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Macroeconomia

La macroeconomia studia i comportamenti di un grosso aggregato di individui ovvero cosa


succede a livello mondiale, o di una comunità, o di uno Stato.

La macroeconomia nasce dallo studio delle crisi economiche.

La macroeconomia si occupa di aggregati, cioè la risultante dei comportamenti di tante persone.


Tuttavia, non è raro il parallelismo tra il benessere del singolo e l’andamento economico
dell’aggregato. La macroeconomia studia il “livello di salute” di un’economia e cerca di intervenire
nei malesseri.

La macroeconomia è una disciplina che si occupa di policy-maker, vale a dire come gli agenti
preposti a prendere decisioni in ambito macroeconomico e come reagiscono in momenti virtuosi
o di crisi. La macroeconomia analizza i fenomeni economici tentando di dare delle indicazioni ai
soggetti che prendono delle decisioni tentando di dare suggerimenti.

In generale i policy maker sono istituzioni che assumono decisioni di politica economica vale a
dire, di politica scale e monetaria, al ne di promuovere la crescita economica, sostenendo le
fasi di espansione e limitando quelle di contrazione.

Le politiche scali sono date da come lo Stato si nanzia e come utilizza i nanziamenti.

La politica monetaria riguarda le decisioni circa il denaro e la sua circolazione. Le banche centrali
sono le banche a livello di Stato o di Unioni che prendono questo tipo di decisioni.

In linea generale la nalità del policy maker è stimolare un certo tipo di crescita economica e di far
superare il più velocemente possibile i momenti di crisi.

Uno degli obiettività delle autorità di politica monetaria sono le stabilizzazioni dei prezzi: vi sono
periodi in cui i prezzi variano molto velocemente, dove vi è un forte processo in ativo.

I fenomeni riguardanti il PIL negli anni sono ciclici: il PIL mondiale non ha un andamento stabile
ma vi sono eventi (crisi, ad esempio covid) che possono far contrarre il PIL drasticamente o meno.

Crisi economiche: momenti in cui il sistema economico si trova in recessione cioè in una fase di
contrazione della produzione aggregata dovuta a uno squilibrio macroeconomico o a uno shock
esogeno.

La fase di contrazione contraddistingue una fase in cui non si registra un aumento adeguato alle
previsioni, o addirittura si può assistere a una diminuzione oppure a fasi di crescita negativa.

Alcune crisi sono dovute a qualcosa di esterno che inibisce la crescita, come shock esogeni,
pandemie…

Possono presentarsi crisi dovute a qualcosa di interno rispetto al sistema macroeconomico.

Crisi più importanti del mondo moderno:

1) crisi pandemica del 1918: epidemia dell’in uenza spagnola, post-prima guerra mondiale,
grande povertà del sistema produttivo. Questo è uno shock esogeno, seppur non del tutto. Fu
una violentissima pandemia, i giovani furono i più colpiti. Si intervenne con il lockdown, ma
alla ne gli stati che hanno adoperato politiche di restringimento della mobilità furono quelli
che registrarono i migliori ritorni economici. Quindi il presunto trade-o economico sembra
non ci sia stato. *il trade-o è un contrasto tra due fattori, tipo tempo amici-tempo studio* il
salvataggio di giovani vite umane è stato fondamentale al ne di ricevere dei ritorni economici
successivi.

2) Grande depressione del 1929: crollo della borsa di Wall Street. Ci sono varie scuole di
pensiero, talvolta in contrasto tra di loro. Si tratta sicuramente di una crisi interna

3) Crisi del 2007: crisi nanziaria. BANCHE: promuovono decisioni critiche. Le banche
statunitensi prestavano a tutti a bassi tassi. Quando le banche lasciano andare troppi soldi a
coloro che chiedono prestiti signi ca che questi soggetti saranno inadempienti, si ritroveranno
impossibilitati a restituire. Banche concedono MUTUI SUB-PRIME : mutui dati a persone, con
forti rischi di perdita del capitale versato. DERIVATI: strumenti nanziari che hanno alla base
altri strumenti nanziari.

4) Crisi del 2009: problema del debito dei paesi dell’Eurozona. l’Europa non uscì bene dalla II
guerra mondiale. Per evitare tali eventi, l’idea era quella di creare delle cooperazioni
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economiche durature tra paesi europei, quella che si chiamava Comunità Europea negli anni
’50 dove già si vedevano i prodromi dell’UE. Quindi si pensò di creare una moneta unica per
scambiare tra paesi, fu un processo lungo. Già negli anni 80 esisteva una moneta virtuale ECU
che era la media di tutti i valori delle monete europee. Si arriva poi alla creazione dell’euro, ma
non tutti i paesi dell’UE hanno l’euro. I paesi coinvolti nell’unione sono 27 attualmente (28
prima della Brexit). Nel 2009 ci fu un forte stress-test del sistema Europa con la possibilità che
l’Europa con la sua moneta cadessero in una forte crisi. Il sistema dell’UEM (unione
economica e monetaria, che de nisce l’eurozona) aveva de nito diverse caratteristiche che
dovevano essere soddisfatte dagli stati per poter entrare e mantenersi in tale sistema, erano
stati inventati degli indici con certe caratteristiche. Tra i vari indicatori vi era il concetto di
sostenibilità del debito, esso è il rapporto tra debito pubblico e produzione, e doveva essere
inferiore al 60%. La Grecia ad esempio aveva una spesa pubblica abbastanza importante, ha
avuto una crescita del PIL poco considerevole negli anni e quindi questo rapporto superò il
60%. La Grecia poteva essere aiutata a condizioni dure: la riduzione del disavanzo di bilancio
al ne di rendere sostenibile il debito pubblico con la politica scale restrittiva di austerity.
Oggi sono poste una serie di critiche alle politiche di austerity perché dietro di esse vi sono
delle persone che devono sostenere un tenore di vita dignitoso. La crisi ha portato una sorta
di panico del sistema euro e in ogni paese si registrò una contrazione importante del PIL che
raggiunse livelli negativi. Dopo di questo vi è stata una politica che ha a ancato l’austerity
con l’intervento della BCE, che diede una spinta all’economia che ha permesso di rivedere dei
tassi di crescita positivi.

1. PRODUZIONE AGGREGATA (PIL)


Il PIL va a considerare quanto è prodotto in un territorio da imprese che sono di proprietà di
soggetti di residenti sul territorio ma possono essere anche unità produttive appartenenti a
società estere. Si considerano sia le imprese nazionali che estere.

La produzione aggregata identi ca l’insieme dei beni e dei servizi prodotti da un sistema
economico in un determinato periodo di tempo. Nel sistema della contabilità nazionale la
produzione aggregata è de nita e misurata come Prodotto Interno Lordo (PIL).

Esiste un altro indicatore, il PNL, che va a considerare l’insieme di beni e servizi prodotti da
imprese nazionali sia sul territorio nazionale che sul territorio estero.

Il PIL è anche de nito come grandezza usso perché ci dice quanto produce un determinato
paese o sistema in un periodo di tempo. Flusso indica una grandezza relativa a un intervallo
temporale.

La contabilità nazionale è il sistema di regole utilizzate per misurare gli aggregati economici, di cui
uno è il PIL. Il PIL è nato dopo la II guerra mondiale, le prime rilevazioni avvengono in quei tempi
negli stati uniti intorno al 1947. È una disciplina statistica.

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L’impresa 1 produce materiale metallurgico che può essere utilizzato nell’attività produttiva. Può
essere presa dall’impresa 2 che produce automobili.

L’impresa 1 ha un ricavo di 100 € dalla vendita del metallo, ma sostiene anche dei costi, che sono
del tutto investiti in salari (80€). Il pro tto è pari a 20€ (100€-80€).

Nell’impresa 2 osserviamo un’attività più elaborata: l’impresa 2 costruisce automobili, la loro


vendita produce 200€ e per produrre ciò sostiene dei costi di 170 €. I costi sono dati da 70€ e in
più vi sono dei beni intermedi (l’acciaio dell’impresa 1) che sono gli stessi 100€ che l’impresa 1
ricava dalla sua produzione. I pro tti ammontano a 30 €.

Quindi quali sono le de nizioni di PIL?

1. Il PIL è il valore dei beni nali prodotti nell’economia in un dato periodo di tempo.
Che cosa si intende per nali?

All’interno del calcolo del PIL non vengono considerati i beni intermedi, i valori di quei beni che
non sono FINALI. I beni intermedi sono beni impiegati per la produzione di altri beni.

Questa prima de nizione suggerisce di costruire il PIL registrando e sommando la produzione dei
beni nali.

2. Il PIL è la somma del valore aggiunto nell’economia in un dato periodo di tempo.


Cosa è il valore aggiunto? Esso è il valore della produzione di un’impresa al netto (=diminuito del,
senza) del valore dei beni intermedi utilizzati nel processo produttivo.

I fattori della produzione (capitale e lavoro) apportano valore addizionale al valore dei beni
intermedi. Un aspetto fondamentale della vita economica è che ogni processo economico
aggiunge valore a ciò che viene utilizzato. L’impresa prende degli input, andando a lavorarli, al ne
di aggiungere qualcosa all’input.

Nel primo processo produttivo non vi sono beni intermedi: 100€ è il valore aggiunto della prima
impresa al netto dei beni intermedi utilizzati, che non ci sono, 100 sono i ricavi, 100 è il valore
aggiunto.

Nel secondo processo produttivo abbiamo beni prodotti che valgono 200€ ma è lordo in quanto
ha in sé una parte di beni che provengono da un altro processo (la prima impresa). I beni
intermedi valgono 100€ e devono essere decurtati. In tal caso epuriamo i ricavi del valore dei beni
intermedi e otteniamo 100€ (200-100).

La somma dei due valori aggiunti ci da il PIL (100 + 100)

3. Il PIL è la somma dei redditi dell’economia in un dato periodo di tempo.


Cosa sono i redditi? I salari. I redditi prodotti sono i salari che vanno nella mano dei lavoratori ma
anche i pro tti che vanno nella mano degli imprenditori.

Quindi: salari + pro tti. Nel caso della prima impresa 80€+20€ = 100, nel caso della seconda
impresa 70€+30€=100 -> 100 + 100= 200.

Il PIL viene calcolato in tutti e tre modi, spesse volte vengono calcolati tutti e tre al ne di vedere
se i valori coincidono.

Di erenza tra PIL reale e nominale


Il ne del PIL è stimare il valore della produzione ovvero dei prezzi per le quantità. In termini
nominali si sommano i valori di tutti i beni prodotti di un’economia in un certo lasso di tempo.
Questi beni vengono poi moltiplicati per i loro prezzi, si fa una somma e quello che viene fuori è il
PIL NOMINALE.

1) PIL NOMINALE: è la somma del valore dei beni e dei servizi nali prodotti in un’economia in
un dato periodo di tempo, valutati al loro prezzo corrente.

Tuttavia, per sommare valori riferiti a beni di erenti, è necessario esprimerli nella stessa unità di
misura ovvero la MONETA.

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Il PIL nominale varia nel tempo poiché variano sia la quantità dei beni o i prezzi dei beni, o un mix
di entrambi.

2) PIL REALE: è una misura migliore per comprendere le variazioni produttive. Il PIL reale è la
somma dei beni e dei servizi nali prodotti in un’economia in un dato periodo di tempo, valutati a
un PREZZO COSTANTE. (Al netto dei processi in ativi, del valore monetario)

Cerchiamo di valutare nel tempo la variazione della produzione non guidata da un cambiamento
dei prezzi.

Ci riferiamo per fare ciò a un ANNO BASE ovvero un anno scelto discrezionalmente per
identi care i prezzi a cui valutare i beni. Nel momento in cui valuto il PIL reale a una certa data (t), i
beni e servizi prodotti sono associati a un tempo base.

Le variazioni di PIL reale sono dovute solo alla produzione della quantità dei beni prodotti, questo
ci consente di misturare la variazione nel tempo della produzione escludendo la variazione dei
prezzi.

Questo andamento dei due PIL può presentare notevoli discostamenti: negli anni 70-80 vi erano
livelli in azionistici molto alti, l’aumento dei prezzi faceva aumentare di molto il PIL nominale a cui
non corrispondeva un aumento del PIL reale. Oggigiorno, dal 2008 in poi, i valori dei due PIL sono
molto prossimi, l’in azione è stata molto bassa quindi i due PIL si sono avvicinati.

Infatti nel 2015 registriamo un valore di PIL reale uguale a PIL nominale, ed è preso come anno di
riferimento.

Perché il PIL è oggetto di studio? Perché il PIL è un buon indicatore della ricchezza di una
popolazione. Tuttavia quando si vogliono descrivere fenomeni complessi come il tenore di vita,
usare un solo indice può risultare riduttivo e semplicistico.

Nel PIL tante cose non entrano: come la speranza di vita, che in Europa è molto più alta degli
USA. Non vengono valutati beni che sono pubblici, come le foreste, ma vengono calcolati solo
quando queste vengono distrutte per creare allevamenti di animali.

Per valutare l’andamento di un’economia di anno in anno, gli economisti considerano il tasso di
crescita del PIL reale, chiamato crescita del PIL. Le fasi di crescita positiva sono dette
espansioni, le fasi di crescita negativa sono dette recessioni.

PIL reale pro capite


Il PIL reale pro capite è il confronto, il rapporto tra il PIL reale e la popolazione di un paese, esso
rappresenta un indicatore del tenore di vita.

Ovviamente il confronto tra il Reddito procapite di paesi di erenti deve tenere conto del di erente
livello dei prezzi in ciascuno di essi.

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Tasso di crescita del PIL reale: esso è de nito dal tasso di variazione nel tempo di PIL reale

Yt-Yt-1/Yt-1

Questa quantità può essere sia positiva che negativa.

2.TASSO DI DISOCCUPAZIONE
L’occupazione è data dal numero di persone che hanno un lavoro, la disoccupazione è costituita
da lumerò di persone che non hanno una lavoro ma lo stanno cercando.

La forza lavoro è la somma dei lavoratori occupati e lavoratori disoccupati.

Gli occupati sono il numero di persone che hanno un lavoro (N)

I disoccupati sono il numero di persone che non hanno un lavoro, ma che sono alla ricerca di un
impiego.

Le forze di lavoro sono la somma delle persone occupate e disoccupate (L=U+N)

Quindi il tasso di disoccupazione è il rapporto tra il numero dei disoccupati e le forze di lavoro.

u= U/L

La popolazione degli inattivi: il numero di persone che non hanno un lavoro e non sono alla
ricerca di un impiego, tra questi sono de niti lavoratori scoraggiati quelli disposti ad accettare
un’o erta di lavoro.

Si noti che al crescere degli inattivi il tasso di disoccupazione tende a 0 ma questo non è
necessariamente positivo: gli scoraggiati non cercano nemmeno più lavoro quindi è indice di crisi.

Se tutti i lavoratori senza un’occupazione rinunciassero a cercare un impiego il tasso di


disoccupazione sarebbe pari a 0 ma questo non sarebbe necessariamente positivo.

Altro indice importante è il tasso di partecipazione ovvero il rapporto tra le forze di lavoro e la
popolazione di riferimento, usualmente quella in età di lavoro compresa tra i 15 e i 65 anni.

Questo tasso mette al numeratore la forza lavoro, gli occupati e quelli che cercano lavoro rispetto
quelli che potrebbero lavorare.

Il tasso di occupazione: misuriamo al numeratore la popolazione occupata e al denominatore la


popolazione di riferimento quella che sta tra i 15 e i 65 anni.

Tasso di disoccupazione elevato: gli individui fanno fatica a trovare lavoro, per cui non hanno un
reddito per acquistare bene e soddisfare i propri bisogni.

Dal punto di vista delle imprese potrebbe signi care uno scarso utilizzo dell’input lavoro.

Un tasso di disoccupazione basso potrebbe essere indice di impiego eccessivo del fattore lavoro
da parte delle imprese oppure una carenza delle forze lavoro.

Come si determina il tasso di disoccupazione? Ricordiamo che per essere disoccupati bisogna
non avere un impiego ma essere alla ricerca di uno.

Il calcolo del tasso di disoccupazione oggi si basa su indagini ad ampia scala sulle famiglie. In
Italia viene condotta dall’Istat che si occupa di condurre interviste campionesse si considera un
individuo occupato se, nella settimana precedente all’intervista, abbia svolto almeno un’ora di
attività lavorativa retribuita.

3. INFLAZIONE
È il fenomeno che descrive l’aumento generale dei prezzi: quando vedo che nel tempo i prezzi
aumentano questa economia è caratterizzata da in azione.

Nel caso di de azione parliamo di una riduzione del livello generale dei prezzi.

Il TASSO DI INFLAZIONE è la variazione nel tempo del livello generale dei prezzi. Se il tasso è
maggiore di 0 siamo in una fase di in azione e de azione se minore di 0.

Il de atore del PIL e l’indice dei prezzi al consumo sono due indicatori del livello generale dei
prezzi che dobbiamo ottenere per comprendere se siamo di fronte a un processo in ativo e
de ativo.

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De atore del PIL
Se il PIL nominale aumenta più velocemente del PIL reale, la ragione deve risiedere da un
aumento dei prezzi.
Il de atore del PIL è il confronto il PIL nominale nell’anno t con il PIL reale sempre dell’anno t.
Esso indica un livello generale dei prezzi. È un confronto tra medie dei prezzi dove al dominatore
troviamo i veri prezzi di mercato e al denominatore i prezzi dell’anno di riferimento.

