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RETORICA EPISTOLARE IN ROMANI?

BILANCI E PROSPETTIVE
Antonio PITTA (Pontificia Università Lateranense)

“His discourse is much less contingent than has been said …


he is enlarging the questions
by stating the fundamental and lasting relationship
without which the questions (and the answers)
would lose their pertinence
(J.-N. Aletti1)”

Se la Lettera ai Galati è in fase di stallo, quella ai Romani è in un cantiere sempre aperto. L’imma-
gine rende bene l’idea del dibattito in corso sulla dimensione epistolare e retorica di Romani. Vista
per secoli come “il Vangelo più puro” (M. Lutero, Prefazione alla Bibbia) o il christianae religionis compen-
dium (F. Melantone), l’ormai noto The Romans Debate ha cercato di dimostrare la natura situazionale e
contingente di Romani2. Alcuni dei partecipanti al XXIV Colloqium Oecumenicum Paulinum (settembre
12-17, 2016), dedicato alla sezione di Rm 1,1–5,11 (si noti la delimitazione!), hanno proposto d’into-
nare il De profundis al The Romans Debate per un deciso ritorno alla prospettiva classica. Tentativi di
mediazione sono proposti da chi non considera più Romani come “una trattazione atemporale”, ma
neanche una lettera così contingente come sembra ad altri3.
Quali contributi ha recato la retorica epistolare per l’interpretazione di Romani? E quali pro-
spettive restano da approfondire su quello che è, comunque, considerato il vertice della teologia
paolina4? Circa i bilanci, valuteremo lo spessore dell’oralità, le diverse proposte di dispositio della
lettera e il genere più rispondente. Per le prospettive ci soffermeremo sulle relazioni tra situazione
epistolare e strategia retorica, sui sistemi e le figure argomentative più rilevanti e sul contributo
della retorica epistolare ai contenuti della lettera.
D’obbligo è una premessa sulla sua tenuta testuale: riteniamo che i saluti di Rm 16,3-16.21-23 e
la paraclesi finale di Rm 16,17-20 appartengano alla redazione originaria di Romani e non ad altre
lettere, come Efesini, mentre resta discussa la natura della dossologia finale di Rm 16,25-27: se pao-
lina o post-paolina5. Comunque, anche se fosse di mano successiva, la pericope sintetizza, in modo
appropriato, i contenuti della lettera.

1. Quale oralità epistolare?


Paradossale è la situazione epistolare di Romani: è la lettera di cui conosciamo il maggior nu-
mero di persone salutate per nome (cf. Rm 16,3-15) e, nello stesso tempo, quella dove sembra che
la situazione dei destinatari non influenzi più di tanto sui contenuti. Poiché comunque si tratta di
una lettera e non di un discorso, andrebbero precisati alcuni dati epistolari spesso disattesi.

1
J.-N. Aletti, “Paul’s Exhortation in Gal 5:16-25. Believers and Their Justice”, in Justification by Faith in the Letters of
Saint Paul. Keys to Interpretation, AnBib 5, Gregorian & Biblical Press, Rome 2015, 102-103.
2
K.P. Donfried (ed.), The Romans Debate. Revised and Expanded Edition, T&T Clark, Edinburgh 19912 (la prima edi-
zione è del 1977). L’influenza del The Romans Debate sull’interpretazione della lettera è tutt’ora in evoluzione. Fra i
contributi più recenti cf. C.W. Stenschke, “ ‘Your Obedience is Known to All’ (Rom 16,19): Paul’s Reference to Other
Christians and their Function in Paul’s Letter to the Romans”, in NT 57 (2015) 251-274
3
R. Penna, Lettera ai Romani. Introduzione, versione e commento, SOC 6, EDB, Bologna 2010, LV.
4
Per esempio J.D.G. Dunn, La teologia dell’apostolo Paolo, Paideia, Brescia 1999 (or. ingl.), 50-52 organizza la sua teolo-
gia paolina seguendo la scansione contenutistica di Romani. Senza negarne l’importanza, comunque in Romani man-
cano tematiche rilevanti della teologia paolina, come l’eucaristia; altre, come quella del corpo applicata alla chiesa,
sono appena accennate, mentre assumono rilievo in altre lettere come 1Corinzi.
5
Sulla questione cf. R. Penna, “Note sull’ipotesi efesina di Rm 16”, in L. Padovese (ed.), VIII Simposio di Efeso su S.
Giovanni Apostolo, Ist. Francescano di Spiritualià-Antonianum, Roma 2001, 109-114 che con paralleli tratti dall’epistolo-
grafia antica si pronuncia contro l’origine efesina e a favore di quella romana di Rm 16,1-27.
2 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

Diversamente da gran parte delle lettere paoline, il prescritto di Rm 1,1-7 non menziona i com-
mittenti6. Soltanto nel poscritto sono riportati i saluti di Timoteo, d’alcuni congiunti di Paolo, Gaio
che lo ospita con tutta la sua chiesa domestica, Erasto e Quarto (cf. Rm 16,21-23). Molto probabil-
mente tale silenzio si deve all’autorevolezza che Paolo intende conferire alla lettera che sta per
inviare7: si mette in gioco in prima persona per la causa dell’evangelo. Come tutte le sue lettere,
Romani è dettata da Paolo in assemblea per essere scritta. Segretario epistolare è Terzio che invia i
propri saluti per i destinatari (cf. Rm 16,22): la notizia è preziosa poiché è l’unico segretario delle
lettere paoline citato per nome8.
Un ruolo altrettanto importante per la mediazione di Romani è svolto da Febe, diaconessa “della
chiesa che è in Cencre” (Rm 16,1) e citata all’inizio dei saluti finali (cf. Rm 16,1-2). Se è raccomandata
per un’accoglienza favorevole, vuol dire che assume il ruolo di latrice e forse di lettrice della mis-
siva, anche se non è possibile di specificarlo9.
Secondo il prescritto (cf. Rm 1,1-7), la lettera è inviata “a tutti coloro che sono in Roma amati di
Dio, chiamati santi” (Rm 1,7). In genere nell’adscriptio Paolo menziona la chiesa o le chiese destina-
tarie delle lettere10. Nel nostro caso, come per Fil 1,1, preferisce rivolgersi a tutti i santi11. In realtà
il prescritto non menziona “la chiesa” che è in Roma poiché diverse sono le chiese domestiche sorte
nell’Urbe. I saluti finali di Rm 16,3-15 citano almeno cinque chiese domestiche12. Mentre ignoriamo
le modalità con cui Romani fu letta in assemblea, possiamo dedurre che fu ascoltata in una o più
delle domus summenzionate13.
L’elenco delle persone salutate in Rm 16,3-15 è imprescindibile dal versante storico poiché ri-
porta i nomi di alcuni credenti di origine giudaica, come Prisca e Aquila (cf. At 18,2), Andronico,
Giunia (cf. Rm 16,7) ed Erodione (cf. Rm 16,7-11), e altri di origine gentile, anche se per diversi casi
è difficile stabilire la loro origine etnico-religiosa soltanto in base all’onomastica. I contributi di P.
Lampe14 e R. Penna15 hanno opportunamente prospettato l’origine giudaica delle prime comunità
cristiane di Roma. Anche se si trattasse in gran parte di gentili16, questi hanno aderito al movimento
cristiano mediante il giudaismo della diaspora romana e non per altra via, come invece per le co-
munità della Galazia.

6
Per un confronto sinottici sui committenti epistolari cf. A. Pitta (F. Filannino – A. Landi coll.), “Committenti”, in
Sinossi paolina bilingue, San Paolo, Cinisello Balsamo, 14-15.
7
Il dato è confermato dall’inizio del poscritto, dove precisa che, tra l’altro, ha scritto la lettera per ricordare ai
destinatari che è ministro di Cristo Gesù per i gentili (cf. Rm 15,15-16). In tale prospettiva cf. tra gli altri S. Butticaz,
“Auctorialité et autorité dans les lettres de Paul”, in NT 58 (2016) 334.
8
Sui diversi livelli di collaborazione del segretario nella produzione epistolare antica cf. E. Richards, The Secretary
in the Letters of Paul, WUNT 2.42, Mohr (Siebeck), Tübingen 1991; Id., Paul and First-Century Letter Writing. Secretaries, Com-
position and Collection, Inter-Varsity Press, Downers Grove (IL) 2004.
9
Anche se non rientra nella stesura originaria della lettera, la tradizione che considera Febe latrice della lettera è
antica ed è riportata da alcuni testimoni (cf. i codici 1881, 424, 337). Mentre l’edizione di N-A27 riporta ancora la sub-
scriptio che menziona Febe, la nuova edizione di N-A28 l’esclude. Anche se tale subscriptio non fa parte della lettera,
attesta una tradizione antica sulla sua trasmissione con la collaborazione di Febe. A sua volta, A. Chapple, “Getting
Romans to the Right Romans: Phoebe and the Delivery of Paul’s Letter”, in TinBul 62 (2011) 193-214 ipotizza che Romani
fu portata e letta prima nella comunità domestica di Prisca e Aquila per poi essere copiata e trasmessa alle altre comu-
nità dell’Urbe. Si tratta di una mera congettura!
10
Cf. 1Ts 1,1; 2Ts 1,2; 1Cor 1,2; 2Cor 1,1; Gal 1,2; Fm 1,2.
11
Un’analoga adscriptio epistolare si verifica per Col 1,2; e Ef 1,1.
12
La chiesa di Prisca e Aquila (cf. Rm 16,3-5a), quelli della casa di Aristòbulo (cf. Rm 16,10), quelli della casa di Narciso
(cf. Rm 16,11), i “fratelli” (e le sorelle) che sono con Asìncrito, Flegonte, Erme, Patroba ed Erma (cf. Rm 16,14) e i santi
che sono con Filòlogo, Giulia, Nereo con sua sorella e Olimpas (cf. Rm 16,15).
13
Per approfondimenti cf. R. Penna, “La casa/famiglia sullo sfondo della Lettera ai Romani”, in EstB 65 (2007) 159-
175.
14
P. Lampe, “The Roman Christians of Roman 16”, in Donfried, The Romans Debate, 216-242.
15
R. Penna, “La chiesa di Roma come test del rapporto tra giudaismo e cristianesimo alla metà del primo secolo”, in
Paolo e la Chiesa di Roma, bcr 67, Paideia, Brescia 2009, 53-70; Id., “La chiesa di Roma”, in Le prime comunità cristiane.
Persone, tempi, luoghi, forme, credenze, Carocci, Roma 2011, 82-101.
16
Si veda l’interpellanza di Rm 11,13 rivolta direttamente ai gentili della lettera: ὑμῖν δὲ λέγω τοῖς ἔθνεσιν.
A. Pitta, Retorica epistolare in Romani? – 3

