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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

SENTENZA 28.05.1998 n° 5295

Fatto

1.1.- In data 20 agosto 1991 la Banca Dumenil Leblè (Suisse), s.a. con sede in Ginevra, presentò
una denuncia penale al Procuratore Generale del Cantone di Ginevra, lamentando la
consumazione, in proprio pregiudizio, dei delitti di truffa, appropriazione indebita ed
amministrazione infedele, a vantaggio di tale Roberto Caprioglio, dominus del c.d. Gruppo
Dominion facente capo alla s.p.a. Dominion Trust Bankers, con sede in Torino.

L'attività concretizzante gli illeciti penali - assumeva la denunciante - era particolarmente


complessa, ed era stata posta in essere da una serie di soggetti giuridici i quali avevano agito in
concorso tra loro, nonché in concorso, quanto meno, con l'insipienza di taluno dei propri
dipendenti.

Secondo la denunciante (così deve essere sintetizzata la denuncia) l'attività criminosa s'era
articolata:

- nell'indurre la Banca Dumenil, e prima di essa la AD Bank con la quale s'era fusa: a) a
stipulare, nel mercato borsistico italiano, dei contratti di riporto con plurimi agenti di cambio ed
altri soggetti correi nella attività criminosa (tra i quali, per quel che rileva nel regolamento che
ne occupa, l'agente di cambio italiano Giovanni Adorno) facendole credere, con vari artifizi, di
essere una semplice intermediataria non assumente alcuna obbligazione in proprio, se non nei
limiti di una banca che svolga mere operazioni di clearing, ossia che dovesse operare un
semplice trasferimento di titoli da un soggetto (nella specie, l'Adorno) ad altro soggetto (la
Dominion); b) a stipulare con la Dominion dei contratti aventi ad oggetto la consegna in suo
favore dei titoli ricevuti a seguito dei nominali contratti di riporto;

- nel non riconsegnare, infine, i titoli così ricevuti, di modo che essa denunciante si trovava
esposta, quanto meno sul piano formale, a dover consegnare ai riportati i titoli ricevuti in
consegna.

Era appunto accaduto, concludeva la denunciante, che la Dominion non avesse restituito i
titoli; e che essa, a sua volta, fosse impossibilitata ad eseguire, alla scadenza borsistica
dell'agosto 1991, la riconsegna dei titoli ai riportati, così come - quanto meno sul piano formale
- sarebbe stata obbligata in forza degli originari contratti di riporto.

1.2.- A seguito di questa denuncia il giudice penale svizzero iniziò un procedimento penale nei
confronti degli asseriti autori degli illeciti indicati dalla Dumenil.

Per quel che risulta, quel procedimento sarebbe ancora in corso.

2.- Nello stesso giorno 20 agosto 1991, la Dumenil presentò al Tribunale di Prima Istanza di
Ginevra un ricorso col quale chiese di essere autorizzata a non eseguire la riconsegna dei titoli
ai riportati.

Il giudice adito accolse la domanda ed autorizzò il differimento della riconsegna sino a nuovo
ordine dello stesso Tribunale.

Il procedimento relativo alla detta istanza ed al conseguente provvedimento di accoglimento


non è più pendente.

3.1.- Con atto di citazione 25 settembre 1991, la Banca Dumenil Leblè (Suisse) convenne
davanti al Tribunale di Prima Istanza di Ginevra i soggetti che nella richiamata denuncia penale
aveva indicato quali autori degli illeciti penali nei propri confronti: tra essi, l'agente di cambio
Giovanni Adorno.

Nella citazione, l'attrice richiamò le circostanze di fatto esposte nella denuncia penale.
Indi, dopo aver chiesto la condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei danni conseguenti
agli illeciti penali (consumati o tentati) da costoro commessi in proprio pregiudizio, chiese,
altresì, al giudice adito, di:

"7.- dire e pronunciare che i contratti di riporto pretesamente conclusi in marzo, aprile, maggio,
giugno e luglio 1991 con (tra gli altri) Giovanni Adorno, ed aventi ad oggetto i titoli enumerati in
allegato al presente atto, non vincolano l'attrice;

8.- dire e pronunciare che l'attrice aveva diritto a differire la consegna dei titoli enumerati in
allegato al presente atto alla data del 28 agosto 1991, e che essa non incorre in alcuna
obbligazione al riguardo;

9.- dire e pronunciare in aggiunta che l'assieme degli atti giuridici sui quali i convenuti fondano
o potrebbero fondare delle pretese contro l'attrice in relazione ai fatti denunciati sopra dai nn.
36 a 135, non vincolano la Banca Dumenil Leblè (Suisse)".

È da dire che l'attrice dedusse espressamente che il giudice svizzero era competente a
conoscere della causa a norma dell'art. 129 della Legge sul diritto internazionale privato
svizzero (LDIP) disciplinante le azioni aventi ad oggetto un atto illecito, ed in particolare, del suo
secondo comma per il quale allorché il convenuto non ha domicilio o residenza abituale o
stabilimento in Svizzera, l'azione può essere proposta davanti al Tribunale svizzero del luogo
dell'atto o del risultato.

3.2.- Nel corso di questo giudizio taluno dei convenuti eccepì il difetto di giurisdizione del
giudice svizzero.

L'eccezione fu respinta, in secondo grado, con sentenza della Corte di Giustizia di Ginevra del
10 novembre 1993, poi confermata dal Tribunale Federale svizzero con due sentenze del 9
maggio 1994.

La Corte di giustizia di Ginevra affermò, per quel che può rilevare, quanto segue.

"La procedura intentata dalla Dumenil Leblè a Ginevra ha per scopo di indennizzarla dal danno
causato dalla faccenda dei riporti e di evitare ogni aggravamento di tale danno, negando alle
società o alle persone fisiche citate il diritto di chiederle l'esecuzione delle varie convenzioni di
"riporto" ancora in sospeso. La sua deduzione viene ammessa dalla Corte".
"Questa attività illecita è stata svolta in vari paesi (segnatamente in Svizzera ed in Italia) ed i
protagonisti della vicenda non sono tutti cittadini svizzeri e non sono tutti domiciliati in
Ginevra" "Dal punto di vista giuridico i fatti ritenuti a questo punto dell'esame presentano
elementi pertinenti di estraneità riguardo all'ordinamento svizzero, e ciò segnatamente per
quanto concerne il foro da stabilire per giudicare tale causa, la quale presenta indubbiamente
un problema di conflitto di leggi": "il giudice svizzero deve quindi applicare le regole svizzere
previste per la risoluzione di questo tipo di conflitto, ossia la legge federale sul diritto
internazionale privato (LDIP)".

"La Dumenil agisce allegando la responsabilità aquiliana delle parti citate. Tale allegazione è
fondata sui documenti prodotti e sulla procedura penale. Nello stato della presente procedura,
nulla permette di ritenere che la via in diritto scelta sia incompatibile con la vera natura
dell'azione, dimmodoché sono applicabili le regole svizzere di conflitto di competenza e di
diritto applicabili in materia di atto illecito (art. 129 LDIP). Questa norma ha portata
essenzialmente interna ed è applicabile in caso di molteplicità di convenuti domiciliati in
Svizzera, essa non implica tuttavia, che tutti i convenuti siano domiciliati in Svizzera, dato che fa
parte della legge promulgata allo scopo di risolvere i conflitti di diritto internazionale privato.
Nella fattispecie il risultato dell'attività illecita, cioè la diminuzione patrimoniale, è avvenuta in
Ginevra.

Ne risulta che il primo giudice ha qualificato a torto in modo misto l'azione depositata dalla
Dumenil Leblè, considerandola ora come una un'inesecuzione contrattuale, ora come azione di
riparazione dell'atto illecito, e ciò nonostante che i fatti allegati ed i documenti prodotti
indichino che la totalità delle pretese riposino sulla faccende dei riporti".

3.3.- A seguito della declaratoria della giurisdizione del giudice svizzero, la causa è stata
riassunta davanti al Tribunale di Ginevra, ove è tuttora pendente.

