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GIOVANNI CLIMACO

LA SCALA
Traduzione e note a cura di Luigi d’Ayala Valva
Introduzione di John Chryssavgis

EDIZIONI QIQAJON
COMUNITÀ DI BOSE
INTRODUZIONE

Le tue lacrime e le tue parole


hanno parlato di ascensioni
verso l’amore e la bellezza di Dio.
Menaion del 30 Marzo

i. Giovanni Climaco e la “Scala”

1.1. La vita di Giovanni Climaco

La vita e la condizione dei monaci nel deserto del Sinai


sono ben descritte nel Prato spirituale di Giovanni Mosco,
pubblicato da Sofronio, suo amico e discepolo: in quest’o­
pera l’autore informa i suoi lettori di una serie di avveni­
menti e di storie che gli sono sembrati degni di nota.
Un’altra fonte d’informazione è la collezione di quaranta
Racconti attribuita ad Anastasio Sinaita, pubblicata da
Nau1. Questi documenti ci forniscono un quadro della
vita di monaci che godevano di un’alta reputazione, con
un’atmosfera e una tradizione loro proprie, distinta da

1 Cf. F. Nau, “Le texte grec des récits du moine Anastase sur les saints
pères du Sinai”, in Oriens Christianus 2 (1902), pp. 58-90.

5
quella palestinese ed egiziana, ma che allo stesso tempo le
mescola entrambe in uno stile di vita austero ed equili­
brato. E in queste montagne che Mosè incontrò Dio, è
qui che Elia udì la voce di Dio, ed è qui che Giovanni
Climaco, ovvero Giovanni “della Scala” raccontò le sue
esperienze di Dio.
La fonte principale, a parte i Racconti di Anastasio
Sinaita2 e gli scritti di Giovanni stesso, è la Vita di
Giovanni scritta da un monaco di nome Daniele di Raito3.
Daniele scrive come un testimone oculare, o almeno come
un contemporaneo dell’asceta del Sinai autore della Scala.
Tuttavia non possiamo essere del tutto sicuri di questo:
dopo tutto, nella sua Vita, che somiglia ad un elogio edi­
ficante, anche Daniele è impreciso. Non fornisce, per
esempio, alcuna cronologia e afferma esplicitamente di
non conoscere neanche il luogo di origine di Giovanni.
Comunque, tutte le altre fonti di informazione non vanno
oltre le notizie forniteci da Daniele: tali fonti includono il
Menaion del 30 Marzo, il giorno del transito di Giovanni,
così come altri syndxaria e menológhia, come la Vita del X
secolo contenuta nel Menológhion dell’imperatore Basilio.
Le date precise del periodo nel quale visse l’autore
della Scala sono difficili da determinare con certezza, a
causa della mancanza di fonti, o di informazioni detta­
gliate nelle poche fonti disponibili4. Sarei personalmente
propenso a considerare Climaco un contemporaneo di
Massimo il Confessore (ca. 580-662) e la Scala come una

2 Cf. infra, pp. 75-77.


3 Cf. infra, pp. 67-74.
4 Per le questioni relative alla cronologia della vita di Climaco si rimanda a

G. Couilleau, s.v. “Jean Climaque”, in DS Vili, coll. 371-372, e B. Flusin, “Il


monacheSimo sinaitico al tempo di Giovanni Climaco”, in Giovanni Climaco e
il Sinai. Atti del IX Convegno ecumenico intemazionale di spiritualità ortodossa
(sezione bizantina.), Bose, 16-18 settembre 2001, a cura di S. Chialà e L.
Cremaschi, Qiqajon, Bose 2002, pp. 28-31.

6
sintesi ascetica paragonabile alla sintesi teologica di
Massimo. Ci sono infatti dei passi nell’opera di Climaco
che ricordano il linguaggio usato dal Confessore3 * 5, e que­
sta considerazione è plausibile non tanto come un argo­
mento decisivo quanto piuttosto come una conferma del­
l’ipotesi di datazione fatta da Bogdanovic6. Mi sembra
più ragionevole, quindi, considerare Giovanni come un
autore del VII piuttosto che del VI secolo. Le sue date do­
vrebbero essere collocate tra il 579 circa (con la possibi­
lità di scendere fino al 599) e il 659 (con la possibilità di
scendere fino al 679).
Giovanni Climaco è anche noto come “Scolastico”7 ov­
vero “studioso”, un’indicazione del fatto che non era un
illetterato, come hanno ipotizzato alcuni studiosi. Nato
probabilmente in una nobile famiglia intorno all’anno
579, o poco prima, Giovanni ricevette una buona educa­
zione, che il suo biografo descrive come una “istruzione
completa”8: un’espressione che indica un’educazione a
tutto campo, che potrebbe includere, anche se non neces­
sariamente, un’istruzione superiore.
Non sappiamo dove Giovanni sia nato9, ma il suo bio­
grafo ci racconta che arrivò al Sinai quando aveva appena
sedici anni. Giovanni sembra essere stato già eccezional­
mente maturo a quell’età10. Egli con umiltà si sottopose
immediatamente all’obbedienza di una guida spirituale,

3 Si veda soprattutto Scala VI,4. Cf. K. Ware, “Introduction”, in St. John


Climacus, The Ladder of Divine Ascent, Paulist Press, New York-Ramsey-
Toronto 1982, pp. 3, 18, 37-58.
6 D. Bogdanovic, Jean Clìmaque dans la littérature byzantìne et la littérature

serbe ancienne, Institut d’études byzantines, Belgrade 1968, pp. 216-217, col­
loca la nascita di Giovanni Climaco prima del 579 e la sua morte dopo il 654.
7 Cf. Vita, titolo.
8 Cf. ibid. 2.
9 Cf. ibid. 1.
10 Cf. ibid. 2.

7
un certo abba Martirio, che lo tonsurò sulla santa Vetta
all’età di vent’anni11. Ci sono giunti interessanti racconti
che parlano di profezie fatte da alcuni anziani che vive­
vano nel deserto del Sinai a quel tempo. Scendendo dalla
Santa Montagna dopo la professione di Giovanni, abba
Martirio condusse il proprio discepolo da un certo abba
di nome Anastasio, che può essere stato l’igumeno del
monastero centrale. Anastasio predisse che Giovanni un
giorno sarebbe diventato igumeno - una profezia che si
avverò quarant’anni dopo -. Subito dopo questo incon­
tro con Anastasio, e forse proprio nella stessa occasione,
Martirio e Giovanni visitarono anche Giovanni il Sabaita,
che viveva a circa quindici miglia, nel deserto di Guda, il
quale, dopo aver lavato i piedi di Giovanni, informò il
proprio discepolo che, anche se non sapeva a chi avesse
lavato i piedi, sentiva che quella persona un giorno sareb­
be diventata igumeno12. Anche abba Strategio il Recluso
“sebbene non uscisse mai, fece la stessa profezia, nel
giorno in cui abba Giovanni fu tonsurato”13.
All’età di trentacinque anni e dopo la morte di Martirio14,
Giovanni andò a vivere come eremita in una località di
nome Tola15, a circa cinque miglia dal monastero centrale.
Sebbene Daniele usi esplicitamente l’espressione “uscì” per
descrivere la sua azione, in realtà non fu un’“uscita” dalla
comunità monastica, poiché con ogni probabilità in essa

11 Cf. Racc. x.
12 Cf. ibid.
13 Ibid. Queste profezie riguardo a Giovanni possono trovare un parallelo in

quelle di Eutimio riguardo a Saba e di Marciano riguardo a Teodosio: cf.


Cirillo di Scitopoli, Vita di Eutimio 21 e Vita di Teodosio 3.
14 Cf. Vita 3. Il racconto di Daniele, insieme a quello del Menaion, PG

88,6o9C, non è chiaro su questo punto: potrebbe significare sia “all’età di


diciannove anni” sia “diciannove anni dopo la sua professione”. La seconda
traduzione sembra più probabile.
15 Cf. Vita 3 e Menaion, PG 88,609^

8
non era mai stato novizio. Soprattutto non fu un’“uscita”
dalle relazioni sociali, perché egli continuò a vedere e a con­
sigliare numerosi visitatori, fino al punto che, per invidia,
fu accusato di essere un “chiacchierone”16! Di fronte a tali
critiche, Giovanni non parlò con nessuno per un anno in­
tero, e soltanto quando i suoi stessi accusatori lo supplica­
rono di tornare al suo comportamento precedente accettò
di nuovo di ricevere dei visitatori. In modo autentico e pro­
fondo, quindi, il silenzio di Giovanni, così come la sua pa­
rola, la sua uscita dal mondo e il suo ritiro nella vita solita­
ria non erano una fuga dalle persone, ma piuttosto un frut­
to del suo ardente amore17, per gli altri come per Dio18.
Dopo un certo tempo, Climaco intraprese la terza forma
di monacheSimo, la “via mediana o intermedia”, nota
anche come vita semi-cenobitica o semi-eremitica19, in cui
piccoli gruppi vivevano come uno stretto agglomerato di
famiglie, ciascuna sotto la guida diretta di un padre spiri­
tuale. Perciò, Giovanni accettò a vivere con sé un disce­
polo, un certo Mosè20. Nel monacheSimo orientale la vita
comunitaria è considerata una preparazione per il deserto.
Basilio, però, sostiene l’opinione opposta, considerando la
vita cenobitica come superiore e addirittura sconsiglia vi­
vamente la vita eremitica21. Evagrio Pontico e il suo disce­
polo, Giovanni Cassiano, parlano delle tentazioni e dei
pericoli della solitudine, sebbene Evagrio non esprima
realmente una preferenza per la vita cenobitica22 *; in ogni

16 Cf. Vita 8.
17 Cf. ibid. 3.
18 Cf. ibid. 7.
19 Le tre forme - quella cenobitica, quella eremitica e quella semi-eremitica -

sono menzionate insieme in Scala 1,47.


20 Cf. Vita 6.
21 Cf. Basilio di Cesarea, Discorso ascetico 3 e Regole diffuse 7,1-3.
22 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 5. Per l’opinione di Cassiano, cf.

Istituzioni V,3Ó.

9
caso fu egli stesso un solitario, e non un cenobita. Per
quanto riguarda Giovanni, egli non entrò inizialmente in
un cenobio, precisamente perché la preparazione per la
vita solitaria poteva avvenire sia all’interno della vita ce­
nobitica sia di quella semi-eremitica. Quindi, tutto som­
mato, Giovanni concorda con la prima opinione, che è in
generale anche la linea del monacheSimo palestinese23.
Giovanni era anche famoso per aver operato dei mira­
coli per mezzo della sua preghiera24: era riconosciuto come
un medico del corpo e dell’anima25. Secondo Giovanni
Cassiano, che non solo apprezzò ma fece propria la tradi­
zione del deserto egiziano, quanto più gli asceti si allonta­
nano dalla gente e sono quindi più vicini a Dio, tanto più,
inevitabilmente, i visitatori si avvicinano ad essi26.
Questo si dimostrò certamente vero per Giovanni, poi­
ché, mentre era nel deserto, come abbiamo visto, ricevet­
te molti visitatori, tra cui spesso vi erano dei laici27.
Inoltre, Giovanni stesso visitò altri solitari malati. Ci rac­
conta di aver visitato, tra l’altro, anche dei monasteri alla
periferia di Alessandria28. Può aver perfino visitato Scete
e Tabennesi, anche se per questo non ci sono prove chia­
re. Climaco afferma infatti che ci sono più “luminari” tra
i monaci di Scete che tra quelli di Tabennesi, ma non for­
nisce alcuna ragione per questo29. Pur menzionando en­
trambi i luoghi, può non averli mai visitati; comunque,
una sua visita a Scete è certamente possibile e più vero­

25 Per l’importanza del cenobio, cf. Scala IV,72, e per le difficoltà all inter­
no di un monastero cenobitico, cf. ibid. XXVI/2,61. Per la tendenza palestine­
se, cf. le Vite di Cirillo di Scitopoli.
24 Cf. Vita 6.
25 Cf. ibid. 7.
26 Cf. Giovanni Cassiano, Conferenze XXIV, 19.
27 Cf. Scala 1,38-40.
28 Cf. ibid. IV,16-17; V,5 e DP 100.
29 Cf. Scala XXVII/2,3.

IO
simile, perché è più vicina ad Alessandria di Tabennesi.
Giovanni descrive poi anche un altro viaggio durante il
quale incontrò vari fastidi50. Di fatto la Scala fornisce ge­
neralmente informazioni storiche significative sui cenobi
di Alessandria, sugli insediamenti eremitici in Egitto e,
soprattutto, sul monacheSimo contemporaneo dello stes­
so Sinai, appartenente a tutte e tre le forme di ascetismo.
La vita monastica di Giovanni non sarebbe stata com­
pleta, però, senza un’esperienza nella prima forma di mo­
nacheSimo: quella cenobitica. Dopo quarantanni nel de­
serto, i suoi fratelli lo costrinsero a diventare igumeno31.
Il suo amore per Dio e le sue lotte ascetiche erano rima­
sti in gran parte un segreto tra lui e Dio, sconosciuto ad
altri32: egli aveva trascorso notti e giorni in una spelonca
nascosta (che Daniele afferma però di aver conosciuto e
che, secondo la tradizione, può essere visitata ancora
oggi), versando in essa fiumi di lacrime33. Tuttavia, nel
giorno del suo insediamento come igumeno, giunsero al
monastero circa seicento pellegrini34.
Giovanni Climaco è visivamente e spiritualmente domi­
nato da due montagne: il Sinai e il Tabor. Il Sinai, perché
viveva accanto a esso, e quei dintorni dall’aspetto severo
e inospitale devono aver spesso richiamato alla mente
dell’eremita la scena di Esodo 20; il Tabor, come il luogo
della prefigurazione della gloria di Cristo e della visione
della sua trasfigurazione (Mt 17,1). Un grande mosaico
nell’abside della basilica del,monastero - costruita quasi
un secolo prima di Giovanni e ancora oggi esistente - fu

50 Cf. ibid. XXVI/1,43.


31 Cf. Vita 9 e Menatoti, PG 88,612A. Questo non implica affatto che
Giovanni fosse stato ordinato presbitero.
32 Cf. ibid. 6.
35 Cf. ibid. 5.
34 Cf. Racc. 3.

il
dedicato alla Trasfigurazione. Climaco deve aver trascor­
so molte ore a fissarlo dal suo scanno di igumeno durante
i lunghi uffici liturgici. La sua vita intera - così era perce­
pita da quelli che lo conoscevano - fu una preghiera offer­
ta a Dio, una vita esemplare di amore35. La luce che egli
irraggiava rifletteva la luce vista da Mosè sul monte Sinai
e contemplata dai tre apostoli sul monte Tabor.

1 . 2 . Destinatari e scopo dell’opera

Già in età piuttosto avanzata, Giovanni accettò di scri­


vere la Scala su richiesta di un altro Giovanni, igumeno
di Raito36. La Lettera di quest’ultimo è indirizzata a
“Giovanni il Sinaita”, ciò che forse presuppone che
Giovanni, al momento di scrivere la Scala, fosse ancora
un monaco solitario. Comunque, il titolo di entrambe le
edizioni di Rader e di Sophronios si riferisce esplicita­
mente all’autore della Scala come ad “Abba Giovanni,
igumeno dei monaci del Monte Sinai”. Come tale, egli è
accostato dall’igumeno di una comunità più piccola che
viveva in una località vicina. Il titolo originale della sua
opera - come indicano molti manoscritti - era Tavole spi­
rituali (Plàkes pneumatikai), derivato dal paragone tra
Giovanni e Mosè. Alla fine però prevalse il titolo Scala
{Klimax). La Scala è formata da trenta “gradini”, a sup­
plemento dei quali Giovanni scrisse anche un breve trat­
tato intitolato Discorso al pastore, che descrive il compito
dell’igumeno o del padre spirituale, ugualmente indirizza­
to a Giovanni di Raito.

35Cf. Vita 5.
36Cf. Lettera I. Raito si trova a nord-ovest della penisola del Sinai, a circa
125 miglia dall’attuale canale di Suez.
Sulle prime, Giovanni non aveva la minima intenzione
di scrivere, poiché si considerava “senza valore e povero
di virtù” e riteneva che il compito fosse “al di là delle
[sue] forze”. Egli infine cedette alla richiesta di abba
Giovanni, sottoponendosi al “giogo della santa obbedien­
za, madre di tutte le virtù”, pur essendo convinto che
Giovanni di Raito avrebbe dovuto indirizzare questa ri­
chiesta a “qualcuno con buona esperienza”, perché per
parte sua credeva di essere “ancora nella schiera dei di­
scepoli”. Il compito era “al di là delle [sue] possibilità”,
ed egli lo intraprese “con timore e amore”: “Con la mia
conoscenza debole ed evanescente e la mia eloquenza im­
pacciata, mi sono limitato a tracciare un primo schizzo a
inchiostro delle parole di vita”37. Riconoscendo umilmen­
te i propri limiti e la propria ignoranza, l’autore giudica
la propria opera alquanto grossolana e insignificante38, ma
la realtà dei fatti si rivelò esattamente opposta.
Gli immediati destinatari della Scala erano i cenobiti
sottomessi all’autorità di Giovanni di Raito. L’autore è al­
quanto esplicito su questo punto: egli non invia l’opera ad
altri che “alla comunità che è stata chiamata da Dio, in­
sieme a noi, a ricevere i tuoi insegnamenti, o migliore tra
i maestri”39. Il pubblico, dunque, è chiaramente di tipo
monastico: la Scala è opera di un ex-solitario che scrive per
dei cenobiti; ma è anche opera di un ex-eremita che ha
avuto contatti personali con monaci che vivevano in co­
munità e che ora, come autorevole padre spirituale e forse
già igumeno, comprende bene le difficoltà che tali mona­
ci devono affrontare. Il lettore moderno deve aver ben
presente tutto ciò e non credere che l’autore intendesse 57 58

57 Lettera IL
58 Cf. Scala 111,35; V,io; XV,44; XXVII/2,2.
39 Lettera II.

13
sconcertare il suo pubblico, per esempio con il quinto gra­
dino sulla penitenza, e specialmente con la terribile de­
scrizione delle penitenze monastiche della “prigione” di
Alessandria nello stesso gradino40.
Gli scrittori della generazione di Giovanni Climaco
sembrano avere l’impressione di vivere alla fine di un’e­
poca: un’epoca che ricapitolava gli insegnamenti dei seco­
li precedenti, pur essendo allo stesso tempo aperta e
proiettata verso il futuro, e in un certo qual modo senza
precedenti. Per Climaco questo significava che prima di
poter anche soltanto iniziare a scrivere degli insegnamen­
ti destinati specificamente a dei monaci, egli doveva
prima di tutto proclamare l’universalità di Dio creatore41.
Egli avvertiva la necessità di sottolineare il fatto che la
salvezza è per tutti, e che il matrimonio non è in alcun
modo un impedimento nella vita spirituale42, sebbene una
persona sposata non possa aspettarsi di raggiungere gli
stessi livelli di un monaco43: comprese che la castità non
è affatto un monopolio monastico - e qui Giovanni cita
come esempio l’apostolo Pietro44.
Nel leggere la Scala, occorre dunque tenere presenti due
punti in relazione fra loro: in primo luogo, che la Scala fu
scritta specificamente per dei monaci che vivevano in co­
munità, e in secondo luogo, che l’opera è importante
anche per i laici, poiché nel corso dei secoli ha influenza­
to ugualmente monaci e gente sposata. Simeone il Nuovo
Teologo, per esempio, trovò la Scala nella biblioteca di suo
padre, un laico dell’aristocrazia del X secolo. E necessario
ricordare che la vita monastica è essenzialmente “la vita

« Cf. Scala V,5-7.


41 Cf. ibid. 1,4-
42 Cf. ibid. 11,7-9-
43 Cf. ibid. 1,38 e Cf. Apoftegmi, Antonio 19.
44 Cf. Scala XV,66.

14
secondo l’evangelo”45. Tutti sono chiamati a rispondere al­
l’appello di Cristo alla salvezza. Le circostanze della rispo­
sta possono cambiare esternamente, ma la via è essenzial­
mente una sola. Nella vita spirituale, non c’è una netta di­
stinzione tra monaci e non-monaci: la vita monastica è
semplicemente la vita cristiana vissuta in modo particola­
re. I monaci sono cristiani che hanno scoperto particolari
possibilità per imitare Cristo e trascendere le normali con­
dizioni di vita46. Questa precisazione è essenziale per ap­
prezzare la Scala. “La Scala è l’invito a un pellegrinaggio”47:
un invito esteso a tutti coloro che desiderano essere sal­
vati48 - ammesso che cerchino sinceramente la salvezza.
Giovanni vuole anzitutto scrivere un resoconto della pro­
pria esperienza personale durante i suoi quarant’anni di
soggiorno nel deserto del Sinai, un resoconto che intende
stimolare una parallela esperienza personale in coloro che
leggono la Scala - ed è proprio questo il motivo per cui essa
è indirettamente indirizzata a tutti i lettori. E l’esperienza
personale, quindi, che Climaco continuamente mette in ri­
salto sollecitando una risposta, incitando i suoi lettori a un
salto di fede, conducendoli fino all’impegno e all’incontro
personali. Per lui il significato della vita ascetica è molto più
profondo della mera accettazione di alcune dottrine e rego­
le: “Non è possibile imparare a vedere attraverso le parole,
perché ciò dipende dalla natura, né è possibile apprendere
la bellezza della preghiera dall’insegnamento di un altro”49.
Lo scopo è chiaramente spirituale e pastorale, piuttosto
che didattico o normativo. L’autore generalmente si astie­
ne dal dare precise istruzioni riguardo agli uffici liturgici,

45 Basilio di Cesarea, Lettere 207,2.


46 Cf. Scala XXVI/i,53-55.
47 G. Florovskij, Questions disputées, Paris 1935, pp. 105-106.
48 Cf. Prol.
49 Cf. Scala XXVIII,63.

15
le tecniche di preghiera, i metodi e le ore di ascesi, o ai cibi
dai quali bisogna astenersi. Non offre alcuna disciplina in­
tellettuale o morale50, ma indica piuttosto un sentiero di
iniziazione, uno stile di vita che consiste fondamentalmen­
te in un’ascensione erotica verso Dio51. Ciò che per lui
conta non sono le regole ascetiche, esteriori e fisiche, come
tali, ma la disposizione interiore, non l’obbedienza infles­
sibile ad esigenze di carattere etico, ma l’umiltà e la purez­
za di cuore: “Non sta scritto: ‘Ho digiunato’, né: ‘Ho ve­
gliato’, né: ‘Ho dormito per terra’, ma: Mi sono umiliato,
e subito il Signore mi ha salvato (Sai ii4,6)”52.
Per quanto riguarda le regole esteriori, Climaco sa che sta
scrivendo per dei monaci che possono averle già apprese
dalla loro vita in monastero: dà quindi per scontato che
essi le conoscano già, e non discute questo aspetto. Il suo
scopo è sempre di indicare lo spirito e il significato inte­
riori che stanno dietro e al di là della regola esteriore. La
Scala è un’opera esistenziale che tocca l’esperienza concreta:
è destinata ai monaci, ma è altrettanto importante per ogni
lettore - laici inclusi - che sia deciso a intraprendere la salita.

1.3. Contenuto e stile

Lo stile e la struttura della Scala danno l’impressione


di una certa sconnessione. Il greco dell’originale è grez­
zo e in qualche modo riflette l’arido deserto in cui è stato
concepito. Emergono tuttavia anche una certa sottigliez­
za e una cosciente abilità artistica del tutto particolari:
in molti passaggi vi sono giochi di parole espressamente

50 Cf. ibid. VII,69; XXVI/i,20.37.


51 Cf. ibid. 1,48 e VII,35. Sul tema delYéros divino cf. infra, pp. 47-53.
52 Ibid. XXV, 14; cf. anche XXV,ii-i3.

16
ricercati53 54, e vi si scopre una freschezza, una spontaneità
e una purezza che ricordano gli Apoftegmì dei padri del de­
serto del IV e V secolo - del resto anche la Scala contiene
un certo numero di aneddoti e di detti, che costituiscono
un piccolo Gherontikón34. Climaco dimostra inoltre un
senso di humour tipicamente monastico in molti suoi para­
goni alquanto curiosi: “... come un uomo che nuota e
vuole battere le mani”55.
La forte personalità dell’autore, la sua profonda cultu­
ra spirituale e l’omogeneità della sua convinzione danno
a quest’opera un carattere a un tempo tradizionale e ori­
ginale, e ne fanno un’opera che, pur appartenendo a una
scuola particolare, appartiene allo stesso tempo al mondo
intero. Il carattere dell’autore emerge nel corso del libro:
ha un occhio fino per le debolezze dei monaci suoi fratel­
li, un equilibrato senso dello humour, un realismo sor­
prendentemente compassionevole, uniti alla coscienza
della grazia di Dio. Spesso è volutamente enigmatico - e
in questo segue le parabole dei vangeli e gli Apoftegmì dei
padri del deserto si diverte inoltre a usare frasi cripti­
che come: “Tacerò le conseguenze di quest’affermazio­
ne...”56, negazioni volutamente ricercate allo scopo di ac­
centuare un’affermazione, e tutta una serie di immagini
prese da vari ambiti di vita, tra cui la famiglia, la corte del
re, i tribunali, la medicina, l’esercito, la campagna, il giar­
dino, il mare, la scuola, e perfino la vita matrimoniale. Le
espressioni metaforiche impiegate sono molte: un esempio
è la personificazione delle varie passioni57. Perfino i nu­

53 Cf. ad esempio Scala 111,33; VII,21.65; XV,2-3; XVI,23; XXVI/2,36;

XXVIII,52; DP ioo,l.
54 Cf. Scala IV,21.23.26.29.
55 Ibid. VI, 12.

^ Ibid. 1,19 e XXVII/2,6.


57 Cf. ad esempio ibid. XIV,32 e XV,83.

17
meri e le lettere hanno un valore simbolico nella Scala: i
trenta gradini - per non ricordare che un esempio - sim­
boleggiano l’età della piena maturità di Cristo, ossia la
vita nascosta di Cristo prima del suo battesimo, e di con­
seguenza la maturità spirituale del monaco58; e nel gradi­
no XXVI l’autore elenca due “alfabeti” della vita mona­
stica59. La sua prosa a volte acquista una qualità ritmica e
perfino poetica. Prosatore secco e ruvido, sebbene lo stile
sconnesso sia volutamente ricercato, Climaco è anche un
artista degno di nota e ispirato60.
Ritmico, paradossale e ironico, il suo linguaggio è allo
stesso tempo sottilmente teologico: le immagini possono
essere trinitarie o cristologiche. Il dogma è costantemente
paragonato o perfino identificato all’etica; temi dottrinali
sembrano trasformati in temi pratici; il livello puramente
ascetico è continuamente elevato a quello profondamente
mistico o perfino sottilmente teologico. In ogni caso, le af­
fermazioni teologiche esplicite non sono molto frequenti.
La principale immagine usata nella Scala è quella che si
trova in Genesi 28,1261. L’uso dell’immagine della “scala”
per la vita spirituale è già attestato nei primi autori cri­
stiani e perfino nell’antichità62, ma è assai più sviluppato
in Climaco: di fatto, è proprio quest’immagine che con­
ferisce all’intero libro un carattere e un’unità precisi, e

58 Cf. Prol.
59 Cf. Scala XXV 1/1,14.
60 Per questi aspetti stilistici, cf. J. Duffy, “Embellishing thè Steps: Elements

of Presentation and Style in thè Heavenly Ladder of John Climacus”, in


Dumbarton Oaks Papers 53 (1999), pp. 1-17.
61 Cf. Scala XXX,18.
62 Origene fu il primo tra gli autori cristiani a usare quest’immagine come un

simbolo del progresso spirituale: cf. Origene, Commento a Giovanni XIX,6,38;


Gregorio di Nazianzo, Orazioni 43,71; Giovanni Crisostomo, Omelìe su
Giovanni 83,5; Teodoreto di Cirro, Storia dei monaci siri 27. In generale sul
tema, cf. E. Bertaud, A. Rayez, s.v. “Echelle spirituelle”, in DS IV, coll. 62-86;
Ch. Heck, Uéchelle céleste dans Vari du Moyen Age. Une bistoire de la quète du
del, Flammarion, Paris 1997.

18
sotto quest’aspetto il suo impiego da parte dell’autore è
del tutto senza precedenti e ha anche influenzato l’icono­
grafia posteriore all’interno delle chiese e dei refettori dei
monasteri, specialmente a partire dal secolo XI.
Per quanto riguarda la sua struttura, la Scab può essere
divisa in tre parti diseguali:

- Gradini I-III: la rottura con il “mondo” o la ri­


nuncia;
- Gradini IV-XXVI: la “vita attiva” o pràxis;
- Gradini XXVII-XXX: la “vita contemplativa”
o tbeorìa.

La seconda parte può essere a sua volta divisa in due parti:

- Gradini IV-VII: le quattro virtù fondamentali


(obbedienza, penitenza, ricordo della morte e
“gioiosa tristezza”);
- Gradini VIII-XXVI: le passioni e le virtù ad
esse contrarie.

Lo schema generale è il seguente:

1) Rottura con il mondo


1. Rinuncia
2. Distacco
3. Estraneità

2) Virtù e passioni
2.a) Virtù fondamentali
4. Obbedienza
5. Penitenza
6. Ricordo della morte
7. Gioiosa tristezza

19
2.b) Lotta contro le passioni

Passioni prevalentemente non-fisiche


8. Ira
9. Rancore
10. Maldicenza
11. Chiacchiera
12. Menzogna
13. Acedia

Passioni prevalentemente fisiche e materiali


14. Ingordigia
15. Fornicazione
16. Avarizia

Passioni prevalentemente non-fisiche e spirituali


17-19. Insensibilità
20. Pusillanimità
21. Vanagloria
22. Superbia
23. Bestemmia

2.c) Virtù supreme della “vita attiva”


24. Semplicità
25. Umiltà
26. Discernimento

3) Unione con Dio


27. Esichia
28. Preghiera
29. Impassibilità
30. Carità

20
Climaco accetta la distinzione evagriana tra “vita atti­
va” (pràxis) e “vita contemplativa” (theoria), ma non la
segue in modo coerente. A suo giudizio, non ci può esse­
re una netta distinzione tra le due, pur essendo esse tut-
t’altro che identiche: pràxis e theoria sono interdipenden­
ti, due aspetti di una sola realtà. Di fatto, vita attiva e
vita contemplativa sono considerate come equivalenti a
“penitenza” e “teologia”63. Così anche l’immagine della
“scala” nell’intenzione dell’autore non deve essere intesa
letteralmente, ma in modo figurato e dinamico: c’è chi si
trova nel primo gradino, e nonostante ciò riesce a rag­
giungere ben altre altezze; o ancora, chi è molto vicino
alla cima della scala ma può essere tenuto, per esempio,
all’afflizione incessante64.
Oltre alla struttura generale sopra delineata, molti gra­
dini hanno a loro volta una sottostruttura interna, che or­
ganizza la loro composizione secondo il seguente schema:
- prima di tutto c’è sempre una breve affermazione in­
troduttiva, spesso di carattere metaforico;
- seguono una serie di brevi definizioni, che ricordano
quelle di Aristotele;
- quindi, c’è un’esposizione del tema: un’analisi più
dettagliata, accompagnata di solito da diversi aneddoti il­
lustrativi, che danno all’opera una certa vivacità;
- infine, ci viene presentata una sintesi del capitolo, la
conclusione del “gradino”, che normalmente comprende
un’esortazione attraverso la quale l’autore cerca di infon­
dere coraggio e fervore.
Ora, nella sua globalità, il libro può forse dare un’im­
pressione negativa. Sedici dei trenta gradini trattano di
vizi da evitare e, dei rimanenti quattordici, alcuni sono

63 Per questo termine cf. infra, “Glossario”.


64 Cf. Scala VII,73.

21
apparentemente negativi: penitenza, tristezza e impassi­
bilità. Tuttavia questa impressione iniziale potrebbe esse­
re fuorviante, perché i sedici gradini che trattano dei vizi
trattano anche al tempo stesso delle corrispondenti virtù
e sono molto più brevi degli altri quattordici che, a loro
volta, non sono così negativi come può sembrare a un
primo sguardo.
Abbiamo già ricordato il fatto che Climaco adotta, al­
meno nominalmente, la distinzione di Evagrio tra pràxis
e theoria. Perché, dunque, parla poco della vita contem­
plativa, concentrandosi espressamente sulla vita attiva,
sui vizi da evitare e sulle virtù da acquisire? La sua in­
tenzione è chiara: vuole che i suoi lettori ricerchino l’u­
miltà e la penitenza senza aspirare a visioni e a estasi. La
Scala dimostra infatti una notevole sobrietà con il suo ri­
serbo riguardo ai sogni e la sua insistenza sull’obbedien­
za (gradino IV) e sul discernimento (gradino XXVI) -
questi due gradini sono infatti i più lunghi dell’intero
libro. Climaco preferisce che i suoi lettori raggiungano il
dono delle lacrime continue: egli stesso, del resto, ne era
dotato in misura eccezionale65, e quando una volta, nel
cenobio di Alessandria, tentò di avviare una conversa­
zione sull’esichia, fu subito rimproverato dai monaci,
che gli risposero:

Noi, padre Giovanni, essendo persone materiali, con­


duciamo una vita molto materiale, convinti come
siamo di dover affrontare una lotta proporzionata alla
nostra debolezza e ritenendo preferibile lottare con gli
uomini ... piuttosto che con i demoni66.

65 Cf. Vita 5.
66 Scala IV,30.

22
L’esichia è “veramente riservata a pochi”67 e la teolo­
gia non è per tutti68. La reticenza dell’autore su diversi
argomenti è quindi voluta. Egli parla diffusamente della
guerra e della lotta ascetica ma evita di menzionare - o lo
fa soltanto per brevi accenni - la trasfigurazione dell’a­
sceta o la visione della luce divina. Perfino in tema di vizi
e di virtù, dove la sua esposizione è più dettagliata,
Climaco riconosce i propri limiti, è prudente nel dare
consigli e rinvia umilmente ad altri69.

1 . 4 . Le fonti della “Scala”

La Scala è un’opera che riflette un’esperienza diretta e


personale da parte dell’autore. In questo senso è emble­
matico il gradino XXVIII, sebbene Climaco non dica mai
che qui la sua base è empirica. Questo è ciò che dà al
libro tutta la sua originalità. Allo stesso tempo, tuttavia,
è anche un libro impregnato di tradizione, un’opera di
sintesi: pur essendo uno dei libri spirituali più originali
dell’antichità cristiana, integra in un insieme unitario
molti filoni distinti della tradizione precedente. Climaco
certamente dipende dagli autori precedenti, ma fa pro­
prio quel che prende a prestito, piuttosto che seguire pe­
dissequamente queste autorità. Egli fa esplicito riferi­
mento ad alcuni autori ma - come è frequente negli scrit­
tori antichi - senza dire con precisione da dove derivino
i passi che cita; abbiamo del resto una chiara prova della
vastità delle sue letture anche laddove ammette una co­
noscenza attraverso l’esperienza personale o che il fine

67 Ibid. IV,2i.
« Cf. ibid. XXVII/1,9.
69 Cf. ibid. V,io.

23
della lotta spirituale non può essere appreso dai libri70. Per
esempio, nomina esplicitamente Origene71 ed Evagrio72
(entrambi per criticarli, come d’obbligo), come anche
Giovanni Cassiano73, Gregorio il Teologo74 ed Efrem, che
chiama semplicemente “il Siro”75.
A parte i riferimenti espliciti e impliciti ad altri auto­
ri, Climaco accenna anche ad alcuni anziani suoi contem­
poranei, che conosce o per averli incontrati di persona o
per averne sentito parlare. Apprendiamo cosi di
Giovanni il Sabaita76, di Giorgio di Arsealo77, del mona­
co Mena78, dell’arcidiacono Macedonio79, del monaco
Esichio l’Horebita80, insieme ad altri monaci del cenobio
di Alessandria81. Espressioni come: “Alcuni senza menti­
re mi hanno raccontato...”, “Una persona mi ha raccon­
tato...” e “Ho sentito dire da qualcuno...” non sono in­
solite nella Scala82.
Ma consideriamo più attentamente il debito di Climaco
nei confronti delle sue fonti. Se esaminiamo la Scala da vi­
cino, scopriamo prima di tutto dei riferimenti alla filoso­
fia antica, per quanto rari essi siano. Climaco fa riferi­
mento alla “meditazione della morte”, ma la sua afferma­
zione è alquanto generale e non implica necessariamente

70
Cf. ibìd. XXV 1/1,29 e DP 5.
71
Cf. Scala V,29, e le allusioni implicite in XIV,5 e VI,n.
72 Cf. ibid. XIV,8, e le allusioni implicite in XIII,8; XVI,24; XXI, 1;

XXVI/1,2.29; XXVII/2,9.
73 Cf. ibid. IV, 105.
74 Cf. ibid. XXI,1; XXVI/2,19, e le allusioni implicite in XV,1.29 e

XXVIII,52.
75 Cf. ibid. XXIX,5.
76 Cf. ibid. IV, in.
77 Cf. ibid. XXVII/2,22.
78 Cf. ibid. IV,29.
79 Cf. ibid. IV,26.
80 Cf. ibid. VI,20.
81 Cf ibid V
82 Cf. ibid. vn^o.54; XXII,6.

24
un’influenza diretta da parte di Platone83. La divisione
tripartita dell’anima umana in pàthos, thymós e lògos nel
Discorso al pastore84 è un altro esempio dell’uso di propo­
sizioni filosofiche, ma anch’essa potrebbe non essere
stata presa direttamente dagli scrittori pagani ma da fonti
cristiane, come Gregorio il Teologo ed Evagrio.
Ma è soprattutto la Bibbia che Climaco cita più abbon­
dantemente: trovandosi più vicino a Gerusalemme che ad
Atene - geograficamente, teologicamente e spiritualmen­
te -, egli considera la Bibbia come la sua fonte fondamen­
tale, e ciò che è tipico del suo modo di scrivere è l’adat­
tamento dei testi biblici, attraverso sia l’aggiunta che l’o­
missione di alcune parole, in modo da adeguarli a un con­
testo o concetto particolare85. La fine del gradino XXX,
per esempio, può essere facilmente accostata all’inno alla
carità di Paolo (iCor 13).
Non si può dire con certezza se Climaco avesse una
qualche conoscenza diretta dei teologi del IV secolo,
come Basilio Magno (329-379) o Giovanni Crisostomo
(ca. 347-407). Gregorio di Nazianzo (329-389), però, è
esplicitamente menzionato nella Scala e ha avuto un no­
tevole influsso sul suo autore. Lo si vede chiaramente
perfino nei passi che non fanno esplicito riferimento a
Gregorio, ma che tradiscono un’evidente conoscenza dei
suoi scritti86. Altrove, l’autore fa riferimento a Gregorio
semplicemente come al “Teologo”87, o mostra di essere

83 Si confronti Scala VI,26 con Platone, Fedone 67E; 81A.


Cf. DP 100,h.
85 Cf. Scala IV,20; XXVI/2,38.44; XXVII/2,13; XXVIII,28. Sul tema cf.

M. Van Parys, “L’interpretazione delle Scritture nella ‘Scala’”, in Giovanni


Climaco e il Sinai, pp. 135-159.
86 Si confronti Scala XV,83 con Gregorio di Nazianzo, Orazioni 14,6-7;

XXVII/1,9 con Orazioni 20,1.3; XXVII/2,34 con Orazioni 40,43; XXVIII,52


con Orazioni 40,36; XV, 1 con Orazioni 45,8.
87 Cf. Scala XXVIII,32.

25
stato direttamente influenzato da qualche sua dottrina,
come per esempio per la connessione tra preghiera e re­
spiro, anche se, mentre in Gregorio il significato di tale
connessione è puramente metaforico, in Giovanni è sia
metaforico che letterale88. Si potrebbe anche affermare
con sicurezza che Climaco aveva familiarità con le opere
di Gregorio di Nissa (330 ca. -395), che può averlo in­
fluenzato in argomenti come la persona umana89, le pas­
sioni90, l’impassibilità e la salvezza91, la visione di Dio92,
la deificazione93, la morte94, così come riguardo alla rela­
zione tra anima e corpo95 96. La nozione di epéktasis, tipica
del Nisseno, è presupposta in vari passi della Scala%, pur
senza la menzione del termine specifico, di cui però si
può trovare una traccia nel gradino XXIX sull’impassibi­
lità, nell’espressione epekteinómenos, anche se qui l’autore
ha in mente soprattutto Filippesi 3,i397.
Climaco è familiare con la tradizione più intellettuali­
sta di Origene (185-234) e di Evagrio (345-399), e ci sono
perfino tracce particolari di un’influenza da parte di que­
st’ultimo, sebbene l’autore lo citi solo una volta per cri­
ticarlo98. Sarebbe però sbagliato affermare che Climaco

88Si confronti Scala XXVII/2,26 con Gregorio di Nazianzo, Orazioni 27,4.


89Si confronti Scala XV,83 con Gregorio di Nissa, Vanima e la risurrezio-
ne} PG 4Ó,i24C; XV,1 con Id., La creazione dell’uomo 17; 22.
90 Si confronti Scala XXVI/1,41 e XXVI/2,41 con Gregorio di Nissa, La

creazione dell’uomo 18.


91 Si confronti Scala XXIX,5 con Gregorio di Nissa, Encomio di sant’Efrem,

PG 46,836.
92 Si confronti Scala XXIX,3 e DP 100 con Gregorio di Nissa, Vita di Mosè
7
passim.
93 Si confronti Scala XXIX, 15 con Gregorio di Nissa, Sulle beatitudini 7.
94 Si confronti Scala IV,43 con Gregorio di Nissa, Grande catechesi 35.
95 Si confronti Scala XV,73 e XXVI/1,54 con Gregorio di Nissa, La crea­

zione dell’uomo 12.15.


96 Cf. Scala XXVI/i,37.38 e XXX,18.
97 Cf. ìbii. XXIX,2.
98 Cf. ibid. XIV,8.

26
appartiene alla “scuola” evagriana. La Scala analizza in
dettaglio gli otto vizi e parla di alcuni vizi e virtù come
“madri” - o corrispondentemente come “figlie” ma se
quest’analisi rivela delle evidenti somiglianze tra i due
autori, esse non sono però dovute a presupposti filosofi­
ci o origenisti comuni, ma piuttosto a una comune espe­
rienza fondata sulla tradizione del deserto e sulla discipli­
na dell’ascesi. La Scala nel suo insieme, infatti, non è su­
scettibile di una “sistematizzazione”: l’autore prende a
prestito da Evagrio idee e vocabolario, ma non una meto­
dologia o un sistema. Si possono cogliere così delle somi­
glianze nella descrizione delle tentazioni", nel secondo
“alfabeto” delle virtù100, nello sviluppo delle nozioni di
“insensibilità” e “impassibilità”, così come nell’accento
posto sull’“eliminazione dei pensieri” (apóthesis noemà-
ton)m. Allo stesso modo, la demonologia di Climaco e la
sua analisi dei vizi è influenzata dall’opera di Evagrio Gli
otto spiriti di malizia, tramandata nel corpus delle opere di
Nilo102. Ma Climaco non segue la classificazione evagria­
na dei vizi - né qualche altro schema sullo stesso argomen­
to - con alcuna precisione. Il Sinaita può concordare con
Evagrio nel collegare strettamente impassibilità e carità103,
ma lascia completamente da parte la cosmologia e la gno­
seologia evagriane: per lui infatti la carità è la virtù prin­
cipale104, mentre per Evagrio la gnòsis è superiore alla ca­
rità. L’influenza di Evagrio su Climaco può dunque esse­
re descritta più adeguatamente come terminologica o, al
massimo, come puramente formale; e perfino le affinità

«Cf. ibid.XV,73.
100 Cf. ibid. XXVI/1,14.
101 Si confronti Scala XXVII/2,17 con Evagrio Pontico, Sulla preghiera 70.
102 Cf. PG 79,1145-1164.
103 Si confronti Scala XXIX,4 con Evagrio Pontico, Trattato pratico 81.
104 Cf. Scala XXX,18.

27
terminologiche sono molto meno marcate che, per esem­
pio, in Massimo il Confessore.
L’uso che l’autore fa degli Apoftegmi dei padri del de­
serto (iv-V secolo) è molto evidente in tutta l’opera, ma
soprattutto, per esempio, nel gradino XXIX sull’impassi­
bilità. Il suo discorso sul padre spirituale fa ricorso a detti
di abba Antonio105, menzionato anche esplicitamente106,
insieme a detti di Paolo il Semplice107 e di Arsenio il
Grande108. Altrove, la Scala può essere compresa soltanto
facendo riferimento agli Apoftegmi". l’autore, per esempio,
chiede come mai tra i tabennesioti non ci fossero altrettan­
ti luminari come tra gli scetioti, ma non dà risposta - e
la risposta è fornita dal primo detto di abba Ammonio di
Nitria “Abba Antonio rispose: E perché amo il
Signore più di te!”109.
L’intera vita di Climaco, del resto, almeno stando alla
descrizione di Daniele, rifletteva in molti modi i detti
dei padri del deserto: “Mangiava di tutto ciò che gli era
consentito dal suo stato di vita, ma molto poco”110. Se al­
cune parole di Climaco paiono insensate, come per esem­
pio quelle sulla “prigione” di Alessandria111, esse tutta­
via riflettono le stesse peculiarità degli Apoftegmi112 e, in
definitiva, la “follia” della croce (cf. iCor 1,18). E però
chiaro che l’autore era familiare con tutta l’antica tradi­
zione del deserto, che oltre agli Apoftegmi stessi, com­

105 Cf. Apoftegmi, Antonio 37-38. SÌ confronti anche Scala XVIII,6 con
Antonio 1; XV,27 con Antonio 14; XXIX,5 con Antonio 32; XXVII/2,29 con
Arsenio 7; XV,76 con Ammonas 7 ed Elia 7; IV,106 con Giovanni il Tebano
1; XXVI/2,25 con Timoteo 1; XV,48 con Apoftegmi Nau 291.
106 Cf. Scala XV,27 e XVIII,6.
107 Cf. ibid. XXIV,i .
3
108 Cf. ibid. XXVII/2,29.
109 Apoftegmi, Ammonio 1.
110 Vita 4: cf. Apoftegmi, Ammonas 4 e Poemen 31.
111 Cf. Scala V,5- .
7
112 Cf. Apoftegmi, Antonio 25; Arsenio 37; Ammonas 9; Apoftegmi Nau 61.

28
prendeva altre fonti importanti come la Prima vita greca
di Pacomio (ca. 390)113, la Storia lausiaca di Palladio
(419-420)114, il Prato spirituale di Giovanni Mosco (615-
619)115 e la Vita di santa Pelagia116. Climaco fa anche
esplicito riferimento a Giovanni Cassiano (ca. 365-ca.
435), che egli chiama “grande”117.
Ci sono poi delle affinità - pur non essendo abbastanza
forti da permetterci di parlare di influenze dirette - perfi­
no con le Omelie pseudo-macariane (IV-V secolo), soprattut­
to in riferimento al monismo antropologico dello Pseudo-
Macario, che si esprime nella nozione di cuore come cen­
tro della persona umana e nel primato attribuito all’amore.
Pur riferendosi in minor misura allo Spirito santo, Climaco
sembra opporsi sia a un estremo spiritualismo che a un
estremo intellettualismo, raggiungendo così una specie di
sintesi tra Evagrio e lo Pseudo-Macario - un tentativo già
inaugurato da Marco il Monaco e Diadoco di Fotica.
Climaco non cita mai Marco il Monaco (prima metà del
V secolo) o Diadoco di Fotica (metà del V secolo) per nome,
ma probabilmente era familiare con i loro scritti; la dipen­
denza da Marco però è più sicura di quella da Diadoco.
Dal primo, Climaco attinse la sua analisi della tentazione
nel gradino XV118 e alcune espressioni e termini come

113 Si confronti Scala XXVII/2,54 con Vite greche di Pacomio 1,6.


1H Si confronti Scala XXIV,13 con Palladio, Storia lausiaca 22, e XXV,40
con Storia lausiaca 37.
115 Si confronti Scala XXVI/1,10 con Giovanni Mosco, Prato 112.
116 Si confronti Scala XV,58 con Vita di santa Pelagia, PL 73,6Ó5A-C.
117 Cf. Scala IV, 103. Si confronti Scala XXI,1 con Cassiano, Istituzioni
XI,1; Scala IV,103 con Id., Conferenze II,io; Scala XIII,io con Conferenze
XVII,6. L’influenza di Cassiano può essere ravvisata anche in Scala II,9;
VII,40-42; XXI,30; XXII,1.6.io. Climaco inoltre può essere stato influenza­
to da una compilazione di Cassiano, Gli otto pensieri malvagi, tradotta in greco
e attribuita a Nilo (PG 79,1435-1472).
118 Per i riferimenti cf. le note a Scala XV,73.

29
pararripismòs noós119 o protónoia120, e anche i paragoni pre­
senti nel gradino XXVI121 denunciano la stessa fonte. Dal
secondo, derivò alcuni elementi come la già menzionata
riserva nei confronti dei sogni122, la sua comprensione
della preghiera mentale senza immagini123, l’invocazione
“Signore Gesù” nella preghiera124, la considerazione del­
l’impassibilità come qualcosa di positivo125, e il concetto di
“sensi spirituali”126. Diadoco parla anche del ritiro della
grazia di Dio, adottando perfino la stessa metafora della
madre e del bambino127. Tuttavia i paralleli con Diadoco,
per quanto interessanti, non sono altrettanto convincenti,
soprattutto considerando che il più lampante - ovvero
l’uso dell’espressione “Signore Gesù” - potrebbe molto
probabilmente essere stato preso da Barsanufio128.
Lo stile di esegesi biblica di Climaco, il suo modo di ci­
tare liberamente e di cambiare le citazioni dell’Antico e del
Nuovo Testamento, è probabilmente influenzato da Nilo
di Andrà (v secolo). La sua influenza è peraltro evidente
in alcuni passi, soprattutto in connessione con argomenti
come il peccato129, la relazione erotica tra Dio e l’uomo130,

119 Si confronti Scala XV,73 con Marco il Monaco, A Nicola 7.


120 Cf. Scala XXVI/1,76. Si confronti Scala XXII,6 con Marco il Monaco,
La legge spirituale 136, e Scala XXVIII,57 con Id., Su chi si crede giustificato per
le opere 139.
121 Si confronti Scala XXVI/3,20 ss. con Marco il Monaco, Su chi si crede

giustificato per le opere 73 ss.


122 Si confronti Scala 111,35-45 con Diadoco di Fotica, Capitoli 36-38.
123 Si confronti Scala XXVII/2,17 con Diadoco di Fotica, Capitoli 59. Ma

questo elemento potrebbe derivare da Evagrio: si confronti Scala XVIII,5 con


Evagrio, Sulla preghiera 8; 114-119.
124 Cf. Scala XXVIII,9 e XV,51 con Diadoco di Fotica, Capitoli 31; 59; 61;

85; 88; 97.


123 Cf. ibid. 17.
126 Cf. ibid. 25.
127 Si confronti Scala V,io e VII,58 con Diadoco di Fotica, Capitoli 86-87.
128 Cf. Barsanufio di Gaza, Lettere 446.
129 Si confronti Scala XXVI/1,41 e XXVI/2,41 con Nilo di Ancira, Lettere

11,229.
130 Si confronti Scala VII,i e XXX,1 con Nilo di Ancira, Lettere 111,169.

30
la morte e la resurrezione131. Nilo parla anche della con­
nessione tra preghiera e respiro, ma in lui, come in
Gregorio il Teologo, il significato è metaforico132.
Al pari dello Pseudo-Macario, lo Pseudo-Dionigi
Aeropagita (ca. 500) non è mai citato per nome nella Scala
e non vi si possono individuare influssi particolari. Ci
sono però alcuni paralleli - dovuti probabilmente a fonti
comuni più che a un influsso diretto - in riferimento ai
temi del l’èros e delle passioni133. Non c’è alcuna esplicita
trattazione della teologia apofatica, ma essa è alla base del
pensiero di Climaco e, in qualche modo, l’intera sua espe­
rienza ascetica può essere descritta come apofatica. La più
chiara affermazione apofatica si trova all’inizio del trente­
simo gradino sulla carità, dove l’autore rifiuta ogni defini­
zione di Dio, ad eccezione di quella di Dio come amore134.
Largamente debitore - come è ovvio - nei confronti
della scuola palestinese di Gaza (prima metà del VI sec.),
Climaco può essere visto come un consapevole continuato-
re e un erede diretto di questa scuola di spiritualità. Da
essa e, tramite essa, dal deserto egiziano, ereditò la rile­
vanza e il ruolo “critico” del padre spirituale, come anche
l’uso selettivo della terminologia evagriana, mentre la pre­
sentazione non sistematica della Scala è tipica soprattutto
di abba Doroteo. Ma l’affinità dottrinale di Climaco con
Barsanufio, Giovanni il Profeta e il loro discepolo Doroteo
può essere colta in modo chiaro nella loro comune inter­
pretazione del paolino “portare gli uni i pesi degli altri” (cf.
Gal 6,2)135. Un altro scrittore palestinese, non esplicita­

131 Si confronti Scala IV,43 con Nilo di Ancira, Lettere 11,78.


132 Si confronti Scala XXVII/2,26 con Nilo di Ancira, Lettere 1,239.
133 Cf. Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, I nomi divini 4.
134 Cf. Scala XXX,2.
135 Si confronti Scala IV,18 con Barsanufio di Gaza, Lettere 189; 191; 199;

203; 206; 239; 483, e Doroteo, Insegnamenti IV,56-37; VII,79. Si confronti inol­
tre Scala XV,51.76 con Barsanufio di Gaza, Lettere 39; 126; 255; 268; 446; 659.

31
mente citato, cui Climaco sembra attingere è poi abba
Isaia di Scete (t 489): entrambi hanno opinioni simili su
ciò che è “secondo natura”136.
Ci sono paralleli interessanti tra Climaco e Massimo il
Confessore, ma, essendo contemporanei, non c’è alcuna
prova di una qualche influenza diretta in nessuna delle
due direzioni. Entrambi, tuttavia, parlano del primato
della carità e descrivono in modo simile le caratteristiche
delle passioni, il peccato, e perfino le due nature di
Cristo. Sebbene ogni distinzione netta tra modi diversi di
far teologia sia spesso vana, si può affermare che Climaco
ha espresso in terminologia ascetica ciò che Massimo ha
formulato in teologia dogmatica.
Si potrebbe dire che Climaco ha gettato le fondamenta
per una nuova scuola spirituale, la “scuola sinaitica”, che
comunemente è circoscritta ad Esichio (vii-viii secolo?) e
Filoteo (iX-X secolo?): tale tradizione sinaitica ha chiara­
mente esercitato un’influenza profonda sugli esicasti del
XIV secolo, ma in senso stretto essi non possono essere
considerati parte della stessa scuola, perché altrimenti il
termine “spiritualità sinaitica” sarebbe fuorviante, non te­
nendo conto di fondamentali considerazioni geografiche.
Comunque Climaco ha certamente rimodellato il passato
a lui immediatamente precedente in un modo unico, che
ha profondamente influenzato i suoi successori, creando e
rinnovando prospettive e perfino coniando una nuova ter­
minologia per la vita spirituale, specialmente in temi come
la direzione spirituale, le lacrime, l’amore divino e il silen­
zio contemplativo. Tuttavia, il cambiamento da una “scuo­
la” di spiritualità, come quella palestinese, ad un’altra,
come quella del Sinai, è in ultima istanza inafferrabile per­

136 Si confronti Scala XXVI/1,41 con Abba Isaia, Discorsi ascetici 2,1-2, e
anche Scala XXV,22 con Discorsi ascetici 8,7.

32
ché quel che di fatto è in gioco è l’appropriazione delle sor­
genti più profonde della vita spirituale. In definitiva, per
quanto possa essere fuorviante far riferimento a una “scuo­
la” sinaitica come tale, tuttavia la Scala è indubbiamente
responsabile per aver dato forma a una nuova sintesi, che
ha raccolto l’eredità egiziana, caratteristica dell’ambiente
sinaita, e influenzato a sua volta la posterità bizantina.

1.5. Popolarità e influenza

A eccezione delle Scritture e dei libri liturgici della chie­


sa, nessun altro scritto nel cristianesimo orientale è stato
studiato, copiato e tradotto come la Scala di Giovanni
Climaco. La Scala è un testo che ha enormemente influen­
zato e plasmato non solo il mondo ortodosso orientale - e
specialmente la sua tradizione monastica -, ma l’intero
ecumene cristiano.
La venerazione per il suo autore è evidente dall’inusuale
preminenza di cui gode all’interno dell’anno liturgico della
chiesa ortodossa. Oltre alla memoria annuale del 30 marzo,
nel calendario delle feste fisse, a lui è dedicata anche la
quarta domenica di quaresima, insieme alla maggior parte
dei testi liturgici di quel giorno. Questo fatto lo indica
come l’autore ascetico per eccellenza, i cui scritti sono un
punto di riferimento e un modello per l’intera chiesa.
Ancora oggi, ogni anno durante la quaresima, è previsto
che la Scala sia letta a voce alta in chiesa o in refettorio,
come anche privatamente nelle celle dei monasteri orto­
dossi137. Le origini di questa pratica non possono essere
rintracciate con precisione, ma non c’è dubbio che essa sia

137 Cf. Tquóóiov Kaxavvxxixóv, a cura di M. I. Saliveros, Athinai s. d.,


pp. 75 e 78.

33
iniziata quando Fautore era ancora vivente. Dopo tutto,
l’igumeno Giovanni di Raito richiese la Scala proprio per
il beneficio spirituale dei monaci del suo monastero, e non
sarebbe difficile immaginare i monaci di Raito intenti ad
ascoltare la lettura della Scala durante i pasti di quaresima.
Come abbiamo già sottolineato sopra, il testo è destinato
ai cenobiti: molti monaci anziani, perciò, l’avranno ascol­
tato o letto forse almeno cinquanta o sessanta volte nella
loro vita. Bisogna tuttavia riconoscere la popolarità che la
Scala ha avuto, nel corso dei secoli, anche tra i laici: fino
a oggi, infatti, essa si è dimostrata la lettura preferita di
un numero incalcolabile di ortodossi in Grecia, Bulgaria,
Serbia, Russia, e altrove. Il suggestivo simbolo della scala
che dà unità all’intero libro, la combinazione da parte del­
l’autore di sapienza monastica e di un fresco senso dello
humour, la sua capacità di riunire così tanti temi in uno
solo, la sua sintesi allo stesso tempo tradizionale e origina­
le, e soprattutto l’ineguagliabile profondità del suo intuito
spirituale: sono questi almeno alcuni aspetti della Scala che
devono aver attirato l’attenzione e l’immaginazione di in­
numerevoli lettori nel corso degli anni. Non esiste un equi­
valente della Scala in occidente, ma la sua popolarità può
essere paragonata a quella dell’Imitazione di Cristo, anche
se i due libri sono di carattere molto diverso. -
La vasta diffusione del libro è attestata anche dal gran
numero di manoscritti giunti fino a noi, spesso elegante­
mente e finemente illustrati, che contengono anche dei
commenti, come quelli riprodotti nell’edizione di Rader
ristampata da Migne (in PG 88)138. Il monastero di Santa

138 Un buon elenco dei manoscritti esistenti della Scala si può trovare in D.
Bogdanovic, Jean Climaque, pp. 25-27; cf. anche A. Rigo, “Giovanni Climaco
a Bisanzio”, in Giovanni Climaco e ilSinaiy pp, 198-202. Sui manoscritti illus­
trati della Scala cf. poi J. R. Martin, The Illustration of thè Heavenly Ladder of
John Clìmacus, Princeton University Press, Princeton 1954.

34
Caterina al Sinai, di cui Climaco stesso fu igumeno per
un certo tempo, possiede almeno quindici manoscritti
della Scala, uno dei quali risale al IX secolo {Sinai gr. 421).
Inoltre, anche molti monasteri del monte Athos posseg­
gono diversi manoscritti di quest’opera, alcuni dei quali
riccamente decorati.
L’influsso esercitato da Giovanni Climaco sugli autori
spirituali posteriori è stato ad un tempo ampio e impres­
sionante. Sullo stesso monte Sinai, il suo insegnamento ri­
guardo alla preghiera e all’esichia fu sviluppato da Esichio
- che fa delle allusioni alla “preghiera di Gesù” dissemi­
nate qua e là da Climaco il proprio tema dominante - e
più tardi da Filoteo. Anastasio (ca. 700), un altro sinaita,
e Teodoro Studita (759-826) furono ugualmente influen­
zati da Climaco. Nonostante la Scala, sorprendentemente,
non sia mai citata nella vasta antologia di scritti, storie e
detti intitolata Synagoghé dal suo compilatore Paolo
Everghetinos (XI secolo), essa fu certamente letta e ap­
prezzata da Simeone il Nuovo Teologo, e probabilmente
anche dal suo discepolo e biografo, Niceta Stethatos.
Simeone fu soprattutto ispirato dal gradino XIII, “sull’a-
cedia”, ma l’influsso della Scala è particolarmente eviden­
te nel suo insegnamento sul dono delle lacrime e sul ruolo
del padre spirituale. La Scala è citata solo due volte nelle
sue Catechesi103, ma sappiamo che Simeone fa difficilmen­
te riferimento esplicito ad altri scrittori.
Pietro Damasceno (XII secolo) cita Climaco almeno tre­
dici volte, e gli esicasti del XIV secolo chiaramente attin­
gono alla Scala in modo massiccio. Ci sono tredici citazio­
ni della Scala in Gregorio Sinaita - assai più di ogni altro
autore - e Gregorio colloca il nome di Climaco al primo 139

139 Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Catechesi 4; 30.

35
posto nella sua lista di scrittori adatti per la lettura mona­
stica140. Nelle Triadi in difesa dei santi esicasti di Gregorio
Palamas, la Scala è citata venticinque volte e, anche se in
quest’opera Palamas generalmente non cita l’autore della
Scala per nome, negli altri suoi scritti Climaco viene cita­
to almeno altrettante volte e spesso anche per nome.
Callisto e Ignazio Xanthopouloi citano la Scala più di
trenta volte nella loro Centuria. Questi scrittori del XIV se­
colo fanno riferimento soprattutto al gradino XXVII sul-
l’esichia, alle affermazioni di Climaco sull’invocazione del
nome di Gesù, e sul gradino XXVIII sulla preghiera.
Ma l’influsso di Climaco non è affatto trascurabile
neanche in occidente141, dove la Scala ha goduto di popo­
larità all’interno di vari ordini monastici, e specialmente
tra i francescani, i benedettini, i cistercensi e i certosini,
che scrissero numerosi commenti su di essa, e in misura
minore tra i gesuiti. In Francia, i giansenisti ebbero una
particolare predilezione per Climaco, come per un certo
numero di altri autori ascetici.
I commenti e le raccolte di scholia alla Scala sono nu­
merosi. Tre in particolare vanno qui menzionati, due
orientali e uno occidentale. Elia, metropolita di Creta tra
gli anni 1120 e 1130, fu il primo a scrivere un commen­
to in forma sistematica, ed esistono molti manoscritti della
sua opera142. Un altro commento fu scritto in oriente da
Niceforo Callisto Xanthopoulos (t 1333)143, e in occiden­
te da Dionigi il Certosino, nel XV secolo144.

140Cf. Gregorio Sinaita, L’esicbia n.


141Sul tema, cf. M. Cortesi, “La ricezione della ‘Scala’ in occidente”, in
Giovanni Climaco e il Sinai, pp. 279-300.
142 Da tale commento derivano parte degli Scholia pubblicati in PG 88,643-1210.
143 Cf. Exegesis.
144 Cf. Dionigi il Certosino, Expositio librorum Iohannis Climaci, in Doctoris

ecstatici D. Dionysii Cartesiani, Opera omnia in unum corpus digesta XXVIII,


Brépols, Tournai 1905.

36
Prima della fine del VII secolo - dunque subito dopo la
morte di Climaco - la Scala fu tradotta in siriaco. Uno dei
manoscritti più antichi, infatti, è un codice siriaco del
British Museum {Add. Ms. 14593), scritto a Edessa e re­
cante la data dell’anno 817145; e numerosi altri manoscritti
esistevano all’interno dei circoli melchiti nel IX secolo. Il
libro di Climaco fu anche tradotto in altre lingue orienta­
li: in arabo e georgiano, prima del X secolo, e in rumeno,
nei primi anni del XVII secolo. Le traduzioni russe, serbe e
bulgare videro la luce come un risultato dell’influenza slava
nel mondo ortodosso146. Il suo influsso sul rinnovamen­
to monastico del XV secolo può essere ravvisato su figu­
re significative come il capofila dei “non-possidenti”,
Nil Sorskij, o anche quello dei “possidenti”, Iosif di
Volokolamsk147. Il sovrano serbo Giorgio Brankovic com­
missionò una nuova traduzione dell’opera di Climaco; e
nella corrispondenza dello zar Ivan IV, detto “il Terribile”,
la Scala è il libro più spesso citato accanto alla Bibbia.

2. Alcuni temi spirituali della “Scala”

2.1. La direzione spirituale

Per il Sinaita, l’obbedienza è così importante, che egli


le dedica il secondo capitolo più lungo della sua Scala, il

145 Cf. W. Wright, Catalogue of Syriac Manuscripts in thè British Museum


Acquired Since thè Year 1838 II, Trustees of British Museum, London 1870,
pp. 590 ss.
146 Cf. M. Heppell, “Some Slavonic Manuscripts of thè 'Scala Paradisi’”, in

Byzantinoslavica 18,2 (1957), pp. 233-270, e A. E. Tachiaos, “Note sull’irradia­


mento della 'Scala’ nel mondo slavo”, in Giovanni Climaco e il Sinai, pp. 207-239.
147 Cf. J. Meyendorff, Byzantium and thè Rise of Russia, Cambridge

University Press, Cambridge 1981, in particolare pp. 124, 131, 239, 260.

37
IV gradino. Egli non parla dell’obbedienza in termini di
conformità a delle regole - siano esse ordini o divieti
ma, anche se i monaci pacomiani avevano delle regole
scritte, Climaco non fa mai menzione della parola “rego­
la” in questo senso. Egli parla piuttosto dell’obbedienza
come di un rapporto profondamente intimo con una per­
sona determinata, ossia con il proprio padre spirituale,
grazie al quale non si rimane schiavi del proprio io. In
questo come in altri aspetti, Giovanni Climaco non fa
che seguire la tradizione monastica, specialmente nel
modo in cui è delineata dai padri del deserto egiziano nel
IV secolo e dagli “anziani” Barsanufio e Giovanni di
Gaza nei primi anni del vi secolo. L’insegnamento sul­
l’obbedienza a una persona specifica è presente nella tra­
dizione monastica fin dagli inizi: la prima cosa che allo
stesso Pacomio fu detto di fare, è trovare un ghéron, ov­
vero un padre spirituale148.
Alcuni autori monastici chiamano il padre spirituale
“ginnasta” (gymnastés) o “allenatore” ipaidotnbes). Altri
preferiscono usare parole come “igumeno” {hegoùmenos),
“guida” (bodegós), “pastore” {poìmén)> o altri termini pa­
storali simili. Nella Scala il padre spirituale è paragonato
a Mosè, che guidò gli ebrei fuori dall’Egitto: “Anche noi
infatti abbiamo bisogno di un qualche Mosè ... che stan­
do in piedi, a metà tra azione e contemplazione, tenda le
mani verso Dio in nostro favore” e ci guidi alla terra pro­
messa della libertà149.
Un certo numero di metafore ricorrenti sono usate per
esprimere l’idea della guida: una guida per il cieco (cf. Gb
29,15), un pastore per il gregge, un accompagnatore per

148 Cf. Vite greche di Pacomio 1,6; cf. anche Apoftegmi, Isaia 2.
149 Cf. Scala 1,14; DP 93.100.

38
10 smarrito, un padre e una madre (cf. iTs 2,7) per il
bambino, un infermiere per il bisognoso, un amico per il
disperato, e un pilota per la nave150, anche quando la
nave è in pericolo151: “Ma mi meraviglierei se qualcuno
riuscisse da solo a mettere in salvo la propria barca dai
flutti del mare! ”152 *.
Parlando della direzione spirituale, Climaco preferisce
però le immagini “terapeutiche”: “L’abilità dell’esperto e
del medico di cui abbiamo bisogno, infatti, deve essere
proporzionata al grado di cancrena delle nostre piaghe”155.
11 padre spirituale è un medico esperto che sa, per esem­
pio, come estrarre le schegge senza ingrandire la ferita. Il
peccato è equivalente a una malattia o a un’infermità, e
quindi dobbiamo entrare nell’“ospedale della confessione”
dove il padre spirituale ci risana interiormente prescriven­
doci dei medicamenti, fasciandoci le ferite, applicandovi il
cauterio, e perfino praticando amputazioni, se necessario.
La fiducia nel giudizio del padre spirituale dovrebbe esse­
re pari alla fiducia che si ripone nella diagnosi di un medi­
co, che può curarci solo se gli mostriamo le nostre piaghe:
i monaci del cenobio visitato da Climaco ad Alessandria,
prendevano nota di ogni loro peccato o pensiero cattivo su
una tavoletta che poi mostravano al loro gbéron154.
Come una persona che ha ricevuto sapienza dall’alto, il
padre spirituale è soprattutto un “maestro” (didàskalos).
Egli non ha bisogno di altri libri se non di quell’unico che
ha ricevuto attraverso la propria esperienza personale,
scritto “dal dito di Dio”155. Il maestro non dovrebbe es­

150 Per tutte queste immagini, cf. Scala IV,69.


«» Cf. ibid. XXVI/3,44; DP3.
152 Scala XV,56.
155 Ibid. 1,15.
154 Cf. ibid. IV, 32; e anche IV, 13.70.
155 Cf. DP 5-6.20. Il parallelo qui è con le tavole date a Mosè sul Sinai.

39
sere soltanto adorno delle virtù dell’innocenza {akakta) e
dello zelo (sponde) ma dovrebbe essere, innanzitutto, rigo­
roso ed esigente: “Anche questo infatti è segno di un
buon pastore”, il quale si preoccupa che l’ultimo Giudizio
non si riveli troppo severo per il proprio gregge156.
Il pastore ha cura di tutte le sue pecore in ogni momen­
to: egli deve essere onorato e ricordato per le sue capacità
spirituali e per la sua cura pastorale, ma non deve essere
giudicato o criticato157. Tutti i suoi consigli dovrebbero es­
sere accolti con gioia158, anche quando non sono immedia­
tamente di nostro gradimento, poiché egli vuole metterci
alla prova e tenerci continuamente “in allenamento”159.
Davanti al proprio padre spirituale, il discepolo sta in silen­
zio160: non deve soltanto appropriarsi del suo insegnamen­
to (cf. Mt 3,9), ma imitare l’insegnante161. Se, prima di af­
fidarsi nelle sue mani, il monaco non conosce il “medico”,
può testarlo per essere sicuro che sia esperto nel guarire e
capace di curare le ferite dei pazienti162. Se invece conosce
il proprio padre spirituale, non dovrebbe tentare di appro­
fittare del suo “carattere arrendevole e conciliante”163.
Il padre spirituale ha una funzione vicaria perché rap­
presenta non solo il proprio figlio davanti a Dio, ma anche
Dio davanti al proprio figlio: il suo desiderio per la nostra
salvezza corrisponde alla volontà stessa di Cristo164.
Rappresentando così il padre spirituale come un’icona
vivente del Dio vivente, la teologia ascetica considera

156 rf ìLiA -,
157 Cf! Scala IV,9.12-14; XXV .
)49
158 Cf. ibid. IV,16-17.26.ni.
159 Cf. ibid. IV,23-24.29.124.
160 Cf. ibid. IV,74.
161 Cf. ibid. IV,77.
162 Cf. ibid. IV,91.
163 Cf. ibid. ^,107.122-123.
164 Cf. ibid. IV, 106, dove si cita Apoftegmi Giovanni di Tebe 1.
i

40
l’obbedienza nei suoi confronti come rivolta a Dio stesso.
Il padre spirituale deve essere un servo di Dio, che è il no­
stro unico vero padre. Come afferma la Scrittura: “Non
chiamate nessuno padre sulla terra, perché uno solo è il
Padre vostro, quello del cielo!” (Mt 23,9). Il padre spiri­
tuale, quindi, non fa altro che comunicare la parola di Dio
ai figli e alle figlie di Dio, e per Climaco ciò rimane vali­
do anche se il padre spirituale non è una persona partico­
larmente “spirituale”. Dio infatti può parlare attraverso
chiunque gli piaccia,

anche se gli interpellati sono tutt’altro che uomini spi­


rituali: Dio infatti non è ingiusto da ingannare le anime
che con fede e semplicità si sottomettono umilmente ai
consigli e ai giudizi del loro prossimo; infatti, se anche
gli interpellati fossero delle bestie senza ragione, colui
che parla è sempre l’Immateriale e l’Invisibile165!

