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15 settembre 2023 - 19:37 > Versione online

Avremmo bisogno di un Ministero


dell’Immigrazione? – Il post – .
L’immigrazione è uno dei grandi fenomeni del nostro tempo, complesso da gestire e che
richiederebbe soluzioni un po’ radicali e sistematiche. L’Italia e gli altri grandi Paesi
europei in teoria avrebbero le risorse per organizzarsi e farsi carico degli arrivi, eppure il
sistema di accoglienza italiano si rivela ormai da anni inadeguato: in concomitanza con
l’aumento delle partenze via mare si sta sovraccaricando, poiché sta accadendo in
questi giorni a Lampedusa, e le strutture presenti sul territorio non hanno abbastanza
posti.
Al 13 settembre erano arrivate in Italia oltre 113mila persone, quasi il doppio delle
65mila del 2022 e un numero prossimo a superare addirittura il dato del 2016, l’anno
finora più intenso in termini di sbarchi.
Non solo l’attuale governo ma anche gli altri negli ultimi anni si sono ripiegati su se stessi
nel tentativo di gestire il fenomeno, e questo si spiega in parte con il fatto che
l’immigrazione è una questione molto delicata dal punto di vista politico. Ma ci sono
anche ragioni più concrete: il sistema di accoglienza è frammentato e, dato che è di
competenza del Viminale, l’approccio utilizzato è prevalentemente basato sulla
sicurezza. L’Italia, infatti, a differenza di altri Paesi, non ha un Ministero
dell’Immigrazione, pur essendo tra i più esposti al fenomeno in Europa per ragioni
territoriali. Esperti e analisti propongono ciclicamente l’idea di istituire un organismo
simile, che possa farsi carico di tutte le pratiche legate ai flussi migratori e gestirle con
metodi e competenze diverse rispetto a quanto fatto adesso.
– Leggi anche: Il molo di Lampedusa è gremito di migranti
In Italia il principale organo che si occupa di immigrazione è il Ministero dell’Interno che,
secondo quanto stabilito da un decreto legislativo del 1999, deve tutelare «i diritti civili,
compresi quelli di confessione religiosa, cittadinanza, immigrazione e asilo”. Questo però
è solo uno dei compiti del Ministero, che tra l’altro è chiamato a garantire il corretto
funzionamento degli enti locali e dei servizi elettorali, a tutelare l’ordine e la sicurezza
pubblica e ad amministrare le strutture dello Stato sul territorio, ad esempio attraverso le
prefetture. Nel corso degli anni, questo mix di funzioni ha fatto sì che l’approccio adottato
dai funzionari nei confronti dei flussi migratori sia diventato molto attento alle politiche di
sicurezza, e meno all’organizzazione dei servizi sociali e integrativi necessari al corretto
funzionamento del sistema di accoglienza.
L’immigrazione è stata quindi caratterizzata come una questione di sicurezza, che ha
poco a che fare con le politiche sociali. Gran parte del lavoro svolto dal Viminale nei
confronti dei migranti, infatti, passa attraverso le prefetture, i centri di identificazione (gli
hotspot) e quelli per i rimpatri, mentre le attività di integrazione vengono spesso
accantonate o delegate ad associazioni, cooperative ed enti locali. .
Non è un caso che i decreti per la gestione dell’immigrazione approvati nel 2018
dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini si chiamassero Decreti Sicurezza e
contenessero principalmente misure volte a disincentivare e punire gli sbarchi, approccio
adottato anche dal governo di Giorgia Meloni con il decreto Cutro di lo scorso marzo.
Inoltre, è una tendenza che riguarda anche i governi passati, con altri orientamenti
politici. I decreti approvati nel 2017 e voluti dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti
del Partito Democratico, affrontavano il forte aumento del numero di arrivi iniziato nel
2015 introducendo norme più severe su espulsioni e sicurezza.
– Leggi anche: I “decreti sicurezza” sono un fallimento