4.1.- Nelle more, con atto di citazione notificato il 1-2 ottobre 1991, Giovanni Adorno convenne
la s.a. Dumenil Leblè al giudizio del Tribunale di Milano.

In quell'atto l'attore così espose le circostanze rilevanti per il giudizio.

Nel luglio 1991 aveva stipulato con la Dumenil un contratto di riporto per un valore di oltre 52
miliardi di lire, con scadenza al mese borsistico agosto 1991; aveva emesso i relativi fissati
bollati; ed aveva provveduto alla consegna dei titoli (a lui affidati in riporto dai propri clienti)
alla riportatrice Dumenil a mezzo stanza di compensazione.
Sennonché alla scadenza borsistica la Dumenil non aveva provveduto alla riconsegna dei titoli,
il che lo aveva messo nella impossibilità di procedere, a sua volta, alla "consegna titoli"
relativamente ai riporti stipulati con lui dai suoi clienti.

Di tanto aveva immediatamente riferito, come era doveroso, al Comitato degli agenti di cambio
di Milano che, presone atto, aveva aperto nei suoi confronti la procedura per la liquidazione
della sua "insolvenza notoria".

A seguito di ciò era stato sospeso dall'esercizio delle sue funzioni di agente di cambio, e davanti
al Tribunale di Milano aveva avuto inizio una procedura per la dichiarazione del suo fallimento.

Di questi eventi, poi, i media (verosimilmente mal informati da chi aveva interesse a
screditarlo) avevano dato notizia in modo distorto, con conseguente profonda lesione della sua
immagine, del suo onore, e della sua vita di relazione.

Ne era derivato, in definitiva, il tracollo della sua attività professionale di agente di cambio, ed
un gravissimo pregiudizio alla sua personalità, oltre che rilevantissimi danni patrimoniali.

Di tutto ciò era responsabile la Dumenil per non aver essa adempiuto l'obbligazione assunta col
contratto di riporto.

Chiese, pertanto, al Tribunale di Milano di "1) accertare e dichiarare che la società convenuta si
è resa inadempiente al contratto di riporto stipulato con l'agente di cambio dottor Giovanni
Adorno, avente ad oggetto i titoli elencati nei fissati bollati prodotti e che la società convenuta
avrebbe dovuto consegnare all'attore, alla scadenza borsistica di fine agosto 1991; 2)
conseguentemente, dichiarare la società convenuta responsabile dei danni tutti subiti
dall'Adorno a causa del suddetto inadempimento, e condannare la Banca Dumenil Leblè a
corrispondere al dottor Giovanni Adorno, l'importo complessivo di lire 100.000.000.000 (cento
miliardi) (importo che si propone in via indicativa e con riserva di rettifica a seguito
dell'espletamento della procedura coattiva, ferma restando la liquidazione equitativa da parte
dell'ill.mo Tribunale per quanto concerne l'incremento del danno da lucro cessante in
considerazione dei prevedibili sviluppi futuri dell'attività, nonché il danno alla reputazione
economica ed alla vita di relazione), o comunque quell'altro importo che si riterrà di giustizia,
con rivalutazione monetaria e interessi dal dovuto al saldo; 3) disporre la pubblicazione, a cura
dell'attore e a spese della convenuta, del dispositivo della emananda sentenza sui seguenti
organi di stampa...".

4.2.- La causa fu iscritta al n. 16723 del Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili del Tribunale di
Milano.
4.3.- La società convenuta, si costituì in giudizio.

Dopo aver richiamato le circostanze di fatto esposte nei precedenti paragrafi da 1 a 3,


pregiudizialmente, eccepì il difetto di giurisdizione della autorità giudiziaria italiana, stante sia
la pendenza, davanti al giudice svizzero, della causa da essa introdotta con la citazione del 25
settembre 1991, che il disposto dell'art. 8 della Convenzione Italia-Svizzera del 3 gennaio 1933
approvata con L. 15 giugno 1933 n. 743; nel merito, contestò la fondatezza della avversa
domanda.

4.4.- Con sentenza in data 16 novembre 1992, il Tribunale di Milano dichiarò il fallimento
dell'Adorno. La Curatela fallimentare si costituì nel giudizio proposto dal fallito con la citazione
del 1-2 ottobre 1991 e fece proprie le conclusioni ivi formulate.

4.5.- Successivamente intervennero in causa Zadra Germano e Nesticò Renato, Franco Kettmeir,
Johann Gallmetzer, Waltraud Obwexer Kompatscher, Marco Cristofori nella veste di legale
rappresentante della Artform s.n.c. nonché in proprio Karl Demetz, Maria Helene Kneringer,
Kariheinz Ausserhofer, Teresiana Dalla Pozza, Stuffer Ferdinando, Mella Giovanna Dobiander,
Max Liebl, Giuseppe Piazza, Enrico Giovanardi, Albert Demetz, Flavio Carradori, Fiorenzo
Carradori, Hegon Heiss, Hildegard Reinstaller Stefani, Marianne Hofer Singer, Lidia De Bertoldi
Levrini, Robert Eccel, Edoardo Mori, Demetz Giuseppe Uberto, Ottone Stuffer, Carlo Alberto
Perathoner, Mario Senoner, Roberto Spiritelli, Domenico Sorrusca, Margit Schwienbacher
Maseotti, Maurizio Bergamasco, Lorenz Sanin, Ezio Cavosi, Werner Plunger, Angelo Finelli,
Federico Steinhaus, Andrea Cunial, Franca Rizzieri Andreolli, Giampietro Bonera, Fulvio Bianchi,
Graziano Lucchi, Georg Schmid, Johann Laimer, Roberto Zanghi, Josef Resch, Adolf Pircher,
Josefa Gapp, Mario Parise, Enrico Lazzari, Robert Condin, Gerlad Lanziner nella veste di
amministratore unico della s.r.l. F. & C. Maurizio Oneglio, Brigitte Bortle Kleewein, Rodolfo
Stuffer, Anna Maria Aichner Demets, Silvano Riccardi, Luciano Zago, Giampaolo Mori, Nadia
Zorzi, Aldo Seno, Arnold Stuffer, Francesco Maccarone, Giuseppe Balladore, Anacleto Dal
Medico, Giuseppe Pierdominici, Annamaria Di Tommaso, Daniela Sabatello, Orvega Piccini,
Polvani Paola, Mascherpa Bruno, Pansecchi Simonetta, Stanzini Alessandro, Casati Natale,
Viscardi Ginevra, Bax Alessandro, Carrara Liviana, Miccolis Lucia, Besana Angelo, Albini Fabio,
Peci Stafano, Scarso Gianni, Ranzato Francesco, Hassan Vittorio, Piccinini Giovanni, Bax Adriana,
Di Gennaro Alberto, Baccarani Eugenia, Prono Maria Paola, Cefis Marco, Balladore Roberto,
Saporiti Franco, Giuliani Marco, Montorfano Adriano, e Guerrazzi Simona.

Detti interventori, assumendo di essere gli originari proprietari dei titoli oggetto del riporto
Adorno-Dumenil, chiesero che la convenuta fosse dichiarata responsabile nei loro confronti per
le operazioni poste in essere tra gennaio ed agosto 1991 per quanto abbiano incidenza sui titoli
di loro pertinenza e, conseguentemente, fosse condannata a pagare o il controvalore dei titoli
stessi, o subordinatamente, (o in via alternativa per i creditori di saldo a scheda) il controvalore
dei loro crediti come ammessi al passivo fallimentare, aumentato della rivalutazione monetaria
e gravati degli interessi legali dal 28 agosto 1991 sino al dì del saldo.
5.- Immediatamente dopo la scadenza borsistica del 28 agosto 1991, l'Adorno, denunciando
l'inadempienza da parte della Dumenil dell'obbligazione assunta col contratto di riporto
stipulato il 17 luglio 1991, aveva chiesto al Comitato direttivo degli Agenti di cambio di Milano,
di procedere alla liquidazione coattiva della operazione a mente dell'art. 44 L. 20 marzo 1913 n.
272, come modificato dall'art. 12 R.D.L. 30 giugno 1932 n. 85.

