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INDICE:
Introduzione Le origini del reporter di guerra Come ebbe inizio la censura militare Dalla seconda guerra mondiale agli anni '60 La guerra del Vietnam Le due guerre del Golfo La guerra del Kosovo La guerra in Afghanistan Chi un giornalista di guerra Bibliografia e Sitografia
pag 4 pag 6 pag 7 pag 8 pag 10 pag 11 pag 13 pag 13 pag 15 pag 17
Il vero giornalismo quello intenzionale, vale a dire quello che si d uno scopo e che mira a produrre una qualche forma di cambiamento1 Ryzard Kapuciski
1 Ryszard Kapuciski, Il cinico non adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo, E/O, Roma 2000, p.39
INTRODUZIONE
Esistono due principali tipi di giornalismo di guerra: il giornalismo cosiddetto embedded o non embedded. Il primo vede il giornalista seguire le truppe durante le operazioni militari, nel secondo il giornalista si reca da solo nella zona del conflitto. Uno dei limiti del giornalismo embedded, forma di giornalismo diventata nota soprattutto grazie alle cronache di guerra in Medio Oriente (forma diventata poi unica, salvo rare eccezioni), quello di raccontare la guerra dal punto di vista del soldato. L'inviato, infatti, inserito in uno degli eserciti coinvolti, alle stesse condizioni del personale militare. Da qui egli segue e racconta levento bellico. Senza potersi muovere liberamente. La figura nata recentemente da un regolamento del Dipartimento della Difesa Americana Statunitense, diffuso nel febbraio del 2003, poche settimane prima dell'inizio della seconda guerra in Iraq. Il suddetto documento sintitola Guida sull'arruolamento di media, in possibili future operazioni, nell'area di responsabilit del Comando Centrale degli Stati Uniti. Il significato dell'operazione cos spiegato: La politica del Dipartimento della Difesa in fatto di copertura mediatica di future azioni militari che i media abbiano un accesso di lunga durata e per nulla restrittivo alle forze armate USA, navali, aeree e di terra.
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Ai giornalisti embedded viene dato quindi il privilegio di vivere in prima linea e osservare i soldati in azione, condividendo i rischi della vita in guerra. Il testo poi precisa che: la copertura mediatica di ogni futura operazione dovr formare, in senso lato, la percezione pubblica della sicurezza nazionale. Oggi e negli anni a venire. Questo valido per il pubblico statunitense; per quello degli Stati alleati, la cui opinione pu condizionare la durata della coalizione; e anche per il pubblico delle nazioni in cui sono condotte le operazioni militari, la cui percezione degli Stati Uniti pu influenzare il costo e la durata del nostro
2 Public affairs guidance (PAG) on embedding media during possible future operations/deployments in the U.S. Central Commands (CENTCOM) area of responsability (AOR), art. 2a
impegno.
Il documento sembra esprimere un'idea dei media esclusivamente funzionale al servizio di sicurezza nazionale, o meglio alla 'percezione della sicurezza nazionale, e prosegue cosi: Questi embedded media vivranno, lavoreranno, viaggeranno come parte delle unit in cui saranno inseriti per facilitare la copertura delle azioni delle forze di combattimento. Sar dunque necessario bilanciare la necessit di accesso all'informazione con la necessit della sicurezza operativa. 4 E ancora: I comandanti delle unit possono imporre ai media temporanee restrizioni alle trasmissioni elettroniche per ragioni di sicurezza operativa.5 Il che equivale a: i giornalisti possono osservare i soldati in azione, ma non raccontare fino in fondo ci che vedranno. Con i molteplici mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione oggi, il pubblico pu seguire la diretta delle operazioni militari in prima linea. I giornalisti, a contatto con i soldati dell'esercito, forniscono in tempo reale notizie sulla guerra. Ma, se da una parte per gli inviati questo risulta essere un motivo di maggiore sicurezza, per noi rappresenta un'informazione limitata. Raramente riusciremo ad avere un quadro complessivo del conflitto. Nei servizi giornalistici infatti l'attenzione rivolta pi al conflitto militare, mentre la societ, la popolazione, principale vittima, riveste spesso un ruolo secondario. Altro punto fondamentale riguarda il fatto che i reporter di guerra rappresentano l'unica fonte da cui possiamo ricevere informazioni e conseguentemente anche un unico punto di vista, per non parlare dell'omologazione delle informazioni che il sistema mediatico ci propone oggi. Agli editori ed ai direttori spetta infatti la selezione delle notizie, il cosiddetto newsmaking. Si pu facilmente intuire come questi sono spesso guidati da criteri tutt'altro che etici e deontologici nel decidere che cosa giusto divulgare, e che cosa deve essere nascosto, similmente a come
3 Ibidem 4 Ibidem 5 Ivi, art. 2 c4
accade nello svolgersi di un conflitto. Riporto a tale proposito le parole di Mimmo Cndito nel suo libro, I Reporter di guerra: [...] Quando si dichiara guerra, la prima vittima sempre la verit. Arthur Ponsonby, in Falsehood in Wartime6. Inoltre, la televisione, uno dei principali canali d'informazione, ci ha sempre proposto un giornalismo di guerra a misura di piccolo schermo, capace di entrare nelle case senza traumatizzare nessuno. Per contro, accade che la maggior parte degli eventi acquisti rilevanza solo se riesce a colpire abbastanza l'immaginario pubblico, talvolta in modo forte e drammatico. stato cosi sin dalle origini del giornalismo di guerra.
