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UNIVERSITÀ PER STRANIERI DI SIENA

Dipartimento di Ateneo per la Didattica e la Ricerca


Corso di laurea in competenze testuali per l’editoria

Le Mie prigioni di Silvio Pellico.

Prof./Prof.ssa Luigi Spagnolo.

Marangi Gaia
06998

Anno Accademico 2021-2022.

1
Indice

Capitolo 1. I temi delle Mie prigioni di Silvio Pellico ........................................................................


Capitolo 2. Lo stile delle Mie Prigioni.................................................................................................
Riflessioni finali.................................................................................................................................

2
. Capitolo 1. I temi delle Mie prigioni di Silvio Pellico

L’autobiografia Le mie Prigioni di Silvio Pellico fu pubblicata, per la prima volta, a Torino nel
1832. L’opera fa riferimento ad un contesto storico ben preciso quello dei moti carbonari del
1820-1821. Silvio Pellico, già membro della rivista torinese il Conciliatore, per cui svolgeva
un’intensa attività giornalistica, entra a far parte della società segreta della Carboneria nel 1820.
Lo stesso anno viene arrestato ed è condannato a dieci anni di reclusione1.
Le Mie Prigioni è un opera scritta in seguito all’esperienza di prigionia. Essa è composta da
novantanove capitoli, che si potrebbero far coincidere con una prima parte dell’opera, a cui
segue, una sorta di appendice formata da altri dodici capitoli. Questa sorta di appendice tratta il
felice ricongiungimento dell’autore con la propria famiglia, ribadisce l’importanza della fede
cristiana sulla dottrina dei lumi e riassume la genesi dell’opera in generale e la reazione generale
che la sua pubblicazione ha suscitato.
Il lungo periodo di reclusione è narrato nella prima parte. Esattamente il 13 ottobre 1820 Silvio
Pellico, dopo essere stato arrestato, viene portato nel carcere di Santa Margherita. Dopo un anno,
è trasferito presso il carcere dei Piombi nello stato di Venezia. L’ultima fase di prigionia inizia il
10 aprile 1822 ed ha luogo nel carcere duro dello Spielberg in Austria.
I dodici capitoli seguenti narrano il felice momento del ricongiungimento con la famiglia (a partire
dal 1830) e contengono altre riflessioni. Tra di esse figura quella inerente alla scrittura.
L’autore, sin dalle prime pagine, giustifica la pratica della scrittura autobiografica ovvero lo
«scrivere di sé2». Attraverso la stesura delle sue memorie l’autore si distanzia dal fine
dell’autocelebrazione o del biasimo, orientandosi verso quello didascalico. Si parla di intento
didascalico quando si ritiene che il lettore seguendo dall’interno le vicende di un uomo possa
crescere moralmente facendo proprie le vicissitudini politiche e religiose dell’autore.(cfr.
Armellini-Colombo 2003:239).
Sin dal primo capitolo l’autore dichiara di voler mettere da parte la trattazione inerente alle
questioni politiche. Infatti, parla della sua relazione con la politica in termini di:« un amante che
è stato trattato male della sua amata». Egli rimane coerente a questa volontà: nei capitoli seguenti
mancano riflessioni esplicite inerenti al tema. Questa volontà emerge chiaramente nel capitolo
tredicesimo in cui l’autore riporta il dialogo avuto con i prigionieri vicini accusati di furto. I
prigionieri tentano di indovinare la causa della prigionia dell’autore e una volta scoperta gli

1
(cfr. Armellini-Colombo 2003:241)
2
Nell’antichità il «parlare di sé» doveva essere sempre giustificato. Senza una giustificazione plausibile
questo esercizio letterario veniva visto negativamente, sia perché nessuno sente il bisogno di parlare male
di se stesso, sia perché biasimarsi era ritenuta una pratica negativa.
3
chiedono maggiori informazioni sull’associazione della Carboneria. L’autore risponde loro
dicendogli di non sapere molto a riguardo (cfr. Pellico 2010:39). Inoltre, conformemente a
questa volontà, il lettore conosce solo il momento in cui egli è chiamato dalla Commissione, ma
mai quanto è stato discusso durante gli interrogatori.
L’autore, dunque, si propone di affrontare questioni altre. Egli pone, in apertura all’autobiografia,
un importante annotazione:

ho io scritto queste Memorie per vanità di parlare di me? Bramo ciò che non sia, e per quanto
uno possa di sé giudice costituirsi parmi di aver avuto alcune mire migliori: ̶ quella di
contribuire a confortare qualche infelice coll’esponimento de’ mali che patii e delle
consolazioni ch’esperimentai essere conseguibili nelle somme sventure ; ̶ quella di attestare che
in mezzo a’ i miei lunghi tormenti non trovai pur l’umanità così iniqua, così indegna di
indulgenza, così sacra d’egregie anime, come suol venire rappresentata; ̶ quella d’invitare i
cuori nobili ad amare assai, a non odiare alcun mortale, ad odiare solo irreconciliabilmente le
basse funzioni, la pusillanimità, la perfidia, ogni morale degradamento; ̶ quella di ridire una
verità già notissima, ma spesso dimenticata: la Religione e la Filosofia, comandare l’una e
l’altra energico volere e giudizio pacato, e senza queste unite condizioni non esservi né
giustizia, né dignità, né principi sicuri (cfr. Pellico 2010:14).

L’importanza di questa annotazione risiede anche nel porre il lettore a contatto con le tematiche
caratterizzanti l’intera opera. Alcuni snodi fondamentali dell’annotazione si ritroveranno nei
capitoli aggiuntivi.
Uno dei primi temi trattati sarà quello dell’apparenza e del suo superamento. La frase: « in mezzo a’
i miei lunghi tormenti non trovai pur l’umanità così iniqua, così indegna di indulgenza, così sacra
d’egregie anime, come suol venire rappresentata», fa riferimento proprio alla volontà dell’autore
di superare alcune idee precostituite che governano l’immaginario comune circa l’esperienza di
prigionia. Queste idee riguardano soprattutto la condotta degli uomini che gravitano intorno alla
prigione. Si parla dunque di secondini, prigionieri ma anche di figure secondarie come bambini e
donne.
Durante la lunghissima esperienza di prigionia, che vede l’autore spostarsi in diversi penitenziari
presso diversi stati, Pellico dedica una particolare attenzione nel restituire le impressioni e le
relazioni che egli instaura con diversi personaggi.
Nel carcere di Santa Margherita, dunque durante la prima fase della prigionia, egli entra in contatto,
seppur in modo differente con due personaggi. Si tratta di una prigioniera di nome Maddalena e
un prigioniero, il presunto duca di Normandia.

4
Per quanto riguarda il tipo di contatto che l’autore ha con la prima, si tratta di un contatto indiretto.
La donna è reclusa nel carcere femminile separato da quello di Pellico, dunque, egli non può
dialogarci direttamente, bensì può solo udirne il canto e le parole di conforto che la donna
rivolge alle compagne di cella quando si fa sera.
Al contrario il secondo personaggio abita nella cella di fronte; quindi, Pellico può dialogarci 3 e può
anche osservarne le caratteristiche fisiche. Inizialmente è infastidito da come il suo interlocutore
abbia pienamente assimilato4 un’identità che non gli appartiene realmente. Sebbene Pellico sia
animato dalla necessità di smascherarlo e di invitarlo a non mentire più, sceglie di non farlo.
Questa scelta non è semplice poiché lo porta ad una condotta da pusillanime.
Sia che si tratti di Maddalena, donna che secondo l’autore è «caduta nell’ignominia», che del duca
di Normandia, uomo oggettivamente bugiardo, Pellico sostiene che le loro anime siano buone5.
Dunque, dalle narrazione delle impressioni che questi due personaggi destano in lui emerge
chiaramente quanto, comunque, ogni atteggiamento assunto da quest’ultimo sia orientato verso il
bene e verso la necessità di amare e non odiare. Un'altra vicenda molto significativa è quella che
lo vede coinvolto in uno scambio di biglietti con un personaggio di cui non conosce l’identità 6.
Attraverso la sua narrazione l’autore vuole trasmettere al lettore quanto egli abbia lottato per
assumere un atteggiamento conciliante e per sopraelevarsi dai suoi stessi pregiudizi orientandosi,
quindi, verso un comportamento benevolo.
Lo scambio di biglietti sopracitato rappresenta una duplice sfida per lui. Egli deve: da una parte
riporre fiducia in colui che si occupa di portare i biglietti, il secondino Tremarello, e gestire una
serie di pensieri in risposta all’atteggiamento superbo del suo interlocutore. Di fatti, Giuliano–
con questo nome si firma l’interlocutore dell’autore – rappresenta il filosofo ateo che non
ammette alcuna religione rivelata entro la ricerca filosofica. Egli difende saldamente le proprie
posizioni ed adotta un atteggiamento di scherno nei confronti di Pellico. Quest’ultimo, invece di
screditare le posizioni dell’interlocutore, apprezza la sincerità che traspare dall’espressione delle
proprie posizioni.
L’importanza di questo episodio risiede, quindi, nel far riferimento a quel complesso rapporto tra
religione e filosofia. Esso è ribadito dall’autore anche nella parte conclusiva della breve