L'istanza fu accolta dal predetto Comitato che, in data 2 ottobre 1991 rilasciò all'Adorno e
contro la Banca Dumenil Leblè un certificato di credito per l'importo di L. 54.179.910.568.

Il certificato di credito fu notificato alla Banca intimata che, con atto di citazione notificato il 25
ottobre 1991, convenne l'Adorno ed il Comitato Direttivo degli agenti di cambio di Milano
davanti al Tribunale di Milano, al quale chiese di: "previo occorrendo ogni opportuno
accertamento e declaratoria (inclusa quella di nullità-inesistenza-annullabilità-irriferibilità) del
preteso contratto di riporto indicato nei fissati bollati datati 17 luglio 1991 assunti a
fondamento della liquidazione coattiva ed in particolare del certificato di credito emesso dal
Comitato direttivo degli agenti di cambio di Milano a favore del dottor Adorno e contro la
Banca Dumenil Leblè in data 2 ottobre 1991 per la somma di lire 54.179.910.568; dichiarare
illegittimo e quindi irrito e nullo ed in ogni caso annullare il predetto certificato di credito;
dichiarare il dottor Adorno responsabile per aver illegittimamente richiesto l'emissione di tale
certificato e per ogni eventuale utilizzo che egli avesse a fare del medesimo e
conseguentemente condannarlo al risarcimento dei danni già derivanti (per la notizia che ha
propalato alla stampa di tale ottenimento) e di quelli derivandi alla Banca Dumenil Leblè, danni
che verranno quantificati in corso di giudizio, con ricorso, se del caso, a valutazione equitativa;
dichiarare responsabile il Comitato direttivo degli Agenti di cambio di Milano per avere, con
colpa, operato la liquidazione coattiva del predetto contratto di riporto di cui ai fissai bollati ed
emesso il certificato di credito per lire 54.179.910.568 a favore del dottor Adorno e
conseguentemente condannare il Comitato direttivo degli agenti di cambio di Milano al
risarcimento dei danni patiti e patiendi per tale fatto, danni che saranno quantificati in corso di
giudizio, con ricorso, se del caso, a valutazione equitativa".

La causa fu iscritta al n. 18857 del Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili per l'anno 1991 del
Tribunale di Milano.

Il convenuto Adorno, nel costituirsi in giudizio, in via pregiudiziale, eccepì: a) il difetto di


giurisdizione del giudice italiano per la prevenzione istituita a favore del giudice svizzero - a
seguito della citazione della Dumenil Leblè del 25 settembre 1991 davanti al Tribunale di
Ginevra - in relazione alle domande concernenti il contratto di riporto; b) il difetto di
giurisdizione della Autorità Giudiziaria Ordinaria in favore di quella amministrativa, posto che il
certificato di credito impugnato dalla Dumenil è un atto di natura amministrativa, proveniente
da un organo investito da pubbliche funzioni quale è il Comitato direttivo degli agenti di
cambio, e che la domanda della Dumenil era diretta esclusivamente ad ottenere la revoca e-o
l'annullamento di un atto amministrativo. Nel merito, contestò la fondatezza della domanda.
Il convenuto Comitato Direttivo degli Agenti di Cambio, nel costituirsi in giudizio, in via
pregiudiziale, eccepì il difetto di giurisdizione della Autorità Giudiziaria Ordinaria in favore del
giudice Amministrativo, per le medesime ragioni valorizzate dall'Adorno; nel merito, chiese il
rigetto delle avverse domande.

Dichiarato il Fallimento dell'Adorno, il giudizio fu proseguito dalla Curatela fallimentare che


fece proprie le eccezioni e le difese formulate dal fallito.

All'udienza del 16 gennaio 1993, il procuratore del Comitato Direttivo degli Agenti di cambio
dichiarò che il Comitato stesso era stato soppresso a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 24
della L. 2 gennaio 1991 n. 1 e del D.M. 28 gennaio 1993. Ricevuta questa dichiarazione, il
Giudice istruttore dichiarò l'interruzione del processo.

La Dumenil riassunse la causa nei confronti del Consiglio di Borsa di Milano nuovo soggetto
giuridico che, a suo avviso, è il successore a titolo universale del predetto Comitato.

Il Consiglio di Borsa, nel costituirsi in giudizio, eccepì il difetto della propria legittimazione
passiva rispetto alla controversia, sostenendo di non poter essere considerato ad alcun titolo,
successore del disciolto Comitato.

6.- I due procedimenti fin qui richiamati furono poi riuniti.

Agli stessi, successivamente, fu riunito anche il procedimento contraddistinto col n. 13450 del
Ruolo Affari Contenziosi Civili per l'anno 1994 del Tribunale di Milano, conseguente ad una
citazione proposta nei confronti della Dumenil Leblè dai soggetti che erano intervenuti nel
giudizio proposto dall'Adorno nei confronti di questa società, e con la quale detti attori
chiesero la condanna della convenuta al risarcimento dei danni da essi subiti per effetto del suo
inadempimento al contratto di riporto.

7.- Con ricorso notificato il 28 novembre 1995, il Fallimento Adorno ha proposto regolamento
preventivo di giurisdizione col quale ha chiesto a questa Corte Suprema di: "a) dichiarare la
sussistenza della giurisdizione della Autorità Giudiziaria Italiana rispetto alle domande proposte
da esso Fallimento Adorno nella causa n. 16723-1991 R.G. Tribunale di Milano; b) dichiarare il
difetto di giurisdizione della Autorità Giudiziaria Italiana rispetto alle domande proposte dalla
Banca Dumenil nella causa n. 188757-91 R.G.

Tribunale di Milano, per la litispendenza con le domande proposte nella causa


precedentemente promossa innanzi il Tribunale di Ginevra; c) dichiarare, in ogni caso il difetto
di giurisdizione della Autorità giudiziaria ordinaria in favore del giudice amministrativo, in
relazione alla domanda proposta da Dumenil nella causa n. 18857-91 R.G. Tribunale di Milano,
di declaratoria di illegittimità, irritualità ed in ogni caso di annullamento del certificato di
credito emesso dal Comitato direttivo degli agenti di cambio di Milano in favore del dottor
Adorno contro la Banca Dumenil Leblè".

L'intimata Banca Dumenil Leblè resiste con controricorso col quale ha chiesto a questa Corte: a)
di dichiarare, previa occorrendo delibazione incidentale ex art. 799 Cod. proc. civ. della
sentenza della corte d'appello di Ginevra del 5-10 novembre 1993, il difetto di giurisdizione
dell'Autorità giudiziaria Italiana rispetto alle domande svolte da Giovanni Adorno e fatte
proprie dal Fallimento nella causa n. 16723-91 pendente innanzi il Tribunale di Milano; b) di
dichiarare la sussistenza della giurisdizione italiana rispetto alle domande da essa proposte nei
confronti dell'Adorno e del Comitato direttivo degli Agenti di Cambio di Milano, nella causa n.
18857-91 pendente innanzi il Tribunale di Milano; c) di dichiarare la sussistenza della
giurisdizione della Autorità Giudiziaria Ordinaria italiana, rispetto alla predetta causa n. 18857-
91 del Tribunale di Milano.

L'intimato Consiglio di Borsa di Milano, ha chiesto che questa Corte Suprema, "previa
affermazione della sussistenza della giurisdizione italiana rispetto ai giudizi nn. 16273-91 e
18857-91 del Tribunale di Milano, voglia dichiarare il difetto di giurisdizione della Autorità
Giudiziaria Ordinaria in favore di quella Amministrativa, in relazione alla domanda proposta
dalla Dumenil nella causa n. 18857-91 R.G. Trib. Milano, di declaratoria di illegittimità,
irritualità e nullità ed in ogni caso annullamento del certificato di credito emesso dal Comitato
Direttivo degli Agenti di Cambio di Milano in favore del dottor Adorno contro la stessa Dumenil
in data 2 ottobre 1991".

Gli intimati Germano Zara e Renato Nesticò hanno chiesto a questa Corte di accertare e
dichiarare la loro estraneità al regolamento di giurisdizione proposto dal Fallimento Adorno.