Sono medie perché di fatto pesiamo i prezzi per le quantità prodotte in quell’anno.

Possiamo scomporre la crescita del PIL nominale come la somma di due tassi di crescita: il PIL
reale aumentato del tasso di in azione. Nel tempo vi sono due variazioni che possono incorrere
ovvero le quantità e i prezzi, e il PIL nominale le incorpora entrambe.

Indice dei prezzi al consumo


È un altro indicatore che misura una media dei prezzi dei beni di consumo cioè di quei beni
consumati dalle famiglie. Cerchiamo un indice di prezzo relativo al consumo delle famiglie. Questo
indice non tiene conto delle altre spese ma si focalizza sulle famiglie. Viene calcolato dall’ISTAT e
dall’EUROSTAT tramite indagini campionarie.

L’indice dei prezzi al consumo è un numero indice il cui valore dipende dalla scelta dell’anno
base. Essa è un’altra misura dell’in azione, dal momento che vi sono tante in azioni tutte
nalizzate allo studio di particolari fenomeni.

L’aspetto che è interessante è che le di erenze tra andamento del tasso di in azione calcolata
tramite delatore del PIL e calcolata tramite indice dei prezzi al consumo, in situazioni normali, non
si discostano moltissimo.

Perché l’economia si interessa di in azione? Il problema dell’in azione è che non


necessariamente i salari e le imposte variano in linea con i prezzi, per cui un tasso di in azione
elevato può modi care la distribuzione del reddito.

Che signi ca? Se i prezzi aumentano del 2% e così anche il mio salario, il problema non si pone.
Vi sono stati momenti storici in cui vi era la cosiddetta scala mobile che legava salari a in azione
al ne di non porre problemi.

Il problema è che ciò può modi care la distribuzione del reddito, possono cambiare il numero di
famiglie benestanti, e famiglie povere… un’in azione elevata può produrre delle variazioni nella
distribuzione della ricchezza e del reddito e che hanno notevole impatto sul funzionamento
dell’economia.

Non necessariamente i prezzi variano tutti nelle stesse direzioni, non tutti i prezzi aumentano in
egual misura, per cui un tasso di in azione elevato può modi care i prezzi relativi e generare
incertezza, riducendo l’e cienza del sistema economico. L’in azione è un indice GENERALE di
tutti i prezzi e questo può generare confusione.

Anche la de azione elevata può creare dei cambiamenti nel livello generale dei prezzi e delle
di coltà. La de azione riduce la capacità della politica monetaria di in uenzare la produzione.
Oltre al cambiamento del rapporto dei prezzi, un fenomeno de ativo può rendere di cile
l’intervento di autorità monetarie.

Una bassa in azione può essere positiva per molti economisti in quanto potrebbe essere indice di
domanda crescente perché le persone diventano sempre più ricche.

Legge di Okun e la Curva di Philipps


Legge può signi care una cosa dimostrata o un’evidenza ma queste sono evidenze che leggiamo
dai dati, sono delle leggi empiriche. Se vedo una relazione tra alcune variabili senza spiegarle
sono leggi empiriche.

La legge di Okun è una regolarità empirica per cui la variazione del tasso di disoccupazione è
una funzione negativa (che risponde negativamente) del tasso di crescita della produzione. Tassi
di crescita del PIL alti producono dei tassi di disoccupazione bassi.

In linea generale, c’è un legame tra crescita produttiva e disoccupazione: se la produzione cresce,
la disoccupazione diminuisce in quanto servono più lavoratori per produrre.

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Questo motiva l’attenzione che gli economisti del PIL: se il PIL cresce velocemente mi aspetto di
vedere una riduzione del tasso di disoccupazione. Politiche a favore della crescita del PIL
provocano una diminuzione del tasso di disoccupazione.

Questa è una relazione che vige in molte aree, quali USA e Europa, non è pero chiara l’intensità di
questo aspetto, vi sono situazioni che si discostano molto da questo dato in altre aree del mondo.

La curva di Philipps descrive una relazione che mette a confronto il tasso di in azione con il tasso
di disoccupazione , tra essi vi è una relazione negativa. In generale viene osservato che paesi con
tassi di in azione alti hanno una disoccupazione più bassa. L’in azione è positiva per far
assumere persone. Su questa osservazione è nata la macroeconomia moderna: Philipps è il primo
che ha studiato questa relazione e non produce sempre e etti positivi.

Tuttavia spesso questa relazione è stata strumentalizzata al ne di aumentare consensi, di fronte


alla diminuzione della disoccupazione. Tuttavia, specialmente negli anni ’80, questa relazione ha
mostrato le sue debolezze con un’iper-in azione al 10-15%.

ORIZZONTE TEMPORALE
Data la produzione aggregata, ovvero il livello di equilibrio della produzione dato dall’uguaglianza
della domanda e dell’o erta, l’obiettivo della politica economica è di promuovere un’espansione
equilibrata della produzione.

In che modo sono importanti gli orizzonti temporali per gli obiettivi delle politiche economiche?
Perché vi sono degli obiettivi diversi per ciascun lasso di tempo.

• Lungo Periodo: se si parla di lungo periodo ci interessiamo di politiche che favoriscano la


creazione di nuovo capitale per la produzione, per la produzione di capitale umano cioè
come le persone siano in grado di usare nuove tecnologie e essere più competitivi, ci
interessiamo all’istruzione e alla sua qualità. Questi non sono cambiamenti repentini. Il
problema è che le politiche di lungo periodo investono 10,20 anni ma nessun politico ha un
mandato di così tanti anni. Si rischia che le politiche di lungo periodo non siano ben
implementate per un discorso relativo alla lunghezza dei mandati politici

• Breve Periodo: stiamo guardando una situazione attuale, di un anno o poco più. Nel breve
periodo sono essenziali le politiche promosse per la variazione della domanda. Nel breve
periodo siamo interessati a cercare di implementare delle politiche che stimolino la domanda.
Nel breve periodo il sistema produttivo ha delle caratteristiche ma quello che diventa
fondamentale è la domanda, quello che i consumatori richiedono e quello che richiedono le
imprese come investimenti.

• Medio Periodo: per capire gli andamenti di medio periodo ci concentriamo sulla produzione,
sulle caratteristiche dell’o erta data una certa tecnologia.

Cercare di operare sul PIL in questi tre periodi può produrre e etti contrari su uno o sull’altro
periodo. Conta molto l’orizzonte temporale.

Cap 3: IL MERCATO DEI BENI


CICLO = DOMANDA -> PRODUZIONE -> REDDITO

Questo ciclo economico è rinomato, l’idea è che data una domanda, quella che imprese e
consumatori richiedono, i beni domandati vengono prodotti dal sistema economico. La vita di
questi prodotti produce reddito e esso viene distribuito ai consumatori che ripongono la domanda
e così via. Questo è uno scambio continuo tra domanda e produzione.

.1 LA COMPOSIZIONE DEL PIL


Il PIL che cos’è? Il valore della produzione utilizzando i prezzi correnti o riferiti a un anno base.

Ci troviamo nel breve periodo, dove i prezzi sono costanti e dove non c’è distinzione tra PIL
nominale e PIL reale.

Ci interessa pero la composizione del PIL. Il PIL è la somma dei valori delle quantità prodotte
ognuna pesata per i propri prezzi.

Quali sono le quantità? All’interno del PIL vi sono vari dati, varie componenti.

• CONSUMO (C): nel PIL troviamo il consumo operato dalle famiglie. Troviamo pero anche la
componente degli investimenti ovvero i consumi posti in essere dalle imprese ovvero le spese
operate dalle imprese.

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Rientrano anche beni di INVESTIMENTO cioè beni indirizzati nel sistema produttivo sia
nell’immediato che nel futuro. Questi beni di investimento entrano nel PIL in quanto producono
dei ussi di ritorni produttivi non solo nell’immediato ma anche nel futuro. Quando si parla di PIL è
bene considerare che vi sono vari beni che vanno considerati, beni di consumo, beni di
investimento, ad opera rispettivamente di famiglie e di imprese.

Quando un bene è pluriennale e sei un imprenditore, sai che quel bene ha una sua “vita”. Ogni
anno quando si prepara il bilancio si va a imputare una parte di questo valore all’esercizio.

Il Prodotto interno è detto LORDO in quanto non si considerano gli ammortamenti, nel PIL non
viene considerato il naturale decadimento degli investimenti nel tempo.

(Esiste un altro indice, il PIN ovvero prodotto interno NETTO, cioè al netto degli ammortamenti.)

• INVESTIMENTO (I): L’investimento è la somma dell’investimento non residenziale da parte delle


imprese e dell’investimento residenziale.

• SPESA PUBBLICA (G): si tratta di beni e servizi acquistati dallo Stato e dagli enti pubblici. I
servizi includono anche quelli o erti dai dipendenti pubblici cioè i loro stipendi. G però non
include i trasferimenti come pensione e interessi sul debito pubblico

Quindi nel PIL troviamo CONSUMI AD OPERA DELLE FAMIGLIE, INVESTIMENTI DELLE
IMPRESE, SPESA PUBBLICA.

Tuttavia c’è un’altra componente che è data dalle importazioni e esportazioni:

La somma di consumo, investimento e spesa pubblica de nisce la domanda di beni da parte dei
residenti di un paese, ma di erisce dalla domanda di BENI NAZIONALI a causa di importazioni
(IM=domanda di beni esteri da parte dei residenti), esportazioni (X = domanda di beni nazionali da
parte dei non residenti) le esportazioni fanno aumentare il PIL, le importazioni destinano il reddito
in un’altra nazione.

Inoltre vi è il SALDO COMMERCIALE, dato dalla di erenza tra esportazioni e importazioni. Se il


saldo è maggiore di 0, si de nisce avanzo commerciale se è minore di 0 si de nisce un disavanzo
commerciale.

Nella realtà non tutto quello che viene prodotto viene domandato: vi sono i cosiddetti invenduti
che possono essere beni venduti negli anni successivi. Sono anche questi investimenti registrati
dalla contabilità nazionale all’interno delle scorte e sono detti investimenti scorte. Sono
investimenti involontari dovuti al fatto che qualcosa è stato prodotto ma non è stato venduto che
però può essere venduto negli anni successivi.

Queste scorte di magazzino aumentano se la domanda si abbassa e diminuiscono se c’è


aumento di domanda.

Non sono investimenti voluti, o decisioni di investimento ma si trovano per scostamento tra
domanda e o erta.

La di erenza tra quello che viene prodotto e quello che viene domandato sono le scorte. La
variazione delle scorte rappresentano lo scostamento tra quanto viene prodotto e quanto viene
consumato.

La domanda di beni: il Modello Keynesiano


Questo modello parte da elementi della contabilità nazionale.

1. È un modello di breve periodo dove si assume che i prezzi non varino.

2. Si considera un solo bene consumato sia come bene di consumo che di investimento.

3. In UN solo mercato l’idea è che nel breve periodo, seppur vi siano delle variazioni, le imprese
siano in grado di produrre tutto ciò che i consumatori chiedono dal momento che gli
scostamenti non possono essere enormi.

Date queste premesse, l’identità Z=C+I+G - IM: dove Z (domanda aggregata) è data dalla somma
di consumo (C) investimento (I) spesa pubblica (G) al netto delle importazioni (IM).

Tuttavia la nostra economia è chiusa quindi non vi sono rapporti con l’estero, né importazioni né
esportazioni quindi la nostra identità è
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Z=C+I+G

IL CONSUMO
De niamo la componente più innovativa del pensiero keynesiano relativa alla funzione di consumo
cioè una funzione comportamentale che con un’equazione che descrive le decisioni di consumo
delle famiglie.

I consumi dipendono dal reddito disponibile attraverso una legge.

Le decisioni di consumo dipendono da molteplici fattori, primo tra tutti il reddito disponibile (Yd),
ossia ciò che rimane del reddito disponibile al netto delle imposte pagate e dei trasferimenti
ricevuti dal governo. Quando il reddito disponibile aumenta, le persone acquistano di più e
viceversa.

C = C (YD)

Assumeremo che la relazione tra consumo e reddito disponibile sia data dalla relazione:

C= c0 + c1 YD

È ragionevole assumere che la funzione di consumo sia una relazione lineare caratterizzata da due
parametri: c0 e c1.

• c1 è la cosiddetta propensione al consumo ed è un coe ciente positivo che ci dice come il


reddito disponibile si traduce in volontà di consumo ad opera delle famiglie. È l’e etto sul
consumo di un euro aggiuntivo di reddito disponibile. Esso è detto propensione al consumo o
propensione marginale al consumo e viene stimato dagli economisti, viene dato ai policy
makers per prendere le loro decisioni.

Questo coe ciente è positivo e si trova tra 0 e 1 in quanto non si può consumare di più del
proprio reddito. Una parte verrà consumata e una parte andrà nei cosiddetti RISPARMI.

Non può essere maggiore di uno perché attingerei ai miei risparmi, può esistere solo nel breve
periodo.

La di erenza (1-C1) è detta propensione marginale al risparmio, o anche complemento ad uno


della propensione al risparmio.

• c0 è il consumo autonomo: il livello del consumo se il reddito disponibile fosse 0, ovvero il


livello di consumo necessario per soddisfare i bisogni essenziali oppure il livello di consumo
indipendente dal livello del reddito corrente.

Variazioni di c0 determinano delle preferenze di consumo per un dato livello di reddito disponibile.
Aumenti di c0 ri ettono un desiderio di consumo più alto dato un livello di reddito.

La variazione di un’unità del reddito determina una variazione del consumo minore di 1. Perché?
Se Y viene moltiplicato con C1 (che è compreso tra 0 e 1) e quindi la variazione del reddito
produce una variazione del consumo minore perché moltiplicata per C1.

(Riporta foto gra co più spiegazioni dal quaderno.)

INVESTIMENTI E SPESA PUBBLICA (I) E (G,T)


L’investimento è considerato, nel modello base, come parametro, come variabile esogena. Non si
modi ca nel breve periodo.

Questa ipotesi in alcuni contesti non è realistica.

Anche le imposte, ovvero gli strumenti della politica scale del governo, vengono considerate
come variabili esogene.

Si suppone che siano dati i livelli di spesa pubblica e di imposizione scale.

Il motivo è dato dalla non prevedibilità del comportamento del governo. L’obiettivo dell’analisi è di
comprendere gli e etti della politica scale.

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LA DOMANDA AGGREGATA
Quindi abbiamo tutti gli elementi per de nire la domanda aggregata: tenendo conto delle nostre
ipotesi, la somma di consumo, investimento e spesa pubblica si de nisce la domanda aggregata
come la domanda di beni nazionali da parte dei residenti e dei non residenti.

Z= C + I + G

Z = c0 + c1 (Y-T) + I + G

Se isoliamo tutti gli elementi otteniamo la funzione di domanda che descrive come varia la
domanda di beni al variare del reddito ed è de nita da una relazione lineare:

Z = (c0 + I + G -c1T) + c1Y =

A + c1Y

Tutti i parametri vengono raccolti in una parentesi (separati dai valori con la Y) e poi formalizzati in
A. A colleziona tutti i parametri dell’equazione.

Come C anche Z è una funzione lineare del livello del reddito ma questo reddito disponibile ma il
vero e proprio reddito, non quello disponibile, perché T (le imposte) è stato inserito all’interno di
A.

Se studiassimo la funzione del consumo in base al reddito, non al reddito disponibile, avremo
ancora una volta una retta inclinata positivamente ma che non parte da c0 ma da c0-Txc1 (?).

Equilibrio nella produzione


Anche in questo caso la situazione di equilibrio è data da un’uguaglianza tra domanda e o erta.

Z = Y = Yp = Yr

Cosa sono Yp e Yr? Abbiamo parlato di PIL come somma del valore di beni e di servizi nali, ma
anche come somma dei redditi.

La produzione di equilibrio si ottiene sostituendo nell’equazione della domanda la condizione di


equilibrio:

Y = (c0 + I + G - c1T) + c1Y

La Y compare due volte perché simboleggia sia il reddito che la produzione: in altre parole, perché
la domanda, il livello di consumo, dipende dal reddito.

Spostiamo c1Y a sinistra:

Y - c1Y = (c0 + I + G - c1T)

Y compare due volte quindi lo mettiamo in evidenza:

Y ( 1 - c1) = ( c0 + I + G - c1T)

Ricaviamo il livello di Y dividendo tutto per (1-c1):

YE = 1/(1-c1) x (c0 + I + G - c1T) = 1/(1-c1) x A

A ricompare per sempli care e identi ca la componente della spesa autonoma cioè la
componente della domanda di beni che non dipende dal livello di produzione.

GRAFICAMENTE:
Andando a rappresentare la produzione, il lato sinistro della nostra equazione, ottengo una retta
a 45° con pendenza = 1. Perché ? Perché reddito (asse orizzontale) e produzione (asse verticale)
coincidono sempre.

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Il lato destro rappresenta la curva di domanda aggregata ovvero una funzione lineare del reddito.
Ha un coe ciente angolare dato da c1, tra 0 e 1, il punto di incontro tra produzione e domanda è
il reddito di equilibrio.

Quasi tutti i modelli veri cano la condizione di equilibrio. Si assume che inizialmente l’economia si
trovi in equilibrio macroeconomico di breve periodo dato che i prezzi sono dati.

