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Rassegna stampa

del
27 settembre 2023
Indice
Mercoledì 27 Settembre 2023 — La Repubblica (ed. Nazionale)
Kme verso l'addio a Piazza Affari vuole portare Cunova a Wall Street 3

Mercoledì 27 Settembre 2023 — Il Sole 24 Ore


Dalla Russia tre quarti dei metalli e semilavorati impiegati dalle fonderie 4

Mercoledì 27 Settembre 2023 — Il Sole 24 Ore


Bonomi: servono stimoli per gli investimenti, puntare su Industria 5.0 5

Martedì 26 Settembre 2023 — Il Sole 24 Ore


Acea alla Ue: «No ai dazi su import di auto in Uk» 6

Salvo uso personale. È vietato qualunque tipo di redistribuzione con qualsiasi mezzo
Mercoledì 27 Settembre 2023 — Il Sole 24 Ore
Iea: «Per la transizione verde servono 4.500 miliardi l'anno» 7

Associazione Nazionale Industrie Metalli non Ferrosi 2/8


La Repubblica (ed. Nazionale)
Kme verso l'addio a Piazza Affari vuole portare Cunova a Wall Street

Mercoledì 27 Settembre 2023

Kme verso l'addio a Piazza Affari vuole


portare Cunova a Wall Street
- pag: 32 Azienda leader nelle lavorazioni in rameKme verso l'addio a Piazza Affari vuole portare Cunova a Wall Street di
Sara Bennewitz MILANO -- Kme, società specializzata nelle lavorazioni in rame, si appresta a lasciare Piazza Affari.
L'Opa finalizzata al delisting conclusasi lunedì ha raccolto adesioni pari al 76,15% dei titoli in oggetto (117,9 milioni di
ordinarie), un soffio in meno di quelle necessarie perché il gruppo presieduto da Vincenzo Manes potesse arrivare al 90%
del capitale e procedere al ritiro forzoso.
Ora l'offerta sarà riaperta e estesa dal 5 all'11 ottobre alle stesse condizioni (1 euro per le ordinarie, 1,08 per le rnc e 0,60
per i warrant), ma l'esito appare scontato, anche perché in mancanza si procederà comunque alla fusione per

Salvo uso personale. È vietato qualunque tipo di redistribuzione con qualsiasi mezzo
incorporazione della quotata nella holding di controllo.
Il gruppo che è leader in Europa nei laminati in rame, usati per l'auto elettrica e nell'industria dell'energia e
dell'elettronica, è una di quelle belle aziende tricolori di nicchia che in Borsa non ha avuto il successo sperato: troppo
piccola per attrarre i grandi investitori e con nessun concorrente quotato straniero capace da fare da volano a un settore
che è comunque ciclico, e che paga le oscillazioni del prezzo del rame. Mentre per molte aziende l'accesso al mercato dei
capitali è stato uno stimolo di crescita, in questo caso il gruppo di Manes è rimasto un po' dimenticato, di qui la scelta di
ricomprarsi l'azienda e continuare e investire sugli 8 stabilimenti che danno lavoro a 3.300 persone.
Anche ieri la società ha annunciato un accordo con Plenitude, il colosso delle rinnovabili dell'Eni, per portare a Bergamo
un'istallazione in rame antibatterico dal titolo Feeling the energy , per sensibilizzare il pubblico sull'energia e le sue
tante forme. L'opera poi da Bergamo si trasferirà al Dynamo Camp, vicino a Pistoia, dove si offrono programmi di terapia
gratuiti a ragazzi dai 6 a 17 anni affetti da malattie croniche o in terapia, che Manes ha fondato 15 anni fa.
Nel prospetto dell'Opa si legge che una volta perfezionato il delisting, la società nata dalla fusione con la ex capogruppo
Intek procederà alla valorizzazione di quegli asset non industriali che ancora possiede, come Culti Milano e Intek
investimenti, e proseguirà le trattative per «il riacquisto di quote di partecipate oggi in minoranza». Il riferimento
implicito è a Cunova (45% di Kme), la ex Kme Special, dedicata a lavorazioni ad alto valore aggiunto. Nel gennaio 2022
Kme ha infatti ceduto al fondo Paragon il 55% del suo gioiello, a fronte di una piano di investimento ambizioso di
rilancio. Ma adesso il gruppo di Manes vorrebbe riacquistarne il controllo e agevolare l'uscita del fondo di private equity.
In proposito quest'estate, quando l'offerta su Kme era già avviata, una Spac quotata al Nyse - la Sdc Edge - ha bussato
alle porte del management, proponendo di investire su Cunova i 200 milioni di dollari che ha in dotazione per quotare il
gruppo sul mercato Usa. Paragon ha quindi firmato una lettera d'intenti per valorizzare con un cospicuo ritorno il suo
55%, mentre Kme ha colto la palla al balzo per riappropriarsi della maggioranza di Cunova grazie al conferimento delle
proprie attività nell'aerospazio.
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Il Sole 24 Ore
Dalla Russia tre quarti dei metalli e semilavorati impiegati dalle fonderie

