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Agrigento Romana

Scavi e Ricerche nel Quartiere Ellenistico Romano


Campagna 2013

a cura di
Maria Concetta Parello e Maria Serena Rizzo

regione siciliana
REGIONE SICILIANA
Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana
Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana
Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento

Redazione
Maria Concetta Parello
Maria Serena Rizzo

Referenze grafiche e fotografiche


Archivio Parco Valle dei Templi

Foto reperti
Emanuele Simonaro

Ortofoto
Fausto D'Angelo

Rilievi Grafici
Fernando Giannella
Maria Assunta Papa

Restauro dei reperti


Salvatore Burgio

Rilievo dei reperti


Raffaele Fanelli
Maria Assunta Papa

Questo volume è stato realizzato nell'ambito del progetto PO-FESR


2007/2013Asse III-Linea d'intervento 3.1.1.6-"Lavori di ricerca, restauro
e valorizzazione delle fasi di occupazione dell'abitato di età romana.
R.U.P. Giuseppe Grado
Progettisti: Roberto Sciarratta, Giuseppe Amico, Michele Bevilacqua
Collaboratori: Antonio La Gaipa, Gerlando Galante, Salvatore Sollano
Direzione dei lavori: Roberto Sciarratta, Giuseppe Amico,
Michele Bevilacqua, Maria Concetta Parello, Maria Serena Rizzo

Agrigento romana : studi e ricerche nel quartiere ellenistico romano : campagna 2013 / a cura di Maria Concetta
Parello e Maria Serena Rizzo. - Palermo : Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana,
Dipartimento dei beni culturali e dell'identità siciliana, 2015.
ISBN 978-88-6164-367-3
1. Scavi archeologici – Agrigento – 2013.
I. Parello, Maria concetta <1964->. II. Rizzo, Maria Serena <1963->.
937.8221 CDD-22 SBN Pal0285894

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

© 2015 Regione Siciliana - Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana


Dipartimento dei beni culturali e dell'identità siciliana

EDIZIONE FUORI COMMERCIO-VIETATA LA VENDITA


5

Le nuove ricerche nella Valle dei Templi: indirizzi,


metodologie, finalità
Giuseppe Parello

I saggi archeologici di cui si propongono i risultati in questo volume sono stati realizzati nell’ambito
del progetto di “Ricerca, restauro e valorizzazione delle fasi di occupazione dell’abitato di età ro-
mana”, finanziato dal PO-Fesr 2007-2013, finalizzato alla manutenzione straordinaria e alla messa in
sicurezza di alcuni vani delle case del Quartiere Ellenistico-Romano e, contemporaneamente, allo
scavo di depositi archeologici di diversa formazione che si trovavano all’interno di diverse domus.
Il Quartiere costituisce un contesto assai fragile, nel quale alla difficoltà di conservazione della te-
nera pietra arenaria, che caratterizza tutti i monumenti agrigentini, si accompagna la necessità di una
continua manutenzione degli apparati decorativi, in primo luogo dei pavimenti e degli intonaci. Si
tratta peraltro di un palinsesto strutturatosi nel corso di più di un millennio, con la sovrapposizione
di muri, pavimenti, strati di intonaco, livelli di vita, di distruzione e di abbandono: ciò rende spesso
difficile preservare la documentazione di tutte le fasi costruttive e decorative ed impone a volte scelte
difficili. Tutte queste considerazioni ci hanno indotto a concentrare molte delle nostre energie e dei
nostri sforzi, anche finanziari, proprio su questo settore dell’area del Parco, con alcuni precisi obiettivi.
Il primo di questi è, naturalmente, quello di preservare e tutelare, mantenendolo nelle migliori
condizioni possibili, il patrimonio monumentale del Quartiere, grazie ad una serie di progetti di re-
stauro e manutenzione straordinaria, alcuni dei quali già finanziati e realizzati successivamente al pro-
getto del 2013, altri sul punto di essere avviati, altri ancora proposti per il finanziamento con i nuovi
fondi europei. In questo modo si potrà garantire la continuità degli interventi, mirando al coinvolgi-
mento dell’intera area finora messa in luce.
Altrettanto importante è la prosecuzione e l’approfondimento della ricerca archeologica, volta da
una parte a verificare e chiarire diversi aspetti della planimetria e della distribuzione funzionale degli
spazi e a precisare alcuni momenti della sequenza cronologica delle diverse case, dall’altro lato ad am-
pliare l’area indagata e disponibile per la fruizione, obiettivo che si è già iniziato a perseguire nel 2014
con l’avvio della ricerca nell’Insula IV. Già con i saggi del 2013 e ancora di più con i progetti successivi,
la ricerca ha previsto l’intervento di diverse professionalità e competenze molteplici, in modo da giun-
gere ad una comprensione globale dei contesti indagati, grazie allo studio planimetrico ed architetto-
nico delle case, all’esame antropologico e tafonomico delle sepolture, alle indagini paleobotaniche ed
archeozoologiche. È parte del progetto di studio del Quartiere la scelta di favorire, in rapporto con
diverse Università e Scuole di Specializzazione in Archeologia, l’assegnazione agli studenti di tesi su
singole abitazioni, in modo che si possa giungere ad una revisione complessiva non soltanto degli
aspetti planimetrici e architettonici, ma anche dei reperti archeologici recuperati negli scavi più antichi.
Essenziale, infine, non solo per la conservazione dei dati, ma anche per semplificarne la gestione, la
lettura e l’interpretazione, è il loro inserimento nella piattaforma GIS del Parco Archeologico.
Il miglioramento della fruizione di un’area, quella del Quartiere, complessa e difficile da leggere e
da interpretare per il visitatore, è un altro degli obiettivi che si stanno perseguendo e che si è già par-
zialmente realizzato con l’installazione di nuovi pannelli didattici nelle Insulae I e II, nell’ambito di
un progetto più ampio di potenziamento della comunicazione del Parco, realizzato in collaborazione
con il Laboratorio Archeoframe dello IULM di Milano. Un nuovo percorso di visita, che faciliti la
6 Giuseppe Parello

Quartiere ellenistico-romano, vista da nord. Foto archivio Parco Valle dei Templi

lettura dell’impianto urbanistico e della scansione degli spazi, è inoltre in fase di studio.
L’attenzione rivolta al Quartiere Ellenistico-Romano si inquadra in un più ampio progetto di ricerca
e di valorizzazione del settore centrale della città antica, quello che, allo stato attuale delle conoscenze,
appare come il più vitale in età romana, quando, ridottosi il perimetro urbano, essa sembra gravitare
sul poggio di S. Nicola che, già sede probabilmente dell’agorà in età classica ed ellenistica, subisce
notevoli interventi dopo la conquista romana, configurandosi probabilmente come una vasta area fo-
rense. La città romana e tardoantica è al centro degli interessi attuali di ricerca e di valorizzazione
del Parco, in condivisione con il Politecnico di Bari; tuttavia, rimangono essenziali alcuni temi di in-
dagine sulla città classica, ed in primo luogo la verifica e la precisazione dei caratteri e dell’impianto
urbano e dell’organizzazione del suburbio, tema già indagato con ricognizioni di superficie e studio
delle fotografie aeree e satellitari dalla Cattedra di Topografia Antica dell’Università di Palermo e sul
quale è in corso un’ulteriore ricerca, che associa strumenti diversi di remote sensing, da parte di un
team dell’Università di Padova. Saggi di controllo sono stati realizzati alle due estremità, occidentale
ed orientale, dell’area urbana dalla cattedra di Topografia Antica di Palermo e dagli archeologi del
Parco. L’Università di Palermo conduce anche, da alcuni anni, una ricerca sull’area sacra che si svi-
luppa ad Est del tempio di Zeus Olimpio, mentre la cattedra di Archeologia Classica dell’Università
di Augsburg studia il santuario suburbano di contrada Sant’Anna.
La presenza, dentro il Parco, di diversi gruppi di ricerca ed istituti universitari, al fianco ed in col-
laborazione con il personale tecnico-scientifico dell’Ente e con i giovani professionisti impegnati nelle
indagini sul campo, è il frutto di una politica di apertura perseguita con forza negli anni più recenti:
vogliamo infatti che il Parco diventi sempre di più un luogo di incontro e di confronto scientifico tra
studiosi provenienti da realtà lontane tra loro, tra metodologie, punti di vista, approcci diversi; con-
temporaneamente, la partecipazione di tanti studenti alle attività di ricerca, nell’offrire loro la possi-
bilità di un’esperienza sul campo in un contesto particolarmente ricco di opportunità di studio, fa del
Parco un vivaio di giovani studiosi. Da questo punto di vista è per noi particolarmente importante la
collaborazione con i Corsi di Laurea in Beni Culturali e in Archeologia del Polo Universitario di Agri-
gento.
Le nuove ricerche nella Valle dei Templi: indirizzi di ricerca, metodologie, finalità 7

Il confronto tra studiosi non può prescindere dalla rapida diffusione e divulgazione dei risultati
delle ricerche, inseriti nella nostra piattaforma GIS, che diventerà presto un Web-GIS. Mettiamo poi
a disposizione una sede di incontro e discussione più tradizionale, le Giornate Gregoriane, il nostro
convegno scientifico che si tiene ogni anno alla fine di novembre. Per quanto riguarda le ricerche di-
rettamente condotte dal Parco, siamo impegnati nella pubblicazione, il più veloce possibile, degli
scavi. Questo volume giunge infatti a soli due anni dalla conclusione delle indagini, riunendo i con-
tributi di tutti quelli che hanno partecipato, con le proprie competenze specifiche, alla ricerca.
Vogliamo infine ricordare che proprio lo scavo del 2013 ha inaugurato la nostra iniziativa del “Can-
tiere aperto”, con la quale abbiamo invitato cittadini e turisti a visitare l’area archeologica durante i
lavori, per partecipare direttamente alle fasi della scoperta e dell’indagine e comprendere la comples-
sità e le difficoltà degli interventi di manutenzione e restauro. La disseminazione della conoscenza ed
il coinvolgimento della comunità locale, ma anche dei visitatori occasionali, sono infatti un obiettivo
almeno altrettanto importante della pubblicazione scientifica e della comunicazione ad un ristretto
gruppo di studiosi: a questo fine sono state realizzate anche due mostre, che hanno dato conto quasi
in tempo reale dei risultati degli scavi nel Quartiere e nell’area del Tempio Romano. Riteniamo cen-
trale infatti il rapporto con la comunità dei cittadini e con il più vasto pubblico dei visitatori occasio-
nali, convinti come siamo che sia il pubblico il principale riferimento di chi tutela e gestisce il
patrimonio culturale.
9

Il Quartiere Ellenistico-Romano: storia degli studi.


Gli interventi del 2013
Maria Concetta Parello

Il cosiddetto Quartiere Ellenistico Romano, che nell’aspetto attuale si configura come un’impor-
tante area residenziale di età romana, occupa una parte centrale dello spazio della città antica prossimo
ad un’area pubblica di età greca e romana (fig. 1). Messo in luce per una superficie di circa 15.000 mq
interessa parte di tre isolati organizzati su terrazze, larghi 35 metri ca., che si sviluppano all’interno di
un tracciato regolare definito da quattro arterie stradali orientate in senso N/S che intersecano gli assi
della viabilità principale, orientati in senso E/O1.
Dal punto di vista architettonico il quartiere ha restituito numerose tipologie abitative, riconducibili
sia alla tradizione ellenistica sia a quella romana, che presentano una grande varietà di modelli plani-
metrici e di impianti decorativi (fig. 2). Il modello abitativo più rappresentato è quello della casa con
peristilio di tradizione ellenistica; sono state inoltre riconosciute diverse abitazioni con impianti a pa-
stas, ed una con atrio tetrastilo2. La diversità delle piante, delle soluzioni costruttive, della grandezza
dei lotti fanno del quartiere un’area residenziale di grande interesse per lo studio delle soluzioni abi-
tative in ambito provinciale romano in cui è ancora fortissima la tradizione ellenistica a partire dalla
fine del II sec. a. C. A ciò bisogna aggiungere la longevità delle domus del quartiere, che ha comportato
una lunghissima serie di restauri e trasformazioni , con suddivisioni continue di ambienti e rialzamenti
pavimentali a cui si associano gli innalzamenti dei piani d’uso degli assi viari, fino alla trasformazioni
più recenti, quando ormai le domus stesse hanno perso la loro identità, che portano ad un mutamento
radicale dell’assetto del Quartiere3. A quest’ultimo periodo infatti si può attribuire la presenza di
nuclei sparsi di tombe all’interno dell’area residenziale (fig. 3), spesso all’interno delle case, che do-
cumentano la consuetudine delle sepolture in urbe anche nella Agrigentum tardoantica, secondo una
tradizione ampiamente documentata in età altomedievale4.

Storia degli studi

Scoperta alla fine dell’8005 l’area residenziale comincia ad essere indagata a partire dallo scavo
della “ Casa del grande peristilio”, situata nell’insula I, che costituisce uno degli esempi più monu-
mentali di edilizia privata dell’Agrigentum romana ad oggi conosciuto. Agli inizi del secolo successivo
la ricerca continua con interventi prima di Gabrici e poi di Cultrera. Ettore Gabrici continua la ricerca
nella “Casa del grande peristilio” ed amplia l’area di scavo includendo anche la casa attigua posta a

1
De Miro 2009, p. 35.
2
De Miro 2009, pp. 383-396.
3
Rizzo 2014,
4
Rizzo 2014,
5
De Miro 2009, p. 19.
10 Maria Concetta Parello

Fig. 1 - Quartiere ellenistico-romano. Foto aerea (da google earth)

nord, caratterizzata dalla presenza di un atrio di tradizione italica e di un peristilio e per questo de-
nominata “Casa con atrio e peristilio”6.
Il successivo scavo di Cultrera7, rimasto inedito, permise di mettere in luce un tratto del cardo II
e la fila di ambienti prospicienti su di esso, pertinenti ad abitazioni dell’insula II.
Di grande interesse le successive indagini di Griffo finalizzate soprattutto a ricostruire l’impianto
urbanistico nel quale si trovavano inserite le abitazioni già individuate. Il Griffo infatti, dopo una serie

6
Gabrici 1925, pp. 420-461; De Miro 2009, pp. 21-23.
7
De Miro 2009, p. 23.
Il Quartiere Ellenistico-Romano: Storia degli Studi. Gli interventi del 2013 11

Fig. 3 - Quartiere ellenistico-romano. Tombe all’interno della casa ii c vano


h e della casa ii d , vano a1

Fig. 2 - Quartiere ellenistico-romano. ortofoto insula i ( DicaM.


Università di Palermo)
12 Maria Concetta Parello

di saggi sui Cardines II e III, giunge alla conclusione che la città era organizzata all’interno di un im-
pianto regolare8.
Il punto di svolta della ricerca al quartiere è segnato dall’imponente campagna di scavi finanziata
dalla Cassa per il Mezzogiorno svolta tra il 1953 ed il 1956 che comportò anche l’espropriazione di
una vasta area su cui sorgeva la città antica. Furono anni importantissimi questi per la ricerca al quar-
tiere, che videro il riemergere di tutte le domus oggi visibili e dell’impianto viario in cui si trovano in-
serite9.
Dagli anni ‘60 in poi gli interventi di scavo che si sono susseguiti sono stati indirizzati prevalente-
mente alla comprensione della stratigrafia dell’intera area, che risulta davvero molto complessa , nel
tentativo di ricomporre il quadro dello sviluppo urbanistico della città a partire dall’età arcaica. At-
traverso saggi stratigrafici infatti sono stati rintracciati i livelli di vita relativi alla città greca e ai diversi
momenti di ristrutturazione e trasformazione del quartiere, fino ai recenti saggi del 2005 che hanno
permesso di definire con una certa precisione una “periodizzazione” della vita del Quartiere che
risulta compresa tra il VI sec. a. C. ed il VI sec. d. C.10
Dopo oltre un cinquantennio tutti i risultati delle richerche a cui abbiamo accennato sono stati
pubblicati in un importante lavoro monografico di Ernesto De Miro che rappresenta oggi il punto di
partenza per tutte le indagini presenti e future sul quartiere11. Il volume raccoglie un’enorme mole di
informazioni relative soprattutto alle trasformazioni che hanno riguardato le singole domus e si pro-
pone come il primo di una collana che prevede anche la pubblicazione dei materiali, lavoro assoluta-
mente auspicabile e fondamentale sia per la comprensione puntuale delle varie fasi di vita del quartiere
sia per la conoscenza della cultura materiale della città greca e romana.

Gli interventi di cui si presentano i risultati in questo volume (fig. 4) costituiscono la ripresa della
ricerca nel quartiere dopo circa un decennio e sono il frutto di una riflessione relativa soprattutto alle
fasi di vita più tarde alle quali le ricerche precedenti avevano dato uno spazio abbastanza limitato. Le
emergenze archeologiche ancora in situ, benché di piccola entità, ci hanno permesso di raccogliere
diversi nuovi indizi utili a ragionare sul lungo periodo delle trasformazioni del quartiere che comincia
nel IV secolo e che oggi, alla luce di questi nuovi risultati, appare sicuramente molto complesso.

Gli interventi del 2013

I saggi archeologici pubblicati nel presente volume sono stati realizzati nell’ambito di un progetto
più ampio mirato al miglioramento della fruizione dell’intera area residenziale. Il lavoro, finanziato
mediante programmazione P.O. F.E.S.R. 2007-20013, ha previsto numerosi interventi di restauro sia
di strutture murarie che di pavimenti appartenenti a case delle Insulae I e II e III, selezionati, in fase
di progettazione, tenendo conto delle criticità che presentavano dal punto di vista della conservazione.
Contestualmente si è proceduto alla sistemazione ed alla messa in sicurezza di alcune aree che negli
anni erano state interessate da saggi stratigrafici in profondità che non erano stati successivamente ri-
coperti. Questi saggi si presentavano problematici sia per gli aspetti legati alla sicurezza della fruizione
sia per la leggibilità complessiva degli spazi in cui erano stati realizzati. In queste aree si è proceduto
alla pulizia ed alla documentazione dello stato di fatto e quindi alla colmatura ed alla sistemazione
dei livelli di calpestio.

8
De Miro 2009, pp. 24-27.
9
Dopo le notizie preliminari in Griffo 1954 e De Miro 1957, ed alcuni cenni sull’abitato tardoantico in De Miro 1980,
pp. 169-171, la pubblicazione monografica degli edifici messi in luce durante gli anni ‘50 del secolo scorso e negli anni
successivi si avrà in De Miro 2009.
10
De Miro 2009, pp. 405-407.
11
De Miro 2009.
Il Quartiere Ellenistico-Romano: Storia degli Studi. Gli interventi del 2013 13

Fig. 4 - Quartiere ellenistico-romano. Pianta dell’insula i con indicazione degli interventi realizzati nel 2013
14 Maria Concetta Parello

5 6

7 8

Figg. 5/8 - Quartiere ellenistico-romano. colmatura dei saggi della casa ii B

Il primo intervento ha riguardato la colmatura dei saggi ef-


fettuati risparmiando parte della pavimentazione in cocciope-
sto all’interno dei vani z2, z3 e z4 della Casa II B (figg. 5-8).
Sempre nella stessa casa sono stati colmati alcuni saggi che in-
teressavano l’area del portico. Di questi saggi è stata effettuata
una pulizia generale, una successiva documentazione con un
rilievo fotogrammetrico a bassa quota e la colmatura finale.
Si è proceduto quindi alla sistemazione di un saggio effet-
tuato da De Miro12 all’interno del vano “a” della Casa II B
(figg. 9-10). Per questioni di sicurezza non è stato possibile
ripulire l’area e approfondire la stratigrafia. Si è proceduto
dunque alla documentazione fotografica delle sezioni N e S
del saggio, alla quotatura di alcuni strati ben visibili nelle se-
zioni ed infine alla colmatura.
Un importante intervento di colmatura ha riguardato un
saggio di notevoli dimensioni effettuato negli anni ’60 sul
cardo III che ne comprometteva notevolmente la percorribi-
lità, anche in questo caso si è proceduto a ricavare elementi

Fig. 9 - Quartiere ellenistico-romano. saggio del vano


a della casa ii B
12
De Miro 2009, p. 184 190.
Il Quartiere Ellenistico-Romano: Storia degli Studi. Gli interventi del 2013 15

di stratigrafia dalla pulizia delle sezioni13


(figg. 11-13), si è quindi passati alla docu-
mentazione ed alla colmatura finale.
Un ultimo intervento è stato effettuato nel
vano p1 della Casa II C, all’interno (fig. 14) del
quale era stato realizzato un saggio nel 196114
che raggiungeva una profondità di circa 4
metri rispetto al piano di calpestio attuale.
La normativa della sicurezza sui cantieri
non ci ha permesso di ripulire le sezioni dello
scavo per effettuarne una documentazione
grafica di dettaglio; sono comunque state
battute delle quote nella sezione Ovest del
saggio in corrispondenza di due strati, che
sembrerebbero potersi interpretare come
due battuti, e di uno strato uniforme di sca-
rico di tegole e materiale ceramico, probabil-
mente il Livello IV e IVa citato dal De Miro15.
La colmatura dei saggi è stata effettuata
con terra di risulta e lo scarto della ceramica
dei Saggi 9L e 12 M.
Gli interventi di scavo sono stati affrontati
seguendo due obiettivi diversi che ci siamo
sforzati in tutti i modi di far convergere, il
primo e più immediato è stato quello di in- Fig. 10 - Quartiere ellenistico-romano. saggio del vano a della casa ii B
tervenire dove la presenza di aree rimaste
non scavate, soprattutto dopo l’imponente campagna degli anni ’50, costituiva un problema per la
fruizione del sito. A questo obiettivo abbiamo sempre affiancato la prospettiva scientifica di recuperare
dallo scavo dei “testimoni” ancora in situ il maggior numero di informazioni possibili utili a ricostruire
le fasi di vita più recenti del Quartiere, quando la sua fisionomia sembra cambiare radicalmente16.

Figg. 11/12 - Quartiere ellenistico-romano. cardo iii, saggio 10J

13
Saggio 10J ( cfr. Papa, ultra)
14
De Miro 2009, pp. 233 239.
15
De Miro 2009, p. 234.
16
Delle trasformazioni che riguardano le domus del quartiere si trovano pochissimi cenni in bibliografia fino alla monografia
del De Miro (De Miro 2009, p. 407). Di recente una serie di osservazioni sono state fatte da Maria Serena Rizzo (Rizzo 2014,
pp. 409-411) che focalizza la sua attenzione sul fatto che a partire dalla fine del IV secolo, molte case mostrano i segni di un de-
16 Maria Concetta Parello

Fig. 13 - Quartiere ellenistico-romano. cardo iii, saggio 10 J

Fig. 14 - Quartiere ellenistico-romano. casa ii c. saggio vano p1

Su alcuni dei testimoni lasciati a vista infatti, sui quali siamo intervenuti, si trovavano gruppi di
tombe17, o tombe singole, più o meno conservate, che occupavano gli spazi interni delle domus uti-
lizzando in qualche caso le creste dei muri a vista per addossarvi i blocchi che costituivano le casse.
Le tombe risultavano esposte ma non scavate al loro interno; durante gli scavi precedenti infatti era
stato eliminato il terreno nel quale erano state inserite sottraendo allo scavo elementi essenziali di cro-
nologia non più recuperabili per cui per la definizione della loro cronologia ci siamo affidati ai pochi
elementi di corredo trovati all’interno di alcune di esse. Un’altra interessante emergenza lasciata su
uno dei testimoni che abbiamo scavato all’interno della casa II C, è una struttura produttiva interpre-
tabile come calcara18, collocata anch’essa all’interno di un vano di una domus ormai in disuso. Le si-
tuazioni indagate all’interno delle case II C e II D sono molto interessanti e utili a ricostruire il quadro
delle trasformazioni che interessarono il Quartiere dalla fine del IV secolo quando le domus mutano
totalmente il loro aspetto ed in parte certamente le loro funzioni. Le sepolture infatti entrano in urbe
connotando fortemente un nuovo paesaggio che appare senza dubbio mutato.
Altri piccoli interventi di scavo sono stati fatti nella casa II Be, II D. Per i risultati si rimanda al-
l’apposita sezione del volume19.

clino, che si esprime con la mancanza di manutenzione degli antichi elementi di pregio e con l’apparente disinteresse per i settori
di maggiore valore monumentale delle abitazioni; sottolinea inoltre che su questi edifici in fase di trasformazione si deposita un
po’ ovunque uno strato di distruzione su cui saranno impostate le tombe in parte oggetto di scavo della campagna 2013.
17
Le tombe scavate si trovavano all’interno delle case II c e II D, saggi 9L e 13N ( cfr. Rizzo e Di Giuseppe, ultra).
18
Saggio 12M, vedi Parello, ultra
19
Saggio 11K, vedi Sutera, ultra.
17

Saggio 10 J
Maria Assunta Papa

Il saggio 10 J si trova nel Cardo III. Si tratta di un saggio di scavo realizzato da E. De Miro negli
anni ’60, la cui documentazione è stata rintracciata e comunque, almeno in parte, è riportata nella
pubblicazione del 2009. Lo scopo iniziale del nostro intervento era quello di procedere ad una sem-
plice pulizia e ad una verifica della stratigrafia, prima di colmare l’ampio saggio aperto sul cardo III,
per consentire una migliore fruizione dell’area. Procedendo ad una pulitura dell’area e della sezione
in questione, tuttavia, si è osservata una non esatta corrispondenza tra i dati di De Miro e quelli oggi
rilevabili. Di conseguenza, le operazioni in questo saggio, previste inizialmente come una semplice
pulitura e documentazione, hanno dovuto cambiare la loro finalità, diventando un delicato intervento
in sezione, volto alla comprensione di una stratigrafia già indagata.

Fig. 1 - saggio 10 J area a s del saggio


18 Maria Assunta Papa

Per ragioni di sicurezza non si è potuti intervenire sulla sezione N del Saggio e si è potuto lavorare,
dunque, solo sulla sezione S, non pubblicata da De Miro, e nell’area dello scavo ad Est della canaletta
che divide in due il Cardo, dove sono stati ripuliti solamente gli strati già indagati nelle precedenti
campagne.
Ripulita l’area e dopo aver studiato i dati stratigrafici riportati da De Miro1 si taglia una sezione E-
O nella parte più a S del saggio tra l’USM 1515 dell’Insula III e la canaletta che scorre a metà del
Cardo III.
La suddetta sezione viene effettuata al fine di controllare velocemente la composizione di uno
strato di accumulo di terra prodotto dal dilavamento dei bordi del vecchio saggio di scavo e raggiun-
gere il livello stratigrafico più alto indagato nelle precedenti campagne. Questo livello sembra corri-
spondere a uno strato di terra da cui fuoriescono leggermente delle pietre sbozzate (potrebbe trattarsi
di un allineamento con funzione di marciapiede oppure di un’opera di manutenzione del livello stra-
dale per un cedimento del livello di battuto).
Nell’area nel Cardo III ad E della canaletta e ad O dell’Insula III (fig.1) si rintraccia, nella parte più
a Est del Saggio verso Sud, uno strato di crollo di pietre di piccole e medie dimensioni che viene deno-
minato US 1J (134.78 m slm), probabilmente da mettere in rapporto con l’abitato dell’Insula III. I ma-
teriali recuperati dallo strato (vedi catalogo) non risultano significativi a livello cronologico. Infatti l’US
1J è stata da noi solamente ripulita e quindi è difficile comprendere se i reperti rinvenuti siano effettiva-
mente legati al contesto stratigrafico o se siano delle contaminazioni dovute all’esposizione dello strato.
Ad una quota leggermente inferiore 2-3 cm circa verso Nord si rintraccia un livello di battuto giallo
molto compatto denominato US 3J; tra le US 1J e 3J abbiamo individuato uno strato di terra bruna
mista a intonaco e arenaria denominato US 2J (134.63 m slm); lungo la parete ovest del saggio si in-
dividua una fossa riempita con terra scura mista a cenere, (US 4J riempimento; US 10J taglio), di
forma grossomodo rettangolare, che si restringe verso nord al di sotto di uno ulteriore lembo di battuto
giallo denominato US 5J; la parte centrale del saggio è occupata da uno strato molto compatto di co-
lore giallastro, US 9J (134.69 m slm). Sulla parete Est del saggio una serie di pietre medie e grandi,
US 7J, si collocano a q. 134.74 m slm a queste si appoggia coprendole in parte uno strato di malta
biancastra mista a micro frammenti ceramici triturati (US 6J); nella parte Nord si rintraccia uno strato
di terra di battuto chiaro, piuttosto compatto denominato US 8J.
Probabilmente gli strati 8J, 5J, 3J e 9J sono pertinenti ad un unico livello di battuto stradale di cui
si sono persi lembi e che potrebbe avere subito diversi rimaneggiamenti (tagli e riempimenti di fosse,
rinzeppamenti, sistemazioni strutturali della strada).
Sarebbe stato molto interessante lavorare nel Cardo III anche ad Ovest della canaletta e del testi-
mone lasciato dalle precedenti campagne di scavo ma la direzione dei lavori per problemi di sicurezza
non ci ha permesso di lavorare in questa area.
Procedendo allo smontaggio della canaletta nel Cardo III, i lavori vengono seguiti dal punto di
vista stratigrafico curando che gli strati al di sotto della canaletta vengano intaccati il meno possibile.
I blocchi sono stati numerati e fotografati per riposizionarli dopo la colmatura del saggio.
Si denomina US 11J lo strato di battuto su cui poggia la canaletta che viene in parte rimosso durante
lo smontaggio della stessa canaletta.
Si rimuovono dal testimone sotto la canaletta l'US 11J e l'US 12J. L'US 11J è un battuto, al di sotto
della canaletta databile genericamente tra il IV e il VI sec. d.C., caratterizzato dalla presenza di cera-
mica africana da cucina, ceramica di Pantelleria, ceramica a vernice nera, un frammento di lucerna e
altri frammenti di terra sigillata italica tra cui i resti di un bollo (fig.3). Lo strato US 12J è uno strato
di abbandono di terra grigia mescolata a intonaco, reperti faunistici, alcuni frammenti di sigillata afri-
cana, un peso da telaio, frammenti di ciotole e scodelle di ceramica comune e frammenti di ceramica
da cucina.
Si passa dunque allo scavo della piccola sezione al di sotto della canaletta, indagando gli strati che
dovevano coprire l’area interessata dalle US 1J, 2J, 3J, 4J, 5J, 6J, 7J, 8J e 9J. Si rimuovono le US: 13J

1
De Miro 2009, p.355
Saggio 10 J 19

Fig. 2 - Posizionamento saggio 10J e sezione a-a’


20 Maria Assunta Papa

Fig. 3 - Us 11J, frammento di Terra sigillata italica con Fig. 4 - Us 14J, frammento di coppo con listello dipinto in bruno
bollo

battuto stradale del Cardo III da cui provengono un frammento di piatto coperchio di ceramica afri-
cana da cucina; un frammento di orlo di olla e due frammenti di brocchette dall’impasto rosa-arancio
e ingobbio chiaro, 14J strato di riempimento-abbandono databile tra la seconda metà del IV e l’inizio
del V sec. d.C. in cui sono stati recuperati un frammento di coppo dipinto con fascia bruna (fig.4),
un frammento di pateretta a vernice nera, un frammento di orlo di brocchetta di ceramica fine a pareti
sottili, un frammento di piatto-coperchio con orlo annerito e leggera carenatura della vasca, un fram-
mento di tegame, frammenti di ceramica di Pantelleria, diversi frammenti di ceramica comune; l’US
16J battuto di circa 3 cm di spessore da cui proviene un orlo di anfora greco-italica; l’US 17J strato
di colmatura-abbandono sotto US 16J che copre gli strati 2/5/8/9J interpretabili ora con chiarezza
come un unico livello di allettamento stradale del Cardo III che in antico aveva dovuto subire piccoli
interventi di rinzeppamento riconoscibili nelle US 7J e 6J. Dall’US 17J si recupera un orlo di terra si-
gillata del tipo Hayes 18 n.1.
La Direzione dei lavori a questo punto non ci permette di scendere e continuare ad indagare l’area
e quindi si passa alla pulizia della grande sezione denominata A-A’.
Inizialmente si indaga la parte della sezione sotto la canaletta ed a Est di essa (fig.5).
Al di sotto del livello di battuto 2/5/8/9J, si rinviene l’US 18J livello di colmatura-abbandono costituita
da terra di color marrone2. Sotto questo strato si rintraccia il battuto US 19J, che copre un altro livello di
colmatura denominato US 20J. Verso E in sezione si legge un sottile (3 cm) strato di bruciato3 che si as-
sottiglia verso O e non viene rintracciato in tutta la sezione. Questo strato è inglobato in US 20J.
Sotto US 20J si legge un livello di battuto (US 21J) e un altro livello di abbandono colmatura (US
23J) in cui sono inglobate lenti di terra calcarenitica. Sotto US 23J si rintraccia un battuto4 denominato
US 24J che copre un livello di colmatura realizzato con terra scura e ciottoli (US 25J).
La lettura in sezione della stratigrafia permette in rari casi la datazione puntuale dei singoli strati,
non potendo recuperare per ogni strato materiale datante.
L’US 24J, però, si è presentata abbastanza ricca di materiale nel taglio di sezione da noi indagato,
infatti abbiamo recuperato un puntale di anfora; 2 frammenti di pareti di sigillata africana C; un fram-
mento di orlo di pentola di ceramica africana da cucina Hayes 23b (tipo A2); un frammento di bacino.

2
Munsell 5YR 5/1.
3
US 21J, Munsell 2.5YR 7/3.
4
Battuto compatto composto da terra e arenaria (Munsell 10YR 7/6).
Saggio 10 J 21

Fig. 5 - sezione a-a’ parte sul lato est della canaletta

Fig. 6 - sezione a-a’ parte sul lato ovest della canaletta


22 Maria Assunta Papa

Fig. 7 - complessità della sezione a-a’

Grazie ai confronti ricavati dallo studio dei materiali si è dunque potuto datare il livello stradale US
24J tra il III e il IV sec. d.C.
Ad una quota leggermente inferiore dell’ US 24J, rintracciamo verso O una macchia informe di
terreno scuro che potrebbe essere interpretata come il riempimento di una fossa.
Al di sotto di questa in tutta la sezione verso O si legge uno strato di riempimento (US 27J) di ma-
teriale ceramico, mescolato a terra scura e pietre (in crollo?) che sembra in rapporto con una situazione
stratigrafica, interpretata inizialmente come butto, nella parte più ad E della sezione. Sotto US 27J
troviamo un pacchetto di terra marrone che sembrerebbe sterile (US 28 J) e che copre un ulteriore li-
vello di battuto (US 29J) dal quale si recuperano frammenti di ceramica indigena dipinta probabil-
mente di età arcaica.
Pulendo anche la sezione E-O, che dall’Insula II va verso la canaletta la stratigrafia, presenta alcune
differenze rispetto a quella dell’area ad E della canaletta (fig.6).
Si individua anche in questo caso, ma a quota leggermente più alta, lo strato US 17J. L’US 2/5/8J si
rintraccia in questa area solo nella parte più orientale della sezione in corrispondenza della canaletta.
L’US 18J, ben riconoscibile ad E della canaletta, è difficilmente distinguibile dall’ US 17J. Gli strati
US 19J e 20J si seguono lungo tutta la sezione.
Anche in questa sezione si leggono lenti di calcarenite (US 22J) inglobati a uno strato di terra di
riempimento (US 23J) come nel caso della sezione già indagata.
Il battuto 24J si rintraccia chiaramente lungo tutta la sezione e tracce del suo livello di imposta
sono leggibili nei prospetti dell’Insula II e dell’Insula III (fig.7).
Al di sotto di questo strato, però, la situazione stratigrafica appare molto diversa rispetto a quella
precedentemente indagata. Nella parte E della sezione si riconosce l’US 25J, mentre ad O si legge
una stratificazione molto più articolata. Denominiamo US 30J uno strato di colore grigio/nerastro5
subito sotto US 24J sul lato orientale della sezione.
5
Munsell 2.5Y 3/1; 4/1.
Saggio 10 J 23

Nella parte centrale della sezione, alla stessa quota di US 30J, si rintraccia uno strato di colore
chiaro e consistenza sabbiosa misto a pietrisco che viene chiamato US 31J. Si nomina, invece, l’US
32J uno strato sabbioso sotto US 30J che interrompe nella parte superiore l’andamento di US 25J e
che copre uno strato scuro (US 33J)6 probabilmente interpretabile come il riempimento di una fossa
(taglio US 35J).
Si potrebbe ipotizzare dunque che l’US 25J sia stata tagliata dall’US 35J per realizzare una fossa di
combustione. Infatti si rintracciano al suo interno due livelli combustione, US33J e US 30J, alternati
dagli strati sabbiosi US 31J e US 32J che potrebbero essere interpretati come strati per spegnere le
due diverse combustioni.
Al di sotto di US 25J sul lato O della sezione troviamo subito l’US 34J che viene rintracciata a
quota più bassa (ultimo strato visibile in sezione anche sul lato occidentale). Anche in questo caso
l’US 34J è coperta da US 25J. L’US 34J è uno strato molto scuro e friabile ricchissimo di tegole e fram-
menti ceramici interpretabile come scarico/vespaio. In particolare si recuperano dallo strato frammenti
di pareti di Dressel 1, ceramica comune, tegole piane e coppi, un orlo di bacino mortaio del tipo De-
naro III e un fondo di brocca TAV. II n. 34.2.
Sembrerebbe che questo strato corrisponda a uno strato rintracciato alla stessa quota ma addossato
all’Insula III denominato US 36J che però assume una conformazione leggermente diversa. Infatti
l’US 36J sembra come il riempimento di un canale-fossa probabilmente connesso alla messa in opera
di un tratto murario dell’Insula III. La stessa situazione sembra potersi leggere nella sezione (non in-
dagata stratigraficamente) E-O a Nord del Saggio. Alla luce di questi dati si potrebbe ipotizzare che
nel momento in cui si voleva impostare l’US 24J sia stata effettuata una risistemazione nella muratura
US 1550 dell’Insula II e che quindi sia stato realizzato una sorta di taglio di fondazione per inserire i
nuovi blocchi tagliando la stratigrafia e/o il banco del Cardo III. Questo taglio sarebbe stato riempito
con l’US 36J. Lo stesso materiale dell’US 36J sembra che sia stato utilizzato per un primo riempimento
del rialzo del piano stradale (US US 27-24J) poi livellato con un ultimo strato di terra più uniforme
(US 25J).
Infatti anche dalla US 36J si recupera tantissimo materiale databile tra il III e la prima metà del I
sec. a.C. tra cui: due frammenti di piatti di ceramica a vernice nera; un frammento di coppetta a
vernice nera; tre frammenti di anfore del tipo Dressel 1; frammenti di ceramica da cucina.
L’US 34J-36J potrebbe essere un riempimento per una trincea di fondazione relativa ad uno spic-
cato di prima età augustea delle murature dell’Insula III. In realtà però questo strato presente in tutta
la Sezione E-O (e sembrerebbe anche che si possa rintracciarlo sul lato N del saggio sempre verso E)
potrebbe avere avuto una funzione di scarico-livellamento-vespaio per la realizzazione di un livello
pavimentale più alto. Questo livello pavimentale del Cardo III potrebbe essere stato realizzato riem-
piendo le trincee di fondazione dei muri dell’Insula II e III e creando uno spessore lungo tutta la
strada con questo materiale (US 34J) che in realtà doveva avere una funzione drenante oltre che di
vero e proprio riempimento. Al fine di creare un livello più stabile per l’allettamento della strada al
di sopra di US 34J sembrerebbe che sia stato sistemato lo strato di terra US 25J in modo più o meno
uniforme (nella parte più orientale della sezione c’è traccia di qualche fossa riempita da terra bruciata
e/o sabbia7). Infine sopra US 25J si leggerebbe un consistente battuto (US24J) che è collegato anche
alla linea di spiccato delle murature sia dell’Insula II che dell’Insula III.
Effettuando un approfondimento stratigrafico di 40 cm nella parte del saggio ad E della canaletta
abbiamo rintracciato l’US 29J. Lo strato 29J è un livello di uso di colore marrone chiaro relativo ad
uno strato da cui proviene materiale di età arcaica (Figg. 8-9). Si segnalano, in particolare, un fram-
mento molto piccolo di parete con decorazione incisa di probabile produzione indigena; due fram-
menti di idria con decorazione dipinta in rosso; due frammenti di bacini acromi; e un orlo di mortaio.
L’US 29J poggia sul banco calcarenitico ed è tagliata ad E dalla fossa US 37J riempita da US 36J.
Possiamo confermare, dunque, l’ipotesi che la fossa US 37J sia stata fatta per l’imposta di un nuovo

6
Munsell 2.5Y 4/1.
7
Fasi di cantiere?
24 Maria Assunta Papa

Fig. 8 - Us 29J, frammento di collo di idria con ingobbio chiaro e Fig. 9 - Us 29J, frammento di ceramica incisa
tracce di decorazione dipinta a bande rosse

Fig. 10 - approfondimento stratigrafico della sezione a-a’ nell’area del cardo iii

elevato dell’Insula III (leggibile nel suo prospetto: blocchi con bugnato) e che sia stata riempita fino
all’orlo (US 36J) con materiale di scarico utilizzato anche per alzare il livello di tutto il Cardo III. Il
livello stradale definitivo relativo a quest’opera di risistemazione è l’US 24J. Lo strato compreso tra
US 36/34/27J (strati uguali fra loro per quota, consistenza e composizione ma non leggibili nelle se-
zioni in continuità) e lo strato US 24J è lo strato US 25J che potrebbe essere interpretato come un
riempimento più coerente rispetto alla consistenza delle USS 36/34/27J (fig.10).
Avendo effettuato il rilievo della Sezione A-A’e dei prospetti dei muri delle Insule II- III all’interno
del Saggio 10 J e dopo averne effettuata anche la documentazione fotografica si è potuto passare alla
chiusura del Saggio 10 J (fig.11). L’area interessata dall’US 36J è stata ricoperta con tessuto non tessuto,
Saggio 10 J 25

Fig. 11 - Manca didascalia

nella parte inferiore del saggio è stata fatta una gettata di ghiaietto bianco e quindi abbiamo colmato
il saggio con terra di risulta dei saggi effettuati nella nostra campagna e parte della terra depositata a
SE del Saggio nell’area del Cardo III (questa terra formava una montagnetta ed era relativa ad un ac-
cumulo delle precedenti campagne di scavo). Quindi si è proceduto alla risistemazione della canaletta
e alla chiusura finale del saggio con ghiaietto bianco.