L’obbedienza, tuttavia, non è cieca nel senso che è


priva di scopo o frutto di un giudizio erroneo. Furono il
rischio della fede e la trasparenza dell’amore a condurre
Abramo, “che non sapeva dove andava” (cf. Eb 11,8), a
offrire il proprio figlio in sacrificio, perché Dio glielo
aveva chiesto ! Furono lo stesso rischio e la stessa traspa­
renza e fiducia nel proprio padre a spingere Isacco a col­
laborare al proprio stesso sacrificio, portando perfino la
legna necessaria ad accendere il fuoco!
C’è un elemento “protettivo” in questo rapporto: siamo
“coperti” da una grazia che ci difende dalle insidie. Il
padre spirituale, infatti, è presente perfino nella sua assen­
za; ci protegge anche quando non è accanto a noi166. E noi

165 Cf. Scala XXVI/2,2.


166 Cf. ibid. IV.44.48.52; XV,63.

41
ci consegniamo a lui nel pensiero, o piuttosto nella fidu­
cia, così come ci affidiamo a Dio. La salvezza dipende da
questo. Perciò, in un certo senso e in modo del tutto
paradossale, diventa preferibile peccare contro Dio piut­
tosto che contro il proprio padre spirituale:

se infatti Dio si adira con noi, il nostro maestro ha il


potere di riconciliarci con lui. Se invece è il nostro
maestro ad adirarsi, non abbiamo più nessuno che
possa intercedere per noi. Ritengo però che i due casi
si riducano a uno167.

Infine, in un passo unico e suggestivo, Climaco descri­


ve la guida spirituale come anàdochos - che è il termine
usato per il “garante” o “padrino” del battesimo, e che si­
gnifica “colui che si assume la responsabilità di un
altro”168. La fonte di questa dottrina è paolina: “Noi che
siamo forti dobbiamo portare le infermità dei deboli” (Rm
15,1). Barsanufio scrive a un discepolo: “Mi faccio carico
di te e ti sostengo, ma a questa condizione: che tu sosten­
ga l’osservanza delle mie parole e dei miei comandi”169. Il
padre spirituale non fa altro che assumersi la completa re­
sponsabilità delle anime degli altri; scrive l’autore della
Scala: “C’è dunque un’assunzione di responsabilità (ana-
doché) nel pieno senso del termine, che significa offrire to­
talmente la propria anima per l’anima del prossimo”170.
Una tale anadoché, come Barsanufio e Climaco sugge­
riscono, può essere completa (katà pànta) ma può anche
essere parziale: il padre spirituale può scegliere di farsi

167 Ibid. IV, 126.


168 Cf. ibid. IV,io4, e anche DP 45.56.59.
169 Barsanufio di Gaza, Lettere 270.
,7() DP 57.

42
carico soltanto dei peccati del passato, o di quelli del pre­
sente. Egli solleva dai pesi e li porta come propri. Ciò è
illustrato in modo suggestivo dal seguente aneddoto:

L’anziano lesse, sorrise, e facendo rialzare il fratello, gli


disse: “Figlio, metti la tua mano sul mio collo”. E ap­
pena il fratello ebbe fatto ciò, quel grande anziano gli
disse: “Questo peccato sia sul mio collo, fratello, per
tutti gli anni che ti ha tormentato e ancora ti tormen­
terà; tu cerca soltanto di non dartene più pensiero!”171.

Questo gesto potrebbe alludere a una prassi rituale


della penitenza presente nella chiesa antica, di cui oggi ri­
mane una traccia neU’atto del presbitero che poggia la
mano sul collo del penitente, durante la confessione nel
rito bizantino; il gesto implica amore e solidarietà con l’u­
manità, perché l’anziano si fa carico delle sofferenze degli
altri, e così “porta la croce” (cf. Le 14,27) di Cristo.
Del resto, il padre spirituale preferirebbe la sua stessa
dannazione a quella dei suoi discepoli. Anche se Climaco
non sviluppa questo argomento, esso è certamente impli­
cito nella Scala e lo si può trovare formulato in modo
esplicito sia nella tradizione patristica precedente che in
quella posteriore. La fonte biblica è la supplica che Mosè
rivolge a Dio in favore del suo popolo: “Questo popolo
ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio
d’oro! Ma ora se tu perdonassi il loro peccato ... Se no,
cancellami dal tuo libro che hai scritto!” (Es 32,31-32).
Facendo eco a questo sentimento, Barsanufio prega Dio:
“Signore, o mi accogli nel tuo Regno con i miei figli, op­
pure cancella anche me dal tuo libro!”172.

171 Scala XXIII,14.


172 Barsanufio di Gaza, Lettere 187.

43
2 . 2 . “Charmolype” : lacrime e gioia

Le lacrime hanno un ruolo centrale in tutta la storia e


la letteratura ascetica, ma il più originale contributo di
Climaco alla teologia delle lacrime è nel modo in cui egli
identifica il dolore del pénthosm con la gioia. I termini
tecnici che egli adopera per descrivere lo stato di gioiosa
tristezza - charopoiòn pénthos e charmolype - si trovano
per la prima volta nei suoi scritti, mentre il “gradino” de­
dicato a questo tema (il VII) è stata la sezione della Scala
che ha esercitato il maggior influsso173 174.
Per Climaco l’amarezza delle lacrime viene addolcita
mediante la penitenza: le lacrime di timore fioriscono in
lacrime d’amore175. L’abito del monaco non è più un
abito funebre, ma un “abito di nozze”, un segno di gioia
spirituale piuttosto che di dolore, poiché Dio ci ha crea­
ti per la gioia e non per il dolore1'6. “Colui che vive nella
continua afflizione secondo Dio, non cessa di essere in
festa ogni giorno!”177. Ogni giorno diventa una festa,
nella misura in cui il monaco si affligge della sua condi­
zione di peccato; allo stesso tempo, però, l’afflizione
segna un passo in avanti - o indietro - verso la condizio­
ne originaria, “non decaduta”, e questo diventa fonte di
gioia. Nella tristezza, c’è un’attesa: aspettiamo la visita
della grazia di Dio. La tristezza è imbevuta di speranza
escatologica, che si può gustare fin da ora.

173Per questo termine, cf. infra “Glossario”, s.v. “Afflizione”.


174Come la sezione sulla “prigione” nel V gradino (cf. Scala V,5) si è dimo­
strata la più “spaventosa” per i lettori, così - a parte i riferimenti alla “pre­
ghiera di Gesù” - il VII gradino è quello che ha esercitato il maggior influsso
in senso positivo.
175 Cf. Scala VII,28, e anche VII,54.67.
176 Cf. ìbid. VII,24.41.45.46.
177 Ibid. VII,38.

44
Il pénthos porta con sé un elemento di “bellezza”.
Climaco conia un altro termine a questo riguardo: kalli-
penthos178. L’umanità è da compiangere per aver perduto
questa “armonia” di gioia e tristezza, l’intreccio tra lacri­
me e gioia presente nella bellezza del pénthos, che
Climaco indica con un’altra espressione pregnante: kdllos
pénthous179. Il concetto caratterizza l’approccio dialettico
di Climaco: egli ritiene che distruggere quest’armonia in
tensione sia rimanere imprigionati nel pénthos, senza
poter fare nient’altro che “sospirare”180. La vera vita di
penitenza è un equilibrio di perdizione e di risurrezio­
ne181, di morte e di vita, di disperazione e di speranza
nella “riconciliazione con il Signore”182, e di dolore che
deriva dal desiderio di Dio183 184. Ploutotapeìnosh184 - un
altro termine che l’autore ha coniato, per descrivere “la
ricchezza dell’umiltà” - descrive efficacemente la “gioio­
sa tristezza”, il pianto che si mescola - e quasi s’identifi­
ca - alla gioia185. E l’esperienza simultanea del Getsemani
e del Tabor, del venerdì santo e della domenica di
Pasqua: “Moribondi ed ecco viviamo ... addolorati, ma
sempre lieti” UCor 6,9-10). La co-inerenza di gioia e di
tristezza riflette ancora la beatitudine di Cristo: “Beati gli
afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5,4), come pure la
sua ascensione, quando fu separato dai suoi discepoli ma
promise di rimanere sempre con loro (cf. Mt 28,20; Gv
14,12). Colui che piange è come un bambino, “che è
pieno di gioia e di tristezza allo stesso tempo: di gioia per­

178 Cf. ìbid. VII,39.


179 Cf. ibid. VII,28.
,8(> Cf. ibid. VII,39.
181 Cf. ibid. V,5,n e V,30.
182 Cf. ibid. V,2.
187 Cf. ibid. V,5,v.
184 Cf. ibid. V,9-
185 Cf. ibid. VII,61.

45
ché vede colui che desidera, e di tristezza per essere stato
privato per tanto tempo della sua piacevole bellezza”186.
Climaco è capace di condensare l’intero insegnamento
patristico sulle lacrime nella sua dottrina della charmolype.
Anche altri scrittori hanno fatto allusione a questo con­
cetto di “gioiosa tristezza”187, ma egli lo sviluppa in modo
esplicito per la prima volta, sia coniando il termine, sia
traendo le proprie conclusioni ascetiche dalla beatitudine
di Cristo, secondo la quale la “consolazione” beatifica è
anticipata escatologicamente qui e ora.
L’esperienza del “fiore della santa carità” e la trasfor­
mazione delle “lacrime dolorose” in “lacrime di gioia” av­
viene “miracolosamente”188: è un dono che viene dall’alto.
La gioiosa tristezza è soprannaturale, un dono gratuito di
Dio, che non ha origine dalle passioni dell’uomo. La gioio­
sa tristezza è sorprendente per lo stesso Climaco: “Se con­
sidero la natura stessa della compunzione, sono stupito al
vedere come quella che chiamiamo afflizione e tristezza
contenga in sé, come miele nel favo, gioia e letizia”189.
C’è un ottimismo soggiacente in Climaco, che consi­
ste nella sua convinzione che la natura umana è stata
creata da Dio per la gioia e non per la tristezza, per il
riso e non per le lacrime: “Rallegratevi nel Signore sem­
pre; ve lo ripeto: rallegratevi!” (Fil 4,4). Nel settimo
gradino l’autore dice: “Dio, miei cari, non ha bisogno,
né vuole, che l’uomo si affligga per il dolore del cuore,
ma vuole piuttosto che gioisca per amor suo nel sorriso
dell’anima”190.

186 Ibìd. VII,57.


187 Per esempio, il volto di Antonio è gioioso, anche se lacrima sempre: cf.

Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 67. Per gli altri riferimenti, cf. la n. 5
a Scala VII,ii.
188 Cf. Scala VII,53-54.
189 Ibid. VII,50.
190 Ibid. VII,45.

46
Ma il riso “mondano” sta al riso spirituale come l’eb­
brezza che deriva da bevande alcoliche sta all’ebbrezza spi­
rituale191. L’autore afferma che la sola “persona” di fronte
a cui si può ridere è il diavolo192. La gioia spirituale193 è una
katdstasis (letteralmente, uno “stato”) ripiena di amore,
una condizione che esclude qualsiasi “tenebra oscura del­
l’anima”, e una gioia libera da ogni tristezza: “Togli il pec­
cato, e le lacrime di dolore sugli occhi del tuo corpo saran­
no superflue: dove non c’è piaga, infatti, non c’è alcun bi­
sogno del rasoio!”194. C’è una gioia nell’arrivare e una
gioia nell’essere in cammino, ma la gioia è completa soltan­
to in patria, cioè in paradiso. C’è un legame tra gioia
{chard) e grazia (chdris), parole che condividono la stessa ra­
dice sia dal punto di vista etimologico che teologico.
Come spesso in Climaco, il suo discorso sul dono delle
lacrime è una testimonianza, non un trattato; è forse
un’omelia, ma non un discorso dottrinale con uno sche­
ma fisso di assiomi e di regole. L’autore comunque dimo­
stra una capacità straordinaria nel penetrare a fondo que­
sto “misterioso paese delle lacrime”195, i vari tipi di pian­
to, e il loro ruolo e significato per la vita spirituale.

2.3. "Eros” divino

Ci sono molti modi di descrivere la vita spirituale, lo


scopo e la lotta di un asceta: l’impassibilità è uno di que­
sti; la “passione”, paradossalmente, è un altro. Climaco si
compiace di usare le immagini dell’amore erotico e del

191 Cf. ibid. VII,16-17.


192 Cf. ibid. XIV,io.
193 Cf. ibid. VII,41.
m Ibid. VII,46.
195 Cf. A. de Saint-Exupéry, Il pìccolo principe, c. 7.

47
fuoco196. Le due immagini sono strettamente legate:
“L’amore”, ci dice, “è una sorgente di fuoco”. Egli parla
di un amore che ha sperimentato lui per primo: “Ora hai
ferito la mia anima e non riesco a contenere la tua fiam­
ma- perciò continuerò a cantare le tue lodi!”197.
E dunque giusto che Climaco parli anche di èros nei ter­
mini dell’unione sessuale (synotista)198, perché nell’amore
c’è una specie di santa passione e follia {makaria mania)199.
Acquistare la virtù non è una pura “aggiunta” alla perso­
na umana: è un atto integrale, che fa tutt’uno con essa,
come in un vincolo matrimoniale200. Il fuoco è, per
Climaco, l’immagine più adeguata per esprimere l’amore
passionale dell’uomo per Dio: essa suggerisce sia l’ardore
di quest’amore che la luce che esso è in grado di imprime­
re alla vita, il desiderio bruciante che reca in sé e la sua na­
tura insaziabile, il suo effetto cauterizzante e distruttivo
sulle passioni umane e la capacità che ha di provarci come
l’argento e l’oro nel fuoco, come anche la rapidità con cui
può manifestarsi ed estinguersi. La “sete” (dtpsa) e il “de­
siderio ardente” {pàthos) suscitati dal nostro amore per
Dio ci “bruciano” e ci “consumano” continuamente201.
Climaco utilizza immagini prese dalla vita quotidiana e
le applica alla spiritualità ascetica: egli vuole che nella ri­
cerca delle virtù ci comportiamo come mariti gelosi nei
confronti delle loro mogli, e ci dice anche che l’amore di
Dio è di gran lunga più grande e più intenso di quello che

196Sull’eros divino in Climaco, cf. J. Chryssavgis, “The Notion of ‘Divine


Eros’ in thè Ladder of St. John Climacus”, in St. Vladimir’s Tkeological
Quarterly 29 (1985), pp. 191-200, e Ch. Yannaras, “Eros divin et èros humain
selon saint Jean Climaque”, in Contacts 21 (1969), pp. ^0-204.
™ Scala XXX,1.18.
198 Cf. ibid. XXVIII, 1.
199 Cf. ibid. XXX, 1.
200 Cf. ibid. XXV, 10.22.
201 Ibid. XXX,9 e specialmente XXVII/2,2.

48
una madre nutre per il proprio bambino, che pure è carne
della sua carne202 203. Per questo egli non può che utilizzare
rimmaginario erotico. L'èros per lui non è una pura icona,
un simbolo o una figura retorica. E prima di tutto un’ener­
gia, una modalità di esistenza, un prototipo e un esempio:

Il modo in cui temiamo le autorità e le fiere, lo si pren­


da come esempio di timore del Signore; e l’amore car­
nale sia modello del tuo desiderio di Dio. Nulla ci im­
pedisce infatti di trarre {poieisthai hetnàs) modelli di
virtù dai loro contrari (enantion)™.

L’espressione poieisthai hemàs mostra che l’amore car­


nale non è buono in se stesso ma deve essere reso buono,
come vedremo; la parola enantion, inoltre, mostra chiara­
mente che, per Climaco, tra amore carnale e amore divi­
no c’è un contrasto così come c’è uri analogia. Pur con
questa limitazione, la Scala adopera il linguaggio esube­
rante e pieno di vita degli innamorati: “Beato chi prova
per Dio un desiderio così grande quanto quello che un
folle innamorato prova per la propria amata!”204.
L'èros umano, compreso quello fisico e corporeo, non
esclude, anzi addirittura include una qualche scintilla di­
vina. Climaco apprezza persone che altri cristiani - con
zelo, ma in modo del tutto insensato - condannano, per
il loro amore “mondano”, e dice di loro: “Avendo trat­
to dall’esperienza di quell’amore passionale occasione di
penitenza, trasferirono lo stesso amore passionale sul
Signore, e ... si sentirono insaziabilmente spronate all’a­
more di Dio”205.

202 Cf. ibid. XXX,5.n.


203 Ibid. XXVI/1,31.
2(M Ibid. xxx .
>5
203 Ibid. V,6.

49
L’amore “mondano” può essere facilmente riorientato
(;metaphéro) verso Dio, e la ferma convinzione di Climaco
è che “è possibile e facile, per chi lo vuole, innestare un
oleastro su un olivo buono!”206. Proprio perché la prosti­
tuta del racconto evangelico aveva “molto amato” (Le
7,37-48), l’autore afferma che “aveva potuto facilmente
scacciare l’amore con l’amore”207. Chi non ama e non è
consumato dal desiderio, avrà un fervore minore nella sua
ricerca di Dio. Climaco sa che una singola esperienza di
èros vissuta in tutta la sua intensità può far avanzare molto
di più una persona nella sua vita spirituale, e può essere
molto più efficace della più ardua lotta contro le passioni
e della più severa disciplina ascetica. Del resto, è soltanto
questo amore erotico per l’amata persona del Cristo che
può spiegare le altrimenti inspiegabili e apparentemente
insensate, o perfino eccentriche, imprese ascetiche208.
Le virtù stesse sono descritte oltre che come donne,
imparentate l’una con l’altra, anche come qualità degli
amanti209. Esse seducono l’uomo in cammino verso il pro­
prio Amore definitivo: sarebbe perciò sbagliato attaccar-
visi come se fossero fine a se stesse. Tra le virtù che,
come le passioni, in greco sono di genere femminile,
Climaco sottolinea l’importanza della “memoria di Dio”:
la parola “memoria” (;mnéme) ha la stessa radice della pa­
rola “fidanzata” (;mnesté). Nell’esperienza del deserto,
dunque, bisogna ricordarsi di Dio come l’innamorato si
ricorda della sua promessa sposa.
Allo stesso tempo, l’eros, con la propria carica di desi­
derio passionale, getta luce sulla nozione di “passioni pec­

206 lbid. XV,66.


207 lbid V,6.
208 Cf. ibid. XXVI/3,8 e V,5 passim.
209 Cf. DP 100,h.

50
caminose”: esse non devono essere soppresse o cancellate,
ma convertite, plasmate, educate, e orientate nella loro
giusta e naturale direzione. Nel contesto monastico, le
passioni sono affrontate diversamente: sono superate at­
traverso la conquista di “passioni divine” più grandi. Il
monaco orienta ogni sua passione verso Dio gettando tutti
i suoi amorosi sforzi ai piedi del suo Signore:

Ho visto alcuni praticare l’esichia saziando insaziabil­


mente la loro ardente brama (epithymia) di Dio, e ge­
nerando con il loro fuoco altro fuoco, con il loro amore
altro amore (èros), e con il loro ardente desiderio altro
desiderio210.

È proprio in questo contesto erotico - intendendo l’è­


ros come una “completa e continua unione con Dio” -
che si può comprendere correttamente l’impassibilità211:
il monaco che ha raggiunto l’impassibilità desidera conti­
nuamente contemplare il volto di Dio, e quasi non riesce
più a sopportare l’intensità del proprio desiderio di Dio.
Del resto, per Climaco, la relazione erotica tra Dio e l’u­
manità è l’essenza stessa della preghiera: “La preghiera,
nella sua essenza, è intimità (.synousia) e unione (énosis)
dell’uomo con Dio”212. Nel greco le allusioni erotiche
sono esplicite: il pensiero ascetico di Climaco raggiunge
qui la profondità della poesia mistica. Dice il monaco:
“Cosa c’è per me in cielo? Niente. Accanto a te, cosa ho
voluto sulla terra? (Sai 72,25) Niente, se non stare sempre
unito a te nella preghiera senza distrazioni”213.

210 Scala XXVII/1,14.


211 Cf. ibid. XXIX,14.
212 Ibid. XXV,27 e XXVIII,1.
213 Ibid. XXVIII,28.

51
Come il fuoco che, “quanto più erompe, tanto più in­
fiamma l’assetato”214, il desiderio del monaco non ha li­
miti: “Non si sazieranno mai di lodare il loro Creatore
... non cesseranno mai di progredire nella carità ... prima
di esser diventati angeli”215. Ciò può essere compreso
soltanto nel senso escatologico (cf. Mt 22,30; Le 20,36)
di un amore continuo e senza limiti: non si tratta di una
versione superficiale di “angelismo”, ma di una follia che
si spinge fino all’estremo.
Essendo frutto della grazia divina, l’èros suscita un’at­
titudine di attesa impaziente, di invocazione dello
Spirito santo, di preghiera e di implorazione. Ed è ciò
che l’autore esprime con una domanda retorica: “Cosa
c’è infatti di più buono e di più sublime dello stare uniti
al Signore e del perseverare (proskarterein) incessante­
mente in questa unione con lui ?”216 217. La parola proskarte-
reìn denota qui un’ardente attesa, un desiderio impazien­
te della grazia di Dio. E se a volte la grazia divina sem­
bra abbandonarci (cf. Gv 16,5-7), 1 ° fa Per suscitare in
noi lo spirito di umiltà21/, o per ferirci il cuore con il pén-
thos. Perciò, occorre perseverare, nelle lacrime e nel do­
lore (cf. 2Cor 7,7), “cercando sempre smaniosamente ...
e inseguendo” Dio218. Non si è mai tranquilli nel proprio
desiderio di Dio! L’èros “non arresta mai la sua corsa, e
quando ferisce qualcuno non permette che abbia riposo
dalla sua beata follia!”219. Ferito dall’amore di Dio,
Climaco dice che “il suo cuore veglia per sovrabbondan­
za d’amore (èros)”220: è un’esperienza continua di “per­

214 Ibid. XXX, 18.


215 Ibid. XXVII/1,26.
2ìbIbid. XXVIII,33 e XIX,1.
217 Cf. ibid. IV,50.
218 Cf. ibid. VII,i.

™ Ibid. X X X , 1.
220 Ibid. XXX,7.

52
dita” e di “recupero” dell’oggetto della propria ricerca;
è un percepire la presenza di Cristo perfino nella sua as­
senza. In ogni caso, l’amore non si dà in astratto: esso
si riduce a nulla, se non è amore di un’altra persona,
concreta ed esistente221. Come una persona che brucia
d’amore, il monaco non abbandona mai l’immagine del
proprio Amante, non se la lascia mai sfuggire, e parla in­
cessantemente con Dio, sia nella veglia che nel sonno222 *.
Davvero grande è la potenza dell 'èros220: “Quel che av­
viene nell’amore dei corpi, avviene anche in quello spi­
rituale! ”224.

2 . 4 . La "preghiera di Gesù”

Un altro ambito in cui Giovanni Climaco ha dimostra­


to il suo influsso sui secoli successivi è il suo insegnamen­
to sulla preghiera e, specialmente, il suo contributo allo
sviluppo della cosiddetta “preghiera di Gesù”225. Per lui,
la vera preghiera è dotata di semplicità, in contrasto con
la loquacità o la verbosità:

221 Cf. ibid. VII,57.


222 Cf. ibid. XXX,6.
225 Cf. ibid. III,i e XXX,7.
224 Ibid. XXX,6; cf. VII,57.
225 Sulla “preghiera di Gesù” in Giovanni Climaco, cf. J. Chryssavgis, “The

Jesus Prayer in thè Ladder of St. John Climacus”, in Ostkirchliche Studien 35


(1986), pp. 30-33; P. Deseille, “La dottrina spirituale di Giovanni Climaco”, in
Giovanni Climaco e USinai} pp. 128-129. In generale sulla “preghiera di Gesù”,
nel suo significato e nel suo sviluppo storico, cf. Un monaco della chiesa d’o­
riente, La preghiera di Gesù, Morcelliana, Brescia 1964; Ph. Adnès, s.v. “Jésus
(Prière à)”, in DS Vili, coll. 1126-1150; A. Rigo, “La preghiera di Gesù”, in
Parola, Spirito e Vita 25 (1992), pp. 245-291; J.-P. Larchet, Thérapeutique des
maladies spirituelles. Une introduction à la tradition ascétique de l’Eglise orthodoxey
Cerf, Paris 20oo\ pp. 384-395.

53
Non affannarti a parlare molto quando preghi, perché
la tua mente non si disperda nella ricerca delle parole.
Una sola parola da parte del pubblicano bastò a procu­
rargli la misericordia di Dio, e un solo grido di fede
salvò il ladrone. L’uso di molte parole (polyloghia) nella
preghiera spesso disperde la mente e la colma di imma­
gini, mentre la ripetizione di un’unica formula 0mono-
loghla) spesso la raccoglie226.

La vera preghiera è “perdita della poly loghla”227, la quale


infatti è “l’oscuramento della preghiera”228. Il silenzio, al
contrario, fa sgorgare la preghiera: “Il silenzio intelligen­
te è padre della preghiera”229.
Tuttavia, è inevitabile usare parole nella propria preghie­
ra, almeno nelle prime fasi della vita spirituale. Climaco
consiglia: “Lotta per elevare il tuo pensiero, o piuttosto per
concentrarlo nelle parole della tua preghiera”230; e a questo
scopo, egli suggerisce l’uso di brevi e semplici preghiere, a
volte, per esempio, il versetto di un salmo: “Grida verso
colui che può salvarti, non con un linguaggio ricercato ma
con parole semplici, iniziando prima di tutto con: Abbi
pietà di me, perché sono debole! (Sai 6,3)”231.
In un altro passo, Climaco propone ai monaci una serie
di testi diversi presi dalla Scrittura, ma lascia ciascuno li­
bero di scegliere, poiché: “Non sono tutti dello stesso
tipo i pani del frumento celeste che ci danno nutrimento
spirituale!”232. Vengono dunque previste varie forme di

226
Ibìd. XXVIII,9.
227
Ibid. XXVII/2,6.
228 Ibid. XI,2 e XIV, i.
3
229 Ibid. XI,3.4.
230 Ibid. XXVIII, 16. I monaci della “prigione” di Alessandria, però, non

dicono niente nelle loro preghiere: cf. ibid. V,5,d.


231 Ibid. XV,76. Cf. anche XVIII,5 e XXVIII,4.
232 Ibid. XXVII/2,42.

54
preghiera; c’è però un tipo di preghiera semplice, cui
viene attribuita particolare importanza: è l’invocazione o
la memoria del nome di Gesù.
Le preghiere brevi sono già menzionate negli Apoftegmi
dei padri del deserto: “Abba Poemen disse: ‘Abba
Pafnuzio ... ricorreva a preghiere brevi’”233. Nilo, poi, dà
un certo rilievo all’invocazione del nome di Gesù, ma essa
rimane pur sempre marginale all’interno della pratica spiri­
tuale. E solo con Diadoco di Fotica che essa acquista im­
portanza e perfino un ruolo centrale, al punto da influen­
zare gli autori posteriori: Diadoco menziona 1 ’“invocazio­
ne del nome di Gesù”234 e, da parte loro, Barsanufio e
Giovanni, continuano la stessa tradizione, parlando di
brevi preghiere con particolare riferimento alla preghiera di
Gesù e alla preghiera incessante235. Doroteo di Gaza com­
bina insieme le tradizioni di Diadoco e di Barsanufio236 237 238.
La Scala non tratta esplicitamente di questo argomento;
ci sono però tre passi in cui viene menzionata la “preghie­
ra di Gesù” e che hanno avuto molta influenza sugli auto­
ri posteriori. C’è anche una quarta allusione alla “preghie­
ra di Gesù”, ma là, più probabilmente, l’autore si riferisce
alla “preghiera del Signore”, cioè al Padre Nostro23/:

Il ricordo della morte e la preghiera di Gesù che con­


siste in una sola formula (monológhistos Iesoù euché), si
addormentino con te, e con te si risveglino: non trove­
rai infatti aiuti più efficaci di questi durante il sonno258.

233 Cf. Apoftegmi, Poemen 190. Cf. anche ibid., Elia 7 e Macario 19.
234 Cf. Diadoco di Fotica, Capitoli 31; 59; 61; 85; 88; 97.
235 Barsanufio di Gaza, Lettere 446.
236 Cf. Vita di Dositeo io.
237 Cf. Scala IX, 1.
238 Ibid. XV,51. Il passo è citato da Callisto e Ignazio Xanthopouloi, Metodo

e canone rigoroso 24, e Gregorio Palamas, Triadi 1,3,2.

55
Il contesto di questo primo passo parla degli assalti dei
demoni al momento di prendere sonno: l’autore propone
il “ricordo della morte” e la “preghiera di Gesù” come
mezzi per combatterli. L’espressione lesoù euché è proba­
bilmente usata da Climaco per la prima volta. Egli è
anche il primo a descriverla come monológhistos, concisa:
il termine significa letteralmente “che consiste in una sin­
gola formula”, ed è ripreso, in forma adattata, da Marco
il Monaco, che lo usa per qualificare non la preghiera ma
la speranza239. In Climaco non è testimoniata una formu­
la precisa che corrisponda alla “preghiera di Gesù”; sa­
rebbe però sbagliato affermare che in questo passo l’au­
tore sta semplicemente consigliando la concisione verbale,
come nel caso di altre preghiere a cui fa riferimento240.
Gli autori ascetici precedenti mostrano che, di norma,
il nome di Gesù non veniva pronunciato da solo ma era
seguito da altre invocazioni. Abba Elia, negli Apoftegmi
dei padri del deserto, usa la frase: “Gesù salvami!”, e
Barsanufio, una frase simile: “Gesù, aiutami!”. Entrambi
questi autori dicono “Gesù” senza “Signore”, mentre
Diadoco di Fotica adotta l’espressione: “Signore Gesù”.
Gli esicasti posteriori sottolineeranno il fatto che soltan­
to i perfetti sono in grado di invocare il nome di Gesù da
solo. La forma ordinaria della preghiera di Gesù la si in­
contra per la prima volta nella Vita di abba Filemone, un
testo che parla di un monaco egiziano, difficile da data­
re ma probabilmente più o meno contemporaneo della
Scala. Le parole, a quanto pare, non erano ancora cri­
stallizzate e Climaco qui può aver preferito lasciarne li­
bera la scelta.

239Cf. Marco il Monaco, La legge spirituale io e Su chi si crede giustificato


per le opere 140.
240 Cf. Scala XV,76 e XXVII/2,42.

56
Mentre ti stai recando là, armati della preghiera, e
quando sei arrivato, stendi le braccia e flagella i tuoi
nemici con il nome di Gesù (onómati Iesou): non esiste
infatti arma più potente né in cielo né in terra241 !

Il contesto di questa seconda citazione riguarda l’uso del


nome di Gesù Cristo come arma contro la “paura infanti­
le”. C’è un riferimento specifico alla potenza del nome di
Gesù (cf. Mt 16,17-18; Gv 14,13; 16,23.26; At 4,12; Fil
2,10) e alla sua invocazione come un’arma contro i demo­
ni, come risulta chiaramente, del resto, anche dal passo
precedente. La parola “arma” suggerisce un comportamen­
to “aggressivo” contro la natura decaduta e un reale desi­
derio di glorificazione. In questo passo viene anche pre­
vista e suggerita una particolare postura del corpo.
“La memoria di Gesù (Iesou mnéme) faccia tutt’uno con
il tuo respiro, e allora conoscerai Futilità dell’esichia”242.
Qui probabilmente il discorso di Climaco è più generale:
parla solo di una “memoria” non specificamente di una
“preghiera” o del “nome”, come nei due passi precedenti.
Il contesto si riferisce piuttosto alla “eliminazione dei
pensieri” (apóthesis noemàton): la preghiera di Gesù di­
venta un modo per mettere da parte i propri pensieri e
raggiungere la preghiera senza immagini. Lo stesso nome
“Gesù” cessa di essere un pensiero o una pura meditazio­
ne, e diventa piuttosto un modo per sentire la presenza di
Cristo. L’implicazione è più vaga e generale, nel senso di
un ricordo continuo di Gesù. Del resto anche il riferimen­
to al respiro può essere visto come un’indicazione dell’e­

241 Scala XX,6. Passo citato da Gregorio Sinaita, V esìchìa 2, e da Callisto

e Ignazio Xanthopouloi, Metodo e canone rigoroso 49.


242 Scala XXVII/2,26. Passo citato da Gregorio Sinaita, U esìchìa 3, e da

Callisto e Ignazio Xanthopouloi, Metodo e canone rigoroso 22 e 49.

51
sercizio ininterrotto della preghiera243. Curiosamente,
molti autori più tardi danno alla frase un significato assai
più specifico, ritenendo che essa implichi una particolare
tecnica fisica. Non esiste, tuttavia, una chiara e sicura
menzione di tale tecnica - per lo meno nella tradizione
greca - fino alla fine del xill e l’inizio del XIV secolo. Ciò
che Climaco vuol dire è che il monaco deve pregare senza
interruzione: “L’esichia è un culto ininterrotto reso a Dio
e uno stare sempre alla sua presenza”244.
Queste possono sembrare questioni tecniche, ma non
oscurano - anzi piuttosto servono a enfatizzare - il fatto
che l’invocazione incessantemente ripetuta, sia nella
forma del “Signore abbi pietà!” che del “Signore Gesù
Cristo abbi pietà di me!” o di qualunque altra breve sup­
plica, riflette la comprensione fondamentale, che Climaco
manifesta, della preghiera come relazione da persona a
persona, con ciò che questo significa per l’aspetto relazio­
nale dell’ascesi. La preghiera non deve neppure essere ar­
ticolata in una struttura logica di parole o frasi: “Non
sappiamo neppure pregare come dovremmo, ma lo Spirito
stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti ine­
sprimibili!” (Rm 8,26). E ciò è anche alla base della teo­
ria e della prassi di preghiera del nostro autore.

**

Questa è una “scala” che ciascuno di noi è tenuto a sa­


lire attraverso la propria personale esperienza: lo stesso
Climaco vi è salito e, anche se non aveva alcun bisogno di
scrivere, lo ha fatto soltanto come un atto di condivisione.

243 Cf. anche Scala IV?i9,


244 Scala XXVII/2,25.

58
Il padre Georgij Florovskij ha osservato che “il livello
della Scala è molto semplice: è definita dalla logica del
cuore piuttosto che dalla logica dell’intelletto”245. E vero
anche però che Climaco definisce degli ambiti difficili,
per non dire impossibili, da descrivere. Gli studiosi cer­
cano di scoprire le sue fonti e i suoi influssi, ed è chiaro
che dobbiamo prima di tutto collocarlo all’interno del
contesto letterario del deserto egiziano e delle regioni mo­
nastiche della Palestina, ma ciò che Climaco ha ricevuto
dai suoi predecessori lo ha fatto proprio, ed è questo che
egli ha trasmesso ai suoi successori nel mondo bizantino e
ai suoi lettori nel corso dei secoli: ovvero l’incontro per­
sonale con Cristo a ogni gradino della scala. Cristo, infat­
ti, è l’inizio del cammino, Cristo è il termine, e ancora
Cristo è la via (cf. Gv 14,6)!
Climaco è diventato famoso per i concetti e i termini
che conia e trasmette ai posteri per parlare delle lacrime e
del silenzio; la sua influenza, però, si deve al fatto che egli
parla in base a una propria personale esperienza di eterni­
tà, rilevante per tutti i tempi. Egli rende eloquente la pro­
pria esperienza attraverso l’esperienza stessa del lettore. E
pieno di compassione e libero, ma la sua esperienza è allo
stesso tempo un giudizio: la sua compassione e il suo giu­
dizio sono strettamente legati e sono frutto della sua ca­
pacità di amare. Del resto egli ha sopportato per primo le
difficoltà che i suoi lettori dovranno affrontare per salire
la scala; ha iniziato dal gradino più basso, ed è per questo
che, secondo lui, l’illuminazione non è da ricercare nell’e­
stasi ma piuttosto nell’ascesi. Proprio in questo, forse,
consiste il ruolo dell’asceta: egli non fugge la società per
allontanarsi da essa, ma piuttosto per colmare la distanza

245 q Florovskij, Vizantijskie otcy V-VIII vekov, Gregg International, Farn-


borough 1972*, p. 179.

59
che c’è tra l’umanità e la divinità per mezzo della propria
virtù e della grazia divina. Il monaco non cerca esperien­
ze o visioni di luce, e neppure la preghiera continua o la
deificazione, ma con umiltà e amore cerca unicamente di
vivere per e in Dio. Egli scrive sulla lapide della propria
tomba, non su pezzi di carta destinati a essere seppelliti
nelle biblioteche: vivere per Dio significa morire per Dio,
e Climaco scrive proprio in virtù di questo atto di vivere
e di morire.

60
NOTA EDITORIALE

In mancanza di una vera edizione critica della Scala - auspi­


cata da molti ma destinata a rimanere in votis ancora per lungo
tempo -, la presente traduzione è stata condotta sul testo edito
dal monaco athonita Sophronios1, basato sui manoscritti del
monastero di Haghiou Dionisiou (Monte Athos) e giudicato da
molti studiosi il testo migliore a tutt’oggi disponibile. Si sono
tenute presenti altresì le edizioni di M. Rader2 e dell’archiman­
drita Ignatios3, e - nei passi più incerti e controversi - se ne
sono segnalate in nota le varianti, non esitando ad accoglierle
quando il senso lo richiedesse.
La suddivisione e la numerazione dei discorsi (o gradini) e dei
paragrafi segue fedelmente quella del testo di Sophronios4,
anche se la particolare lunghezza di alcuni paragrafi ci ha indot­
to a suddividerli ulteriormente, adottando una numerazione al­
5
fabetica (cf. ad esempio V, ). Anche la suddivisione in paragra­
fi della Vita di Daniele di Raito è nostra. A margine si aggiunge
il riferimento alle pagine dell’edizione Rader (in PG 88).

1 Cf. xov ’ltoàvvov rov Zivatzov, Konstantinoupolis 1883 (Astir,


Athinai 1979).
2 Cf. Sancii Joannis Abbati*, vulgo Climaci, Opera Omnia, editore et interprete

Matthaeo Raderò, S. Cramoisy, Lutetiae Parisiorum 1632, poi in PG 88,579-1248.


3 Cf. Tov óolov IlaxQÒg rptwv 3 * *Icoàvvov zov Zivatrov K£ipa£, Iera Moni Para-

klitou, Oropos Attikis 19998.


4 Rispetto all’edizione di Rader, in quella di Sophronios i Discorsi XVI e

XVII (sull'avarizia e sulla povertà) sono unificati nel Discorso XVI, mentre il
Discorso XXIII (sulla superbia e sulla bestemmia) è suddiviso nei Discorsi XXII
e XXIII: dunque, per i Discorsi XVI-XXII, la numerazione di Sophronios è in­
feriore a quella di Rader di un’unità.

61
Tutte le citazioni bibliche sono da intendere riferite al testo
dei LXX: la loro traduzione, quindi, diverge spesso da quella
delle bibbie in lingua italiana, basate sul testo masoretico. Nel
segnalare le citazioni ci atteniamo però alla nomenclatura cor­
rente dei vari libri, secondo le abbreviazioni adottate dalla
Bibbia di Gerusalemme.
Un “Glossario” in fondo al volume spiega i termini-chiave
che ricorrono con maggior frequenza, mentre le note a piè di
pagina sono preferibilmente dedicate al commento e alla spie­
gazione del testo, soprattutto nei passi più oscuri: a tale scopo
si è scelto di fare ampio ricorso agli Scholia antichi, oltre che al
commento di Niceforo Callisto Xanthopoulos, recentemente
edito5, e ai passi paralleli di altri padri. Per quanto possibile,
poi, si è cercato di segnalare le numerose citazioni e allusioni
patristiche disseminate nel testo, servendoci ampiamente a tale
scopo dei lavori di W. Vòlker6 e J. Chryssavgis7.

5
Cf. Niceforo Callisto Xanthopoulos, Exegesis.
6
Cf. W. Vòlker, Scala Paradisi. Etne Stadie zu Johannes Climacus undzugleich
eine Vorstudie zu Simeon dem Neuen Theologe, F. Steiner, Wiesbaden 1968.
7 J. Chryssavgis, “The Sources of St. John Climacus (c. 580-649)”, in

Ostkirchliche Studìen 37 (1988), pp. 3-13.

62
LA SCALA
PROLOGO

A quanti desiderano che i loro nomi siano iscritti nel


Libro della vita1, il presente libro indica in modo chiaro
la via migliore da seguire ! Se lo leggiamo, infatti, scopri­
remo che esso è una guida infallibile per chi ne segue le
indicazioni, ed è in grado di difenderci da ogni pietra di
inciampo. In esso ci viene presentata una scala che dalle
realtà terrene si eleva verso quelle celesti e sulla cui som­
mità si trova il Dio della carità; e credo che questa sia
proprio la scala che Giacobbe contemplò mentre riposava
sul suo austero giaciglio (cf. Gen 28,12), lui che aveva
soppiantato le passioni (cf. Gen 27,3Ó)2. Ma, vi prego,
montiamo con zelo e fiducia su questa scala spirituale che
conduce in cielo: il suo inizio è la rinuncia alle cose ter­
rene e il suo fine il Dio della carità!
L’autore è stato veramente saggio a disporre per noi
una salita con un numero di gradini pari all’età di Cristo
secondo la carne: ha costruito infatti una scala di perfezio­
ne, prendendo a modello i trent’anni della sua maturità.
Quando anche noi avremo raggiunto la pienezza dell’età
del Signore da essa indicata, saremo giusti e infallibili; ma

1 Questo prologo non è dell’autore, ma di qualche antico amanuense: se


pure con sensibili varianti, è presente nei principali manoscritti antichi.
2 Interpretazione allegorica tradizionale: cf. Filone di Alessandria,
Allegorie delle leggi 11,89; Id., Il mutamento dei nomi 81; Didimo il Cieco,
Sulla Genesi 111,24.

65
chi non l’ha ancora raggiunta, è ancora un bambino e, se­
condo il giudizio di tutti, non risulterà gradito a Dio.
Abbiamo giudicato necessario inserire prima di tutto la
vita del sapientissimo costruttore di questa scala spirituale
e divina, affinché, vedendo le sue fatiche, non ci rifiutia­
mo di credere alle sue parole scritte. Poi, dopo aver col­
locato le lettere del padre che ha commissionato l’opera e
di colui che gli ha obbedito, daremo inizio alle parole
contenute in questo libro.

66
BREVE VITA DEL BEATO GIOVANNI,
IGUMENO DEL SANTO MONTE SINAI,
DETTO SCOLASTICO
E AUTORE DELLE “TAVOLE SPIRITUALI”,
OVVERO DELLA “SCALA SANTA”

Scritta dal monaco Daniele di Raito,


uomo venerabile e virtuoso

i. Non sono in grado di dire con precisione1 ed esat- 596a


tezza quale città abbia dato alla luce e allevato quest’uo­
mo divino prima che egli intraprendesse la lotta della vita
ascetica; ma quale città lo ospiti e lo nutra ora con deli­
zie di ambrosia, il grande apostolo Paolo lo aveva già sco­
perto prima di noi: certamente infatti anch’egli appartiene
a quella Gerusalemme celeste, dove si trova l’assemblea
dei primogeniti (cf. Eb 12,23) ^ cu^ patria è nei cieli (Fil
3,20), come sta scritto. Là, saziandosi con il senso spiritua­
le dei beni di cui non si può mai essere sazi e contemplan- 596 b
do le bellezze invisibili, riceve ora adeguate ricompense
dei propri sudori; e avendo ottenuto come dolce premio
delle proprie fatiche l’eredità celeste, si unisce oramai per
l’eternità al coro di quelli il cui piede è rimasto sulla via 597 a

1 Sul testo della Vita, cf. A. Muller, “Die Vita Johannes des Sinaiten
von Daniel von Raithu. Ein Beitrag zur Byzantinischen Hagiographie”, in
Byzantinische Zeitschrift 95,2 (2002), pp. 585-601.

67
retta (Sai 25,12). Ma ora voglio raccontare in che modo
quest’uomo glorioso sia riuscito a ottenere una tale bea­
titudine.
2. Costui, all’età di sedici anni, si offrì a Cristo come
sacrificio accetto e a lui gradito (cf. Fil 4,18), sottoponen­
dosi al giogo della vita monastica sul monte Sinai, e lo
stesso luogo visibile in cui dimorava contribuiva - credo
- a guidarlo e condurlo verso il Dio invisibile. Abbracciò
così l’estraneità, che è la custode di tutte le fanciulle spi­
rituali2, e respinta, grazie a essa, ogni forma di eccessiva
e sconveniente familiarità, e acquistata l’onesta umiltà,
scacciò una volta per tutte lontano da sé, fin dalla sua en­
trata nella vita monastica, il demone dell’autocompiaci-
597 b mento e della fiducia in se stesso. Avendo piegato il collo

ed essendosi affidato, nel Signore, al padre che l’aveva


accolto, come a un ottimo pilota, attraversava senza pe­
ricolo questa aspra e violenta tempesta della vita: era tal­
mente morto al mondo e alle proprie volontà, che la sua
anima era veramente come priva di ragione e di volontà,
e totalmente spogliata delle proprie facoltà naturali; e ciò,
nonostante egli avesse ricevuto un’istruzione completa
nella scienza mondana prima di giungere a questa celeste
ignoranza: cosa sorprendente, perché l’arroganza della fi­
losofia è per lo più estranea all’umiltà di Cristo!
3. Dopo aver vissuto così per diciannove anni soste­
nendo le lotte della beata sottomissione, allorché il santo
anziano che lo aveva formato lasciò questa vita, anch’e­
gli uscì nello stadio dell’esichia tenendo in mano le divi­
ne preghiere del suo anziano come armi capaci di distrug­
gere le fortezze di Satana (cf. 2Cor 10,3-4). Come pale­
stra della sua lotta scelse un luogo solitario chiamato

2
Cioè di tutte le virtù. Sull'estraneità (xeniteta)y cf. infrciy 111,1 ss. e “Glos­
sario", s.v. “Estraneità".

68
Tola3, distante cinque miglia dalla chiesa del monastero, e
là trascorse con fervore quarantanni, sempre infiammato 600 A
da un amore ardente e dal fuoco della divina carità. Ma
chi è in grado di descrivere e celebrare a parole le fatiche
ascetiche che egli sostenne in quel luogo ? E come è possi­
bile parlarne apertamente, dal momento che ogni sua fati­
ca fu seminata nel segreto e senza testimoni? Tuttavia,
partendo da alcuni fatti noti e servendocene come di pic­
coli indizi, possiamo intuire quale fu la santa condotta di
quest’uomo tre volte beato.
4. Mangiava di tutto ciò che gli era consentito dal pro­
prio stato di vita, ma molto poco4; e così, con molta sa­
pienza, riusciva a vincere l’orgoglio e ad abbassare le
corna della presunzione. Mangiando poco, infatti, schiac­
ciava quanto più possibile il suo folle e insaziabile tiran­
no5 gridandogli nella sua fame: Taci, calmati! (Me 4,39); e
mangiando un po’ di tutto riusciva ad abbattere la tiran­
nia della vanagloria. Oltre a ciò, con la solitudine e la
mancanza di qualsiasi rapporto umano, spense le fiamme
di questa fornace6, riuscendo a ridurla in cenere e a cal­ ÓOO B
marla completamente. All’idolatria7, poi, quell’uomo va­
loroso sfuggì valorosamente, grazie alla misericordia di
Dio e alla mancanza di ogni mezzo necessario. Fece risor­
gere l’anima da quella morte e da quella paralisi in cui
essa rischia di cadere in ogni momento8 stimolandola con
il pungolo del ricordo della morte. Spezzò la catena della

5 Località a nord-ovest del massiccio del Sinai (odierna Wadi Tlah), dove
ancora oggi è possibile visitare la “caverna di san Giovanni Climaco”.
4 Seguendo in questo la “regola” dei padri egiziani che, piuttosto di grandi

digiuni, consigliavano di mangiare poco ogni giorno, senza mai giungere alla sa­
zietà: cf. Apoftegmi, Ammonas 4; Poemen 31.
5 Cioè il ventre.
6 Cioè la concupiscenza della carne.
7 Cioè all'avarizia.
8 Cioè Tacedia.

69
tristezza liberandosi da ogni attaccamento passionale, o
forse anche gustando i beni invisibili. Se la tirannia dell’i­
ra l’aveva uccisa già prima con la spada dell’obbedienza9,
impedendo al proprio corpo di uscire fuori dalla cella, e an­
cora più alla propria parola di uscire dalle labbra, poi mise
a morte anche quella sanguisuga, simile a un ragno, che è
la vanagloria. Cosa rimane ancora ? La vittoria sull’ottava
passione, cioè la perfetta purificazione dall’empia super­
bia. Questo novello Beseleèl10 iniziò quest’impresa attra­
verso l’obbedienza, ma fu il Signore della Gerusalemme
600 c celeste a portarla a termine visitandolo con la propria pre­
senza, ed esaltando contro la superbia la sua umiltà, virtù
senza la quale è impossibile vincere il diavolo e tutta la
sua compagnia11.
5. Ma dove posso collocare, nella corona che sto in­
trecciando12, la fontana delle sue lacrime, che è un dono
601 concesso a pochissimi? L’officina segreta di queste lacri­
a

me esiste ancora oggi: una strettissima spelonca situata in


un luogo sperduto ai piedi della montagna, che distava
dalla sua cella e da tutte le altre quel tanto da consentir­
gli di sfuggire alle orecchie che avrebbero suscitato in lui
la vanagloria, ma che arrivava quasi a toccare il cielo con
i gemiti e le grida che egli vi emetteva, simili a quelli di
persone trafitte da spade o bruciate da ferri incandescen­
ti, o a cui vengano cavati gli occhi.
Dormiva il minimo indispensabile per non danneggia­
re le proprie facoltà mentali con le veglie, e prima di ad­
dormentarsi pregava a lungo e scriveva sopra delle tavolet­
te: questo infatti era l’unico mezzo che aveva per vincere

9 Durante il periodo in cui visse sottomesso al proprio anziano.


10 Uno dei costruttori della tenda del convegno, nominato in Es 31,2-3.
11 Cf. Apoftegmi, Antonio 7.
12 La corona cioè delle sue virtù.

70
l’acedia. Del resto l’intero corso della sua vita fu una pre­
ghiera incessante e un amore appassionato e indescrivibile
per Dio: di notte e di giorno lo contemplava nel limpido
specchio della propria purezza, e non voleva mai saziarse- 601 b

ne, o piuttosto - per essere più corretti - non poteva.


6. Stimolato dallo zelo del nostro padre teoforo, un
tale di nome Mosè, che già aveva abbracciato la vita mo­
nastica, lo supplicò con insistenza, attraverso le interces­
sioni di molti padri, di farlo diventare suo discepolo e di
istruirlo nei primi rudimenti della vera filosofia13, e per­
ciò il beato, costretto da tali preghiere, lo prese con sé.
Un giorno il santo padre ordinò a questo Mosè di tra­
sportare da un luogo a un altro una certa quantità di terra
fertile per la coltivazione degli ortaggi, ed egli, raggiunto
il luogo indicato, cominciò a eseguire con impegno quan­
to gli era stato ordinato; ma quando arrivò l’ora del mez­
zogiorno e la calura rovente cominciò a bruciare quel
luogo come una fornace - infatti era già l’ultimo mese
dell’anno14 - Mosè, poiché gli venivano meno le forze,
stanco com’era per il trasporto della terra, pensò di do­
versi riposare un po’, e così, sdraiatosi all’ombra di un’e­
norme macigno, si addormentò, com’era normale. Ma il
Dio amico degli uomini, che non vuole contristare in 601 c
nulla i suoi servi più fedeli, prevenne - come è sua abitu­
dine fare - il pericolo che Mosè stava per correre, e dirò
subito in che modo.
Il nostro padre Giovanni, quel grand’uomo, mentre
stava nella sua cella raccolto in se stesso e in Dio, come
soleva fare, cadde in un leggerissimo sonno e vide una 604 a

persona dall’aspetto venerabile che lo svegliava e, come


rimproverandolo di essersi addormentato, gli diceva:

13 Cioè della vita contemplativa.


14 L'anno bizantino inizia il primo di settembre: perciò Tultimo mese è agosto.

71
“Giovanni, come puoi dormire così spensieratamente, men­
tre Mosè si trova in pericolo?”. Ritornato in se stesso all’i­
stante, imbracciò subito le armi della preghiera a difesa del
discepolo, e quando costui a sera fu di ritorno gli chiese:
“Ti è forse successo qualche spiacevole imprevisto?”. Ed
egli rispose: “Un enorme macigno mi avrebbe schiacciato e
fracassato completamente, mentre dormivo profondamente
alla sua ombra, se io, credendo di udire la tua voce, non mi
fossi alzato di soprassalto da quel luogo, tutto confuso; e
così vidi subito il macigno staccarsi e cadere a terra”. E
quell’uomo veramente umile, senza dir nulla al discepolo
604 b della visione che aveva avuto, rese grazie a Dio lodandolo

dentro di sé con segrete grida e forti slanci d’amore.


604 c 7. Quest’uomo di Dio era capace di guarire anche le fe­
rite invisibili. Una volta, infatti, un monaco di nome
Isacco, che era gravemente afflitto dal demonio della forni­
cazione, preso dallo sconforto, non sapendo più cosa fare,
corse da quest’uomo meraviglioso e con gemiti e lacrime gli
manifestò la guerra che era dentro di lui; e il divino padre,
ammirando la sua fede e la sua umiltà, disse: “Mettiamoci
tutti e due in preghiera, fratello, e certamente Dio, che è
pieno di misericordia, non disprezzerà la nostra supplica!”.
Si misero dunque a pregare, e non avevano ancora termina­
to la preghiera e il poveretto era ancora prostrato con la fac­
cia a terra, che Dio fece la volontà del suo servo, per dimo­
strare ancora una volta la verità delle parole del profeta
David15. Il serpente della fornicazione, vinto dalle frustate
di quell’intensa preghiera, fuggì via, e il malato, vedendosi
ormai guarito e liberato da ogni turbamento, fu preso da
grande stupore e rese grazie a Dio che aveva glorificato il
suo servo, e al suo servo che da lui era stato glorificato.

15 Cf. Sai 144,19: “Farà la volontà di coloro che lo temono, ascolterà la loro
supplica e li salverà”.

72
8. Questo padre venerabile elargiva con abbondanza le
sue parole di grazia a tutti coloro che venivano a visitar­
lo e versava loro con grande generosità e larghezza le
acque del suo insegnamento: perciò alcuni uomini mali- 604 d
gni, rosi dall’invidia, cercando di por fine a tutto il bene
che faceva, lo accusarono di essere un chiacchierone e un
ciarlatano. Ma egli, sapendo di poter tutto nel Cristo che
gli dava la forza (cf. Fil 4,13) e volendo istruire chi gli si
avvicinava per la propria edificazione, non soltanto con
le proprie parole ma ancor più con il proprio silenzio e
con la sapienza delle proprie opere - per troncare così
ogni pretesto a quelli che cercavano un pretesto (cf. 2Cor
11,12), come sta scritto -, rimase in silenzio per un certo
tempo e interruppe il flusso del suo insegnamento dolce
come il miele. Riteneva preferibile infatti recare un leg­
gero danno agli amanti del bene - che forse avrebbe co­
munque potuto aiutare con il proprio silenzio - piuttosto
che irritare ancor di più quei giudici maldisposti, esaspe­
rando la loro cattiveria. Questi ultimi perciò, rimasti am- 605 a

mirati del suo comportamento umile e modesto e avendo


compreso quale grande sorgente di salvezza avevano chiu­
so e quale grande danno avevano arrecato a tutti, comin­
ciarono a supplicarlo e a implorare insieme agli altri i suoi
insegnamenti, pregandolo di non rovinare con il proprio
silenzio quanti cercavano la salvezza attraverso le sue pa­
role. Ed egli, che era incapace di contraddire, cedette im­
mediatamente e riprese a comportarsi come prima.
9. Poiché dunque era superiore a tutti in ogni virtù e
tutti lo ammiravano, di comune accordo, ma contro la sua
volontà, lo posero alla guida dei fratelli come nuovo
Mosè, innalzandolo come una lucerna sul lucerniere (cf.
Mt 5,13 par.), loro che in tali cose erano giudici eccellen­
ti. E non rimasero delusi nelle loro speranze, perché an­
ch’egli [come Mosè] salì sul monte e, entrato nella nube

73
oscura e impenetrabile (cf. Es 24,18), ricevette la legge
scritta da Dio, elevandosi alla contemplazione attraverso
dei gradini spirituali. Aprì la bocca alla parola di Dio e, at­
tirato lo Spirito (cf. Sai 118,131), riversò la parola buona
dal buon tesoro del proprio cuore (cf. Mt 12,35 par.).
io. Così giunse al termine di questa vita visibile gui-
605 b dando gli israeliti, cioè i monaci; e Tunica differenza tra

lui e Mosè fu che, mentre egli ascese alla Gerusalemme


celeste senza alcuna difficoltà, quello - non so come mai
- non riuscì a raggiungere quella terrena (cf. Dt 34,4).
Possono testimoniare la verità di quanto abbiamo rac­
contato tutti coloro che, grazie a quest’uomo, hanno ri­
cevuto le parole dello Spirito, e i molti che sono stati sal­
vati e continuano a esserlo. Testimone d’eccezione della
salvezza ottenuta grazie a questo sapiente, e insieme della
sua sapienza, è quel novello David16; ma ne è testimone
anche il nostro buon pastore Giovanni17, grazie alle cui
preghiere insistenti quel grande scese dal monte Sinai
verso di noi e, avendo anch’egli visto Dio [come Mosè],
ci mostrò le tavole scritte dal dito di Dio, che contengo­
no all’esterno gli insegnamenti pratici, e all’interno, quel­
li relativi alla contemplazione (cf. Es 32,i5-i6)18.

16Forse il monaco Isacco nominato sopra, che fu salvato dal demone della
fornicazione per aver supplicato con fede il Signore, come il re David.
17 Giovanni igumeno di Raito, il committente della Scala.
18 La prima parte della Scala è dedicata alle virtù “pratiche” (rinuncia al

mondo, distacco, estraneità, obbedienza, penitenza...), l’ultima parte alle virtù


“contemplative” (esichia, preghiera, carità...).

74
DAI “RACCONTI SUI SANTI PADRI DEL SINAI”
DI ANASTASIO SINAITA

i. Abba Martirio1, dopo aver tonsurato il nostro igu-


meno, il santo padre Giovanni, che allora aveva sedici
anni, si recò insieme a lui dalla “colonna” del nostro de­
serto, abba Giovanni il Sabaita2, che allora viveva nel de­
serto di Guda3 insieme al suo discepolo abba Stefano di
Cappadocia4. Appena dunque l’anziano Sabaita li vide, si
alzò: prese dell’acqua, la versò in una bacinella e lavò i
piedi del discepolo5, baciando anche la sua mano, mentre
non lavò i piedi del suo maestro, abba Martirio. Abba
Stefano si scandalizzò del fatto, e dopo che abba Martirio
e il suo discepolo furono partiti, abba Giovanni, avendo

1 Ci riferiamo direttamente al testo dei Racconti pubblicato da F. Nau, in

“Le texte grec des récits du moine Anastase sur les saints pères du Sinai”, in
Oriens Christianus 2 (1902), pp. 63-64 (VI=i), 80 (XXXIV=2), 64 (VII=3), 79
(XXXII=4), piuttosto che al testo dei racconti anonimi pubblicati in PG
88,607-610 e riprodotti nelPedizione di Sophronios, che sono il frutto di un
rimaneggiamento antico del testo di Anastasio (con Tunica eccezione forse del
racconto pubblicato in PG 88,608-609). Su Anastasio, monaco del Sinai con­
temporaneo di Giovanni Climaco, cf. S. Sakkos, ITegl Avaoxaouov Ztvatx(dvy
Aristoteleion Panepistimion, Thessaloniki 1964; B. Flusin, Saint Anastase le
Perse et Vhistoìre de la Palestine au début du Vlle siede, CNRS, Paris 1991; Id.,
“Il monacheSimo sinaitico al tempo di Giovanni Climaco”, in Giovanni
Climaco e il Sinai, pp. 28-31.
2 Su di lui cf. infra, IV,in-ii3.
5 Località del monte Sinai, che secondo Anastasio Sinaita, si trovava “a
quindici miglia dal santo roveto” (Racconti sui padri del Sinai 31).
A Cf. Giovanni Mosco, Prato 122 e 127.
5 Cioè di Giovanni.

15
visto con la sua chiaroveggenza che il suo discepolo si era
scandalizzato, gli disse: “Perché ti sei scandalizzato?
Credimi, non so chi sia quel ragazzo, ma io ho accolto l’i-
gumeno del Sinai e ho lavato i suoi piedi!”. E dopo qua­
rantanni egli diventò il nostro igumeno, secondo la pro­
fezia dell’anziano. E non solo abba Giovanni il Sabaita,
ma anche abba Strategio il Recluso, sebbene non uscis­
se mai, fece la stessa profezia, nel giorno in cui abba
Giovanni fu tonsurato.
2. Una volta abba Anastasio6 vide scendere abba
Giovanni dalla santa vetta insieme ad abba Martirio.
Chiamò dunque abba Martirio e il ragazzo, e disse all’an­
ziano: “Dimmi, abba Martirio, da dove viene questo ra­
gazzo? E chi lo ha tonsurato?”. E quello gli rispose: “E
tuo servo, padre, e l’ho tonsurato io”. Riprese l’altro:
“Oh! abba Martirio! Chi avrebbe mai detto che tu avre­
sti tonsurato l’igumeno del Sinai?”.
Ed è veramente a buon diritto che i santi padri fecero
queste profezie riguardo al nostro santissimo padre
Giovanni: egli infatti era adorno di tutte le virtù e risplen­
deva a tal punto che i padri del luogo lo chiamavano “se­
condo Mosè”.
3. Un giorno vennero quassù7 circa seicento ospiti e,
mentre erano seduti a tavola e mangiavano, il nostro santo
padre Giovanni vide un uomo dai capelli corti, vestito se­
condo l’uso dei giudei di una tunica bianca, che andava
avanti e indietro e dava ordini ai cuochi, agli economi, ai
cellerari e agli altri servitori. Quando dunque tutte quelle
persone se ne furono andate, mentre i servitori erano se­
duti a tavola a mangiare, si cercò quell’uomo che andava

6 Monaco altrimenti sconosciuto, da alcuni identificato con Anastasio II ve­


scovo di Antiochia, morto nel 609.
7 Nel Monastero del Sinai.
avanti e indietro e dava ordini, ma non lo si trovò. Allora
il servo di Dio, il nostro santo padre Giovanni, disse:
“Smettete di cercarlo! Il nostro signore Mosè non ha
fatto nulla di strano mettendosi a servire a casa sua!”.
4. Quando l’anno passato8 il nostro “nuovo e secondo
Mosè”, il venerabilissimo igumeno Giovanni9, era sul
punto di passare al Signore, il vescovo abba Giorgio, suo
fratello gli era accanto e tra le lacrime gli disse: “Ecco che
mi abbandoni e te ne vai! Io ti pregavo di mandarmi avan­
ti, perché senza di te, mio signore, non sono capace di pa­
scere questa comunità, ma ora sono io che devo lasciarti
partire!”. Allora abba Giovanni gli disse: “Non ti afflig­
gere, non ti preoccupare! Se trovo grazia davanti a Dio,
non ti lascerò neanche terminare un anno dopo di me”. E
ciò avvenne. Dopo dieci mesi, infatti, anche il vescovo
passò al Signore, nei giorni dell’inverno appena passato.

H In base a quest’annotazione e a quella finale, alcuni studiosi hanno tenta­


to di stabilire la data della morte di Giovanni Climaco: Nau, che data la com­
posizione dei Racconti a dopo il 650, pensa al 649 circa (cf. F. Nau, “Note sur
la date de la mort de S. Jean Climaque”, in Byzantinische Zeitschrift 11 [1902],
PP- 35-37; Id., “Le texte grec”, p. 79, n. 6); Flusin, invece, che sulla base degli
studi di A. Binggeli (Anastase le Sinatte. Récits sur le Sinai et Récits utiles à
lame, tesi di dottorato, Université de Paris-Sorbonne 2001) data il testo di
Anastasio al 670 circa, colloca anche la morte di Climaco verso questa data (cf.
B. Flusin, “Il monacheSimo sinaitico”, p. 31). Altri studiosi ritengono che
questa indicazione, per altro assente nel testo edito da Rader in PG 88,6o9A-
B, sia una base troppo fragile per una datazione precisa: cf. ad esempio G.
Couilleau, s.v. “Jean Climaque (saint)”, in DS Vili, col. 371.
9 II testo dei manoscritti ha in realtà: “Il venerabilissimo igumeno Giovanni

il Sabaita”, ma Nau ritiene che il racconto sia da riferire a Giovanni Climaco.

77
LETTERA DI ABBA GIOVANNI
IGUMENO DI RAITO
AL VENERABILE GIOVANNI IGUMENO
DEL MONTE SINAI, DETTO SCOLASTICO
E IN SEGUITO DALLA SUA OPERA
CHIAMATO CLIMACO OVVERO “DELLA SCALA”

Il peccatore Giovanni, igumeno di Raito, all’eccellen- 624 a


tissimo padre dei padri, uguale agli angeli ed esimio mae­
stro, salute nel Signore!
Poiché nella nostra miseria conosciamo bene l’obbe­
dienza incondizionata che hai verso tutti nel Signore, ob­
bedienza adorna di ogni sorta di virtù, e tanto più gran­
de quando devi mettere a frutto il talento che hai ricevu­
to da Dio (cf. Mt 25,14-30), ti rivolgiamo questa suppli­
ca, avendo in mente la parola della Scrittura che dice:
Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi anziani e te lo
diranno (Dt 32,7). Perciò, attraverso questa nostra lette­
ra ricorriamo a te, come al nostro padre comune, più an- 624 b

ziano di tutti noi per ascesi e per finezza d’ingegno, e


come al migliore tra i maestri, e ti supplichiamo, ora che
sei al culmine delle virtù, di scrivere per noi poveri igno­
ranti quel che hai contemplato nella visione di Dio -
come un tempo Mosè sulla stessa montagna1 -, perché

1 Cioè sul Sinai: cf. Es 33,18-23.

79
questo scritto prezioso che ci manderai, come le Tavole
scritte da Dio, possa servire a istruire il nuovo Israele,
cioè coloro che sono appena usciti dall’Egitto spirituale e
dal mare della vita2. Come dunque in passato hai compiu­
to miracoli sul mare, utilizzando invece del bastone di
Mosè (cf. Es 14,16) la tua lingua ispirata da Dio, così
anche ora, ti preghiamo, non disdegnare di esporre senza
indugio e in modo chiaro, con le tue eccellenti qualità di
maestro, tutto ciò che è necessario alla vita monastica,
624 c per la salvezza di tutti coloro che hanno scelto questa
condizione di vita angelica; e non pensare che le nostre
625 parole siano lusinghe e adulazioni, ma credi piuttosto che
a

quello che diciamo sia ciò che tutti chiaramente vedono,


pensano e dicono.
Abbiamo perciò fiducia nel Signore di poter presto ri­
cevere e abbracciare ciò che attendiamo con speranza: le
parole preziose incise su tavole, che potranno guidare se­
condo verità quanti le seguiranno scrupolosamente, come
una scala che si eleva fino alle porte del cielo e vi condu­
ce sani e salvi coloro che vogliono salire su di essa, pas­
sando senza ostacoli attraverso gli spiriti del male, i prin­
cipi di questo mondo di tenebra e i padroni dell’aria (cf. Ef
6,12). Se infatti Giacobbe, pur essendo un semplice pa­
store di pecore, potè contemplare quella visione così im­
pressionante sulla scala (cf. Gen 28,12), tanto più colui
che presiede a un gregge di pecore dotate di ragione non
dovrà forse mostrare a tutti la via sicura per ascendere a
Dio, non solo in visione ma anche nella realtà?
625b Sta’ bene, veneratissimo padre!

2 Cioè i giovani monaci, che sono appena usciti dal “mondo”.

80
LETTERA DI RISPOSTA

Giovanni a Giovanni, salute!


Abbiamo ricevuto la lettera preziosa che ci hai inviato,
a noi persone senza valore e povere di virtù: essa è vera- 625 c
mente degna della tua vita nobile e impassibile e del tuo
cuore puro e umile, ma più che di una lettera si tratta di
un ordine e di un comando che supera le nostre forze! Ti
si addice proprio, del resto, ed è tipico della tua anima
santa, chiedere un discorso di dottrina e di esortazione
proprio a noi che siamo dei poveri ignoranti privi di edu­
cazione sia in parole che in opere! Infatti, hai sempre
avuto l’abitudine di offrirci esempi di umiltà con il tuo
comportamento. Ma per quanto ci riguarda diremo che,
se non avessimo avuto paura di correre un grande perico­
lo scrollandoci di dosso il giogo della santa obbedienza -
che è la madre di tutte le virtù -, non avremmo mai osato
intraprendere, contro ogni buon senso, ciò che supera le
nostre capacità. Per essere istruito su queste cose, padre
venerabile, avresti dovuto infatti ricorrere a persone che
le conoscono bene, giacché noi siamo ancora nella schie­
ra dei discepoli. Ma poiché i nostri padri teofori, iniziati 625 d
alla vera conoscenza, definiscono obbedienza proprio il
fatto di sottomettersi senza esitazione a chi ci ordina cose
superiori alle nostre forze, ecco che trascurando la nostra
condizione a motivo della pietà, abbiamo osato avventu­
rarci temerariamente in un’impresa superiore alle nostre

81
possibilità; ma questo, non certo per raccontare qualcosa
che possa esserti utile, o per spiegarti quel che tu stesso co-
628 a nosci meglio di noi, padre santo e venerabile. Sono infat­

ti persuaso - come forse chiunque abbia un po’ di senno -


che l’occhio della tua mente sia puro da qualsiasi genere di
turbamento terreno che possa oscurarlo, e che contempli
senza alcun ostacolo la luce divina e da essa sia illuminato.
Ma poiché, come ho detto, temevo la morte, frutto della
disobbedienza, e questa paura mi spingeva all’obbedienza,
ho ottemperato al tuo santo comando con timore e amore
come un discepolo devoto; e come allievo incapace di un
bravo pittore, con la mia conoscenza debole ed evanescen­
te e la mia eloquenza impacciata, mi sono limitato a trac­
ciare un primo schizzo a inchiostro delle parole di vita1, la­
sciando a te, o migliore e primo tra i maestri, di abbellir­
lo e di renderlo più chiaro completando le parti mancanti:
628 b sei tu infatti che hai realizzato pienamente la legge spiri­

tuale ! Non è a te però che abbiamo inviato questo nostro


lavoro - non sia mai!, sarebbe segno di estrema ingenuità,
dal momento che tu, grazie ai doni che hai ricevuto dal
Signore, hai tutte le capacità per confermare, non solo gli
altri, ma anche noi stessi in una vita conforme agli inse­
gnamenti divini -, ma lo abbiamo inviato alla comunità
che è stata chiamata da Dio, insieme a noi, a ricevere i
tuoi insegnamenti, o migliore tra i maestri.
Alleggerito dal peso della mia ignoranza grazie alle loro
preghiere, come per il sostegno di qualche speranza spiri­
tuale, spiego ormai le vele della mia penna e, affidando
con ogni genere di supplica nelle mani dell’eccellente pi­
lota, cioè Cristo, il timone della mia parola, do inizio al
mio discorso, che rivolgo loro attraverso di te.

