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COMMENTI

BISOGNO D I T U T E L A G IU R ID IC A (*)

1. — (.(.Bisogno di tutela giuridica » e ((interesse ad agire ».


Questo concetto del « bisogno di tutela giuridica » è accolto, si può dire, senza
contrasto dai processualisti tedeschi, ancorché poi si dibatta se esso attenga all’ammis­
sibilità o alla fondatezza della domanda giuridica (cfr. S ch ò n ke , pp. 14-16). L ’impo­
stazione di S ch ò n ke mi sembra la più ampia e ragionata, che sia dato leggere a pro­
posito di questa nozione processuale. Perciò i miei rilievi critici si terranno aderenti
all’esposizione di S ch ò nke .
Sott’altra denominazione, il « bisogno di tutela giuridica » è idea tutt’altro che
estranea ai sistemi giuridici dei gruppo latino. Questi ultimi lo conoscono come « inte­
resse ad agire ». Le stesse ragioni, per le quali il giudice tedesco respinge la domanda,
senza esaminarne il fondamento in merito, sotto il profilo dell’assenza di un « bisogno
di tutela giuridica », sogliono giustificare1, da parte del giudice italiano o- francese,
una sentenza di rigetto, per mancanza d’ « interesse » nell’attore. I dubbi, che io espri­
merò circa il « bisogno di tutela giuridica » sono pertanto gli stessi, che suscita in me
la categoria giuridica dell’ « interesse ad agire ».
2. — « Bisogno di tutela giuridica » e « diritto alla tutela giuridica ».
A proposito, però, dei due concetti processuali, sensibilmente equivalenti, del
« bisogno » e dell’ « interesse » non è superfluo notare, di contro alla genesi dottrinaria
del concetto tedesco, l’impronta invece, amerei così definirla, curialesca di quello in­
valso nei sistemi latini.
Il « bisogno di tutela giuridica », lo ricorda S chònke (pp. 18-21), si affermò come
elemento, o amminicolo, d’una celebrata concezione dottrinale dei processualisti tede­
schi, quella del « diritto alla tutela giuridica » (*); rimase poi, quale requisito pro­
cessuale, pur dòpo che l’idea del «diritto alla tutela giuridica», mediatore fra la situa­
zione privatìstica e la situazione processuale, andò perdendo credito. Anzi S ch ò n k e ,
che non pecca certo di tenerezza verso la concezione (di W ach e S t e in ) del « diritto
alla tutela giuridica », fa però, ad essa, il merito di aver lasciato dietro di sè, pregevole
retaggio, la nozione del « bisogno di tutela giuridica ». Per mio conto si tratta, a dir
il vero, d’un’eredità da accettare col beneficio dell’inventario... A parte ciò, io non se
se il « bisogno di tutela giuridica » sia formola suscettibile di popolarizzarsi, di diventai
moneta corrente nella prassi forense e curiale, sebbene (lo debbo ammettere) l’ambiente
dei pratici possa, in Germania (e non è certo un demerito), considerarsi più pronto,
che altrove, ad accogliere forinole puramente teoriche, che in diverso ambiente verreb­
bero forse considerate ostiche e aride (2).

(*) L ’ articolo prende le mosse dalle riflessioni sulla lettura dell’opuscolo di A d o lf S c h ò n k e , Das
Rechtsschutzbediirfnis. Studien zu einem zivilprozessualen Grundbegriff. Detmold, Frankfurt am
M ain, Berlin 1950 (fase. 17» della Prozessrechtliche Abhandlungen), di pag. 94. [Vuole rammentare
lo Studioso scomparso e rimpianto, nella comunione che la disputa scientifica produce fra gli intelletti,
separati in essa dalle opinioni ma accostati nello sforzo della ricerca. Aggiunta del giugno 1953] ■
[Non posso tener conto, nell’articolo, nè dello scritto di S. S a t ta , in « Foro ital. », 1954, IV , col
169, nè del lavoro di A t t a r d i , L ’interesse ad agire, Padova 1954. Avvertenza del dicembre 1954].
( ') Così rendo Rechtsschutzanspruch : giacché la traduzione consueta (pretesa a tutela giuridica)
mi pare, con tutti i precedenti autorevoli che può vantare, contraria allo spirito della lingua italiana,
dove « pretesa » non ha mai significato il diritto, ma l ’ atto di pretendere (fondatamente o no).
( 2) E d ifa tti le p a g in e d i S ch ò n k e d a n n o co n to d ’ u n a n o tevole a ffe rm a z io n e g iu r is p r u d e n z ia le del
con cetto del « b iso g n o di tu tela g iu rid ic a ».

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548 EN R ICO ALLORIO

Ben diverso è il discorso per l’interesse ad agire (a contraddire, a eccepire, a


ricorrere, a resistere...) che (io reco testimonianza sopratutto per la prassi italiana) rap­
presenta, nell’applicazione pratica giornaliera, una categoria mentale largamente e va­
riamente invocata; raro è il dibattito forense di qualche complessità, in cui esso non
affiori. A ciò contribuiscce l’agilità di questa formola deU’interesse, ma anche la sua
vaghezza; è formola che tutti intendono, o credono intendere, ed io conosco più di un
patrono, il quale, facile a obiettare all’avversario che questi non abbia « interesse » a
una certa domanda giudiziale, o istanza di contenuto processuale, o impugnazione,
meno agevolmente si risolverebbe a dedurre l’insussistenza, nell’avversario, d’un adeguato
« bisogno di protezione giuridica »...
Con questo non mi propongo certo di vantare la superiorità della formola « latina »
rispetto a quella tedesca, tutt’altro! Per me, come risulterà da tutto quel che verrò
argomentando in queste brevi pagine, si tratta di formole entrambe fallaci; non sta,
dietro esse, alcuna nozione corretta, alcuna realtà normativa degna di sistemazione con­
cettuale. Sta un’idea puramente illusoria. Se mai, io debbo quindi, delle due concezioni,
0 meglio locuzioni, condannare con maggior energia quella latina all’ « interesse ad
agire », perchè dotata, nella sua meno dottrinaria semplicità, di più insidiosa forza
pratica di penetrazione.
Ho a bella posta differito, sino a questo istante, di notare che la differenza tra
1 sistemi latini e il sistema tedesco si pone, prima che sul piano concettuale, su quello
legislativo. Prendo come punto di riferimento il codice italiano: in esso l’interesse ad
agire è riconosciuto come figura generale. L ’art. ioo cod. proc. civ. italiano dispone
che : « per proporre una domanda o per contradire alla stessa è necessario avervi
interesse ». La situazione si presenta altrimenti in diritto tedesco, dove, per la concezione
in esame, ci si può aggrappare solo (a mio parere, però, indebitamente generalizzando)
al § 256 della Zivilprozessordnung, che dispone solo per il giudizio di mero accertamento :
« Può essere proposta domanda giudiziale per l’accertamento dell’esistenza o inesi­
stenza d’un rapporto giuridico, per il riconoscimento d’un documento o per l’accerta­
mento della sua falsità, allorché l’attore ha un interesse giuridico a che venga immedia­
tamente accertato con sentenza di giudice il rapporto giuridico, ovvero la genuinità o
falsità del documento ». Ora a me pare che i processualisti tedeschi abbiano qui sciupato
la fortuna, che essi avevano tra le mani, d’un codice vergine del concetto equivoco che
stiamo vagliando, almeno come concetto generale. Nel silenzio del codice quegli studiosi
sono intervenuti con la loro dottrina del « bisogno di tutela giuridica » : pare a me
tuttavia che questa dottrina sia una superflua e dannosa sovrastruttura.

3. —- Analisi crìtica dei concetti del « bisogno di tutela giurìdica » e dell’ « inte­
resse ad agire ».
Ma che cosa vuol dire —* è tempo di porsi la domanda — « bisogno di tutela
giuridica»? E qual’è il significata della formola dell’ « interesse ad agire»? Alla do­
manda S ch ò nke dà una risposta, che è chiarificatrice del contenuto dell’opinione domi­
nante su questo tema. Egli scrive testualmente (x): «Il singolo... non può pretendere
che i tribunali dello Stato gli prestino il loro lavoro se non in quanto abbia bisogno
della tutela e nella misura di tale bisogno ». Più in là spiega che « il bisogno di tutela
giuridica richiede un interesse processuale, cioè un interesse all’attuazione del diritto
e al mantenimento della pace mediante l’invocazione degli organi di tutela giuridica ».
Queste proposizioni meritano un’analisi attenta. Le difficoltà che esse sembrano
immediatamente suscitare, anche da parte di chi rinuncia a ogni obiezione di principio

P ) Cito dalla versione italiana: « Riv. dir. proc. », 1948, I p ., 133, 141 (trad. C a r n e l u t t i ).

