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LE QUALITÀ MOTORIE

Le diverse possibilità di espressione del movimento si definiscono qualità motorie,


dipendenti in maniera rilevante dal nostro patrimonio genetico, che possono anche in parte
modificarsi con l’allenamento. Per questo raggiungono in ciascun individuo un diverso grado
di sviluppo, che differenzia la prestazione motoria. Lo studio delle diverse qualità motorie
nelle varie possibilità di espressione rende possibile una loro precisa classificazione. Le
qualità motorie di base sono: la forza, la resistenza, la velocità, la coordinazione, l’equilibrio
e la mobilità. Le qualità motorie, sviluppate gradualmente, ci permettono di acquisire
capacità specifiche, per questo sono anche definite capacità motorie. Le qualità motorie
sono alla base di ogni nostra attività e sono strettamente legate l’una all’altra. Inoltre
dipendono dall’efficienza e funzionalità di tutti gli apparati e sistemi del nostro corpo. In
particolare, la forza è soprattutto legata al sistema muscolare, la resistenza all’apparato
respiratorio e cardiocircolatorio, la velocità al sistema muscolare e nervoso, la mobilità
all’apparato articolare, la coordinazione e l’equilibrio al sistema nervoso. Le capacità motorie
non sono solo una dotazione naturale del nostro patrimonio genetico: si possono infatti
possedere capacità potenziali che non vengono coltivate. Al contrario, quando si è molto
motivati, si possono sviluppare capacità che non ci sono troppo affini. A seconda dei
reciproci legami di dipendenza le qualità motorie si distinguono in coordinative e
condizionali.
Le qualità motorie coordinative di base sono coordinazione ed equilibrio. Il sistema nervoso,
analizzando gli stimoli provenienti dall’esterno, elabora risposte complesse e invia comandi
che coinvolgono più sistemi e apparati.
Le qualità motorie di base condizionali sono forza, resistenza, velocità e mobilità. Esse
dipendono dalla funzionalità biomeccanica dell’apparato locomotore e dei processi fisiologici
di produzione dell’energia.

LA FORZA
La forza è la capacità di vincere una resistenza esterna grazie al lavoro espresso dai
muscoli scheletrici. La resistenza può essere rappresentata da tutto il peso del corpo (salto)
o da un carico esterno. Essere in grado di esprimere la giusta forza nel momento opportuno
è necessario non solo per praticare sport ma anche soprattutto per compiere semplici gesti
quotidiani. Diversi sono i fattori che determinano la forza:
● Il volume del muscolo: maggiore è la sezione trasversa del muscolo, maggiore è la
forza che è in grado di sviluppare
● La qualità neuromuscolare delle fibre: le fibre bianche, essendo innervate da assoni
di calibro maggiore, hanno la capacità di contrarsi con più velocità e intensità rispetto
alle fibre rosse
● La frequenza degli impulsi nervosi
● La disponibilità di risorse energetiche
● Il sesso: nelle fasi che precedono la pubertà lo sviluppo muscolare e, a parità di
allenamento, quasi identico; tale sviluppo comincia a differenziarsi a vantaggio dei
maschi nell’adolescenza
● Fattori genetici
Le forme fondamentali
La prima distinzione che dobbiamo operare è quella fra forza assoluta, ossia la forza
massima che l’individuo può esprimere indipendentemente dal suo peso corporeo, e forza
relativa, che considera il rapporto fra il peso e la forza prodotta. Il muscolo può produrre tre
diversi tipi di forza.
1. La forza massimale: è la tensione massima che è una contrazione muscolare
volontaria può sviluppare per vincere o equilibrare un’elevata resistenza; essa
dipende dal volume muscolare (pesi)
2. La forza veloce o potenza: è la capacità di produrre una forza di intensità elevata nel
più breve tempo possibile. Questa manifestazione di forza può essere anche definita
esplosiva (giavellotto)
3. La forza resistente: è la capacità di produrre uno sforzo muscolare per un tempo
prolungato (canottaggio)
La forza dipende in maniera significativa dalla componente coordinativa: nel caso della forza
muscolare si parla di coordinazione all’interno del muscolo (intramuscolare) e di alto grado di
collaborazione fra diversi gruppi muscolari (intermuscolare). Un movimento può essere
seguito il più rapidamente possibile solo se questi due fattori sono integrati. La prestazione
della forza è strettamente legata alla velocità di esecuzione: risulta che la forza è
inversamente proporzionale alla velocità. Nelle espressioni di forza il settore più impegnato è
certamente il busto dove sono coinvolti numerosi gruppi muscolari che si suddividono i
carichi di lavoro. Bisogna sapere che il sistema muscolare si suddivide in muscoli locali e
globali. I primi hanno la funzione di stabilizzare le articolazioni; quelli globali sono più
voluminosi, lunghi e potenti. La muscolatura locale si attiva solo quando lo sforzo non
supera il limite di intensità che corrisponde circa al 30% della forza massimale. Per questo
motivo, gli esercizi di forza, per rendere più stabile il tronco, devono essere seguiti a bassa
intensità, per molto tempo; quando si vuole alimentare la muscolatura globale è necessario
eseguire movimenti intensi per poco tempo. La qualità di ogni espressione di forza dipende
dall’intensità, quantità di fibre; la direzione, risultante della direzione delle forze di ciascun
muscolo; e il verso, direzione del movimento.

