano in un viaggio tra i deserti della memoria. L’antropologia usa spesso la memoria
individuale, in particolare i frammenti che servono a soddisfare i requisiti del presente. Progetto di
ricostruire la propria umanità con l’aiuto di resti dei popoli più poveri della terra -gli uomini
ricompongono attraverso “visioni” immagini del proprio passato utili a soddisfare le esigenze del
presente. Nel caso di Strauss si ricostruisce il motivo per cui mentre era sul Mato Grosso gli fosse
apparsa l’immagine della campagna francese e la memoria della melodia di Chopin (studio n°3, op.
10). Proiezione della propria vocazione etnologica messa in crisi dalle asprezze del viaggio, su un
uomo fragile di salute e la cui identità rimase tormentata.
Lévi-Strauss riconosce alla musica il potere di annullare non soltanto le preoccupazioni
personali, ma anche problemi legati al funzionamento dello spirito. È un pensiero che emerge in
un momento di disperazione che lo conduce a scoprire nella musica un codice universale: in
questo contesto si può comprendere che Lévi-Strauss abbraccia la melodia romantica di Chopin
per non sentirsi solo, melodia che abbraccia l’umanità intera.
Ci limitiamo a rilevare che Chopin e Wagner (altro compositore) permettono di fare un passo
indietro:

 Chopin verso una memoria collettiva che interviene nella situazione di solitudine
dell’antropologo con immagini e suoni romantici.
 Wagner verso una dimensione mitica che lo collega agli altri uomini e alla natura.
Il cuore dell’umanesimo di Strauss risiede nella sua compassione e identificazione con gli altri.
Non ha mai mostrato interesse per il dibattito sull’antisemitismo. Preferisce sviluppare una
riflessione sulla volontà di respingere l’altro, sul razzismo in generale. All’attuazione delle dottrine
razziste attribuisce il massacro di intere popolazioni. È sensibile a un’analisi del fenomeno razzista
utile a definire l’approccio antropologico. Non si astiene dal relativizzare il razzismo, ma al centro
della sua riflessione sulla catastrofe vi è la critica alla società industriale.

APPRENDIMENTO SOGGETTIVO

Possiamo rilevare un primo risultato. Nella memoria dell’etnologo tutto si duplica, come se in lui si
componessero due esistenze lacerate. Questa dimensione riflessiva caratterizza l’antropologia in
un doppio senso:

1. Da un lato, come possibilità di comprendere noi stessi attraverso la conoscenza degli altri;
2. Dall’altro, come possibilità di affinare la conoscenza antropologica e verificare gli effetti
che la complessità dell’incontro con l’altro può produrre sull’esperienza emotiva dei
soggetti coinvolti -nuovi impulsi creativi sono spesso frutto di traumi, rimpianti e rimorsi.

SOGGETTIVITÀ E OGGETTIVITÀ NELLA RICERCA ETNOGRAFICA


La questione della “dissoluzione del soggetto” è davvero cruciale nell’opera di Lévi-Strauss.
Come sottolinea Frédéric Keck, essa è al centro de Il Pensiero selvaggio, ma risulta anche
centrale nella riflessione sulla natura, in particolare sulla “catastrofe ecologica” menzionata in
Tristi Tropici.
Il soggetto di Strauss è al centro di un processo di dissoluzione che è l’obbiettivo ultimo delle
scienze umane. Ciò non implica che l'antropologo ponga la soggettività al centro della disciplina.
Prima di tutto, Lévi-Strauss si forgia di una nuova soggettività assimilandosi agli Indiani
d'America, «sopravvissuti di una catastrofe in corso». L’antropologo pone la soggettività al centro
della disciplina, nonostante la sua polemica sia intorno al soggetto considerato “bambino viziato”
della tradizione filosofica occidentale. Forgia nuova soggettività.
È proprio nell’Introduzione al lavoro di Marcel Mauss che Lévi-Strauss mostra come il
processo di oggettivazione del soggetto si realizzi nell’opera antropologica, senza disperdere
la soggettività che gli è necessaria per posizionarsi: «Che il fatto sociale sia totale non significa
solamente che tutto ciò che viene osservato è parte dell’osservazione, ma anche, e
soprattutto, che in una scienza in cui l’osservatore ha la stessa natura dell’oggetto, l’osservatore
è lui stesso una parte della sua osservazione». Qui Lévi-Strauss insiste sul fatto che ciò che
osserva, in quanto antropologo, è sia oggetto che soggetto, “cosa” e “rappresentazione. È lo
stesso per l'osservatore. Posto dall’osservazione etnografica, questo sistema dicotomico si
completa della relazione di opposizione tra l’esterno e l’interno.
Per comprendere totalmente il fatto sociale è necessario rendere il fuori come una parte
integrante della soggettività; in questo modo, si vive il fatto come indigeni e non si è
osservati come etnografo. Non ci si appropria semplicemente di un oggetto, poiché vi è
un’apprensione interna che è trasposta in termini esterni.

 L’etnografia è il primo passo di una ricerca che richiede precisione nell’osservazione . Deve
essere superata se si vuole un’antropologia indipendente dalle altre scienze. L’inserimento
del soggetto nei processi di conoscenza è realizzato trascorrendo i livelli che conducono dal
campo alla mente. L’antropologo fa un’esperienza unica. Il suo lavoro è importante, non
per la storia.

La sua unica dimensione temporale è quella dei momenti della ricerca - che non possono essere
svolti da un'unica persona:

1. raccolta dati;
2. trattamento comparativo di essi;
3. scoperta principi regolatori.

Infine, ci sono altri due aspetti che non possono essere sottratti a questo approccio:

1. Non si può “salire di livello” senza aver fatto l’esperienza diretta sul campo e quella di
straniamento che questo implica.
2. È necessario realizzare comunicazione con l’altro, che obbliga a rendere permeabile la
propria soggettività.

Opposte come momenti diversi della stessa ricerca, l’etnografia e l’etnologia si incontrano così
nella coscienza di questo singolare soggetto che è l’antropologo.
L’oggettivazione dell’antropologo è doppia:

 in relazione al sistema sociale in cui inscrive la sua richiesta


 in relazione al passaggio all’osservazione empirica.

Per quanto riguarda IL SOGGETTO, Lévi-Strauss introduce un’altra distinzione:

 società a temperatura storica “fredda”, che tendono a riprodursi in modo identico;


 società “calde” che perseguono costantemente il cambiamento.