1
Cf. At 7,38, dove l’espressione è usata per designare i comandamenti ri­
cevuti da Mosè sul Sinai.

82
Supplico chiunque leggerà questo libro, che se mai ne
ricaverà qualche beneficio, ne attribuisca con gratitudine
il merito al nostro eccellente superiore2, e domandi a Dio 628 c
di dare a noi la ricompensa soltanto per aver intrapreso
questo lavoro, senza guardare alle cose dette - perché
non hanno alcun valore e sono piene di ogni genere di
ignoranza e ingenuità - ma riconoscendo piuttosto la
buona intenzione di chi le offre, degna di quella vedova
di cui sta scritto nell’evangelo (cf. Me 12,42-43): Dio in­
fatti commisura le ricompense non tanto all’abbondanza
di doni e di fatiche ma al fervore dell’intenzione.

2 Lo stesso Giovanni di Raito.

83
DISCORSO ASCETICO DI ABBA GIOVANNI
IGUMENO DEI MONACI DEL MONTE SINAI
INVIATO AD ABBA GIOVANNI
IGUMENO DI RAITO

È diviso in trenta capitoli che,


come i gradini di una scala,
fanno salire coloro che li seguono
dalle realtà più basse a quelle più elevate,
e per questo il libro è chiamato anche “Scala”
Discorso I
SULLA VIOLENTA RINUNCIA ALLA VITA VANA
E SUL RITIRO DAL MONDO

1. Poiché il nostro Dio e Re, che è buono, più che


buono e interamente buono - è bello infatti iniziare da
Dio quando ci si rivolge a dei servitori di Dio ! -, ha ono­
rato gli esseri razionali da lui creati con la dignità del libe­
ro arbitrio, alcuni sono suoi amici, altri suoi servi fedeli,
altri servi inutili; altri sono completamente estranei a lui, 632 b
e altri infine sono suoi avversari, per quanto impotenti.
2. Per “amici di Dio”, santo e venerato padre1, noi,
nella nostra ignoranza, intendiamo propriamente quegli
esseri intelligenti e incorporei che stanno intorno a lui;
per “servi fedeli”, coloro che hanno compiuto e compiono
la sua santissima volontà senza indugio né interruzione al­
cuna; per “servi inutili”, quanti ritengono sì di essere stati
onorati del divino battesimo, ma non hanno custodito fe­
delmente gli impegni presi con lui; per “estranei a Dio”
e suoi nemici intenderemo poi quanti vediamo senza batte­
simo e con una fede erronea; sono infine suoi “avversari”
dichiarati non solo coloro che hanno respinto i comanda-
menti del Signore rigettandoli lontano da sé, ma anche
coloro che combattono con accanimento contro chi li
mette in pratica.

1 L’autore si rivolge a Giovanni di Raito.

87
632 c 3. Ciascuna di queste categorie, dunque, avrebbe biso­
gno di un discorso particolare che la riguardi, ma poiché
in questo momento non conviene che noi, che siamo
ignoranti, ci mettiamo a discutere diffusamente di tutte
queste cose, orsù, apprestiamoci a tendere la nostra mano
indegna, attraverso un’obbedienza cieca2, a questi auten­
tici servi di Dio3 che con la loro devozione ci tiranneggia­
no e con la loro fiducia ci fanno violenza: ricevendo da
questi dotti la penna dell’insegnamento, immergendola
nell’inchiostro della cupa e splendente umiltà, e posando-
633 a la sui loro cuori lisci e candidi, come su fogli o piuttosto
su tavole spirituali, per tracciarvi le parole divine, dicia­
mo quanto segue.
4. Di tutte le creature dotate di libero arbitrio, Dio è
la vita, di tutte è la salvezza: dei fedeli e degli infedeli,
dei giusti e degli ingiusti, dei pii e degli empi, di coloro
che sono preda delle passioni e degli impassibili, dei mo­
naci e dei secolari, dei sapienti e degli ignoranti, dei sani
e degli infermi, dei giovani e di coloro che sono già avan­
ti negli anni, proprio come l’effusione della luce, la vista
del sole e l’alternanza delle stagioni. Né potrebbe essere
altrimenti, perché presso Dio non c’è parzialità (Rm 2,11)!
5. L’empio è l’essere razionale, mortale, che si sottrae
volontariamente alla vita e ritiene il proprio Creatore -
633 b proprio lui che sempre esiste! - come non esistente (cf. Sai
13,1; 52,2).
6. Il trasgressore della legge è colui che rende la legge
di Dio prigioniera della propria mente perversa, e s’illu­
de di credere in Dio mentre professa un’eresia che gli è
contraria.

2 Lett.: “Obbedienza senza discernimento (adìàkrìtos hypakoé)”. Secondo

quanto Fautore stesso afferma in IV^, chi obbedisce rinuncia al proprio di-
scernimento “per abbondanza di discernimento”.
? I monaci di Raito.

88
7. Il cristiano è imitazione di Cristo - nella misura in
cui ciò è possibile a un uomo - in parole, opere e pensie­
ri, con una fede retta e irreprensibile nella santa Trinità.
8. L’amico di Dio è colui che gode di tutti i beni che
sono secondo natura ed esenti da peccato e non trascura
di compiere tutto il bene che è in suo potere.
9. Il temperante è colui che, pur vivendo in mezzo alle
tentazioni, alle insidie e alle distrazioni, cerca con tutte
le proprie forze di imitare i comportamenti di chi è libe­
ro da ogni turbamento.
10. Monaco è lo stato e la condizione di vita degli angeli 633 c
incorporei che si realizza in un corpo materiale e sordido.
Monaco è colui che si attiene unicamente ai precetti di Dio,
in ogni tempo, luogo e azione. Monaco significa violenza
ininterrotta fatta alla natura e custodia incessante dei sensi.
Monaco è un corpo casto, una bocca pura e una mente illu­
minata. Monaco è un’anima afflitta che medita ininterrotta­
mente il ricordo della morte, sia nella veglia che nel sonno4.
11. Il ritiro dal mondo è odio volontario e rinnegamen­
to della natura allo scopo di ottenere ciò che è superiore
alla natura.
12. Tutti coloro che hanno abbandonato con zelo i
beni di questa vita, certamente l’hanno fatto o in vista del
Regno futuro, o per il gran numero dei loro peccati, o
per amore di Dio5. Ma se nessuno di questi motivi li ha

4 Sul nome del “monaco” (da mónos, “solo, unico”), cf. Pseudo-Dionigi

l’Aeropagita, Sulla gerarchia ecclesiastica VI,3, citato infra, XXVI/1,18, n. 17.


5 L’autore riprende qui la dottrina tradizionale dei tre gradi della vita spi­

rituale, pur invertendone Lordine (vedi però infra, § 24). Si veda, ad esempio,
Basilio di Cesarea, Regole diffuse, prol. 3: “O ci allontaniamo dal male per ti­
more del castigo e ci troviamo allora nella disposizione d’animo propria degli
schiavi, oppure, aspirando ai guadagni della ricompensa, osserviamo i coman­
damenti per il vantaggio che ne ricaviamo e siamo simili così ai mercenari, o
ancora operiamo per il bene in se stesso e per amore di colui che ci ha dato la
legge, lieti di essere stati trovati degni di servire un Dio talmente glorioso e
buono, e ci troviamo così nella disposizione d’animo dei figli”.

89
guidati, allora il loro ritiro dal mondo è irragionevole.
Comunque il nostro Arbitro, nella sua bontà, attende di
vedere quale sarà il termine della nostra corsa.
633 d 13. Colui che è uscito dal mondo per sgravarsi del peso
dei propri peccati, imiti coloro che se ne stanno seduti da­
vanti alle tombe fuori della città e non smetta di versare
calde e bollenti lacrime e di gemere silenziosamente nel
proprio cuore, finché anch’egli non veda venire Gesù, non
lo veda rotolare via dal suo cuore la pietra del suo induri­
mento, liberare Lazzaro - ossia la nostra mente - dalle
bende dei peccati, e ordinare agli angeli che lo servono:
Scioglietelo dai vincoli delle passioni e lasciatelo andare
verso la beata impassibilità (cf. Gv 11,44)! Ma se non si
comporterà così, non trarrà alcun vantaggio dalla propria
uscita dal mondo.
14. Noi tutti che vogliamo uscire dall’Egitto e fuggire
lontano dal faraone (cf. Es 13,17-22)6, certamente abbia-
636 a mo bisogno anche noi di un qualche Mosè, come media­
tore davanti a Dio e dopo Dio7, che stando in piedi, a
metà tra azione e contemplazione, tenda le mani verso
Dio in nostro favore, affinché sotto la sua guida possia­
mo traversare il mare dei peccati (cf. Es 14,21-22) e met­
tere in fuga l’Amalek delle passioni (cf. Es i7,8-i3)8. Si
sono illusi, perciò, quanti, confidando in se stessi, hanno
creduto di non aver bisogno di alcuno che li guidasse !

6 Cf. Scbol. 11, PG 88,Ó48A: “L’Egitto in senso spirituale è l’ottenebra­

mento prodotto dalle passioni e nessuno vi scende se non perché è piombato


nella fame. Non trascurare l’azione, perché altrimenti la tua conoscenza dimi­
nuisce e tu, venuta la fame, discendi in Egitto. I padri chiamano ‘Egitto’ la vo­
lontà della carne che ci rende inclini al rilassamento del corpo e insegna alla
nostra mente ad attaccarsi ai piaceri” (cf. Doroteo di Gaza, Insegnamenti
XIII,142,5).
7 Cioè dopo Cristo, che secondo la Scrittura è l’unico vero mediatore tra

Dio e gli uomini (cf. iTm 2,5).


8 L’“Amalek delle passioni” è il diavolo.

90
15. Coloro che uscirono dall’Egitto avevano come
guida Mosè, e coloro che fuggirono da Sodoma un ange­
lo (cf. Gen 19,16). Gli uni somigliano a coloro che sono
guariti dalle passioni dell’anima attraverso la cura dei
loro medici9: sono appunto coloro che escono dall’Egitto.
Gli altri invece somigliano a coloro che desiderano arden­
temente spogliarsi dell’immondezza del loro misero
corpo: anch’essi perciò hanno bisogno dell’aiuto di un an­
gelo, o di uno che, per così dire, sia uguale a un angelo.
L’abilità dell’esperto e del medico di cui abbiamo biso- 636 b

gno, infatti, deve essere proporzionata al grado di cancre­


na delle nostre piaghe.
16. Quanti hanno intrapreso la salita verso il cielo ri­
manendo nel corpo, devono farsi veramente violenza (cf.
Mt 11,12)10 e sopportare sofferenze senza fine - soprat­
tutto agli inizi della loro rinuncia al mondo - finché, gra­
zie a un’autentica afflizione, la loro indole naturalmente
incline ai piaceri e il loro cuore insensibile non abbiano
raggiunto stabilmente l’amore di Dio e la purezza.
17. Dobbiamo sopportare davvero molta fatica e molta
amarezza nascosta, tanto più se viviamo nella negligenza;

9 Climaco usa spesso delle immagini “terapeutiche” per descrivere la rela­


zione tra padre spirituale e discepolo e in generale la dinamica della vita spiri­
tuale: il padre spirituale è un medico (a immagine del Cristo, unico vero “me­
dico delle anime e dei corpi”) e il discepolo un malato, che deve essere guarito
dalle passioni che ha contratto nell’anima. Cf. Hierotheos (Vlahos), “Illness,
Cure and thè Therapist according to St. John of thè Ladder”, in The Greek
Orthodox Theological Review 44 (1999), pp. 109-130 e supra, “Introduzione”,
p. 39; in generale su questo tema, caratteristico di tutta la spiritualità orientale,
cf. J.-C. Larchet, Thérapeutique des maladies spirituelles.
10 Cf. Schol. 12, PG 88,6486: “In molti punti Fautore parla di violenza,

come quando dice: 'Il monaco è violenza continua fatta alla natura’, e ancora:
'In realtà hanno bisogno di violenza1, e in molti altri passi simili. A questo pro­
posito si può dire che, quando una certa abitudine è diventata in noi una di­
sposizione stabile e, per così dire, una natura, in quel caso è necessaria la vio­
lenza per cambiare e trasformare quell’abitudine che si è acquisito da lungo
tempo. Perciò anche il Signore dice: II regno dei cieli è dei violenti!

91
e ciò finché, a forza di semplicità, di profonda mitezza e
di fervore, non avremo condotto la nostra mente - che è
come una cagna abituata a frequentare i macelli e avida
di cibo - all’amore della vigilanza e della purezza. Ma
facciamoci coraggio, anche se siamo dominati dalle pas-
636c sioni e impotenti! Offriamo e confessiamo a Cristo, con
fede incrollabile, la nostra debolezza e l’impotenza della
nostra anima, e certamente otterremo il suo aiuto, anche
al di là dei nostri meriti, purché ci sprofondiamo conti­
nuamente nell’abisso dell’umiltà.
18. Tutti coloro che intraprendono questa bella lotta
(cf. iTm 6,12; 2Tm 4,7), dura e ardua, ma allo stesso
tempo leggera11, sappiano che sono venuti a gettarsi in un
fuoco12, se veramente desiderano che il fuoco immateria­
le abiti in loro. Ciascuno però esamini se stesso e poi mangi
del pane di questa lotta, che è accompagnato da erbe
amare, e beva del suo calice, che si beve con le lacrime,
per non intraprendere il combattimento a propria con­
danna (cf. iCor 11,28-29).
19. Se è vero che non chiunque viene battezzato è
salvo, tacerò le conseguenze di questa affermazione.
Quanto però a coloro che intraprendono questa lotta, do­
vranno rinunciare a tutto, disprezzare tutto, ridersi di
636 tutto, e scrollarsi di dosso tutto, in modo da porre un
d

buon fondamento!
20. Un buon fondamento è quello formato da tre basi
diverse e da tre colonne: innocenza, digiuno e castità.
Tutti i neonati in Cristo (cf. iCor 3,1) comincino da que­
ste cose, prendendo esempio da coloro che sono neonati

11Cf. Schol. 14, PG 88,6480: “Ha detto Mura' a causa della custodia dei
sensi; ‘ardua' a causa della mortificazione della carne e del doloroso abbando­
no delle abitudini inveterate; ‘leggera', infine, a causa della fiducia in Dio, dei
progressi che si potranno fare e della speranza dei beni futuri”.
12 Quello delle tentazioni.

92
fisicamente: in essi non si troverà alcunché di malvagio o
di falso, né un’avidità insaziabile o un ventre mai soddi­
sfatto, né un corpo infuocato o eccitato dalle passioni; ma
forse, quando cominceranno a nutrirsi di più e a cresce­
re, saranno anch’essi bruciati da quest’incendio13.
21. E veramente odioso e pericoloso che il lottatore si
rilassi fin dall’inizio della lotta, dando così a tutti un
chiaro indizio della propria disfatta14.
22. Aver iniziato a lottare con forza ci sarà sempre
utile, anche se in seguito ci saremo rilassati, poiché un’a­
nima che ha iniziato a lottare con valore, anche se poi si
sarà rilassata, sarà stimolata dal ricordo dell’antico zelo,
come da un pungolo; ed è proprio in questo modo che 637 a

molti hanno riacquistato le ali.


23. Quando l’anima, tradendo se stessa, perde quel
beato e desiderabile fervore, cerchi con impegno la causa
di tale perdita, e poi intraprenda contro di essa una guer­
ra a tutto campo, mettendovi tutto il proprio zelo: quel
fervore infatti non potrà ritornare che dalla porta da cui
è uscito.
24. Chi ha rinunciato al mondo per timore, assomiglia
all’incenso che brucia: inizia diffondendo un buon odore,
e poi finisce in fumo; chi lo ha fatto perché spera di ot­
tenere una ricompensa, è come la mola di un mulino spin­
ta da un asino, perché gira sempre allo stesso modo15; chi
invece si è ritirato dal mondo mosso dall’amore di Dio,
possiede fin dall’inizio un fuoco dentro di sé, che, se
trova materiale che lo alimenti16, può crescere e provoca­
re un incendio più grande.

13 Cf. Exegesis, p. 67: “L’autore ha aggiunto il ‘forse’ per clemenza, non


perché fosse in dubbio: le cose stanno infatti cosi come ha detto”.
14 Lett.: “Della propria uccisione (tès heautoù sphagbés)”.
15 Cioè è costante nel proprio cammino, ma manca di slancio.
16 Cioè le lotte della vita monastica.

93
637 b 25. Alcuni costruiscono sulla pietra con mattoni; altri
innalzano colonne sulla terra; altri ancora, dopo aver
sgranchito un po’ le gambe e aver riscaldato muscoli e ar­
ticolazioni, si mettono a camminare più rapidamente: chi
può capire capisca questo discorso simbolico17.
26. Corriamo con impegno pensando che siamo stati
chiamati da un Dio e da un Re, perché, con la brevità
della nostra vita, rischiamo di essere trovati senza frutti
nel giorno della morte e di morire di fame! Rendiamoci
graditi al Signore, come dei soldati nei confronti del loro
re: dopo la nostra milizia infatti ci verrà chiesto un conto
esatto del nostro servizio!
27. Temiamo il Signore come temiamo le bestie18! Ho
visto degli uomini, infatti, che erano andati a rubare senza
temere il Signore, ma poi, appena sentirono la voce dei cani
in quel luogo, tornarono subito indietro: ciò che non potè
fare il timore di Dio, riuscì a farlo la paura delle bestie!
637c 28. Amiamo Dio come onoriamo gli amici! Spesso in­
fatti ho visto persone che quando offendono Dio non
provano alcun rimorso, ma quando hanno infastidito i
propri amici in una cosa da nulla, ricorrono a ogni artifi­
cio, a ogni accorgimento, a ogni sacrificio, a ogni mezzo
per riconoscere la propria colpa, in prima persona, attra­
verso amici, o per mezzo di regali, così da poter riguada­
gnare l’antica amicizia.

17 Seguendo I’intepretazione di P. Deseille (che riprende con qualche varia­

zione quella di Schol. 17, PG 88,649!$), possiamo intendere il passo come


segue: alcuni, sul solido fondamento della vita cenobitica (“la pietra”), costrui­
scono un edificio spirituale mediocre per mancanza di coraggio e di fervore (cf.
infra, V,25, e DP 100,c sul valore negativo dei “mattoni”); altri hanno la pre­
sunzione di innalzare, fin dall’inizio, l’edificio spirituale della vita eremitica
(“le colonne”), senza il fondamento dell’umiltà e dell’obbedienza; altri infine
cominciano il loro cammino con umiltà guidati da un padre spirituale, e a poco
a poco fanno progressi.
18 Cf. infra, XXVI/1,31.

94
29. Quando siamo ancora agli inizi della nostra rinun­
cia al mondo, certamente l’esercizio delle virtù comporta
fatica e amarezza; quando poi abbiamo fatto progressi,
non ne proviamo più alcun dolore o ne proviamo poco; e
quando infine il nostro animo mortale è divorato e vinto
dallo zelo che ci abita, allora ormai esercitiamo quelle
virtù con ogni gioia, fervore, desiderio e ardore divino19.
30. Come sono degni di lode coloro che subito, fin dagli 637 d

inizi, perseguono le virtù e mettono in pratica i comanda-


menti con gioia e con zelo, così sono altrettanto degni di
compassione coloro che, dopo tanti anni passati nell’ascesi,
si dedicano a queste cose con fatica, se pure vi si dedicano!
31. Guardiamo di non disprezzare o giudicare male chi
rinuncia al mondo a motivo di circostanze contingenti!
Ho visto infatti degli esuli che, senza volerlo, incontraro­
no il loro re che si trovava in viaggio, e da quel momen­
to si misero al suo seguito, entrarono insieme a lui nel pa­
lazzo e parteciparono al suo banchetto20.
32. Ho visto del seme caduto casualmente a terra por­
tare frutto ricco e abbondante (cf. Mt 13,8 par .), come
ho anche visto il contrario.
33. Ho visto una persona andare in un ospedale per
una qualche altra necessità e poi, vinta dalla cortesia del
medico, lasciarsi curare con un astringente, scacciando
così la nebbia che gli velava la luce degli occhi. Così per 640 a

alcuni le scelte involontarie si sono rivelate più sicure e


decisive di quelle compiute da altri volontariamente.

19 Cf. Apoftegmì, Sindetica i : “Per coloro che si avvicinano a Dio, all’inizio


vi è lotta e grande fatica, ma poi gioia indicibile. Come quelli che vogliono ac­
cendere un fuoco: prima sono disturbati dal fumo e lacrimano e poi raggiungo­
no ciò che cercano. Perché dice: Il nostro Dio è fuoco che consuma (Eb 12,29).
Così anche noi dobbiamo accendere il fuoco divino con lacrime e stenti”.
20 Cf. Schol. 18, PG 88,6490 “Questa parabola ci mostra la vicenda di

Paolo e di molti altri che, avendo incontrato Cristo loro malgrado, sono entra­
ti con lui nel Regno e con lui hanno regnato”.

95
34- Nessuno, adducendo come pretesti la gravità e la
quantità dei propri peccati, si dichiari indegno della pro­
fessione monastica e riconosca piuttosto di tenersi in
poca stima a causa del proprio attaccamento ai piaceri,
cercando scuse per i peccati (cf. Sai 140,4)! Dove infatti è
molta la cancrena, c’è anche bisogno di una grande cura
da parte del medico per espellere il marciume: non sono
i sani, infatti, che vanno in ospedale (cf. Le 5,31)!
35. Se un re terrestre ci chiamasse e ci chiedesse di mi­
litare al suo servizio, noi certo non indugeremmo né in­
venteremmo scuse, ma, abbandonata ogni cosa (cf. Le
5,28), lo raggiungeremmo pieni di zelo: ora dunque che il
Re dei re, il Signore dei signori e il Dio degli dèi (cf. Dt
640B 10,17; Sai 49,r; iTm 6,16; Ap 19,16) ci chiama a questa
milizia celeste, stiamo attenti a non rifiutare il suo invi­
to per negligenza o per pigrizia, per non trovarci poi
senza scuse di fronte al grande tribunale.
36. E possibile camminare, certo, anche rimanendo le­
gati agli affari e alle preoccupazioni della vita, che sono
come catene di ferro, ma con molta difficoltà: spesso in­
fatti anche coloro che hanno i piedi cinti con catene cam­
minano, ma continuamente inciampano e si feriscono21.
37. Il celibe che è legato al mondo solo dagli affari, so­
miglia a chi ha i piedi cinti da catene: perciò, quando vuole
correre verso la vita monastica, non ne è impedito; chi in­
vece è sposato, somiglia a chi ha mani e piedi legati.
640 c 38. Alcuni che vivevano nel mondo con negligenza mi
dissero: “In che modo possiamo condurre la vita monasti­
ca noi che viviamo insieme alle nostre mogli e siamo cir­
condati dalle preoccupazioni della vita pubblica?”. Ho ri­
sposto loro: “Tutto il bene che potete fare, fatelo; non in-

21 Cf. infra, XXVII/2,19.

96
sultate nessuno; non mentite a nessuno; non siate arro­
ganti con nessuno; non odiate nessuno; non disertate le
assemblee liturgiche; siate compassionevoli verso i biso­
gnosi; non date scandalo a nessuno; non accostatevi alla
moglie di un altro, ma accontentatevi dei vostri salari (Le
3,14), ovvero delle vostre mogli: se vi comportate così,
non siete lontani dal regno dei cieli (cf. Me 12,34)!”. 641 A
39. Accorriamo, dunque, con gioia e timore a questa
bella lotta (cf. iTm 6,12; 2Tm 4,7) senza temere i nostri
nemici, giacché essi, anche se non li vediamo, scrutano il
volto della nostra anima22 e se lo vedono alterato per lo
spavento, allora si armano contro di noi con ancor più ac­
canimento, perché capiscono, quei perfidi, che abbiamo
avuto paura di loro. Armiamoci di buon animo, dunque,
contro di loro, perché contro chi lotta con impegno, nes­
suno vuole combattere!
40. Nella sua provvidenza, il Signore alleggerisce le
lotte dei principianti, affinché non ritornino nel mondo
subito fin dall’inizio. Perciò, rallegratevi nel Signore sempre
(Fil 4,4), voi tutti suoi servi (cf. Sai 133,1), riconoscendo
in ciò il primo segno dell’amore che il Signore ha per voi,
e il segno che è proprio lui ad avervi chiamati!
41. E noto però che spesso il Signore agisce anche così: 641 B
quando vede anime coraggiose, concede loro di combat­
tere subito fin dagli inizi, perché vuole incoronarle in
breve tempo.

22 Cf. Schol. 25, PG 88,Ó52A: “Ha chiamato ‘volto dell,anima> le facoltà


dell’anima. I nostri nemici infatti, che sono i demoni, vedono la nostra con­
dizione per mezzo degli indizi che hanno dalle disposizioni e rappresentazio­
ni dell’anima; giacché da soli non conoscono il nostro pensiero, ma seminano
soltanto i loro inganni e aspettano di vedere con quale disposizione li acco­
gliamo; e così con la nostra indolenza facciamo sì che essi ci vedano, pur non
vedendoci”.

97
42. Il Signore ha nascosto a quelli che vivono nel
mondo la difficoltà - ma bisognerebbe dire piuttosto: la
facilità23! - della corsa della vita monastica, perché se l’a­
vessero conosciuta, nessun mortale avrebbe mai deciso di
rinunciare al mondo!
43. Dona a Cristo le fatiche della tua giovinezza e nella
vecchiaia godrai della ricchezza dell’impassibilità: i frutti
raccolti in gioventù nutrono e alleviano la stanchezza du­
rante la vecchiaia. Fatichiamo con ardore finché siamo
giovani, corriamo con vigilanza, perché è incerto il mo­
mento della morte!
44. Abbiamo dei nemici veramente cattivi, feroci, per-
641 c fidi, scaltri, potenti, mai addormentati, invisibili e imma­

teriali: nelle loro mani tengono del fuoco e con la loro


fiamma desiderano incendiare il tempio di Dio24!
45. Nessuno, finché è giovane, presti ascolto ai demo­
ni che gli dicono: “Non consumare la tua carne, per non
incappare in malattie e infermità!”. Difficilmente infatti
si riuscirà a trovare - soprattutto in questa generazione -
chi scelga di mortificare questa carne: sarà a malapena di­
sposto a fare a meno di cibi abbondanti e succulenti!
Scopo di questo demonio25 è di rendere fiacca e piena di
pigrizia la nostra entrata nella corsa della vita monastica,
e il suo termine, quindi, corrispondente all’inizio.

23 Cf. la nota di Sophronios ad loc.: “Quella che ai più appare una difficol­

tà della lotta ascetica, a me non sembra una difficoltà - dice l’autore - e non
lo è: infatti è difficoltà in apparenza, ma facilità in realtà; tuttavia Dio ha na­
scosto a quelli che vivono nel mondo tale apparente difficoltà, poiché, se Pa-
vessero vista, nessuno avrebbe mai rinunciato al mondo, dal momento che,
come dice PApostolo, l'uomo carnale non comprende le cose dello Spirito di Dio,
perché per lui sono follia (iCor 2,14). Fare una scelta a favore di Dio è proprio
dello spirituale; ma chi vive secondo il mondo come potrebbe rinunciare alle
proprie vergognose ricchezze, se Dio non lo chiamasse con l’astuzia ? E infatti
la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio (iCor 15,50)”.
24 Vogliono cioè incendiare con la fiamma delle passioni il corpo dell’uomo

che in virtù del battesimo è tempio dello Spirito santo: cf. iCor 3,16; 2Cor 6,16.
25 Cioè del demonio che tenta il monaco in questo ambito.

98
46. La prima cosa che devono esaminare e poi realiz­
zare coloro che vogliono servire veramente Cristo è la
scelta del luogo, della forma, dell’assetto di vita, e delle
occupazioni a loro convenienti, con l’aiuto dei padri spi­
rituali e delle proprie conoscenze. La vita cenobitica, in­
fatti, non è per tutti, a motivo della golosità, né è per 641 d

tutti la vita dell’esicasta, a motivo della propensione all’i­


ra26 27. Ciascuno dunque cerchi di capire per quale stato di
vita è tagliato.
47. L’intero stato monastico, in modo assai generale,
comprende tre forme di vita: il ritiro e la solitudine del­
l’atleta spirituale; il vivere nell’esichia in compagnia di
uno o due fratelli; e il risiedere in un cenobio esercitando
la pazienza. Non deviare - dice l’Ecclesiaste - né a destra
né a sinistra21, ma procedi per la via regale (cf. Nm 20,17).
La via di mezzo tra quelle appena menzionate è adatta a
molti. Guai a chi è solo - dice infatti - perché se cade nel-
l’acedia, nel sonno, nel torpore, o nella disperazione, non
c'è chi lo rialzi (cf. Qo 4,10); dove invece due o tre sono ri- 644 a
uniti nel mio nome - ha detto il Signore - io sono in mezzo
a loro (Mt 18,20).
48. Qual è dunque il monaco fedele e saggio (cf. Mt
24,45; Le 12,42), che ha custodito sempre vivo il suo fer­
vore, e fino alla fine della vita non ha mai smesso di ag­
giungere fuoco a fuoco, fervore a fervore, desiderio a de­
siderio, e zelo a zelo?

Primo gradino: tu che vi sei salito, non voltarti indie­


tro (cf. Le 9,62)!

26 Cf. infra, Vili,20.


27 Si tratta in realtà di Pr 4,27.

99
Discorso II
SUL DISTACCO E SULLA RINUNCIA

i. Chi ama veramente il Signore, chi cerca veramente


di ottenere il regno futuro, chi prova veramente rimorso
dei propri peccati, chi custodisce veramente il ricordo
della punizione e dell’eterno giudizio, e chi ha veramente 653 c
dentro di sé il timore della propria dipartita, costui non
amerà, non penserà, né si preoccuperà più di ricchezze,
proprietà, genitori, gloria mondana, amici o fratelli, né as­
solutamente di qualsiasi altra cosa terrena1; anzi, avendo
rigettato e odiato ogni legame e ogni pensiero relativo a
queste cose e, prima ancora, la propria stessa carne, segui­
rà Cristo, nudo, senza preoccupazioni e senza indugi, te­
nendo lo sguardo fisso verso il cielo e attendendo l’aiuto
di là, secondo le parole di quel santo: L’anima mia si è
stretta a te (Sai 62,9), e di quell’altro profeta eternamente
memorabile: Io non mi sono stancato di seguirti, né ho desi­
derato il giorno 0 il riposo dell’uomo, o Signore (Ger 17,16).

1 Cf. Basilio di Cesarea, Regole diffuse 5: “Chi vuole veramente seguire Dio,
deve dunque liberarsi dai vincoli dell’attaccamento alla vita; e questo può av­
venire solo mediante una totale separazione dai costumi antichi e il loro oblio.
Perciò, se non ci rendiamo estranei alla parentela secondo la carne e a questa
vita, come trasferiti con il nostro modo di vivere in un altro mondo, confor­
memente alle parole di colui che ha detto: La nostra patria infatti è nei cieli (Fil
3,20), ci sarà impossibile raggiungere il fine di piacere a Dio. Il Signore, infat­
ti, ha affermato categoricamente: Così chiunque tra voi non rinuncia a tutti i pro­
pri beni, non può essere mio discepolo (Le 14,33)”.

101
653 d 2. Sarebbe una grandissima vergogna, se, dopo aver
abbandonato tutte queste cose, rispondendo alla chia­
mata del Signore e non di un uomo, ci preoccupassi­
mo poi di qualche altra cosa, che non potrà aiutarci
nell’ora del bisogno, ossia della nostra dipartita: que­
sto infatti significa voltarsi indietro e non essere
adatti al regno dei cieli, come ha detto il Signore (cf.
Le 9,62).
3. Il Signore, conoscendo la nostra facilità a cadere
all’inizio del cammino e sapendo com’è facile che, vi­
vendo o incontrandoci con le persone del mondo, ci vol­
giamo di nuovo al mondo, a colui che gli aveva chiesto:
Permettimi di andare a seppellire mio padre, rispose:
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,21-22)!
656 a 4. Dopo la nostra rinuncia al mondo, i demoni ci sug­

geriscono di considerare beati quelli che tra i secolari


sono misericordiosi e pieni di compassione verso i pove­
ri, e di considerarci degli sventurati per esserci privati di
una tale virtù. Ma, attraverso questa parvenza di umiltà,
in realtà lo scopo dei nostri nemici è di farci tornare nel
mondo, oppure, se restiamo monaci, di farci precipitare
nella disperazione.
5. C’è chi disprezza coloro che vivono nel mondo per
presunzione; ma c’è anche chi lo fa, in loro assenza, per
sfuggire la disperazione ed acquistare la speranza.
6. Ascoltiamo cosa ha detto il Signore a quel giova­
ne che aveva messo in pratica quasi tutti i comanda-
menti: “Una sola cosa ti manca: vendere ciò che hai,
darlo ai poveri, e diventare tu stesso un povero che ri­
ceve l’elemosina (cf. Le 18,22 par.)”.
656 b 7. Se vogliamo correre con impegno e sollecitudine,
osserviamo attentamente come il Signore abbia dichia­
rato “morti” quanti vivono nel mondo, anche se sono
ancora in vita, quando disse ad un tale: “Lascia che i

102
morti, che vivono nel mondo, seppelliscano coloro che
sono morti nel corpo (cf. Mt 8,22) !”2.
8. La ricchezza non impediva affatto a quel giovane3 di
accedere al battesimo; vaneggiano dunque quanti vanno
dicendo che il Signore gli ordinò di vendere la sua ric­
chezza per ricevere il battesimo! Una tale testimonianza
ci basti per acquistare una piena certezza della dignità
della nostra professione4.
9. Coloro che, vivendo nel mondo, si consumano in ve­
glie, digiuni, fatiche ascetiche e mortificazioni, quando si
separano dagli uomini ed entrano nella vita monastica,
come in un luogo di prova o in uno stadio, non continua- 656 c
no più l’ascesi di prima, che così risulta finta e falsa5.
10. Ho visto molte e varie piante di virtù piantate da
coloro che vivono nel mondo, innaffiate dalla vanagloria,
come da un canale sotterraneo e fangoso, sarchiate dall’o­
stentazione e concimate dalle lodi degli uomini; poi, però,
una volta trapiantate in una terra deserta, inaccessibile alle
persone del mondo e senz’acqua (cf. Sai 62,2) - senza cioè
quell’acqua fetida della vanagloria -, subito si sono sec-

2 Cf. SchoL 5, PG 88,6600: “Come infatti ‘muore al mondo* chi sfugge ciò
che appartiene al mondo, così ‘muore alla vita’ chi non mette in pratica i co-
mandamenti di vita; e come diciamo che un essere vivente è morto quando di­
venta privo di movimento e di attività, egli è un morto spirituale, ed è detto
tale, quando non persegue più la vita attraverso il rinnegamento delle proprie
volontà”.
3 II giovane di cui si parla sopra al § 6.
4 In queste parole di Climaco si scorge in sottofondo una “teologia dei con­

sigli evangelici” - per parlare in termini occidentali -, peraltro già formulata in


modo esplicito prima di lui da Doroteo di Gaza (cf. Insegnamenti 1,12): secon­
do tale ottica, i comandamenti del Signore sono destinati a tutti i battezzati, ma
i “consigli” - che consistono essenzialmente nel celibato, nella povertà e nel-
F obbedienza - sono riservati soltanto ai monaci. Bisogna riconoscere tuttavia
che, mentre in occidente tale modo di intendere la vita monastica - che rischia
di fare dei monaci una casta di “perfetti” sottovalutando le esigenze radicali di
fedeltà alTevangelo comuni a tutti i battezzati - ha dominato in modo indiscus­
so fino a tempi recentissimi, in oriente si è generalmente sottolineato di più Fin-
timo legame tra battesimo e vita monastica e Funicità della vocazione cristiana.
5 Perché era praticata per la lode degli uomini.

103
cate. Le piante acquatiche, infatti, non sono fatte per pro­
durre frutti nei terreni duri e aridi delle nostre palestre6 7.
11. Chi è arrivato a odiare il mondo, è sfuggito alla tri­
stezza; ma chi prova ancora attaccamento nei confronti
di qualcosa di visibile, non è ancora stato liberato dalla
tristezza: come potrebbe non rattristarsi, infatti, quando
656 d è privato dell’oggetto del proprio amore ?
12. In ogni cosa è necessaria molta vigilanza', ma più
che in tutto il resto dobbiamo porre particolare attenzio­
ne a questo. Ho visto molte persone nel mondo che erano
riuscite a sfuggire alle furenti passioni della loro carne at­
traverso le cure, le preoccupazioni, le ansie e le veglie de­
dicate agli affari di questo mondo; ma una volta entrate
nella vita monastica, trovandosi nella totale assenza di
preoccupazioni, tali persone furono miseramente insudi­
ciate dai moti passionali del corpo.
13. Facciamo attenzione a noi stessi, perché non acca­
da che, mentre affermiamo di camminare per la via stret­
ta e angusta, non ci smarriamo prendendo la via larga e
spaziosa (cf. Mt 7,13-14)! Ecco i segni che ti potranno
indicare chiaramente la via stretta: la mortificazione del
ventre, il restare in piedi tutta la notte, la misura nel bere
657 a acqua e la scarsità di pane; il calice purificatore delle umi­
liazioni, le derisioni, gli scherni, le beffe, la recisione
delle volontà proprie, la sopportazione delle percosse; ac­
cettare il disprezzo senza mormorazione; farsi violenza
nel tollerare gli insulti; sopportare con forza quando si
subisce un torto; non offendersi se si è calunniati; non
adirarsi se si è disprezzati; umiliarsi se si è condannati.
Beati coloro che percorrono questa via, perché di essi è il
regno dei cieli (cf. Mt 3,3.10)!

6 Cioè dei monasteri in cui si pratica rascesi.


7 In greco: népsìs. C£. infra, “Glossario”, s.v. “Vigilanza/sobrietà”.

104
14- Nessuno potrà entrare nella celeste sala delle nozze
(cf. Mt 22,io) portando una corona, se non avrà compiu­
to la prima, la seconda e la terza rinuncia; intendo cioè:
la rinuncia a ogni cosa, persona e parente; la recisione
della volontà propria; e, come terza, la rinuncia alla va­
nagloria, che è implicata dall’obbedienza8.
15. Uscite di mezzo a loro e separatevi, e non toccate 657 b

l’impurità del mondo, dice il Signore (cf. 2Cor 6,17). Chi


tra di loro, infatti, ha mai fatto miracoli? Chi ha resusci­
tato dei morti? Chi ha scacciato dei demoni? Nessuno!
Tutte queste cose infatti sono il premio dei monaci, che
il mondo non può ricevere, perché se lo potesse, super­
flua sarebbe l’ascesi, ovvero il ritiro dal mondo.
16. Ogni volta che i demoni, dopo la nostra rinuncia al
mondo, ci riscaldano il cuore con il ricordo dei nostri ge­
nitori e fratelli, noi armiamoci della preghiera contro di
loro e infiammiamoci con il ricordo del fuoco eterno, così
da spegnere con tale ricordo il fuoco inopportuno che ci
brucia nel cuore. Se poi qualcuno ritiene di essere distac­
cato da un oggetto, qualunque esso sia, e si affligge per la
sua perdita, costui s’inganna totalmente.
17. Se dei giovani violentemente attirati dagli amori 657c
carnali e dalla dissolutezza vogliono entrare nella vita mo­
nastica, si sforzino di esercitarsi in ogni forma di sobrie­
tà e di attenzione, e di convincersi ad astenersi da ogni
genere di dissolutezza e di vizio, per evitare che la loro
nuova condizione sia peggiore della prima (Mt 12,45) !

8 L’autore riprende, variandolo, il tema evagriano delle tre rinunce, presen­


te in Giovanni Cassiano, Conferenze III,6: “La prima rinuncia consiste nel di­
sprezzo effettivo e reale di tutte le ricchezze e dei beni del mondo; la seconda
nel rigetto dei costumi viziosi e delle precedenti passioni dell’animo e della
carne; la terza nel distrarre la mente da tutte le cose presenti e visibili per fis­
sarla unicamente nella contemplazione delle realtà future e nel desiderio dei
beni invisibili”. Sul tema, cf. Arch. Sophrony (Sacharov), “De la nécessité de
trois renoncements chez St. Cassien le Romain et St. Jean Climaque”, in Studia
Patristica V, Akademie-Verlag, Berlin 1962, pp. 393-400.
18. Il porto può sì procurare salvezza, ma anche peri­
coli, e lo sanno bene coloro che navigano sul mare spiri­
tuale. Ma che triste spettacolo veder naufragare in porto
coloro che si erano salvati in mare!

657 d Secondo gradino: tu che corri, non imitare la moglie di


Lot, ma Lot stesso9, e fuggi!

9 La moglie di Lot, fuggendo da Sodoma, si voltò indietro: cf. Gen 19,26;


Le 17,32.

106
Discorso III
SULL’ESTRANEITÀ

i. Estraneità1 è l’abbandono definitivo di tutto ciò che 664 b


nella nostra patria ci è di ostacolo per raggiungere lo scopo
della pietà. Estraneità significa comportamento esente da
familiarità2, sapienza sconosciuta, intelligenza che non fa
mostra di sé, vita nascosta, proposito invisibile, pensiero
non rivelato; è brama di abiezione, desiderio di ristrettez­
za, fondamento del desiderio di Dio, abbondanza di
amore3, rifiuto della vanagloria, abisso di silenzio4.

1 In greco: xenìteia. Per il significato del termine cf. infra, “Glossario”, s.v.
“Estraneità”.
2 In greco: aparrhesiaston, lett.: “Senza parrbesta” (per questo termine cf.

infra, “Glossario”, s.v. “Familiarità”). Sul rapporto tra estraneità e familiarità,


cf. anche Apoftegmi, Agatone i: “Il padre Pietro, discepolo del padre Lot, rac­
contò che si trovava un giorno nella cella del padre Agatone, quando un fratel­
lo venne a dirgli: ‘Voglio abitare insieme ad altri fratelli. Dimmi in che modo
devo vivere con loro’. L’anziano gli rispose: ‘In tutti i giorni della tua vita con­
siderati straniero come il primo giorno in cui ti sei unito a loro, per non avere
mai con essi troppa familiarità’. Il padre Macario gli chiede: ‘Ma che cosa fa
questa familiarità?’. Gli dice l’anziano: ‘La troppa familiarità è simile a un vio­
lento scirocco che, quando arriva, tutti lo fuggono e distrugge i frutti degli
alberi’. Il padre Macario gli dice ancora: ‘E dunque così nociva la troppa fami­
liarità?’. E il padre Agatone: ‘Nessun’altra passione è più nociva della troppa
familiarità: è la madre di tutte le altre; il monaco operoso deve guardarsene,
anche se vive solo nella sua cella”’.
3 Sottinteso: “Per Dio” (in greco: èros). Cf. infra V,6, nota 12.
4 Cf. Apoftegmi, Longino 1: “Se non sai trattenere la tua lingua, non sarai

straniero dovunque tu vada. Trattieni qui la tua lingua e sarai straniero!”. Cf.
anche Titoes 2.

107
2. Di solito, agli inizi, è questo il pensiero che assilla in
modo continuo e insistente gli innamorati del Signore, fa­
cendoli ardere, per così dire, in un fuoco divino: intendo
dire, cioè, il pensiero che spinge gli innamorati di un così
grande bene ad allontanarsi dai propri familiari allo scopo
di poter vivere nell’abiezione e nell’angustia. Questo pen-
664 c siero, però, quanto più è nobile e degno di lode, tanto più
richiede anche un discernimento attento, poiché l’estra­
neità, se spinta all’eccesso, non è sempre cosa buona.
3. Se ogni profeta è disprezzato nella sua patria, come
dice il Signore (cf. Mt 13,37 par.), guardiamo che la no­
stra estraneità non diventi occasione di vanagloria5!
Estraneità significa, infatti, separarsi da tutto allo scopo
di rendere il pensiero inseparabile da Dio. Chi vive da
straniero, ama e realizza l’afflizione continua; lo stranie­
ro è colui che fugge ogni rapporto, sia con la propria
gente che con gli stranieri stessi!
4. Tu che ti stai affrettando a raggiungere l’estraneità
o la solitudine, non aspettare che ti raggiungano le anime
che sono ancora legate al mondo, perché il ladro viene al­
l’improvviso (cf. Mt 24,43 par.). Molti, infatti, per aver
tentato di salvare anche pigri e pusillanimi, perirono in­
sieme a loro, essendosi spento col tempo il fuoco della
loro anima. Ma tu, appena hai ricevuto la fiamma, corri,
perché non sai quando si spegnerà lasciandoti nella tene­
bra (cf. Gv 12,35).
664 d 5. Non a tutti noi è richiesto di salvare gli altri. Dice
infatti l’Apostolo: Ciascuno di noi, fratelli, renderà conto a
Dio di se stesso (Rm 14,12); e ancora: Tu che insegni agli
altri - dice - non insegni a te stesso (Rm 2,21) ? Certamente
però a tutti è richiesto di salvare se stessi.

5 Chi abbandona la sua patria e dimora da straniero in un'altra “terra”, deve


stare attento a non cercarvi la gloria umana che neanche in patria avrebbe potu­
to raggiungere. Per questo deve fuggire anche i rapporti con gli altri stranieri.

108
6. Se vivi da straniero, guardati dal demone del vaga­
bondaggio e dell’amore del piacere: la tua estraneità, in­
fatti, gli fornisce una buona occasione.
7. Buona cosa è il distacco dagli affetti, ma l’estranei­
tà ne è la madre.
8. Chi si è fatto straniero a motivo del Signore, non
deve più essere attaccato a niente, perché non risulti che
fa il vagabondo a motivo delle proprie passioni. Chi dun­
que è straniero al mondo, non si accosti più al mondo,
perché le passioni ritornano facilmente.
9. Èva fu esiliata dal paradiso senza volerlo (cf. Gen 665 a

3,23); il monaco invece si esilia volontariamente dalla


propria patria. Quella infatti avrebbe rischiato di deside­
rare ancora l’albero della disubbidienza, mentre costui si
esporrebbe certamente a un pericolo quotidiano da parte
dei propri parenti secondo la carne.
10. Fuggi come un flagello i luoghi del peccato!
Quando infatti il frutto non è davanti ai nostri occhi, ci
capita di desiderarlo meno spesso.
11. Non devi neppure ignorare il metodo con cui que­
gli autentici ladri6 ci ingannano: ci suggeriscono infatti di
non separarci dalle persone del mondo, sostenendo che ri­
ceveremo una grande ricompensa, se, guardando le
donne, riusciremo a contenerci; ma non bisogna dar loro
retta, anzi fare il contrario7.
12. Quando, passati uno o due anni dalla separazione
dai nostri familiari, abbiamo acquistato un po’ di pietà,
di compunzione, o di temperanza, ecco che ci assalgono
dei pensieri di vanità per suggerirci di tornare di nuovo 665
b

in patria: “Per l’edificazione di molti - dicono -, per dare


il buon esempio e recar giovamento a quanti hanno visto

6 Cioè i demoni.
7 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 22.

109
le nostre azioni inique!”. Se per caso, poi, abbiamo il
dono della parola e un po’ d’istruzione, quelli ci suggeri­
scono subito di tornare nel mondo come salvatori d’ani­
me e maestri, allo scopo di farci disperdere in mare i beni
che abbiamo accumulato in porto.
13. Sforziamoci di imitare non la moglie di Lot, ma lo
stesso Lot (cf. Gen 19,26; Le 17,32): un’anima, infatti,
che torna là donde è venuta, diventerà insipida come il sale
(cf. Mt 3,13) e rimarrà immobile per il resto del tempo!
14. Fuggi l’Egitto senza voltarti indietro, perché i
cuori che vi sono ritornati non hanno potuto contempla­
re Gerusalemme (cf. Es 16,2-3; Eb 3,7-4,41, ossia la terra
dell ’ imp as sibilit à.
15. E successo, sì, che alcuni che agli inizi avevano ab­
bandonato la loro patria a motivo della loro debolezza in­
fantile8, vi siano ritornati utilmente dopo essersi perfet-
665 c tamente purificati, forse allo scopo di salvare altri dopo
aver salvato se stessi. Tuttavia anche il grande Mosè, che
aveva visto Dio e da Dio stesso era stato inviato a salva­
re il suo popolo (cf. Es 3,6-10), incontrò molti pericoli in
Egitto, ossia molte tenebre nel mondo.
16. E meglio rattristare i propri genitori piuttosto che
il Signore, perché il Signore ci ha plasmati e salvati, men­
tre i genitori spesso portano alla perdizione e consegnano
al castigo quelli che amano.
17. Straniero è colui che vive, in piena coscienza, come
un uomo di lingua straniera tra persone di un’altra lingua.
18. Non è perché odiamo i nostri familiari o i luoghi in
cui siamo nati, che ci separiamo da essi - non sia mai! -,
ma lo facciamo per sfuggire al danno che potremmo rice­
vere da parte loro.

8 In senso spirituale, come in iCor 3,1.


19- Come in tutto il resto, anche in questo il Signore
ci è stato maestro: risulta chiaramente, infatti, che an- 665 d

ch’egli abbandonò più volte i propri genitori secondo la


carne; e quando gli fu detto: Tua madre e i tuoi fratelli ti
cercano (Me 3,31), subito il nostro buon maestro ci diede
esempio di un odio esente da passione, dicendo: “Mia
madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà
del Padre mio che è nei cieli” (cf. Mt 12,49-50).
20. Tuo padre sia dunque colui che ha la forza e la vo­
lontà di aiutarti a portare il peso dei tuoi peccati; tua
madre, la compunzione, che è in grado di lavarti dalla
sozzura del peccato; tuo fratello, colui che lotta e gareg­
gia insieme a te nella corsa verso il cielo; prenditi come
sposa inseparabile la memoria della morte; i gemiti del
cuore siano i tuoi figli carissimi; come schiavo acquistati
il tuo corpo; e infine, come amici, le sante potenze ange- 668
a

liche, che al momento della tua dipartita potranno esser­


ti utili, se ti saranno diventate amiche: Questa è la fami­
glia di quelli che cercano il Signore (cf. Sai 23,6)!
21. L’amore di Dio spegne l’amore per i genitori. Chi
afferma di possederli entrambi, inganna se stesso, mentre
ascolta colui che dice: Nessuno può servire a due padroni
(Mt 6,24), con ciò che segue.
2 2. Non sono venuto - dice il Signore - a portare la pace
sulla terra, o l’amore dei genitori per i figli, o dei fratelli
per i fratelli che scelgono di servirmi, ma la guerra e la spada
(Mt 10,34), e cioè: a separare gli amanti di Dio dagli aman­
ti del mondo, le persone materiali da quelle spirituali, e co­
loro che cercano la gloria dagli umili; il Signore infatti si
rallegra di litigi e separazioni che avvengono per amor suo !
23. Sta’ attento, sta’ attento, che, per l’amore e l’at­
taccamento che provi verso i tuoi familiari, non ti paia di
vedere tutto ricoperto dalle acque delle loro lacrime, e tu 668
b

non finisca per lasciarti travolgere insieme a loro dal dilu-


vio dell’amore del mondo. Non provar compassione per le
lacrime dei tuoi genitori o amici, altrimenti dovrai pian­
gere in eterno!
24. Quando i tuoi ti circondano come api, anzi come
vespe, e già intonano il lamento funebre su di te, tu su­
bito, senza voltarti, concentra l’occhio della tua anima
sulla tua morte e sulle tue azioni, e riuscirai cosi a scac­
ciare un tormento con un altro tormento.
25. I nostri genitori - che in realtà non sono “nostri”9
- ci promettono con l’inganno di far tutto ciò che ci
piace; ma il loro scopo è di ostacolare la nostra bellissima
corsa, per attirarci poi verso la loro meta.
26. Quando lasciamo i nostri luoghi d’origine, ritiria­
moci in luoghi meno confortevoli, meno esposti alla va­
nagloria e più umili; altrimenti stiamo prendendo il volo
insieme alla passione!
668c 27. Evita di far sfoggio della tua nobiltà di nascita e
della tua celebrità, perché non si scopra che sei una per­
sona a parole, e un’altra nei fatti.
28. Nessuno - anche se chiamato ad andare in una terra
barbara e di lingua straniera - è mai riuscito a consegna­
re la propria vita a un tale grado di estraneità come quel
grande al quale furono rivolte le parole: Esci dalla tua terra,
dalla tua gente e dalla casa di tuo padre (Gen 12,1).
29. C’è chi, per essersi fatto straniero a imitazione di
quel grande, è stato glorificato ancora di più dal Signore;
tuttavia, anche se viene da Dio, è bene respingere tale
gloria con lo scudo dell’umiltà.
30. Quando i demoni lodano la nostra estraneità come
una grande virtù, pensiamo allora a colui che si è fatto

9 Cf. Scbol. 15, PG 88,6761$: “I nostri genitori secondo la carne sono


‘nostri’ secondo la parentela carnale, ma non lo sono nella misura in cui non ci
aiutano nel perseguire Io scopo della pietà”.

112
straniero per noi scendendo dal cielo sulla terra, e scopri­ 668 D

remo che non riusciremo mai a ricompensarlo per tutta


l’eternità.
31. L’attaccamento nei confronti di qualcuno dei no­
stri parenti o anche di un estraneo è pericoloso, perché a
poco a poco può trascinarci verso il mondo e spegnere
completamente il fuoco della nostra compunzione.
32. Come è impossibile rivolgere un occhio verso il
cielo e l’altro verso la terra, così è altrettanto impossibile
che non corra pericolo nell’anima chi non si è reso perfet­
tamente straniero, sia con il pensiero che con il corpo, nei
confronti di tutti i propri parenti e di tutti gli estranei.
33. Con molto sforzo e fatica si può acquisire in modo
stabile una buona abitudine; ma ciò che si è raggiunto con
tanta fatica, è possibile perderlo in un solo attimo: le cat­
tive compagnie infatti corrompono i buoni costumi (iCor
1:5,33), sia quelle mondane che quelle disordinate10! 669 A
34. Chi dopo la sua rinuncia al mondo continua a fre­
quentare le persone del mondo o a stare vicino a loro, cer­
tamente cadrà nelle loro reti, oppure contaminerà il suo
cuore pensando a esse; o se non si contamina, condannan­
do coloro che si contaminano, anch’egli si contaminerà.

10 Gioco di parole tra “mondane (kosmikaì)” e “disordinate (àkosmoi)”. Cf.


Schol. 18, PG 88,Ó76D: “Ha chiamato ‘amicizie mondane’ quelle che vengono
dal mondo; e le ha chiamate ‘disordinate’ per il fatto di essere turpi e danno­
se per coloro che fuggono il mondo”.

113
Sui sogni che accompagnano i principianti

669 b 35. Che la mia mente11, fonte della mia conoscenza, sia
del tutto imperfetta e piena di ogni sorta di ignoranza, è
impossibile nasconderlo: come infatti la gola permette di
distinguere i cibi e l’udito i pensieri degli altri, e come il
sole rivela la debolezza degli occhi, così le parole accusa­
no l’ignoranza dell’anima. Tuttavia la legge della carità
(cf. Gal 5,14) ci costringe a fare anche cose superiori alle
nostre forze; perciò credo - ma non oso fare affermazioni
categoriche - che dopo i discorsi sull’estraneità, o meglio
al loro stesso interno, sia ragionevole inserire alcuni brevi
cenni sui sogni, quanto basta per non rimanere all’oscuro
neppure di quest’inganno dei nostri perfidi nemici.
36. Il sogno è un moto della mente nell’immobilità
del corpo.
37. L’immaginazione è illusione degli occhi mentre l’in-
669 c telligenza è al riposo. L’immaginazione è un’uscita della
mente da sé medesima mentre il corpo è sveglio. L’imma­
ginazione è una visione priva di fondamento nella realtà.
38. Il motivo per cui, dopo i precedenti discorsi, ab­
biamo deciso di parlare dei sogni è evidente: da quando
infatti, dopo aver abbandonato case e parenti a motivo
del Signore, abbiamo venduto le nostre stesse persone al­
l’estraneità per amore di Cristo, i demoni cercano di tur­
barci attraverso i sogni, mostrandoci i nostri parenti che
si battono il petto, muoiono, o a causa nostra sono nel­
l’angustia e nella miseria. Ma chi crede a tali sogni è si­
mile a chi rincorre la propria ombra e cerca di afferrarla !
39. I demoni della vanagloria profetizzano nei sogni:
nella loro astuzia congetturano gli eventi futuri e ce li an-

11 I §§ 35*45 sono un’appendice al Discorso III.

114
nunciano prima; quando poi queste visioni si realizzano, 669 d
noi restiamo sbalorditi e montiamo in superbia, quasi cre­
dendo di essere vicini al carisma della profezia.
40. Questo demone diventa spesso profeta per coloro 672 a
che gli credono; ma è sempre un mentitore per coloro che
lo disprezzano. Essendo infatti uno spirito, egli vede
tutto ciò che è nell’aria e, se capisce che qualcuno sta mo­
rendo, lo preannuncia in sogno ai più creduloni.
41. I demoni però non sanno niente per prescienza,
perché in quel caso anche gli stregoni12 sarebbero in grado
di preannunciare la nostra morte.
42. Spesso i demoni si trasformano in angeli di luce
(cf. 2Cor 11,14) o prendono l’aspetto di martiri: in tale
veste ci appaiono mentre dormiamo, e quando poi ci risve­
gliamo ci sprofondano nella superbia e nell’esaltazione.
43. Questo sia per te un segno del loro inganno: i veri
angeli in sogno ci mostrano punizioni, condanne, separa­
zioni13, e, quando ci risvegliamo, ci ritroviamo tutti tre­
manti e tristi.
44. Se cominciamo a credere ai demoni nel sonno, di­
venteremo subito vittime dei loro inganni anche da sve- 672 b
gli. Chi crede ai sogni è una persona che non vale nulla;
chi invece non ci crede affatto, è un vero saggio.
45. Credi soltanto ai sogni che ti annunciano punizio­
ni e condanne, ma se poi ti turba la disperazione allora
anche quelli vengono dai demoni.

Ecco il terzo gradino, che ha lo stesso numero della


Trinità: chi vi è salito, non volga lo sguardo né a destra
né a sinistra (cf. Nm 20,17; Pr 4,27)!

12 Che sono esperti dei demoni.


13 Dei giusti e degli empi.

115
Discorso IV
SULLA BEATA
E SEMPRE MEMORABILE OBBEDIENZA

1. É giunto ormai il momento di rivolgere il nostro di­


scorso ai pugili e agli atleti di Cristo: come il frutto è
sempre preceduto da un fiore, così l’obbedienza è sempre
preceduta dall’estraneità, sia del corpo che della volontà.
Tramite queste due virtù, infatti, come tramite due ali
d’oro, l’anima santa spicca risolutamente il volo verso il
cielo; ed è forse alludendo a essa che qualcuno, divina­
mente ispirato, ha cantato: Chi mi darà ali come di colom­
ba così da prendere il volo mediante l’azione1 e riposarmi
mediante la contemplazione e l’umiltà (cf. Sai 54,~j) 2 }
2. Ma ora, se volete, non trascuriamo neppure di de- 677 D
scrivere l’armatura di questi prodi guerrieri: essi tengono
stretto lo scudo della fede (cf. Ef 6,15) - in Dio e nel loro
allenatore3 - per allontanare attraverso di esso, se così
posso dire, ogni tentazione d’incredulità o di cambiamen­
to di residenza; brandiscono continuamente la spada
dello Spirito (cf. Ef 6,17) per uccidere ogni loro volontà
propria appena si avvicina; rivestiti poi con le corazze

1 In greco: praktiké. Cf. infra, “Glossario”, s.v. “Pratica”.


2 SulPinterpretazione che Climaco dà di questo passo biblico, cf. M. Van
Parys, “L’interpretazione delle Scritture nella ‘Scala”*, pp. 144-147.
3 II padre spirituale.

117
della ferrea pazienza e della mitezza, respingono con esse
ogni offesa, puntura, o frecciata verbale; hanno anche
l’elmo della salvezza (cf. Ef 6,17), ossia la protezione che
il superiore assicura loro attraverso la preghiera; e non
stanno a piedi uniti, perché tendono in avanti l’uno per
il servizio, tenendo fermo l’altro nella preghiera.
680 a 3. Obbedienza è rinnegamento totale della propria
anima4, che si dimostra visibilmente per mezzo del corpo;
o forse il contrario: obbedienza è mortificazione delle
membra in un’intelligenza vivente. Obbedienza è movi­
mento senza riflessione, morte volontaria, vita senza com­
plicazione, rischio senza preoccupazione, difesa davanti a
Dio senza preparazione, serenità nei confronti della
morte, una navigazione senza pericoli, un viaggio che si
fa dormendo.
4. Obbedienza è tomba della volontà e resurrezione
dell’umiltà. Un morto non contraddice e non distingue
tra ciò che è buono o ciò che sembra cattivo: infatti colui
che, per atto di pietà, ha messo a morte la sua anima, ri­
sponderà di lui in tutto5 * *. Obbedienza è rinuncia al discer­
nimento per abbondanza di discernimento!
5. L’inizio della mortificazione, sia delle membra del
corpo che delle volontà dell’anima, è fatica; lo stadio in-
680 b termedio, ora è fatica, ora no; lo stadio finale, invece, è
ormai riposo e insensibilità alla fatica. In tale stadio, que­
sto beato morto vivente prova fatica e dolore solo quan­
do si vede compiere la propria volontà, poiché teme il pe­
sante fardello del proprio giudizio.

4 Cioè di sé, della propria vita.


5 II riferimento è al padre spirituale che è garante del proprio discepolo da­
vanti a Dio (cf. infra, IV,43; DP 57, dove si afferma che anche l’impegno del
padre spirituale è un dono totale della vita in favore del discepolo). Seguendo
il testo di Rader (che legge hautoù invece di autoù), è possibile anche un'altra
interpretazione: “Colui che per scopo di pietà ha messo a morte la propria
anima, sarà giustificato in tutto”.

118
6. Voi tutti che avete iniziato a spogliarvi per entrare
nello stadio del martirio spirituale6; voi che volete pren­
dere sul vostro collo il giogo di Cristo (cf. Mt 11,29); v°i
che vi sforzate di gettare sulle spalle di un altro il vostro
fardello; voi che vi affrettate a firmare volontariamente 680 c
l’atto della vostra vendita e in cambio volete che venga
firmato l’atto della vostra liberazione; voi che, sostenuti
dalle mani di altri, traversate a nuoto questo vasto mare,
sappiate che avete deciso di percorrere un via corta e dif­
ficile, e che in essa incontrerete una sola e unica causa di
sbandamento, che si chiama “idiorritmfa”, ovvero indi-
pendenza di vita7: chi ha rinunciato totalmente a essa, in
tutto ciò che gli sembra buono, spirituale e gradito a Dio,
ha raggiunto la meta ancor prima di essersi messo in cam­
mino ! Obbedienza significa infatti diffidare di se stessi in
ogni opera buona fino alla fine della vita.
7. Apprestandoci a piegare il nostro collo e ad affidarci
ad un altro, nel Signore, allo scopo di raggiungere l’umil­
tà e soprattutto la salvezza, prima ancora di entrare nello
stadio dell’obbedienza, se abbiamo un po’ di furbizia e di
senno, esaminiamo, giudichiamo e, per così dire, mettia- 680 d

mo alla prova il nostro pilota8, perché non ci succeda che,


incappando in un marinaio invece che in un pilota, in un
malato invece che in un medico, in un uomo che è schiavo

6
Cf. infra, § io. La vita monastica è un martirio spirituale e, come il marti­
re, il monaco confessa la sua fede in Cristo affrontando una “lotta”. Il tema,
già anticipato in Clemente di Alessandria {Stromati IV,4,i5) e in Origene
(Esortazione al martirio 11 ; Su Numeri 10,2), è presente fin dagli albori della let­
teratura ascetica: cf., ad esempio, Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 47,1;
Id., Ai monaci, PG 28,1424^; Vite greche di Pacomio I,i; Basilio di Cesarea,
Sui quaranta martiri 2; Giovanni Cassiano, Conferenze VII,20. Sull’argomento
cf. E. E. Malone, s. v. “Martirio”, in Dizionario degli istituti dì perfezione V,
Paoline, Roma 1978, coll. 1038-1040; Atanasio (Jevtic), “Martiri del sangue e
martiri della coscienza”, in Id., L'infinito cammino. Emanazione di Dio e deifi­
cazione dell’uomo, Servitium-Interlogos, Sotto il Monte-Schio 1996, pp. 123-
I41'
7 Su questo termine cf. infra, “Glossario”, s.v. “Indipendenza di vita”.
8 Cioè il nostro padre spirituale. Cf. infra, DP 3.
delle passioni invece che in uno che ne è completamente
distaccato, e venendoci a trovare in mare aperto invece che
in porto, ci procuriamo così un sicuro naufragio. Ma, una
volta entrati nello stadio della pietà e della sottomissione,
non giudichiamo più in nulla il nostro buon arbitro, anche
se ci capiterà di vedere ancora in lui - che è un uomo -
delle piccole mancanze; altrimenti, se lo giudichiamo, non
trarremo alcun vantaggio dalla nostra sottomissione.
8. E assolutamente necessario che coloro che vogliono
conservare sempre una fiducia incrollabile nei confronti
dei loro superiori, mantengano sempre nel proprio cuore,
senza mai cancellarlo, il ricordo delle loro azioni virtuose,
affinché, quando i demoni vengono a seminare la diffiden­
za nei loro confronti, essi li mettano zitti con i ricordi con-
681 a servati nel proprio cuore. Quanto più, infatti, la fiducia

fiorisce nel cuore, tanto più il corpo si affretta a compiere


il servizio. Ma chi inciampa nella diffidenza, è già caduto
nel peccato, poiché tutto ciò che non viene dalla fede è pec­
cato (Rm 14,26)!
9. Se un pensiero ti suggerisce di giudicare o di con­
dannare il tuo igumeno, tu sfuggilo rapidamente come la
fornicazione, per non lasciare a quel serpente alcuna li­
bertà, né spazio, né accesso, né appiglio. Di’ piuttosto al
serpente: “O ingannatore, non sono io che ho ricevuto il
compito di giudicare chi mi comanda, ma lui quello di
giudicare me! Non sono io ad essere stato costituito giu­
dice per lui, ma lui per me!”.
10. I padri hanno definito la salmodia un’arma, la pre­
ghiera un muro, le lacrime pure un lavacro; ma hanno
giudicato la beata obbedienza come una confessione di
fede9: senza di essa nessun uomo soggetto alle passioni
vedrà il Signore (cf. Eb 12,14).

9 Cioè come un martirio. Cf. Apoftegmì, Pambo 3, e supra, IV,6.

120
11. Chi vive nella sottomissione, pronuncia lui stesso 6 8 i b
la sentenza sulla propria persona: se infatti, per amore del
Signore, obbedisce in modo perfetto, anche se non sem­
bra farlo in modo perfetto, è già sfuggito al giudizio; se
invece in qualcosa avrà compiuto la propria volontà pur
dando l’impressione di obbedire, ne porterà lui stesso il
peso. E se il superiore non smette di rimproverarlo, bene;
ma se se ne sta in silenzio, non so proprio cosa dire10.
12. Coloro che si sottomettono con semplicità nel
Signore compiono bene la loro corsa, evitando di susci­
tare contro di sé la malizia dei demoni con il gusto di ca­
villare.
13. Prima di tutto, confessiamo i nostri peccati al no­
stro buon giudice, e soltanto a lui; se però lui ce lo ordi­
na, anche davanti a tutti: le piaghe manifestate in pubbli­
co, infatti, non potranno incancrenire ma guariranno.
14. Trovandomi una volta in un cenobio11, ho assistito 681 c
al tremendo giudizio di un ottimo giudice e pastore12.
Mentre io ero là, infatti, capitò che una persona che
aveva fatto parte di una banda di briganti, volesse entra­
re nella vita monastica. Quell’ottimo medico e pastore gli

10 Cf. Schol. 16, PG 88,733A: “L’autore suggerisce che la responsabilità


della caduta è comune al discepolo che si è sottratto alla sottomissione e al suo
padre spirituale che non lo ha rimproverato, mostrando così, con quest’incer­
tezza, che anche il superiore è colpevole”.
11 Comincia qui la descrizione della vita del cenobio egiziano visitato dal­

l’autore, che proseguirà nel discorso seguente dedicato alla penitenza (cf. infra >
V,5), e verrà ripresa in DP 94. Da IV,26 apprendiamo che questo cenobio do­
veva trovarsi nei pressi di Alessandria, ma non è sicuro che si tratti - come al­
cuni hanno pensato - del monastero di Canopo chiamato “Penitenza”
(.Metànoia), di cui parla Girolamo nella Prefazione alla Regola di Pacomio\ que­
sto dato però sarebbe in linea con la descrizione delle pratiche penitenziali che
si fa in V,5, e con il nome di “Prigione” del monastero dipendente da questo
cenobio.
12 Cioè di un superiore, che, nei confronti dei membri della sua comunità,

aveva le funzioni di giudice e di pastore, oltre a quelle di maestro, medico e


padre spirituale. Cf. DP, passim.

121
ordinò di restare sette giorni in completo riposo, soltan­
to per osservare il tipo di vita che si conduceva in quel
luogo. Dopo il settimo giorno, il pastore lo chiamò in
privato e gli chiese: “Desideri davvero vivere insieme a
noi?”. E poiché lo vide assolutamente convinto, gli chie-
681 d se ancora: “Quali delitti hai commesso nel mondo?”.

