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Scoprire la macroeconomia

Capitolo 1

1. La Pandemia del 2020

Recessione economica  la cui durata dipende dal tempo che è necessario per correggere gli squilibri che
le hanno provocate.

Pandemia = Shock  colpisce l’economia in tre modi:

1. Le aziende che si approvvigionano di beni intermedi dalle fabbriche (ad esempio da quelle cinesi
che causa covid hanno dovuto chiudere) non riescono più ad approvvigionarsene per la chiusura di
queste o a causa del sistema dei trasporti bloccato. Le aziende senza questi beni intermedi devono
fermare le produzioni.
2. A causa della pandemia c’è stata una limitazione della mobilità e molti hanno smesso di lavorare 
meno lavoratori
3. Chiusura di fabbriche e negozi, caduta di redditi familiari ha provocato un rallentamento dei
consumi.

MENO LAVORATORI + MENO BENI INTERMEDI = “SHOCK ALL’OFFERTA” (shock che ha limitato la
produzione)

RALLENTAMENTO DEI CONSUMI = “SHOCK ALLA DOMANDA” (caduta dei consumi)

La Spagnola (1918 – 1919)

Recessione di soli 7 mesi perché, rispetto al Covid, non c’era l’obbligo di “Stare a casa”  lo presero quasi
tutti, molti morirono, chi sopravvisse divenne immune e continuò a lavorare. Le fabbriche non persero tanti
lavoratori e non chiusero, la recessione fu perciò breve.

“Stare a casa”  veniva deciso dai singoli Stati o città, chi mise però limitazioni più severe ebbe minori
danni economici perché ci furono meno decessi e alla fine della Spagnola meno capitale umano era stato
perduto.

Con il Covid a causa del “distanziamento sociale” c’è stata minore mortalità ma una recessione economica
più lunga.

Secondo le stime, a partire dall’8 Marzo (giorno in cui furono annunciate le misure di blocco) e fino alla loro
entrata in vigore, c’è stato un sensibile aumento dell’importo nominale delle spese (ha raggiunto tassi di
crescita del 36,2% nel giorno immediatamente precedente l’entrata in vigore della legislazione). Con il
blocco c’è stato un forte calo nelle spese  spese nominali giornaliere per beni durevoli diminuiscono del
48,6%.

APRILE 2020 – FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE  previsioni sull’andamento dell’economia mondiale


durante e dopo la pandemia.

- Nel secondo trimestre del 2020 il Pil dei paesi avanzati diminuisce del 15% rispetto alle previsioni
pre-pandemia.
- Ripresa rapida, a fine 2021 (7 trimestri dopo lo shock)  Pil ritorna a livello pre-shock e un 5% sotto
al livello che avrebbe raggiunto senza pandemia.
- L’effetto recessivo, secondo questa prima stima, è minore per i paesi in via di sviluppo.
2. LA CRISI DEL 2008-2009

FIGURA: Tassi di crescita della produzione per tre tipi di economie.

2000 – 2007  Economia mondiale che ha superato una fase di grossa espansione
4,5% di crescita media annua della produzione mondiale.

- Economie avanzate (30 paesi più ricchi al mondo) cresciute a un tasso medio del 2,7% per anno.
- Economie emergenti e in via di sviluppo crescite ad un ritmo del 6,6% annuo.

Nel 2007 i prezzi delle case negli USA (che dal 2000 erano raddoppiati) cominciarono a diminuire.

Gli economisti più positivi pensavano che la Fed (Federal Reserve Bank  banca centrale degli Stati Uniti)
poteva ridurre i tassi d’interesse cosa che avrebbe stimolato la domanda evitando la recessione, ma i più
pessimisti pensavano che la riduzione dei tassi d’interesse non sarebbe bastata per stimolare la domanda e
che la recessione era quindi inevitabile.

Mutui ipotecari concessi negli anni precedenti erano di scarsa qualità e le famiglie che erano fin troppo
indebitate non riuscivano a pagare le rate mensili. Essendo poi il valore delle case così diminuito molti si
trovarono con un valore del mutuo ipotecario più alto rispetto a quello della propria casa e avevano quindi
stimolato i debitori a diventare insolventi (cioè di non restituire il denaro preso a prestito, cosa che si può
fare negli Usa, non in Italia).