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BISOGNO D I TUTELA G IU R ID ICA
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circa l’impiego d’una nozione prettamente teleologica come quella dell’ « interesse »,
è la seguente: appare non corretto il rapporto posto fra interesse» e «tutela». Nel­
l’impostazione criticata, sembra che le varie forme di « tutela » ossia le varie misure
giurisdizionali tipiche, siano stabilite dal diritto positivo senza alcuna preoccupazione
di soddisfare, per mezzo di esse, 1’ « interesse » di chi è legittimato a chiedere !a
tutela : sicché di codesto interesse l’avente diritto alla tutela debba, ogni volta, offrire
la dimostrazione in sede autonoma e in via specifica.
Ora le cose non stanno per nulla in questa innaturale maniera. Nella definizione
di ogni singolo tipo di « tutela » è insito questo elemento dell’interesse alla tutela;
tanto implicito da scomparire, a mio parere, nel concetto stesso della tutela. La valu­
tazione dell’esistenza dell’interesse è scontata col fatto stesso della concessione della
tutela. La valutazione della presenza d’un interesse (beninteso, e non mi stanco di
ripeterlo, non in chicchessia, ma in chi è legittimato a chiedere il provvedimento giuris­
dizionale d’un determinato tipo) è stata, insomma, già fatta, dal legislatore, nel mo­
mento in cui egli ha predisposto ciascuna forma di protezione giuridica. Egli ha accor­
dato la tutela proprio perchè, a priori, ha riscontrato presente un interesse a ottenerla.
Ciò vedremo meglio nella analisi, che faremo dei diversi tipi del processo civile, in rap­
porto a questo argomento dell’ « interesse ad agire » : ma fin da ora si può notare che,
se l’effetto giuridico del processo meramente dichiarativo, del processo di condanna,
del processo costitutivo è rispettivamente la formazione del giudicato, la costituzione
del diritto a procedere in executivis, l’azione esecutiva, la trasformazione giuridica da
raggiungersi ope iudicis, allora è da ammettere che il prodursi di ciascuno' di questi
effetti giuridici è evidentemente oggetto d’uno spiccato interesse dell’attore; e, quanto
al « bisogno », esso è identificabile a priori nella mancanza (all’inizio del processo) di
quegli effetti giuridici, che scaturiranno, con vantaggio per chi li avrà sollecitati e
ottenuti, per l’appunto, dal processo.
Nella quale mia critica vi è, sino a un certo- punto, coincidenza, ma vi è, oltre
quel limite, opposizione con quanto scrive R ed en t i (di cui è giusto, in ogni modo,
riconoscere che ha veduto, forse solo, il problema) (’). Occorre qui riportare tutto il

(l ) V e d i R e d e n t i , Diritto processuale civile, M ila n o , I , 1952, p p . 62-54. M i sembra im portante ricor­


dare il passo di R e d e n t i com e esempio d ’ una critica, acuta e degna di m editazion e, d ella nozione
d ’ « interesse » , sebbene qu ella critica resti, come noto nel testo, a m e zza v ia. E ’ , però, pressoché su­
perfluo ricordare come il com pito della critica al concetto d e ll’ « interesse » ad agire abbia, già in
precedenti occasioni, attratto le m enti dei m oderni studiosi ita lia n i: alludo specialmente agli scritti
di CARNELUTTI e d ’ iNVREA.
Mentre C a r n e l u t t i , nel voi. IV , n. 3 7 1, p. 425 delle Lezioni di dir. proc. civ. (Padova 1925)
ancora prospettava la differenza tra le due concezioni dell’ « interesse » e della « lite » « quale fatto
costitutivo del diritto di azione » come una differenza « soltanto verbale », pochi anni dopo (cfr. « Riv.
dir. proc. civ. », 1928, I, p. 102) egli definiva 1’ « interesse » come « ibrida nozione, che costituisce
una delle più infelici approssimazioni, di cui si sia valsa, in una fase fortunatamente superata, la
scienza del processo » : sicché enunciava il proprio intendimento di « farla finita » con quella nozione.
Nè l ’ha più riabilitata, neppure nella fase più recente del suo pensiero (cfr. Istituzioni del nuovo proc.
civ. ital., Roma, 19 5 1, I, n. 2, 5, pp. 4-5, 6-7), in cui egli non ravvisa più, nella lite,l ’oggetto
d ’ogni processo, bensì del solo processo contenzioso. C a r n e l u t t i è quindi risoluto e, comesempre,
coerente avversario dell’ « interesse ad agire »; ma, dell’opera di C a r n e l u t t i , si può dire che contenga
piuttosto la sostituzione e il (tentato) superamento del sistema concettuale dell’ « interesse » con quello
imperniato sulla « lit e » , che non la critica puntuale dell’idea d ’ « interesse ».
I n v r e a invece (Interesse e azione, in « Riv. dir. proc. civ. », 1928, I , p. 320 ss.) s’ atteggia a
critico di quell’idea, e il suo studio ha tratti pregevolissimi, sopra tutto nell’esame delle manifestazioni
giurisprudenziali del concetto combattuto. Tuttavia, letto l ’intero lavoro d ’ iN V R E A , se ne ricava
un senso di perplessità, come se la critica di lui si fosse svolta su un piano meramente verbale,
approdando, alla fine, a sostituire (p. 334) 1’ « interesse » con la « causa legittima di agire » contro
una data persona: la quale « causa legittima »fa veramente l ’effetto della quinta ruota del carro, non
meno dell’ « interesse ad agire ». Non è escluso che si possa trovare una analogia tra la « causa legit-
tim di agire » d ’ iN V R E A e il « bisogno della tutela giuridica », su cui insiste la dottrina tedesca.

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55« EN R ICO ALLORIO

passo, in cui egli viene esprimendo il suo pensiero : « Questo ulteriore elemento-re-
« quisito non ha una ragion d’essere distinta ed autonoma. L’interesse in realtà è fin dal-
« l’origine elemento integrante, essenziale anzi primordiale, non solo del diritto sog-
« gettivo primario sottostante, ma ánche dell’azione (ius persequendi). Infatti anche
« quando l’azione, come di regola, derivi da un diritto soggettivo primario, nasce pre-
« cisamente allorché, per effetto di una trasgressione o di uno stato di insoddisfazione,
« sorge la ragione e quindi anche l’interesse di chiederne la tutela giurisdizionale ».
Ora, a me pare che si possa qui concordare con l’autore, come ho detto, fino a
un certo segno: fin dove, cioè, 1’ «interesse» (o « bisogno di tutela) è svalutato come
requisito autonomo, e regolato nella sfera dell’implicito e sottinteso; ma non si possa
più annuire quando, dell’ « interesse », è offerta, rispetto al diritto d’azione, una no­
zione distinta da quella che se ne dovrebbe professare rispetto al diritto soggettivo
sostanziale. Tale nozione processuale, secondo R e d e n t i , verrebbe a identificarsi in quella
della « trasgressione » o di uno* « stato d’insoddisfazione » : ma in tal modo ritorna in
campo (e ritorna con valore di concetto generale riferibile ad ogni forma d’azione)
l’idea dell’interesse ad agire », che si sperava felicemente accantonata. Nè il modo, in
cui questa nozione viene ripresentata, mi sembra accettabile, perchè definendosi 1’ « in­
teresse ad agire », giusta la formula redentiana, come « trasgressione o stato d’insoddi­
sfazione », è ben difficile, per non dire impossibile, concepire che la situazione della
« mancanza dell’interesse », ossia la « non trasgressione » o la « soddisfazione » del
«primario», resti senza efficacia (estintiva o limitativa) sul diritto «primario» stesso:
col che non ci troviamo più nell’àmbito (che vorrebbe essere puramente processuale)
deH’interesse ad agire, ma si verte già nella questione dell’esistenza, o meno, del diritto
sostanziale fatto valere in giudizio.

4. — « Bisogno di tutela » e « interesse » rispetto ai giudizi di condanna.