Allenare forza assoluta o massimale


La forza assoluta o massimale si sviluppa con carichi elevati massimali e submassimali
(75/100% del carico sollevato uno/due volte). Nei giovani il carico massimale è da evitare, i
carichi usati devono arrivare all’80% del proprio massimale. Le ripetizioni variano da uno a
otto per ogni serie (un numero definito di ripetizioni); occorre un adeguato tempo di recupero
tra una serie e l'altra. Il peso del sovraccarico, il numero delle serie e delle ripetizioni
dovranno essere stabiliti da un esperto in relazione alle capacità del soggetto; i carichi di
lavoro potranno essere aumentati solo con gradualità, seguendo i principi metodologici
fissati dalle teorie di allenamento come il metodo piramidale (Il metodo piramidale classico
consiste in un aumento costante del peso e una diminuzione delle ripetizioni. Ad esempio un
piramidale si imposta partendo da ripetizioni alte, ad esempio 12, e aumentando
gradualmente il peso, creando delle ripetizioni più basse). L’intervallo fra due allenamenti
non deve essere inferiore a 48 ore così da permettere il ripristino neuromuscolare.
Lavorando fra 75 e 85% del carico massimale, oltre a incrementare la forza assoluta si
incrementa anche l’ipertrofia muscolare. È possibile anche inserire un lavoro in circuito,
suddiviso in stazioni, con esercizi che prevedono il sollevamento di piccoli carichi per non
più di 10-12 volte prima di passare alla stazione successiva. Il recupero va da 3 a 5 minuti
tra ogni serie ed è di 1 minuto tra un esercizio e l’altro. Le stazioni di lavoro devono essere
8-12.
Allenare forza veloce o potenza
La forza veloce viene allenata a carico naturale, con serie ripetute di movimenti veloci e con
sovraccarichi mai superiori al 30-60% del proprio massimale. Le serie devono essere al
massimo di 10-12 ripetizioni. La velocità di esecuzione deve essere costante e ritmo veloce.
È inoltre opportuno eseguire il lavoro su ogni settore muscolare specifico. Lo stato di
affaticamento infatti, ostacola la possibilità di migliorare. Molto importanti sono la tecnica
pliometrica o metodica del salto in basso. Esse sfruttano la forza elastica che si accumula
nel muscolo per resistere alla caduta, cioè l’allungamento che il muscolo subisce prima di
contrarsi. Questo permette successivamente il prodursi di contrazioni ad alta velocità.
Questa metodica è molto proficua specie nella preparazione dei saltatori, ma si ribadisce la
necessità che l’altezza di caduta sia adatta al soggetto per evitare infortuni articolari e
muscolo-tendinei. Esercizi che allenano la forza veloce devono sviluppare la velocità e la
potenza del muscolo, non tanto il volume: un muscolo ipertrofico non è necessariamente più
forte mentre è sicuramente più pesante; inoltre una massa muscolare troppo sviluppata può
rendere meno mobile le articolazioni con grande svantaggio soprattutto per chi pratica
attività sportive in cui la forza deve esprimere velocità e potenza. Per riassumere, allenano
la forza veloce:
● Esercizi a carico naturale
● Esercizi con grandi attrezzi come le spalliere
● Esercizi con piccoli attrezzi o sovraccarichi (cavigliere)
● Esercizi con apposite macchine
● Percorsi ostacoli e circuiti training
● Esercizi pliometrici
Allenare la forza resistente
L’allenamento della forza resistente prevede l’esecuzione di prove lente per periodi
prolungati. È strettamente legato alle metodologie della resistenza allo sforzo (fenomeno
della fatica) e ai suoi principi fisiologici (processo aerobico, lattacido ecc). Possiamo definire
questo tipo di allenamento come diretto a sviluppare la capacità di protrarre l’espressione
della forza anche in condizioni di affaticamento e/o di prolungato dispendio energetico.
Quando l’organismo si adatta a una resistenza, occorre incrementare lentamente il carico di
lavoro non in termini di quantità di peso bensì di durata dello sforzo. La forza resistente
viene accresciuta attraverso il numero elevato di ripetizioni (anche 20) con carichi
medio-bassi (25-60% del massimale) e con poco recupero (circa 45 secondi) tra le serie
(3-4). La velocità di esecuzione deve essere moderata. Anche in questo caso può essere
utile ricorrere a circuiti di lavoro che data la varietà delle esercitazioni mantengono più alto
l’interesse e la disponibilità alla fatica. Il circuito può essere eseguito anche solo con il carico
naturale.