Nelle società primitive il soggetto è frutto di un rapporto con il mondo -ad esempio le buone
maniere. Il soggetto moderno si è gradualmente allontanato dalla logica delle qualità sensibili
che lo relazionavano alla natura. Per l’antropologo francese gli utensili da tavola o i rituali di
separazione delle donne mestruate, fanno da mediatori tra soggetto e suo corpo. Artefatti e
cultura che li genera, separano e al tempo stesso uniscono esseri che, se troppo vicini o lontani,
lascerebbero l’uomo in preda a impotenza e follia. Ciò che sorprende dall’uso dell’analisi
strutturale è il legame stabilito tra gli effetti catastrofici della vita sociale e gli oggetti del sapere
antropologico. In questo secolo in cui l’uomo tende a distruggere ogni forma vivente e considera
suo patrimonio più importante la ricchezza, va ricordato che, come facevano i miti, l’umanismo
mette il mondo davanti la vita, la vita davanti l’uomo; bisogna considerare gli sguardi altrui prima
dell’amor proprio.
Lévi-Strauss vede in questa separazione progressiva tra l’uomo e la natura la fonte dei disastri
che caratterizzano l’epoca contemporanea, cominciando dalla divisione dell’uomo dalla natura
per costituire un sovra-regno e ignorando la proprietà comune ha lasciato campo libero agli abusi.
Per Lévi-Strauss, il rispetto che si deve alle altre culture non è che un aspetto del rispetto che
dovrà risentirsi in tutte le forme della vita.
Struass, parlando della distruzione da parte dell’uomo occidentale durante il secolo scorso, indica
una via d’uscita nei popoli primitivi e nei miti. Entra in gioco la natura che subisce un processo di
de-soggettivazione. La ricerca antropologica mira a proteggerci dai rischi, attraverso processi
come quest’ultimo. Visto il distacco dalla natura, l’uomo deve ridurre le sue possibilità intellettuali.
Pensiero e Mondo sono due aspetti correlati della stessa realtà, ma soggettivando il pensiero,
questo potrebbe non vedere più il mondo. Per Strauss questa separazione uomo-natura è la causa
dei disastri dell’epoca contemporanea.
Secondo Strauss quindi il rispetto che ognuno deve avere per le altre culture è soltanto uno degli
aspetti del rispetto che si deve provare per tutte le forme di vita.

Per il 60° anniversario dell’UNESCO, Strauss afferma le responsabilità dell’Occidente, parlando


della riduzione dello spazio vitale, paragonandolo al confinamento degli indiani d’America nelle
riserve. Questa riduzione ha contribuito allo sviluppo della GLOBALIZZAZIONE.
Per Strauss la globalizzazione ha come risultato un’esplosione demografica, che considera essere
la vera catastrofe. Gli stili di vita occidentali hanno innescato una crescita demografica. La
globalizzazione cancella la particolarità dei diversi gruppi etnici. È minacciata la pluralità delle
forme culturali.
Anche gli animali, non umani, sono colpiti. Sottoposti a antropomorfizzazione. Con la rivoluzione
industriale si è venuta a creare la rottura dell’armonia tra umani e animali -quest’ultimi sono infatti
considerati “laboratori nutrizionali”. Impressionante la trasformazione, durante le crisi sanitarie,
degli erbivori in carnivori con l’uso di farine ottenute da carcasse dei loro simili - dannosa anche
per l’uomo.
Le malattie e le infezioni che gli animali possono provocare nell’uomo, richiedono una doppia
riflessione:

 mostrano quanto l’uomo abbia soggiogato le altre specie senza considerare le conseguenze
e cercando di umanizzarle;
 queste infezioni sono strettamente legate alla continua crescita demografica . L’uomo e gli
animali sono già in concorrenza per quanto concerne la produzione cerealicola (sfamare
l’uomo o gli animali?)

Inoltre dagli animali, si sono sviluppate malattie trasmissibili facilmente agli uomini come la
mucca
pazza, le pesti porcine, l’’influenza aviaria. L’antropologo è portato a pensare che altri animali che
consumiamo potrebbero essere colpiti da malattie classificabili in “malattie della società
industriale”.

L’ALTRO CHE È IN NOI

Ci sono almeno due livelli che Lévi-Strauss pone al problema della catastrofe:

1. La prima associa l’umanità a chi ha pagato il prezzo per l’occidentalizzazione: gli indiani
d’America. Si può fare un ravvicinamento tra il primo genocidio dell’epoca moderna e
quello commesso dai nazisti verso gli ebrei che contaminerebbero la razza ariana e che
sono stati vittime del nazismo, così come altre gruppi etnici (omosessuali, zingari, neri,
persone che deficit fisici e mentali).
2. L’altro metodo che adotta Lévi-Strauss è legato alla catastrofe con il metodo strutturale.

Il pessimismo lévi-straussiano è legato alle sorti del mondo (originato senza l’uomo e che finirà
senza lui, come scrive in Tristi Tropici), che è il risultato del rapporto tra noi e gli altri.
Gli eventi europei e il Nuovo Mondo sono al centro dell’interesse dell’antropologo.
Lévi-Strauss denuncia una doppia illusione:

 Da una parte, le società delle pianure/amazzoniche sono primitive solo per la cattiva
coscienza di chi le ha massacrate, si pensi ai Conquistadores spagnoli e ai Bandeirantes
portoghesi. In tempi recenti, si è arrivati ad infestare anche i loro abiti con i virus e il
morbillo, utilizzare erbicidi per individuarli nelle foreste, o ancora uccidere i loro leaders
per appropriarsi delle loro terre.
 Da un altro lato, secondo le cronache dei primi esploratori e le più recenti indagini
archeologiche, al momento della Conquista queste società vivevano in condizioni molto
diverse da quelle che da allora abbiamo immaginato.

Nelle testimonianze a noi giunte si fa riferimento a città bene organizzate e con un’alta densità di
popolazione lungo il Rio delle Amazzoni: popoli che si estendevano lungo il fiume, ricco di case e
popolazioni, talvolta guidate da consigli e circondate da fortificazioni. Le aree di foresta
considerate primarie, sono il risultato del loro abbandono forzato da parte degli indiani. Questi
ultimi erano soprattutto agricoltori, e meno cacciatori-raccoglitori. Possiamo considerare gli
indiani vittime di un modello culturale mediterraneo che li voleva cacciatori e raccoglitori, con
l’obiettivo di giustificazione della loro conversione al cristianesimo con la loro sedentarizzazione.
Una testimonianza eloquente la troviamo nel libro di A. Muratori sulle “riduzioni” gesuite in
Paraguay: si racconta dei Guarani, gruppo etnico molto numeroso di cacciatori-raccoglitori che
avevano trovato la redenzione attraverso il cristianesimo e la sedentarizzazione.
Questa testimonianza è completamente sbagliata: i Guarani sono conosciuti ancora oggi come
cacciatori – raccoglitori, ma soprattutto come agricoltori.
Ciò che ha portato al definitivo declino di questi popoli, oltre alle malattie importate dai Bianchi,
è stato il genocidio che quest’ultimi hanno commesso.