Queste ultime considerazioni, cui mi ha dato occasione l’esame del pensiero di
R aprono la via a intendere come sia inconsistente l’idea del « bisogno di tutela »
e d e n t i,
o dell’ « interesse » rispetto al giudizio di condanna.
E’ noto che questo giudizio procura, al creditore lo abbia esperito con successo,
il diritto di procedere esecutivamente, in base appunto' alla sentenza di condanna, contro
il 'proprio debitore. Dovremmo dire, allora, che non vi è interesse ad agire quando
manchi (uso ancora la terminologia di R e d e n t i ) la « trasgressione o stato d’insoddisfa­
zione » del diritto di credito (J)? Spontaneo sorge l’obiezione che, se quel diritto non
è violato, se quel credito è soddisfatto, esso è estinto, non esiste più; perciò la domanda
di condanna va respinta perchè infondata nel merito, non per mancanza del bisogno di
tutela o dell’interesse.
Lo riconosce anche S chònke (pag. 49), dove scrive che « quanto all’azione di con­
danna, di regala, se esiste ed è venuto’ a scadenza il diritto d’obbligazione, si ha sen­
z’altro per avverato1 anche il bisogno di tutela giuridica»; egli si limita ad aggiungere
che <( se la domanda di condanna è proposta da persona diversa dal titolare del diritto,
questa persona deve offrire la dimostrazione d’uno speciale bisogno di tutela giuri­
dica ». Al quale ultimo proposito si deve, però, osservare che le ragioni, per le quali
un soggetto diverso* dal titolare del credito può avere titolo' a promuovere giudizialmente
(nella posizione di sostituto processuale) il giudizio di condanna, attengono alla legitti­
mazione, non all’ « interesse ad agire» o* «bisogno di tutela». Tutto è possibile, e
nulla osta, in astratto, a che si estenda la discussa teoria dell’ « interesse ad agire » sino
a porla a fondamento della legittimazione; però il modo, come normalmente è presentata
la dottrina dell’ « interesse ad agire » (nè mi sembra diversa la situazione in Germania

P ) Vedi ancora R e d e n t i , Diritto proc. civ., cit., p. 62.

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BISOGNO D I TUTELA G IU R ID ICA 551

per quel che riguarda la teoria del « bisogno di tutela ») ne fa una nozione distinta
rispetto a quella della legittimazione (1). Si avverta, del resto, che non è per nulla
esatto che, al terzo il quale vuol proporre domanda giudiziale di condanna per un
credito non suo si chieda di dimostrare un « bisogno speciale di tutela giuridica »;
gli si chiede cosa ben diversa e più concreta, ossia di documentare che egli si trova in
una delle situazioni, tassativamente previste, che lo legittimano alla sostituzione pro­
cessuale nei riguardi di quel rapporto -d’obbligazione.
Riprendendo ora il filo : per S ch ò n ke , abbiamo veduto, il « bisogno di tutela >>
non ha valore di condizione autonoma dell’azione di condanna, perchè esso è sottinteso
neH’esistenza e scadenza del credito affermato in giudizio. Ci dobbiamo domandare se
una tale ammissione non scuota alle basi la stessa concezione del bisogno di tutela.
La risposta deve essere affermativa, perchè quella concezione non può avere un valore,
se non come dottrina generale, valevole per tutto il processo civile, per tutte le forme
della tutela giuridica : ora invece, dal passo riferito da .Sch ò nke , apprendiamo che essa
non trova applicazione, « di regola », nel processo di condanna, che è poi la forma
praticamente più importante, perchè più usata, del processo civile.
Assodato ciò, anche se riuscisse poi a S chò nke di dimostrare, come egli tenta,
che in ipotesi particolari il bisogno di tutela giuridica è condizione della condanna,
tale risultato sarebbe scarsamente apprezzabile, perchè, in luogo, della validità di una
concezione generale dei bisogno di tutela, come presupposto del diritto d’azione, egli
avrebbe documentato, unicamente resistenza di presupposti processuali speciali, per
determinati tipi, anzi sotto-tipi del processo.
Quali sono, del resto, questi ca-si particolari del processo di condanna, in cui i
requisiti del « bisogno di tutela » assumerebbe, secondo si asserisce, autonomo- risalto ?
Un primo, esempio se ne indica in quella « Klagen auf Unterlas-sung », che non
saprei meglio tradurre, se non come «giudizio di inibizione», a tutela del diritto- al
nome, del -diritto del possessore, del diritto di proprietà, nonché per la repressione
di abusi della cosa, da parte del conduttore e deH’usufruttuario-, nonostante ammo­
nizione in contrario, e infine per prevenire, un possibile peggioramento del fondo sot­
toposto a ipoteca o a «debito fondiario» (vedi i §§ 12 - 862 - 1004; 550 - 1053
1134-1192 cod. civ. ted.). Si fa notare che il bisogno di tutela, in questi giudizi,
consiste nel pericolo di futura menomazione dei diritti e aspettative dell’attore
(Schònke, p. 50). Io non, si, però, risolvermi a considerare questi giudizi come -pro­
cessi di condanna, neppure di condanna in futuro-. Il riconoscimento da parte del
giudice, dell’obbligo, che incombe al convenuto, d’astensione da ulteriori turbative
non apre la via a un processo d'esecuzione : si tratta del mero accertamento d’un’o-b-
bligazione negativa. Se, nonostante, la sentenza che ha accolto- la domanda auf Un-
terlassung, -la turbativa -si verifica, il titolare del diritto- leso può chiedere al giudice
l’applicazione d’una pena pecuniaria (o addirittura detentiva) a carico del violatore
(§ 890 cod. proc. civ. ted.) : neppure in questo secondo momento siamo, però, dinanzi
a un processo di condanna.
Si tratta d’un processo che prescinde dal regolare contradittorio : questa circostanza,
e il fatto che la pena in esso irrogata si riconosce aver carattere di pena amministra­
tiva (2) indurrebbero a considerarlo processo volontario; in ogni caso si tratta d’un
precedimento costitutivo, in quanto il provvedimento che lo conclude ha virtù di co­
stituire l’obbligazione che ha per oggetto la pena pecuniaria, o il potere -dello- Stato
d’assoggettare il trasgressore alla pena detentiva; contemporaneamente si forma anche

(J ) [Nella dottrina italiana, la tendenza alla sovrapposizione delle nozioni d ’interesse e di legitti­
mazione ad agire è rappresentata da S e g n i . L ’intervento adesivo, I, Roma 1919, p. 109; leggi sul punto
A n d r io l i , Commento al cod. proc. civ., Napoli, I, 1954, p. 279].
(2) Cfr. R o sen berg A ., Lehrbuch des deutschen Zivilprozessrechts 5 , München und Berlin, 19 5 1,
p. 98.

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552 EN RICO ALLORIO

il titolo esecutivo relativo a tali nuovi rapporti. In ogni modo non mi pare che occorra,
in questa fase, in aggiunta all’esibizione della precedente pronuncia che accertò l’obbligo
d’astensione, e alla prova che questo fu trasgredito, anche la dimostrazione d’uno speciale
« bisogno di tutela giuridica ».
Vi sarebbe poi, ulteriore esempio di giudizio di condanna subordinato alla pre­
senza di un bisogno di tutela, il processo di condanna in futuro, almeno nella confi­
gurazione che esso riceve dal § 259 cod. proc. civ. ted., il quale consente, in gene­
rale, l’esercizio di tale tipo d’azione « quando, date le circostanze del caso, è giusti­
ficata la preoccupazione che il debitore si sottragga al tempestivo adempimento ».
L’« interesse », richiesto per questa forma di tutela, coincide con quello stato di peri­
colo, che è anche condizione normale del processo cautelare; sarebbe però un errore
quello di considerare siffatto presupposto come inseparabile alla nozione stessa del giu­
dizio di condanna a prestazione futura: lo si vede dal fatto che, nelle particolari situa­
zioni contemplate dai paragrafi immediatamente precedenti (257 e 258; a essi per brevità
rimando) non si esige affatto che sussista il pericolo dell’inadempimento perchè possa
esseie pronunciata condanna in futuro.
Che additare casi particolari, nei quali sia richiesto, per la concessione della
tutela, uno specifico bisogno di protezione giuridica, non basti a legittimare la cate­
goria del « bisogno di tutela » come nozione generale, ho già detto; se il pericolo
dell’inadempimento aU’obbligo della prestazione futura si presti a essere esattamente
definito come « bisogno di tutela » o « interesse ad agire » del creditore, è quanto
più oltre analizzerò. Ciò che, frattanto, mi preme notare, è che il criterio desumibile
del § 259 del codice processuale germanico non è suscettibile di corretta trasposizione
in quegli ordinamenti giuridici, in cui esso non forma oggetto d’una esplicita enun­
ciazione, come è quella, appunto, di quel paragrafo. Non sono, in particolare, d’ac­
cordo con chi reputa che, in diritto italiano, sia consentito chiedere al giudice una
sentenza di condanna a prestazione futura, purché si possa documentare d’avervi
« inieres.se » (1). Ecco una perniciosa conseguenza di questa idea equivoca dell’in­
teresse ad agire: una conseguenza che non è, per vero, disgiunta da una esagera­
zione dell’idea stessa : non ci si contenta più di fare, dell’« interesse », ma condizione
per il conseguimento di quelle forme di protezione giuridica, che sono, nella loro
tipicità, disciplinate dalla legge; ma se ne vuol fare, a dirittura, la matrice di nuove
forme di tutela, di nuove « azioni », di cui la legge non parla. Poiché ho « interesse »
a ottenere la condanna in futuro del mio debitore, avrò anche il diritto di domandare
che venga pronunciata tale condanna. Ma su questo avvio, è ben difficile porre dei
limiti. Perchè non avrò io dunque (parlo sempre per il diritto italiano) il diritto di
chiedere l’applicazione di astreintes? Di provocare l’arresto per debiti? Non si può
d're che io non abbia « interesse » a queste misure, perchè esse rafforzano la mia posi­
zione creditoria; solo... il codice non parla ancora di astreintes e dell’arresto per debiti
non parla più : sarà un male, sotto alcuni profili, ma è così. Tornando alla condanna
in futuro, o è possibile dedurne la legittimità dal sistema (e non lo credo davvero,
perchè la regola è quella della tutela con efficacia immediata, non accantonata o
differita), oppure essa non può certamente essere giustificata sulla base del sem­
plice « interesse » a conseguirla.
5. — L ’analogo problema rispetto al processo costituivo ed esecutivo.
Passiamo ora al processo costitutivo. Anche qui S ch ò n k e (p. 52) esce in una am­
missione significativa: dopo aver premesso che «diritti potestativi non sono, di regola,
se non quelli che s’esercitano mediante azione costitutiva », ne deduce, che nei giudizi