I mutui ipotecari venivano trasformati dalle banche in strumenti finanziari che vendevano ad altre banche o
a investitori che a loro volta modificavano e creavano questi strumenti finanziari da rivendere, il giro
diventava talmente ampio da rendere impossibile la loro valutazione corretta. Le banche non avevano
quindi a bilancio i mutui ipotecari originari ma si trovavano con questi invalutabili strumenti finanziari.

La crisi nel settore immobiliare si trasformò così in una grande crisi finanziaria. Le banche che non erano in
grado nei loro bilanci di valutare la qualità delle attività detenute, non si prestavano più soldi tra loro per
paura che la controparte potesse essere insolvente. Così molte banche rischiarono il fallimento.

Il 15 Settembre 2008 la Lehman Brothers, una delle maggiori banche americane, annunciò la bancarotta.

La crisi finanziaria si trasformò poi in una gigantesca crisi economica. I prezzi delle azioni crollarono. Alla
fine del 2008 i prezzi delle azioni avevano già perso metà o più del loro valore, e non solo quelle americane,
ma anche quelle dell’Europa e dei paesi emergenti. Gli americani spaventati tagliarono drasticamente i loro
consumi e le imprese, data la riduzione delle vendite e il futuro incerto, tagliarono a loro volta gli
investimenti. Cessò anche la costruzione di abitazioni dato che quelle precedenti rimasero invendute e dati
i bassi prezzi immobiliari. La Fed tagliò i tassi di interesse a zero e il governo americano diminuì le tasse e
aumentò la spesa pubblica, ma la domanda diminuì lo stesso e così anche la produzione. Nel terzo trimestre
del 2008 la crescita della produzione americana divenne negativa e così rimase per tutto il 2009.

Crisi americana  crisi mondiale

Attraverso due canali:

1. Commercio internazionale = consumatori e imprese americane che diminuiscono la spesa


comportano una riduzione delle importazioni di beni prodotti all’estero, i paesi esportatori
diminuendo il lor export diminuivano anche la loro produzione.
2. Finanza = banche americane in cerca di fondi rimpatriarono quelli che detenevano in altri paesi
creando problemi alle banche di quei paesi. Queste banche appena videro un problema di
finanziamento ridussero i prestiti erogati alle imprese e perciò ci fu un calo della produzione e della
spesa.
I paesi europei con un elevato debito pubblico ebbero a causa della crisi anche un disavanzo di
bilancio (meno entrato e più spese dello Stato). Gli investitori dubitando della loro solvibilità
(capacità di far fronte agli impegni finanziari assunti) chiesero maggiori tassi di interesse sui titoli
pubblici e i governi per far fronte a questi maggiori tassi d’interesse cercarono di ridurre i loro
disavanzi di bilancio: minor spesa pubblica e maggiori tasse  riduzione della domanda ulteriore e
della produzione.
Propagazione della crisi in Europa diventa una crisi a sé stante: la crisi dell’euro.

Crescita media delle economie avanzate nel 2009 = -3,4%


Crescita media nei paesi emergenti e in via di sviluppo = 3,5% (inferiore alla media del periodo
2000-2007).

Risposta decisa politiche monetarie e fiscali + graduale risanamento delle banche = economia che si
riprese

Crescita nelle economie avanzate che torna positiva dal 2010 fino all’arrivo della pandemia nel
2020.
Tasso di crescita dei paesi emergenti e in via di sviluppo tornato a livelli sostenuti ma minore di
quanto non fosse prima della crisi e con un’ulteriore discesa dal 2010 (fig. 1.4).

Disoccupazione:
- Stati Uniti: tornata ai livelli pre-crisi
- Eurozona: tasso di crescita positivo ma basse e disoccupazione che rimane elevata

GLI STATI UNITI D’AMERICA

Per capire quanto un paese è grande da un punto di vista economico di guarda al prodotto del paese = il
livello della produzione di un paese

Per capire qual è il tenore di vita di un paese si guarda al prodotto per persona.