Gli indiani sono vittime di un modello proveniente dal mediterraneo e che li voleva cacciatori-
raccoglitori, più che agricoltori (coltivavano pomodoro, mais, ecc.) e che avrebbe giustificato la
loro conversione al cristianesimo attraverso la sedentarizzazione.

Negli anni ‘50 Lévi-Strauss si riferisce al popolo dei Nambikwara e i Bororo, come “regressivi”. I
primi poi, gruppo indigeno del Brasile centrale, vengono definiti dall’antropologo come il gruppo
con lo stile di vita più elementare al mondo. L’opposizione tra noi e le società primitive non
poteva essere più radicale. Non è un azzardo se questa proposta di Lévi-Strauss sulla cieca
catastrofe perseguita dalle società occidentali è messa in parallelo con i Nambikwara; lontani
dall’essere primitivi, questi indiani, erano quindi i resti di civiltà più sviluppate. Strauss li paragona
a dei sopravvissuti di un disastro atomico globale, o di una caduta di un meteorite.
Questo collegamento non è casuale: si paragona la più importante catastrofe della storia del
mondo a quelle compiute dall’uomo.
A questo livello natura e cultura sono inseparabili –uno dei cardini del pensiero di Strauss.
Strauss stabilisce una differenziazione tra popoli “naturali” e quelli dell’Occidente (che pensano
di essere i soli custodi della cultura). In Tristi Tropici, così come in Saudade do Brasil, l’autore
sottolinea che la visione distorta imposta agli indiani non è un fenomeno esotico fatto a discapito
di piccoli popoli in pericolo, ma riguarda anche l’Europa in declino, un declino risalente alla
Rivoluzione Francese e accentuato dalle Guerre Mondiali. “L’Europa è sua stessa vittima “. Ha
distrutto molte culture la cui diversità ha arricchito l’umanità.
Strauss si interroga quindi sullo scarto tra popoli primitivi e l’Occidente parlando di “gruppo
umano”; un individuo cessa di appartenere all’umanità grazie alle qualità eccezionali che gli si
attribuiscono e lo rendono un personaggio fuori dalla norma.
Rimane una differenza tra negazione dell’umanità dei popoli primitivi e quella perseguita dagli
Occidentali, perché per i primi la negazione non è aggressiva . Strauss sottolinea che negare
l’umanità dei gruppi stranieri non implica necessariamente la loro distruzione. La politica estera
indigena nei loro confronti si riduce a una tecnica di evitazione; il modo in cui trattiamo lo
“straniero” determina sia l’umanità degli altri, ma anche la propria. Per questo i popoli primitivi
cercano di creare una rete di relazioni. In questi popoli viene abolita l’aggressività innata verso
l’esterno; essa può diventare cooperazione.

Secondo Strauss non possiamo più pensare a un’umanità allargata come a un insieme di gruppi
concreti tra i quali si stabilisce un equilibrio costante tra competizione e aggressione, garantito da
meccanismi che evitano o arginano eventuali oscillazioni. Nelle società occidentali, gli umani,
riconoscibili per le loro differenze, non pensano più a se stessi come a un gruppo -tra le
popolazioni primitive invece, la relazione e l’opposizione ad altri gruppi è visto come fattore di
equilibrio. Strauss elogia la società primitiva dei Nambikwara, rendendolo un modello per il
rapporto tra noi e gli altri -questo gruppo (tra le società più povere del pianeta) è organizzato in
piccoli villaggi miserabili di capanne di paglia, in una boscaglia desertica, dove sono finiti a causa
del progredire della civiltà. Concepiscono l’immensa miseria in cui sono immersi come
un’esperienza dignitosa. Di conseguenza ci chiediamo se il loro punto di vista non ci possa
permettere di avere una ricchezza spirituale immensa.

CITTÀ, CAMPI E RIFIUTI

La posizione di Levi-Strauss rispetto al rapporto con l’altro non è cambiata nel tempo. Le società
amerindiane sono state sconvolte dall’impatto con le società occidentali. In Tristi Tropici scriveva
che le società primitive non sono altro che “corpi debilitati e forme mutilate”, perché annientate
dal cataclisma dello sviluppo della civiltà occidentale. Queste società che definiamo
“sottosviluppate”, di per sé non sono tali, ma siamo noi che le percepiamo come esterne allo
sviluppo, anche se di fatto sono proprio loro che hanno reso possibile lo sviluppo nel mondo
occidentale. L’ideologia dello sviluppo si basa su una cattiva coscienza e il sottosviluppo è stato
creato dalle “esigenze avide” di tale ideologia; il rapporto di estraneità e le differenze che si sono
create tra civiltà sottosviluppate e civiltà meccanica sono dovute alle distruzioni che la seconda ha
commesso -ai danni della prima- per instaurare la propria realtà.

CATASTROFE AMBIENTALE
Strauss fa risalire le origini della catastrofe alla crescita demografica e all’affermarsi della vita
urbana. L’antropologo può testimoniare l’aberrante sviluppo delle grandi città e contrappone altre
forme di organizzazione della vita sociale, in particolare quelle in cui i membri della comunità si
riuniscono e prendono decisioni secondo il parere di tutti.
Il problema non è tanto l’opposizione tra città e campagna . I pericoli per le specie compaiono
quando le città cominciano ad essere estese da enormi periferie la cui rapida proliferazione e
destinazione sociale rendono i luoghi apparentemente caratterizzati da una scarsa qualità della
vita. Non è un caso che, per alcuni secoli, la creazione di nuove città non sia stata concepita,
mentre quelle esistenti hanno finito per tagliare gli uomini dal contatto diretto con la natura. Da
qui le forme rituali e simboliche che danno l’illusione di ricostruire questa relazione.
Molti architetti paesaggisti stanno promuovendo nuove forme di inclusione della natura nelle
città; hanno integrato ai parchi e ai viali alberati, nuove realizzazioni come città- giardino, tetti-
terrazze, ecc. Questi nuovi spazi verdi sono concepiti come “paradisi perduti”.