EQUILIBRIO: SPESA PUBBLICA, ALGEBRA (2)


La produzione di equilibrio si ottiene sostituendo nell’equazione della domanda la condizione di
equilibrio ma aggregando in modo di erente i vari elementi.

Sappiamo che l’equazione della domanda sia Z = C + I + G.

Nulla però mi vieta di togliere il livello di tassazione sul lato sinistro e sul lato destro
dell’equazione.

Cosa succede nel momento in cui tolgo T a destra e sinistra?

Y-T=C+I+G-T

Isoliamo la I sul lato destro, dove I è il livello degli investimenti.

Otteniamo: (Y-T-C) + (T - G) = I

T potrebbe essere sempli cato ma non lo facciamo perché hanno un signi cato economico.

T e G sono le imposte e la spesa, quello che si legge nella seconda parentesi (T-G) è il cosiddetto
risparmio pubblico cioè quanto il pubblico risparmia quando si collezionano tasse dai cittadini e le
utilizza nella spesa pubblica.

Se la quantità è positiva, lo Stato spende meno di quanto prende dai cittadini. Abbiamo un
avanzo di bilancio.

Se la quantità è negativa lo Stato sta spendendo di più di quanto riscuote dai cittadini. Abbiamo
un disavanzo di bilancio.

La prima quantità in parentesi (Y-T-C) cosa rappresenta? Y sono i redditi, al netto delle imposte
quindi il reddito disponibile, C è il livello di consumo quindi cosa avanza quando togliamo dal
reddito disponibile i consumi? I risparmi.

Ebbene questa prima parentesi è il cosiddetto risparmio privato, risparmio delle famiglie.

Gli investimenti non sono altro che la somma dei risparmi privati e risparmi pubblici.

Quindi un altro modo per determinare l’equilibrio è che i risparmi siano uguali agli investimenti.

Nel momento in cui sostituiamo al consumo la rispettiva funzione, andiamo a vedere a chi è
uguale C, otteniamo di nuovo la stessa soluzione: l’equilibrio non è soltanto l’uguaglianza tra
domanda e o erta, non solo l’intersezione tra retta e bisettrice a 45°, ma anche l’uguaglianza tra
risparmi totali e investimenti. Questo ovviamente in un sistema di economia chiusa.

YE = 1/(1-c1) x (c0 + I + G - c1T) = 1/(1-c1) x A

A = SPESA AUTONOMA
In A collezioniamo spese e tasse, si identi ca la componente della domanda di beni che non
dipende dal livello di produzione o dal livello di reddito.

IL MOLTIPLICATORE
Il moltiplicatore è quella componente che identi ca l’e etto della spesa autonoma nella
determinazione dell’equilibrio.

Esso è (1/1-c1), A è essenziale per determinare il livello di equilibrio nell’economia.

Il moltiplicatore è sempre maggiore di 1 in quanto c1 è compreso tra 0 e 1, dividendo 1 per


quantità più piccole di 1 otteniamo un coe ciente maggiore di 1.

Una variazione di A produce una variazione sul reddito di equilibrio che è maggiore della
variazione stessa di A.

Più grande è il moltiplicatore, maggiori sono le variazioni di A sul reddito di equilibrio. Questo
accade quando c1 è prossimo a 1.

Il modello Keynesiano prevede che l’aumento della spesa pubblica, così come la riduzione delle
tasse, abbiano un e etto sul reddito di equilibrio maggiore della variazione stessa di G e T.

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Il modello keynesiano ci dice che se il reddito è troppo basso lo stato deve aumentare la spesa
pubblica in quanto nel breve periodo l’aumento della spesa pubblica produce un aumento del
reddito maggiore della spesa pubblica stessa.

Se si aumenta la spesa pubblica di un certo tot, che succede al reddito? Il PIL reagisce
aumentando dello stesso tot.

Non essendo Y soltanto produzione, aumentano anche i consumi perche essi dipendono dal
reddito.

1) Aumento della spesa pubblica fa aumentare il PIL

2) Quando il PIL aumenta, le famiglie sono più ricche e spendono di più.

3) Quando aumenta la domanda, aumenta anche la produzione

4) Quando aumenta la produzione, di nuovo aumenta anche il PIL

Fase 1
La variazione di una delle componenti autonome di un’unità vediamo che questo si traduce in
una variazione di produzione e di reddito pari a un’unità.

ΔA = ΔZ1 = ΔYP,1 = ΔYR,1 = 1

Fase 2
Le famiglie sono più ricche quindi spendono di più. Oltre all’aumento di un’unità, troviamo anche
l’aumento di c1:

ΔYR,1 = ΔYR,1 X C1 = ΔZ2 = ΔYP,2 = ΔYR,2 = 1 x c1

C1 è l’aumento della spesa dovuto alla propensione marginale al consumo che de nisce questo
aumento del reddito.

Fase 3
Essendo aumentato il reddito, le famiglie sono più ricche, quindi una parte di questa ricchezza
viene impiegata in consumo ovvero 1 x c1 x c1 = c1 x c1

Di fatto si creano un’in nità di ripercussioni: la variazione alla ne del reddito di equilibro di fronte
alla variazione di un’unità delle componenti autonome è:

Δa = 1 -> ΔYe = 1 + c1 + c1^2 + c1^3 ….

Alla ne otteniamo che:

ΔYe = 1/1-c1

1/1-c1 è la somma di tutte le ripercussioni che si ottengono dal punto di vista economico di fronte
all’aumento di un’unità delle componenti autonome (A).

Il moltiplicatore quindi sintetizza l’intensità della relazione circolare tra domanda, produzione e
reddito, de nendo di quanto varia la produzione di equilibrio al variare di 1 unità della spesa
autonoma.

L’aumento della spesa autonoma tenera un aumento della domanda, poi della produzione e in ne
del reddito. A sua volta, l’aumento del reddito genera un aumento della domanda, ma minore del
precedente

AGGIUSTAMENTI NEL TEMPO


Aggiustamento verso un nuovo equilibrio in seguito a un cambiamento di una delle componenti
della spesa autonoma.

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Cosa succede se uno dei parametri della spesa autonoma cambia? Se ad esempio c0 aumento di
1 mld di euro?

Al livello iniziale di reddito (corrispondente al punto A) i consumatori incrementeranno la loro


spesa di 1 mld di euro.

Se c0 è poi alto di 1 mld di euro la domanda è più alta di 1 mld di euro.

La curva di domanda trasla verso l’alto in misura parti a 1 mld di euro. Il nuovo equilibrio
corrisponde al punto di intersezione fra la retta a 45° e la nuova curva di domanda, nel punto A’.

L’incremento della produzione da Y a Y’ è maggiore dell’aumento iniziale di 1mld di euro per


l’e etto del moltiplicatore.

Ora la domanda è più grande di 1 mld di euro. Per soddisfare questo nuovo livello di domanda, le
imprese aumenteranno la produzione di 1mld di euro e questo fa sì che il reddito aumenti di 1 mld
di euro.

Tuttavia, l’aumento del reddito induce un ulteriore aumento di domanda e la produzione aumenta
no al punto di equilibrio.

Gra camente cosa accade?

1) Il primo aumento della domanda è indicato dalla distanza AB.

2) Questo aumento della domanda porta a un aumento equivalente della produzione, sempre
rappresentato dalla distanza AB

3) Questo aumento della produzione da luogo ad un aumento di pari ammontare del reddito,
segnalato dal passaggio BC

4) Il secondo aumento della domanda, registrato da CD, è uguale a 1mld moltiplicato per la
propensione marginale al consumo (c1)

5) Questo secondo aumento della domanda porta a u d’aumento di pari ammontare della
produzione, anch’esso rappresentato dal segmento CD

6) Questo porta un aumento di pari ammontare del reddito, concretizzato dalla distanza DE

7) Il terzo aumento della domanda è uguale a c1 mld di euro moltiplicato per c1, la propensione
marginale al consumo, uguale a c1 x c1 mld di euro ovvero c1^2 mld di euro e così via.

RUOLO DEL GOVERNO


Abbiamo molto sottolineato l’importanza delle politiche scali ovvero spesa pubblica e
tassazione, ma vi sono anche dei limiti in quanto il governo non più procedere nel brevissimo
periodo in quanto vi sono dei tempi di attuazione necessari per scrivere norme che permettano di
intervenire con precise politiche.

Vi possono essere anche dei cambiamenti nelle aspettative da parte dei consumatori, così come
da parte delle imprese, che possa in qualche modo ampli care o diminuire la portata
dell’intervento pubblico.

Queste politiche possono provocare anche una variazione dei tassi di interesse fondamentali per
la de nizione degli investimenti delle imprese.

CAP 4: I MERCATI FINANZIARI


Reddito consumo e risparmio: non sono variabili usso che possono essere riferite con un
riferimento ad un periodo di tempo.

Vi sono altre grandezze quali il PATRIMONIO: variabile stock che può essere riferita e misurata
con riferimento ad un preciso istante di tempo.

C’è una di erenza tra FLUSSO e STOCK: usso indica un determinato arco temporale, stock ad
una data precisa.

Il patrimonio, variabile stock, rappresenta la ricchezza posseduta dalle famiglie attraverso


operazioni di accumulazione del risparmio e investimento in attività nanziare e passività
nanziarie.

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Il patrimonio è la ricchezza totale posseduta dalle famiglie.

Di questo patrimonio si va a de nire un sottoinsieme ovvero la RICCHEZZA FINANZIARIA: quella


parte del patrimonio di un soggetto de nita dalla di erenza tra le attività nanziarie e le passività
nanziarie. Anche questa è una variabile stock.

Le attività possono essere investimenti in mercati, in borsa, ricchezze accumulate, le passività


possono essere debiti da saldare…

ATTIVITA’ FINANZIARIA: è una variabile stock. Nella ricchezza nanziaria possiamo trovare dei
titoli che vengono contrattati in un certo mercato. Ho delle attività nanziarie nel momento in cui
detengo titoli. Ho delle passività nanziarie quando un altro ha diritto a ricevere da me dei servizi
legati al fatto che ha venduto un titolo. Quando vendo il titolo ho una passività nanziaria, quando
lo detengo, ho un’attività nanziaria.

Considereremo due tipi di attività nanziarie:

1) Titoli: emessi dallo stato oppure dalle imprese. Lo stato emette titoli per liquidità cioè per
ottenere risorse per acquistare qualcosa. Lo stato e le imprese si possono nanziare per
mezzo di essi. Essi hanno un interesse positivo ma non possono essere usati per le
transazioni.

2) Moneta: La moneta ha tante funzioni. In primis la moneta non paga alcun interesse. La
moneta per noi è il circolante ma è anche data dai depositi su conto corrente. Supponiamo
che le banche non diano interesse sul deposito. Uno degli usi è che la moneta è un oggetto
che posso usare per veri care transazioni cioè per acquistare beni, è quindi un mezzo di
pagamento. Quando i soldi sono depositati in banca vengono utilizzati mediante carte di
debito cioè garantite da depositi che si hanno in banca e quando si utilizzano una quota di
soldi viene presa dal conto corrente e viene trasferita sul conto corrente di chi si acquista. La
carta di credito invece da la possibilità di avere un nanziamento.

La moneta è anche unità di misura, cioè l’unita mediante la quale i prezzi sono espressi.

La moneta è un mezzo di pagamento cioè consente di regolare le transazioni attraverso la sua


circolazione, mediante procedure contabili o elettroniche.

La moneta è anche una riserva di valore: in quanto detenere moneta permette di trasferire nel
tempo la ricchezza, al netto dell’in azione.

La moneta è un’alternativa ai titoli tra due diversi modi di allocare la ricchezza nanziaria.

MONETA VS TITOLI
La moneta ci permette di e ettuare pagamenti, di avere una riserva di valore.

I titoli ci producono interessi.

Qual è un mix ottimo tra quanto detenere in titoli e detenere in moneta?

Questo dipende sia dalla quantità delle transazioni che dal tasso di interesse sui titoli.

4.1 LA DOMANDA DI MONETA


La funzione della domanda di moneta cercherà di trovare un mix ottimo di titoli e moneta.

La domanda di moneta dipende dal reddito in maniera positiva e negativamente dal tasso di
interesse.

La domanda di cui parliamo è la domanda che imprese e famiglie pongono rispetto alla moneta.

Innanzitutto c’è una relazione negativa col tasso di interesse: un aumento del tasso di interesse
riduce la domanda di moneta in quanto gli individui preferiranno detenere ricchezza in titoli.

La domanda di moneta dipende dal reddito in quanto questo viene usato come proxy cioè
descrive in maniera abbastanza prossima il livello di transazioni. Più aumenta il reddito più
aumentano le transazioni.

Dato che la moneta ci serve essenzialmente come mezzo di pagamento, più scambi ci sono
nell’economia, più la domanda di moneta è alta.

Md = €Y+ L(i) -

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Dato un livello di reddito nominale mi aspetto che la domanda di moneta, misurata sull’asse
orizzontale, in funzione di i, sia una funzione decrescente.

La domanda di moneta è una funzione decrescente del tasso di interesse dato un livello del
reddito nominale.

All’aumentare del reddito la curva di sposta verso destra. Allo stesso livello del tasso di interesse
la domanda di moneta aumenta di fronte a un reddito più alto, quindi più scambi a rontati.

OFFERTA DI MONETA
L’o erta di moneta è la quantità di moneta che la banca centrale decide di o rire. Quindi è la
quantità di moneta presente in economia decisa dalla banca centrale.

In Europa abbiamo la BCE.

La banca centrale, come autorità che ha il monopolio della moneta, decide quanta moneta deve
essere posta in un sistema, ssando un livello.

L’autorità centrale monetaria decide quanta moneta deve essere presente nel sistema, ci
aspettiamo che l’o erta sia verticale: il livello è ssato indipendentemente dal tasso di interesse.

EQUILIBRIO NEL MERCATO DELLA MONETA


Troviamo l’equilibrio del sistema nel punto di intersezione tra domanda e o erta.

L’interazione tra domanda e o erta di moneta in questo mercato de nisce un tasso di equilibro.

NB: è il tasso di interesse che viene formato in base a reddito, e non viceversa.

Cosa succede a un aumento del reddito nominale? La domanda si sposta verso destra.

L’o erta non è in uenzata. Si genera un nuovo equilibrio con un tasso di interesse più alto.

Anche la BC potrebbe decidere di cambiare l’o erta di moneta tramite una politica monetaria
espansiva. Se si immette moneta nel sistema, la retta verticale si sposta verso destra.

Come fa la banca centrale a intervenire sul mercato e spostare la curva di o erta di moneta?

qual è il bilancio, lo stato patrimoniale della Banca Centrale?

Ogni bilancio è caratterizzato da attività e passività.

Le attività, cioè la ricchezza della banca centrale è costituita dai titoli che ella ha nel suo forziere.
L’attività della banca centrale, la sua ricchezza, è data dai titoli che detiene nel forziere. Sono titoli
di imprese e titoli di stato.

La passività della banca centrale è la MONETA: la moneta è emessa dalla banca centrale e per
questo può essere vista come una passività. Nel momento in cui la banca vuole intervenire
aumentando la moneta presente nel sistema economico, dovrebbe aumentare l’o erta di moneta,
stampando moneta, ritirando titoli e mettendo nell’economia moneta.

Se la banca centrale fa una politica espansiva, ovvero acquistando titoli immettendo moneta nel
sistema, avremo che la banca ha più titoli alla ne dell’operazione e al contempo avrà maggiore
passività in quanto avrà più moneta nel sistema economico.

Abbiamo de nito il funzionamento del mercato monetario che, data una domanda e un’o erta,
genera un tasso. Questo mercato è collegato col mercato nanziario che è speculare rispetto al
mercato monetario.

Quando si parla di mercati nanziari ci si riferisce ai titoli azionari e alle sue variazioni.

Come è legato il mercato di moneta col mercato di titoli?

I due mercati funzionano a specchio in quanto la ricchezza nanziaria può essere investita in
moneta o in titoli.

Supponiamo che il mercato nanziario consiste in un unico titolo, pubblico o privato che sia, che
paga dopo un anno una somma di denaro ssa (facciamo sia 100 euro).

Nel nostro mercato viene scambiato questo titolo, non produce nel tempo dei ritorni ma a
scadenza da 100 €.

Compriamo questo titolo, lo deteniamo, a scadenza otteniamo 100€.

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Qual è il rendimento di questo titolo? Questo è determinato da quanto paghiamo oggi. Visto che
alla scadenza il titolo mi da 100€ per capire il rendimento dovrò confrontare quanto otterrò alla
ne e quanto andrò a pagarlo oggi. Consideriamo questa relazione:

i = 100-pT/pT

i è il tasso annuo del rendimento del titolo, pT è quanto lo paghiamo al momento dell’acquisto.

Possiamo anche ricavare p, in funzione di i.

Pt=100/1+i

Questa espressione ci dice la relazione tra prezzo e tasso.

Vi è una relazione negativa tra prezzo di un titolo e tasso. Più i è alto, essendo al denominatore,
più il prezzo è basso. Il tasso di equilibrio è inversamente proporzionale al prezzo del titolo stesso.

Nella realtà avviene che la banca centrale per immettere moneta acquista titoli. Se acquista
titoli, per la legge della domanda e dell’o erta, se aumenta la domanda, aumenta anche il
prezzo. Questo causa un aumento di pT, il nostro tasso di rendimento va a diminuire, i
diminuisce.

