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16.4 – TEORIA DELLE AREE VALUTARIE OTTIMALI: BENEFICI E COSTI DELLE UNIONI
MONETARIE – La domanda alla quale rispondere è la seguente: è stato vantaggioso per i paesi europei
aderire all’UEM e adottare l’euro? In riferimento alla teoria AVO (aree valutarie ottimali) la risposta è
positiva solo se i benefici superano i costi che, secondo questa teoria sono prevalentemente
macroeconomici. Costi che si riferiscono dunque alla perdita dello strumento di cambio e alle politiche
monetarie indipendenti decise a livello nazionale. I benefici invece sono di tipo microeconomici ed
includono l’abbattimento dei costi di transazione e l’eliminazione del rischio di cambio.
I BENEFICI - I costi di transazione comprendono le commissioni ed i costi, anche indiretti (ad esempio il
tempo perso), necessari per il cambio valute. L’abbattimento di questi costi genera benefici diretti nel
commercio di beni e servizi (es. turismo), nei flussi di persone e nei movimenti di capitale, ma anche
indiretti in una maggiore trasparenza e concorrenza nei mercati quindi minori prezzi per i consumatori,
stimolo agli investimenti e crescita economica. Il rischio di cambio, se abbattuto, favorisce il commercio
internazionale e la crescita economica. Infatti, il rischio di cambio causa una perdita di efficienza nel
meccanismo dei prezzi in quanto l’incertezza sui futuri prezzi rende meno attendibili i segnali per le
decisioni di produzione, consumo e investimento. Inoltre, fa aumentare il tasso di interesse reale, frenando
gli investimenti e deteriorandone la qualità a causa di problemi di azzardo morale o selezione avversa. In
conclusione, possiamo affermare che i benefici microeconomici sono più rilevanti per economie molto
integrate sul piano commerciale. Conta quindi il grado di apertura reciproco dei paesi che intendono
costituire un’unione monetaria e all’interno dell’UE la situazione è molto varia, con un aumento rilevante
degli scambi intra-UE rispetto agli scambi con paesi terzi. I COSTI – Sono prevalentemente macroeconomici
e sono costituiti dalla rinuncia alla manovra del tasso di cambio e dalla politica monetaria decisa a livello
nazionale. Tale costo cresce alla probabilità che possano verificarsi shock asimmetrici (colpisce due paesi in
modo opposto), scende in presenza di meccanismi alternativi alla manovra del cambio ovvero flessibilità dei
prezzi e salari e mobilità del lavoro.
16.6 - L’UE è un’AVO? – Secondo le teorie AVO è fondamentale il confronto tra benefici e costi per
giudicare la convenienza a costituire un Unione Monetaria. I benefici (microeconomici) sono rilevanti
soprattutto per i paesi ben integrati, i costi possono essere notevoli in presenza di shock asimmetrici.
Bisogna dunque considerare due aspetti fondamentali: 1) la probabilità che possa verificarsi uno shock, che
aumenta se c’è un basso grado di simmetria tra paesi, ad esempio divergenze tra strutture produttive,
sistemi fiscali e istituzionali. 2) l’asimmetria appena analizzata può essere compensata con un’elevata
flessibilità di salari e stipendi e mobilità del lavoro. C’è dunque una relazione tra simmetria e flessibilità
che può essere rappresentata dalla retta AVO; al di sopra della retta troveremo i paesi che hanno
convenienza a partecipare ad un’Unione Monetaria, al di sotto no. Secondo alcuni economisti tutta la UE-27
non è un AVO in quanto ad una bassa simmetria si accompagna una limitata flessibilità e bassa mobilità del
lavoro. È molto probabile invece che tali requisiti l’abbiano invece i paesi core centro-europei UE-5 (Francia,
Germania, Benelux). Il dibattito è acceso e in letteratura è stata discussa l’endogeneità dei criteri AVO la cui
convenienza tenderebbe ad autogenerarsi nel tempo, anche se inizialmente non verificata. Secondo la
visione ottimistica gli scambi di beni intracomunitari provocherebbe un’ulteriore crescita del commercio
rendendo le strutture produttive più simili e quindi gli shock più simmetrici. Secondo la visione pessimistica
il crescente commercio potrebbe causare, in presenza di economie di scala, una concentrazione della
produzione e una crescente specializzazione dei paesi rendendo gli shock più asimmetrici. L’obiettivo della
UE era quello di favorire, attraverso l’Unione Monetaria, la convergenza reale ossia l’avvicinamento delle
differenze strutturali ed un rafforzamento delle economie meno sviluppate. Tutto ciò è avvenuto solo in
parte poiché la convergenza tra economie dell’area euro non è stata adeguatamente sostenuta dalle
politiche europee nonostante i piani di azione come ”Agenda di Lisbona” e “Europa 2020”; il limite di tutto
ciò sta nelle ridotte dimensioni dei fondi strutturali e del bilancio europeo.
16.7 – Quale futuro per l’euro? – La Grande Depressione e la crisi dei debiti sovrani hanno
suscitato dubbi su un’Unione Monetaria tra paesi eterogenei. Profonde diversità strutturali, mancanza di
un’unione fiscale che consentisse adeguati trasferimenti per favorire la convergenza reale, un limitato
bilancio e politiche di austerità con vincoli all’adozione di politiche fiscali espansive sono state oggetto di
analisi e critica. Anche sul piano politico l’Unione è stato spesso limitata ed ha suscitato molti dubbi, gli
stessi dubbi che hanno spostato il dibattito sull’opportunità di un euro exit anche per l’Italia. Innanzitutto,
c’è da dire che l’uscita della Grecia potrebbe essere sopportata, ma un’uscita dell’Italia determinerebbe
quasi sicuramente il crollo di tutto l’edificio europeo. Lo scenario più probabile implicherebbe un forte
deprezzamento della lira rispetto all’euro, fuga di capitali, forte rialzo degli interessi (con conseguenze
evidenti sugli investimenti e sull’economia reale), rischio di default (se il debito pubblico dovesse essere
rimborsato secondo il vecchio valore rivalutato in euro), fallimenti bancari e panico generale. Anche i
benefici di una svalutazione sarebbero limitati a causa del rischio vizioso svalutazione-inflazione che
annullerebbe i guadagni di competitività a meno che di non porrebbe un freno ai salari con conseguenze
gravi sul tenore di vita dei lavoratori e crollo dei consumi. Anche l’altro beneficio relativo alla riconquista
della politica monetaria nazionale, che potrebbe essere calibrata in relazione alle esigenze interne e agli
shock che colpiscono l’economia, senza dover conto alle regole fiscali del Patto di Stabilità e del Fiscal
Compact, dovrebbe essere considerato sempre in un’ottica di mercato globale considerando l’elevato
debito pubblico della nostra economia. In conclusione, alla luce di quanto evidenziato, possiamo affermare
che un’uscita dell’Italia comporterebbe dei costi che sicuramente sarebbero maggiori dei benefici. La vera
sfida dell’Europa è correggere ciò che non va nell’attuale sistema attraverso una maggiore integrazione
tramite anche un bilancio specifico e scelte economicamente e socialmente sostenibili.