Catalogo dei reperti

US 1J
1J.1. Orlo di anfora greco-italica simile a Belvedere et all. 1993, p.929, n.925 (TAV. I,1.1).
1J.2. Ciotola di ceramica comune simile a Dore, Keay 1994, fig. 45, 147,2985 (TAV. I,1.2).

US 11J
11J.1. Orlo di ceramica di Pantelleria, Belvedere et all.1993, p.388, fig. 367 (TAV. I n.11.1).
11J.2. Orlo di pateretta simile a Morel 1981, F. 2780 (TAV. I n.11.2).

US 12J
12J.1. Terra sigillata africana Atlante I, p. 35, Tav. XVII, 19 (TAV. I n. 12.1).
12J.2. Terra sigillata africana Atlante I, p. 35, Tav. XXXVII, 7 (TAV. I n. 12.2).
12J.3. Orlo di ceramica comune vedi Burgio 2002, p. 108, Tav.VIII, n. 53.9 (TAV. I n. 12.3).
12J.4. Orlo di ceramica comune vedi Lauro 2010, p. 95, Tav. IV, n.20.8 (TAV. I n. 12.4).
26 Maria Assunta Papa

12J.5. Orlo di ceramica comune vedi Camerata Scovazzo 2008, Tav. LXV, 61 (TAV. I n. 12.5).
12J.6. Coperchio a patina cinerognola simile a Belvedere et all. 1993, p.180, n.591 (TAV. I n. 12.6).
12J.7. Frammento di orlo di tegame emisferico simile a Naxos di Sicilia, p. 112, n.6 (TAV. I n. 12.7).
12J.8. Orlo di pentola di impasto refrattario (TAV. I n. 12.8).
12J.9. Peso da telaio simile a Grasso et all. 1989, n.657-658, pp.146,150, fig.24, Tav XVIII; Bonacasa
Carra 1995, pp.82-83, Tav. XII, 2.

US 13J
13J.1. Orlo di olla simile a Alaimo et all. 1997, Ca 28 (TAV. I n. 13.1).
Saggio 10 J 27

13J.2. Frammento di brocchetta con impasto rosso-arancio e ingobbio chiaro (TAV. I n. 13.2)
13J.3. Frammento di brocchetta con impasto rosso-arancio e ingobbio chiaro (TAV. I n. 13.3)
13J.4. Piatto coperchio di ceramica africana da cucina simile a Ostia II, fig. 332.

US 14J
14J.1. Pateretta a vernice nera vedi Burgio 2002, p. 119, Tav. X, n.69.5 (TAV. I n. 14.1).
14J.2. Orlo di brocchetta di ceramica fine a pareti sottili (TAV. I n. 14.2).
14J.3. Frammento di piatto-coperchio con orlo annerito e leggera carenatura della vasca simile a
Lauro 2010, Tav. VII, n.37.11 (TAV.I n. 14.3).
14J.4. Orlo di ceramica di Pantelleria simile a Alaimo et alii 1997, Ca 38 (TAV. II n. 14.4).
14J.5. Orlo di ceramica di Pantelleria simile a simile a Alaimo et alii 1997, Ca40 (TAV. I n. 14.5).
14J.6. Orlo di bacino a listello dall’impasto rosato con schiaritura esterna(TAV. I n. 14.6).
14J.7. Frammento di fondo di brocca (TAV. II n. 14.7).
14J.8. Frammento di fondo di brocca (TAV. II n. 14.8).
14J.9. Orlo di tegame simile a Atlante I, p. 218, Tav. CVII, 6.

US 16J
16J.1. Orlo di anfora greco-italica simile a Benoit 1961, Tav. II, 2 (TAV. I n. 16.1).

US 17J
17J.1. Orlo di Terra sigillata vedi Polito 2000, Tav VII, 2 (TAV I n.17.1).

US 24J
24J.1. Puntale di anfora del tipo Keay XXV var.1 simile a Keay 1984, fig.88.1 (TAV. I n. 24.1).
24J.2. Frammento di bacino caratterizzato da una marcata carenatura della vasca e dall’impasto
poroso di colore arancio con schiaritura esterna simile a Lauro 2010, Tav. XI, p.125, n.66.13 (TAV. I
n. 24.2).
24J.3. 2 frammenti di pareti di terra sigillata africana C.
24J.4. Frammento di orlo di pentola di ceramica africana da cucina Hayes 23b (tipo A2).

US 27J
27J.1. Coppetta di ceramica comune con orlo indistinto simile a Vassallo 1990, p. 42, n.9,
fig.15(TAV. I n. 27.1).

US 29J
29J.1. Orlo di idria con decorazione dipinta in rosso simile a Vassallo 1990, p. 101, n.27-28 fig.
107 (TAV. II n.29.1).
29J.2. Orlo di idria con decorazione dipinta in rosso simile a Burgio 2002, p. 131, Tav. XIII, n.84.13
(TAV. II n.29.2).
29J.3. Orlo di bacino con impasto rosato biscottato in grigio vedi Lauro 2010, p.95, Tav. IV, n.20.7
(TAV. II n.29.3).
29J.4. Orlo di bacino simile a Termini 2003, p.236 e 238, C32 (TAV.II n.29.4).
29J.5. Orlo di mortaio dall’impasto molto poroso e di colore giallognolo (TAV. II n.29.5).
29J.6. Frammento di parete con decorazione incisa con serie di zig zag verticali e paralleli compresi
tra coppie di linee orizzontali vedi Panvini et alii 2009, p.232 n. 215.

US 34J
34J.1. Orlo di bacino mortaio del tipo Denaro III simile a Lauro 2010, p.160, Tav. XIX,, n.116.21
ed a Camerata Scovazzo 2008, tav. LIX,28 (TAV. II n. 34.1).
34J.2. Fondo di brocca (TAV. II n. 34.2).
28 Maria Assunta Papa

US 36J
36J.1. Piatto di ceramica a vernice nera simile a Caminneci 1995, p.60, n.88/135 (TAV. II n.36.1).
36J.2. Piatto di ceramica a vernice nera simile a simile a Lauro 2010, p.182, Tav. XXIII, n.148.26
(TAV. II n.36.2).
36.3. Frammento di coppetta a vernice nera opaca e impasto arancio con abbondanti inclusi bianchi
e neri vedi Nenci 1995, p. 43, fig. 26.6 (TAV. II n.36.3).
36J.4. Anfora del tipo Dressel 1 dall’impasto rosa intenso e color crema all’esterno vedi Franceschi
2009, p.735, n.7 (TAV. II n.36.4).
36J.5. Anfora del tipo Dressel 1 dall’impasto color crema-leggermente rosato e inclusi micacei vedi
Belvedere et alii 1993, p. 195, n.1049 (TAV. II n.36.5).
36J.6. Anfora di produzione campana con impasto rossiccio e ingobbio chiaro vedi Franceschi
2009, p.735, n.9 (TAV. II n.36.6).
36J.7. Frammento di olla d’impasto refrattario con tesa estroflessa verso l’alto e piano d’appoggio
per il coperchio vedi Epifanio 1982, p. 68, fig. 13.3 (TAV. II n.36.7)
36J.8. Frammento di orlo di olla con impasto di colore rosso-arancio e schiaritura esterna beige-
giallognolo vedi Burgio 2002, p. 131, Tav. XIII n.84.17 (TAV. II n.36.8).
29

Saggio 12 M
Maria Concetta Parello - Magda Modica

Nella denominazione Saggio M sono compresi due interventi realizzati all’interno delle case IID e
II C dell’Insula II (Figg. 1-2).
Il primo intervento, localizzato nei vani b2, c ed i della casa IID, è consistito nello scavo di una
parte del riempimento dell’ambitus longitudinale dell’Insula II che separa la casa II D dalla casa II I.
Tale riempimento, a seguito del cedimento del muro esterno est della domus II D che costituiva anche
il limite inferiore dell’ambitus, si presentava in parte in situ ed in parte scivolato sul pavimento del
vano b2 e su quello di un contiguo vano scala, entrambi messi in luce durante gli scavi del 19531 (fig.
3). Il contesto stratigrafico dunque appariva pesantemente compromesso e certamente di scarsa affi-
dabilità. A tutto quanto il materiale rimosso è stata assegnata un’unica unità stratigrafica, denominata
US 1M, che ha restituito una quantità considerevole di reperti. Insieme a numerose cassette di pareti
di anfore e grossi frammenti di tegoli sono stati recuperati numerosi altri materiali per la cui descri-
zione si rimanda al catalogo2, alcuni dei quali integri, riconducibili ad un ampio contesto cronologico
compreso tra la metà del II e la fine del V secolo d. C.

Fig. 1

1
De Miro 2009, p. 27, fig. 5.
2
Cfr. Modica, ultra.
30 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Fig. 2

Fig. 3 Fig. 4
Saggio 12 M 31

Fig. 5 Fig. 6

Benchè come già detto l’affidabilità stratigrafica del contesto si presentasse notevolmente alterata vo-
gliamo tuttavia proporre una lettura di quanto è emerso dallo scavo. La grande quantità di reperti re-
cuperati provenienti dell’ambitus infatti lascerebbe pensare ad un riempimento volontario del canale
di scolo in un momento nel quale questo doveva ormai essere in disuso. Secondo la cronologia dei
materiali più recenti recuperati durante lo scavo3 questo potrebbe essere avvenuto tra la fine del V e
gli inizi del VI secolo d. C. Ribadiamo in ogni caso la scarsa affidabilità stratigrafica del contesto e
proponiamo la nostra come un’ipotesi che ha bisogno di ulteriori conferme. C’è da chiedersi comun-
que se l’abbandono ed il successivo riempimento dell’ambitus possano essere messi in relazione con
trasformazioni delle domus tali da non richiedere più l’uso funzionale dell’ambitus longitudinale che
potrebbe essere stato sostituito da altri sistemi di drenaggio4.
Dopo la rimozione dell’US 1M, e di diversi blocchi in crollo pertinenti al muro esterno est della
casa è stato intercettato un breve tratto di muro in situ orientato in direzione Est-Ovest (fig. 4). La
struttura muraria, certamente successiva all’impianto originario della casa, doveva probabilmente ap-
partenere ad un setto divisorio collocato tra il portico est della casa IID ed un vano scala che doveva
portare al piano superiore. Infine, in quello che è stato interpretato come un vano scala è stato recu-
perato un piccolo lembo di battuto (US 3M) (fig. 5) da cui provengono pochi materiali genericamente
databili tra il IV ed V secolo.
Il secondo intervento, localizzato nell’ambiente d1 della casa IIC, ha riguardato lo scavo, la docu-
mentazione e la successiva rimozione di un piccolo impianto destinato probabilmente alla produzione
di calce (fig. 6) che era stato lasciato in situ dopo gli scavi degli anni ’50 senza alcun intervento di
consolidamento o di protezione per cui lo stato di conservazione risultava pesantemente compro-
messo. L’impianto, sicuramente in uso in una fase in cui l’ambiente d1 aveva perso la sua funzione di
spazio residenziale, presentava una pianta circolare e risultava costituito, nell’unico filare che ancora

3
Frammento di coppa tipo Hayes 98 B, Cat. 1M51.
4
Rizzo 2016, p. 57; M.S. Rizzo, Conclusioni, ultra.
32 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Fig. 7

si conservava,da blocchi in tufo e calcare pesantemente combusti (fig. 7). Uniche tracce dell’alzato
del manufatto si rilevano nella parete nord del vano a cui era appoggiato che presenta importanti
tracce di combustione, i blocchi infatti risultano consumati dal fuoco ed hanno perso parte del loro
spessore (fig. 8). All’interno della struttura si trovava ancora una parte residuale del riempimento (US
4 M), costituito da cenere, resti di blocchi di calcare combusto, pochissimi frammenti ceramici tra cui
un fr. di catino (cat. 4M.1 ) databile tra la fine del III ed il V sec. d. C. ed un fr. di contenitore globulare
acromo (cat. 4M.2) databile al IV-V sec. d. C.. Il materiale di cui era costituito il riempimento lascia
supporre che possa trattarsi del residuo della combustione rimasto sul fondo alla fine delle attività di
produzione della calce. L’impianto, per le caratteristiche della pianta e del riempimento, potrebbe ap-
partenere alla tipologia delle calcare a “fiamma corta” o a “fiamma bassa”; le tracce trovate infatti la-
sciano supporre che all’interno della piccola camera di combustione fossero stati stipati i blocchi da
cuocere ed il materiale combustibile, secondo una modalità di produzione della calce ampiamente at-
testata in età tardo antica5. Il piano su cui poggiava la calcara era costituito dall’interfaccia superiore
della US 6M (fig. 9), sottile strato di livellamento da cui provengono pochi materiali diagnostici la cui
cronologia va dalla metà del II d.C. alla fine del V secolo. (Cat. 6M.1-2) Al di sotto di questo strato
sono state rintracciate due diverse unità stratigrafiche contigue, l’US 7M, costituita da terra compatta
e frammenti ceramici databili tra la fine del II sec. d. C e la fine del V secolo (Cat. 7M.1-8), e l’US 8M,
piccolo lembo di crollo di pietre addossato all’angolo Nord-Est del vano d1 (fig. 10). Entrambi gli
strati costituiscono anch’essi una sorta di livellamento al di sopra di un battuto pavimentale (US 9M),
in parte già scavato nelle campagne precedenti (fig. 11). Quest’ ultimo battuto già dal De miro era stato
messo in relazione con la seconda fase di vita di questo settore della casa, quando il grande vano l viene

5
Lambrugo 2010.
Saggio 12 M 33

suddiviso in tre piccoli ambienti, il primo, deno-


minato l1, prospiciente il lato nord del portico, di
forma allungata, e i due piccoli vani d1 e d2. È
stato infine scavato un piccolo lembo di un sottile
strato di livellamento(US 10) dal quale proviene
un frammento di iscrizione latina in marmo (fig.
12). Dallo stesso strato provengono altri fram-
menti di iscrizione recuperati durante lo scavo
degli anni ’50 che però non siamo riusciti ancora
a vedere; secondo il De Miro6 i frammenti di iscri-
zione si datano alla tarda imperiale (III sec. d. C.).
Sempre secondo lo scavatore un gruppo più con-
sistente di frammenti inscritti è stato ritrovato
nello strato superiore. Allo stato attuale delle ri-
cerche è abbastanza difficile trovare connessioni
stratigrafiche tra i frammenti di marmo e la cal-
cara, essendosi irrimediabilmente perse le quote
del piano di frequentazione connesso con l’utilizzo
di quest’ultima; ci sembra però abbastanza curioso
il fatto che in un unico piccolo ambiente, lo stesso
dell’impianto per la calcificazione del marmo, sia
così consistente la presenza di materiale potenzial-
mente combustibile. Fig. 8

Fig. 9

6
De Miro 2009, p. 232.
34 Maria Concetta Parello - Magda Modica

I dati stratigrafici fin qui analizzati,


in particolare quelli relativi all’area
della calcara ci permettono di fare al-
cune considerazioni in merito alla fasi
tarde di occupazione del settore nor-
dest della cosiddetta casa del Cripto-
portico.
Il vano l continua a vivere, sicura-
mente nella parte relativa al cosiddetto
vano d1, con funzione residenziale,
ancora tra il IV ed il V secolo d. C.
quando su un piccolo strato di riem-
pimento viene realizzato un battuto
pavimentale, forse contestuale o im-
mediatamente successivo alla costru-
zione dei muri USM 1228 e 1229 che
dividono il grande ambiente l nei vani
d1 e d2 ed l1. Dopo gli ultimi studi sui
materiali provenienti dagli scavi degli
anni cinquanta ci sembra abbastanza
sicuro che tale trasformazione possa
datarsi nell’ambito del IV secolo7. In
un momento successivo, certamente
nell’ambito del V secolo, viene innal-
zato ulteriormente il livello all’interno
del vano e nell’angolo NE viene co-
struita una calcara che si addossa ai
muri esterni della domus. Ci sembra
Fig. 10 interessante infine rilevare che l’am-

Fig. 11 Fig. 12

7
Secondo il De Miro tale suddivisione sarebbe avvenuta tra il II ed il III secolo d. C.( cfr. De Miro 2009, p. 232); da
una recente revisione dei materiali dello scavo del 1953 fatta da Nicola Casà nell’ambito della sua tesi di specializzazione
discussa presso l’ Università degli studi di Matera (Anno Accademico 2014/2015) le trasformazioni dell’ambiente l si de-
vono collocare nel IV secolo.
Saggio 12 M 35

biente in cui è stata costruita la calcara fa parte della stessa unità abitativa cui apparteneva anche il
contesto archeologico del saggo 9L i cui dati sono presentati all’interno di questo volume da Maria
Serena Rizzo8. Tra le due piccole realtà archeologiche contigue infatti sembrano esserci molti elementi
in comune, tra questi il fatto che sui pavimenti degli ambienti si sono depositati degli strati contenenti
tegole, intonaci, pietrame e ceramica databile tra il IV e l’avanzato V secolo che non sembrano essersi
formati a seguito di crolli o di eventi traumatici, ma piuttosto come esito di un lento degrado delle
strutture a partire dal cedimento delle coperture che, d’accordo con le tesi di De Miro, sembra essere
iniziato già nel corso del IV secolo9. Questi depositi segnano senza dubbio l’inizio di una profonda
trasformazione del quartiere le cui domus mutano completamente aspetto e funzioni fino a diventare
spazi che accolgono piccoli impianti di trasformazione e, più tardi, anche nuclei di tombe. La prima
fase di trasformazione che abbiamo rintracciato nella casa II C sembra essere consistita nella suddi-
visione del grande vano “l” nei vani l1, d1,d2 a cui sono associati nuovi piani di calpestio in terra bat-
tuta che obliterano il pavimento più antico, in signino10. La fase più recente da noi indagata infine
segna la defunzionalizzazione di parte della domus e la sua trasformazione in spazio per la produzione
mentre contestualmente, forse, una parte della stessa domus continua ad essere utilizzata come abita-
zione se, come sembrerebbe, risulta contestuale il funzionamento del rozzo focolare collocato su un
primo riempimento del vano h della casa II C, vano che si trova sulla strada e che più tardi continuerà
ad essere utilizzato per contenere delle sepolture11.
Maria Concetta Parello

Catalogo dei reperti

US 1M
Anfore da trasporto
Contenitori di probabile produzione locale
1M.1. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215; Gullì,
Sanzo c.d.s., fig. 10, 4. Datazione: II/metà IV sec. d. C. h residua cm 4,8 (tav. I, 1; tav. VIII,1).
1M.2. Tre frammenti ricomponibili di orlo e ansa di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p.
177, f. 81, 215 (tav. I,2).
1M.3. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215. Data-
zione: II/metà IV sec. d. C.
1M.4. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215. Data-
zione: II/metà IV sec. d. C.
1M.5. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215. Data-
zione: II/metà IV sec. d. C.
1M.6. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215. Data-
zione: II/metà IV sec. d. C.
1M.7. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215. Data-
zione: II/metà IV sec. d. C.
1M.8. Frammento di orlo di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.
1M.9. Frammento di fondo di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.
1M.10. Frammento di fondo di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.
1M.11. Frammento di fondo di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.

8
M.S. Rizzo, saggio 9L, infra.
9
De Miro 2009, p. 407.
10
De Miro 2009, pp. 221-222.
11
Le notizie relative alle trasformazioni del vano h della casa II C sono in M.S. Rizzo, Il saggio L, ultra.
36 Maria Concetta Parello - Magda Modica

151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.


1M.12. Frammento di fondo di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.
1M.13. Frammento di ansa di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.
1M.14. Frammento di ansa di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.

Anfore importate
1M.15. Puntale di anfora del tipo Keay IB. Datazione: III sec. d.C (tav. I,7; tav. VIII,2).
1M.16. Frammento di orlo di anfora africana IA, cfr. Keay 1984, fig. 37, 3 (tav. I,5). Datazione:
fine II/inizi III sec. d. C.
1M.17. Frammento di orlo di anfora tipo Africana IA. Cfr. Bonifay 2004, f. 56,2, p. 106. Datazione:
fine II/fine III sec. d. C.
1M.18. Frammento di orlo di anfora tipo Africana IB. Cfr. Keay 1984, f. 38, n. 2, p. 104 (tav.I,3).
Datazione: Seconda metà III sec. d. C.
1M.19. Frammento di orlo di anfora tipo Tripolitana I. Cfr. De Miro-Polito 2005, tav. 67, FV 15/97.
Datazione: fine I sec. a. C./metà II sec. d. C.
1M.20. Frammento di orlo di anfora tipo Tripolitana II, var. B. Orlo svasato, ingrossato e pronun-
ciato all’esterno con profilo a doppio gradino; collo tronco-conico. Il frammento restituisce circa 1/4
dell’orlo e una scheggia di collo. Cfr. Bonifay 2004, f. 47, n. 4, p. 90. Datazione: fine II sec. d. C. h re-
sidua cm 8,3 ca (tav. I,4; tav. VIII,3).
1M.21. Frammento di orlo di anfora tipo Ostia XXIII. Cfr. Bonifay 2004, f. 53, n. 1, p. 100. Data-
zione: fine I/II sec. d. C.
1M.22. Frammento di orlo di anfora tipo Tripolitana III. Cfr. Bonifay 2004, f. 55a, n. 2, p. 104.
Datazione: III/inizi IV sec. d. C.
1M.23. Frammento di orlo di anfora tipo Tripolitana III. Cfr. Bonifay 2004, f. 55a, n. 1, p. 104.
Datazione: III/inizi IV sec. d. C.
1M.24. Frammento di orlo di anfora tipo Africana IID. Cfr. Bonifay 2004, f. 62b, n. 15, p. 117.
Datazione: fine III/primo terzo IV sec. d. C.
1M.25. Frammento di orlo di anfora tipo Africana IID. Cfr. Bonifay 2004, f. 62b, n. 15, p. 117.
Datazione: fine III/primo terzo IV sec. d. C.
1M.26. Frammento di orlo di anfora tipo Keay XXVM. Cfr. Keay 1984, f. 81, n. 9, p. 203. Data-
zione: IV/V sec. d. C.
1M.27. Frammento di orlo e attacco d’ansa di anfora tipo Keay XXVP. Cfr. Keay 1984, fig. 82,3.
Datazione: IV/metà V sec. d. C. h residua cm 7; tracce di ingobbio esterno brunastro (tav. I,6).

Ceramica a vernice nera


1 M. 28. Frammento di orlo di coppetta su piede a v. n., produzione locale; inizi V sec. a. C. Cfr.
Parello 2009, p. 620, fig. 8,9 (tav. II,1; tav. VIII,4).
1M.29. Frammento di piede di piatto da pesce tipo Morel 1120. Cfr. Bechtold 2008, tav. XXX, n.
139. Datazione: III sec. a. C.
1M.30. Frammento di orlo di patera tipo Morel 1313a1. Cfr. Morel 1981, tav. 12, 1313a1. Data-
zione: II sec. a. C.
1M.31. Frammento di orlo di patera tipo Morel 1351a1. Cfr. Morel 1981, tav. 13, 1351a1. Data-
zione: intorno al 200 a. C.
1M.32. Frammento di orlo di skyphos tipo Morel 4374a1. Cfr. Morel 1981, tav. 132, 4374a1. Da-
tazione: fine IV/inizi III sec. a. C.
1M.33. Frammento di fondo di skyphos tipo Morel 4310/11. Cfr. Bechtold 2008, tav. XL, n. 299.
Datazione: IV/prima metà III sec. a. C.
Saggio 12 M 37

Sigillata africana
1M.34. Frammento di orlo di scodella tipo Hayes 3 C. Cfr. Hayes 1972, p. 20, f. 2, n. 88. Datazione:
inizio/metà II sec. d. C.
1M.35. Frammento di orlo di scodella, forma Hayes 5B. Cfr. Hayes 1972, fig. 3, n. 14 (tav.II,2).
1M.36. Frammento di orlo di coppa tipo Hayes 9, var. B. Cfr. Hayes 1972, f. 4, n. 20. Datazione:
seconda metà II sec. d. C.
1M.37. Frammento di orlo di coppa carenata tipo Hayes 15. Cfr. Bonifay 2004, f. 85, n. 9, p. 158.
Datazione: IV sec. d. C.
1M.38. Due frammenti ricomponibili di orlo di coppa tipo Hayes 17 B, n. 11. Cfr. Atlante I, tav.
XVII, n. 10. Datazione: seconda metà II sec. d. C.
1M.39. Frammento di orlo di piatto tipo Ostia I, f. 86. Cfr. Atlante I, tav. XVII, n. 18. Datazione:
prima metà III sec. d. C.
1M.40. Frammento di orlo di piatto tipo Hayes 26 (Lamboglia 9b). Cfr. Atlante I, tav. XVI, n. 4.
Datazione: seconda metà II/inizi III sec. d. C.
1M.41. Frammento di orlo di piatto tipo Salomonson A20 (Hayes 18, n. 3). Cfr. Atlante I, tav.
XXIV, n. 3. Datazione: prima metà III sec. d. C.
1M.42. Frammento di orlo parete e fondo di piatto tipo Hayes 27. Cfr. Hayes 1972, f. 8, n. 9. Da-
tazione: 160-220 d. C. h residua cm 4,5 (tav. II,3).
1M.43. Frammento di orlo di scodella tipo Hayes 27. Cfr. Hayes 1972, p. 50, f. 8, forma 27, nn. 1-2.
Datazione: 160-220 d. C.
1M.44. Frammento di orlo di scodella tipo Hayes 27. Cfr. Hayes 1972, p. 50, f. 8, forma 27, nn. 1-2.
Datazione: 160-220 d. C.
1M.45. Frammento di orlo di scodella tipo Hayes 27. Cfr. Hayes 1972, p. 50, f. 8, forma 27, n. 9.
Datazione: 160-220 d. C.
1M.46. Frammento di orlo di scodella tipo Hayes 32. Cfr. Hayes 1972, p. 54, f. 9, forma 32, nn. 1-4.
Datazione: inizio/metà III sec. d. C.
1M.47. Frammento di coppa in T.S.A, forma Hayes 38. Sull’orlo decorazione applicata: cane in
corsa verso d. tra altre due applicazioni non riconoscibili. III sec. d.C (tav. II,4; tav. VIII,5).
1M.48. Tre frammenti ricomponibili di orlo e parete di scodella tipo Hayes 57. Cfr. Carra et al.
1995, f. 26, 85/19. Datazione: fine IV/inizi V sec. d. C.
1M.49. Due frammenti ricomponibili di orlo di scodella tipo Hayes 58B, 11. Orlo a breve tesa
piana. Cfr. Carra et al. 1995, f. 21, 86/726. Datazione: fine IV/V sec. d. C.
1M.50. Frammento di orlo di scodella tipo Hayes 58B, 11. Cfr. Carra et al. 1995, f. 21, 86/726.
Datazione: fine IV/V sec. d. C.
1M.51. Frammento di orlo di coppa tipo Hayes 98 B. Cfr. Bonifay 2004, f. 99, n. 3, p. 186. Data-
zione: fine V/VI sec. d. C.
1M.52. Frammento di orlo di coppa tipo Hayes 99 B. Cfr. Hayes 1972, f. 28, n. 18. Datazione: 530-
580 d. C.
1M.53. Frammento di orlo di scodella, forma Hayes 105. Cfr. Atlante I, tav. XLIII, n. 4. Datazione:
580/600-660 d. C. e oltre.

Ceramica comune
1M.54. Quattordici frammenti di orli di catini tipo Ostia IV, tav. XIV, n. 95. Cfr. Carra et al. 1995,
f. 42, 85/158. Datazione: fine III/V sec. d. C.
1M.55. Frammento di orlo di catino; simile in Belvedere et al. 1993, p. 177, n. 516. Datazione: fine
III/V sec. d. C.
1M.56. N. provv. 118. Frammento di orlo e parete di catino. Orlo a tesa, leggermente rivolta verso
l’alto; labbro a sezione rettangolare, segnato, al centro, da un solco. Parete verticale segnata da due
solchi poco sotto l’attacco con l’orlo. Simile in Carra et al. 1995, f. 55, 88/10. Datazione: IV/V sec. d.
C. h residua cm 6,5 (Tav.II, 5; tav. VIII, 6).
1M.57. Otto Frammenti di orli di catini, tipo Carthage I, 2, p. 87, f. 70.29.1. Cfr. Carra et al. 1995,
f. 55, 88/10. Datazione: IV/V sec. d. C.
38 Maria Concetta Parello - Magda Modica

1M.58. Frammento di orlo di catino simile al tipo Uzita 2. Cfr. Bonifay 2004, f. 143, n. 8, p. 262.
Datazione: metà III sec. d. C.
1M.59. Frammento di catino a corpo carenato, orlo svasato con labbro scanalato; superficie sbian-
cata (tav. III,1; tav. IX,1).
1M.60. Frammento di orlo di bacino. Orlo a profilo triangolare, superiormente piatto e decorato
da un motivo ondulato; parete svasata. Simile in Carra et al. 1995, f. 50, 86/128. Datazione: IV/metà
V sec. d. C. h residua cm 3,3 (Tav. III,2).
1M.61. Due frammenti di orli di bacini; cfr. Carra et al. 1995, f. 50, 86/128. Datazione: IV/metà V
sec. d. C.
1M.62. Tre frammenti di orli di bacini tipo Carthage I, 2, f. 60, 3.1, p. 171. Cfr. Carra et al. 1995,
f. 48, 86/563. Datazione: IV/metà V sec. d. C.
1M.63. Nove frammenti di orli di bacini, simili, per la forma, in Carra et al. 1995, f. 45, 86/535; v.
anche Carra-Ardizzone 2007, f. 16, 93-124. Datazione: IV/metà V sec. d. C.
1M.64. Frammento di orlo di bacino tipo Luni II, tav. 137, 7. Cfr. Carra et al. 1995, f. 49, 85/146.
Datazione: IV/metà V sec. d. C.
1M.65. Due frammenti di orli di bacini tipo LR BASIN 5. Cfr. Bonifay 2004, f. 149, n. 4, p. 271.
Datazione: V sec. d. C.
1M.66. Due frammenti di orli di bacini, simili in Carra et al. 1995, f. 48, 86/569. Datazione: IV/metà
V sec. d. C.
1M.67. Frammento di orlo di scodella tipo Sabratha II, f. 58, 272.2182. Cfr. Belvedere et al. 1993,
p. 205, n. 1264. Datazione: I sec. d. C.
1M.68. Frammento di orlo di scodella; simile in De Miro-Polito 2005, tav. 45, FV 129/95. Data-
zione: fine V/inizi VI sec. d. C.
1M.69. Frammento di orlo di olla; simile, per la forma, in Belvedere et al. 1993, p. 187, n. 857. Da-
tazione: metà V sec. d. C. ca.
1M.70. Frammento di orlo di orciolo; simile in Rizzo-Zambito 2010, p. 299, f. 2, n. 11. Datazione:
VI/prima metà VII sec. d. C.
1M.71. Tre frammenti ricomponibili di orlo di brocca simile al tipo Sabratha 381. Orlo svasato e
piccolo labbro ingrossato a sezione triangolare; collo cilindrico; ansa a nastro impostata immediata-
mente sotto l’orlo. Cfr. De Miro-Polito 2005, tav. 59, FV 6/93. Datazione: V/prima metà VII sec. d.
C. h residua cm 6,5 ca. diam. orlo cm 7 ca. (tav. III,3).
1M.72. Frammento di orlo di brocca trilobata (tav. IV,1).
1M.73. Frammenti di orli di brocche. Cfr. Carra et al. 1995, f. 61, 85/312. Datazione: età elleni-
stica.
1M.74. Frammento di orlo, collo e ansa di brocca. Il frammento restituisce l’intero orlo, l’ansa e
circa 1/3 del collo della brocca; l’orlo si presenta carenato, con labbro leggermente estroflesso; l’ansa
è impostata sotto l’orlo e il collo è tronco-conico. Simile in Carra et al. 1995, f. 62, 86/710. Datazione:
IV/V sec. d. C. h cm 7,8 ca.(tav. III,4; tav. IX,2).
1M.75. Frammento simile al precedente. Cfr. Carra et al. 1995, f. 62, 86/710. Datazione: IV/V sec.
d.C. (tav. IV,2; tav. IX,3).
1M.76. Quattro frammenti di orli simili ai precedenti.
1M.77. Nove frammenti di orli di brocche tipo Carra et al. 1995, f. 62, 85/199. Datazione: età ro-
mana.
1M.78. Frammento di orlo di brocca tipo Carra et al. 1995, f. 63, 86/656. Datazione: età romana.
1M.79. Frammenti di orli di brocche tipo Carra et al. 1995, f. 63, 85/499. Datazione: età romana.
1M.80. Frammento di orlo di brocca; simile in Carra et al. 1995, f. 62, 85/31. Datazione: IV sec.
d. C.
1M.81. Brocchetta a fondo piano, corpo panciuto, breve corpo verticale, labbro estroflesso (tav.
IV,3).
1M.82. Frammento di orlo di brocca; simile in Carra et al. 1995, f. 62, 86/341. Datazione: età el-
lenistica.
Saggio 12 M 39

1M.83. Frammento di orlo di brocca tipo Carra et al. 1995, f. 61, 85/314. Datazione: età elleni-
stica.
1M.84. Due frammenti di orli di brocche tipo Carthage I, 2, f. 82, 40.2. Cfr. Carra et al. 1995, f.
63, 85/259. Datazione: 425/VI sec. d. C.
1M. 85. Frammento di orlo di brocca tipo Parello et al. 2010, f. 3, n. 11, p. 288. Datazione: seconda
metà IV/metà V sec. d. C.
1M.86. Frammento di orlo di bottiglia; simile in Carra et al. 1995, f. 62, 86/281.
1M.87. Frammento di orlo di coperchio; simile, per la forma, in Belvedere et al. 1993, p. 176, n.
489.
1M.88. Presa di coperchio? Superficie sbiancata (tav. IV,4; tav. IX,4).
1M.89. Collo, orlo e parte delle anse di un’anfora da mensa o da dispensa. Alto collo rastremato
verso l’alto, decorato nella parte superiore da scanalature, orlo a fascia leggermente estroflesso, anse
a cordone scanalato. Superficie sbiancata. La forma richiama quella di anfore di produzione siciliana
di epoca normanna, cfr. Molinari, tav. 4d (tav.IV,5; tav. IV, 5).
1M.90. Frammento di anforetta da mensa; collo stretto e allungato (tav. V,1; tav. X, 1)
1M.91. Frammento di braciere o sostegno per incensiere (?). Si conserva piccola parte della parete
e dell’orlo sormontato da decorazione geometrica ad intaglio. Diversi esemplari di questo tipo di og-
getti sono stati rinvenuti nella necropoli paleocristiana di Agrigento, cfr. Bonacasa Carra 1995, tav.
XV, 7 (tav. X,2).