In questo schema di riferimento abbiamo escluso uno dei più grandi soggetti nell’ambito dei
mercati nanziari ovvero gli intermediari nanziari cioè le banche.

4.3 IL SISTEMA DELLE BANCHE


Nel sistema esistono due banche: la banca centrale ovvero la monopolista nella creazione della
moneta, e il sistema bancario.

Il sistema bancario (l’insieme delle banche) ha diverse funzioni e detiene attività e passività. La
passività è data dai depositi: tutto quello che si da alla banca, è un debito alla banca nei nostri
confronti.

Quali sono le attività? e ettuare prestiti, acquistare titoli, oppure le riserve.

Le riserve sono delle quantità di moneta che la nostra banca vuole e deve detenere al suo
interno.

Perché la banca deve detenere riserve?

• Ogni giorno alcuni correntisti prelevano dai propri conti correnti. Non sempre entrate e uscite
devono essere uguali per cui la banca deve tenere a disposizione un po’ di contante.

• I correntisti di una banca emettono assegni nei confronti di aree banche. Quanto la banca deve
alle altre banche potrebbe essere maggiore di quanto essa deve ricevere dalle stesse.

• Esistono riserve obbligatorie per le banche, proporzionali ai depositi in conto corrente. In


Europa, ad esempio. Le banche devono detenere una riserva di liquidità determinato in
relazione alla composizione del loro bilancio. Le riserve obbligatorie sono l’1%.

Nel nostro sistema bancario sempli cato supponiamo che i prestiti non esistano, che siano pari a
0. La banca non e ettua prestiti ma l’unica sua attività redditizia è acquistare titoli.

La BC a livello di attività ha nei suoi forzieri i titoli e come passività ha la moneta.

Per quanto riguarda le passività, la moneta in parte la detengono le banche, depositata nei forzieri
delle singole banche come riserva.

Quindi l’attività è data da riserve e circolante.

Riformuliamo la domanda e l’o erta di moneta in questo contesto dove, rispetto al modello base,
abbiamo anche il sistema bancario.

Sia noi, consumatori, che le banche formulano la domanda di moneta. Le banche lo fanno per le
riserve.

La domanda di moneta sarà data dal circolante (Md) + riserve. Il circolante è a opera del sistema
economico, non bancario, in quanto sono le famiglie e le imprese che lo richiedono mentre le
riserve sono chieste dal sistema bancario.

La domanda di moneta è data dalla soma di queste due.

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Si suppone che la domanda di circolante sia pari a 0. Si suppone che non circoli moneta. Esso si
ritroverà nel sistema bancario, non avremo disponibilità sica.

La domanda di moneta complessiva è solo dovuta al sistema bancario.

Visto che l’attività economica si traduce in depositi vi è un legame tra la domanda di moneta ad
opera degli operatori che lavorano nell’economia e quanto la banca richiede per la domanda di
moneta per le riserve. La riserva è una quota-parte dei depositi, i depositi sono legati alla
domanda di moneta da parte delle famiglie

Supponiamo che il sistema bancario voglia detenere una percentuale θ di riserva sui depositi.

Se tutto nisce nel sistema bancario (tramite conto corrente) perché non deteniamo circolante,
abbiamo che la domanda di moneta è quella abbiamo introdotto a opera di famiglie e imprese
(Md=€YL(i)). Questo si traduce in una domanda di riserve da parte del sistema bancario perché
questi soldi vengono messi direttamente in banca.

Si può de nire H come domanda di riserve che sarà θ Md = θ€YL(i).

La BCE non opera direttamente con famiglie e imprese, ma opera sul sistema bancario. La
domanda-o erta che si instaura è tra BCE e sistema bancario.

O erta di moneta data dalla BC


L’o erta è data in quanto è scelta, decisa da parte della banca centrale. La banca centrale può
andare a in uenzare il tasso di interesse andando a operare con il sistema bancario che avrà una
sua domanda di riserve che è molto simile a quella vista in precedenza in quanto Hd è una quota-
parte della domanda di moneta.

La domanda ad opera delle famiglie e imprese è collegata in maniera negativa al tasso di


interesse.

Dato che la banca è la monopolista, la detentrice dell’o erta di moneta può decidere il lato
dell’o erta.

L’interazione tra domanda delle banche e l’o erta de nisce il tasso di equilibrio del sistema.

DUE MODI DIVERSI PER DETERMINARE IL TASSO DI INTERESSE


Nel primo caso non consideriamo il sistema bancario, ma che la banca centrale controlli l’o erta
di moneta.

Fissa quindi un livello di o erta trovando un tasso di interesse di equilibrio che combaci con la
domanda.

Nel secondo caso invece la domanda di moneta resta invariata ma cambia l’obiettivo: si ssa un
target di tasso e in base a questo trovo la quantità di moneta o erta per trovare un equilibrio.

TRAPPOLA DELLA LIQUIDITÀ


Non sempre la domanda di moneta è composta nel modo in cui la conosciamo, spesse volte
possiamo notare una sorta di asintoto dove vediamo che come al solito la domanda di moneta è
inversamente collegata a i, ma a un certo punto questa curva ha una specie di asintoto.

Questa forma è importante in quanto permette di capire l’ine cacia degli interventi della banca
centrale.

Supponiamo che la banca centrale voglia controllare il tasso di interesse, abbassandolo ad


esempio, possiamo spostare verso destra l’o erta di moneta.

Vi sono dei livelli bassi del tasso in cui la banca centrale può aumentare l’o erta ma questo non
aumenta il tasso di interesse.

Capitolo 5: modello IS-LM


Questo modello è un’estensione della croce keynesiano.

Il modello della croce keynesiana ragionava solo nel breve periodo, quindi i prezzi erano costanti, i
fenomeni in ativi non erano rilevanti.

Si assumeva che sia gli investimenti fossero dati.

Il modello IS-LM endogenizza gli investimenti, che non sono più una costante ma dipendono da
qualcosa.

Le imprese adeguano la capacità produttiva degli impianti al livello di domanda, tenendo conto
dei costi da sostenere per implementare gli investimenti.

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Le decisioni di investimento dipenderanno dalle aspettativa circa l’andamento del PIL ma anche
dal tasso di interesse.

L’investimento è tutt’altro che costante e dipende dal livello delle vendite, in quanto un’impresa
che a ronta un aumento delle vendite dovrà investire. E inoltre dipende dal tasso d’interesse in
quanto più questo è alto, tanto meno conveniente sarà indebitarsi al ne di realizzare
l’investimento.

I = f(Y,i)

Mi aspetto una relazione positiva rispetto a Y, rispetto al reddito: i livelli di domanda e delle
vendite sono sempre proporzionali al reddito. Se il PIL sta aumentando, questo produrrà ritorni nel
futuro. A un aumento del reddito corrisponde un aumento degli investimenti.

Ogni investimento ha un suo costo, la relazione tra investimenti e tasso di interesse è negativa.
Ricordiamo che i è quanto mi costa e ettuare l’investimento, non quanto mi conviene.

I è anche il tasso di costo opportunità. Posso decidere di non investire nell’impresa ma acquistare
i titoli. Più i è basso, più voglio e ettuare investimenti perché il prezzo è più basso.

Un aumento del tasso di interesse fa diminuire l’investimento.

Molte imprese non e ettuano più investimenti, poiché il valore di i è basso, in quanto investendo
in mercati nanziari ci guadagnano di più e bassi investimenti creano problemi produttivi.

C’è di erenza tra investimenti nanziari, in titoli, e investimenti intesi come industriali cioè acquisti
volti al miglioramento della propria attività imprenditoriale.

5.2: IL MERCATO DEI BENI E LA CURVA IS


I ora dipende da Y e i, non è più una costante ma dipende dal reddito e dal tasso di interesse.
Tutte le altre componenti sono le stesse:

Z = C (Y,T) + I(Y, i) + G

Questa relazione non è molto di erente quanto visto nella croce keynesiana: la domanda e il
reddito erano correlati in maniera positiva. Qui avviene la stessa cosa, con la spinta delle imprese.
Non sono solo i consumatori, ora anche le imprese investono.

Il consumo dipende dal reddito e dalle tasse.

Quindi le componenti determinate, i parametri, di questa relazione sono la spesa pubblica, le


imposte, la componente autonoma del consumo, e anche il tasso di interesse che viene deciso
dal mercato nanziario.

Ricordiamo che ci troviamo nel breve periodo!

Come risponde la domanda all’aumento del reddito? Se aumenta il reddito, le famiglie


consumano di più e le imprese investono maggiormente.

La variazione della domanda di fronte a una variazione del reddito è un coe ciente compreso tra
0 e 1. È un’estensione della propensione marginale al consumo, in quanto notiamo anche la
propensione marginale agli investimenti. Essa dipende dalla sensibilità degli investimenti alla
variazione del reddito.

Questa curva di domanda sarà simile al modello della croce keynesiana.

Sarà una funzione crescente di Y.

A un aumento di Y, l’aumento di Z è minore dell’unità.

STATICA COMPARATA
A parità di altri fattori la domanda cresce e quindi la curva si sposta verso l’alto se:

• T diminuisce

• G aumenta

• C0 aumenta

In generale, la curva si sposta verso destra per tutti quei fattori che fanno aumentare la domanda.

La curva si sposta verso sinistra per tutti quei fattori che fanno diminuire la domanda.

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IL RUOLO DEGLI INVESTIMENTI
In che modo gli investimenti in uenzano il gra co? Gli investimenti sono negativamente correlati
al tasso di interesse, al costo del denaro.

Se i (tasso di interesse) aumenta, gli investimenti diminuiscono, la curva trasla verso il basso. (?)

L’aumento del costo del denaro va a deprimere gli investimenti e la domanda diminuisce.

LA CURVA IS
Vogliamo costruire una curva che vada a identi care tutte le coppie di tasso di interesse -
produzione - reddito, per le quali il mercato è in equilibrio cioè dove la domanda di beni nazionali
(Z) è uguale alla produzione aggregata e al reddito (Y = Yp = Yr).

Z=Y

La sua equazione Y=C(Y;T) + I(Y,i) + G

Un aumento del tasso di interesse riduce l’investimento e la produzione di equilibrio attraverso


l’e etto del moltiplicatore.

(Riporta paragrafo 1.3 + foto dal libro 5.2)

Supponiamo che, data una curva di domanda ZZ con equilibrio iniziale nel punto A, che il tasso di
interesse aumenti da un valore iniziale i a un valore i più alto (i’). Il maggior livello di i riduce
l’investimento e la domanda quindi la curva di domanda si sposta verso il basso a un livello ZZ’. Il
nuovo equilibrio si trova tra l’intersezione tra la nuova curva di domanda ZZ’ e la curva a 45°. Il
nuovo livello di equilibrio della produzione e Y’.

Quindi un aumento del tasso di interesse riduce l’investimento e la riduzione dell’investimento fa


diminuire la produzione che a sua volta diminuisce il consumo (domanda).

Un maggior tasso di interesse è associato a un livello di produzione inferiore.

Al diminuire del tasso di interesse l’equazione ha una y più grande (Y’ < Y)

La relazione tra TASSO DI INTERESSE e PRODUZIONE è rappresentata dalla curva IS, inclinata
negativamente.

Al di sopra della curva IS troviamo un eccesso di produzione, al di sotto un eccesso di domanda.

Quindi:

1) un aumento del tasso di interesse riduce la domanda di beni a ogni livello di produzione e
porta a una riduzione della produzione di equilibrio

2) L’equilibrio nel mercato dei beni richiede che un aumento del tasso di interesse porti a una
riduzione della produzione. Quindi la curva IS, che descrive la relazione tra tasso di interesse e
produzione, è inclinata negativamente.

Come risponde la curva alle variazioni, quando i parametri variano?

Consideriamo le variazione della curva perché variano i parametri che de niscono la curva stessa.

Se c0 aumenta trasla verso destra, se aumenta c0 alo stesso livello di tasso di interesse aumenta.

Se aumenta la tassazione la curva trasla verso sinistra in quanto diminuisco il reddito disponibile e
la domanda delle famiglie sarà più bassa.

Se aumenta G la curva trasla verso destra, la spesa pubblica fa aumentare il reddito.

Se diminuisce T la curva trasla verso destra, perché il reddito disponibile è più alto.

In linea generale: per ogni dato tasso di interesse, ogni fattore che fa diminuire il livello di
equilibrio della produzione fa spostare la curva IS verso sinistra.

Per un fato tasso di interesse, ogni fattore che faccia aumentare il livello di equilibrio della
produzione, fa spostare la curva IS verso destra.

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L’obiettivo è studiare gli equilibri su due mercati diversi sia sul mercato dei beni che su quelli
nanziari. A tal proposito introduciamo la curva LM.

5.2: CURVA LM e i mercati nanziari


L’equilibrio nei mercati nanziari è dato dall’uguaglianza tra o erta e domanda di moneta.

M = €Y L(i)

Dove M rappresenta lo stock nominale di moneta.

Il lato destro invece rappresenta la domanda di moneta che è in funzione del reddito nominale e
del tasso di interesse nominale i.

Questa equazione stabilisce una relazione tra moneta, reddito nominale e tasso d’interesse. È
però conveniente riscrivere la relazione come una relazione tra moneta REALE, reddito REALE e
tasso d’interesse.

Per fare ciò dividiamo l’equazione per il livello dei prezzi P per ottenere il reddito REALE.

Dato che Y (pil reale) = €Y (più nominale) / P (livello generale dei prezzi)

M/P = Y L(i)

Ecco la relazione LM.

Come si interviene sulla politica monetaria? In termini di scelta in merito allo stock di moneta (M) o
in termini di tasso di interesse (i)?

Se pensiamo di intervenire su M allora la politica monetaria ci dice che la domanda reale di


moneta deve essere uguale all’o erta. Quindi, se prendessimo in esame un aumento del reddito,
per una data o erta di moneta, un aumento del reddito porta a un aumento del tasso d’interesse.

Tuttavia la nostra banca centrale interviene sul tasso di interesse, che è il suo target. Ogni volta
che sso un tasso di interesse si crea una quantità di moneta sul mercato corrispondente volta a
raggiungere il tasso d’interesse target.

5.3 : L’EQUILIBRIO DEL MODELLO IS-LM


Qual è la condizione di equilibrio se la banca pone come target un interesse a prescindere dalla
domanda di moneta ad opera delle famiglie?

La curva di LM sul mercato nanziario, visto che la banca ssa un tasso di interesse a prescindere
dalla domanda, sarà una retta ORIZZONTALE.

Se prendo un punto che si trova sopra la curva LM, il tasso di interesse è più alto, diminuisce la
domanda, abbiamo un ECCESSO DI OFFERTA.

Se prendo un punto sotto la curva LM, il tasso di interesse è più basso, aumenta la domanda,
abbiamo un ECCESSO DI DOMANDA.

Quindi ora nel piano abbiamo due curve:

1) CURVA IS: identi ca l’equilibro nel mercato dei beni (Y=C(Y-T) + I(Y,i) + G)

2) CURVA LM: identi ca, nello stesso piano, l’equilibrio dei mercati nanziari. (I = i)

L’equilibrio generale identi ca il livello del tasso di interesse e il livello di produzione tali per cui il
mercato del bene e il mercato nanziario sono congiuntamente in equilibrio.

Nel punto di equilibrio abbiamo sia un reddito di equilibrio che un tasso di interesse di equilibrio.

Il modello IS-LM genera un reddito e un tasso di interesse di equilibrio.

Rispetto al modello della croce keynesiana, il modello IS-LM mostra anche il mercato nanziario,
non solo quello dei beni.

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Se anche il sistema non si trovasse in equilibrio, gli aggiustamenti avvengono partendo dalla
curva LM. Si suppone che il mercato nanziario sia sempre in equilibrio poiché i mercati nanziari
sono molto veloci.

Se ci muoviamo lungo la curva LM i mercati nanziari sono sempre in equilibrio.

Questo signi ca che la banca centrale ssa un tasso di interesse ed è così abile e quel tasso di
interesse è quello di equilibrio.

(Non possiamo avere punti sopra e sotto la curva LM perché e sempre in equilibrio)

Sotto la curva IS abbiamo un eccesso di domanda per gli investimenti troppo bassi, quindi le
imprese devono produrre di più, aumentare il reddito no alla produzione di equilibrio.

Sopra la curva IS abbiamo un eccesso di o erta quindi bisogna produrre di meno no a


raggiungere equilibrio.

Come possono intervenire le autorità di politica monetaria e di politica scale, cioè la banca
centrale e le manovre di politica scale e come questi interventi possono modi care il livello di
equilibrio, il reddito e il tasso di interesse.

Politica scale: politica portata avanti dal Governo che interviene nell’economia attraverso
decisione che possono comportare una variazione della spesa pubblica e del livello generale della
tassazione.

La tassazione generale è un livello ssato.

Tra i vari livelli che de niscono lo spostamento della curva IS abbiamo la spesa pubblica (G) e la
tassazione (T).

Le politiche monetarie si traducono un variazioni del tasso a opera della banca centrale.

La variazione del tasso, potrà abbassare o alzare la curva LM. Variazioni di (i).

5.3.1 POLITICA FISCALE E MONETARIA


Ogni politica apporterà un cambiamento nei valori di equilibrio del sistema economico quindi
cerchiamo di capire le concause che portano un cambiamento nel reddito e del tasso di interesse.

Quando aumenta la domanda aggregata aumenta con un conseguente eccesso di domanda la


produzione dovrà reagire per adeguarsi.