Le altre parti dei giudizi in relazione ai quali è stato proposto il regolamento, non hanno svolto
attività difensiva.

Hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 Cod. proc. civ., il ricorrente Fallimento Adorno
(che aveva anche resistito con distinto controricorso al controricorso della Dumenil, ove da
intendersi quale ricorso incidentale) ed i controricorrenti Banca Dumenil Leblè e Consiglio di
Borsa di Milano.

Diritto
A) Il regolamento proposto dal Fallimento Adorno pone tre distinte questioni di giurisdizione:

- quella relativa all'individuazione del giudice (italiano o svizzero) cui spetti la giurisdizione in
ordine alla domanda proposta da Giovanni Adorno nei confronti della s.a. Dumenil Leblè con
l'atto di citazione notificato il 1-2 ottobre 1991, costituente oggetto del procedimento iscritto al
n. 16723 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili per il 1991 del Tribunale di Milano;

- quella relativa all'individuazione del giudice (italiano o svizzero) cui spetti la giurisdizione in
ordine alla domanda proposta dalla Dumenil Leblè nei confronti dell'Adorno e del Comitato
Direttivo degli agenti di cambio di Milano con l'atto di citazione notificato il 25 ottobre 1991,
costituente oggetto del procedimento iscritto al n. 18857 del Registro Generale Affari
Contenziosi civili per il 1991 del Tribunale di Milano;

- quella, subordinata, relativa al riparto della giurisdizione tra l'Autorità Giudiziaria Ordinaria
italiana ed Autorità Giudiziaria Amministrativa in ordine alla domanda da ultimo richiamata.

B) Con riferimento alla prima delle suddette questioni, in una prospettiva principale, la
controricorrente Banca Dumenil Leblè sostiene che la questione di giurisdizione deve essere
risolta sulla base della disciplina pattizia fissata dalla Convenzione Italia Svizzera del 3 gennaio
1933 approvata con L. 15 giugno 1933 n. 743, stante l'inapplicabilità al presente giudizio della
Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988, ratificata con L. 10 febbraio 1992 n. 198, in
quanto il giudizio per cui è regolamento è stato introdotto prima del 1 dicembre 1992, data di
entrata in vigore di quest'ultima Convenzione.

Soggiunge che l'art. 8 della Convenzione del 1933, dispone testualmente che "les autorites
judiciaires de l'un des deuz Etats doivent, si l'une des parties le domande, se dessaissir des
contestations portees devant elles lorsque ces contestations sont dejà pendantes devant une
juridiction de l'autre Etat, porvu que celle-cit soit competente selon le regles de la presente
Convention"; cioè, che "le autorità giudiziarie di uno dei due Stati devono, se una delle parti lo
richiede, spogliarsi delle contestazioni fatte valere innanzi a loro, allorquando tali contestazioni
siano già pendenti avanti un giudice dell'altro Stato, purché questi sia competente secondo le
regole della presente Convenzione".

Sostiene, poi, che questa clausola deve essere interpretata nel senso che il giudice
successivamente adito deve dichiarare il difetto della giurisdizione del proprio Stato a favore di
quella del giudice dello Stato preventivamente adito, quando:
a) le cause pendenti davanti ai giudici differenti abbiano quale nucleo centrale ed essenziale del
loro oggetto, le medesime questioni;

b) il giudice preventivamente adito sia competente a conoscere della causa secondo uno dei
criteri di collegamento internazionale richiamati nella Convenzione, tra i quali, in forza dell'art.
1, "quelli derivanti dalle regole interne dello Stato "nel quale la decisione è invocata", vale a
dire nella prospettiva dell'art. 8, dello Stato (nel caso, lo Stato italiano) diverso davanti al quale
si svolge il giudizio preventivamente instaurato (nel caso, lo Stato svizzero)".

Ne trae che in forza del precetto pattizio così ricostruito, queste Sezioni Unite devono
dichiarare il difetto della giurisdizione del giudice italiano (in favore della Autorità giudiziaria
elvetica) in ordine alla domanda proposta da Giovanni Adorno, sussistendo, nella specie, i
relativi presupposti, come si evince dalle seguenti circostanze.

I) Il giudizio davanti al giudice italiano (il Tribunale di Milano) è stato introdotto il 1-2 ottobre
1991, quando già era stato introdotto davanti al giudice svizzero il giudizio conseguente alla
citazione del 25 settembre 1991, richiamata nella parte espositiva.

II) Tra le due cause sussiste l'omogeneità di thema decidendum richiesta dal richiamato art. 8.

- Infatti, il giudizio davanti al Tribunale di Milano è perfettamente speculare a quello


preventivamente instaurato a Ginevra, una volta che: al giudice ginevrino si è chiesto di
accertare che il preteso riporto non esiste, o è nullo, e comunque non ha alcuna efficacia
vincolante per la Dumenil, di modo alla stessa non può essere fatto carico di alcuna
obbligazione o domanda di adempimento o inadempimento, relativa al preteso riporto sul
quale l'Adorno (o altri) potrebbe fondare su tali pretesi riporti; avanti al Tribunale di Milano
l'Adorno ha richiesto di accertare l'inadempimento proprio di quel riporto e, di conseguenza,
ha dedotto, necessariamente anche la questione della esistenza, validità, efficacia del
medesimo contratto del quale essa asserita obbligata Dumenil si sarebbe resta inadempiente.

- Nel contempo, entrambe le cause hanno ad oggetto azioni tipicamente contrattuali.

Nè può valere, in contrario, la circostanza che nella causa pendente davanti al giudice svizzero
la Dumenil abbia fondato la sua pretesa su una ricostruzione complessiva dei fatti mirante a
dimostrare anche l'esistenza di una "escroquerie" ai suoi danni. Da un lato, perché la predetta
"ricostruzione è stata fatta per fondare (accanto alle pretese aquiliane) le domande contrattuali
relative alla declaratoria di non vincolatività dei pretesi riporti e dell'assenza di ogni obbligo
contrattuale della stessa Dumenil al riguardo; dall'altro, perché proprio nell'atto di citazione
svizzero della Dumenil... si illustrano le ragioni per cui si chiede la declaratoria di non
vincolatività dei pretesi riporti, e tra tali ragioni si indica, accanto alla assenza di qualsiasi
volontà della Dumenil di concludere contratti di riporto, la mancanza di qualsiasi consegna di
titoli e la natura fittizia dei predetti contratti".

III) Sulla base dei criteri di collegamento fissati nel Codice di rito civile italiano, il giudice
svizzero è competente a conoscere della causa.

In via principale, ai sensi dell'art. 4. n. 2 Cod. proc. civ., posto che nel caso di specie la Dumenil
ha agito in Svizzera non solo per conseguire, sul piano contrattuale, la declaratoria di non
vincolatività dei contratti di riporto, ma altresì, per far valere la responsabilità extracontrattuale
dei soggetti ivi convenuti; e che con riferimento all'azione extracontrattuale - fermo restando
che secondo il richiamato art. 4 n. 2 Cod. proc. civ., il luogo dove è sorta l'obbligazione deve
essere determinato sulla base della lex fori, e che ai sensi della nostra legge il fatto illecito è
costituito da condotta ed evento dannoso - il giudice svizzero risulta competente come giudice
del luogo ove l'evento dannoso si è verificato.

Comunque, ai sensi dell'art. 4 n. 3 Cod. proc. civ., stante la connessione esistente tra la lite
pendente nei riguardi dell'Adorno e quelle "cumulate" verso altri convenuti avanti il Tribunale
di Ginevra.

1.2.- Sennonché la prescrizione di cui all'art. 8 della Convenzione Italia-Svizzera del 1933, per la
quale il giudice di ciascuno dei due Stati deve "spogliarsi" della contestations portate davanti a
lui ove "ces contestations" siano già pendenti davanti ad un giudice dell'altro Stato, riguarda la
sola ipotesi della litispendenza, ossia la sola ipotesi in cui le cause pendenti davanti ai giudici
dei due differenti Stati siano identiche per soggetti, oggetto e titolo. Conseguentemente, non
trova applicazione nelle ipotesi in cui le cause siano soltanto connesse e, tanto meno, (come si
vorrebbe dalla Dumenil) quelle che abbiano quale nucleo centrale ed essenziale del loro
oggetto la medesima questione o, ancor più genericamente, "investano il medesimo rapporto".