AMERICA

 è il 24% del prodotto mondiale

 Ha un reddito pro capite di 62.500 dollari

VERIFICARE LO STATO DI SALUTE DELL’ECONOMIA DI UN PAESE:

- Tasso di crescita della produzione: il tasso a cui la produzione cambia nel tempo
- Tasso di disoccupazione: proporzione di lavoratori nell’economia che non sono occupati e che
cerano lavoro
- Tasso di inflazione: tasso al quale il prezzo medio dei beni cresce nel tempo
Dalla tabella si denota chiaramente che l’economia degli Stati Uniti nel 2018 era in buona forma.

La pandemia del 2020 denota che le condizioni erano parecchio peggiorate rispetto al 2008-2009.

RIDUZIONE DEL PIL + INFLAZIONE IN CALO + FORTE AUMENTO DISOCCUPAZIONE = CROLLO DELLA
DOMANDA

Gli Stati Uniti hanno avuto una ripresa dalla crisi finanziaria dal giugno 2009 e fino al 2019 c’è stata una
crescita della produzione tale da essere la più lunga registrata dal 1945. Nel 2020, causa pandemia, c’è
stato un blocco dell’attività produttiva che ha fatto impennare la disoccupazione.

LA FED HA UN RUOLO CENTRALE PER LIMITARE IL CALO DELLA PRODUZIONE:

1. Parte del suo mandato è proprio rivolto al contrasto delle recessioni


2. Ha lo strumento migliore per contrastare le recessioni: il tasso d’interesse

Riduzione tasso d’interesse = aumento produzione, stimolo della domanda e diminuzione disoccupazione

E viceversa

Andamento del Federal Funds rate dal 2000:

Con la pandemia la Fed ha fatto ciò che fece anche all’inizio della crisi del 2008  tassi di interesse a breve
termine che tornano a 0%.
I TASSI DI INTERESSE NON POSSONO ASSUMERE VALORE NEGATIVO GRAZIE ALLO “ZERO LOWER BOUND”
(limite nella capacità di una banca centrale di fissare i tassi di interesse sotto lo zero)

I tassi di interesse non possono scendere sotto lo zero perché nessuno vorrebbe avere titoli obbligazionari
ma banconote dato che queste pagano un tasso di interesse nullo.

C’è un limite a quanto i tassi di interesse possono scendere prima che le persone trovino più convenienti le
banconote rispetto ai titoli obbligazionari.

STATUS DELL’ECONOMIA:

- Breve periodo: dipende dall’andamento della domanda e dalle decisioni della banca centrale
- Lungo periodo: dipende da altri fattori, tra cui la crescita della produttività  senza di questa
sarebbe impossibile pensare un miglioramento del reddito pro capite.

Dal 2010 la crescita della produttività è stata la metà di quella esistente negli anni Novanta

La crescita della produttività varia moltissimo di anno in anno e alcuni economisti pensano non ci sia
niente di allarmante, altri pensano invece ci siano problemi di misurazione della produttività e che la
sua crescita venga pertanto sottostimata. Altri economisti ancora pensano che gli Stati Uniti siano in un
periodo di bassa crescita della produttività e che il progresso economico dei prossimi anni sarà meno
veloce che in passato. Ormai i guadagni delle nuove tecnologie Tic (tecnologie dell’informazione e dea
comunicazione) siano già stati assorbiti.

Rallentamento della crescita della produttività succede in un contesto di crescente disuguaglianza.

Una sostenuta crescita della produttività = molti ne beneficiano (anche se i meno abbienti ne
beneficiano meno dei più abbienti), aumenta la disuguaglianza (per il motivo precedente tra parentesi)
ma tutti beneficiano di un miglioramento del tenore di vita.

Se la produttività non aumenta = dal 2000 stipendio di un lavoratore con titolo di scuola secondaria
diminuito, disuguaglianza che si accompagna ad una riduzione del tenore di vita dei lavoratori che
hanno redditi tendenzialmente più bassi  diverrà insostenibile e si dovrà o far crescere la produttività
o ridurre la disuguaglianza o entrambe le cose.