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La variazione di Z porta a una variazione del reddito Y. Il reddito è un elemento essenziale nel
de nire i consumi e gli investimenti che rispondono positivamente a variazioni del reddito.

Si crea una catena di eventi guidati dal moltiplicatore che ora tiene conto dell’incremento degli
investimenti, dei consumi generato dalla variazione di una componente autonoma.

POLITICA FISCALE
Una riduzione del disavanzo pubblico, raggiunta mediante un aumento delle imposte o una
diminuzione della spesa pubblica da vita a una contrazione scale.

Viceversa, un aumento del disavanzo pubblico, con un maggior nanziamento nella spesa
pubblica, o con una riduzione delle imposte, da vita a un’espansione scale.

Come possono questi cambiamenti in uenzare le curve IS e LM? In che modo?

Prendendo in analisi un eventuale incremento delle imposte, quali sono gli e etti prodotti sul
modello IS-LM?

L’incremento delle imposte in uenza la relazione tra produzione e tasso d’interesse descritta dalla
curva IS.

A ogni dato tasso di interesse, un aumento delle imposte riduce la produzione perché diminuisce
il reddito disponibile. La curva IS si sposta a sinistra.

La banca centrale non modi ca il suo tasso di interesse quindi la curva LM non si sposta.

In sintesi, quando la curva IS si sposta, l’economia si muove lungo la curva LM.

L’incremento delle imposte provoca una riduzione del reddito disponibile che a sua volte riduce i
consumi e che a sua volte riduce la produzione e quindi il reddito.

ESEMPI:
Se intervengo sulla spesa pubblica: (+ΔG)

ΔG = ΔZ = ΔYp =ΔYr -> ΔI e ΔC -> ΔYe

La variazione di Y del reddito di equilibrio, sarà maggiore della variazione di G per l’e etto del
moltiplicatore. 1€ di spesa pubblica produce un aumento del reddito di equilibrio maggiore di 1€.

A un aumento della spesa pubblica la curva IS si sposta verso destra. Si chiama politica scale
espansiva perché è volta a espandere il reddito di equilibrio.

Se intervengo sulle tasse: (-ΔT)

ΔT = ΔC = ΔZ = ΔYp = ΔYr -> ΔI e ΔC -> ΔYe

Se le tasse diminuiscono questo fa aumentare i consumi, cioè aumento della produzione,


aumento del reddito e quindi aumento degli investimenti. Quindi se diminuisco la tassazione di 1€
il nuovo reddito di equilibrio che si genera aumenta più di 1€.

POLITICA MONETARIA
Consideriamo ora la politica monetaria in particolare prendiamo in analisi il caso in cui la banca
centrale riduca il tasso di interesse. Per farlo, è necessario un aumento dell’o erta di moneta,
tramite un’espansione monetaria.

Al contrario, un aumento del tasso di interesse presuppone una riduzione di moneta con una
contrazione monetaria.

Il cambiamento del tasso di interesse non in uenza la curva IS che, appunto, non si sposta.

Il cambiamento però induce a uno spostamento della curva LM che si sposta verso il basso.

Quindi ora l’economia si muove lungo la curva IS.

La riduzione del tasso di interesse stimola l’investimento e fa aumentare la domanda e la


produzione. L’aumento del reddito conduce a un aumento del reddito disponibile e quindi del
consumo. Sia il consumo che l’investimento aumentano.

ESEMPI: (-ΔI)
Δi = ΔI = ΔZ = ΔYp = ΔYr -> ΔI e ΔC -> ΔYe
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Una diminuzione del tasso di interesse fa aumentare gli investimenti, con aumento della spesa
aggregata ovvero della produzione e quindi del reddito. Le famiglie e le imprese aumentano gli
investimenti e i consumi.

GRAFICAMENTE
Gra camente osserviamo la costruzione di due livelli diversi di IS e LM di fronte a una politica
espansiva che può essere di tre tipi:

1) Politica scale, +ΔG: l’incremento della spesa pubblica implica un processo di convergenza
da un vecchio equilibrio a uno nuovo dato uno spostamento della retta IS verso destra.

2) Politica scale -ΔT: analogo discorso, la riduzione delle imposte implica uno spostamento
della curva IS verso destra con un nuovo equilibrio

3) Politica monetaria -Δi: la riduzione del tasso di interesse induce a un abbassamento della
curva LM e questo implica un nuovo equilibrio. Questo è caratterizzato da un livello di redito
più alto.

Queste politiche scali e monetarie producono un reddito di equilibrio ottenuto sia attraverso la
politica scale, sia dalla politica monetaria.

I due equilibri sono comunque di versi: è vero che il reddito Y è uguale ma i tassi sono diversi.

(Inserisci gra co dal Ppt)

Con la politica scale il processo di aggiustamento sulla nuova curva di equilibrio avviene sulla
curva LM in quanto il mercato nanziario è sempre in equilibrio quindi vedrò un reddito che si
sposta con un tasso sso.

Come nella croce keynesiana, anche in questo modello, il diminuire delle tassazioni o l’aumentare

della spesa pubblica può creare di problemi di debito pubblico che non vengono considerati.

Possibilità 1: aumentiamo la spesa pubblica e diminuiamo la tassazione insieme al tasso di


interesse: la curva IS si sposta verso destra e la curva LM si sposta al di sotto. Il tipo di
espansione scale adottato in questo caso determina un aumento del consumo o della spesa
pubblica.

Y= C(Y,T) + I(Y,i) + G

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Possibilità 2: contrazione scale quindi diminuiamo G e aumentiamo T, e diminuiamo il tasso i.

IS si sposta verso SINISTRA e LM si abbassa. Abbiamo creato un reddito di equilibrio invariato


però con un tasso più basso. L’investimento nel secondo equilibro è più alto perche il tasso di
interesse è più basso.

Possibilità 3: politica monetaria restrittiva a fronte di una politica scale espansiva. Aumenta la
spesa pubblica, diminuisce la tassazione, gli investimenti aumentano. La curva LM sale verso
l’alto e la curva IS trasla vedo destra.

Il reddito di equilibrio è sempre lo stesso ma gli investimenti nel nuovo equilibrio sono più bassi.

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POLITICA ECONOMICA:
A parità di e etti sulla produzione di equilibrio, il mix adottato di politica scale e politica
monetaria dipende da:

1) LIMITI: il livello del debito pubblico. Il tasso di interesse dovrebbe essere abbassato per
stimolare l’economia ma se il tasso fosse già 0 non può essere ulteriormente abbassato.

Se il tasso di interesse fosse in zero lower bound la politica scale dovrebbe farsi carico di tutto il
problema. Non ci sarebbe spazio di intervento da parte della politica monetaria, se il tasso di
interesse è già prossimo allo zero.

2) EFFICACIA: tempi di reazione dei consumi alla variazione delle imposte della spesa pubblica
alle decisioni del policy maker, degli investimenti al saggio di interesse.

3) OBIETTIVI: non vi è solo un obiettivo. Gli obiettivi delle autorità, dei policy makers possono
essere diversi. Alcuni obiettivi possono essere l’espansione economica, la sostenibilità delle
nanze o la composizione della produzione di equilibrio.

(1) molto spesso i policy Lakers decidono di adottare le politiche scali e monetarie
congiuntamente, sia in senso contrario che uguale.

Perche? Perché adottando il cosiddetto mix di politica economica più aiutarci a raggiungere i
nostri obiettivi.

Se l’economia si trova in recessione poiché la produzione è troppo bassa, sia la politica monetaria
che scale possono ovviare al problema.

Una politica scale espansiva, ad esempio, attraverso una riduzione delle imposte, sposterebbe la
curva IS verso destra. E una politica monetaria espansiva porterebbe la curva LM a livelli più
bassi.

Queste politiche insieme contribuiscono all’aumento della produzione.

Ma perché si usano questi mix? Per diminuire la recessione basta anche utilizzare solamente la
politica scale.

• Un’espansione scale signi ca un aumento della spesa pubblica, o una riduzione delle imposte,
o entrambi. In entrambi i casi questo porta a un aumento del disavanzo di bilancio e questo può
essere rischioso.

• Un’espansione monetaria ci porta a una riduzione del tasso di interesse. Se il tasso di interesse
è prossimo allo zero lower bound allora solo la politica scale potrà intervenire, e quella
monetaria avrà un raggio d’azione limitato.

• La politica monetaria e la politica scale hanno degli e etti di erenti sulla composizione della
produzione. Una riduzione del tasse sul reddito tende a aumentare il consumo piuttosto che
l’investimento. Viceversa una riduzione del tasso di interesse avrà un e etto maggiore sugli
investimenti che sul consumo.

A volte occorre usare il mix in maniera opposta per avere dei risultati ottimali:

Si può ad esempio abbinare a un consolidamento scale l’espansione monetaria.

Se il governo si trova in forte disavanzò di bilancio e vuole ridurlo, non vuole dare il via a una
recessione. Come si fa?

Se il governo riduce il disavanzo di bilancio, o aumentando T, o riducendo G, la curva IS si sposta


verso sinistra. Il livello di produzione di equilibrio sarà notevolmente più basso e questo porterà a
una recessione.

Tuttavia se viene usata anche la politica monetaria riducendo i tasso di interesse si può ottenere
un tasso che porti la produzione ai livelli precedenti.

Quello che accade al consumo e all’investimento dipende da su cosa si agisce: se si agisce sulle
imposte il reddito disponibile sarà minore dunque il consumo diminuirà. Se si agisce sulla spesa
pubblica vediamo che questo non intacca il reddito.

Capitolo 6: modello IS-LM esteso


1. TASSO DI INTERESSE REALE E NOMINALE
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Il tasso di interesse ci dice quanto denaro dovremo restituire in futuro in cambio di un’unità di
denaro oggi. Tuttavia non consumiamo euro, consumiamo di fatto beni. Quando prendiamo a
prestito ciò che ci interessa veramente sapere è quanti beni dovremmo restituire in futuro in
cambio dei beni che otteniamo oggi.

Questa distinzione è importante per la presenza dei processi in ativi. È per questo che la
distinzione tra tassi di interesse diventa rilevante:

1) Tasso di interesse nominale: è il tasso di interesse espresso in termini di euro, in quantità di


moneta. Il tasso interesse per un anno è detto it. Prendendo a prestito un euro quest’anno
dovremmo dare l’anno successivo (1+it)

2) Tasso di interesse reale: è il tasso di interesse in termini di beni. Indica il rendimento di


un’attività nanziaria come variazione del potere d’acquisto. Esso si indica, per un anno con
rt. Per prendere a prestito un’unita di beni quest’anno dovremmo pagare l’equivalente di 1 + rt
l’anno successivo.

Come si passa da tasso di interesse nominale a reale? Dobbiamo “correggere” il tasso di


interesse nominale con l’in azione attesa.

Assumiamo che nella nostra economia vi sia un solo bene. Indichiamo con it il tasso di interesse
nominale e pagheremo, prendendo in prestito quest’anno, l’anno successivo 1 + it.

Tuttavia non siamo interessati alla moneta: vogliamo sapere quanto pane potremo acquistare fra
un anno.

Come deriviamo il tasso di interesse reale?

1) Supponiamo di voler mangiare un kg in più di pane quest’anno. Se il prezzo del pane al chilo
quest’anno è Pt euro, dovremmo farci prestare Pt euro.

2) Se it è il tasso di interesse nominale annuo e ci facciamo prestare Pt euro, l’anno prossimo


dovremmo restituire (1+it)Pt euro.

3) A noi però interessa la quantità di pane non gli euro. L’ultimo passo è convertire gli euro nella
quantità di pane acquistabile per l’anno successivo. Indichiamo con Pe t+1 il prezzo del pane
atteso per l’anno successivo. Quello che ci aspettiamo di dover restituire il prossimo anno in
termini di chili di pane equivale a (1+it)Pt diviso per Pe t+1. Otteniamo che il tasso di interesse
reale a un anno è dato da:

1 + rt = ( 1 + it ) Pt/Pe 1+t

Indichiamo il tasso di in azione attesa tra t e t + 1 con πe t+1. Poiché vi è un solo bene, il tasso di
in azione equivale alla variazione attesa del prezzo del pane fra quest’anno e il prossimo diviso
per il prezzo del pane di quest’anno:

πe t+1 = (Pe t+1 - Pt/Pt)

Sostituiamo questo nella precedente equazione per ottenere il tasso di interesse reale:

1 + rt = ( 1 + it ) / 1 + πe t+1

Tuttavia quando il tasso di interesse nominale e l’in azione attesa non sono molto elevati, meno
del 10% all’anno, una buona approssimazione a questa equazione è data da una semplice
relazione:

rt ~ it - πe t+1

Alcune conseguenze di questa approssimazione sono:

• Quando l’in azione attesa è uguale a zero, il tasso di interesse reale e nominale sono uguali.

• Poiché l’in azione attesa è di solito positiva, il tasso di interesse reale è tipicamente inferiore
rispetto a quello nominale

• Per un dato tasso di interesse nominale, maggiore è l’in azione attesa, minore sarà il tasso di
interesse reale.

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Inoltre se gli individui si attendono un’in azione allora il tasso di interesse reale è negativo.

Se gli individui si attendono de azione i tasso di interesse reale è positivo.

Il caso in cui l’in azione attesa è uguale al tasso di interesse nominale è interessante in quanto il
tasso di interesse reale sarà uguale a zero.

Se il tasso di interesse nominale aumenta del 10% io posso chiedere un prestito ma quello che
otterrò indietro è una moneta che vale di meno, che ha meno potere d’acquisto.

ZERO LOWER BOUND E DEFLAZIONE

Come abbiamo potuto intendere, quello che realmente importa agli individui è il tasso di interesse
reale. Sebbene la banca centrale scelga il tasso di interesse nominale, quando essa decide la
politica monetaria da applicare ha in mente il tasso di interesse reale in quanto questo in uenza le
decisioni di spesa.

La banca deve tenere conto dell’in azione attesa. Se la banca centrale vuole raggiungere un
tasso di interesse pari a r, deve scegliere un tasso di interesse nominale i tale per cui, data
l’in azione attesa, il tasso reale sia pari al livello desiderato.

Tuttavia, lo zero lower bound implica che il tasso di interesse nominale non può essere negativo,
altrimenti gli individui non vorranno tener titoli, piuttosto preferiranno tenere del circolante.

Questo implica che il tasso d’interesse reale non più essere minore del negativo
dell’in azione.
Fintanto che l’in azione attesa è positiva, è possibile raggiungere tassi di interesse reali negativi,
ma se l’in azione attesa è negativa, il valore minimo raggiungibile dal tasso di interesse reale è
positivo.

6.2 RISCHIO E PREMIO PER IL RISCHIO


Esistono molti tipi di titoli che di eriscono sotto molti aspetti.

1) SCADENZA: cioè l’arco temporale su cui si garantiscono i pagamenti.

2) RISCHIOSITA’: alcuni titoli sono privi di rischio, cioè la probabilità che il debitore non paghi il
debito è trascurabile. Altri titoli sono rischiosi. Vi è una probabilità non trascurabile che il
debitore non sia in grado di riparare il suo debito.

Chiunque sia nella posizione di prestarci denaro sa che esiste la possibilità che non saremo in
grado di rimborsare quanto richiesto. Lo stesso vale per imprese che emettono titoli: alcune
imprese sono più rischiose di altre.

Per assumersi tale rischio richiedono un premio per il rischio.

Premio per il rischio: rendimento aggiuntivo che viene riconosciuto al creditore in ragione del
grado di solvibilità del debitore. Il tasso di rendimento e ettivo di un’attività nanziaria varia in
ragione del grado di solvibilità che caratterizza ciascun debitore.

Da cosa dipende?

1) PROBABILITA’ DI FALLIMENTO DEL DEBITORE: maggiore questa probabilità, maggiori sarà il


tasso di interesse su un titolo richiesto, un titolo con probabilità p di fallimento.

Dal momenti che sul mercato nanziario vi sono molti titoli, essi devono essere equivalenti. Ci
deve essere un’indi erenza tra titolo rischioso e non rischioso, questo è possibile grazie al
premio.

La condizione di NON ARBITRAGGIO si veri ca quando il creditore è indi erente tra:

1) REDNIMENTO ATTIVITA’ FINANZIARIA NON RISCHIOSA: R = ( 1 + i)

2) RENDIMENTO ATTESO DA ATTIVITA’ RISCHIOSA: R= (1-p) x Rr + p x (0) = (1-p) (1 + iR)

Dove Rr è il rendimento del titolo rischioso, se il debitore paga.

0 è il rendimento nel caso in cui il debitore non paghi

P è la probabilità di fallimento.

iR è il tasso di interesse nominale di un’attività rischiosa.

La probabilità di insolvenza del debitore ( 0 < p < 1) è stimata dal creditore tenendo conto delle
caratteristiche oggettive del debitore e del suo soggettivo grado di avversione al rischio.

Quindi il rendimento atteso è

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(1 + i) = (1-p) (1 + iR)

Riordiniamo i termini dell’espressione per ottenere il premio per il rischio:

(1+i)/(1-p) = (1+iR) -> x = iR - i = f(p)

Il premio per il rischio dipende positivamente dalla probabilità di insolvenza del debitore ed è pari
alla di erenza tra tasso di interesse nominale di un’attività rischiosa e tasso di interesse di una
attività priva di rischio.