Il contesto assembleare di Romani ci conduce verso la sua oralità più peculiare che è la diatriba.
La lettera è attraversata da questo particolare stile comunicativo che, a ben vedere, non è mai men-
zionato nei trattati di retorica e di epistolografia, e sembra trarre le sue origini dalla pedagogia
socratica17. Caratteri peculiari della diatriba sono la vivacità del dialogo, la presenza di un interlo-
cutore fittizio, in genere alla II persona singolare, e la formulazione di domande e risposte brevi,
come μὴ γένοιτο18. Nonostante siano state avanzate diverse riserve sulla restrizione della diatriba
alla filosofia cinico-stoica e all’ambiente scolastico in epoca imperiale19, si continua a sostenere che
in origine Romani era l’insegnamento di Paolo in ambito scolastico e di conseguenza la lettera “non
era una reale lettera, ma un elevato insegnamento retorico che, in seguito, fu destinato come let-
tera”20. In tal modo s’ignora che la diatriba di Romani fu dettata in contesto ecclesiale e non in un
aula magna, pur conservando la sua dimensione didattica, e che diatriba ed epistolografia sono con-
giunte in modo atipico.
Sull’uso della diatriba in Romani emerge una questione poco affrontata fra gli studiosi: perché è
così diffusa in Romani? Di solito si sostiene che si deve al fatto che Paolo non conosce i destinatari
della lettera. La motivazione ci sembra debole poiché, pur se in misura minore, la diatriba ricorre
anche in 1Corinzi (cf. 1Cor 6,15-16) e Galati (cf. Gal 2,17-18; 3,21), vale a dire per comunità fondate
da Paolo in persona. In realtà la diatriba assume la fondamentale funzione di produrre il “distan-
ziamento” dalle situazioni contingenti per affrontarle a partire dalle cause più elevate e che con-
tano più delle stesse contingenze21.

2. La disposizione retorico epistolare


Con tutta la sua originalità, quanto ad ampiezza e contenuti dall’incomparabile profondità con-
tenutistica, Romani è una lettera come tutte le lettere paoline e non un discorso avvolto in una
lettera. L’affermazione può sembrare scontata, ma tale non è se si confrontano alcune proposte di
disposizione che tendono ad assorbire la tenuta epistolare in quella retorica. Gli esempi di due com-
mentari recenti a Romani rendono bene l’idea. R. Jewett definisce la pericope di Rm 1,1-7 non come
prescritto, ma come exordium22, che però è di tutt’altra natura. A sua volta R.N. Longenecker intitola
la stessa pericope come salutation23, quando si tratta di un prescritto dove, tra l’altro, la salutatio (cf.
Rm 1,7b) occupa il posto marginale rispetto all’ampia superscriptio (cf. Rm 1,1-6).
Forse tali incongruenze si devono alla commistione indebita tra il canovaccio epistolare e reto-
rico, per cui anche su Romani sono state avanzate diverse ipotesi di disposizione. La prima proposta
è di W. Wuellner, così stilizzata: exordium (Rm 1,1-15), transitus (Rm 1,16-17), confirmatio (1,18–15,13),
peroratio (15,14–16,23)24. A parte il totale silenzio sul canovaccio epistolare, definire i personalia epi-
stolari, che riguardano il mittente, e i saluti finali di Rm 15,14–16,23, come peroratio vuol dire igno-
rare le peculiarità epistolari di Romani.

17
Lo stile della diatriba si riscontra anche in altre lettere paoline come in 1Cor 6,15; Gal 2,17; 3,21; ma è peculiare di
Romani ed è utilizzato sia nella parte kerygmatica di Rm 1,16–11,36 (cf. Rm 2,17-29; 3,1-7.27-31; 6,1-3.15-16; 7,7.13; 9,14;
11,1.13), sia in quella paracletica o esortativa di Rm 12,1–15,13 (cf. Rm 14,4), anche se in misura molto minore.
18
A.J. Malherbe, “Mὴ γένοιτο in the Diatribe and Paul!, in HTR 73 (1980) 231-240; S.K. Stowers, The Diatribe and Paul’s
Letter to the Romans, SBL DS 57, Scholars Press, Chico (CA) 1981; T. Schmeller, Paulus und die «Diatribe», NTAbh 19, Aschen-
dorf, Münster 1987; F. Siegert, Argumentation bei Paulus: gezeigt an Röm 9–11, WUNT 34, Mohr, Tübingen 1985; C. Song,
Reading Romans as a Diatribe, SBL 59, Peter Lang, New York 2004.
19
A. Pitta, Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati, AnBib 131, Roma 1992, 70-77.
20
Song, Reading Romans as a Diatribe, 121-122.
21
Torneremo sulla strategia del distanziamento su cui insiste in modo particolare J.-N. Aletti, “Paul’s Exhortation
in Gal 5:16-25. Believers and Their Justice”, in Justification by Faith, 101-103.
22
R. Jewett, Romans. A Commentary, Fortress Press, Minneapolis 2007, 95.
23
R.N. Longenecker, The Epistle to the Romans. A Commentary on the Greek Text, Eerdmans, Grand Rapids 2016, 45.
24
W. Wuellner, “Paul’s Rhetoric of Argumentation in Romans: An Alternative to the Donfried-Karris Debate over
Romans”, in CBQ 38 (1976) 330-351. Lo stesso contributo è stato pubblicato successivamente in Donfried, The Romans
Debate, 128-136.
3
4 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

Pochi sono stati convinti dalla proposta di Wuellner e si è cercato di migliorare la disposizione
retorica della lettera. Articolazioni più complesse sono state proposte da R. Jewett25, G.A. Kennedy26
e B. Witherington III27. Tentativi di conciliazione tra il canovaccio epistolare e retorico sono stati
avanzati da D.E. Aune, in occasione della seconda edizione del The Romans Debate nel 199128. L’autore
distingue il prescritto, che delimita in Rm 1,1-16, dal poscritto epistolare (cf. Rm 15,14–16,27) e
dalla parenesi (cf. Rm 12,1–15,13). La parte retorica vera e propria sarebbe costituita dalla sezione
protrettica di Rm 1,16–4,25 e da quella dimostrativa di Rm 5,1–8,39 a cui è aggiunto l’excursus di Rm
9,1–11,36.29
Prima di passare alla disposizione, indicativa è la proposta di M.D. Given che, mediante alcuni
collegamenti contenutistici tra la sezione kerygmatica di Rm 1,1–11,36 e parenetica di Rm 12,1–
15,13, ritiene l’ultima sezione come peroratio di Romani30. In realtà la sezione paracletica di Rm 12,1–
15,13, come quella di Gal 5,13–6,10, trova la sua origine nell’epistolografia antica. D’altronde se-
condo i trattati di retorica, requisito essenziale d’una peroratio è ricapitolare quanto s’è dimostrato
in precedenza e suscitare il pathos nei destinatari: due connotati che latitano quanto meno per la
sezione di Rm 12,1–15,6.
Sulle disposizioni delle diverse proposte avanzate, rileviamo anzitutto le parti propriamente
epistolari: il prescritto (cf. Rm 1,1-7), i ringraziamenti (cf. Rm 1,8-15) e il poscritto (cf. Rm 15,14–
16,23) che culmina con la dossologia (cf. Rm 16,25-27). Fra queste parti limitrofe s’estende il corpus
epistolare di Rm 1,18–15,13: il più ampio delle lettere paoline. A sua volta il corpus epistolare si
articola in sezione kerygmatica (cf. Rm 1,18–11,36) e paracletica (cf. Rm 12,1–15,13). A fungere da
tesi generale della lettera è l’asserzione di Rm 1,16-17 con cui Paolo introduce l’evangelo di cui non
si vergogna e suffraga con la citazione diretta di Ab 2,4.
Torneremo su Rm 1,16-17; intanto rileviamo che alcune delle sezioni menzionate sono dibattute,
prima fra tutte quella di Rm 5,1-21. Alcuni studiosi relazionano il capitolo a quanto precede (cf. Rm
3,21–5,21)31, altri a quanto segue (cf. Rm 5,1–8,39)32, altri distinguono la pericope di Rm 5,1-11, che
rapportano alla sezione precedente33, da quella di Rm 5,12-21 che collegano alla seguente34, e altri
ancora vedono Rm 5,1-21 come un binario di scambio tra una sezione e l’altra, secondo la plastica