4. EUROPA

5. LA CINA

La Cina è grande quattro volte gli Stati Uniti, ma la sua produzione (in dollari) è circa il 60% di quella
statunitense, allo stesso modo l suo reddito pro-capite è circa il 15% dei quello degli USA. Paragonare i due
Paesi è complesso perché essendo la Cina più povera deli USA, i suoi beni sono più a buon mercato e uno
stesso stipendio ha più potere d’acquisto in Cina rispetto che negli Stati Uniti.

Esistono in economia le misure PPP (purchasing power party = parità di potere d’acquisto) che sono le
variabili statistiche che tengono conto delle differenze di due Paesi messi a confronto. Con queste misure si
denota che il prodotto pro capite della Cina è un po’ meno di un terzo di quello degli Stati Uniti.
La crescita della Cina in tre decenni è avvenuta molto velocemente. Dal 1990 al 2007 (periodo pre-crisi) la
crescita cinese è avvenuta ad un ritmo del 10% per anno con un prodotto che raddoppiava ogni 7 anni. La
sua crescita e la disoccupazione è tra l’altro a malapena rallentata e diminuita nel 2008/9 perché la crisi
della domanda ciese è stata controbilanciata dalla massiccia espansione fiscale del governo cinese tramite
principalmente un aumento degli investimenti pubblici. Come risultato si è vista una crescita della domanda
e quindi della produzione.

I tassi di crescita sono poi caduti del meno dell’8% del periodo post crisi e della previsone del 5% nel 2020.

FOTE DI CRESCITA DELLA CINA:

- Elevato tasso di accumulazione del capitale  tasso di investimento in Cina del 46%. Più capuale
significa maggiore produttività e quindi maggiore produzione.
- Rapido progresso tecnologico
- Incoraggiamento delle imprese straniere a localizzare la produzione in Cina, aumentando così la
produttività e quindi la produzione del Paese (anche perché queste lavorano molto di più delle
imprese cinesi).
- Incoraggiamento di Joint Ventures tra imprese straniere e cinesi che hanno permesso a
quest’ultime di apprendere dalle imprese estere e si è perciò visto un drastico aumento delle
imprese cinesi stesse.

La Cina è passata da un’economia pianificata a un’economia di mercato senza avere problemi di riduzione
di produzione che hanno avuto gli altri paesi che avevano tentato questa strada (come Russia, ex
repubbliche sovietiche ecc…) durante la fase di transizione. Mentre in questi paesi c’era stata una
corruzione diffusa e un mancato rispetto dei diritti di proprietà, alcuni economisti sostengono che questo
passaggio in Cina ha funzionato proprio grazie al controllo politico continuo del partito comunista che ha
avuto quindi un altrettanto rigido controllo dei diritti di proprietà almeno per le nuove imprese
incoraggiandole ad investire. Altri economisti sostengono invece che ciò ha funzionato in Cina perché la
transizione è stata più lenta.

Il rallentamento del tasso di crescita che la Cina vede negli ultimi anni e negli ultimi dati non è visto
negativamente poiché il popolo cinese al momento beneficerebbe di una riduzione del tasso di
investimento che porterebbe ad un maggiore consumo.

6. ITALIA

L’Italia ha visto negli anni 50 e 60 un rapido sviluppo della produzione che è moderatamente continuato
negli anni 70 e 80. Dalla seconda meta del 90 fino ad oggi invece la crescita della produzione vede un
periodo di stagnazione (questo mentre l’Eurozona ha continuato a crescere ad un tasso medio annuo del
2,1%).

Ciò si denota anche dall’evoluzione del reddito pro capite, in percentuale a quello francese (perché paese
simile esposto agli stessi shock, sia per popolazione, sia per estensione geografica sia per struttura
economica avendo entrambi adottato l’euro fin dall’inizio). Mentre nel periodo 1960-90 il reddito pro
capite italiano passò dall’84% di quello francese al 96% nel 1995, dopo il 95 la situazione cambiò
drasticamente: in termini reali il reddito pro capite italiano era di circa 24.000 euro (a quel tempo lire) ed
oggi è di 25.000 euro circa. Quello francese dal suo canto era di circa 25.000 euro mentre ora è di 31.130
euro (crescita della Francia del 20,8% rispetto al 0,9% dell’Italia).