LA RESISTENZA
Definiamo la resistenza la qualità motoria condizionale che si esprime attraverso la capacità
di sopportare o di prolungare per il maggior tempo possibile un determinato sforzo, durante il
quale si contrasta la fatica. La fatica è una forma di difesa dell’organismo attraverso la quale
esso segnala che i limiti di sopportazione di uno sforzo sono stati superati. Per contrastare
questo fenomeno il nostro corpo necessita di un maggiore apporto energetico e deve essere
in grado di sfruttare al meglio le sue risorse. La resistenza è legata anche a fattori psichici, la
coordinazione, il ritmo e l’efficacia del gesto tecnico, che permettono di sfruttare al meglio
questa qualità senza inutili sprechi di energia. Lo sviluppo della resistenza è in stretto
rapporto con la funzionalità degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio, che forniscono
l’energia per sostenere un prolungato sforzo aerobico e anaerobico (alattacido), e con la
quantità di fibre rosse presenti nei muscoli. L’incremento massimo di questa capacità è
dunque possibile solo quando questi sistemi sono completamente sviluppati (cioè dopo i
12-13 anni) e con allenamenti specifici. A 12-13 anni ancora non esistono particolari
differenze fra i due sessi: con il tempo i maschi risulteranno più sensibili ai miglioramenti. La
resistenza può essere migliorata anche in età avanzata. Si distinguono due tipi di resistenza:
la resistenza generale e la resistenza specifica.
La resistenza generale (endurance) è la capacità di sopportare uno sforzo prolungato
indipendentemente dal tipo di attività fisica svolta. Essa sfrutta il meccanismo aerobico,
migliorando la capillarizzazione e dunque la capacità del sangue di portare ossigeno ai
muscoli. Un esercizio migliora la resistenza generale quando durante l’attività fisica i battiti
cardiaci si mantengono entro 130-140 al minuto. Quando il muscolo lavora attivando il
meccanismo aerobico, la produzione di acido lattico è minima e l’ossigeno a livello
muscolare è sufficiente a permettere la quasi completa ricarica dell’ATP. Tale situazione di
equilibrio si definisce con steady-state, il quale è riscontrabile solo in ritmi lavorativi assai
blandi, in cui l’organismo, attraverso il sangue, hai il tempo di trasportare l’acido prodotto in
modesta quantità al fegato, che lo trasforma in zucchero riutilizzabile dai muscoli.
La resistenza specifica è quella che ogni atleta deve sviluppare relativamente alla propria
specialità. La resistenza specifica è determinata dall’integrazione dei due meccanismi
aerobico e anaerobico alattacido. Si può resistere alla fatica in modi differenti in relazione al
tempo. Si parla di:
● Resistenza di lunghissima durata (35-90 minuti): il meccanismo aerobico è
preponderante (maratona)
● Resistenza di lunga durata (10-35 minuti): il meccanismo aerobico è accompagnato
in parte anche dal meccanismo anaerobico
● Resistenza di media durata (2-10 minuti) e resistenza di breve durata (45 secondi-2
minuti): prevale il meccanismo anaerobico
Per sbloccare l’attività respiratoria:
1. Fermarsi
2. Rallentare + profonde respirazioni fino a secondo fiato

