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Sull’intera comunità mondiale a partire dal 2007 si è abbattuta una tremenda crisi finanziaria.

Una delle conseguenze più drammatiche è che essa compromette uno sviluppo sociale e civile
che si credeva inarrestabile e ad esserne coinvolte perlopiù sono le nuove generazioni. Tutto
cominciò nell’estate del 2007 con la cosiddetta crisi americana dei mutui immobiliari a
condizioni molto poco favorevoli per i debitori che portò alla bancarotta e alla chiusura di
alcuni famosi istituti di credito come la Lehman Brothers e la Goldman Sachs.
Nell’arco di pochi mesi la crisi si è poi estesa all’Europa e praticamente globalmente e da
allora una vera e propria reazione a catena si è innescata portando alla sfiducia dei mercati
borsistici e ad una elevata inflazione a livello mondiale. Nell’arco di due anni poi la ricchezza
interna di molti paesi è crollata, a cominciare proprio da alcune realtà occidentali, che negli
ultimi anni pensavano avere un benessere dal considerarsi costantemente in crescita.

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Nel 2011 molti paesi come Portogallo e Grecia hanno dovuto fare i conti con una situazione
disastrosa, a causa dell’allargamento della crisi dei debiti sovrani e la conseguente influenza
sulla finanza pubblica. Il rischio di insolvenza è stato evitato solo grazie ad interventi da parte
degli altri Stati della cosiddetta Eurozona. Le problematiche scatenate hanno avuto
ripercussioni politiche ma anche sociali sulle popolazioni coinvolte. A “pagare la crisi” sono
infatti le fasce di popolazione meno difese dalle tutele storiche, come quelle riguardanti il
mondo del lavoro. I tassi di disoccupazione però non sono aumentati solo a causa dei
licenziamenti, ma soprattutto per le difficoltà da parte delle fasce di popolazione più giovani
di trovare una sistemazione stabile, non solo dal punto di vista lavorativo. Per la prima volta
inoltre dal dopoguerra, una altissima percentuale di giovani vede davanti a sé prospettive di
crescita assai inferiori rispetto a quelle della generazione precedente.
Le difficoltà ad ottenere un lavoro e a mantenerlo, infatti, si traducono in una serie di
impedimenti che si riflettono sull’impossibilità di trovare casa, di costruire una famiglia e non
ultimo di contribuire all’economia, dal momento che difficilmente questi giovani riescono a
costruirsi un ruolo economico e sociale capaci di garantire loro una autonomia di vita.
Tutto ciò ha fatto sì che la popolazione mondiale sia arrivata ad affrontare una crisi
economica probabilmente superiore a quella del 1929, senza la possibilità di contare
realmente su un aiuto da parte dello Stato. Probabilmente se si attuasse una politica diversa, o
se si riuscisse a mettere in pratica misure basate sul sostegno dello Stato alle imprese, oltre
che ai lavoratori e alle famiglie, l’intera economia potrebbe trarne giovamento.
Particolarmente importante infatti sarebbe dare la possibilità a tutti di costruire la propria vita
su solide basi permettendo inoltre maggiore partecipazione alla vita economica del paese. In
questo modo, si potrebbero rilanciare l’economia che oggi è innegabilmente in difficoltà per
una totale mancanza di domanda dovuta proprio agli esiti disastrosi della crisi.
Serve una azione comune per il rilancio dei consumi. Le imprese hanno bisogno di domanda
di beni, di gente che sia in grado di comprare, solo così si rimette in moto un circolo virtuoso.

CONCLUSIONE
La crisi però ha anche portato elementi da valutare positivamente quali la maggior attenzione
e consapevolezza dei consumatori nel decidere gli acquisti uniti ad un impegno per ridurre gli
sprechi anche se preoccupa il fatto che in ampi segmenti di popolazione rinunciano alla
qualità dei prodotti per puntare solo sulla convenienza perché ciò rappresenta un passo
indietro rispetto a conquiste costruite nel tempo.

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