Vedendo dunque che confessava tutto prontamente, gli


disse di nuovo per metterlo alla prova: “Voglio che mani­
festi pubblicamente queste cose davanti a tutta la comu­
nità dei fratelli!”. E quello, che ormai odiava veramente
il suo peccato, disprezzando ogni vergogna, promise di
farlo senza esitazioni: “E se vuoi - disse - lo farò anche
in mezzo alla città di Alessandria!”.
Quindi, il pastore raccolse in chiesa tutte le sue peco­
re, che erano in numero di duecentotrenta; e, mentre si
684 a celebrava la divina sinassi (poiché era domenica), al ter­
mine della lettura dell’evangelo, fece entrare quel colpe­
vole - ormai irreprensibile -: trascinato e battuto con
moderazione da alcuni fratelli, aveva le mani legate die­
tro la schiena, era vestito di un cilicio di peli e il suo capo
era cosparso di cenere. A quello spettacolo, tutti rimase­
ro esterrefatti e scoppiarono subito in pianto, perché nes­
suno sapeva ciò che era successo. Poi, quando Tuomo
giunse vicino alle porte della chiesa, quel santo giudice
pieno d’amore per le anime gli disse a gran voce: “Fer­
mati, perché non sei degno di entrare qui!”.
Atterrito dalla voce del pastore che arrivava dal presbi­
terio - egli infatti, come più tardi ci assicurò con giura­
menti, credeva di aver udito non la voce di un uomo ma
684 b un tuono -, quell’uomo cadde subito con la faccia a terra,

tutto tremante e sconvolto dalla paura. Mentre giaceva a


terra e bagnava il pavimento con le sue lacrime, quel me­
raviglioso medico, che cercava in tutti i modi la sua sal­
vezza e voleva offrire a tutti gli altri un bell’esempio di

122
salvezza e di autentica umiltà, gli ordinò di nuovo di dire
a tutti in dettaglio tutto ciò che aveva fatto. E quello,
con orrore e lasciando sbigottiti tutti quelli che lo ascol­
tavano, confessò a uno a uno tutti i suoi peccati: non solo
i peccati carnali, contro natura e secondo natura, com­
messi con gli esseri umani e con le bestie, ma perfino gli
avvelenamenti, gli omicidi e altre cose che non è lecito né
ascoltare né consegnare allo scritto. Quando dunque ebbe
terminato la sua confessione, il superiore ordinò subito di
tonsurarlo e di accoglierlo nel numero dei fratelli.
15. Rimasto ammirato dalla sapienza di quel sant’uo- 684c
mo, in privato, gli chiesi come mai si fosse comportato in
modo cosi strano. E quello, da vero medico qual era, mi
rispose: “Per due motivi: innanzitutto, per liberare il pe­
nitente dalla vergogna futura attraverso la vergogna pro­
vata in questa confessione - ciò che è avvenuto realmen­
te -: infatti, fratello Giovanni, egli non si era ancora alza­
to da terra, che aveva già ottenuto la remissione di tutti i
suoi peccati; e non dubitarne, perché uno dei fratelli pre­
senti mi ha confidato: ‘Ho visto un essere terribile che te­
neva in mano un rotolo scritto e una penna, e via via che
il penitente, stando prostrato a terra, confessava un suo
peccato, quello lo cancellava con la penna’. E ciò è vero­
simile, perché sta scritto: Ho detto: “Confesserò contro di
me al Signore la mia iniquità”, e tu hai perdonato l’empietà 684
d

del mio cuore (Sai 31,5). Il secondo motivo è che, avendo


qui dei fratelli che hanno dei peccati non confessati, vo­
glio in questo modo spingere anche loro alla confessione,
senza la quale nessuno potrà ottenere la remissione dei
peccati”.
16. Presso quel pastore degno di eterna memoria e
presso il suo gregge, ho visto anche molte altre cose
degne di ammirazione e di ricordo, che tenterò di raccon­
tarvi almeno in buona parte. Sono infatti rimasto a lungo

123
presso di loro per osservare il loro modo di vivere, restan­
do assai sorpreso nel vedere come quegli esseri terrestri
685 a imitassero i celesti: erano uniti tra di loro da un vincolo
di carità indissolubile (cf. Col 3,14) e - ciò che è ancora
più straordinario - senza un’eccessiva familiarità e senza
vane chiacchiere. Si esercitavano soprattutto nel non feri­
re in nulla la coscienza del fratello, e se mai qualcuno mo­
strava odio per un altro, il pastore lo mandava in esilio in
un monastero separato13, come un condannato. E una
volta che un fratello aveva parlato male del suo prossimo
davanti a lui, quel santo uomo ordinò subito che fosse
cacciato via, dicendo che non era ammissibile che in un
monastero ci fossero un diavolo visibile e uno invisibile.
Presso quei santi monaci ho visto cose veramente edi­
ficanti e degne di ammirazione! Ho visto una comunità
di fratelli raccolta e unita nel Signore, che si dedicava in
modo meraviglioso sia all’azione che alla contemplazione.
Essi infatti si consumavano e si esercitavano a tal punto
685 b nelle opere divine, da non aver quasi più bisogno del ri­
chiamo del superiore, anzi si incitavano spontaneamente
l’un l’altro alla divina vigilanza. Avevano infatti definito,
concertato e stabilito tra di loro alcune sante e divine pra­
tiche: se qualcuno di loro, in assenza del superiore, ini­
ziava a parlar male di un altro o a condannarlo, o anche
soltanto a far discorsi oziosi, un altro fratello lo richiama­
va di nascosto con un cenno impercettibile e lo faceva
smettere; se per caso poi quello non se ne fosse accorto,
il fratello che lo aveva richiamato faceva una metanìa14

13 Si tratta del monastero chiamato “Prigione” di cui si parla in IV,33 e V,^.


14 Termine tecnico (da metànoìa, “penitenza, pentimento”) con cui nella tra­
dizione bizantina si può indicare una semplice inclinazione del corpo o una
completa prostrazione con la fronte a terra. Sul tema cf. G. Bunge, Vasi di ar­
gilla. La prassi della preghiera personale secondo la tradizione dei padri, Qiqajon,
Bose 1996, pp. 185-191.

124
davanti a lui e si ritirava. Se dovevano parlare, l’argo­
mento fisso e permanente delle loro conversazioni era il
ricordo della morte e il pensiero dell’eterno giudizio.
17. Non voglio tacervi, poi, il comportamento straor- 685c
dinario del loro cuoco. Vedendo infatti che durante il suo
servizio conservava un costante raccoglimento e versava
lacrime, lo supplicai di rivelarmi come avesse fatto a me­
ritare una tale grazia. Ed egli, messo da me alle strette,
rispose: “Non ho mai pensato di servire gli uomini, ma
Dio; e poiché mi giudico completamente indegno dell’e-
sichia, sfrutto la vista di questo fuoco materiale per cu­
stodire costantemente il ricordo delle fiamme future”.
18. Ascoltiamo anche un’altra loro pratica straordina­
ria: non cessavano l’attività spirituale neppure a tavola,
ma con dei particolari gesti e cenni impercettibili quei
beati si richiamavano gli uni gli altri alla preghiera inte­
riore. E non lo facevano solo a tavola, ma anche tutte le
volte che si incontravano o si riunivano tra loro. E se poi 685d

qualcuno di loro aveva commesso una qualche mancanza,


i fratelli lo supplicavano insistentemente di lasciar loro
l’incombenza di renderne conto al pastore e di ricevere
da lui il castigo. Perciò quel grand’uomo, una volta venu­
to a conoscenza del comportamento dei suoi discepoli,
imponeva loro punizioni più leggere, perché sapeva che
quello che veniva punito era innocente; e non cercava
neanche di sapere chi veramente avesse commesso la
mancanza.
Dov’era mai tra di loro la minima traccia di parola vana 688
a

o scherzosa ? Se succedeva che qualcuno di loro comincias­


se a litigare con il suo vicino, si faceva avanti un altro e,
dopo aver fatto una metanìa, placava la loro ira; e se si ac­
corgeva che quelli conservavano rancore, andava subito a
riferirlo al vice-superiore e così faceva in modo che essi si
riconciliassero prima del tramonto del sole (cf. Ef 4,26);

125
ma se quelli s’intestardivano senza cedere, venivano puni­
ti con il divieto di prendere cibo fino a che non si fossero
riconciliati, oppure venivano cacciati dal monastero.
Questo lodevole rigore che si praticava tra di loro non
era certo inutile, anzi produceva frutti abbondanti e visi­
bili: molti tra quei santi uomini infatti si dimostrarono ec­
cellenti sia nella pratica delle virtù che nella contemplazio-
688 ne, sia nel discernimento che nell’umiltà. E tra di loro si
b

poteva vedere uno spettacolo impressionante e degno degli


angeli: molti uomini venerandi e d’aspetto ieratico che,
come bambini, correvano di qua e di là per obbedire, con­
siderando la propria umiliazione come il vanto più grande.
19. Là ho visto uomini che avevano vissuto in obbedien­
za per quasi cinquantanni, e quando li supplicavo di rive­
larmi quale conforto avessero ricavato da tutta quella fati­
ca, alcuni rispondevano di aver raggiunto ormai l’abisso del­
l’umiltà, grazie alla quale potevano respingere ogni assalto
dei demoni; altri dicevano di essere giunti ad una perfetta
insensibilità e imperturbabilità negli insulti e nelle offese.
Ho visto altri, poi, tra quegli uomini degni di eterna
memoria, che, ormai canuti e dall’aspetto angelico, grazie
alla loro buona volontà e all’aiuto di Dio, avevano rag­
giunto una profondissima innocenza e una semplicità sa-
688 c piente, non stupida e sciocca come quella degli anziani
che vivono nel mondo, che si è soliti chiamare rimbambi­
ti! Anzi, nel loro aspetto esteriore, erano assolutamente
miti, affabili, sereni, senza niente di finto, di studiato o
di falso nelle loro parole o nei loro comportamenti, cosa
che non si riscontra in molte persone; e nell’intimo della
loro anima restavano tesi verso Dio15 e verso il superiore,
come fanciulli innocenti, mantenendo allo stesso tempo

15 Lett.: “Respiravano (anapnéontes) Dio”; cf. infra, XXVII/2,26.


l’occhio della loro mente risolutamente fisso sui demoni
e sulle passioni.
20. Non mi basterebbe il tempo della mia vita, o vene- 688d

rabile padre e comunità amata da Dio16, se volessi descri­


vere la virtù e la vita celeste di quei beati. E meglio, co­
munque, che io abbellisca un po’ il discorso che vi rivol­
go e risvegli in voi lo zelo caro a Dio con i sudori delle
loro fatiche, piuttosto che con le mie povere esortazioni,
poiché senza alcun dubbio è l’inferiore che è abbellito dal
superiore (cf. Eb 7,7). Vi chiedo però di non sospettare
che io scriva qualcosa di inventato, perché, come sempre,
la diffidenza guasta ogni frutto.
21. Torniamo ai nostri discorsi. Un uomo di nome 689
a

Isidoro, che aveva ricoperto la dignità di arconte nella città


di Alessandria, aveva da pochi anni rinunciato al mondo
nel cenobio di cui ho parlato, ed è là che anch’io lo incon­
trai. Dopo averlo accolto, quel santissimo pastore, aven­
dolo visto furbo, assai duro, crudele e arrogante, s’inge­
gnò, nella sua grande sapienza, di vincere in lui la malizia
dei demoni con l’astuzia umana. Disse perciò a Isidoro:
“Se veramente hai deciso di prendere su di te il giogo di
Cristo (cf. Mt 11,29), voglio prima di tutto che eserciti
l’obbedienza”. Ed egli rispose: “Come il ferro nelle mani
del fabbro, così io mi consegno [nelle tue mani] per obbe­
dirti, o santissimo padre!”. Soddisfatto del paragone, quel
grande uomo provò subito a temprare il ferreo Isidoro e
disse: “In realtà, fratello, voglio che tu stia davanti al
portone del monastero e faccia una genuflessione davan- 689 b
ti a ogni persona che entra e che esce, dicendo: ‘Prega per
me, padre, perché sono un epilettico!”’. Quello gli obbe­
dì, come un angelo al Signore.

16 Giovanni di Raito e la sua comunità.

127
Avendo egli trascorso cosi sette anni, raggiungendo un
profondissimo grado di umiltà e di compunzione, l’illu­
stre padre, giudicandolo ormai più che degno, dopo quei
sette anni conformi alla legge (cf. Dt 15,1), in cui aveva
dimostrato un’incomparabile pazienza, volle accoglierlo
nel numero dei fratelli e onorarlo dell’ordinazione presbi­
terale. Ma egli, tramite altri fratelli e anche tramite la
mia misera persona, si mise a rivolgere insistenti suppli­
che al pastore perché gli concedesse di continuare a vive­
re nello stesso modo e di terminare là la sua corsa, sugge­
rendo con queste parole, in modo enigmatico e oscuro, di
essere ormai giunto alla fine e che il momento della sua
chiamata si avvicinava, come infatti avvenne. Avendo in­
fatti ottenuto dal maestro di rimanere al suo posto, dopo
689 c dieci giorni, da quella sua umile condizione emigrò glo­
riosamente verso il Signore; e sette giorni dopo la sua
morte trascinò con sé anche il portinaio del monastero, al
quale questo beato aveva detto: “Se mai troverò favore
presso Dio, presto sarai anche tu là con me, e non ci se­
pareremo mai più! ”, come infatti avvenne, a suprema te­
stimonianza della sua obbedienza piena di fiducia e della
sua umiltà, che imitava quella del Signore (cf. Mt 11,29).
22. Quando quel grande Isidoro era ancora in vita, gli
chiesi quale fosse l’occupazione della sua mente mentre
se ne stava davanti al portone, e quell bilustre desideran­
do recarmi giovamento non me lo nascose: “Agli inizi -
disse - facevo conto di essere stato venduto come schia­
vo per i miei peccati, e in questo modo, pur con gran­
dissimo fastidio, facendomi violenza e quasi versando il
689d sangue, riuscivo a fare le metanìe. Dopo un anno, non
provavo già più alcuna tristezza nel cuore, perché atten­
devo da Dio la ricompensa per la mia pazienza. Passato
poi ancora un altro anno, cominciai a stimarmi indegno,
con un intimo sentimento del cuore, addirittura di vive-

128
re in monastero, di vedere e di incontrare i padri, di
partecipare ai divini misteri, e di guardare in faccia
chiunque: tenendo quindi gli occhi bassi e ancor più
basso il pensiero, supplicavo chi entrava e chi usciva di
pregare per me”.
23. Un giorno, mentre eravamo seduti a tavola, quel 692 a

grande superiore chinandosi su di me avvicinò la sua


santa bocca al mio orecchio, e mi disse: “Vuoi che ti
mostri una sapienza divina in una canizie molto avanza­
ta?”. Poiché lo pregai di sì, quel giusto chiamò dalla se­
conda tavola un tale di nome Lorenzo, che viveva in
monastero da circa quarantotto anni ed era il secondo
presbitero della chiesa. Costui venne e fatta una genu­
flessione davanti all’igumeno ricevette la sua benedizio­
ne; ma quando si alzò, l’igumeno non gli disse niente e
lo lasciò in piedi davanti alla tavola, senza mangiare.
Eravamo appena all’inizio del pasto, e così egli se ne
restò in piedi per un’ora buona o anche due, al punto
che io mi vergognavo perfino di fissare in volto quel
monaco zelante, che aveva tutti i capelli bianchi e già
ottant’anni di età! Rimase dunque là senza ricevere ri- 692 B

sposta fino al termine del pasto, e, quando ci alzammo


da tavola, il santo superiore lo mandò da quel grande
Isidoro di cui ho già parlato, a recitargli l’inizio del
salmo trentanove17.
Io, nella mia estrema malignità, non persi l’occasione
di mettere alla prova quel vecchio; avendogli dunque do­
mandato a cosa pensasse mentre se ne stava in piedi da­
vanti alla tavola, mi rispose: “Poiché sul volto del mio pa­
store vedo l’immagine di Cristo, non ho mai creduto di
ricevere un comando da lui, ma da Dio. Perciò, padre

17 Cf. Sai 39,1: “Con pazienza ho atteso il Signore, ed egli mi ha prestato


attenzione e ha ascoltato la mia supplica”.

129
Giovanni, io stavo là in piedi pregando Dio, non come
davanti a una tavola di uomini, ma proprio come davan­
ti all’altare di Dio; e per la fiducia e l’amore che nutro
verso il mio pastore non ho concepito alcun pensiero cat-
692 c tivo contro di lui, poiché sta scritto: L’amore non pensa il
male (iCor 13,5). Ma tu, padre, sappi anche questo: chi
ha volontariamente consegnato se stesso alla semplicità e
all’innocenza, non lascia più né spazio né tempo al mali­
gno per attaccarlo”.
24. Se così era veramente quel giusto18, per grazia di
Dio salvatore e pastore delle sue pecore spirituali, così era
anche l’economo del monastero che Dio gli aveva manda­
to: assennato come nessun altro, e mite come pochi. Una
volta, per l’edificazione degli altri fratelli, il grande anzia­
no inveì contro di lui senza motivo mentre erano in chie­
sa, ordinando che fosse cacciato fuori senza alcuna giusti­
ficazione. Io, sapendo che egli era innocente di ciò per cui
il pastore lo accusava, quando fummo soli, cominciai a
prendere le difese dell’economo davanti al superiore. E
692 d quel sapiente mi disse: “Lo so anch’io, padre, ma come è
deplorevole e ingiusto strappare il pane di bocca a un
bambino affamato, così chi è stato posto alla guida delle
anime si comporterebbe in modo altrettanto ingiusto,
verso se stesso e verso i propri operai, se in ogni momen­
to non cercasse di procurar loro delle corone19, nella mi­
sura in cui sa che essi sono in grado di sopportarle, attra­
verso insulti, umiliazioni, segni di disprezzo e scherni.
693 a Commetterebbe infatti tre grandissime ingiustizie: in
primo luogo, perché priverebbe se stesso della ricompen­
sa che si ottiene con la correzione degli altri; in secondo
luogo perché, potendo recar giovamento agli altri fratelli

18 Cioè il superiore del monastero.


19 Cioè delle occasioni per ottenere delle vittorie sulle passioni.

130
tramite la virtù di uno, trascurerebbe di farlo; in terzo
luogo - e si tratta del motivo più grave - perché molto
spesso anche quelli che sembrano più resistenti alla fatica,
se per un po’ di tempo vengono trascurati e non sono più
né ripresi né rimproverati dal superiore - con la scusa che
ormai possiedono la virtù -, finiscono per perdere tutta la
loro mitezza e loro pazienza. Infatti, per quanto un terre­
no possa essere buono, fertile e pingue, la mancanza di
acqua - cioè dell’umiliazione -, generalmente lo inselvati­
chisce e fa germogliare in esso le spine della vanità, della
malizia e della mancanza di timor di Dio. Sapendo ciò,
quel grande Apostolo scriveva a Timoteo: Insisti, grida, 693
rimprovera, a tempo e fuori tempo UTm 4,2)!”.
Poiché io continuavo a far obiezioni a quell'autentica
guida, adducendo come pretesti la debolezza della nostra
generazione e l’eventualità che molti, se rimproverati
senza ragione, o anche non senza ragione, avrebbero po­
tuto separarsi dal gregge, quella dimora della sapienza mi
disse di nuovo: “Un’anima che, a motivo di Cristo, si è
legata al proprio pastore nell’amore e nella fiducia, non
può separarsi da lui, neanche se deve versare il sangue,
specialmente se egli l’ha guarita da qualche piaga, poiché
si ricorda di colui che dice: Né angeli, né principati, né po­
tenze, né alcun altra creatura potrà separarci dall’amore di
Cristo (Rm 8,38). Ma mi meraviglierei alquanto se un’ani­
ma che non si fosse congiunta, legata e unita al proprio
pastore in questo modo, riuscisse a rimanere in questo
luogo con buone motivazioni, dal momento che il vincolo
della sua sottomissione sarebbe soltanto fittizio”. E dav- 693
vero quel grand’uomo non s’ingannò, ma anzi guidò, rese
perfette e offrì a Cristo delle pecore senza macchia.
25. Ascoltiamo la sapienza di Dio che scopriamo in vasi
di creta (cf. 2Cor 4,7), e restiamone ammirati! Mentre ero
in quel monastero, io ammiravo la fiducia e la pazienza
dei principianti20 e l’indomita resistenza con la quale sop­
portavano di essere puniti, insultati e talvolta scacciati,
non solo dal superiore, ma anche da monaci di grado ben
inferiore. Per mia edificazione, interrogai allora uno dei
693 d fratelli, di nome Abbaciro, che viveva in monastero da

quindici anni: vedevo infatti che egli era trattato assai


male quasi da tutti, e a volte perfino scacciato dal refet­
torio dai servitori, solo perché, per sua natura, era un po’
intemperante nel parlare.
Gli dissi allora: “Fratello Abbaciro, perché ogni giorno
ti vedo scacciato dal refettorio, e spesso andare a dormire
senza cena?”. Ed egli mi rispose: “Credimi, padre, i miei
fratelli mi mettono alla prova per vedere se mi comporto
da monaco, ma non fanno sul serio. E io, conoscendo lo
scopo del superiore e il loro, sopporto tutto senza fatica:
696 a ecco, sono quindici anni che vivo con questo pensiero; e

del resto, quando sono entrato, essi stessi mi hanno detto


che mettono alla prova chi rinuncia al mondo per ben
trent’anni. Ed è giusto cosi, padre Giovanni, perché
senza prova, l’oro non può giungere alla perfezione!”.
Questo nobile Abbaciro, dunque, perseverò per ancora
due anni dopo il mio arrivo in quel monastero e poi passò
al Signore. Poco prima di morire, disse ai padri: “Rendo
grazie, rendo grazie al Signore e a voi, perché grazie alle
prove che voi mi avete inflitto per la mia salvezza, sono
rimasto ben diciassette anni senza tentazioni dei demo­
ni!”. E quel pastore, da giusto giudice qual era, ordinò
che egli - come ben meritava - fosse seppellito come un
confessore della fede21, accanto ai santi che riposavano
nelle tombe del monastero.

20 Cioè dei giovani monaci.


21 Cf. supray IV,io.

132
26. Sarei davvero ingiusto verso quanti vogliono imita- 696 b

re gli uomini virtuosi, se seppellissi nella tomba del silen­


zio la virtù e il combattimento di Macedonio, il primo dei
diaconi di quel monastero! Quest’uomo caro al Signore,
dunque, una volta che la festa della santa Teofania22 si
stava avvicinando, due giorni prima, pregò il pastore di la­
sciarlo andare ad Alessandria per una sua personale neces­
sità, promettendo però di tornare il prima possibile, per
l’ufficio e la preparazione della festa. Ma il diavolo, che
è nemico del bene, procurando ostacoli all’arcidiacono,
fece in modo che, una volta congedato dall’igumeno, egli
non ritornasse in monastero per la santa festa, secondo il
termine che gli era stato fissato dal superiore. Quando
dunque ritornò, un giorno in ritardo, il pastore lo depo­
se dal suo ministero diaconale degradandolo al rango
degli ultimi novizi, ma quel bravo diacono, cioè servo, 696 c
della pazienza e arcidiacono della fortezza accettò l’ordi­
ne e la decisione del padre senza turbamento, proprio
come se fosse stato punito un altro al posto suo. Dopo
che quello ebbe passato quaranta giorni in tale condizio­
ne, il sapiente pastore lo reintegrò nel suo grado, ma
dopo un giorno l’arcidiacono lo supplicò insistentemente
di rimetterlo in quella punizione e in quella condizione
disonorevole. Diceva infatti: “In città sono caduto in un
peccato imperdonabile ! ”.
Il santo, pur sapendo bene che non diceva la verità ma
ricercava quella condizione solo per umiltà, cedette al
buon desiderio di quell’operaio [di virtù]. E così si poteva
vedere un venerando anziano con i capelli bianchi passa­
re i suoi giorni nel rango dei novizi e supplicare sincera­
mente ogni fratello di pregare per lui, “Perché - diceva -

22 Cioè la festa dell'Epifania del Signore, celebrata il 6 gennaio.

133
696 d sono caduto nella fornicazione della disobbedienza ! ”. Ma
a me, persona indegna, questo grande Macedonio confi­
dò il motivo per cui aveva ricercato volontariamente
quell’umile condizione: “Perché - disse - non ho mai
provato in me stesso, come ora, un tale sollievo da ogni
lotta, e una tale dolcezza di luce divina!”.
27. E proprio degli angeli non cadere; forse perché, come
affermano alcuni, non ne hanno neppure la possibilità23. E
proprio invece degli uomini cadere e rialzarsi di nuovo,
ogni volta che succede loro di cadere24. Ma è proprio sol­
tanto dei demoni, una volta caduti, non rialzarsi mai più.
697 a L’economo del monastero mi fece questa confidenza:
“Quando ero giovane - disse - ed ero incaricato della cura
del bestiame, mi successe di cadere in un peccato gravis­
simo per l’anima; avendo però l’abitudine di non nascon­
dere mai un serpente nella tana del mio cuore, lo afferrai
per la coda (cf. Es 4,4) e lo manifestai al medico25. Egli
con volto sorridente, colpendomi leggermente la guancia,
mi disse: ‘Va’, figlio mio, continua il tuo servizio come
prima, senza più temere niente’. Ed io, confidando in lui
con ardente fiducia, in pochi giorni acquistai l’intima cer­
tezza26 della mia guarigione. Continuai così a correre per
la mia strada pieno di gioia e insieme di timore”.
697 b 28. Ogni ordine di esseri creati, come affermano alcu­
ni, possiede al suo interno molte diversità: poiché quindi
anche all’interno di una comunità di fratelli esistono dif­
ferenze di progresso e di disposizioni spirituali, quell’au­
tentico medico27, se notava che alcuni fratelli amavano

23 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 38,9.


24 Cf. Apoftegmì, Sisoes 38.
25 Cioè al superiore e padre spirituale.
26 In greco: plerophorta. Su questo termine cf. infra, “Glossario”, s.v.

“Certezza”.
27 II superiore del monastero.

134
mettersi in mostra davanti alle persone del mondo che ve­
nivano in visita al monastero, in loro presenza li copriva
dei più pesanti insulti e li caricava dei servizi più umilian­
ti, col risultato che, quando c’era qualche visita di perso­
ne del mondo, essi si ritiravano di corsa; ed era uno spet­
tacolo veramente straordinario vedere la vanagloria scac­
ciare se stessa e fuggire gli uomini!
29. Il Signore, non volendo privarmi delle preghiere di
un santo padre, una settimana prima della mia partenza
chiamò a sé colui che occupava il secondo posto nel mo­
nastero dopo il pastore, un uomo straordinario, di nome 697 c
Mena, che aveva vissuto in monastero per ben cinquanta-
nove anni e svolto ogni tipo di servizio. Tre giorni dopo
la sua morte, dunque, mentre noi celebravamo il consueto
ufficio funebre per questo santo, improvvisamente il luogo
in cui egli giaceva si riempì tutto di profumo. Il superiore,
allora, ci fece scoperchiare la bara in cui era stato deposto,
e così vedemmo tutti che dai suoi piedi venerabili, come
da due sorgenti, scaturiva dell’unguento profumato. Il
maestro, allora, disse a tutti: “Vedete? Ecco i sudori dei
suoi piedi e delle sue fatiche! Come unguento odoroso
sono stati offerti a Dio, e lui li ha veramente graditi!”.
Di questo santissimo Mena i padri del monastero mi
hanno raccontato anche molte altre opere straordinarie,
tra cui questa: “Un giorno - dicevano - il superiore volle 697 d

mettere alla prova la straordinaria pazienza che Dio gli


aveva donato: così, quando a sera quello salì alla cella del-
l’igumeno e fece una metanìa davanti a lui, per chiedere,
secondo l’uso, la benedizione di congedo, egli lo lasciò
prostrato a terra fino all’ora dell’ufficio28; poi, dopo aver­
gli dato la benedizione e avergli rinfacciato il suo esibizio-

28 Si tratta probabilmente dell'ufficio dell'alba {órthros).

135
nismo e la sua mancanza di pazienza, lo fece rialzare. Il
santo, infatti, sapeva che Mena avrebbe sopportato valo­
rosamente, ed è per questo che inscenò questo spettacolo,
per l’edificazione di tutti. Il discepolo di questo santo
7 oo a Mena ci confermò i fatti riguardanti il suo maestro, dicen­
do: ‘Poiché lo importunavo per cercare di sapere se per
caso, mentre era in ginocchio di fronte alTigumeno, fosse
stato colto dal sonno, egli mi assicurò che, mentre era pro­
strato a terra, aveva recitato l’intero salterio!”’.
30. Non voglio trascurare di abbellire la corona del mio
discorso anche con quest’altro smeraldo. Un giorno inco­
minciai un discorso sull’esichia29 con alcuni di questi vali­
dissimi anziani, ed essi con volto sorridente e tono giovia­
le mi dissero: “Noi, padre Giovanni, essendo persone ma-
700 b teriali, conduciamo una vita molto materiale, convinti

come siamo di dover affrontare una lotta proporzionata


alla nostra debolezza e ritenendo preferibile lottare con
gli uomini, che a volte sono violenti e a volte si pentono,
piuttosto che con i demoni, che continuamente infierisco­
no e si armano contro di noi!”.
31. Un altro di quegli anziani degni d’eterna memoria,
che aveva nei miei confronti molto affetto nel Signore e
grande confidenza, mi disse ancora benevolmente:
“Se veramente senti di possedere nella tua anima, o
uomo pieno di saggezza, la forza di colui che disse: Tutto
posso in colui che mi dà la forza (Fil 4,13), cioè in Cristo;
se lo Spirito santo, come rugiada di purezza, è disceso su
di te come sulla Vergine; se la potenza dell’Altissimo ha
steso su di te l’ombra della pazienza (cf. Le 1,45), allora
tu, come l’uomo - cioè come il Cristo Dio -, cingiti i fian­
chi (cf. Gb 40,7) con il grembiule dell’obbedienza e, dopo

29 Per questo termine cf. infra> “Glossario”.

136
esserti alzato dalla mensa dell’esichia, comincia ad asciu­
gare i piedi dei fratelli con spirito contrito (c£. Gv 13,4- 700 C
5; Sai 50,19), o meglio rotolati ai piedi della comunità con
animo abbattuto30. Metti sulla porta del tuo cuore dei por­
tinai severi e svegli; tieni raccolta la mente in un corpo
dissipato e indaffarato; esercita l’esichia della mente in
delle membra inquiete e agitate; e ciò che è ancor più
paradossale, acquista un’anima tranquilla in mezzo ai tu­
multi! Tieni stretta la lingua che smania di lanciarsi nelle
dispute: lotta contro questa tiranna settanta volte sette al
giorno! Fissa la tua mente nell’anima come sul legno della
croce, affinché, battuta da ripetuti colpi di martello come
un’incudine, derisa, insultata, sbeffeggiata e maltrattata,
non ceda, né si spezzi, ma rimanga assolutamente calma e
immobile. Spogliati della tua volontà come di un vestito
disonorevole e, senza di essa, entra nudo nell’arena della 700 D
lotta, e poi - ciò che è raro e difficile da trovare - rivèstiti
della corazza della fiducia (cf. iTs 5,8) nei confronti del
tuo allenatore31, senza lasciarti né fiaccare né ferire dalla
diffidenza. Contieni con il freno della temperanza l’ardore
sfrontato del tatto. Tieni a briglia, con la meditazione della
morte, i tuoi occhi continuamente desiderosi di andarsene
in giro a cercare grandezze e bellezze corporee. Fa’ tacere
la tua mente indiscreta occupandola col pensiero di se stes­
sa, lei che nonostante la propria negligenza pretende di
condannare il fratello; e dimostra a fatti e senza finzioni al 701 A
tuo prossimo tutto l’amore e la compassione possibili.
“Da questo tutti sapranno, carissimo padre, che siamo
veramente discepoli di Cristo, se nella nostra vita comu­
ne ci amiamo gli uni gli altri (cf. Gv 13,35)! Vieni, su

30 Cf. Apoftegmì, Matoes 13: “Chi vive con dei fratelli non deve essere un
cubo, ma una sfera, per poter rotolare incontro a tutti”.
31 Cioè il padre spirituale.

137
vieni - mi ripeteva il mio ottimo amico - vieni a stabilir­
ti con noi ! Bevi in ogni momento le derisioni come acqua
viva (cf. Gv 4,io)! David infatti, dopo aver ricercato
tutto ciò che di piacevole esisteva sotto il cielo, alla fine,
smarrito, si chiedeva: Ecco, cosa c'è mai di bello o di pia­
cevole? Nulla, se non che i fratelli abitino insieme (Sai
132,1). Ma se non ci è stato ancora concesso il dono di
una tale pazienza e obbedienza, allora la cosa migliore per
noi - se almeno siamo arrivati a riconoscere la nostra de­
bolezza - è starcene da soli, lontani da questo stadio riser­
vato agli atleti, proclamando beati coloro che vi lottano e
invocando per loro la pazienza32”.
701 b Fui vinto dalle buone parole di quel padre e maestro

eccellente, che aveva combattuto contro di me con le


armi delTevangelo e dei profeti33, o piuttosto dell’amici­
zia! Per questo, senza esitazione, accettai di dare il pri­
mato alla beata obbedienza.
32. Ricorderò ancora un’altra virtù di quei beati, dalla
quale si può trarre grande giovamento, e poi, come uscen­
do da un paradiso, tornerò a presentarvi i miei discorsi
spinosi, che non hanno né bellezza né utilità.
Il pastore, dunque, notò che spesso quando eravamo in
preghiera alcuni conversavano tra di loro: per questo ordi­
nò loro di stare davanti alla chiesa per una settimana e di
fare una metanìa davanti a tutti quelli che entravano e usci-
701 c vano, e ciò benché essi fossero chierici, ovvero presbiteri.

52 In questo passo la vita solitaria, ben lungi dall’essere presentata come una
vita di perfezione, secondo la visione tradizionale, è un rifugio per chi è debo­
le e sente il peso della vita a contatto con gli altri. E una visione che ritrovia­
mo in alcuni detti dei padri del deserto: cf. Apoftegmì, Matoes 13: “Non per
virtù vivo in solitudine, ma per debolezza; sono forti infatti quelli che vanno in
mezzo agli uomini”; Apoftegmì Nau 573: “Un anziano disse: ‘Se vivi in solitu­
dine nel deserto, non pensare di fare qualcosa di grande; piuttosto considerati
come un cane scacciato dal villaggio e incatenato, perché mordeva e assaliva gli
uomini’” (cf. anche ibid. 62).
33 Cioè servendosi delle citazioni della Scrittura.

138
Vedendo, poi, che uno dei fratelli seguiva la salmodia
con intima partecipazione del cuore34, più degli altri, e
che soprattutto all’inizio degli inni, con le espressioni e
l’atteggiamento del volto, sembrava quasi parlare con
qualcuno, interrogai quel beato per conoscere il significa­
to del suo comportamento. Ed egli, non avendo l’abitu­
dine di nascondere ciò che poteva essere utile ad altri, mi
disse: “All’inizio degli uffici, padre Giovanni, io ho l’a­
bitudine di raccogliere i miei pensieri, la mia mente e la
mia anima, e nel convocarli dico loro: Venite, inchiniamo­
ci e prosterniamoci davanti al Cristo nostro re e nostro Dio
(cf. Sai 94,6)35!
Guardai con attenzione la persona che era incaricata
del servizio in refettorio e notai che aveva un’abitudine
particolare. Vedendo che teneva appesa alla cintura una
piccola tavoletta, scoprii che vi annottava ogni giorno i 701 d
propri pensieri, per poi rivelarli tutti al pastore. E vidi
che non solo lui ma anche moltissimi altri del monastero
si comportavano in quel modo: anche questo, come poi
appresi, era un comando di quel grand’uomo !
33. Una volta il superiore scacciò via uno dei fratelli
perché aveva calunniato un altro fratello davanti a lui
come sciocco e chiacchierone; e quello rimase per sette 704 a

giorni davanti al portone del monastero supplicando di


poter entrare e ottenere il perdono. Quando lo venne a sa­
pere quell’autentico amante delle anime, informatosi, e
avendo appreso che quel monaco non aveva mangiato as­
solutamente niente per sei giorni, gli mandò a dire: “Se
proprio vuoi abitare in monastero, ti metterò nell’ordine

34 Lett.: “Con il senso del cuore {aisthései kardias)ìy\ per quest'espressione

cf. infraf “Glossario”, s.v. “Senso/sentimento spirituale, o del cuore”.


35 Queste parole corrispondono alla formula di introduzione dei principali

uffici liturgici bizantini.

139
dei penitenti!”. Poiché il penitente accettò la proposta
pieno di gioia, il pastore ordinò che fosse condotto al mo­
nastero separato, riservato a coloro che piangevano i loro
peccati. E così avvenne. Ma poiché ho menzionato questo
monastero, parliamone brevemente.
A un miglio di distanza dal monastero principale c’era
un luogo chiamato “Prigione”, privo di qualsiasi genere di
conforto: non vi si sarebbe potuto trovare né traccia di
fumo36, né vino, né olio per i cibi, e nient’altro all’infuo-
704 b ri di pane e di alcuni ortaggi minuti. In questo luogo il su­
periore rinchiudeva, senza permesso di uscita, quelli che
dopo la loro entrata in monastero erano caduti in grave
peccato: non tutti insieme, ma ciascuno separatamente, o
al massimo in due; e ciò finché il Signore non l’avesse ras­
sicurato sul conto di ciascuno. Aveva anche preposto ad
essi, come proprio vicario, un uomo eccellente di nome
Isacco, il quale esigeva da quanti gli erano stati affidati
una preghiera quasi ininterrotta, ma metteva anche a loro
disposizione molte foglie di palma per prevenire l’acedia37.
704 c Questa è la vita, la condizione e la condotta di coloro che
veramente cercano il volto del Dio di Giacobbe (Sai 23,6)38.
34. E bello ammirare le fatiche dei santi, ed emularle
procura la salvezza; pretendere però di imitare in ogni
cosa il loro stile di vita è irragionevole e impossibile.
35. Quando ci sentiamo mordere dai rimproveri, ricor­
diamoci dei nostri peccati, fino a che il Signore, veden­
do la violenza che noi, violenti per amor suo, facciamo a
noi stessi (cf. Mt 11,12), non li abbia cancellati, trasfor-

36 Cioè del fuoco per cuocere gli alimenti.


37 Per il significato di questo termine cf. infra, XIII, passim, e “Glossario”,
s.v. “Acedia”. Le foglie di palma servivano a fabbricare i canestri, e il lavoro
manuale, secondo i padri, era uno dei modi migliori per difendersi dall* acedia
(cf. Apoftegmi, Antonio i).
38 La descrizione del monastero dei penitenti verrà ripresa in V,^.

140
mando in gioia il dolore che ci rimorde nel cuore. Sta
scritto infatti: In proporzione alla moltitudine dei dolori
del mio cuore, le tue consolazioni hanno rallegrato la mia
anima (Sai 93,19) al momento opportuno.
36. Non dimentichiamoci di colui che dice al Signore:
Quante afflizioni e quanti mali mi hai fatto vedere! Ma mi 704 D
hai fatto ritornare ridonandomi la vita e, dopo la caduta, mi
hai fatto di nuovo risalire dagli abissi della terra (Sai 70,20)!
37. Beato colui che, insultato e disprezzato ogni giorno
a causa del Signore (cf. Mt 5,11), fa violenza a se stesso,
perché si unirà al coro dei martiri e converserà familiar­
mente con gli angeli! Beato il monaco che, in ogni mo­
mento, si ritiene degno di ogni genere di umiliazione e di­
sprezzo! Beato colui che ha mortificato la propria volon­
tà fino alla fine e che ha affidato la cura della propria per­
sona al suo maestro nel Signore: sarà infatti collocato alla
destra del Crocifisso!
38. Chiunque rifiuta il rimprovero, giusto o ingiusto
che sia, rinuncia alla propria salvezza. Chi invece lo accet­ 705 A
ta con fatica, o anche senza fatica, otterrà presto la remis­
sione dei propri peccati.
39. Manifesta a Dio nel tuo intimo la fiducia e l’amore
che provi nei confronti del tuo padre spirituale, e Dio, nel
modo che tu non sai, lo convincerà ad attaccarsi a te e a
dimostrarti un affetto proporzionato alle tue disposizioni
verso di lui. Colui che manifesta al proprio padre ogni ge­
nere di serpente39, dimostra un’autentica fiducia, ma chi
li nasconde, erra ancora su strade impraticabili.
40. Se qualcuno vuol conoscere con precisione il pro­
prio affetto fraterno e la propria carità, sia certo di aver­
li se si vede afflitto per le cadute del fratello, e pieno di
gioia per i suoi progressi e per i doni che riceve.

39 Cioè ogni peccato o pensiero cattivo.

141
41. Colui che in una discussione pretende di affermare
la propria parola, anche se vera, sappia che è malato della
705 b malattia del diavolo. E se lo fa soltanto quando parla con

i suoi pari grado, forse potrà ancora essere guarito dai


rimproveri dei più anziani; ma se si comporta cosi perfino
con coloro che sono più anziani e più sapienti di lui, la sua
malattia è umanamente incurabile.
42. Chi non è sottomesso a parole, è chiaro che non
può esserlo neppure a fatti. Chi è infedele nel poco, è in­
fedele anche nel molto (cf. Le 16,10), e testardo si affati­
ca inutilmente senza ricavare dalla santa sottomissione
nient’altro che la propria condanna!
43. Se qualcuno ha la coscienza perfettamente pura in
materia di sottomissione al proprio padre, costui attende
ogni giorno la morte come un sonno, o piuttosto come
una vita, e non ha paura perché sa per certo che al mo­
mento della sua partenza non sarà lui a dover rendere
conto, ma il suo superiore.
44. Se qualcuno, nel Signore, ha accettato un incarico
dal proprio padre spirituale senza farsi violenza, e poi ina-
705 c spettatamente vi trova motivo di inciampo, non ne attri­
buisca la colpa a chi gli ha dato l’arma, ma a se stesso che
l’ha ricevuta: ha ricevuto infatti un’arma per combattere
il Nemico, ma egli l’ha rivolta contro il proprio stesso
cuore40! Se invece ha fatto violenza a se stesso a motivo
del Signore, manifestando in anticipo la propria debolez­
za a chi gli affidava quell’incarico, si faccia coraggio:
anche se è caduto, non è morto!
45. Mi stavo dimenticando, amici, di offrirvi anche un
altro gustoso pane di virtù! In quel monastero ho visto
monaci obbedienti nel Signore macerarsi da se stessi con

40 Perché ha trasformato un’occasione di obbedienza in un’occasione di


superbia.

142
violenze e umiliazioni per amore di Dio; e questo perché,
prendendo l’abitudine a non turbarsi per le umiliazioni,
potessero essere preparati alle violenze che ricevevano
dall’esterno.
46. Un’anima che pensa continuamente alla confessio­
ne dei suoi peccati, è da essa trattenuta dal peccare, come
da un freno. I peccati che non confessiamo, infatti, li con­
tinuiamo a commettere senza ritegno.
47. Se, in assenza del superiore, facciamo conto che 705 D
egli sia accanto a noi rappresentandoci il suo volto, ed
evitiamo ogni incontro, discorso, cibo, sonno, o qualsiasi
altra cosa che supponiamo gli sia sgradita, allora l’obbe­
dienza che esercitiamo è veramente autentica. I falsi di­
scepoli considerano l’assenza del loro maestro come una
gioia, ma i discepoli autentici la considerano una perdita.
48. Un giorno interrogai uno dei monaci più stimati,
supplicandolo di dirmi in che modo l’obbedienza permet­
ta di raggiungere l’umiltà. Ed egli mi rispose: “Chi è ve­
ramente obbediente, anche se resuscita i morti, se rag­
giunge il dono delle lacrime o la liberazione dalle lotte, ri­ 708 A
tiene sempre che sia stata la preghiera del proprio padre
spirituale a realizzare tutto ciò; e così egli rimane perso­
nalmente estraneo alla vana presunzione. Come potrebbe
infatti vantarsi di ciò che afferma aver realizzato con
l’aiuto del proprio padre e non con i propri sforzi?”.
49. L’esicasta41 non conosce la pratica di queste virtù42:
la presunzione infatti ha la meglio su di lui e gli suggeri­
sce che i suoi successi sono frutto dei suoi sforzi. Chi in­
vece vive nella sottomissione ha vinto due insidie43 e,
ormai, resta eternamente un servo obbediente di Cristo.

41 Cioè colui che vive nelTesichia; cf. infra, “Glossario”, s.v. “Esicasta”.
42 Cioè delFobbedienza e dell’umiltà.
41 Cioè la disobbedienza e la presunzione.

143
50. Il demonio combatte contro gli obbedienti, ora mac­
chiandoli con le contaminazioni della carne e rendendoli
duri di cuore, ora provocando in loro un turbamento con­
trario alle loro abitudini, ora rendendoli aridi, sterili, golosi,
708 bpigri nella preghiera, sonnacchiosi e pieni di oscurità, per al­
lontanarli dalla loro lotta facendo creder loro che non hanno
ricavato alcun profitto dalla sottomissione, e anzi cammina­
no all’indietro ! Non permette loro di riflettere, infatti, che
spesso la perdita provvidenziale delle virtù che ci sembra
di avere, diventa occasione della più profonda umiltà.
51. L’ingannatore di cui parlo è spesso respinto da al­
cuni tramite la pazienza; ma quando ancora quello sta par­
lando, ci appare un altro angelo (cf. Gb 1,16-18) che dopo
poco tenta di sedurci in altro modo.
52. Ho visto monaci obbedienti che, grazie alla prote­
zione del loro padre, erano diventati pieni di compunzione,
miti, temperanti, zelanti, liberi dalle lotte e pieni di fervore.
Ma i demoni, assalendoli, suggerirono loro che erano ormai
capaci di vivere nell’esichia e attraverso di essa erano in
708 c grado di raggiungere, come premio finale, l’impassibilità.
Così ingannati, uscirono dal porto e presero il largo, ma quan­
do furono sorpresi dalla tempesta, essendo sprovvisti di pilo­
ti, rischiarono di essere travolti da quel mare sudicio e salato!
53. A volte è necessario che il mare sia sconvolto, agi­
tato e infuriato, per rigettare di nuovo sulla terraferma,
attraverso i fiumi delle passioni, tutto il legname, il mar­
ciume e le erbacce che quegli stessi fiumi vi hanno scari­
cato. Osserviamo e scopriremo che in mare, dopo la tem­
pesta, c’è grande bonaccia.
54. Chi a volte obbedisce al proprio padre e a volte gli
disobbedisce, è simile ad un uomo che applica ai suoi occhi
a volte un collirio, a volte della calce viva. Sta scritto in-
708 dfatti: Quando uno edifica e l’altro distrugge, che guadagno ne
avranno se non fatiche (Sir 34,23) ?

144
55- Non ti lasciare ingannare, figlio e servo obbedien­
te del Signore, dallo spirito di presunzione, al punto da
riferire le tue mancanze al maestro come se si trattasse di
quelle di un’altra persona: senza vergogna, infatti, non si
può scampare alla vergogna! Spesso i demoni hanno l’a­
bitudine di convincerci a non confessare le nostre man­
canze, o a farlo come se si trattasse di quelle di un altro,
o, ancora, ad accusare altri del nostro peccato.
56. Denuda, sì denuda la tua piaga davanti al medico,
e di’ senza vergognarti: “E mia questa ferita, padre, è mia
questa piaga, ed è frutto della mia trascuratezza, non di
quella di un altro! Nessun altro ne è responsabile, né un
uomo, né uno spirito, né un corpo, né qualsiasi altra cosa,
ma soltanto la mia negligenza!”. Quando ti confessi, abbi
l’atteggiamento, l’aspetto e i pensieri come quelli di un
condannato, tenendo la testa china a terra e, se possibile, 709 A
bagnando di lacrime i piedi del tuo medico e giudice,
come quelli di Cristo (cf. Le 7,38).
57. Tutto dipende e deriva dall’abitudine: tanto più le 7°9 B
opere buone, perché in esse abbiamo come valido collabo­
ratore Dio stesso. Non dovrai faticare per molti anni, figlio
mio, per trovare in te stesso il beato riposo, se agli inizi ti
sarai consegnato alle umiliazioni con tutto te stesso.
58. Non disdegnare di fare la tua confessione a colui
che ti aiuta, come a Dio stesso, con un atteggiamento
umile e dimesso: ho visto infatti dei condannati che, con
un atteggiamento degno di grande pietà, una confessio­
ne brutalmente schietta e una supplica insistente sono ri­
usciti ad addolcire la severità del loro giudice, trasfor­
mando il suo sdegno in compassione. Per questo anche
Giovanni il Precursore esigeva la confessione prima del
battesimo da quanti venivano da lui, non perché ne aves­
se bisogno, ma perché cercava di procurar loro la salvez­
za (cf. Mt 3,6 par.).

145
709 c 59. Non stupiamoci se siamo combattuti dalle passioni
anche dopo la confessione: è meglio, infatti, lottare con­
tro i pensieri cattivi che contro la presunzione!
60. Non ti lasciare attirare né esaltare dai racconti degli
esicasti e degli anacoreti. Tu infatti stai camminando con
l’esercito del primo martire44.
61. Se cadi, non ti sottrarre all’arena della lotta, perché
proprio in quel momento abbiamo molto più bisogno del
medico. Chi, pur avendo un aiuto, è inciampato in un
sasso, se fosse stato senza aiuto, certamente non sarebbe
solo inciampato, ma sarebbe morto!
62. Ogni volta che cadiamo, i demoni ci assalgono im­
mediatamente e, sfruttando quel pretesto ragionevole -
ma in realtà assurdo -, ci suggeriscono [di cercare] l’esi-
chia: il loro scopo è di aggiungere una ferita alla caduta.
63. Quando un medico dichiara la propria incapacità,
allora bisogna recarsi da un altro, perché senza medico
pochi riescono a guarire.
709 d 64. Chi mai oserebbe contraddirci se affermiamo che

qualunque nave abbia fatto naufragio con un pilota esper­


to, senza di quello sarebbe certamente andata incontro
alla completa rovina ?
65. Dall’obbedienza deriva l’umiltà e dall’umiltà l’impas­
sibilità, se è vero che sta scritto: Nella nostra umiltà il Signore
si è ricordato di noi, e ci ha liberato dai nostri nemici (Sai 135,
23-24). Niente perciò ci impedisce di affermare che dall’ob­
bedienza deriva l’impassibilità, grazie alla quale giunge a
perfezione anche l’umiltà. L’obbedienza infatti è l’inizio
dell’impassibilità come Mosè è l’inizio della legge; ma la fi­
glia porta a perfezione la madre, come Maria la sinagoga45.

44 Cioè Stefano. I monaci cenobiti, in virtù dell’obbedienza, sono eguaglia­


ti ai martiri. Cf. $upray IV,io.
45 Passo oscuro, variamente interpretato dai commentatori antichi e moder-

146
66. Sono degni di ricevere ogni genere di punizione
da parte di Dio quei malati che, dopo aver sperimenta­
to un medico e averne ricevuto giovamento, lo abban­
donano prima di essere perfettamente guariti, preferen­
dogli un altro.
67. Non fuggire dalle mani di colui che ti ha offerto al 712 A

Signore, perché, in tutta la tua vita, non dovrai venerare


nessuno come lui.
68. Come è pericoloso per un soldato inesperto separar­
si dall’insieme dell’esercito per combattere singolarmente,
così non è senza pericolo per un monaco ritirarsi nell’esi-
chia prima di una lunga esperienza e di un lungo esercizio
nella lotta contro le passioni dell’anima. Il primo infatti
mette a rischio il suo corpo, il secondo la sua anima.
Meglio due che uno! (Qo 4,9), dice la Scrittura, e cioè:
è meglio per un figlio essere in compagnia del proprio
padre spirituale, quando lotta contro le proprie predispo­
sizioni passionali46 con la forza del divino Spirito.
69. Chi priva un cieco della sua guida, un gregge del
suo pastore, uno smarrito della persona che lo conduce
sulla retta via, un bambino del proprio padre, un malato
del medico, e una nave del suo pilota, mette in pericolo
tutte queste persone. Colui, poi, che si mette a lottare
contro gli spiriti senza un aiuto, finisce ucciso da loro.

ni. Secondo l’interpretazione degli scolii, PG 88,752B-C e 1224B-C, e di


Exegesis, p. 134, bisogna intendere: l’impassibilità (“la figlia”) porta a perfezio­
ne l’obbedienza (“la madre”), come Maria, la sorella di Mosè di cui si parla in
Es 15,20, conclude con il suo intervento il canto di vittoria iniziato da Mosè
e dall’assemblea degli israeliti (la “sinagoga”). Nella figura di Maria, sorella di
Mosè, la tradizione ha visto una vergine (cf. Gregorio di Nissa, La verginità
19): qui, secondo l’interpretazione da noi adottata, diventa simbolo della liber­
tà dalle passioni che supera la semplice obbedienza alla legge, rappresentata da
Mosè. Altri commentatori, con minore probabilità, ritengono che il riferimen­
to sia a Maria madre di Gesù.
46 In greco: prolépseis. Per il significato del termine cf. infra, “Glossario”,
s.v. “Predisposizione passionale”.

147
712 b 70. Coloro che sono appena giunti in un ospedale de­
vono individuare i propri dolori; coloro che invece sono
appena giunti nella vita di sottomissione, l’umiltà che
possiedono: per i primi, indizio quanto mai sicuro di gua­
rigione sarà l’alleviamento dei dolori, per gli altri la cre­
scita del disprezzo di se stessi.
71. Specchio della tua sottomissione sia la tua coscienza,
e questo ti basti.
712 c 72. Coloro che vivono nell’esichia sottomessi a un
padre, hanno soltanto i demoni come loro avversari; co­
loro che invece vivono in comunità lottano allo stesso
tempo con i demoni e con gli uomini. I primi, essendo
continuamente davanti agli occhi del loro maestro, custo­
discono i suoi comandi in modo più stretto; invece i se­
condi, non essendo sempre alla sua presenza, spesso fanno
piccole trasgressioni. Comunque, se sono persone piene di
zelo e di buona volontà, riescono a compensare ampia­
mente tale difetto con la sopportazione delle offese, e ri­
portano così una doppia corona.
73. Sforziamoci con ogni cura di vigilare su noi stessi
(cf. Pr 4,23). Quando infatti un porto è pieno di navi, è
facile che esse si danneggino urtando l’una contro l’altra,
tanto più se sono già segretamente corrose dal verme della
collera47.
712 d 74. Di fronte al superiore, pratichiamo un assoluto si­

lenzio mostrando una totale ignoranza: l’uomo silenzioso,


infatti, è figlio della sapienza e acquista sempre una pro­
fonda conoscenza. Vidi una volta un monaco che viveva
nella sottomissione strappare la parola di bocca al suo su­
periore e disperai della sua sottomissione, vedendo che da
essa aveva imparato l’orgoglio e non l’umiltà.

47 La metafora si riferisce alla vita di un monastero cenobitico.

148
75- Con tutta la vigilanza, la cura e la prudenza possi­
bili, consideriamo quando e come si debba anteporre il
servizio alla preghiera. Ciò infatti non deve avvenire sem­
pre e comunque.
Fa’ attenzione a te stesso (cf. Dt 4,9; 15,9) quando sei
in presenza dei tuoi fratelli, e non sforzarti mai di appari­
re più giusto di loro in qualche cosa, perché saresti la causa
di due mali: urteresti gli altri con il tuo zelo falso e osten­ 713 A
tato, e a te stesso procureresti certamente la superbia.
76. Sii pieno di zelo neU’anima, senza mostrarlo ester­
namente nel corpo, né con l’atteggiamento, né a parole,
né con segni allusivi: comportati così, però, solo se hai
davvero smesso di disprezzare il tuo prossimo; ma se sei
ancora incline a questo difetto, comportati come tutti gli
altri fratelli, piuttosto che rischiare di distinguerti da loro
solo per l’orgoglio48.
77. Ho visto un discepolo ancora privo di esperienza
vantarsi delle opere di virtù del proprio maestro, e men­
tre credeva di acquistare gloria con le ricchezze altrui, si
procurò solo umiliazione, perché tutti gli dissero: “Come
può un albero buono aver dato un ramo sterile?” (cf. Mt
7,17-18 par.).
78. Siamo giudicati pazienti non quando sopportiamo
con coraggio di essere derisi dal nostro padre spirituale,
ma quando ci lasciamo disprezzare e percuotere da ogni
uomo, giacché il nostro padre lo sopportiamo per rispetto 713 B
e perché ci sentiamo in debito con lui.

48 Cf. SchoL 67, PG 88,752D-753A: “L’autore si rivolge alle comunità e a


coloro che vivono nella sottomissione: ‘Se non sei incline ad accusare e disprez­
zare gli altri - dice - pratica la virtù per conto tuo, nel segreto della tua mente,
senza manifestarlo in modo visibile; ma se sei portato a condannare gli altri,
non cercare di distinguerti dagli altri neppure nell’esercizio dell’anima, ma sii
in tutto uguale a loro’. E per ‘esercizio dell’anima’ intende la preghiera conti­
nua, il pianto, e le altre pratiche come queste. ‘Se dunque - dice - a causa di
queste cose cadi nell’orgoglio, tralasciale’”.

149
79- Bevi avidamente la derisione come un’acqua di
vita, chiunque sia l’uomo che voglia farti bere questa be­
vanda che purifica dalla sensualità: allora nella tua anima
sorgerà una profonda purezza e la luce di Dio non scom­
parirà più dal tuo cuore.
80. Nessuno si vanti dentro di sé, se vede che la comu­
nità dei fratelli trova pace grazie ai suoi sforzi, poiché in­
torno si aggirano i ladri49.
81. Ricordati continuamente di colui che ha detto:
Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
Siamo servi inutili! Abbiamo fatto quello che dovevamo
fare (Le 17,10). Quanto al giudizio sulle nostre fatiche, lo
conosceremo al momento della nostra dipartita.
82. Il cenobio è un cielo terrestre: sforziamoci perciò di
assumere nel nostro cuore le stesse disposizioni che gli an-
713 c geli hanno nel servire il Signore! Coloro che si trovano in
questo cielo, a volte hanno il cuore duro come pietra, altre
volte ricevono conforto grazie alla compunzione: ciò ac­
cade perché, da una parte, possano evitare la presunzio­
ne, dall’altra, possano mitigare le loro fatiche grazie alle
lacrime.
83. Una piccola fiamma è in grado di sciogliere molta
cera; e spesso una piccola umiliazione che ci capita di
subire, riesce improvvisamente a sciogliere, addolcire e
cancellare tutta la selvatichezza, l’insensibilità e la durez­
za del nostro cuore.
84. Una volta ho visto due monaci starsene nascosti a
spiare e ad ascoltare i gemiti e i tormenti di alcuni che sta­
vano lottando contro le tentazioni; ma uno lo faceva per
imitarli, l’altro per poter rinfacciare loro queste cose in
pubblico, alla prima buona occasione, e distogliere così
quegli operai di Dio dal loro nobile lavoro.

49 Cioè i demoni, pronti a rubare qualsiasi buon frutto di virtù.

150
85. Non essere taciturno senza ragione, procurando agli 713 d
altri turbamento e fastidio, né lento nei movimenti e nel
passo quando ti viene chiesto di sbrigarti. Altrimenti sarai
peggio degli agitati e dei turbolenti.
86. Ho visto cose del genere, come dice Giobbe (cf. Gb
13,1): spesso la lentezza di comportamento fa soffrire le
anime, e a volte anche la troppa affettazione; e mi sono
meravigliato di quanto può essere varia la malizia.
87. Chi vive in mezzo ad altri fratelli non può trarre
dalla salmodia altrettanto profitto come dalla preghiera50,
perché la confusione delle diverse voci impedisce la com­
prensione del salmo.
88. Lotta incessantemente con la tua mente, e quando si
distrae, raccoglila di nuovo in te stesso: Dio, infatti, da co­
loro che vivono in obbedienza non pretende una preghiera
senza distrazioni. Non ti scoraggiare se la mente ti viene
rubata, ma piuttosto fatti coraggio richiamandola continua-
mente a te: l’inviolabilità infatti è solo degli angeli!
89. Chi si è interiormente convinto a non abbandonare 716 a
la lotta fino all’ultimo respiro51, a costo di dover soppor­
tare mille morti52 nel corpo e nell’anima, non cadrà facil­
mente in alcuna di queste, perché in genere sono l’indeci­
sione del cuore e l’infedeltà alla propria condizione di vita
che producono cadute e disgrazie.
90. Coloro che sono facili al cambiamento, sono privi
di qualunque virtù, perché niente produce sterilità quan­
to la mancanza di perseveranza.
91. Se ti capita di arrivare in un ospedale e presso un
medico53 che non conosci, comportati come uno che è di

50 Cioè dalla preghiera “pura” del cuore. Cf. infra, XVIII,^.


51 Cf. Apoftegmiy Antonio 4: “Disse il padre Antonio al padre Poemen:
‘Questa è l’opera grande dell’uomo: gettare su di sé il proprio peccato davan­
ti a Dio; e attendersi tentazioni fino all’ultimo respiro’”.
52 Ovvero peccati e tentazioni.
53 Cioè in un monastero dove c’è un padre spirituale che cura le anime.

*5*
passaggio e, senza fartene accorgere, esamina tutti coloro
che vi si trovano. Quando poi ti accorgi di poter trovare
qualche giovamento per i tuoi mali dalle cure dei dottori
e degli infermieri, e soprattutto il rimedio che cercavi
contro il gonfiore dell’anima54, allora deciditi a entrare e
vendi te stesso a prezzo dell’oro dell’umiltà, firmando il
716 b certificato dell’obbedienza con la scrittura del servizio e
con gli angeli per testimoni55.
92. In loro presenza, straccia senza esitazione il certifi­
cato della tua volontà propria; se infatti continui a girare
qua e là, finisci per annullare il contratto con il quale
ormai Cristo ti ha comprato !
93. Il luogo in cui ti trovi sia per te una tomba prima
della tomba: nessuno infatti uscirà dalla tomba prima
della risurrezione generale; e se qualcuno vi è uscito, vedi
che è morto56! Preghiamo il Signore che non capiti anche
a noi la stessa cosa!
716 c 94. I monaci più pigri, quando sentono che gli ordini
ricevuti sono pesanti, cominciano subito a preferire la pre­
ghiera; quando invece li sentono più leggeri, la fuggono
come si fugge da un fuoco!
95. C’è chi intraprende un servizio, e poi lo abbando­
na per recare conforto a un fratello, se ciò gli viene richie­
sto; c’è chi invece lo abbandona per pigrizia. C’è poi chi
non lo abbandona per vanagloria, e chi per zelo.

54 Cioè la superbia.
55 II riferimento è alla professione monastica che, secondo la convinzione tra­
dizionale in oriente, avviene alla presenza degli angeli. Nel Rito del piccolo abito
della liturgia bizantina si dice: “Considera, figlio, quali patti concludi con Cristo
Signore: gli angeli, infatti, registrano invisibilmente la tua professione, di cui
dovrai rendere conto alla seconda venuta del Signore nostro Gesù Cristo”
(Euchologion, p. 383). Sul tema, cf. P. Raffin, Les rituels orientaux de la profes­
sioni monastique, Abbaye de Bellefontaine, BégrolIes-en-Mauges 1992, p. 35.
56 Come Lazzaro: cf. Gv 11,43-44.

152
96. Se sei stato forzato a legarti a una comunità con dei
voti57, e poi vedi che l’occhio della tua anima non fa alcun
progresso, non esitare ad andartene. Del resto un buon mo­
naco, è un buon monaco dovunque, come anche il contrario.
97. Nel mondo gli insulti sono la causa di molte divi­
sioni; ma nelle comunità è l’ingordigia a produrre tutte le
cadute e le rotture!
98. Se domini questa tiranna58, in qualunque luogo tu ri- 716 d

sieda, riuscirai ad ottenere l’impassibilità59; ma se è lei a do­


minarti, sarai in pericolo dovunque, fuorché nella tomba!
99. Il Signore dà sapienza ai ciechi (Sai 145,8), ovvero:
apre gli occhi di coloro che vivono in obbedienza sulle
virtù della loro guida, e li acceca sui loro difetti. L’Av­
versario del bene fa il contrario.
100. Modello di perfetta sottomissione sia per noi il co­
siddetto argento vivo, che, anche quando lo si fa rotolare
sotto a tutto, rimane puro da ogni genere di sporcizia. 717 a

Coloro che sono pieni di zelo facciano attenzione soprat­


tutto a se stessi, perché, giudicando i negligenti, essi non
ricevano una condanna ancor più severa di quelli. Per
questo, credo, Lot è stato considerato giusto, perché, pur
trovandosi in mezzo a uomini del genere, non risulta che
li abbia mai condannati (cf. Gen 19,1-29).
101. Custodiamo l’esichia e la tranquillità in ogni mo­
mento, ma soprattutto mentre cantiamo le lodi di Dio. Lo
scopo dei demoni, infatti, è di ridurre al nulla la nostra
preghiera mediante le distrazioni.
102. Autentico servitore è colui che sta con il corpo tra
gli uomini, ma con la mente bussa alle porte del cielo me­
diante la preghiera.

57 Lette “Patti (synthékai)”.


58 Cioè l’ingordigia.
59 Per il significato di questo termine cf. infra “Glossano”, s.v. “Impassibilità”.

153
103. Gli oltraggi, le umiliazioni e le altre cose simili
sono per l’anima dell’obbediente come il gusto amaro del­
l’assenzio60; gli elogi, gli onori e le lodi, invece, produco­
no in chi è incline ai piaceri una grandissima dolcezza,
717 b come il miele. Consideriamo dunque quale sia la natura

di entrambe le sostanze: l’assenzio purifica le parti gua­


ste dell’intestino, mentre il miele aumenta la bile.
104. Bisogna riporre una completa fiducia in coloro
che, nel Signore, si sono assunti l’impegno di prendersi
cura di noi, anche se ci ordinano cose apparentemente
contrarie o addirittura opposte alla nostra salvezza.
Proprio allora, infatti, la nostra fiducia in loro viene
messa alla prova, come nel crogiolo dell’umiltà; e il segno
della più autentica fiducia è quando obbediamo senza esi­
tazione a chi ci comanda, pur vedendo che le cose vanno
in modo contrario a come speravamo.
105. Dall’obbedienza deriva l’umiltà, come abbiamo
già detto sopra61, e dall’umiltà il discernimento, come in­
segna così bene e in modo così sublime il grande
Cassiano, nel suo discorso sul discernimento62; dal discer­
nimento, poi, deriva la chiaroveggenza63 e da questa la
717 c preveggenza. Chi, dunque, non vorrebbe correre in que­
sto nobile stadio dell’obbedienza, vedendo quali beni
sono preparati per lui? Di questa grande virtù parlava
quel grande Salmista dicendo: “Nella tua bontà, 0 Dio, hai
preparato per il povero obbediente la tua presenza nel suo
cuore” (cf. Sai 67,11).

60
Cf. Marco il Monaco, La legge spirituale 117.
61
Cf. supra, IV,65.
62 Cf. Giovanni Cassiano, Conferenze II,io: “Il vero discernimento - disse

Abba Mosè - non si raggiunge, se non con la vera umiltà”. Per la dipendenza
di Climaco da Cassiano,^cf. supray “Introduzione”, p. 29, n. 117.
63 In greco: diórasìs. E la capacità di “vedere” ciò che si muove nel cuore di

una persona.

*54
106. Per tutta la tua vita non ti dimenticare mai di quel
grande atleta che, per ben diciotto anni, con i suoi orecchi
esteriori non sentì mai il superiore dirgli: “Dio ti salvi!”, ma
con quelli interiori sentiva ogni giorno il Signore che gli dice­
va, non tanto: “Dio ti salvi!” - perché questo è un augurio
incerto -, ma: “Sei salvo!”, che è un affermazione sicura64.
107. Tra coloro che vivono nell’obbedienza, ce ne sono
alcuni che, accorgendosi del carattere arrendevole e con­
ciliante del loro superiore, sollecitano da lui disposizioni
conformi alle proprie volontà, ma così facendo ingannano
se stessi; e se ottengono ciò che vogliono, sappiano che
hanno già perduto completamente la corona dei confesso­ 717 D

ri della fede65: obbedienza, infatti, significa radicale ab­


bandono dell’ipocrisia e dei propri desideri!
108. C’è chi, quando riceve un ordine e si accorge che,
in fondo, colui che glielo ha dato non vuole che lo esegua,
si rifiuta di obbedire; e c’è chi, pur accorgendosene, ob­
bedisce comunque senza esitazioni. Bisogna chiedersi: chi
dei due ha agito in modo più santo ?
109. Che il diavolo si opponga alla propria volontà è tra
le cose impossibili. Convincitene guardando coloro che vi­ 720 A

vono nella negligenza e ciò nonostante continuano a per­


severare in un eremo o in un cenobio66.

64 L'autore si ispira qui ad Apoftegmì, Giovanni di Tebe 1: “Raccontavano


che il piccolo Giovanni di Tebe, il discepolo del padre Amoe, servì per dodici
anni l'anziano, quando era malato. Gli stava accanto seduto sulla stuoia, ma il
vecchio lo trattava con disprezzo. E, sebbene si affaticasse molto per l’anzia-
no, questi non gli diceva mai: ‘Dio ti salvi!’. Ma mentre stava per morire, alla
presenza degli altri anziani seduti attorno a lui, gli prese la mano e gli disse:
‘Dio ti salvi, Dio ti salvi, Dio ti salvi!'. E lo consegnò agli anziani dicendo: ‘E
un angelo, non un uomo"'.
63 Cf. supra, IV,io.
66 II senso della frase è spiegato bene nell'Exegesis (p. 144): “La volontà del
diavolo è che tutti gli uomini vivano nella negligenza e trascurino le volontà e i
comandamenti di Dio. Chi dunque vive già nella negligenza - fosse pure in un
eremo o in un cenobio - il diavolo non lo tenta, ma lo lascia stare; sarebbe in­
fatti un controsenso e del tutto impossibile che il diavolo si opponesse e muo­
vesse guerra a coloro che compiono la sua volontà".

155
110. La tentazione di abbandonare i luoghi in cui ci
troviamo, sia per noi la prova che là siamo graditi a Dio,
perché se siamo combattuti dalle tentazioni, è segno che
anche noi combattiamo67.
1 1 1 . Non vorrei comportarmi come chi nasconde in­
giustamente qualcosa o la trattiene avidamente per sé in
modo disumano, tacendovi ciò che non è permesso tace­
re. Il celebre Giovanni il Sabaita68 mi ha raccontato cose
veramente degne di essere udite; e tu, venerato padre,
sai per esperienza personale come egli sia un uomo com­
pletamente libero dalle passioni, puro da ogni menzogna
e da ogni parola e opera malvagia. Ecco il racconto che
mi ha fatto.
720 b “Nel mio monastero in Asia69 - quel sant’uomo prove­
niva infatti da quella regione - c’era un anziano assoluta-
mente negligente e intemperante, e non lo dico per giudi­
carlo, ma solo per dire la verità. Costui - non so proprio
come - riuscì a guadagnarsi un giovane discepolo di nome
Acacio, persona d’animo semplice ma assennata, che sop­
portava da parte di questo anziano cose che forse ai più
parranno incredibili: ogni giorno infatti l’anziano lo cari­
cava non solo di insulti e di umiliazioni, ma addirittura di
percosse. La sua pazienza però non era insensata. Veden­
dolo dunque ogni giorno gravemente afflitto come uno
schiavo comprato, spesso, incontrandolo gli dicevo: ‘Come
stai, fratello Acacio? Come va oggi?’, e lui subito mi mo-

67 Cf. infra, XV,62.


68 Monaco originario dell'Asia minore, che visse per alcuni anni in un ceno­
bio del Ponto (cf. infra, $ 112) e più tardi nel monastero palestinese di San
Saba (da cui il nome di “Sabaita”). Giunto al Sinai, a coronamento della sua
carriera di esicasta, si guadagnò il soprannome di “colonna del deserto sinaiti­
co” e incontrando il giovane Giovanni Climaco profetizzò la sua elezione a igu-
meno del monastero della Santa Montagna (cf. suprat Racc. 1, p. 76).
69 Secondo VExegesis (p. 144), si tratta del monastero di Kellibara sul monte

Latros, in Asia minore.