Allenare la resistenza generale


L’esercizio più semplice e appropriato per sviluppare la resistenza generale è la corsa lenta
a velocità costante. L’intensità della corsa deve essere moderata, gli allenamenti costanti e,
partendo dagli 8-10 minuti, attraverso momenti graduali si può arrivare a correre 45-50
minuti. Durante l’allenamento vanno evitati cambi di velocità e va curata particolarmente la
respirazione, che deve essere accentuata per permettere una maggiore ossigenazione.
Oltre alla corsa lenta, il camminare è senza dubbio l’esercizio fondamentale. Attività come il
camminare, il correre, l’esercizio ginnico, combinate tra loro in modo non sistematico
allenano la resistenza, ma è fondamentale che esse vengano eseguite in sequenza, dando
così al corpo la possibilità di lavorare con continuità mantenendo le pulsazioni a una
frequenza che non deve essere superiore al doppio di quello che si ha in condizioni di
riposo, cioè tra le 120 e le 150 pulsazioni al minuto.
Allenare la resistenza specifica
Per migliorare la resistenza specifica occorre adeguare i metodi di allenamento con obiettivi
particolari. Scopo di questi allenamenti è abituarsi a sopportare gli sforzi a cui spesso si è
sottoposti durante la gara. I metodi di allenamento della resistenza specifica si differenziano
dai precedenti per il diverso ritmo di esecuzione e per il modo di recupero. La durata
complessiva dell’allenamento dovrà essere inferiore a quella dell’allenamento della
resistenza generale. Infatti, quando si allena la resistenza specifica, si lavora con ritmi
superiori impiegando prevalentemente il metodo anaerobico lattacido con conseguente
accumulo di acido lattico che determina l’insorgere della fatica in tempi più o meno rapidi. I
ritmi di queste esercitazioni devono essere di intensità medio-alta, mai massimale; i battiti
cardiaci, anche se è superiore al doppio dei battiti a riposo, non devono superare i 160-170
al minuto; i recuperi devono essere proporzionata agli sforzi fatti.
● Lavoro continuo con ritmo costante
● Metodo delle ripetizioni o interval training: le ripetizioni dell’esercizio possono essere
riprese solo quando, dai 180-220 battiti al minuto, al termine della prova si è ritornati
ai 120-140 battiti.
● Metodo ad andature varie, che consiste in un percorso con cambio di velocità su
medie-lunghe distanze, nel quale si aumenta gradatamente il ritmo (aerobico e
anaerobico lattacido). Una variante è rappresentata dal metodo fartlek che utilizza
percorsi con salite e discese.

