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LA FORZA
La forza è la capacità di vincere una resistenza esterna grazie al lavoro espresso dai
muscoli scheletrici. La resistenza può essere rappresentata da tutto il peso del corpo (salto)
o da un carico esterno. Essere in grado di esprimere la giusta forza nel momento opportuno
è necessario non solo per praticare sport ma anche soprattutto per compiere semplici gesti
quotidiani. Diversi sono i fattori che determinano la forza:
● Il volume del muscolo: maggiore è la sezione trasversa del muscolo, maggiore è la
forza che è in grado di sviluppare
● La qualità neuromuscolare delle fibre: le fibre bianche, essendo innervate da assoni
di calibro maggiore, hanno la capacità di contrarsi con più velocità e intensità rispetto
alle fibre rosse
● La frequenza degli impulsi nervosi
● La disponibilità di risorse energetiche
● Il sesso: nelle fasi che precedono la pubertà lo sviluppo muscolare e, a parità di
allenamento, quasi identico; tale sviluppo comincia a differenziarsi a vantaggio dei
maschi nell’adolescenza
● Fattori genetici
Le forme fondamentali
La prima distinzione che dobbiamo operare è quella fra forza assoluta, ossia la forza
massima che l’individuo può esprimere indipendentemente dal suo peso corporeo, e forza
relativa, che considera il rapporto fra il peso e la forza prodotta. Il muscolo può produrre tre
diversi tipi di forza.
1. La forza massimale: è la tensione massima che è una contrazione muscolare
volontaria può sviluppare per vincere o equilibrare un’elevata resistenza; essa
dipende dal volume muscolare (pesi)
2. La forza veloce o potenza: è la capacità di produrre una forza di intensità elevata nel
più breve tempo possibile. Questa manifestazione di forza può essere anche definita
esplosiva (giavellotto)
3. La forza resistente: è la capacità di produrre uno sforzo muscolare per un tempo
prolungato (canottaggio)
La forza dipende in maniera significativa dalla componente coordinativa: nel caso della forza
muscolare si parla di coordinazione all’interno del muscolo (intramuscolare) e di alto grado di
collaborazione fra diversi gruppi muscolari (intermuscolare). Un movimento può essere
seguito il più rapidamente possibile solo se questi due fattori sono integrati. La prestazione
della forza è strettamente legata alla velocità di esecuzione: risulta che la forza è
inversamente proporzionale alla velocità. Nelle espressioni di forza il settore più impegnato è
certamente il busto dove sono coinvolti numerosi gruppi muscolari che si suddividono i
carichi di lavoro. Bisogna sapere che il sistema muscolare si suddivide in muscoli locali e
globali. I primi hanno la funzione di stabilizzare le articolazioni; quelli globali sono più
voluminosi, lunghi e potenti. La muscolatura locale si attiva solo quando lo sforzo non
supera il limite di intensità che corrisponde circa al 30% della forza massimale. Per questo
motivo, gli esercizi di forza, per rendere più stabile il tronco, devono essere seguiti a bassa
intensità, per molto tempo; quando si vuole alimentare la muscolatura globale è necessario
eseguire movimenti intensi per poco tempo. La qualità di ogni espressione di forza dipende
dall’intensità, quantità di fibre; la direzione, risultante della direzione delle forze di ciascun
muscolo; e il verso, direzione del movimento.
LA RESISTENZA
Definiamo la resistenza la qualità motoria condizionale che si esprime attraverso la capacità
di sopportare o di prolungare per il maggior tempo possibile un determinato sforzo, durante il
quale si contrasta la fatica. La fatica è una forma di difesa dell’organismo attraverso la quale
esso segnala che i limiti di sopportazione di uno sforzo sono stati superati. Per contrastare
questo fenomeno il nostro corpo necessita di un maggiore apporto energetico e deve essere
in grado di sfruttare al meglio le sue risorse. La resistenza è legata anche a fattori psichici, la
coordinazione, il ritmo e l’efficacia del gesto tecnico, che permettono di sfruttare al meglio
questa qualità senza inutili sprechi di energia. Lo sviluppo della resistenza è in stretto
rapporto con la funzionalità degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio, che forniscono
l’energia per sostenere un prolungato sforzo aerobico e anaerobico (alattacido), e con la
quantità di fibre rosse presenti nei muscoli. L’incremento massimo di questa capacità è
dunque possibile solo quando questi sistemi sono completamente sviluppati (cioè dopo i
12-13 anni) e con allenamenti specifici. A 12-13 anni ancora non esistono particolari
differenze fra i due sessi: con il tempo i maschi risulteranno più sensibili ai miglioramenti. La
resistenza può essere migliorata anche in età avanzata. Si distinguono due tipi di resistenza:
la resistenza generale e la resistenza specifica.