(i) Cfr. M o n tesan o , in « Riv. dir. proc.,», 1951, II, p. 17, con riferimento a C h io v e n d a , Istituzioni
di dir. prov. c iv .2, Napoli, I, 1935, p. 175 s. [C fr. ora, dello stesso M o n tesan o , la Critica della
teoria della condanna in futuro, in « Riv. dir. proc. », 1954, II, p. 39 ss.].

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BISOGNO D I TUTELA G IU R ID ICA 553

costitutivi, « il bisogno di tutela giuridica è già insito nel fatto, che la trasforma­
zione giuridica può aver luogo solamente attraverso il processo », vale a dire con
la sentenza costitutiva.
Al lettore non può sfuggire la gravità della nuova ammissione!
Come già rispetto al processo di condanna, così nei riguardi del processo costi­
tutivo si riconosce apertamente che il bisogno di tutela non è un requisito proces­
suale dotato d’autonomia, ma semplicemente un aspetto del diritto sostanziale che
si fa valere in causa; è allora assorbito tra le condizioni di fondatezza della do­
manda. Ed è un riconoscimento inevitabile: se io chieggo la risoluzione d’un con­
tratto per colpa dell’altro contraente, e il contratto è già risolto; l’annullamento di
un matrimonio quando questo è già stato in precedenza annullato; la comunione
forzosa d’un muro, che viceversa è già comune; in tutti questi casi la mia domanda
va certamente respinta, ma non perchè (si badi bene), pur esistendo il diritto ch’io
affermo in giudizio, difetti il mio « bisogno di tutela » o il mio « interesse ad agire »,
bensì proprio perchè non esiste un mio diritto alla risoluzione del contratto, all’an­
nullamento del matrimonio, a costituire la comunione del muro. Tale, e non altro, il
valore sistematico della massima frustra petis quod intus habes.
S c h ò n k e , però, prospetta una categoria di casi, in cui, secondo lui, il « bisogno
di tutela giuridica » potrebbe assumere il carattere di requisito a sè stante anche nei
processi costitutivi: quando, egli spiega, l’attore chieda al magistrato di pronunciare
sentenza per produrre un effetto giuridico che potrebbe essere operato mediante una
semplice manifestazione unilaterale del richiedente, alla domanda si potrà opporre la
mancanza del « bisogno di tutela ». E cita gli esempi della disdetta di un contratto
di locazione (§ 565 cod. civ. ted.) e della revoca del potere d’amministrazione nella
società civile (§ 712 dello stesso cod.). A mio parere, invece, anche in queste ipotesi
ciò che manca non è il bisogno di tutela, o l’interesse; è il diritto alla tutela. Chi
può determinare, mediante negozio giuridico unilaterale, la trasformazione di rap­
porti giuridici esistenti manca del diritto di provocare quella trasformazione ministerio
judicis. D’altra parte, la categoria giuridica della sentenza costitutiva è categoria di
diritto singolare: fuor dei casi tìpicamente previsti, il magistrato non ha il potere di
operare una modificazione del diritto esistente. Il tribunale, cui sia domandato
di por fine, con sentenza costitutiva, a un rapporto locatìzio in corso, o di revocare,
con sentenza parimenti costitutiva, il potere d’amministrare, che; spetta al socio d’una
società civile di diritto tedesco, deve chiedersi, applicando le regole del diritto sostan­
ziale, se sia già intervenuta la manifestazione unilaterale, con cui l’attore poteva
produrre, senza disturbare gli organi di giustizia, l’effetto giuridico voluto (tale ma­
nifestazione di volontà potrebbe, eventualmente, e mediante un procedimento' di «con­
versione », ravvisarsi implicita nella domanda giudiziale). Se il Tribunale deve dare
risposta positiva alla domanda anzidetta, allora constaterà che la locazione è cessata
o che il potere amministrativo è venuto meno nel socio che lo aveva, mentre, nel caso
inverso, dichiarerà che la locazione è tuttora in corso o che il potere d’amministra­
zione permane. In entrambe le alternative, avremo una sentenza d’accertamento, non
una sentenza costitutiva; e in ambo i casi* dovrà essere accertata l’inesistenza del van­
tato diritto a una sentenza costitutiva.
Questi ragionamenti ci riportano, per somiglianza dei dati da elaborare, a di­
scorrere d’un particolare problema del processo di condanna. Si domanda: chi già
dispone d’un titolo esecutivo stragiudiziale (in diritto italiano, particolarmente: cam­
biale o documento pubblico) può chiedere una sentenza di condanna per lo stesso
credito? e, se la soluzione ha da esser negativa, si spiega tale soluzione con la man­
canza dell’« interesse » o «bisogno di tutela», ovvero altrimenti? Per rispondere oc­
corre, di là dalle parole, guardare alle cose: occorre perciò possedere una chiara