Mercoledì 27 Settembre 2023

Dalla Russia tre quarti dei metalli e


semilavorati impiegati dalle fonderie
A quasi due anni dall'invasione in Ucraina, il perfetto isolamento di Mosca, propugnato dalle sanzioni decise a più
riprese da Europa e Usa, resta un miraggio. Soprattutto nel mondo delle materie prime, il partner ex sovietico resta
ancora fondamentale. Lo confermano gli acquisti dalla Russia di ghisa, di alluminio, di ferroleghe, di rame: metalli che
non sono colpiti da sanzioni (o lo sono solo in parte, con limitazioni che riguardano alcuni oligarchi). «La disponibilità di
ghisa dalla Russia rimane importante», confermano gli aggiornamenti di mercato di Assofermet, l'associazione che
rappresenta in Italia i commercianti di materie prime siderurgiche e metallurgiche. Anzi, con la crisi del Mar Nero e la
scomparsa di un fornitore come l'Ucraina, il ruolo di Mosca nell'import di materie prime e semilavorati dell'industria

Salvo uso personale. È vietato qualunque tipo di redistribuzione con qualsiasi mezzo
fusoria è diventato ancora più pesante: circa il 75% degli acquisti delle fonderie - confermano alcuni imprenditori -
provengono dalla Russia, che può offrire un prodotto a un prezzo più basso rispetto ad altri partner storici. Molte altre
filiere continuano a mantenere un legame con Mosca.
Secondo una ricostruzione del Financial Times, Glencore nel mese di luglio ha sdoganato nel porto di Livorno, attraverso
la Turchia, circa 5mila tonnellate di fogli di rame destinati al mercato italiano.
Non si tratta di una violazione delle sanzioni, dal momento che la società fornitrice, Ural Mining and Metallurgical
Company (Ummc) non è sanzionata (lo sono però alcuni dirigenti, dall'anno scorso). La stessa Glencore ha spiegato che
si tratta della «coda» di un contratto perfezionato prima della guerra e che la policy del gruppo, introdotta l'anno scorso,
prevede di non trattare più affari in Russia, Ummc compresa.
Difficile, però, fare a meno del partner russo, come ha sottolineato ieri, ancora all'Ft, Oleg Deripaska, oligarca
proprietario del colosso dell'alluminio Rusal, intonando il de profundis per le sanzioni europee. La Russia, conferma
Orazio Zoccolan, direttore generale di Assomet (associazione delle industrie dei metalli non ferrosi), «resta un
interlocutore importante se si considerano gli operatori non inseriti nelle black list».
Il tema riguarda però l'opportunità di una dipendenza delle filiere occidentali dalle forniture di Mosca.
E anche per questa ragione alcuni «hanno scelto volontariamente, per precauzione, di ridurre gli acquisti» prosegue
Zoccolan. Non tanto nel rame, dove «il commercio è rimasto sugli stessi livelli del passato», quanto nell'alluminio: «oggi
non è sanzionato, anche se a Bruxelles ne sta discutendo - spiega - L'import dalla Russia si è dimezzato dal 2019 a oggi,
con una prima forte contrazione già nel 2020, prima della guerra. Nel 2022 l'import è sceso sotto le 100mila tonnellate a
fronte di un utilizzato di 2,2 milioni». Resta però un'area più grigia, legata al problema delle triangolazioni via Paesi Terzi,
con la Turchia - che non ha aderito al piano di sanzioni del mondo occidentale - indicata da molti come punto di sosta e
«magazzino» per il traffico di zinco, rame, e in misura minore alluminio, dalla Russia.
In tutto questo, considerando anche le concomitanti misure protezionistiche dell'Ue, Ankara rischia di fare da valvola di
sfogo; lo conferma la recente richiesta, inviata al ministero turco del Commercio da parte dei principali produttori di
coils, di avviare un'indagine sulle importazioni provenienti da Cina, Russia e India, in forte crescita da inizio anno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Matteo Meneghello