3
Capitoli X e XI e capitoli X-XXI e segg.
4
Pellico risulta molto colpito dai dettagli delle narrazioni riguardo la Rivoluzione Francese che questo
personaggio conosce.
5
«la mia immaginativa può errare figurandoti bella di corpo, ma la l’anima tua, ne sono certo era bella.
(cfr. Pellico 2010:37). Riguardo al duca di Normandia Pellico sostiene che: «ad onta di ciò che io
reputava una commedia in lui, l’anima sua mi parve buona, candida, desiderosa di ogni bene morale» (cfr.
Pellico 2010:52).
6
Dal capitolo XXXI al capitolo XXXXI. Pellico è stato già condotto presso i Piombi. Si tratta del carcere
duro situato nello stato di Venezia dove l’autore dovrà sostare sino a quando la Commissione non avrà
stabilito la sentenza finale.
5
introduzione all’opera autobiografica. Di fatti, Pellico sostiene quanto sia importante un
equilibrio tra questi due elementi di modo che l’uomo possa giudicare in modo corretto ed avere
principi sicuri che guidino la propria esistenza.
Comunque, nel capitolo sesto, Pellico sostiene che il Cristianesimo, nel momento in cui entra in
relazione con i precetti filosofici, conferisce a questi un valore inedito.
Tutta la narrazione, infatti, enfatizza l’importanza della fede religiosa. Per l’autore essa diviene uno
strumento di consolazione, data la sofferenza fisica e psicologica che prova. Al tempo stesso essa
diviene lo strumento per non avere più timore della morte7.
Dunque, in quasi tutti i capitoli dell’autobiografia, Pellico restituisce al lettore il proprio rapporto
con la fede religiosa. Egli lo restituisce nella sua autenticità narrando anche dei numerosi
allontanamenti da essa (frequenti durante il decennio di prigionia).
Partendo dal principio è interessante osservare che, se nei primi capitoli dell’autobiografia l’autore
sceglie di convertirsi alla religione per far fronte al ricordo della vita passata, dunque della
libertà di cui è ormai privo, nei capitoli successivi sarà proprio tale rimpianto a far sì che l’autore
si allontani da essa. Tuttavia, dalla narrazione emerge chiaramente che, quando un uomo non ha
più fede, l’unico sentimento che può provare è l’odio.
Bisognerebbe quindi domandarsi quale sia l’elemento o gli elementi che favoriscono nuovamente
l’avvicinamento alla fede religiosa.
Oltre all’impegno che l’autore dedica nell’analisi dei propri comportamenti, e nei tentativi di
orientarli in base ai principi cristiano cattolico, 8 ogni volta che è colpito da una crisi, un
contributo importante deriva dall’atteggiamento umile, proprio di alcuni personaggi che Pellico
incontra, e dal valore dell’amicizia.
Soprattutto durante la prigionia presso lo Spielberg, Pellico incontra una serie di personaggi che lo
portano a riflettere sul peccato di superbia e sul concetto di indulgenza rispetto ai propri nemici.
Si pensi, a figure quali la guardia Schiller o al prigioniero di stato Antonio Oroboni.
L’importanza del primo personaggio risiede nell’averlo fatto riavvicinare alla preghiera e alla
religione9. Inoltre, comportandosi come una sorta di padre lo sprona, sin dal suo arrivo, ad
adottare un atteggiamento quanto meno superbo possibile10.