Ceramica da fuoco africana


1M.92. Frammento di orlo e collo di bollitore, ricomposto da due frammenti che restituiscono l’in-
tero orlo e il collo ad eccezione di una piccola parte. Si conserva l’attacco dell’ansa. Cfr. Bonifay 2004,
f. 160, n. 1, p. 289. Datazione: II/primo terzo III sec. d. C. h residua cm 8,4 (tav. V,5).
1M.93. Frammento di orlo di teglia tipo Hayes 181, var. B. Cfr. Bonifay 2004, f. 114, n. 4, p. 215.
Datazione: prima metà III sec. d. C.
1M.94. Frammento di casseruola tipo Hayes 23, var. A. Cfr. Bonifay 2004, fig. 112, 1. Datazione:
metà II/inizi III sec. d. C. (tav. V,2)
1M.95. Frammento di casseruola tipo Hayes 23, var. B. Cfr. Bonifay 2004, fig. 112, 2. Datazione:
metà II/inizi III sec. d. C. (tav. V,3; tav. X, 3)
1M.96. Frammento di casseruola tipo Hayes 23, var. B. Cfr. Bonifay 2004, fig. 112, 2. Datazione:
metà II/inizi III sec. d. C. (tav. V,4)
1M.97. Otto frammenti di casseruole tipo Hayes 23B. Cfr. Bonifay 2004, f. 112, n. 2, p. 212. Da-
tazione: secondo quarto/fine III sec. d. C.
1M.98. Frammento di casseruola tipo Hayes 197 ricomposta da due frammenti di orlo e due fram-
menti di pareti. Cfr. Bonifay 2004, f. 120, n. 3, p. 224. Datazione: fine II/III sec. d. C. (tav. V,6)
1M.99. Frammento di orlo di casseruola tipo Hayes 197. Cfr. Bonifay 2004, f. 120, n. 3, p. 224.
Datazione: fine II/III sec. d. C.
1M.100. Ventisei frammenti di orli di casseruole tipo Hayes 197. Cfr. Bonifay 2004, f. 120, n. 3, p.
224. Datazione: fine II/III sec. d. C.
1M.101. Frammento di casseruola, forma Hayes 184 (tav. VI,1).
1M.102. Frammento di orlo di casseruola tipo Ostia III, f. 324. Cfr. Atlante I, tav. CVII, n. 5. Da-
tazione: dalla tarda età flavia fino al II sec. d. C.
1M. 103. Frammento di orlo di casseruola; simile in Carra et al. 1995, f. 69, 86/627. Datazione: V
sec. d. C.?
1M. 104. Frammento di orlo di casseruola; simile in Carra et al. 1995, f. 66, 85/642. Datazione: II
sec. d. C.?
1M. 105. Due frammenti ricomponibili di fondo di casseruola tipo Carra et al. 1995, f. 69, 86/809.
Datazione: metà IV/metà V sec. d. C.
1M.106. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Hayes 196 A. Cfr. Bonifay 2004, f. 121, n. 5,
p. 226. Datazione: seconda metà III sec. d. C. (tav. VI,2)
40 Maria Concetta Parello - Magda Modica

1M.107. Sedici frammenti di orli di piatti-coperchio tipo Hayes 196 A. Cfr. Bonifay 2004, f. 121,
n. 5, p. 226. Datazione: seconda metà III sec. d. C.
1M.108. Dodici frammenti di orli di piatti-coperchio tipo Hayes 196 B. Cfr. Bonifay 2004, f. 121,
n. 6, p. 226. Datazione: seconda metà III sec. d. C.
1M.109. Due frammenti ricomponibili di orlo di piatto-coperchio tipo Hayes 196 variante tardiva.
Cfr. Bonifay 2004, f. 121, n. 8, p. 226. Datazione: IV/inizi V sec. d. C.
1M.110. Due frammenti ricomponibili di presa di piatto-coperchio tipo Hayes 196 variante tardiva.
Cfr. Bonifay 2004, f. 121, n. 8, p. 226. Datazione: IV/inizi V sec. d. C.
1M.111. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Hayes 182, var. C. Cfr. Bonifay 2004, f. 115,
p. 216. Datazione: fine II/III sec. d. C. (tav. VI,3)
1M.112. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Hayes 185. Cfr. Bonifay 2004, f. 118, n. 1, p.
222. Datazione: fine I/inizi II sec. d. C.
1M.113. 4 frammento di orli di piatti-coperchio tipo Hayes 185, var. C. Cfr. Bonifay 2004, f. 118,
n. 9, p. 222. Datazione: fine II/fine III sec. d. C.
1M.114. Tre frammenti di orli di piatti-coperchio tipo Hayes 185, var. B. Cfr. Bonifay 2004, f. 118,
nn. 4-6, p. 222. Datazione: fine II/fine III sec. d. C.
1M.115. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Hayes 185, variante. Cfr. Bonifay 2004, f.
122a, n. 1, p. 228. Datazione: seconda metà III/IV sec. d. C.?
1M.116. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Michigan I, f. 15, C7. Cfr. Belvedere et al.
1993, p. 183, n. 664. Datazione: seconda metà I sec. d. C.?
1M.117. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Ostia I, f. 261. Cfr. Belvedere et al. 1993, p.
176, n. 490.
1M.118. Frammento di orlo di piatto-coperchio tipo Ostia I, f. 18. Cfr. Belvedere et al. 1993, p.
176, n. 489.

Pantellerian Ware
1M.119. Frammento di orlo, parete e fondo di teglia; il frammento restituisce circa ¼ della teglia.
Orlo “a mandorla”, pareti curvilinee e fondo piano. Cfr. Fiertler 2003, p. 332, C1/2. Datazione: se-
conda metà I sec. a. C./seconda metà I sec. d. C.? h cm 3,7 ca.; d ricostruito cm 24 ca. (Tav. VI,4).
1M. 120. Frammento di orlo di teglia tipo Baldassarri 2009, tav. II, 3.3b, p. 98. Datazione: fine
III/IV sec. d. C.
1M.121. Frammento di orlo di teglia tipo Baldassarri 2009, tav. III, 4.4d, p. 99. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C. Tipo attestato a Malta in contesti dal II al VII sec. d. C.
1M.122. Frammento di orlo di tegame tipo Baldassarri 2009, tav. I, 2.1, p. 96. Datazione: IV/V
sec. d. C.
1M.123. Frammento di orlo di casseruola tipo Fiertler 2003, B2/1,1, p. 331. Datazione: IV/V sec. d. C.
1M.124. Frammento di orlo di casseruola tipo Fiertler 2003, B1/3,1, p. 329. Datazione: IV/V sec. d. C.
1M.125. Frammento di orlo di pentola tipo Fiertler 2003, A4/1, p. 325. Datazione: fine I sec. a.
C./fine II sec. d. C.
1M.126. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.1, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
1M.127. Tre frammenti ricomponibili di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.3c, p. 96.
Datazione: fine IV/fine V sec. d. C.
1M.128. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.3a, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
1M.129. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.3a, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
1M.130. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.3a, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
1M.131. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.3a, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
Saggio 12 M 41

1M.132. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.2a, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
1M.133. Frammento di orlo di coperchio tipo Fiertler 2003, D3/1,1, p. 334. Datazione: I/I V sec. d. C.

Contenitori per derrate


1M.134. Frammento di orlo di dolio; simile in Carra et al. 1995, f. 60, 86/78. Datazione: IV/metà
V sec. d. C.?

Lucerne
1M.135. Priva di parte di fondo e di becco, lacuna in corrispondenza del disco. Diam. 7 cm. Argilla
beige depurata, ingobbio bruno. Corpo circolare con un piccolo becco tondeggiante, spalla piana,
leggermente arrotondata distinta dal disco da una incisione circolare, sul disco una rosetta a sedici
petali, ansa forata. Tipo Deneauve VII, 2/ Bonifay lampe type 5. Seconda metà II-primo terzo del III
sec. Cfr Bonifay 2004, p. 322, fig. 180,1 (tav. XI, 1).
1M.136. Integra. Diam. 7,5 cm. Argilla beige depurata, ingobbio bruno-rossastro. Corpo circolare
con un piccolo becco tondeggiante, spalla piana, leggermente arrotondata distinta dal disco da una
incisione circolare, ansa forata. Tipo Deneauve VII, sottotipo2/ Bonifay lampe type 5. Seconda metà
II-primo terzo del III sec. Cfr Bonifay 2004, p. 322, fig. 180,4 (tav. XI, 2-3).
1M.137. Frammento di lucerna. Diam. 7,5 cm. Argilla beige depurata, ingobbio rosso. Corpo cir-
colare, spalla piana, leggermente arrotondata, distinta dal disco da due incisioni circolari concentriche,
ansa forata. Tipo Deneauve VII, sottotipo2/ Bonifay lampe type 5. Seconda metà II-primo terzo del
III sec. Cfr Bonifay 2004, p. 322, fig. 180,4 (tav. XI,4-5).
1M.138. Frammento di lucerna. Diam. 5 cm. Argilla beige depurata. Corpo circolare, spalla piana
distinta dal disco da un’ incisione circolare, disco decorato da incisioni radiali, ansa forata (tav. XI, 6).
1M.139. Frammento di lucerna. Diam. 7 cm. Argilla beige. Ingobbio rossastro. Corpo circolare,
spalla piana distinta dal disco da due incisioni circolari concentriche, disco con maschera teatrale rea-
lizzata secondo la tecnica dell’ incisione profonda, ansa forata. Tipo Deneauve VII/1A; Bonifay lampe
type 4. Prima metà-metà del II secolo. Cfr Bonifay 2004, pp. 321-322, fig. 177,2-5 (tav. XI,7).
1M.140. Frammento di lucerna. Diam. 7,5. Argilla camoscio, ingobbio bruno. Vasca circolare pro-
fonda, spalla piana, disco ribassato con decorazione impressa illeggibile. Tipo Denevue VII/4; Bonifay
lampe type 7.Secondo quarto-metà del III sec. d. C. (tav. XI, 8). Cfr Bonifay 2004, pp. 324-325, fig. 181,1.
1M.141. Frammento di lucerna. Diam. 6 cm. Argilla camoscio, ingobbio bruno. Vasca circolare,
spalla arrotondata distinta dal disco da due incisioni circolari concentriche. Disco ribassato con motivo
di ghirlanda impresso. Tipo Deneauve VII/1B, Bonifay lampe type 4. Seconda metà del II sec. d. C.
Cfr Bonifay 2004, pp. 321-322, fig. 178 (tav. XI, 9).

Elementi strutturali
1M.142. Frammento di orlo di tubo di volta. Cfr. Bonifay 2004, f. 249, n. 6, p. 441.

Vetri
1M.143. Frammento di orlo di coppa. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 186, n. 847.
1M.144. Frammento di orlo di bicchiere-lampada; simile in Carra et al. 1995, f. 31, 86/479. Data-
zione: IV/V sec. d. C.
1M.145. Frammento di orlo di bicchiere-lampada; simile in Carra et al. 1995, f. 34, 86/395. Data-
zione: 360/metà V sec. d. C.
1M.146. Frammento di fondo di bicchiere-lampada; simile in Carra et al. 1995, f. 35, 86/427. Da-
tazione: IV/V sec. d. C.
1M.147. Frammento di orlo di bicchiere tipo Isings 106 d. Cfr. Carra et al. 1995, f. 32, 86/807.
Datazione: seconda metà IV/V sec. d. C.
1M.148. Frammento di orlo di bicchiere tipo Isings 106 d. Cfr. Carra et al. 1995, f. 32, 85/137.
Datazione: seconda metà IV/V sec. d. C.
42 Maria Concetta Parello - Magda Modica

1M.149. Frammento di orlo di bicchiere tipo Isings 106 d. Cfr. Carra et al. 1995, f. 32, 85/137.
Datazione: seconda metà IV/V sec. d. C.
1M.150. Frammento di orlo di bicchiere tipo Isings 106 d. Cfr. Carra et al. 1995, f. 32, 85/137.
Datazione: seconda metà IV/V sec. d. C.
1M.151. Frammento di orlo di balsamario; simile in Carra et al. 1995, f. 36, 86/10. Datazione: metà
IV/V sec. d. C.

Varia
1M.152. Frammento di osso lavorato. Il frammento restituisce meno della metà di un piccolo ci-
lindro in osso che presenta, a metà circa della sua altezza, tracce di un piccolo foro circolare; trattasi,
probabilmente, di parte di uno strumento musicale (flauto?). h cm 2,7; d cm 3,3 ca; sp. max mm 0,53.

US 3M
Ceramica comune
3M.1. Frammento di brocca. Il frammento restituisce circa 1/3 dell’orlo, il collo, l’ansa e la parte
superiore del corpo della brocca. L’orlo è carenato ed estroflesso, il collo tronco-conico; l’ansa è im-
postata immediatamente sotto l’orlo e sulla spalla. La parte del corpo che si conserva presenta tre in-
cavature: una sotto l’ansa e due, parallele, nella parte diametralmente opposta all’ansa, a mo’ di
“prese”. Cfr. per la forma dell’orlo, Carra et al. 1995, f. 42, 85/199. Datazione: età romana (IV/V sec.
d. C.). h residua cm 15 ca.; d orlo cm 8 ca.; argilla M 2.5 YR 5/8 ben depurata, con minuscoli inclusi
bianchi (tav. VII,1; tav. X, 4).
3M.2. Quattro frammenti ricomposti di parete di brocca simile al tipo precedente. I frammenti re-
stituiscono ¾ del corpo della brocca: mancano orlo, collo, parte del corpo, fondo e ansa. La parte
conservata del corpo della brocca presenta, poco sotto le spalle, tre incavi intenzionali a distanza re-
golare. h max cm 15 ca. (tav. VII,2; tav. X, 5).
3M.3. Brocca integra. Orlo carenato ed estroflesso, ansa schiacciata, segnata da una costolatura
centrale, impostata immediatamente sotto l’orlo; fondo piano. Cfr. Carra et al. 1995, f. 62, 85/199.
Datazione: età romana (IV/V sec. d. C.?). h cm 21,3; d max orlo cm 8,5 (tav. VII,3; tav. X, 6).

US 4M
Ceramica comune
4M.1. Frammento di orlo di catino tipo Ostia IV, tav. XIV, 95. Cfr. Carra et al. 1995, f. 42, 86/545.
Datazione: fine III/V sec. d. C.
4M.2. Frammento di orlo di recipiente globulare. Cfr. Carra et al. 1995, f. 43, 88/149. Datazione:
IV/V sec. d.

US 6M
Ceramica da fuoco africana
6M.1. Frammento di orlo di casseruola tipo Ostia II, f. 312. Cfr. Belvedere et al. 1993, 185, n. 779.
Datazione: età flavia/metà II sec. d. C.

Pantellerian Ware
6M.2. Frammento di orlo di tegame tipo Baldassarri 2009, tav. I, 2.2a, p. 96. Datazione: fine IV/fine
V sec. d. C.

US 7M
Anfore da trasporto
7M.1. Frammento di orlo di anfora tipo Mid Roman 1a. Cfr. Riley 1979, p. 177, f. 81, 215. Data-
zione: II/metà IV sec. d. C.
7M.2. Frammento di orlo di anfora tipo Termini 151/354. Cfr. Belvedere et al. 1993, p. 164, n.
151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.
Saggio 12 M 43

Ceramica comune
7M.3. Frammento di orlo di brocca tipo Wilson 1985 (Eraclea), p. 29, f. 25. Cfr. Carra et al. 1995,
f. 62, 86/710. Datazione: età romana.
7M.4. Frammento di orlo di brocca tipo Carra et al. 1995, f. 62, 86/813. Orlo indistinto, lievemente
estroflesso, al di sotto del quale corre una costolatura a sezione semicircolare. Datazione: età romana.

Ceramica da fuoco africana


7M.5. Frammento di orlo di coperchio tipo Hayes 185, var. C. Cfr. Bonifay 2004, f. 118, n. 9, p.
222. Datazione: fine II/III sec. d. C.

Pantellerian Ware
7M.6. Frammento di orlo di tegame tipo Baldassarri 2009, tav. I, 2.1, P. 96. Datazione: fine IV/fine
V sec. d. C.
7M.7. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.2b, P. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.
7M.8. Frammento di orlo di coperchio tipo Baldassarri 2009, tav. I, 1.3c, p. 96. Datazione: fine
IV/fine V sec. d. C.

US 10M
Anfore da trasporto
10M.1. Due frammenti ricomponibili di orlo e parete di anfora tipo Termini 151/354. I due fram-
menti si presentano senza ingobbio; argilla color mattone; segni del tornio sul collo. Cfr. Belvedere et
al. 1993, p. 164, n. 151. Datazione: seconda metà IV/VII sec. d. C.

Magda Modica
44 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Tav. i
Saggio 12 M 45

Tav. ii
46 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Tav. iii
Saggio 12 M 47

Tav. iV
48 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Tav. V
Saggio 12 M 49

Tav. Vi
50 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Tav. Vii
Saggio 12 M 51

Tav. Viii
52 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Tav. iX
Saggio 12 M 53

Tav. X
54 Maria Concetta Parello - Magda Modica

Tav. Xi
55

Saggio 11 K
Romina Sutera

La casa II B (fig. 1) occupa in ampiezza tutta l’insula II. È separata a sud dalla casa II A da uno
stretto ambitus di drenaggio lungo 34.10 m che corre in senso E/O per tutta la lunghezza dell’edificio,
mentre a N un altro ambitus la divide dalla casa II C solo nella metà occidentale.
Infatti l’USM 1036 costituisce l’unico elemento di separazione tra la casa II B e quella II G che si
sviluppa in lunghezza nella zona a N/E della casa delle Afroditi.
L’area è stata interessata da scavi e saggi stratigrafici negli anni ‘50 e ‘60. Si è trattato in linea di
massima di indagini limitate alla lettura dell’edificio, che nel corso dei secoli aveva subito svariate tra-
sformazioni, per conoscerne lo sviluppo e le relative fasi cronologiche.

Fig. 1
56 Romina Sutera

Fig. 2

Fig. 3
Saggio 11 K 57

Fig. 4

Alla casa si accedeva da un ingresso laterale che si affaccia sul Cardo III1. Attraverso il vano vesti-
bolo a ci si immetteva in un grande cortile pilastrato di cui rimangono soltanto quattro basi in tufo
sul lato est. Quest’area presenta evidenti elementi strutturali relativi a diverse fasi di utilizzo. Le in-
dagini stratigrafiche condotte recentemente si sono concentrate proprio in alcuni ambienti posti sul
lato nord N della Casa e in particolar modo nel vano g e nei vani z1 e z2.
L’intervento più significativo ha interessato il vano z1. Questo è stato realizzato insieme ad altri
quattro ambienti in una fase successiva di utilizzo dell’area del peristilio. Si tratta di vani (z1-5) non
comunicanti tra di loro, pavimentati in signino e delimitati da muri costruiti con pietre di varia di-
mensione di cui si conservano alcuni tratti.
All’interno del vano z1 si trovava, all’inizio dei lavori, un deposito archeologico che ne occupava
circa metà, appoggiandosi all’ USM 1046; esso era costituito dall’US1K (fig. 2), composta da terra
mista a frammenti ceramici, laterizi e intonaco, che copriva l’US2K (fig. 3), costituita da pietre di pic-
cole dimensioni e terra più compatta. Si tratta apparentemente dei residui di un crollo o di uno strato
di colmatura del vano, depositatosi al di sopra dell’US 3K, interpretato come un livello di abbandono
ed ancora presente su tutta la superficie del vano. Lo scavo di questo strato mette in luce l’US 5K
(fig. 4), un blocco tufaceo disposto in senso E-O, che sembra proseguire con un muro in piccoli bloc-
chi; US 5K si lega a USM 1046 ed è parallelo a USM 1036.
Al di sotto di 3K si rinviene anche l’USM 1047, che corre in direzione E/O e grossomodo paralle-
lamente, sebbene dalla parte opposta, a US 5 K e a USM 1036, dividendo i vani z1 e z2.
Tra questa struttura e il muro di delimitazione N del vano si mette in luce una canaletta costituita
da coppi in terracotta che corre in direzione E/O e si arresta in prossimità dell’angolo NO dell’am-
biente, ma con ogni probabilità confluiva nell’ambitus che separa le case II C e II B.
La canaletta US 11K era ricoperta da uno strato di terra bruna (US 10K) mista a radici e parecchi
frammenti di laterizi.

1
De Miro 2009
58 Romina Sutera

Al di sotto di 3K si mette in luce un battuto


giallognolo, US 12K, che ricopre l’intera superfi-
cie del vano. Nella parte centrale si evidenzia però
una grossa chiazza di bruciato, US 13K, che è in-
terpretabile come il residuo di una combustione
di discrete dimensioni avvenuta nell’ambiente
(probabilmente di elementi lignei della coper-
tura?) di cui rimangono diverse tracce di carboni.
Su di esso si rinvengono una testina fittile con
polos (fig. 5), un lungo frammento di ferro a se-
zione quadrangolare, un oggetto in osso lavorato,
uno spillone in bronzo oltre a diversi frammenti
di ceramica a vernice nera, ceramica sigillata ita-
lica e africana, ceramica comune e anfore da tra-
sporto greco-italiche tarde. Qui lo scavo si arresta
e si procede all’indagine dell’ambiente g, attiguo
al vano z1 e separato da questo dall’USM 1053.

Fig. 5

Catalogo dei reperti

US 1 K
Anfore da trasporto
1K.1 Nn. Provv. 82, 88- Frr. ricomponibili di orlo di anfora punica. Orlo svasato a corolla, labbro
corto leggermente ripiegato all’esterno. Impasto arancio con numerosissimi inclusi bianchi, piccolissimi.
Nucleo rosso scuro, mal cotto. Ingobbio rosato. A: 3,1 cm; L: 28,9 III/IV sec. d.C.Tipo Hammamet 2,
Bonifay 2004, fig.50, 7; tipo 9.
1K.2 N. Provv. 84 – Si conserva l’orlo e parte del collo. Impasto rosso-arancio, grossolano e ruvido
(5 YR 5/8). Ingobbio crema (2.5 Y 8/3). A: 14.2 cm; L: 9.8 cm. Tipo Mid Roman Anphora 14. II
sec.d.C.- Riley 1979, fig.85 d, p.264, ( tav. I,1).
1K.3 N. Provv. 85 – Si conserva l’orlo e parte del collo. Impasto rossastro (5 YR 6/6) grossolano e
con inclusi piccoli neri e bianchi, rari quelli neri grandi. Ingobbio beige (10 YR 8/3). Orlo a sezione
triangolare inclinato verso il basso e leggermente tondeggiante. Collo troncoconico. A:6.7 cm; L.7
cm. Forma “C” Will.Fine III-II sec., Polizzi 2008, Tav.LXXXVI, 83.
1K.4. N. Provv. 86- Si conserva l’orlo. Impasto rossiccio (10 R 5/8) con parecchi inclusi micacei
bianchi, rossi e neri di varie dimensioni.Ingobbio beige. Alto orlo appena inclinato. A: 6 cm; L. 8.6
cm. Simile a Sabratha tipo 7. Fine IV / prima metà del II sec. a.C. De Miro, Polito 2005, tav.64 – FV
95/97
1K.5. N. Provv. 87- Si conserva l’orlo. Impasto rosso con piccolissimi inclusi bianchi, neri e stra-
lucidi (5YR 6/8 ); ingobbio beige. Orlo verticale a sezione lievemente triangolare. Collo
cilindrico.A:5.9 cm; L. 6.6 cm. Tipo Dressel 1 C. Fine II sec.
1K.6. N. Provv. 108 – Si conserva orlo e collo. Superficie incrostata. Impasto rosato (2.5 Y 8/3).
Ingobbio beige (2.5 Y 8/2). A: 7.8 cm.Tipo Dressel 1.Fine II / I sec.a.C . Belvedere et alii 1993, p.162,
fig.3,35, (tav. I,2).
Saggio 11 K 59

Cermica a vernice nera


1K. 7. N. Provv. 106 – Orlo di patera. Si conserva un frammento dell’orlo. Questo è inclinato al-
l’esterno e segnato da una risega. Vasca poco profonda. Vernice nera in alcuni punti evanida, Impasto
arancio ben depurato, nucleo grigio mal cotto. A: 2.6 cm; L: 5.8 cm. Tipo Morel 1312b 1 Inizi II sec.

Terra sigillata italica


1K. 8. N.Provv. 98- Orlo di piatto. Piccolo labbro estroflesso, arrotondato all’esterno. Presenta
una rosetta a 8 petali applicata a rilievo sull’orlo. A:2.2 cm; L: 3.4 cm. Tipo Conspectus 20.4. 30/ 90
d.C. Polito 2009, Tav.XXXIV, 19.

Terra sigillata africana


1K. 9 N. Provv. 99 – Piatto in sigillata africana. Frammento di orlo di piatto. L’orlo è inclinato al-
l’esterno e presenta un motivo decorativo con foglie d’acqua. Parete concava. Argilla arancio, ben de-
purata. A: 3.8 cm; L:2.2 cm.Tipo Hayes 3 B /Lamboglia 4/36 A. I sec.d.C. .

Ceramica comune
1K. 10 N. Provv. 90 – Orlo di mortaio. Impasto grossolano di colore rosato (2.5 YR 6/6).Ingobbio
beige (2.5 Y 7/6) con inclusi micaceirossi, neri e stralucidi di varia dimensione. L: 13.2 cm. Tipo Bo-
nifay tipo 29. III / V sec.d.C.- Simile per profilo in Bonifay 2004, tipo 9, fig.136,6, (tav. I,3)
1K. 11 N. Provv. 96 – Frr.di catino in c.c. Impasto rosso (2.5 YR 6/6). Ingobbio beige (2.5 Y 8/2).
Si conservano 8 frr. di orlo e parete, in parte ricomposti. Orlo orizzontale con ansa a bastoncello im-
postata sotto l’orlo. A: 9.3 cm; Spess. orlo 0.7 cm; D. ricostr.: 34 cm. Tipo Luni II. IV – V sec.d.C.Cfr.
Bonacasa Carra 1995, fig.55, 85/253, (tav. I,4).
1K. 12 N. Provv. 109 – Cantarello in C.c. Si conserva l’orlo e la parete. Superficie abrasa e incro-
stata. Orlo inclinato verso l’esterno e arrotondato all’estremità, le pareti sono curve e segnate all’in-
terno da scanalature. Impasto arancio ben depurato, ingobbio crema.Tipo: Bonifay 22. Fine III/inizi
IV sec.d.C.
1K. 13 N. Provv. 288– Fr. di bacino in C.c. Orlo di bacino a listello orizzontale scanalato. Impasto
arancio (5 YR 6/6) ben depurato con nucleo marrone mal cotto.Ingobbio verdognolo (2.5 Y 7/3).
Tipo Bonifay 10.
1K. 14 N. Provv. 290– Fr. di coppa. Orlo orizzontale, stretto, leggermente inclinato all’esterno.
Vasca a parete convessa. Superficie abrasa e incrostata. Impasto arancio scuro (2.5 YR 6/6) con pa-
recchi inclusi micacei. Rari quelli ferrosi di media grandezza.A: 4.4 cm , L: 5.2 cm. IV/III sec.a.C.
1K. 15 N. Provv. 287– Fr. di brocca. Si conservano orlo e parete. Impasto marrone (2.5 YR 5/6)
con inclusi bianchi piccolissimi. Superficie incrostata. A: 3.3 cm , L: 9.6 cm. V sec.a.C.

Ceramica da cucina
1K. 16 N. Provv. 289– Fr. di scodella. Orlo orizzontale, vasca a parete convessa. Impasto rosso
(2.5 YR 6/8) ben depurato. Tracce di ingobbio verdognolo (2.5 Y 7/4). A: 7.2 cm , L: 11 cm.
1K. 17 N. Provv. 102 – Frr.di casseruola in ceramica da cucina africana. Si conservano 13 frr., ri-
composti. Orlo indistinto all’esterno, leggermente rientrante. Superficie incrostata, tracce di bruciato.
Impasto rosso scuro (2.5 Y 3; nucleo 7.5 Y). D: 21 cm; A: 3.8 cm. Tipo Hayes 181. II sec.d.C.Bonifay
2004, fig.114, 1-3, tipo 4 (tav. I,5).
1K. 18 N. Provv. 103 – Frr.di casseruola. Si conservano 5 frr., di cui 4 ricomposti. Orlo indistinto,
a sezione semicircolare, ricurvo verso l’interno. Superficie incrostata, tracce di bruciato. Impasto gros-
solano, rossiccio (7.5 YR 4/6) con inclusi bianchi piccoli e piccolissimi. Lungh. 17 cm. Pantellerian
ware, Fiertler tipo A8/1. Fine IV /V sec.d.C. Fiertler 2004, p.327; Bonacasa Carra 1995, fig.72, 86/595.
(tav. I,6).

Lucerne
1K. 19 N. Provv. 94 – Frr.di lucerna a v.n. Si conservano la parte inferiore e 5 frr. di parete, in parte
60 Romina Sutera

ricomposti. Impasto bruno (2.5 YR 5/4), vernice bruna (10 YR 3/2). Vernice, in parte evanida, anche
all’interno. Beccuccio apicato. L. 8.4 cm; A: 4.1 cm; D. base 3.7 cm. Imitazione locale del tipo Corinth
XVI. Belvedere et all. 1993, p.143, fig.1167.
1K. 20 N. Provv. 97 – Frr.di lucerna. Frammento di lucerna a vernice bruna. Si conserva il becco.
Impasto rosato ben depurato. Vernice evanida. A: 3.5 cm; L:9 cm. Fine II - inizi I sec.d.C.

Oggetti in vetro
1K. 21 N. Provv. 95 – Frr. di brocchetta in vetro. Si conserva l’orlo e parte del collo. Vetro azzurro
opaco. Patina celeste. A 3 cm; spess.orlo0.3cm; D. ricostr. 5.5 cm . I sec.a.C.- III sec. d.C.

Utensili fittili
1K. 22 N. Provv. 123 – Peso da telaio. Intero, privo di punta. Superficie abrasa. Troncoconico, con
foro di sospensione. Impasto rosato (5 YR 7/6) con inclusi bianchi grandi e piccoli.. Ingobbio beige
(2.5 Y 8/4). A: 5.2 cm. VI / V sec.a.C. De Miro 2000, tav. CLVIII, (tav. II,1).
1K. 23 N. Provv. 124 – Peso da telaio. Integro. Scalfiture sulla superficie. Troncoconico, con foro
di sospensione. Impasto rosato (5 YR 7/4). Ingobbio beige (2.5 Y 8/2). A: 6.4 cm. VI / V sec.a.C.. De
Miro 2000, tav. CLVIII,

US 2 K
Anfore da trasporto
2 K.1 N.Provv.89 - Orlo di anfora. Orlo verticale a sezione lievemente triangolare. Collo cilindrico
.Impasto rosato con inclusi bianchi piccolissimi. Rari quelli neri di grandi dimensioni. Ingobbio beige.
A:6.6 cm; L.8.8 cm. Tipo Dressel 1 C. Fine II sec.a.C..
2 K. 2 N.Provv.195- Orlo e collo di anfora. Orlo leggermente inclinato a sezione triangolare. Im-
pasto rosso con inclusi micacei bianchi e neri di varia dimensione. Ruvido al tatto. A: 6.5 cm; L.9.5
cm. TipoDressel 1 A. Polizzi 1997, 103, Tav. LXXXVII.
2 K. 3 N.Provv. 197 – Si conservano due pareti di cui una con ansa verticale, bifida. Impasto gros-
solano arancione con parecchi inclusi bianchi micacei di varia grandezza. Superficie incrostata. Pre-
senta bollo ovale sotto l’ansa (“..N ….”). Potrebbe essere del tipo Dressel 2/4. I / II sec.d.C. (tav.
II,3-4)
2 K.4 N. Provv. 204 – Fr. di anfora da trasporto. Orlo e collo di anfora da trasporto. Orlo verticale
a sezione lievemente triangolare. Collo cilindrico. Impasto arancio ( 5YR 6/8) rari inclusi bianchi e
neri; ingobbio rosato (5 YR 8/4). A: 12 cm, L:14.7 cm. Tipo Dressel 1 C. Fine II sec. a.C Polizzi 1997,
Tav. LXXXVIII, 108.
2 K.5N. Provv. 205 – Frr.di anfora da trasporto Si conserva l’orlo grossomodo quadrangolare. Im-
pasto rosato con nucleo grigio mal cotto. Ingobbio crema. Moltissimi gli inclusi bianchi micacei. L:4
cm, A: 6.2 cm. Tipo Africana II B, III sec.d.C.
2 K. 6 N. Provv. 206 – Tappo. Si conserva parte del disco e la presa. Impasto rosato. L:8.6 cm, A:
3 cm.

Lucerne
2 K.7N. Provv. 198 - Fr. di lucerna africana. Si conservano due frammenti ricomponibili del disco.
Presenta un motivo decorativo a stampo(?). Superficie abrasa e incrostata. Impasto crema, ingobbio
bruno. D: ricostruito 7.5 cm.

US 3 K
Ceramica a vernice nera
3 K.1 N. Provv. 166- Fr. di patera a V.N. Si conserva il fondo e il piede. Superficie incrostata. Entro
cartiglio triangolare. Impasto rosso (2.5 YR 6/6). Vernice opaca. A: 2.7 cm , L: 7.4 cm. Fine IV sec.a.C.
Saggio 11 K 61

Terra sigillata italica


3 K.2 N. Provv. 165 - Fr. di piatto.Si conserva orlo a fascia, con profilo leggermente inclinato.
A: 2.2 cm , L: 2.6 cm. I sec.d.C.

Anfore da trasporto
3 K.3 N. Provv. 157 – Orlo di anfora da trasporto. Scalfiture sulla superficie. Impasto arancio ben
depurato con rarissimi inclusi neri di media grandezza e bianchi piccolissimi. Ingobbiatura rosata. A:
12 cm. Lungh. 14.5 cm. Tipo Dressel 1.Fine II sec.a.C. / I sec. a.C.– Polizzi 1997, tav. LXXXVIII,
108.
3 K.4 N. Provv. 158 – Orlo di anfora da trasporto. Si conserva l’orlo. Superficie abrasa e incrostata.
Impasto rosato con inclusi bianchi e neri piccolissimi. Lungh. 8.5 cm. Sabratha tipo 7. IV / III sec.a.C.
Simile in De Miro - Polito 2006, tav. 64, FV 30/99
3 K.5 N. Provv. 159 – Orlo di anfora da trasporto. Si conserva l’orlo. Superficie abrasa e incrostata.
Impasto rosato, mal cotto, con inclusi neri grandi e piccoli. Lungh. 7.7 cm. A: 2.9. Simile a Will 1982.
Fine IV / II sec.a.C. Cfr. Bonacasa Carra 1995, fig. 75- 88/200; De Miro - Polito 2006, tav.64- FV
169/95.
3 K.6 N. Provv. 161 – Orlo di anfora da trasporto. Si conserva l’orlo, il collo e l’attacco dell’ansa.
Superficie incrostata. Impasto rossiccio con inclusi bianchi e neri grandi e piccoli. A: 12 cm., Ostia I,
tav. XXVIII, 462-464; Bonacasa Carra 1995, fig.80, 86/303.
3 K.7 N. Provv. 162– Orlo di anfora da trasporto. Si conserva l’orlo. Orlo a fascia con labbro ri-
gonfio. Superficie incrostata. Impasto rosso con inclusi bianchi e rossi grandi e piccoli. A: 4.5 cm.
Keay XXVI F. IV- VII sec.d.C. Simile in Bonacasa Carra 1995, fig. 77, 85/553.
3 K.8 N. Provv. 163– Orlo di anfora da trasporto. Si conserva parte dell’orlo. Superficie scalfita e
incrostata. Impasto rosa scuro con inclusi ben visibili ad occhio nudo. Ingobbiatura verdognola. A:
3.4 cm; Lungh.5.6 cm. Spess. orlo 1.3 cm. Will 1982. Prima metà del II sec.a.C. De Miro - Polito
2006, tav. 64 - FV 64/91.
3 K.9 N. Provv. 164-Si conserva parte dell’orlo. Superficie scalfita e incrostata. Impasto arancio
con inclusi stralucidi grandi e piccoli e neri piccolissimi. A: 3.4 cm; Lungh.5.6 cm. Dressel 1.I
sec.a.C.Cfr. Polizzi 1997, tav. LXXXVII, 95.

Ceramica comune
3 K.10 N.Provv. 155 - Fr. di brocchetta. Si conserva orlo, parete e ansa. Superficie abrasa e incro-
stata. Orlo a “seggiola”, ansa verticale impostata subito sotto l’orlo, parete convessa. Impasto rosso
ben depurato. Ingobbio crema. A: 7 cm , L: 3.5 cm. II/III sec.d.C.

Ceramica da fuoco
3 K.11 N. Provv. 168 – Casseruola. Frammento di orlo di casseruola. Orlo indistinto, ansa oriz-
zontale impostata subito sotto l’orlo. Superficie scalfita e incrostata. A: 4.2 cm; L: 11 cm. Tipo Pan-
tellerian Ware. IV/V sec.d.C.
3 K.1 2 N. Provv. 169– Orlo di casseruola. Frr. di orlo e pareti Superficie incrostata, tracce di bru-
ciato. Impasto arancione con piccolissimi inclusi bianchi, neri e rossi.A: 3.8 cm; D: ricost. 16.5 cm.
IV / III sec.a.C.Simile per il profilo in Bonacasa Carra 1995, fig.66- 85/643

Ceramica da fuoco africana


3 K.13 N. Provv. 167– Orlo e fondo di padella . Impasto arancio ben depurato con piccolissimi in-
clusi bianchi. Orlo annerito. Incrostazioni calcaree. Orlo indistinto, lievemente inclinato all’esterno.
Fondo convesso segnato da solcature concentriche. A: 5.2 cm; L: 7.5 cm. Tipo Lamboglia 10B (=
Hayes 23A). Fine I sec. a.C./prima metà del III sec.a.C. Atlante I, Tav CVI, pag.217.
3 K.14 N. Provv. 284–Orlo di pentola. Si conserva l’orlo e un breve tratto di collo. Impasto arancio
(M 2.5 Y 6/8)con piccolissimi inclusi bianchi e neri. Superficie scalfita e incrostata. A: 4.3 cm , L: 9.2
cm. Tipo Sabratha 38. I/III sec.d.C.
62 Romina Sutera

3 K.15 N. Provv. 285– Orlo di pentola. Impasto arancio con parecchi inclusi bianchi e stralucidi
piccolissimi. Rari quelli neri di media grandezza. Superficie scalfita e incrostata. A: 2 cm , L: 10.7 cm.
Tipo Sabratha 48. I sec.a.C./ I sec.d.C. De Miro – Polito 05, Tav.28, FV 50/97.
3 K.16 N. Provv. 286– Orlo di pentola. Impasto rosso con parecchi inclusi micacei di media gran-
dezza e stralucidi piccolissimi. Rari quelli neri di media grandezza. Superficie scalfita e incrostata. A:
4.5 cm , L: 11.2 cm. Tipo Sabratha 48. I sec.a.C./ I sec.d.C. De Miro – Polito 2005, Tav.28, FV 50/97.
3 K.17 N. Provv. 293 – Coperchio. Si conserva l’orlo e la presa. Superficie incrostata. Orlo inclinato,
rivolto verso l’alto. Impasto arancio, grossolano. L: 5.1 cm.
3 K.18 N. Provv. 294 – Casseruola. Si conserva orlo. Superficie incrostata e annerita. Orlo arro-
tondato e ingrossato all’esterno, parete verticale, dotata di incasso per il coperchio. Impasto arancio
con inclusi neri e bianchi piccolissimi. A: 3.8 cm , L: 7.5 cm. Tipo Hayes 197, III sec. Bonifay 2004,
fig.120,2-3.
3 K.19 N. Provv. 295 – Casseruola. Si conserva l’orlo. Superficie incrostata. Orlo a tesa orizzontale,
parete verticale. Impasto arancio, grossolano. A: 2.2. cm; L: 4.4 cm. Inizi V (?) sec.d.C.
3 K.20 N. Provv. 296 – Coperchio. Si conserva l’orlo e la presa. Superficie incrostata. Impasto
bruno, grossolano. L: 6.1 cm. Potrebbe trattarsi di una variante del tipo Hayes 182. Cfr. Bonifay 04,
fig.115.
3 K.21 N. Provv. 297 – Coperchio. Si conserva l’orlo e la presa. Superficie incrostata. Orlo a sezione
grossomodo triangolare. Impasto bruno, grossolano. L: 5.4 cm. Potrebbe trattarsi di una variante del
tipo Hayes 182. Cfr. Bonifay 2004,fig.115.

Utensili fittili
3 K.22 N. Provv. 131 – Oscillum, Integro. Scalfiture sulla superficie. Di forma discoidale, con le
facce piatte. Presenti fori circolari di sospensione, due per faccia. Impasto rosato, ingobbio beige. D.
11 cm; Spess. 1.7 cm. IV /III sec.a.C. Cfr. per la forma Valentino 1997, p.199, fig.1 (tav. II,2).

Oggetti in vetro
3 K.23 N. Provv. 149 – Orlo di brocca. Si conservano tre frr. di orlo. Vetro azzurrognolo, opaco,
con patina biancastra. Orlo orizzontale, leggermente inclinato; ripiegato all’interno crea un leggero
ispessimento in questo punto. D. ricostruito: 13.6 cm; spess.orlo 0.6 cm.
3 K.24 N. Provv. 150 – Orlo di unguentario.Si conservano due frr. di orlo e collo. Vetro verde
acqua con tracce di patina bianca, lucida.Orlo orizzontale, collo cilindrico. A: 2.1 cm; spess.orlo0.8
cm.
3 K.25 N. Provv. 151 – Orlo di unguentario in vetro. Si conserva orlo e parte del collo. Vetro az-
zurro, opaco. Tracce di patina bianco/celeste. A 1.8 cm; D: 3.9 cm. I/ IV sec.d.C. (?). Cfr. Carandini
et alii 1968, tav. VIII, fig.158.