Sottolineiamo quindi due aspetti di queste nuove imprese:

1. Tentativo di stabilire un legame continuo con i modelli della prima antichità (es. parchi
rinascimentali, giardini ornamentali egiziani e persiani, ecc.).
2. Ricerca di scelte compatibili con l’urgenza ecologica o gli imperativi della diversità.

Si è rilanciata l’idea di natura selvaggia. Facciamo due osservazioni:

1. La ricerca della natura non ha le stesse motivazioni o effetti delle soluzioni messe in atto
dalle società del passato; i modelli di oggi si collocano in un contesto urbano più
sviluppato.
2. La ricomparsa dell’agricoltura su piccola scala nelle grandi città sembra confermata in zone
industriali abbandonate.

I nuovi “polmoni verdi” testimoniano un grande assente cioè la natura come fonte di cibo . Al
centro di questi progetti si ha un cambiamento di prospettiva e soddisfazione visiva e la presenza
di orti, animali da cortile e attività artigianali sembrano escluse.
Caso emblematico è quello del Giappone. In un’intervista con un antropologo giapponese, Strauss
attribuisce alla società giapponese una solidarietà tra modernità e passato. Riconosce che in
Giappone il presente è costruito in convivenza con il passato. Oltre a questo equilibrio vi è un
attento rispetto per la natura. Nonostante la brutalità utilizzata nei confronti della natura per la
costruzione di strade sopraelevate, i giapponesi hanno lasciato gran parte del paese disabitato. I
giapponesi hanno preservato le zone selvagge (due terzi della superficie del paese) chiamate yama
(“montagna”) -termine che indica dominio selvaggio.
Tuttavia in Giappone l’inquinamento procede rapido. La catastrofe della centrale nucleare di
Fukushima (2011) ci riporta alla realtà di un paese che, almeno cinquant’anni fa, era la punta di
diamante dell’Occidente nell’Estremo Oriente. Negli anni 1990, Tokyo era già la città più
densamente popolata del mondo e il problema dei rischi del nucleare era stato sollevato. Le
soluzioni messe in atto dalla società giapponese nel rapporto tra uomo e natura non sono
certamente in discussione ma non possono essere offerte come modelli a tutta l’umanità.
L’ abbandono delle forme di modernizzazione dell’Occidente potrebbe essere la soluzione.
Questa segregazione dell’uomo fuori dall’ambiente di cui fa moralmente e fisicamente parte
costituisce una grave minaccia sulla salute mentale della specie. Questo è uno dei più importanti
fenomeni di degrado prodotti dall’urbanizzazione contemporanea e ciò ha prodotto effetti
devastanti sulla salute mentale della specie. Lévi-Strauss mostra chiaramente l’inizio di questi
rapporti catastrofici tra l’uomo e la natura alla rivoluzione industriale e a tutti gli strumenti che la
fanno apparire come l’evento che ha permesso agli uomini di vivere meglio. Da quel momento vi è
stata anche un’accelerazione degli eventi catastrofici che rischia di causare uno squilibrio
irreversibile tra uomo e mondo. I progressi nella scienza, nella medicina, nella tecnologia vanno a
compensare i danni causati dai precedenti progressi. Gli effetti dannosi di questo progresso cieco
si andranno a riflettere proprio su coloro che lo hanno causato.
Per spiegare le attuali tendenze della crescita demografica e lo sviluppo industriale e tecnologico
Strauss usa una metafora auto-cannibalica: non avendo più niente da consumare all’esterno, per
alimentarsi questi fenomeni hanno finito per “consumare” sé stessi. Questo genera nuova
sensibilità verso il destino a cui stiamo andando incontro.
Siamo un’umanità divenuta troppo numerosa in uno spazio terreno che non può ingrandire,
ridotta con ciò a colonizzare se stessa in qualche modo . Ci identifichiamo con quei popoli che
abbiamo condannato nel momento in cui scopriamo di essere i prossimi a comparire nella lista.
Fingendo di difenderli ma troppo tardi per poterli salvare. Soltanto gli etnologi sono stati in grado
di mettere in guardia contro questa inversione. Le altre scienze umane sono concentrate sulle
società contemporanee.

CATASTROFE UMANA
Il modello costruito negli ultimi secoli dall’Occidente non era l’unico possibile e c’è molto da
imparare da coloro che sono le vittime. Non rispettando più la vita al di fuori di lui, l’uomo
disimpara a rispettarla in lui, come dimostrano le guerre mondiali, i campi di sterminio, le armi
atomiche e chimiche. La distruzione degli uomini come portatori di diversità culturale (vedi il
genocidio degli ebrei) e religiosa è vicina al destino che abbiamo riservato agli indiani americani.

CATASTROFE, UNA “SHOAH” AMBIENTALE E UMANA


Per sottolineare il concetto di catastrofe Strauss unisce i due significati di “Shoah”:

 il disastro naturale;
 il tentativo di sterminare gli ebrei.

L’Olocausto è di certo il prodotto storico dell’odio antisemita, unito alla follia di un gruppo
criminale molto specifico e legittimato da una forte tradizione intellettuale e religiosa presente in
Europa, ma Lévi-Strauss ipotizza che questa distruzione e l’inquinamento appartengano alla
stessa hybris2, di una sproporzione che si manifesta nell’esercizio del potere. Dal momento in cui
l’uomo non conosce/non ha più conosciuto limiti al proprio potere si è messo a distruggere se
stesso, vedi i campi di sterminio e, a livello globale, l’inquinamento.
Lévi-Strauss sembra voler evitare prima di tutto che l’Olocausto sia uno di quegli eventi eccezionali
che potrebbero interessare un solo gruppo a causa dei suoi tratti culturali e religiosi. In effetti non
solo i tedeschi hanno preso di mira gli ebrei e i membri di altri gruppi come gli omosessuali o gli
zingari, ma ci sono altri genocidi del secolo scorso (per esempio quelli degli armeni e dei tutsi) a
ricordarci le molte forme che la ferocia umana può prendere. Tutte queste forme genocidarie sono
riconducibili alla stessa causa ovvero l’incapacità di imporre un limite al proprio potere.
Questo significa che:
1. Ciò può accadere di nuovo, a tutti;
2. I genocidi non sono un problema che riguarda solo le vittime, ma bensì l’intera umanità.