7
Si fa riferimento al capitolo in cui l’autore apprende di star conoscere la sentenza definitiva della
Commissione.
8
Cfr. Pellico 2010: 119.
9
Nel capitolo sessantesimo Pellico prega per Schiller e chiede a Dio di liberarlo dall’odio.
10
Nel capitolo cinquantottesimo viene narrato il primo incontro con Schiller. Inizialmente Pellico assume
nei suoi confronti un atteggiamento arrogante. Infatti, il protagonista gli chiede in modo poco gentile di
dargli dell’acqua e Schiller gliela da. Inoltre, egli lo esorta ad assumere un atteggiamento più umile. Da
questo momento Pellico inizia a chiedergli di raccontarli della sua vita passata e Schiller gli racconta delle
guerre combattute e delle ferite che gli sono state inflitte.
6
Quando, a distanza di un anno, le condizioni di salute del protagonista si aggraveranno tanto da
condurlo quasi alla morte, Schiller, da buon cristiano, lo rassicurerà circa la possibilità di
sopravvivere. Infatti, secondo lui: «chi sopporta le grandi miserie della vita con umiltà e nobiltà
d’animo ci guadagna sempre vivendo» (cfr. Pellico 2010:159).
Il prigioniero di stato, Antonio Oroboni, vive nella cella contigua a quella di Pellico. Oroboni
richiamata la sua attenzione inizia a conversare con lui. Nel capitolo sessantatreesimo, capitolo
che riassume alcuni dei primi scambi con questo interlocutore, Pellico sostiene che Oroboni,
oltre a concordare con lui su argomenti filosofici, è animato da una forte fede che lo rende
estremamente indulgente.(cfr. Pellico 2010:140). Dunque, rappresenta il perfetto opposto di quel
personaggio chiamato Giuliano con cui Pellico si era confrontato durante la permanenza presso i
Piombi.
Nel procedere della narrazione e al passaggio nel carcere duro, dove incontra il sopracitato
personaggio, sembrerebbe che il tema dell’amicizia (che sembra coincidere con il
corrispettivo religioso della fratellanza) acquisisca ancor più importanza. Antonio Oroboni
non soltanto incarna il modello di buon cristiano ma è sicuramente anche un ottimo amico.
Egli aiuta il protagonista a non patire la solitudine lo spinge a parlare nuovamente di religione
e quindi a credere in Dio. La sua importanza è tale da far sì che all’indomani della sua morte
Pellico lo ricordi e lo sogni.
Se Oroboni è una nuova conoscenza, di cui l’autore tuttavia riconosce un estrema importanza,
egli presenta lo stesso trattamento per i suoi amici di lunga data e compagni di lotta. In
particolare, si fa riferimento ad uno dei suoi amici più cari, arrestato e poi scarcerato nello
stesso giorno dell’autore. Si tratta di Pietro Maroncelli.
Pellico documenta in modo più o meno sistematico le rare volte che riesce a porsi in contatto
con l’amico. Ad esempio, nel capitolo quinto Pellico riceve un biglietto da parte di Maroncelli
e vi risponde con il proprio sangue. L’autore riesce a rivederlo nei giorni precedenti
all’emanazione, da parte della commissione di Venezia, delle sentenze definitive inerenti agli
accusati di carboneria. Infine, riesce a scoprire che l’amico si trova nello stesso carcere, cioè
lo Spielberg, e che la sua cella è proprio al di sotto della sua. I due riescono a comunicare
cantando. Il momento più commuovente dell’opera autobiografica è sicuramente quello che
narra il compiuto ricongiungimento tra i due che avviene, presumibilmente, dal 1823 sino alla
scarcerazione nel 1832.
In generale il capitolo trasmette un fortissimo sentimento di fratellanza e implicitamente
anche quello religioso. Solo nel capitolo ottantanovesimo l’autore affermerà con convinzione

7
quanto l’amicizia e la fede siano le uniche armi a disposizione dell’uomo per far fronte alla
prigionia. L’amicizia sembra infatti rendere persino il pensiero della morte più accettabile11.