6.3 IL RUOLO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI/BANCHE


Come per ogni altra attività, il tasso di interesse sui prestiti sarà determinato dalla somma tra il
tasso di interesse nominale e il premio per il rischio.

iPR = i + x

Finora abbiamo considerato il nanziamento diretto cioè il caso in cui il debitore prende a prestito
direttamente dal creditore.

In realtà la maggior parte dei prestiti avviene attraverso gli intermediari nanziari che sono
istituzioni nanziarie che ricevono fondi dai risparmiatori o dagli investitori per poi prestarli ad altri.

La maggior parte dei prestiti avviene tramite banche ma vi sono anche istituzioni nanziare non
bancarie.

Essi prendono e danno a prestito, richiedendo un tasso di interesse leggermente più alto di quello
pagato per prenderlo per ricavarne un pro tto.

Nel caso dei prestiti, la stima della probabilità di insolvenza del debitore, ovvero il calcolo del
premio per il rischio ri ette le caratteristiche oggettive del debitore ma dipende positivamente dal
grado di avversione al rischio della banca.

Se la banca è avversa al rischio, richiederà una x più alta, un premio per il rischio più alto.

Il grado di avversione al rischio è un atteggiamento che ha la banca di fronte alla possibilità di


concedere il prestito.

Se chiedo tassi più alti, presterò meno denaro

Dato un bilancio di una banca molto semplice:

Troviamo tra le attività i prestiti erogati alle famiglie, con valore 100. (iR = 5,0%)

Tra le passività troviamo i prestiti ricevuti da altri investitori e famiglie con valore 80 (i = 3,0 %) , e il
patrimonio netto, che chiameremo capitale, con valore 20 ovvero quel valore che gli azionisti
della banca hanno dato alla banca stessa.

Introduciamo anche il concetto di leva nanziaria e rendimento capitale.

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• La leva nanziaria è il rapporto tra il valore delle attività e il valore del capitale proprio. (LF =
100/20)

• Il rendimento capitale è il rapporto tra i pro tti e il valore del capitale. Riassume la redditività del
sistema capitale. Come entrate abbiamo quello che otteniamo col sistema dei prestiti: (100 x
0,05 - 80 x 0,03)

Nel decidere la leva nanziaria da adottare è bene considerare che una leva nanziaria più elevata
implica un tasso di pro tto atteso più elevato ma dall’altro implica il rischio di fallimento.

Aumentando la sua leva nanziaria e cioè diminuendo il capitale investito dagli azionisti, la banca
è in grado di aumentare i pro tti attesi per unità di capitale.

Una banca può diventare insolvente quando il valore del capitale è inferiore alle perdite sulle
attività e la banca è incapace di rimborsare i prestiti ottenuti.

C’è un collegamento tra rendimento del capitale e banca insolvente: quando vedo il rendimento è
importante al numeratore quanto riusciamo a ottenere dati i prestiti ed è importante il capitale
investito. Come possiamo migliorare i rendimenti? Diminuendo il capitale dei soci, coprendo
maggiormente le attività con i prestiti ricevuti dalle famiglie.

• Il rendimento del capitale dipende positivamente dalla leva nanziaria: un aumento dei
prestiti erogati pari a 100, nanziato con un incremento dei prestiti ottenuti da 80 a 180,
determina un incremento della leva nanziaria da 5 a 10, e del rendimento del capitale dal 13%
al 23%. (Questo renderebbe un aumento della leva conveniente, i soci guadagnano di più.)

• Il rischio di insolvenza dipende positivamente dalla leva nanziaria in quanto il valore delle
possibili perdite sarà tanto minore quanto minore è il valore dei prestiti. Esso sarà più facilmente
ammortizzato quanto maggiore è il valore del capitale.

Un sistema con una bassa leva nanziaria è più solido, un sistema bancario con un’alta leva
nanziaria è più propenso al rischio di fallimento.

La banca vorrebbe aumentare la leva per avere una maggiore redditività se le cose vanno bene e
il sistema economico ne può risentire positivamente in quanto ci saranno maggiori investimenti.

Il sistema bancario sceglierebbe tendenzialmente di aumentare la leva nanziaria ma c’è un


contrasto: la banca deve mediare tra la massimizzazione del rendimento del capitale e
minimizzare il rischio di insolvenza.

• Il premio per il rischio (x) sui prestiti sarà tanto minore quanto maggiore è la propensione al
rischio della banca, la quale sarà tanto maggiore quanto maggiore è la leva nanziaria. Il premio
per il rischio è quanto tasso di interesse in più la banca richiede nel momento in cui presta soldi.
Più la banca è propensa al rischio di perdita, più lo spread che richiedo rispetto al tasso privo di
rischio è basso. Più sono devoto al rischio, più valuto di cile la possibilità di non ritorno dei
prestiti che pongo in essere a favore delle imprese, più chiederò uno spread basso. Se
chiediamo meno premio per il rischio, le attività aumentano. Nel momento in cui chiedo poco
avrò tantissima attività che va a aumentare la leva nanziaria in quanto aumentano i prestiti che
la banca concede, molte imprese e famiglie si rivolgeranno alla banca per chiedere soldi.

• Variazioni del premio (Δx): cosa succede se il sistema bancario diminuisce la sua propensione al
rischio aumentando il premio? Il sistema bancario alza il tasso di interesse, questo deprime gli
investimenti. Ciò modi ca la leva nanziaria, modi cando il valore dell’attività, variando il premio
per il rischio sui prestiti.

LEVA FINANZIARIA, PRESTITI E CORSA AGLI SPORTELLI


Supponiamo, dato lo schema precedentemente illustrato, che l’attivo della banca vari da 100 a
90. L’attivo meno il passivo ci da il valore del capitale, che ora ammonterebbe a 10. Quindi la leva
passerebbe da 5 a 9. La banca è ancora solvente, ma più rischiosa. Cosa farà?

Potrebbe aumentare il capitale, o ridurre la dimensione del suo bilancio. Può riscuotere
anticipatamente i suoi prestiti ma l’e etto di questo sarebbe una drastica riduzione dei prestiti
concessi dalla banca.

Se la riduzione dell’attivo passasse da 100 a 70, la banca risulterebbe insolvente e fallirebbe.


Questo ci interessa perché la riduzione dei prestiti concessi può avere conseguenze disastrose.

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Se gli investitori hanno dubbi sul valore dell’attivo di una banca e credano che il valore dell’attivo
sia diminuito, potrebbe degenerare in una situazione disastrosa.

Quando gli investitori dubitano del valore dell’attivo di una banca la cosa più sicura per loro è
ritirare i propri fondi che avevano investito nella banca. Questo però crea seri problemi alla banca
che ora deve trovare i fondi su cienti per rimborsare questi investitori.

Tipicamente i debitori della banca non hanno i fondi che hanno chiesto a prestito perché impiegati
in altri modi. Per la banca, vendere questi prestiti è altrettanto di cile.

In generale, più è complicato valutare il valore dell’attivo della banca da parte delle altre banche,
maggiore è la probabilità che al banca sia incapace di vendere le proprie attività o che sia
costretta a farlo a prezzi di svendita cioè notevolmente inferiori.

Queste svendite complicano la situazione della banca perché è probabile che gli investitori si
accorgano della situazione e che diventino ancora più desiderosi di prelevare i fondi dalla banca.

Il problema è che gli investitori hanno la possibilità di prelevare i propri fondi senza preavviso.
Questo è il caso dei depositi a vista, i correntisti possono recarsi in banca e prelevare senza
preavviso i propri fondi e questo fa sì che le banche siano più esposte al rischio della corsa agli
sportelli.

Minore è la liquidirà delle attività, cioè maggiore è la di coltà che la banca ha nel vendere le
attività, maggiore è il rischio di svendite e quindi di bancarotta.

Maggiore è la liquidità delle passività ovvero maggiore è la possibilità con cui gli investitori
possono prelevare i loro fondi, maggiore è il rischio di svendite e quindi di bancarotta.

6.4 IL MODELLO IS-LM ESTESO


In equilibrio generale, il livello del tasso di interesse reale (r) e il livello della produzione di equilibrio
(Ye) sono tali per cui il mercato del bene e il mercato della moneta della banca centrale sono
entrambe in equilibrio.

In realtà gli investimenti non sono dati, e la realtà è più complessa. I tassi di interesse (quello
ssato dalla banca centrale e quello a cui i debitori possono prender a prestito) sono di erenti.

Questi dipendono sia dallo stato di salute degli intermediari nanziari che dal rischio associato ai
singoli debitori. Maggiore il rischio, maggiore la leva nanziaria, maggiore sarà il tasso di interesse
da pagare.

Curva IS: C(Y;T) + I(Y, r + x) + G

I consumi dipendono sempre dal reddito disponibile, e la spesa pubblica è de nita


esogenamente. Tuttavia nella nuova curva IS abbiamo introdotto due nuove componenti che
condizionano gli investimenti ovvero il tasso di in azione atteso e il premio per il rischio.

Ma gli investimenti dipendono non solo dal reddito, e non leggiamo i come tasso di interesse, ma
leggiamo r, tasso di interesse reale, + x ovvero il premio per il rischio. Perché? Perché le imprese
per prendere a prestito devono pagare un tasso che è r + x che ha in sé la componente del tasso
reale e la componente del premio.

Il premio per il rischio x ri ette le considerazioni precedenti: esso assume valori più alti quando i
creditori percepiscono un livelli di rischio elevato legato alla loro avversione al rischio , o quando
gli intermediari nanziari riducono il livello dei prestiti concessi a causa di incertezze sulla loro
solvibilità o liquidità.

Curva LM: r = r| = i - π|e t+1

La relazione rimane invariata gra camente: la curva IS è decrescente e LM è una retta orizzontale.
L’equilibrio è l’incontro tra le due curve.

Il mercato della moneta rimane in equilibrio perché l’economia si muove lungo la curva LM.

L’in azione attesa ri ettei l fatto che le decisioni di spesa, a parità di ogni altro fattore, dipendono
dal tasso di interesse reale, e non quello nominale.

Le ipotesi vigenti sono sempre le stesse: l’economia è chiusa, la banca centrale ssa il tasso di
policy (r) che è diverso dal tasso di interesse sui prestiti (r+x) in ragione del premio per il rischio.

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IL TASSO DI INTERESSE CHE ENTRA NELLA RELAZIONE LM E’ IL TASSO DI POLICY, IL TASSO
DI INTERESSE CHE ENTRA NELLA RELAZIONE IS E’ IL TASSO SUI PRESTITI.

Cosa succede se aumenta la prudenza del sistema bancario? Se aumenta X ovvero il premio per
il rischio?

Diminuiscono gli investimenti.. La curva LM non si modi ca. Però la curva IS, se aumenta il
premio per il rischio, la curva IS si sposta verso sinistra in quanto si sono sfavoriti gli interessi.

Si assiste a un nuovo equilibrio con reddito più basso ma stesso tasso di interesse reale ssato
dalla banca centrale.

Questo può avvenire se il sistema bancario vede un aumento dei fallimenti e quindi ritiene sia
meglio selezionare gli investimenti chiedendo dei tassi più alti.

Come si fa a uscire da un reddito più basso? Si interviene o sul mercato monetario, o su quello
nanziario o su una combinazione di queste due politiche.

Se intervenisse l’autorità della banca centrale, abbassando il tasso, ecco che si avrebbe una
nuova curva LM abbassata verso il basso, forzando il sistema a un livello di Ye più alto.

Se intervenisse l’autorità centrale, aumentando la spesa pubblica o riducendo le tasse, la curva IS


potrebbe avere una relazione positiva, spostandosi verso destra trovando un Ye ancora più alto.
Questo però porterebbe a un aumento considerevole della spesa pubblica o a una riduzione delle
imposte che aumenterebbe il disavanzo di bilancio.

Dato che la causa della recessione è un tasso di interesse troppo alto converrebbe spostare la
curva LM verso il basso.

Se siamo in lower bound l’unico modo per uscire da uno stato di povertà è e ettuare una politica
scale. La politica scale però non è solo un aspetto positivo in quanto può peggiorare la
situazione del debito pubblico.

CAP.7 Il mercato del lavoro


Ci poniamo nel medio periodo in quanto sarà determinante capire come si formano i prezzi dei
beni venduti e degli input produttivi utilizzati ovvero il lavoro.

Nel medio periodo alcuni prezzi possono cambiare.

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Il fenomeno recessivo è dato quando il reddito di equilibrio si abbassa. Si ha recessione quando
le imprese notano una contrazione della domanda e quindi diminuiscono la produzione riducendo
l’impiego di fattore di produzione variabile ovvero il lavoro.

Una fase recessiva è caratterizzata da riduzione del fattore lavoro e da importanti livelli di
disoccupazione dovuti dai licenziamenti.

Possono anche aumentare i lavoratori scoraggiati che non rientrano nel conto dei disoccupati.

Da un lato le imprese riducono le assunzioni di nuovi lavoratori: la probabilità che un disoccupato


trovi lavoro diminuisce e la durata media della disoccupazione aumenta

Le imprese licenziano i lavoratori attualmente occupati: la probabilità che un occupato perda il


posto di lavoro aumenta.

7.3 LA DETERMINAZIONE DEI SALARI


Come si formano i salari e come reagiscono di fronte a fasi recessive?

L’analisi si fonda su una teoria basata su due fati empirici rilevanti

TEORIA DEI SALARI EFFICIENTI: prende spunto da due aspetti empirici osservati.

1) SALARIO DI RISERVA: Si nota che i salari che si registrano sui mercati sono più alti di quelli a
cui sarebbe disposto un soggetto a lavorare. Usualmente i lavoratori percepiscono un salario
superiore a quello che li renderebbe indi erenti tra lavorare ed essere disoccupati (data la
famiglia, redditi di cittadinanza…) il salario di riserva è quel salario che rende il lavorare e
non lavorare indi erente tra lavorare e meno. Nel mercato reale il salario è maggiore del
salario di riserva. Le imprese non ssano il salario al minimo possibile.

2) TASSO DI DISOCCUPAZIONE CHE INFLUENZA NEGATIVAMENTE IL SALARIO: le


condizioni prevalenti nel mercato del lavoro in uenzano il processo di determinazione dei
salari, nelle fasi di espansione il salario tende a aumentare, nelle fasi di recessione tende a
diminuire. A un’espansione dell’economia le imprese assumono e i salari sono più alti. Quando
vi è recessione, i salari sono più bassi e ci sono più disoccupati. In espansione la domanda da
parte delle imprese di lavoratori aumenta, perché bisogna produrre di più e per incentivare i
lavoratori i salari aumentano.

QUANTO PIU’ BASSO IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE, PIU’ ALTO IL SALARIO.

La domanda e l’o erta, in merito al lavoro, hanno un signi cato opposto:

Le imprese sono quelle che domandano lavoro, l’o erta del lavoro è opera di famiglie.

Nel mercato del lavoro imprese e famiglie si incontrano: il salario che si va a de nire nel mercato
dipende da molti fattori tra cui la forza contrattuale.

La forza contrattuale rappresenta la capacità di concordare condizioni contrattuali quanto più


possibile vicine alle esigenze di famiglie e imprese.

Essa è de nita a vari livelli e ha varie caratteristiche:

1) Tipologia di contrattazione: la contrattazione potrebbe essere collettiva o bilaterale. Quelle


collettive avvengono tra rappresentanti delle imprese e lavoratori (a livello nazionale, settoriale
o aziendale) e prevedono un salario ssato a livello nazionale tramite legge, o dal sindacato
con le imprese. In altri paesi o in altre realtà la contrattazione è bilaterale e avviene tra impresa
e singolo lavoratore. Uno di questi casi è il Regno Unito che si distingue per l’incidenza
piuttosto limitata della contrattazione collettiva.

2) Quali ca del lavoratore: maggiore la quali ca del lavoratore, minore è la sua di cile nel
trovare un’occupazione alternativa, e maggiore è il costo della sua sostituzione per l’impresa.

3) Mercato del lavoro: maggiore è il tasso di disoccupazione, maggiore è la di coltà del


lavoratore nel trovare un’occupazione alternativa e minore è il costo della sua sostituzione per
l’impresa. La forza contrattuale del singolo lavoratore, se ci sono molti disoccupati, è bassa.
Se ci sono tanti disoccupati la sostituzione del singolo lavoratore da parte delle imprese sarà
semplice.

Inoltre, bisogna fare attenzione nella lettura dei dati: se viene detto che la disoccupazione è al 3%
questo può signi care molte cose.

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Si può pensare che al momento dell’intervista il 3% fossero i disoccupati di lungo periodo cioè
coloro che non hanno lavoro e non troveranno mai lavoro.

Se il mercato è molto uido questo dato potrebbe essere relativo al solo momento dell’indagine:
se molte persone entrano e escono dal mercato del lavoro questa percentuale è soggetta a
variazioni.

SALARI DI EFFICIENZA

Le imprese possono pagare un salario superiore a quello di riserva a nché i propri lavoratori
siano ben disposti verso il lavoro e verso l’impresa.

Le imprese vogliono che i loro lavoratori siano produttivi e ben disposti verso l’impresa stessa, e il
salario può essere una leva per raggiungere questo obiettivo.

Se è necessario tempo per apprendere un determinato lavoro, le imprese vorranno evitare a ogni
costo il TURNOVER o TASSO DI AVVICENDAMENTO dei lavoratori e per farlo alzano i salari,
aumentando la produttività.