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Il Sole 24 Ore
Bonomi: servono stimoli per gli investimenti, puntare su Industria 5.0

Mercoledì 27 Settembre 2023

Bonomi: servono stimoli per gli investimenti,


puntare su Industria 5.0
Fa un passo indietro: «Se dopo il Covid abbiamo stupito il mondo è perché dopo le crisi del 2008, 2010, 2011 le imprese
hanno fatto i compiti a casa, hanno investito, si sono patrimonializzate, sono andate sui mercati internazionali. Ed
hanno incrociato una misura di politica industriale come Industria 4.0. Ci siamo fatti trovare pronti alla ripartenza». Una
premessa per guardare alla prossima legge di bilancio e ancora oltre: «oggi a sfida è mettere l'uomo al centro, è
l'Industria 5.0. Dobbiamo investire per agganciare le transizioni. Tenendo ben presente che non è una richiesta
corporativa: l'industria non è il problema, è la soluzione perché da lì arriva quell'innovazione e quella ricerca necessaria
per realizzare nuove tecnologie. Senza industria non c'è l'Italia e non c'è l'Europa».

Salvo uso personale. È vietato qualunque tipo di redistribuzione con qualsiasi mezzo
Carlo Bonomi ieri era a Cosenza, all'assemblea degli industriali locali: «sono vicino agli imprenditori del Mezzogiorno
perché è un'area che soffre di più, fare l'imprenditore è più difficile, avete grande capacità e vi ammiro». Intervistato sul
palco, inevitabile la domanda sulla prossima manovra economica: «il governo non ha risorse infinite, anzi sono finite. E
preparare una legge di bilancio quando ci sono partite importanti aperte diventa complicato. Penso al patto di stabilità e
crescita, che dovrebbe chiamarsi di crescita e stabilità, penso alla revisione del Pnrr e alle transizioni che vanno
affrontate», è la riflessione del presidente di Confindustria. Che indica tre priorità: il reddito delle famiglie, con il taglio al
cuneo fiscale, una spinta agli investimenti, le riforme. «In Italia ci sono più tasse sul lavoro che sulle rendite finanziarie.
Nonostante gli interventi fatti in base agli ultimi dati dell'Ocse siamo uno dei paesi con il cuneo fiscale più alto». Bonomi
ha rilanciato un intervento da 16 miliardi di euro per i redditi sotto i 35mila euro «quelli che hanno sofferto di più per
l'inflazione, l'aumento dell'energia e del costo delle materie prime», due terzi a favore dei lavoratori, l'opposto di come è
oggi: si tratterebbe di mettere in tasca alle persone, ha spiegato Bonomi, 1200 euro all'anno in modo strutturale. Occorre
inoltre rilanciare gli investimenti: «non chiediamo sussidi ma stimoli e di aiutarci ad investire in un momento
complicato, dove la competizione a livello mondiale è fortissima».
Stati Uniti e Cina hanno lanciato all'Europa una sfida sulla competitività: la Cina intende diventare la prima per
tecnologia al mondo, gli Usa vogliono il controllo delle loro filiere strategiche, entrambi investono trilioni.
«La Ue si è posta l'obiettivo di essere campione della sostenibilità e dice alle imprese arrangiatevi. Così non funziona e
soprattutto si spezza il mercato unico con la scelta delle deroghe agli aiuti di Stato, si penalizza chi ha meno capacità
fiscale», ha detto il presidente di Confindustria citando i dati 2022: il 49,3% è andato alla Germania, il 29,7 alla Francia, il
4,7 all'Italia. Servono fondi comuni di investimento, ha rilanciato ieri Bonomi. Anche perché la sfida delle transizioni
richiede risorse ingenti: 3.500 miliardi di euro a livello Ue, 650 in Italia, quando il Pnrr a questa voce ne stanzia solo
65-70. Attorno al Pnrr ruota anche il terzo punto prioritario della manovra, le riforme.
«Le aspettiamo da decenni, si diceva che non venivano fatte perché mancavano le risorse. Ora ci sono e vanno realizzate
per rispondere alle grandi disuguaglianze del paese, di genere, territorio, generazionali e di competenza».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Nicoletta Picchio