11
Nello stesso capitolo Pellico dice che nel carcere vi era un epidemia di scorbuto e si augura che uno dei
due lo contragga di modo che possano morire insieme o a breve distanza di tempo. (cfr. Pellico
2010:186).
8
Capitolo 2. Lo stile delle Mie Prigioni.

L’autobiografia di Silvio Pellico, pur inerendosi in un ricco filone di memorie di prigionia che
sorge proprio nell’Ottocento, si discosta, da esse dal punto di vista tematico. Di fatto, autori
quali Carlo Bini (1806-1842) o Luigi Settembrini (1813-1876) 12 propongono le proprie opere
edite durante o in seguito ad un periodo di prigionia ma presentano esplicite riflessioni
politiche o sociali.
L’elemento che sembra accomunare l’opera di Pellico con quella degli autori sopracitati è
proprio la scelta di un linguaggio semplice. Questa caratteristica permette all’autore di
raggiungere un pubblico quanto più ampio possibile. I capitoli dell’autobiografia sono brevi,
spesso fanno riferimento al contenuto del precedente. Anche queste caratteristiche possono
essere pensate come un modo attraverso cui l’autore cerca, non soltanto di produrre una
narrazione scorrevole, ma di mantenere viva l’attenzione del lettore. L’attenzione del lettore
catturata anche mediante un particolare espediente narrativo: quello degli appelli.
Nel capitolo trentaquattresimo si legge: «ogni lettore che abbia un po' di immaginativa capirà
agevolmente, quanto un foglio simile debba essere elettrico per un povero prigioniero,
massimamente per un prigioniero d’indole niente affatto selvatica e di cuore amante» (cfr.
Pellico 2010:80).
Oppure, nel capitolo quarantasettesimo:« Il lettore può pensare in quale stato di agitazione mi
trovassi tutto quel dì e la notte seguente, che nulla di più potei sapere» (cfr. Pellico 2010:107).
La prima citazione è posta in apertura al trentaquattresimo capitolo. La sua importanza risiede
nell’esemplificare sia la pratica narrativa dell’introspezione che è alla base della scrittura
autobiografica, sia la volontà di coinvolgere in modo diretto colui che legge. Pellico, infatti,
informa il lettore sulle caratteristiche della propria indole che egli definisce «niente affatto
selvaggia» e sulla propensione ad affezionarsi. Infatti, qualche riga dopo, il lettore apprende che
l’autore si è già affezionato all’incognito che gli ha fatto recapitare un biglietto tramite il
secondino Tremarello.
La seconda citazione è posta a metà quarantasettesimo capitolo. Si tratta di un capitolo ricco e vario
dal punto di vista del contenuto informativo. All’inizio Pellico scrive della sua salute fisica,
collegandosi al capitolo precedente. La continuità tematica è interrotta dalla specificazione delle
coordinate temporali il cui fine sembrerebbe proprio quello di mettere in evidenza un evento
importate. Infatti, successivamente, si legge il dialogo tra Pellico e il secondino chiamato
12
L’opera di Bini è Il manoscritto di un prigioniero. In essa Bini narra i tre mesi trascorsi in carcere in
seguito all’accusa di cospirazione. Nell’opera l’autore narra in pochi capitoli l’esperienza della prigionia a
partire dal 1833. Di Settembrini è l’opera Le ricordanze della mia vita, più lunga rispetto alla precedente,
che narra il periodo di reclusione dell’autore a seguito dei fallimenti dei moti rivoluzionari del 1848.
9
Tremarello, il quale gli riferisce che probabilmente lo stato di Venezia si accinge a modificare le
decisioni prese a seguito del primo processo.
Ancora nel capitolo ottantaquattresimo:

«l’essermi venuta clandestinamente quella gazzetta non faccia immaginare al lettore che frequenti fossero
le notizie del mondo, che io riuscissi a procurarmi. No: tutti buoni intorno a quando il pericolo potea
parer nullo. Ed era difficile cosa che potesse parer nullo in mezzo a tante perquisizioni straordinarie e
ordinarie. Non mi fu mai dato d’aver nascostamente notizie de’ miei cari lontani, tranne il surriferito
cenno relativo a mia sorella.(cfr. Pellico 2010:176)».