La conclusione consegue ad una lettura della clausola che è effettivamente restrittiva rispetto
alla apparente genericità del suo dettato; ma che è imposta da due concorrenti ragioni.

- Innanzitutto, dal rilievo che la previsione pattizia che ne occupa introduce una deroga al
principio (poi consacrato nell'art. 3 Cod. proc. civ., ancora applicabile nella specie giusta il
disposto dell'art. 72 L. 31 maggio 1995 n. 218, contenente la Riforma del sistema italiano, di
diritto internazionale privato) per il quale la giurisdizione italiana non è esclusa dalla pendenza
della medesima causa o di altra con questa connessa davanti ad un giudice straniero; e che,
pertanto, giusta il disposto dell'art. 14 Disp. Prel. Cod. civ. detta previsione deve essere
interpretata in senso restrittivo.
Ebbene, una siffatta interpretazione comporta, concretamente che una clausola pattizia
internazionale che non prescriva in modo espresso che il giudice deve "spogliarsi" della causa
anche in presenza di una semplice continenza tra il giudizio pendente davanti a lui e quello
pendente davanti al giudice straniero preventivamente adito, ma si limiti a prevedere un
siffatto dovere con riferimento, genericamente, alla pendenza di giudizi davanti ai giudici di
differenti Stati, questa clausola deve essere intesa nel senso che essa trova applicazione
unicamente nelle ipotesi di litispendenza e non anche in quelle di semplice continenza. Del
resto già altre volte questa Corte Suprema ha affermato questo principio e ne ha tratto che
l'art. 12 della Convenzione italo-austriaca del 16 novembre 1971 resa esecutiva in Italia con L.
12 febbraio 1974 n. 71, contenente una clausola affatto omologa a quella che ne occupa, è
applicabile solo qualora tra le due cause esista un rapporto di litispendenza e non di mera
continenza (v. Cass., S.U. 23 marzo 1983 n. 2022, S.U. 17 marzo 1983 n. 1917, 22 ottobre 1981
n. 5525).

Ne consegue, appunto, che anche l'art. 8 della Convenzione italo-svizzera del 1933 deve essere
interpretato nel senso che la sua previsione trova applicazione esclusivamente nelle ipotesi di
litispendenza in senso proprio.

- Inoltre, dalla constatazione che, in genere, le convenzioni internazionali, allorquando - nel


disciplinare la materia del riparto della giurisdizione con riferimento alla ipotesi della
contemporanea pendenza della medesima causa o di cause connesse davanti a giudici di Stati
differenti - adottano il criterio della prevenzione, lungi dall'unificare le due ipotesi (come si
vuole dalla Dumenil) distinguono a seconda che si tratti di cause tra gli stessi soggetti aventi il
medesimo oggetto ed il medesimo titolo, e cause semplicemente connesse: per le prime (cioè
per le ipotesi di litispendenza in senso proprio) prevedono che il giudice successivamente adito
debba dichiarare la propria incompetenza a favore del giudice preventivamente adito; per le
seconde, prevedono che il giudice successivamente adito possa sospendere il procedimento
pendente davanti a lui. A conforto è sufficiente richiamare gli artt. 21 e 22 della Convenzione di
Lugano del 16 settembre 1988 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale, dichiarata esecutiva in Italia con L. 10 febbraio 1992
n. 198.

Infatti, da siffatto rilievo e dal dato secondo cui nella previsione in esame, il giudice
successivamente adito deve "se dessaisir des contestations", ossia spogliarsi della causa e non
semplicemente sospendere il proprio giudizio, e quindi, adottare la statuizione che, come s'è
visto, è normalmente pattuita per le sole ipotesi di litispendenza, è corretto inferirne che la
clausola che ne occupa riguarda le sole ipotesi in cui le cause tra le stesse parti pendenti
davanti ai giudici dei differenti Stati abbiano il medesimo oggetto ed il medesimo titolo.

1.3.- Ora, come si evince in modo univoco dalle sua conclusioni richiamate testualmente nella
precedente parte espositiva, la causa introdotta dalla Dumenil davanti al giudice svizzero mira
ad accertare (oltre che un illecito aquiliano in suo pregiudizio) l'insussistenza di qualsiasi sua
obbligazione nei confronti (tra gli altri) dell'Adorno, quanto meno per l'invalidità del contratto
di riporto sul quale questa società ha fondato il proprio asserito diritto. Di contro, la causa
proposta da Giovanni Adorno nei confronti della Dumenil davanti al Tribunale di Milano ha ad
oggetto, oltre che l'accertamento della validità del contratto di riporto e della inadempienza
della controparte, la condanna della riportatrice al risarcimento dei danni conseguenti al suo
inadempimento.

Nel contempo, come questa Corte ha altra volta deciso - e deve essere qui ribadito non
ravvisandosi ragioni che giustifichino un diverso orientamento - non esiste identità di petitum
tra una causa con cui si chieda il mero accertamento negativo della sussistenza di una
obbligazione, e la causa con si chieda, oltre che l'accertamento della sussistenza e della validità
della medesima obbligazione, anche la condanna della controparte all'adempimento della sua
obbligazione (v. Cass. S.U. 23 marzo 1983 n. 2022, proprio ai fini della risoluzione di una
questione di litispendenza internazionale) o al risarcimento dei danni conseguenti
all'inadempimento (v. Cass. 24 giugno 1986 n. 4203).

Si deve escludere, allora, che tra le cause pendenti tra la Dumenil e l'Adorno davanti,
rispettivamente, al Tribunale svizzero di Ginevra ed a quello italiano di Milano esista
litispendenza, stante la diversità (quanto meno) del loro petitum.

1.4.- Ne discende, per ciò solo, che nella specie la disposizione di cui all'art. 8 della
Convenzione italo-svizzera del 1933 non trova applicazione; e che, conseguentemente, giusta il
disposto dell'art. 3 Cod. proc. civ. (al cui regime, come s'è detto, rimane ancora assoggettata la
presente causa) la pendenza del giudizio tra le parti davanti al Tribunale di Ginevra non esclude
la giurisdizione italiana in ordine alla causa pendente tra le stesse parti davanti al Tribunale di
Milano.

1.5.- Ne deriva il rigetto della contraria deduzione della Dumenil.

2.- In una prospettiva subordinata la Dumenil sostiene che, in ogni caso, la carenza della
giurisdizione del giudice italiano consegue all'insussistenza, nella specie, dei criteri di
collegamento fissati nell'art. 4 Cod. proc. civ.;

La deduzione è infondata.

Nell'atto di citazione introduttivo del giudizio nel quale si inserisce il regolamento di


giurisdizione che ne occupa, Giovanni Adorno ha dedotto: di aver stipulato con la Dumenil
Leblè il contratto di riporto di borsa per cui è controversia; di aver trasferito i titoli al riportatore
(in conformità agli specifici accordi contrattuali ed alle norme consuetudinarie degli usi di
borsa) mediante la loro consegna attraverso la stanza di compensazione; di aver diritto alla
riconsegna dei titoli che, sempre in forza delle previsioni contrattuali, doveva essere effettuata
in Milano; e di aver diritto al risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento del
riportatore.

Ebbene, sulla base delle circostanze di fatto dedotte dall'attore nella sua domanda, il contratto
di riporto per cui è controversia deve considerarsi sorto in Italia, una volta che la consegna dei
titoli è avvenuta in Milano, sicché il contratto stesso si è perfezionato in Milano; e doveva
essere eseguito in Italia, una volta che la riconsegna dei titoli doveva essere effettuata presso il
riportato Adorno in Milano.

Se ne trae che in ordine alla domanda proposta dalla Adorno nei confronti del convenuto
straniero con la citazione del 18 dicembre 1991 si configura il criterio di collegamento di cui
all'art. 4 n. 2 Cod. proc. civ; e che, pertanto, in ordine alla relativa controversia sussiste la
giurisdizione italiana.