US 4 K
Elementi architettonici
4 K.1 N.Provv. 153 – Frammento di elemento architettonico in calcare. Il frammento presenta
sulla faccia anteriore una modanatura a listelli. Quella inferiore è realizzata da 5 listelli orizzontali se-
parati da altrettante vie che costituiscono una sorta di base larga 5.8 cm alla modanatura verticale.
Questa è formata da 8 listelli separati anch’essi da vie. La faccia superiore è frammentaria. Il piano di
posa è piatto e reca, come nella faccia posteriore, segni di scalfittura con subbia. (tav. II,5)

US 6 K
Anfore da trasporto
6 K.1 N. Provv. 217– Orlo di anfora di piccole dimensioni.Si conserva l’orlo, la parete e l’attacco
dell’ansa. Superficie incrostata. Impasto arancione scuro (5 YR 5/6) ben depurato e ingobbio crema
(5 Y 8/3). A: 9.1 cm; Lungh. 8.6 cm. Sabratha 395. III sec.a.C.Cfr. De Miro-Polito 2006, tav. 57-FV
101/91 (tav. II, 6)
Saggio 11 K 63

US 10 K
Lucerne
10 K.1 N. Provv. 208 – Frammento di lucerna in sigillata africana. Si conserva il becco. Impasto
rosato ben depurato. L:3.1 cm, A: 1.7 cm. Simile n.provv.97

US 12 K
Terracotta figurata
12 K.1 N. Provv. 50 –Frammento di testina. Si conserva la parte superiore del volto e il polos. Su-
perficie incrostata. A: 3.7 cm , L: 5.1 cm. Tipo Athena Lindia. 440 a.C. circa.

US 13 K
Anfore da trasporto
13 K.1 N. Provv. 218– Si conserva l’orlo, la parete e l’attacco dell’ansa. Superficie incrostata. Im-
pasto rosa scuro( 2.5 YR 6/6) con inclusi bianchi e neri di media grandezza. Ingobbio giallognolo
(2.5 Y 8/6). A: 4.2 cm; Lungh. 10.2 cm. Ramòn tipo T-7.5.2.2. I sec.a.C. / I sec.d.C. Simile per profilo
in Bechtold 2008, tav. XCV, fig. 34.
13 K.2 N. Provv. 299–Frammento di anfora con orlo verticale a sezione triangolare. Impasto arancio
ben depurato (7.5 YR 7/6) con piccolissimi e rari inclusi bianchi e neri. Ingobbio rosa. Superficie
scheggiata e incrostata. A: 8.4 cm , L: 10.3 cm. Tipo Dressel 1C. Fine II sec.a.C.
13 K.3 N. Provv. 300– Si conserva un frammento di orlo. Orlo caratterizzato da una leggera mo-
danatura. Impasto rosso (10 R 5/6) piuttosto compatto con inclusi micacei grandi, rari quelli neri di
piccole dimensioni. Nucleo marrone mal cotto. Ingobbio crema (2.5 Y 8/3). Superficie scalfita e in-
crostata. A: 3 cm , L: 11.9 cm. Produzione africana.
13 K.4 N. Provv. 301– Fr. di anfora da trasporto. Si conserva un frammento di orlo. Impasto rosato
(2.5 YR 7/6) con rari inclusi neri e stralucidi piccolissimi. Rari quelli bianchi e neri di media grandezza.
Ingobbio beige (10 R 8/4). Superficie scalfita e incrostata. A: 3.9 cm , L: 6.2 cm.
Potrebbe trattarsi del tipo Keay 25. IV/V sec.d.C.(?)
13 K.5 N. Provv. 302– Fr. di anfora da trasporto. Si conserva l’orlo. Superficie abrasa e incrostata.
Orlo verticale, appena inclinato, a sezione triangolare. Impasto rosso arancio (10 R 6/8) con inclusi
bianchi e neri piccolissimi. Nucleo marrone mal cotto. Ingobbio crema (2.5 Y 8/2). A: 3.8 cm , L: 7.9
cm. Tipo Dressel 1.A.10. II sec.a.C./I sec.d.C
65

Saggio 11 K vano G
Romina Sutera

Il vano g (fig. 6), interpretato come un cubiculum2 (m 5.60x3.30) era accessibile attraverso una
soglia di apertura dell’USM 1053. Il pavimento era in signino con decorazione a rete di losanghe bian-
che incorniciata di disegni di meandri e svastiche.

Fig. 6

2
De Miro 2009, p.174.
66 Romina Sutera

Fig. 7

L’intervento in questo ambiente era mirato alla rimozione di una canaletta in stato di crollo (fig. 7)
che occupava tutto il vano e che era stata risparmiata insieme ad un testimone di terra durante le cam-
pagne di scavo precedenti, delle quali però non è stata rinvenuta documentazione.
In primo luogo vengono rimossi una serie di lastroni rettangolari e quadrangolari, grandi e piccoli,
che costituivano la canaletta. Queste lastre sono state riutilizzate: infatti si tratta di basi di colonne
e/o lastre di copertura degli ambitus che separano le case.
Si procede dunque alla rimozione della terra che riempie la canaletta, US 15 K, costituita da terra
marrone chiara mista a diversi reperti osteologici e frammenti ceramici. Lo strato è databile al IV / V
sec. d.C.
Al di sotto emerge uno strato, US 16 K, riempimento dell’ambiente dopo l’abbandono, che pro-
babilmente ricopriva tutto il vano. Nella parte centrale si evidenzia una grossa traccia di bruciato di
circa 7 cm che ricopre il pavimento in signino, US 861, che occupa tutta la superficie. Si tratta, US
17, di uno strato di uso con tracce di combustione, probabilmente di elementi di copertura del vano,
legate all’ultima fase di utilizzo dello stesso che dovrebbe datarsi tra il II e il III sec. d.C.
Nella parte S si rintraccia un’iscrizione in tessere di mosaico bianche (fig. 8). Questa in origine do-
veva occupare la parte centrale del vano che in una fase successiva è stato suddiviso in due piccoli
ambienti dall’USM 18 K.

Catalogo dei reperti

US 15 K
Anfore da trasporto
15 K.1 N. Provv. 282 –Si conserva l’orlo e parte del collo. Impasto arancio con rarissimi inclusi
Saggio 11 K vano G 67

Fig. 8

bianchi di media grandezza. Molti gli inclusi stralucidi piccolissimi. Ingobbio verdognolo. Bordo
spesso, orlo arrotondato segnato all’esterno da una sorta di gradino. Visibile l’attacco dell’ansa subito
sotto l’orlo. A:8,8 cm; D.orlo13,3 cm. Tipo Africana II A, var.A1. Fine II sec.d.C. Cfr. Bonifay 04,
fig.57, 1-3; Keay 1984, fig.19 (4-7), fig. 20 (1-3).

US 16 K
Ceramica a figure rosse
16 K.1 N. Provv. 275 - Fr. di vaso. Parete di vaso, di forma chiusa. Superficie abrasa e incrostata.
Impasto arancio ben depurato, vernice nera, lucida. La superficie del frammento raffigura una mano.
A: 3.3 cm , L: 3.3 cm.

Terra sigillata africana


16 K.2 N. Provv. 280– Fr. di brocca. Si conserva l’orlo e un breve tratto di collo. Impasto arancio,
ingobbio nocciola. Superficie scalfita e incrostata. A: 5.5 cm ,L: 4 cm. Collo decorato da motivo a ri-
lievo. II/III sec.d.C.- (tav. III,1) orlo di brocca in sig.decorata a matrice.Potrebbe trattarsi di ceramica
di Cnido databile tra la fine del II e il III sec.d.C. Cfr. Atlante I, tav. CLXIV,2 Forma Hausmann,
1954-55.

Ceramica comune
16 K.3 N.Provv. 303– Fr. di cantarello. Si conservano due frr. di orlo. Superficie abrasa e incrostata.
Impasto marrone con piccolissimi inclusi bianchi. Ingobbio crema. A: 10.3 cm , L: 17+ 4.4 cm.
16 K.4 N. Provv. 304 - Fr. di brocca. Si conserva orlo. Superficie abrasa e incrostata. Impasto rosso
chiaro (10 R 6/8). Ingobbio beige (2.5 Y 8/3). A: 3.5 cm , L: 9.7 cm.
16 K.5 N. Provv. 305 - Fr. di bottiglia. Si conserva orlo. Superficie abrasa e incrostata. Orlo espanso
68 Romina Sutera

all’esterno, parete del collo verticale. Impasto rosso arancio (2.5 YR 6/6). Ingobbio rosato (2.5 YR
8/4). A: 2.8 cm , L: 5.6 cm.
16 K.6 N. Provv. 306 – Frr. di mortaio in C.c. Due frammenti ricomponibili di mortaio. Orlo oriz-
zontale arrotondato, segnato all’interno da un solco. Superficie abrasa e incrostata. Impasto rosso (2.5
YR 6/6) con nucleo marrone mal cotto. Ingobbio crema (2.5 YR 8/3). A: 12 cm , L: 9.5+8.2 cm.
16 K.7 N. Provv. 309–310 - Frr. di olla. Si conservano due frr. di orlo, non ricomponibili. Superficie
abrasa e incrostata. Orlo inclinato verso l’esterno, parete verticale. Impasto bruno (5 YR 5/4). Tracce
di ingobbio crema. A: 4.8 cm , L: 10.1+ 13.2 cm.
16 K.8 N. Provv. 307– Fr. di brocchetta. Si conserva orlo. Superficie abrasa e incrostata. Orlo ca-
renato e leggermente espanso all’interno. Impasto rosso (2.5 YR 5/6). Ingobbio crema (2.5 Y 8/2).
A: 2.6 cm , L: 5.1 cm. Tipo Dressel 1.A.10 tipo n. id. cfr. Ardizzone 2012, fig. 62. IV/ III sec.a.C.
16 K.9 N. Provv. 308–311. Tipo n. id. cfr. Ardizzone 2012, fig. 62. Frr. di bacino in C.c. Si conser-
vano 4 frammenti ricomponibili di bacino con orlo a listello orizzontale, leggermente pendulo; pareti
oblique. Impasto di colore marrone (7.5 YR 5/4) piccolissimi inclusi neri e bianchi. Tracce di ingobbio
crema. Superficie abrasa e incrostata. A: 7.7 cm , L: 26.5 cm (ricostruita). Potrebbe trattarsi di una
variante del tipo Bonifay 8 A, I-III sec.d.C.

Ceramica da fuoco africana


16 K.10N. Provv. 291– Fr. di casseruola. Si conserva l’orlo e il fondo. Orlo indistinto leggermente
inclinato all’interno.Fondo solcato da striature concentriche. Superficie incrostata e annerita. A: 4.4
cm , L: 8.1 cm. Tipo Hayes 23 A/ Lamboglia 13B. Metà II sec.a.C./ I sec.d.C.

US 17 K
Anfore da trasporto
17 K.1 N. Provv. 292– Fr. di anfora da trasporto. Si conservano due frammenti di orlo, ricompo-
nibili. Orlo a mandorla, collo cilindrico. Impasto rosso chiaro (10 R 6/8) con parecchi inclusi micacei
grandi e piccoli. Nucleo marrone mal cotto. Ingobbio crema (2.5 Y 8/2). Superficie scalfita e incro-
stata. A: 6.9 cm , L: 10.7+9.2 cm. Tipo Africana grande.

Oggetti in osso
17 K.2 N. Provv. 274- Ago in osso. In due frammenti, ricomponibile. A sezione circolare si restringe
verso la punta.L.: 6.2+6.2 cm.
17 K.3 N. Provv. 283- Ago in osso. A sezione circolare, privo di punta. L.: 6 cm.

USM 1047
Terracotta figurata
USM 1047.1 N. Provv.48 – Frammento in terracotta relativo alla zampa di un felino. Privo di uno
degli artigli. Scheggiato nella parte posteriore. Il pelo dell’animale è realizzato con piccole linee in-
cise.A: 6.9cm; Larg.: 2.8 cm.(tav. III, 2).
Saggio 11 K vano G 69

Tav. i
70 Romina Sutera

Tav. ii
Saggio 11 K vano G 71

Tav. iii
73

Saggio 9 L
Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Il saggio 9L ha riguardato due vani contigui relativi a due diverse abitazioni, il vano h della Casa
IIC ed il vano a della casa IID (fig. 1, Tav. I). La casa IIC (Tav. II,1) è una casa con peristilio rettan-
golare (5 colonne per 3), al cui portico orientale si accede attraverso il vestibolo costituito dal vano a,
aperto sul cardo II. Intorno al peristilio si dispongono i vani, una cui prima proposta di interpretazione
è stata avanzata da Ernesto De Miro nel 20101. A caratterizzare in particolare la storia architettonica
della casa è la chiusura del peristilio con muretti in piccoli blocchi di tufo irregolari, rivestiti, insieme
alle colonne, di intonaco, da cui deriva il nome di «Casa del Criptoportico» con cui essa viene comu-
nemente indicata2. Il vano h era, al momento di iniziare l’intervento, parzialmente occupato, presso
il limite settentrionale, da un «testimone» di terreno, preservato per conservare le due tombe che vi
poggiavano sopra. A causa dell’azione degli agenti atmosferici, il «testimone» era franato verso Sud
e verso Ovest, trascinando con sè parte delle tombe.

Fig. 1

1
De Miro 2010, pp. 220-224; per una rilettura architettonica della casa si veda Giannella in questo volume.
2
Per un resoconto degli scavi, iniziati a partire dal 1953, si veda De Miro 2010, pp. 224-239.
74 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

La casa IID (tav. II,2), dalle dimensioni ridotte (m19x18) è organizzata intorno ad un peristilio
quadrato di tre colonne per lato. Il vano a ne rappresenta il vestibolo; ad esso si accede dal cardo II
attraverso una scala in conci di tufo, che scende al livello del piano di calpestio; il vano è stato succes-
sivamente suddiviso da un muro E-O (USM1973) in due ambienti più piccoli. Di questi, il vano a1
era interamente riempito, fino al livello su cui poggiavano le due tombe 4 e 5, mentre l’ambiente a era
stato parzialmente scavato, ed al suo interno era stato conservato un altro «testimone» che sorreggeva
una sepoltura (tomba 1/2013).
L’indagine è stata volta in primo luogo allo scavo delle tombe (su cui si veda la relazione di Zelia
Di Giuseppe, in questo volume); successivamente, smontate le tombe 1, 2 e 3/2013, che insistevano
sui testimoni e che erano già in gran parte franate, è stato effettuato lo scavo dei residui della strati-
grafia, allo scopo di raccogliere informazioni sulla natura e sulla cronologia degli strati depositatisi
nei vani. Le tombe 4 e 5, invece, nel vano a1, il cui riempimento era stato integralmente conservato e
che erano dunque in discreto stato di conservazione, sono state scavate e lasciate in situ.

Lo scavo

Le indagini sulle tombe sono state fortemente condizionate dallo stato attuale dell’area; essa, infatti,
fu indagata estensivamente negli anni ‘50 del ‘900, con fondi della Cassa per il Mezzogiorno, presu-
mibilmente con lo sbancamento degli strati superiori, fino alla quota di affioramento dei muri delle
case di età romana e ai piani su cui poggiano le tombe, che vennero conservate insieme ai testimoni
di terra che le sorreggono (tav. III,1). Non si è conservata, purtroppo, documentazione relativa allo
scavo di questa parte più alta della stratigrafia, il che impedisce di avere a disposizione dati essenziali
per la comprensione e l’interpretazione dell’evidenza archeologica. In primo luogo non è possibile
determinare la quota dalla quale le tombe sono state scavate e riconoscere i relativi piani di calpestio;
i testimoni, inoltre, isolati dal complesso della stratigrafia, conservano elementi preziosi di cronologia
relativa, ma non consentono di ricostruire le relazioni stratigrafiche con le murature e con i piani di
calpestio dei vani al cui interno sono disposte le tombe.
Nel saggio 9L sono state indagate cinque sepolture, dettagliatamente descritte in questo volume
da Zelia Di Giuseppe. Si tratta di tombe a cassone litico, realizzato con lastre di calcarenite, recuperate
saccheggiando gli edifici di età romana ormai abbandonati, infisse verticalmente nel terreno; le se-
polture 2 e 4 si addossavano al muro USM 1222, che divide le due case IIC e IID e che ne costituiva
rispettivamente la parete settentrionale e meridionale; come tutte le tombe finora scavate nel Quar-
tiere, esse sono orientate in senso O/E, con il cranio del defunto ad Ovest. I defunti sono stati deposti
supini, con le braccia lungo i fianchi o con il braccio sinistro ripiegato sul bacino e il destro lungo il
fianco. Del gruppo di sepolture scavate nel saggio 9L soltanto la 5/2013 conserva due lastre di coper-
tura, delle tre che la dovevano chiudere in origine. Le tombe indagate sono state utilizzate, tutte, per
la deposizione di più individui, di cui alcune coeve, altre avvenute in tempi diversi, con la riapertura
delle tombe per seppellire nuovi defunti, spostando le ossa dei precedenti in un angolo della cassa.
Nella tomba 2/2013, contenente complessivamente i resti di cinque individui, alla deposizione più
recente, costituita dallo scheletro di una donna (US 10L) di circa 20 anni, era associato un orecchino in
bronzo dorato ad anello semplice a sezione circolare, con inspessimento al centro decorato con losanghe
incise, genericamente ascrivibile al tipo 1c della Baldini3, rinvenuto accanto al cranio; all’altezza del ba-
cino si trovava invece una fibula ad anello, anch’essa in bronzo dorato e con analoga decorazione.
I due individui più antichi, invece, deposti direttamente sulla base della tomba, erano rappresentati
da un maschio adulto (US 13L) e da un bambino (US 11L), di età compresa, probabilmente, tra i 24
e i 30 mesi, deposti contemporaneamente. L’individuo adulto US 13L era in posizione supina con il
cranio ad Ovest, le braccia lungo i fianchi e la mano sinistra sulla spalla del bambino, deposto anche
lui in posizione supina, in mezzo e sopra le gambe dell’individuo adulto. Il cranio dell’infante, dislocato

3
Baldini Lippolis 1999, p. 88.
Saggio 9 L 75

a S/E probabilmente per l’azione di spostamento dei cadaveri sepolti successivamente al di sopra,
originariamente doveva essere all’altezza del bacino dell’adulto. Intorno alle vertebre cervicali del
bambino sono stati trovati diversi vaghi di collana in pasta vitrea, piastrine forate in bronzo e alcune
monete, di cui una presenta un foro lungo il margine, collocato alla base del collo dell’imperatore il
cui busto è rappresentato sul diritto della moneta. La moneta doveva costituire uno degli ornamenti
della collanina che probabilmente il bambino portava al collo, insieme alle perle di pasta vitrea e agli
altri oggetti in bronzo. L’uso di monete forate, insieme ad altri pendenti, soprattutto in associazione
con sepolture di bambini e con probabile valore apotropaico, è attestato in vari contesti, ed anche in
tombe di età romana4; nella necropoli paleocristiana di Agrigento la presenza di monete forate è at-
testata in almeno un caso5. Nella tomba è stata rinvenuta infine una moneta priva di foro del tipo
GLORIA EXERCITVS, pertinente a Decenzio.
I dati desumibili dai materiali ceramici rinvenuti nel riempimento su cui la tomba poggiava, ed in
particolare nello strato superiore (US 17L=31L) offrono un terminus post quem alla metà del V secolo,
epoca in cui è probabile che la moneta fosse ancora corrente6.
Concluso lo scavo delle tombe, si sono indagati stratigraficamente i due “testimoni”, ormai in parte
franati ai margini, su cui i cassoni litici poggiavano, mentre nel vano a1, il cui riempimento era stato
conservato per intero negli scavi precedenti, si è mantenuta la situazione già esistente, a documenta-
zione delle fasi diverse dell’uso della casa.

Nel vano a della Casa IID il testimone conservava la seguente stratigrafia:

L’US7L (fig. 2) rappresenta la superficie esposta del “testimone” e costituisce contemporaneamente

Fig. 2

4
Perassi 2011, con particolare riferimento alla Gallia Cisalpina; per il valore probabilmente amuletico ed apotropaico
assunto dalle monete deposte nelle tombe anche in ambito cristiano e in associazione in particolare con sepolture di bam-
bini Marani 2012
5
Bonacasa Carra 1995, p. 313, n.43, tav. XXVII, 11.
6
Saguì, Rovelli 1998
76 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Fig. 3

Fig. 4
Saggio 9 L 77

Fig. 5

la base della sepoltura. Esso conteneva poco materiale, in parte residuale7 ed in generale poco significa-
tivo per la definizione della cronologia dello strato, ad eccezione di un frammento di orlo di recipiente
globulare, che trova confronti tra i materiali della necropoli paleocristiana8 e può essere datato al IV/V
secolo. Al di sotto affiorava l’US14L, poverissimo di materiale archeologico, costituito da terra e pietrame
(fig. 3), interpretabile come uno strato di abbandono o, forse più probabilmente, come un riempimento
intenzionalmente realizzato per innalzare il piano di calpestio del vano. Lo strato copriva la US 15L=16L
(fig. 4), che contiene dei blocchi, probabilmente di crollo dei muri, inglobati in uno strato di terreno
sabbioso chiaro, molto sciolto. Si tratta di uno strato assai ricco di ceramica, tra cui molti frammenti re-
siduali9. Ai fini della sua datazione si segnala la presenza di alcuni frammenti di sigillata africana C, forma
Hayes 50B, e di sigillata D, forme Hayes 58B, 62B e 91B, che ne suggeriscono una cronologia intorno
alla metà del V secolo; tra le anfore, oltre al fondo di un esemplare del tipo “siciliano”, si segnala il
puntale di un contenitore africano, probabilmente un’anfora del tipo IIA (tav. VII,1).

L’US copre uno strato di coppi ad orlo inspessito di “tipo imperiale”, denominato US 29L (fig. 5,
tav. III), crollo che appare però fortemente rimaneggiato, probabilmente allo scopo di spoliare il lastricato
sottostante (US 58L). L’US 29L ha restituito numerosi frammenti di anfore: oltre ad alcuni residui10,
sono presenti numerosi frammenti di contenitori di produzione locale, in particolare di anfore di piccole
dimensioni di tipo siciliano11 (tav. VII,2), oltre ad un frammento di Mid Roman 1 (tav. VII,3). La sigillata

7
Si segnala un frammento di piede e fondo di coppa tipo Morel 2933, datato alla fine IV/primo trentennio III sec. a. C.
8
Carra 1995., f. 43, 88/149.
9
Si segnalano, tra le anfore, un frammento di orlo del tipo MGS, forma “D” Will, databile al III/II sec. a. C.; un fram-
mento di orlo del tipo Dressel 1 A; un frammento di orlo di anfora tipo Ostia LIX, simile a Bonifay 2004, f. 53, n. 6, p.
100. Abbondante la ceramica a vernice nera, che include un frammento di coppa ionica B2 ed uno a figure rosse, mentre
la maggior parte dei frammenti sono riferibili a forme di età ellenistica.
10
Anfore MGS, tipi Will A, C e D; un frammento di Tripolitana I.
11
Belvedere et al. 1993, n. 151, p. 164; ; Rizzo, Zambito 2014; Gullì, Sanzo c.d.s., fig. 10, 1.
78 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Fig. 6

è nelle produzioni A e C (forma Hayes 50); la ceramica comune trova in diversi casi confronti con esem-
plari della necropoli paleocristiana, mentre i contenitori da cucina sono pertinenti alle produzioni afri-
cane e di Pantelleria. Lo strato conteneva anche un piccolo gruppo di monete in bronzo della seconda
metà del III secolo, pertinenti ad emissioni di Gallieno (tav. IV,1) e di Claudio II (tav. IV,2). Si segnala
infine un frammento di tegola con bollo, del quale sono leggibili le lettere M’OT(A?)12 (tav. VII,4).
Del lastricato originario del vano (US58L) rimangono soltanto alcune lastre di arenaria; esso era
poggiato in origine su un sottile strato di sabbia compatta (US40L, fig. 6), sulla cui superficie sono
ancora visibili le tracce di alcune delle lastre asportate. Il lastricato si conserva anche al di sotto di un
apprestamento (US30L, fig. 7, fig. 8) realizzato presso l’angolo nordoccidentale del vano, appoggiato
all’USM 1973, costituito da due lastre di arenaria disposte verticalmente e delimitanti uno spazio ret-
tangolare, la cui funzione non siamo in grado di definire; esso comunque è riempito dall’US 29L e
dunque già realizzato prima del crollo del tetto. Questo piano pavimentale, costituito dal lastricato e,
dove esso manca, dallo strato di preparazione, è in quota con l’ultimo gradino della scalinata USM
1230, che consente l’accesso alla casa dal livello attuale del Cardo II, più alto di circa un metro rispetto
alla pavimentazione del vano a. È in relazione anche con la soglia che si apre nell’USM 1973 (fig. 9),
muro che sembra intervenuto a suddividere nei due ambienti a-a1 un vano originariamente più ampio.
Potrebbero dunque essere considerati come pertinenti ad una stessa fase di suddivisione e risistema-
zione del vano il lastricato 58L e la costruzione del muro 1973, mentre è probabilmente successivo
l’apprestamento 30L. Il crollo del tetto e delle strutture murarie sembrerebbe databile, alla luce dei
reperti ceramici rinvenuti, già nel IV secolo13, mentre il deposito soprastante, forse intenzionale e fi-

12
Questo bollo è stato rinvenuto in strati di I/II secolo della villa di Cignana, presso Palma di Montechiaro, Rizzo,
Zambito 2007, in particolare fig. 10. Il bollo, che ricorre anche in altri siti rurali del territorio palmese e a Vito Soldano
(cortese informazione del dott. Luca Zambito, che ringrazio), può con ogni probabilità essere messo in relazione con il
senatore M’. Otacilio Catulo, consul suffectus nell’88 d.C. Interessante, e da approfondire, la presenza di bolli riferibili a
questo personaggio sia in contesti rurali che in ambiente urbano.
13
L’estensione limitata e le condizioni di conservazione dei “testimoni”, tuttavia, induce ad estrema prudenza ed im-
pedisce, al momento, di mettere in discussione la cronologia proposta in generale per i crolli delle abitazioni del quartiere
da De Miro, fissata intorno alla metà del V secolo.
Saggio 9 L 79

Fig. 7

Fig. 8
80 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Fig. 9

nalizzato ad innalzare il livello di calpestio, pare possa essere datato alla seconda metà del V secolo.
Tale cronologia offre anche il terminus post quem per la realizzazione delle tombe, il cui uso però do-
vette essersi protratto piuttosto a lungo.
Un saggio, di cui riporta una sommaria notizia Ernesto De Miro (De Miro 2010, p. 244), effettuato
lungo il muro nord del vano, al di sotto di quello che viene denominato Liv. Per. IV, corrispondente
con ogni probabilità alla nostra US 40L, ha restituito ceramica acroma ed a vernice nera, pertinente
forse ad una prima fase di uso dell’ambiente.
Nel vano a1 sono state indagate invece le due tombe 4 e 5/2013, di cui quest’ultima conservava
soltanto i resti di due infanti ed aveva, a differenza delle altre, il fondo costituito da lastre di pietra.
Essendo stato il riempimento del vano conservato integralmente negli scavi precedenti ed essendo le
due tombe in buono stato di conservazione, esse sono state mantenute come documentazione di questa
modalità di utilizzo dell’area.
Il vano h della casa IIC, separato dal contiguo a1 della Casa IID dalla USM 1222, era parzialmente
occupato da un “testimone” di circa m 5,20x2,40, sul quale insistevano due tombe (tombe 2 e 3/2013),
parzialmente franate insieme ai margini del testimone stesso. Scavate le due tombe, al di sotto di un
sottile strato che costituisce la base delle tombe (US17L14) si è messo in luce e scavato un deposito di
terreno friabile marrone chiaro (US50L, fig. 10), contenente poco pietrame di piccole dimensioni ed
una notevole quantità di frammenti di ceramica, soprattutto di anforette di tipo siciliano (tav. V, 1-2);
tra le importazioni si segnala un frammento che restituisce orlo, collo, anse e spalla di un’anfora simile
al tipo “Station 48 de la place des Corporations”15 ma di più piccole dimensioni (tav. V,3). Prodotta nella
Mauretania Cesarense, era probabilmente adibita al trasporto di vino o salse di pesce (garum) e viene
datata dal Bonifay tra il II e il III sec. d. C., con varianti tardive nella seconda metà del III sec. d. C.

14
Lo strato ha restituito un piccolo gruppo di frammenti ceramici, relativi prevalentemente a ceramica da fuoco, im-
portata dall’Africa e da Pantelleria; si segnalano inoltre i frammenti di due anfore orientali, dei tipi LR2 e LR4; l’unico
frammento di sigillata africana riconoscibile è di una scodella del tipo Hayes 61, n.13.
15
Cfr. Bonifay 2004, f. 66, n. 1, p. 123.
Saggio 9 L 81

Fig. 10

Ridotta la quantità di frammenti di sigillata africana, comprendente frammenti delle forme Hayes
59C, 61A e 67, che nel complesso suggeriscono una datazione entro la prima metà del V secolo . Lo
strato sembra dunque corrispondere, sia per posizione stratigrafica che per cronologia, all’US 15L
del vano a della Casa IID. Anche nell’ambiente h il riempimento ricopre uno strato contenente tego-
lame e pietrame (US51L), la cui superficie è stata però in questo caso spianata ed utilizzata come
piano per la collocazione di un focolare, costituito da due blocchi di arenaria con forti tracce di com-
bustione addossati al muro occidentale della stanza (USM 1219), riempito da pietrame di arenaria
arrossato dal fuoco (fig. 11). Tracce di combustione erano evidenti anche sulla superficie dell’US 51L.
Con questo apprestamento potrebbero essere connessi anche due blocchi di riutilizzo, quanto resta,
forse, di un muro volto a suddividere il vano (USM 57L), già messi in luce negli scavi precedenti, che
hanno anche reso impossibile leggere la relazione stratigrafica con il resto. L’US 51, che potrebbe cor-
rispondere, data la posizione stratigrafica, all’US29 del vano a, ha restituito diversi frammenti di an-
forette di tipo siciliano e vari frammenti ed il puntale di un’anfora di produzione africana,
probabilmente pertinenti al tipo Keay XXV. In piccolissima quantità la sigillata africana: un unico
frammento significativo per la cronologia è relativo ad un piatto della forma Hayes 50B n.64. Nello
stesso strato, nella zona in cui erano più evidenti le tracce di combustione, sono state recuperate due
monete dello stesso tipo, entrambe AE4 di Costante o Costanzo II (342-348 d. C; tav. VI,1). Sul pa-
vimento in cocciopesto decorato con scaglie di pietra (US886), coperto dalla US51, si è rinvenuta in-
fine una moneta di Tetrico II (273-274; tav. VI,2).

In definitiva, nonostante le difficoltà connesse con la limitata estensione dei depositi scavati e con
lo stato iniziale dell’area, il saggio ha consentito il recupero di alcune importanti informazioni, che
possono essere così sintetizzate:
1) È possibile riconoscere nella costruzione del muro USM 1973 e nella realizzazione del lastricato
58L una fase di ristrutturazione del vano a, suddiviso con questa operazione nei due più piccoli
a e a1; non ci sono dati, tuttavia, per definire la cronologia di questo intervento; il livello pavi-
mentale sembra comunque connesso con l’uso della scala che dal vestibolo consentiva di salire
82 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Fig. 11

al Cardo II, il cui piano di calpestio era già, evidentemente, corrispondente in linea di massima
con quello attualmente conservato.
2) Sia nel vano a della Casa IID che nel vano h della Casa IIC si riscontra uno strato di tegole e
pietrame che, benché non chiaramente strutturato, sembra comunque interpretabile come crollo
delle strutture e del tetto. La mancanza di compattezza dei due strati può essere dovuta ad at-
tività successive, volte a ricavare materiale da costruzione: nel vano a la spoliazione del lastricato
pavimentale sembra chiaramente documentata, mentre nel vano h il crollo è stato spianato per
ricavare il nuovo piano di calpestio. I reperti, pur in piccola quantità, rinvenuti nei due strati
potrebbero riportarne la cronologia ancora all’interno del IV secolo; sarebbe però assai impru-
dente utilizzare i dati provenienti dai piccoli lembi di stratigrafia superstiti per suggerire una
datazione diversa da quella, fissata al V secolo, che Ernesto De Miro ha suggerito sulla base del
riesame generale dell’evidenza relativa ai crolli delle diverse case del quartiere..
3) Nel vano h la costruzione del focolare e le tracce di combustione documentano l’uso come piano
della superficie del crollo. Non sono stati recuperati elementi utili a definire l’attività con cui
era connesso il focolare, dato che al suo interno è stato rinvenuto soltanto minuto pietrame cal-
carenitico con evidenti tracce di combustione. Esso individua comunque una fase di riutilizzo
dell’ambiente, forse ristretto nelle sue dimensioni con la costruzione del muro 57.
4) Entrambi gli ambienti sono riempiti, al di sopra dei crolli, da uno spesso deposito incoerente di
terra, pietrame e tegole, che potrebbe essere stato intenzionalmente riversato su un ulteriore crollo
delle parti superiori dei muri, come sembrerebbe nel caso di 15L. La nostra ipotesi, al momento,
è che vi sia stato gettato materiale di risulta allo scopo forse di innalzare i piani di calpestio. Si può
osservare che il progressivo rialzamento dei livelli pavimentali con gettate di detriti sembra una
costante nel Quartiere, anche in fasi più antiche. Lo stato di fatto dell’area impedisce di determi-
nare con certezza l’originario spessore del deposito, nonché di stabilire se le tombe siano state sca-
vate in questo strato o in ulteriori livelli successivi. Il materiale ceramico rinvenuto fornisce
comunque un terminus post quem per la realizzazione delle tombe alla metà del V secolo.
M.S.R. - M.M.
Saggio 9 L 83

Tav. i
84 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Tav. ii,1

Tav. ii,2
Saggio 9 L 85

Tav. iii,1

Tav. iii,2
86 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Tav. iV,1

Tav. iV,2
Saggio 9 L 87

Tav. V
88 Maria Serena Rizzo - Magda Modica

Tav. Vi,1 Tav. Vi,2

Tav. Vii,1 Tav. Vii,2

Tav. Vii,3 Tav. Vii,4


89

Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano,


campagna di scavo 2013
Zelia Di Giuseppe

La campagna di scavo 2013 ha interessato lo scavo e la documentazione di 12 tombe localizzate in di-


versi punti del quartiere ellenistico romano. Nove tombe sono state localizzate nell’Insula II, tre nell’Insula
III. Alcune di queste sono state ritrovate vuote, prive di elementi scheletrici e di probabili corredi.
Le tombe che hanno restituito deposizioni si trovavano nell’Insula II, collocate sui riempimenti
dei vani a-a1 della Casa IID, nel contiguo vano h della Casa IIC (fig.1) e nel vano n1 della stessa.
Le tombe sono state interessate dal saggio 9/L 2013 e dal saggio 13/N 2013 ed erano così distri-
buite:
- Tomba 1/2013 Casa II D, vano a, Saggio 9/L
- Tomba 2/2013 e Tomba 3/2013 Casa IIC, vano h, Saggio 9/L
- Tomba 4/2013 e Tomba 5/2013 Casa IID, vano a1, Saggio 9/L
- Tomba 6/2013 Casa IIC, vano n, Saggio 13/N

Fig. 1 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Casa II D-vani a e a1. Rilievo F. Giannella
90 Zelia Di Giuseppe

Tipologia sepolcrale

La tipologia ricorrente per tutte le tombe indagate è di tipo a cassone, realizzata con lastre e pietre
di tufo. Tracce di intonaco e/o di cocciopesto, su alcune di queste, ci induco a credere che siano state
recuperate all’interno del quartiere, utilizzate nella realizzazione di strutture più antiche. Le tombe
sono caratterizzate dalla messa in posa di lastre che ne costituiscono le pareti e dalla copertura con
lastre di pietra che purtroppo, ad oggi, conservano solo due tombe tra quelle indagate. Nella maggior
parte dei casi le tombe sono state realizzate a ridosso di muri divisori all’interno delle case, che diven-
gono così parte integrante del cassone di sepoltura. Tutte le tombe sono costituite da lastre di gran-
dezza molto simile, con uno spessore che varia da 16 a 20 cm ed un’altezza che varia tra i 50/60 cm.
La larghezza dello spazio di deposizione, solitamente è intorno ai 50 cm. La lunghezza non supera
mai i 150 cm per le sepolture infantili e i 190 cm per quelle di individui adulti. Possiamo dunque par-
lare di tipologia sepolcrale ricorrente.
Le tombe, sono tutte orientate in senso ovest/est, con il cranio del defunto ad ovest. I defunti sono
stati deposti supini, con le braccia lungo i fianchi o con il braccio sinistro ripiegato sul bacino e il
destro lungo il fianco. In alcune tombe, la vicinanza dei piedi quasi costretti e la perpendicolarità di
metatarsi e falangi rispetto all’asse sagittale del corpo indicano la presenza di un sudario. Solitamente
in una fase di non costrizione i piedi ruotano naturalmente verso l’esterno rispetto a tale asse. Nel
Medioevo, dal punto di vista tafonomico la regola generale sembra proprio essere la deposizione su-
pina con le gambe distese, in alcuni casi con le caviglie incrociate, comunque quasi sempre condizio-
nati dalla presenza di un sudario (Bedini et alii 2004; Crosetto 1998).

Sepolture bisome e sepolture multiple

Le tombe indagate sono state utilizzate, tutte, per la deposizione di più individui. Alcune sono bi-
some, altre multiple; alcune presentano deposizioni verosimilmente coeve; altre deposizioni avvenute
in tempi diversi.
Abbiamo inteso per bisome le sepolture per cui era facilmente riconoscibile l’intenzionalità della
sepoltura di due corpi nella stessa struttura tombale; anche se queste inumazioni sono avvenute in
tempi diversi con intervalli di tempo piuttosto lunghi, a tal punto che l’individuo più antico era già
decomposto e l’azione di riapertura e seppellimento ha causato la disconnessione del corpo.
In alcuni casi le ossa dell’inumazione più antica sono state accumulate in un angolo della tomba
per far spazio a nuovi individui. In entrambi i casi gli elementi scheletrici in accumulo, sono presenti
in maniera parziale, mancano numerosi elementi ossei. L’assenza di questi elementi per le inumazioni
più antiche è imputabile, probabilmente, all’azione di svuotamento del sedimento che le copriva e
alla necessità di far spazio per i nuovi inumati, indicazione questa di una mancata cura da parte di chi
seppelliva.
Tra le tombe indagate, due sono di soli infanti.