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554 EN R ICO ALLORIO

nozione di ciò che s’intenda per processo, e per sentenza, di « condanna » (1). Nella
« condanna » vanno congiunti, a mio parere, indissolubilmente un effetto giuridico di­
chiarativo e un effetto costitutivo : accertamento, perciò, d’un credito, ma anche, al
tempo stesso, formazione del diritto all’esecuzione forzata per quel credito. Ora,
appunto con l’applicazione al processo di condanna dei principi del processo costitu­
tivo (il processo di condanna si potrebbe definire costitutivo - processuale, nel senso
che mette capo alla formazione d’un diritto processuale), si risolve il quesito posto
prima. La sentenza di condanna è sentenza costitutiva, nel senso che produce, a fa­
vore di chi l’ottiene, il diritto all’esecuzione forzata, che non sussisteva prima, e in
quanto, precisamente, non sussistesse prima. In linea di principio deve, allora, valere
questo criterio; che il diritto alla sentenza di condanna, quando il creditore è già
munito del titolo esecutivo, stragiudiziale o magari giudiziale, non possa esistere
più di quanto esista il diritto di provocare giudizialmente la comunione del muro,
allorché il muro è già comune. La differenza tra le due situazioni paragonate consiste
in ciò, che mentre il diritto alla comunione forzosa del muro è un diritto sostanziale, il
diritto alla condanna è un diritto processuale: suole esser chiamato l’azione di con­
danna. Non vedo, naturalmente, ragione, per la quale non si debba dire, nell’ipotesi
esaminata, che la domanda di condanna deve essere respinta per difetto dell’azione di
condanna, anziché per difetto del diritto di credito; tuttavia non vedo neppure moti­
vo per il quale si debba asserire che l’azione di condanna difetta per mancanza del
« bisogno di tutela » o deli’« interesse di agire », quasi che, invece, non si riscontrasse
l’impossibilità intrìnseca, per lo stesso meccanismo dell’azione di condanna, di scattare :
impossibilità logico-giurìdica, indipendentemente da ogni valutazione finalistica (come
è, dichiaratamente, quella che fa capo al «bisogna di tutela»: vedi S ch ò nke pp. 1 1 - 1 3
e passim) di produrre un effetto giuridico che esiste già!
Si obietterà, qui, che la sentenza di condanna possiede, oltre l’efficacia costitutiva
(rispetto all’azione esecutiva, di cui si è parlato sin qui), anche un’efficacia dichiara­
tiva che coincide con la cosa giudicata; e che, di conseguenza, il processo di condanna
non scatterà a vuoto neppure quando preesista il titolo esecutivo? A ciò, però, ritengo
doversi replicare che il processo di condanna si ridurrà allora a processo di mero
accertamento (qualunque opinione si abbia de! delicato rapporto tra processo d’accer­
tamento e processo di condanna), e per la proponibilità della domanda di mero accer­
tamento dovrà ricorrere l’estremo, che, in quasi tutti i sistemi processuali, si con­
sidera, a tal fine, indispensabile, dell’incertezza del rapporto : si inquadri, o no, code­
sta incertezza come « bisogno di tutela » o « interesse », punto, quest’ultimo, che esa­
mineremo più avanti.
Piuttosto, è bene notare che, nel processo civile italiano, la sentenza di condanna
intesa come pronuncia costitutiva, non produce, come solo effetto giuridico, il diritto
all’esecuzione forzata per il credito accertato, ma altresì il diritto all’ipoteca giudi­
ziale (2). La trasformazione giuridica che si chiama « condanna » è precisamente la
trasformazione di un credito non ancora suscettibile d’esecuzione e d’ipoteca in un
credito passibile di tali) ulteriori svolgimenti giuridici; è, come si vede, una trasforma
zione che incide tanto nel diritto processuale (esecuzione), quanto nel diritto sostan-

(!) L ’ analisi p iù recente è, in Italia, quella di R o g n o n i , La condanna generica al risarcimento


dei danni, p. 82 ss. (negli « Studi nelle scienze giuridiche e sociali » dell’Università di Pavia, X X X II,
1951).
(2) Bisogna tuttavia tener conto dell’opinione per cui, nonostante il tenore letterale dell'art. 2818
cod. civ. italiano, il diritto all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale non è effetto riflesso della condanna,
bensì di « un provvedimento giurisdizionale che accerti un credito pel quale sia possibile l ’esecuzione,
ancorché il creditore non voglia o non possa costituirsi con quel provvedimento il titolo esecutivo
giudiziale in relazione a quel credito (M o n tesan o , in « Riv. dir. proc. » , 19 5 1, I I , p. 16, aderendo a
S a t t a , in « Riv. dir. proc. civ. », 1934, I, p. 2 71, e ad A n d r io l i , in « R iv. dir. comm. », 1935,
II, p. 193 ss.).

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BISOGNO D I TUTELA G IU R ID ICA 555

ziale (ipoteca) (x). Limitatamente, allora, al diritto italiano e agli altri sistemi legisla­
tivi che, su questo punto, siano analogamente atteggiati, si deve 'dare àdito al processo
di condanna anche a richiesta di chi sia già munito di titolo esecutivo stragiudiziale.
Non sarà, mio parere, consentito distinguere a seconda che, in concreto, esistano
beni ipoteeabili o no, giacche tanto varrebbe precludere il processo di condanna al
creditore, il quale non sia in grado d’indicare beni del debitore da sottoporre, dopo
la condanna, al pignoramento (pure, a tanto' si arriverà, uni giorno, secondò la fallace
teoria dell’« interesse »!).
Dopo quanto, sin qui, sono venuto dicendo circa il processo costitutivo in senso
stretto, il lettore potrà forse svolgere per proprio conto, con la scorta dei 'criteri di
massima fin qui adoprati, la critica della concezione del « bisogno di tutela » o « inte­
resse ad agire » rispetto al processo d’esecuzione. Anche questo può invero, in largo
senso, definirsi processo costitutivo: se consideriamo, di esso, di tipo più complesso e
assieme più noto, vale a dire l’espropriazione con vendita forzata, vediamo che l’efh
cacia giuridica di questo particolare processo' si risolve in una successione di conse­
guenze giuridiche innovative, quali l’indispensabiltà del bene pignorato, il trasferi­
mento del bene venduto all’aggiudicatario, e infine l’estinzione, totale o parziale,
del credito per cui si procedeva, mediante consegna del ricavo; parallela la serie
delle conseguenze, a quella degli atti processuali che, nella loro sequenza, le produ­
cono. Ciò posto, non si sa qual valore autonomo possa avere, rispetto' a un. processo
così configurato, la condizione del « bisogno di tutela ». Il creditore procedente o in­
terveniente ha « bisogno di tutela » per l’automatica considerazione che, nei diversi
momenti dell’esecuzione forzata che si prendono in, successivo' esame, non sii sono ancor
prodotti i diversi effetti giuridici, i quali conseguiranno ai singoli atti di esecuzione
(al pignoramento, alla vendita forzata, alla consegna del ricavo), e vii è per l’appunto
bisogno di tali effetti. Certamente può accadere che alcuno chieda il compimento d’un
atto esecutivo, il quale ha già luogo : p. es. chieda il pignoramento d’una cosa che
è già stata, a sua richiesta, pignorata con un pignoramento tuttora efficace (2). Il
lessico non vieta di giustificare il rigetto d’una richiesta di tal genere con la man-
vanza d’un adeguato « bisogno di tutela » o dell’« interesse ad agire ». Io credo però
che simili formale non esprimano affatto la vera situazione. La richiesta d’un pigno­
ramento, che è già stato compiuto, difetta per me non d’interesse, ma di fondatezza;
è inesistente, non il bisogno dello tutela, ma (ancora una volta) il diritto' alla tutela,
e ciò perchè il privato ha fatto appello' a un potere dell’ufficio esecutivo, che non
esisteva. Nessuna autorità pubblica (anzi, potrei dire : nessun soggetto giuridico),
per un concetto logico (potrei dire: lapalissiano) che trascende il campo delle attività
giurisdizionali e processuali per porsi come canone generale, può dar vita a un ef­
fetto giuridico che esiste già. Un atto che avesse questa portata (il pignoramento di
cosa già pignorata, non meno che la vendita di cosa già venduta) non 'Sarebbe un, atto
giuridico1, perchè non produrrebbe alcuna conseguenza giuridica. Il /bisogno di tutela
o l’interesse della parte istante non hanno niente a che vedere con questi rilievi di
logica elementare.
I quali rilievi condannano, a parer mio, senz’appello ogni applicazione della cate­
goria combattuta del « bisogno » o « interesse » nel campo dell’esecuzione forzata. Non
ci si attenderà, a questo punto, da parte mia, la confutazione minuta delle non
poche pagine (74-93) che S ch ò nke dedica all’esposizione d’esempi, i quali dovrebbero

(!) [Parto dal concetto dell’ipoteca come diritto sostanziale, sebbene abbia avuto, anche di recente,
autorevoli manifestazioni (cfr. F e n e c h , in « Jus », 19 5 3 , p. 9 9; contro Di S ta so , in « Jus », 1 9 5 3 ,
p. 3 7 5 ss.) l ’opposta concezione processuale dell’ipoteca].
(2) Nel caso della richiesta di vendita forzata d ’un bene già stato alienato forzatamente, all’im­
possibilità del bis in idem si sovrapporrebbe altro motivo di rigetto: la cessata appartenenza della cosa
al debitore.