La resistenza generale (endurance) è la capacità di sopportare uno sforzo prolungato
indipendentemente dal tipo di attività fisica svolta. Essa sfrutta il meccanismo aerobico,
migliorando la capillarizzazione e dunque la capacità del sangue di portare ossigeno ai
muscoli. Un esercizio migliora la resistenza generale quando durante l’attività fisica i battiti
cardiaci si mantengono entro 130-140 al minuto. Quando il muscolo lavora attivando il
meccanismo aerobico, la produzione di acido lattico è minima e l’ossigeno a livello
muscolare è sufficiente a permettere la quasi completa ricarica dell’ATP. Tale situazione di
equilibrio si definisce con steady-state, il quale è riscontrabile solo in ritmi lavorativi assai
blandi, in cui l’organismo, attraverso il sangue, hai il tempo di trasportare l’acido prodotto in
modesta quantità al fegato, che lo trasforma in zucchero riutilizzabile dai muscoli.
La resistenza specifica è quella che ogni atleta deve sviluppare relativamente alla propria
specialità. La resistenza specifica è determinata dall’integrazione dei due meccanismi
aerobico e anaerobico alattacido. Si può resistere alla fatica in modi differenti in relazione al
tempo. Si parla di:
● Resistenza di lunghissima durata (35-90 minuti): il meccanismo aerobico è
preponderante (maratona)
● Resistenza di lunga durata (10-35 minuti): il meccanismo aerobico è accompagnato
in parte anche dal meccanismo anaerobico
● Resistenza di media durata (2-10 minuti) e resistenza di breve durata (45 secondi-2
minuti): prevale il meccanismo anaerobico
Per sbloccare l’attività respiratoria:
1. Fermarsi
2. Rallentare + profonde respirazioni fino a secondo fiato
L’EQUILIBRIO
L’equilibrio consiste nella capacità di mantenere o riacquistare una posizione stabile in
differenti situazioni statiche o dinamiche. Esso viene costantemente sollecitato dalle
posizioni che assumiamo e dai gesti motori che compiamo. Questo processo di
adeguamento è un riflesso automatico, e il centro nervoso dell’equilibrio è posto nel
cervelletto. Attraverso le terminazioni nervose, controlla costantemente le posizioni dei vari
segmenti corporei e regola la pressione del peso sugli appoggi, permettendo grazie alla
vista di individuare punti di riferimento. Il ristabilimento dell’equilibrio avviene in maniera
istintiva in tempi estremamente rapidi. Può accadere però che, in situazioni più complesse il
cervello debba inviare risposte più elaborate impegnando anche i centri volontari della
motricità che risiedono nella corteccia cerebrale (area piramidale). Per stare in equilibrio
dobbiamo fare in modo che la verticale del baricentro del nostro corpo (posto sotto
l’ombelico, davanti alla II-III vertebra lombare) cada entro il poligono di sostegno. È più facile
mantenere l’equilibrio se il peso è equamente distribuito su due o più appoggi sulla base di
appoggio e ampia. Un equilibrio più saldo si può raggiungere spostando il baricentro verso il
basso; le gambe divaricate permettono di mantenere un maggior equilibrio rispetto alle
gambe chiuse; anche le braccia aperte essendo la colonna vertebrale allineata con il tronco
rendono l’equilibrio più stabile. Inoltre, anche il peso di un oggetto influisce sulla sua
stabilità. Le prestazioni di equilibrio sono inoltre migliori se al momento dell’esecuzione si
mantiene puntato lo sguardo in avanti, su oggetti fissi. Vi sono quattro tipi di equilibrio:
● Equilibrio statico: è l’equilibrio che si mantiene da fermi. Questo tipo di equilibrio la
forma più facile da trovare o da ristabilire. Gli sport nei quali l’equilibrio statico trova
maggiore applicazione sono: lotta, judo, arrampicata
● Equilibrio dinamico: si esprime mantenendo ristabilendo l’equilibrio con un
movimento di traslazione del corpo. Questa forma di equilibrio comprende movimenti
semplici come camminare, salire le scale o andare in monopattino. Gli sport in cui
viene maggiormente applicato sono: nuoto, pattinaggio, ciclismo
● Equilibrio nelle rotazioni: è quello che si mantiene o si ristabilisce durante o dopo
rotazione intorno a tre assi del corpo: trasversale, longitudinale e sagittale. Le
varianti di queste espressioni sono innumerevoli: ruotare su se stessi a terra;
concatenare ruote, capovolta in avanti e dietro; eseguire salti mortali, avvitamento.