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L’attribuzione di competenze in materia di immigrazione al Ministero dell’Interno non è


una peculiarità italiana. Funziona in modo simile in molti paesi europei, tra cui Francia e
Germania, e anche a livello comunitario il tema è di competenza della Direzione
Generale per la Migrazione e gli Affari Interni (DG HOME). In Spagna, invece, fino al
2020 l’immigrazione era di competenza del Ministero del Lavoro, della Migrazione e
della Previdenza Sociale, che il governo del socialista Pedro Sánchez ha poi separato
creando il Ministero del Lavoro e dell’Economia Sociale e quello della Previdenza
Sociale, dell’Inclusione e migrazione. In alcuni Paesi, come Canada e Australia, esiste
un vero e proprio Ministero dell’Immigrazione. In Francia tra il 2007 e il 2010 è stato
attivo il Ministero dell’Immigrazione, dell’Integrazione, dell’Identità Nazionale e dello
Sviluppo Solidale.
«Fino a quando l’Italia era un paese prevalentemente di emigrazione, queste questioni
erano meno rilevanti e venivano gestite dal Ministero del Lavoro, perché si parlava
soprattutto di movimento dei lavoratori», dice Maurizio Ambrosini, docente di Processi
migratori all’Università Statale di Milano . L’approccio ha cominciato a cambiare negli
anni ’90, quando le responsabilità sono state gradualmente spostate al Ministero
dell’Interno e l’immigrazione “è diventata prevalentemente una questione di sicurezza”.
Secondo Ambrosini il Viminale dispone di più strumenti di altri per gestire i richiedenti
asilo, ad esempio attraverso gli uffici delle Questure e delle Prefetture presenti su tutto il
territorio nazionale. Allo stesso tempo, però, questo modello garantisce che
l’accoglienza dei richiedenti asilo, che dovrebbe essere prevalentemente una questione
di politiche sociali, sia gestita da funzionari che non necessariamente hanno “particolari
competenze” in questo ambito. «Non so se un ministero specifico sarebbe la soluzione
giusta, ma sicuramente spostare alcune responsabilità, come quelle sui rifugiati,
all’interno del ministero delle Politiche sociali mi sembrerebbe sensato», dice Ambrosini.
Oltre all’approccio c’è anche un problema, apparentemente più banale, di
organizzazione burocratica. Le responsabilità del sistema di accoglienza italiano sono
frammentate e affidate a molteplici enti. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
ad esempio, ha il compito di pianificare e gestire i flussi di migranti regolari,
promuovendo il loro inserimento nel mercato del lavoro e coordinando le attività per la
tutela dei minori stranieri, altro importante ramo del sistema di accoglienza che segue
diverse procedure rispetto a quelle applicate agli adulti. Il Ministero dell’Istruzione deve
gestire l’inserimento degli studenti stranieri nelle scuole italiane, soprattutto se in età di
obbligo (sotto i 16 anni), mentre il Ministero degli Affari Esteri contribuisce a negoziare
gli accordi internazionali sui rimpatri.
La fusione di tutte queste competenze potrebbe quindi semplificare e rendere più
organiche le procedure, ma presenta anche alcuni rischi. Enrico Gargiulo, professore di
Politiche di integrazione e cittadinanza locale all’Università di Bologna, afferma che
potrebbe “creare l’impressione che l’immigrazione sia un mondo a parte, una realtà
eccezionale che deve essere regolata come tale”. Inoltre, l’eventuale nuovo ministero si
occuperebbe solo dei migranti e dei richiedenti asilo più svantaggiati, mentre le persone
più benestanti continuerebbero ad avere accesso a percorsi privilegiati, accentuando
ulteriormente le disuguaglianze.
In generale, però, alcuni analisti sostengono che la struttura organizzativa delle
istituzioni italiane in materia di immigrazione sia ormai datata e inadatta a gestire flussi in
costante aumento. Secondo Andrea Graziosi, docente di Storia contemporanea
all’Università Federico II di Napoli, per migliorare le cose servirebbe un cambiamento
culturale: «Fino agli anni Ottanta l’Italia è sempre stata un paese di emigrazione», e non
è ancora riuscita ad adattarsi alle una situazione cambiata. «Oggi esiste solo la gestione
di ordine pubblico delle migrazioni spontanee», dice Graziosi, aggiungendo che
bisognerebbe invece “programmare” l’arrivo dei migranti e consentire loro di raggiungere