Nessuno può sottrarsi alla responsabilità per quanto accaduto in Europa nel XX secolo. Questo
orrore, come l’inquinamento, sono da imputare alle strutture spirituali e materiali della civiltà
occidentale.
Il pianeta è ormai ovunque intossicato -è in questo caso che collochiamo la metafora botanica
della “linea della palma”, cioè la desertificazione a causa del riscaldamento globale, e la metafora
letteraria della “linea della spazzatura” di Sciascia per indicare l’ascesa della criminalità mafiosa
verso il Nord Italia. I due fenomeni sono connessi: le organizzazioni criminali, complici con alcuni

2
Presso gli antichi Greci, l'orgogliosa tracotanza che porta l'uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a
ribellarsi contro l'ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina
(tísis).
capi d’industria, hanno trasformato il territorio di Napoli e Caserta in una grande discarica
chiamata “la terra dei fuochi”. I rifiuti ci minacciano ovunque. Alcune società occidentali sono
riuscite a imporre la raccolta differenziata, ma nessuna società è immune al problema, nemmeno i
paesi che smaltiscono le scorie nucleari in aree del mondo sottosviluppate. Il problema sta nel
fatto che le potenze occidentali non possono rinunciare all’industria inquinante. L’unica soluzione
può essere raggiunta con una politica rigorosa a livello globale.

L’ENTROPOLOGIA

Lévi-Strauss non ignora le difficoltà di conoscere le società primitive dall’interno e il pericolo di


distribuirle dall’esterno lungo una linea evolutiva tracciata dalla nozione di progresso. Il progresso
può conoscere arresti, salti e accelerazioni inattese. L’antropologo si rivolge così verso altri
paradigmi, verso la dimensione politica e verso il rapporto che le società umane intrattengono
con la natura. Questi paradigmi ci rivelano caratteri specifici dei primitivi e dei civilizzati, così da
indicarci una via d’uscita dalla catastrofe in cui l’umanità è precipitata dopo la rivoluzione
industriale.
È il carattere democratico delle società primitive che fa la differenza in rapporto alla
gerarchizzazione sociale dell’Occidente. È senza dubbio l’influenza roussiana che ha fatto giungere
Lévi-Strauss all’idea che tutte le società primitive abbiano carattere democratico.

Lévi-Strauss riporta un modello di funzione delle società e delle tendenze che esse manifestano
verso il futuro. Questa è l’applicazione più rigorosa della nozione di entropia (che dovrebbe essere
correttamente sostituita ad antropologia) che si presenta nella parte finale di Tristi Tropici. Non è
un azzardo l’utilizzo di metafore da parte di Lévi-Strauss per i funzionamenti delle società primitive
e occidentali. La caratteristica delle società primitive è la produzione limitata di entropia, questo
potente fattore di disordine concomitante col progresso. Esse cercano di perpetuarsi come orologi
o macchine meccaniche alle quali l’energia ricevuta all’inizio è sufficiente per funzionare. Al
contrario, le nostre società non soltanto utilizzano macchine a vapore alle quali assomigliano, ma
utilizzano anche nel motore del loro sviluppo un particolare combustibile che mescola gerarchie
sociali e storia. Non c’è che la dimensione politica dei rapporti sociali da una parte (civilizzati) e la
rete di relazioni sviluppate verso la natura dall’altra (primitivo), un dominio umano che fabbrica
l’entropia, in ragione di egualitarismi e di regole unanimi che governano la legge del potere.
Strauss si sofferma sull’ordine creato dagli uomini, come mostrano i meccanismi e le opere della
civilizzazione, ma fabbricano anche molta entropia nelle loro società (conflitti, lotte) che è più
sistematico di quel che si pensa. Lo spostamento del divario differenziale all’esterno della nostra
società spiega da una parte il perché il nucleo del problema sociale nell’epoca contemporanea è
divenuta il confronto tra primitivi e civili; dall’altro l’impossibilità di donare un nuovo corso
all’umanità se non lasciare la civiltà industriale.

«La cultura dei civilizzati produce parecchio ordine, come dimostrano l’industrializzazione e le
grandi opere di civiltà; ma la loro società produce molta entropia: conflitti sociali; lotte politiche,
tutte cose entro le quali i primitivi si premuniscono in modo forse più cosciente e sistematico di
quanto potremmo supporre».

 Nelle società dei civilizzati c’è sia ordine, ma anche molto disordine (entropia)
 Nelle società “primitive” c’è meno disordine (basso grado di entropia)
Lévi-Strauss è cosciente che per realizzare una più grande giustizia sociale sarebbe necessario
trasferire l’entropia dalla società alla cultura e così passare dal “gouvernament des hommes”
(società e crescita di entropia) all’ “administration des choses” (cultura e creazione di un ordine
sempre più ricco e complesso).
Secondo il ragionamento di Strauss l’umanità può essere salvata solo da un cambiamento
radicale che consiste nell’imparare dai popoli primitivi, nel “primitivizzare” sé stessa. Non è
necessario, per fare ciò, abbandonare il sapere scientifico, ma occorre metterlo a servizio della
natura e non del progresso materiale.
Per esempio nel rapporto tra crescita demografica e strutture produttive, in regioni in grado di
assicurarsi sussistenza, troviamo uno squilibrio nel fatto che per dare lavoro a più persone si
produce di più, ma la produzione necessità di consumo; un maggiore consumo necessita maggiore
produzione. Inoltre per soddisfare il fabbisogno di queste masse, si utilizzano fonti di energia non
rinnovabili. Perciò l’incapacità di abbandonare l’energia nucleare ci portano a essere su un piano di
parità con le società che ci siamo accaniti a distruggere.

I SAPERI DELLA CRISI

Strauss ha un atteggiamento critico verso il relativismo culturale da un lato, e verso la rigidità


delle altre scienze umane dall’altro. Un’analisi strutturale, rigida, valorizza le differenze tra le
culture e si oppone alla tentazione di affermare la superiorità dei propri modelli culturali o delle
proprie forme di organizzazione sociale. Lo strutturalismo è una risposta all’etnocentrismo. Esso
si oppone alle ideologie che vorrebbero generalizzare le soluzioni particolari date all’interno di
ogni cultura a problemi di natura universale.
Ad esempio l’antropologia è paragonata da Strauss a un’arte, ma ha degli aspetti specifici che
permettono di tradurre una cultura in un’altra. Questo ci fa capire che non esiste un relativismo
assoluto (secondo cui una cultura può essere compresa solo dall’interno). La diversità delle
culture favorisce gli scambi contribuendo alla riproduzione delle specie biologiche. Si parla
quindi di “universalismo relativo”, quell’idea in cui i principi comuni all’umanità si singolarizzano
in funzione della diversità culturale -aspetto complementare alla prospettiva ontologica di Descola.
Quest’ultimo ha scoperto l’esistenza di 4 ontologie:
 naturalismo,
 animismo,
 totemismo
 analogismo
che caratterizzano le diverse aree culturali.