156
strava ora un occhio pesto, ora il collo gonfio, altre volte
la testa contusa; al che io, conoscendo la sua virtù, gli di­ 720 C
cevo: ‘Bene, bene! Sopporta e ne avrai una ricompensa!’.
“Dopo aver passato dunque nove anni sotto questo an­
ziano senza pietà, Acacio se ne andò al Signore e fu sep­
pellito nel cimitero dei padri. Cinque giorni dopo, il suo
maestro si recò da un grande anziano che abitava in quel
luogo, e gli disse: ‘Padre, il fratello Acacio è morto!’.
Appena l’anziano udì queste parole, rispose: ‘Sta’ pur
certo, padre: io non ci credo!’. E quello disse: ‘Vieni e
vedi!’. L’anziano si levò in fretta e raggiunse il cimitero
in compagnia del maestro di quel beato lottatore; e rivol­
gendosi come a una persona viva a colui che nel sonno vi­
veva veramente, gridò: ‘Fratello Acacio, sei morto?’. E 720 D
quell'autentico obbediente, dimostrando la propria obbe­
dienza anche dopo la morte, rispose a quel venerando:
‘Com’è possibile, padre, che sia morto un uomo che ha
esercitato l’obbedienza?’. A queste parole, l’anziano che
era stato il suo maestro - almeno di nome - fu preso da ter­
rore e cadde con la faccia a terra, in lacrime; chiesta quin­
di all’igumeno della laura70 una cella vicino a quella tomba, 721 A
visse là nella temperanza per il resto dei suoi giorni”.
La mia opinione, padre Giovanni71, è che sia stato
proprio lui, quel grande Giovanni, a parlare al morto:

70 II termine “laura” indica un particolare tipo di insediamento monastico,

diffusosi in Palestina a partire dal IV secolo, dove i monaci conducevano una


vita semi-anacoretica: vivevano in solitudine ciascuno nella propria cella duran­
te l'intera settimana, mentre la domenica si riunivano nel nucleo centrale della
laura (dove c'erano una chiesa e degli edifici comuni) per partecipare insieme
alla liturgia eucaristica e prendere un pasto in comune. In generale sulle laure
palestinesi, cf. L. Campagnano Di Segni, Cercare Dio nel deserto. Vita di
Cantone, Qiqajon, Bose 1990, pp. 15-24; L. Perrone, “All'ombra dei luoghi
santi: il monacheSimo di Palestina in epoca bizantina e l'esperienza di Gaza”,
in 11deserto di Gaza : Barsanufio, Giovanni e Doroteo. Atti deWXI Convegno ecu­
menico intemazionale (sezione bizantina.), Bose, 14-16 settembre 2005, Qiqajon,
Bose 2004, pp. 23-50.
71 Giovanni di Raito, destinatario della Scala.

157
quell’anima beata, infatti, mi fece anche un altro raccon­
to come se si trattasse di un’altra persona, quando in
realtà si trattava di lui stesso, come più tardi potei appu­
rare con precisione.
112. “In quello stesso monastero d’Asia - raccontava
- un altro giovane divenne discepolo di un monaco mite,
indulgente e pacifico. E vedendo che l’anziano lo tratta­
va con rispetto e cura, giustamente pensò di fare ciò che
per molti è pericoloso: pregò cioè l’anziano di lasciarlo
721 b partire. Quest’ultimo, infatti, aveva anche un altro di­
scepolo e la cosa non gli avrebbe procurato grandi fasti­
di. Perciò se ne partì e, grazie a una lettera di presenta­
zione del suo maestro, si stabilì in uno dei cenobi del
Ponto. Nella prima notte dopo il suo arrivo nel cenobio,
vide in sogno che alcune persone lo sottoponevano ad un
rendiconto, e che al termine di quel terribile rendiconto
egli risultava debitore di cento libbre d’oro. Risve­
gliatosi, dunque, rifletté su ciò che aveva visto e si disse:
‘Povero Antioco - era questo infatti il suo nome -, il tuo
debito è veramente grande!’.
“‘Dopo essere rimasto per tre anni in quel cenobio in
assoluta obbedienza - diceva72 -, disprezzato e maltratta-
721 c to da tutti come uno straniero (là infatti non c’era nessun
altro monaco straniero), vedo di nuovo in sogno una per­
sona consegnarmi la ricevuta per dieci libbre del mio de­
bito, e al mio risveglio comprendo la visione e dico:
Ancora soltanto dieci? Quando potrò saldare l’intero de­
bito? Allora dico a me stesso: Povero Antioco! Hai biso­
gno di fatiche e umiliazioni ancora più grandi! Da quel
momento cominciai a fingermi pazzo, senza però trascu­
rare minimamente il mio servizio. Perciò quei padri senza

72 Giovanni Sabaita riferisce le parole del monaco Antioco.

158
pietà, vedendomi in quella condizione e pieno di zelo, mi
caricavano di tutti i lavori pesanti del monastero. Dopo
aver perseverato in questa condotta per tredici anni, vidi
di nuovo venirmi incontro le persone che mi erano appar­
se in precedenza e registrare la remissione completa del
mio debito. Quando dunque i padri del monastero mi af­
fliggevano in qualcosa, io, ricordandomi del mio debito,
sopportavo di buon animo’”.
Questo è il racconto che mi ha fatto quel sapientissimo 721 d

Giovanni, o padre Giovanni, come se si trattasse di un’al­


tra persona - ed è per questo che ha cambiato il suo nome
in Antioco -, quando in realtà fu lui stesso a stracciare il
documento del proprio debito con la propria pazienza e il
proprio coraggio.
113. Sentiamo ora quale grado di discernimento riuscì
ad acquisire quel sant’uomo grazie alla sua estrema obbe­
dienza. Quando risiedeva nel monastero di San Saba73,
vennero da lui tre giovani monaci che volevano diventare
suoi discepoli. Egli li accolse con gioia e subito diede loro
ospitalità, desiderando ristorarli dalla fatica del viaggio; 724 a

ma dopo tre giorni l’anziano disse loro: “Fratelli, sono un


uomo naturalmente incline alla fornicazione e non posso
accogliere nessuno tra di voi ! ”. Ma quelli non si scanda­
lizzarono, giacché conoscevano la virtù dell’anziano.
Poiché però, nonostante le molte preghiere, non riusciro­
no a convincerlo, si gettarono ai suoi piedi supplicandolo
almeno di indicar loro in che modo e dove dovessero vi­
vere. L’anziano cedette, e sapendo che avrebbero accolto
le sue indicazioni con umiltà e obbedienza, disse al primo:
“Il Signore, figlio mio, vuole che tu viva in un luogo soli-

nSi tratta dei celebre monastero fondato nel 483 da san Saba (439-532) e
ancora oggi esistente: designato anticamente come la Meghiste Laura, la “Laura
maggiore”, è la più importante delle “laure” palestinesi.

159
tario sottomesso a un padre”. Disse poi al secondo: “Va',
vendi le tue volontà e dalle a Dio, poi prendi la tua croce,
724 b persevera in un cenobio e in una comunità di fratelli, e cer­
tamente avrai un tesoro nei cieliì” (cf. Mt 1 9 , 2 1 ; 16,24).
Disse quindi al terzo: “Accogli in te stesso, unendola inse­
parabilmente al tuo respiro, la parola di colui che ha detto:
Chi persevera fino alla fine sarà salvato (Mt 10,22), poi va’ e,
se possibile, non permettere che esista tra gli uomini una
persona più severa e più rigida del tuo allenatore74 75 nel
Signore; quindi persevera e bevi ogni giorno le derisioni e
gli scherni come latte e miele ! ”. Allora questo fratello disse
al grande Giovanni: “Padre, se quella persona vive nella
negligenza, cosa devo fare?”. E l’anziano: “Se anche lo ve­
drai fornicare - disse - non ti allontanare da lui, ma di’ a
te stesso: Amico, per cosa sei venuto? (Mt 26,50), e allora
vedrai scomparire il tuo orgoglio e svanire la tua fiamma ! ”.
724 c 1 1 4 . Noi tutti che vogliamo temere il Signore, lottia­
mo con tutte le nostre forze, perché non accada che nella
palestra della virtù ci procuriamo piuttosto cattiveria e
malizia, astuzia e furbizia, perversità e ira! Del resto, è
una cosa che succede e non c’è da meravigliarsene.
Infatti, finché un uomo è un semplice privato, marinaio
o contadino, i nemici del re non si armano granché con­
tro di lui; ma quando vedono che ha ricevuto il sigillo, lo
scudo, il pugnale, la spada e l’arco, ed è vestito dell’uni­
forme del soldato0, allora anche loro digrignano i denti
contro di lui e si sforzano di ucciderlo. Appunto per que­
sto, guardiamoci dal sonnecchiare!

74 Cioè del tuo padre spirituale.


75 Cf. Schol. 93, PG 88,76oD: “Chiama 'sigillo* il battesimo, oppure la pe­
nitenza che ne restaura la purezza; ‘scudo*, la fuga del mondo che si raggiun­
ge attraverso il distacco da esso; 'pugnale*, il rinnegamento delle proprie vo­
lontà; 'arco*, la preghiera attraverso cui si colpiscono i demoni; ‘uniforme del
soldato*, l*ornamento delle virtù**.

160
i i 5 - Ho visto arrivare a scuola fanciulli puri e pieni di
bontà in cerca di istruzione, di educazione e di profitto,
e, dal contatto con gli altri, non apprendere altro che astu­ 724 D
zia e malizia. Chi ha intelligenza comprenda! E impossi­
bile che coloro che si sforzano con tutto il proprio impe­
gno di apprendere un’arte, non facciano ogni giorno dei
progressi in essa. Ma mentre alcuni conoscono i propri
progressi, altri provvidenzialmente li ignorano76.
1 1 6 . Un bravo banchiere, ogni sera, calcola sempre il
guadagno o la perdita della giornata: non può saperlo con
precisione, però, se non ne ha preso nota ogni ora sulla
sua tavoletta, perché i calcoli fatti ogni ora rendono pos­
sibile quello dell’intera giornata.
1 1 7 . Quando uno stolto riceve un rimprovero o una
sgridata e si sente punto, tenta di contraddire, oppure fa
subito una metanìa davanti a colui che lo ha rimprovera­
to, non per umiltà ma per far cessare i rimproveri. Tu, 725 A
quando sei deriso, sta’ in silenzio e accetta questi cauteri
dell’anima - anzi piuttosto, queste luci che procurano pu­
rezza - e solo quando il medico ha finito, fa’ una metanìa
davanti a lui, perché probabilmente nell’ira non accette­
rebbe neanche la tua metanìa.
1 1 8 . Noi che viviamo in comunità dobbiamo lottare in 725 B
ogni momento contro tutte le passioni, ma forse partico­
larmente contro queste due: la follia della gola e l’irascibi­
lità, perché in mezzo a tante persone esse trovano l’ali­
mento adatto.
A quanti vivono nella sottomissione il diavolo ispira
il desiderio di virtù impossibili; ugualmente, a quanti
vivono nell’esichia suggerisce cose non adatte alla loro
condizione.

76 Per evitare di farne un motivo di vanto.

161
i i 9 - Sonda la mente dei cenobiti buoni a nulla e vi
troverai un pensiero che divaga tra mille illusioni: il de­
siderio dell’esichia, del digiuno più duro, della preghie­
ra ininterrotta, dell’assoluta assenza di vanagloria, del
ricordo incessante della morte, della compunzione con­
tinua, della completa assenza di irascibilità, di un pro­
fondo silenzio, e di una straordinaria purezza. E se agli
inizi, per divina disposizione, non riescono a raggiunge­
re tutte queste cose, ingannati dal Nemico, saltano a
caso da una condizione di vita all’altra: il Nemico infat­
ti gliele ha f a t t e ricercare prima del tempo, perché non
potessero ottenerle al momento opportuno con la loro
perseveranza.
725 c 1 2 0 . A quanti vivono nell’esichia, invece, l’Ingan­
natore magnifica l’ospitalità di coloro che vivono in ob­
bedienza, il loro servizio, il loro affetto fraterno, la loro
vita comune, e la loro cura dei malati; e questo per far sì
che anch’essi, come quelli, non perseverino nella loro
condizione v
di vita.
1 2 1 . E veramente riservato a pochi poter vivere nel­
l’autentica esichia: solo a quelli cioè che hanno ottenuto
la consolazione divina, che alleggerisce le loro fatiche e li
sostiene nei loro combattimenti.
1 2 2 . Dobbiamo valutare a quali persone sottometterci
in base alla qualità delle passioni che ci abitano, e poi sce­
gliere di conseguenza. Se sei incline alla sensualità, il tuo
allenatore sia un vero asceta, molto austero nel cibo, piut­
tosto che uno che opera miracoli ed è sempre pronto ad
accogliere ospiti e ad apparecchiare la tavola. Se poi sei
incline all’orgoglio, egli sia rigido e inflessibile, piuttosto
che mite e benevolo.
725 d 1 2 3 . Non cerchiamo né profeti né veggenti, ma soprat­
tutto persone umili, che, per il loro carattere e il loro stile
di vita, siano adatte a curare le nostre infermità.

162
1 2 4 - Seguendo l’esempio di quel giusto Abbaciro, che
abbiamo menzionato sopra77, adotta anche tu questa buo­
na abitudine per apprendere l’obbedienza: pensa sempre,
cioè, che il tuo superiore ti stia mettendo alla prova, e
cosi non sbaglierai mai.
1 2 5 . Se, nonostante i rimproveri incessanti del tuo supe­
riore, la fiducia e il tuo amore verso di lui crescono, sappi
che lo Spirito santo è venuto a dimorare invisibilmente nella
tua anima e la potenza dell’Altissimo ha steso la sua ombra
su di te (cf. Le 1,35). Ma tu non ti vantare e non gioire se
sopporti coraggiosamente oltraggi e umiliazioni, ma piangi
piuttosto, perché hai commesso un’azione del tutto meri­
tevole di violenza e hai eccitato un’anima contro di te!
1 2 6 . Non ti stupire di quel che sto per dire, perché ho
Mosè dalla mia parte: è meglio peccare contro Dio piut­
tosto che contro il nostro padre! Se infatti Dio si adira 728a
con noi, il nostro maestro ha il potere di riconciliarci con
lui (cf. Es 3 2 , 1 1 - 1 4 . 3 0 - 3 5 ; N m 1 6 , 1 6 - 3 5 ) . Se invece è il
nostro maestro ad adirarsi, non abbiamo più nessuno che
possa intercedere per noi. Ritengo però che i due casi si
riducano ad uno.
1 2 7 . Consideriamo, discerniamo e valutiamo attenta­
mente quando dobbiamo sopportare i rimproveri del no­
stro padre con gratitudine e in silenzio, e quando invece
dobbiamo dargli delle spiegazioni. La mia opinione è che
sia opportuno tacere in tutte le occasioni che possano
procurarci umiliazione, perché quello è appunto il mo­
mento di trarre profitto; ma nelle occasioni in cui sia co­
involta una terza persona, allora bisogna parlare, per
mantenere indissolubile il vincolo della carità e della pace
(cf. Col 3 , 1 4 ; E f 4 , 3 ) .

77 Cf. supra, IV,25.

163
1 2 8 . Coloro che hanno abbandonato l’obbedienza, te
728 b ne potrebbero testimoniare l’utilità: perché da quel mo­
mento hanno compreso in quale cielo si trovavano.
1 2 9 . Chi corre verso l’impassibilità e verso Dio, ogni
giorno in cui non è stato insultato, ritiene di aver subito
una grande perdita.
1 3 0 . Come gli alberi sbattuti dal vento mettono radici
profonde, cosi anche coloro che vivono in obbedienza si
formano anime forti e salde78.
1 3 1 . Chiunque vivendo nella quiete sia arrivato a rico­
noscere la propria fragilità, e poi, mutando condizione di
vita, abbia venduto se stesso all’obbedienza, costui, da
cieco che era, ha cominciato a vedere Cristo senza fatica.
1 3 2 . Rimanete saldi, rimanete saldi, e di nuovo ve lo ri­
peto: rimanete saldi nella vostra corsa, voi fratelli atleti,
ascoltando quel sapiente che grida di voi: Li ha provati
come oro nel crogiolo - o piuttosto nel cenobio - e li ha ac­
colti come olocausto nel suo seno (cf. Sap 3,6). A lui la glo-
728 c ria e la potenza per l’eternità, con il Padre che non ha
principio e lo Spirito santo e adorabile. Amen.

728 D Questo gradino ha lo stesso numero degli evangelisti.


L’atleta rimanga saldo nella sua corsa e senza paura!

78 Cf. Apoftegmi Nau 396: “Se l'albero non è scosso dal vento, non cresce,
né affonda le radici. Così anche il monaco: se non è tentato e non sopporta la
tentazione, non diventa coraggioso”.

164
Discorso V
SULLA PENITENZA ACCURATA E AUTENTICA
DOVE SI TRATTA ANCHE
DELLA VITA DEI SANTI “CONDANNATI”
E DELLA “PRIGIONE”

1. Una volta Giovanni precedette Pietro nella corsa (cf.


Gv 20,4), e ora qui l’obbedienza precede la penitenza1: il
discepolo che arrivò prima è modello di obbedienza, l’al­
tro di penitenza.
2. La penitenza è un rinnovamento del battesimo. La pe­
nitenza è un patto concluso con Dio per una seconda vita. Il
penitente è un uomo che vuole comprare l’umiltà. La peniten­
za è la rinuncia incessante a sperare nei conforti materiali. La
penitenza è un pensiero di autocondanna e una preoccupazio­
ne di sé senza preoccupazione. La penitenza è figlia della spe­
ranza e rinnegamento della disperazione. Il penitente è un
condannato che non prova più alcuna vergogna. La penitenza
è riconciliazione con il Signore attraverso la pratica delle virtù
contrarie ai peccati commessi. La penitenza è purificazione 764 c
della coscienza. La penitenza è sopportazione volontaria di
tutto ciò che ci affligge. Il penitente è l’artefice dei propri ca­
stighi. La penitenza è una mortificazione violenta del ventre
e una sferza che colpisce l’anima producendo un forte dolore.

1 In greco: metànoìa. Sul significato e sulla traduzione di questo termine cf.


infra, “Glossario”, s.v. “Penitenza/pentimento”.

16 5
3- Accorrete, avvicinatevi, venite e ascoltate, tutti voi
che avete irritato Dio, e vi racconteròl Radunatevi e vede­
te tutto ciò che Dio ha mostrato alla mia anima per la sua
edificazione (cf. Sai 6 5 , 1 6 ) ! Vogliamo dare il primo
posto, quello d’onore, a un racconto che narra di uomini
virtuosi che nel loro disonore sono degni d’onore.
4. Tutti noi che abbiamo subito qualche caduta impre­
vista, ascoltiamo, custodiamo e comportiamoci di conse­
guenza! Voi che giacete a terra a causa delle vostre cadu­
te, rialzatevi e mettetevi a sedere! Fate attenzione, fra­
telli miei, alle mie parole, piegate il vostro orecchio (cf.
Sai 7 7 , 1 ) , voi tutti che volete riconciliarvi con Dio attra­
verso una vera conversione!
764 d 5 a. Avendo sentito parlare, io pover’uomo, dello straor­
dinario e insolito genere di vita e dell’umiltà che si prati­
cava in quel monastero separato chiamato “Prigione”2 -
che dipendeva dall’autorità di quell’uomo che ho già men­
zionato sopra, vera luce delle luci -, supplicai quel giusto
di concedermi di visitarlo. Quel grand’uomo, non volen­
do in alcun modo contristare un’anima, accondiscese alle
mie preghiere.
b. Giunto dunque al monastero dei penitenti3, a quell'au­
tentica terra di piangenti, vidi veramente - se non sono

2 Cf. supra, IV,33.


3 Inizia qui la celebre descrizione del monastero dei penitenti chiamato
“Prigione (phylaké)”, spesso criticata e additata come esempio di estremismo
ascetico, ai limiti del masochismo e della patologia mentale (cf. per tutti P.
Miquel, Mystique et discemement, Beauchesne, Paris 1997, pp. 149-150). Come
ha ben notato però P. Deseille, “Pimento di edificazione che ha presieduto alla
sua redazione deve dissuaderci dal cercarvi una sorta di cronaca sulla vita quo­
tidiana di questi monaci: siamo in presenza di una serie di icone della peniten­
za, con la stilizzazione che questo implica. L’autore ne sottolinea e ne eviden­
zia i tratti, per far emergere il significato spirituale di questi esempi. Ci ingan­
neremo se volessimo vedere in queste pagine dei sintomi patologici, e se voles­
simo interpretarli secondo le categorie della psichiatria contemporanea.
Giovanni Climaco vuole mostrarci in questi penitenti Timmagine di un dolore
estremo, il dolore per la salvezza perduta che, lungi dal dissociare la persona­
lità, costituisce al contrario un potente fattore di riunificazione interiore, il più

166
troppo audace a parlare così - cose che rocchio di un uomo 765 A

negligente non vide mai, né udii l’orecchio di un uomo pigro,


né mai entrarono nel cuore di un uomo svogliato (cf. iCor
2,9): atti e parole capaci di far violenza a Dio, occupazio­
ni e comportamenti che in brevissimo tempo riescono a
piegare l’amore ch’egli nutre per gli uomini!
c. Ho visto alcuni di questi colpevoli innocenti stare al­
l’aria aperta per l’intera notte, fino al mattino, con i piedi
immobili, miseramente oppressi dal sonno per la violenza
della natura, senza però concedersi il minimo riposo, anzi
rimproverandosi e colpendosi con punizioni e offese per
scacciare il sonno. Altri, poi, li ho visti fissare il cielo con
uno sguardo capace di suscitare pietà, e con gemiti e
grida invocare da lassù un aiuto.
d. Altri stavano in preghiera con le mani legate dietro
la schiena come dei condannati, e tenevano i loro volti 765 b

scuri rivolti a terra giudicandosi indegni di levare lo sguar­


do verso il cielo: nella confusione dei loro pensieri e della
loro coscienza non sapevano cosa dire o chiedere a Dio,
né trovavano il modo o il mezzo per iniziare una preghie­
ra, ma si limitavano a mettere di fronte a Dio la loro
anima muta e la loro mente afona, piena di oscurità e di
pura disperazione.

efficace forse per coloro che non sono ancora pienamente illuminati dalla grazia
dello Spirito” (P. Deseille, “La dottrina spirituale di Giovanni Climaco”, p.
in). Su questa descrizione si vedano anche le osservazioni di Th. Merton,
“L’Echelle qui méne à Dieu”, in Contacts 21 (1969), pp. 136-137 ; J.
Chryssavgis, “Una spiritualità delPimperfezione”, in Giovanni Climaco e il
Sinai} pp. 175-177. In ogni caso, questa pagina di Climaco diventò per molte ge­
nerazioni di monaci un vero modello di penitenza, tanto che a partire da essa,
in una data incerta, fu composto un Canone penitenziale (,Kanòn katanyktikós),
un inno diviso in nove odi formate da più strofe (sul modello del Grande cano­
ne di Andrea di Creta), che viene riportato dalla maggioranza dei codici clima-
chei a partire dalTxi secolo. Per il testo del canone, cf. J. R. Martin, The
lllustration of thè Heavenly Ladder, pp. 128-149; I. Barnea, “Un manuscrit
byzantin illustre du X I siècle”, in Révue des études sud-est européennes I (1963),
pp. 321-324; T. Avner, “The Recovery of An Illustrated Byzantine Manuscript
of thè Early i2th Century”, in Byzantion 54 (1984), pp. 8-9.

167
e. Altri, seduti a terra su tela di sacco e cenere, si co­
privano il volto tra le ginocchia e battevano la fronte al
suolo. Altri si colpivano continuamente il petto ripensan­
do alla loro anima e alla loro vita passata. Alcuni di que­
sti bagnavano il pavimento con le loro lacrime; altri, inca-
765 c paci di piangere, si percuotevano. Alcuni levavano grida e
lamenti per le loro anime, come si fa per i morti, non
avendo la forza di sopportare l’angoscia del loro cuore.
Altri ruggivano nel profondo del loro cuore, soffocando
dentro la loro bocca il suono dei loro gemiti, ma a volte,
non potendo trattenersi, emettevano grida improvvise.
f. Là ho visto alcuni che per il loro comportamento e i
loro pensieri erano come fuori di sé: per la grande ango­
scia erano diventati muti, completamente ottenebrati e
come insensibili a tutti i bisogni di questa vita; la loro
mente era ormai sprofondata nell’abisso dell’umiltà e le
lacrime dei loro occhi ribollivano al fuoco del loro avvili­
mento. Altri se ne stavano seduti, immersi nei loro pen­
sieri, con gli occhi rivolti a terra, scuotendo continua-
mente il capo e, come leoni, traevano ruggiti e gemiti dal
profondo del cuore fino ai loro denti.
765 d g. Alcuni di loro, pieni di speranza, chiedevano e invo­
cavano una remissione completa dei loro peccati; altri,
nella loro ineffabile umiltà, si giudicavano indegni di tale
remissione e gridavano di non avere la forza di giustifi­
carsi davanti a Dio. Alcuni chiedevano con insistenza di
essere castigati quaggiù, per ricevere misericordia lassù;
768 a altri, schiacciati sotto il peso della loro coscienza, diceva­

no sinceramente: “Ci basta non essere puniti, anche senza


meritare il Regno!”.
h. Là ho visto anime umili, piene di contrizione, pie­
gate sotto il peso del loro fardello, e capaci di commuo­
vere perfino le pietre insensibili con le grida che rivolge­
vano a Dio. Infatti, tenendo gli occhi fissi a terra diceva-

168
no: “Lo sappiamo, lo sappiamo bene, che siamo degni di
ogni castigo e tormento, e giustamente!, giacché ormai
non saremmo in grado di soddisfare la quantità dei nostri
debiti, neppure se convocassimo il mondo intero a pian­
gere per noi! Questo soltanto chiediamo, imploriamo e
supplichiamo: Non rimproverarci con collera e non correg- 768 b

gerci nella tua ira (Sai 6,2); non punirci nel tuo giusto giu­
dizio, ma risparmiaci! Ci basta essere liberati dalla tua
grande minaccia e dai tormenti sconosciuti e nascosti!
Non osiamo chiedere infatti la remissione completa dei
nostri peccati, giacché come potremmo farlo, noi che non
abbiamo custodito senza macchia la nostra professione,
ma l’abbiamo profanata, dopo aver ricevuto la tua mise­
ricordia e il tuo perdono ?”4.
i. Là, amici, proprio là, si potevano vedere veramente
realizzate le parole di David: Uomini afflitti e prostrati fino
al termine della loro vita, camminavano tutto il giorno con
volto triste, esalavano fetore dalle piaghe imputridite del
loro corpo (cf. Sai 37,7-6), ma non se ne curavano affat­
to; si dimenticavano di mangiare il loro pane, mescolavano
con le lacrime l’acqua che bevevano, mangiavano cenere e
polvere insieme al pane; le loro ossa aderivano alla loro 768 c
carne ed erano inariditi come l’erba (cf. Sai 1 0 1 , 5 . 1 0 . 6 . 1 2 ) .
Da loro non si potevano udire altre parole che queste:
“Ahi, ahi! Ohimè, ohimè! E giusto, è giusto! Risparmiaci,

4 Secondo la comprensione comune a molti padri orientali la professione mo­


nastica è un “secondo battesimo” e assicura la remissione completa dei pecca­
ti. La stessa idea si ritrova nei rituali bizantini della professione monastica che
raccolgono l’eredità di tutta la tradizione precedente: “E un secondo battesimo
che oggi ricevi, fratello, per effetto della sovrabbondanza di grazie riversate da
questo Dio che ama gli uomini! Oggi sei purificato dai tuoi peccati e diventi fi­
glio della luce!” (Euchologìon, p. 408; cf. P. Raffin, Les rìtuels orientaux, pp.
169-177). Sul tema cf. E. Malone, “Martyrdom and Monastic Profession as
Second Baptism”, in Vom Christlichen Mysterìum, a cura di A. Mayer, J.
Quasten e B. Neunheuser, Patmos-Verlag, Dusseldorf 1951, pp. 115-134.
risparmiaci, Signore!”. Alcuni dicevano: “Abbi pietà! Abbi
pietà!”. Altri poi, ancor più pietosamente: “Perdonaci,
Signore, perdonaci, se è possibile!”.
l. Si vedevano alcuni che avevano la lingua riarsa e pen­
zolante dalla bocca come cani. Alcuni si punivano espo­
nendosi al sole bruciante; altri si torturavano con il fred­
do. Alcuni, dopo aver gustato appena un sorso d’acqua,
proprio per non morire di sete, smettevano di bere; altri,
dopo aver assaggiato un pezzetto di pane, gettavano via il
resto con la mano, dicendo di non essere degni di nutrirsi
768 d come esseri umani, poiché si erano comportati come bestie.
m. Quando mai tra di loro avresti potuto notare qual­
cosa di simile a una risata ? Quando parole vane ? Quando
uno scatto di collera o d’ira? Anzi, neppure sapevano se
esisteva ancora l’ira tra gli uomini, giacché la loro afflizio­
ne aveva completamente estinto l’ardore del loro animo!
Quando mai avresti potuto notare una disputa? Quando
mai un momento di festa? Quando mai una parola detta
in libertà? Quando mai un po’ di cura per il corpo?
Quando mai una traccia di vanagloria? Quando mai la
speranza di una qualche delizia? Quando mai il pensiero
del vino? Quando mai l’assaggio di un frutto? Quando
mai il conforto di un buon piatto caldo ? Quando mai uno
sfizio della gola? In loro, infatti, si era ormai spento il de­
siderio di tutte queste cose! Avevano forse la minima
preoccupazione mondana, o l’abitudine di giudicare chic-
769a chessia tra gli uomini? No, nel modo più assoluto!
n. Ecco poi ciò che dicevano, meditavano e gridavano
ininterrottamente al Signore. Alcuni, battendosi violente­
mente il petto, dicevano al Signore, come se si trovassero
davanti alla porta del cielo: “Aprici, o giudice, aprici, per­
ché con i nostri peccati ci siamo chiusi fuori!”. Altri dice­
vano: “Fa' risplendere il tuo volto e saremo salvi/” (Sai
79,4). Altri: “Mostrati agli umili che giacciono nelle tenebre
e nell’ombra della morte1.” (cf. Le 1,79). Altri ancora: “Ci
venga presto incontro la tua misericordia, Signore, perché
siamo perduti, disperati e completamente senza vita ! ” (cf.
Sai 78,8). Alcuni poi dicevano: “Il Signore farà ancora ri­
splendere il suo volto su di noi?” (cf. Sai 66,2); e altri:
“Potrà forse la nostra anima attraversare il mare insupera­
bile del suo debito?” (cf. Sai 123,5). Altri ancora: “Forse
il Signore si muoverà ancora a compassione di noi (cf. Dt 769 b
32,36; 2Mac 7,6) ? Noi che ci troviamo in queste catene im­
possibili da sciogliere potremo mai udire la sua voce che ci
dice: ‘Uscite fuori! ’ (cf. Is 49,9) ? E a noi che siamo negli in­
feri della penitenza, dirà forse: ‘Siete perdonati! ’ ? Il nostro
grido è forse giunto agli orecchi del Signore?” (cf. Sai 17,7).
o. Tutti costoro vivevano tenendo costantemente la mor­
te davanti ai loro occhi e dicevano: “Quale sarà la nostra
sorte? Quale la nostra sentenza? Quale la nostra fine? C’è
forse per noi una possibilità di ritorno alla vita? C’è forse
un perdono per noi che siamo nelle tenebre, per noi misera­
bili condannati? La nostra preghiera è forse riuscita ad ar­
rivare al cospetto del Signore (cf. Sai 87,3), oppure è stata
giustamente respinta, umiliata e confusa ? E se veramente è
arrivata davanti al Signore, quale profitto ha ottenuto?
Quale grazia ? Quale frutto ? E uscita infatti da bocche e da
corpi immondi, e non ha molta forza. Ci ha riconciliati in­
teramente con il nostro giudice, o solo in parte? O forse 769c
solo per la metà delle nostre piaghe? Esse, infatti, sono
veramente grandi, e ci richiedono grandi fatiche e sudori, e
molte sofferenze ! Gli angeli custodi si sono avvicinati a noi,
oppure sono ancora lontani da noi ? Finché quelli non si av­
vicinano a noi, infatti, tutta la nostra fatica sarà inutile e
vana: la nostra preghiera non ha la forza della franchezza5,

5 In greco: parrhesia; per i significati di questo termine cf. infray “Glos­


sario”, s.v. “Familiarità”.

171
né le ali della purezza, per accedere al cospetto del
Signore, a meno che i nostri angeli protettori non si av­
vicinino a noi, la prendano e gliela offrano ! ”.
p. Nel dubbio, spesso si interrogavano l’un l’altro e di­
cevano: “Forse, fratelli, abbiamo ottenuto qualcosa? Ab­
biamo raggiunto ciò che abbiamo chiesto nella preghiera ?
Ci accoglie di nuovo il Signore? Ci apre la porta?”. E altri
a queste domande rispondevano: “Chi può sapere - come
dicevano i nostri fratelli niniviti - se il Signore si pentirà
769d (Gn 3,9), e se ci libererà almeno dal grande castigo?
Comunque, noi facciamo quel che è in nostro potere, e se
lui ci aprirà, bene; altrimenti sia benedetto il Signore Dio
che ci esclude giustamente! Continuiamo però a bussare
fino alla fine della nostra vita, perché forse colui che è
buono ci aprirà per la nostra grande impudenza e insisten­
za (cf. Mt 7,7-11; Le 11,5-13)!”. Perciò incitandosi a vi­
cenda dicevano: “Corriamo, fratelli, corriamo! Abbiamo
bisogno di correre, infatti, e di correre con tutte le nostre
forze, perché siamo rimasti indietro rispetto alla nostra
nobile compagnia! Corriamo, senza risparmiare questa
nostra carne sudicia e corrotta, ma uccidiamola, come
essa ci ha ucciso!”6. E così facevano effettivamente quei
beati colpevoli.
772 a q. Tra loro si potevano vedere ginocchia indurite per la
quantità di metanìe, e occhi consumati e profondamente
incavati; erano senza capelli; avevano le guance piagate e
infuocate dal bollore delle loro calde lacrime; i loro volti
erano rinsecchiti e pallidi, in nulla diversi da quelli dei ca­
daveri; i loro petti erano doloranti per le piaghe, ed essi,

6 La “carne” (cioè la natura umana nella condizione mortale e decaduta del


peccato) uccide l’uomo per mezzo delle passioni, che sono come una morte. C’è
forse un’eco del celebre detto di abba Doroteo riportato da Palladio in Storia
lausiaca 2,2: “[Il corpo] mi uccide, e io lo uccido!”.

172
a causa dei pugni che si davano sul petto, erano costretti
a sputare sangue. E poi, dov’era mai un giaciglio? Dove
vestiti puliti e in buono stato? Tutto era rotto, insozza­
to e coperto di pulci! Cos’è in confronto la sofferenza
degli indemoniati, di coloro che piangono i morti, o di co­
loro che vivono in esilio? E cos’è in confronto la pena
degli omicidi? Le torture e i castighi involontari di que­
sti ultimi non sono davvero niente a paragone di quelli
che essi si imponevano volontariamente! Vi prego però, 772 B
fratelli, di non considerare favole le cose che sto dicendo.
Essi spesso supplicavano quel grand’uomo, intendo il pa­
store, quell’angelo tra gli uomini, di metter loro ferri e
catene ai polsi e al collo, di stringere i loro piedi in ceppi,
e di non liberarli prima che la tomba li avesse accolti;
anzi non volevano neppure la tomba!
r. Non voglio nascondervi, infatti, neppure quest’altro
modo, veramente degno di pietà, con cui quei beati mani­
festavano la loro umiltà, il loro amore per Dio pieno di
contrizione e la loro penitenza. Quando erano sul punto di
passare al Signore e di comparire davanti al suo tribunale
imparziale, quei nobili cittadini di questa terra della peni­
tenza supplicavano il superiore, per tramite del loro prepo- 772 C
sito7, di giurar loro di non onorarli con umana sepoltura,
ma di gettarli come bestie nella corrente del fiume o in
campagna, in pasto alle fiere. E spesso quell’autentico
lume di discernimento acconsentì a fare ciò, ordinando che
fossero portati via senza salmodia e senza onori funebri.
s. Com’era terribile e degno di pietà lo spettacolo della
loro ultima ora! Appena infatti i compagni si accorgeva­
no che uno di loro se ne stava andando precedendoli nella
morte, quando ancora quello era in grado d’intendere, lo

7 Si tratta dell’Isacco nominato in IV,33.

173
circondavano, e assetati, piangenti e spinti da un arden­
te desiderio, con atteggiamento di estrema pietà, con
voce triste e scuotendo la testa, interrogavano il moren-
772 d te, e ardenti di compassione gli dicevano: “Come va, fra­
tello e compagno di condanna? Cosa dici? Cosa speri?
Cosa ti aspetti ? Hai ottenuto ciò che cercavi con le tue fa­
tiche, o non ci sei riuscito? Hai raggiunto il tuo scopo o
no? Hai ricevuto un’intima certezza, oppure hai ancora
una speranza incerta? Hai raggiunto la libertà, o il tuo
pensiero è ancora sconvolto e assediato dai dubbi? Hai
percepito una qualche illuminazione nel tuo cuore, o esso
è ancora preda delle tenebre e dell’umiliazione ? Hai sen­
tito dentro di te una voce dirti: Ecco sei guanto! (Gv
5,14), o: Ti sono rimessi i tuoi peccati! (Mt 9,2 par.), o: La
tua fede ti ha salvato! (Mt 9,22 par.); oppure ti sembra di
sentire ancora quell'altra voce che dice: Vadano all’infer­
no i peccatori! (Sai 9,18), e: Legatelo mani e piedi e gettate­
lo nelle tenebre! (Mt 22,13), e ancora: L’empio sia tolto di
773 a mezzo, perché non veda la gloria del Signore (Is 26,10)?
Insomma cosa dici, fratello ? Rispondici, ti supplichiamo,
perché anche noi possiamo conoscere a che cosa andiamo
incontro! Infatti il tuo tempo è finito, e non ne avrai altro
per tutta l’eternità!”.
t. A queste domande alcuni dei morenti rispondevano:
“Sia benedetto il Signore che non ha respinto la mia preghie­
ra e la sua misericordia lontano da me!” (Sai 65,20); altri
ancora: “Sia benedetto il Signore che non ci ha consegnato
in preda ai loro denti!” (Sai 123,6). Altri dolorosamente
dicevano: “Potrà la nostra anima attraversare le acque insor­
montabili degli spiriti dell’aria?”(cf. Sai 123,5). E lo di­
cevano perché non avevano ancora una piena fiducia, ma
aspettavano di vedere cosa sarebbe successo al momento
della resa dei conti. Altri poi rispondevano in modo ancor
più triste, e dicevano: “Guai a quell’anima che non avrà

i 74
custodito integra la sua professione! In quest’ora, e in 773b
questa soltanto, conoscerà quale sorte le è stata riserva­
ta! Ed io, dopo aver visto e udito tali cose tra loro, ero
sul punto di cadere nella disperazione, considerando la
mia negligenza e mettendola a confronto con tutti i loro
patimenti!
u. E com’era poi il luogo in cui risiedevano e abitavano ?
Completamente oscuro, maleodorante, sudicio e squallido
- giustamente infatti era chiamato “Prigione” e “Peniten­
ziario”-, al punto che anche la sola vista del luogo poteva
insegnare la perfetta penitenza e afflizione! Ma ciò che è
duro e insopportabile per altri, risulta gradevole per colo­
ro che hanno perduto la virtù e la ricchezza spirituale.
Un’anima, infatti, che non ha più la franchezza di un
tempo, che ha perduto la speranza dell’impassibilità, ha
rotto il sigillo della castità, si è lasciata spogliare della rie- 773 c
chezza dei suoi carismi, è diventata estranea alla consola­
zione spirituale, ha violato il patto concluso con il
Signore, ha spento il bel fuoco delle lacrime, e che, al ri­
cordo di tutte queste cose, è ferita e dolorosamente trafit­
ta dal rimorso, quest’anima, dico, non solo accetta queste
fatiche con tutto lo zelo di cui è capace, ma nel suo fervo­
re cerca addirittura di darsi la morte attraverso l’ascesi, se
solo rimane in lei una piccola scintilla d’amore e di timo­
re del Signore. Ed ecco com’erano veramente quegli uo­
mini beati!
v. Avendo in mente questi pensieri e riflettendo da
quale altezza di virtù erano caduti, dicevano: “Ci ricor­
diamo dei giorni di un tempo (cf. Sai 142,5) e dell’ardo­
re del nostro zelo”; altri gridavano a Dio: “Dov’è la tua
misericordia di un tempo, Signore, quella che hai mostrato
alla mia anima nella tua verità? Ricordati dell’infamia e 773 d
della sofferenza dei tuoi servi” (cf. Sai 88,50-51). E un
altro diceva: “Chi mi farà ritornare ai mesi di un tempo,

*15
quando Dio mi custodiva, quando la lucerna della sua luce
risplendeva sul capo del mio cuore?” (cf. Gb 29,2-3).
Come si ricordavano poi delle virtù di una volta! Le
776 a rimpiangevano come bambini, e dicevano: “Dov’è finita

la purezza della preghiera ? Dove la franchezza che aveva­


mo in essa? Dove quelle dolci invece di queste amare la­
crime? Dove la speranza di una castità e di una purezza
perfette? Dove l’attesa della beata impassibilità? Dove la
fiducia nel pastore ? Dove l’efficacia della sua preghiera in
noi? Tutto è perduto, tutto è passato, come se non fosse
mai apparso! E scomparso e svanito, come se non fosse
mai esistito ! ”.
w. Mentre dicevano queste cose e si lamentavano, alcu­
ni si auguravano di essere posseduti da un demonio, altri
supplicavano il Signore di ammalarsi di epilessia8, altri di
perdere gli occhi, offrendo così a tutti uno spettacolo
degno di pietà, altri di diventare paralitici e infermi, pur di
non sperimentare i tormenti della vita futura. E io, o amici,
776 b compenetrandomi nella loro afflizione, mi dimenticai di me

stesso, e fui completamente rapito nella mente, senza ri­


uscire a dominarmi. Ma torniamo al nostro discorso.
x. Dopo essere dunque rimasto per trenta giorni nella
prigione, non essendo capace di rimanervi di più, me ne
tornai al monastero principale, da quel grande anziano.
Ed egli, vedendomi tutto stranito e fuori di me, nella sua
somma sapienza comprese il motivo della mia trasforma­
zione, e mi disse: “Cosa succede, padre Giovanni? Hai
visto i combattimenti di quei faticatori?”. E io gli rispo­
si: “Li ho visti, padre, e ne sono rimasto ammirato, anzi
ho stimato più beati loro, che sono caduti e ora piangono
se stessi, di quelli che non sono caduti e non piangono se

8 Lett.: “Della malattia sacra”.


stessi, perché essi, a causa della loro caduta, sono risorti
con una risurrezione che è al sicuro da ogni pericolo!”9.
Ed egli mi disse: “E proprio così!”.
y. Poi, con quella sua lingua che non mente, si mise a
farmi un racconto: “Dieci anni fa - mi disse - avevo qui 7760
un fratello talmente pieno di zelo e di buona volontà, che
io vedendolo così fervente di spirito avevo paura per lui,
temendo l’invidia del diavolo: che cioè, a forza di corre­
re, egli inciampasse col piede in qualche sasso, come suole
accadere a quelli che camminano velocemente. Ed è pro­
prio ciò che avvenne. Quindi, una sera tardi, venne da
me, mise a nudo la sua ferita10, e mi chiese un rimedio,
supplicandomi di usare il cauterio. Era agitatissimo, e ve­
dendo che il medico non era disposto a usare con lui un
rimedio troppo severo - poiché era degno di compassione
-, si gettò a terra, mi afferrò i piedi bagnandoli abbondan­
temente con le sue lacrime e mi supplicò di condannarlo
alla prigione che hai appena visto: ‘E impossibile - grida­
va - che io non ci vada! E impossibile!’. Quindi costrin­
se il medico a mutare la sua clemenza in severità: cosa 776 d

rara e del tutto straordinaria per dei malati! Raggiunse in


fretta i penitenti e cominciò a condividere la loro afflizio­
ne diventando un loro zelante compagno. Trafitto nel
cuore dal dolore che provava per amore di Dio, come da
una spada, otto giorni dopo se ne andò al Signore, chie­
dendo di non ricevere sepoltura. Ma io lo feci portare qua
e seppellire insieme ai padri, come meritava. Così, dopo
una settimana di schiavitù, l’ottavo giorno fu liberato11.
C’è poi chi ha saputo con certezza che egli non si era an-

9 Cf. infra, XV,30; XXVI/1,11.


10 Fuor di metafora: confessò il suo peccato.
11 L'ottavo giorno è il giorno della risurrezione di Cristo, che annuncia la

vita eterna, la quale supera il tempo della vita umana scandito dai sette giorni
della settimana. Cf. anche infra, XXVII/2,2, n. 2.

177
cora alzato dai miei piedi indegni e sudici, che Dio l’ave­
va già perdonato. E non c’è da farne meraviglia, perché,
avendo accolto nel proprio cuore la fede di quella prosti-
777 a tuta dell’evangelo (cf. Le 7,38), anch’egli bagnò i miei po­
veri piedi con la stessa intima fiducia: Tutto è possibile a
chi crede (Me 9,23), dice il Signore!”.
6. Ho visto anime impure furiosamente invischiate
negli amori carnali, le quali, avendo tratto dall’esperien­
za di quell’amore passionale occasione di penitenza, tra­
sferirono poi lo stesso amore passionale sul Signore e, cal­
pestato immediatamente ogni timore, si sentirono insa­
ziabilmente spronate all’amore di Dio. Perciò il Signore
non disse a quella casta peccatrice che aveva provato ti­
more, ma che aveva molto amato (cf. Le 7,47), e così
aveva potuto facilmente scacciare l’amore con l’amore12.
7. Non ignoro, miei onorati fratelli, che le lotte di que­
gli uomini beati da me narrate, ad alcuni sembreranno in­
credibili, ad altri quantomeno difficili da credere, e per
altri ancora saranno motivo di disperazione. Ma l’uomo
coraggioso da questi racconti trarrà piuttosto uno stimo-
777 b lo, come una freccia infuocata, e se ne andrà con il cuore
ardente di zelo. Chi poi ha un ardore minore, riconosce­
rà la propria debolezza e, acquistando facilmente l’umil-

12 L'amore terreno, cioè, viene scacciato dall'amore di Dio. Per esprimere


entrambi gli amori si usa la parola èros,"amore passionale”: Climaco dipende qui
da una lunga tradizione, che attraverso Gregorio di Nissa e lo Pseudo-Dionigi
risale fino a Origene, la quale, sulla scorta di alcuni passi biblici (Pr 4,6; Sap 8,2
LXX) e di un passo di Ignazio di Antiochia {Ai Romani 7,2: “Il mio amore è stato
crocifisso”), ha finito per annullare la distinzione originaria tra èros, come
“amore umano” possessivo, e agape, come “amore divino” oblativo, definendo
anzi l’èros come un amore più intenso e per questo più adatto a esprimere la pas­
sione degli amanti di Dio (cf. Gregorio di Nissa, Sul Cantico dei cantici XIII, p.
383; Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, I nomi divini IV,12). Su questo tema, cf. A.
Nygren, Eros e Agape, Il Mulino, Bologna 1971, pp. 388-389; 604-605; I. de
Andia, Mystiques d'Orient et d'Occident, Abbaye de Befiefontaine, Bégrolles-en-
Mauges 1994, pp. 211-240. Cf. anche supra, “Introduzione”, pp. 47-53.

178
tà con i rimproveri che rivolgerà a se stesso, correrà die­
tro al primo; e non so se addirittura non lo possa raggiun­
gere. Il negligente invece non ascolti questi racconti, per­
ché, cadendo nella completa disperazione, non dissipi
anche quel poco che ha fatto finora, e si compia così per
lui la parola che dice: A chi non ha buona volontà, sarà
tolto anche ciò che ha (cf. Mt 25,29)!
8. Se siamo caduti nella fossa dei peccati, non potremo
mai uscirne fuori senza esserci sprofondati nell’abisso
dell’umiltà dei penitenti!
9. Altra è la mesta umiltà di coloro che si affliggono
dei propri peccati, altro è il rimorso di coscienza di colo- 777 c
ro che sono ancora nel peccato, e altra è la beata dovizia
di umiltà che i perfetti raggiungono per mezzo della gra­
zia di Dio che opera in loro. Ma non affanniamoci a in­
vestigare con parole questa terza forma di umiltà, perché
correremmo invano! Della seconda è segno il sopportare
pazientemente ogni tipo di umiliazione. Quanto a chi si
affligge dei propri peccati, anch’egli spesso è tiranneggia­
to dalle proprie predisposizioni passionali13, e non c’è da
farne meraviglia.
10. Il discorso sui giudizi di Dio e sulle nostre cadute è
oscuro, e nessun’anima umana riesce a comprendere quali
cadute siano frutto di negligenza, quali di un abbandono
provvidenziale, e quali di un’allontanamento da parte di
Dio. Qualcuno però mi ha spiegato che le cadute che de­
rivano da una disposizione provvidenziale sono seguite da
un rapido pentimento, perché Dio che ci ha consegnato a
esse, non può permettere che ne siamo dominati a lungo.
11. Noi che siamo caduti in peccato, però, combattia- 777 d
mo prima di tutto contro il demone della tristezza: co-

13 Esse diventano per lui occasioni di umiltà.

179
stui, infatti, presentandosi a noi al momento della pre­
ghiera, e ricordandoci la franchezza che un tempo aveva­
mo in essa, cerca così di renderla inefficace.
12. Non turbarti se cadi ogni giorno e non arrenderti,
ma resisti con coraggio, e il tuo angelo custode certamen­
te renderà onore alla tua perseveranza. Quando la ferita
è ancora recente e calda, è facile da curare; quelle che in­
vece sono ormai croniche, per il fatto che sono state ne­
glette e trascurate, sono difficilmente guaribili, e la loro
cura richiede molta fatica e che vi si applichi il ferro, la
polvere disseccante e il fuoco!
13. Molte ferite col tempo diventano incurabili, ma a
Dio tutto è possibile (Mt 19,26)! Prima della caduta i de-
780 a moni affermano che Dio è misericordioso14, ma dopo la
caduta, che è inflessibile.
14. Se, dopo un grosso peccato, ti capita di commette­
re piccole mancanze, non dar retta a colui che ti dice:
“Magari tu non avessi fatto quello! Questo qui infatti
non è niente! ”. Spesso infatti dei piccoli doni sono riusci­
ti a placare la grande ira del giudice.
15. Chi si sottopone a un sincero esame di coscienza,
ritiene perduto ogni giorno nel quale non si sia afflitto
dei propri peccati, anche se in esso ha fatto qualche altra
buona azione.
16. Nessuno di coloro che piangono i propri peccati at­
tenda il momento della propria morte per acquisire una
piena certezza15 del perdono, perché ciò che è ignoto16 è
insicuro. Per questo qualcuno disse: Dammi sollievo con
una piena certezza e riprenderò fiato, prima che me ne vada
di qui incerto della mia sorte (cf. Sai 38,14).

14 Lett.: “Amico degli uomini (philantbropon)”.


15 In greco: plerophoria. Su questo termine, cf. infra, “Glossario”, s.v.
“Certezza”.
16 Come appunto il momento della morte.

180
17. Dove c’è lo Spirito del Signore, ogni legame è sciolto
(cf. 2Cor 3,17)! Dove c’è umiltà profonda, ogni legame è
sciolto ! Ma coloro che partono da questa vita senza avere que­
ste due certezze, non s’illudano, perché sono ancora legati.
18. Solo coloro che vivono nel mondo sono estranei a
queste due certezze, e soprattutto alla prima. Tuttavia al- 780 b
cuni compiono la loro corsa praticando l’elemosina, e
così, al momento di partire dalla vita, scoprono quel che
hanno guadagnato.
19. Chi piange se stesso non si accorgerà né del pian­
to né delle cadute degli altri, né dei rimproveri che ven­
gono loro mossi.
20. Un cane morso da una fiera, le si rivolta contro con
più rabbia, e per il dolore della ferita s’infuria contro di
lei con violenza ancora maggiore.
21. Stiamo attenti che la coscienza non smetta di rim­
proverarci, non per aver raggiunto la purezza, ma per es­
sere stata sommersa dal male!
22. Segno della remissione dei peccati è il fatto di ri­
tenersi sempre debitori.
23. Non c’è niente che possa eguagliare o superare la mi­
sericordia di Dio. Perciò, colui che dispera uccide se stesso.
24. Segno di autentica penitenza è il fatto di ritenersi
di tutte le tribolazioni visibili e invisibili che ci ca­
pitano, e di tribolazioni ancora più grandi. 780 c
25. Mosè, dopo aver visto Dio nel roveto, ritornò in
Egitto (cf. Es 3,2-4; 4,20), ossia nelle tenebre, a fabbri­
care mattoni per il faraone (cf. Es 1,14; 5,6-i4)17 - da in-

17 Per l’interpretazione spirituale di questi passi, cf. Gregorio di Nissa, Vita


di Mosé 11,59-61: “Il demonio, nocivo e rovinoso, si adopera contro gli uomini,
perché chi gli è soggetto non guardi al cielo ma resti chino verso terra e faccia
mattoni col fango. Infatti a tutti è chiaro che quanto appartiene al godimento
materiale deriva tutto dalla terra e dall’acqua, sia che ci s’interessi al ventre e
alla gola, sia anche che si miri alla ricchezza”; Doroteo di Gaza, Insegnamenti
XIII,145. Cf. anche infray DP ioo,c.

181
tendere ugualmente in senso spirituale ma poi tornò
ancora al roveto, e non solo, ma salì anche sul monte (cf.
Es 19,3). Colui che ha sperimentato la visione di Dio,
non potrà mai disperare di se stesso! Il grande Giobbe
cadde in miseria, ma poi riebbe le sue ricchezze in misu­
ra doppia (cf. Gb 42,10).
26. Per gli svogliati, le cadute che avvengono dopo la
chiamata alla vita monastica, sono pericolose, perché to­
gliendo loro la speranza di raggiungere l’impassibilità, li
convincono a stimare una beatitudine anche il solo fatto
di rialzarsi dal baratro.
27. Stai attento, stai attento, perché non possiamo
certo ritornare a Dio per il cammino con il quale ci siamo
traviati, ma per un altro più corto18!
28. Ho visto due uomini che correvano verso Dio sulla
stessa via e contemporaneamente: uno di loro era anzia-
780 d no e avanzato nelle fatiche ascetiche; l’altro, che era suo

discepolo, corse più veloce dell’anziano e giunse per primo


al sepolcro dell’umiltà (cf. Gv 20,4).
29. Facciamo tutti attenzione - soprattutto quanti
siamo caduti - a non contrarre nel nostro cuore il morbo
dell’ateo Origene, perché quel morbo impuro, esibendo
la misericordia di Dio, trova facile accoglienza presso chi
è incline ai piaceri19 ! Ma nella mia meditazione, anzi nella
mia penitenza, si accenderà il fuoco della preghiera che
brucerà la materia20 (cf. Sai 38,4).

18 Cioè attraverso Pumiltà.


19 II riferimento è alla dottrina di Origene sull’apocatastasi, o redenzione
universale di giusti ed empi, formalmente condannata dal quinto concilio ecu­
menico (553). SulPantiorigenismo di Climaco, cf. G. D. Martzelos, “Il fonda­
mento teologico della spiritualità dei padri sinaiti”, in Giovanni Climaco e il
Sinai, pp. 76-79.
20 Cioè i vizi.

182
30. Misura, esempio, modello e immagine della tua pe­
nitenza siano quei santi “condannati” di cui abbiamo par­
lato sopra, e non avrai più bisogno di alcun libro in que­
sta vita, finché il Cristo, lui che è il Figlio di Dio e Dio, 781 a
non ti illuminerà facendoti risorgere con un’autentica pe­
nitenza. Amen.

Hai raggiunto il quinto gradino, tu che hai fatto peni­


tenza! Con essa infatti hai purificato i cinque sensi, e con
la punizione e il castigo volontariamente scelti, hai evita­
to quelli forzati!

183
Discorso VI
SUL RICORDO DELLA MORTE

1. Come il pensiero precede ogni parola, così il ricor­


do della morte e dei peccati precede il pianto e l’afflizio­
ne. Per questo nel nostro discorso li abbiamo collocati se­
condo l’ordine loro proprio.
2. Il ricordo della morte è una morte quotidiana. Il ri­
cordo della propria dipartita è un gemito continuo.
3. La paura della morte è una proprietà della nostra na­
tura che è frutto della disobbedienza. Il terrore della
morte, invece, è indizio di peccati per cui non si è fatto
penitenza.
4. Cristo ha avuto paura non terrore della morte, per 793
mostrare con chiarezza le proprietà delle sue due nature.
5. Come il pane è più necessario di tutti gli altri ali­
menti, così il pensiero della morte rispetto a tutte le altre
pratiche.
6. Il ricordo della morte, in coloro che vivono in mezzo
ad altri fratelli, produce la sopportazione delle fatiche, la
meditazione sui propri peccati e soprattutto il gusto del­
l’umiliazione; in coloro che vivono lontano dai rumori1,
invece, l’abbandono delle preoccupazioni, la preghiera in­
cessante e la custodia della mente. Ma queste cose oltre a
essere figlie sono anche madri di tale ricordo della morte.

1 Cioè nelPesichia, ovvero nella vita eremitica.


7- Come lo stagno risulta chiaramente distinto dall’ar­
gento, anche se per l’aspetto gli somiglia, così chi ha di-
scernimento distingue in modo chiaro e netto la paura na­
turale della morte da quella contro natura.
8. Il vero segno che mostra chi si ricorda della morte
con tutto il proprio cuore, è il volontario distacco da ogni
creatura e il completo abbandono della volontà propria.
793 d Chi l’attende ogni giorno è un monaco provato, ma chi la

desidera in ogni momento è un santo.


9. Non ogni desiderio della morte è buono. Ci sono in­
fatti quelli che, cadendo continuamente nel peccato per la
forza dell’abitudine, implorano la morte con umiltà; ci
sono poi quelli che, non volendo far penitenza, la invoca­
no per disperazione; ci sono ancora quelli che non ne
hanno più paura perché, nella propria presunzione, si ri­
tengono ormai impassibili; e infine ci sono quelli - se pure
ve ne sono ancora! - che desiderano la propria dipartita
per impulso dello Spirito santo.
10. Alcune persone pie non riescono a capire come mai,
se davvero il ricordo della morte è per noi così salutare, Dio
ci abbia nascosto la conoscenza anticipata del suo momento;
ma non comprendono che in questo modo Dio realizza mi-
796 arabilmente la nostra salvezza. Nessuno, infatti, se conosces­
se in anticipo il momento della propria morte, si affrettereb­
be ad accostarsi al battesimo o alla vita monastica, ma spen­
derebbe tutti i suoi giorni nell’iniquità e si precipiterebbe
verso il battesimo e la penitenza soltanto nel giorno della sua
dipartita; anche se ormai, corrotto dal vizio a motivo della
lunga abitudine, resterebbe assolutamente incorreggibile.
11. Quando sei nell’afflizione per i tuoi peccati, non
ascoltare mai quel cane che ti suggerisce che Dio è mise­
ricordioso2, perché il suo scopo è allontanare da te l’affli-

2 Lett.: “Amico dell’uomo {phìlànthroponf.

186
zione e quel timore che scaccia ogni timore; a meno che
tu non ti veda trascinato nell’abisso della disperazione.
12. Colui che vuole mantenere sempre in se stesso il ri­
cordo della morte e del giudizio di Dio e poi si abbando­
na alle preoccupazioni e alle distrazioni materiali, è simi­
le a colui che mentre nuota vuole battere le mani.
13. Il vivo ricordo della morte spinge a ridurre il cibo;
e quando, in tutta umiltà, il cibo viene ridotto, vengono 796 b
recise con esso anche le passioni.
14. L’assenza di dolore nel cuore indurisce la mente.
L’abbondanza di cibo inaridisce le fonti3. La sete e la ve­
glia affliggono il cuore; ma quando il cuore è afflitto,
sgorgano le acque.
15. Queste parole sembreranno dure ai golosi e incre­
dibili ai fannulloni, ma l’uomo operoso cercherà subito di
metterle alla prova con zelo; colui che ne ha fatto espe­
rienza ne sorriderà, ma colui che ancora ne ricerca il
senso, sarà più triste che mai.
16. Come i padri affermano che la carità perfetta non
cade mai in errore4, così io, da parte mia, dichiaro che la
perfetta coscienza della morte è esente da timore.

3 Cioè le lacrime di compunzione.


4 L’idea che chi ha raggiunto la carità perfetta non può più cadere nel pec­
cato è frutto dell’interpretazione di iCor 13,8 (“la carità non cade mai”) e ri­
corre spesso nei padri, in particolare nello Pseudo-Macario: cf. Omelie (Coll.
Il) 26,16: “Se anche possedessi tutti i carismi e consegnassi il mio corpo per
essere bruciato e parlassi le lingue degli angeli, ma non avessi la carità, non
sono nulla. Questi carismi hanno una funzione di stimolo, ma quanti restano
fermi a questi doni, benché siano nella luce, sono bambini. Molti fratelli infat­
ti giunsero a tale misura e ricevettero rivelazioni e profezie, ma poiché non
giunsero alla carità, ove è il vincolo di perfezione (Col 3,14), venne su di essi la
guerra e caddero per la loro negligenza. Ma se uno giunge alla perfetta carità,
costui ormai è stretto in catene, è prigioniero della grazia. Se però uno si av­
vicina un poco alla misura della carità, ma non è giunto a essere avvinto dai le­
gami della carità stessa, questo è ancora esposto al timore, alla guerra, alla ca­
duta e, se non si mette al sicuro, Satana lo fa cadere”; cf. anche ibid. 27,14;
Id., Grande lettera, p. 250. Per la stessa interpretazione, cf. anche Gregorio di
Nissa, Vistituzione cristiana, p. 60; Giovanni Cassiano, Conferenze XI,9.

187
i-]. Sono molti gli esercizi della mente operosa: inten­
do dire, cioè, il pensiero dell’amore che nutriamo per
Dio, il ricordo di Dio, il ricordo del Regno, il ricordo
dello zelo dei santi martiri, e il ricordo della presenza
796 c stessa di Dio accanto a noi - come ha detto il salmista:
Vedevo sempre il Signore davanti a me (Sai 15,8) -, il ricor­
do delle sante potenze spirituali, il ricordo della diparti­
ta, della comparizione in giudizio, della sentenza e della
punizione. Abbiamo iniziato con gli esercizi elevati, per
terminare con quelli che ci difendono dalle cadute.
18. Una volta un monaco egiziano mi fece questo rac­
conto: “Dopo che il ricordo della morte mi si fu impres­
so nell’intimo del cuore, una volta, per una necessità che
si era presentata, volli sollevare un po’ questo mio corpo
di fango da tale ricordo, ma ne fui impedito come da un
giudice; e la cosa straordinaria è che, pur volendo, non ri­
uscii scacciarlo via ! ”.
19. Un altro monaco che abitava qui, nella località
chiamata Tola5, era spesso trasportato fuori di sé dal pen­
siero della morte, e i fratelli che lo trovavano come sve­
nuto o in preda a un attacco di epilessia, lo portavano via
quasi senza respiro.
796 d 20. Non voglio omettere di riferirvi neppure la storia di

Esichio l’Horebita6. Costui era sempre vissuto nella più to­


tale negligenza, senza curarsi minimamente della propria
anima, ma una volta si ammalò gravemente nel corpo e per
circa un’ora fu rapito fuori di sé, proprio come morto; ri­
tornato nuovamente in se stesso, supplicò noi tutti di riti­
rarci immediatamente e, murata la porta della sua cella, vi
rimase dentro per dodici anni, senza parlare assolutamen-

5 Cf. supra, Vita 3, n. 3.


6 Monaco del Sinai contemporaneo dell’autore, di cui non abbiamo altre
notizie.

188
te con nessuno, senza nutrirsi d’altro che di pane e di
acqua, e stando sempre seduto col pensiero fisso in ciò che 797 A

aveva visto nel suo rapimento: era talmente immerso nei suoi
pensieri che non cambiò mai la sua espressione, e rimanendo
sempre come in estasi, versava silenziosamente calde lacrime.
Quando era sul punto di morire, spaccammo la porta
ed entrammo dentro la sua cella, ma, per quante doman­
de gli facessimo, udimmo da lui soltanto queste parole:
“Perdonatemi! Chiunque custodisca in sé il ricordo della
morte, non potrà mai peccare!”. Noi che prima lo aveva­
mo visto così negligente, ci stupimmo nel vederlo com­
pletamente trasformato, con un mutamento e una tra­
sformazione così felici. Lo seppellimmo religiosamente
nel cimitero vicino alla fortezza7, ma il giorno dopo, cer­
cando le sue sante spoglie, non le trovammo: il Signore,
anche con questo, volle rassicurare riguardo alla peniten­
za scrupolosa e degna di lode di quella persona tutti co­
loro che intendono correggersi anche dopo una lunga vita 797 B
di negligenza.
21. Come alcuni definiscono infinito l’abisso del
mare, e lo chiamano “luogo senza fondo”, così il pensie­
ro della morte ci fa considerare la purezza e l’attività spi­
rituale senza alcun limite. E ciò è confermato dal santo
di cui si è appena parlato: uomini come questi aggiungo­
no continuamente timore a timore e non si fermano fin­
ché non hanno esaurito tutta la forza che hanno nelle
loro ossa.
22. Convinciamoci che anche questo8 è un dono di
Dio, accanto a tutti gli altri suoi benefici. Altrimenti
come si spiega che frequentando assiduamente le tombe

7 Probabilmente la fortezza (kàstron) costruita da Giustiniano nel VI secolo


(cf. Procopio di Cesarea, Gli edifici V}8,4~9).
8 Cioè il pensiero della morte.

189
restiamo senza lacrime e con il cuore indurito, mentre poi
ci capita assai spesso di raggiungere la compunzione senza
un tale spettacolo?
23. Chi è morto a tutto e a tutti, si ricorda della morte;
ma chi conserva in sé ancora dei legami, non ha il tempo
797 c di farlo, perché tende insidie a se stesso.
24. Non pretendere di dichiarare a tutti con parole l’a­
more che nutri nei loro confronti, ma piuttosto prega Dio
che lo manifesti loro in modo misterioso; altrimenti non
ti basterà il tempo per mantenere sia le relazioni che la
compunzione.
25. Non illuderti, operaio stolto, di poter recuperare il
tempo con il tempo: un giorno infatti non ti basta nean­
che per saldare integralmente al Signore il tuo debito
quotidiano9 !
26. Non è possibile - dice qualcuno - non è assoluta-
mente possibile trascorrere il giorno presente nel timore
di Dio, a meno di non considerarlo l’ultimo di tutta la no­
stra vita10. Ed è sorprendente che anche i pagani abbiano

9 Cf. Marco il Monaco, II battesimo 9: “Abbiamo o no il dovere di offrire


a Dio, come un debito quotidiano, tutta la pietà di cui siamo stati resi capaci
per natura? Certamente mi dirai di sì, dal momento che Dio ha accordato que­
sta grazia alla nostra natura e ha stabilito dei comandamenti conformi alle sue
capacità. Ma allora, se il bene che gli offriamo oggi è il debito di oggi, mostra­
mi quel che gli offri per compensare il peccato antico, sia quello tuo che quel­
lo di Adamo. Ti dico che non solo non sei in grado di mostrarmelo, ma che
non puoi neanche saldare completamente il tuo debito quotidiano! E da dove
risulta ciò? Dal fatto che non ti fai trovare sempre ugualmente perseverante
nelle virtù. Infatti, nella misura i cui oggi fai un progresso nella virtù, allo stes­
so tempo ti accusi come debitore per quel che non hai fatto ieri, rendendo così
evidenti le possibilità della natura. Il progresso di oggi, infatti, ha dimostrato
che le mancanze di ieri non dipendevano dalla natura ma dalla volontà, ed è
proprio per questo che subiamo l’azione del peccato!”; Id. Su chi si crede giu­
stificato per le opere 42.
10 Cf. Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 19,2-4: “Per non perderci

d’animo, è bene meditare le parole dell’Apostolo: Ogni giorno io muoio (iCor


15,31). Se viviamo così anche noi, come se ogni giorno dovessimo morire, non
peccheremo. Questo significa che ogni giorno, quando ci svegliamo, dobbiamo

190
detto qualcosa di simile, poiché definiscono la filosofia
una “meditazione della morte”11.

Sesto gradino: colui che vi è salito non cadrà mai più nel 800 A
peccato, se sono vere quelle parole che dicono: Ricordati
della tua fine e non cadrai mai nel peccato (Sir 7,36).

pensare che non arriveremo fino a sera, e di nuovo, al momento di coricarci,


dobbiamo pensare che non ci sveglieremo più. La nostra vita è incerta per na­
tura ed è misurata ogni giorno dalla Provvidenza. Se ci comporteremo così e
se così vivremo giorno per giorno, non peccheremo, non proveremo desiderio
di nulla, non ci adireremo con nessuno né accumuleremo tesori sulla terra, ma,
aspettandoci di morire ogni giorno, non possederemo nulla e perdoneremo
tutto a tutti”.
11 Quest’affermazione, che si trova per la prima volta in Platone (Fedone
67E; 81A), divenne una delle più diffuse definizioni della filosofia in ambito
ellenistico (cf. Crisippo, Frammenti morali 768; Giamblico, Protrettico, pp.
13,11; 100,1; 119,21; Ammonio, SulPIsagogbé di Porfirio, pp. 4-6) e fu ripresa
poi in ambito cristiano (cf. Clemente Alessandrino, Stromati 11,20,119;
V,11,67 e Giovanni Damasceno, Capitoli filosofici 3,6; 66,4). Sul tema cf. G.
Poulis, “H àvacpOQÙ xov àylov ’ltoàvvou xov Hivairov errò <J>atòa>va toìj
nXàtctìvog”, in fgìjyÓQiog IlaXafidg 653-654 (1976), pp. 166-176.

191
Discorso VII
SULL’AFFLIZIONE CHE È FONTE DI GIOIA

1. L’afflizione1 secondo Dio è un incupimento dell’ani­


ma, ovvero quella certa disposizione in cui si trova un 801 d
cuore immerso nel dolore, che cerca sempre smaniosamen­
te l’oggetto della sua sete, e non potendolo raggiungere lo
insegue affannosamente, e dietro a esso emette strazian­
ti grida di dolore.
2. Oppure in altre parole: l’afflizione è un pungiglione
dorato dell’anima, spoglio di qualsiasi attaccamento e le­
game, che viene conficcato in essa dalla santa tristezza,
per sorvegliare il cuore.
3. La compunzione2 è un tormento perpetuo della co­
scienza, che procura refrigerio al fuoco del cuore attra­
verso la confessione mentale dei peccati.
4. La confessione è oblio della natura, se è vero che a
causa di essa qualcuno si dimenticò di mangiare il proprio
pane (cf. Sai 101,5).
5. La penitenza è lieta privazione di qualsiasi conforto
del corpo.
6. Le caratteristiche proprie di coloro che ancora stan- 804 a

no progredendo nella beata afflizione sono la temperanza


e il silenzio delle labbra; di coloro che sono già progredì-

1 Su questo termine cf. infra, “Glossario”, s.v. “Afflizione”.


2 Su questo termine cf. infra, “Glossario”, s.v. “Compunzione”.

193
ti, la non-irascibilità e la pazienza nelle offese; e di coloro
che hanno raggiunto ormai la perfezione, l’umiltà, la sete
di umiliazioni, la fame volontaria di tribolazioni involon­
tarie, il rifiuto di condannare i peccatori, e una compas­
sione che supera le forze umane. I primi sono accettabili,
degni di lode i secondi, e beati coloro che hanno fame di
tribolazione e sete di umiliazione, poiché essi saranno sa­
ziati del cibo di cui non si avrà mai sazietà (cf. Mt 5,6)!
7. Una volta raggiunta l’afflizione, tienila stretta, per­
ché prima che essa diventi parte di te, ti può essere facil­
mente strappata: i rumori, le preoccupazioni materiali, le
mollezze, ma soprattutto le molte chiacchiere e il continuo
scherzare la dissolvono in un attimo come il fuoco la cera!
804 b 8. Più grande del battesimo è la fonte delle lacrime che
sgorga dopo il battesimo, per quanto l’affermazione possa
essere un po’ ardita. Il battesimo infatti ci purifica dai
peccati commessi prima, ma questa fonte da quelli com­
messi in seguito3; e se il primo, avendolo ricevuto da
bambini, lo abbiamo contaminato, con la seconda lo ri­
portiamo alla sua purezza. E se Dio, nel suo grande
amore per gli uomini, non avesse concesso loro questa
grazia, quelli che si salvano sarebbero veramente pochi e
difficili da trovare4!