25
R. Jewett, “Following the Argumentation of Romans”, in Donfried (ed.), The Romans Debate, 265-277. L’a. propone
la seguente disposizione di Romani: exordium (1,1-12); narratio (1,13-15), propositio (1,16-17), probatio (1,18–15,13), a sua
volta articolata in confirmatio (1,18–4,25), exornatio (5,1–8,39), comparatio (9,1–11,36), exhortatio (12,1–15,13), e infine la
peroratio (15,14–16,27). La stessa disposizione è seguita, con poche variazioni, nel commentario di Jewett del 2007 sum-
menzionato.
26
G.A. Kennedy, New Testament Interpretation through Rhetorical Criticism, University of North Carolina, Chapel Hill -
London 1984, 153-154 con la seguente dispositio: proemio (1,8-15), propositio (1,16-17), parte dottrinale con refutatio
(1,18–11,36), kephalaia pastorali (12,1–15,13), epilogo (15,14-33), poscritto (16,1-24).
27
B. Witherington III, Paul’s Letter to the Romans: A Socio-Rhetorical Commentary, Eerdmans, Grand Rapids 2004. L’a.
dispone Romani nel seguente modo: “expanded epistolary opening” (1,1-7a), “epistolary greeting” (1,7b), exordium
(1,8-10), narratio (1,11-15), propositio (1,16-17), probatio (1,18–8,39), refutatio (9,1–15,13), peroratio (15,14-21), “epistolary
closing” (15,22–16,27).
28
D.E. Aune, “Romans as a Logos protreptikos”, in Donfried (ed.), The Romans Debate, 278-296.
29
Longenecker, Romans, 14, condivide la proposta di Aune.
30
M.D. Given, “Parenesis and Peroration. The Rhetorical Function of Romans 12:1–15:13”, in S.E. Porter - B.R. Dyer,
Paul and Ancient Rhetoric. Theory and Practice in the Hellenistic Context, University Press, Cambridge 2016, 206-227.
31
U. Wilckens, Der Brief an die Römer (Röm 1–5), EKK, Benziger – Neuckirchener Verlag, Neukirchen - Vluyn 19872, I,
131; M.Th. Samuel Pérez Millos, Commentario exegético al texto Grieco del Nuevo Testamento Romanos, CLIE ed., Barcelona
2011, 32-33; M. Theobald, Der Römerbrief, Wissenshaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2000, 48-49.
32
E. Käsemann, Commentary on Romans, Eerdmans, Grand Rapids 1980 (orig. ted. 19804) A. Pitta, Lettera ai Romani.
Nuova versione, introduzione e commento, LB NT 6, Paoline, Roma 20093, 215-217; A.J. Hultgren, Paul’s Letter to the
Romans, Eerdmans, Grand Rapids–Cambridge 2011, 24-25. Sugli sviluppi argomentativi di Rm 5–8 cf. J.-N. Aletti, “The
Effects of Justification Once Again. Romans 5–8 and Philippians 3”, in Justification by Faith, 171-188.
33
J.D.G. Dunn, Romans, WBC 38A-B, Zondervan, Dallas 1988, I, 242-244; C.H. Talbert, Romans, Macon (GE) 2002, 129-
130.
34
J.H. Lee, Paul’s Gospel in Romans. A Discourse Analysis of Rom 1:16–8,39, Leiden - Boston 2010, 440-441; U. Schnelle,
“Die Gegenwart des Heils im Lichte seiner Zukunft – Röm 5,1-11 als Grundsatz – und Transsferpassage”, in occasione
dell’ultimo Colloquium Oecumenicum Paulinum summenzionato e di prossima pubblicazione.
A. Pitta, Retorica epistolare in Romani? – 5

metafora scelta da R. Penna35. Pur preferendo la sezione di Rm 5,1–8,39, che è a tutt’oggi la più
seguita dai commentatori, ci sono ragioni valide per sostenere anche le altre ipotesi. A. Vanhoye
che di semiotica strutturale se ne intendeva, raccomandava sempre di rispettare quelle diverse
dalla propria. Fra le motivazioni che per noi depongono a favore della sezione Rm 5,1–8,39 segna-
liamo quelle più consistenti. La pneumatologia attraversa la sezione di Rm 5–8 mentre compare
soltanto una volta in quella precedente: in Rm 2,29. Per inverso, scarso è ricorso alle citazioni di-
rette o esplicite della Scrittura in Rm 5–8: soltanto due (Rm 7,7b; 8,36)! Persino nel confronto o
sygkrisis tra Adamo e Cristo (cf. Rm 5,12-21) non c’è una citazione diretta tratta dal Libro della Ge-
nesi, ma vi si riscontrano soltanto alcune allusioni36.
Quanto ad ampiezza in Romani è originale sia la sezione kerygmatica di Rm 1,18–11,36, sia quella
paracletica di Rm 12,1–15,13 che s’estende per ben quattro capitoli. La parte tipica di una paraclesi
epistolare, caratterizzata da esortazioni diversificate e brevi, si trova nella prima parte della sezione
(cf. Rm 12,1–13,14), mentre la seconda (cf. Rm 14,1–15,13) è unitaria dal versante formale e contenu-
tistico, poiché è incentrata sull’accoglienza reciproca tra i forti e i deboli nelle comunità romane.
Comunque, ancora una volta, come per Galati, ci troviamo di fronte a una disposizione retorico
epistolare che non è incasellabile in alcuno dei trattati di retorica antica e che declina, in modo
originale, il canovaccio epistolare con istanze retoriche proprie, dove questa volta a farla da pa-
drone è finalmente l’universale giustizia di Dio per la salvezza di chiunque crede, introdotta in Rm
1,16-17.

3. Quale genere retorico epistolare?


Come per tutte le lettere paoline, a Romani sono stati attributi diversi generi retorici ed epistolari:
lettera epidittica o dimostrativa37, deliberativa38, “logos protrettico” o esortativo39, lettera protrettica
e apologetica, nello stesso tempo40. Non manca chi la definisce come genere misto, in cui confluiscono
i tria genera causarum41 e chi invece, come M. Wolter42, opta per il typos philikos o lettera di amicizia43.
A sua volta, poiché la diatriba attraversa in pratica tutta la lettera, T. Tobin propone di definirla come
lettera diatribica44; e J.A. Fitzmyer pensa a una lettera-saggio45. Infine R. Jewett la considera epidittica
dal versante retorico e diplomatica o ambasciatoria da quello epistolare46.
Dalla sintesi del dibattito in atto si comprende quanto sia difficile ingabbiare Romani in un ge-
nere contemplato nei trattati di retorica e nei tipi epistolari. Di fatto alcune sezioni sono più vicine
al genere forense, di specie categorica o accusatoria, come quella di Rm 1,18–3,20, mentre altre
parti sembrano più orientate verso il genere epidittico, come Rm 5,1–8,39. Altre sezioni, come
l’esortazione rivolta ai forti e ai deboli tendono verso il genere deliberativo. Per questo neanche