La percezione del disastro a livello non locale rimane limitata; si pensa sia qualcosa che riguarda
solo coloro che sono stati colpiti direttamente. Questo pensiero è alimentato da forme di
assolutismo religioso che pretendono di imporre un’etica superiore, spacciandola per lotta al
relativismo.
Si ricerca un equilibrio tra necessità di aprirsi agli altri e il desiderio di rimanere tra sé . Gli scarti
differenziali tra culture lontane ha permesso una miglior identificazione dell’identità umana. La
diversità culturale favorisce gli scambi, contribuendo alla riproduzione delle differenze
biologiche.

L’analisi strutturale mira a conseguire una definizione universale della natura umana
componendo le differenze all’interno di sistemi di trasformazione coerenti. L’unico modo
scientifico per capire di cosa sia fatta questa identità multipla, consiste nello scoprire leggi d’ordine
sottese alla diversità di credenze e istituzioni.
Descola ha insistito sulla necessità di distinguere tra due dimensioni del pensiero di Strauss.
Per Descola lo strutturalismo è un metodo di conoscenza e di analisi di alcuni fatti sociali ma è
anche un punto di vista sulla natura stessa dei fatti sociali. La dimensione del pensiero di Strauss
riguardante l’antropologia è quella più minacciata nelle sue possibilità di sviluppo.
Strauss sviluppa un suo pensiero critico sulla psicoanalisi e sul marxismo, che egli considera matrici
dello strutturalismo insieme alla geologia. Tra i tre, il vero propulsore dello strutturalismo di
Strauss è l’atteggiamento critico nei confronti del marxismo.
Tra fine XIX secolo e inizio XX secolo si sviluppano i presupposti per le catastrofi naturali e sociali
dell’epoca contemporanea, che è velata dal trionfo di ideologie progressiste e emancipatrici, che
vanno a sottolineare i loro effetti positivi per evitare che ci si soffermi sulle conseguenze
irreparabili di uno sviluppo incontrollato.
Per Strauss, psicoanalisi e marxismo non sono stati in grado di contrastare le ideologie
dominanti (nei rispettivi campi).

L’antropologo ha riconosciuto alla psicoanalisi un duplice merito:

 ha evidenziato l’importanza del codice psicoorganico3;


 ha fornitogli elementi utili a dimostrare che l’universalità del divieto dell’incesto non si
basa su una presunta ripugnanza verso i rapporti con consanguinei.

IL MODELLO E LA SCELTA

Lévi-Strauss riconosce il suo debito con Marx nel dedurre che lo scopo delle scienze sociali è di
costruire dei modelli, di studiarne le proprietà e di esaminarne le differenti fazioni a cui
“reagiscono”.

In una frase di Tristi Tropici Lévi-Strauss rievoca il marxismo e le conseguenze: Marx avrebbe
insegnato che “la scienza sociale non si è costruita su un piano di eventi, così come la fisica non è
fondata sui dati della sensibilità: lo scopo è di costruire un modello (...) per applicare tali
osservazioni all’interpretazione di ciò che accade empiricamente e che può essere forte mantenere
delle previsioni”.

Il marxismo di Lévi-Strauss è il più fecondo.


Marx rileva la differenza tra gli animali e gli uomini nella capacità che quest’ultimi posseggono
nell’elaborare nello spirito il modello dei loro processi di lavoro e d’esperimento e, su questo
modello, si hanno tutti gli accordi necessari per ottenere i risultati più appropriati possibili.
Ne “Il Capitale”, Marx fissa come punto di partenza il lavoro e mette a confronto il lavoro del
ragno che adotta tecniche simili a quelle del tessitore, mentre l’ape assume le abilità di un
architetto, sebbene questa costruisca le celle sulla sua testa. Si sa che oggi la differenza sta nel
cercare nel linguaggio e nella capacità metalinguistica e meta-strumentale dell’uomo, il solo
animale capace di creare strumenti per crearne altri. Ci si sofferma sulla costruzione di un modello
della realtà e sulla possibilità di studiare le proprietà.

3
Psicoorganico è l’espressione con cui si indicavano le turbe psichiche dovute a una sofferenza organica cerebrale
certa, primitiva (traumi e insulti [tumori, ictus etc.] che colpiscono il cervello direttamente) o secondaria (come nelle
malattie sistemiche), acuta o cronica.
Nonostante questa riflessione, Marx fu accusato di essere un idealista. È comunque servito da
referente per Lévi-Strauss nelle pagine di Tristi Tropici, o nella definizione del problema delle
scelte tecniche che lo avvicinò alla lezione inaugurale al Collège de France. Si conferisce alle
tecniche la dignità scientifica e l’importanza che queste hanno nella vita degli umani, Lévi-
Strauss aderisce ai valori associati al lavoro manuale: elargisce alle tecniche carattere sistematico
che è proprio della lingua e sulla quale Leroi-Gourhan (Le geste et la parole, La mémoire et le
rhytmes, Paris 1965) ha insistito.
I sistemi di cultura materiale si presentano come degli “insiemi di scelte significative”
compatibili, o meno, con altre scelte e che ogni società conduce presso l’operatore. I miti, i
sistemi di parentela o i riti, i sistemi di cultura materiali sono facilmente rimpiazzabili da modelli
“sistemi di simboli che salvaguardano le proprietà caratteristiche dell’esperienza” che noi
possiamo manipolare.
Lévi-Strauss fa riferimento alle tecniche delle società primitive, le cui soluzioni sono ammirate dal
punto di vista del rapporto con la natura. Si riferisce alle nozioni di modello che non è quella di un
sistema da imitare, ma di un sistema che gli uomini si costruiscono per fare apparire delle
proprietà di realtà non accessibile per l’osservazione diretta dei fenomeni. Si tratta di un modello
“mentale” che è il cuore dello strutturalismo.