3 Dopo il battesimo.
4 Con queste affermazioni, che possono sembrare alquanto sorprendenti -
ma che trovano paralleli nella letteratura patristica (cf. in particolare Gregorio
di Nazianzo, Orazioni 39,17 e 40,9, che potrebbero essere qui la fonte) -, Fau­
tore “non intende minimamente sostituire le lacrime al sacramento del battesi­
mo. Giovanni è perfettamente cosciente della condizione di unicità del battesi­
mo ... Qualunque sia la loro importanza, le lacrime non sostituiscono, ma piut­
tosto rinnovano il battesimo; non garantiscono la grazia divina, ma portano alla
nostra consapevolezza una grazia già accordata nel battesimo ... La supremazia
o l’efficacia del sacramento non è mai in questione, mentre c’è un’affermazione
del bisogno di una ricettività consapevole e di una continua risposta alla grazia
battesimale. Il battesimo delle lacrime illumina - non elimina - il battesimo d’ac­
qua e di Spirito” (J. Chryssavgis, “Una spiritualità dell’imperfezione”, p. 183).

194
9. I gemiti e la tristezza gridano al Signore; le lacrime
che sono frutto di timore intercedono per noi; ma le la­
crime che sono frutto della santissima carità ci manifesta­
no che la nostra supplica è stata accolta.
10. Se è vero che nulla si accorda meglio all’umiltà del­
l’afflizione, nulla le è più contrario del riso.
11. Tieni ben salda la beata e gioiosa tristezza5 frutto
della santa compunzione, e non cessare di esercitarti in
essa, finché non ti abbia elevato al di sopra delle cose di 804 c
quaggiù, e, puro, non ti abbia presentato a Cristo.
12. Non smettere mai di rappresentarti nella mente e
di scrutare l’abisso del fuoco eterno, i servitori crudeli, il
giudice spietato e inflessibile, l’abisso senza fondo delle
fiamme infernali, gli stretti precipizi di quei terribili luo­
ghi sotterranei e di quelle voragini, e tutte altre immagi­
ni simili, affinché la sensualità che abita la nostra anima,
stretta da grande paura, si unisca alla purezza incorrutti­
bile e accolga in sé lo splendore del fuoco dell’afflizione
che brilla più dell’altro fuoco.
13. Quando supplichi il Signore nella preghiera, statte-
ne tutto tremante come un condannato che compare da­
vanti al suo giudice, affinché con il contegno esteriore e
l’atteggiamento interiore tu possa riuscire a spegnere l’ira
del giusto giudice: egli infatti non può trascurare un’ani-

5 In greco: charmolype. Si tratta di un termine coniato da Climaco stesso


che vuole esprimere la misteriosa simultaneità di tristezza e gioia sperimenta­
ta dal penitente: tristezza per il proprio peccato e gioia per il perdono ricevu­
to da Dio. Il termine, come del resto Finterò discorso dedicato al pénthos> avrà
una notevole fortuna nella letteratura monastica successiva: cf. ad esempio
Simeone il Nuovo Teologo, Catechesi 2; 22; 26; Id., Trattati teologici 1; Id.,
Trattati etici 3; Gregorio Sinaita, Come Tesicasta deve sedere in preghiera, PG
150,13410. Il tema dell’afflizione mista alla gioia è però largamente attestato
già nei padri precedenti: cf. ad esempio Atanasio di Alessandria, Vita di
Antonio 67; Giovanni Crisostomo, Omelie su Filippesi 14; Id., Omelie su
Colossesi 12,3; Gregorio di Nazianzo, Orazioni 16,14, PG 35,952!$; Evagrio
Pontico, Sulla preghiera 5-6; 78; Giovanni Cassiano, Conferenze IX,28. Sul
tema cf. supra, “Introduzione”, pp. 44-47.

195
804 d ma che, come una vedova, gli compare davanti tutta do­
lente e cerca di stancarlo con le sue suppliche, lui l’Instan­
cabile (cf. Le 18,2-6)!
14. Per chi ha ottenuto il dono delle lacrime interiori,
ogni luogo è adatto per giungere all’afflizione; ma chi
versa ancora solo lacrime esteriori, non deve smettere di
fare discernimento sui luoghi e sui modi appropriati.
15. Se è vero che un tesoro nascosto (cf. Mt 13,44) è
più al sicuro dai ladri di quello esposto sulla piazza del
mercato, dobbiamo intendere allo stesso modo quel che
si è appena detto6.
16. Non comportarti come coloro che, appena hanno dato
sepoltura ai loro morti, prima piangono su di loro, e poi si
ubriacano in loro onore; sii piuttosto come i prigionieri nelle
miniere, che sono sferzati in ogni momento dai loro aguzzini.
17. Colui che prima si affligge, e poi si abbandona ai
piaceri e agli scherzi, è simile a chi respinge il cane della
805 a sensualità colpendolo con il pane: apparentemente lo
scaccia, ma in realtà lo incita a stargli vicino.
18. Rimani raccolto in te stesso, senza ostentazione,
tutto preso dalla cura del tuo cuore: i demoni infatti te­
mono il raccoglimento come i ladri i cani.
19. Non siamo stati chiamati qui, miei cari, a una festa
di nozze! Colui che ci ha chiamati qui, dunque, ci ha cer­
tamente chiamato perché ci affliggessimo su noi stessi!
20. Alcuni, mentre versano lacrime, si sforzano in modo
inopportuno di non pensare assolutamente a nulla in quel
momento beato, senza riflettere che le lacrime senza pen­
siero sono proprie degli esseri privi di ragione e non degli
esseri razionali. Il pianto è figlio dei pensieri; ma il pensie­
ro, a sua volta, è figlio di una mente che ragiona!

6 Le lacrime interiori, cioè, sono più sicure di quelle esteriori perché non ci
espongono al rischio della superbia.

196
21. Il tuo coricarti a letto sia per te l’immagine della
tua deposizione nella tomba, e così dormirai di meno. Lo
stesso atto del mangiare a tavola ti ricordi il doloroso 805 b

pasto che i vermi faranno del tuo corpo, e così cercherai


di meno le prelibatezze. E anche quando bevi dell’acqua,
non ti dimenticare della sete che avrai in mezzo a quel
fuoco, e così farai certamente violenza alla tua natura.
Quando subiamo da parte del superiore qualche onore­
vole umiliazione7, rimprovero o punizione, riflettiamo
alla terribile sentenza del Giudice, e con la mitezza e la
pazienza, come con una spada a doppio taglio, riusciremo
certamente a distruggere quella tristezza e quell’amarez­
za che sono state seminate dentro di noi senza ragione.
22. Con il tempo il mare si prosciuga (Gb 14,11), come
dice Giobbe, e con il tempo e la pazienza le cose di cui
abbiamo parlato si sviluppano a poco a poco e giungono
a perfezione in noi.
23. Il ricordo del fuoco eterno si corichi con te ogni
sera, e con te poi si rialzi; e così non ti vincerà mai la pi­
grizia al momento della salmodia.
24. Lo stesso abito che porti ti convinca all’esercizio 805 c
dell’afflizione8: tutti quelli che sono in lutto, infatti, sono
vestiti di nero. Se non sei afflitto, affliggiti per questo; e
se lo sei, piangi ancora di più perché, a causa dei tuoi pec­
cati, sei stato costretto ad abbandonare una condizione di
vita tranquilla per una piena di fatica9.
25. Nel caso delle lacrime, come in tutto il resto, il no­
stro giusto Giudice giudica certamente in base alle possi-

7 Gioco di parole in greco: enttmo atimta.


8 L’abito monastico al tempo deirautore era generalmente nero.
9 La vita monastica è una vita di fatica e la si abbraccia per fare penitenza

continua dei propri peccati. L’autore in questo passo capovolge la visione tra­
dizionale della vita monastica come vita di perfezione e sembra dire al mona­
co: “Se sei monaco e se porti l’abito nero del lutto, è perché sei un peccatore,
non un perfetto, altrimenti non ne avresti alcun bisogno”.

197
bilità della nostra natura. Ho visto infatti piccole gocce
versate a fatica come sangue, e ho visto fontane sgorgare
senza alcuna fatica: per quanto mi riguarda ho giudicato
quei sofferenti più in base alla loro fatica, che alla quan­
tità delle loro lacrime; e credo che così faccia anche Dio.
26. La teologia non si addice a coloro che si affliggono,
perché essa per sua natura estingue l’afflizione: il teologo
infatti somiglia a chi è seduto in cattedra per insegnare,
805 d mentre colui che si affligge somiglia a chi è seduto sull’im-

mondizia e coperto di sacco (cf. Gb 2,8; i6,i5)10. Ed è per


questo, io credo, che anche David, che pure era saggio e
capace d’insegnare, a coloro che lo interrogavano quand’e-
ra nell’afflizione, rispose: Come potremo cantare il canto
del Signore in terra straniera (Sai 136,4), cioè in preda alle
passioni ?
27. Come tra le cose create alcune si muovono da sé e
altre sono mosse dall’esterno, così avviene anche nella
compunzione. Quando la nostra anima, senza alcuno sfor­
zo o applicazione da parte nostra, diventa tutta umida e te­
nera sciogliendosi in lacrime, corriamo, perché il Signore è
venuto senza essere stato invitato, per darci la spugna della
tristezza che gli è cara e l’acqua refrigerante delle pie lacri-
808 a me, che cancella i peccati scritti sul documento del nostro

debito (cf. Col 2,14). Custodisci quest’acqua come pupilla


dell’occhio (cf. Sai 16,8), finché non si ritiri, perché è gran­
de la forza di questa compunzione, molto più di quella che
otteniamo con il nostro sforzo e la nostra riflessione !
28. Ha raggiunto la bellezza dell’afflizione, non chi si
affligge quando vuole, ma chi lo fa per le cose che vuole;
anzi, neppure per le cose che vuole, ma come Dio vuole!

10 Sulla diffidenza di Climaco nei confronti della teologia speculativa, cf. G.


Martzelos, “Il fondamento teologico”, pp. 73-79. Cf. anche infra y “Glossario”,
s.v. “Teologia”.

198
29. Spesso all’afflizione gradita a Dio si mescolano le
lacrime della vanagloria, che a Dio non piacciono affatto !
E dobbiamo riconoscere questo fatto in modo sincero e
onesto, se vediamo che nonostante la nostra afflizione ci
comportiamo male.
30. La compunzione è propriamente un dolore dell’a­
nima che non le permette alcuna distrazione o conforto,
ma che in ogni momento le fa immaginare la propria di­
partita e attendere come acqua refrigerante la consolazio­
ne che Dio accorda ai monaci umili (cf. 2Cor 7,6).
31. Tutti coloro che hanno raggiunto l’afflizione nel- 808 b
l’intimo senso del cuore11, hanno anche preso in odio la
propria stessa vita, perché piena di fatiche e fonte di la­
crime e dolori; al proprio corpo poi hanno voltato le spal­
le come a un nemico.
32. Quando in coloro che sembrano affliggersi secondo
Dio notiamo ira e superbia, riteniamo pure che le loro la­
crime siano cattive, poiché sta scritto: Quale comunione ci
può essere tra la luce e le tenebre? UCor 6,14).
33. La falsa compunzione genera la presunzione; quel­
la autentica e degna di lode, la consolazione. Come il
fuoco divora la paglia, così le lacrime pure eliminano ogni
sozzura, sia esteriore che interiore.
34. Molti padri definiscono oscuro e difficile il discorso
relativo alle lacrime, specialmente nel caso dei principian­
ti, perché esse possono essere prodotte - dicono - da cause
molteplici e svariate12. Intendo dire, cioè, dalla natura, da
Dio, da una sofferenza generata dal peccato o degna di

11 Si tratta cioè deirautentica afflizione provata nel profondo del cuore. Sul
concetto di “senso del cuore” cf. infra, “Glossario”, s.v. “Senso/sentimento
spirituale, o del cuore”.
12 Giovanni Cassiano, in Conferenze IX,29, è il primo a fornire una classi­

ficazione dettagliata dei diversi generi di lacrime.

199
808 c lode, dalla vanagloria, dall’impudicizia, dalla carità, dal
ricordo della morte e da molte altre cause.
35. Dopo aver esaminato grazie al timore di Dio queste
diverse forme di lacrime, procuriamoci per noi le lacrime
pure e senza inganno che sono prodotte dal pensiero della
nostra morte: in esse infatti non c’è rischio né di presun­
zione né di furto, ma grazie ad esse si ottiene piuttosto la
purificazione, il progresso nell’amore di Dio, l’abluzione
dal peccato e l’impassibilità.
36. Non c’è da meravigliarsi se coloro che si affliggo­
no iniziano con lacrime buone e finiscono con lacrime
cattive, ma ciò che è veramente degno di lode è il fatto
di poter passare da lacrime cattive, o semplicemente na­
turali, a lacrime spirituali! E quelli che hanno una forte
inclinazione alla vanagloria sanno bene di cosa si tratta.
37. Non credere alle tue lacrime che sgorgano come
fontane, prima di esserti purificato perfettamente: non si
dà fiducia, infatti, al vino appena spremuto dai torchi!
808 d Nessuno contesta che tutte le nostre lacrime, purché con­
formi alla volontà di Dio, siano assolutamente utili; ma
quale sia il guadagno che ne ricaviamo, verremo a saper­
lo solo al momento della nostra dipartita.
38. Colui che vive nella continua afflizione secondo Dio,
non cessa di essere in festa ogni giorno; ma colui che non cessa
di far festa materialmente, erediterà un’eterna afflizione !
39. Non esiste alcuna gioia per i condannati in prigione,
né alcuna festa per i veri monaci in terra. Ed è forse per
questo che quell’autentico modello di afflizione diceva ge­
mendo: “Fa' uscire la mia anima dal carcere (Sai 141,8), per­
ché io possa finalmente esultare nella tua ineffabile luce ! ”.
40. Sii come un re nel tuo cuore, seduto sul trono sub-
809a lime dell’umiltà, e comanda al riso: “Va’ via!”, e se ne
vada; al dolce pianto: “Vieni!”, e venga; al corpo, nostro
servo e tiranno: “Fa’ questo!”, e lo faccia (cf. Mt 8,9).

200
41. Chiunque ha indossato, come un manto nuziale,
l’afflizione beata e piena di grazia, ha conosciuto il sorriso
spirituale dell’anima. Chi è mai colui che nella vita mona­
stica ha speso tutto il proprio tempo in modo così santo da
non aver mai perso né un giorno, né un’ora, né un istan­
te, ma li ha spesi interamente per il Signore, pensando che
nella vita non si può vedere due volte lo stesso giorno ?
42. Beato quel monaco che può contemplare con gli
occhi dell’anima le potenze angeliche! Ma davvero im­
peccabile colui che, attraverso il ricordo della morte e dei
propri peccati, bagna incessantemente le proprie guance 809 b
con acque vive! Non faccio fatica a credere che la prima
condizione proceda dalla seconda13.
43. Ho visto mendicanti e poveri sfrontati riuscire in
poco tempo a muovere a compassione con le loro parole
furbe perfino i cuori dei re; e ho visto poveri e mendican­
ti di virtù gridare sfrontatamente e insistentemente al Re
celeste, dal profondo del loro cuore disperato, usando
non parole furbe ma piuttosto parole umili, piene di te­
nebra e di trepidazione, e riuscire con la loro violenza a
violentare la sua misericordia e la sua natura che non può
subir violenza (cf. Mt 11,12; Le 16,16).
44. Colui che s’inorgoglisce nell’anima delle proprie la­
crime e dentro di sé condanna coloro che non piangono,
è simile a colui che, dopo aver chiesto al re un’arma con­
tro i propri nemici, la usasse per uccidere se stesso! 809c
45. Dio, miei cari, non ha alcun bisogno, né vuole, che
l’uomo si affligga per il dolore del cuore, ma vuole piut­
tosto che gioisca per amor suo nel sorriso dell’anima.

L’autore anche qui segue fedelmente l’insegnamento dei padri del deser­
to: cf. Apoftegmi Nau 332: “Chiesero a un anziano: ‘Come mai alcuni dicono di
vedere gli angeli?’. Rispose: ‘Beato colui che vede sempre il proprio peccato!”’.

201
46. Togli il peccato, e le lacrime di dolore sugli occhi
del tuo corpo saranno superflue: dove non c’è piaga, infat­
ti, non c’è alcun bisogno del rasoio! Prima della trasgres­
sione Adamo non aveva lacrime, come non ne resteranno
dopo la risurrezione, quando il peccato sarà distrutto, per­
ché dolore, tristezza e pianto saranno fuggiti (Is 35,10).
47. Ho visto alcuni affliggersi, e altri affliggersi per man­
canza di afflizione: essi, pur possedendola, vivono come se
non la possedessero, e grazie a questa beata ignoranza re­
stano al sicuro da ogni rapina; e questi sono coloro di cui
sta scritto: Il Signore rende sapienti i ciechi (Sai 145,8).
809 d 48. Accade spesso che anche le lacrime siano motivo

d’orgoglio per i meno saldi, ed è per questo che ad alcu­


ni non vengono concesse, affinché, essendone privati e
desiderandole, si considerino degli sventurati e condanni­
no se stessi, con gemiti, sconforto, dolore deU’anima,
profonda tristezza e disperazione: tutte cose che possono
sostituire le lacrime senza alcun danno, anche se essi - ed
è bene per loro che sia cosi - le considerano come nulla.
49. Se osserviamo bene, scopriremo che spesso i demo­
ni si prendono gioco di noi: quando siamo sazi, mettono
in noi la compunzione, e quando abbiamo digiunato, di
nuovo ci induriscono il cuore; e questo affinché, inganna­
ti dalle false lacrime, ci abbandoniamo alla mollezza, che
8x2 a è la madre delle passioni. A essi però non dobbiamo dare

retta, anzi dobbiamo fare il contrario14.


50. Se considero la natura stessa della compunzione,
sono stupito al vedere come quella che chiamiamo affli­
zione e tristezza contenga in sé, come miele nel favo,
gioia e letizia15. Ma da questo cosa impariamo? Che tale
compunzione è davvero da riconoscere come un dono del

14 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 22.


15 Cf, supra, VII,11, n. 5.

202
Signore: allora nell’anima non c’è più alcun piacere spia­
cevole, perché Dio consola segretamente i contriti di cuore
(cf. Sai 50,19)! Ma come stimolo per acquistare un’af­
flizione veramente efficace e un dolore ricco di frutti,
ascoltiamo un racconto utile all’anima e in grado di susci­
tare grandissima pietà.
Un tale Stefano, che abitava qui16 e conduceva vita so­
litaria nell’esichia, aveva passato molti anni nella palestra
della vita monastica, ed era ormai tutto adorno di digiu­
ni, e soprattutto di lacrime, e ricolmo di altri bei frutti di 812 B
virtù. La sua cella era sulla pendice del santo profeta
Elia, su questa santa montagna. Quest’uomo venerabile,
dunque, allo scopo di poter praticare una maggiore e più
austera penitenza, decise di stabilirsi nella regione degli
anacoreti chiamata Siden. Dopo aver vissuto là per alcu­
ni anni nella più stretta e rigida austerità - poiché quel
luogo era privo di ogni conforto e quasi inaccessibile agli
uomini, trovandosi a quasi settanta miglia dalla fortezza17
-, verso la fine della sua vita, l’anziano ritornò nella sua
cella sulla santa cima; là aveva anche due discepoli pale­
stinesi, molto devoti, che avevano custodito la sua cella
prima del suo ritorno.
Dopo pochi giorni egli si ammalò di una malattia che lo 812 C
portò alla morte. Ma il giorno prima di morire, fu rapito
in spirito, e con gli occhi spalancati guardava a destra e a
sinistra del letto; e come se qualcuno lo stesse sottoponen­
do a un esame, mentre tutti i presenti l’udivano, a volte ri­
spondeva: “Sì, certo, è vero, ma per questo ho digiunato
tanti anni!”; altre volte: “No! State certamente menten­
do, questo non l’ho fatto!”; e ancora: “Sì, questo è vero,
sì, ma ho pianto e ho adempiuto al mio servizio!”; e di

16 Sul monte Sinai.


17 Cf. supra, VI,20, n. 7.

203
nuovo: “No, mi calunniate!”; e a volte a certe accuse ri­
spondeva: “Sì, è vero, sì! A questo non so cosa risponde­
re ! Dio è misericordioso ! ”. Era uno spettacolo orrendo e
terribile: un processo invisibile e senza pietà! Ma più ter­
ribile ancora era il fatto che lo accusavano anche di ciò
812 d che non aveva fatto. Oh! Proprio lui che era un esicasta e

un anacoreta, di fronte ad alcuni suoi peccati diceva: “Non


so cosa rispondere a questo!”. Eppure era stato monaco
per circa quarant’anni, e aveva avuto il dono delle lacrime!
Ahimè, ahimè, dov’era andata a finire in quel momen­
to la parola di Ezechiele che dice: “Ti giudicherò nella
condizione in cui ti troverò!” (cf. Ez 7,7)18? Non riuscì a
dire niente di simile per difendersi! E perché? Gloria a
colui che solo lo sa! Alcuni, senza mentire, mi hanno rac­
contato che costui, quand’era nel deserto, riusciva addi­
rittura a nutrire un leopardo dalla sua mano. Eppure si
separò dal corpo mentre subiva questo terribile esame,
senza minimamente lasciare intendere quale sarebbe stata
la sua sentenza, la sua fine, e la sua condanna, e la con­
clusione di quel processo !
813 a 51. Come una vedova, che ha perduto il marito e ha

un figlio unico, trova in quel figlio la sua unica consola­


zione dopo il Signore, così un’anima che è caduta nel pec­
cato non trova altra consolazione al momento della sua
dipartita, all’infuori del ricordo delle fatiche del digiuno19
e delle lacrime. Persone così non cantano mai, né mai
esultano in inni di giubilo nel loro intimo, perché tutto
ciò danneggia l’afflizione! Se tu cerchi di procurarti l’af­
flizione con tali mezzi, sei ancora lontano dal tuo scopo,

18 Citazione ad sensum. Altri padri citano le stesse parole attribuendole a


Gesù: cf. Giustino, Dialogo con Trifone 47; Clemente di Alessandria, Quale
ricco si salverà? 40; si veda L. Moraldi, Apocrifi del Nuovo Testamento I, UTET,
Torino 1971, p. 468.
19 Lett.: “Le fatiche della gola”.

204
perché l’afflizione è un dolore stabilmente radicato in
un’anima in fiamme! Per molti l’afflizione è stata come
il “precursore” della beata impassibilità, avendo prepara­
to, purificato e consumato il corpo materiale.
52. Una volta un bravo operaio di questa virtù mi disse:
“Spesso quando ho cercato di abbandonarmi alla vanaglo- 813 b

ria, all’ira o all’ingordigia del ventre, il pensiero dell’afflizio­


ne che era dentro di me ha protestato dicendo: ‘Non cede­
re alla vanagloria, perché altrimenti ti abbandono!’, e così
anche per le altre passioni; e io gli rispondevo: ‘Non ti di­
subbidirò mai, finché non mi avrai presentato a Cristo!”’.
53. L’abisso dell’afflizione sperimenta la consolazione, e
la purezza del cuore riceve l’illuminazione. L’illuminazione
è un’operazione ineffabile che la mente intende senza co­
noscere e vede senza vedere. La consolazione è refrigerio
di un’anima sofferente: come un neonato che allo stesso
tempo piange tra sé e grida di gioia. Il soccorso [divino]
è rigenerazione di un’anima sprofondata nella tristezza,
che trasforma miracolosamente le lacrime di dolore in la­
crime di gioia.
54. Le lacrime prodotte dal pensiero della morte gene­
rano il timore; quando il timore ha generato la serenità20, 813 c
appare la gioia; e quando poi cessa la gioia incessante,
spunta il fiore della santa carità!
55. Respingi con la mano dell’umiltà la gioia che ti vi­
sita, ritenendo di esserne indegno, per non rischiare, con
un’accoglienza troppo disinvolta, di accogliere il lupo in­
vece del pastore21 !

20 Lett.: “L’assenza di timore (aphobi'a)”.


21 Cf. Scbol. 19, PG 88,825A: “La contemplazione senza discernimento
comporta molti pericoli; infatti il diavolo si trasforma in angelo di luce e in­
ganna spesso coloro che ignorano i suoi comportamenti. Anche per questo un
anziano disse: ‘Io non voglio vedere Cristo quaggiù sulla terra!*”. Il riferimen­
to è ad Apoftegmi Nau 393.

205
56. Non correre verso la contemplazione quando non
è il momento della contemplazione, affinché sia essa a in­
seguire e raggiungere la bellezza della tua umiltà, per
unirsi a te in purissime nozze per i secoli dei secoli.
57. Quando agli inizi il bambino riconosce suo padre,
si riempie tutto di gioia; ma se il padre, per qualche mo­
tivo, si assenta per un certo tempo e poi ritorna di nuovo,
il bambino è pieno di gioia e di tristezza allo stesso
tempo: di gioia perché vede colui che desidera, e di tri­
stezza per essere stato privato per tanto tempo della sua
piacevole bellezza.
58. Talvolta la madre si nasconde al bambino, e quan-
813 d do vede ch’egli la cerca in lacrime, ne è contenta: così gli
insegna a rimanere sempre attaccato a lei, accendendo nel
bambino un amore sempre più ardente verso di lei22 * *. Chi
ha orecchi per ascoltare ascolti! (Le 14,35), dice il Signore.

22 L’immagine della madre e del bambino è spesso utilizzata dai padri per
descrivere il rapporto tra Dio e il credente: cf. Diadoco di Fotica, Capitoli 86:
“Avviene che la grazia ... nasconda spesso la sua presenza allo spirito per sol­
lecitare, per così dire, l’anima con l’amarezza provocata dai demoni, perché
questa, nel timore più assoluto e nell’umiltà più piena, cerchi allora il soccor­
so di Dio e poco alla volta riconosca la malizia del suo nemico. La grazia si
comporta come una madre che respinge per un po’ dalle sue braccia il proprio
bambino indocile alla regolamentazione delle poppate, e gli fa paura prospet­
tandogli le cose che lo circondano come uomini repellenti o bestie feroci di
qualsiasi forma, perché egli con grande timore pur tra le lacrime ritorni al seno
materno”; Pseudo-Macario, Omelìe (Coll. II) 46,3: “Il bambino, se pure non
può far nulla ed è incapace di raggiungere sua madre reggendosi sulle proprie
gambe, tuttavia si rigira, grida e piange cercando sua madre ed essa si lascia
commuovere e gioisce al vedere che il bambino la cerca con pena e grida; e se
il bambino non è in grado di raggiungerla, è la madre stessa che a motivo del
grande desiderio del bambino va da lui, prigioniera del suo amore per lui, e lo
prende tra le braccia, lo consola, lo nutre con immensa tenerezza. Così si com­
porta il Dio amico degli uomini con l’anima che viene a lui e lo desidera con
brama ardente. Anzi, spinto da un ben più profondo amore e dalla sua dolce
bontà si unisce ai suoi pensieri e diviene un solo spirito con essi, secondo la pa­
rola dell’Apostolo (cf. iCor 6,17)”; cf. anche ibid. 31,4; Efrem il Siro, Sulla
compunzione, p. 377; Id., Come Vanima deve pregare con le lacrime, pp. 60-61;
Giovanni Cassiano, Conferenze XIII,14.

206
59- Il condannato che ha ricevuto la sentenza di morte
non potrà più preoccuparsi delle programmazioni degli
spettacoli teatrali; e così chi piange in modo sincero non
deve più badare ai piaceri, alla gloria o alla collera!
60. L’afflizione è un dolore stabilmente radicato in
un’anima penitente, che aggiunge dolore a dolore, come
una donna nelle doglie del parto.
61. Giusto e santo è il Signore (cf. Sai 144,17): egli pro­
cura giustamente la compunzione a chi giustamente vive
nell’esichia, e rallegra ogni giorno chi vive giustamente
nella sottomissione. Ma chi non segue in modo autentico 816 a
una di queste due vie, è privato dell’afflizione!
62. Respingi il cane che si avvicina a te quando sei im­
merso nell’afflizione più profonda per suggerirti che Dio è
senza compassione: se lo osservi attentamente, infatti, sco­
prirai che è quel cane che, prima del peccato, chiamava Dio
misericordioso, compassionevole e pronto al perdono23.
63. L’esercizio assiduo favorisce la continuità24, e que­
sta si traduce in esperienza sensibile; e ciò che si è realiz­
zato in un’esperienza sensibile, difficilmente ci potrà es­
sere strappato.
64. Per quanto sublimi possano essere gli stili di vita
da noi intrapresi, se non abbiamo il cuore addolorato,
consideriamoli pure come inutili e falsi!
65. E necessario - sì veramente necessario! - che co­
loro che si sono nuovamente contaminati dopo il lavacro
battesimale ripuliscano le loro mani, per così dire, dalla
pece del peccato con il fuoco incessante del cuore e l’olio
della misericordia di Dio25.

25 Cf. supra, V I , 1 1 .
24 Sottinteso: “Dell’afflizione”.
25 Lett.: “Con Folio di Dio”. In greco c’è un gioco di parole tra élaion

(“olio”) e éleon (“misericordia”).

207
816 b 66. Ho visto alcuni giungere all’estremo limite dell’af­
flizione: li ho visti infatti versare materialmente sangue
dalla bocca, a causa del dolore e della ferita del loro cuore;
e mi sono ricordato di colui che ha detto: Sono stato fal­
ciato come erba, e il mio cuore è inaridito (Sai 101,5).
67. Le lacrime che nascono dal timore trovano in se
stesse garanzia di protezione, mentre quelle che nascono
dall’amore, possono essere facilmente sequestrate a chi
non abbia ancora raggiunto un amore perfetto; a meno
che quel fuoco memorabile26, al momento di agire, non
abbia incendiato completamente il cuore. E sorprenden­
te notare come la cosa più umile nel giusto momento sia
anche la più sicura.
68. Vi sono cose materiali che inaridiscono le nostre
fonti, e ve ne sono altre che addirittura producono fango
816 c e generano belve al loro interno. Le prime portarono Lot
a unirsi alle proprie figlie contro ogni buon costume (cf.
Gen 19,30-38); le seconde provocarono la caduta del
diavolo27.
69. La malizia dei nostri nemici è cosi grande, che sono
capaci di trasformare le madri delle virtù in madri dei
vizi, e le cose che potrebbero generare l’umiltà in cause
di superbia!
70. Spesso gli stessi luoghi in cui abitiamo e il loro
aspetto sono capaci di richiamare la nostra mente alla
compunzione: ti convinca di questo fatto l’esempio di
Gesù, di Elia e di Giovanni che pregavano nella solitudi­
ne (cf. Me 1,35 par.; iRe 19,9-18; Mt 3,1 par.).

26 Cioè 1*amore.
27 Secondo YExegesis (p. 206) ciò “che inaridisce le nostre fonti” è il vino
bevuto senza misura: Lot infatti si unì alle sue figlie dopo essersi ubriacato; le
cose che generano le “belve” (cioè le passioni) sono invece il potere e gli onori
che gonfiano d’orgoglio chi li possiede: Satana-Lucifero infatti proprio per que­
sto motivo decadde dalla sua condizione angelica.

208
71. Spesso ho visto lacrime suscitate anche in mezzo
alle città e ai rumori, per far credere ad alcuni che da tale
confusione non possono ricevere alcun danno, e così farli
avvicinare al mondo: è proprio questa infatti l’intenzione
dei demoni malvagi.
72. Spesso una sola parola basta a dissipare l’afflizio­
ne. Ma sarebbe un vero miracolo se una sola parola ba- 816 d
stasse anche a farla tornare!
73. Quando la nostra anima lascerà questa vita, miei
cari, non verremo accusati né di non aver fatto miracoli,
né di non aver praticato la teologia, né di non essere stati
dei contemplativi, ma certamente dovremo rendere conto
a Dio di non aver custodito incessantemente l’afflizione!

Settimo gradino: chi ne è stato stimato degno, aiuti 817 a


anche me; egli infatti è già stato aiutato, perché con il set­
timo gradino ha lavato le macchie di questo mondo!

209
Discorso Vili
SULLA NON-IRASCIBILITÀ E SULLA MITEZZA

1. Come l’acqua versata a poco a poco su un fuoco fi­


nisce per spengerne completamente la fiamma, così anche 828 c
le lacrime dell’autentica afflizione possono spengere la
fiamma dell’ira e della collera. Per questo, parlando di
tali cose, abbiamo seguito quest’ordine.
2. La non-irascibilità è un desiderio insaziabile di umi­
liazione, allo stesso modo in cui nei vanagloriosi è infini­
to il desiderio delle lodi. La non-irascibilità è una vitto­
ria sulla natura che si ottiene con lotte e sudori rimanen­
do insensibili agli oltraggi.
3. La mitezza è una condizione di immobilità dell’anima
che rimane costante sia nelle umiliazioni che negli onori.
4. L’inizio della non-irascibilità è il silenzio delle lab­
bra di fronte a un turbamento del cuore; il grado inter­
medio è il silenzio dei pensieri di fronte a un semplice
turbamento dell’anima; e il grado perfetto è una tranquil­
lità imperturbabile in mezzo alla furia dei venti impuri1.
5. L’ira è un odio nascosto covato a lungo nel cuore,
ovvero il ricordo di un rancore. L’ira è il desiderio di fare
del male a chi ci ha irritato.
6. Lo scatto d’ira è un incendio improvviso del cuore. L’ir- 828 d
ritazione è una agitazione sgradevole che s’installa nell’anima.

1 Cioè in mezzo alle continue tentazioni suscitate dagli spiriti malvagi.

211
7. La collera è un movimento che rende instabile il ca­
rattere e deforma l’anima.
8. Come all’apparire della luce le tenebre si ritirano,
così al profumo dell’umiltà ogni irritazione e collera
scompare. Alcuni, pur essendo facili alla collera, non si
preoccupano affatto di curarla e di cercare dei rimedi per
essa; quegli sventurati non ascoltano colui che dice:
L’istante della sua collera è la sua caduta (Sir 1,22)!
829 a 9. Un rapido movimento della mola2 può, in un solo
istante, tritare e distruggere nell’anima più grano e più
frutto di qualsiasi altro movimento che duri un intero
giorno: perciò bisogna stare attenti!
10. La vampata improvvisa di un fuoco suscitata da un
vento impetuoso può bruciare e distruggere il campo del
cuore più di un fuoco che arde costante per lungo tempo.
11. Neanche questo deve sfuggirci, miei cari: che a
volte i demoni malvagi, quando lo ritengono opportuno,
si ritirano, per far sì che noi, a forza di trascurare come
insignificanti le nostre gravi passioni, finiamo per con­
trarre dei mali incurabili.
12. Come una pietra appuntita e dura, se urta e sbat­
te contro altre pietre, smussa tutte le sue punte e tutta la
sua durezza e diventa rotonda, così anche un’anima spi­
golosa e rigida, se si mescola a una folla di uomini duri e
829 b irascibili, e vive insieme a essi, dovrà scegliere tra una
delle due cose: o curerà la propria ferita per mezzo della
pazienza, o, se si ritira, dovrà assolutamente riconoscere
la propria debolezza, perché quella sua vile fuga, come
uno specchio, gliela manifesterà in modo evidente3.

2Metafora per indicare lo scatto d'ira.


3Cf. Apoftegmì, Matoes 13: “Chi vive con dei fratelli non deve essere un
cubo, ma una sfera, per poter rotolare incontro a tutti”.

212
13.Il collerico è un epilettico volontario che, per ef­
fetto di una predisposizione involontaria, dà in escande­
scenza e cade.
14. Nulla è più sconveniente ai penitenti quanto il
fatto di lasciarsi sconvolgere dalla collera, poiché la peni­
tenza richiede molta umiltà, e invece la collera è sintomo
della più grande presunzione!
15. Se il limite estremo della mitezza è rimanere tranquil­
li nel proprio cuore anche davanti a chi ci provoca, nutren­
do per lui sentimenti di amore, certamente il limite estremo
della collera è continuare a litigare e a imbestialirsi a parole
e a gesti contro chi ci ha offeso, anche quando si vive da soli.
16. Se lo Spirito santo è definito come la pace dell’anima
(cf. Rm 8,6; Gal 5,22)4, e lo è veramente, e se l’ira è ed è 829 c
chiamata turbamento del cuore, allora niente come la colle­
ra è capace di impedire la venuta dello Spirito santo in noi.
17. Sappiamo che i rampolli dell’ira sono moltissimi e
detestabili, ma ne abbiamo trovato uno solo che, genera­
to da essa suo malgrado, risulta utile, pur essendo ba­
stardo. Ho visto alcuni furiosamente infiammati dall’ira
riuscire in questo modo a vomitare un rancore segreta-
mente covato da tempo, liberandosi di una passione at­
traverso un’altra passione e ottenendo da parte di chi li 829 d

aveva offesi, o il pentimento, o quantomeno un’adegua­


ta spiegazione per ciò che li aveva fatti a lungo soffrire.
Al contrario, ho visto altri far mostra di pazienza in
modo irragionevole e attraverso il loro silenzio accumu­
lare nel cuore il rancore. Questi ultimi li ho giudicati più
infelici di quelli che si lasciano prendere dalla furia del­
l’ira, perché con la loro oscurità essi hanno fatto sparire
la Colomba5!

■ * L'autore più probabilmente ha in mente qualche definizione dei padri.


5 Ossia lo Spirito santo.

213
18. Contro questo serpente6 ci è necessaria molta atten­
zione, perché anch’esso, come il serpente della fornicazio­
ne, ha come alleato la nostra stessa natura! Ho visto per­
sone adirate rifiutare il cibo per l’irritazione, ma con que­
sta loro assurda astinenza non fecero altro che aggiungere
veleno a veleno! Ne ho visti altri che, approfittando della
collera, come se fosse una giustificazione sensata - quan­
do in realtà è assurda! -, .si abbandonarono alla furia del
832a ventre, e dalla fossa caddero nel precipizio! Ne ho visti
altri ancora, giudiziosi come dei bravi medici, che, con­
temperando l’uno e l’altro eccesso, trassero grandissimo
giovamento da una alimentazione equilibrata.
19. A volte il canto misurato riesce a calmare la collera
in modo eccellente, ma altre volte, quando è senza misu­
ra e inopportuno, stimola la ricerca del piacere: fissiamo
perciò dei tempi precisi, così da poterne fare buon uso !
20. Un giorno, trovandomi per una qualche necessità
fuori della cella di alcuni esicasti, li ho sentiti baruffare da
soli nella loro cella, come pernici in gabbia, per l’irritazio­
ne e la collera che avevano, avventandosi contro la perso­
na che li aveva offesi come se fosse realmente presente ! A
essi consigliai rispettosamente di non vivere più da solita­
ri, per non diventare demoni, da uomini che erano.
Ne ho visti altri, invece, che per indole erano sensuali e
amanti dei cibi, affabili e complimentosi, affettuosi con i
832 b loro fratelli e attirati dai bei volti: a essi consigliai di ricer­
care l’esichia come antidoto contro la sensualità e la gola,
se da uomini dotati di ragione quali erano, non volevano
ridursi nella condizione miserabile di bestie senza ragione.
Quando poi alcuni mi confessarono di sentirsi misera­
mente trascinati a entrambi i vizi7, proibii loro assoluta-

6 Cioè il demonio dell’ira.


7 Cioè l’ira e ramore del piacere (che si traduce nella sensualità e nella gola).

214
mente di vivere a proprio arbitrio, suggerendo amichevol­
mente ai loro superiori di consentire loro di abbracciare
ora l’uno, ora l’altro regime di vita8, a condizione però che
in tutto fossero perfettamente sottomessi e obbedienti al
superiore e alla loro guida.
21. Chi è portato ai piaceri corrompe se stesso, e forse
anche qualche altro suo complice; ma chi è portato alla
collera spesso, come un lupo, sconvolge l’intero gregge e
ferisce molte anime umili!
22. E grave, certo, turbare l’occhio del proprio cuore9 832 c
con la collera, come dice: II mio occhio è sconvolto per la col­
lera (Sai 6,8); è ancor più grave manifestare con le labbra la
violenza che si ha nell’anima; ma venire alle mani è del tutto
contrario ed estraneo alla vita monastica, angelica e divina !
23. Se vuoi liberare l’occhio di qualcuno da una festuca (cf.
Mt 7,3) - o piuttosto hai la pretesa di farlo -, non cercare di
toglierla con una trave invece che con un bisturi, perché fi­
nirai per spingerla più dentro. La “trave” sono le parole dure
e i gesti inconsulti; il “bisturi”, invece, l’insegnamento paca­
to e la correzione paziente. Rimprovera, correggi, esortai (2Tm
4,2), dice l’Apostolo, ma non dice anche: “Percuoti!”; e se
proprio ce n’è bisogno, fallo raramente e non di tua mano10.

8 Cioè la vita cenobitica e la vita eremitica.


9 Cioè la mente (noùs). Cf. Ef 1,18.
10 Teodoro Studita (759-826), il grande padre del monacheSimo bizantino,

testimonia in una catechesi come nella sua comunità monastica si facesse un uso
distorto di queste parole della Scala; cf. Piccole catechesi 47: “Coloro di cui stia­
mo parlando non solo insultano in modo furibondo, ma arrivano addirittura a
picchiare; e tutto ciò nei confronti di fratelli che portano il loro stesso abito!
Se poi sono rimproverati per il loro comportamento sconsiderato, rispondono di
non essere colpevoli in base alla regola, poiché dicono: ‘Non abbiamo picchiato
in prima persona ma tramite altri!', prendendo così a difesa della loro passione
quella breve sentenza della Scala, senza accorgersi che quelle parole sono forza­
te e non conformi alla legge di Dio! E lo dimostra lo stesso padre quando cita
le parole dell’Apostolo e dice: ‘Ammonisci, rimprovera, esorta, però non dice
anche: Picchia!’. Se dunque non ha detto di picchiare, chi osa aggiungere o to­
gliere qualcosa alle parole che l’Apostolo ci ha consegnato?”.

215
24. Prestiamo attenzione, e vedremo che ci sono molte
persone irascibili che praticano con zelo il digiuno, le ve-
832 d glie e l’esichia: lo scopo del demonio, infatti, è di insinua­
re in loro ciò che è in grado di alimentare e accrescere la
passione con il pretesto della penitenza e dell’afflizione11.
25. Se un solo lupo, come abbiamo già detto, può scon­
volgere l’intero gregge con l’aiuto del diavolo, certamen­
te anche un solo fratello pieno di sapienza, come un otre
pieno d’olio12, è in grado di calmare i flutti e di porre in
salvo la nave con l’aiuto di un angelo, ricevendo da Dio
una ricompensa grande quanto la condanna del primo e
diventando un esempio utile per tutti.
26. L’inizio della beata mitezza è accogliere le umilia­
zioni con amarezza e dolore dell’anima; il grado interme­
dio è sopportarle senza dolore; e la perfezione - se esiste
833 a - è di considerarle come onori. Rallegrati, tu che sei nella
prima condizione! Fatti forza, tu che sei nella seconda!
E beato te che sei nella terza condizione, perché esulti
nel Signore!
27. Negli iracondi ho potuto notare un pietoso spettaco­
lo che essi offrivano attraverso il loro orgoglio, senza nep­
pure avvedersene: dopo essersi adirati, infatti, si adirava­
no di nuovo per essersi lasciati vincere dall’ira. Io mi me­
ravigliavo di veder punita una caduta con un’altra caduta,
e provavo pietà per loro, nel vedere come vendicassero un
peccato con un altro peccato. Atterrito dalla malizia dei
demoni, per poco non disperavo della mia stessa vita.
28. Se qualcuno si accorge di essere facilmente vinto
dall’orgoglio, dagli scatti d’ira, dalla malignità e dall’ipo­
crisia, e decide di sguainare contro queste passioni la

11 La superbia e la vanagloria, che derivano da quelle pratiche ascetiche,


sono in grado di alimentare la passione deirira.
“ Cf. infra, XXVI/3,18.

216
spada a doppio taglio della dolcezza e della mitezza,
dovrà entrare, per così dire, in una salutare lavanderia13,
ossia in una comunità di fratelli, i quali dovranno essere
quanto mai duri, se egli vuole davvero spogliarsi perfet­
tamente di tali passioni. E ciò affinché là sia stirato e per­
cosso spiritualmente dagli insulti, dalle umiliazioni e dalle 833 b

ondate violente suscitate dai fratelli, e forse a volte per­


fino fisicamente scorticato, preso a calci e pestato, e così
possa riuscire a lavar via tutto lo sporco che gli ingombra
i sensi dell’anima.
Lo stesso linguaggio del popolo ti convinca del fatto che
gli insulti servono a lavare le passioni dell’anima: alcuni
nel mondo, infatti, quando hanno coperto d’insulti qual­
cuno a viso aperto, se ne vantano con gli altri dicendo:
“Gli ho fatto una bella lavata!”, che è proprio la verità.
29. Una cosa è la non-irascibilità che i principianti rag­
giungono mediante l’afflizione, e altra cosa l’imperturba­
bilità che è presente nei perfetti: nel primo caso infatti
l’ira è trattenuta dalle lacrime come da un freno; nel se­
condo caso è uccisa dall’impassibilità come un serpente
da una spada.
Una volta ho visto tre monaci subire la stessa umiliazio- 833 c
ne: il primo sentì il morso e ne fu turbato, ma tacque; il
secondo se ne rallegrò per sé, ma se ne rattristò per colui
che l’aveva insultato; il terzo, infine, immaginando il
danno subito dal suo prossimo, pianse calde lacrime. Ed
era evidente che uno agiva per timore, l’altro per la ricom­
pensa, e il terzo per amore.
30. Come la febbre del corpo è una, ma il suo ardore
può essere determinato da diverse cause e non da una sola,
così anche l’ardore e il moto della collera - come forse

13 Lett.: “Officina del cardatore {knapbeion)”. Per la stessa immagine cf.


infra, XXVI/2,51.

2x7
anche di tutte le altre passioni - hanno cause e origini mol­
teplici. Perciò è impossibile definire un’unica regola con­
tro queste passioni; il mio consiglio, piuttosto, è che cia­
scuno dei malati ricerchi con tutta la cura e l’impegno pos-
833 d sibili il metodo di guarigione a lui adatto. E la prima cura
sarà proprio riconoscere la causa del proprio dolore, giac­
ché, una volta che avremo trovato la causa, noi malati po­
tremo ricevere il rimedio efficace contro di essa dalla
provvidenza di Dio e dai nostri medici spirituali.
31. Coloro che vogliono entrare insieme a noi nel tri­
bunale spirituale che stiamo per proporre come esempio,
vi entrino, e insieme cerchiamo di fare in qualche modo
l’esame delle suddette passioni e delle loro cause!
La collera, questa tiranna, sia dunque legata nelle cate­
ne della mitezza, percossa dalla pazienza, trascinata a
forza dalla santa carità e, una volta fatta comparire da­
vanti a questo tribunale della ragione, sia esaminata come
si conviene con queste domande: “Dicci, o stolta e sfron­
tata, il nome di colui che ti ha generata e di colei che ti
ha sventuratamente partorita, e i nomi dei tuoi figli e
836 a delle tue figlie immonde; e non solo, ma rivelaci anche
chi sono coloro che ti fanno guerra e ti uccidono ! ”. E lei,
rispondendoci, dirà pressappoco così: “Le mie madri
sono molte, e mio padre non è unico. Le mie madri sono:
la vanagloria, l’avarizia, l’ingordigia, e talvolta anche la
fornicazione. Colui che mi ha generato si chiama orgo­
glio. Le mie figlie sono il rancore, l’inimicizia, l’autogiu-
stificazione e l’odio. I miei avversari, che ora mi tengono
in catene, sono le virtù opposte a queste passioni: la non­
irascibilità e la mitezza. Colei che m’insidia si chiama
umiltà. Ma se poi volete sapere chi l’ha generata, doman­
datelo a lei, al momento opportuno14!”.

14 II lettore viene rimandato al Discorso XXV interamente dedicato all’umiltà.

218
Nell’ottavo gradino viene assegnata la corona della 836 b

non-irascibilità: chi la possiede per natura, può anche non


averne conquistata nessun’altra; ma chi l’ha raggiunta
con sudori, ha veramente superato tutti gli otto gradini!

219
Discorso IX
SUL RANCORE

1. Le sante virtù sono simili alla scala di Giacobbe (cf.


Gen 28,12), e gli empi vizi a quella catena che cadde dalle 841 a
mani a Pietro, il corifeo degli apostoli (cf. At 12,7). Le
prime, infatti, conducendo l’una all’altra, portano in cielo
chi si decide per esse; i secondi, invece, per loro natura si
generano l’un l’altro e s’intrecciano a vicenda. Proprio
perciò or ora abbiamo udito la stolta collera dichiarare che
il rancore è un suo rampollo. Ora che è il momento oppor­
tuno, dunque, diciamo qualcosa anche di questo vizio.
2. Il rancore è conseguenza naturale della collera, custo­
de dei peccati, odio della giustizia, rovina delle virtù, ve­
leno dell’anima, tarlo della mente, vergogna nella preghie­
ra, recisione della supplica, estraniamento dalla carità,
chiodo confitto nell’anima, sgradevole sentimento amato
per la dolcezza della sua amarezza, peccato continuo, tra­
sgressione incessante, vizio di tutte le ore.
Questa tenebrosa e turpe passione - voglio dire il ran­
core - è una di quelle che sono generate da altre passio- 841 b
ni, e non di quelle che generano. Perciò non abbiamo in­
tenzione di parlarne a lungo.
3. Chi ha calmato l’ira, ha eliminato il rancore, perché
i figli possono nascere solo se il padre è vivente.
4. Chi ha acquistato la carità, si è reso straniero a ogni
risentimento; chi invece coltiva l’inimicizia, accumula per
sé fatiche inopportune.

221
5- Un banchetto di carità dissipa l’odio, e dei doni sin­
ceri raddolciscono l’anima; ma un banchetto imbandito
senza la necessaria attenzione genera eccessiva familiari­
tà, e per la porticina della carità entra l’ingordigia!
6. Ho visto l’odio rompere le catene della fornicazione
in cui qualcuno era imprigionato da lungo tempo, e - cosa
sorprendente ! - il rancore custodire tale rottura anche in
seguito1. Che spettacolo straordinario: un demonio che
guarisce un altro demonio! Ma ciò forse è opera della
provvidenza di Dio e non dei demoni.
7. Il rancore è lontano dalla solida e autentica carità, ma
841 c a essa si avvicina facilmente la fornicazione: la puoi vedere
infiltrarsi di nascosto come un pidocchio in una colomba!
8. Se vuoi coltivare il rancore, coltivalo contro i demo­
ni, e se vuoi odiare, non cessare mai di odiare il tuo
corpo! La carne è un’amica sconsiderata e infida, e più ci
si prende cura di lei, più ci fa torto.
9. Il rancore è un esegeta della Scrittura che interpreta
allegoricamente le parole dello Spirito piegandole alla pro­
prie intenzioni. Ma lo svergogni la preghiera di Gesù, che
non possiamo dire insieme a lui se siamo pieni di rancore2 !
10. Se, dopo aver molto lottato, non sei ancora riuscito
a eliminare questa spina fino in fondo, dà segni di penti­
mento al tuo nemico, almeno a parole, perché, a lungo an­
dare, tu possa vergognarti dell’ipocrisia che nutri nei suoi
confronti e così, stimolato dalla tua coscienza come da un
fuoco, tu possa arrivare ad amarlo in modo perfetto.

1 L'autore vuol dire che un rapporto troppo esclusivo tra due monaci, che
rischiava di trasformarsi in una relazione impura e passionale, fu troncato ef­
ficacemente da un'inimicizia, che suscitò prima l'odio e poi il rancore per le of­
fese subite da parte di entrambi.
2 II riferimento non è all'invocazione del nome di Gesù (come in XV,5i),

ma alla recita del Padre Nostro, la preghiera insegnata da Gesù, in cui è conte­
nuta la domanda: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai no­
stri debitori ! ”.

222
11. Saprai di esserti allontanato da questa cancrena,
non quando pregherai per colui che ti ha fatto torto, né
quando lo ricambierai con doni, né quando lo inviterai a 841 D
tavola, ma quando, venendo a sapere che gli è capitata
qualche sventura, spirituale o materiale, te ne dorrai e
piangerai come per te stesso.
12. Un esicasta rancoroso è un aspide che si nasconde
nella tana e porta in sé un veleno mortale. Il ricordo delle
sofferenze di Gesù guarirà Tanima che serba rancore, fa­
cendola vergognare grandemente di fronte alla sua man­
suetudine.
13. I vermi nascono nel legno marcio: così il risenti­
mento si attacca ai temperamenti che sono miti e pacifi­
ci soltanto in apparenza. Chi ha allontanato il risentimen­
to, ha trovato il perdono; ma chi vi si attacca, si priva
della misericordia di Dio (cf. Mt 6,14-15).
14. Alcuni per ottenere il perdono si sono sottoposti a
fatiche e sudori, ma l’uomo che non conserva rancore ha
già superato queste cose, se sono vere le parole che dico- 844 a
no: “Perdonate immediatamente, e vi sarà perdonato in
abbondanza!” (cf. Le 6,37).
15. L’assenza di rancore è indizio di autentica peniten­
za. Chi invece conserva l’inimicizia, anche se crede di fare
penitenza, è simile a chi in sogno è convinto di correre.
16. Ho visto persone piene di rancore esortare altri a
dimenticare i rancori; comunque, svergognate dalle loro
stesse parole, finirono per liberarsi da tale passione.
17. Che nessuno consideri questa passione tenebrosa
come una cosa da nulla, perché spesso può arrivare a con­
quistare perfino gli uomini spirituali!

Nono gradino: chi l’ha raggiunto chieda ormai con 844 b


piena fiducia a Dio nostro Salvatore la remissione dei pro­
pri peccati!

223
Discorso X
SULLA MALDICENZA

1. Nessuna persona assennata, credo, potrebbe nega­


re che la maldicenza è generata dall’odio e dal rancore:
per questo l’abbiamo messa qui di seguito, dopo i suoi
genitori.
La maldicenza è figlia dell’odio: sottile morbo, ma gras- 845 c
sa sanguisuga, nascosta e impercettibile, che consuma e
succhia il sangue della carità; simulazione della carità, che
insozza e appesantisce il cuore, e distrugge la purezza.
2. Come ci sono giovinette che compiono il male senza
provarne vergogna, e ce ne sono altre che commettono
azioni ancor più gravi ma di nascosto e con un certo pu­
dore, così accade anche per le infami passioni (cf. Rm
1,26), come si può ben vedere. Queste giovinette sono:
l’ipocrisia, la malizia, la tristezza, il rancore e la maldi­
cenza del cuore: esse sembrano insinuare alcune cose, ma
in realtà mirano ad altre.
3. Una volta ho sentito alcuni che parlavano male del
loro prossimo e li ho rimproverati; e quegli operatori di
male, per giustificarsi, mi risposero che lo facevano per
carità e sollecitudine nei confronti di colui di cui parlava­
no male. E io dissi loro di smetterla con una siffatta ca­
rità, per non rendere bugiardo colui che ha detto: Chi 845 d

parla male in segreto del suo prossimo, io lo respingo! (Sai


100,3). Se dici di amarlo, prega in segreto per quest’uo-

225
mo, senza metterlo in ridicolo ! É questa infatti la forma
di carità gradita al Signore.
4. Non ti dimenticare di questo, e certamente starai
ben attento a non giudicare chi pecca: Giuda faceva parte
della cerchia dei discepoli (cf. Mt 26,14-16 par.), e il
buon ladrone della schiera degli assassini (cf. Le 23,42-
43); ma è straordinario come in un solo istante essi si
siano scambiati di posto1 !
5. Se qualcuno vuole vincere lo spirito della maldicen­
za attribuisca la colpa non a chi commette il peccato, ma
al demone che glielo ha suggerito. Nessuno, infatti, vuole
peccare contro Dio, sebbene tutti noi pecchiamo senza
esservi costretti.
6. Ho visto una persona peccare in pubblico e poi pen­
tirsi in segreto; e ho scoperto che colui che avevo condan-
848 a nato come fornicatore, era considerato casto da Dio, poi­
ché con la sua sincera conversione si era procurato la be­
nevolenza divina.
7. Non aver riguardo per chi parla male del suo pros­
simo davanti a te. Digli piuttosto: “Smettila, fratello! Io
cado ogni giorno in peccati ben più gravi, e come posso
condannare quello là?”. Otterrai così un doppio guada­
gno: con una sola medicina guarirai te stesso e il tuo
prossimo!
8. Questa è una delle vie più brevi che conducono al
perdono dei peccati, intendo dire il fatto di non giudica­
re; se sono vere quelle parole: Non giudicate e non sarete
giudicati! (Le 6,37). Il fuoco è nemico dell’acqua, quanto
il giudicare è estraneo a colui che vuole fare penitenza.

1 Cf. Apoftegmij Xanthia i: “Il padre Xanthia disse: ‘Il ladrone pendeva
dalla croce e fu giustificato da una sola parola; e Giuda, che era stato annove­
rato con gli apostoli, in una sola notte perse ogni fatica e piombò dai cieli all'in­
ferno. Perciò nessuno che compie il bene si deve gloriare, poiché tutti quelli
che hanno avuto fiducia in se stessi sono caduti!”'.

226
9. Anche se vedi qualcuno peccare in punto di morte,
non condannarlo neanche allora, poiché il giudizio di Dio
rimane nascosto agli uomini! Alcuni in pubblico hanno
commesso grandi peccati, ma in segreto hanno fatto 848 b
opere virtuose ancora più grandi, e così i loro calunnia-
tori si sono ingannati fermandosi a contemplare il fumo
invece del sole!
10. Ascoltatemi, ascoltatemi, tutti voi perfidi censori
delle azioni altrui! Se è vero, come è vero, che col giu­
dizio con cui giudicate sarete giudicati (Mt 7,2), certamen­
te cadremo negli stessi peccati per i quali accusiamo il
prossimo, sia dell’anima che del corpo! E non può esse­
re altrimenti.
11. Quei censori scrupolosi e inflessibili delle man­
canze del loro prossimo sono soggetti a questa passione
perché non si sono ancora presi la briga di ricordare e
considerare i propri peccati in modo attento e preciso.
Chiunque infatti, dopo aver rimosso il velo dell’amore
di sé, riuscisse a vedere con esattezza i propri peccati,
non penserebbe a nient’altro nella vita, ritenendo che
tutto il suo tempo non potrebbe bastargli per affligersi 848 c
su di sé, neanche se vivesse cent’anni, e neanche se ve­
desse l’intero fiume Giordano scorrere giù dai suoi occhi
in lacrime!
12. Ho esaminato l’afflizione, e in essa non ho trova­
to traccia di maldicenza o di condanna del prossimo.
13. I demoni ci costringono a peccare, oppure, se non
pecchiamo, a giudicare chi pecca; e questo per riuscire,
da omicidi quali sono, a insozzare il nostro primo com­
portamento con il secondo. Sappi che le persone rancoro-
se e calunniatrici si riconoscono da questo: dal fatto che
biasimano e denigrano volentieri e con grande facilità gli
insegnamenti, le azioni o i risultati positivi del prossimo,
miseramente immersi come sono nello spirito dell’odio.

227
14- Ho visto persone che, di nascosto e lontano dalla
vista degli altri, commettono peccati terribili, e poi, con
l’alibi della propria innocenza, si scagliano duramente
848 d contro coloro che hanno commesso peccati leggeri ma di

fronte a tutti.
15. Giudicare è impudente usurpazione di una prero­
gativa di Dio, ma condannare è la rovina della propria
anima!
16. Come la presunzione, anche senza altre passioni,
può portare alla perdizione chi la possiede, così il giudi­
care, anche da solo, è in grado di portarci alla totale per­
dizione: il fariseo infatti fu condannato proprio per que­
sto (cf. Le 18,10-14)!
17. Il bravo vendemmiatore mangia l’uva matura senza
raccogliere quella acerba. Così la mente saggia e assennata
prenderà scrupolosamente nota di tutte le virtù che vedrà
negli altri, mentre quella stolta cercherà di scoprire difet­
ti e mancanze; è di essa che è stato detto: Hanno cercato
849 a le iniquità e si sono esauriti continuando a cercare (Sai 63,7).

18. Non condannare, neanche se vedi qualche peccato


con i tuoi occhi, perché anch’essi spesso si sono ingannati!

Decimo gradino: chi l’ha conquistato è una persona


che pratica la carità, o almeno l’afflizione.

228
Discorso XI
SULLA CHIACCHIERA E SUL SILENZIO

1. Nel discorso precedente abbiamo mostrato breve­


mente come sia pericoloso giudicare - un vizio, questo,
che s’insinua anche in persone apparentemente buone -,
e come sia ancora più pericoloso essere giudicati e puniti
a causa della propria lingua. Ora non ci resta che colloca­
re al loro posto e descrivere brevemente la causa di tale
vizio e la porta attraverso la quale entra o esce.
2. La chiacchiera è la cattedra sulla quale la vanagloria
sa far mostra di sé sedendo in trionfo. La chiacchiera è in- 852 b
dice d’ignoranza, porta della maldicenza, maestra di scher­
zi, serva della menzogna, rovina della compunzione, arte­
fice e suscitatrice dell’acedia, precorritrice del sonno; dis­
sipazione del raccoglimento, eliminazione della vigilanza,
raffreddamento del fervore, oscuramento della preghiera.
3. Il silenzio intelligente1 è padre della preghiera, libe­
razione dalla prigionia2, guardia del fuoco3, sorvegliante
dei pensieri, vedetta contro i nemici, prigione dell’affli­
zione, amico delle lacrime, custode del pensiero della
morte, pittore del castigo futuro, assiduo indagatore del
giudizio, dispensatore di sana inquietudine, nemico del-

1 Lett.: “[Praticato] con conoscenza {en gnóseì)”.


2 Sottinteso: “Dei pensieri cattivi”; su questo concetto cf. infra, XV,73.
3 Cioè dell*amore di Dio.

229
l’eccessiva familiarità, compagno dell’esichia, avversario
del gusto di insegnare, sostegno della conoscenza, creato­
re della contemplazione, progresso invisibile, ascensione
nascosta.
852 c 4. Chi ha riconosciuto i propri peccati, trattiene la lin­
gua; ma chi si abbandona alle chiacchiere, non è ancora
giunto a una giusta conoscenza di se stesso.
L’amico del silenzio si avvicina a Dio e, intrattenendo­
si segretamente con lui, riceve l’illuminazione.
Il silenzio di Gesù mise in soggezione Pilato (cf. Mt
27,14 par.); così, l’esichia di un uomo è in grado di di­
struggere la vanagloria.
5. Pietro, dopo aver pronunciato una parola, pianse
amaramente (cf. Mt 26,75 Par-) Per essersi dimenticato di
colui che disse: Dissi: “Custodirò le mie vie, per non pecca­
re con la mia lingua” (Sai 38,2), e di quell’altro che disse:
“E meglio cadere a terra da un’altura che cadere con la
lingua!” (cf. Sir 20,18).
6. Riguardo a queste cose non voglio scrivere molto,
anche se gli inganni delle passioni vorrebbero spingermi
a farlo. Un giorno, però, ho sentito dire a una persona
che discuteva con me sull’esichia che la chiacchiera deri­
va sempre da una di queste cause: o da una condotta e da
852 d abitudini di vita malvagie e sregolate, poiché - diceva -

essendo anche la lingua un membro del corpo, essa recla­


ma le abitudini secondo le quali è stata educata; o anco­
ra - e soprattutto nel caso di chi lotta4 -, dalla vanaglo­
ria; o talvolta anche dall’ingordigia. Per questo, molti,
dominando il ventre, grazie alla violenza che fanno a se
stessi e all’indebolimento delle loro forze, riescono a te­
nere a freno anche la lingua e la sua verbosità.

4 Cioè nel caso djegli asceti pieni di zelo.

230
7. Chi medita sulla propria dipartita, taglia corto con
le parole; e chi ha raggiunto l’afflizione deH’anima, fugge
la chiacchiera come il fuoco!
8. Chi ama l’esichia tiene chiusa la bocca; ma chi si
compiace di fare uscite, è scacciato dalla cella dalla pro­
pria passione.
9. Chi ha conosciuto il profumo del fuoco divino,
fugge la compagnia degli uomini come l’ape il fumo; poi­
ché, come il fumo scaccia l’ape, la compagnia degli uomi­
ni è di ostacolo a questa persona5.
10. Assai pochi riescono a contenere l’acqua uscita 853 A
fuori dagli argini; ancora di meno, a frenare una bocca in­
temperante !

Gradino undicesimo: chi l’ha conquistato ha spezzato


un’infinità di mali in un colpo solo !

5 Cf. infra, XXVII/1,25; XXVII/2,29.

231
Discorso XII
SULLA MENZOGNA

1. Come il fuoco nasce dalla pietra e dal ferro, così la


menzogna, dalla chiacchiera e dagli scherzi. La menzogna è
estinzione della carità; lo spergiuro è rinnegamento di Dio1.
2. Nessun uomo assennato supponga che quello della 856 a

menzogna sia un peccato di poco conto. Contro di essa


infatti lo Spirito santo ha pronunciato la sentenza più ter­
ribile di tutte. Se, come David dice a Dio, Tu farai perire
tutti coloro che dicono menzogne (Sai 5,4), che ne sarà di
coloro che alla menzogna uniscono i giuramenti ?
3. Ho visto persone che si vantavano delle loro menzo­
gne, e che con i loro scherzi e le loro vane parole intesse­
vano storie allo scopo di far ridere, estinguendo misera­
mente Tafflizione in coloro che li stavano ad ascoltare.
4. Quando i demoni si accorgono che, appena qualche
molesto affabulatore comincia a parlare, noi cerchiamo il
modo di sottrarci all’ascolto delle sue stupidaggini, come
a un morbo pestilenziale, subito tentano di trarci in in­
ganno con due pensieri: “Non offendere chi sta parlan­
do!”, oppure: “Non voler apparire più pio degli altri!”. 856 b

Ma tu vattene via, senza por tempo in mezzo, altrimenti


quegli scherzi ti torneranno in mente al momento della

1 Cf. Gregorio di Nazianzo, Carmi morali 33.

233
preghiera! Non limitarti però a fuggire, ma sciogli anche
quel malvagio consesso, come richiede la pietà, gettando
in mezzo a esso il ricordo della morte e del giudizio. E
meglio, infatti, rischiare di ricevere così qualche spruzzo
di vanagloria2, pur di recare giovamento a molti.
5. Spesso l’ipocrisia è madre e occasione di menzogna.
Secondo alcuni, infatti, l’ipocrisia non significa altro che
meditare e inventare menzogne, mescolandovi giuramen­
ti colpevoli. Chi ha acquistato il timore di Dio, si è reso
estraneo alla menzogna, avendo ormai la propria coscien­
za come giudice incorruttibile.
6. Come in tutte le passioni riconosciamo gradi diver­
si di danno, così è anche per la menzogna. Diversa è la
856 c condanna di chi mente per paura di un castigo, e diversa
quella di chi lo fa senza esservi spinto da alcun pericolo.
C’è chi mente per capriccio, e chi per amore del piacere;
c’è chi lo fa per spingere al riso i presenti, e chi per ten­
dere insidie al proprio fratello e fargli del male.
7. I magistrati eliminano la menzogna mediante le tor­
ture, ma soltanto fiumi di lacrime possono distruggerla
definitivamente! Chi ricorre alla menzogna adduce come
pretesto la prudenza, e spesso considera giustizia ciò che
conduce l’anima alla perdizione. L’uomo che fabbrica
menzogne sostiene di essere imitatore di Raab (cf. Gs
2,1-21) e con la propria rovina afferma di poter procura­
re la salvezza agli altri!
8. Quando ci saremo totalmente purificati dalla men­
zogna, allora sì - se le circostanze lo richiederanno - po­
tremo ricorrervi, ma con timore3.

2 Le passioni sono come le onde di un mare in tempesta che ci colpiscono


con i loro spruzzi.
3 Cf. Giovanni Cassiano, Conferenze XVII,6; Apoftegmi, Aionio 4 (cit. in

Doroteo di Gaza, Insegnamenti IX, 102).

234
Un bambino non conosce la menzogna, né la conosce
un’anima che si è liberata della malizia.
Chi è allegro a causa del vino che ha bevuto, senza vo­
lere dirà la verità in tutto; così chi si è ubriacato di com- 856 d
punzione4, non potrà mentire.

Dodicesimo gradino: chi vi è salito, possiede la radice


di ogni bene!

4 L’espressione si ispira a Sai 59,5 LXX: “Ci hai fatto bere un vino di com­
punzione”. Sul tema del “vino di compunzione” (collegato a quello della
“gioiosa tristezza”, cf. supra, n. 5 a VII,ii), cf. Pseudo-Giovanni Crisostomo,
Discorsi sulla penitenza 1, PG 60,697.

235
Discorso XIII
SULL’ACEDIA

1. Ecco un altro vizio che, come abbiamo già detto in


precedenza1, è spesso tra i frutti della chiacchiera, anzi è
il suo figlio primogenito: parlo dell’acedia; perciò gli ab­
biamo assegnato il posto che gli spetta in questa infame 860 a
catena di vizi2!
L’acedia3 è paralisi dell’anima, infiacchimento della
mente, trascuratezza dell’ascesi, odio della professione4;
dichiara beato chi vive nel mondo, e accusa Dio di esse­
re senza misericordia e senza amore per gli uomini; è ato­
nia nella salmodia, astenia nella preghiera, ferrea dedizio­
ne nel servizio, solerzia nel lavoro manuale e disponibili­
tà all’obbedienza.
2. Chi vive nella sottomissione5, non conosce l’acedia,
poiché arriva alle realtà spirituali attraverso quelle sensibili.

1 Cf. supra, XI,2.


2 Cf. supra, IX, 1.
* Queste definizioni, come anche Finterà descrizione della fenomenologia
delFacedia, sono chiaramente ispirate all’acuta e minuziosa analisi di Evagrio
Pontico (cf. Trattato pratico 12; Gli otto spiriti di malizia 13-14; I vizi e le virtù
4; Antirrhetikos 6), probabilmente attraverso la mediazione di Giovanni Cas-
siano, Istituzioni X,i-25 e di Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG
79,i45ÓD-i46oB. In generale sulFacedia, cf. G. Bardy, s.v. “Acedia”, in DS I,
coll. 166-169; J.-C. Larchet, Thérapeutique des maladies spirituelles, pp. 207-
214; P. Miquel, Lessico del deserto. Le parole della spiritualità, Qiqajon, Bose
1998, pp. 11-36 ; G. Bunge, Akedia, il male oscuro, Qiqajon, Bose 1999.
4 Cioè del proprio stato monastico.
5 Cioè il monaco cenobita.