Tomba 1/2013
La tomba si trovava nell’Insula II, collocata nel vano a della casa IID, interpretato come vestibolo
(De Miro 2009), posizionata in senso ovest/est. Le lastre che formavano il cassone presentavano
tracce di intonaco e di coccio pesto che testimoniano, come dicevamo pocanzi, un riutilizzo di lastre
più antiche. In origine la tomba doveva essere provvista di lastre di copertura oggi non presenti.
La situazione al momento dell’inizio dello scavo non era per niente ottimale le pietre che costitui-
vano la parete ovest giacevano sulla base del vestibolo, scivolate insieme a parte del riempimento la-
sciato come testimone durante le campagne di scavo degli anni 50 (fig.2). Nella zona ovest della
tomba, frammenti di cranio e di diverse ossa del postcraniale erano a vista e presentavano diverse al-
terazioni causate dall’esposizione prolungata agli agenti atmosferici (fig.3). La parete sud in parte sci-
volata è stata oggetto di un restauro, in tempi storici, costituito da una serie di laterizi utilizzati come
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 91

Fig. 2 - QER, Insula II, Casa IID-vano a, Tomba 1/2013 situazione iniziale
92 Zelia Di Giuseppe

Fig. 3 - QER, Insula II, Casa IID-vano a, Tomba 1/2013, US 5L

zeppe e inseriti al di sotto delle lastre antiche. La parte più alta del riempimento si presentava intaccata
da diversi fenomeni tra cui rimaneggiamento antropico. La tomba accoglieva due sepolture che ca-
ratterizzavano due fasi di utilizzo distinte.
La fase di utilizzo più recente riguardava la deposizione di un individuo (US 5L) tra i 15 e i 20
anni, deposto in senso ovest/est, supino, con il braccio destro lungo il fianco ed il sinistro ripiegato,
con la mano sul bacino. Del cranio, ad ovest, rimaneva solo qualche frammento e la mandibola prov-
vista di denti, probabilmente scivolato insieme al riempimento dopo lo spostamento e il successivo
crollo della parete litica. Lo scheletro, fatta eccezione per il cranio e qualche vertebra cervicale, giaceva
in connessione anatomica. Il defunto sembra esser stato seppellito avvolto in un sudario e successiva-
mente ricoperto di terra. Diverse osservazioni rafforzano questa ipotesi, a partire dalla posizione dei
piedi, molto ravvicinati tra loro e perpendicolari all’asse sagittale del corpo, a una leggerissima torsione
del bacino e femori, al ritrovamento dello sterno scivolato sul lato della colonna vertebrale, alle coste
anteriori che giacciono a contatto con quelle posteriori e che indicano una decomposizione in spazio
semivuoto.
La prima fase di utilizzo più antica è caratterizzata da un individuo, oggi costituito da uno scheletro
parziale che giaceva direttamente sulla base della tomba (fig.4). Anch’esso deposto con il cranio ad
ovest, il braccio destro lungo il fianco e il sinistro ripiegato con la mano sul bacino, come il defunto
più recente. Lo stato di fusione delle epifisi di alcune ossa lunghe e la dentatura indicano anche per
questo individuo un’età compresa tra 15-20 anni (Canci Minozzi 2005).
Le due fasi di utilizzo della tomba sono ben distinte nel tempo, quando la tomba è stata riaperta
per la seconda deposizione parte delle ossa del primo sono state spostate verso ovest, per far spazio
al nuovo corpo protetto da un sudario e poggiato direttamente su quello che rimaneva del primo. Poi
entrambi sono stati ricoperti di terra. Tra la prima e la seconda deposizione è passato un lasso di
tempo abbastanza ampio, il primo defunto doveva essere completamente decomposto, visto la di-
sconnessione di buona parte dello scheletro.
La base della tomba era costituita dal terreno di riempimento del vano che è stato livellato e su cui
sono state poggiate direttamente le lastre che costituiscono la cassa litica (fig.5). Purtroppo l’azione
di crollo e di scivolamento delle pareti ovest e sud insieme a parte del riempimento, la presenza di
tane di piccoli roditori, sono fattori che hanno alterato completamente lo stato di conservazione di
questa tomba.
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 93

Fig. 4 - QER, Insula II, Casa IID-vano a, Tomba 1/2013, US 6L


94 Zelia Di Giuseppe

Fig. 5 - QER, Insula II, Casa IID-vano a, Tomba 1/2013, prospetti. Rilievo F. Giannella
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 95

Tomba 2/2013
La tomba 2 fa parte delle tombe che costitui-
scono il nucleo principale della campagna di
scavo 2013, collocata nella Casa IIC, copriva il
riempimento del vano h. Addossata, in senso
ovest/est all’unità stratigrafica muraria 1222 (De
Miro 2009) che divide la Casa IIC dalla Casa II
D, come la precedente, non conservava le lastre
di copertura (fig. 6). La tomba testimonia di-
verse fasi di utilizzo ed ha restituito scheletri in
connessione anatomica ed ossa in accumulo
lungo la zona sud/est (fig.7).
In figura 6 è possibile osservare le varie fasi
di utilizzo della tomba. Nel rilievo fatta ecce-
zione per US 8L che costituisce il terreno di
riempimento e copertura, sono indicate le US
con cui sono stati nominati gli scheletri che con-
traddistinguono le diverse fasi.
Nella tomba, tutti gli individui sono stati de-
posti supini e con il cranio ad ovest.
La fase di utilizzo più antica è caratterizzata
dalla deposizione di un adulto (US 13L) e di un
bambino (US 11L), deposti contemporanea-
mente e direttamente sulla base della tomba co-
stituita da terreno di riempimento del vano,
livellato e risistemato con qualche pietra di tufo
(figg. 8-9). Lo stato di conservazione dei due de-
funti era pessimo, oltre alla cattiva conserva-
zione il bambino era stato in parte dislocato,
Fig. 6 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013 situazione ini-
soprattutto il cranio, probabilmente quando
sono stati spostati a sud-est, in accumulo (fig. ziale

Fig.7 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, prospetto schematico delle diverse fasi di utilizzo della tomba (US8L riempimento, US
10L scheletro femminile, US 9L accumulo osseo, US 11L scheletro infantile, US 13 L scheletro maschile, US 17L base tomba/riempimento
vano). Rilievo F. Giannella
96 Zelia Di Giuseppe

10), gli scheletri che giacevano sopra di esso,


per far spazio a una nuova sepoltura. Lo spo-
stamento del cranio del bambino, verso sud-
est, rispetto alle vertebre cervicali trovate in
connessione, fa supporre che non vi fosse
molta terra tra gli individui in accumulo e i
due che troviamo in connessione anatomica.
Questo dato è evidenziato anche dal ritrova-
mento, sulla tibia destra dell’individuo adulto
in connessione, di una tibia e un perone ap-
partenuti ad un individuo adulto e un omero
di bambino posizionato sul femore sinistro
dello stesso. Questo fa dedurre che o vi era
un’unica deposizione coeva o non è intercorso
molto tempo tra le due deposizioni.
L’individuo adulto era deposto in posi-
zione supina con il cranio ad ovest, le braccia
lungo i fianchi e la mano sinistra sulla spalla
del bambino, che è stato deposto anche lui in
posizione supina, in mezzo e sopra le gambe
dell’individuo adulto. La testa originaria-
mente doveva essere all’altezza del bacino del-
l’adulto, confermato dal ritrovamento di tutte
le vertebre cervicali in connessione, cassa to-
racica e braccia. La gamba destra del bam-
Fig. 8 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, US 13L. Rilievo F.
bino giaceva sulla gamba destra dell’adulto.
Giannella Intorno alle vertebre cervicali, disposti in cir-
colo, sono stati trovati diversi vaghi di collana
in pasta vitrea, monetine e piastrine forate in
bronzo (fig. 9). Le vertebre hanno assunto
una colorazione verdastra a testimonianza di
altri elementi bronzei che sono andati persi.
Il riempimento ha restituito inoltre un piccolo
anellino in bronzo, che viste le dimensioni e
la localizzazione del ritrovamento, potrebbe
anch’esso appartenere al bambino in que-
stione .
A causa dell’azione antropica di sposta-
mento delle ossa che giacevano sopra e a
causa del cattivo stato di conservazione, le in-
formazioni leggibili su quel che rimane dello
scheletro del bambino sono parziali. Del cra-
nio sono andate perse tutte le ossa facciali, ma
si conserva la mandibola e diversi denti deci-
dui dell’arcata superiore. Della colonna ver-
tebrale sono presenti solo le vertebre cervicali
e qualcuna toracica, sono assenti le ossa lun-
ghe e il distretto tarsale della gamba sinistra.
Nonostante le problematiche di conserva-
Fig. 9 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, US 11L. Rilievo F.
zione abbiamo delle informazioni sull’età di
Giannella morte, attraverso le tavole di attribuzione
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 97

Fig. 10 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, US 9L accumulo osseo, particolare di scavo

dentaria di Ubelaker (1989) l’individuo sembrerebbe avere intorno ai 24 mesi. Le estremità delle fa-
langi presenti sono saldate, di solito ciò avviene intorno ai 20 mesi. La lunghezza media della clavicola
ci riporta ad un’età di 30 mesi (Canci, Minozzi 2005). Nel bacino l’ischio e il pube non sono saldati,
ciò avviene di solito tra i 4 e gli 8 anni. Nelle vertebre vi è la neofusione delle due metà degli archi
vertebrali, che avviene di solito tra i 2 e i 4 anni. Possiamo dunque dire che il bambino è deceduto in-
torno ai 30 mesi di vita.
Gli elementi scheletrici dell’individuo adulto, deposto insieme al bambino, sono quelli che si sono
conservati nel peggiore dei modi. Le scapole sono completamente distrutte, l’omero sinistro è fram-
mentato in più parti e le epifisi sono irrecuperabili. La cassa toracica è collassata su se stessa, le coste
sono aperte e schiacciate ad indicare uno spazio vuoto di deposizione. Indicato anche dalla disloca-
zione delle connessioni labili. Il femore destro, così come le tibie sono state talmente schiacciate che
hanno cambiato la loro sezione deformandosi completamente. Il bacino e il femore sinistro mancano.
Attraverso le formule di Sjovold (1990) con la misura dell’omero e del radio , ossa queste meglio con-
servate, si è stimata una statura media che potrebbe variare da 169,2 cm ±4,89 a 171,4 cm ±5,01. Os-
servando la robustezza della clavicola, la morfologia e lo spessore delle pareti craniche, lo sviluppo
della protuberanza occipitale, la morfologia e le dimensioni della mandibola (ben conservata, con
tutti i denti in situ) riscontriamo caratteri tipicamente maschili. Alcune ossa presentano una superficie
molto alterata tipica di patologie legate a forme di osteoporosi (Data collection codebook (2006). I
denti appartengono ad un individuo adulto, sono in parte usurati, soprattutto gli incisivi. Nel cranio
è avvenuta l’obliterazione della sutura sagittale che seguendo gli stadi di Meindl e Lovejoi (1985) ap-
partengono al quarto stadio che indica un’età superiore ai 40 anni. La causa della morte è imputabile
a un colpo inferto sul cranio che non testimonia alcuna forma di cicatrizzazione (fig. 11).
Il bambino e il maschio adulto sono stati deposti verosimilmente insieme, in uno spazio vuoto e
non presentano tracce di sudari, le gambe di entrambi non sono ne condizionate ne ravvicinate tra
98 Zelia Di Giuseppe

Fig. 11 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h,


Tomba 2/2013, US 13L. Particolare della fe-
rita inferta sul cranio di US 13L

loro, i piedi hanno assunto la posizione naturale, ortogonale al piano sagittale del corpo.
Sopra i due individui appena descritti erano presenti elementi ossei trovati in accumulo(US 9L)
nella parte sud/est della tomba (fig. 7 e 10). L’accumulo ha restituito ossa appartenute ad individui
diversi, attraverso il numero minimo di individui si sono riscontrate sei tibie, tra queste 4 sono destre,
a conferma della presenza di almeno quattro individui all’interno dell’accumulo. Un femore, un radio
e due bacini, per la loro robustezza sembrano appartenere ad un maschio adulto. Le caratteristiche
di una mandibola e soprattutto lo stato dentario con presenza di usura sembra appartenere ad un ma-
schio con un’età tra i 35 e i 40 anni (Lovejoi 1985).
Oltre agli individui adulti a cui appartengono le tibie sono presenti denti appartenuti ad un bam-
bino di circa 4 anni (Ubelaker 1989) e frammenti di cranio infantile. Nell’accumulo nonostante man-
chino numerose parti ossee che dovevano completare gli scheletri di tali individui, possiamo essere
certi che nella tomba, oltre a i due individui sopra descritti, erano stati seppelliti altri cinque individui,
quattro adulti ed un bambino. Gli elementi ossei mancanti verosimilmente sono stati portati via al
momento di far spazio al nuovo individuo da seppellire, ciò che è rimasto nella tomba è stato poi ac-
cumulato in un angolo. Possiamo ipotizzare quindi che l’accumulo osseo testimoni ciò che rimane di
più fasi di utilizzo della tomba.
L’azione di accumulo è servita per far spazio alla deposizione più recente, che caratterizza l’ultima
fase di utilizzo della tomba 2. Lo scheletro più recente appartiene ad una donna, deposta supina con
il cranio ad ovest, le braccia lungo i fianchi (US 10L). Il piede sinistro poggia e copre in parte l’accu-
mulo osseo, la gamba destra è leggermente ripiegata, posizione giustificata dalla presenza, tra questa
e la gamba sinistra, del piccolo cranio, appartenente al bambino sopra descritto (figg. 12-13). Gli ele-
menti ossei erano caratterizzati da un pessimo stato di conservazione. All’interno della sepoltura vi
sono le tracce di diversi agenti di disturbo che probabilmente hanno dislocato in parte le connessioni
labili, tanto è vero che falangi e alcuni denti sono stati trovati ad una quota più alta rispetto al resto
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 99

Fig. 12 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, US 10L Fig. 13 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, US 10L. Rilievo
F. Giannella

dello scheletro. Per agenti di disturbo si intendono: piccoli roditori di cui si ritrovano le tane, centinaia
di molluschi terrestri di cui si ritrovano le conchiglie, grossi lombrichi e grossi ragni con piccole tane
in profondità. Accanto al cranio è venuto in luce un orecchino in bronzo dorato, non lontano da que-
sto un frammento di spillone in osso e all’altezza del bacino una fibia/fibula rotonda dello stesso ma-
teriale e con la stessa decorazione dell’orecchino (fig. 14). Ma non sono questi gli elementi che ci
hanno indicato il sesso dell’individuo, andando ad indagare, infatti, le differenze morfologiche tra
femmine e maschi si riscontra una prevalenza di caratteri femminili: il cranio ha una fronte piccola e
verticale, tipico delle femmine; non vi è alcun sviluppo del processo mastoideo ne della cresta nucale,
che di solito nei maschi sono molto sviluppati, nel bacino l’arco ventrale ha una morfologia pretta-
mente femminile, la mandibola è gracile, il mento è piccolo e arrotondato, condilo mandibolare è pic-
colo e l’angolo liscio (Canci Minozzi 2005).
Per quanto riguarda l’età di morte, i primi caratteri osservati sono quelli legati alla dentatura che
è quasi completa, fatta eccezione per due incisivi inferiori e incisivi e canini superiori. Il nostro indi-
viduo è provvisto nel mascellare anche dei terzi molari, mentre quelli inferiori non sono erotti. In ge-
nerale i molari sembrano appena erotti, non presentano alcun tipo di usura. Calcolando che i terzi
molari vengono fuori dall’alveolo tra i 18 e i 21 anni (Canci, Menozzi 2005) e visto che i molari del
nostro individuo non sono usurati, si pensa che abbia superato da poco i venti anni. Le epifisi delle
ossa lunghe presenti sono saldate alla diafisi, qualcuna neo saldata. Nei soggetti femminili omero,
radio, femore, e tibia si saldano tra i 15 e i 19 anni.
Sarebbe interessante capire se esiste un legame di consanguineità tra gli individui presenti nella
tomba. Sono in corso analisi sul DNA che nel caso in cui desse risultati positivi, darebbe alla tomba
un carattere di sepoltura familiare. Effettivamente lo spazio di sepoltura è veramente ristretto in rap-
porto ai tanti individui deposti l’uno sull’altro. Sicuramente non è una scelta legata a problematiche
100 Zelia Di Giuseppe

di spazio vista l’estensione dell’area in que-


stione. In figura 15 è possibile osservare i ri-
lievi della tomba (fig.15).

Tomba 3/2013
La tomba era collocata come la prece-
dente nel vano h della Casa II C, posizionata
in senso ovest/est era stata addossata alla
tomba 2. Fatta eccezione per la parete del
cassone che le due tombe condividono, non
vi sono altre pareti della tomba 3 che sono
rimaste in situ. Queste, sono scivolate a
causa del cedimento della terra sottostante.
Insieme alle pareti è scivolato parte del riem-
pimento e buona parte degli elementi ossei
che sono andati perduti. Durante la situa-
zione iniziale di scavo, nel settore ovest della
tomba, erano già in luce diverse ossa (verte-
bre, coste, scapole e vari frammenti) che pre-
sentavano un elevato grado di watering,
Fig. 14 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 2/2013, US 10L, particolare
dovuto a una prolungata esposizione agli
di scavo con fibula in bronzo dorato, trovata all’altezza del bacino. agenti atmosferici.
Anche questa tomba doveva aver avuto
diverse fasi di utilizzo testimoniata dalla presenza sporadica di ossa che appartengono ad individui di
età diverse. Oltre a tali ossa la tomba ha restituito lo scheletro di un individuo quasi completo ed in
connessione anatomica (fig.16), che testimonia la fase di utilizzo più recente della tomba.
Deposto supino con il braccio destro lungo il fianco e con il sinistro ripiegato, con la mano sul ba-
cino (come gli individui della tomba 1). Il cranio non è stato ritrovato, scivolato probabilmente in-
sieme alle pareti e a parte del riempimento. Per quanto riguarda il postcraniale:la gamba destra era

Fig. 15 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, prospetti Tombe 2/2013 e 3/2013. Rilievo F. Giannella
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 101

Fig. 16 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 3/2013, US 28L. Foto E. Cicala

dritta e perpendicolare al resto del corpo, come anche il piede. Mentre la gamba sinistra era legger-
mente ripiegata all’altezza del ginocchio ma il piede era costretto vicino all’altro, che come detto po-
canzi era perpendicolare alla gamba e quindi in una posizione innaturale, forse per la presenza di un
sudario che ha costretto i piedi. I bacini avevano sortito l’effetto parete infatti non sono stati soggetti
a rotazione e non erano aperti e appiattiti ma ben chiusi con le teste femorali inserite negli acetaboli.
Nella cassa toracica la terra aveva sostituito i tessuti molli tra le coste. L’individuo presentava un in-
naturale torsione della colonna vertebrale e una patologia alle ultime vertebre lombari, fuse tra loro
e caratterizzate da degenerazione artrosica, così come l’osso sacro.
Accanto alle prime vertebre toraciche è venuta in luce una moneta in bronzo, forse inizialmente
poggiata sul petto dell’individuo. Dal riempimento provengono un frammento di piastrina tondeg-
giante in bronzo, un vago di collana in pasta vitrea e un elemento circolare, forato in bronzo, che sem-
brano però far parte del riempimento più che di un corredo in situ. I terzi molari erotti nella
mandibola e non usurati ci indicano un’età tra i 20 anni o poco più. La morfologia dei bacini ha ca-
ratteristiche prettamente maschili (Canci, Minozzi 2005). Si è calcolato l’indice di statura, attraverso
le formule di Sjovold, gli elementi ossei presi in esame sono il femore che ha restituito una statura
media di 162,39 cm ±4,49 e la tibia con una statura media di 162,49 ± 4,15.
Lo scheletro dell’individuo appena descritto poggiava direttamente su altre ossa , inizialmente si
pensava appartenessero ad un individuo sepolto precedentemente, ma scavando ci si è resi conto che
le ossa erano sparse e confuse da ovest ad est e che appartengono a diversi individui di età differente
(fig. 17). Sono venuti in luce una mandibola che appartiene ad un bambino, ossa che appartengono
ad un individuo subadulto e delle ossa fetali. Gli elementi scheletrici di cui si parla, non sono affatto
numerosi. Se dovessimo ricostruire il perché di tale sconvolgimento non avremmo molti strumenti
per farlo. Possiamo solo dire che prima della deposizione dell’individuo in connessione, dovevano
essere stati sepolti altri individui le cui ossa, probabilmente, sono state portate via quando la tomba
è stata riaperta per fare spazio alla nuova deposizione . Le tombe 2 e 3 sono state realizzate entrambe,
come la precedente, sul riempimento del vano che è stato livellato e risistemato con pietre di piccolo
e medio taglio e con laterizi. Le due sono state realizzate contemporaneamente o a poca distanza l’una
dall’altra.
102 Zelia Di Giuseppe

Fig. 17 - QER, Insula II, Casa IIC-vano h, Tomba 3/2013, US 31L. Rilievo F. Giannella

Tomba 4/2013
La tomba è collocata nel vano a1 della
casa IID, per realizzarla è stato sfruttato
lo spazio preesistente tra USM 1222
(unità muraria che divide la casa IIC dalla
Casa IID, che diviene ora parete sud della
tomba) e la parete sud di una tomba di
infanti preesistente nominata tomba
5/2013. L’USM 1222 è la stessa a cui è ad-
dossata nel vano h della Casa IIC la
tomba 2.
Anche questa tomba è priva delle an-
tiche lastre di copertura (fig.18)
La tomba 4 è caratterizzata da due fasi
di utilizzo ed ha restituito uno scheletro
completo di un individuo in connessione
anatomica ; un accumulo osseo localiz-
zato lungo l’angolo nord-ovest della
tomba ed uno scheletro parziale.
La fase di utilizzo più recente è carat-
terizzata dall’inumazione di un individuo
(US 36L) ritrovato in connessione anato-
mica (fig.19). Il defunto era stato deposto
supino, con il cranio ad ovest, con en-
trambe le mani sul bacino, le falangi
erano sparse sul bacino e tra i femori, le
numerose lumache di cui vi è traccia e i
grossi ragni che si sono trovati in profon-
dità, sono stati sicuramente parte degli
Fig. 18 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 4/2013, situazione iniziale agenti disturbatori che hanno spostato le
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 103

Fig. 19 - QER, Insula II,Casa IID-vano a1, Tomba 4/2013, US 36L. Foto E. Cicala

piccole ossa
La terra su cui era deposto il defunto era di-
sconnessa con una pendenza in senso sud/nord,
infatti l’emitorace destro si trovava ad una quota
più alta rispetto al sinistro e copriva buona parte
della colonna vertebrale. I bacini, al momento del
ritrovamento, erano quasi del tutto distrutti, non
hanno avuto l’effetto parete e sono ruotati verso
l’esterno. Questo implica un’assenza o una rara
presenza di sedimento durante il processo di de-
composizione. Attraverso la mandibola provvista
di tutti i denti non ancora attaccati da usura,
fatta eccezione per i terzi molari non ancora
erotti, si è stimata un età giovanile compresa tra i
18 e i 20 anni. Per quanto riguarda il sesso, tutti
i caratteri riscontrati appartengono a un indivi-
Fig. 20 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 4/2013, US 36L, par-
duo maschile. Il cranio è caratterizzato da im-
pronte muscolari marcate,le arcate sopracciliari ticolare di scavo
sono pronunciate e sporgenti, i condili occipitali
sono grandi e robusti, il condilo mandibolare è grande, il mento è squadrato, la mandibola è robusta
e il margine inferiore di quest’ultima è spesso (fig.20). Nel bacino l’angolo del pube è stretto e il
forame otturato è ovale con margini arrotondati (Canci, Minozzi 2005).
Con le misure prelevate in situ, abbiamo stimato l’indice di altezza media che si aggira intorno a
162,26 cm ±4,15 (Sjovold 1990).
Il defunto appena descritto era adagiato su un parziale accumulo osseo concentrato ad ovest, sotto
104 Zelia Di Giuseppe

il cranio, costituito da ossa lunghe, coste ed


ossa piatte. Tali ossa appartengono alla fase di
utilizzo e deposizione più antica della tomba
con l’inumazione di un individuo (US 38L)
che è stato ritrovato in posizione supina, con
il cranio ad ovest, direttamente sulla base
della tomba (fig.21). In connessione erano ri-
maste, oltre al cranio, le braccia, distese lungo
i fianchi; le scapole; tibia e perone destri e pe-
rone sinistro con i distretti dei piedi. Proba-
bilmente quando la tomba è stata riaperta per
deporre l’individuo più recente il più antico
non era ancora del tutto decomposto e lo
scheletro è stato spostato ed accumulato solo
in parte. A causa del pessimo stato di conser-
vazione le informazioni relative all’età di
morte e al sesso dell’individuo sono illeggibili.
A differenza delle altre tombe, poggiate diret-
tamente sul terreno sottostante, appena livel-
lato, la base della tomba in questione era stata
scavata di 10/15 cm nel terreno sottostante
ricco di piccole pietre di tufo, frammenti di
terracotta (ceramica e coppi) e carboni.

Tomba 5/2013
Fig. 21 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 4/2013, US38L. Rilievo
La tomba è collocata, come la precedente
F. Giannella nel vano a 1 della Casa IID, condivide, come
detto pocanzi, la parete sud del cassone con

Fig. 22 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, prospetti: in bianco Tomba 4/2013, in grigio Tomba 5/2013. Rilievo F. Giannella
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 105

Fig. 23 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 5/2013

la tomba 4 ed è provvista di due lastre di


copertura su tre (figg.22-23), con dimen-
sioni di circa 50 x150 cm. Caratterizzata
da due fasi di utilizzo nel tempo, ha resti-
tuito due inumazioni di bambini, uno in
connessione anatomica, l’altro in accu-
mulo dietro il cranio dell’individuo in con-
nessione, lungo la parete ovest della
tomba.
La fase di utilizzo più recente è relativa
alla deposizione del bambino ritrovato in
connessione anatomica (fig. 24). Deposto
supino, con il cranio ad ovest, braccio de-
stro ripiegato sull’emitorace e la mano al-
l’altezza del collo, il braccio sinistro lungo
il fianco. Le falangi e i metacarpi destri
erano scivolati in senso ovest/est lungo
parte della cassa toracica. Scivolamento
dovuto alla forza di gravità, visto che il ter-
reno su cui era deposto l’individuo, aveva
una pendenza che si sviluppa da ovest ad
est fino al bacino, risalendo all’altezza dei
femori. Una grossa pietra di tufo era stata
deposta sopra le gambe, causa di schiac-
ciamento per femori e tibie. In generale lo
stato di conservazione delle ossa non è ot-
timale; una grossa radice attraversava in
senso ovets/est e nord/sud quasi tutto il
post craniale, da appena sotto la mandi-
bola all’epifisi prossimale dei due femori.
La stessa ha distrutto i bacini e attraver-
sava l’omero sinistro da parte a parte,
sfruttando il canale midollare (fig.25). At-
traverso l’osservazione dei denti, soprat- Fig. 24 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 5/2013, US 48L e 49L. Foto
tutto molari e canini ben sviluppati con E. Cicala
106 Zelia Di Giuseppe

Fig. 25 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 5/2013, US 48L. Fig. 26 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 5/2013, US 49L.
Rilievo F. Giannella Rilievo F. Giannella

principio di radice, è stato possibile stimare un’età


di morte intorno ai 7 anni (Ubelaker 1989). La
media dell’indice di statura attraverso le formule
di Sjovold (1990) è di 106,78 cm ±4,89.
La fase di utilizzo più antica della tomba era ca-
ratterizzata dall’inumazione di un altro bambino
che è stato ritrovato in accumulo sotto l’individuo
appena descritto. Le ossa erano concentrate nella
zona ovest della tomba, sotto il cranio del defunto
più recente, non è stato trovato alcun elemento
osseo intero o ben conservato (fig.26). Come per
gli accumuli ossei di altre tombe anche qui man-
cano diversi elementi. L’infante doveva esser stato
deposto direttamente sulla base della tomba che, a
differenza delle altre, era costituita da lastre di pie-
tra quadrangolari (fig.27).

Tomba 6/2013
La tomba è collocata nel vano n1 della casa IIC,
interessata dal saggio N/13. Tra tutte le tombe in-
dagate è l’unica che conservava le lastre di coper-
tura (fig.28) Chi ha impiantato la tomba ha
sfruttato due muri divisori della casa, a nord USM
Fig. 27 - QER, Insula II, Casa IID-vano a1, Tomba 5/2013, US 56L
10 N (tramezzo tra i vani n e n1, opera a telaio che
base tomba. Rilievo F. Giannella si sviluppa in senso e/o), ad ovest USM 1173 (tra-
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 107

Fig. 28 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013 situazione iniziale

mezzo ad opera mista che si sviluppa in senso n/s) (De


Miro 2009). La tomba chiusa con tre lastre di copertura
era ricolma di terra, numerose tane di roditori, diverse
radici e centinaia di lumache, di cui troviamo i gusci, ave-
vano alterato lo stato di conservazione del riempimento.
La tomba conteneva una sepoltura triplice di bam-
bini, deposti verosimilmente contemporaneamente.
Asportata quasi tutta la terra di riempimento (fig.29)
sono venuti in luce, i tre crani e un elemento di corredo
costituito da una brocchetta in sigillata africana di V/VI
secolo d.C., deposta nell’angolo sud/ovest della tomba,
all’altezza dei crani (fig.30). Nella zona centrale della
tomba vi era concentrato un piccolo accumulo di ossa
e gusci di lumache, opera dei roditori che spostano fa-
cilmente ossa così piccole e leggere. Tutti fattori che
causano traumi alle ossa e non aiutano la conservazione.
Nonostante il riempimento della tomba i bacini degli
inumati sembrano aver ruotato verso l’esterno, infatti li
troviamo aperti e appiattiti, nessun effetto parete in-
dotto dalla terra. Forse tra i corpi ed i bambini vi era
una forma di copertura, un sudario o comunque qual-
cosa che ha isolato i corpi dalla terra per qualche tempo.
Tutti e tre gli inumati sono stati deposti con il cranio
Fig. 29 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013, US
ad ovest, in posizione supina (fig.31). I primi due indi-
vidui (US 6N e US 8N) che sono venuti in luce giace- 2N (riempimento), situazione iniziale sotto le lastre di copertura
108 Zelia Di Giuseppe

Fig. 30 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013, sepoltura infan- Fig. 31 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013, sepoltura
tile, US6N, US 7N, US 8N. Rilievo F. Giannella infantile. Foto E. Cicala

Fig. 32 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013, US 7N, Fig. 33 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013, frammento
US 8N. Rilievo F. Giannella di bacino infantile, particolare di scavo
Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013 109

vano l’uno accanto all’altro, i due inumati sembrano avere un’età molto simile, hanno presenti solo
denti da latte e non è ancora avvenuta del tutto la fusione tra ischio e pube che di solito avviene tra i
4 e gli 8 anni. Le ossa lunghe hanno tutte le epifisi non saldate. Secondo le dentature sembra che uno
dei due abbia intorno ai 4 anni, età indicata da un primo incisivo superiore che era ancora alloggiato
in cripta ma che non ha la radice formata e da un primo molare anch’esso in cripta che si presenta del
tutto aperta (Ubelaker 1989). Il secondo inumato presenta il primo molare con la corona del tutto
formata e con la radice in formazione, ciò indicherebbe un’età tra i 3 anni ei 4 anni (Ubelaker 1989).
Per quanto riguarda la statura è stata calcolata per entrambi sulla misura del femore e abbiamo per il
primo un indice di statura media di 109,54 cm ±4,49, per il secondo un indice di statura media di
97,35 cm ±4,49 (Sjovold, 1990). Su i denti dei due individui si sono riscontrate le tipiche tracce di
malnutrizione. Entrambi gli inumati erano stati deposti direttamente a contatto con il corpo dell’inu-
mato più giovane (US 7N), la mano destra di quest’ultimo giaceva sulla spalla sinistra di uno dei due
individui (US 8N), le falangi erano sparse sull’emitorace sinistro di quest’ultimo (fig.32).
L’individuo 7N, il più giovane dei tre, non conservava ne le coste ne la colonna vertebrale, eviden-
temente digeriti dal terreno. La mandibola presenta un primo incisivo erotto e i secondi in eruzione,
solitamente i denti decidui fanno la prima comparsa, proprio con gli incisivi, tra i 6 e i 10 mesi di vita
(Ubelaker 1989). La statura media è stata calcolata attraverso l’omero, l’indice di statura media è di
62,9 cm ±4,89 (Sjovold, 1990). Il pessimo stato di conservazione delle ossa non ha permesso ulteriori
indagini. Il riempimento della tomba ha restituito un frammento di bacino che non appartiene ai tre
individui appena descritti, ma ha in comune con questi la giovane età (fig.33). Tale presenza potrebbe
far pensare a un utilizzo della tomba precedente alle inumazioni ritrovate ma se così fosse indicherebbe
un modus operandi che abbiamo potuto solo ipotizzare per alcune delle tombe indagate, denotando
uno svuotamento completo della tomba per far spazio a nuove sepolture.
La tomba una volta scavata e documentata è stata risistemata con le lastre di copertura nella loro
posizione originaria (fig.34).

Fig. 34 - QER, Insula II, Casa IIC-vano n1, Tomba 6/2013, prospetto sud. Rilievo F. Giannella

Tomba 7/2013
La tomba 7 è localizzata nel vano b della casa IIA e interessata dal Saggio O14. Anche in questo
caso sono stati utilizzati dei muri per realizzare il cassone della tomba. In questo caso si tratta di uno
110 Zelia Di Giuseppe

Fig. 35 - QER, Insula II, Casa IIA-vano b. Tomba 7/2013

dei muri esterni della casa, quello ad ovest USM 570 e quello a nord USM 1114 che divide il vano b
da quello adiacente (De Miro 2009). La parete est è costituita tra tre lastre di tufo, mancano le lastre
che formavano la parete sud e le lastre di copertura.
La tomba, a differenza delle altre descritte, è orientata in senso N/S, la base delle lastre che for-
mano il cassone poggiano sul pavimento del vano, costituito da coccio pesto (fig.35).
All’interno sono state trovate solo poche ossa ridotte in frammenti e rimaneggiate in tempi moderni.

Tombe 8-9-10/2013
Le tombe sono collocate nell’Insula III e interessate dal Saggio 1 A. In nessuna delle tre si sono
trovati resti umani.

Tombe 11-12/2013
Per le tombe 11 e 12 collocate nell’Insula II nella casa II A - vano U, Saggio 16 Q, si è presentata la
stessa situazione delle precedenti appena descritte, erano completamente vuote. Disposte in senso nord
sud e addossate a USM 570 (De Miro 2009), muro che delimita la casa ad ovest e adiacente al cardo II.
111

Metodologie di scavo e documentazione

Maria Assunta Papa

Il GIS (Geographical Information System) è una risorsa che permette l’archiviazione, l’analisi, l’or-
ganizzazione e l’interrogazione dei dati spaziali georeferenziati e alfanumerici, integrandovi ricerche
elaborate su base cartografica e analisi statistiche e generando tabelle, documenti e mappe.
Ci si potrebbe chiedere se il GIS è un prodotto o un sistema, se va acquistato o progettato, se è
una soluzione standard o vada sviluppato di volta in volta…questi interrogativi non sono pretestuosi
e non dipendono solo dal fatto che il GIS sia una tecnologia matura o meno. In linea di massima però
il primo interrogativo da porsi dovrebbe essere cosa si intende per GIS1. Se per GIS si intende un
software di gestione di un database geografico, allora i prodotti oggi in commercio garantiscono elevati
standard qualitativi e una gamma di prezzi (e di rapporto prezzo/prestazioni) estremamente variegata.
Si va da applicazioni per pc open source o paragonabili nel prezzo ai più diffusi pacchetti disponibili
sotto Windows a sofisticati strumenti software operanti in rete locale e geografica su workstation, mac-
chine dipartimentali, mainframes. Se però per GIS si intende anche una soluzione idonea ad alcune
attività di ricerca, in questo caso diventa obbligatoria una nuova domanda “a cosa serve?”. Includere
nei progetti archeologici i costi, i tempi ed i metodi di costruzione della base di dati e delle applicazioni
GIS che riscontri può avere?
In altre parole, se si vuole visualizzare e riprodurre una mappa ed eseguire le funzioni di base di
un GIS (overlay topologici, selezioni spaziali, ecc.), basta comprare un software mentre se si vuole
pianificare la costruzione di un progetto GIS si deve acquistare una “soluzione”, composta di har-
dware, software, dati, applicazioni, servizi di formazione, addestramento, manutenzione, ecc.
In realtà, infatti, il GIS è un “sistema” che integra le risorse hardware e software e uno staff di
esperti, al fine di acquisire, gestire, analizzare e visualizzare informazioni alfanumeriche e grafiche,
concernenti un dato territorio. L’ampiezza del campo d’azione di un GIS è dunque per definizione
geografica. Applicativi di questo tipo possono essere impiegati in microscala su basi territoriali con
un contesto regionale o sub-regionale o in macroscala su zone limitate come uno scavo archeologico
Il GIS è relativamente semplice da adoperare, molti software oramai sono open-source, l’hardware
necessario è anch’esso divenuto economico, ed è facile trovare tra studenti e neolaureati in discipline
archeologiche appassionati volontari pronti ad investire tempo per imparare ad utilizzarlo. Inoltre
l’output grafico di un sistema informativo territoriale è quanto di più accattivante l’archeologia sia
riuscita a produrre di recente per il grande pubblico, le amministrazioni e gli sponsor. Il GIS in ar-
cheologia affascina ed è oggi diventato quasi una moda, ma in realtà c’è molta differenza fra l’elabo-
razione di un GIS ben progettato ed elaborato seguendo dei principi ben determinati e la
presentazione di progetti, molto buoni, ma semplicemente “infiocchettati” con alcune elaborazioni
GIS più o meno scenografiche.
Quando si è pensato di creare un GIS che raccogliesse i dati archeologici del Parco di Agrigento
si è cercato di progettare un sistema orientato all’acquisizione e alla gestione integrata delle conoscenze
sul patrimonio culturale e uno strumento di supporto per l’attività scientifica e amministrativa. La

1
Campana-Francovich 2007; Monti 2001, pp. 163-163; Pescarin-Forte 2007; Pietrapertosa et alii 2008; Roggio 2012.
112 Maria Assunta Papa

metodologia GIS si è ritenuto potesse essere in grado di ottimizzare i processi connessi alla cataloga-
zione del patrimonio culturale assicurando, grazie a specifiche procedure, la qualità dei dati prodotti
e la loro rispondenza agli standard definiti a livello nazionale e internazionale, garantendo in tal modo
l’omogeneità delle informazioni e assicurando pertanto il corretto utilizzo e la loro condivisione.
Il Parco archeologico di Agrigento nella progettazione di un suo SIT si è basato su modelli di dati,
ispirati alle banche dati dell’ICCD2, per la realizzazione della rappresentazione in scala del territorio
reale. La piattaforma GIS del Parco vuole essere un insieme di risorse umane e tecnologiche, atto a
rappresentare la realtà di una porzione di territorio mediante opportune convenzioni simboliche.
Infatti un SIT non deve consentire solamente la possibilità di archiviare, porre in relazione e ana-
lizzare ampie quantità di dati di natura diversa, o di trattare dati grafici e cartografici georiferiti: esso
deve offrire più complesse funzioni di carattere analitico permettendo, attraverso lo sviluppo del con-
cetto di “relazione spaziale” e lo studio della distribuzione delle testimonianze, di trattare in modo
interattivo i dati georeferenziati sviluppando nuovi stimolanti approcci allo studio del territorio e
degli spazi urbani.
La progettazione del GIS per il Parco della Valle dei Templi di Agrigento è stata realizzata prima
di tutto confrontandosi con i dati bibliografici relativi ad altri progetti di GIS Archeologici italiani e
mediterranei (come i progetti di ricognizione e scavo archeologico realizzati in Toscana3, nel Salento4,
nel Lazio5, in Romagna6, nel Meridione7, in Spagna8, in Francia9, in Grecia10, in Siria11, i progetti del
Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia condotti in Giordania,
Tunisia e Libano12, il grande progetto condotto in Giordania a Madaba dalla “Andrews University”
e dalla “La Sierra University” (in Messico13, etc…).
Come vedremo, molti spunti tratti da questi progetti, sono stati fondamentali per il nostro lavoro,
che comunque presenta una sua specificità, dovuta al doversi confrontare con una molteplicità di dati
diversi per tipologia e ambito cronologico.
Il Parco di Agrigento è l’ambito ideale per una valorizzazione integrata dei beni culturali e delle
risorse territoriali, poiché i beni archeologici si integrano coerentemente -fin dalle epoche più lontane,
sono frutto dell’azione dei gruppi umani in rapporto con l’ambiente- con i beni paesaggistici e natu-
ralistici. L’adozione di tecniche di indagine, studio e valorizzazione proprie dell’archeologia dei pae-
saggi assume pertanto un ruolo strategico ai fini dell’azione di conoscenza, tutela e valorizzazione
degli stessi.
Si tratta quindi di “uscire” dalla città di Agrigento e di approfondire la conoscenza integrata del
territorio e della città, affinché il parco archeologico inteso come “area della città/area delle rovine”
divenga, secondo l’intendimento che sta alla base della costituzione del “Parco di Agrigento”, un
comprensorio integrato, in cui i beni archeologici, di tutte le età e non solo di quella coloniale greca,
interagiscano tra di loro, in un percorso coerente di valorizzazione e fruizione, con i beni paesaggistici
e naturalistici, ancora oggi presenti nell’area, nonostante l’intensa urbanizzazione.