Gli sport in cui è maggiormente applicato sono: danza, ginnastica agli attrezzi,
pattinaggio
● Equilibrio in volo: quello che si mantiene o si ristabilisce nella fase aerea. La fase di
volo varia da pochi decimi di secondo a vari secondi, diversi minuti. Questa fase di
equilibrio quasi sempre combinata con quella precedente.
Allenare l’equilibrio
Per allenare l’equilibrio si possono eseguire esercizi di tutti i tipi, costringendo il sistema
nervoso a reagire velocemente ai nuovi stimoli con aggiustamenti motori. Stimolano e
allenano maggiormente l’equilibrio esercizi che presentano nuove difficoltà, per esempio
base di appoggio più strette, appoggi irregolari o instabili ecc. In particolare allineano
l’equilibrio gli esercizi che riducono la superficie del corpo a contatto con il suolo (muoversi
sulle punte dei piedi o sui pattini), che sono eseguiti su base di appoggio con superfici
limitate (panche, travi) e su basi di appoggio alte o instabili (trapezi, altalene), che richiedono
i fini aggiustamenti in volo (salti, trampolini). Un altro modo per allenare l’equilibrio consiste
nell’eseguire gli esercizi, anche più semplici, a occhi chiusi. Vi sono sport nei quali l'equilibrio
è particolarmente importante: la ginnastica artistica, lo sci, il ciclismo ecc. Lo studio delle
tecniche specifiche di questi sport e l’esecuzione di queste attività offriranno un
miglioramento costante di questa qualità motoria.
LA MOBILITÀ
La mobilità è la capacità di compiere atti motori sfruttando la massima escursione articolare.
Grazie a questa qualità fisica, le articolazioni concorrono a realizzare movimenti in tutte le
direzioni con la massima ampiezza e scioltezza. La direzione e l’ampiezza aumentano
l’efficacia del gesto, la scioltezza consente di esprimere ogni movimento in modo più
economico e con meno fatica. Questa capacità è fortemente condizionata da altre qualità
(forza, resistenza e velocità) delle quali a sua volta condiziona l’espressione. Gli esercizi di
mobilità favoriscono l’elasticità della muscolatura e permettono di aumentare la quantità di
liquidò sinoviale delle articolazioni. Questo aiuta le articolazioni a mantenersi sane e
preserva le cartilagini. Tra i fattori che possono influenzare la mobilità sono da ricordare: la
temperatura (il caldo aumenta la capacità); eventuali traumi provocati da incidenti
(distorsioni); abitudini di vita sedentaria e un eccessivo lavoro di forza che, se non
compensato, diminuisce notevolmente l’efficienza delle articolazioni. Altri fattori determinanti
per la mobilità: si tratta delle caratteristiche anatomiche individuali, che a loro volta
dipendono dal patrimonio genetico, dal sesso e dall’età. Nell’ambito delle caratteristiche
anatomiche distinguiamo elementi statici, rappresentati dalla struttura dell’articolazione e
della qualità dei legamenti, elementi dinamici, costituiti dalla capacità di allungamento e
dell’elasticità dei muscoli e minor misura dei tendini. Muscoli, tendini e legamenti, pur
limitando la possibilità di movimento dell’articolazione, sono essenziali in quanto la
rinforzano e contengono l’esecuzione del movimento con evidente risparmio di energia.