IL MARXISMO PESSIMISTA

L’esigenza di una rifondazione scientifica dell’antropologia si connette, secondo Lévi-Strauss, al


suo “marxismo pessimista”, inteso come “pessimismo dell’intelligenza”, opposto al “pessimismo
della volontà”. Le catastrofi contemporanee sono una prova della “predizione” di Marx: molti
problemi che ci affliggono sono risultati di uno sviluppo non controllato (entropologia). Si tratta
sempre di mettere in discussione il rapporto dell’uomo con la natura e del modo in cui egli usa le
sue scoperte. I progressi che l’uomo ottiene sono limitati, poiché non siamo in grado di affrontare
le conseguenze che comportano. Il marxismo è all’origine dei movimenti d’emancipazione, ha
elaborato una rappresentazione negativa dei gruppi sociali privilegiati dagli antropologi. Il
ravvicinamento tra Marx e Rousseau proposto in Tristi Tropici mostra in modo chiaro che Lévi-
Strauss è sfuggito alle trappole delle ideologie dominanti, il marxismo che considera le società
primitive come delle branche attardate dell’evoluzione sociale. È in conformità alla sua visione
non evoluzionista del flusso delle società umane che Lévi-Strauss ha formulato alla fine di Tristi
Tropici il concetto di “entropologia”. Inoltre, sostiene che le società primitive non siano la prima
fase dell’umanità, ma il movimento dell’umanità che non segue lo schema marxista, che dalla
preistoria conduce a una società divisa in classi e infine a società senza classi.
Il declino dell’umanità comincia, per Lévi-Strauss, con la perdita dello stato di fusione tra l’uomo
e la natura. Nel finale di Tristi Tropici, Strauss paragona l’uomo ad una macchina che lavora alla
disgregazione di un ordine originale e precipitando una materia organizzata verso un’inerzia
ancora più grande e che sarà un giorno definitiva. L’uomo non ha fatto nient’altro se non
dissociare miliardi di strutture per ridurle ad uno stato dove non sono più suscettibili di
integrazione. L’uomo ha provveduto alla realizzazione di città e campi destinati a produrre più
della quantità che l’organizzazione implica.
È la disinvoltura con cui gli uomini dissipano le risorse che la terra mette a disposizione, in
particolare, le risorse non rinnovabili, che rende la situazione sempre più preoccupante. Nelle
epoche passate, fenomeni quali il surriscaldamento climatico o gli uragani sono stati a volte anche
più intensi di oggi. Tuttavia, è l’accelerazione e la concentrazione di questi fenomeni in archi
temporali ridotti che dovrebbe farci pensare e spingerci a cambiare rotta rapidamente.
Lévi-Strauss si oppone alla visione progressista in nome dell’intera umanità, che egli vede
evolvere non nella direzione della liberazione, ma verso “una progressiva e sempre più completa
sottomissione dell’uomo al grande determinismo naturale”. Mentre si registra la tendenza ad
associare le “società primitive” alla natura, l’antropologia mostra che queste società sono meno
soggette al determinismo naturale di quanto lo siano le società occidentali contemporanee.
Questa visione del mondo si accompagna alla convinzione che il marxismo è una filosofia della
conoscenza; Lévi-Strauss non si interessa che per la sua influenza sulla scienza e impatto
epistemologico4: trasforma l’antropologia in una scienza articolata, un po’ come una scienza
esatta.

LE RESISTENZE AL CAMBIAMENTO

Lévi-Strauss sembra oscillare tra due distinte posizioni, anche se compatibili tra loro:

1. Da un lato, condivide una visione unitaria dello sviluppo umano, secondo la traiettoria
regressiva;
2. Dall’altra parte, segue Comte (per la visione della storia attuale e globale), per cui la
civilizzazione occidentale ha seguito uno sviluppo, più o meno violento, imposto ad altre
società.

È in questo quadro che la riflessione su Marx appare sfumata. Lévi-Strauss gli riconosce di aver
evidenziato certi aspetti del rapporto storico tra società primitive e occidentali, dimenticati spesso
dagli storici del capitalismo. Si tratta del ruolo svolto dalla colonizzazione del Nuovo Mondo.
Lévi-Strauss postula, con Marx, che lo sfruttamento da parte dell’uomo appare più avanti, con il
colonialismo, nell’appropriazione di eccessi di valore. Questa chiave di lettura ha condotto Lévi-
Strauss ad affermare che “nel pensiero marxista, la scienza economica e la sociologia nascono
come degli appartenenti dell’etnografia”. Questi stessi processi storici avevano dato origine al
capitalismo.
La sola prospettiva progressista e globalizzante accettata da Lévi-Strauss è quella che mantiene
le differenze tra le culture, che non è in contraddizione con la concezione entropica.
Con la costruzione di modelli, l’imprevedibilità della storia è un’altra delle porte aperte alla
possibilità di una creatività anti-catastrofica, il che significa di una creatività ricostruttrice che si
può manifestare nell’interiore delle situazioni della crisi che le società industriali dell’Occidente
producono strutturalmente. Questo concetto d’imprevedibilità della storia potrebbe essere
sfruttata di più per aiutare un altro aspetto dello strutturalismo lévi-straussiano, che Descola ha
messo in luce nella sua riflessione su “Le due nature di Lévi-Strauss”.
Descola scrive che l’arbitrarietà nelle scelte dei tratti distintivi degli ecosistemi locali è temperata
dal fatto che questi tratti sono organizzati in sistemi coerenti che possono essere intesi come
risultati delle trasformazioni.
Le catastrofi che abbiamo provocato nell’ecosistema possono avvenire a più livelli e in maniera
sistematica. È la condizione “sine qua non” (condizione senza la quale non si può verificare un
evento) che può permetterci di raffreddare la velocità del nostro vivere sociale e di ripensare ai
nostri rapporti con la natura. Saranno applicati degli interventi per ridurre tutti i problemi del
rapporto tra natura la società industriale e le scoperte scientifiche.

4
L’epistemologia è lo studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare riferimento
alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze.
La società occidentale si conforma a dei valori e ritmi che sono in procinto di provocare la
scomparsa dell’umanità. Si tratta di mobilitare tutte le risorse della scienza ed orientarle in
un’altra direzione rispetto a quella che mette in pericolo il mondo.
L’uomo non è il creatore della natura e non può disporne per soddisfare i suoi bisogni . I popoli
primitivi riconoscevano il diritto all’esistenza di tutte le specie ed è dalla loro prosperità che
rilevano il mantenimento della vita umana e la sua riproduzione.

 Dagli uomini primitivi bisogna cogliere la lezione di vita elaborata per il rispetto delle specie
viventi.
 Bisognerebbe prendere in prestito dai primitivi la loro capacità di “resistenza ai
cambiamenti”, specialmente perché questo è alla base del mantenimento della
discontinuità culturale.

Questa “resistenza ai cambiamenti, non è una “resistenza allo sviluppo”, poiché alcune società,
senza escludere gli sviluppi tecnologici e scientifici, li rafforzano mantenendo usanze tradizionali.