Il lettore associa, per inferenza, il quantificativo «tutti» a guardie e sentinelle. Pellico sembra fare
riferimento a Schiller, Kral, Kunda e Kubtzky 13. Si tratta di personaggi che si sono mostrati
estremamente umili nei suoi confronti. Ad esempio, Schiller gli ha dato una camicia pulita
mentre Kunda gli ha offerto della frutta. Si tratta di gentilezze fatte per alleviare le sofferenze
fisiche dell’autore, comunque illegali, soprattutto se i prigionieri sono condannati al carcere
duro.
Gli atti di umiltà commessi da questi personaggi non hanno mai riguardato il rendersi partecipi di
operazioni che potrebbero essere più pericolose, quale acquisire informazioni inerenti alla
famiglia dell’autore oppure portargli il giornale. L’autore, da parte sua, si mostra spesso restio
nell’accettare i semplici aiuti che gli vengono dati in quanto sa che potrebbe provocare loro dei
problemi.
Mediante questa citazione, comunque, egli sembra voler stabilire (implicitamente) una sorta di
gerarchia tra azioni che quei «tutti» compievano con più facilità rispetto a quelle che, al
contrario, non osavano compiere. Lo scambio di informazioni 14, inerente a notizie dal mondo
esterno, tra prigionieri o tra prigionieri e guardie, sembra inserirsi in questa seconda categoria.

13
Sebbene nel capitolo ottantunesimo il lettore sappia che alcuni di loro sono passati a servizio in un altro
reparto del carcere, tende ad associare il quantificativo alle personalità sopracitate. Questo avviene perché
Pellico non parla mai delle guardi che le hanno sostituite. Tuttavia, «tutti» dovrebbe includere anche le
altre sentinelle.
14
Per comprendere ulteriormente quanto ai prigionieri fosse preclusa ogni forma di comunicazione è necessario
fare riferimento al contenuto del settantaquattresimo capitolo. In esso l’autore precisa che un prigioniero poteva
mettersi in contatto con la propria famiglia solo se si trovava sul punto di morte. Questa fu concessa all’autore
stesso proprio perché si ammalò tanto da far credere di star per morire. Quando poté scrivere alla famiglia le sue
condizioni di salute erano migliorate notevolmente. Questa circostanza spiegherebbe il motivo per cui quella
lettera non fu mai spedita.