La conclusione è resistita dalla Dumenil sulla base di due obiezioni.

Con la prima, sostiene che "la fissazione del luogo di esecuzione del (preteso) contratto di
riporto deve svolgersi sulla falsariga dello schema contrattuale astratto invocato dalla
controparte"; e che alla stregua del relativo paradigma, il contratto di riporto per cui è
controversia deve considerarsi sorto in Svizzera, atteso o che, a mente dell'art. 1549 Cod. civ., il
contratto di riporto "si perfeziona con la consegna dei titoli", consegna che, nella specie,
doveva avvenire in Svizzera, avendo essa Dumenil (asserito riportatore) sede in quello Stato.
Con la conseguenza, appunto, - tenuto altresì conto che, sempre secondo il paradigma astratto,
la riconsegna dei titoli doveva avvenire in Svizzera presso la sede del riportatore -
dell'inconfigurabilità del criterio di collegamento di cui al n. 2 dell'art. 4 Cod. proc. civ..

Con la seconda obiezione sostiene che, nella specie, delle circostanze di fatto dedotte nell'atto
di citazione non si deve tener conto neanche ai soli fini della risoluzione della questione di
giurisdizione, dato che le stesse risultano smentite dalle risultanze istruttorie.

Le obiezioni non possono essere condivise, di modo che rimangono ferme le conclusioni avanti
enunciate.

La prima contestazione è infondata perché lo schema contrattuale astratto dei contratti di


riporto di borsa è costituito non soltanto (come assume la controricorrente) dal paradigma
normativo sul riporto fissato nel Codice civile, ma altresì dalle norme in materia di contratti di
borsa, e dagli usi relativi a siffatti contratti: e perché lo schema contrattuale astratto così
composto imponeva che la consegna dei titoli dovesse avvenire in Milano attraverso la stanza
di compensazione.
Vale a dire, che proprio secondo lo schema contrattuale astratto la consegna dei titoli doveva
avvenire in Italia, sicché il contratto di riporto è sorto in Italia.

La seconda è infondata perché, come è saldo principio, ai fini della risoluzione della questione
di giurisdizione nei confronti dello straniero occorre fare esclusivo riferimento alle circostanze
di fatto così come dedotte nella domanda, senza che a quello stesso fine, assuma rilevanza
alcuna la contestazione della loro sussistenza in fatto e degli effetti giuridici alle stesse
connesse che ne sia stata fatta dal convenuto straniero.

3.- Nel contempo, la giurisdizione del giudice italiano non e venuta meno in conseguenza della
sentenza 10 novembre 1993 con la quale la Corte di giustizia di Ginevra ha affermato che il
giudice svizzero ha la giurisdizione in ordine alla controversia introdotta dalla Dumenil Leblè nei
confronti, tra gli altri, di Giovanni Adorno con la citazione davanti al Tribunale di Prima Istanza
di Ginevra del 25 settembre 1991. Si tratta, infatti, di un evento successivo al momento della
proposizione della domanda davanti al giudice italiano e, perciò, irrilevante.

È bensì vero che in contrario la Dumenil Leblè ha sostenuto:

- che detta sentenza è stata pronunciata in causa avente il medesimo thema decidendum di
quella in corso davanti al Tribunale di Torino; e che, essa pronuncia in Svizzera, è ormai passata
in giudicato a seguito della sentenza del Tribunale Federale Svizzero del 9 maggio 1994;

- che quella pronuncia ha diretto effetto nel nostro ordinamento in forza dell'art. 54 comma 2
della Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988, per il quale "le decisioni rese dopo
l'entrata in vigore della presente Convenzione nella relazioni tra lo Stato d'origine e lo Stato
richiesto a seguito di azioni proposte prima di tale data, sono riconosciute ed eseguite
conformemente alle disposizioni del Titolo III, se le norme di competenze applicate sono
conformi a quelle previste dal Titolo II o da una convenzione in vigore tra lo Stato d'origine e lo
Stato richiesto al momento della proposizione dell'azione"; ciò in quanto: a) la disposizione
trova applicazione anche nei riguardi delle sentenze che pronuncino sulla giurisdizione, come
quella della Corte di giustizia di Ginevra del 10 novembre 1993; b) il giudice svizzero era
competente non solo secondo la Convenzione Italia-Svizzera del 1933, ma altresì, secondo l'art.
5.3 della Convenzione di Lugano; c) sussistono, quindi, i presupposti di cui agli artt. 26 e 27
della stessa Convenzione, perché detta sentenza sia dotata di effetti diretti nel nostro
ordinamento indipendentemente da qualsivoglia delibazione, perché proprio questo è il
regime voluto ed attuato con la disciplina convenzionale;

- e che, pertanto, per ciò solo, per il giudice italiano è divenuto incontestabile che la
giurisdizione in ordine alla controversia che ne occupa compete al giudice elvetico, sicché
l'Autorità giudiziaria italiana deve declinare la propria giurisdizione, a favore di quella Svizzera.
Sennonché diversamente da quanto sostiene la controricorrente, la disposizione di cui al
secondo comma dell'art. 54 della Convenzione di Lugano attiene alla disciplina transitoria di
questioni diverse da quelle relative all'individuazione, in generale, dello Stato cui spetti la
giurisdizione in ordine ad un giudizio introdotto prima della entrata in vigore della medesima
Convenzione; ed, in particolare, del giudice (internazionalmente) competente nella ipotesi in
cui, alla stessa data, davanti a giudici di Stati contraenti differenti e tra le stesse parti fossero
pendenti giudizi relativi a domande aventi il medesimo oggetto ed il medesimo titolo (c.d.
litispendenza internazionale) o, comunque, connesse.

Di conseguenza, nei giudizi pendenti al momento della entrata in vigore della Convenzione
dette questioni devono essere ancora risolte sulla base della previgente disciplina di diritto
internazionale anche convenzionale.

La conclusione è imposta da plurime ragioni.

a) La prescrizione del secondo comma dell'art. 54 ha funzione derogatoria rispetto al precetto


fissato nel precedente comma 1, per il quale "le disposizioni della presente convenzione si
applicano solo alle azioni giudiziarie proposte ed agli atti autentici ricevuti posteriormente alla
sua entrata in vigore e quando è chiesto il riconoscimento o l'esecuzione di una decisione o di
un atto autentico, nello Stato richiesto".

Peraltro, il primo comma considera due ipotesi diverse: quella relativa al riparto di giurisdizione
rispetto ai giudizi pendenti, disponendo, a contrariis, che ad essi continui ad applicarsi la
previgente disciplina internazionale; e quella relativa al riconoscimento ed alla esecuzione di
decisioni giudiziarie che - ove richiesti dopo l'entrata in vigore della Convenzione - devono
avvenire secondo la sua regolamentazione.

Ora, il secondo comma dell'art. 54 riguarda soltanto la seconda ipotesi, una volta che dispone
che l'assoggettamento alla procedura di riconoscimento e di esecuzione fissate nella
Convenzione debbano trovare applicazione (sempre che sussistano determinati requisiti) anche
con riferimento alle decisioni rese dopo l'entrata in vigore della Convenzione, a definizione di
giudizi introdotti prima.

Quindi, il regime dettato nel secondo comma non riguarda (nè può riguardare) la questione
della disciplina transitoria della materia del riparto di giurisdizione dei giudizi introdotti prima
dell'entrata in vigore della Convenzione, che, pertanto, rimane assoggettata unicamente alla
previsione fissata nel primo comma.

Ne risulta, per un verso, che la pronuncia sulla giurisdizione resa dopo l'entrata in vigore della
Convenzione di Lugano in un giudizio introdotto prima di tale momento, non può riverberare i
propri effetti nei riguardi della questione di giurisdizione insorta nell'ambito di un giudizio
introdotto davanti ad un giudice di uno Stato differente prima della medesima entrata in
vigore; e, per altro verso, che nell'ambito di questo giudizio detta questione deve essere risolta
prescindendo da quella sentenza ed alla stregua della previgente disciplina.

b) L'esegesi letterale del disposto del secondo comma dell'art. 54 qui accolta, è ribadita dal
rilievo che l'applicazione del suo precetto al fine di dirimere anche le questioni di giurisdizione
inerenti a giudizi pendenti alla data all'entrata in vigore della Convenzione di Lugano
determinerebbe una serie di effetti affatto inammissibili, stante la loro irrazionalità e la loro
antinomia rispetto al sistema anche della Convenzione medesima.