Lévi-Strauss indica tre fattori di resistenza allo sviluppo e all’industrializzazione , nel tentativo di
evadere dalla catastrofe, di cui l’uomo è vittima e artefice:

1. I primitivi preferiscono al cambiamento l’unità dei corpi sociali;


2. La ricerca nel rispetto della natura : molti popoli primitivi si rifiutano di utilizzare strumenti
elaborati, per timore di ferire Madre Natura.
3. Il rifiuto della storia caratterizzante i popoli primitivi e che Strauss indica come terza causa
della resistenza allo sviluppo. Si tratta dell’apertura ridotta all’esterno di cui sono prova i
popoli primitivi, ai quali non corrispondono una struttura sociale più spessa e un decoro più
ricco rispetto alla nostra civilizzazione.

Tra i primitivi, niente è lasciato al caso; ogni cosa deve essere al suo posto, impregna la vita morale
e sociale. Lévi-Strauss quindi spiega come delle società di così basso livello tecnologico possano
essere prova di un sentimento di benessere e abbondanza e ognuna di esse crede di esprimere
ai suoi membri la sola vita che vale la pena di vivere.

Cosciente di esporsi alle critiche dei fanatici del progresso, Lévi-Strauss considera che durante lo
sviluppo degli uomini “solo i mezzi differivano”, mentre la fraternità umana e un nuovo inizio
sono ancora possibili per il fatto stesso dell’esistenza di questo modello teorico fuori dallo spazio e
dal tempo.
Di questo ottimismo diviene ennesima prova un’ultima frase del “Finale” di Tristi Tropici, dove
l’uomo è posto al centro della dimensione temporale e ridiventa l’artefice del suo destino:
«Anche se gli uomini non perseguono che un solo scopo, cioè di produrre una società adatta a
viverci, le forze che hanno animato i nostri lontani antenati sono presenti anche in noi. Nulla è
perduto: possiamo riprenderci tutto (Rien n’est joué; nous pouvons tout reprendre). Ciò che fu
fatto e sbagliato può essere rifatto: “L’età d’oro che una cieca superstizione ci aveva posto dietro
(o davanti), è in noi».

NULLA È PERDUTO

“Nulla è perduto” e un messaggio di speranza. È un pensiero attuale perché è capace di


dimostrare che si può sfuggire all’alternativa del progresso indefinito e all’alternativa che vuole
l’umanità destinata a scomparire. Sono due aspetti estremi, che pero appartengono alla stessa
ideologia; tra di essi possiamo delineare dei modelli di organizzazione della vita sociale.
“Imparare dai primitivi” -vista la potenza tecnologica esibita dalle società occidentali, questa frase
risulterebbe un’assurdità, se non fosse che, proprio davanti ai nostri occhi, abbiamo i risvolti
catastrofici di questa potenza.
È vero che le nostre società hanno saputo sviluppare delle attività molto solide di prevenzione e di
calcolo delle conseguenze delle catastrofi. Ma queste attività rischiano di rivelarsi a lungo tempo
inefficaci se non si arriva a ricondurle alle cause strutturali delle catastrofi e alle ideologie che ne
sono alla base. Non bisogna soltanto domandarsi se le catastrofi sono dovute al cattivo uso delle
tecnologie, ma anche comprendere perché questo enorme progresso tecnologico che l’umanità
conosce non è stato in grado di contrastarli, ma li ha aggravati . Dunque, apprendere dai primitivi
non implica di rinunciare alle risorse che l’uomo ha sviluppato.

Questo rapporto con la natura e al centro della prospettiva che ci presenta Strauss della
catastrofe. Si può affermare che noi viviamo “il tempo delle catastrofi”, come scriveva nel XX
secolo Jürgen Habermas -definizione che include un arco temporale più ampio dell’attuale o del XX
secolo. Bisogna legare l’evento di disumanizzazione del capitalismo industriale alla conquista
dell’America e al genocidio degli indiani.
Quest’ultimo modello è utile a comprendere le nuove forme del capitalismo conosciuto che
permette nel XX secolo, nel cuore dell’Europa, che si produca la “soluzione finale” per gli Ebrei e
per chi rappresentava la diversità. I nazi-fascisti li perseguirono in maniera “scientifica”.
Quest’aspetto della Shoah permette di cogliere nelle più profonde cause il carattere unico del
trattamento riservato agli Ebrei. Per comprendere lo stato attuale delle cose dobbiamo risalire da
un lato al “patto industriale” che ha avviato un processo di massiccia distruzione della natura e
dall’altro alle origini dell’umanità.
Il rapporto con la natura e alla base del pensiero levi-straussiano, che ci ha fatto riflettere sulla
catastrofe. Il legame che si crea tra l’inquinamento e il campo di sterminio riconduce allo stesso
hybris nell’esercizio del potere.
L’approccio sistematico dello studio dei fatti sociali, il rispetto della diversità, la costruzione dei
modelli, l’idea che la dignità umana passi per il rapporto che l’uomo intrattiene con la natura, ci fa
comprendere in cosa lo strutturalismo lévi-straussiano è in risonanza con i problemi attuali, fino
al punto di contribuire all’elaborazione di un manifesto antropo-ecologico di cui l’umanità ha più
bisogno.
È probabile che l’umanità sarà costretta ad adottare nei prossimi anni delle strategie per uscire dai
dispositivi e dalle soluzioni tecniche che sono alla base delle attuali situazioni catastrofiche.

Obiettivi che gli etnologi si impongono di assicurare:

 valorizzare all’interno dell’industria le tecniche contadine e artigianali,


 cambiare la mappa dei valori che dominano le società occidentali,
 riequilibrare il rapporto di scambio con i poveri della terra,
 riordinare la produzione in funzione della vita.

Levi-Strauss non contraddirà mai la sua visione che gli uomini possono riprendersi tutto, rifare
tutto quello che fu fatto. Ridisegnare il mondo in un modo inaspettato è l’inverso delle situazioni
imprevedibili che scuotono la continuità della storia, e molti dei gruppi umani, dagli Amerindiani
agli Ebrei, che hanno dovuto ricominciare tutto da capo.
È molto probabile che l’umanità sarà obbligata ad adottare strategie di evasione dagli
apparecchi e delle soluzioni tecniche che sono all’origine delle situazioni catastrofiche attuali.
Spetta all’antropologo di restituire queste conoscenze all’umanità intera, nel tentativo di farla
uscire dal tunnel nel quale si è tragicamente bloccata .

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