35
R. Penna, Lettera ai Romani, LXXIII e nel corso del commentario: “Rm 5 è come una piattaforma ferroviaria, che si
può far ruotare per agganciare indifferentemente il vagone da essa sorretto a un treno o a un altro” (p. 337). Poiché
giocoforza si è costretti a scegliere, Penna opta per la delimitazione di Rm 3,21–5,21.
36
Cf. A. Pitta, “Uso e abusi di Gen 1–3 nell’epistolario autoriale di Paolo”, in E. Manicardi - L. Mazzinghi (edd.), Gen
1–11 e le sue interpretazioni canoniche: un caso di teologia biblica, RSB 1-2 (2012) 279-299.
37
Kennedy, New Testament Interpretation, 152.
38
B. Witherington III, What’s in the Word: Rethinking the Socio-Rhetorical Character of the New Testament, Baylor
University Press, Waco 2009, 14.
39
Aune, “Romans as a Logos protreptikos”, 278-296.
40
A.J. Guerra, Romans and the Apologetic Tradition. The Purpose, Genre and Audience of Paul’s Letter, SNTS MS 81,
Cambridge 1995; già in precedenza Id., “Romans 4 as Apologetic Theology”, in HTR 81 (1988) 251-270.
41
I. Jolivet, “An Argument from the Letter and Intent of the Law as the Primary Argumentative Strategy in Romans”,
in Porter and Olbricht, Rhetorical Analysis of Scripture, 309-35, 310-11.
42
M. Wolter, Der Brief an die Römer, Teilband 1, Röm 1-8, EKKNT 6/1, Neukirchener, Vluyn 2014, 60.
43
Le lettere di amicizia sono elencate al primo posto nei Typoi Epistolikoi dello Pseudo Demetrio. Cf. A.J. Malherbe,
Ancient Epistolary Theorists, SBL BS 19, Scholar Press, Atlanta 30.
44
T. Tobin, Paul’s Rhetoric in Its Contexts: The Argument of Romans, Hendrickson, Peabody 2004.
45
J.A. Fitzmyer, Lettera ai Romani. Commentario critico-teologico, Piemme, Casale Monferrato 1999 (or. ingl. 1993),
105.
46
Jewett, Romans, 42-45.
5
6 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

ipotizzando la compresenza dei tria genera causarum è possibile coprire l’organico di Romani: la co-
perta è troppo stretta per avvolgere l’intera lettera. D’altro canto, come abbiamo già osservato per
Galati, la parte esortativa di Rm 12,1–13,14 trae la sua origine dalle paraclesi epistolari e non dalla
retorica. Per questo riteniamo che sia più opportuno non applicare alcuno dei generi citati a una
lettera così articolata. Il fatto è che Romani è troppo ampia per essere vista soltanto come lettera
privata o familiare e amicale; ed è troppo ecclesiale per essere lettera diplomatica o “quasi uffi-
ciale”47.
A causa di una delle situazioni epistolari che l’hanno ingenerata – sostituire il desiderio di Paolo
di raggiungere le comunità domestiche di Roma per spiegare il suo evangelo (cf. Rm 1,13-15) – forse
ci troviamo di nuovo di fronte a un genere atipico, che declina la lettera con l’evangelo, con tutto
quanto di nuovo implica tale congiungimento48. Di fatto Galati e Romani sono le uniche lettere che
introducono nelle tesi principali l’εὐαγγέλιον (cf. Gal 1,11-12; Rm 1,16-17)49. Tuttavia questa volta
il congiungimento tra lettera ed evangelo è diverso e più complesso per forma e contenuti: per la
forma perché retorica ed epistolografia in Romani sono meno amalgamate che in Galati; per i con-
tenuti perché all’evangelo incentrato sulla figliolanza divina subentra quello sulla giustizia divina
per la salvezza di chiunque crede. La partita di Romani si decide tra l’universalità salvifica della
giustizia divina per chiunque e la particolarità funzionale del Giudeo rispetto al Gentile.
Su tale nuova e originale congiuntura tra lettera ed evangelo rimane aperta una delle questioni
più difficili da risolvere. Se la tesi principale della lettera riguarda l’evangelo, per cui può essere
considerata come “lettera kerygmatica”, perché mai Paolo, che ha considerato punto d’onore evan-
gelizzare dove Cristo non è ancora nominato (cf. Rm 15,20), invia la lettera più ampia per evange-
lizzare coloro che sono stati già evangelizzati da altri? In altri termini, sono sufficienti le motiva-
zioni dichiarate nel prescritto e nel poscritto perché il corpus epistolare sia così ampio e complesso?
Se avesse voluto inviare la lettera soltanto per farsi raccomandare presso la chiesa di Gerusalemme
o per essere aiutato, in futuro, a evangelizzare la Spagna, forse Romani avrebbe occupato più o
meno lo spazio della Lettera a Filemone. Per questo neanche l’esigenza d’esporre soltanto l’evan-
gelo per via epistolare copre tutte le istanze che hanno motivato la lettera.

4. Situazione epistolare e strategia retorica


Forse una delle maggiori pecche del The Romans Debate è ignorare il netto gap creato da Paolo
stesso tra il corpus epistolare (cf. Rm 1,18–15,13) e le parti circostanti. Come si può introdurre l’evan-
gelo (cf. Rm 1,16-17), il cui contenuto fondamentale è la portata salvifica della giustizia divina per
chiunque crede, e porlo in marcato contrasto con la rivelazione della collera divina (cf. Rm 1,18–
3,20)? Sarebbe stato più logico e chiaro collegare direttamente la tesi generale di Rm 1,16-17 alla
rivelazione della giustizia divina, realizzata mediante la fede di/in Cristo (cf. Rm 3,21–4,25). Se
Paolo opta per la strategia inversa ha le sue buone ragioni, su cui torneremo. Intanto è necessario
distinguere la situazione epistolare dalla strategia retorica posta in atto nel corso della lettera. La
situazione epistolare comprende i personalia che riguardano il mittente e i destinatari, mentre la
strategia retorica si riferisce alla finalità persuasiva dei contenuti50.

47
Così invece L. Doering, Ancient Jewish Letters and the Beginnings of Christian Epistolography, WUNT 298, Mohr Siebeck,
Tübingen 2012, 383-393.
48
Vale la pena ricordare che per Cicerone i generi epistolari sono molteplici per cui gli elenchi dei tipi epistolari
sono soltanto indicativi e si riferiscono ai generi più noti. Cf. Cicerone, Ad familiares 2,4,1: “Epistularum genera multa
esse non ignoras”.
49
Per questo B. Bosenius, “Kann man die neutestamentlichen Briefe der Gattung „Apostelbrief“ zuordnen”, in NT
57 (2015) 227-250 propone di classificare le lettere paoline non più sotto la denominazione di “lettere apostoliche”, ma
kerygmatiche. In realtà, tale classificazione può valere per le quattro Hauptbriefe di Paolo (1-2 Corinzi, Galati e Romani),
ma non ad esempio per 1Tessalonicesi, Filemone e Filippesi.
50
Sulle differenze la situazione storica e retorica nelle lettere paoline cf. J.-N. Aletti, “Romans 14:1–15:6 The Strong
and the Weak”, in New Approaches for Interpreting the Letters of Saint Paul, SB 43, Gregorian & Biblical Press, Roma 2012,
178; Id., Justification by Faith, 102-103. Pienamente convinto della differenza, preferirei parlare di situazione storica o
epistolare e strategia retorica.
A. Pitta, Retorica epistolare in Romani? – 7

Ora nella sezione introduttiva di Rm 1,1-17 situazione epistolare e strategia retorica sono inscindi-
bili. Se il prescritto di Rm 1,1-7 è forse il più ampio di tutti i prescritti epistolari antichi, è perché nella
superscriptio (cf. Rm 1,1-6) Paolo inserisce la tematica generale della lettera: l’evangelo, preannunciato
da Dio nelle Scritture sante, che riguarda il Figlio Suo (cf. Rm 1,3a). Segue il frammento di Rm 1,3b-4a,
mutuato dalla tradizione prepaolina51, che Paolo include come parte integrante dell’evangelo.
Altrettanto inseparabile è la relazione tra situazione epistolare e strategia retorica nei ringra-
ziamenti epistolari che riproducono la captatio benevolentiae (cf. Rm 1,8), il motivo del ricordo per i
destinatari o Mneiamotiv (f. Rm 1,9) e il contenuto della preghiera (cf. Rm 1,10-15). L’evangelo di Dio
che riguarda il Figlio Suo, introdotto nel prescritto (cf. Rm 1,2-4), e ribadito nei ringraziamenti (cf.
Rm 1,9), approda nella tesi generale di Rm 1,16-17 dove vangelo e Scrittura confluiscono.
La situazione epistolare e la strategia retorica sono di nuovo congiunte nel poscritto di Rm 15,14–
16,27, dove “l’evangelo di Dio” (Rm 15,16) è relazionato a “l’evangelo di Cristo” (Rm 15,19) e domina
nella parte conclusiva della lettera. Come abbiamo segnalato nell’introduzione, dibattuta è la na-
tura e la funzione della dossologia finale di Rm 16,25-27. Comunque è nuovamente l’evangelo a
occupare la scena principale: “…Il mio evangelo secondo la predicazione di Gesù Cristo” (Rm 16,25).
Fra le parti limitrofe si articola il corpus di Rm 1,18–15,13 con la sezione kerygmatica (cf. Rm
1,18–11,36) e quella paracletica (cf. Rm 12,1–15,13). Nella prima sezione la strategia retorica assume
un deciso sopravvento sulla situazione epistolare, tranne che per sporadiche affermazioni. Tra le
asserzioni che rinviano alla situazione epistolare includiamo l’allusione al “mio evangelo” (cf. Rm
2,16), l’importante diffamazione di Rm 3,852, l’allusione al modello d’insegnamento ricevuto dai de-
stinatari (cf. Rm 6,17), la conoscenza che essi hanno della Legge mosaica (cf. Rm 7,1) e l’interpel-
lanza rivolta ai gentili delle comunità romane (cf. Rm 10,13).
Con la sezione paracletica, la situazione epistolare si congiunge nuovamente alla strategia reto-
rica: la prima parte contiene esortazioni diversificate (cf. Rm 12,1–13,14), mentre la seconda è ri-
volta ai forti e ai deboli delle comunità romane (cf. Rm 14,1–15,13). Dunque la prima parte è funzio-
nale alla seconda e non il contrario. L’abbondante bibliografia è sufficiente per evidenziare le diffi-
coltà esegetiche che suscita Rm 14,1–15,13. Altrove ho cercato di dimostrare che le polemiche tra i
forti e i deboli sono reali e non teoriche, né semplicemente preventive53. Anche autori che, come J.-
N. Aletti, consigliano la massima prudenza nel ricostruire il retroterra storico di Rm 14,1–15,6, ri-
conoscono che si tratta d’una situazione reale e che Paolo assume una posizione di distanziamento
per applicare la strategia retorica a qualsiasi situazione analoga delle prime comunità cristiane54. A
lettere cubitali, R. Penna definisce “concreto” e non ipotetico, né preventivo il caso dei forti e i
deboli presso le comunità romane55.