2
http://www.iccd.beniculturali.it/index.php?it/251/beni-archeologici
3
Cambi 1996; Camin-Negri 2005; Camin et alii 2010, Campana 2001; Campana-Francovich 2003; Campana-Fran-
covich 2007; Nardini 2000; Nardini 2001.
4
Semeraro 2002; Semerraro 2012; Semeraro et alii 2012.
5
Gioia 2008; Serlorenzi 2010; Sommella 2009.
6
Bigliardi 2009; Monti 2001.
7
Burgio 2008; Guaitoli 1999; Himera III.1; Himera III.2; Lauro 2010; Petacco -Sasso D’Elia 2005; Quilici-Quilici
Gigli 2001; Quilici-Quilici Gigli 2003; Rizzo 2004.
8
Ignacio Fiz-Macias 2011; Mayoral Herrera-Celestino Pérez 2011; Martin De La Cruz- Lucena Martin 2004; Ortiz-
Navarro Aguilar 2004.
9
Arroyo-Bishop 1998; Houet 2010.
10
Moullou 2010; Soetens et alii 2001;
11
Montis 2009; Morandi Bonacossi 2007.
12
http://www.centroscavitorino.it/progetti/index.html .
13
http://www.madabaplains.org/.
Metodologie di scavo e documentazione 113

In questo quadro i progetti di un SIT intersite e intrasite possono essere un ottimo strumento per
avviare delle azioni di tutela, ricerca, studio e divulgazione volte alla valorizzazione del territorio.
La creazione del GIS del Parco è stata portata avanti analizzando accuratamente il comprensorio
e valutando le prospettive future che potranno provenire dall’utilizzo di una piattaforma GIS in tutto
il territorio. Il GIS del Parco nasce da una filosofia basata sulla costruzione di networks tra diversi
ambiti di studio e ricerca che rappresentano il primo passo per consolidare meccanismi di integrazione
tra i diversi attori coinvolti nel processo di crescita della ricerca, della cultura e del patrimonio di co-
noscenze.
Il processo tecnologico, infatti, a nostro parere, deve essere considerato come uno dei fattori più
importanti per la crescita economica dei Beni Culturali e la sua chiave di successo consiste nel circolo
virtuoso che si crea dalla maggiore fruibilità e accessibilità del bene.
Il progetto del SIT del Parco non rappresenta, dunque, un semplice esercizio di programmazione
centralizzata, bensì un vero e proprio esperimento di promozione territoriale.
Il progetto per la creazione di un SIT per il Parco di Agrigento si è basata su sette punti di forza:
1) L’attenzione che gli Enti Locali dedicano sempre più alla pianificazione territoriale, pianifica-
zione in cui la gestione e la valorizzazione dei beni culturali è considerata prioritaria per una
politica di sviluppo economico;
2) L’attività di ricerca ormai pluridecennale nell’area di Agrigento, che ha permesso la formazione
di un patrimonio di conoscenze di base fondamentali per l’attuazione del presente progetto;
3) L’esperienza che nel campo della tutela e valorizzazione dei beni culturali è stata acquisita dalle
Soprintendenze BB.CC.AA. in più di un secolo di attività;
4) L’esistenza in ambito universitario di gruppi e istituti di ricerca che lavorano da molti anni nel
campo dei beni culturali territoriali e hanno acquisito una notevole esperienza nelle tecniche di
individuazione, rilevamento, catalogazione dei beni culturali con apporti innovativi e nuove me-
todologie di intervento;
5) La necessità di raccogliere i dati archeologici in maniera organica e uniforme e di poterli com-
parare tra loro. Infatti, in una realtà come quella del Parco numerosi studi e ricerche sono con-
dotti nelle diverse aree della città e del suo comprensorio in momenti diversi e da diversi
collaboratori ed enti di ricerca e non sempre i dati possono facilmente essere confrontati fra
loro per la mancanza di dialogo e anche a causa della produzione di documentazione diversa
tra i vari attori. La creazione di un GIS standardizzato, anche se aperto a nuovi suggerimenti,
potrebbe spingere alla costruzione di archivi uniformi in cui i dati siano di più facile accesso
per tutti utilizzando un unico “linguaggio” (stessi sistemi di proiezione, stesse tipologie di files
da gestire, stesse tipologie di schede per materiali, US, etc…).
6) Il SIT offrendosi come uno strumento di analisi dei dati di tipo territoriale porterebbe certa-
mente un reale incremento dell’informazione e della conoscenza.
7) L’ampia bibliografia esistente su progetti di GIS archeologici e il confronto con realtà già col-
laudate.
Ovviamente, come tutti i progetti, anche il nostro SIT deve confrontarsi con alcune problematiche
rilevanti e due di queste sono per noi davvero due grandi ostacoli da superare:
1) La mancanza di raccordo operativo tra Università, Soprintendenze, Enti locali, Istituti pubblici
e privati di cultura;
2) La limitatezza delle risorse finanziarie specifiche per i programmi di ricerca e la valorizzazione
sul territorio.
Il presente progetto però procede a grandi passi ed a oggi si può vantare la completa realizzazione
di un efficace SIT intersite14 e la progettazione di un SIT intrasite che al momento è in fase di imple-
mentazione e validazione e di cui tratteremo in questa sede.

14
Il Parco ha affidato all’Università di Palermo la realizzazione di un sistema di informazione geografica per acquisire,
gestire e visualizzare i dati,ma soprattutto capace di analizzarli, in modo da fornire un vero e proprio sistema-progetto di
ricerca (Belvedere-Burgio 2012 a).
114 Maria Assunta Papa

L’archeologo che effettua uno scavo si pone come obiettivo primario la raccolta organica e precisa
di tutti gli elementi documentari e materiali che gli si presentano durante il lavoro sul campo15, essi
necessitano indiscutibilmente di un buon sistema di archiviazione e razionalizzazione, utile essenzial-
mente agli stessi ricercatori al fine di poter “leggere” con attenzione e senza confusione i dati raccolti
potendo poi analizzarli al fine di ottenere ricostruzioni puntuali di ogni singola evidenza rintracciata.
In una realtà come quella del Parco Archeologico di Agrigento, dove numerosi interventi di scavo
sono stati effettuati nel corso degli anni e dove anche oggi si trovano a confrontarsi molti studiosi che
utilizzano metodologie di raccolta dei dati differenti, si è sentita la necessità di determinare uno “stan-
dard” nella codifica e nella registrazione del dato archeologico di scavo indispensabile per cercare di
effettuare una lettura dei dati stratigrafici dell’antica polis.
Oggi il Parco sta investendo nuove forze per la sua Piattaforma GIS passando ad approfondire il
dato archeologico già analizzato in macro scala nel SIT Intersite con uno studio più approfondito in
micro scala. Il supporto dato per la realizzazione di importanti iniziative per l’implementazione di un
GIS intrasite è stato un primo importante passo per la realizzazione di una piattaforma che, utilizzando
un linguaggio “standardizzato”, permetta una lettura organica degli interventi di scavo all’interno
dell’antica Agrigento.
Quando la comunità scientifica parla di GIS intrasite intende dei SIT che gestiscono i dati archeo-
logici in micro-scala (1:10;1:20;1:50;1:100) in cui la tipologia di dati è notevolmente differente rispetto
ai GIS intersite che gestiscono gli aspetti territoriali, paesaggistici e nel nostro caso anche urbanistici
di un territorio.
Il nostro obiettivo è quello di tentare di ricostruire una grande pianta composita contenente tutte
le unità stratigrafiche individuate nei diversi saggi di scavo collegando questi dati spaziali a tutta la
documentazione prodotta durante il lavoro sul campo.
Un lavoro di questo tipo presenta delle grandi potenzialità di analisi e inoltre si offre come uno
strumento di archiviazione multimediale georeferenziata finalizzata a un’elaborazione spaziale e mul-
tivariata dei dati. Particolare importanza nelle fasi progettuali è stata data alla qualità e all’organizza-
zione dei dati (oltre che alla quantità) ritenendo che ciò possa influire molto sul successo o fallimento
dell’iniziativa.
I primi approcci progettuali sono stati voluti dal Parco per la realizzazione del GIS di scavo nello
scavo del Decumano16 e dell’area del Quartiere Ellenistico Romano.
La fase progettuale per questi lavori è stata suddivisa in varie fasi:
1. Consultazione delle esperienze di GIS intrasite da bibliografia e studio delle norme date dal-
l’ICCD.
2. Analisi della tipologia dei dati raccolti o da raccogliere.
3. Acquisizione della documentazione.
4. Costruzione dei database e implementazione.
5. Strutturazione dei dati e suddivisione in livelli.
6. Standardizzazione del caricamento dati.
7. Analisi dell’evoluzione del sistema.
8. Analisi della consultabilità e della interrogabilità del sistema.
La progettazione della piattaforma intrasite del Parco ha previsto una fase di studio delle esperienze
similari note da bibliografia e dei progetti oggi visionabili on line.
Come afferma François Djindjian17, il GIS rappresenta in qualche modo l’evoluzione delle basi
dati. Infatti, in molti progetti la cartografia ottenuta tramite l’applicazione di software GIS, è intesa
semplicemente come espansione della base dati, e quindi come un’integrazione all’analisi dei dati. In
molti casi la normalizzazione delle informazioni di scavo viene condotta in maniera semplicistica non

15
Rilievi, piante di strato, schede di unità stratigrafica, schede di reperti, cassette di reperti, tabelle dei materiali, cam-
pioni da analizzare, sezioni, fotografie, etc..
16
Parello-Papa 2014.
17
Djindjian 1998, p.22.
Metodologie di scavo e documentazione 115

tenendo conto che ogni entità geografica è accompagnata da una serie di attributi descrittivi e che la
gestione della qualità del dato spaziale da associare a questi attributi deve essere ben progettata in
quanto costituisce la struttura principale che regge il sistema di archiviazione elaborato con metodo-
logie GIS.
Sembra aver colto nel segno la problematicità della sistematizzazione dello scavo archeologico la
Guermandi18 quando afferma che “come nella descrizione di un oggetto, nella quale si selezionano
solo taluni attributi rispetto ad altri, così nella rappresentazione di uno spazio fisico si compie una se-
lezione che può influenzare pesantemente l’interpretazione finale. Nella costruzione di un Sistema
Informativo Territoriale si vengono così a sovrapporre le selezioni e quindi le inevitabili “distorsioni”
determinate sia dalla descrizione alfanumerica dei dati di interesse che dalla loro rappresentazione
cartografica.”
Oggi l’informatica permette una gestione molto più agile e semplice delle operazioni nel momento
dell'acquisizione dei dati e, soprattutto, porta a una fase di elaborazione estremamente rapida ed ef-
ficiente. Il passaggio dall'archivio fisico all'archivio informatico non è un lavoro semplice, poiché co-
stringe a un cambio di mentalità e di modo di ragionare. La nostra mentalità deve mutare per riuscire
a “sintetizzare e schematizzare lo scavo”, pur non perdendo alcun dato utile. Tutto questo non è facile
e alla difficoltà concreta di chi progetta e di chi cerca di costruire strutture digitali in grado di soddi-
sfare la “riproduzione virtuale dello scavo” si aggiunge il confronto con i colleghi, indispensabile, ma
difficile dato che la schematicità dell’archiviazione non sempre viene accolta senza dimostrazioni di
perplessità.
Concordiamo con Cattani quando afferma che relazionare i database alla topologia dei rilievi al-
l’interno di una piattaforma GIS è il punto di partenza per una piattaforma intrasite19. Cattani, parte
dal presupposto per cui “una forma archeologica è un insieme di sottoinsiemi relazionati, e in quanto
tale definisce uno spazio topologico, in cui il contenuto formale viene a corrispondere con il valore
spaziale”20, tanto che sono sempre stati numerosi i dispositivi grafici usati per rappresentare dedutti-
vamente (diagrammi, grafi, carte di fase) le conoscenze acquisite su un determinato contesto archeo-
logico. La costruzione di queste “mappe concettuali”, che tutti gli archeologi hanno sempre creato e
utilizzato, non si deve intendere come una mera semplificazione della laboriosità di concetti scientifici,
ma piuttosto un modo per rendere esplicito ciò che è spesso sottinteso, obbligando a fissare i concetti
e a svilupparne le potenzialità cognitive. Un GIS di scavo potrebbe essere considerato, dunque, una
“evoluzione” delle attuali forme di codifica topologica utilizzate nella documentazione archeologica
che ci permette di rappresentare dinamicamente le relazioni spaziali e diacroniche esistenti all’interno
dei differenti contesti.
A conferma di ciò possiamo ritenere il diagramma stratigrafico di Harris il dispositivo grafico to-
pologico più utilizzato in archeologia. Partendo da questo presupposto non ci meraviglia che la mag-
gior parte dei SIT intrasite consideri l’US l’unità topologica di base per la costruzione di un sistema
informativo21. L’organizzazione topologica di una piattaforma GIS ci porta, ovviamente, a confrontarci
con le normative stabilite dall’ICCD in archeologia. L’ICCD prevedeva già dagli anni ‘80 che un con-
testo stratigrafico venisse documentato con un apparato di schede ben note alla comunità degli ar-
cheologi (US; RA; SAS; TMA; Schede antropologiche, Schede di tomba; etc…). Non è un caso che
le “entità” di queste schede siano elementi ben rappresentabili nello spazio e a cui sono associabili
diversi attributi (cronologie, tipologie, grandezze, quantità, etc…). Infatti tra il 2000 e il 2003 nasce
il Sistema Informativo Generale del Catalogo al fine di tentare di “ricomporre le testimonianze in un
quadro organico che consente di procedere dal generale (il sito, ‘contenitore territoriale’) al particolare

18
Guermandi 1999, p. 94.
19
Cattani-Fiorini 2004, pp. 317, 327-336.
20
Cattani-Fiorini 2004, pp. 317.
21
Camin-Negri 2005, pp. 153-154; Conolly-Lake 2006, pp. 36-38; Forte et Alii 1995, pp. 117-128; Forte 2002, pp. 62-
65; Francovich-Valenti 2000; Laurenza-Putzolu 2001, pp.93-103; Moscati 1998, pp. 191-236; Nardini 2000; Semeraro et
alii 2012, p. 86; Valenti 2000, pp. 93-109.
116 Maria Assunta Papa

(il complesso archeologico, i singoli monumenti che lo compongono, i manufatti rinvenuti) e - vice-
versa - di ricostruire la sequenza che dal bene mobile riconduce al contesto monumentale e quindi a
quello territoriale di appartenenza, secondo un’articolazione delle relazioni fra i vari beni (e quindi
fra le diverse schede che li descrivono) non rigidamente preordinata, ma modulabile a seconda delle
diverse situazioni”22.
L’innovazione di queste normative riguarda non solo il modo di concepire la catalogazione infor-
matizzata23, ma anche la nuova attenzione che viene data alla comunicazione e alla fruizione delle co-
noscenze creando la possibilità di nuovi networks con gli enti che operano nel settore dei beni culturali.
La piattaforma GIS del Parco parte dai presupposti di M. Valenti24 che per i contesti urbani non
si possa in realtà parlare solamente di micro e macro scale ma che si possa in qualche modo valutare
la progettazione di un livello “semi micro”. Valenti ritiene, infatti, che lo spazio urbano sia lo “spazio
pluristratificato per eccellenza”, quest’idea è utilizzata dallo studioso nel caso di contesti urbani attuali
e della loro “pluristratificazione” ma in realtà a mio parere la situazione non differisce di molto quando
devono raccogliersi i dati di un’antica città come Agrigento. Ritenendo i suoi presupposti molto in-
tuitivi credo che la progettazione della nostra piattaforma GIS di scavo non possa non valutare che si
debbano intercettare e rendere facilmente fruibili le connessioni tra i dati in macro scala e quelli in
micro scala. La situazione, dunque, risulta più complicata rispetto a SIT di scavi connessi a contesti
pressoché isolati. Ovviamente il rapporto macro e micro scala/ territorio e contesto stratigrafico, ove
possibile, è sempre auspicabile ma sicuramente diventa complicato gestire i dati di un’area urbana
interessata con continuità da età greca ai nostri giorni.
Il livello “SAS”, costituito da un file areale, è il nostro punto di contatto tra i dati macro della piat-
taforma GIS intersite del Parco e i dati stratigrafici dei singoli contesti indagati e/o indagabili. Sembra
ovvio, oggi, inserire nella piattaforma intersite il livello “SAS” in modo da poter individuare le diffe-
renti aree di intervento indagate nel territorio del Parco, questo lavoro però potrà, inoltre essere im-
plementato col tempo con i dati relativi alle ricerche di archivio e all’organizzazione della raccolta dei
resoconti delle campagne di scavo condotte negli anni. Per questo motivo si ipotizza di creare diversi
files “SAS” relativi ciascuno ad un anno solare e che in questi livelli vengano inseriti i diversi saggi ef-
fettuati nel Parco nello stesso anno.
Al momento, si ritiene però, impensabile sperare di raccogliere velocemente tutte le informazioni
sui dati di scavo del parco e quindi potrebbe essere già un passo avanti tentare di posizionare sempli-
cemente le aree delle diverse campagne di scavo e collegare a questi “poligoni” tramite Hyperlinks
immagini, rilievi e relazioni di scavo o pubblicazioni. Già un’operazione di questo tipo permetterebbe,
attraverso la consultazione del SIT, all’amministrazione del Parco e ai suoi ricercatori di recuperare
con semplicità le informazioni di archivio e la bibliografia dei settori già indagati del territorio. Il
livello SAS è dunque costituito da poligoni a cui sono associati i seguenti campi per gli attributi:
1) “Area”: indica l’area dello scavo (ad es. Decumano, Quartiere Ellenistico Romano, Olympeion,
etc…); 2) “Anno”; 3) “Responsabile scientifico”; 4) “Note” (campo “memo” in cui inserire annota-
zioni significative) a questi dati verranno poi associati tutti i collegamenti in file .pdf o immagine. Nel
caso si tratti di nuove campagne di scavo di cui i dati sono raccolti già nell’ottica dell’inserimento
nella piattaforma GIS nel campo “Note” si rimanderà al percorso nel pc per rintracciare il file del
GIS di scavo relativo al settore del “SAS” in esame.
Passiamo ora all’analisi dei dati relativi al SIT intrasite. La maggior parte dei SIT in micro scala
partono dall’entità “US”. Anche per noi lo strato archeologico è il dato principale su cui è stata co-
struita la nostra piattaforma GIS.
Procedendo con ordine, quindi, avremo tanti singoli progetti intrasite in cui la delimitazione del-
l’area di indagine è data dal livello “SAS” che ci restituirà le informazioni identificative e generali sui

22
Mancinelli 2010 , pp. 5-6.
23
Basate sulla gestione delle relazioni, sulla georeferenziazione dei contesti, sull’associazione dei dati grafici e fotografici,
sull’accesso ai dati e sulla loro fruibilità.
24
Valenti 2012, pp.176-179.
Metodologie di scavo e documentazione 117

singoli contesti stratigrafici e sarà il nostro “trade


unions” con la piattaforma intersite25. Poi avremo il
livello “US” che approfondirà i dati stratigrafici dei
singoli SAS. Connessi al livello “US” avremo i data-
base che ci restituiranno tutte le informazioni spe-
cifiche sugli strati (US), sui principali reperti
rinvenuti (RA), sui dati quantitativi e tipologici dei
materiali (TMA).
Connesso al livello “SAS” sarà anche il livello se-
polture che servirà a indicare il posizionamento
delle eventuali sepolture indagate. A questo livello
verrà collegata la documentazione schedografica re-
lativa alla sepolture, le foto e gli eventuali rilievi. Ov-
viamente ciò non toglie che la stratificazione
archeologica delle sepolture verrà anche inserita per
completezza nel livello US.
Fondamentale è stato, inoltre, in fase di proget- Fig. 1 - Mappa concettuale del SIT del Parco archeologico di Agri-
tazione riuscire a creare un modello dei dati (fig.1) gento
che fosse adatto alle elaborazioni/interrogazioni che
si prevedeva di effettuare nel corso della ricerca. Per il Parco le priorità progettuali sono state quelle
di poter gestire il massimo numero di informazioni possibili; di riuscire a creare un'architettura aperta
e facilmente integrabile e di definire il livello di dettaglio con cui andranno trattate le differenti classi
di dati .
Il livello “SAS” è costituito da un file .shp poligonale la cui chiave primaria è data dal campo “Area”
che insieme al campo “Anno” costituisce la chiave esterna per collegarsi ai dati dei singoli GIS intra-
site.
A questo livello vengono collegati tramite Hyperlink26 i files .pdf relativi alle relazioni di scavo, agli
elenchi cassette, alle immagini generali dello scavo. Nel caso di scavi già editi avremo anche le pub-
blicazioni dell’area di scavo. Come già accennato nel campo “Note” troveremo, nel caso di SIT intra-
site già costruiti, il percorso da seguire per aprire il file del progetto relativo ad ogni singola area.
Partendo da questo livello passiamo ora ad analizzare tramite uno schema esemplificativo la proget-
tazione logica della nostra piattaforma GIS intrasite.
In questo schema presentiamo le entità principali del nostro SIT (le loro chiavi primarie27 ed
esterne28) e le cardinalità delle associazioni che specificano il numero minimo e massimo di volte che
un record dell’entità “partecipa” all’associazione. Nella nostra piattaforma sono previsti rapporti 1:1
o 1: n. Lo schema mette in evidenza, anche, se per le singole entità sono previsti files vettoriali in for-
mato .shp (punti; linee; poligoni); tabelle o database esterni.

25
Infatti il layer “SAS” sarà presente sia nella piattaforma intersite che nei diversi progetti intrasite.
26
Funzione del software ArcGIS che permette di collegare ad un elemento topologico (punto, linea, poligono) dei
files immagine o di testo.
27
La chiave primaria della tabella è un attributo che costituisce l’identificatore univoco di ogni tupla della tabella
stessa. Per definizione, il valore dell’attributo in chiave primaria non è ripetibile all’interno della stessa tabella. Il valore
dell’attributo in chiave primaria non può essere ‘null’(vincolo di chiave). L’esistenza di almeno una chiave garantisce l’ac-
cessibilità a tutti i valori di una base di dati e la loro univocità all’interno della tabella. Nel caso del livello “SAS” abbiamo
creato una chiave primaria data dall’associazione di due campi “Area” e “Anno”, questa soluzione ci permette di indivi-
duare le diverse aree di scavo non solo in merito al loro posizionamento urbanistico ma anche in associazione alla campagna
di scavo condotta.
28
La chiave esterna associa una tabella (tabella slave) alla tabella puntata (tabella master). Si vengono quindi a creare
associazioni che legano due o più entità. L’insieme degli attributi che costituiscono una chiave esterna in una tabella slave
può assumere solo valori che compaiono come chiave in un record della tabella master (vincolo di integrità referenziale
nelle associazioni tra tabelle).
118 Maria Assunta Papa

La progettazione di un database per


l’archiviazione e la gestione del dato ar-
cheologico nella nostra ricerca è risul-
tata di primaria importanza non solo
per la sua valenza nell’ambito del nostro
progetto ma anche nell’ottica di una
fruizione e maggiore valorizzazione dei
dati rilevati nelle campagne di scavo
prese in esame.
Nella progettazione del nostro data-
base si è dovuto innanzitutto tener
Fig. 2 - Schema logico della piattaforma GIS dei contesti stratigrafici del Parco Ar-
conto di elaborare dei costrutti atti ad
cheologico di Agrigento organizzare i dati e a descriverne la strut-
tura in modo che essa risulti comprensi-
bile ad un calcolatore (fig.2).
L’obiettivo delle nostre ricerche, per una gestione globale del dato archeologico, è l’attuazione di
strumenti funzionali alla produzione di conoscenza, ovvero di applicativi, grandi banche dati e sistemi
di gestione-processamento che possano ottimizzare le ricerche accrescendone le facoltà di consulta-
zione, interpretazione e modellazione storica.
Si è, dunque, pensato di realizzare un database basato sulla relazione tra tabelle:
• Ogni tabella contiene i dati di una entità del DB.
• Ogni tabella rappresenta una relazione tra gli attributi della relativa entità.
• Ogni colonna della tabella corrisponde ad un attributo dell’entità.
• Ogni riga della tabella corrisponde a un record dell’entità.
• Ogni record di una tabella contiene i dati di un’istanza (oppure occorrenza) dell’entità.
• È necessario che ogni record sia identificato univocamente.
Partendo da queste basi abbiamo iniziato a costruire il database in Access di Microsoft Office un
software molto diffuso e che presenta una interfaccia abbastanza gradevole consentendo con semplici
operazioni la creazione delle relazioni e la realizzazione delle maschere.
Lo schema della scheda è quello dettato dalle norme dell’ICCD, inoltre spunti interessanti sono
stati accolti dalle esperienze di GIS intrasite edite29. La scheda US, presenta un interfaccia semplice
basata sui dati dell’ICCD. A differenza però della logica ministeriale abbiamo preferito scegliere di
non creare tre diversi database per le US, le USM e le USR ma di creare una scheda “US” unica in cui
ci sia la possibilità di consultare l’integrità dei dati stratigrafici di tutto un contesto. Ciò comporta
che la nostra scheda sia molto ricca di campi che non necessariamente verranno sempre compilati ma
che comunque ci permetteranno di distinguere, raggruppare e interrogare tutte le entità stratigrafiche
(positive, negative, muri, rivestimenti, etc…) secondo le diverse necessità (ad es.: creazione di carte
di fase, interrogazioni sulle tipologie costruttive, selezione delle strutture murarie, etc…).
La scheda US (fig.3, fig.4) è stata organizzata tramite una maschera che facilita l’immissione dei
dati e la loro consultazione. La grafica della maschera è stata volutamente ideata in modo molto sem-
plice, ritenendo che debba essere principalmente uno strumento di lavoro per gli archeologi del Parco.
Per quanto riguarda i reperti mobili, la costruzione di un SIT del Parco ovviamente doveva iniziare
a sperimentare concretamente una nuova raccolta dati funzionale all’inserimento di essi all’interno
della piattaforma GIS del Parco. Con questi obiettivi è nata la progettazione e la creazione della nostra
scheda RA30. La progettazione della scheda RA è stata realizzata lavorando in collaborazione con la
Dott.ssa Parello, la Dott.ssa Trombi e la Dott.ssa Amico, sulla base delle direttive delle schede ICCD31

29
Fabiani-Gattiglia 2012; Fronza-Nardini 2009; Nardini 2001; Nardini 2009; Palmieri 2009; Nardini-Salvadori 2000;
Semeraro 2002; Semeraro 2012; Semeraro et alii 2012; Valenti 2000; Zinglersen 2003.
30
Reperto Archeologico.
31
Mancinelli 2004.
Metodologie di scavo e documentazione 119

Fig. 3 - Fronte della scheda US del Parco di Agrigento Fig. 4 - Retro della scheda US del Parco di Agrigento

e della bibliografia32 e trovando interessanti spunti su internet di lavori già effettuati dall’università di
Roma Tor Vergata e nell’ambito del programma IDRA per il progetto della Banca dati informatizzata
per la catalogazione dei beni archeologici (schede RA) conservati nei musei locali e di interesse locale
del Lazio.
La nostra scheda RA è composta da 34 campi. I primi sei campi servono all’identificazione del re-
perto mediante i numeri di inventario e agli eventuali link con database esterni come richiesto dal-
l’ICCD e specificano l’appartenenza del reperto al Parco e il luogo di conservazione all’interno dello
stesso; sette campi (“Area, Campagna di scavo, Settore, Saggio/Trincea, Ambiente, US, Dati di scavo”)
restituiscono le informazioni relative ai dati di scavo del reperto e in particolare il campo “US” (testo)
verrà utilizzato come chiave esterna per collegare la scheda all’interno della piattaforma GIS intrasite.
Per quanto riguarda l’individuazione della classe, della forma33 e del tipo dei reperti abbiamo pre-
ferito creare nel nostro database tre differenti “schede-elenchi” relazionate alla principale scheda RA
in modo che l’implementazione rimanga piuttosto rigida e si eviti così di utilizzare diversi termini per
identificare gli stessi materiali (fig.5, fig.6).
Questo lavoro ha previsto un lavoro di elaborazione di un vocabolario per quanto possibile esau-
stivo del materiale reperibile all’interno dei contesti stratigrafici del Parco da inserire nelle “schede-
elenchi”34.

32
Caravale 2009; Cocchiaro-Palazzo-Annese-Disantarosa 2005; Croissant 1993; D’Ambrosio-Pascucci 2010; Gentile-
Granese-Luppino-Munzi-Tomay 2004; Guermandi 1999; Zöldföldi-Leno-Székely-Szilágyi-Biró-Hegedüs 2010.
33
Per l’importanza della creazione di dizionari per le forme si consulti Semeraro 2004.
34
Si ritiene di aver effettuato insieme alle Dott.sse Parello, Rizzo, Trombi e Amico un ottimo lavoro per l’individuazione
completa delle “classi” e delle “forme” mentre per quanto riguarda i “tipi” è stato sicuramente raccolto un elenco abba-
stanza esauriente di confronti utili allo studio dei materiali ma ci si riserva di poterlo implementare grazie agli apporti che
i collaboratori scientifici daranno con le loro nuove ricerche.
120 Maria Assunta Papa

Fig. 5 - Scheda RA in Access. Menu a tendina per il campo “Classe”

Fig. 6 - Scheda RA in Access. Menu a tendina per il campo “Forma”


Metodologie di scavo e documentazione 121

I campi “Disegno” e “Fotografia” sono


campi OLE che permettono l’inserimento di
immagini digitali trattate adeguatamente prima
dell’inserimento nel database (BMP a 150 dpi).
Ci si è voluti riservare un ampio campo deno-
minato “Osservazioni” utile per l’inserimento di
note dello studioso durante l’analisi del reperto.
I due campi “Produzione/Fabbrica” e “Data-
zione” sono stati inseriti in fondo alla scheda per-
ché rappresentano per noi un po’ la conclusione
dell’anamnesi del reperto e i risultati ottenuti dal
suo studio minuzioso.
Il layout della scheda RA (fig.7) occupa una
cartella stampabile in un’unica pagina.
Un aspetto particolarmente interessante e
qualificante della nostra scheda RA è la possibi-
lità di rapportare al territorio i dati conoscitivi sui
beni esaminati, consentendo di cogliere le rela-
zioni logiche, antropiche e storiche che intercor-
rono con gli elementi ambientali e il suo ambiente
di scavo. La scheda in questo modo ci dà una mi-
gliore e più consapevole conoscenza dei beni
stessi e permette una più immediata contestua-
lizzazione del reperto nel tempo e nello spazio.
Per quanto riguarda la scheda TMA (fig.8)
Fig. 7 - Esemplificazione di scheda RA si è creato un format in Excell integrando le

Fig. 8 - Esemplificazione TMA


122 Maria Assunta Papa

norme consigliate dall’ICCD alle esigenze di studio affrontate nei precedenti lavori di catalogazione.
Alla serie di tracciati diversificati per “categorie” (che seguiva le specifiche dell’Istituto Centrale per
il Catalogo e la Documentazione) è stato sostituito un tracciato unico35, utile alla catalogazione preli-
minare di tutti i tipi di manufatti ed “ecofatti” rinvenuti negli scavi. Questa scelta è motivata innan-
zitutto dall’esigenza di semplificare il database relazionale che gestisce i dati descrittivi e consentire
una più efficace integrazione con i softwares GIS (analisi spaziale) e anche per razionalizzare l’orga-
nizzazione interna dei vocabolari controllati, raggruppando le categorie di manufatti sulla base delle
funzioni ascrivibili ai singoli oggetti.
Poiché la finalità principale delle TMA è quella di fornire un quadro quantitativo immediato dei
materiali pertinenti alle singole Unità Stratigrafiche, l’adozione di terminologie miranti a definire gli
aspetti funzionali dei manufatti aiuta a delineare già in sede di analisi preliminare dei dati i caratteri
fondamentali del deposito archeologico.
Il database della piattaforma GIS del Parco al momento dello scavo del Quartiere Ellenistico Ro-
mano del 2013 è stato implementato anche da una scheda antropologica, creata in collaborazione con
la Dott.ssa Z. Di Giuseppe, di cui tratteremo in altra sede perché al momento ancora deve essere
completato il test della sua funzionalità all’interno del nostro SIT.
Per agevolare coloro che si approcciano alla restituzione grafica dei contesti stratigrafici all’interno
del Parco, l’ente ha commissionato già nel 200636 un lavoro di costruzione di una rete geodetica co-
stituita da 41 capisaldi dispersi in tutta l’area di pertinenza del Parco.
A questi capisaldi sono associate delle monografie che restituiscono le coordinate x e y in GB Roma
40 e in UTM WGS 84 e le quote assolute sul livello del mare. In tal modo diventa molto semplice
poter trasformare in assolute i rilievi in coordinate relative.
Purtroppo ancora non tutti i gruppi di ricerca hanno la possibilità di avere nel proprio staff esperti
di GIS e quindi si prevede che non sarà possibile nell’immediato inserire tutti i nuovi contesti strati-
grafici nella piattaforma del Parco ma un primo passo per entrare nell’ottica del lavoro di archivio geo-
referenziato è quello di avere almeno tutti i rilievi in files vettoriali organizzati in maniera univoca e
facilmente gestibili una volta che si stabilirà di creare i singoli SIT intrasite.
Per quanto riguarda i rilievi vettoriali della stratificazione archeologica, la costruzione della piat-
taforma GIS intrasite del Parco ovviamente prevede la conversione dei files CAD (.dxf; .dwg) nel for-
mato vettoriale di ESRI .shp. Infatti si è stabilito di gestire anche i dati intrasite con il software Arc
GIS. I livelli archeologici verranno suddivisi in livelli puntuali, lineari e poligonali. Il file “SAS” avrà
una semplice tabella degli attributi gestita direttamente all’interno del programma. I rilievi delle US
verranno gestiti in due layers. Al file “US” poligonale verrà associato semplicemente il suo
numero/nome identificativo mentre tutti i dati più specifici verranno associati tramite il “join” con la
scheda US importata all’interno della piattaforma in formato tabellare. Come si accennava le US sa-
ranno caratterizzate da un secondo .shp file che si presenta sotto una forma topologica lineare e che
viene denominato “US_caratterizzazione”: questo file è stato ideato per riprodurre anche all’interno
della piattaforma GIS il rilievo caratterizzato delle singole US. Questa operazione permette, quindi
una soluzione per un editing elegante in fase della creazione di mappe e layouts. All’interno della piat-
taforma avremo anche un file puntuale “US_Quote” con una tabella degli attributi molto semplice in
cui verranno indicati l’identificativo dello strato e la quota che il punto rappresenta spazialmente.

L’esperienza sul campo nel Quartiere Ellenistico Romano


In una realtà come quella del QER dove numerosi interventi di scavo sono stati effettuati nel corso
degli anni e dove ancora oggi si trovano a confrontarsi molti studiosi che utilizzano metodologie di

35
Semeraro-Notarstefano 2004.
36
Il lavoro è stato commissionato alla ditta Geoprà s.r.l. dall’allora Direttore del Parco Architetto Pietro Meli e dal-
l’Architetto Carmelo Bennardo.
Metodologie di scavo e documentazione 123

Figg. 9-10 - Rilievo con Stazione Totale nell’Insula II

raccolta dei dati differenti il Parco ha sentito già lo scorso anno la necessità di determinare uno “stan-
dard” nella codifica e nella registrazione del dato archeologico di scavo indispensabile per cercare di
effettuare una lettura dei dati stratigrafici dell’antica polis: in particolare già due ottimi progetti sono
stati realizzati per “testare” la validità delle metodologie GIS nel Quartiere Ellenistico Romano (la
creazione di una piattaforma GIS per l’inserimento dei dati relativi a cinque saggi di scavo condotti
nell’Insula II nel 2005- Novembre 2013-Febbraio 2013- e la costruzione del GIS per gli scavi condotti
nell’estate del 2013).
Alla luce dei campi identificativi della scheda US la piattaforma intrasite da noi costruita è prevista
per il settore dell’Insula II nell’area del QER ma ovviamente è integrabile con i dati di tutto il quartiere.
Il primo dato immesso nel nostro progetto è la base cartografica in scala 1:10.000 (AG_636120) in for-
mato raster (.tiff), già georiferita (coordinate UTM WGS 84 ) e compresa nel progetto intersite del Parco.
Per quanto riguarda questa area l’unico dato in formato vettoriale in nostro possesso era un file
vettoriale (.dwg) del rilievo schematico (costruito su base delle foto aree) del QER37.
Da questo file è stata estratta l’area dell’Insula II e si è proceduto alla georeferenziazione tramite
control point battuti con Stazione Totale sulla base dei riferimenti geodetici del Parco (fig.9, fig.10).
Acquisiti i dati relativi a due punti geodetici della rete del parco essi sono stati battuti con la Stazione
Totale. Individuati 12 punti ben riconoscibili nel rilievo vettoriale a nostra disposizione essi sono stati
rilevati correlandoli ai punti geodetici e quindi si è proceduto, con il software Arc GIS del Parco, alla
georeferenziazione a confronto in coordinate assolute del file vettoriale.
Questo rilievo vettoriale georiferito e trasformato in formato .shp è divenuto la nostra base topo-
grafica per la costruzione della piattaforma GIS (fig.11).
Sulla base di questo rilievo si è proceduto alla creazione di due importanti livelli per l’implemen-
tazione del nostro GIS intrasite: il layer “Case_Insula II” (fig.12) e il layer “Ambienti_Insula II”
(fig.13). I due livelli sono stati creati in formato .shp (poligoni) ai quali sono associate delle tabelle di
attributi che determinano con delle lettere (rispettivamente maiuscole e minuscole) l’identificativo
delle case e dei vani già definiti nelle precedenti campagne di scavo38.

37
Acronimo del Quartiere Ellenistico Romano per individuare l’area all’interno del Parco.
38
De Miro 2009.
124 Maria Assunta Papa

Fig. 11 - Posizionamento in coordinate assolute del rilievo dell’Insula II Fig. 12 - Livello “Case_Insula II” in ambiente GIS

Fig. 13 - Livello “Ambienti_Insula II” in ambiente GIS Fig. 14 - Livello “SAS 2005”

Il livello “SAS 2005” (poligonale) è stato creato per inserire il posizionamento dei 5 saggi di scavo
da noi analizzati nella piattaforma GIS (fig.14). Ovviamente questo livello verrà implementato nel
corso degli anni con l’inserimento di tutti i saggi di scavo condotti nello stesso anno.
Ad ogni singolo poligono rappresentante l’area del saggio sono associati tramite Hyperlink le rela-
zioni di scavo consegnate nel 200539.
La costruzione della piattaforma GIS è proseguita con la realizzazione di un file lineare (.shp) “Se-
zioni” nella cui tabella degli attributi sono identificate il nome delle diverse sezioni o prospetti dei di-
versi saggi. Cliccando sulla linea di sezione oltre all’identificativo della stessa e all’anno di realizzazione
del rilievo è possibile visionare la restituzione grafica in formato pdf tramite l’Hyperlink.
Sulla base degli elenchi dei materiali ci si è occupati di implementare il DB delle RA del Parco per
un totale di 354 record, infatti oltre ai materiali ceramici disegnati sono stati inseriti anche i Reperti
Particolari individuati nei 5 saggi di scavo (monete, aghi, spilloni etc…).
Data la disomogeneità dei dati di catalogazione al momento, si è preferito “linkare” le RA di ogni
singola US come pdf nel GIS rimandando ad una fase successiva (sarebbe auspicabile una cataloga-
zione di dettaglio completa di TMA per tutti i materiali di questi saggi e di una attenta revisione dei
dati archeologici delle RA già compilate40) il link interrogabile tramite queries del database.
L’inserimento dei rilievi di scavo dei diversi saggi è stato possibile grazie alla vettorializzazione in
CAD dei disegni da parte della Dott.ssa A. L. Lionetti la quale si è occupata anche della compilazione
del Database US utilizzando il format del Parco.