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556 E N R ICO ALLORIO

invece corroborare la tesi, per la quale pure il processo esecutivo sarebbe dominato da
quella categoria concettuale. lA mostrare la fallacità, più che di quegli esempi (molti
dei quali particolari del diritto tedesco) di tutto l’orientamento che li ispira, basti ac­
cennare a due fra essi:
per S ch ò nke dovrebbe essere rigettata per mancanza d’interesse la richiesta
di pignoramento accompagnata) daH’ammissione che il bene, che si vorrebbe colpire, è
impignorabile: ora qui, se le parole hanno un significato, non è possibile negare che
un « interesse » del creditore ci sia. A lasciarlo fare, il creditore potrebbe cavar fuori
denaro anche, e precisamente, dal bene impignorabile. Di pignorare quel bene, glielo
impedisce non la mancanza d’un suo interesse in proposito, d’un suo bisogno di tutela
che, anche col bene impignorabile, potrebbe essere soddisfatto. Glielo impedisce vice­
versa il divieto della legge, posto, se proprio si vuol ragionare in termini d’interesse
e di bisogno, per la protezione d’un interesse del debitore, per la soddisfazione d’un
bisogno di quest’ultimo, quando non per una ragione d’interesse pubblico (es. divieto di
pignoramento delle cose sacre).
l’altro esempio (tratto dalia giurisprudenza) è così formulato: manca il bisogno
di tutela relativamente a una richiesta <li pignoramento « allorché l’ufficio è informato
che il debitore, di cui si dovrebbe pignorare il salario presso un determinato datore di
lavoro, non è più alle dipendenze di quest’ultimo ». Ora qui si rimane assai perplessi,
petchè, almeno in Italia, l’ufficiale giudiziario, il quale rifiutasse, in un caso del genere,
di compiere il pignoramento presso il terzo designato, notificandogli l’atto relativo, agi­
rebbe in maniera certamente antigiuridica e incontrerebbe una responsabilità personale.
Che il terzo pignorato non sia debitore del debitore sottoposto all’esecuzione, è circostanza
che risulterà dalla dichiarazione del terzo, e che sarà vagliata, ed eventualmente con­
fermata, nel giudizio consecutivo a questa dichiarazione: ma per intanto il pignora­
mento deve eseguirsi; della mancanza d’ « interesse » o « bisogno di tutela» (rectius :
di fondatezza della domanda contro il terzo pignorato) non può erigersi a giudice l’uf­
ficio esecutivo (x).

6. — Sulla dottrina del « bisogno di tutela » o « interesse » a proposito del pro­


cesso di mero accertamento e del processo cautelare.
Rispetto al nostro problema del « bisogno di tutela » o « interesse ad agire », si
delinea dunque, nell’opinione corrente, un equivoco comune alle diverse forme pro­
cessuali che potremmo chiamare costitutive in senso lato, vale a dire al processo di con­
danna, al processo costitutivo' in senso stretto e al processo esecutivo : ed è l’equivoco
che consiste nel prospettare come presupposti autonomi della « tutela » o .dell’« azione »
condizioni che, invece, attengono all’esistenza stessa del diritto (prospettandosi, per
questa via, come condizioni di fondatezza della domanda, nel più esatto senso di tale
espressione) e non legittimano la costruzione d’una categoria del « bisogno di tutela » o
dell’« interesse ».
Diverso dev’essere il discorso per il processo di mero accertamento e per il pro­
cesso cautelare, giacché, nel primo l’incertezza e, nel secondo, il pericolo nel ritardo
non possono in alcun, modo identificarsi con le condizioni per resistenza del diritto de-(*)
(*) Nel testo mi riferisco al diritto italiano; riconosco che, in diritto tedesco, il procedimento
è differente, perchè il pignoramento dei crediti si effettua con una richiesta del creditore ai giudice,
il quale provvede con un’ « ordinanza di pignoramento » (§ 829 cod. proc. civ. tedesco), da notificare
al creditore e al terzo. Tuttavia non comprendo il nensiero di S c h ò n k e (v . anche, di lui Zwangsvoll-
streckungsrecht2- 3 , Karlsruhe 1946, p. 15 1 s., con riferimento a un precedente giurisprudenziale) che
cioè il giudice, al quale è rivolta l’istanza di pignoramento, possa respingerla per mancanza d ’interesse,
in quanto reputa inesistente il credito pignorato. Ciò è in contrasto con quanto scrive lo stesso Autore
(luogo ultimo citato), che cioè il giudice, in massima, non deve indagare se esista o meno il credito
che si vuol pignorare; oggetto del pignoramento è l 'asserito (angeblich) credito: questo mi pare il
concetto esatto.

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BISOGNO D I TUTELA G IU RID ICA 55 7

dotto in giudizio. Ecco perchè, su questo particolare regime del processo d’accertamento
e di quello cautelare, può effettivamente tentar di far leva, meglio che sulla disciplina
degli altri tipi del processo, chi sostenga la teoria combattuta del « bisogno di tutela» o
delibi interesse ad agire » : parrà, con tale nozione del « bisogno » o dell’« interesse »,
d’aver trovato una categoria superiore, entro cui ricomprendere tanto l’incertezza, sog­
gettiva od oggettiva, da cui dipende l’emanazione della sentenza di mero accertamento,
quanto il pericolo, che condiziona l’emissione del provvedimento cautelare. Al pro­
prietario allora (per concretare con esempi), che pretenda l’accertamento in giudizio del
suo diritto, mentre al riguardo ,non vi è alcuna incertezza da dirimere, nè derivante da
altrui contestazione, nè da altra fonte, non meno che al creditore, che abbia per debi­
tore persona, il cui patrimonio offre abbondanti garanzie per la soddisfazione dell’ob-
bligazione, si potrà, secondo questa corrente, opporre la mancanza dell’interesse, alla
tutela dichiarativa e, rispettivamente, alla tutela cautelare mediante il sequestro conser­
vativo.
Tuttavia, chi ben guardi noterà come la dottrina del bisogno-interesse, ridotta a
questi due tipi di processo, non presenti più, nè la necessaria omogeneità, nè il neces­
sario rigore. Già intanto, prospettare l’incertezza, nel processo d’accertamento, e il peri­
colo, nel processo cautelare, sotto l’angolo visuale dell’interesse del richiedente, è qualcosa
di eminentemente arbitrario. Perchè mai si dovrà affermare che l’attore ha « interesse »
alla sentenza di mero accertamento solo, se c’è una incertezza attuale da dirimere?
Posto che la sentenza di accertamento produce l’effetto della cosa giudicata sul rapporto,
non è negabile un interesse alla formazione del giudicato anche se una iniziale incertezza
di fatto da superare non c’è. La cosa giudicata è sempre un bene giuridico apprezzabile,
e teoricamente nulla impedirebbe al legislatore di concedere l’azione di mero accerta­
mento indipendentemente daU’incertezza, ponendo tutt’al più la restrizione che chi
chiede l’accertamento d’un diritto, sul quale non v’è incertezza, la debba domandare
a sue spese (1). Se la legge non batte questa via, se essa non permette, quando, non
vi sia in partenza una situazione d’incertezza circa il rapporto, al giudice di emettere,
sull’esistenza o inesistenza del rapporto, una sentenza dichiarativa, ciò non dipende
dal fatto che il richiedente non vi abbia interesse, bensì dal non essere, quell’interesse,
ritenuto sufficiente a giustificare il dispendio dell’attività giurisdizionale. In altri termini,
quell’interesse non assurge a diritto, ma, se la parola « interesse » si vuole adoprare in un
significato conforme al lessico, non si può dire che non vi sia interesse.
Considerazioni equivalenti si possono enunciare nei riguardi del processo cautelare.
Anche qui, l’interesse alla misura provvisoria potrebbe sussistere indipendentemente
dal pericolo. Pensiamo a una richiesta di sequestro conservativo : un creditore particolar­
mente apprensivo, o desideroso di assoggettare ai propri voleri il debitore, vincolandone
il patrimonio, potrebbe avere interesse a tale provvedimento cautelare anche senza il
fondato timore di perdere le garanzie del credito. Si dirà che tale « interesse » non è
degno di protezione, perchè non corrisponde alla necessità normali di salvaguardia del
diritto di credito, e può invece rivelare intenti di oppressione ed arbitrio; e si dirà cosa
vera. Ma con ciò non si sarà dimostrata la mancanza d’un interesse a provocare la
concessione del sequestro conservativo, bensì, in mancanza del pericolo, l’insufficienza
di tale interesse a procurare al creditore il diritto alla misurai cautelare, e ciò (sul piano

(x) Di recente, M o n tesan o è tornato, in un pregevole saggio, sulla natura dell’incertezza (dovuta
a contestazione della controparte, o anche semplicemente oggettiva?), che forma il presupposto del pro­
cesso di mero accertamento (cfr. « Riv. dir. proc. », 1952, I, p. 252 s.), egli pensa che il giudizio
d ’ accertamento debba vertere su una lite, a pena di non trovar posto fra i processi di cognizione.
Forse l ’indagine di M o n tesan o sarebbe riuscita più penetrante e sarebbe eventualmente pervenuta a
risultati diversi se egli avesse, anzitutto, affrontato con impostazione critica lo stesso problema gene­
rale dell’ interesse ad agire.