51
Favorevoli all’origine prepaolina di Rm 1,3b-4a sono fra gli altri H. Schlier, “Zu Röm 1,3f.”, in H. Baltensweiler - R.
Reicke (eds.), Neues Testament und Geschichte, FS. O. Culmann, Theologischer Verlag, Zürich 1972, 207-218; P. Beasle–
Murray, “Romans 1:3f: An Early Confession of Faith in the Lordiship of Jesus”, in TynB 31 (1980) 147-154; J. Becker, La
risurrezione dei morti nel cristianesimo primitivo, Paideia, Brescia 1991 (or. ted. 1976), 25-41; F.W. Horn, Das Angeld des Gei-
stes: Studien zur paulinischen Pneumatologie, FRLANT 154, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1992, 96-100; V. Fusco,
Le prime comunità cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimo delle origini, EDB, Bologna 1995, 99-100; R. Penna, I
ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria. I. Gli inizi, San Paolo, Cinisello Balsamo
20104, 202-209; Jewett, Romans, 103-108.
52
R. Penna, “I diffamatori di Paolo in Rom 3,8”, in L’Apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Paoline, Cinisello Bal-
samo 1991, 135-149; A. Pitta, “La diffamazione di Paolo, i forti e i deboli nello sfondo storico della Lettera ai Romani”,
in Lateranum 75 (2009) 597-608.
53
A. Pitta, “The Strong, the Weak and the Mosaic Law in the Christian Communities of Rome (Rom. 14,1–15,13)”, in
J. Zangenberg - M. Labhan (cur.), Christians as a Religious Minority, JSNT SS 243, T&T Clark International, London - New
York, 2004, 90-102; Id., Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive, SB 57, EDB, Bologna 2008, 161-179.
54
Commenta bene J.-N. Aletti, “Romans 14:1–15,6. The Strong and the Weak”, in New Approaches, 190: “If Paul has
chosen food and the calendar as areas where respect and mutual aid must be exercised, it is undoubtedly because
questions about food were important for the first communities, in Antioch (cf. Gal 2), in Galatia, in Corinth, but also in
Rome, and that they indirectly, indeed, directly, placed in question his doctrine of justification by faith alone”.
55
Penna, Lettera ai Romani, 931-936. Fra i contributi più recenti che insistono sull’ambiente giudaico della diaspora
romana per l’astinenza da alcune bevande cf. G. Gieger, “Röm 14,21 und Koscherer Wein”, in SBFLA 65 (2015) 179-191.
7
8 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

Pertanto una prospettiva meritevole d’approfondimenti riguarda la relazione tra la situazione


epistolare e la strategia retorica, giacché anche in Romani sono congiunte. Tuttavia ora tale con-
fluenza è meno intensa che per Galati, sia perché Paolo non conosce tutti i destinatari della lettera,
sia perché, mediante la diatriba, assume con loro una strategia di distanziamento per non lasciarsi
irretire nella situazione epistolare ch’affronta.

5. Sistemi, figure argomentative e messaggio


Per convincere i destinatari che non ha di che vergognarsi dell’evangelo, Paolo ricorre a diversi
sistemi argomentativi che percorrono la lettera. L’incipit di Rm 1,1-2 precisa subito che, per la cor-
rispondenza tra l’evangelo di Dio e le Scritture sante, il sistema argomentativo principale verte
sull’autorità esterna e indiscussa della Scrittura56. Per questo le citazioni dirette, indirette, le allu-
sioni e gli echi della Scrittura sono disseminati nella lettera: dal prescritto alla dossologia finale di
Rm 16,24-2757. La catena delle citazioni bibliche (cf. Rm 3,10-18), la gezerah shawah (cf. Rm 4,3-8; 11,8-
10; 15,7-13)58, il qal wahomaer (cf. Rm 5,12-21), il kelal della Legge (cf. Rm 13,8-10) dimostrano la mae-
stria di Paolo nel servirsi della Scrittura per dare corpo al suo evangelo. Il filo conduttore delle
citazioni e dei sistemi interpretativi della Scrittura è tenuto dal passo di Ab 2,4, riportato nella pro-
positio generale di Rm 1,16-17. Dunque le diverse forme di citazioni e i sistemi interpretativi dipen-
dono da Ab 2,4 e attraversano la sezione kerygmatica quella paracletica.
Opportune sarebbero quanto meno tre precisazioni sull’autorità esterna della Scrittura in Ro-
mani. I diversi sistemi interpretativi segnalati non sono parti di omelie sinagogali dettate in prece-
denza da Paolo59, né appartengono a fonti previe di cui si sarebbe servito per imbastire la lettera.
Le due ipotesi non trovano riscontri! Piuttosto tali sistemi sono espressioni della sua genialità, ca-
pace com’è di adattare la Scrittura alle situazioni che affronta. Non dovremmo sottovalutare che
Paolo è l’unico fariseo del I sec. d.C. di cui ci sono pervenuti scritti autobiografici e che eccelle in
adattabilità e non in rigidismo sulla Legge60.
Inoltre soprattutto per Romani, Paolo non conosce un “canone nel canone”61, che lo indurrebbe
ad escludere una parte della Scrittura a favore di un’altra, ma come precisa per i forti e i deboli “le
cose che sono state prescritte, infatti, sono state scritte per il nostro insegnamento, affinché me-
diante la perseveranza della fede e del conforto delle cose scritte abbiamo la speranza” (cf. Rm 15,4).
E nonostante la notevole attenzione conferita negli ultimi anni all’intertestualità62, non sono i con-
testi originari delle citazioni ad assumere la preminenza, ma quelli di approdo delle situazioni epi-
stolari che affronta.
Romani abbonda di figure argomentative, ma purtroppo, come abbiamo rilevato per Galati, con
i secoli s’è dileguato il rapporto tra figure retoriche e contenuto. Dalla litote di Rm 1,16, che è la
figura principale, fluisce una pletora di figure, finalizzata a illuminare i densi contenuti della let-
tera63. Volta in positivo, Paolo intende dimostrare per tutta la lettera che non si vergogna, bensì si
vanta dell’evangelo. Una maggiore attenzione verso la natura di questa litote eviterebbe i tanti

56
Cf. l’uso argomentativo della Scrittura ben dimostrato per la sezione di Rm 9,1–11,36 da F. Belli, Argumentation and
Use of Scripture in Romans 9-11, AnBib 183, Gregorian & Biblical Press, Roma 2010.
57
Sul confronto tra le citazioni scritturistiche in Romani e le relative fonti in greco ed ebraico cf. Pitta (Filannino –
Landi), “Fonti bibliche, extrabibliche e paralleli”, in Sinossi paolina bilingue, 46-113.
58
P. Basta, Abramo in Romani 4. L’analogia dell’agire divino nella ricerca esegetica di Paolo, AnBib 168, P.I.B., Roma
2007; J.-N. Aletti, “The Justification of Abraham, the Model for All Justification Rom 4”, in Justification by Faith, 139-170.
59
Così invece R. Scroggs, “Paul as Rhetorician: Two Homilies in Romans 1–11”, in R. Hamerton Kelly - R. Scroggs
(cur.), Jews, Greek and Christians: Religious Cultures in Late Antiquity, FS. W.D. Davies, Brill, Leiden 1976, 271-298; E.P.
Sanders, Paolo, la legge e il popolo di Dio, SB 86, Paideia, Brescia 1989 (or. Ingl. 1989) 204; Song, Reading Romans as Diatribe,
122.
60
A. Pitta, “Paul, The Pharisee, and the Law”, in T.G. Casey - J. Taylor (eds.), Paul’s Jewish Matrix, Gregorian & Biblical
Press - Paulist, Roma 2011, 99-122.
61
Così invece Sanders, Paolo, la legge, 271.
62
Cf. fra gli altri F. Watson, Paul and the Hermeneutics of Faith, T&T Clark, London - New York 2004.
63
Significative sono le litoti usate nelle propositiones secondare come quella di Rm 9,6 sulla permanenza della Parola
di Dio e quella di Rm 11,2 sulla fedeltà di Dio per il suo popolo.
A. Pitta, Retorica epistolare in Romani? – 9