237
3. Il cenobio è nemico dell’acedia, ma essa è l’insepa­
rabile compagna dell’esicasta6: non lo abbandonerà prima
della morte, e lotterà contro di lui ogni giorno, fino alla
fine. Quando vede la cella di un’anacoreta, essa sorride
e, avvicinandosi a lui, s’installa al suo fianco.
4. Il medico visita i malati al mattino, mentre l’acedia
860 b visita gli asceti verso mezzogiorno7. L’acedia suggerisce di
accogliere gli ospiti e costringe a compiere lavori manuali
per poter fare elemosine. Esorta con ardore a visitare i
malati, ricordando la parola di colui che ha detto: Ero ma­
lato e siete venuti a trovarmi (Mt 25,3Ó)8. Suggerisce di re­
carsi da coloro che sono abbattuti e scoraggiati, dicendo:
Confortate i pusillanimi! (iTs 5,14), proprio lei, la pusilla­
nime! Quando siamo in preghiera ci fa venire in mente
qualche dovere urgente, e mette in moto ogni espediente
per trascinarci via di là, con buone ragioni, come con una
cavezza, proprio lei così irragionevole!
5. Per tre ore9 il demone dell’acedia ci provoca brividi,
mal di testa, febbre e dolori intestinali. Giunta l’ora nona,
ci fa alzare un po’ il capo, e poi, quando la tavola è pron­
ta, ci fa balzare giù dal letto. Appena però giunge l’ora

6 Cf. Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,i4ÓoA: “La passione


dell’acedia fa guerra soprattutto a coloro che vivono nell’esichia”.
7 Evagrio identifica il demone dell’acedia con il “demone di mezzogiorno”

di cui si parla in Sai 90,6: cf. Trattato pratico 12 e Scolii ai Salmi, PG 12,15520;
cf. anche Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,14560, qui citato quasi
letteralmente.
8 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malìzia 13: “L’acedioso adduce

come pretesto le visite ai malati, in realtà soddisfa il proprio desiderio”;


Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,i457A: “L’acedia induce a pen­
sare che sarebbe bene andare a vedere i fratelli, per una visita o per rendere un
servizio e, una volta che ha fatto opera di persuasione, fa conoscere l’instabili­
tà, l’agitazione e la concupiscenza, e a poco a poco cattura nelle reti delle oc­
cupazioni e delle preoccupazioni mondane”.
9 Sono le tre ore che precedono Fora nona (cioè le quindici), che era l’ora

normale dell’unica refezione giornaliera dei monaci (cf. Apoftegmiì Antonio 34;
Macario 33). Evagrio Pontico, Trattato pratico 12, parla di quattro ore: dall’o­
ra quarta (le dieci) all’ora ottava (le quattordici).

238
della preghiera, il corpo si sente di nuovo appesantito; e,
mentre siamo in preghiera, ci immerge di nuovo nel sonno 860 c
e con inopportuni sbadigli ci strappa di bocca i versetti10.
6. Ciascuna delle altre passioni può essere vinta con
una qualche virtù, ma l’acedia per il monaco è una morte
che lo circonda da ogni parte.
7. Un’anima coraggiosa può risuscitare una mente
morta, ma l’acedia e la pigrizia dilapidano tutto il bel te­
soro accumulato.
8. Poiché anche questo è uno degli otto principali de­
moni che presiedono ai vizi, e il più opprimente di tutti11,
comportiamoci con esso come con gli altri12. Aggiungere­
mo però ancora questo: che quando non è il momento
della salmodia, l’acedia non si fa vedere; e quando l’uffi­
cio è terminato, i nostri occhi si riaprono13.
9. Proprio nel momento dell’acedia si vede chi sa farsi
violenza (cf. Mt 11,12): infatti nessun’altra cosa come
l’acedia procura al monaco così tante corone, purché egli
attenda all’opera di Dio14 senza cedere.

10 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malizia 14: “Il monaco acedioso è
riluttante a pregare e non pronuncia mai le parole della preghiera. Infatti, come
il malato non porta un carico pesante, così l’acedioso non compie l’opera di Dio
con diligenza. Quegli ha perduto la forza del corpo, questi ha allentato la ten­
sione dell’anima”.
11 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 12; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri

malvagi, PG 79,14560. Qui l’aggettivo barys ha il duplice significato di “mo­


lesto” e di “pesante”: il senso di pesantezza è una caratteristica tipica dell’ace­
dia (cf. supra, § 5).
u Facendogli un “processo” davanti alla coscienza: cf. infra, § io.
13 Dal sonno, cioè, in cui Pacedia li aveva immersi.
14 Cioè alla preghiera. L’espressione “opera di Dio” {theton érgon, più spes­

so érgon toù theoù), che in origine significava l’intera vita del cristiano consa­
crata a Dio nella fede (a partire da Gv 6,29), non sembra aver mai assunto in
oriente il significato ristretto e univoco di “ufficio divino”, nel senso di una
preghiera celebrata in comune a momenti fissi (come invece Vopus Dei in occi­
dente, a partire da Benedetto). Sull’argomento cf. I. Hausherr, “Opus Dei”,
in Etudes de spiritualité orientale, Pont. Institutum Orientalium Studiorum,
Roma 1969, pp. 121-144.

239
Fa’ attenzione e vedrai come essa combatta contro i
tuoi piedi, quando sei in posizione eretta, e ti suggerisca
860 d di appoggiarti al muro quando sei seduto; poi, provocan­
do qualche frastuono e rumore di passi, ti spinge a met­
ter la testa fuori della cella15. Ma chi si affligge su se stes­
so, non conosce l’acedia!
io. Anche questa tiranna16 sia incatenata dal ricordo
dei peccati, percossa dal lavoro manuale, trascinata a
forza dal pensiero dei beni futuri e, una volta fatta com­
parire in tribunale17, sia interrogata come si conviene:
“Su, dimmi, pigra e sfaticata, chi è quello sciagurato che
ti ha generata? Quali sono i tuoi figli? Chi sono coloro
che ti fanno guerra e chi è in grado di annientarti?”. Ed
essa, costretta, potrebbe risponderti: “Io non ho dove po­
sare il capo (cf. Mt 8,20)18 tra coloro che vivono veramen­
te in obbedienza; ma trovo posto presso quelli che vivo­
no nell’esichia, e me ne sto tranquilla con loro. Molte e
861 a diverse sono le cause da cui traggo origine: a volte l’in­
sensibilità dell’anima, altre volte la dimenticanza delle
cose di lassù, e a volte anche l’eccesso di fatiche19. I miei
figli sono: i cambiamenti di luogo da me ispirati, la disob­
bedienza al padre spirituale, la dimenticanza del giudizio,
e talvolta anche l’abbandono della professione monastica.

15 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malìzia 14: “L’occhio dell’acedio-
so è continuamente puntato sulla finestra, e la sua mente si immagina dei visi­
tatori. La porta ha mandato un cigolio? Eccolo che balza in piedi. Ha udito
una voce? Egli spia dalla finestra, e non si muove di là finché Tintorpidimen-
to non ve l’abbia fatto scendere”; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG
79,14606: “Opera dell’acedia: muovere qua e là i piedi durante la preghiera,
fissare ora i muri, ora il tetto, ora qualche oggetto che è nella cella; sporgersi
dalla finestra, tendere l’orecchio come se si fosse udito qualcuno venire”,
16 Cf. supra, Vili,32.
17 Cioè davanti alla propria coscienza.
18 Cf. anche supra, § 3.
19 Anche Barsanufio di Gaza, Lettere 562, parla di un’“acedia fisica” che è

frutto della spossatezza del corpo provocata dall’ascesi.

240
I miei avversari, che ora mi tengono in catene, sono la
salmodia e il lavoro manuale20; la mia nemica è la medita­
zione della morte; ma colei che può uccidermi compieta-
mente è la preghiera unita alla ferma speranza nei beni
futuri21. Ma se volete sapere chi generi la preghiera, chie­
detelo a lei!

Colui che ha ottenuto questa vittoria, è veramente ido- 861 b


neo ad ogni virtù.

20 Cf. Apoftegmi, Antonio i, citato infra, XVIII,6. Sul lavoro manuale come
rimedio contro Pacedia insiste particolarmente Giovanni Cassiano, Istituzioni
X>7-24.
21 Consigli analoghi contro Pacedia si ritrovano in Pseudo-Nilo, Gli otto

pensieri malvagi, PG 79, 1457A-1460A; Marco il Monaco, Su chi si crede giusti­


ficato per le opere 36; Doroteo di Gaza, Insegnamenti XIII,i25; Giovanni
Mosco, Prato 142.

241
Discorso XIV
SUL VENTRE,
NOSTRO FAMIGERATO TIRANNO

1. Nell'accingerci ora a parlare del ventre, siamo come 864 c


sempre intenzionati a rivolgere i nostri discorsi contro noi
stessi: mi meraviglierei infatti se qualcuno riuscisse ad af­
francarsi da esso prima di andare ad abitare nella tomba!
2. L’ingordigia1 è l’ipocrisia di un ventre che si lamen­
ta di essere nel bisogno quando è già sazio e grida alla
fame quando è pieno fino a scoppiare. L’ingordigia è sa­
piente artefice di prelibatezze e fonte di delizie. Se le
strozzi una vena, spunta fuori da un’altra parte; e se le
ostruisci una via, subito gliene apri un’altra. L’ingordigia
è illusione degli occhi: pur non potendo assumere che
pochi alimenti, pretende di ingurgitare tutto in un solo
boccone !
3. La sazietà negli alimenti genera la fornicazione; la
mortificazione del ventre procura la purezza. Chi blandi­
sce un leone, spesso riesce ad ammansirlo; ma chi circon- 864 d
da di cure il proprio corpo, lo fa infuriare ancora di più.

1 In greco: gastrimarghia, che in base all’etimologia (da gastér> “ventre” e


margatneìn, “essere folli”) significa letteralmente “follia del ventre”. I padri in
genere la distinguono dalla hìmarghia, “follia della gola”, che è piuttosto il de­
siderio di cibi vari e raffinati (cf. Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG
79,i437D), ma Climaco non sembra tenere conto di questa distinzione: per lui
la gastrimarghìa è sì anzitutto la voracità, ma include anche la “gola”.

243
4- Il giudeo si rallegra il sabato e nei giorni di festa, e
il monaco ingordo, il sabato e la domenica2: calcola in an­
ticipo quanto manca alla Pasqua e prepara i suoi manica­
retti molti giorni prima. Chi serve il proprio ventre, si fi­
gura nella mente i cibi con cui celebrerà la festa; chi serve
Dio, pensa alle grazie di cui sarà arricchito. Quando arri­
va un ospite, lo schiavo del ventre è spinto dalla propria
ingordigia a profondersi in manifestazioni di carità nei
suoi confronti, e considera come ristoro del fratello il
proprio lasciarsi andare. In presenza di qualcuno, ritiene
giusto concedersi un po’ di vino, e credendo di nasconde­
re la sua virtù3, in realtà diventa schiavo della passione!
5. La vanagloria spesso fa guerra all’ingordigia, ed esse
litigano per accaparrarsi il povero monaco come uno
schiavo venduto all’asta: l’una lo costringe a lasciarsi an­
dare, l’altra gli suggerisce di farsi bello della propria
8 6 5 a virtù! Ma il monaco saggio sfuggirà ad entrambe, scac­

ciando l’una con l’altra al momento opportuno.


6. Finché la nostra carne è nel pieno del suo vigore, os­
serviamo l’astinenza in ogni tempo e luogo; ma quando
essa si sarà calmata - e non credo che ciò avverrà prima
che essa sia nella tomba! -, allora possiamo anche nascon­
dere la nostra attività ascetica.
7. Ho visto anziani presbiteri beffati dal diavolo dare la
propria benedizione a dei giovani che non erano loro disce­
poli, concedendo loro di bere vino nei banchetti e altre cose
simili. Se sono persone che godono di buona fama nel Si­
gnore a parlare così, possiamo concederci un po’ di sollievo,
anche se con la dovuta misura; ma se sono persone negligen­
ti, non teniamo in nessun conto la loro benedizione, e tanto
più se siamo combattuti dal fuoco delle passioni carnali.

2 Giorni in cui nei monasteri si sospendeva il digiuno.


3 Cioè la sua temperanza, per modestia.

244
8. Il maledetto4 Evagrio credette di essere più sapiente
dei sapienti nell’eloquenza e nei pensieri, ma in realtà s’in­
gannò, sventurato, rivelandosi più stolto degli stolti in
molte cose, e in particolare laddove dice: “Quando Fani- 865 b
ma desidera cibi variegati, la si riduca a pane e acqua!”5,
ordinando qualcosa di simile a chi dicesse a un bambino
di salire l’intera scala con un solo balzo!
Perciò noi, capovolgendo la sua affermazione, diciamo:
“Quando l’anima desidera cibi variegati, richiede qualco­
sa che è proprio della natura: guardiamo perciò di usare
astuzia contro di lei, che è piena di astuzia; e se proprio
non ci troviamo nel mezzo di una violentissima lotta e
non dobbiamo correggerci da qualche caduta, in un primo
momento tagliamo via soltanto i cibi che ingrassano, poi
quelli che riscaldano, e infine quelli che sono gustosi”.
9. Nei limiti del possibile, da’ al tuo ventre alimenti che
lo riempiano in fretta e siano di facile digestione: così, ri­
empiendolo, sazieremo il suo appetito insaziabile, e dige­
rendo rapidamente ci libereremo del suo ardore, che è per 865 c
noi come una sferza. Se stiamo ben attenti, scopriremo

4 Lett.: “Perseguitato da Dio (tbeéletos)”; lo stesso aggettivo è attribuito da


Epifanio a Origene in Ancoratus 54 . Questo severo giudizio di Climaco su
Evagrio, l’erede e il sistematizzatore della dottrina spirituale dei padri del de­
serto egiziano, si spiega con la condanna delle dottrine origeniste di quest’ul­
timo da parte del quinto concilio ecumenico (553). Sul rapporto di Climaco con
l’opera di Evagrio, cf. G. D. Martzelos, “Il fondamento teologico”, pp. 76-79;
e anche supray “Introduzione”, pp. 26-28.
5 Evagrio Pontico, Trattato pratico 16. Su questo passo evagriano, cf. A.

Guillaumont, Les Kephalaìa Gnostica d’Evagre le Pontique et Thistoire de Tori-


genisme chez les Grecs et cbez les Syriens, Seuil, Paris 1962, p. 164; A. e C.
Guillaumont, in Evagre le Pontique, Traitépratique ou Le moine II, Cerf, Paris
1971, pp. 540-542, i quali ritengono che qui Evagrio non intenda semplice-
mente proporre un regime a pane e acqua - normale per i monaci d’Egitto -
come opposto a un regime alimentare variato, ma voglia piuttosto consigliare
di “ridurre la propria razione di pane e di acqua” al fine di evitare la sazietà.
Quale che sia la corretta interpretazione del passo evagriano, nel contesto del
discorso di Climaco sembra necessario intenderlo nel modo in cui l’abbiamo
tradotto, altrimenti non si giustifica il paragone con il comando di salire l’in­
tera scala - probabilmente la “scala delle virtù” - con un unico balzo.

245
che la maggior parte degli alimenti che gonfiano il ventre
sono anche eccitanti.
10. Ridi in faccia al demonio che, alla fine del pasto,
ti suggerisce di prolungare i tuoi digiuni: all’ora nona del
giorno seguente, infatti, egli avrà già rinnegato l’accordo
concluso il giorno prima.
11. Altra è l’astinenza che si addice a coloro che hanno
una condotta irreprensibile, e altra quella che si addice a
coloro che devono scontare dei peccati: per i primi infat­
ti i moti della carne sono solo un segnale6; gli altri invece
ne sono affetti senza interruzione e senza tregua fino alla
morte e al termine della vita. I primi cercano di custodire
sempre l’equilibrio della mente; i secondi si procurano la
benevolenza di Dio attraverso la tristezza dell’anima e la
macerazione della carne.
12. Un momento di allegria e di distensione non procu­
ra la minima preoccupazione a chi ha raggiunto la perfe­
zione; per chi invece ancora combatte contro le passioni,
è un momento di lotta; per chi infine è schiavo delle pas-
865 d sioni, è la “festa delle feste e la solennità delle solennità”7.
13. Il cuore degli ingordi sogna cibi e alimenti; il cuore
degli afflitti, giudizi e castighi.
14. Domina il ventre prima che sia esso a dominarti, per­
ché allora dovrai praticare l’astinenza con vergogna. Sanno
quel che dico coloro che sono caduti in quell’orribile fossa8,
mentre gli “eunuchi”9 di ciò non hanno alcuna esperienza.

6Sottinteso: “Che li richiama all'astinenza”.


7 “Festa delle feste e solennità delle solennità” è il titolo che la liturgia bi­
zantina attribuisce esclusivamente alla festa di Pasqua (cf. Giovanni
Damasceno, Canone pasquale, hirmòs, Vili ode). Il monaco schiavo delle pas­
sioni per Climaco ha ormai perduto qualsiasi coscienza della centralità della
Pasqua, e dunque della propria vocazione di monaco e di cristiano: per lui ogni
occasione di festa materiale è una “pasqua”.
8 II peccato di fornicazione, che secondo Climaco è frutto dell'eccesso di cibo.
9 Gli “eunuchi per il regno dei cieli”: cf. Mt 19,12.

246
15. Recidiamo i desideri del ventre con il pensiero del
fuoco eterno: alcuni, infatti, per aver obbedito a esso, fi­
nirono poi per mutilare le membra del proprio corpo e mo­
rirono di una doppia morte10. Riflettiamo, e scopriremo
che il ventre da solo è la causa di tutti i nostri naufragi!
16. La mente di chi digiuna prega con vigilanza, quel­
la dell’intemperante è ripiena di immagini impure. La sa- 868 a

zietà del ventre prosciuga le fonti11; invece quando rima­


ne a secco, fa sgorgare le acque.
17. Chi soddisfa il proprio ventre e nello stesso tempo
pretende di vincere lo spirito della fornicazione, è simile
a chi vuole spegnere un incendio con dell’olio12. Se il ven­
tre è mortificato, il cuore si umilia; se invece il ventre è
soddisfatto, il pensiero s’inorgoglisce.
18. Esamina te stesso alla prima ora del giorno, a mez­
zogiorno e verso l’ultima ora prima del pasto, e imparerai
così l’utilità del digiuno13. Al mattino presto, il pensiero
salta e divaga di qua e di là; verso l’ora sesta si calma un
po’; e al tramonto del sole diventa perfettamente umile.
19. Mortifica il ventre, e certamente chiuderai anche
la bocca: la lingua, infatti, prende forza dall’abbondanza
degli alimenti. Lotta con tutte le tue forze contro il ven­
tre, e vigila su di esso con ogni attenzione: se infatti fai 868 b

un po’ di sforzi, subito il Signore viene in tuo soccorso14.


20. 'Gli otri di pelle aumentano la propria capacità se

10 Cioè di morte fisica e spirituale. C’è probabilmente un riferimento a


Origene che, secondo Eusebio, arrivò a farsi evirare, applicando alla lettera il
precetto di Mt 19,12: cf. Eusebio di Cesarea, Stona della chiesa VI,8.
11 Cioè le lacrime.
12 Cf. Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,14400
13 II digiuno consisteva nel posticipare Punico pasto giornaliero dopo il tra­

monto del sole.


14 Lett.: “Coopera {synerghei)”. Su questa nozione cf. infra, “Glossario”,

s.v. “Cooperazione”.

247
vengono ammorbiditi con l’uso, ma non possono fare al­
trettanto se rimangono inutilizzati.
21. Chi sforza il proprio ventre, dilata le interiora; chi
invece lotta contro di esso, le restringe; e quando ormai le
interiora sono ristrette, non abbiamo più bisogno di molti
alimenti, e da quel momento digiuniamo in modo naturale.
22. Spesso la sete calma la sete, ma è difficile, e addi­
rittura impossibile, eliminare la fame con la fame. Se il
ventre ti domina, tu assoggettalo con le fatiche, ma se per
la tua debolezza anche questo ti è impossibile, allora lotta
contro di esso con le veglie.
23. Se i tuoi occhi sono appesantiti, applicati a un lavo­
ro manuale; ma se non hai sonno, lascia da parte il lavoro,
perché è impossibile dedicare la propria mente a Dio e a
mammona (cf. Mt 6,24), ossia a Dio e al lavoro manuale15.
868c 24. Sappi che spesso il demonio16 s’insedia nello stoma­
co e fa sì che l’uomo non si sazi, neanche se mangia l’in­
tero Egitto e beve tutta l’acqua del Nilo! Dopo il pasto
quel maledetto si ritira e manda contro di noi il demonio
della fornicazione, dopo averlo messo al corrente di ciò
che è accaduto: “Afferralo tu - dice - afferralo e tormen­
talo, perché ora che il suo ventre è carico non farai molta
fatica!”. E quello si avvicina e sorride, lega le nostre
mani e i nostri piedi con il sonno e fa ormai tutto ciò che
vuole, contaminando l’anima e il corpo con impurità, fan­
tasie e polluzioni! Ed è sorprendente vedere come la
mente incorporea sia contaminata e ottenebrata dal
corpo, e come poi, attraverso il fango17, l’immateriale sia
nuovamente purificata e affinata.

15 Cf. infra, XVIII,6, dove a sostegno di questa opinione si cita Apoftegmi,


Antonio i.
16 Cioè lo spirito dell’ingordigia il quale, secondo la concezione evagriana

che Climaco eredita, presiede a questo vizio.


17 Cioè attraverso il corpo materiale.

248
25. Se hai promesso a Cristo di percorrere la strada
stretta e angusta (cf. Mt 7,13), restringi il tuo ventre, 868 d
poiché, se lo soddisfi e lo dilati, hai violato i patti!
26. Sta’ attento e udrai colui che dice: Larga e spazio­
sa è la via del ventre che conduce alla perdizione della for­
nicazione, e sono molti coloro che vi entrano! Quanto stret­
ta invece è la porta e angusta la via del digiuno che condu­
ce alla via della purezza, e sono pochi coloro che entrano
attraverso di essa (cf. Mt 7,13-14)!
27. Lucifero, l’angelo decaduto, è principe dei demo­
ni, e la gola, principe delle passioni.
28. Quando sei seduto a una mensa colma di vivande,
richiama alla mente il ricordo della morte e del giudizio: a
mala pena anche così riuscirai a porre un freno alla passione !
E quando prendi da bere, non smettere di richiamare alla 869 a
memoria l’aceto e il fiele del tuo Signore (cf. Mt 27,34.48
par.), e così certamente sarai temperante, o almeno ti met­
terai a piangere e renderai più umile il tuo pensiero.
29. Non illuderti: non potrai mai essere liberato dal fa­
raone, né potrai contemplare la Pasqua di lassù18, se non
mangerai continuamente erbe amare e pani azzimi (cf. Es
12,8): le “erbe amare” sono la violenza e la sofferenza del
digiuno, e gli “azzimi” il pensiero che non si gonfia.
30. Restino sempre unite al tuo respiro le parole di colui
che ha detto: Mentre i demoni mi tormentavano, mi vestivo
di sacco, umiliavo la mia anima nel digiuno, la mia preghie­
ra aderiva all’intimo della mia anima (cf. Sai 34,13).
31. Il digiuno è violenza fatta alla natura, circoncisio­
ne dei piaceri della gola, amputazione dei desideri che ci
infiammano, recisione dei pensieri cattivi, liberazione dai
sogni, purezza della preghiera, luce dell’anima, custodia
della mente, scioglimento della durezza del cuore, porta 869 b

18 Cioè la vita eterna dei risorti.

249
della compunzione, umile gemito, lieta contrizione, asten­
sione dalla chiacchiera, origine dell’esichia, custode del­
l’ubbidienza, alleggerimento del sonno, salute del corpo,
causa dell’impassibilità, remissione dei peccati, porta e de­
lizia del paradiso.
32. Interroghiamo anche questa nostra nemica19, o
piuttosto questa comandante suprema di tutti i nostri ne­
mici, questa porta delle passioni, causa della caduta di
Adamo (cf. Gen 3,6) e della rovina di Esaù (cf. Gen
25,27-34), flagello degli israeliti (cf. Es 14,11), disonore
di Noè (cf. Gen 9,20-23), traditrice di Gomorra (cf. Ez
16,49), causa di biasimo per Lot (cf. Gen 19,30-38),
morte dei figli di Eli (cf. iSam 2,12-17), suscitatrice di
impurità: chiediamole, dunque, chi l’ha generata, quali
sono i suoi rampolli, chi può fiaccarla e chi estinguerla
definitivamente.
869 c Dicci, dunque, o tiranna di tutti i mortali, tu che hai
comprato tutto con l’oro della tua insaziabilità, per quale
via sei riuscita a entrare in noi ? E una volta entrata, quali
sono gli effetti che produci ? E come possiamo farti usci­
re e allontanarti da noi ? Ed essa, seccata da questi nostri
insulti, fremente d’ira e furiosa, da vera tiranna qual è, ci
risponderà:
“Perché mi coprite d’insulti, voi che siete i miei sotto­
messi ? Perché vi sforzate di separarvi da me ? Io sono le­
gata a voi per natura! La mia porta è la natura stessa dei
cibi; l’abitudine è la causa della mia insaziabilità; e ciò
che mi trasforma in passione è un’abitudine di lunga
data, unita all’insensibilità dell’anima e all’assenza del ri­
cordo della morte.
“Perché volete conoscere i nomi dei miei rampolli ? Li
conterò e saranno più della sabbia (Sai 138,18)! Tuttavia

19 II vizio dell’ingordigia.

250
ascoltate almeno come si chiamano i miei primogeniti e
quelli che amo di più. Mio figlio primogenito è lo spirito 869 d

della fornicazione; dopo di lui, al secondo posto, viene


quello della durezza di cuore, e come terzo il sonno. E da
me che procedono poi il mare dei pensieri cattivi, i flut­
ti delle polluzioni, l’abisso delle impurità sconosciute e
innominabili! Le mie figlie sono la pigrizia, la chiacchie­
ra, l’eccessiva familiarità, la voglia di far ridere e di
scherzare, la contestazione, l’ostinazione, la disubbidien­
za, l’insensibilità, la prigionia del cuore, la superbia, l’ar­
roganza, l’ostentazione, cui succedono la preghiera impu­
ra, l’agitazione dei pensieri, e spesso anche disgrazie inat­
tese e improvvise, seguite a loro volta dalla disperazione,
che di tutte è la più funesta.
“Il ricordo dei peccati commessi mi fa guerra, ma non
mi vince; il pensiero della morte è mio acerrimo nemico,
ma non c’è niente che riesca a eliminarmi totalmente di tra 872 a

gli uomini. Chi possiede il Consolatore20 invoca il suo


aiuto contro di me, ed egli, una volta invocato, non mi
permette più di scatenare la mia furia passionale; coloro
che invece non hanno gustato la sua consolazione, inevita­
bilmente cercano di essere consolati dalla mia dolcezza!”.
\

E una vittoria degna di uomini valorosi, questa! Chi 872 b


ne è all’altezza, certamente può raggiungere in fretta
l’impassibilità e la suprema castità.

20 Cioè lo Spirito santo.

251
Discorso XV
SULLA PUREZZA
E SULLA CASTITÀ INCORRUTTIBILI
RAGGIUNTE DA UOMINI CORRUTTIBILI
PER MEZZO DI FATICHE E SUDORI

i. Abbiamo appena udito quella forsennata1 affermare 880 c


che da lei ha avuto origine la guerra contro il corpo, e non
c’è da farne meraviglia, poiché ce lo insegna anche quel
nostro antico progenitore, Adamo, il quale, se non si fosse
lasciato dominare dal proprio ventre, non avrebbe mai sa­
puto che cos’è una moglie (cf. Gen 3,16)2. Perciò, coloro

1 Cioè l’ingordigia.
2 L’autore vuol dire che se Adamo non si fosse cibato del frutto proibito,
non si sarebbe mai unito a sua moglie Èva. L’idea che la vita sessuale sia estra­
nea alla natura deH’uomo secondo il piano creazionale di Dio e sia invece con­
seguenza del peccato, è diffusa nei padri, i quali considerano la verginità come
un ritorno dell’uomo alla sua autentica natura, simile a quella degli angeli: cf.
Gregorio di Nissa, La creazione dell uomo 17: “Se, una volta ristabilita nell’or­
dine originario, la nostra vita sarà simile a quella degli angeli, è perché la vita
prima della trasgressione era in qualche modo una vita angelica; ed è appunto
perciò che anche il nostro ritorno alla condizione primitiva ci rende simili agli
angeli. Ora, come è noto, pur non esistendo tra loro il matrimonio, le loro schie­
re sono miriadi infinite: così racconta Daniele nelle sue visioni. Dunque, allo
stesso modo, se il peccato non ci avesse trasformati e fatti decadere da una con­
dizione pari a quella angelica, non avremmo avuto bisogno del matrimonio per
moltiplicarci”; Giovanni Damasceno, Esposizione della fede 97,5-12: “La vergi­
nità era originaria e innata nella natura degli uomini. In paradiso, la verginità
era lo stato normale ... Ma quando con la trasgressione la morte entrò nel
mondo, allora soltanto Adamo conobbe sua moglie ed essa partorì”. Cf. anche
Ireneo di Lione, La predicazione apostolica 14; Cirillo di Gerusalemme, Catechesi
12,5; Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi 18,4; Id., Sulla verginità 14.

253
che osservano il primo comandamento3 non cadono nella
seconda trasgressione, ma rimangono figli di Adamo, pur
non conoscendo la condizione di Adamo4 ed essendo di
poco inferiori agli angeli (cf. Sai 8,6); e ciò5 “affinché il
male non rimanga immortale”, come dice colui che è chia­
mato il Teologo6.
880 d 2. La purezza è appropriazione della natura incorporea.
La purezza è amabile dimora di Cristo e cielo terrestre del
cuore. La purezza è soprannaturale rinnegamento della
nostra natura ed emulazione veramente meravigliosa degli
angeli incorporei da parte di un corpo mortale e corrutti­
bile. Il puro è colui che scaccia l’amore con l’amore7 e spe-
gne il fuoco materiale con il fuoco immateriale.
3. Castità8 è il nome generico di tutte le virtù. Casto è
colui che, anche quando sogna, non sente alcun movi­
mento nel corpo o alterazione del proprio stato. Casto è
colui che ha raggiunto una perfetta insensibilità nei con-
881 a fronti delle differenze che esistono tra i corpi. Regola e
criterio della purezza perfetta e assoluta è il provare gli
stessi sentimenti di fronte ai corpi animati e a quelli ina-

5
Quello del digiuno.
4 Cioè rimangono uomini mortali, pur senza conoscere la condizione di
“morte spirituale” di Adamo dopo la caduta.
5 La condizione mortale ereditata da Adamo.
6 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 8, PG 36,6336: “L'uomo si dimenticò

dell'ordine che aveva ricevuto da Dio e non potè trattenersi dal gustare Tama­
ro frutto, allora fu bandito nello stesso tempo dalTalbero della vita e da Dio a
causa della sua malvagità ... Anche in questo caso guadagnò qualcosa, vale a dire
la morte e il fatto che pose un termine al suo peccato, affinché il male non fosse
immortale: così la punizione di Dio divenne un beneficio per l’uomo”. L'idea è
formulata per la prima volta in Ireneo di Lione, Contro le eresie 111,23,6.
7 Cf. supra, n. 12 a V,6.
8 In greco: sophrosyne. Qui Climaco assume il termine in senso ampio, come

sinonimo di enkràteia (“temperanza” o “dominio di sé”), facendo eco alla defi­


nizione che di quest’ultimo termine aveva dato Diadoco di Fotica, in Capitoli
42: “La temperanza è il nome comune di tutte le virtù”. Sul significato ampio
di questa parola, cf. R. Plus, A. Rayez, s.v. “Chasteté”, in DS II, col. 778;}.-
P. Larchet, Thérapeutique des maladìes spiri tue lles, p. 457.

254
nimati, a quelli degli esseri ragionevoli e a quelli delle be­
stie prive di ragione.
4. Nessuno di coloro che da tempo si esercitano nella
purezza creda di essere giunto a possederla grazie ai pro­
pri sforzi: vincere la propria natura infatti non è tra le
cose possibili. Ogniqualvolta si verifica una vittoria sulla
natura, bisogna riconoscere la presenza di colui che è al
di sopra della natura. Nessuno infatti può negare che ciò
che è inferiore sia sconfitto da ciò che è superiore.
L’inizio della purezza è non acconsentire ai pensieri
cattivi9, e subire ogni tanto polluzioni notturne non ac­
compagnate da immagini; il grado intermedio è avvertire
movimenti naturali dovuti all’abbondanza di cibo, ma
senza immagini, né polluzione; il grado perfetto è la mor­
tificazione del corpo, dopo la morte dei pensieri.
5. Veramente beato è chi ha raggiunto la perfetta in­
sensibilità di fronte a ogni corpo, colore e bellezza!
6. Non chi ha custodito senza macchia il proprio corpo 881 B
di fango è puro, ma chi ne ha perfettamente sottomesso
le membra all’anima.
\

7. E grande colui che quando tocca qualcuno rimane


impassibile, ma più grande ancora colui che rimane invul­
nerabile alla vista, e anzi vince la vista del fuoco10 con il
pensiero della bellezza di lassù11.
8. Chi scaccia questo cane12 per mezzo della preghiera
somiglia a chi lotta contro un leone; chi lo allontana con
il metodo della contraddizione13, a chi non cessa di inse­
guire il suo nemico; chi poi ha neutralizzato una volta per

9 Cf. infra, § 73.


10 Cioè della bellezza femminile che accende il fuoco della passione.
11 Cf. infra, XV,58.
12 Lo spirito della fornicazione.
13 In greco: antirrhesis. Sul termine cf. infra, “Glossario”, s.v. “Contrad­

dizione”.

255
tutte i suoi assalti, anche se vive ancora, è già risorto
dalla tomba.
9. Se segno di autentica purezza è rimanere immobili di
fronte alle fantasie impure che si hanno durante il sonno,
certamente il limite estremo della sensualità è subire la
polluzione da svegli a causa dei propri pensieri.
10. Chi combatte questo avversario con sudori e fati-
881 c che, somiglia a chi lega il suo nemico con un giunco; chi
invece lo combatte con l’astinenza e le veglie somiglia a
chi lo stringe in catene; e chi poi lo combatte con l’umil-
tà, la non-irascibilità e la sete, somiglia a colui che ha uc­
ciso il suo nemico e lo ha nascosto nella sabbia14, e con
“sabbia” devi intendere l’umiltà, poiché essa non forni­
sce alimento alle passioni, ma è come terra e cenere (cf.
Gen 18,27; Gb 42,6).
11. C’è chi tiene legato questo tiranno con le sue lotte,
chi con la sua umiltà, e chi infine lo fa grazie a una rive­
lazione divina: il primo somiglia alla stella del mattino, il
secondo alla luna, il terzo al sole splendente, e ciascuno
di essi ha la propria dimora nei cieli (cf. Fil 3,20). Ma
come dal chiarore del mattino spunta la luce, e dalla luce
il sole, allo stesso modo bisogna cercare d’intendere le
cose che abbiamo appena detto15.
12. La volpe finge di dormire, mentre il corpo e il de­
monio fingono di essere casti: quella lo fa per ingannare
881 d una gallina, e questi per ingannare un’anima.
13. Finché vivi, non fidarti del tuo corpo di fango, e
non confidare in esso finché non comparirai davanti a
Cristo.

14 Cioè Mosè: cf. Es 2,12 (e infra, DP 100,d).


15 Cf. Exegesis (p. 269): “Dalle lotte, infatti, nasce l’uimltà; e grazie ad essa
poi Puomo raggiunge Pilluminazione divina del sole spirituale, illuminazione
che gli procura la perfetta purezza”.

256
14- Non credere di non cadere solo perché pratichi l’a­
stinenza: infatti uno che non mangiava nulla è stato pre­
cipitato dal cielo16!
15. Alcuni uomini dotati di conoscenza definiscono
bene la rinuncia al mondo come un odio del corpo e una
lotta contro il ventre.
16. Le cadute nei principianti sono generalmente provo­
cate dall’abbondanza di cibo; in coloro che si trovano a metà
del cammino, dalla superbia - ciò che può succedere anche
nei principianti e in coloro che sono ormai vicini alla
perfezione unicamente dal fatto di giudicare il prossimo.
17. Alcuni proclamano beati coloro che sono eunuchi 884a
per natura, perché sono liberi dalla tirannia del corpo, ma
io proclamo beati gli “eunuchi quotidiani”, tutti coloro
cioè che hanno l’abitudine di mutilarsi con il pensiero,
come con un coltello (cf. Mt 19,12).
18. Ho visto alcuni cadere in questo peccato loro mal­
grado, e ne ho visti altri che volentieri avrebbero voluto
cadere, ma non potevano; e questi ultimi li ho considera­
ti più miserabili di quelli che cadono ogni giorno, perché
desiderano la puzza17 pur essendo impotenti!
19. Chi cade, fa pietà, ma fa ancor più pietà chi fa ca­
dere anche un altro, perché egli porta il peso delle cadu­
te di due persone e del piacere provato da una.
20. Non cercare di respingere il demonio della fornica­
zione con giustificazioni e contraddizioni verbali18, per­
ché, avendo come alleata la natura, anche lui ha buone ra­
gioni per combatterci.
21. Chi vuole vincere la propria carne, o anche solo 884 b
farle guerra, con le proprie forze, corre invano: se infat-

16 Cioè Lucifero.
17 Cioè il peccato.
18 Cf. supra, § 8.

257
ti il Signore non distrugge la dimora della carne e non
edifica quella dell’anima, invano digiuna e veglia chi
vuole distruggerla (cf. Sai 126,1-2).
22. Offri al Signore la debolezza della tua natura, rico­
noscendo interamente la tua impotenza, e senza accorger­
tene riceverai il dono della castità.
23. Negli uomini inclini ai piaceri - come mi racconta­
va uno di loro che ne aveva fatto esperienza, dopo esse­
re rientrato in sé -, c’è un forte sentimento di amore dei
corpi e uno spirito impudente e disumano che s’installa
sfacciatamente nel senso stesso del cuore e procura a
colui che ne è combattuto una sensazione di dolore fisico
nel cuore, facendolo ardere come una fornace infuocata:
tale spirito non teme Dio, disprezza il ricordo del castigo
884 c come cosa di nessun conto, prova disgusto per la preghie­
ra e quando è sul punto di passare all’azione, se vede dei
cadaveri, li considera come pietre inanimate; priva del
senno la sua vittima riducendola fuori di sé, ebbra di
brama insaziabile per gli esseri ragionevoli e irragionevo­
li, e se i suoi giorni non fossero abbreviati, nessun anima si
salverebbe (cf. Mt 24,22), rivestita com’è di questo corpo
di fango mescolato a sangue e umore impuro! Come po­
trebbe essere altrimenti? Ogni essere creato infatti desi­
dera insaziabilmente ciò che appartiene alla sua stessa
specie: il sangue desidera il sangue, il verme il verme, e il
fango il fango; e quindi anche la carne desidera la carne,
anche se noi, che facciamo violenza alla natura e aspiria­
mo al Regno (cf. Mt 11,12), tentiamo di ingannare il no­
stro ingannatore con qualche astuzia.
885 a 24. Beati coloro che non fanno esperienza di questa
lotta! Ma preghiamo anche noi di essere completamente
liberati da una simile prova, poiché coloro che scivolano
in questa fossa cadono molto più in basso rispetto a colo­
ro che salgono e scendono quella famosa scala (cf. Gen

258
28,i2)19, e per rialzarsi di là hanno bisogno di molti su­
dori e di digiuni durissimi.
25. Osserviamo attentamente se per caso anche i no­
stri nemici spirituali20, nello schierarsi a battaglia contro
di noi, non si comportino come in una guerra materiale,
in cui a ciascuno è affidato un compito proprio e specifi­
co da svolgere.
26. Questo fatto sorprendente21 ho avuto modo di con­
statarlo in coloro che subiscono la tentazione; e ho visto
che esistono cadute più gravi di altre: chi ha l’intelligen­
za per intendere intenda (cf. Mt 11,15)!
Il demonio - soprattutto nei confronti di quelli che lot- 885 b
tano e praticano la vita monastica - ha l’abitudine di met­
tere in moto tutta la sua violenza, tutto il suo impegno,
tutti i suoi artifici e inganni, e tutta la sua intelligenza, per
indurli ad atti contro natura, e non tanto a quelli secondo
natura, e si sforza di tentarli soprattutto in questo. E così
è successo che alcuni, trovandosi insieme a delle donne e
non essendo minimamente tentati dal desiderio di esse, si
siano proclamati beati; ma essi ignoravano, poveretti, che
quando la caduta è più grave, non c’è alcun bisogno che
ci venga procurata quella meno grave !
27. Credo che siano due i motivi per cui quegli infami
assassini hanno l’abitudine di combatterci e devastarci
con le tentazioni contro natura: perché in questo modo
possiamo trovare sempre e dovunque delle occasioni per
cadere nel peccato, e perché così possiamo ricevere un ca­
stigo più severo. Sa bene ciò che dico quel monaco che

19 Si allude qui alla scala di Giacobbe, ma anche alla scala delle virtù de­
scritta in questo libro: Fautore vuol dire che chi cade nel peccato di fornica­
zione non si limita a retrocedere di qualche gradino nella scala delle virtù, ma
precipita addirittura a un livello più basso del primo gradino.
20 Cioè i demoni che presiedono ai vari spiriti del male.
21 Ovvero ciò che Fautore ha appena detto.

259
885 c prima fu in grado di dare ordini agli onagri e poi cadde
lui stesso miseramente in potere degli onagri selvaggi22 e
dei loro raggiri, e che prima si nutriva di pane celeste e
poi fu privato di questo bene. E la cosa più sorprendente
è che, anche dopo che egli si fu pentito, il nostro grande
maestro Antonio abbia detto piangendo amaramente: “E
caduta una grande colonna!”, e con queste parole quel
saggio tacque sul modo in cui era avvenuta la caduta23;
egli sapeva infatti che esiste una fornicazione commessa
corporalmente ma senza il concorso di un altro corpo.
28. C’è in noi una specie di morte, un rischio di cadere
in perdizione che è dentro di noi e che ci portiamo sempre
appresso, soprattutto nella giovinezza; ma di questo non ho
il coraggio di scrivere perché la mia mano è trattenuta da
colui che ha detto: Quanto viene fatto da alcuni in segreto, è
vergognoso perfino dirlo, scriverlo e udirlo (cf. Ef 5,12)!
885 d 29. Questa carne, che è mia, eppure non mia, a un
tempo amica e nemica, Paolo l’ha chiamata “morte”, di­
cendo: Chi mi libererà da questo mio corpo votato alla
morte? (Rm 7,24); un altro teologo poi l’ha chiamata “sot­
tomessa alle passioni”, “schiava” e “notturna”24, e io desi­
dererei sapere perché hanno utilizzato questi appellativi25.

22 Cioè i demoni.
23 Cf. Apoftegmi, Antonio 14: “Il padre Antonio udì di un giovane monaco
che aveva compiuto un prodigio sulla strada: visti degli anziani affaticati dal
cammino, aveva ordinato agli onagri di venire e di portarli fino ad Antonio.
Dice loro: ‘Quel monaco mi pare una nave piena di tesori; ma non so se giun­
gerà in porto*. Dopo qualche tempo, a un tratto, il padre Antonio si mette a
piangere, a strapparsi i capelli, a gemere. I discepoli gli chiedono: ‘Padre perché
piangi?*. Ed egli: ‘E crollata or ora una grande colonna della chiesa* - inten­
deva dire di quel giovane monaco. ‘Ma andate da lui - dice - a vedere quel che
è accaduto*. I discepoli dunque vanno e trovano il monaco che, seduto su una
stuoia, piange il peccato commesso. Al vedere i discepoli dell’anziano, egli dice:
‘Dite al padre che supplichi Dio di concedermi solo dieci giorni di tempo, e
spero di poterne fare ammenda*. Dopo cinque giorni morì**.
24 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 40,2.
25 Sul significato del termine “carne** cf. infra, “Glossario**, s.v. “Carne**.

260
30. Se, come ho appena detto, la carne è una morte, chi
l’ha vinta, certamente non muore. Ma chi è mai quell uomo
che vivrà e non vedrà la morte (Sai 88,49), ovvero la conta­
minazione della carne ? Bisogna riflettere attentamente, ve
ne supplico, su chi sia il più grande: chi è morto ed è risor­ 888 A
to26, oppure chi non è morto affatto ? Chi proclama beato il
secondo s’inganna, perché Cristo è morto ed è risorto! Ma
chi proclama beato il primo, vuole che coloro che muoiono,
o meglio cadono nel peccato, non perdano mai la speranza.
31. Il nemico disumano che presiede al vizio della for­
nicazione dice che Dio è amico dell’uomo e che è pronto
a perdonare questa passione, poiché essa è legata alla no­
stra natura; ma se osserviamo attentamente gli inganni
dei demoni scopriremo che, dopo che abbiamo commesso
il peccato, essi lo chiamano giudice giusto e senza pietà:
ci insinuano questi pensieri, la prima volta per indurci a
peccare, e la seconda, per farci sprofondare nella dispera­
zione. Finché siamo in preda alla tristezza e alla dispera­
zione, infatti, non possiamo rammaricarci della nostra ca­
duta, accusare noi stessi e vendicarci contro il demonio; e
appena quelle cessano, il tiranno viene di nuovo a parlar­ 888 B
ci dell’amore che Dio nutre per gli uomini.
32. Poiché il Signore è incorruttibile e incorporeo, egli
si rallegra della purezza e dell’incorruttibilità del nostro
corpo. Al contrario - affermano alcuni - niente rende fe­
lici i demoni come il fetore della fornicazione e, quindi,
nessun’altra passione come quella che contamina il corpo.
33. Purezza significa familiarità e somiglianza con Dio,
per quanto è possibile agli uomini. Madre di dolci frutti
è la terra, unita alla rugiada; ma madre della purezza è
l’esichia, unita all’obbedienza.

26 Cioè chi è caduto nel peccato, e poi si è rialzato grazie alla penitenza.

261
888 c 34. L’impassibilità del corpo ottenuta per mezzo del-
l’esichia, se viene spesso a contatto con il mondo non ri­
mane salda; ma quella acquistata per mezzo dell’obbe­
dienza, supera sempre la prova, e rimane inconcussa.
35. Ho visto la vanagloria diventare occasione di umil­
tà, e mi sono ricordato di colui che dice: Chi mai ha po­
tuto conoscere il pensiero del Signore ? (Rm 11,34).
36. La caduta è una fossa e un frutto dell’orgoglio, ma
per coloro che lo vogliono spesso la caduta può diventare
occasione di umiltà.
37. Chi pretende di vincere il demone della fornicazio­
ne con l’ingordigia e la sazietà, è simile a chi vuole spe­
gnere un incendio con dell’olio27.
38. Chi crede di poter placare questa guerra solo con
l’astinenza, è simile a chi nuota con una mano sola e pre­
tende di allontanarsi dal mare aperto. Al giogo dell’asti­
nenza devi associare l’umiltà, perché senza la seconda la
prima risulta inutile.
888 39. Chiunque si accorga che una passione sta per im­
d

padronirsi di lui, prima di tutto si armi contro questa sola


passione, e a maggior ragione se il nemico è intestino28:
infatti, finché quella passione non verrà distrutta, la vit­
toria su tutte le altre non ci gioverà a nulla. Quando poi
anche noi avremo colpito a morte questo “egiziano” (cf.
Es 2,12), certamente vedremo Dio nel roveto dell’umiltà
(cf. Es 3,2-4).
Mentre ero tentato, ho sperimentato come questo lupo
produca nell’anima, in modo fraudolento e senza motivo
ragionevole, gioia, lacrime e consolazione, e, nella mia in­
genuità, credevo di cogliere un frutto invece della corru­
zione !

27 Cf. supray XIV, 17.


28 Cioè se la passione nasce dall’interno del nostro corpo.

262
40. Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo
corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio 889 a

corpo (iCor 6,18), e questo senz’altro perché versando il


liquido seminale contaminiamo la sostanza stessa della
carne, cosa che non può succedere negli altri peccati. E
poi, mi chiedo, come mai, quando si tratta di qualunque
altro peccato, generalmente ci limitiamo a dire che colo­
ro che lo hanno commesso hanno inciampato, e quando
invece sentiamo che qualcuno si è dato alla fornicazione,
diciamo con dolore: “Quel tale è caduto!” ?
41. Il pesce fugge di scatto lontano dall’amo; così l’a­
nima di chi ama il piacere rifugge l’esichia.
42. Quando il diavolo vuole unire due persone in un
turpe legame, esamina entrambe le parti per vedere a
quale delle due appiccare il fuoco.
43. Spesso chi è incline alla sensualità appare compas­
sionevole, misericordioso e facilmente portato alla com­
punzione; chi invece ha a cuore la purezza, non possiede
queste qualità nella stessa misura29.
44. Un uomo dotato di conoscenza un giorno mi sotto- 889b
pose un problema veramente serio, chiedendomi: “Qual
è il peccato più grave di tutti, a parte l’omicidio e l’apo­
stasia?”. E poiché io gli risposi: “E cadere nell’eresia”,
egli mi replicò: “Come mai, allora, quando la chiesa cat-

29 Prendendo spunto da questo passo di Climaco il filosofo russo N.


Berdjaev, nell’opera Spinto e realtà, ha formulato una critica severa nei con­
fronti delle derive disumanizzanti dell’ascetismo cristiano: egli vede qui emble­
maticamente rappresentata “l’opposizione tra il principio dell’ascetismo e il
principio dell’amore, della compassione e della misericordia” (cf. N. Berdiaeff,
Esprit et realité, Aubier, Paris 1950, p. 105). In realtà una tale interpretazione,
probabilmente dovuta anche a una traduzione russa poco fedele, non rende
piena giustizia al senso di questo passo: l’autore qui vuole mettere l’accento so­
prattutto sul carattere apparente della compassione e della misericordia dimo­
strate da chi è incline alla sensualità, e non dice che chi ha a cuore la purezza
non possieda affatto queste qualità, ma che non le possiede nella stessa misu­
ra in cui l’altro fa mostra di averle; del resto un’opposizione tra purezza e ca­
rità risulta del tutto estranea allo spirito dell’intera opera.

263
tolica30 riaccoglie gli eretici, dopo la solenne abiura della
loro eresia, li ritiene degni di prendere parte ai misteri,
mentre, quando riaccoglie colui che ha commesso la forni­
cazione e confessa e abbandona il suo peccato, lo esclude
dai santi misteri per degli anni, in obbedienza alla prescri­
zione dei Canoni apostolici31?”, e siccome di fronte a que­
sta difficoltà rimasi confuso, il problema restò insoluto32.
45. Esaminiamo, valutiamo e osserviamo attentamen­
te se la dolcezza che proviamo durante la salmodia ci
889 c venga procurata dal demonio della fornicazione, o dalle
parole dello Spirito, e dalla grazia e dalla potenza che
esse contengono.
46. Non ingannare te stesso, o giovane! Ho visto in­
fatti alcuni che pregavano di tutto cuore per i loro amici
e, pur essendo mossi a ciò dalla loro sensualità, credeva­
no di compiere la legge della carità.
47. Con il semplice tatto si può provocare la contamina­
zione del corpo: non esiste senso più pericoloso di questo.
48. Ricordati di quel tale che avvolse la sua mano con
il mantello33, e trattieni la tua mano dalle parti “natura-

30 L’aggettivo katboliké va inteso nel duplice significato originario: “Colei


che è diffusa nell’intero ecumene terrestre”, e “colei che possiede Pintegralità
della fede e della dottrina cristiana” (cf. ad esempio Cirillo di Gerusalemme,
Catechesi 18,23).
31 Non si tratta in realtà dei Canoni apostolici ma dei Canoni di san Basilio:

cf. Basilio di Cesarea, Lettere 217, canone 59: “Il fornicatore sarà escluso per
sette anni dalla partecipazione ai sacramenti: per due anni piangerà, per due
anni sarà uditore, per due anni si prosternerà, e per un anno se ne starà sola­
mente in piedi; all’ottavo anno sarà ammesso alla comunione”.
32 Lo scoliaste (PG 88,12330 spiega che mentre l’eresia è un peccato della

sola anima, la fornicazione è un peccato sia dell’anima che del corpo, e per que­
sto chi vuole allontanarsi da esso ha bisogno di molto tempo, per poterlo gua­
rire con la fatica dell’ascesi e le lacrime.
33 Cf. Apoftegmi Nau 159: “Un fratello era in viaggio con la sua vecchia

madre. Giunsero a un fiume che la vecchia non poteva attraversare. Il figlio


prese il suo mantello e si avvolse le mani per non toccare il corpo di sua madre
e, tenendola così sulle spalle, la portò sull’altra sponda. La madre gli disse:
‘Perché ti sei avvolto le mani, figlio mio?’. ‘Perché il corpo della donna è fuoco
- rispose - e da esso mi sarebbe venuto il ricordo di altri; perciò ho fatto così’”.

264
li”34 e dalle altre parti del corpo, sia tuo che degli altri.
49. Penso che nessuno possa essere chiamato giusta­
mente santo, se prima non ha trasformato questo corpo
di terra in una cosa santa, ammesso pure che tale trasfor­
mazione sia possibile.
50. Quando ci distendiamo sul letto, vigiliamo, perché
allora la mente combatte contro i demoni senza l’aiuto
del corpo, e se è incline al piacere diventa facilmente tra­
ditrice35.
51. Il ricordo della morte e la “preghiera di Gesù”, che 889d
consiste in una sola formula36, si addormentino con te, e
con te si risveglino: infatti, non troverai aiuti più effica­
ci di questi durante il sonno.
52. Alcuni affermano che le tentazioni e le polluzioni
derivino soltanto dai cibi, ma io ho visto persone seria­
mente malate e macerate dai digiuni, che nonostante ciò
erano gravemente soggette a tali contaminazioni.
53. Un giorno interrogai a questo proposito un mona­
co dotato di discernimento tra i più stimati, e quell’uomo
beato mi diede un insegnamento molto chiaro: “La pollu- 892 a
zione durante il sonno - mi disse quel grand’uomo - può
essere frutto dell’abbondanza di cibo e della rilassatezza
di vita; un’altra causa può essere la superbia, quando cioè
ci vantiamo di non avere di questi flussi da molto tempo;
ed è possibile, poi, che essa derivi anche dal fatto di giu­
dicare il prossimo. Gli ultimi due casi possono capitare

34 Cioè dalle parti genitali. Seguo l’intepretazione delYExegesis (p. 280).


35 Consegnandosi ai nemici, cioè ai demoni.
36 Lett.: “Di una sola parola (monológhistos)”; il termine è ripreso da Marco

il Monaco, La legge spirituale io; Su chi si crede giustificato per le opere 140; Il
battesimo 5. Cf. G. J. M. Bartelink, “Quelques observations sur le terme ‘mo-
nologhistos”’, in Vigiliae Christianae 34 (1980), pp. 172-179. La “preghiera di
Gesù” alla quale Climaco fa allusione (cf. anche XX,6; XXVII,26; XXVIII,9)
è Tinvocazione del nome di Gesù attraverso l’incessante ripetizione di una
breve formula di preghiera, anche se l’autore non accenna mai a una formula
specifica. Cf. supra, “Introduzione”, pp. 53-58.

265
anche ai malati, e forse anche tutti e tre. Ma se qualcuno
si vede purificato da tutte queste cause è beato, perché
ha raggiunto una tale impassibilità, e quando gli capita
quest’incidente, è solo per invidia del diavolo: Dio per un
certo tempo permette che ciò gli succeda, affinché attra­
verso un tale incidente, esente da peccato, egli possa rag­
giungere la più sublime umiltà”.
54. Nessuno cerchi di rimeditare tra sé durante il gior-
892 b no le fantasie che ha avuto durante il sonno: in questo
modo infatti i demoni cercano di contaminarci da svegli
per mezzo dei nostri sogni.
55. Ascoltiamo anche un altro imbroglio dei nostri ne­
mici: come i cibi che nuocciono al corpo in genere ci
fanno ammalare solo dopo un certo tempo, o dopo un
giorno, così avviene spesso anche per le cause che conta­
minano l’anima.
56. Ho visto alcuni che mangiavano cibi raffinati, e sul
momento non subivano alcuna tentazione; e ne ho visti
altri che mangiavano e s’intrattenevano con donne, e su­
bito non concepivano alcun cattivo pensiero: tuttavia, vit­
time dell’inganno com’erano, fiduciosi in se stessi e privi
della minima preoccupazione, quando ormai credevano di
aver raggiunto la pace e la sicurezza, ecco che subirono
improvvisamente la disgrazia nella loro cella! E qual è
questa disgrazia? Quella che avviene nel nostro corpo e
nella nostra anima quando siamo nella completa solitudi­
ne: chi ne ha fatto esperienza lo sa, e chi invece non ne
ha fatto esperienza, non c’è bisogno che lo sappia!
892 c In quel momento possono esserci di grande aiuto il ci­
licio, la cenere, lo stare in piedi tutta la notte, il restare
senza pane e con la lingua riarsa o appena un po’ inumi­
dita, il dimorare tra le tombe, e soprattutto l’umiltà del
cuore; e ancora, se è possibile, l’aiuto di un padre o di un
fratello di buona volontà, che siano avanzati nella sapien-

266
za: mi meraviglierei, infatti, se qualcuno riuscisse da solo
a mettere in salvo la propria barca dai flutti del mare.
57. Spesso lo stesso peccato, commesso da una perso­
na, merita una condanna cento volte più severa di quan­
do è commesso da un’altra; e ciò dipende dal tipo di vita,
dal luogo e dal grado di progresso spirituale, come da
molti altri fattori.
58. Un tale mi ha raccontato di un sorprendente ed ec­
cezionale esempio di purezza: “Qualcuno - mi disse - 892 d
avendo visto la bellezza di una donna, innalzò grandi lodi
al Creatore per essa, e quella sola vista bastò ad incitarlo
all’amore di Dio e a fargli versare un fiume di lacrime37.
Ed era sorprendente vedere come ciò che per qualcuno
sarebbe stata occasione di peccato, per un altro, in modo
soprannaturale, diventava occasione di corone!”. Se un
tale uomo, in circostanze simili, prova sempre tali senti­
menti e si comporta sempre in questo modo, è già risor- 893 a

to all’incorruttibilità, prima della comune risurrezione!


59. Applichiamo la stessa regola anche alle melodie e
ai canti: chi ama Dio, dai canti - siano essi profani o spi­
rituali - viene incitato alla gioia, all’amore di Dio e alle
lacrime; ma a chi ama il piacere, capita il contrario.

37 Allusione a un episodio della Vita di santa Pelagia (PL, 73,66^-0, in cui


si narra del vescovo Nonno che, vedendo passare per le strade di Antiochia la
prostituta Pelagia, insieme a tutto il suo corteo di servitori, “la guardò atten­
tamente con gli occhi dello spirito, e dopo il suo passaggio si voltò per contem­
plarla. Poi distolse il suo sguardo, posò la testa sulle sue ginocchia, e riempi di
lacrime il fazzoletto che teneva in mano e tutta la parte anteriore della sua
veste. Quindi, tratto un profondo sospiro, disse ai vescovi che erano seduti in­
sieme a lui: ‘Veramente non vi siete rallegrati della sua bellezza ?’; ma quelli,
rimanendo in silenzio, non gli risposero nulla. Di nuovo, allora, posando il viso
sulle sue ginocchia, trasse profondi sospiri, si colpi il petto e riempì di lacrime
tutto il suo cilicio. Poi rialzò la testa e disse ai vescovi: ‘Veramente non vi siete
rallegrati della sua bellezza?’, ma poiché non rispondevano il santissimo vesco­
vo disse: ‘Veramente io mi sono rallegrato della sua bellezza e l’ho amata, per­
ché Dio prenderà questa donna e la porrà davanti al suo tribunale terribile e
formidabile per condannare noi, il nostro episcopato e la nostra vita’”.

267
60. Alcuni, come abbiamo già detto, vivendo in luoghi
solitari, sono combattuti in modo molto più violento; e
non c’è da farne meraviglia, perché i demoni dimorano
volentieri in quei luoghi, da quando il Signore li ha con­
finati nei deserti e nell’abisso.
61. I demoni della fornicazione combattono spietata­
mente contro l’esicasta per riuscire a riportarlo nel mondo,
convincendolo che dal deserto non ricava alcun vantaggio.
Quando ci troviamo nel mondo, i demoni si ritirano da
893 b noi, affinché, vedendo che là non siamo più combattuti,
decidiamo di restare con la gente del mondo.
62. Se siamo combattuti dalle tentazioni, significa cer­
tamente che anche noi combattiamo spietatamente con­
tro il Nemico; perché, se noi non combattessimo contro
di lui, anch’egli sarebbe nostro amico!
63. Quando ci troviamo nel mondo per una qualche ne­
cessità, siamo protetti dalla mano di Dio, forse grazie al­
l’intercessione del nostro padre spirituale, in modo che il
Signore non venga bestemmiato a causa nostra (cf. Rm
2,24)38. A volte però ciò può avvenire anche per la nostra
insensibilità e perché, per averne fatto lunga esperienza,
siamo ormai sazi di tutto ciò che si vede, si dice e si fa nel
mondo; oppure perché i demoni si sono ritirati spontanea­
mente da noi lasciandoci solo il demonio dell’orgoglio,
che occupa il posto di tutti gli altri.
64. O voi tutti che avete deciso di esercitare la purez­
za, udite un’altra astuzia e un altro imbroglio di questo
nostro ingannatore, e state in guardia!
893 c Una persona che aveva fatto esperienza di quest’ingan­
no mi ha raccontato che spesso il demone della lussuria si
ritira completamente dal monaco, ispirandogli grandissi­
ma devozione e forse facendogli versare torrenti di lacri-

38 Cf. Apoftegmi, Antonio 3; Doroteo di Gaza, Insegnamenti 1,23.

268
me, proprio nel momento in cui è seduto a parlare con
delle donne, suggerendogli di istruirle sul ricordo della
morte, sul giudizio e sulla castità; e ciò affinché, grazie a
quei discorsi e a quella sua finta devozione, le sventurate
accorrano verso il lupo come se fosse un pastore, e poi,
quando ormai i rapporti sono diventati familiari e confi­
denziali, il poveruomo cada nel peccato.
65. Evitiamo con tutti i nostri sforzi di guardare o
anche di sentir parlare di questo frutto39, perché ci siamo
impegnati a non assaggiarlo mai più! Mi meraviglierei,
infatti, se ci ritenessimo più forti del profeta David40,
perché ciò che è impossibile!
La lode che si addice alla purezza è talmente grande e 893 d
sublime, che alcuni padri hanno osato chiamarla “impas­
sibilità”41.
66. Alcuni affermano che chi ha gustato il peccato,
non può più essere chiamato puro42; ma io, da parte mia,
confutando la loro opinione, affermo che è possibile e faci­
le, per chi lo vuole, innestare un oleastro su un olivo buono
(cf. Rm 11,24). Se le chiavi del Regno dei cieli fossero state
affidate a un uomo vergine, forse l’opinione di quei tali sa­
rebbe giustificata, ma poiché non è così, li confonda colui43
che, pur avendo una suocera (cf. Me 1,30), diventò puro e 896 a

ricevette le chiavi del Regno (cf. Mt 16,19)!


67. Il serpente della lussuria può assumere forme di­
verse: a coloro che non ne hanno ancora fatto esperienza
suggerisce di provare una sola volta, e poi di smettere; co-

39 Cioè la bellezza della donna, che è paragonata al frutto della tentazione.


40 II quale cadde nel peccato di adulterio per essersi lasciato attrarre dalla
vista di Betsabea: cf. 2Sam 11,2-3.
41 Cf. Efrem il Siro, Parenesi ai monaci d'Egitto 36.
42 L’autore qui riferisce, senza condividerla, un’opinione di chiara tenden­

za encratita, secondo la quale soltanto i vergini sarebbero in grado di raggiun­


gere la completa purezza e di ereditare il regno dei cieli. Con “peccato” qui si
intende il semplice rapporto sessuale (cf. supray XV, 1).
43 L’apostolo Pietro.

269
loro che invece ne hanno già fatto esperienza, il maledet­
to li stimola attraverso il ricordo a provare di nuovo. Tra
i primi, molti rimangono senza essere tentati, grazie alla
loro ignoranza del male; i secondi invece, avendo già
fatto esperienza di questa lordura, subiscono turbamenti
e lotte. Ma spesso può capitare anche il contrario.
896 b 68. Quando ci svegliamo dal sonno ben disposti e in
pace, è segno che, senza accorgercene, siamo consolati dai
santi angeli, e ciò soprattutto se ci siamo addormentati
con molte preghiere e molta vigilanza. Ma può capitare
anche che ci svegliamo dal sonno senza una buona dispo­
sizione, e questo ci succede a causa dei brutti sogni e delle
visioni che abbiamo avuto.
69. Ho visto l’empio esaltato, elevato, agitato e infuria­
to dentro di me come i cedri del Libano; son passato oltre
mediante l’astinenza, ed ecco che il suo furore non era più
come prima; l’ho cercato dopo aver umiliato il mio pen­
siero, e non ho piu trovato il suo posto in me, né la sua
traccia (cf. Sai 36,35-36).
896 c 70. Chi ha vinto il corpo, ha vinto la natura; e chi ha
vinto la natura, certamente ha raggiunto una condizione
superiore alla natura, e chi ha raggiunto questa condizio­
ne, è di poco - per non dire in nulla - inferiore agli ange­
li (Sai 8,6).
71. Non c’è niente di straordinario nel fatto che un es­
sere immateriale combatta contro un altro essere immate­
riale; ma la cosa veramente straordinaria è che un essere
immerso nella materia, combattendo contro questa mate­
ria ostile e insidiosa, riesca a mettere in fuga i propri ne­
mici immateriali'*4.

AA L’autore vuol dire che la cosa straordinaria non è che la mente (che è im­
materiale) combatta contro i demoni (che sono ugualmente immateriali), ma
che essa li combatta e li vinca pur essendo mescolata al corpo materiale, con­
tro cui deve ugualmente combattere.

270
72. Il Signore buono, mostrando in questo molta pre­
videnza nei nostri confronti, con il freno del pudore, ha
come imbrigliato l’impudenza della donna, perché se essa
corresse liberamente verso l’uomo, nessun vivente si sal­
verebbe (cf. Mt 24,22)!
73. I padri dotati di discernimento hanno distinto
l’uno dall’altro l’assalto, la relazione, il consenso, la pri­
gionia, la lotta e ciò che si chiama passione dell’anima45.
Quegli uomini beati definiscono “assalto”46 la semplice 896 d
parola47 o l’immagine di una cosa qualsiasi che si presen­
ta improvvisamente nel cuore. La “relazione”48 è poi l’in­
trattenersi con ciò che è apparso, con o senza passione. Il
“consenso”49 è l’assenso che l’anima rivolge con compia­
cimento a ciò che le viene mostrato. La “prigionia”50 è un
rapimento violento e involontario del cuore, oppure l’at­
taccamento ostinato all’oggetto, che distrugge le nostre
migliori disposizioni. Definiscono quindi “lotta”51 un
confronto a forze pari con l’avversario, in cui, a seconda
della propria volontà, si riporta la vittoria o si subisce una
sconfitta. Affermano, infine, che la “passione”52, in senso 897 a
proprio, è un moto che si nasconde nell’anima da lungo

45 Per le differenze nella descrizione delle varie fasi della tentazione nei di­
versi padri, cf. J.-P. Larchet, Thérapeutique des maladies spirituelles, pp. 521-524.
L'analisi di CHmaco, che appare sostanzialmente una sintesi del pensiero di
Marco il Monaco con alcuni tratti evagriani, diventerà classica nella letteratura
ascetica: cf. Esichio Sinaita, Centurie 1,46; Filoteo Sinaita, Sulla sobrietà 34-35.
46 Cf. Marco il Monaco, Il battesimo 11; La legge spirituale 141.
47 L'aggettivo qui tradotto “semplice" (psilós, “puro”) è un termine tipica­

mente evagriano e significa “privo di passione”: cf. Evagrio Pontico, Ipensie­


ri malvagi 8; Id., Sulla preghiera 55-56.
48 Lett.: “Accoppiamento (syndyasmós)”. Cf. Marco il Monaco, Il battesimo 4.5.
49 Cf. Marco il Monaco, La legge spirituale 93.142; Id., A Nicola 3.
50 Cf. Id., Su chi si crede giustificato per le opere 195; Id., A Nicola 3; 6;

Evagrio Pontico, A Eulogio 16; Id., I vizi e le virtù 3.


51 Cf. Marco il Monaco, Su chi si crede giustificato per le opere 136; 148;

Evagrio Pontico, A Eulogio 11.


52 Cf. Marco il Monaco, La legge spirituale 180-181; Id., Su chi si crede giu­

stificato per le opere 78.111.

271
tempo, e che ormai l’attrae frequentemente a sé, come
per abitudine, sì che essa vi corre da sola, volontariamen­
te e spontaneamente.
Di tutti questi moti, il primo è esente da peccato; il se­
condo, non sempre; il terzo, a seconda della disposizione
interiore di colui che combatte; la lotta può procurarci co­
rone o castighi; la prigionia è valutata diversamente se av­
viene nel momento della preghiera o in un altro momento,
897 b a motivo di cose di scarsa importanza o di pensieri cattivi;
la passione invece, senza alcun dubbio, richiede sempre
una penitenza proporzionata, altrimenti incorrerà nel casti­
go futuro. Perciò, chi resiste in modo impassibile al primo
moto del pensiero, recide in un sol colpo tutti gli altri.
I più precisi tra i padri dotati di conoscenza descrivo­
no anche un’altro moto interiore, più sottile dei prece­
denti, che alcuni chiamano “turbamento momentaneo
della mente”53, e che, in un attimo, senza parola e senza
immagine, suggerisce distintamente la passione a chi cade
in preda ad essa. Tra i moti dello spirito non se ne trovi
uno più penetrante e più impercettibile di questo: rivela la
sua presenza nell’anima attraverso un semplice ricordo,
non riflesso, istantaneo, inattingibile e presso alcuni anche
inconsapevole. Se qualcuno, grazie all’afflizione, è riuscito
897 c a percepire un moto così sottile, potrà insegnarci come sia
possibile che con una sola occhiata, un semplice sguardo,
una toccata della mano, o l’ascolto di una semplice melo­
dia, l’anima cada in preda alla passione della fornicazione,
senza aver concepito alcuna immagine o pensiero.
74. Alcuni affermano che il corpo è trascinato verso le
passioni dai pensieri di lussuria; altri, al contrario, che i

53 In greco: parrarrhipismós. Cf. Id., A Nicola 7. Per il significato di questo


termine, cf. K. Ware, “Introduction” a Marc le Moine, Traitées spinineIs et
Théologiques, Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1985, p. XXX.

272
pensieri cattivi sono prodotti dalle sensazioni del corpo54.
I primi affermano: “Se l’intelletto non avesse preceduto,
il corpo non l’avrebbe seguito!”55. I secondi invece, por­
tano a sostegno della propria opinione il male prodotto
dalle manifestazioni passionali del corpo, dicendo: “Spes­
so i pensieri riescono a entrare nel cuore in seguito a una
visione particolarmente gradevole, alla semplice toccata di
una mano, all’odore di un profumo o all’ascolto di una
voce gradevole”56.
Colui che, nel Signore, è in grado di illuminarci riguar­
do a queste cose, lo faccia: sono infatti veramente neces- 897 d

sarie e utili a coloro che si dedicano alla pratica delle virtù


per mezzo della conoscenza; ma parlarne a coloro che ope­
rano in semplicità di cuore è del tutto inutile: infatti non
è per tutti la conoscenza, né per tutti la beata semplicità,
che è una corazza contro le insidie dei demoni malvagi.
75. Alcune passioni procedono dall’interno verso il
corpo; altre fanno il contrario57. A chi vive nel mondo suc­
cede la seconda cosa, ma a chi conduce la vita monastica,
la prima, a causa della mancanza di occasioni materiali58.