39
Le relazioni erano state consegnate in Word ma sono state convertite in formato .pdf per una visualizzzione più immediata.
40
Infatti i dati raccolti per l’implementazione delle schede RA sono essenziali e basati su elenchi molto semplici dei
materiali, inoltre i profili a me consegnati per la lucidatura mancano di dati basilari come il diametro dei pezzi.
Metodologie di scavo e documentazione 125

Fig. 15 - Join tra schede US e tabella degli attributi del livello “US Fig. 16 - Visualizzazione nel nostro SIT dell’Insula II dell’US 4D e di
una immagine ad essa correlata

Fig. 17 - US 1057 del saggio 11K Fig. 18 - Schermata GIS del Saggio “11K” nella campagna di scavo
QER 2013: fotogrammetria e rilievo

Per ogni singolo saggio si è proceduto all’inserimento degli areali delle singole US dei saggi (deno-
minate con un numero sequenziale e la lettera del saggio pertinente) nel file “US” e della loro carat-
terizzazione costituita da linee (anche esse denominate con un numero sequenziale e la lettera del
saggio pertinente) nel file “US_Caratterizzazione”. Abbiamo dunque importato il DB US all’interno
della nostra piattaforma GIS e abbiamo realizzato il join (attraverso il campo US) per collegare i dati
del database Access con la tabella degli attributi del file .shp delle “US” (fig.15).
Alle US sono state collegate anche le foto di scavo (fig.16).
Abbiamo infine creato un file puntuale “Quote US_Insula II_SAS 2005” che indica la posizione
delle quote rilevate nella campagna di scavo del 2005 e ci permette di individuare con facilità l’US di
pertinenza e la sua quota sul livello del mare tramite la tabella degli attributi.
L’esperienza della costruzione del SIT nel QER è continuata con l’inserimento dei dati della cam-
pagna di scavo del 2013. Lo scavo è stato condotto in sette differenti saggi nell’Insula II per il recupero
di particolari emergenze stratigrafiche41.
Inizialmente l’approccio dei ricercatori con le nuove metodologie non è stato semplice ma il coor-
dinamento generale dei lavori voluto dalle Dott.sse Parello e Rizzo si è rilevato essenziale per far si
che gli studiosi divenissero una vera e propria équipe che oggi si destreggia molto bene con database
Access, rilievo digitale, fotogrammetria, etc…
L’implementazione della piattaforma ha seguito le norme già stabilite per i saggi della campagna
del 2005 (fig.17, fig.19). Nella piattaforma sono confluiti anche i rilievi fotogrammetrici e i database

41
Sono state indagate 12 sepolture a cassone in tufo di età tardo-antica esposte alle intemperie e in pessimo stato di
conservazione ma che hanno restituito sorprendenti risultati. Inoltre sono stati effettuati degli approfondimenti stratigrafici
in aree molto interessanti dell’Insula II e nell’area del Cardo III.
126 Maria Assunta Papa

dello studio dei materiali oggi consultabili dagli


utenti del Parco (fig. 18).
Anche questa esperienza, deve essere conside-
rata un nuovo test d’idoneità passato per la co-
struzione del nostro SIT intrasite. Rimangono
comunque delle grandi difficoltà da affrontare per
la realizzazione completa del SIT intrasite:
- Trovare un modo scientifico ma abbastanza ra-
pido e organico per tentare di inserire i dati di
scavo delle passate campagne.
- Far sì che tutti i gruppi di ricerca che lavore-
ranno nel Parco in futuro utilizzino le metodolo-
Fig. 19 - Schermata GIS del Saggio “11k” nella campagna di scavo gie GIS per le nuove campagne di scavo facendo
QER 2013: rilievo comprendere loro l’importanza di un lavoro di
questo tipo.
- Creare una serie di norme e standard predefiniti al quale tutti i gruppi di ricerca devono unifor-
marsi per la consegna della documentazione post scavo.
- Formare un numero di collaboratori, che sappiano usare i GIS, da affiancare nelle campagne di
scavo del Parco.
- Iniziare a pensare per alcuni dei progetti realizzati a modulare una pubblicazione on line attraverso
metodologie di web-mapping.
127

Indagine preliminare sulle tecniche costruttive


del quartiere ellenistico-romano di Agrigento*
Fernando Giannella

Nell’ambito dei lavori di scavo archeologico, restauro conservativo e sistemazione d’area che hanno
interessato l’area del quartiere ellenistico-romano di Agrigento nell’estate del 2013, è stato possibile
avviare uno studio dei caratteri costruttivi, materici e strutturali di alcune abitazioni dell’insula II1.
Negli ultimi anni l’interesse per l’abitazione privata ha avuto un importante incremento sia nello
studio delle strutture architettoniche, sia in quello del valore sociale e rappresentativo che le case hanno
avuto2. Tale crescita del volume di studi ha interessato soprattutto la Grecia e Roma, trascurando in
parte la Magna Grecia e la Sicilia. All’interno del dibattito sull‘architettura domestica antica sviluppato
negli ultimi anni3, la Sicilia riveste un ruolo fondamentale per la molteplicità e varietà dei centri urbani
conservati4 che solo recentemente è stato messo in evidenza dalla letteratura scientifica5. A differenza
delle architetture pubbliche di carattere sacro, politico, commerciale e funerario, per le quali risulta
possibile un’analisi di tipo comparativo riconducibile a modelli formali e tipologici, lo studio dell’ar-
chitettura privata risulta difficilmente classificabile secondo questi parametri. Ostacoli principali alla
ricerca, in tal senso, sono senza dubbio la connotazione privata degli edifici indagati6 e la loro continuità
d’uso7, cui si può aggiungere in alcuni casi alcune peculiarità geo-morfologiche che incidono sulla or-

*Desidero ringraziare il direttore del Parco archeologico della Valle dei Templi, arch. G. Parello, e le dottoresse M.C.
Parello e M.S. Rizzo per avermi offerto la possibilità di trattare questo argomento. Ringrazio inoltre il prof. L. M. Caliò
per i consigli e gli interessanti spunti dispensati e i proff. G. Rocco e M. Livadiotti per il continuo sostegno alle mie ricer-
che.
1
In particolare i lavori hanno coinvolto alcuni ambienti delle case IID, IIC, IIB. La nomenclatura delle abitazioni ri-
portata nel testo è riferita a De Miro 2009.
2
Kent 1990; Hoepfner, Schwandner 1994; Nevett 1995, Allison 1999; Nevett 1999; Antonaccio 2000; Ault 2000; Cahill
2002; Aiosa 2003; Ault 2005; Nevett 2007; Westgate, Fisher, Whitley 2007; Hellmann 2010; Ladstätter, Scheibelreiter
2010; Nevett 2010; Gorica 2014; Guidone 2015; Caliò 2012, pp. 199-230. Sul valore storico e sociale delle abitazioni e la
loro implicazione con l’urbanistica ateniese cfr. in particolare Ferrucci 2006.
3
A partire dalla seconda metà del ‘900, in seguito agli scavi estensivi di molte aree abitative greche e magno greche,
cresce l’interesse per l’architettura domestica. Gli anni ‘90, in particolare, vedono il fiorire degli studi specifici sul tema
dell’abitazione in relazione al contesto urbano e socio-economico. Per la storia degli studi nel quartiere ellenistico romano
di Agrigento si rimanda a De Miro 2009, pp. 19 e ss.
4
Tra gli abitati più noti si annoverano Selinunte, Megara Iblea, Solunto, Himera ed Agrigento. Per Megara Iblea,
Gras-Trézyny 2012; per Solunto, Portale 2006; per Himera, Allegro 2008 e per Agrigento, De Miro 2009 con bibliografie.
5
Nel 1992 il prof. F. D’Andria promuove l’organizzazione di un convegno specifico (D’Andria, Mannino 1992) che
rappresenta un primo tentativo di mettere ordine nella materia in esame. Per la letteratura successiva cfr. Allegro 2008 e
in particolare il contributo di Chiara Portale.
6
Trattandosi di edifici privati l’impianto planimetrico è strettamente dipendente dalle condizioni socio-economico
dei proprietari e dalle caratteristiche funzionali degli spazi da essi dipendenti.
7
Le aree abitative possono presentare stratificazioni che coprono un arco temporale di molti secoli. Le testimonianze
più antiche in Sicilia sono attestate già nell’VIII sec. a.C. a Megara Iblea, Siracusa ed Eloro; vedi De Miro 1996, pp. 17
ss.
128 Fernando Giannella

ganizzazione delle singole abitazioni. Questo tuttavia è vero in una dimensione esclusivamente privata
e particolaristica dell’abitare. La casa è anche il risultato di modelli di comportamento che vengono
resi evidenti dalle strutture planimetriche e architettoniche, soprattutto nella società antica dove polis
e oikos sono sempre fortemente correlati8; questo comporta la necessità di una organizzazione dell’abi-
tazione che sia sottoposta ad esigenze sociali e politiche. In genere lo spazio all’interno delle abitazioni
assume valenze non sempre completamente private. Questo è vero a maggior ragione per il mondo an-
tico, in cui il dialogo tra privato e pubblico è sempre serrato e meno definito che nelle società occiden-
tali9. Una società coesa, seppure caratterizzata da differenze sociali, favorisce l’adozione di un modello
di isolato che risponda alle comuni esigenze funzionali all’interno della pianificazione urbana. Questo
comporta la scelta di soluzioni architettoniche analoghe all’interno dell’impianto urbano, che diventano
più serrate in caso di pianificazione (o ripianificazione) urbana regolare che preveda l’uso di isolati
standard, se non altro per i muri in comune e le pendenze dei tetti.
Per queste ragioni, negli ultimi decenni gli studiosi hanno tentato di leggere l’impianto planimetrico
della casa antica come modulo di base per la ricostruzione della maglia urbana allo scopo di creare
modelli che, prescindendo da una classificazione tipologica delle singole abitazioni, fornissero gli stru-
menti per uno studio comparativo sovraterritoriale dei contesti, funzionale all’indagine dei fenomeni
storici, sociali ed economici10. Particolarmente complesso è il caso siciliano dove la forte presenza
greca da un lato e la precoce colonizzazione romana11 dall’altro, rendono difficoltosa la lettura dei
resti ancora in situ. L’elevata stratificazione delle strutture e la commistione di tipologie residenziali
non facilitano lo studio della singola unità abitativa. La tendenza, perciò, è quella di considerare macro
fasi temporali legate ad un’interpretazione storico-letteraria dell’archeologia12.
Con questa premessa si vuole evidenziare l’efficacia di un’analisi tecnico-costruttiva, a volte sotto-
valutata, che aiuti a chiarire alcuni aspetti di queste strutture assai articolate. In questo contributo,
pertanto, si presentano i risultati dedotti da uno studio preliminare del sito13 che possono arricchire
la minuziosa ricerca condotta sul quartiere ellenistico-romano da E. De Miro negli ultimi anni14.
L’obiettivo è quello di contribuire alla ricostruzione della storia dello sviluppo urbano dell’antico
centro agrigentino attraverso l’analisi delle fasi costruttive dell’edilizia abitativa15.
I resti del quartiere ellenistico-romano di Agrigento attualmente visibili nell’area ad est dell’agorà
superiore coprono un’area di circa 2,5 ha. In questa zona sono visibili le testate di tre degli isolati che
delimitavano la plateia est-ovest (larghezza ricostruita di circa 10 m) sul margine sud intervallati da
quattro stenopoi nord-sud di circa m 5 di sezione. Le tre insule si conservano per l’intera larghezza
(circa m 35) e per circa metà della loro lunghezza originaria16 (fig. 1). I resti delle strutture ancora in
situ documentano chiaramente le fasi finali dell’abitato abbandonato e defunzionalizzato in epoca
tardoantica, come testimoniato dalle numerose sepolture, ancora visibili, che si impostano sugli strati
di abbandono delle residenze. L’impianto abitativo oggi visibile, dunque, mostra la facies tardoimpe-
riale del quartiere in cui confluiscono secoli di sviluppo urbano e sociale in un’intricata sovrapposi-
zione di strutture e di rifacimenti che hanno condotto gli studiosi a soffermarsi sull’analisi delle fasi

8
Cartledge 2011, p. 39.
9
Cfr. le belle case degli Ateniesi citate da Tucidide o le rimostranze di Demostene a proposito del lusso privato che
gareggiava con i grandi monumenti pubblici dell’età periclea, evidentemente non solo in relazione alla ricchezza, ma anche
alla funzione sociale e politica che tali strutture dovevano assolvere.
10
In particolare Hoepfner, Schwandner 1994. Le tematiche dell’urbanistica antica sono spesso impiegate per descrivere
i fenomeni legati alle colonizzazioni ed alle eventuali influenze straniere nella progettazione dei centri siciliani; sul tema
si rimanda a Di Vita 1983, pp. 63-64.
11
Lo status di provincia coinvolge l’intera Sicilia alla fine della seconda guerra punica (221-211 a.C.).
12
In particolare, per il periodo ellenistico-romano cfr. Portale 2006, p. 50.
13
La metodologia di studio prevede oltre ad un rilievo di dettaglio dell’abitato in pianta e sezione, una minuziosa sche-
datura delle unità stratigrafiche murarie dei resti in situ.
14
De Miro 2009.
15
Per la fondazione della città, De Miro 1992 pp. 151 ss.
16
Le survey e gli studi topografici del territorio hanno permesso di restituire isolati di 35x28,9 m (Schmiedt, Griffo 1958).
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 129

Fig. 1 - Vista aerea (da Sud-Ovest) dell'area del quartiere ellenistico-romano

più tarde. Il nome stesso dell’area, identificata come quartiere ellenistico-romano, ben rappresenta la
tendenza letteraria volta all’esaltazione di questo periodo nel quale gli studiosi collocano la maggior
parte delle strutture ancora in situ attraverso l’identificazione di fasi prevalenti17. Si tratta di un metodo
utile alla descrizione dell’intero complesso, che tuttavia richiede un approfondimento di scala per
una migliore comprensione delle fasi precedenti individuate dall’indagine archeologica e le cui strut-
ture si celano nei rifacimenti ellenistico-romani.
Di fatto i resti visibili dell’intero quartiere, anche per le scelte attuate dagli scavatori, coprono le fasi
tardoellenistiche e romane, con una serie di superfetazioni e cambiamenti di planimetria che giungono
fino al periodo tardoantico. In questo periodo gli edifici sono stati riorganizzati e abbelliti con ricchi
mosaici e apparati di rappresentanza che ne caratterizzano l’importanza, già esaltata dalla posizione cen-
trale all’interno dell’impianto urbano, presso il quartiere pubblico e monumentale della città.
L’indagine stratigrafica ha dimostrato che già all’inizio del VI sec. a.C.18 l’area è interessata da opere
di sbancamento e terrazzamento per la regolarizzazione del suolo, con un chiaro intento urbanistico.
Le strutture pertinenti a questa fase, individuate all’interno delle insulae I e II, sono caratterizzate
dall’assenza di fondazioni: si tratta di muri a singolo paramento in blocchi di tufo locale19 che si im-

17
Tale metodo di indagine tende a considerare fasi temporali molto ampie. L’approccio permette di descrivere le ultime
fasi edilizie delle singole abitazioni, così come sono pervenute, prescindendo dalle dinamiche che le hanno generate.
18
De Miro 2009, pp. 160-161.
19
Le aree di cava sono state identificate nelle zone che ospiteranno le tombe monumentali del V sec. a.C.: cfr. De Miro
1992, p.156.
130 Fernando Giannella

Fig. 2 - Casa IIA, sezione nord-sud, lato ovest. Con indicazione delle strutture di VI sec. a.C (da De Miro 2009)

postano direttamente sul banco argilloso appositamente livellato (quota m 132,30 s.l.m.). La tecnica
prevede la realizzazione di una risega continua sul filare più basso del paramento per l’imposta del
piano di calpestio.
Questa prima fase ha subito un primo rifacimento nella seconda metà dello stesso secolo. Un tratto
di muro est-ovest all’interno del grande peristilio della casa II A presenta, infatti, un rialzamento ef-
fettuato sempre nella stessa tecnica costruttiva, ma ben documentabile dal fatto che sulla risega per
la pavimentazione più antica se ne imposta una seconda ad un livello più alto20. La sovrapposizione
di due filari così profilati documenta un rialzamento del piano di calpestio di circa m 0,3, relativo a
un rifacimento delle strutture (fig. 2). La quasi completa rasatura degli edifici appartenenti a questo
periodo impedisce una ricostruzione degli elevati che si possono, tuttavia, ipotizzare costituiti da uno
zoccolo a doppio paramento in blocchi lapidei più o meno squadrati, montati a secco, ed un alzato in
mattoni crudi come nelle abitazioni di VII-VI sec. a.C. rinvenute a Megara21, Naxos22, Selinunte23 e
nell’area occidentale della collina dei templi di Agrigento24.
I primi decenni del V sec. a.C. mostrano l’affermarsi del modello urbanistico programmato e la
sua diffusione sistematica. Impianti di questo tipo, a Naxos, Gela, Himera, sono caratterizzati, in que-
sto periodo, da opere di regolarizzazione urbana e terrazzamenti atti alla riqualificazione edilizia del-
l’impianto rurale del secolo precedente25. Questa è un’ipotesi condivisa dagli studi che tendono ad
individuare dinamiche comuni alla base della genesi degli abitati magnogreci, definendo l’impianto
ad assi ortogonali del IV sec. a.C. come il naturale sviluppo del frazionamento agricolo del territorio26.
L’analisi del processo di colonizzazione che investe l’Italia meridionale in epoca arcaica, infatti, non
può prescindere dallo studio dei fenomeni alla base della ktisis. Si tratta di un fenomeno che caratte-
rizza le apoikiai delle colonie siciliane sin dal VII sec. a.C., ma che dal V sec. a.C. diventerà indispen-

20
De Miro 2009, pp.138-139.
21
Gras, Trézyny, Broise 2004.
22
Lentini 1984-1985, pp. 809 ss.
23
Rallo 1976-77, pp. 720 ss.
24
De Miro 1996, p. 29.
25
De Miro 1992, pp. 26-31.
26
Di Vita 1983, pp. 69 ss.; sulle prime fasi dell’urbanizzazione siceliota cfr. Di Vita 1985, pp. 367-391; per un’analisi
generale del problema della distribuzione della terra e dei modi di lottizzazione in Grecia antica è ancora valido Asheri
1966.
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 131

sabile alla pianificazione del territorio. Le motivazioni di tale processo sono strettamente correlate al-
l’evoluzione della produzione agricola che abbandona l’antico sistema a campi ed erba per adottare
quello del maggese, con le necessità di regolamentazione delle proprietà e delle produzioni che questo
comporta27. La distribuzione dei lotti ai coloni, dunque, era regolata da appositi magistrati in base ad
un piano unitario contraddistinto da una divisione fisica - non solo giuridica - delle proprietà.
È un processo di derivazione arcaica dal quale discenderà il tipico impianto siciliano per strigas,
pre-ippodameo, caratterizzato da isolati molto allungati, orientati in senso nord-ovest/sud-est, separati
da stenopoi di circa 3,5 m e da plateiai orientate Est-Ovest di circa 10 m di sezione. Questo rappresenta
un modello caratteristico del VI sec. a.C. di tutti i territori periferici della Grecia28 che dalla seconda
metà del V sec a.C. sarà sostituito da tipologie più compatte e standardizzate, come illustrato in modo
particolareggiato nella descrizione della fondazione di Thurioi da parte di Diodoro Siculo29. Le città
di IV secolo, anche se non monumentali e strutturate come la megalopoli magno greca, recepiscono
la necessità urbanistica di isolati più compatti30.
L’abitato di Agrigento, al contrario, conserverà questa conformazione tipicamente arcaica31 per tutta
la sua vita insediativa. La sopravvivenza di tali proporzioni degli isolati fino all’età imperiale deve di-
pendere necessariamente da un opera di pianificazione importante che ben si colloca in un periodo di
documentata prosperità della città32 e di cui tuttavia la ricerca archeologica fornisce pochi dati33, giu-
stificandone la limitatezza con la distruzione del 406 a.C.34. Partendo, però, dalla costatazione che le
distruzioni delle città antiche non furono mai totali, l’analisi delle tecniche costruttive del quartiere el-
lenistico-romano permette di ricondurre cronologicamente alcune strutture a una fase precedente alla
devastazione del 406 a.C.
Nello specifico si fa riferimento alle murature che definiscono l’ambitus di separazione tra le case
IIA e IIB. La tecnica utilizzata prevede grossi blocchi squadrati di tufo locale disposti su un unico
paramento senza l’ausilio di grappe di fissaggio. La particolare accuratezza della lavorazione è rap-
presentata dalla duplice finitura delle superfici murarie: lisciate a gradina le superfici interne di con-
tatto, mentre verso l’esterno ogni blocco presenta una bugna grossolanamente sbozzata, incorniciata
da una periteneia liscia di circa m 0.05 sui quattro lati (fig. 3).
Allargando l’indagine sull’intero quartiere è stato possibile riconoscere la tecnica appena descritta in
più punti dell’area, sempre in corrispondenza degli ambitus o dei muri perimetrali lungo le strade. L’in-
dividuazione di questa particolare muratura risulta utile per due motivi: se da un lato permette di rico-
noscere parzialmente la divisione dei lotti abitativi dell’impianto di V sec. a.C., anche lì dove si è persa35,
dall’altro rappresenta, probabilmente, l’unica testimonianza dell’impianto del quartiere ante 406 a.C.36.

27
Per approfondimenti sulla derivazione agraria dell’impianto, Sereni 1997, pp. 35-39. Per le relazioni di carattere so-
ciale tra lottizzazione ed economia prevalente si veda Weber 2003, pp. 12-16.
28
Caliò 2012, pp.50 ss.
29
Sulla descrizione di Diodoro Siculo e la fondazione di Thurioi cfr. Caliò 2012, pp. 111-115 e 253-258, con biblio-
grafia.
30
L’impianto di IV sec a.C. è caratterizzato da isolati compatti con un rapporto di 1:2 tra i lati, come nel caso di
Solunto, cfr. Portale 2006, pp. 53-54.
31
Ad Agrigento il rapporto tra la larghezza e la lunghezza degli isolati è di 1:8.
32
La ricchezza di Agrigento durante il V sec a.C. è attestata dalla monumentalità del settore orientale della collina dei
templi e dalla migliore produzione di ceramica attica. De Miro 1992, p.156.
33
In riferimento al V sec. a.C. si segnala un’operazione di ricostruzione generica attestata da una soprelevazione dei
piani di calpestio: De Miro 2009, p.406.
34
Nel 406 a.C., nell’ambito delle guerre greco-puniche per il controllo del Mediterraneo, Akragas è invasa e distrutta
dai Cartaginesi.
35
In alcuni casi l’accorpamento di diverse unità abitative ha implicato lo smantellamento degli ambitus o per lo meno
di uno dei due muri che lo delimitavano. È il caso dell’ambitus longitudinale e di alcuni tratti di quelli trasversali dell’insula
I, dove è stato possibile individuare (lì dove il canale non è stato messo in luce dagli scavi in profondità) la prosecuzione
degli stessi attraverso l’identificazione di questa particolare tecnica bugnata.
36
L’occasione per una rifondazione della città nel V secolo potrebbe essere la ricchezza venuta a seguito della battaglia
di Himera dopo il 480 a.C. sotto Terone che muore nel 472 a.C. Dopo un periodo di instabilità politica negli anni centrali
132 Fernando Giannella

Fig. 3 - Muro di delimitazione sud dell'ambitus di separazione tra le case IIA e IIB, particolare del paramento bugnato esterno (foto dell'a.)

È un’ipotesi basata su osservazioni di carattere puramente tecnico-costruttivo che tuttavia non contra-
stano con i dati storici ed archeologici. I resti di queste strutture ancora in situ nell’area dell’insula I per-
mettono di ricostruire una quota di spiccato compatibile con le stratigrafie comprese tra il livellamento
del banco roccioso e lo strato di cenere attribuito alla distruzione di fine V sec. a.C. (fig. 4), mentre la
tipologia delle strutture pertinenti giustificherebbe la loro resistenza alla distruzione cartaginese. Gli
ambitus prevedono, infatti, strutture seminterrate e quindi più resistenti, per la creazione di canali peri-
metrali per il deflusso delle acque.
L’analisi delle strutture ancora visibili, dunque, permette di ricostruire un’ipotetica scansione in-
terna degli isolati che, come sarà dimostrato, risulta proporzionalmente adeguata e tipologicamente
affine agli impianti coevi. L’identificazione di questa tecnica evidenzia un sistema di delimitazione
degli isolati che prescinde dalle singole unità abitative, da cui risulta strutturalmente slegato (secondo
una tecnica diffusa per l’edilizia privata37). È impensabile, infatti, che un intervento di pianificazione
della griglia urbana che investa l’intera città, possa prescindere da un progetto unitario di base. Se a
questo si aggiunge la difficoltà dovuta alla regolarizzazione del suolo secondo terrazze che, indipen-
dentemente dall’orografia del terreno, rispettino la griglia, è chiaro che l’intervento rientri in un pro-
cesso di pianificazione centralizzato38.

del secolo, negli ultimi anni di questo, prima della guerra contro i Cartaginesi, Agrigento conobbe una grossa ricchezza
dovuta ai rapporti commerciali con il mondo punico e alla coltivazione della vite citata da Diodoro Siculo. Diodoro men-
ziona anche abitazioni particolarmente ricche di proprietari terrieri, come quella di Tellia, e specifica che la città in questa
fase aveva più di 20.000 abitanti (Diodoro Siculo XIII, 81-84). Cfr. Adornato 2011 p. 148.
37
Secondo il prof. Di Vita si tratta di un espediente antisismico, a mio parere potrebbe trattarsi di un accorgimento
progettuale della pianificazione urbana che prevede una lottizzazione degli spazi autonoma rispetto alla divisione interna
dell’abitazione.
38
Una pianificazione comunque parziale, che interessa esclusivamente la vallate, come testimoniato dalle abitazioni
puniche sulle pendici delle colline ad Ovest del quartiere che non rispettano la griglia generale.
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 133

Fig. 4 - Ambitus di separazione tra le case IA ed IB, particolare del livello di spiccato in prossimità del banco roccioso (foto dell'a.)
134 Fernando Giannella

Fig. 5 - Schema planimetrico della lottizzazione di epoca classica con evidenziazione dell’unità abitativa di base (disegno dell’a)

Trattandosi dunque di un intervento unitario di pianificazione urbana estesa all’intera vallata è


possibile ipotizzare l’utilizzo di un modulo, necessario a questo tipo di progettazione per strigas. Con
questi presupposti, è stato possibile individuare un modulo di circa 100 piedi39, pari alla distanza tra
gli ambitus trasversali che delimitano la casa IIB a Nord e a Sud40. Riportando poi questa scansione
nella parte nord si ottiene una successione perfetta di altri tre blocchi di pari dimensioni, di cui l’ultimo
più a Nord arretrato rispetto alla plateia di una misura pari alla profondità delle botteghe in testata.
Uno schema di cui non resta più traccia, ma che trova riscontro nell’articolazione dell’insula I dove,
riportando questa scansione a partire dall’ambitus tra le case IA ed IB, si individuano verso Nord
quattro moduli perfettamente in linea con la plateia. Questa particolarità giustificherebbe dunque lo
sfalsamento verso Nord degli ambitus dell’insula I con la mancanza di una testata specialistica del-
l’isolato, un dato evidente dalla comparazione planimetrica delle testate nord degli isolati scavati, ano-
malia, probabilmente, connessa alla vicinanza dello spazio agorale ad Ovest (fig. 5).
La creazione di questo ritmo ottenuto per semplice ricostruzione deduttiva dei processi di gene-
razione urbana restituisce una tipologia planimetrica che mostra sorprendenti analogie con impianti
dello stesso periodo. Dall’analisi dei tessuti urbani di Gela, Himera e Naxos, emerge una standardiz-
zazione dimensionale dell’unità abitativa caratterizzata da un impianto regolare più o meno quadrato41,
caratterizzato dalla posizione perimetrale, lungo gli ambitus, degli spazi scoperti. Alla luce di tutto
ciò, è possibile ipotizzare una conformazione degli isolati del quartiere residenziale agrigentino, ca-
ratterizzati da una simmetria centrale rispetto all’ambitus longitudinale nord-sud lungo il quale si di-

39
Si considera come unità di misura il piede dorico di m 0,326.
40
In entrambi gli ambitus è possibile riconoscere la tecnica del bugnato sopra descritta databile al V sec. a.C.
41
Ad Himera sono attestate abitazioni di m 16x16, mentre a Naxos e Gela di m 12x9. De Miro 1996, pp. 26-31.
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 135

Fig. 6 - Seconda terrazza nord del bouleuterion, particolare del para- Fig. 7 - Muro di delimitazione ovest dell'insula III, particolare del para-
mento bugnato (foto da De Miro 2011) mento bugnato nel tratto meridionale (foto dell'a.)

spongono lotti rettangolari di circa 50x100 piedi42, disposti a due a due tra gli ambitus trasversali che
scandiscono l’interno in senso nord-sud43. Nello specifico, questa ipotesi consentirebbe di rileggere
l’assetto planimetrico attuale della casa IIB come il risultato dell’unificazione di due lotti attraverso
l’eliminazione dell’ambitus nord-sud. Si tratta di un’operazione già documentata per la casa B44 del-
l’insula I adiacente, dove è ancora visibile, ad una quota più bassa, parte dell’ambitus longitudinale.
Nei secoli successivi il quartiere sarà sottoposto a numerosi rifacimenti che, tuttavia, rispetteranno
l’impianto precedente degli isolati, restaurando o integrando le strutture degradate o danneggiate. A
questo proposito, si è scelto di analizzare le tecniche costruttive pertinenti alle strutture perimetrali delle
abitazioni che documentano questa operazione di ricostruzione nel rispetto delle preesistenze. L’indagine
autoptica ha infatti permesso l’identificazione di una tecnica specifica utilizzata nella ricostruzione degli
ambitus e dei muri perimetrali degli isolati, che consente, almeno in questa sede, di tralasciare lo studio,
più complesso, delle tipologie costruttive che contraddistinguono le partizioni interne.
La tecnica in questione è rappresentata da un’opera isodoma in blocchi parallelepipedi di tufo lo-
cale montati a secco, senza elementi di fissaggio, che segue la doppia lavorazione dei paramenti del
muro di V sec. a.C.45 su cui si imposta. Come nel secolo precedente la superficie interna è lisciata,
mentre quella esterna è bugnata. Questa particolare tecnica si differenzia dalla precedente per la re-
golarità del bugnato in prospetto, non più rustico, ma regolare, caratterizzato da un trattamento a
gradina della faccia vista del blocco, incorniciato da una periteneia di circa 0.05 m, lavorata a sotto-
squadro. Nei chiari riferimenti alle strutture della fase precedente potrebbe intravedersi un’evoluzione
della tecnica costruttiva semplificata nelle forme e nelle geometrie. Si tratta di una tipologia ben do-
cumentata tra il IV ed il III sec. a.C. ad Agrigento, attestata nell’area del foro a Nord del bouleuterion,
nel tratto nord-sud della seconda terrazza46 (fig. 6).
Nell’area del quartiere è possibile riconoscere questa particolare tecnica nelle integrazioni del muro
di delimitazione ovest nell’area meridionale dell’insula III (fig. 7) e nella ricostruzione del margine

42
I confronti dimensionali con le abitazioni dell’epoca restituiscono unità abitative con superfici pari a 256 mq circa
disposte su 2 livelli. Nel caso specifico, è perciò ipotizzabile la divisione in lotti rettangolari (100 x 50 piedi) autonomi op-
pure frazionati in due parti indipendenti sviluppati su un unico livello (16x16 m). Ipotesi alternative sono fornite dallo
studio comparativo del quartiere ellenistico-romano con il cd. quartiere punico di Porta II, cfr. Guidone 2015, pp. 59 ss.
43
Si tratta di uno schema esemplificativo. La vicinanza con l’area pubblica dell’agorà superiore potrebbe, infatti, com-
portare variazioni planimetriche degli isolati limitrofi già in questa data, come attestato ad Olinto, dove gli atti di com-
pravendita evidenziano una differenziazione delle proprietà in base alla loro centralità. Cfr. Nevett 2000, p. 335; Caliò
2012, pp. 204-205.
44
De Miro 2009, pp. 47-65.
45
V. supra
46
Per le datazioni di questi terrazzamenti De Miro 2011 p. 39.
136 Fernando Giannella

Fig. 8 - Muro di delimitazione ovest dell'ambitus nord-sud dell'insula I, particolare del paramento bugnato (foto dell'a.)

ovest dell’ambitus che taglia longitudinalmente l’insula I all’interno della casa IB (fig. 8). In quest’ul-
timo caso, l’individuazione di questo paramento murario potrebbe attestare, ancora in questa fase,
una divisione in due unità indipendenti (IB1 ed IB2) della casa IB. La presenza del bugnato sul pa-
ramento ovest del muro in questione permette di identificarlo come uno dei margini esterni dell’abi-
tazione che dunque risulterebbe divisa, ancora in questa fase, dall’ambitus nord-sud.
È dunque possibile collocare gli interventi di IV-III sec. a.C. all’interno di un’operazione di rico-
struzione dell’esistente che non altera significativamente l’impianto originario, sopravvissuto fino alla
seconda metà del III sec. a.C., ma che si inserisce comunque all’interno di un programma edilizio
complesso che interessa sia i quartieri privati sia alcune strutture pubbliche, come gli interventi nella
zona del foro. La prime vere alterazioni planimetriche della lottizzazione interna sono da collocarsi
solo più tardi in epoca tardo-ellenistica, all’indomani delle guerre puniche, quando le nuove esigenze
di rappresentatività delle abitazioni private richiedono sempre più ambienti di rappresentanza secondo
una moda che è già attestata in Grecia, sia dalle ricerche archeologiche che dalle fonti letterarie47.
Questa crescita di monumentalità ha dato avvio ad un inevitabile stravolgimento del sistema delle ter-
razze, spostando il limite del terrazzamento non sulla mediana dell’isolato, ma su uno dei lati. Tale
operazione trova riscontro nell’indagine archeologica grazie all’individuazione di consistenti strati di
abbandono datati alla fine del III secolo con successivi rialzamenti dei piani di calpestio48.
Dal punto di vista costruttivo, la fase è caratterizzata dall’uso delle più svariate tecniche di costru-
zione: opera quadrata con filari irregolari e orizzontamenti discontinui, piccolo apparecchio con bloc-
chi informi e l’opera a telaio, di influenza punica (fig. 9). Evitando una classificazione minuziosa è
possibile, preliminarmente, identificare le cause di questa compresenza di tecniche. La soprelevazione

47
Caliò 2012, pp. 224-230 con bibliografia.
48
De Miro 2009, pp. 406-407.
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 137

Fig. 9 - Insula III, muro in opera a telaio (foto dell'a.)

dei piani di calpestio giustificherebbe le modifiche interne dell’impianto ormai abbandonato e par-
zialmente coperto e la notevole disponibilità di blocchi da riutilizzare. È proprio questa disponibilità
di materiale da costruzione la causa di questo sviluppo contemporaneo di tecniche eterogenee che
vedono la realizzazione di murature talvolta molto irregolari. Si tratta di una commistione di tipologie
dissimulata dall’utilizzo di massicci strati di intonaco che regolarizzano i paramenti e ne uniformano
i prospetti esplicitando quella volontà, tipicamente ellenistica, di monumentalizzazione scenografica
della città di iniziativa tanto pubblica che privata49. Le peculiarità tecniche e planimetriche che con-
traddistinguono ogni abitazione richiederebbero uno studio specifico dei singoli casi e dunque ne im-
pediscono una trattazione in questa sede. Un’immagine delle abitazioni in questa data, tuttavia, può
essere fornita dalle ricostruzioni grafiche delle case di Solunto50 che presentano caratteristiche mo-
numentali simili a quelle agrigentine.
L’analisi delle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento tra la fine del III
e l’inizio del I sec. a.C. può essere riassunta preliminarmente attraverso lo studio degli aspetti tecnici
innovativi. Il dato costruttivo ricorrente è rappresentato dall’applicazione di rivestimenti di calce di
notevoli spessori. L’analisi dei metodi di applicazione di questi intonaci permette una lettura della
stratigrafia verticale delle murature che copre l’intero periodo ellenistico-romano. Si distinguono tre
tipologie differenti impiegate tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. La tecnica più antica prevede l’applica-
zione per mezzo di una malta grossolana di frammenti di tegole per livellare eventuali avvallamenti
delle superfici verticali su cui in un secondo momento veniva steso uno strato più fine di intonaco di
calce (fig. 10). In questo periodo compaiono le prime pavimentazioni mosaicate di pregio caratteriz-
zate dall’assenza del consueto massetto di preparazione51 contenente schegge lapidee. Ad una fase
successiva è invece riconducibile la scalpellatura degli intonaci precedenti per l’applicazione di una
strato preparatorio uniforme, costituito da scapoli irregolari di tufo, adoperato anche per la realizza-
zione dei massetti delle pavimentazioni in cocciopesto e dei nuovi mosaici (fig. 11). Infine una terza
fase, dedotta dall’analisi degli intonaci, è rappresentata dai rivestimenti affrescati rinvenuti nell’area

49
In questo periodo si può collocare l’edificazione del cosìddetto Iseion nell’area nord occidentale del quartiere elle-
nistico-romano. Cfr. Caliò c.d.s, Giannella, Livadiotti, Fino c.d.s.
50
Per lo studio del sito di Solunto, cfr. Portale 2006. Per gli studi sulle abitazioni ellenistiche e le relative ricostruzioni
grafiche, si veda Wolf 2003, figg. 5-7-10.
51
Si veda il mosaico a losanghe nel vano d della casa I E/F. De Miro 2009, p. 103.
138 Fernando Giannella

Fig. 10 - Insula II, particolare dello strato di preparazione in frammenti ceramici per la stesura dell'intonaco (foto dell'a)

Fig. 11 - Insula II, particolare dello strato di preparazione in frammenti tufacei per la stesura dell'intonaco (foto dell'a.)
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 139

Fig. 12 - Insula I, particolare degli intonaci affrescati (foto dell'a.)

nord del quartiere (fig. 12). L’analisi stilistica di queste decorazioni, attribuibili al I stile52, restituisce
una datazione di questa fase costruttiva tra la fine del I a.C. e l’inizio del II sec. d.C. Alla stesso periodo
appartiene una particolare tessitura muraria realizzata in blocchi di tufo squadrati contraddistinti da
una particolare lavorazione dell’anathyrosis. In questo caso, infatti, le facce laterali dei blocchi sono
lavorate con particolari profili concavi, che riducendo le superfici di contatto a sottili fasce verticali,
creano un caratteristico giunto a mandorla sul letto d’attesa (fig. 13). Si tratta di una tecnica già do-
cumentata ad Agrigento nel rifacimento di I secolo d.C. dell’Iseion53.
L’indagine presentata descrive l’evoluzione di quelle dinamiche sociali, comuni a tutto il mondo
greco, che definiscono i diversi modi dell’abitare in epoca classica ed ellenistica, declinate secondo
specifiche esigenze locali dettate dalle peculiarità delle singole realtà abitative. Nel caso di Agrigento,
la persistenza di un impianto degli isolati che sopravvive immutato per molti secoli nasconde una pro-
fonda diversità del rapporto tra spazi pubblici e privati che, pur rispettando questa rigida griglia, in-
teragiscono in maniera diversificata per adattarsi alle esigenze contemporanee di chi li abita. In
quest’ottica è perciò possibile riscontrare sostanziali differenze tra l’abitato agrigentino classico e
quello ellenistico nonostante le apparenti analogie dell’impianto planimetrico. Il sistema agrigentino
di terrazze di età classica prevedeva una partizione longitudinale degli isolati per l’edificazione di due
schiere di abitazioni a quote differenti. Questa particolare conformazione a livello urbanistico fa sì
che l’osservatore percepisca un sistema terrazzato sfalsato rispetto a quello reale, in cui ogni singolo

52
De Miro 2009, p. 99.
53
Livadiotti c.d.s.
140 Fernando Giannella

terrazzamento è tagliato centralmente


dalla strada in quota con le due cortine
residenziali che ne delimitano i margini,
celando di fatto i salti di quota all’in-
terno degli isolati. Si potrebbe perciò ri-
tenere inopportuno parlare di città
terrazzata in quest’epoca in cui è chiaro
il carattere puramente funzionale di
tutta la sistemazione del suolo, in netta
contrapposizione alla volontà ellenistica
di monumentalizzazione della città at-
traverso apparati scenografici. La so-
cietà classica è contraddistinta da uno
spiccato carattere introverso delle abi-
tazioni54, una caratteristica riscontrabile
nell’edilizia domestica di questo pe-
riodo. Gli abitati di V secolo sono gene-
ralmente costituiti da abitazioni
sviluppate intorno ad un atrio scoperto
in cui lo spazio residenziale vero e pro-
Fig. 13 - Particolare della lavorazione dei giunti a mandorla (foto dell'a.) prio si estende nella parte interna, iso-
landosi dal fronte stradale d’accoglienza.
Questa particolare conformazione implica l’edificazione di fronti stradali omogenei e compatti, nei
quali il rapporto tra pubblico e privato è rappresentato da piccole aperture per gli accessi e raramente
da finestrelle soprelevate secondo un modello sociale urbano che ben distingue gli spazi pubblici
(agorà, santuari ecc.) da quelli domestici, in opposizione a quello ellenistico monumentale ed etero-
geneo. Con l’avvento dell’ellenismo, l’abitato agrigentino assumerà le sembianze di una città terrazzata
propriamente detta in seguito al rinnovamento stilistico delle grandi case ellenistiche55. Le variazioni
planimetriche che interessano i singoli isolati, infatti, modificano profondamente la percezione del-
l’impianto urbano. In particolare, gli ampliamenti delle proprietà che riguardano l’accorpamento di
più lotti limitrofi comportano un’abolizione del doppio fronte degli isolati. L’operazione implica un
decentramento della viabilità all’interno della griglia urbana rispetto alle terrazze. Ogni strada è infatti
delimitata sul lato est dai prospetti principali delle abitazioni su cui si aprono gli ingressi mentre ad
Ovest è delimitata dai fronti secondari delle case dell’isolato sottostante adiacente. In questa maniera
le nuove abitazioni monumentali ellenistiche svettano una sull’altra, con una sovrapposizione continua
di facciate, più o meno monumentali, per la creazione di una quinta scenica appositamente sviluppata
(fig. 14). Si tratta di un processo qui descritto in maniera schematica nelle sue conseguenze ultime le
quali, tuttavia, ben riassumono la graduale ed eterogenea evoluzione residenziale che trasforma le
piccole unità classiche a pastas in veri e propri palazzi di ispirazione ellenistica.
Per quanto riguarda le fasi più tarde dell’abitato, i resti archeologici e l’analisi stratigrafica si limi-
tano a delineare uno sviluppo pseudo-monumentale delle abitazioni, caratterizzato da un rialzamento
del piano di calpestio per l’edificazione di nuovi edifici con pavimenti mosaicati datati nel II-III sec.
d.C. e un successivo degrado delle strutture, avvenuto gradualmente tra IV e VI secolo56. Ulteriori
dati potranno essere dedotti dall’analisi dell’impianto d’età ellenistico-romana, indispensabile ad un
approccio di tipo evolutivo per la comprensione del sito.
In conclusione, è bene specificare che lo studio qui presentato si basa su un’analisi delle sole strut-

54
Il tema è ben illustrato da Nevett per il caso delle abitazioni classiche di Olinto.
55
Portale 2005, pp. 96-97.
56
De Miro 2009, p. 407.
Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento 141

Fig. 14 - Schematizzazione delle variazioni tra l’impianto terrazzato di V sec. a.C (a sinistra) e la sua evoluzione nel III sec. a.C. (a destra) con
schematizzazione della viabilità e degli accessi alle abitazioni (disegno dell’a.)

ture ancora visibili in situ57, grazie alle quali è stato possibile risalire ad una cronologia relativa. L’in-
dicazione delle datazioni assolute è dunque frutto di un’interpolazione tra i dati archeologici e sto-
rico-letterari che ha cercato comunque di rispettare la periodizzazione già proposta da E. De Miro
per la scelta degli intervalli cronologici.