fraintendimenti sulla funzione della sezione dedicata alla rivelazione della collera divina (cf. Rm
1,18–3,20). A più riprese Aletti ha dimostrato che la rivelazione della collera divina serve non per
dimostrare che tutti hanno peccato, ma per escludere qualsiasi motivo di vanto umano, soprattutto
del giudeo che può confondere l’eccezionalità o il vantaggio (cf. Rm 3,1-8) con il vanto64.
Fra le principali figure che veicolano i contenuti della lettera segnaliamo l’ossimoro e l’antana-
clasi. Anche per Galati abbiamo rilevato l’importanza dell’ossimoro in quanto veicolo del para-
dosso. Tuttavia in Romani l’ossimoro assume, nello stesso tempo, un peso strutturale e non soltanto
lessicale. L’ossimoro è strutturale quando, da una parte il vanto, è escluso per la sezione di Rm 1,18–
4,25 per motivare l’universale gratuità della giustificazione (cf. Rm 1,18–4,25), e dall’altra è affer-
mato per dimostrare la condizione giustificata dei credenti in vista della partecipazione alla spe-
ranza della gloria (cf. Rm 5,1–8,30). L’ossimoro è anche linguistico come per la Sendungformel di Rm
8,3. A rigore di logica chi si contamina della carne del peccato non può in alcun modo essere libe-
rato, né tanto meno è in condizione di redimere gli altri dal peccato nella carne. Invece questo è
stato possibile per il Figlio che Dio ha mandato in un’assimilazione totale della carne del peccato65.
L’ossimoro di Rm 8,3, che tra l’altro è un anacoluto – tal è l’impatto dell’oralità sullo scritto – per-
corre la sottosezione di Rm 8,1-30 e sfocia nella peroratio di Rm 8,31-3966. Una perorazione introdotta
dall’eco di Gen 22,12.16 e della ‘aqedah d’Isacco in Rm 8,32 nella prospettiva soteriologica67. Rile-
vante è la funzione dell’ossimoro strutturale e linguistico in Romani: veicola i contenuti della sote-
riologia. Se all’inizio della sezione dedicata alla fedeltà della Parola di Dio, non tutto Israele è Israele
(cf. Rm 9,6b), alla fine tutto Israele sarà salvato (cf. Rm 11,26): non solo quello eletto, ma anche
quello etnico68.
L’antanaclasi è una tipica figura di parola che Paolo utilizza più in Romani che altrove. In quanto
figura di ripercussione verbale, è usata soprattutto in Rm 2,14; 3,21; 7,23-25; 8,2. Non è fortuito che
i passi citati siano accomunati dalla complessa questione del νόμος, per cui le diverse accezioni del
termine non si devono alla presenza o meno dell’articolo che lo precede, bensì alla ripercussione
del termine nello stesso contesto. L’esempio di Rm 7,7-25 è emblematico: la pericope inizia con
l’immediato rifiuto se la Legge sia peccato (cf. Rm 7,7) e si chiude con un’anaclasi di rara bellezza:
con la sua mente l’ego serve la Legge di Dio, ma con la sua carne la legge o il principio normativo
del peccato (cf. Rm 7,25)69. Qualora fosse necessario precisarlo, l’oralità permette di riconoscere, in
modo immediato, le differenze tra il νόμος in quanto Legge mosaica e, per ripercussione, come
principio normativo. Da questo punto di vista è da condividere appieno quanto precisa J.A. Fitz-
myer: “Romans was meant to be read aloud, more as a formal lecture than as a literary essay-let-
ter”70.
Pertanto sistemi e figure argomentative sono particolarmente rilevanti per Romani. Credo che
a tutt’oggi manchi un subsidium completo su questi due ambiti che attraversano le lettere paoline

64
J.-N. Aletti, “Fede e Legge in Romani”, in La lettera ai Romani e la giustizia di Dio, Borla, Roma 1997, 71-97; Id., “The
Arrangement of Rom 1–3 and the Question of Justification”, in Justification by Faith, 119-138.
65
Sul significato di “assimilazione” e non di semplice “somiglianza” per ὁμοίωμα in Rm 8,3 cf. A. Pitta, “The Degrees
of human Mimesis in the Letter to the Romans”, in F. Bianchini - S. Romanello (eds.), Non mi vergnogno del Vangelo,
potenza di Dio, Studi in onore di Jean-Nöel Aletti SJ nel suo compleanno, AnBib 200, Gregorian & Biblical Press, Roma
2012, 229-230.
66
Cf. A. Gieniusz, Romans 8:18-30 “Suffering Does not Thwart the Future Glory”, Scholars Press, Atlanta 1999 che dovrebbe
indurre a sostenere che la sofferenza “non ostacola”, o “non contrasta” la gloria futura, con buona pace di chi continua
a tradurre Rm 8,18 con “non è paragonabile”.
67
A. Pitta, “La funzione soteriologica di Isacco nell’epistolario paolino”, in Il paradosso della croce. Saggi di teologia
paolina, Piemme, Casale Monferrato 1998, 225-260.
68
Sulle dinamiche argomentative di Rm 9-11 cf. J.-N. Aletti, Israël et la Loi dans la Lettre aux Romains, LD 173, Cerf, Paris
1998; F. Belli, Argumentation and Use of Scripture in Romans 9-11, AnBib 183, Gregorian & Biblical Press, Roma 2010.
69
Sull’importanza dell’antanaclasi in Rm 7,23-25 cf. S. Romanello, Una Legge buona ma impotente. Analisi retorico-
letteraria di Rm 7,7-25, RivBSup 35, EDB, Bologna 1999, 160-166.
70
J. A. Fitzmyer, Romans. A New Translation with Introduction and Commentary, AB 33, Doubleday, New York 1993,
92.
9
10 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

e soprattutto sulla loro funzione dal versante contenutistico, giacché forma e contenuto coincidono
nel caso di Paolo71.

6. Disposizione e messaggio
Quo vadit? Dove va a finire una retorica paolina che rischia di cadere in forme d’arbitrio incon-
trollato? L’interrogativo posto da P. Lampe è crucciale poiché ne va di mezzo la teologia paolina72.
Sopra abbiamo segnalato diversi esempi di contributi che confondono il canovaccio epistolare con
quello retorico, quasi sempre a discapito del primo. Ho cercato di rispondere chiedendo di prendere
sul serio i criteri proposti da Aletti per identificare la propositio principale e quelle subordinate73.
Tali criteri sono dedotti anzitutto dall’uso che ne fa Paolo e quindi dai consigli dei trattati di retorica
antica. Se con largo consenso ormai si è riconosciuto che la proposizione di Rm 1,16-17 è la tesi
generale verso cui approdano il prescritto e i ringraziamenti epistolari è perché è “chiara, breve e
completa”, innesta le dimostrazioni successive e, tra l’altro, contiene la citazione più importante
della Scrittura per Romani.
Una nuova propositio principale è situata all’inizio della sezione paracletica di Rm 12,1–15,1374: il
passo di Rm 12,1-2 assume il motivo della misericordia divina, con cui s’è chiusa la sezione keryg-
matica (cf. Rm 11,30-32), e lo rilancia per la dimensione etica della vita dei credenti, sino ad appro-
dare nel florilegio che chiude la sezione: Cristo divenne servo della circoncisione per la verità di
Dio e i gentili rendono gloria a Dio per la sua misericordia (cf. Rm 15,7-13)75. Senza i criteri segnalati
per identificare le propositiones generali, principali e secondarie, si cade nella deriva delle contrad-
dizioni con cui Galati e Romani sono state interpretate da H. Raisänän76 e K. Kuula77.
Ritengo che le propositiones principali e secondarie siano imprescindibili per interpretare Ro-
mani e le altre Hauptbriefe di Paolo poiché permettono di tenere fermo il timone delle articolate
dimostrazioni che generano78 e le loro finalità persuasive79. Tuttavia anche su tale questione sono
opportune due precisazioni che gli studiosi di retorica ben conoscono. Sarebbe bene non eccedere
nell’identificazione delle propositiones, ma limitarsi a quelle necessarie, come raccomandava il buon
Quintiliano. E non dovremmo dimenticare che Paolo ha un difetto che depone non a favore, ma