Prima di lui, sulle cronache dei giornali, le guerre venivano raccontate mediante resoconti tratti da bollettini oppure attraverso un insieme di notizie, pi o meno veritiere, raccolte dagli stessi militari. Russell, invece, ebbe il coraggio di descrivere la sconfitta dellesercito inglese: raccont i corpi straziati, i moribondi che soffrivano, il caos, gli errori strategici dei generali, lo spreco delle risorse e di
6 M. Cndito, I reporter di guerra: storia di un giornalismo difficile da Hemingway a Internet, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2009, p.219. 7 http://it.wikipedia.org/wiki/William_Howard_Russell
uomini, la corruzione. Retroscena mai svelati prima, per cui si rischiava di venire accusati di tradimento. Alle undici e dieci, la nostra brigata di cavalleria leggera avanz trionfante nel sole del mattino, fiera in tutto il suo bellico fulgore. Da una distanza che non era nemmeno un miglio, lintero schieramento nemico vomit da trenta bocche di fuoco un inferno di fumo e di fiamme. Il punto di arrivo dei colpi fu segnato da vuoti improvvisi che si aprivano nelle nostre fila. [...] I Cavalleggeri si lanciarono dentro le nuvole di fumo; ma prima che si perdessero alla nostra vista, la pianura era punteggiata dei loro corpi. Alle undici e trentacinque non un solo inglese restava davanti alla bocca dei sanguinari cannoni moscoviti. Solo i morti e i moribondi.8 Gli effetti furono notevoli: i racconti di Russell fecero raddoppiare le tirature del Times, sconvolsero lopinione pubblica, spinsero ad allestire a Scutari, citt colpita dalla guerra, un servizio dinfermeria e un ospedale, contribuirono alla sostituzione di un comandante in campo e alla caduta del governo di allora. Le corrispondenze integrali di Russell circolarono in ambienti governativi, provocando la rabbia della Corona e del corpo militare che chiuse ogni rapporto col giornalista, prima cacciato nelle retrovie, poi costretto a rimpatriare.
sostituito definitivamente i cavalli per inviare gli articoli; i reportage dovevano quindi essere sintetici, con un linguaggio adeguato alla velocit e lo stile letterario di Russell venne cos superato. Per lungo tempo i cronisti furono liberi di recarsi sul fronte e parlare con i militari, nonostante l'accoglienza riservata loro non fosse delle migliori (come succede ancora). Con la prima guerra mondiale, invece, la censura militare divenne prerogativa statale. I politici non sopportavano che le crude corrispondenze dei cronisti avessero infranto la visione romantica che da sempre accompagnava i conflitti, con la sua celebrazione di eroi ed alti valori. La guerra era stata finalmente offerta ai lettori in tutta la sua atroce crudezza e non cera niente ormai che potesse attenuare lorrore della morte. Si era aperto, con le cronache dal fronte, uno spaccato sulla vita vera e reale. Alle autorit politiche e militari questo non piaceva. La censura alla sua nascita aveva gi il duplice scopo che la caratterizza ancora oggi: non solo il controllo serrato sulle informazioni, ma anche la manipolazione dellopinione pubblica. Quando lItalia entr in guerra, il 24 maggio del 1915, venne stabilito lUfficio di Censura, chiamato 'Ufficio stampa'. Una contraddizione in termini. La realt rimaneva cosi custodita solo dai soldati e dai civili che la vivevano.