L’EQUILIBRIO
L’equilibrio consiste nella capacità di mantenere o riacquistare una posizione stabile in
differenti situazioni statiche o dinamiche. Esso viene costantemente sollecitato dalle
posizioni che assumiamo e dai gesti motori che compiamo. Questo processo di
adeguamento è un riflesso automatico, e il centro nervoso dell’equilibrio è posto nel
cervelletto. Attraverso le terminazioni nervose, controlla costantemente le posizioni dei vari
segmenti corporei e regola la pressione del peso sugli appoggi, permettendo grazie alla
vista di individuare punti di riferimento. Il ristabilimento dell’equilibrio avviene in maniera
istintiva in tempi estremamente rapidi. Può accadere però che, in situazioni più complesse il
cervello debba inviare risposte più elaborate impegnando anche i centri volontari della
motricità che risiedono nella corteccia cerebrale (area piramidale). Per stare in equilibrio
dobbiamo fare in modo che la verticale del baricentro del nostro corpo (posto sotto
l’ombelico, davanti alla II-III vertebra lombare) cada entro il poligono di sostegno. È più facile
mantenere l’equilibrio se il peso è equamente distribuito su due o più appoggi sulla base di
appoggio e ampia. Un equilibrio più saldo si può raggiungere spostando il baricentro verso il
basso; le gambe divaricate permettono di mantenere un maggior equilibrio rispetto alle
gambe chiuse; anche le braccia aperte essendo la colonna vertebrale allineata con il tronco
rendono l’equilibrio più stabile. Inoltre, anche il peso di un oggetto influisce sulla sua
stabilità. Le prestazioni di equilibrio sono inoltre migliori se al momento dell’esecuzione si
mantiene puntato lo sguardo in avanti, su oggetti fissi. Vi sono quattro tipi di equilibrio:
● Equilibrio statico: è l’equilibrio che si mantiene da fermi. Questo tipo di equilibrio la
forma più facile da trovare o da ristabilire. Gli sport nei quali l’equilibrio statico trova
maggiore applicazione sono: lotta, judo, arrampicata
● Equilibrio dinamico: si esprime mantenendo ristabilendo l’equilibrio con un
movimento di traslazione del corpo. Questa forma di equilibrio comprende movimenti
semplici come camminare, salire le scale o andare in monopattino. Gli sport in cui
viene maggiormente applicato sono: nuoto, pattinaggio, ciclismo
● Equilibrio nelle rotazioni: è quello che si mantiene o si ristabilisce durante o dopo
rotazione intorno a tre assi del corpo: trasversale, longitudinale e sagittale. Le
varianti di queste espressioni sono innumerevoli: ruotare su se stessi a terra;
concatenare ruote, capovolta in avanti e dietro; eseguire salti mortali, avvitamento.
Gli sport in cui è maggiormente applicato sono: danza, ginnastica agli attrezzi,
pattinaggio
● Equilibrio in volo: quello che si mantiene o si ristabilisce nella fase aerea. La fase di
volo varia da pochi decimi di secondo a vari secondi, diversi minuti. Questa fase di
equilibrio quasi sempre combinata con quella precedente.
Allenare l’equilibrio
Per allenare l’equilibrio si possono eseguire esercizi di tutti i tipi, costringendo il sistema
nervoso a reagire velocemente ai nuovi stimoli con aggiustamenti motori. Stimolano e
allenano maggiormente l’equilibrio esercizi che presentano nuove difficoltà, per esempio
base di appoggio più strette, appoggi irregolari o instabili ecc. In particolare allineano
l’equilibrio gli esercizi che riducono la superficie del corpo a contatto con il suolo (muoversi
sulle punte dei piedi o sui pattini), che sono eseguiti su base di appoggio con superfici
limitate (panche, travi) e su basi di appoggio alte o instabili (trapezi, altalene), che richiedono
i fini aggiustamenti in volo (salti, trampolini). Un altro modo per allenare l’equilibrio consiste
nell’eseguire gli esercizi, anche più semplici, a occhi chiusi. Vi sono sport nei quali l'equilibrio
è particolarmente importante: la ginnastica artistica, lo sci, il ciclismo ecc. Lo studio delle
tecniche specifiche di questi sport e l’esecuzione di queste attività offriranno un
miglioramento costante di questa qualità motoria.

LA MOBILITÀ
La mobilità è la capacità di compiere atti motori sfruttando la massima escursione articolare.
Grazie a questa qualità fisica, le articolazioni concorrono a realizzare movimenti in tutte le
direzioni con la massima ampiezza e scioltezza. La direzione e l’ampiezza aumentano
l’efficacia del gesto, la scioltezza consente di esprimere ogni movimento in modo più
economico e con meno fatica. Questa capacità è fortemente condizionata da altre qualità
(forza, resistenza e velocità) delle quali a sua volta condiziona l’espressione. Gli esercizi di
mobilità favoriscono l’elasticità della muscolatura e permettono di aumentare la quantità di
liquidò sinoviale delle articolazioni. Questo aiuta le articolazioni a mantenersi sane e
preserva le cartilagini. Tra i fattori che possono influenzare la mobilità sono da ricordare: la
temperatura (il caldo aumenta la capacità); eventuali traumi provocati da incidenti
(distorsioni); abitudini di vita sedentaria e un eccessivo lavoro di forza che, se non
compensato, diminuisce notevolmente l’efficienza delle articolazioni. Altri fattori determinanti
per la mobilità: si tratta delle caratteristiche anatomiche individuali, che a loro volta
dipendono dal patrimonio genetico, dal sesso e dall’età. Nell’ambito delle caratteristiche
anatomiche distinguiamo elementi statici, rappresentati dalla struttura dell’articolazione e
della qualità dei legamenti, elementi dinamici, costituiti dalla capacità di allungamento e
dell’elasticità dei muscoli e minor misura dei tendini. Muscoli, tendini e legamenti, pur
limitando la possibilità di movimento dell’articolazione, sono essenziali in quanto la
rinforzano e contengono l’esecuzione del movimento con evidente risparmio di energia.
Questi elementi dinamici sono notevolmente migliorabili con un allenamento costante
graduale. La mobilità è l’unica qualità condizionale che, invece di presentare un’evoluzione
parallela allo sviluppo del soggetto, va incontro a una chiara involuzione che si manifesta fin
dai primi anni di vita. Le articolazioni dei neonati e bambini sono molto più flessibili e mobili
rispetto a quelle degli adulti. Questo dipende dalla struttura delle articolazioni, dalla sostanza
che compone la parte terminale delle ossa a livello articolare (e cioè la cartilagine), dalla
maggiore elasticità dei legamenti (lassità legamentosa) e dal basso tono muscolare. Fra gli
11 e i 14 anni cominciano a manifestarsi i primi problemi legati alla mobilità: infatti
l’accrescimento della forza del tono muscolare limita i movimenti articolari. In questi anni è
dunque importante allenare sviluppare la mobilità, che altrimenti tende naturalmente a
ridursi.