Secondo alcuni economisti il problema di stagnazione della produttività dell’ultimo quarto di secolo è dato
dall’inefficienza della burocrazia e della giustizia civile, unite ad un eccessivo livello di tassazione che
impediscono alle imprese di crescere e svilupparsi. In più, rispetto ai colleghi francesi e tedeschi, gli
imprenditori italiani non sono stati in grado di cogliere i benefici derivanti dall’adozione delle nuove
tecnologie informatiche sia per la ridotta dimensione delle imprese italiane rispetto alla media europea, sia
a causa della bassa alfabetizzazione informatica dei lavoratori adulti italiani.

Il problema di produttività che non cresce è dato dalla media di imprese nelle quali c’è una produttività
spedita (notare come alcuni settori del manifatturiero in Italia vedano una produttività che supera di gran
lunga Francia e Germania) e di alcune altre dove ristagna; perciò, è in realtà un problema di ri-allocazione:
bisogna restringere lo spazio occupato dalle imprese poco produttive.

Anche il mercato del lavoro vede alcune problematiche date anche da due riforme del mercato del lavoro
che avevano il fine di ridurre la disoccupazione: il pacchetto Treu (1997) e la legge Biagi (2003). L’idea era
quella di liberalizzare il lavoro temporaneo per incentivare le assunzioni da parte delle imprese.
Sicuramente questo portò ad una diminuzione della disoccupazione dal 12% nell’anno 1997 al 6,1% nel
2007, ma al contempo le imprese non erano più incentivate a investire nella formazione e nella
specializzazione dei dipendenti, rendendo così difficile incrementare la loro produttività. Allo stesso modo i
lavoratori non erano incentivati a sforzarsi per aumentare la propria produttività sul posto di lavoro
precario.

La crescita economica non è solo fondamentale per migliorare il tenore di vita ma anche per rimborsare
l’enorme debito pubblico accumulato nei decenni passati.

Il debito italiano è maggiore rispetto alla media dell’Eurozona ed è anche fortemente aumentato (+30%)
per colpa della crisi.

Dato che è impossibile estinguere il debito pubblico in un’unica volta, questo deve essere continuamente
rifinanziato da investitori di cui la metà almeno sono internazionali. Gli investitori acquistano i titoli del
debito pubblico solo se sono convinti che un paese sia solvente e per esserlo è necessaria una sostenuta e
regolare crescita della produzione. Ecco perché una stagnazione economica italiana preoccuperebbe tutto il
mondo: se non gli investitori decidessero di non rifinanziare il nostro debito, il governo italiano fallirebbe e
si andrebbe a distruggere l’economia nazionale. Inoltre l’Italia, date le sue dimensioni, trascinerebbe a
fondo con sé l’intera Unione Monetaria Europea.

7. GUARDANDO AVANTI

- India: paese povero e sterminato che, come la Cina, sta crescendo molto velocemente e sta diventando
una potenza economica mondiale.

- Giappone: 40 anni successivi alla Seconda guerra mondiale con una crescita economica sorprendente, ma
non con gli stessi risultati negli ultimi due decenni. Dal crollo del mercato azionario dell’inizio degli anni
Novanta ad oggi ha risentito di una stagnazione prolungata con una crescita media della produzione
inferiore all’1% annuo.

- America Latina: passata da un alto tasso di inflazione ad una bassa inflazione negli anni 90 e ha poi vissuto
una forte crescita economica che però è recentemente rallentata, risultato dovuto in parte al declino dei
prezzi delle materie prime.

- Europa Centrale e dell’Est: passate da un’economia pianificata ad un sistema di mercato nei primi anni 90.
Cambiamento caratterizzato per la stragrande maggioranza di questi paesi da un drastico crollo della
produzione nelle fasi inziali della transizione. Alcuni paesi come Polonia hanno ora elevati tassi di crescita,
mentre paesi come la Bulgaria faticano ancora.

- Africa: ha sofferto di decenni di stagnazione economica, ma nel 2000 la crescita p stata elevata, con una
media del 5,5% per anno. Sviluppo nella maggioranza dei paesi del continente.

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