Questo salario è detto SALARIO DI EFFICIENZA. Le imprese vogliono incentivare i lavoratori a


lavorare bene.

Dare uno stipendio più alto al lavoratore lo disincentiva dall’uscire dall’impresa

Un salario di e cienza più alto promuove la produttività del lavoro attraverso due canali:
l’incentivo del lavoratore alla produttività e rendendo per il lavoratore meno conveniente per lui
uscire dall’impresa.

Esiste una relazione tra produzione e salario ma molti studi stanno notando che vi siano altre
componenti a in uenzare il lavoro come armonia dell’ambiente di lavoro… si tratta di componenti
psicologiche e ambientali *(approfondisci teorie Ford)*

Il salario di e cienza dovrà essere tanto maggiore quanto minore è il tasso di disoccupazione.

Se il tasso di disoccupazione altro è facile trovare altri soggetti, se il tasso è basso, i lavoratori
sono una risorsa preziosa da nanziare in maniera maggiore.

EQUAZIONE DEI SALARI


Vogliamo descrivere con un'equazione come si determina il salario nominale richiesto dai
lavoratori e come questo sia in uenzato da variabili rilevanti.

W = Pe x f(u,z)

Pe=prezzo atteso

u = tasso di disoccupazione

z= fattori istituzionali

Il salario che si andrà a formare nel mercato dipenderà dal livello generale dei prezzi attesi dai
lavoratori e dipenderà dalla disoccupazione e dai fattori istituzionali.

De niamo le componenti singolarmente:

I PREZZI ATTESI (PE)


I lavoratori e le imprese sono interessati a i salari reali, non a quelli nominali.

I lavoratori non sono interessati a quanto denaro ricevono ma al salario W che percepiscono
relativamente al prezzo dei beni che acquistano, P. In aree parole essi sono interessati al salario in
termini di beni W/P.

L’analogo discorso vale per le imprese, alle quali non interessa il salario nominale che pagano ai
lavoratori ma al salario in termini del prezzo della produzione venduta, cioè a W/P.

Coloro che lavorano e percepiscono un salario non sono solo interessati al prezzo dei beni al
momento corrente ma anche la loro futura variazione dal momento che nel medio periodo i prezzi
possono variare.

In quanto consumatore sono interessato al mio potere d’acquisto non solo nell’immediato ma
anche in futuro.

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Se i lavoratori si aspettassero che il futuro livello dei prezzi raddoppiasse, chiederebbero un
salario nominale doppio.

Se le imprese si aspettassero che il livello dei prezzi (il prezzo dei beni che vendono)
raddoppiasse, sarebbero disposte a raddoppiare i salari.

Perché i salari dipendono dal livello dei prezzi atteso Pe e non quello e ettivo P?

Perché i salari sono ssati in termini nominali e nel momento in cui vengono ssati, il livello dei
prezzi a cui fare riferimento non è ancora noto.

In molti contratti il salario è ssato in anticipo per alcuni anni tramite la contrattazione tra imprese
e lavoratori.

I sindacati e le imprese devono decidere il salario nominare per gli anni successivi basandosi sul
livello atteso dei prezzi per lo stesso periodo.

Anche nel caso di decisione unilaterale da parte delle imprese i salari nominali sono ssati almeno
per un anno.

Se durante quell’anno i prezzi aumentano inaspettatamente, i salari nominali non vengono corretti.

In generale: Quando mi aspetto una variazione dei prezzi, se questi si alzano, mi induce a
chiedere un salario più alto in quanto i lavoratori sono interessati al potere di acquisto del salario e
non al suo valore monetario. (+ΔPe -> +ΔW)

TASSO DI DISOCCUPAZIONE (u)


Un aumento della disoccupazione diminuisce i salari. (+Δu -> -ΔW)

Se pensiamo ai salari come al risultato di una contrattazione, allora una disoccupazione più alta
indebolisce la forza contrattuale dei lavoratori, costringendoli ad accettare salari inferiori.

Se consideriamo che i salari vengono determinati a partire dalle considerazioni delle teorie
dell’e cienza, una disoccupazione più alta permette alle imprese di pagare salari inferiori (è più
facile sostituire i lavoratori)
Il livello di disoccupazione in uenza negativamente i salari in quanto il lavoratore è disposto
anche a lavorare per un salario più basso.

FATTORI ISTITUZIONALI (z)


I fattori istituzionali vanno a in uenzare la determinazione del salario (+Δz -> +ΔW). La loro
relazione è positiva.

Questi identi cano il grado di protezione del lavoro (sussidi, salario minimo, disciplina del
licenziamento, tutela sindacale)

Si pensi al sussidio di disoccupazione, un trasferimento monetario versato ai lavoratori che hanno


perso il proprio lavoro.

La prospettiva di percepire un’indennità in caso di disoccupazione faccia aumentare i salari a


parità di tasso di disoccupazione.

Se questa indennità non esistesse i lavoratori sarebbero disposti ad accettare salari molti bassi
pur di evitare la disoccupazione.

Un altro fattore è il salario minimo: un suo amento, aumenta non solo il salario minimo stesso ma
anche i salari al di sopra i esso logicamente.

Un altro fattore è il livello di protezione dei lavoratori: una maggiore protezione dei lavoratori da
parte dello Stato rende più costoso il licenziamento da parte delle imprese. Questo può
aumentare il potere contrattuale dei lavoratori da parte delle imprese e questa protezione fa
aumentare il salario.

7.4: DETERMINAZIONE DEI PREZZI


I prezzi ssati dalle imprese dipendono dai costi. A loro volta i costi dipendono dalla funzione di
produzione cioè la relazione tra i fattori produttivi impiegati e la quantità di prodotto ottenuto.

Assumiamo che le imprese producano beni usando il lavoro come unico fattore di produzione.

Y=AN

Dove Y è la produzione, N l’occupazione e A la produttività del lavoro.

A è dato dal rapporto tra produzione e numero di lavoratori impiegati. Essa è una costante. Per
questo motivo possiamo scegliere l’unità di misura della produzione in modo tale che un
lavoratore produca un’unità di prodotto cioè A = 1.

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Con questa ipotesi la funzione diventa

Y=N

Questo implica che il costo di realizzare un’unità aggiuntiva di prodotto è uguale al costo di
impiegare un lavoratore in più e quindi è uguale al salario W.

Accenni di microeconomia:

CMG = ΔCT/ΔQ = ΔL/ΔQ x W = W/PmgL

Nel breve periodo almeno un fattore è sso.

Il costo marginale è di quanto varia il costo di fronte a una variazione della quantità. Dato che
l’unica cosa che può variare è il lavoro quindi ΔL x W è la variazione del costo dovuto di fronte a
una variazione della quantità di lavoro.

In condizione di concorrenza perfetta la condizione di massimizzazione del pro tto determina che
il prezzo sia uguale al costo marginale.

Nelle altre forme di mercato al ridursi del grado di concorrenza la condizione di massimizzazione
del pro tto è determinata dal prezzo maggiore del costo marginale (P>Cmg) al ne di compiere
extrapro tti.

Sempli cando, assumiamo che la produttività marginale sia 1.

Ciò signi ca che il costo marginale è uguale a W. -> CMG = W/PmgL -> CMG = W.
Se il prezzo fosse uguale a W ci troveremo in concorrenza perfetta ma il prezzo è dato da un
fattore in più ovvero il markup (m).

Quindi il prezzo che le imprese ssano sul mercato è superiore al costo marginale (W) e questa
percentuale di ricarico è il markup (m).

Il markup è il ricarico che le imprese pongono, non in concorrenza perfetta, sui loro costi per
ssare il prezzo. Determina il poter di mercato che le imprese hanno.

M è quanto le imprese ricaricano sui costi che subiscono.

P = (1 + m) x W

I prezzi ssati dalle imprese sono collegati ai prezzi che vanno a subire, cioè i costi. Più i prezzi
sono alti, più i costi aumentano.

(+ΔW -> +ΔP)

Il potere di mercato è legato a m. Se m fosse 0 ci troveremo in concorrenza perfetta. Più m è alto


più l’impresa riesce a in uenzare il prezzo. Il potere di mercato dell’impresa è inversamente
correlato al grado di concorrenza.

(+Δm -> +ΔP)

Esiste un solo bene prodotto il cui livello di prezzo viene ssato secondo questo canone.

Abbiamo due espressioni: prezzi e salari.

Questi possono essere concordati.

7.5 : TASSO NATURALE DI DISOCCUPAZIONE (UN)


Il tasso naturale di disoccupazione è quel tasso di disoccupazione (u) per cui il salario reale atteso
dai lavoratori risulta uguale al salario reale ssato dalle imprese. Questo avviene in una situazione
di equilibrio. Ne deriva che anche il prezzo aspettato dagli agenti deve essere uguale al prezzo
e ettivo ssato.

Il salario reale è il potere di acquisto del salario considerando il livello dei prezzi.

Rapportiamo al salario il livello dei prezzi.

Qui il prezzo è uno solo perché uno è il bene quindi il salario reale è W/P che ci dice quanto
possiamo acquistare in base al nostro salario.

Il salario reale atteso dai lavoratori invece è W/Pe.


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• Il salario atteso dai lavoratori è determinato dal prezzo atteso x f, allora ora possiamo ricavare il
salario reale che il lavoratore si aspetta, come? Il salario reale atteso dai lavoratori è una
funzione negativa del tasso di disoccupazione e positiva del grado di protezione:

W = Pe x f(u,z) -> W/Pe = f(u,z) (abbiamo diviso nell’equazione per Pe)

• Il salario reale e ettivo ssato dalle imprese è una funzione negativa del potere di mercato delle
imprese:

P = (1 + m)W

Divido entrambe i membri per P

P/P = (1+m)W/P

1 = (1+m)W/P

Vogliamo ricavare W/P. dividiamo per 1 + m

W/P = 1/1+m

Quindi il tasso naturale di disoccupazione è quel tasso per cui:


W/P = W/Pe
P = Pe
Ovvero il salario reale atteso dai lavoratori è uguale al salario e ettivo.

Vediamo gra camente cosa signi ca:

I Salari attesi sono W/Pe e dipendono da f(u,z)

I prezzi sono W/P = 1/1+m

La curva EP (equazione prezzi: W/P = 1/1+m è una costante in quanto le imprese determinano il
salario reale ssando P sulla base di W.

La curva ES è legata a u, alla disoccupazione W/Pe: f(u,z) però u ha una relazione negativa: il
salario atteso è in funzione di u negativamente. La curva risulta inclinata negativamente.

Il punto di incontro E è il tasso naturale di disoccupazione dove il salario reale de nito dalle
imprese coincide con il salario reale che i lavoratori si aspettano.

L’economia si trova sempre sulla curva EP in quanto la curva ES è una curva di livelli attesi ma

che non sempre combaciano con la realtà. Ricordiamo che le imprese ssano P sulla base di W.

Ricordiamo che in equilibrio il tasso di disoccupazione deve essere tale per cui il prezzo atteso dai
lavoratori risulta uguale al prezzo e ettivo ssato dalle imprese.

f(uN, z) = W/Pe = W/P = 1/1+m -> P = Pe

Se il tasso di disoccupazione non è uguale al tasso naturale, il prezzo atteso diverge da quello
e ettivo -> Pe non è uguale a P.

Questo determina una variazione dei salari nominali, come?

Se il prezzo atteso è maggiore del prezzo e ettivo, il salario nominale si riduce.

Se il prezzo atteso è minore del prezzo e ettivo, il salario nominale aumenta.

Ma cosa succede quando l’equilibrio cambia?


Sappiamo che z e m sono i nostri unici parametri, i fattori istituzionali e il markup.

Invece u,W/P, Pe possono variare, sono de niti come variabili endogene.

• Nel caso di z, i fattori istituzionali, che aumenta abbiamo che la curva ES viene traslata verso
l’alto. Possiamo immaginare a un aumento dei sussidi per la disoccupazione: poiché l’aumento
dei sussidi rende meno dolorosa la prospettiva di restare disoccupati, il salario reale aumenta.
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In corrispondenza si un dato tasso di disoccupazione, maggiori sussidi portano a un salario
reale più elevato. È necessario un tasso di disoccupazione superiore per riportare il salario reale
al livello che le imprese sono disposte a pagare. ((Abbiamo un nuovo equilibrio che sarà
caratterizzato da un più alto tasso di disoccupazione e stesso salario reale perché m è
de nito.))

• Nel caso di variazioni di m, aumentando, la curva EP si sposta verso il basso. Questo genera
un nuovo equilibrio che ha lo stesso livello di disoccupazione e salari reali più bassi.

Immaginiamo un’autorità antitrust più debole che fa aumentare il markup: questo a sua volta
genera una riduzione del salario REALE e uno spostamento verso il basso di EP.

Un aumento del markup provoca una riduzione del salario reale e un aumento del tasso naturale
di disoccupazione.

Al contrario di sistemi visti precedentemente dove vi era una auto-regolamentazione del mercato,
dove vi erano dei meccanismi che portavano il mercato in equilibrio, in questo mercato non esiste
nulla che va a de nire un processo di aggiustamento verso l’equilibrio.

In questo modello non esiste nessun processo che ci porti all’equilibrio, quindi non prevede
meccanismi di aggiustamento.

Se nel mercato non si realizza il tasso di disoccupazione naturale e vi è un alto tasso di


disoccupazione non si può far altro che soccombere.

Rispetto a UA i lavoratori richiedono dei salari nominali più elevati

Quindi le imprese aumentano i loro prezzi di fronte a un salario W/Pe più elevato per lasciare W/P
costante.

C’è quindi un forte collegamento tra disoccupazione e in azione.

• U<uN -> W/Pe > W/P -> Pe<P -> +W -> +P = INFLAZIONE

• U>uN -> W/Pe < W/P -> Pe>P -> -W -> -P = DEFLAZIONE

PER RIASSUMERE:

Equazione dei prezzi: P = (1+m)W

Equazione dei salari: W=Pe x f(u,z)

Equazione dei salari, SALARIO REALE ATTESO: W/Pe = f(u,z)

Equazione dei prezzi, SALARIO REALE EFFETTIVO: W/P = 1/1+m

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CAP 8: La curva di Phillips, il tasso naturale di disoccupazione
e l’in azione
Nel 1958 Phillips studiò in Inghilterra un gra co che riportava il nesso tra in azione in funzione del
tasso di disoccupazione negli anni che andavano dal 1861 no al 1957. Egli notò che vi era una
correlazione negativa tra tasso di disoccupazione e in azione: all’aumentare dell’una, l’altra
diminuiva e viceversa.

Due anni più tardi, Solow e Samuelson studiarono la medesima relazione negli Stati Uniti negli
anni che correvano dal 1900 al 1960 usando come dati per l’in azione gli indici dei prezzi al
consumo. Da questi studi si evince che anche negli Stati Uniti vi era una correlazione negativa tra
tasso di interesse e in azione.

Questa relazione che Samuelson e Solow denominarono curva di Phillips giunse ben presto a
occupare un posto di rilievo nel mondo macroeconomico e nelle decisioni dei policy makers: se si
era disposti ad accettare un tasso di in azione più alto allora la disoccupazione sarebbe stata più
bassa.

Tuttavia negli anni Settanta questa relazione cessò di esistere o meglio la relazione riapparve
come relazione tra tasso di disoccupazione e variazione del tasso di in azione.

Partendo dalla relazione precedentemente studiata sul salario e sui prezzi questa equazione
descrive come varia il salario nominale richiesto dai lavoratori in funzione dei prezzi attesi (Pe), dal
tasso di disoccupazione (u) e dalla regolamentazione istituzionale (z).

W= Pe x f(uz)

Tuttavia possiamo de nire f(u,z) come (1-αu + z). Questa forma funzionale ci suggerisce delle
importanti considerazioni:

W = Pe x (1-αu + z)

α misura la sensibilità dei salari di fronte all’occupazione cioè come i salari reagiscono di fonte alla
disoccupazione, più α è alto più i salari sono reattivi rispetto alla disoccupazione. Se α fosse 0 i
salari non risponderebbero ai salari.

Inoltre ci dice che quanto maggiore è il tasso di disoccupazione, tanto minore è il salario. Quanto
maggiore è z, tanto maggiore è il salario.

Dato P che è stato de nito come:

P = (1+m)W

Posso sostituire visto che W è espresso in un altro modo, posso sostituirlo nella prima equazione.

P= (1+m) x Pe x (1 -αu + z)

Questa espressione ci dice come sono determinati i prezzi rispetto a questi parametri ovvero
rispetto al potere di mercato delle imprese (m), rispetto alla regolamentazione istituzionale del
mercato del lavoro (z), rispetto ai prezzi attesi dai lavoratori (Pe) e rispetto al tasso di
disoccupazione (u).

I prezzi sono legati anche alle aspettative degli agenti e questi in uenzano il livello dei prezzi.

I prezzi attesi sono però di erenti dai prezzi e ettivi e questi implicano un aggiornamento delle
aspettative dei lavoratori sui prezzi attesi, determinando una variazione del salario nominale e di
conseguenza, una variazione dei prezzi e ettivi ssati dalle imprese.

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Se il prezzo reale non è uguale al prezzo atteso, i lavoratori rivedono le loro aspettative chiedendo
un salario più alto quindi le imprese aumentano i prezzi.

TASSO DI INFLAZIONE
Vogliamo passare dal livello dei prezzi al tasso di in azione.