71
Bisogna risalire ancora a E.W. Bullinger, Figures of Speech used in the Bible: explained and illustrated, Baker Book,
Grand Rapids 1984 per riscontrare un trattato generale sulle figure di parole usate nella Bibbia.
72
P. Lampe, „Rhetorische Analyse paulinischer Texte – Quo vadit?“, in D. Sänger - M. Konradt (eds.), Das Gesetz im
frühen Judentum und im Neuen Testament, FS. C. Burchard zum 75. Geburtstag, Vandenhoeck & Ruprecht, Fribourg 2006,
170-190.
73
A. Pitta, “Form and Content of the Propositio in Pauline Letters: the case of Rom 5.1-8.39”, in RevB 122 (2015) 575-
591.
74
Pitta, Romani, 418-419. Fra i contributi che approfondiscono la funzione di Rm 12,1-2 come propositio principale
della sezione paracletica cf. M. Palinuro, “Rm 12,1-2: le radici dell’etica paolina”, in RivB 52 (2004) 145-181; C. Rambault,
L’avènement de l’amour. Épître aux Romains. Chapitres 12 et 13, LD 265, Cerf, Paris 2014, 189-250; A. Albertin, Il caso dei
deboli e dei forti. Rm 14,1–15,13 come esemplificazione di vita etica alla luce della giustificazione per la fede, AnBib 208,
Gregorian & Biblical Press, Roma 2015, 234-235.
75
Anche chi segue la pragmatica linguistica, come A. Reichert, Der Römerbrief als Gratwanderung. Eine Untersuchung
zur Abfassungsproblematik, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2001, 228 attribuisce una funzione programmatica a
Rm 12,1-2 rispetto alla sezione paracletica della lettera.
76
H. Räisänen, Paul and the Law, WUNT 29, Mohr (Siebeck), Tübingen 19872.
77
K. Kuula, The Law, the Covenant and God’s Plan, I, Paul’s Polemical Treatment of the Law in Galatians, Helsinki - Göttingen
1999; Id., The Law, the Covenant and God’s Plan, II, Paul’s Treatment of the Law and Israel in Romans, Helsinki - Göttingen 2003.
78
In uno dei suoi ultimi contributi il noto classicista C.J. Classen, “Can the Theory of Rhetoric Help Us to Understand
the New Testament, and in Particular the Letters of Paul?”, in Porter – Dyer (eds.), Paul and Ancient Rhetoric, 33 mi
attribuisce due titoli d’onore che non ho: sarei gesuita e avrei inventato il termine “subpropositiones” nel 1992. In
realtà il termine si deve ad Aletti che, tuttavia, è dedotto dai trattati di retorica antica che contemplano una o più
propositiones che compongono un discorso. Cf. J.-N. Aletti, “La présence d’un modèle rhétorique en Romains. Son rôle
et son importance”, in Bib 71 (1990) 1-24; Id., Comment Dieu est-il juste? Clefs pour interpréter l’épître aux Romains, Du Seuil,
Paris 1991, 36.
79
A. Pitta, “La Scrittura nelle 4 Hauptbriefe di Paolo”, in EstB 67 (2009) 273-301.
A. Pitta, Retorica epistolare in Romani? – 11

contro un suo curriculum retorico classico: manca di σαφήνεια, vale a dire di chiarezza o di perspi-
cuità nello stile80. Lo riconosce l’autore della 2Pietro, quando ricorda che alcuni contenuti delle sue
lettere sono difficili da intendere e, per questo, sono strumentalizzati (cf. 2Pt 3,16). Gli fa eco l’apo-
crifa Lettera 7, indirizzata da Seneca a Paolo, quando, mentre riconosce la sublimità dei contenuti
nelle sue lettere, lo esorta a migliorare nella chiarezza dello stile. Sufficiente è confrontare le let-
tere autoriali con i discorsi di Paolo in Atti per rendersi conto della differenza tra le due modalità
di comunicazione retorica: nelle prime risaltano la brachilogia e la complessità, nei secondi la lim-
pidezza nella forma e nei contenuti.
Dunque la propositio generale di Rm 1,16-17 colloca al centro della strategia persuasiva di Romani
l’evangelo che nella giustizia universale di Dio per la salvezza di chiunque crede riscontra il filo
conduttore. Le tesi secondarie successive dovrebbero essere collegate, a livello linguistico e siste-
mico, a Rm 1,16-17 per approfondirne i contenuti: da essa dipendono e ad essa rinviano. Conse-
quenziale è riconoscere che non c’è una dimostrazione successiva che assume preminenza sulle
altre, come invece sostiene, ad esempio, D.A. Campbell. L’autore considera la sezione di Rm 5,1–8,39
come principale rispetto a quelle secondarie di Rm 1,18–4,25 e 9,1–11,3681, dando origine alla cosid-
detta Pneumatologically Partecipatory Martyrological Eschatology, abbreviata con l’acrostico PPME.
Piuttosto l’evolversi delle propositiones principali e secondarie dimostra che le tre dimostrazioni che
compongono la sezione kerygmatica contribuiscono, in modo diverso, a sviluppare e approfondire
i contenuti enunciati nel tema di Rm 1,2-4 e nella tesi generale di Rm 1,16-17.
Proprio la congiuntura tra il tema e tesi generale di Rm 1,2-4.16-17 permette di rilevare le prin-
cipali funzionalità che si verificano nelle dimostrazioni successive. La sezione sulla collera (cf. Rm
1,18–3,20) è in funzione di quella della giustizia per grazia (cf. Rm 3,21–4,25) e non il contrario.
Invece nella seconda parte tutte le fasi successive fluiscono dalla pericope di Rm 5,1-11, dove cam-
peggia il vanto dei credenti per la giustificazione in Cristo e l’accesso alla grazia nella quale restano
saldi. Una maggiore attenzione per tale disposizione eviterebbe l’alternativa tra i due crateri prin-
cipali della teologia paolina: tra quello della giustificazione, riproposto dal luteranesimo classico, e
quello della partecipazione, sostento dalla New Perspective. Infine centrale è nella sezione di Rm 9–
11, che Cristo sia il fine della Legge (cf. Rm 9,30–10,21), verso cui tende la fedeltà di Dio alla sua
Parola (cf. Rm 9,6-29) e al suo popolo (cf. Rm 11,1-25). Si comprende bene che in Romani, come
d’altro canto in tutte le sue lettere, Paolo non usa sempre lo stesso sistema argomentativo, ma lo
modifica con genialità.
Quanto abbiamo rilevato per la PPME e la New Perspective dovrebbe valere per chi, poiché tende
a incasellare Romani in un discorso protrettico, sopravvaluta le sezioni di Rm 1,18–4,25 e 5,1–8,39,
a discapito di Rm 9,1–11,36, ridotta ad un excursus o a un appendice82. In tal modo la parte della
lettera in cui il pathos di Paolo emerge con maggiore intensità (cf. Rm 9,1-5; 10,1-2; 11,1) sarebbe,
paradossalmente, ridotta a un insegnamento secondario. In realtà le tre dimostrazioni che scaturi-
scono da Rm 1,16-17 concorrono con sistemi argomentativi diversi a dispiegare quella che S. Lyon-
net denominava nel suo classico, “la storia della salvezza nella Lettera ai Romani”83.

7. Conclusione
Traiamo le fila del percorso ch’abbiamo compiuto! La prospettiva innestata dal The Romans De-
bate non è da scartare in toto, anche se andrebbe in gran parte ridimensionata, come d’altro canto
la New Perspective. Abbiamo potuto rilevare che Romani conserva un’oralità atipica: un’oralità pro-
dotta dalla diatriba, che permette a Paolo e ai destinatari di operare un opportuno distanziamento

80
Annotazione fatta giustamente da Penna, Romani, LIX.
81
D.A. Campbell, The Quest for Paul’s Gospel. A Suggested Strategy, JSNT SS 274, T&T Clark, New York 2005; Id., The
Deliverance of God. An Apocalyptic Rereading of Justification in Paul, Eerdmans, Grand Rapids-Cambridge 2009. La centralità
teologica di Rm 5,1–8,39 è sostenuta anche da M. Pretorius, “The theological center of Pauline theology as it relates to
the Holy Spirit”, in HTS 62 (2006) 253-262.
82
Cf. ad esempio Longenecker, Romans, 14, che attribuisce l’excursus di Rm 9–11 a una “remnant theology”.
83
S. Lyonnet, La storia della salvezza nella Lettera ai Romani, D’Auria, Napoli 1967.
11
12 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

dalla situazione epistolare, così da risalire alle motivazioni decisive per cui l’evangelo è potenza
divina per la giustizia salvifica di chiunque crede. Ed è proprio tale distanziamento che permette a
Paolo di rispondere, in modo indiretto, alla situazione epistolare dei destinatari di Romani e delle
altre comunità cristiane. Per questo Romani è d’una attualità permanente, che non scolora di fronte
ai cambiamenti e agli sviluppi ecclesiali successivi; tutt’altro!
A Romani non è adattabile alcuna delle dispositiones previste dai trattati di retorica antica, ma
procede con originalità. Originali sono tutte le parti che la compongono. Troppo ampia per essere
lettera familiare e troppo ecclesiale per essere “quasi ufficiale”, Romani è, con Galati, la lettera di
Paolo che declina in modo originale evangelo e lettera. E poiché il genere retorico scaturisce dal
congiungimento tra canovaccio epistolare e retorico, anche il genere di Romani è atipico: è lettera
kerygmatica, come Galati, poiché anticipa la presenza di Paolo presso le chiese domestiche romane.
Nella sua complessa articolazione, abbiamo distinto la situazione epistolare dalla strategia reto-
rica. La prima predomina nelle parti limitrofe, mentre la seconda è diffusiva in quelle del corpus
epistolare. Tale diversità permette a Paolo e ai destinatari di assumere il necessario distanziamento
dalla situazione epistolare e di focalizzare l’attenzione sulle motivazioni ultime che, non lascian-
dosi insabbiare dalle situazioni, le modificano.
Per convincere i destinatari sulla bontà del suo evangelo, Paolo ricorre a diversi sistemi argo-
mentativi, fra cui predominano l’autorità della Scrittura e la diatriba. La prima è autorità indiscussa
che accomuna Paolo ai destinatari che già conoscono la Legge (cf. Rm 7,1); la seconda innalza il
livello retorico in forma dialogica. Entrambi i sistemi danno corpo all’evangelo di cui Paolo non si
vergogna. Altrettanto diffuse sono le figure argomentative in Romani. Abbiamo scelto quelle che ci
sembrano più decisive per i contenuti: l’ossimoro che serve a sottolineare il paradosso della sal-
vezza e l’antanaclasi che permette di negare alla Legge mosaica qualsiasi concorso per la giustifi-
cazione, che si realizza soltanto per le fede di/in Cristo.
La retorica epistolare non appartiene all’ornato o all’apparato, ma è veicolo imprescindibile per
la trasmissione dei contenuti di Romani. L’uso della propositio generale e di quelle secondarie dimo-
stra che l’universale giustificazione per la fede costituisce il centro propulsivo di Romani. Le propo-
sitiones secondarie suffragano e sviluppano quella generale: sia per la sezione kerygmatica, sia per
la paraclesi epistolare. Per questo non c’è una dimostrazione, come quella di Rm 5,1–8,39, che pre-
domina sulle altre, ma tutte contribuiscono a spiegare la portata salvifica della giustificazione per
la fede.
Quando le ipotesi di retorica epistolare sono ben fondate, trovano corrispondenza nei commenti
di chi ha approfondito Romani prima e meglio di noi: “Per determinare con più sicurezza il senso
della espressione giustizia di Dio in Rom. 1,17 sembra opportuno partire da Rm 3,21, vale a dire dal
passo che è certamente parallelo a Rom. 1,17 e perciò può servire a spiegarlo” (S. Lyonnet)84.