Questi elementi dinamici sono notevolmente migliorabili con un allenamento costante
graduale. La mobilità è l’unica qualità condizionale che, invece di presentare un’evoluzione
parallela allo sviluppo del soggetto, va incontro a una chiara involuzione che si manifesta fin
dai primi anni di vita. Le articolazioni dei neonati e bambini sono molto più flessibili e mobili
rispetto a quelle degli adulti. Questo dipende dalla struttura delle articolazioni, dalla sostanza
che compone la parte terminale delle ossa a livello articolare (e cioè la cartilagine), dalla
maggiore elasticità dei legamenti (lassità legamentosa) e dal basso tono muscolare. Fra gli
11 e i 14 anni cominciano a manifestarsi i primi problemi legati alla mobilità: infatti
l’accrescimento della forza del tono muscolare limita i movimenti articolari. In questi anni è
dunque importante allenare sviluppare la mobilità, che altrimenti tende naturalmente a
ridursi.
Allenare la mobilità
Con l’esercizio e l’allenamento regolare si possono ottenere buoni risultati. I miglioramenti
arrivano rapidamente e sono molto evidenti; tuttavia i benefici ottenuti si perdono altrettanto
velocemente se non si mantiene costante l’esercizio. Quando svolgiamo esercizi per
allenare la mobilità dobbiamo sapere con esattezza su quali articolazioni vogliamo
intervenire e quali sono gli effetti di ciascun esercizio, dosando le cariche in relazione agli
obiettivi e limiti strutturali. Negli esercizi di mobilità articolare importante assumere una
posizione di partenza corretta, per consentire di allungare in modo ottimale tutti i muscoli
interessati. Una posizione sbagliata o l’errata esecuzione del movimento non ce lo possono
impedire di raggiungere gli obiettivi ma possono anche risultare dannose e causare strappi
muscolari. Per uno sviluppo armonico e naturale di questa qualità è necessario intervenire
su tutti i settori, stimolando tutte le articolazioni del corpo in uguale misura. La mobilità
articolare si può allenare attraverso tre metodiche. Gli esercizi attivi si basano sull’esercizio
ginnico tradizionale, caratterizzato dal movimento continuo, senza farsi statiche, e
dall’impiego del lavoro attivo isotonico dei muscoli. Questi esercizi possono essere realizzati
con o senza il supporto di materiali o attrezzi e possono essere svolti individualmente o a
coppia. La tecnica di base dell’allenamento consiste nell'esecuzione di esercizi in serie che
prevedono oscillazioni, slanci e circonduzioni degli arti, estensioni, flessioni e rotazioni del
busto.
Gli esercizi attivi possono essere molto analitici e concentrarsi esclusivamente su una parte
del corpo, oppure a carattere più ampio comprendere diverse articolazioni. Questi esercizi
sono particolarmente appropriati durante la fase di riscaldamento, dove è importante
tonificare e preparare il muscolo a sforzi maggiori. Infine è bene ricordare che in questo
esercizio è molto importante stabilizzare il bacino prima di svolgere il movimento.
Gli esercizi passivi si basano su tecniche di trazione o pressione. Negli esercizi passivi il
muscolo viene allungato: un’articolazione viene forzata al suo massimo grado grazie
all’intervento di forze esterne che possono consistere nella trazione o nella spinta seguite da
un compagno, oppure nell’uso di attrezzi o pesi. Questi esercizi possono pertanto essere
eseguiti singolarmente o a coppie. La metodologia di allenamento prevede di mantenere la
posizione raggiunta per un certo tempo (10-30 secondi).
Il metodo di allenamento alla mobilità con esercizi di allungamento, lo stretching, è lo stesso
usato per allenare l’elasticità del muscolo. A differenza degli esercizi attivi, il movimento ha
qui il solo scopo di raggiungere la posizione corretta che deve essere mantenuta. Questi tre
metodi di allenamento presentano ciascuno vantaggi e inconvenienti. Per ottenere e
mantenere una buona mobilità è dunque utile impiegarli tutti e tre. Si consiglia di iniziare
ogni sessione di stretching con un piccolo repertorio di lavoro dinamico (esercizi attivi) e di
terminare gli allenamenti più pesanti con una breve seduta di stretching. Infatti è molto
importante che nella fase di recupero la muscolatura si rilassi.