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Il Sole 24 Ore
Acea alla Ue: «No ai dazi su import di auto in Uk»

Martedì 26 Settembre 2023

Acea alla Ue: «No ai dazi su import di auto in


Uk»
Oltre alla questione delle auto elettriche cinesi, si pone il tema dell'esportazione delle auto a batterie dall'Europa verso
il Regno Unito. Secondo quanto stabilito durante le trattative post Brexit è previsto che, a partire dal primo gennaio
2024, tutte le auto elettriche che oltrepasseranno la Manica, in entrambe le direzioni, dovranno avere il 45% dei propri
componenti provenienti dalla Ue o dal Regno Unito, soglia che sale per quanto riguarda le batterie.
Pena il pagamento di dazi doganali pari al 10%. Questo potrebbe costare ai produttori di veicoli dell'Unione 4,3 miliardi
di euro nei prossimi tre anni, riducendo potenzialmente la produzione di veicoli elettrici di circa 480.000 unità.
L'Acea ha dunque lanciato l'allarme e ha chiesto alla Commissione europea un intervento urgente. Necessario tanto più

Salvo uso personale. È vietato qualunque tipo di redistribuzione con qualsiasi mezzo
ora che le case automobilistiche stanno cercando di conquistare quote di mercato. Evidente che un rialzo dei prezzi dei
veicoli renderebbe ancora più complicata questa lotta per ritagliarsi uno spazio in questa fase cruciale di transizione.
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Il Sole 24 Ore
Iea: «Per la transizione verde servono 4.500 miliardi l'anno»

Mercoledì 27 Settembre 2023

Iea: «Per la transizione verde servono 4.500


miliardi l'anno»
Devono balzare, fino ad arrivare a 4.500 miliardi di dollari l'anno dal 2030, gli investimenti nella transizione energetica.
Uno sforzo enorme, ma necessario per frenare il global warming.
E il consumo di petrolio, carbone e metano deve scendere di un quarto. Lo afferma l'Agenzia internazionale per l'energia
(Iea), che ieri ha aggiornato la «Net Zero Roadmap», le misure raccomandate per azzerare le emissioni di CO2 entro il
2050 e contenere a 1,5 gradi l'aumento delle temperature globali a fine secolo.
È la soglia più ambiziosa dell'Accordo di Parigi del 2015 (che raccomanda di stare ben sotto 2 gradi e vicino a 1,5), ma
secondo molti scienziati, sembra ormai fuori portata: la temperatura media globale è già salita di almeno 1,2 gradi