10
L’aver ricevuto notizie riguardo la propria famiglia è un evento di cui l’autore riconosce
l’eccezionalità, evento che, a partire da quel momento, non si ripeterà più.
Alle perquisizioni ordinarie, cui numero nei capitoli precedenti, si aggiungono nella citazione le
perquisizioni straordinarie taciute prima di questo momento. Arricchendo la cornice narrativa,
l’autore fornisce informazioni altre al lettore al fine di renderlo ancor più consapevole rispetto
alle condizioni di vita del carcere e rispetto alla psicologia dei personaggi.
Prendendo ora in considerazione l’esplicitazione del tempo e del mese che è presente nel
capitolo da cui è tratta la seconda citazione, essa permette di introdurre una riflessione
specifica riguardo il suo uso entro tutta la narrazione. In generale del mese e dell’anno
all’interno delle Mie Prigioni non è presente all’inizio di ogni capitolo, come fa Giannone
nella propria autobiografia né alla fine di ogni pagina alla maniera delle Ricordanze di
Leopardi.
La prima annotazione di tempo, cui funzione è quella di fissare il campo indicale, figura nel
capitolo primo. L’autobiografia inizia proprio con l’arresto dell’autore il tredici ottobre 1820.
Rimandi chiari inerenti ad anno e al giorno precedono la narrazione riguardo un cambio di
penitenziario. Questo è evidente nel capitolo ventiduesimo in cui l’autore inserisce tra
parentesi l’anno 1821 che nel capitolo cinquantesimo 15. Pellico pone in apertura del capitolo
prima un deittico temporale «Addì» a cui segue il giorno (l’undici gennaio) e sempre tra
parentesi l’anno cioè il 1822.
Inoltre, l’autore sembra fare un uso più particolare della datazione nei capitoli in cui fa
riferimento ad un evento che riguarda una personalità a cui è legato dal punto di vista
affettivo. Ad esempio, nel capitolo diciassettesimo egli ricorda con precisione (primo gennaio
1821) la visita da parte del conte Luigi Porro, mentre nel capitolo ventiquattresimo
l’annotazione del giorno specifico (24 novembre presumibilmente dello stesso anno) riguarda
lo spostamento di Felice Forestieri, amico e anch’egli carbonaro, presso un altro penitenziario.
Sulla linea dell’affettività si inserisce un altro riferimento temporale, più preciso rispetto al
precedente, scritto a metà del capitolo settantaseiesimo. Esso fa riferimento alla morte del suo
amico Antonio Oroboni avvenuta il 13 giugno 1823, evento sicuramente doloroso per
l’autore.
Infine, nel capitolo settantatreesimo figura un'altra data caratterizzata da giorno mese ed anno
(11 gennaio 1823). Essa, è posta in apertura del capitolo e si ricollega al contenuto del
capitolo precedente in quanto fa riferimento alla tragica condizione di salute dell’autore. Ad
essa segue una breve descrizione dei sintomi della sua malattia che stava per farlo morire.
15
I capitoli preannunciano rispettivamente: lo spostamento presso i Piombi di Venezia e presso lo
Spielberg in Austria.
11
Da questa breve analisi inerente ai rimandi temporali emerge come l’autore faccia un uso
particolare ma al tempo stesso sistematico di essi, considerando che il periodo di reclusione
duri dieci anni. Nel novantunesimo capitolo vi è il riferimento preciso a quanti anni egli ha
passato in prigione ed esso sembra essere posto al fine di preannunciare la sua scarcerazione
(essa avviene nove capitoli dopo).
La scarsità di date e talvolta la mancanza di una documentazione di precisione entro i
novantanove capitoli e i conseguenti salti temporali 16, sono imputabili al fatto che l’opera
viene scritta proprio in seguito alla scarcerazione e che quindi l’autore tenda a ricordare
esclusivamente eventi e momenti che lo hanno coinvolto dal punto di vista emotivo.

16
Si fa riferimento a quanto presente nel capitolo ottantesimo. In apertura l’autore propone una breve
rassegna di rimandi temporali:« tutto il 1824, tutto il 1825, tutto il ’26, tutto il ’27, in che si passarono per
noi?», salvo poi trattare alcuni eventi salienti che riguardano la vita nel carcere e alcuni personaggi.
12
Riflessioni finali.

Dalla breve analisi dell’autobiografia di Silvio Pellico emerge chiaramente quanto l’opera,
mossa da un intento dichiaratamente pedagogico, tracci non soltanto il percorso di crescita
personale dell’autore, ma tenda a comunicare i contenuti in maniera immediata.
L’abbondanza di sentenze morali che ricorrono in modo quasi sistematico entro i capitoli
spesso fa riferimento ai temi principali dell’opera. Inoltre, l’autobiografia è ricca di scambi
dialogici in forma di discorso diretto. Anche questo aspetto stilistico sembra facilitare la
comprensione del contenuto narrativo.
Al di là di tutto dell’immediatezza di comprensione, favorita da aspetti stilistici, è stato osservato
quanto all’interno dell’autobiografia vi siano anche messaggi impliciti. In particolare,
riprendendo in considerazione i biglietti tra Pellico e Giuliano, il lettore non conosce con
precisione quello che quest’ultimo scrive. Allo stesso modo, il contenuto del biglietto che
Pietro Maroncelli gli fa recapitare mediante Tirola, e la risposta ad esso da parte dell’autore,
rimangono un incognita per il lettore.

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