Allenare la mobilità
Con l’esercizio e l’allenamento regolare si possono ottenere buoni risultati. I miglioramenti
arrivano rapidamente e sono molto evidenti; tuttavia i benefici ottenuti si perdono altrettanto
velocemente se non si mantiene costante l’esercizio. Quando svolgiamo esercizi per
allenare la mobilità dobbiamo sapere con esattezza su quali articolazioni vogliamo
intervenire e quali sono gli effetti di ciascun esercizio, dosando le cariche in relazione agli
obiettivi e limiti strutturali. Negli esercizi di mobilità articolare importante assumere una
posizione di partenza corretta, per consentire di allungare in modo ottimale tutti i muscoli
interessati. Una posizione sbagliata o l’errata esecuzione del movimento non ce lo possono
impedire di raggiungere gli obiettivi ma possono anche risultare dannose e causare strappi
muscolari. Per uno sviluppo armonico e naturale di questa qualità è necessario intervenire
su tutti i settori, stimolando tutte le articolazioni del corpo in uguale misura. La mobilità
articolare si può allenare attraverso tre metodiche. Gli esercizi attivi si basano sull’esercizio
ginnico tradizionale, caratterizzato dal movimento continuo, senza farsi statiche, e
dall’impiego del lavoro attivo isotonico dei muscoli. Questi esercizi possono essere realizzati
con o senza il supporto di materiali o attrezzi e possono essere svolti individualmente o a
coppia. La tecnica di base dell’allenamento consiste nell'esecuzione di esercizi in serie che
prevedono oscillazioni, slanci e circonduzioni degli arti, estensioni, flessioni e rotazioni del
busto.
Gli esercizi attivi possono essere molto analitici e concentrarsi esclusivamente su una parte
del corpo, oppure a carattere più ampio comprendere diverse articolazioni. Questi esercizi
sono particolarmente appropriati durante la fase di riscaldamento, dove è importante
tonificare e preparare il muscolo a sforzi maggiori. Infine è bene ricordare che in questo
esercizio è molto importante stabilizzare il bacino prima di svolgere il movimento.
Gli esercizi passivi si basano su tecniche di trazione o pressione. Negli esercizi passivi il
muscolo viene allungato: un’articolazione viene forzata al suo massimo grado grazie
all’intervento di forze esterne che possono consistere nella trazione o nella spinta seguite da
un compagno, oppure nell’uso di attrezzi o pesi. Questi esercizi possono pertanto essere
eseguiti singolarmente o a coppie. La metodologia di allenamento prevede di mantenere la
posizione raggiunta per un certo tempo (10-30 secondi).
Il metodo di allenamento alla mobilità con esercizi di allungamento, lo stretching, è lo stesso
usato per allenare l’elasticità del muscolo. A differenza degli esercizi attivi, il movimento ha
qui il solo scopo di raggiungere la posizione corretta che deve essere mantenuta. Questi tre
metodi di allenamento presentano ciascuno vantaggi e inconvenienti. Per ottenere e
mantenere una buona mobilità è dunque utile impiegarli tutti e tre. Si consiglia di iniziare
ogni sessione di stretching con un piccolo repertorio di lavoro dinamico (esercizi attivi) e di
terminare gli allenamenti più pesanti con una breve seduta di stretching. Infatti è molto
importante che nella fase di recupero la muscolatura si rilassi.

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