rapporto fra media e politica era pi forte che mai. L'intero apparato Statale gestiva l'opinione pubblica in guerra tramite appositi ministeri, per mobilitarla contro il nemico, convincerla a sostenere sacrifici ed ad arruolarsi. In Italia durante il ventennio fascista la censura militare tocc i suoi massimi livelli: ogni cronista ed ogni direttore riceveva le direttive da seguire tramite le veline del Minculpop (il Ministero della Cultura Popolare), che indicavano chiaramente quali notizie dare e quali ignorare. Anche negli Stati Uniti la situazione della censura e della manipolazione fu particolarmente rilevante: gli americani applicarono una vera e propria censura alla fonte, impedendo ai corrispondenti di accedere al luogo del conflitto. Nel 1942 questo 'accordo', fino ad allora informale, divenne il Code of War Practise for the American Press, un decalogo che raccomandava ai cronisti di non pubblicare notizie riguardanti navi, aerei, truppe, fortini, tempo meteorologico o armamenti. Non erano comunque previste punizioni specifiche per chi disattendeva il codice, si trattava solo di 'suggerimenti'. Nel giugno dello stesso 1942, nacque l'Office of War Information, che da quel momento in poi gest le immagini e le notizie della guerra, dentro e fuori dagli Stati Uniti, come ritenne pi opportuno. Negli anni '60, con John Fitzgerald Kennedy alla Casa Bianca, nacque la politica spettacolo e soprattutto il news managment. Con questo termine ci si riferisce adesso come allora, al modo in cui individui o organizzazioni tentano di controllare il flusso delle notizie verso i media. Le strategie generalmente utilizzate includono la pianificazione ed il dosaggio delle informazioni, allo scopo di limitare eventuali effetti negativi, o al contrario enfatizzare eventi di grande rilevanza e guadagnarne i benefici di popolarit che derivano da unattenta collaborazione coi mezzi comunicativi. Il news managment non si basa sulla menzogna in quanto tale, ma sugli eventi che vengono creati apposta per rientrare nei criteri di notiziabilit dei giornalisti, e che sono in grado di fare notizia indipendentemente dalla loro falsit o veridicit. L'informazione non viene limitata, ma al contrario diventa parte di una strategia, articolata in due attivit antinomiche, in questo caso 'l'informare' e 'il segretare'. 9
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copione preparato dall'agenzia. Cito nuovamente Mimmo Cndito, inviato a Daharan nel 90-91: Abbiamo raccontato unaltra guerra. A dieci anni di distanza, noi giornalisti dobbiamo ammettere almeno questo. Abbiamo mostrato una realt, una guerra virtuale, a cui pure credevamo, ma che era solo un sapiente mix di fiction e di verit accuratamente sceneggiato dai comandi alleati. a una letterale spettacolarizzazione dell'informazione. Pochi dissensi si crearono intorno a questa guerra, il limite tra finzione e realt fu cosi ben manipolato che tutti credevano alla 'guerra pulita' di cui si parlava. Questa rappresentazione virtuale, che rappresenta oggi uno dei linguaggi specifici della comunicazione, plasma il modo di conoscere la guerra, fa in modo che il lato verosimile, che ci viene mostrato, ci soddisfi e ci basti. Fu una guerra televisiva anche quella che venne dodici anni dopo, la seconda guerra del Golfo, il conflitto in Iraq. Luso dei mezzi satellitari e la diffusione dei network televisivi permise infatti, sia la trasformazione dellavvenimento bellico in un evento spettacolarizzato, sia la possibilit di 'vedere' la guerra in diretta. Forse per questo, la censura utilizzata precedentemente, si fece pi sottile e sofisticata. A Kuwait city, quando andavamo al comando Usa, ci veniva chiesto di metterci in posa con un muro alle spalle, si veniva fotografati, e ci venivano consegnate le ground rules, le regole di ingaggio dei giornalisti. Si trattava di 50 disposizioni, un vero e proprio contratto, nel quale il giornalista che firmava si impegnava, nella sostanza, a non dire quanti soldati, quanti morti, quanti feriti, quanti carri armati, quanti aerei, quante navi vedeva, a non descrivere i luoghi dei combattimenti, chi vince, chi sopravvive, chi soccombe, quanti prigionieri, chi sono i prigionieri, a non divulgare notizie che possono anticipare operazioni militari, ecc. Era un vero e proprio manuale dell'auto-censura preventiva. Fontana, inviato dell'Unit, morto nel 2005. Da non dimenticare un altro fattore sconcertante. La guerra in Iraq ha segnato
9 M. Cndito, I reporter di guerra, cit. 10 http://www.peacelink.it/pace/a/19621.html
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un terribile bilancio di morte. Pi di 200 reporter inviati in Iraq, infatti, morirono nel conflitto.
LA GUERRA IN AFGHANISTAN
La guerra in Afghanistan, una guerra silenziosa come tutte le altre. La censura fu al centro di questo conflitto e colp tutti quanti i giornalisti inviati, come ha scritto Cndito: Tenuti lontani dal campo di battaglia di queste ultime guerre del millennio, 13
privati della possibilit di verificare sul terreno le informazioni che ricevevano dai comandi militari, imbottiti di notizie preconfezionate e di filmati selezionati con un'attenta gestione del messaggio da far passare, i giornalisti hanno finito ormai per trasformarsi in -magari tormentati, ma comunque impotenti- strumenti della propaganda delle forze in campo.