Salvo uso personale. È vietato qualunque tipo di redistribuzione con qualsiasi mezzo
rispetto ai livelli pre-industriali e la World Meteorological Organization considera probabili sforamenti nei prossimi
cinque anni, sebbene temporanei.
Al contrario, e nonostante gli effetti del climate change siano già visibili, crescono anche in Europa le resistenze alle
difficili trasformazioni necessarie, mentre l'inviato della Cina per il clima ha recentemente dichiarato che l'abbandono
completo dei combustibili fossili è «irrealistico». La Iea prova a dipingere un quadro ottimistico e afferma che la crescita
record delle rinnovabili può ancora salvare il pianeta dai peggiori effetti del global warming, ma serviranno molte più
risorse. Il rapporto stima che gli investimenti nella transizione verde raggiungeranno quota 1.800 miliardi di dollari nel
2023, molto lontani dai 4.500 miliardi l'anno raccomandati dal prossimo decennio. In meno di sette anni, dovrà essere
triplicata la capacità globale di produzione di energia pulita, che dovrà accompagnare il calo consistente (oltre il 25%
entro il 2030 e l'80% entro il 2050) del consumo di fonti fossili, con lo stop a investimenti su nuovi progetti.
Tuttavia, la Iea ritiene necessario continuare a investire in alcuni asset petroliferi e di gas esistenti e in progetti già
approvati, per evitare impennate dei prezzi o carenze dell'offerta.
Sarà anche necessario raddoppiare l'efficienza energetica e spingere con ancora maggiore decisione su pompe di calore
e veicoli elettrici. La Roadmap della Iea chiede inoltre di ridurre del 75% le emissioni di metano generate dal settore
energetico entro il 2030, con un costo stimato di 75 miliardi di dollari, pari ad appena il 2% del reddito netto incassato
dall'industria oil&gas nel 2022. Una delle misure «meno costose» disponibili, per frenare il global warming in tempi
brevi.
La Iea ribadisce l'importanza di una transizione equa, che tenga conto delle situazioni delle diverse nazioni.
Per questo, raccomanda ai Paesi ricchi e alla Cina di raggiungere lo zero netto prima del previsto, per dare più tempo alle
economie emergenti e in via di sviluppo. Un contributo significativo è atteso dalla cattura e stoccaggio dell'anidride
carbonica (Ccus), la tecnologia che dovrebbe permettere di ripulire le emissioni delle industrie inquinanti. Una
tecnologia molto sponsorizzata dai Paesi e dai settori industriali più dipendenti dalle fonti fossili. Ma su questo fronte c'è
un forte ritardo: «Finora, quella della Ccus è in gran parte una storia di risultati insufficienti e di aspettative disattese»,
ammette la Iea, che aggiunge: «L'attuale livello di cattura annuale di CO2, pari a 45 Mt, rappresenta solo lo 0,1% del
totale delle emissioni del settore energetico». La mancanza di progressi «ha portato a ridimensionare il ruolo attribuibile
alla Ccus negli scenari di taglio delle emissioni». La cattura&stoccaggio sembrava destinata a una grande espansione
dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, quando sono arrivati oltre 8,5 miliardi di dollari di stanziamenti pubblici.

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Il Sole 24 Ore
Iea: «Per la transizione verde servono 4.500 miliardi l'anno»

Alla fine, però, «meno del 30% di quei fondi è stato speso» e molti progetti sono stati cancellati, si legge nel rapporto.
«Rimuovere la CO2 dall'atmosfera è molto costoso, dobbiamo fare tutto il possibile per non immetterla», ha affermato il
direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol.
Infine, l'appello a superare le tensioni geopolitiche: contro il cambiamento climatico, serve cooperazione
internazionale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Gianluca Di Donfrancesco

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