84
S. Lyonnet, La storia della salvezza, 31.
A. Pitta, Retorica epistolare in Romani? – 13

APPENDICE

DISPOSIZIONE RETORICA EPISTOLARE DELLA LETTERA AI ROMANI

I. Introduzione epistolare (Rm 1,1-17)


1) Prescritto (Rm 1,1-7); tema della lettera: 3περὶ τοῦ υἱοῦ αὐτοῦ τοῦ γενομένου ἐκ σπέρματος
∆αυὶδ κατὰ σάρκα, 4τοῦ ὁρισθέντος υἱοῦ θεοῦ ἐν δυνάμει κατὰ πνεῦμα ἁγιωσύνης ἐξ
ἀναστάσεως νεκρῶν, Ἰησοῦ Χριστοῦ τοῦ κυρίου ἡμῶν, (Rm 1,3-4)
2) Ringraziamento/esordio (Rom 1,8-15): Πρῶτον μὲν εὐχαριστῶ τῷ θεῷ μου διὰ Ἰησοῦ
Χριστοῦ περὶ πάντων ὑμῶν (Rm 1,8)
3) Tesi generale (Rm 1,16-17): 16Οὐ γὰρ ἐπαισχύνομαι τὸ εὐαγγέλιον, δύναμις γὰρ θεοῦ ἐστιν
εἰς σωτηρίαν παντὶ τῷ πιστεύοντι, Ἰουδαίῳ τε πρῶτον καὶ Ἕλληνι. 17δικαιοσύνη γὰρ θεοῦ
ἐν αὐτῷ ἀποκαλύπτεται ἐκ πίστεως εἰς πίστιν, καθὼς γέγραπται· ὁ δὲ δίκαιος ἐκ πίστεως
ζήσεται.

II. Corpo epistolare (Rm 1,18–15,13)


1. Sezione kerygmatica (Rm 1,18–11,36)
1.1. Rivelazione della collera e della giustizia divina (Rm 1,18–4,25)
1.1.1. Rivelazione della collera divina (Rm 1,18–3,20)
1.1.2. Rivelazione della giustizia divina (Rm 3,21–4,25); Tesi principale: 21Νυνὶ δὲ χωρὶς
νόμου δικαιοσύνη θεοῦ πεφανέρωται μαρτυρουμένη ὑπὸ τοῦ νόμου καὶ τῶν
προφητῶν, 22δικαιοσύνη δὲ θεοῦ διὰ πίστεως Ἰησοῦ Χριστοῦ εἰς πάντας τοὺς
πιστεύοντας (Rm 3,21-22a)
1.2. Il vanto dei credenti (Rm 5,1–8,39)
Tesi principale (Rom 5,1-2) e spiegazione (Rom 5,3-11): 1∆ικαιωθέντες οὖν ἐκ πίστεως
εἰρήνην ἔχομεν πρὸς τὸν θεὸν διὰ τοῦ κυρίου ἡμῶν Ἰησοῦ Χριστοῦ 2δι᾽ οὗ καὶ τὴν
προσαγωγὴν ἐσχήκαμεν [τῇ πίστει] εἰς τὴν χάριν ταύτην ἐν ᾗ ἑστήκαμεν καὶ καυχώμεθα
ἐπ᾽ ἐλπίδι τῆς δόξης τοῦ θεοῦ (Rm 5,1-2)
1.2.1. Confronto tra Adamo e Cristo (Rm 5,12-21)
1.2.2. Diatriba (6,1-14) 1Τί οὖν ἐροῦμεν; ἐπιμένωμεν τῇ ἁμαρτίᾳ, ἵνα ἡ χάρις πλεονάσῃ; 2
μὴ γένοιτο (Rm 6,1-2a)
1.2.3. Diatriba (6,15-23) Τί οὖν; ἁμαρτήσωμεν, ὅτι οὐκ ἐσμὲν ὑπὸ νόμον ἀλλὰ ὑπὸ χάριν;
μὴ γένοιτο (Rm 6,15)
1.2.4. Diatriba (7,1-6) Ἢ ἀγνοεῖτε, ἀδελφοί, γινώσκουσιν γὰρ νόμον λαλῶ, ὅτι ὁ νόμος
κυριεύει τοῦ ἀνθρώπου ἐφ᾽ ὅσον χρόνον ζῇ; (Rm 7,1)
1.2.5. Diatriba (7,7-25) Τί οὖν ἐροῦμεν; ὁ νόμος ἁμαρτία; μὴ γένοιτο· (Rm 7,7a)
1.2.6. La legge dello Spirito (Rm 8,1-30)
1.2.7. Perorazione (Rm 8,31-39): Τί οὖν ἐροῦμεν πρὸς ταῦτα; (Rm 8,31a)
1.3. La Parola di Dio non è venuta meno (Rm 9,1–11,36)
Tesi principale: Οὐχ οἷον δὲ ὅτι ἐκπέπτωκεν ὁ λόγος τοῦ θεοῦ (Rm 9,6a)
Tesi subordinata: οὐ γὰρ πάντες οἱ ἐξ Ἰσραὴλ οὗτοι Ἰσραήλ· (Rm 9,6b)
1.3.1. Non tutto Israele è Israele (Rm 9,6b-29)
Tesi subordinata: τέλος γὰρ νόμου Χριστὸς εἰς δικαιοσύνην παντὶ τῷ πιστεύοντι
(Rm 9,30–10,21)
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14 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

1.3.2. Cristo, fine della Legge (Rm 9,30–10,21)


Tesi subordinata: 2οὐκ ἀπώσατο ὁ θεὸς τὸν λαὸν αὐτοῦ ὃν προέγνω. (Rom 11,2)
1.3.3. Dio non ha ripudiato il suo popolo (Rm 11,1-24)
1.3.4. Il mistero: Οὐ γὰρ θέλω ὑμᾶς ἀγνοεῖν, ἀδελφοί, τὸ μυστήριον τοῦτο (Rm 11,25-36)

2. Sezione paracletica (Rm 12,1–15,13)


Tesi principale: 1Παρακαλῶ οὖν ὑμᾶς, ἀδελφοί, διὰ τῶν οἰκτιρμῶν τοῦ θεοῦ παραστῆσαι
τὰ σώματα ὑμῶν θυσίαν ζῶσαν ἁγίαν εὐάρεστον τῷ θεῷ, τὴν λογικὴν λατρείαν ὑμῶν· 2καὶ
μὴ συσχηματίζεσθε τῷ αἰῶνι τούτῳ, ἀλλὰ μεταμορφοῦσθε τῇ ἀνακαινώσει τοῦ νοὸς εἰς τὸ
δοκιμάζειν ὑμᾶς τί τὸ θέλημα τοῦ θεοῦ, τὸ ἀγαθὸν καὶ εὐάρεστον καὶ τέλειον (Rm 12:1-2)
2.1. Diverse raccomandazioni epistolari (Rm 12,3–13,14)
Tesi secondaria: Τὸν δὲ ἀσθενοῦντα τῇ πίστει προσλαμβάνεσθε, μὴ εἰς διακρίσεις
διαλογισμῶν (Rm 14,1)
2.2. L’accoglienza reciproca tra i forti e i deboli nella fede (Rm 14,1–15,13)

III. Poscritto epistolare e dossologia finale (Rm 15,14–16,27)


1) Personalia epistolari (Rm 15,14-33)
2) Saluti finali e ultima paraclesi (Rm 16,1-23)
3) Dossologia finale (Rm 16,25-27)

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