57
Alcuni dei saggi in profondità effettuati nelle campagne precedenti sono stati ricolmati per migliorare la fruibilità
del sito.
143

Il quartiere residenziale di Agrigentum


in età tardo antica e bizantina
Maria Serena Rizzo

Il V secolo tra continuità di occupazione e trasformazioni

Gli interventi archeologici realizzati nel 2013 sono stati di estensione estremamente limitata e dettati
soprattutto da esigenze legate alla sistemazione dell’area ai fini della fruizione; hanno tuttavia rappre-
sentato l’occasione per effettuare una verifica di alcune situazioni archeologicamente poco chiare della
lunga storia del Quartiere, soprattutto relativamente alle forme più tarde della sua utilizzazione. Con
lo scavo dei “testimoni” dei saggi 9L e 10M si è avuta infatti la possibilità di indagare piccole porzioni
dei depositi archeologici formatisi all’interno di alcuni vani (a/a1, d1) dell’ala nord della Casa IIC e
nel vano h della casa IID a partire dal IV/V secolo, momento al quale già Ernesto De Miro aveva as-
segnato i crolli rilevati diffusamente nelle case del Quartiere e da lui attribuiti alle “incursioni vanda-
liche” 1. Nonostante le dimensioni estremamente ridotte, i lembi di stratigrafia indagati consentono
di precisare, almeno per i vani oggetto dello scavo, le fasi diverse di formazione dei depositi e di ve-
rificarne la cronologia.
In primo luogo, lo scavo dei due “testimoni” del saggio 9L ha rilevato la presenza di crolli sui pa-
vimenti dei vani, residui probabilmente di quelle tracce diffuse di distruzione di cui parla De Miro.
A prendere in considerazione l’evidenza, comunque limitatissima, dei nostri saggi, non si ricava tut-
tavia l’impressione che si tratti di crolli improvvisi e legati ad eventi traumatici: non ci sono significative
tracce di bruciato, non sembra ci siano oggetti improvvisamente abbandonati sui pavimenti; si può
forse piuttosto ipotizzare, in attesa che nuove e più estese indagini confermino o modifichino le im-
pressioni ricavate in questa prima fase della ricerca, che essi sopraggiungano come conseguenza della
mancanza di manutenzione delle coperture dei vani, forse già abbandonati al momento del loro col-
lasso; potrebbero, insomma, rappresentare l’esito di un lento processo di impoverimento e degrado,
che secondo De Miro sarebbe evidente già nel corso del IV secolo2. I pochi reperti datanti rinvenuti
nei nostri saggi, anzi, potrebbero suggerire che il crollo del tetto dei due vani possa essere avvenuto
già nel IV secolo, ma si tratta di un’evidenza davvero troppo limitata perché possa essere utilizzata
per trarne conclusioni cronologiche. Nell’ambito del IV secolo3 sembra si possa datare comunque la
suddivisione del vano l in tre ambienti più piccoli, apparentemente non comunicanti tra di loro, e
l’obliterazione del pavimento in signinum, sostituito da un piano in terra battuta. Dunque, già nel
corso di questo secolo si manifestano quelli che sembrano poter essere interpretati come i primi segnali

1
Si può ricordare ad esempio il caso del vano d1/d2 della casa IE/IF, con pregiato mosaico a rombi, sul quale si
deposita un crollo datato intorno alla metà del V secolo, De Miro 2010, p.105; crolli di tegole o strati di “distruzione e
abbandono”, datati dall’editore dello scavo al IV secolo, sono segnalati nei vani e nel portico nord della casa IIA, De Miro
2009, pp. 151-152 e pp. 154-160;
2
De Miro 2009, p. 407.
3
Sono queste le conclusioni cui giunge la revisione dei materiali dello scavo del 1953, effettuata da Nicola Casà nel-
l’ambito della propria tesi di Specializzazione conseguita presso l’Università degli Studi di Matera, a.a. 2014-2015.
144 Maria Serena Rizzo

della crisi; va tenuto presente comunque che ancora nella prima metà del IV secolo alcune case del
Quartiere sono oggetto di importanti interventi di rifacimento dell’apparato decorativo4, cui sembra
partecipino maestranze africane, segno evidente della presenza nel quartiere di personaggi in grado
di affrontare una spesa notevole e disposti ad investire nelle forme tradizionali di manifestazione dello
status. È piuttosto verso la fine del secolo, dunque, che potrebbe essere iniziato il processo di impo-
verimento e trasformazione delle domus che sembra evidente in tante aree del Quartiere. Può risultare
particolarmente interessante, peraltro, guardare alle vicende del Quartiere parallelamente a quanto
avviene nella vicina area di San Nicola, nella quale si può, con ogni probabilità, riconoscere il Foro
della città romana. Anche in quest’area, infatti, i primi decenni del IV secolo vedono ancora la realiz-
zazione di interventi sull’edificio del bouleuterion, che sarebbe stato trasformato in odeum e che riceve
una nuova pavimentazione a mosaico dell’orchestra5. Ma già entro la fine dello stesso secolo nel
settore del santuario ellenistico-romano il tetto dei portici crolla e non viene risistemato; un nuovo
piano in terra battuta viene steso al di sopra del crollo e su di esso vive una comunità che pratica at-
tività di tipo rurale connesse in particolare con l’allevamento: diversi fori passanti, finalizzati proba-
bilmente ad annodare la cavezza di animali, sono visibili infatti sulle strutture murarie6, mentre analisi
delle sezioni sottili del deposito archeologico, effettuate da Cristiano Nicosia, hanno ricostruito livelli
sovrapposti di lettiera e sterco animale7. Anche nell’area del Ginnasio , che si estendeva sulla terrazza
a Sud del poggio di San Nicola, sono stati rilevati importanti interventi in età costantiniana, consistenti
nell’edificazione di un ampio edificio interpretato come macellum8 sugli strati di abbandono del com-
plesso di età augustea; anche questo edificio viene abbandonato dopo il 360 e ricoperto da un potente
strato alluvionale9. L’area centrale della città antica, dunque, che è comunque quella che meglio co-
nosciamo dal punto di vista archeologico, sembra interessata da una crisi diffusa, evidente già a partire
dalla fine del IV secolo; impossibile dire, al momento, se essa sia espressione di una crisi generale
della città o segnali piuttosto lo spostamento del suo centro politico e religioso, e di conseguenza dei
quartieri destinati alla residenza delle classi privilegiate, in settori diversi dell’area urbana.
Che siano stati dovuti ad un evento specifico o rappresentino il segnale di un drastico mutamento
delle condizioni economiche e sociali dell’area residenziale, i crolli che si depositano sui pavimenti
delle case del Quartiere tra IV e V secolo segnano comunque l’inizio di un profondo cambiamento
delle modalità di occupazione delle domus e del loro stesso aspetto. Essi non implicano infatti la fine
della vita nell’area residenziale: sembra anzi, e i dati cronologici di cui disponiamo lo confermano,
che almeno alcuni vani siano stati rioccupati presto, seppure in forme estremamente povere: ne è un
esempio il vano h della casa IIC, rozzamente diviso dal muro 57L ed occupato da un semplicissimo
focolare, connesso con un piano in terra battuta ottenuto spianando la superficie del crollo, che obli-
terava a sua volta il più antico pavimento in signinum10. Anche nel vano d1 è riconosciuto da De Miro
un piano di calpestio sulla superficie di quello che viene definito livello/periodo VI, in connessione
con l’apertura di una soglia sul muro orientale dell’ambitus e l’obliterazione di quest’ultimo11; tale
piano di calpestio potrebbe non essere stato rintracciato nel nostro saggio perché manomesso dal-
l’impianto della calcara. L’intera casa IIC presentava comunque depositi di IV/V secolo, che, sem-
brerebbe, coprivano in diversi vani direttamente i pavimenti più antichi: impossibile comprendere
oggi, con i dati di scavo di cui disponiamo, quali fossero le caratteristiche di questi strati; tuttavia essi

4
Pensiamo in particolare alla Casa IIL, la cosiddetta Casa del Maestro astrattista., sui cui mosaici si veda Wilson
5
De Miro, fiorentini 2011, p. 40.
6
Livadiotti et all. 2016, p. 298.
7
Parello, Rizzo 2016, p. 54.
8
De Miro, Fiorentini 2011, pp. 85-93.
9
De Miro, Fiorentini 2011, p. 93.
10
Come avviene d’altronde in numerosi altri casi descritti da De Miro, per esempio nel vano d1/d2 della casa IE/IF,
al cui interno viene costruito il muro US1 che lo suddivide in due più piccoli, al di sopra del crollo e di un sottile accumulo,
il tutto datato ad un momento successivo alla metà circa del V secolo, De Miro 2009, p. 105, e in diversi vani della casa
IIA, suddivisi da muri costruiti al di sopra dei crolli, ibid., pp. 154-160.
11
De Miro 2009, p. 232.
Il quartiere residenziale di Agrigentum in età tardo antica e bizantina 145

Fig. 1

sembrano documentare l’uso degli spazi della casa fino almeno al V secolo, non sappiamo con quali
modifiche planimetriche e strutturali, vista la difficoltà di mettere in relazione una stratigrafia ormai
scomparsa con le diverse fasi delle murature. Obliterazione di pavimenti di pregio con semplici piani
in terra battuta, suddivisione di vani e chiusura di passaggi tra gli ambienti, finalizzate probabilmente
a ricavare unità abitative di piccole dimensioni, occupazione dei portici dei peristili con la costruzione
di vani sono evidenti in vari punti del quartiere e potrebbero almeno in parte risalire a questa fase.
In contrasto con la situazione di degrado dell’edilizia residenziale privata, gli spazi pubblici del
Quartiere, e dunque in primo luogo le tre strade N-S che separano tra loro i tre isolati messi finora in
luce, appaiono invece sostanzialmente rispettati: le strade mantengono i loro percorsi e sono addirit-
tura interessate da attività di manutenzione e restauro, evidenziate con la revisione del saggio nel
Cardo III. Oltre ai progressivi innalzamenti del livello stradale, che nel Quartiere rappresentano però
un fenomeno costante almeno dall’età ellenistica in poi, accompagnandosi ad analoghe sopraelevazioni
dei piani di calpestio delle abitazioni, sono infatti evidenti alcuni interventi di sistemazione e ripristino,
ed in particolare il rattoppamento del piano di calpestio in terra battuta con l’uso di gettate di coc-
ciopesto; non sono inoltre documentate finora invasioni delle sedi stradali da parte di strutture murarie
o tombe. In un momento apparentemente successivo al V secolo, infine, va datata la costruzione di
una canaletta, realizzata allineando longitudinalmente blocchi di calcarenite tagliati da un canale a
sezione quadrangolare, saldati tra loro e rivestiti all’interno con malta idraulica, che percorre il Cardo
III (fig. 1), sostituendo probabilmente, nella funzione di drenaggio e scolo delle acque piovane, gli
antichi canali che correvano negli ambitus, forse già obliterati, come potrebbe essere documentato
per l’ambitus che separava le case IIC e IID. Si tratta di interventi di manutenzione significativi, che,
insieme al rispetto delle sedi stradali, potrebbero indicare la persistenza di una struttura amministra-
tiva sufficientemente forte da impedire l’appropriazione privata degli spazi pubblici e da garantire il
funzionamento delle principali infrastrutture urbane.
146 Maria Serena Rizzo

Fig. 2

Crolli e successive rioccupazioni, in forme più o meno degradate, delle antiche domus sono am-
piamente attestati nelle città tardoantiche del Mediterraneo occidentale e rappresentano anzi uno
degli aspetti più eclatanti della trasformazione del paesaggio urbano proprio a partire dal V secolo12.
Nel caso di Agrigento, come si è visto, il degrado delle forme di occupazione del quartiere residenziale
coincide più o meno, dal punto di vista cronologico, con la defunzionalizzazione della piazza porticata
del santuario ellenistico-romano, nell’area del foro13 (fig. 2). Le analisi delle sezioni sottili effettuate
da Cristiano Nicosia attestano l’uso dell’area, probabilmente fino all’avanzato V secolo, per attività
connesse con l’allevamento di ovicaprini ed il progressivo innalzamento dei piani di calpestio, sia per
la sovrapposizione dei livelli di lettiera, spesso combusti, sia per l’utilizzazione dello spazio come di-
scarica (fig. 3), dove vengono buttate quelle che appaiono come gettate diverse di rifiuti14, ciascuna
delle quali contenente una percentuale maggiore o minore di cenere, di componenti organici, di pie-
trame. La presenza di una certa quantità di scarti di fornace di ceramica comune ed anfore suggerisce
l’esistenza, nelle vicinanze, di officine insediate all’interno dell’area urbana, mentre il recupero di di-
versi semilavorati, accanto ai prodotti finiti, attesta la produzione artigianale di oggetti in osso, ed in
particolare di diversi tipi di aghi crinali15.
La defunzionalizzazione della piazza e del tempio come spazio pubblico, politico e cultuale, accanto
ai crolli diffusi ed al degrado complessivo delle forme di occupazione del quartiere residenziale ad
esso più vicino, denunciano una trasformazione profonda di quello che era stato il nucleo centrale

12
Particolarmente significativo il caso di Roma, dove il fenomeno è stato collegato con il sacco vandalico del 455, San-
tangeli Valenzani 2012.
13
De Miro Fiorentini 2011, pp. 45-70; Caliò, Livadiotti, Belli Pasqua 2014.
14
De Miro, Fiorentini 2011, pp. 56-57.
15
Parello, Rizzo 2015, p.39.
Il quartiere residenziale di Agrigentum in età tardo antica e bizantina 147

Fig. 3

della città romana. Ma sono proprio i dati provenienti dall’area del santuario ellenistico-romano a
sconsigliarci dal considerare il cambiamento drastico intervenuto in questa parte della città come il
segnale di un generale tracollo della vita e della società urbana. La spoliazione sistematica dei mo-
numenti non implica infatti necessariamente il declino del potere pubblico, che potrebbe aver gestito,
o comunque autorizzato, il prelievo ed il riutilizzo degli elementi architettonici16 di un monumento
ormai obsoleto per il suo significato religioso e politico. D’altra parte, proprio l’esistenza di una do-
manda di materiale da costruzione, insieme al volume notevole dei rifiuti scaricati e all’abbondanza
di reperti contenuti nell’immondezzaio, alla varietà delle produzioni attestate dagli scarti, alla consi-
stenza delle importazioni di ceramica e infine alla notevole quantità delle monete rinvenute, possono
essere tutti interpretati come segni della persistenza, nell’area circostante il foro, di una popolazione
numericamente consistente ed impegnata in attività produttive e commerciali diversificate, ma anche
dell’esistenza di un ceto urbano ancora in grado di animare, coi propri consumi, la vita economica
cittadina. Una simile impressione si ricava d’altronde dai dati relativi alla necropoli che si sviluppa
lungo tutto il settore meridionale della collina dei templi (fig. 4)17: una necropoli assai estesa e com-
patta, che sembra lo specchio di una città dei vivi ancora strutturata e organizzata. Il complesso dei
reperti rinvenuti in uno strato che copre il settore di necropoli sub divo più recentemente indagato e
che sono stati interpretati come resti di riti di refrigerium al di sopra delle tombe18, inoltre, conferma
il quadro di consumi, produzioni ed importazioni che emerge dalla discarica dell’area del tempio ro-
mano. La continuità delle importazioni di sigillata africana nel IV e nel V secolo è stata d’altronde ri-
levata anche dall’analisi dei reperti rinvenuti negli scavi precedenti del Quartiere Ellenistico-Romano,

16
Christie 2006, p. 212.
17
Bonacasa Carra 1995; Bonacasa Carra, Ardizzone 2007.
18
Bonacasa Carra 1995, p. 39.
148 Maria Serena Rizzo

Fig. 4

nonostante si rilevi un netto decremento delle attestazioni di sigillata africana D rispetto alla A19, ed
è documentata anche nell’immondezzaio dell’area del tempio romano. Le anfore importate, quasi
esclusivamente dalle sponde del Nord-Africa, si affiancano in quantità significativa ai contenitori di
ridotte dimensioni di tipo siciliano20, di produzione locale, che rappresentano il tipo percentualmente
più rappresentato nei contesti del Quartiere e del Tempio Romano. Che Agrigento abbia continuato
a giocare un ruolo non irrilevante sul piano commerciale è d’altronde suggerito dalla documentazione
archeologica relativa all’Emporion21, che attesta la continuità del sobborgo portuale fino al VII secolo,
dato che si accorda con la testimonianza del Bios del vescovo Gregorio, che ha proprio nel porto e
nel monastero che si trovava nell’area uno dei punti nodali nello svolgimento delle vicende della vita
del Santo. Il cambiamento drastico delle modalità di insediamento evidenti nel settore residenziale
più vicino al foro, con l’impressione di degrado e impoverimento che esso trasmette, dunque, può
forse essere letto soprattutto tenendo conto del mutamento di destinazione funzionale dell’area cen-
trale della città: è possibile supporre insomma, in attesa di ricerche future indirizzate specificamente
a chiarire questo aspetto, che questo settore dell’abitato, contiguo ad un’area che ha ormai perso le
funzioni di centro civico, politico e religioso per trasformarsi in area a destinazione agricola e artigia-
nale, abbandonato dalle élite cittadine, sia stato occupato da classi più povere, impegnate nelle attività
che si svolgevano adesso in questa parte dello spazio urbano. Non va dimenticato infatti che, benché
molto ampio, il quartiere residenziale finora indagato rappresenta soltanto una parte dell’abitato di
età romana, di cui non conosciamo l’estensione reale22; non si può escludere dunque che altri settori

19
Polito 1995, p. 27.
20
Rizzo et all. 2014; Rizzo 2014a.
21
Caminneci, Cucchiara, Presti 2016
22
Le ricognizioni effettuate della cattedra di Topografia Antica dell’Università di Palermo hanno comunque delimitato
un’area entro la quale si sono raccolti in superficie reperti di età romana, Belvedere, Burgio 2012, fig. 41.
Il quartiere residenziale di Agrigentum in età tardo antica e bizantina 149

dell’antica città diventino la sede preferita dalle classi privilegiate ancora residenti nell’area urbana,
possibilmente in connessione con lo sviluppo di nuovi foci in grado di polarizzare l’insediamento, ri-
disegnandolo in funzione di nuove esigenze o del nuovo volto cristiano della città23. In effetti non co-
nosciamo nessun edificio di culto cristiano prima della trasformazione in chiesa del tempio della
Concordia24, posta tradizionalmente alla fine del VI secolo25, epoca cui risalgono anche, menzionate
nelle lettere di Gregorio Magno, le prime attestazioni certe di vescovi agrigentini26; il tema è comunque
tutto da indagare e indubbiamente rappresenterà uno dei principali filoni di ricerca per le indagini
future.

Il VI/VII secolo

Al di sopra dei crolli e, nel vano h, del focolare, si depositano spessi riempimenti, apparentemente
intenzionali, costituiti da terra sciolta, contenente pietrame e tegole, poco materiale organico, una
certa quantità di ceramica, la cui cronologia giunge fino alla fine del V secolo. Difficile dire in che
modo essi si siano formati: non si tratta di crolli strutturati, ma di materiali caoticamente accumulati,
forse intenzionalmente buttati a riempire gli ambienti abbandonati27. È probabilmente in questi riem-
pimenti che vengono scavate le tombe, anche se le condizioni in cui si trova il Quartiere impediscono
di affermarlo con certezza. Come si è detto più volte, le tombe, a cassone litico, sono sparse in tutta
l’area, isolate o in piccoli gruppi, si appoggiano spesso a muri delle antiche case, che dobbiamo dunque
immaginare affioranti, e ne rispettano gli orientamenti. La sommità delle lastre di chiusura, nei pochi
casi in cui sono conservate, si trova più o meno alla stessa quota della cresta dei muri più vicini.
Come si è visto, le tombe contengono quasi tutte inumazioni multiple, in alcuni casi per la sepoltura
contemporanea di più individui, in altri per la deposizione in momenti diversi, sia con la riduzione
dei resti dei defunti più antichi, sia con la loro sovrapposizione28. Pur in mancanza, per il momento,
di esami del DNA, è plausibile l’ipotesi che esse vengano riutilizzate per seppellire i membri di una
stessa famiglia, visto che non può essere stata certo la carenza di spazio a determinare una simile scelta.
L’inviolabilità della sepoltura e il timore dei morti potrebbero essere stati superati proprio in virtù
dei legami parentali che univano tra loro i defunti29. Si tratta comunque di un uso già attestato ad
Agrigento, nella necropoli paleocristiana della collina dei Templi e nell’Emporion30 e documentato
in altri cimiteri siciliani utilizzati nel V/VI secolo31. Come già detto, sono presenti anche due tombe
con sepolture multiple di soli infanti. In generale, va rilevata la prevalente giovane età dei defunti e la
notevole incidenza dei bambini. In un solo caso, quello dell’inumato US 13L della tomba 2, è possibile

23
Come è stato ipotizzato, ad esempio, per Herdonia, Volpe 2006, pp. 564-566, dove al declino dell’area forense si as-
socia la continuità d’uso ed il restauro delle terme di età imperiale. In generale, il modello interpretativo proposto per
Herdonia, che vedrebbe da una parte il declino della città come centro amministrativo e politico e dall’altra l’accentuazione
delle funzioni produttive e commerciali può forse essere utile anche a comprendere l’evoluzione del centro urbano di
Agrigento tra IV e V secolo.
24
Gli elementi architettonici e decorativi che sarebbero pertinenti ad una basilica posta nell’area dell’attuale hotel
“Villa Athena”, rinvenuti alcuni anni fa, che avevano spinto ad ipotizzarne la pertinenza alla cattedrale precedente la fon-
dazione del vescovo Gregorio, sono in effetti cronologicamente successivi.
25
Il tema è stato recentemente oggetto di nuovi tentativi di interpretazione e di un vivace dibattito, Ardizzone 2012,
pp. 31-37; Schirò 2014, pp. 170-184; Carrac.d.s.
26
Schirò 2014, pp. 27-35
27
, il riempimento con materiale vario di vani già abbandonati è un fenomeno ricorrente nei centri urbani tardo antichi
ed altomedievali.
28
Sulle tombe multiple vd. Giuntella 1998, p. 72.
29
Alapont 2009, pp. 153-154.
30
Caminneci 2014, p. 154.
31
Si può ricordare ad esempio la necropoli di S. Agata presso Piana degli Albanesi, utilizzata fino ai primi decenni del
VI secolo, Greco et all. 1993. Nel cimitero impiantatosi nell’agorà di Alesa, databile nel VI/VII secolo, la riduzione degli
inumati più antichi è attestata soltanto nelle sepolture infantili, Tigano 2009, p. 47.
150 Maria Serena Rizzo

documentare la morte violenta, causata da un colpo inferto al cranio.


Le tombe del Quartiere sono prevalentemente orientate in senso E-O, con la testa del defunto a
Ovest32, ma sono presenti anche alcune tombe con orientamento N-S. Le braccia sono in genere stese
lungo i fianchi, in qualche caso un braccio è piegato sul bacino. In alcuni individui sembra attestato
l’uso di un sudario ad avvolgere il cadavere33, riconoscibile sia per la particolare posizione del corpo,
in particolare degli arti inferiori, sia per la presenza di spilloni in bronzo, che potevano chiudere il
lenzuolo funebre. A differenza di quanto avviene nel settore di necropoli sub divo scavato negli anni
’80 e ’90, dove all’interno delle tombe non è stato rinvenuto quasi nessun oggetto, mentre sembrano
attestate piuttosto le deposizioni esterne a seguito della celebrazione di riti di refrigerium, alcune se-
polture del Quartiere avevano elementi di corredo, sia di tipo personale, sia di tipo rituale. Oggetti
personali sono stati rinvenuti in particolare nella tomba 2, in relazione con due diverse inumazioni:
un orecchino e una fibula ad anello in bronzo dorato, che sembrano appartenere ad una stessa parure,
dovevano essere indossati al momento della sepoltura dall’inumato più recente, una giovane donna;
una collanina, composta di vaghi in vetro e monete di bronzo forate, era invece con ogni probabilità
posta al collo del piccolo inumato (US 11L), deposto sul bacino di un maschio adulto. Particolarmente
diffuso nel mondo barbarico, l’uso di perforare le monete per utilizzarle come pendenti, con funzione
esornativa e talismanica, è documentato già in età romana34 ed è attestato anche in Sicilia; almeno una
moneta forata è stata rinvenuta nell’area della cosiddetta “necropoli paleocristiana” di Agrigento.
Funzione protettiva nei confronti del defunto avevano anche le monete deposte all’interno delle se-
polture con funzione di corredo rituale35: nel nostro caso sono state rinvenute una moneta non forata
nella stessa tomba 2, posta all’altezza del bacino della giovane donna cui erano pertinenti anche l’orec-
chino e la fibula, una nella tomba 6, in relazione ai tre bambini deposti contemporaneamente36, ed
una nella tomba 3, in relazione con l’inumato 28L. Le condizioni di rinvenimento dei reperti, soprat-
tutto a causa dell’azione di roditori ed altri animali all’interno dei riempimenti dei cassoni, hanno reso
difficile l’associazione certa di ciascuna moneta con le singole inumazioni, nonché la definizione della
loro posizione rispetto al defunto. Le monete sono tutte databili al IV secolo; alcune sono poco usurate
e ancora ben leggibili, mentre altre, tra cui quelle forate, hanno segni più evidenti di uso. La presenza
di monete più antiche in tombe di VI-VII secolo è anche altrove attestata; essa potrebbe essere dovuta
alla necessità di non “sacrificare” conii ancora in uso37, anche se non si può escludere che le monete
fossero ancora circolanti al momento della loro deposizione nelle tombe.
Funzione talismanica aveva probabilmente anche l’operculum di astraea rugosa, rinvenuto nella
tomba 238, che poteva forse in origine essere inserito in un gioiello.
Soltanto una delle inumazioni scavate nel 2013 aveva un corredo ceramico, costituito dalla broc-
chetta in sigillata africana associata ai tre piccoli defunti, sepolti contemporaneamente, della tomba
6. Si tratta di un oggetto importato, probabilmente di un certo pregio in relazione all’epoca in cui è
stato seppellito. Ad Agrigento non era finora attestata l’usanza, diffusa ampiamente in epoca tardo
antica e bizantina, di deporre una brocchetta nella sepoltura, oggetto il cui significato rituale e sim-
bolico è con ogni probabilità collegato con l’acqua e con il suo valore purificatore39.

32
Come nelle sepolture della cd. necropoli paleocristiana, Carra 1993, p. 33 orientate in senso E-O. L’orientamento
con il cranio ad Ovest, che, ad esempio, nella Betica diventa costante solo a partire dal VI secolo, RomànPunzòn 2009, p.
125, ha probabilmente un valore simbolico in contesti cristiani.
33
Stasolla 2013, p. 375.
34
Perassi 2011/2012.
35
Perassi 2001; Duchemin 2012.
36
Si tratta della moneta 1192. Le altre monete, rinvenute nella parte superiore del riempimento della cassa litica, po-
trebbero essere state pertinenti ad inumazioni più antiche distrutte per svuotare la tomba e riutilizzarla.
37
Papparella 2009, p. 40
38
Opercula di astraea rugosa sono stati rinvenuti in tombe di epoca bizantina a Cartagena, dove ancor oggi essi sono
utilizzati con funzione protettiva in anelli e pendenti, Madrid Balanza, VizcaìnoSànchez 2006, p. 215; Rabal Saura 2008,
p. 91, n. 34.
39
Stasolla, Marchetti 2010.
Il quartiere residenziale di Agrigentum in età tardo antica e bizantina 151

La presenza dei gruppi di tombe nel Quartiere rientra in un fenomeno, quello delle sepolture in
urbe, caratteristico delle trasformazioni urbane di epoca tardo antica ed altomedievale. Esso presenta
però ad Agrigento degli aspetti specifici40. Le tombe agrigentine, infatti, organizzate in piccoli gruppi
e sparse in una vasta area, occupano spazi già privati, mentre rappresentano una presenza sporadica
nell’area del Foro e non sono presenti nell’altro spazio pubblico indagato estensivamente, quello oc-
cupato nella prima età imperiale dal Ginnasio e in età costantiniana da un edificio di natura forse
commerciale. Questa situazione appare differente da quanto avviene invece in molti centri urbani oc-
cidentali41 ed è documentato anche in Sicilia, per esempio a Lilibeo e Alaesa, dove vasti nuclei sepol-
crali occupano le aree forensi42. Il quartiere, d’altronde, non è un’area periferica dell’insediamento
urbano, non lo era almeno in età romana: al contrario, esso, confinante con il foro, è posto proprio
nel cuore della città antica. Non si può dunque immaginare che, come avviene in diversi centri urbani
di simile collocazione geografica, politica e culturale43 e vicini per dimensioni ed importanza, il cimitero
rappresenti un’espansione entro le mura urbiche di una necropoli extraurbana: questo, come si è
visto, è vero, con ogni probabilità per la necropoli della collina dei templi, ma non sembra possa essere
il caso dei nuclei sepolcrali inseriti nel Quartiere. Va osservato, infine, che non vi è alcun elemento
che consenta di ipotizzare che ad attrarre le tombe nel quartiere residenziale possa essere stata la
presenza di un edificio di culto, di cui al momento non vi è traccia. In ogni caso, proprio la distribu-
zione delle sepolture in gruppi sparsi induce ad escludere un’attrazione esercitata da un singolo luogo
di culto o da una tomba venerata.
In ogni caso, per una convincente interpretazione delle tombe del Quartiere mancano i dati essen-
ziali alla comprensione del contesto in cui esse erano inserite: bisogna immaginare che l’area fosse oc-
cupata dal cimitero perché completamente spopolata o, al contrario, vedere proprio nella presenza
delle sepolture la testimonianza di una continuità del popolamento di questo settore della città? Ad
orientarci verso la seconda ipotesi è la stessa distribuzione in nuclei sparsi, che sembrerebbe potersi
giustificare immaginando che i gruppi di tombe si alternassero agli spazi occupati da abitazioni, forse
in materiale deperibile44.
Un ultimo tema di riflessione riguarda le relazioni tra il cimitero della collina dei templi e l’uso fu-
nerario dell’area del Quartiere. Alla seconda metà del V secolo/inizio del VI possono infatti essere
datate le lucerne rinvenute nella rotonda XII della catacomba Fragapane e nell’ipogeo D di Villa
Aurea. Tra VI e VII secolo è documentata la frequentazione della necropoli Giambertoni, all’esterno
della cinta muraria, da cui proviene un gruppo di lucerne africane di forma X, di cui una attribuibile
alle produzioni più tarde45. Sembra dunque che rimanga attiva la necropoli più antica46, negli stessi
anni in cui gruppi sparsi di sepolture si collocano invece in spazi privati, senza alcun collegamento,
almeno apparente, con edifici religiosi. Impossibile, allo stato attuale delle ricerche, comprendere le
ragioni per cui un gruppo di abitanti della città abbiano preferito, o siano stati costretti a scegliere, la
sepoltura al di fuori del cimitero strutturato, organizzato e gestito dall’autorità ecclesiastica, in spazi
privati adiacenti ai luoghi in cui si continuava a vivere, sottratti, possiamo ritenere, al controllo pub-

40
Per una recente sintesi delle principali problematiche connesse con il tema delle sepolture intramuranee si veda Mo-
linari 2014, pp. 268-269.
41
Si vedano alcuni esempi raccolti in Christie, pp. 257-; per l’Italia meridionale si veda ad esempio il caso di Herdonia,
Piepoli 2008.
42
A Palermo alcune tombe sono inserite nel peristilio della domusdi Piazza della Vittoria, che potrebbe tuttavia essere
divenuta, in epoca cristiana, un edificio di culto, BonacasaCarra 1987, p. p. 315; Ardizzone, Pezzini 2014, p. 285.
43
In parte diversa è per esempio la situazione di Roma o di alcune città di area longobarda, come Brescia, Christie pp.
254-257.
44
La situazione agrigentina si può forse confrontare, fatte le dovute differenze, con quanto emerge per la città di Roma,
dove il crollo demografico si manifesta attraverso una diluizione della densità dell’occupazione, con abitazioni abbandonate
e riempite che si alternano ad altre ancora abitate ed alle sepolture, Santangeli Valenzani 2007, pp. 67-68.
45
Ardizzone 2012, pp. 26-27.
46
Sui problemi connessi con la cronologia e la destinazione della fondazione attribuita al vescovo Gregorio si vedano
le recenti considerazioni in Ardizzone 2012, pp. 31-37; Schirò 2014, pp. 37-39; 170-184.
152 Maria Serena Rizzo

blico. Le diverse possibilità interpretative47, pertinenza a gruppi sociali o culturali diversificati, scelte
di maggiore economicità, esclusione, per ragioni che ignoriamo, di una parte della popolazione dal-
l’area cimiteriale tradizionale, rappresentano per il momento soltanto ipotesi da tentare di verificare
con le prossime ricerche48.
Va infine ricordato che l’area è utilizzata ancora almeno fino alla fine del VII/inizi dell’VIII secolo,
come è attestato in particolare dalla presenza di lucerne a ciabatta, rinvenute in vari punti del quartiere,
tra i quali va segnalato lo strato di obliterazione del piano indicato come livello VI da Ernesto De
Miro nel vano l della Casa IIC49, e ulteriormente documentata anche dalle ricerche successive al 2013.
Quali forme abbia assunto questa utilizzazione altomedievale è per il momento impossibile dirlo: la
comprensione di queste fasi più tarde di occupazione dell’area del Quartiere rappresenta anzi uno
dei filoni più interessanti per la prosecuzione della ricerca.

47
Molinari 2014, p. 269.
48
Secondo G.P. Brogiolo “è plausibile che chi seppelliva i propri morti presso le case appartenesse ad un gruppo di
basso rango, con limitati orizzonti ideologici e sociali”, Brogiolo 2011, p. 144.
49
De Miro 2009, p. 232.
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159

Indice

5 Le nuove ricerche nella Valle dei Templi: indirizzi di ricerca, metodologie, finalità
Giuseppe Parello

9 Il Quartiere Ellenistico-Romano: Storia degli studi e prospettive di ricerca


Maria Concetta Parello

17 Saggio 10 J
Maria Assunta Papa

29 Saggio 12 M
Maria Concetta Parello - Magda Modica

55 Saggio 11 K
Romina Sutera

73 Saggio 9 L
Maria Serena Rizzo - Magda Modica

89 Le tombe del Quartiere Ellenistico Romano, campagna di scavo 2013


Zelia Di Giuseppe

111 Metodologie di scavo e documentazione


Maria Assunta Papa

127 Indagine preliminare sulle tecniche costruttive del quartiere ellenistico-romano di Agrigento
Fernando Giannella

143 Il quartiere residenziale di Agrigentum in età tardo antica e bizantina


Maria Serena Rizzo

153 Bibliografia
Finito di stampare nel mese di dicembre 2015
dalla Tipografia Lussografica di Caltanissetta

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