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558 E N R ICO ALLORIO

della spiegazione politica della norma) a motivo della prevalenza dell’interesse opposto
dal debitore alla libertà dei suoi beni.
In conclusione, la formula dell’« interesse » non è necessaria nè appropriata a defi­
nire il compito, che le condizioni dell’incertezza e del pericolo assolvono, rispettiva­
mente, nel processo meramente dichiarativo e in quello cautelare. Sulle prime, minori
obiezioni sembra suscitare la analoga formula del « bisogno di tutela » : non appare
scorretto il dire che la legge non accorda, in mancanza di quelle condizioni, la tutela
dichiarativa e quella cautelare perchè ritiene che non vi sia necessità di quella tutela;
ritiene in altri termini che la situazione non richieda e non meriti l’impiego dell’atti­
vità giudiziaria. Se si guarda bene, però, questa valutazione è compiuta dal legisla­
tore non soltanto nei casi considerati, ma su un piano ben più esteso, rispetto (cioè) alla
definizione delle stesse condizioni di diritto sostanziale, alle quali si lega la conces­
sione delle diverse forme di tutela giuridica : condizioni, alle quali è subordinata: la
protezione, e quindi l’esistenza stessa, dei diritti soggettivi. La « tutela » non è mai
accordata senza un « bisogno ». Questa idea del bisogno' di tutela giuridica, lungi dal­
l’essere il substrato particolare dell’incertezza e del pericolo come condizioni del pro­
cesso meramente dichiarativo e cautelare, è quindi diffusa e immanente nell’intero ordi­
namento giuridico e mostra tutta la propria inettudine a diventare una particolare cir­
coscritta nozione tecnica del diritto processuale. Quando si è detto che la tutela mera­
mente dichiarativa non è concessa dal giudice senza un’incertezza del diritto, nè la
tutela cautelare senza un pericolo, aggiungere che, nella mancanza di tali condizioni,
manca il bisogno della tutela giuridica non rappresenta un apprezzabile passo innanzi,
sulla strada della comprensione di questi istituti.

7. — iApplicazione della dottrina del « bisogno-interesse » alla generalità degli


atti processuali di parte?

Le presenti pagine critiche potrebbero, qui, considerarsi giunte al termine, se non


dovessimo, per ultimo, esaminare un aspetto più generale, nel quale la dottrina che
si combatte suole talora essere esposta. Come la « relatività speciale », di E in st e in è stata
seguita, nel pensiero di questo fisico', dalla « relatività generale », che dilata l’iniziale
principio fino alle estreme generalizzazioni, così (e giudichi, chi vuole, ironico Facco­
stamento: non penserò a smentirlo) la dottrina processuale del bisogno-interesse, ap­
plicata, tradizionalmente, a definire le condizioni per la concessione della tutela giuri­
sdizionale, viene estesa, sino a diventare canone di valutazione della ammissibilità d’ogni
atto processuale. Alla formola pas d’intérêt, pas d’action si sostituisce quella: senza inte­
resse, niente atto processuale. E ’ questo l’indirizzo, nel quale si pone S ch ò nke (pp. 13-18 ),
e a cui pare indulgere anche R ed en t i (1). Ora, mentre (per continuare il parallelo di
prima) l’ascesa della concezione di E in s t e in allo stadio della. « relatività generale » ha
segnato, secondo l’opinione dei fisici, un ulteriore, importante progresso verso la co­
struzione unitaria dei fenomeni dell’energia e della materia, la generalizzazione della
nostra concezione processuale del bisogno-interesse ha sortito un effetto opposto : l’effetto
cioè d’una reductio ad absurdum della teoria medesima, con la messa in luce dell’intimo
equivoco di cui essa si travaglia.
Quando si pone il criterio che nessun atto processuale di parte possa esser ritenuto
efficace e ammissibile senza un interesse, degno di tutela, dell’agente al compimento' di
quell’atto e ai relativi effetti giuridici, s’introduce invero, nel congegno della norma pro­
cessuale, in nome d’un esasperato ideologismo, un elemento estraneo e profondamente

(!) [D ir. proc. d i’ ., cit., II, 1953, p. 24].

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BISOGNO D I TUTELA G IU RID ICA 559

perturbatore. La norma fissa le condizioni oggettive, nelle quali le parti possono, com­
piere determinati atti processuali, con effetti pure determinati: che la parte, autoriz­
zata dalla legge a compiere un certo atto, abbia interesse a quell’atto, abbia bisogno
della tutela, cui l’atto stesso mira, è una, valutazione, che ha fatta a priori il legisla­
tore nell’istante precedente a quello, in cui ha dettato la norma, e che non deve, non
può essere rinnovata, con un risultato magari divergente, dal giudice, a pena di sosti­
tuirsi (questi) al legislatore, rubandone il mestiere.
Fissiamo le idee col richiamo a situazioni concrete, efficace a togliere ogni dubbio :
se la legge dà a ciascuna delle parti il diritto di provare i loro rispettivi assunti mediante
la (deduzione di prove testimoniali, 1’« interesse. » o il « bisogno della tutela » rispetto
all’atto in cui si concreta la richiesta della prova, stanno neilai necessità stessa di pro­
vare i fatti; certamente non potrà ammettersi la prova di fatti che non siano concludenti
sul piano del diritto sostanziale, e neppure di fatti già provati. La mancanza dell’« in­
teresse » e del « bisogno di tutela », però, non hanno niente a che vedere con l’esclu­
sione della prova in queste situazioni, tant’è vero che su fatti, irrilevanti, o già provati,
non potrebbe disporsi un’indagine probatoria neppure se si trattasse di prove esperibili
d’ufficio. Ogni altra ricerca relativa all’interesse o al bisogno, di tutela, nella richiesta
d’una prova, sarebbe ultronea e pericolosa, giacché potrebbe approdare a conclusioni
di questo genere: non si dispone la prova testimoniale richiesta da. Tizio, perchè da
parecchi elementi risulta già che i testimoni, che egli deduce, deporranno non a favor
suo, bensì del suo avversario, Sempronio, sicché egli non ha interesse a una prova,
il cui risultato si ritorcerà contro di lui! Considerazioni e riflessioni, queste, che indub­
biamente la parte deve compiere, prima di decidere se le convenga di dedurre la prova,
ma a proposito delle quali il giudice non può sostituirsi alla parte, (sovrana nella sua deter­
minazione; osservazioni simili a queste ricorrono rispetto ad altre situazioni processuali, e
tutfe confermano che il controllo, ad opera del giudice, della presenza d’un interesse al
singolo atto processuale, d’un bisogno di tutela rispetto all’atto stesso, in aggiunta ed in
eventuale contrasto con la valutazione affermativa già implicata della mens legis, si risolve
in un operazione, o superflua,, o rischiosa. Così' la riassunzione del processo, che alcuno
faccia dopo che il processo rimase .sospeso per la pendenza duna causa pregiudiziale,
è evidentemente mossa dall’interesse dalla parte e date una conclusione al giudizio so­
speso; ma, se la teoria del bisogno-interesse dovesse intendersi alla lettera, quale par­
ticolare interesse alla ripresa del giudizio dovremmo, chiedere: alla parte di documentare?
Dovrebbe, la parte, essere ad esempio esposta a sentirsi tenere, dal giudice, un di­
scorsa di questo genere: poiché l’esito del processo pregiudiziale non vi è stato favo­
revole, è inutile che voi riassumiate il giudizio sospeso, il cui risultato, vincolato a quello
del processo pregiudiziale, vi sarebbe pure contrario? Del pari, nel processo esecutivo,
il diritto, che compete al creditore, di compiere successivamente i vari atti, destinati a
dare impulso alla esecuzione forzata, non potrebbe esser menomato dal sindacato, che
l’ufficio volesse fare, della presenza d’un effettivo bisogno di tutela giuridica, d’un reale
interesse .dell’istante a proseguire nell’esecuzione : p. es. agirebbe nettamente contra legem
l’ufficio esecutivo, che, al creditore, chirografario, il quale domandasse che venisse ordi­
nata la vendita della cosa pignorata, obiettasse che, dato che nell’esecuzione sono già
intervenuti creditori privilegiati per un importo superiore al valore della cosa pigno­
rata, non c’è, nel suddetto creditore chirografario, interesse a una vendita forzata, dei
cui ricavo non ¡potrà mai beneficiare.
Sembra pertanto di poter concludere che l’indagine circa l’esistenza d’uno specifico
bisogno di tutela o interesse, rispetto a ogni singolo atto processuale, riesca totalmente
inutile, frutto di errata impostazione logica; quando pure essa non abbia per risultato