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I principali quotidiani americani veicolarono, fedelmente al governo Bush, questa propaganda, ponendo in primo piano la lotta al terrorismo, come chiese espressamente anche Condoleeza Rice. Il Washington Post ricordava che non v' contraddizione alcuna tra il patriottismo di un giornalista e la sua professionalit 12. Ottima spiegazione se ci si chiede perch, ad esempio, due editorialisti del The Texas City Star e del The Daily Courier vennero licenziati dopo aver espresso giudizi negativi sulla fuga di Bush l'11 settembre, o perch la Cnn invi un ordine di servizio ai reporter in Pakistan chiedendo di non concentrare le notizie sulle vittime dell'Afghanistan, ma di focalizzare l'attenzione sui talebani colpevoli delle sofferenze del loro popolo. Queste disposizioni vennero anche trascritte nel decalogo del reporter televisivo in guerra, che suonava un po' come un galateo. I primi tre punti ricordavano che le parole chiavi di un buon giornalismo di guerra erano 'riequilibrare', 'contestualizzare' e 'ricapitolare'. In realt il decalogo non conteneva dei semplici suggerimenti per svolgere un buon lavoro ma delle vere e proprie regole che ogni giornalista doveva rispettare. Il risultato era un inquietante (tanto pi inquietante in quanto velata) pressione sull'autocensura, la spinta verso una sorta di obbligata omert acritica.13 In un contesto di forte controllo politico e ideologico il lavoro del reporter non fu affatto facile. La raccolta d' informazioni diventava un lavoro complesso. I giornalisti venivano visti come potenziali strumenti d'interessi, sequestri di persona e ricatti erano pratica quotidiana e se si voleva avvicinarsi un po' alla verit bisognava letteralmente pagare caro.
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Sono queste parole forti che svelano la passione dietro a questa professione. Una passione che spesso viene soffocata e imprigionata, ma che spesso riuscita a trarre forza dalla consapevolezza del ruolo che si stava intraprendendo. Come hanno fatto Oriana Fallaci, testimone in Vietnam di una sanguinosa follia, come lei stessa la defin, o Peter Arnett, licenziato nel 2002 dalla Cnn dopo un'intervista rilasciata alla tv Irachena, o lo stesso Mimmo Cndito, corrispondente di guerra dei principali conflitti dell'ultimo ventennio. La vita di un giornalista di guerra, seppur dura e pericolosa, comunque solo una piccola parte dell'infinita sofferenza che coinvolge la gente che in guerra ci sta davvero. Per questo dice bene Ryszard Kapuciski che il corrispondente di guerra una professione, o una missione che presuppone una certa comprensione per la miseria umana.15
14 M. Cndito, I reporter di guerra, cit. 15 Ryszard Kapuciski, Il cinico non adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo, cit., p.
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L'inviato non un eroe, non pi importante della situazione che va a seguire, non fa di pi che svolgere una professione, la sua professione, e per questo va incontro a rischi e problemi, pagandone talvolta il prezzo. Come chiunque altro. Ogni professione ha il suo lato peggiore. L'inviato di guerra, quello interessato allo scopo del suo lavoro, si ritrova a vivere e a indagare una realt a cui non abituato. Incontra difficolt nella lingua, nel trovare il modo di comunicare con l'altro, nel conoscere e ricordare in modo oggettivo tutti gli avvenimenti di un preciso luogo, nel trovare una sistemazione, approvvigionarsi e successivamente crearsi una rete di contatti fidati. Ma non potr mai fare il corrispondente chi ha paura della mosca tse-tse, del cobra nero, degli elefanti, dei cannibali... chi trema al solo pensiero dell'ameba e delle malattie veneree, o dell'idea di essere derubato e picchiato, chi mette da parte i dollari per farsi una casetta in patria, chi non sa dormire in una casetta africana e chi disprezza la gente di cui scrive [] Chi non sa che in politica e nella vita bisogna aspettare e che un uomo non afferra una scure a difesa del suo portafoglio ma della sua dignit, chi non sa chiedersi cosa faccia di un fatto una notizia e se sia pi quel che si dice o quel che si tace. Chi crede nell'oggettivit dell'informazione, quando l'unico resoconto possibile quello personale e provvisorio.
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Ryszard Kapuciski
16 Ibidem
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BIBLIOGRAFIA:
- Alberto Papuzzi, Professione Giornalista, Donzelli, Roma 2003 - Ryszard Kapuciski , Il cinico non adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo, E/O, Roma 2000 - Mimmo Cndito, I reporter di guerra: storia di un giornalismo difficile da Hemingway a Internet, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2009
SITOGRAFIA:
http://www.aggiornamentisociali.it/ www.defenselink.mil/news/Feb2003/d20030228pag.pdf http://it.wikipedia.org/ http://www.odg.mi.it http://it.peacereporter.net http://www.undicom.it http://embedded.blogosfere.it/
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