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regolarmente l’Italia, favorendo anche il lavoro e l’integrazione sociale. «Questo non può
farlo il Viminale: servirebbe un’agenzia, con componente sia politica che tecnica, che
studi gli esempi migliori e affronti il problema dell’integrazione», dice.
Il sistema di pianificazione dei flussi migratori citato da Graziosi esiste già, ma finora non
ha mai funzionato in modo soddisfacente. Ogni anno, infatti, il governo italiano approva
un nuovo cosiddetto “decreto flussi” con cui stabilisce quanti e quali lavoratori
extracomunitari potranno arrivare regolarmente in Italia negli anni successivi. In
generale, però, i posti messi a disposizione non sono sufficienti: lo scorso marzo sono
arrivate oltre 240mila domande, a fronte di circa 83mila posti disponibili.
L’idea di un ministero che riunisca tutte le competenze è un’idea su cui si discute da
anni. Nel programma presentato per le elezioni del 25 settembre 2022, l’alleanza tra
Azione e Italia Viva ha sostenuto che l’immigrazione è stata gestita «con politiche
contraddittorie da parte di diversi ministeri», e ha quindi proposto di istituire un
«ministero per l’immigrazione» proprio per «superare la frammentazione delle funzioni
dei diversi uffici». Nel 2019 anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi,
intervenendo al Partito Democratico a Ravenna, si era detto favorevole all’istituzione di
un Ministero per l’Immigrazione, “vista la complessità del problema”. L’idea si trova
anche in un disegno di legge del 1999, mai esaminato in parlamento.
Anche a questo riguardo esiste qualche precedente. Tra il 2011 e il 2013 il fondatore
della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi è stato nominato ministro dell’Integrazione
con il governo tecnico di Mario Monti, mentre tra il 2013 e il 2014 il governo Letta ha
istituito la carica di ministro dell’Integrazione, affidata a Cécile Kyenge. Tuttavia,
entrambi non hanno avuto un impatto significativo sul sistema di gestione nel suo
complesso.
Secondo Eduardo Barberis, professore di Politiche dell’immigrazione all'Università di
Urbino, un modello promettente è quello del Servizio Centrale SAI: coordina le attività
di tutti gli enti locali, associazioni e cooperative coinvolte nel sistema di accoglienza e
integrazione, fornendo anche assistenza tecnica e raccolta dati sugli interventi effettuati.
Il Servizio Centrale è stato istituito dal Ministero dell’Interno, ma è gestito
dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI).
Non tutti gli studiosi sono d’accordo con l’idea di creare un nuovo ministero incaricato di
occuparsi esclusivamente dell’immigrazione: c’è chi sostiene che l’attuale quadro
normativo presenta già tutti gli strumenti necessari per gestire il fenomeno migratorio, e
che dovrebbe quindi adoperarsi per migliorarli, rafforzarli e riformarli piuttosto che
investire risorse finanziarie e umane nella creazione di un nuovo organo amministrativo.
Mariateresa Veltri, docente di diritto dell’Unione europea all’Università di Bologna e
giurista specializzata in immigrazione, dice ad esempio che sarebbe auspicabile rivedere
alcune norme ormai datate: un esempio è la legge Bossi-Fini del 2002, che mirava a
ridurre drasticamente l’immigrazione irregolare nei confronti dell’Italia ma si è rivelato del
tutto inefficace. Tra l’altro, la legge limita l’ingresso in Italia solo ai migranti già in
possesso di un contratto di lavoro, un sistema fallito che ha infatti prodotto l’effetto
opposto a quello annunciato dai suoi sostenitori, aumentando la presenza di migranti
irregolari.
Anche a livello europeo si potrebbe adottare un approccio diverso, dice Veltri, senza
“battere i pugni” ma “stringendo alleanze volte a rafforzare i meccanismi di solidarietà
nella riforma del sistema di asilo, e non ad indebolirli”.
– Leggi anche: Il vero motivo per cui l’immigrazione in Italia non funziona

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