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560 EN RICO ALLORIO

rincoraggiare il diniego di giustizia, sub specie dell’asserita mancanza dell’« interesse »


o del « bisogno di tutela » (1).
Qualche maggior costrutto potrebbe avere la teoria, che propugnasse la repres­
sione dell’abuso del diritto nell’atto processuale di parte : non si tratterebbe più di esi­
gere, per ogni atto, la dimostrazione positiva della presenza d’un interesse a compierlo;
bensì, inversamente, di toglier efficacia a un atto che si dimostrasse essere rivolto a una
finalità abnorme, contraria allo spirito del processo {per es. una finalità puramente
dilatoria o vessatoria). Anche in questo più limitato àmbito però, è bene andare cauti,
e cominciare dal notare che il precetto autorizzante codesta repressione degli atti dì
parte « abusivi », per di più nella specifica forma d’una generale sanzione della loro
inamissibdità, non esiste nella legge processuale : per quel che riguarda il diritto ita­
liano, non si potrebbe certo riscontrarla nella norma, tra l’altro priva di sanzione
processuale, relativa alla lealtà e probità nel processo (2). Se, d’altra parte, rispetto agli
stessi diritti soggettivi privati, nonostante l’ampia considerazione che il, problema ha
avuto in nutriti dibattiti, non si è ancora giunti alla formula d’un divieto generale
dell’esercizio abusivo (3), non sembra che la reazione possa cominciare sul terreno del
processo, deve tra l’altro l’abuso di diritti appare meno dannoso che nel campo'del
diritto sostanziale; qui l’attività del privato, il quale abusi Idei proprio diritto, può
recare un danno diretto ai terzi, mentrq l’abuso, che la parte faccia dei propri diritti
processuali, trova, nei propri effetti dannosi, un limite; quello rappresentato dal potere
del giudice di respingere le istanze, che egli riscontri prive di fondamento. E’ impossi­
bile, pertanto, aderire a quanto scrive S ch ò nke (pp. 33-36) circa il fine processuale « in­
degno di tutela », che avrebbe per sanzione l’inammissibilità del singolo atto, a simile
fine diretto, o dell’intero processo. Sarebbe, p. es., fine indegno' di tutela quello del pro­
cesso iniziato per ottenere nummum unum. Ma io penso che, qualunque sia l’impor­
tanza dell’oggetto domandato, non possa esser denegata giustizia; che, a graduare il
dispendio dell’attività giudiziaria in rapporto all’entità della contestazione, stiano le
regole della competenza per valore; e che il magistrato, il quale si dia a sindacare, nel-

(L) Certamente, dato il modo, come questo problema dell’ « interesse », nel processo, è corren­
temente impostato, la tentazione di particolareggiare la dottrina dell’ « interesse ad agire », applican­
dola a singoli stadi, momenti, atti del processo, è forte. Si pensi a un concetto come quello dell« inte­
resse a im pugnare»: nulla di più comodo che farne una sottospecie dell’interesse ad agire: costitui­
rebbe la speciale manifestazione, che l ’interesse ad agire avrebbe nella fase di gravam e: in tal senso,,
difatti, le più recenti, e note, trattazioni di tipo manualistico sulle impugnazioni, dal Sistema delle
impugnazioni penali (parte generale) di G. L e o n e , Napoli 1935, p. 279 (anche in : « Annali dell’Uni­
versità di Camerino », IX , 1935), per il Sistema delle impugnazioni civili (parte generale) di P ro ­
v in c ia l i , Padova, 1943, p. 180 ss., sino alle Impugnazioni civili di G iu d ic e a n d r e a , Milano 1952,
I, p. 166 ss. Eppure, quello che comunemente viene presentato come problema dell’interesse a impu­
gnare non è, in realtà, nulla più che un problema di legittimazione all’impugnazione. Quando si
dice che la parte non ha « interesse » a impugnare in quanto vittoriosa, bensì in quanto soccombente,
si esprime in termini di legittimazione d ’ « interesse » il giudizio che più esattamente si formulerebbe
in termini di legittimazione, col dire che, rispetto a una pronuncia, la legittimazione al gravame spetta
alla parte perdente, non a quella vincitrice. Mi pare che il concetto dell’ « interesse a impugnare »
venga sostanzialmente riassorbito in quello della legittimazione da R e d e n t i , D ir. proc. civ., cit., II,
p. 318 s.
(2) Art. 88 cod. proc. civ. ital. Sempre in diritto italiano si possono considerare norme di rea­
zione contro l ’ abuso dei diritti processuali quella che autorizza il giudice istruttore alla riduzione
delle liste testimoniali (art. 245 cod. proc. civ., non meno che l ’ altra concernente la riduzione del pi­
gnoramento (art. 496).
(3) Una regola particolare è, in diritto italiano, quella che contiene il divieto degli atti d ’emu­
lazione del proprietario (art. 833 cod. civ.): ebbene, la Corte di cassazione ha considerato tale norma
come eccezionale e di stretta interpretazione, rifiutando di estenderla per analogia a diritti diversi dalla
proprietà: cfr. la sent. 13 marzo 1951, in : « Giur. Ital. », 1952, I, 1 , col. 536, con esaurienti richiami.

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BISOGNO D I TUTELA G IU R ID ICA 561

l’ipotesi considerata, il movente, da cui l’attore può essere stato spinto a esercitare
l’azione per un interesse economicamente ristretto, possa cadere facilmente neU’arbitrio.
Non persuadono neppure gli esempi addotti circa le domande « temerarie». Scrive
S ch ò n k e (p. 3 4 ): « Una domanda deve definirsi temeraria quando viene proposta
senza prove; se l’attore, in base a elementi sicuri, .deve esser convinto che il figlio è
suo, la domanda d’accertamento negativo che, nondimeno, egli presenti deve quali­
ficarsi temeraria ». Senza ^dubbio! Ma ciò significa semplicemente che dovrà riget­
tarsi come infondata, non per « fine indegno di tutela », mancanza d’interesse o simili.
Lo stesso deve dirsi per le domande rivolte a prestazioni impossibili o immorali : poiché
non esistono diritti a tal genere di prestazioni, ne segue l’infondatezza delle domande
che sostengono tali inesistenti diritti', non la « mancanza del bisogno' di tutela giuridica ».
In conclusione : in questa allargata formulazione, la dottrina del bisogno-interesse
pretende introdurre una sorta di controllo causale sugli atti processuali : .alla norma
processuale, che riconosce certi effetti a date iniziative di parte in definite situazioni,
sovrappone una sorta di sindacato paternalistico, non della legalità dell’atto, ma della
sua convenienza secondo un metro di giudizio, il quale non può, nell’applicazione, non
risultare arbitrario. E ciò suggella il giudizio avverso, che in queste pagine si è formulato
in merito alla dottrina processuale del bisogno-interesse.
New Orleans, Louisiana, settembre 1952.
Milano, novembre 1952.
ENRICO ALLORIO

D U E C O N T R IBU T I A L D IR IT T O PR O C ESSU A LE C O M PA RATO (*)

I
LA FUNZIONE RISPETTIVA DEL GIUDICE E DELLE PARTI
NELL’ALLEGAZIONE DEI FATTI

1 . - POSIZIONE D E L PROBLEM A

Questo rapporto ha lo scopo di indicare e chiarire le principali differenze esistenti


tra i due gruppi di sistemi processuali derivati rispettivamente dal diritto civile e dalla
common law, per quanto riguarda la funzione del giudice e delle parti nell’allegazione
dei fatti. Nei sistemi che possiamo chiamare di diritto civile non esiste un regolamento
uniforme della materia; differenze ancora più sensibili, dovute alla maggior impor­
tanza in essi attribuita all’allegazione dei fatti, si riscontrano tra i vari sistemi che
rientrano nel quadro della common law: tra il diritto processuale inglese moderno, ad
esempio, e quello di parecchi Stati degli Stati Uniti, che sono rimasti più strettamente
legati ai principi ed agli schemi originari dell’antico processo civile inglese (1). Nono­

(*) Pubblichiamo, del prof. Sereni, i due rapporti comparatistici, a contenuto processualistico, pre­
sentati in redazione francese al IV Congresso dell’lnstitut de droit comparé (Parigi, agosto 1954).
Traduttore è il dott. P. Sella.
(l ) V . per notizie più dettagliate sul processo civile negli Stati U niti: S e r e n i , A. P ., Aspetti del
processo civile negli Stati Uniti, 1954.

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