Nel medio periodo, il tasso di variazione nel tempo del livello generale dei prezzi è una funzione
del tasso atteso d’in azione πe, del potere di mercato delle imprese (m), dalla regolamentazione
del mercato del lavoro (z) e dal tasso di disoccupazione (u). Disoccupazione e in azione sono
intimamente legate tra loro.

Πte è come mi aspetto che i prezzi siano in futuro, conoscendo i prezzi di oggi.

P= (1 + m) x Pe x (1-αu + z)

πt = πet + (m + z) - αut

I fattori m e z cioè mercato delle imprese e regolamentazione istituzionale variano nel tempo ma
più lentamente rispetto alle altre variabili. M e z nel breve periodo possono essere considerati
ssi.

Da questa equazione possiamo evincere che:

• Un aumento del tasso dell’in azione attesa determina un aumento del tasso di in azione
e ettivo.

• Data l’in azione attesa, un aumento del markup (m) o dei fattori istituzionali (z) porta a un
aumento dell’in azione e ettiva

• Data l’in azione attesa, una riduzione del tasso di disoccupazione porta a un aumento
dell’in azione e ettiva.

LE FORMULAZIONI DELLA CURVA DI PHILLIPS


Assumiamo che l’in azione uttui intorno a un certo valore che è sso cioè π|.

Assumiamo che l’in azione non sia persistente cioè che l’in azione dell’anno corrente non sia un
indicatore per l’in azione dell’anno successivo.

Se assumiamo che l’in azione uttui intorno a un valore abbiamo che πe = π|

Πt = π| + (m+z) - -αut

In questo caso osserviamo una relazione negativa tra tasso di disoccupazione e tasso di
in azione e questo si veri cò negli Stati Uniti dal 1960 al 1969.

Cosa accadde successivamente?

Dal 1970 in poi, il trade-o tra disoccupazione e in azione scomparve. A cosa era dovuta la
scomparsa?

Questo accadde perché coloro che ssarono i salari cambiano il loro modo di formulare le
aspettative sull’in azione e questo in uì sul rapporto tra tasso di in azione e il tasso di
disoccupazione.

Cosa accadde? Il tasso di in azione invenne più persistente, cioè un anno di in azione elevata
sarebbe stato seguito da un anno di in azione ancora elevata.

Come si forma il tasso di in azione atteso in questo caso?

Le aspettative di lavoratori e imprese sul tasso di in azione π considerano due componenti:

• Tasso di in azione costante: tasso strutturale del sistema. L’in azione varia nel tempo ma oscilla
sempre intorno a un certo valore nel corso del tempo. (π|)

• Tasso d’in azione del periodo precedente ( πt - 1): rilevante se il tasso di in azione e ettivo
tende a persistere nel corso del tempo.

La previsione di in azione sarà una media ponderata di queste due grandezze.

Πet = ( 1 - θ ) π| + θπt-1

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Dove θ rappresenta un parametro che identi ca il peso che gli agenti attribuiscono all’oscillazione
oppure alla persistenza del tasso d’in azione e ettivo osservato nel corso del tempo. O meglio un
parametro che è l’e etto del tasso di in azione passato su quello corrente atteso.

Se θ = 0 allora la famiglia o l’impresa ritiene che l’in azione nel futuro sia costante.

Se θ = 1 allora l’agente guarderebbe solamente quello che è avvenuto in passato per prevedere il
prezzo adesso. Non guarderà il tasso di in azione costante.

CURVA DI PHILIPPS
È una relazione che descrive il legame tra tasso di in azione e tasso di disoccupazione. Il tasso
d’in azione è spiegato in termini del tasso di disoccupazioni e m e z. È fondamentale inserire
l’aspettativa.

πt = πet + (m + z) - αut

πt = ( 1 - θ ) π + θπt-1 + (m + z) - αut

Le caratteristiche della curva di Philipps dipendono pesantemente dal peso assunto


dall’oscillazione ( πt - 1) oppure dalla persistenza del tasso d’in azione e ettivo nel corso del
tempo (π)

Qual è stato il primo approccio teorico per parlare di curva di Philipps?

L’idea era quella che il lavoratore e le imprese originariamente assumono che il tasso d’in azione
sia pari a un valore costante π| perché nel corso del tempo il tasso d’in azione e ettivo ha
oscillato poco intorno a tale valore. Assumiamo che l’aspettativa nel domani sia il livello
tendenziale, costante. In altre parole, θ = 0 quindi π = πe.

Πt = π + (m + z) - αut

Vi è una RELAZIONE NEGATIVA tra LIVELLO DEL TASSO DI INFLAZIONE (πt) e LIVELLO DEL
TASSO DI DISOCCUPAZIONE (u). C’è un trade-o tra questi due.

Lo scostamento tra πt e π è dato da u.

La politica economica, dato che l’in azione crea dei problemi così come la disoccupazione, quindi
scelgo in mix che ritengo migliore. La politica può scegliere una combinazione tale per cui un
minore tasso di disoccupazione implichi un maggiore tasso di in azione.

Come conseguenza, se la politica economica mantiene il tasso di disoccupazione costante ad un


determinato livello per un certo periodo, anche il tasso d’in azione perisce ad un determinato
livello per il medesimo periodo.

Tuttavia dal 1970 al 1995 le cose cambiarono e questa relazione scomparve: nel gra co possiamo
osservare una nuvola di punti sparsi e vagamente simmetrica. Perché?

L’obiettivo era ridurre la disoccupazione, alzando l’in azione, almeno negli Stati Uniti.

Probabilmente le aspettative dei salariati è cambiata e hanno cominciato a dare più peso ai valori
dell’in azione nel passato per prevedere quella nel presente. θ è diventato molto più prossimo a
1.

Questo perché nel corso del tempo il tasso di in azione ha mostrato essere persistente e sempre
più alto.

πt - πt-1 = (m + z) - αut

Sul lato sinistro trovo la variazione dell’in azione.

Se θ = 1, il livello di disoccupazione in uenza come cambia l’in azione, la sua variazione,


non l’in azione stessa. Qui l’in azione aumenta nel tempo ed è detta CURVA DI PHILIPPS
ACCELERATA.
Un aumento sul lato destro dell’equazione dell’1% genera un aumento dell’in azione dell’1% ma
progressivamente ogni anno (1% -> 2% -> 3% etc…)

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La curva di Phillipps accelerata non identi ca un trade-o tra in azione e disoccupazione,
associando a ciascun livello del tasso di disoccupazione una costante variazione del tasso
d’in azione.

In questo caso l’autorità di politica economica non può scegliere una speci ca combinazione tra
in azione e disoccupazione perché ad una disoccupazione elevata corrisponde un tasso di
in azione che decresce nel tempo, mentre a una disoccupazione moderata corrisponde un tasso
di in azione che cresce nel tempo.

Quindi dobbiamo portare il livello di disoccupazione al suo livello naturale in quanto è il tasso che
rende il fenomeno in ativo costante nel tempo.

Nel momento in cui si decide di aver un tasso di disoccupazione basso bisogna aspettarsi di
vedere un’accelerazione dei prezzi nel futuro.

TASSO DI DISOCCUPAZIONE NATURALE E CURVA DI PHILLIPS


La curva di Phillips originaria implicava l’assenza del tasso naturale di disoccupazione.

Alla fune degli anni Sessanta Friedman e Phelps si interrogarono sulla relazione di trade-o
presente nella curva di Phillips giungendo alla conduzione che il trade-o poteva esistere solo in
presenza di una sottostima sistematica dell’in azione nella determinazione dei salari e che tale
relazione non sarebbe potuta durare a lungo.

Il tasso naturale di disoccupazione può essere de nito in una terza maniera: è quel tasso per cui il
prezzo atteso dai lavoratori risulta uguale al prezzo e ettivo ssato dalle imprese, ovvero, il tasso
di in azione attesa è uguale al tasso di in azione e ettivo.

Cosa succede per la curva di Phillips accelerata? La curva di Phillips accelerata rappresenta una
relazione negativa tra la variazione del tasso di in azione e la di erenza tra il tasso e ettivo di
disoccupazione ed il tasso naturale di disoccupazione.

Se π = πe la variazione è uguale a 0:

0 = (m+z) - αuN

Se mettiamo in evidenza uN

uN = m+z/α

Quanto più elevato il markup, o quanto più forti sono i fattori che in uiscono sulla determinazione
dei salari (z), tanto maggiore è il tasso naturale di disoccupazione:

πt - πt-1 = -α(ut-uN)

Se uN = ut allora la variazione è uguale a 0.

Se la disoccupazione è al tasso naturale, allora l’in azione e ettiva è uguale a quella prevista.

Se siamo a livello di uN assistiamo nel tempo a un aumento o diminuzione del tasso di in azione.

Quando il tasso e ettivo di disoccupazione diverge dal tasso naturale di disoccupazione si genera
una variazione costante del tasso d’in azione.

Se vogliamo un tasso di disoccupazione più basso si genererà una spirale di variazione


in azionistica sempre più alta nel tempo.

Cosa determina il tasso naturale di disoccupazione che è il target dei policy makers? Questo
dipende dal potere del trust, da fattori istituzionali e dal grado di attività.

Quindi in sintesi

1) IL TASSO NATURALE DI DISOCCUPAZIONE: non accelera l’in azione in quanto mantiene


costante il tasso d’in azione.

2) TASSO DI DISOCCUPAZIONE NATURALE: varia nel tempo e di erisce tra i paesi in ragione
del potere di mercato delle imprese (m) e regolamentazione del mercato del lavoro (z)

3) DEFLAZIONE: usualmente, il tasso d’in azione mostra una certa rigidità a divenire negativo,
determinando una de azione. La curva di Phillips sembra funzionare solo con tasso di
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in azione positiva: con tasso di in azione negativo il meccanismo sembra fallire e sembra vi
sia una rigidità alla de azione. Nei mercati reali mentre è possibile modi care i salari legati
all’andamento dei prezzi, con un’indicizzazione salariale, è più di cile vedere diminuire i
prezzi sin quanto è di cile che i lavoratori siano propensi a vedere una riduzione del salario
monetario.

Cap 9: il modello IS-LM-PC


Come facciamo a far dialogare il reddito e il tasso con la disoccupazione? Noi dobbiamo cercare
di creare un ponte ideale tra Y e u, per far dialogare produzione e disoccupazione.

Il nostro obiettivo è di unire la produzione alla disoccupazione e all’in azione.

La funzione di produzione ci permette di passare dalla forza lavoro (L), il tasso di disoccupazione
(u) e ci consente di identi care il numero degli occupati (N).

Dato il numero degli occupati (N), la funzione di produzione (Y = f (K, N)), che dipende da capitale
e occupati, consente di identi care il livello della produzione (Y).

Siamo nel medio periodo quindi il capitale non cambia, è dato.

Sappiamo che il numero di occupati e disoccupati non si calcola alla stessa maniera.

Più sono i disoccupati, minore sarà la produzione: Y e u sono legati da una relazione
inversa.

CURVA PC
De nisce una relazione positiva tra tasso d’in azione (πt) ed output gap (Yt-YN), nonché la
di erenza tra livello e ettivo della produzione (Yt) e livello potenziale della produzione (YN).

Questa curva lega direttamente l’in azione con la produzione o meglio col gap che esiste tra
produzione e ettiva e quella potenziale.

Curva di Phillips originaria: πt = πe - α(ut-uN)

Curva di Phillips nel modello IS-LM-PC: πt = π| + α x f(Yt-YN)

Cosa è cambiato?

La relazione da negativa è diventata positiva.

La produzione potenziale (YN) è il livello di produzione ottenibile per un tasso di disoccupazione


(ut) pari al tasso naturale di disoccupazione (uN) quello che in economia si considera pressoché
ottimale.

Al ridursi del potere di mercato delle imprese (-m) o del grado di protezione del lavoratore (-z),
diminuisce il tasso naturale di disoccupazione (-uN) e quindi aumenta la produzione potenziale ***
(naturale) (+YN)

Se vedo che il livello di produzione e ettivo è superiore a quello naturale, e che il tasso di
disoccupazione è più basso di quello naturale dovrò assistere a un tasso di in azione superiore
a quello atteso.

Nel momento in cui produco a un livello pari di produzione naturale, si ha che l’in azione
attesa è quella che si realizza. Questo avviene perché la produzione è pari al suo livello
naturale.

Quando avviene che si produce di meno rispetto al livello potenziale, l’in azione è minore rispetto
al tasso naturale.

In tutti e tre casi troviamo un tasso di in azione costante perché dietro abbiamo la curva di
Phillips originaria che ci dice che nel momento in cui decidiamo di avere un tasso di produzione
più basso rispetto a quello naturale, e quindi un livello di produzione più alto rispetto a quello
potenziale, avrò un livello di in azione superiore a quello aspettato dagli agenti.

Assumiamo che nella curva di Phillips originaria l’in azione non sia persistente ed è costante.

Una volta ssato il livello di u e di Y abbiamo un tasso π che nel tempo non cambia.

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Curva di Phillips accelerata: in questa curva avviene che l’in azione attesa è pari al tasso di
in azione e ettivo nel periodo precedente e questo de nisce una relazione positiva tra
variazione del tasso d’in azione ed output gap.

Curva PC accelerata:

πt - πt-1 = α x f(Yt-YN)

Se produco di più del livello naturale il tasso di in azione che si realizza è maggiore di quello
aspettato ma esso cresce progressivamente nel tempo.

Se la produzione coincide con quella naturale il tasso di in azione rimane costante nel
tempo.

Se quanto viene prodotto è minore rispetto al livello naturale di produzione vedo che il
tasso di in azione decresce.

In questa gura a destra vediamo la curva di Phillips originale e a destra la curva di Phillips
accelerata.

Sull’asse orizzontale leggiamo sempre Y ma sull’asse verticale troviamo la di erenza tra tasso di
in azione reale e aspettato che nel caso della curva di Phillips originale è dato da π| e nel caso
della curva di Phillips accelerata è πt-1.

Ad ogni modo il punto di intersezione tra queste due curve, entrambe crescenti, e l’asse
orizzontale determina il livello in cui NON c’è output gap: la produzione è al suo livello
naturale.

In corrispondenza del punto B la produzione è maggiore dei livelli naturali e così il tasso di
in azione è maggiore di quello atteso. Il punto B mostra un punto in cui il criterio della
formulazione delle aspettative diventa inconsistente: gli agenti si aspettano un tasso 2% quando il
tasso è costante al 3% e questo denota scarsa coerenza.

Il secondo aspetto del punto B è che se assumessimo che gli agenti accettassero di avere
sempre le loro aspettative disilluse, non è “giusto” che il governo illuda sempre i suoi cittadini. ***

Quindi adesso studiamo il modello IS-LM-PC che descrive il funzionamento di un’economia nel
medio periodo considerando l’interazione tra mercato dei beni (curva IS), mercato nanziario
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della moneta della banca centrale (curva LM) e mercato del lavoro, dove operano le forze
che determinano il tasso di in azione (curva PC)

Curva IS: Y = C(Y-T) + I(Y, r + x) + G

Curva LM: r = r|

Curva PC: πt = π| + α x f(Yt-YN)

Quali sono le ipotesi di questo modello?

Che vi sia un unico bene con un’economia chiusa, che i prezzi siano variabili, che la banca
centrale ssa il tasso di policy che in uenza il tasso di interesse sui prestiti (r+x)

Quali sono le caratteristiche di questo modello?

Siamo nel medio periodo, dove devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

1) Curva LM: l’o erta e la domanda di moneta della banca centrale DEVONO ESSERE UGUALI,
in corrispondenza del tasso di policy (r|)

2) Curva IS: o erta e domanda di beni sono uguali, determinando la produzione di equilibrio YE.

3) Curva PC: produzione di equilibrio e produzione potenziale sono uguali determinato un tasso
di in azione costante.

In una situazione di equilibrio si veri cherebbe questo:

Vediamo che la curva IS e la curva LM si intersecano nel punto di equilibrio E. Questo punto
coincide, sulla curva PC, a quel punto dove la produzione di equilibrio è uguale alla produzione
potenziale, e il tasso di in azione è quindi costante.

Tuttavia supponiamo che questo equilibrio venga sconvolto:

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Di fronte a una politica scale espansiva, aumentando la spesa pubblica e diminuendo le tasse, la
curva IS si è spostata verso destra e ora questo equilibrio non c’è in quanto vediamo sulla curva
PC un punto E’B che ci fa notare che ora gli agenti si aspettano costantemente un tasso diverso
da quello reale.

Si può creare un livello di produzione potenziale nel quale non assistiamo a questo perpetuo
errore degli agenti?

Se si parte da una situazione di equilibrio qualsiasi politica scale può creare problemi
quindi si incorre in politiche monetarie.
Quindi per fare ciò la politica monetaria deve agire in senso opposto rispetto alla politica
scale, aumentando r, rendendo più di cile nanziarsi per e ettuare investimenti.

Quali sono i possibili meccanismi da mettere in atto?

Se YEB > YB -> πt - π > 0 -> +r

Se YEB < YB -> πt - π < 0 -> -r

Quali sono i principali problemi?

1) il livello di YN

2) I tempi di reazione

3) I livelli di uN

Nel momento in cui si interviene nella politica scegliendo di diminuire il potere di mercato delle
imprese ecco che l’equilibrio naturale si sposta.

Se si riduce m, dobbiamo abbassare la curva LM, cioè diminuendo il tasso di interesse per
rendere gli investimenti coerenti per raggiungere un nuovo livello dell’economia.

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