Per vero, l'applicazione della disposizione ai detti fini comporterebbe, innanzitutto, che la
questione di giurisdizione verrebbe ad essere risolta sulla base di una regolamentazione
entrata in vigore successivamente al momento della proposizione della domanda e di una
sentenza pronunciata successivamente a quello stesso momento.

Il precetto, dunque, prevederebbe una disciplina transitoria che presenta una profonda
discrasia con il principio pressoché universalmente accolto (ed in effetti recepito dalla stessa
Convenzione di Lugano giusta il disposto del primo comma dell'art. 54) in ordine al momento
determinante della giurisdizione anche internazionale, ed alla irrilevanza, a tale fine, dei fatti
ed, in genere, delle situazioni giuridiche sopravvenute.

Inoltre, siffatta applicazione comporterebbe che - quanto meno per quanto attiene alle
controversie per le quali non è prevista una competenza esclusiva - la questione di giurisdizione
verrebbe ad essere risolta sulla base del criterio della priorità nella pronuncia della sentenza
sulla giurisdizione.

Si tratterebbe però, di una soluzione palesemente inaccettabile.

In primo luogo, per l'intrinseca irrazionalità del criterio.

Sotto un primo profilo, stante l'assoluta imponderabilità dell'elemento che si vorrebbe


assumere come dirimente, specie ove si consideri che il ritardo nella definizione della
questione di giurisdizione nell'ambito del differente giudizio rispetto al quale la sentenza dello
Stato differente dovrebbe essere fatta valere, può dipendere dalle più diverse ragioni del tutto
imponderabili, e può essere provocato artificiosamente con lo svolgimento di attività difensive
puramente dilatorie. Sotto un ulteriore profilo, in funzione della astrusità del mezzo tecnico
una volta che lo stesso consentirebbe la prosecuzione dei due giudizi anche dopo l'entrata in
vigore della Convenzione sino a che uno di essi non sia definito con una sentenza sulla
giurisdizione.
Indi, per l'antinomia del criterio rispetto a quelli usualmente adottati al fine di dirimere la
questione di giurisdizione nelle ipotesi della litispendenza internazionale, che è quello della
prevenzione nella proposizione della domanda.

Infine, per la sua antinomia (e questo rilievo negativo assume una connotazione estremamente
significativa e determinante) rispetto alla disciplina prevista nella Sezione III del Titolo II della
Convenzione di Lugano in ordine a siffatta materia incentrata, appunto sulla attribuzione della
competenza al giudice preventivamente adito. Si avrebbe, infatti, che il regime transitorio
verrebbe ad essere regolato sulla base di un criterio diverso da quello fissato per il regime
ordinario: non più quello del giudice preventivamente adito, ma quello della sentenza sulla
giurisdizione pronunciata per prima.

Correlativamente, è di immediata percezione l'irrazionalità sia di un siffatto sistema che, in


particolare, dell'abbandono del criterio ordinario con riferimento al regime transitorio.

Infatti, non si individua alcuna ragione per cui la disposizione transitoria, anziché limitarsi a
prevedere l'applicabilità del principio della prevenzione anche ai giudizi pendenti davanti a
giudici di Stati contraenti differenti al momento della entrata in vigore della Convenzione (il
che, tra l'altro, sarebbe stato più lineare, armonico e di agevole applicazione) abbia fatto
ricorso, invece, al criterio della priorità della pronuncia sulla giurisdizione, oltretutto
macchinoso e di non immediata applicazione, essendo sempre subordinato alla verifica dei
presupposti per il riconoscimento, anche nella ipotesi in cui possa essere chiesta in via
incidentale.

Ebbene, come è addirittura ovvio, una lettura del secondo comma dell'art. 54 che portasse a
siffatte conseguenze ed effetti, in tanto potrebbe essere ammissibile in quanto fosse certo che
il dettato della norma non consente alcuna altra diversa interpretazione armonica al sistema ed
ai principi di diritto internazionale comunemente accolti.

Ciò, però, come s'è visto, non è, per cui rimane confermato che la corretta ricostruzione di quel
precetto esclude che lo stesso abbia ad oggetto la disciplina delle questioni di giurisdizione
inerenti a giudizi pendenti al momento della entrata in vigore della Convenzione; che,
conseguentemente, nell'ipotesi in cui al momento dell'entrata in vigore della Convenzione
siano pendenti davanti ai giudici di due differenti Stati contraenti due cause identiche o
connesse, ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione riguardante una di esse, non
può essere attribuito alcun effetto all'eventuale statuizione sulla giurisdizione, resa dopo quel
momento, nel giudizio in corso davanti al giudice estero dell'altro giudizio; e, in definitiva, che
per ciò solo, la sentenza della Corte di giustizia di Ginevra del 13 novembre 1993, non ha
determinato, neanche in forza della Convenzione di Lugano, il venire meno della giurisdizione
italiana sulla domanda proposta dall'Adorno nel giudizio introdotto nei confronti della Dumenil
Leblè davanti al Tribunale di Milano.
4.- In sintesi, dunque, deve essere affermata la giurisdizione del giudice italiano in ordine alle
domande proposte da Giovanni Adorno nei confronti della Dumenil Leblè, nel giudizio
introdotto da questa società davanti al Tribunale di Milano con l'atto di citazione notificato il 1
ottobre 1991.

C) Parimenti deve affermarsi la giurisdizione del giudice italiano in ordine alla causa proposta
dalla Dumenil nei confronti dell'Adorno e del Comitato Direttivo degli agenti di cambio di
Milano con la loro citazione al giudizio del Tribunale di Milano notificata il 25 ottobre 1991.

Detta causa, infatti, è stata proposta nei confronti di soggetti giuridici italiani, di modo che trova
applicazione il principio per cui il cittadino italiano può essere sempre convenuto - senza
riserve e qualunque sia l'oggetto del giudizio - davanti al giudice italiano (v. Cass., S.U. 1 luglio
1992 n. 8081).

Nè, poi (e diversamente da quanto si sostiene dal ricorrente Fallimento Adorno) la giurisdizione
italiana è esclusa - per effetto della clausola derogatoria di cui all'art. 8 della Convenzione Italia-
Svizzera del 3 gennaio 1933 - dalla pendenza davanti al Tribunale di Ginevra della causa
preventivamente introdotta dalla Dumenil con la citazione del 25 settembre 1991.

Ciò perché, per le ragioni prima enunciate, la regola fissata nella clausola n. 8 della
Convenzione trova applicazione esclusivamente nell'ipotesi di litispendenza in senso proprio; e
perché, nella specie, tale situazione processuale non sussiste, una volta che, manifestamente,
le due cause si differenziano per petitum, causa petendi, e parzialmente, per le parti.

Infatti, nella causa proposta davanti al giudice svizzero la Dumenil ha chiesto oltre che
l'accertamento di un illecito aquiliano in suo pregiudizio, la declaratoria della insussistenza di
qualsiasi sua obbligazione nei confronti (tra gli altri) dell'Adorno, quanto meno per l'invalidità
del contratto di riporto sul quale questo soggetto fonda il proprio credito. Con la causa
proposta davanti al giudice italiano, invece, la Dumenil, non s'è limitata a contestare la
sussistenza del credito vantato dall'Adorno nei suoi confronti, ma - dopo aver posto le
specifiche questioni della legittimità, anche formale, del certificato di credito (per L.
54.179.910.568) rilasciato dal Comitato degli Agenti di cambio di Milano il 2 ottobre 1991,
nonché della responsabilità dell'Adorno e del Comitato Direttivo degli agenti di cambio di
Milano per la richiesta ed il rilascio di quel certificato - ha chiesto la condanna dei convenuti al
risarcimento dei conseguenti danni.

D) 1.- In ordine alla risoluzione della questione relativa al riparto tra l'Autorità Giudiziaria
Ordinaria e quella Amministrativa della giurisdizione in ordine alla causa di cui alla precedente
lettera c) risulta determinante, ed assorbente, il regime positivo dell'istituto della liquidazione
coattiva dei contratti di borsa fissato negli artt. 44 della L. 20 marzo 1913 n. 272 (nel testo
introdotto dall'art. 12 R.D.L. 30 giugno 1932 n. 815), 45 della medesima L. n. 272-1913 (nel
testo introdotto dall'art. 10 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3278) e 92 R.D. 4 agosto 1913 n. 1068.

Per esso, ove un contratto di borsa concluso con l'intervento di un agente di cambio o tra
questi e altre persone non sia stato eseguito da una delle parti, l'altra parte "può richiedere al
competente Comitato degli agenti di cambio la liquidazione coattiva delle operazioni, purché il
contratto porti la firma della parte inadempiente e risulti stipulato con regolare foglietto
bollato" (art. 44 c. 1 L. n. 272-1913).

Ove il contraente inadempiente abbia consegnato o spedito all'agente di cambio, debitamente


sottoscritto, la parte del foglietto bollato da conservarsi dall'agente stesso, il Comitato procede
alla liquidazione eseguendo le operazioni di compra-vendita; successivamente, su richiesta
della parte interessata "rilascia un certificato per il credito che risulta dalla liquidazione,
inclusivo delle spese e dei diritti dovuti" ad esso Comitato (art. 42 c. 2 L. n. 272-1913).

Il certificato rilasciato può essere fatto "valere come titolo esecutivo a norma di quanto è
disposto dagli articoli 323 e 324 del Codice di commercio e 554 del Codice di procedura civile"
del 1865, (art. 45 c. 1 L. n. 272-1913), ossia, attualmente, a norma degli artt. 63, 64 e 65 R.D. 14
dicembre 1933 n. 1669 (sulla cambiale e sul vaglia cambiario) e 474 del vigente codice di rito
civile. Tanto previa notifica al debitore di una copia del certificato in forma esecutiva (art. 92 c.
2 R.D. n. 1068-1913) e di un precetto ai sensi dell'art. 479 Cod. proc. civ..

Secondo l'art. 45 comma 2 L. n. 273 -1913, infine, "il presidente del Tribunale o il Pretore
possono esonerare l'opponente dalla cauzione prevista dal citato art. 323 del Codice di
commercio", ossia, attualmente, all'art. 64 della Legge cambiaria.

2.- Quindi, una volta emesso nei suoi confronti il certificato di credito, al contraente
inadempiente è attribuito il rimedio giurisdizionale dell'opposizione all'Autorità giudiziaria di
cui agli artt. da 63 a 65 del R.D. n. 1669-1933; e, per legge, quel rimedio è assoggettato allo
schema ed al regime processuale delle opposizioni, rispettivamente, all'esecuzione ed agli atti
esecutivi di cui agli artt. 615 e 617 Cod. proc. civ.

Con l'opposizione, come è nozione comune, l'opponente può contestare il merito


dell'accertamento sotteso al certificato di credito in ordine sia all'an che al quantum debeatur,
e proporre ogni eccezione e difesa attinente al contratto di borsa che l'opposto abbia posto a
base della liquidazione coattiva; ma può anche far valere vizi afferenti alla validità formale del
certificato di credito e della procedura di liquidazione coattiva che ne ha preceduto il rilascio,
nel qual caso la sentenza che definisce il giudizio di opposizione si limita ad accertare e
dichiarare la nullità del certificato di credito.
Peraltro, qualunque sia il vizio che venga fatto valere con l'opposizione, la giurisdizione in
ordine a questo rimedio processuale è attribuita all'Autorità Giudiziaria Ordinaria. Vale a dire
che il giudice ordinario ha la giurisdizione sull'opposizione anche quando con questa sia
dedotta (e sia chiesta la relativa declaratoria formale) la nullità del certificato di credito per la
carenza dei requisiti formali essenziali di quest'atto o per la mancanza dei presupposti formali
della liquidazione coattiva, o per i vizi della stessa procedura di liquidazione, senza che a nulla
rilevi in contrario la circostanza che il certificato sia rilasciato da un organo amministrativo ed
abbia natura di atto amministrativo.

Questa conclusione (della quale, tra l'altro nessuno ha mai dubitato), infatti, è imposta
direttamente dall'espresso regime positivo del rimedio processuale regime positivo
dell'opposizione al certificato di credito avanti delineato.

3.- Ora, come emerge in modo affatto univoco dalle sue conclusioni e dal suo contesto, con la
citazione del 21 ottobre 1991, la Dumenil ha proposto davanti al Tribunale proprio
l'opposizione al certificato di credito di cui all'art. 45 della L. n. 272-1913, e la domanda di
condanna dell'Adorno e del Comitato direttivo degli Agenti di cambio di Milano al risarcimento
dei danni subiti a seguito della illegittimità del predetto certificato dagli stessi, rispettivamente,
richiesto e rilasciato.

Pertanto, per le anzidette ragioni, la giurisdizione in ordine a tale causa appartiene all'Autorità
giudiziaria ordinaria e non già, come si vuole dal ricorrente Fallimento Adorno e dal Consiglio di
Borsa di Milano (chiamato in giudizio quale successore del Comitato degli Agenti di cambio di
Milano soppresso ai sensi del comma 6 dell'art. 24 L. 2 gennaio 1991 n. 1) al giudice
Amministrativo.

E) Riassumendo, occorre dichiarare:

- la giurisdizione del giudice italiano in ordine alla causa proposta da Giovanni Adorno nei
confronti della s.a. Dumenil Leblè (Suisse) con la citazione notificata il 1-2 ottobre 1991, iscritta
al n. 16723 del Ruolo Affari Contenziosi Civili per il 1991 del Tribunale di Milano;

- la giurisdizione del giudice italiano in ordine alla causa proposta dalla s.a. Dumenil Leblè nei
confronti di Giovanni Adorno e del Comitato Direttivo degli Agenti di cambio di Milano con la
citazione notificata il 21 ottobre 1991, iscritta al n. 18857 Del Ruolo Generale Affari Contenziosi
Civili per il 1991 del Tribunale di Milano;

- la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria in ordine alla medesima causa iscritta al n.


18857 del Ruolo Generale Affari Contenziosi civili per il 1991, del Tribunale di Milano.
F) Sussistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti costituite le spese del giudizio
di regolamento.

P.Q.M

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE A SEZIONE UNITE - dichiara la giurisdizione del giudice


italiano in ordine alla causa proposta da Giovanni Adorno (e proseguita dall'Amministrazione
fallimentare) nei confronti della s.a. Dumenil Leblè (Suisse) con la citazione notificata il 1-2
ottobre 1991, iscritta al n. 16723 del Ruolo Affari Contenziosi Civili per il 1991 del Tribunale di
Milano;

- dichiara la giurisdizione del giudice italiano in ordine alla causa proposta dalla s.a. Dumenil
Leblè nei confronti di Giovanni Adorno e del Comitato Direttivo degli agenti di cambio di
Milano (e poi proseguita nei confronti del Fallimento di Giovanni Adorno e del Consiglio di
Borsa di Milano) con la citazione notificata il 21 ottobre 1991, iscritta al n. 18857 del Ruolo
Generale Affari Contenziosi Civili per il 1991 del Tribunale di Milano;

- dichiara la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria in ordine alla medesima causa


proposta dalla s.a. Dumenil Leblè nei confronti di Giovanni Adorno e del Comitato Direttivo
degli agenti di cambio di Milano (e poi proseguita nei confronti del Fallimento di Giovanni
Adorno e del Consiglio di Borsa di Milano) con la citazione notificata il 21 ottobre 1991, iscritta
al n. 18857 del Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili per il 1991 del Tribunale di Milano;

- compensa per intero tra le parti costituite le spese del giudizio di regolamento.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite civile della Corte di
cassazione, il 16 ottobre 1997.

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