34 Un dilemma dello stesso tipo si trova in Evagrio Pontico, Trattato pratico


37, su cui cf. J.-P. Larchet, Thérapeutìque des maiadies spirituelles, p. 513, n. 18.
55 Marco il Monaco, La legge spirituale 120. Cf. anche ibid. 180-181:

“Quando ti rendi conto che le pulsioni latenti prendono una consistenza reale
ed eccitano alla passione la mente che è nella pace, sappi che è stata proprio la
mente ad aprir loro la strada e a metterle all'opera, collocandole stabilmente
nel cuore. Una nuvola non può prendere consistenza senza un soffio di vento;
così anche la passione non nasce senza un'idea presente nella mente". La stes­
sa opinione si trova in Doroteo di Gaza, Insegnamenti XIII,145.
56 E l'opinione sostenuta da Evagrio in Trattato pratico 38: “Le passioni

sono generalmente suscitate dalle sensazioni”, e ripresa da Massimo il Confes­


sore in Capitoli sulla carità 1,65.
57 Cioè: alcune passioni hanno origine nei pensieri e solo successivamente

passano nel corpo, altre seguono il movimento inverso. In questo modo


Climaco risolve il dilemma enunciato al paragrafo precedente.
5S Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 48: “I demoni, contro i mondani

combattono soprattutto con le cose, contro i monaci per Io più con i pensieri:
essi infatti sono privi delle cose a motivo della solitudine".

273
Io riguardo a questo argomento mi limito a dire: Cercherai
la sapienza presso i malvagi, e non la troverai (Pr 14,6)!
900 a 76. Quando, dopo aver lottato a lungo contro questo
demonio59, compagno del nostro corpo di fango, riusciamo
a scacciarlo dal nostro cuore tormentandolo con la pietra
del digiuno e la spada dell’umiltà, allora quel miserabile,
rimanendo come un verme dentro il nostro corpo, si sfor­
za di contaminarci eccitandoci con moti sconvenienti e
importuni. E ciò succede per lo più a quelli che cedono al
demone della superbia; infatti, non avendo più continua-
mente nel cuore pensieri di fornicazione, cadono in quel­
la passione. E se vogliono una prova della verità delle mie
parole, appena abbiano raggiunto un po’ di esichia, si esa­
minino con attenzione e certamente troveranno un pensie­
ro cattivo nel profondo del loro cuore, come un serpente
nascosto nel letame, il quale suggerisce loro che il grado di
purezza di cuore che hanno raggiunto - grande o piccolo
900 b che sia - è dovuto al loro proprio sforzo e al loro zelo. E

non pensano, sventurati, alle parole che dicono: Che cosa


possiedi che tu non abbia ricevuto gratuitamente, o da Dio,
o grazie all’aiuto e alla preghiera degli altri (cf. iCor 4,7) ?
Facciano dunque attenzione e si sforzino con tutto il
loro zelo di scacciare questo serpente dal loro cuore, pro­
curandogli la morte con molta umiltà. E così, se si libere­
ranno di lui, forse un giorno potranno anch’essi spogliarsi
delle tuniche di pelle (cf. Gen 3,21)60 e cantare al Signore

59 II demonio della fornicazione.


60 Un’interpretazione allegorica risalente a Origene (Selecta in Genesim, PG
12,101) ha letto nelle “tuniche di pelle” di cui furono rivestiti Adamo ed Èva
al momento della cacciata dal paradiso la loro carne mortale: cf. anche Gregorio
di Nazianzo, Orazioni 28,12; ibid. 45,8, PG 36,633!$; Gregorio di Nissa,
Vanima e la risurrezione, PG 46,1480-1490. Sul tema cf. M. Harl, “La prise
de coscience de la nudité d’Adam”, in Studia Patristica VII, Akademie-Verlag,
Berlin 1966, pp. 486-493; Ch. Yannaras, La fede dell'esperienza ecclesiale.
Introduzione alla teologia ortodossa, Queriniana, Brescia 1993, pp. 121-122.

274
l’inno trionfale della purezza, come un tempo fecero quei
fanciulli puri61 : ciò a condizione però che, una volta spoglia­
ti, non siano trovati nudi (cf. 2Cor 5,3), privi cioè dell’in­
nocenza e dell’umiltà, che nei fanciulli sono naturali.
Questo demonio, molto più degli altri, spia i momenti
opportuni per assalirci, e, quando non siamo in grado di
pregare contro di lui con il corpo, allora quel maledetto
decide di farci guerra!
Coloro che non hanno ancora raggiunto la vera preghie- 900 c
ra del cuore possono trovare un aiuto negli sforzi della pre­
ghiera del corpo; mi riferisco al tendere le mani, al batter­
si il petto, al levare al cielo sguardi puri, all’emettere forti
gemiti, e al piegare continuamente le ginocchia. Ma poiché
spesso, a causa della presenza di altri, non possiamo fare
queste cose, i demoni ci fanno guerra proprio in quei mo­
menti, quando cioè, non avendo ancora la forza di resiste­
re ai nostri nemici con la concentrazione della mente e la
potenza invisibile della preghiera, finiamo necessariamen­
te per cedere a loro.
Ritirati immediatamente, se ti è possibile; nasconditi
un po’ in un luogo segreto; eleva gli occhi della tua
anima, se ne sei capace; altrimenti, almeno quelli del tuo
corpo; stendi le tue mani in croce, rimanendo immobile,
per confondere e vincere con questo segno Amalek62;
grida verso colui che può salvarti (cf. Eb 5,7), non con un 900 d

linguaggio ricercato ma con parole semplici, iniziando


prima di tutto con: Abbi pietà di me, perché sono debole
(Sai 6,3)! Allora sperimenterai la potenza dell’Altissimo
(cf. Le 1,35), e grazie a un aiuto invisibile metterai invi­
sibilmente in fuga i nemici invisibili.

61 Sono i bambini che accolsero Gesù nella sua entrata a Gerusalemme: cf.
Mt 21,15.
62 Cioè il demonio. Cf. Es 17,11-13.

275
Chi si è abituato a combattere in questo modo63, sarà ben
presto capace di mettere in fuga i propri nemici con la sola
anima: la seconda cosa è concessa da Dio ai buoni operai
come ricompensa della prima opera, ed è giusto che sia così.
901 a 77. Una volta, trovandomi in una riunione, notai che
un fratello pieno di zelo era tormentato dai pensieri cat­
tivi, e non trovando un luogo adatto per pregare, usciva
per andare a soddisfare un bisogno del corpo, come se ne
sentisse lo stimolo, e in quel luogo combatteva contro i
nemici con un’intensa preghiera. Poiché lo rimproverai
per aver scelto un luogo sconveniente, mi disse: “In un
luogo impuro ho pregato per scacciare pensieri impuri,
così da essere purificato da ogni lordura ! ”.
78. Tutti i demoni si sforzano di ottenebrarci la
mente, per poterci suggerire così ciò che piace a loro, poi­
ché, fino a che la nostra mente non chiuderà i suoi occhi,
il nostro tesoro non potrà esserci sottratto; il demonio
della fornicazione, però, lo fa più di tutti gli altri: spesso,
dopo averci ottenebrato la mente, che è la nostra guida,
ci spinge - perfino in presenza d’altri - a commettere
901 b azioni che solo i pazzi commettono; per cui, dopo un po’
di tempo, quando la nostra mente ha riacquistato la sua
sobrietà, ci vergogniamo dei nostri atti, discorsi e com­
portamenti indecenti, non solo di fronte a quelli che ci
hanno visto, ma anche di fronte a noi stessi, e ci stupia­
mo del nostro precedente accecamento. Spesso, perciò, è
successo che alcuni, in seguito a una tale presa di coscien­
za, abbiano smesso di commettere il male.
79. Respingi il Nemico che dopo un’azione malvagia ti im­
pedisce di pregare, di rivolgerti a Dio, o di vegliare, ricordan­
doti di colui che ha detto: Poiché questa povera anima, tiran-

63 Pregando cioè con il corpo.

276
neggiata dalle sue predisposizioni passionali, mi procura fasti­
di, le farò giustizia liberandola dai suoi nemici (cf. Le 18,5).
80. Chi ha vinto il proprio corpo? Chi è giunto alla
contrizione del cuore. E chi mai vi è giunto? Chi ha rin­
negato se stesso (cf. Mt 16,24). Come potrà, infatti, non
avere il cuore contrito chi è morto alla propria volontà ?
81. Esistono uomini corrotti, più corrotti dei corrotti, 901 C
che provano piacere e diletto perfino nel fare la confes­
sione delle proprie sconcezze.
82. I pensieri impuri e sconci che sono nel nostro cuore,
sono generalmente suscitati da quel seduttore del cuore
che è il demonio della fornicazione: per guarire da essi bi­
sogna praticare l’astinenza e non tenerli in alcun conto.
83. Non so in che modo e con quale mezzo potrò inca­
tenare questo mio amico64 per condurlo in giudizio come

64 Cioè il corpo. Tutto questo passo si ispira - con riprese letterali - a


Gregorio di Nazianzo, Orazioni 14,6-7, PG 35,8656-0: “Come fui unito al
corpo non so; né so come sono immagine di Dio e mescolato al fango. Questo
corpo, che quando è in buona salute, mi fa guerra e, preda della guerra, mi tor­
menta; questo corpo che io amo come compagno di schiavitù, ma odio come
nemico; questo corpo che fuggo come una catena, ma rispetto come coerede.
Lotto per consumarlo, ma allora non posso servirmi del suo aiuto per raggiun­
gere ciò che è bellissimo, perché so bene per quale scopo sono nato e so che
devo ascendere a Dio grazie alle opere. Lo tratto con rispetto come un colla­
boratore e non so come fuggire la ribellione o come non cadere lontano da Dio,
gravato dai ceppi che mi trascinano in basso o che mi trattengono al suolo. E
un nemico benevolo e un amico insidioso. Oh che unione e che inimicizia! Mi
prendo cura di ciò che temo, e temo ciò che amo: prima di giungere alla guer­
ra mi riconcilio, prima di aver fatto pace sono preda della divisione. Qual è la
saggezza che mi fa agire così, e qual è questo grande mistero? Oppure Dio
vuole che noi, che siamo parte di lui e discendiamo dall’alto, affinché non di­
sprezziamo il Creatore innalzandoci e gonfiandoci al di là del giusto, in questa
lotta e battaglia contro il corpo, volgiamo sempre il nostro sguardo verso di lui,
e vuole che la debolezza congiunta a noi sia un insegnamento alla nostra digni­
tà, affinché sappiamo di essere contemporaneamente i più grandi e i più me­
schini, terreni e celesti, caduchi e immortali, eredi della luce e del fuoco, ma
anche dell’oscurità a seconda di dove pieghiamo ? Di tal genere è dunque la me­
scolanza di cui siamo composti, e per questi motivi, come almeno mi sembra
chiaro: perché, quanto ci innalziamo di orgoglio per la nostra somiglianza con
l’immagine, tanto ci abbassiamo per essere fatti di terra”. Cf. anche Gregorio
di Nissa, Vanima e la risurrezione, PG 46,1240.

277
tutti gli altri vizi: prima di averlo incatenato, si scioglie;
prima di averlo giudicato, mi riconcilio con lui; e prima
di averlo punito, mi piego su di lui! Come potrò vincere
ciò che per natura sono portato ad amare? Come potrò li­
berarmi da ciò a cui sono vincolato per l’eternità? Come
potrò distruggere ciò che risorgerà con me? Come potrò
rendere incorruttibile ciò che ha ricevuto una natura cor­
ruttibile? Quale argomento ragionevole potrò usare con­
tro ciò che per natura ha tutte le ragioni dalla sua parte ?
901 d Se lo incateno con il digiuno, subito condanno il pros­

simo65, e mi riconsegno di nuovo in suo potere; se smet­


to di pronunciare condanne e lo vinco, subito mi esalto
nel cuore, e cado di nuovo nelle sue mani! E mio alleato
e nemico, aiuto e avversario, soccorritore e traditore ! Se
mi prendo cura di lui, mi fa guerra; se lo consumo, s’in­
debolisce; se lo ristoro, di nuovo diventa indisciplinato;
se poi lo tormento, non lo sopporta; se lo affliggo, mi
metto io stesso in pericolo; se lo percuoto, non ho più lo
strumento per acquistare le virtù: lo abbraccio, e allo
stesso tempo lo fuggo!
904 a Cos’è questo mistero che mi circonda? Qual è il moti­

vo di questa mescolanza che è in me ? Come mai sono ne­


mico e amico di me stesso? Dimmelo tu, dimmelo, mia
compagna, mia natura, perché non ho bisogno di sapere
da altri ciò che ti riguarda. Come posso rimanere invul­
nerabile ai tuoi colpi? Come posso sfuggire al pericolo
che è costitutivo della mia natura? E, poiché ho promes­
so a Cristo di esserti sempre nemico, come farò a vince­
re la tua tirannia? Come farò, dal momento che ho scel­
to di farti violenza?

65 Per il fatto che non digiuna.

278
Ed essa66, rispondendo, per così dire, alla sua anima,
potrebbe dire:
“Non ti spiegherò nulla che tu non sappia, ma solo ciò
che entrambe conosciamo bene. Mi vanto di avere in me
stessa la carità67 come madre! Il mio ardore esteriore, poi,
è generato dalla troppa cura di me stessa, e in generale da
ogni forma di rilassamento; mentre la fiamma che mi bru­
cia dentro e sconvolge i miei pensieri è frutto di un prece­
dente rilassamento e delle azioni passate. Da parte mia,
concepisco e partorisco i peccati, ed essi, una volta partori- 904 b
ti, generano a loro volta la morte mediante la disperazione.
“Se riconosci chiaramente la mia e la tua profonda de­
bolezza, mi hai legato le mani. Se reprimi la gola, mi hai
legato i piedi, così che non posso più andare avanti. Se ti
sottometti al giogo dell’obbedienza, ti sottrai al mio. Se
acquisti l’umiltà, mi hai tagliato la testa!”.

Ecco il quindicesimo premio! Chi, pur essendo nella 904c


carne, lo ha conquistato, è morto ed è risorto, e gusta già
da quaggiù le primizie dell’incorruttibilità futura!

66Cioè “la mia natura”, ovvero la “carne”.


67Qui la “carità (agape)” è la falsa carità che diventa pretesto per relazioni
e amicizie impure.

279
Discorso XVI
SULL’AVARIZIA
E SULLA RINUNCIA AL POSSESSO

1. La maggior parte dei maestri di sapienza colloca a


questo punto1, dopo il tiranno di cui si è appena parlato2,
l’avarizia, questo demonio dalle mille teste. E noi, dunque,
privi di sapienza come siamo, per non cambiare l’ordine di
quei sapienti, ci siamo attenuti alla loro regola e al loro 924
esempio. Diciamo perciò alcune parole su questa malattia,
e poi trattiamo brevemente del rimedio per guarirne.
2. L’avarizia è adorazione degli idoli (cf. Ef 5,5; Col
3,5) e figlia dell’incredulità: prende pretesto dalle malat­
tie, prevede la vecchiaia, suggerisce l’arrivo della siccità,
e preannuncia le carestie3.
3. L’avaro deride e trasgredisce volontariamente le pa­
role dell’e vangelo4. Chi ha acquistato la carità, getta via

1 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 6.9; Id., Gli otto spiriti di malizia 7;
Id., I vizi e le virtù 3; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,1449!$;
Giovanni Cassiano, Istituzioni VII,i; Id., Conferenze V,2 ; Gregorio Magno,
Commento morale a Giobbe XXXI,45,87.
2 II demonio della fornicazione.
3 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 9: “L’avarizia suggerisce una lunga

vecchiaia, l’impotenza delle mani al lavoro, le carestie e le malattie che potran­


no sopraggiungere, le amarezze della povertà e ricorda quale vergogna sia rice­
vere dagli altri ciò di cui si ha bisogno”; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malva­
gi, PG 79,14490-14^.
4 Le parole che comandano cioè di abbandonare le ricchezze e le preoccupa­

zioni mondane per seguire Cristo e cercare il Regno: cf. Mt 6,25-34; 19,21 par.
le proprie ricchezze, mentre chi afferma di poter convi­
vere con l’una e con le altre, inganna se stesso!
4. Chi si affligge su di sé, rinnega anche il proprio
corpo, e, quando l’occasione lo richiede, non risparmia
neanche quello.
5. Non dire che accumuli per i poveri, perché due spic­
cioli sono bastati a comperare il Regno (cf. Le 21,2)!
6. Un uomo ospitale e un avaro s’incontrarono, e il se­
condo rinfacciò al primo di essere senza discernimento!
7. Chi ha vinto questa passione, ha eliminato le preoc­
cupazioni; chi invece vi rimane legato, non riuscirà mai a
pregare in modo puro.
925 a 8. Il pretesto dell’elemosina è l’inizio dell’avarizia; l’o­

dio dei poveri è il suo culmine. Finché uno sta accumu­


lando, è misericordioso e fa elemosine, ma quando le ric­
chezze sono diventate sue, stringe le mani.
9. Ho visto dei poveri di denaro arricchirsi vivendo
come poveri in spirito (cf. Mt 5,3); e così dimenticarono
la loro precedente miseria.
10. Il monaco avido di ricchezze non sa cosa sia Face-
dia, e si ricorda continuamente della parole dell’Apostolo:
Chi vive nell’ozio, neppure mangi1. (2TS 3,io)5, e: Queste
mie stesse mani hanno provveduto a me e a quelli che erano
con me (cf. At 20,34)!
928 b 11. Rinunciare al possesso significa deporre ogni affan­

no, vivere senza preoccupazioni, camminare senza impacci,


stare lontani dalla tristezza e credere nei comandamenti.
12. Il monaco che rinuncia al possesso è padrone del
928 c mondo: affida a Dio le sue preoccupazioni, e per mezzo
della fede ha tutti gli uomini come suoi servi. Non parla
agli uomini dei suoi bisogni, ma tutto ciò che gli capita,
lo accoglie come dalla mano di Dio.

5 Cf. Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,1452!}.

282
L’operaio6 che rinuncia al possesso è figlio del distacco,
e considera tutto ciò che gli appartiene come se non esistes­
se. Quando poi arriva il momento del suo ritiro dal mondo,
considera tutto come spazzatura (cf. Fil 3,8); ma se si rat­
trista per qualcosa, non ha ancora rinunciato al possesso.
L’uomo che ha rinunciato al possesso è puro nella sua
preghiera, mentre chi è attaccato alle proprietà, prega ri­
volgendo la mente a immagini materiali.
13. Coloro che vivono nella sottomissione ignorano l’a­
varizia: dal momento che infatti hanno consegnato anche
il proprio corpo, cosa potrebbero possedere ormai di pro­
prio ? Una sola cosa può danneggiarli, il fatto di essere fa­
cili e pronti a mutare luogo.
14. Ho visto monaci rimanere con perseveranza nello
stesso luogo a causa dei beni materiali, e ho giudicato più 928 d
beati quelli che sono vagabondi a causa del Signore.
15. Chi ha gustato le cose di lassù (Col 3,1), disprezza
facilmente quelle di quaggiù; chi invece non le ha gusta­
te, si rallegra di ciò che possiede.
16. Chi rinuncia al possesso in modo irragionevole7, rice­
ve un doppio danno: non gode dei beni presenti ed è pri­
vato di quelli futuri. Stiamo dunque attenti, o monaci, a
non apparire più increduli degli uccelli, i quali non hanno
preoccupazioni materiali né accumulano beni (cf. Mt 6,26)!
17. Grande è chi rinuncia ai propri beni per amore di
Dio, ma santo chi rinuncia alla propria volontà: il primo
riceverà il centuplo, o in beni materiali o in carismi, ma è 929 a
il secondo che erediterà la vita eterna (cf. Mt 19,29).
18. Al mare non mancheranno mai le onde, né all’ava­
ro l’ira e la tristezza8.

6 Cioè il monaco pieno di zelo nella virtù.


7 Cioè senza avere una vera fede nel Signore.
8 Cf. Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,14520.

283
19. Chi disprezza i beni materiali si tiene lontano dalle
contese e dai litigi; chi invece vi rimane attaccato, lotte­
rà fino alla morte per un solo ago.
20. Una fede incrollabile potrà eliminare le preoccupa­
zioni materiali, ma il ricordo della morte porta a rinnega­
re anche il proprio corpo.
21. In Giobbe non c’era traccia di avarizia: perciò,
anche quando fu privato dei suoi beni, rimase impertur­
bato (cf. Gb 1,22).
22. L’avarizia è la radice di tutti i mali (iTm 6,10), ed
è chiamata così, perché da essa derivano l’odio, i furti,
le invidie, le divisioni, i litigi, i rancori, le crudeltà e
gli omicidi.
23. Alcuni con un piccolo fuoco sono riusciti a brucia­
re molto legname9, e con una sola virtù sono sfuggiti a
tutte le passioni appena elencate: questa virtù si chiama
929 b “distacco”10, ed è generata dall’esperienza e dal gusto di
Dio, come anche dal pensiero della resa dei conti a cui sa­
remo sottoposti al momento della morte.
24. Il lettore attento non si sarà dimenticato delle pa­
role della madre di tutti mali11: essa dice infatti che il se­
condo rampollo della sua maledetta e miserabile prole è la
pietra dell’insensibilità; ma io non ho potuto assegnare a
essa il posto che le spettava, perché me lo ha impedito il
serpente dell’idolatria dalle molte teste12, al quale - non so
come mai - i padri dotati di discernimento hanno assegna­
to il terzo posto nella catena degli otto vizi. Dopo aver
parlato a sufficienza di questo, vogliamo ormai parlare
dell’insensibilità, che pur avendo qui il terzo posto, è

9 Gioco di parole: in greco la parola hyle significa sia “legname” sia “ma­
teria” (e quindi “beni materiali”, come nei §§ 14 e 19).
10 Cf. supra, II.
11 L’ingordigia. Cf. supra, XIV,32.
12 Cioè ravarizia.

284
stata generata per seconda. Dopo questa, tratteremo bre­
vemente del sonno e della veglia, e poi anche della pusil­
lanimità, che è cosa infantile e indegna di un uomo: sono 929 c
queste infatti le malattie dei principianti.

Ecco un altro premio! Chi l’ha conquistato, cammina


verso il cielo privo di ogni materia. Ecco la sedicesima
lotta! Chi l’ha vinta, o ha conquistato la carità, o ha eli­
minato le preoccupazioni.

285
Discorso XVII
SULL’INSENSIBILITÀ
CHE È NECROSI DELL’ANIMA
E MORTE DELLA MENTE
PRIMA DELLA MORTE DEL CORPO

1. L’insensibilità, sia nel corpo che nello spirito, è una


morte della sensibilità che deriva da una malattia cronica
e da una negligenza prolungata, e sfocia nella completa
perdita di sensibilità.
2. L’indolenza è negligenza diventata abitudine, torpo­
re della mente, frutto di predisposizioni passionali, trap­
pola del fervore, irretimento del coraggio, ignoranza della
compunzione, porta della disperazione, madre della di­
menticanza1 e, dopo il parto, figlia di sua figlia, e rifiuto
del timore.
3. L’indolente è un filosofo privo di senno, un maestro
che si condanna da sé, un oratore che si contraddice, un
cieco che vuole insegnare agli altri a vedere. Discute sul
modo di curare una ferita, e non smette di irritarla. Parla 932 C
contro la sua passione, e non smette di mangiare cose noci­
ve. Prega di essere liberato da essa, e subito corre a compier­
ne le azioni. Si sdegna con se stesso per le azioni compiu­
te, e non si vergogna - il misero! - delle sue stesse parole.

1 Di Dio e delle sue promesse.

287
“Faccio male!” - esclama -, e continua di buona lena.
Con la bocca prega di essere liberato dalla passione, ma
con il corpo lotta per soddisfarla. Filosofeggia sulla
morte, e vive come se fosse immortale. Parla con gemiti
e sospiri della separazione dell’anima dal corpo, e se ne
sta in ozio come se fosse eterno. Discetta sull’astinenza,
e lotta per soddisfare l’ingordigia.
932 d Proclama beata l’obbedienza, e lui per primo disobbe­
disce. Loda chi è distaccato da tutto, e non si vergogna
di conservare rancore e di litigare per uno straccio. Se va
in collera, si irrita con se stesso, e poi va di nuovo in col­
lera per essersi irritato, senza accorgersi che così aggiun­
ge sconfitta a sconfitta.
Legge quel che sta scritto sul giudizio, e si mette a sor­
ridere; quel che sta scritto sulla vanagloria, e s’insuperbi­
sce nel momento stesso in cui legge. Ripete a memoria di­
scorsi sulla veglia, e subito si immerge nel sonno. Loda la
preghiera, e la fugge come fosse una frusta. Si pente di
aver mangiato fino alla sazietà, e subito dopo riprende a
riempirsi il ventre. Esalta il silenzio, e ne tesse le lodi con
fiumi di chiacchiere. Insegna la mitezza, e mentre la inse­
gna, va continuamente in collera. Rientrato in se stesso,
sospira, poi scuote la testa e cede di nuovo alla passione.
Biasima il riso e poi ridacchiando predica l’afflizione. Si
accusa di vanagloria di fronte agli altri, e accusandosi va
in cerca di gloria. Fissa i volti delle persone con sensuali-
933 a tà, e parla di castità. Elogia gli esicasti mentre vive nel
mondo, e non si rende conto di svergognare se stesso.
Esalta i misericordiosi che fanno elemosine, e insulta i po­
veri. Si fa continuamente accusatore di se stesso, e non
vuole prenderne coscienza, per non dire che non può.
4. Ho visto molte persone di questa risma piangere
sentendo parlare della morte e dei terribili giudizi di Dio
e poi, ancora con le lacrime agli occhi, correre in fretta a

288
mettersi a tavola; e sono rimasto sbalordito vedendo come
quel fetido tiranno - intendo il ventre - rafforzato da un
bel po’ d’indolenza, riuscisse a vincere perfino l’afflizione.
5. Nei limiti della mia povera conoscenza e delle mie 933 b

capacità, ho messo a nudo gli inganni di questa furiosa e


folle passione, dura e tagliente come la pietra, e anche le
piaghe che essa procura: non mi sento di parlarne più a
lungo. Ma chi, con l’aiuto del Signore e grazie alla pro­
pria esperienza, fosse in grado di consigliare i rimedi
adatti a tali piaghe, non esiti a farlo; per quanto mi ri­
guarda, infatti, non mi vergogno di riconoscere la mia in­
capacità, essendo io stesso violentemente posseduto da
questa passione. Da solo non sarei neppure riuscito a sco­
prire i suoi artifici e i suoi inganni, se una volta non l’a­
vessi sorpresa, catturata a forza e torturata, e non l’aves­
si costretta a confessare le cose che ho appena detto, fu­
stigandola con la sferza del timore del Signore e con quel­
la della preghiera continua.
Mi parve che quella malefica tiranna mi dicesse: “I miei
sudditi ridono quando vedono dei morti; quando stanno 933 c
in preghiera sono duri come pietre, rigidi e pieni di tene­
bra; quando vedono la sacra mensa, non provano alcuna
sensazione; e quando partecipano ai santi doni, per loro è
come se mangiassero un semplice pezzo di pane ! Quando
li vedo compunti, li derido: dal padre che mi ha generato
ho imparato a uccidere tutto ciò che è frutto della genero­
sità e del fervore. Quanto a me, sono madre del riso, nu­
trice del sonno e amica della sazietà; quando sono rimpro­
verata, non ne soffro; e sono compagna inseparabile della
falsa pietà”.
Io, dunque, sconvolto dalle parole di quella forsennata,
le chiesi il nome di colui che l’aveva generata. E quella mi
rispose: “Non ho un’unica nascita, ma il mio concepimen­
to è, per così dire, misto e variabile: la sazietà mi dà forza,

289
il tempo mi fa crescere, la cattiva abitudine mi consolida,
933 d e chi la contrae, non riuscirà più a liberarsi di me !
“Se mediti continuamente il giudizio eterno, vegliando
a lungo, forse ti darò un po’ di respiro. Esamina la causa
per cui sono nata in te, e lotta contro quella mia madre,
perché non ne ho una sola in tutti i casi. Prega spesso tra
le tombe, imprimendotene nel cuore l’immagine in modo
indelebile: se infatti non l’avrai incisa in te con lo stilo
del digiuno, non potrai vincermi in eterno!”.

290
Discorso XVIII
SUL SONNO, SULLA PREGHIERA
E LA SALMODIA COMUNITARIA

1. Il sonno è sostegno, in una certa misura, della no­


stra natura, immagine della morte e ozio dei sensi. Come
la concupiscenza, il sonno è unico, ma ha moltissime
cause ed origini: può essere, cioè, frutto della natura, del-
ralimentazione, dell’azione dei demoni, o anche a volte
di un digiuno estremo e troppo prolungato che, sfinendo
la carne, fa’ sì che essa cerchi un ristoro nel sonno.
2. Come l’eccesso nel bere dipende dall’abitudine, così
anche l’eccesso nel dormire. Dobbiamo perciò lottare
contro di esso, soprattutto agli inizi della nostra rinuncia
al mondo, perché è difficile guarire una lunga abitudine. 937 B
3. Facciamo attenzione, e scopriremo che, appena la
tromba spirituale1 dà il segnale, i fratelli si radunano vi­
sibilmente, e i nemici si raccolgono invisibilmente!
Alcuni di loro, perciò, si appostano vicino al nostro
letto e, appena ci alziamo, ci spingono a coricarci di
nuovo, dicendo: “Aspetta ancora un po’, finché non siano
conclusi gli inni d’introduzione, e poi andrai in chiesa!”.
Altri, mentre siamo alla preghiera, ci fanno sprofondare

1 Cioè il “simandro”: lo strumento che, ancora oggi, nei monasteri orienta­


li serve a dare il segnale per gli uffici liturgici e che, in senso spirituale, come
dice Fautore, adempie la funzione della tromba che dà il segnale di guerra.

291
nel sonno; altri ci stimolano il ventre con acuti e insoliti
dolori; altri ci spingono a tenere conversazioni nella casa
del Signore; altri trascinano la nostra mente verso pensie­
ri sconvenienti. Altri ci fanno appoggiare al muro, come
se fossimo sfiniti dalla stanchezza2 3 *, magari facendoci
anche sbadigliare ininterrottamente.
937 c Alcuni, poi, durante la preghiera ci fanno ridere in
continuazione, per suscitare in tal modo l’indignazione di
Dio contro di noi; altri ci costringono a recitare i salmi in
modo affrettato, per pigrizia; altri ci spingono a cantarli
più lentamente, per vano compiacimento; e può succede­
re che alcuni si appostino addirittura sulla nostra bocca e
ce la chiudano, così che facciamo difficoltà ad aprirla.
4. Chi pensa, con profondo sentimento del cuore, di
trovarsi alla presenza di Dio mentre è in preghiera, reste­
rà immobile come una colonna, e nessuno dei demoni di
cui abbiamo appena parlato potrà prendersi gioco di lui.
Spesso succede che chi è veramente obbediente, appe­
na si presenta alla preghiera, diventi tutto radioso e pieno
di gioia: quel lottatore infatti si era già preparato e in­
fiammato in anticipo con la sincerità del proprio servizio.
5. Pregare insieme a un gran numero di persone è possi-
937 d bile a tutti; pregare con un solo fratello animato dallo stesso
spirito è conveniente a molti; ma la preghiera solitaria è ri­
servata a pochissimi. Quando canti i salmi insieme a un gran
numero di persone, non puoi pregare in modo immateriale5,

2 Cf. supra, XIII,9.


3 Cioè senza far uso di parole e di immagini legate al mondo materiale. La
salmodia è considerata da tutta tradizione monastica come meno perfetta ri­
spetto alla preghiera contemplativa (la cosiddetta preghiera pura o del cuore):
cf. Evagrio, Sulla preghiera 83.85: “Mentre la salmodia placa le passioni e infi­
ne sopisce gli eccessi del nostro corpo, la preghiera dispone invece l’intelletto
alle proprie attività ... La salmodia rispecchia l’immagine della scienza multi­
forme, la preghiera è invece accesso alla sapienza immateriale e unitaria”;
Diadoco di Fotica, Capitoli 73. Sulla distinzione tra salmodia e preghiera, cf.
G. Bunge, Vasi di argilla, pp. 43-50. Cf. anche infra, XXVIII,37.

292
ma per esercitare la tua mente, contempla le parole che
vengono cantate, o ancora, recita qualche breve preghie­
ra in attesa del versetto successivo4.
6. Nessuno si dedichi a un’altra occupazione durante
la preghiera, tanto meno a un lavoro materiale5. Questo
lo ha insegnato chiaramente l’angelo apparso al grande
Antonio6.
7. La fornace prova l’oro, e lo stare in preghiera mette
alla prova lo zelo e l’amore che i monaci hanno per Dio'.

Chi ha fatto propria quest’opera degna di lode, si av- 940 a


vicina a Dio e mette in fuga i demoni!

4 Per l'interpretazione di questo passo, cf. M. Van Parys, “L'interpre­


tazione delle Scritture nella ‘Scala'”, p. 142; “Il tenore del consiglio suggeri­
sce che i salmi fossero recitati lentamente e ad alta voce da uno solo e che l'a­
scolto lasciasse la possibilità di ‘contemplare' le parole e di formulare una breve
(intensa?) preghiera interiore come eco ai versetti appena ascoltati”. In gene­
rale sul metodo di recitazione dei salmi nei cenobi orientali, cf. Giovanni
Cassiano, Istituzioni II,n-i2.
5 Traduco così kàtergon, secondo l'interpretazione di Exegesìs (p. 314) che

intende: “Quel lavoro che fa stare in basso {kàtó) l'attività della mente e non
le permette di raggiungere la sublimità della preghiera”.
6 Cf. Apoftegmiy Antonio 1: “Un giorno il santo padre Antonio, mentre se­

deva nel deserto, fu colto dall'acedia e da una fitta nebbia di pensieri. E dice­
va a Dio: ‘O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che
posso fare nella mia afflizione?'. Ora, sporgendosi un po', Antonio vede un
altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi
e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli
forza. E udì l'angelo che diceva: ‘Fa' così e sarai salvo!'. All'udire quelle pa­
role, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò”. L'abitudine di
lavorare pregando e ripetendo parole della Scrittura era in realtà largamente
diffusa in tutto il monacheSimo antico, e raccomandata dai padri (cf. Giovanni
Cassiano, Istituzioni 11,12-14, e sull'argomento L. Regnault, Vita quotidiana dei
padri del deserto, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 113-124), ma forse qui
Climaco intende raccomandare l’astensione dal lavoro soltanto nei momenti
specificamente consacrati alla preghiera. Cf. anche supra, XIV,23 e infra,
XXVII/2,54.
7 Cf. infra, XXVIII,38.52.

293
Discorso XIX
SULLA VEGLIA DEL CORPO
E SUL MODO DI PRATICARLA

i. Di fronte ai re della terra, alcuni si presentano senza


né armi né armatura, altri tenendo in mano dei fasci, altri
degli scudi, altri delle spade. C’è molta differenza tra i
primi e gli ultimi, anzi non c’è neanche paragone, perché
i primi sono generalmente parenti e familiari del re. 940 C
Questo per quanto riguarda loro. Vediamo ora in che
modo anche noi stiamo alla presenza del nostro Dio e Re,
tutte le volte che, a sera, durante la notte e durante il
giorno, stiamo in preghiera.
Alcuni, infatti, vegliando l’intera notte a partire dalla
sera, tendono le mani in preghiera1, distaccati come sono
dalle cose materiali e spogli di ogni preoccupazione mon­
dana. Altri vegliano recitando i salmi; altri si dedicano
piuttosto alla lettura; altri, per la loro debolezza, lottano
valorosamente contro il sonno con il lavoro delle loro
mani; altri, infine, si concentrano sul pensiero della
morte e cercano così di raggiungere la compunzione. Tra
tutti costoro, i primi e gli ultimi vegliano come amici di
Dio; i secondi vegliano come monaci; i terzi, invece, per- 940 D

1 Cioè si dedicano alla preghiera contemplativa, senza servirsi di un’altra

mediazione che li aiuti a restare svegli.

295
corrono una via assai più modesta: Dio però accetta e va­
luta i doni secondo l’intenzione e la forza di ciascuno.
2. L’occhio che veglia purifica la mente, ma l’abbondan­
za di sonno indurisce l’anima. Il monaco vigilante è nemi­
co della fornicazione, mentre il sonnolento è suo compagno.
3. La veglia è estinzione del fuoco passionale, libera­
zione dai sogni, occhio umido di lacrime, cuore inteneri­
to, custodia dei pensieri, fornace dei cibi, briglia delle
passioni, freno della lingua, esilio delle fantasie.
4. Il monaco che veglia è un pescatore di pensieri, poten­
do facilmente avvistarli e catturarli nella calma della notte.
94 i A Il monaco che ama Dio, appena suona il segnale2 della pre­
ghiera, dice: “Bene! Bene!”, e il pigro: “Ohimè! Ohimè!”.
5. Una tavola imbandita rivela chi è ingordo, e l’eser­
cizio della preghiera, chi è amico di Dio: il primo al ve­
dere la tavola salta di gioia, l’altro si rattrista.
6. Il troppo sonno procura l’oblio, ma la veglia purifi­
ca la memoria.
7. La ricchezza dei contadini viene raccolta sull’aia e
nel torchio, mentre la ricchezza e la scienza dei monaci
sono raccolte durante le veglie serali e notturne, e con gli
esercizi della mente.
8. Il troppo sonno è un compagno sleale, perché sot­
trae al pigro metà della vita, o anche di più.
9. Il cattivo monaco sta ben sveglio nelle conversazioni,
ma quando arriva l’ora della preghiera gli pesano gli
occhi3. Il monaco fatuo eccelle nelle chiacchiere, ma al mo­
941 B mento della lettura, non riesce più a vedere per il sonno.
Al suono dell’ultima tromba i morti risorgeranno (cf.
iCor 15,52; iTs 4,16); allo stesso modo, appena sentono
le chiacchiere, i dormiglioni si risvegliano!

2 Cf. supra, XVIII,3.


3 Cf. supra, XIII,5.

296
Il tiranno4 del sonno è un amico infido: spesso, quando
siamo sazi, si ritira, e quando invece siamo affamati e as­
setati, ci attacca con violenza. Durante la preghiera, poi, ci
suggerisce di dedicarci a un lavoro manuale, perché altrimen­
ti non riuscirebbe a distruggere la preghiera di chi veglia.
Questo tiranno è il primo ad assalire i novizi: per ren­
derli negligenti fin dagli inizi, o per preparare la strada al
demonio della fornicazione. Finché non ce ne saremo libe­
rati, non chiediamo la dispensa dalla salmodia comunitaria;
spesso infatti la vergogna può trattenerci dal sonnecchiare.
10. Il cane è nemico delle lepri, e il demonio della va­
nagloria è nemico del sonno.
11. Alla fine della giornata, il bottegaio si mette sedu­
to e calcola il suo guadagno; il monaco operoso5, invece, 941 c
lo fa alla fine della salmodia.
12. Dopo la preghiera, rimani vigilante, e vedrai inte­
re schiere di demoni! Noi infatti li abbiamo combattuti,
ed essi, terminata la preghiera, tentano di ferirci con fan­
tasie sconvenienti. Siediti e osserva, e vedrai coloro che
hanno l’abitudine di rapirci le primizie dell’anima!
13. Può capitare che, per l’abitudine presa, si ripetano le
parole dei salmi anche durante il sonno; ma a volte sono i de­
moni a suggerircele, per farci montare in superbia. C’è poi un
terzo caso, che non volevo menzionare, ma qualcuno6 mi co­
stringe a farlo: l’anima che medita incessantemente la parola
del Signore, può arrivare a intrattenersi con essa perfino nel
sonno. Quest’ultima cosa, infatti, non è che la giusta ricompen­
sa della precedente, per mettere in fuga i peccati e le fantasie.

Gradino diciannovesimo: chi lo ha raggiunto, ha rice- 941 d


vuto la luce nel proprio cuore.

A Cioè il demonio.
5 Lett.: “L’operaio (ergdtes)”.
6 Gli esempi presenti nelle Scritture: cf. Sai 1,2; 118,148; Ct 5,2.

297
Discorso XX
SULLA PUSILLANIMITÀ CHE È COSA INFANTILE
E INDEGNA DI UN UOMO

1. Chi esercita la virtù all’interno dei cenobi e delle 945 B


comunità, in genere non è minimamente tentato dalla
pusillanimità. Chi invece vive in luoghi solitari deve lot­
tare per non essere dominato da questo frutto della va­
nagloria e da questa figlia dell’incredulità, ovvero dalla
pusillanimità.
2. La pusillanimità è un’attitudine infantile in un’ani­
ma già avanzata negli anni e piena di vanagloria. La pu­
sillanimità significa vacillare nella fede in attesa di peri­
coli imprevisti.
3. La paura è la percezione anticipata di un pericolo; o
ancora: la paura è un sentimento trepidante di un cuore
sconvolto e agitato per ignote disgrazie. La paura è la per­
dita di ogni intima certezza.
L’anima superba è schiava della pusillanimità: confida
in se stessa, e poi si spaventa davanti al minimo rumore
e all’ombra delle creature!
4. Coloro che si affliggono per i propri peccati e sono
diventati insensibili al dolore, non sono soggetti alla pu­
sillanimità; ma i pusillanimi spesso perdono la testa, e ciò 945 c
è normale: colui che abbandona i superbi, infatti, agisce
secondo giustizia, perché anche noi impariamo a non in­
superbirci.

299
5. Tutti i pusillanimi sono pieni di vanagloria; ma non
tutti i coraggiosi sono umili, perché anche i ladri e i vio­
latori di tombe non si spaventano facilmente.
6. Non esitare a recarti in piena notte nei luoghi in cui
di solito hai paura, perché se ti lasci andare un po’ a que­
sta passione ridicola e infantile, essa finirà per invecchiare
con te ! Mentre ti stai recando là, armati della preghiera, e
quando sei arrivato, stendi le braccia e flagella i tuoi nemi­
ci con il nome di Gesù1: non esiste infatti arma più poten­
te né in cielo né in terra! Una volta guarito da questa ma­
lattia, eleva un canto a colui che ti ha liberato, perché se
gli dimostrerai gratitudine, egli ti proteggerà in eterno.
945 d 7 . Come non riuscirai mai a saziare il ventre con un solo

boccone, cosi non riuscirai a vincere la tua pusillanimità tut­


ta in una volta. Essa si ritirerà tanto più velocemente, quan­
to più grande sarà la nostra afflizione; ma nella misura in
cui la nostra afflizione sarà insufficiente, resteremo pusilla­
nimi. Si rizzarono i peli della mia carne (Gb 4,15), disse
Elifaz, descrivendo le arti malvagie di questo demonio.
8. A volte è l’anima, a volte è il corpo che comincia a
provare paura, e poi si comunicano l’un l’altro questa pas­
sione. Quando la carne è tutta tremante, ma la paura
inopportuna non riesce a penetrare nell’anima, significa
che la guarigione dalla malattia è vicina. Quando poi ac­
cogliamo volentieri, con un cuore contrito, tutti gli impre­
visti possibili, allora significa che siamo veramente liberi
dalla pusillanimità.
9. Non sono l’oscurità e la solitudine dei luoghi che
danno forza ai demoni contro di noi, ma la sterilità del-
948 a l’anima. A volte però può anche trattarsi di una punizio­

ne provvidenziale.

1 Cioè ripetendo incessantemente revocazione del nome di Gesù. Cf.


supra, XV,5i.

300
10. Chi è diventato servo del Signore, teme il proprio
padrone, e lui solo (cf. Mt 10,28 par.); ma chi ancora non
lo teme, spesso si spaventa davanti alla sua stessa ombra!
11. Quando uno spirito2 si avvicina invisibilmente, il
corpo si spaventa. Ma se si avvicina un angelo, Tanima
degli umili esulta di gioia; perciò, appena riconosciamo la
sua presenza da quest’effetto, corriamo subito alla pre­
ghiera: il nostro buon custode, infatti, è venuto a prega­
re con noi!

Chi ha vinto la pusillanimità, è evidente che ha affida­


to la propria vita e la propria anima a Dio.

2 Cioè un demonio.

301
Discorso XXI
SULLA MULTIFORME VANAGLORIA

i. Alcuni preferiscono distinguere la vanagloria dalla


superbia dedicandole una trattazione particolare, e per
questo affermano che i principali e fondamentali pensie­
ri cattivi sono otto1. Al contrario, Gregorio il Teologo2 e 949 A
altri maestri di dottrina ne enumerano sette, e io, per
quanto mi riguarda, faccio più fiducia a questi ultimi. Chi
infatti, dopo aver vinto la vanagloria, rimane incline alla
superbia? La sola differenza che esiste tra l’una e l’altra,
infatti, è la stessa che c’è tra un bambino e un uomo adul­
to, e tra il grano e il pane: il primo è l’inizio, il secondo,
il compimento3 * 5. Dunque, ora che l’occasione lo richiede,

1 Cosi Evagrio Pontico, Trattato pratico 13-14, seguito da Cassiano,


Istituzioni XI, 1 e Conferenze V,io, e dallo Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malva­
gi, PG 79,i4ÓoC: “La vanagloria è diversa dalla superbia. E vanagloria, quan­
do compiamo qualche buona azione per la gloria umana; è superbia, quando ci
stimiamo persone grandi e sublimi, e condanniamo gli altri. La prima ha origi­
ne da un’azione; la seconda da un’opinione; la prima è l’inizio della presunzio­
ne, la seconda ne è il culmine”.
2 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 39,10: questo passo, in cui il Nazian-

zeno parla di “sette spiriti della malizia, pari di numero a quelli della virtù”,
mi sembra sufficiente a spiegare il riferimento del nostro autore, e non c’è
alcun bisogno di pensare - come fanno alcuni studiosi - che, con il nome di
“Gregorio il Teologo”, 1*autore abbia inteso riferirsi a Gregorio Magno (cf.
Commento morale a Giobbe XXXI,45,87); cf. P. Deseille, “La dottrina spiri­
tuale di Giovanni Climaco”, pp. 100 e 114; M. Viller, K. Rahner, Ascetica e
mistica nella patristica. Un compendio della spiritualità cristiana antica,
Queriniana, Brescia 1991, pp. 156-157.
5 Sul rapporto tra vanagloria e superbia cf. anche infra, § 27.

303
parliamo brevemente delle passioni che sono inizio e cul­
mine dell’empia presunzione: chi infatti volesse discuter­
ne diffusamente, sarebbe simile a chi si affatica invano a
misurare il peso dei venti.
2. La vanagloria, nella sua essenza, è uno stravolgimen­
to della natura, una perversione dei costumi e un’attenzio­
ne sempre desta alle critiche; nelle sue qualità, poi, è sper-
949 b pero di fatiche, spreco di sudori, insidia del nostro tesoro,

figlia dell’incredulità, precorritrice della superbia, naufra­


gio nel porto, formica nell’aia - insetto che, per quanto
minuscolo, minaccia l’intero frutto della nostra fatica
3. La formica attende che il grano sia maturo, e la va­
nagloria che la nostra ricchezza4 sia accumulata: la prima
infatti trova gusto nel rubare, la seconda nello sperperare.
Lo spirito della disperazione si rallegra al veder molti­
plicarsi i vizi; lo spirito della vanagloria, invece, al veder
crescere le virtù: al primo, infatti, apre la porta il gran
numero di ferite, al secondo, la ricchezza accumulata con
molte fatiche.
4. Osserva con attenzione, e scoprirai come quest’empia
passione fiorisca fin dentro alla tomba, con le vesti, i pro­
fumi, i cortei funebri, gli aromi, e altre cose del genere!
3. Come il sole riversa la sua luce in abbondanza su
ogni cosa, così la vanagloria si compiace di ogni umana at­
tività. Per esempio: se digiuno, ne traggo motivo di vana-
949 c gloria; e se smetto di digiunare per non essere visto, mi
glorio ancora della mia prudenza. Se indosso splendide
vesti, sono vinto dalla vanagloria; e se mi cambio, vesten­
domi in modo povero, cado ancora nella vanagloria. Se
parlo, sono vinto dalla stessa passione; e se sto in silenzio,
sono vinto di nuovo! E come un tribolo di ferro: in qua- 4

4 Cioè la virtù.

304
lunque modo tu la getti, questa passione tiene sempre
una punta rivolta verso l’alto5.
6. Il vanaglorioso è un credente idolatra, che in appa­
renza onora Dio, ma in realtà cerca di piacere agli uomi­
ni e non a Dio. Vanaglorioso è chiunque ama mettersi in
mostra: il suo digiuno rimane senza ricompensa, e la sua
preghiera è inutile e inopportuna, perché sia l’uno che
l’altra sono fatti per la lode degli uomini (cf. Mt 6,1-6.16-
17). L’asceta vanaglorioso riceve un danno doppio: mace­
ra il proprio corpo e non riceve alcuna ricompensa.
7. Chi potrebbe non ridere vedendo come lo schiavo
della vanagloria, durante la salmodia, sia spinto da que­
sta passione ora a ridere, ora a piangere di fronte a tutti? 949 D
8. Dio spesso nasconde ai nostri occhi anche le virtù
che possediamo; ma chi ci loda - o meglio chi ci inganna
-, con le sue lodi ci apre gli occhi e, aperti gli occhi, la
nostra ricchezza scompare (cf. Gen 3,7).
9. L’adulatore è un servo dei demoni, un complice
della superbia, un distruttore della compunzione, un an-
nientatore delle virtù, un ingannatore che ci fuorvia:
Coloro che vi chiamano beati - dice infatti il profeta - vi
ingannano (Is 3,12)!
10. E proprio degli spiriti elevati sopportare le offese 952 A
con coraggio e con gioia; ma è proprio dei santi e dei puri
passare indenni in mezzo alle lodi.
11. Ho visto persone che si affliggevano per i propri
peccati accendersi d’ira per gli elogi ricevuti, scambiando
una passione con un’altra passione6, come si fa in una fiera.
12. Nessuno conosce i segreti dell’uomo, se non lo spirito
dell’uomo che è in lui (iCor 2,11): si vergognino dunque e
chiudano la bocca coloro che osano lodarci in faccia !

5 Cf. Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,14610.


6 Cioè la vanagloria con l’ira.

305
13. Se senti che il tuo vicino o il tuo amico ti ha rivol­
to un insulto, in tua presenza o in tua assenza, lodalo e
dimostragli il tuo amore.
14. Grande cosa è scacciare dalla propria anima le lodi
degli uomini, ma è cosa ancor più grande respingere le
lodi dei demoni.
13. Dimostra umiltà non chi disprezza o insulta se stes­
so - come potrebbe, infatti, non sopportare le proprie pa-
952 b role? -, ma chi, offeso da un altro, non diminuisce il pro­
prio amore per lui.
16. Ho notato come a volte il demonio della vanaglo­
ria suggerisca a un fratello dei pensieri cattivi rivelandoli
allo stesso tempo a un altro, e come poi spinga quest’ul­
timo a rivelare al primo i pensieri del suo cuore, così che
quello finisca per lodarlo come un profeta7.
A volte questo demonio maledetto può perfino attac­
carsi alle membra del corpo facendole sussultare.
Non lasciarlo avvicinare quando ti fa balenare la pro­
spettiva di diventare vescovo, igumeno o maestro, perché
è difficile scacciare un cane dal banco del macellaio8!
Appena costui si accorge che qualcuno ha raggiunto un
po’ di pace interiore, subito lo spinge a lasciare il deser­
to per tornare nel mondo, dicendogli: “Va’ a salvare le
anime che periscono ! ”.
17. Come l’aspetto degli etiopi9 è diverso da quello
delle statue, così la forma di vanagloria propria dei ceno-
952 c biti è diversa da quella degli eremiti.
18. Quando dei secolari vengono in visita, la vanaglo­
ria ne anticipa l’arrivo e spinge i monaci più fatui a usci-

7 Cf. infrat DP 84. Seguo qui il testo di Rader invece di quello di Sophronios,
8 L'immagine si riferisce alla mente che rimane invischiata nelle preoccupa­
zioni mondane e materiali.
9 Cioè dei neri.

306
re loro incontro: li fa cadere ai loro piedi e li veste di
umiltà - proprio lei che è piena di superbia! -, accomo­
da il loro portamento e la loro voce, li spinge a guardare
le mani dei visitatori nella speranza di ricevere qualcosa,
e a chiamarli signori e padroni, e, dopo Dio, “datori della
vita”. A tavola, consiglia di fare astinenza e di rimprove­
rare senza pietà gli inferiori10. Durante la salmodia, rende
solleciti i pigri, dà una bella voce a chi non ce l’ha, e ri­
sveglia i sonnacchiosi; lusinga il maestro del coro e lo sup- 952 d
plica di assegnare ai vanitosi le parti principali del canto:
lo chiama padre e maestro, finché gli ospiti non se ne
siano andati. Rende orgoglioso chi è apprezzato più degli
altri, e infonde rancore in chi è disprezzato.
19. Spesso la vanagloria procura disonore invece che
onore: i suoi seguaci, infatti, possono subire una grande
umiliazione, se si abbandonano all’ira. La stessa vanaglo­
ria può rendere miti davanti agli uomini le persone irasci­
bili; tanto più salta addosso a coloro che possiedono delle
doti naturali, e per mezzo di esse conduce quegli sventu­
rati alla rovina!
20. Ho visto un demonio assalire e scacciare un altro
demonio suo fratello: una volta infatti, mentre un mona- 953 a
co era in preda all’ira, giunsero improvvisamente dei seco­
lari, e quello sventurato passò dall’ira alla vanagloria, giac­
ché non poteva servire l’una e l’altra allo stesso tempo.
21. Chi si è venduto alla vanagloria, vive una doppia
vita: esteriormente vive tra i monaci, ma con lo spirito e
col pensiero vive nel mondo.
22. Se veramente desideriamo piacere al re di lassù,
sforziamoci di gustare la gloria di lassù! Chi infatti l’avrà
gustata, disprezzerà ogni gloria terrena; ma mi meravi-

10 Si può intendere: i monaci più giovani di loro, oppure quelli che non sono
al loro livello di ascesi.

307
glierei se qualcuno riuscisse a disprezzare la seconda senza
aver gustato la prima.
23. Spesso, dopo essere stati depredati dalla vanaglo­
ria11, ci siamo rivoltati contro di lei e, a nostra volta, siamo
riusciti a depredarla grazie a una migliore disposizione. Ho
visto alcuni intraprendere un’opera spirituale per vanaglo­
ria, e poi, lasciato da parte il motivo riprovevole che glie-
953 b l’aveva fatta iniziare, portarla a termine in modo degno di
lode, per aver mutato le proprie intenzioni.
24. Chi s’insuperbisce dei propri doni naturali, per
esempio della propria intelligenza, della propria facilità di
apprendimento, delle proprie capacità di lettura e di
espressione, del proprio ingegno, e di altre cose simili,
non otterrà mai i beni soprannaturali, perché chi è infe­
dele nel poco, sarà infedele - ovvero vanitoso - anche nel
molto (cf. Le 16,10).
25. Molti, pur di acquistare la perfetta impassibilità, ca­
rismi in abbondanza, e la capacità di operare miracoli e fare
profezie, macerano il proprio corpo in modo sconsiderato,
senza sapere, poverini, che non sono le fatiche, ma è piut­
tosto l’umiltà la madre di tali cose. Chi pretende di riceve­
re dei doni in cambio delle proprie fatiche, ha posto delle
fondamenta destinate a crollare; chi invece si considera un
debitore, all’improvviso riceverà una ricchezza inaspettata.
26. Non ti fidare del vagliatore12, che ti suggerisce di
953 c ostentare le tue virtù perché chi ti ascolta ne possa rica­
vare giovamento. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se
guadagnerà il mondo intero, e poi perderà se stesso? (cf. Mt
16,26; Le 9,25). Non c’è niente che possa edificare di più
chi ci guarda, di un atteggiamento umile e sincero, e di

11 La vanagloria spinge i monaci a praticare le virtù, sottraendo loro i frut­


ti di tale pratica.
12 Cioè Satana, che vaglia i discepoli del Signore come il grano; cf. Le 22,31.

308
una parola franca: ciò infatti aiuta anche gli altri a non
insuperbirsi mai. E che cosa può mai esserci di più utile ?
27. Un uomo dotato del carisma di chiaroveggenza
ebbe una visione e mi raccontò quel che vide: “Un giorno
- disse - mentre ero seduto in assemblea, vennero il de­
monio della vanagloria e il demonio della superbia, e si mi­
sero a sedere accanto a me, uno da una parte e uno dal­
l’altra. Il primo mi punzecchiava il fianco con il dito della 953 d
vanagloria, esortandomi a raccontare qualche mia visione
o qualche prodezza da me compiuta nel deserto. Ma appe­
na me ne fui liberato, dicendogli: ‘Retrocedano e siano co­
perti di vergogna quelli che meditano il male contro di me! ’
(Sai 39, i^b), subito quello che stava alla mia sinistra mi
disse nell’orecchio: ‘Bene! Ben fatto! Sei stato grande a
vincere quella spudorata di mia madre!’; e io immediata­
mente, riprendendo il seguito del versetto, gli dissi: ‘Siano
subito respinti e coperti di vergogna quelli che mi dicono:
Bene! Hai fatto bene/ ’ (cf. Sai 39,16)”.
Allora io chiesi a quella persona: “Come mai la vana­
gloria è madre della superbia?”; ed egli mi rispose: “Le
lodi esaltano e gonfiano, e quando l’anima è esaltata, la 956a
superbia la afferra, la porta fino al cielo, e poi la precipi­
ta giù nell’abisso”.
28. C’è una gloria che viene dal Signore, poiché sta
scritto: Glorificherò coloro che mi glorificheranno (iSam
2,30); e ce n’è una che è frutto dell’inganno del diavolo,
poiché sta scritto: Guai a voi quando tutti gli uomini di­
ranno bene di voi (Le 6,26).
29. La prima, la riconoscerai chiaramente quando, con­
siderandola come un danno, cercherai di respingerla in
tutti i modi, e quando, dovunque andrai, cercherai di na­
scondere la tua condotta di vita; la seconda, invece,
quando farai tutto, anche la minima cosa, per essere visto
dagli uomini.

309
Questa gloria impura ci suggerisce di fingere delle
virtù che non abbiamo, dicendo: “Sta scritto: Così ri-
956 b splenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le
vostre opere buone! ” (Mt 5,16). Spesso il Signore condu­
ce i vanagloriosi al ripudio della vanagloria facendo subir
loro qualche umiliazione.
30. L’inizio del ripudio della vanagloria consiste nella
custodia della propria bocca (cf. Sai 140,3) e nell’amore
delle umiliazioni; il grado intermedio, nella recisione di
tutti i pensieri di vanagloria che abbiamo nella mente; il
grado perfetto - ammesso che possa esistere un limite
nell’abisso -, nel ricercare tutto ciò che può umiliarci in
pubblico, senza provarne il minimo fastidio.
31. Non nascondere la tua infamia13 con il pretesto di
non dare scandalo! Tuttavia, forse, a seconda del tipo di
caduta, non sarà opportuno applicare sempre lo stesso ri­
medio.
32. Quando ricerchiamo la gloria, o quando essa ci
viene procurata da altri senza che l’abbiamo ricercata, o
ancora, quando intraprendiamo qualche opera per vana-
956 c gloria, ricordiamoci della nostra afflizione passata e di
quel timore con cui ci presentavamo davanti a Dio nella
nostra preghiera solitaria, e certamente faremo vergogna-
re quella spudorata14, purché ci sforziamo davvero di pre­
gare in modo autentico. Se ciò non basta, richiamiamo
subito alla mente il pensiero della morte; e se non basta
neanche questo, temiamo almeno la vergogna che segue
la gloria, poiché chi si esalta, sarà umiliato (Le 1 4 , 1 1 ) , non
solo nell’altra vita, ma certamente anche in questa!
33. Quando i nostri adulatori - o meglio i nostri ingan­
natori - cominciano a elogiarci, richiamiamo subito alla

13 Cioè il peccato che ti procura vergogna davanti agli altri.


14 La vanagloria.

310
mente la moltitudine dei nostri peccati, e ci scopriremo in­
degni delle lodi e degli onori che ci vengono tributati.
34. Certamente ci sono anche vanagloriosi che meritano
di essere esauditi da Dio in alcune loro richieste: di solito,
però, il Signore previene le loro preghiere e le loro suppli- 956
che, per evitare che essi, ricevendo ciò che chiedono per
mezzo della preghiera, s’insuperbiscano ancora di più.
35. Non sono certo le persone più semplici le vittime
ordinarie di questo veleno: la vanagloria infatti è rifiuto
della semplicità e finzione continua nei propri comporta­
menti.
36. Spesso il verme, quando è cresciuto, mette le ali e
vola in alto; così la vanagloria, quando è giunta a piena
maturazione, genera la superbia, autrice e perfezionatrice
di tutti i mali (cf. Eb 12,2).

Gradino ventunesimo: chi non si è lasciato catturare 957


da questa passione, non potrà mai cadere nella superbia,
nemica di Dio e ribelle a ogni autorità15.

15 Lett.t “Senza capo [aképhalos)”: cf. infra, XXII,28, n. 8.


Discorso XXII
SULLA SUPERBIA RIBELLE A OGNI AUTORITÀ

1. La superbia è rinnegamento di Dio, invenzione dei de­


moni1, disprezzo degli uomini, madre del giudizio del pros­
simo, figlia delle lodi, indizio di sterilità, ripudio dell’aiuto
di Dio, precorritrice della follia, foriera di cadute, causa
dell’epilessia, sorgente della collera, porta dell’ipocrisia,
sostegno dei demoni, custode dei peccati, artefice di cru­
deltà, ignoranza della compassione, esattrice inflessibile, 965 c
giudice crudele, avversaria di Dio, radice della bestemmia.
2. L’inizio della superbia è il culmine della vanagloria;
il suo grado intermedio è il disprezzo del prossimo, la
spudorata esibizione delle proprie fatiche, l’intimo com­
piacimento nelle lodi e l’odio dei rimproveri; il suo cul­
mine è il rifiuto dell’aiuto di Dio e l’esaltazione dei pro­
pri sforzi, che è un comportamento diabolico.
3. Ascoltiamo attentamente, noi tutti che vogliamo
evitare di cadere in questa fossa! Spesso questa passione
si pasce dei ringraziamenti che rivolgiamo a Dio: non è
così spudorata, infatti, da suggerirci di rinnegare Dio fin
dall’inizio !
4. Ho visto qualcuno ringraziare Dio con la bocca, e
vantarsi nell’intimo. E ne dà chiara testimonianza quel fa-

1 II primo superbo fu Lucifero, l’angelo decaduto a causa della propria su­


perbia e capo dei demoni.

313
riseo che, dissimulando la propria superbia, disse: Dio, ti
ringrazio! (Le 18,11).
5. Ogniqualvolta si verifica una caduta, vuol dire che
la superbia aveva già piantato la sua tenda, poiché Luna
è indizio dell’altra.
965 d 6. “Supponi che le infami passioni (cf. Rm 1,26) siano
dodici - ho sentito dire da un uomo degno di rispetto
se ne ami volontariamente anche una sola, intendo dire la
presunzione, quella occuperà il posto delle altre undici! ”2.
7. Il monaco superbo contraddice con aggressività; l’u­
mile invece non sa neanche guardare in faccia. Un cipresso
non si piega per far crescere i suoi rami a terra; né il mo­
naco dal cuore superbo si piega ad acquistare l’obbedienza.
8. L’uomo dal cuore superbo brama di comandare: non
c’è altro modo infatti in cui possa - o piuttosto voglia -
perdere completamente se stesso.
9. Il Signore resiste ai superbi (Pr 3,34; cf. Gc 4,6; iPt
968a 5,5): chi dunque può avere pietà di loro? Ogni uomo dal
cuore superbo è impuro agli occhi del Signore (Pr 16,3): chi
dunque potrà renderlo di nuovo puro ?
10. La caduta corregge i superbi; il demonio li stimo­
la; il delirio della mente procura loro l’abbandono da
parte di Dio. Dai primi due mali, gli uomini riescono
spesso a guarire grazie all’aiuto di altri uomini; ma l’ulti­
mo è umanamente inguaribile.
11. Chi rifiuta i rimproveri, rivela la sua passione; chi
li accoglie, è già libero dai suoi vincoli.
12. Se a causa di questa sola passione, senza il concor­
so di altre, qualcuno è caduto dal cielo, bisogna chieder­
si se non sia possibile salire al cielo con la sola umiltà,
anche senz’altre virtù.

2 Cf. Marco il Monaco, La legge spirituale 136.

314
13. La superbia è sperpero di ricchezza e di sudori.
Hanno gridato, e non c era chi li salvava: certamente per­
ché hanno gridato con superbia ! Hanno gridato al Signore
e non ha dato loro ascolto (Sai 17,42): certamente perché
non avevano eliminato le cause dei peccati da cui prega­
vano di essere liberati!
14. Un giorno, un anziano dotato di profondo discer- 968 b
nimento richiamò con un consiglio spirituale un fratello
che si dimostrava superbo, ma quello, nel suo accecamen­
to, gli disse: “Perdonami, padre, ma io non sono super­
bo!”. E quell’anziano ripieno di sapienza gli rispose:
“Quale dimostrazione più chiara della tua passione potre­
sti darmi, figlio, del tuo dire: ‘Non sono superbo!’?”.
Per simili individui sono fondamentali la sottomissione,
una disciplina più rude e umiliante, e la lettura degli esem­
pi di virtù soprannaturali dei padri; e anche così, forse,
sarà piccola la speranza di salvezza per questi malati.
15. E una vergogna farsi belli di un ornamento prezioso
che non ci appartiene, ma è somma follia vantarsi dei doni
ricevuti da Dio. Vantati soltanto - semmai - del bene che
hai fatto prima di nascere, perché quello che hai fatto dopo 968 c
la tua nascita, è un dono di Dio, come la nascita stessa!
16. Soltanto le virtù che hai conseguito senza l’aiuto
della mente ti appartengono, perché la mente te l’ha do­
nata Dio. Soltanto le vittorie che hai riportato senza il
corpo sono frutto dei tuoi sforzi, perché il corpo non è
tuo, ma è opera di Dio3!

3 Ipotesi assurde volte solo a mettere in luce la totale dipendenza delPuo-


mo-creatura dal Dio creatore. Cf. Evagrio, Gli otto spiriti di malizia 18: “Non
possiedi nulla che tu non abbia ricevuto da Dio; perché dunque la tua mente
si offusca in ciò che è di un altro, come se fosse tuo ? Perché ti fai bello della
grazia di Dio, come di un tuo possesso? Riconosci il donatore, e non esaltarti
oltre; sei creatura di Dio, non rifiutare il Creatore; hai ricevuto aiuto da Dio,
non rinnegare il benefattore!”.

315
17. Non ti sentire sicuro finché non hai ricevuto la
sentenza, vedendo come quell’uomo, che pure era già
stato ammesso alla festa nella sala delle nozze, fu legato
mani e piedi e gettato fuori nelle tenebre (cf. Mt 22,13).
18. Non alzare troppo la testa, tu che sei fatto di terra:
molti infatti furono precipitati dal cielo, pur essendo
santi e incorporei!
19. Quando il demonio ha stabilito la sua dimora in co­
loro che compiono le sue opere, allora appare loro mentre
968 d dormono, o anche mentre sono svegli, nell’aspetto di un
santo o di un martire, rivela loro qualche mistero e li gra­
tifica di qualche carisma, affinché quegli sventurati, così
ingannati, finiscano per perdere completamente la testa.
20. Se anche sopportassimo innumerevoli morti per Cri­
sto, non avremmo ancora saldato il nostro debito, perché
un conto è il sangue di Dio, altro conto il sangue dei suoi
servi: quanto al valore, voglio dire, non alla sostanza4.
969 a 21. Non smettiamo mai di meditare e di esaminare le
vite luminose dei padri che ci hanno preceduto, e allora
scopriremo che non abbiamo fatto neanche un passo sulle
orme della loro vita perfetta, né abbiamo custodito san­
tamente la nostra professione, ma ci troviamo ancora
nella condizione di chi vive nel mondo.
22. Ecco cos’è veramente un monaco: un occhio dell’a­
nima5 che non si lascia mai distrarre6, e sensi del corpo

4 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla penitenza 9, PG 49,349-350: “Non


sai che, se anche versi il tuo sangue per lui, neppure così hai saldato il debito?
Un conto, infatti, è il sangue del Signore, altro conto il sangue dei suoi servi!”.
5 L’“occhio dell*anima”, o del cuore, è la mente (noùs). Per quest'espressio­

ne, cf. Pseudo-Macario, Omelìe (Coll. II) 7,8: “Come gli occhi esteriori vedo­
no da lontano i rovi, i dirupi, i fossi, così anche la mente, essendo più vigoro­
sa, vede le arti della potenza avversa e le sue insidie e premunisce l’anima; in­
fatti è come l’occhio dell’anima”.
6 In greco: ameteóriston , espressione tipicamente basiliana, coniata a parti­

re da Le 12,29: cf. Basilio di Cesarea,Veglia su di te, p. 30. Qui è possibile


anche la traduzione “che non guarda in alto”, con un’eco di Sai 130,1: “I miei
occhi non guardano in alto (oudé emeteoristesanT.

316
che rimangono immobili. Monaco è colui che incita i suoi
nemici al combattimento come bestie feroci, e li provoca
anche quando fuggono via da lui. Monaco è continuo ra­
pimento in Dio, e tristezza per questa vita. Monaco è
colui che è così naturalmente orientato alle virtù, come
altri ai piaceri. Monaco è luce incessante nell’occhio del
cuore. Monaco è un abisso di umiltà che ha sommerso e 969 b

soffocato in sé ogni spirito cattivo.


23. La dimenticanza dei propri errori è frutto dell’or­
goglio: il loro ricordo infatti procura l’umiltà.
24. La superbia è l’estrema povertà di un’anima che
s’immagina di essere ricca e che nella sua tenebra si crede
di avere la luce: questa maledetta non solo ci impedisce
di far progressi, ma ci fa precipitare anche dalle vette che
abbiamo raggiunto!
25. Il superbo è un melograno marcio di dentro, ma
splendente di bellezza di fuori7.
Il monaco superbo non ha bisogno del demonio: è già
demonio e nemico a se stesso!
26. Le tenebre sono estranee alla luce; così il superbo
è estraneo alla virtù. Nei cuori dei superbi nascono paro­
le di bestemmia; nelle anime degli umili, contemplazioni
celesti. Il ladro odia la luce del sole, il superbo disprezza
chi è mite.
27. La maggior parte dei superbi - non so come - non 969 c
conoscono se stessi, e mentre credono di aver raggiunto
l’impassibilità, al momento del trapasso scoprono la pro­
pria povertà. Chi è preda della superbia, avrà bisogno del-

7 Cf. Giovanni Crisostomo, Sulla vanagloria 3: “Come è il frutto di Sodoma,


tale è la vanagloria: quello ha uno splendido aspetto e a chi lo vede offre, al­
l’apparenza, l’impressione dei frutti sani. Ma se prendi in mano una melagra­
na o una mela, cede subito sotto le dita, e la buccia che ravvolge di fuori, di­
sfattasi, le lascia cadere in polvere e in cenere. Qualcosa di simile è pure la va­
nagloria: alla vista sembra essere qualcosa di grande e ammirevole, ma presa
nelle nostre mani fa subito cadere in cenere la nostra anima”.

317
l’aiuto del Signore, perché per lui è vana la salvezza degli
uomini (Sai 107,13)!
28. Un giorno ho sorpreso questa ingannatrice senza
capo8 nel mio cuore, portata sulle spalle da sua madre9, e
dopo averle catturate entrambe con il laccio dell’obbe­
dienza, e frustate con la frusta della modestia, le costrin­
si a dirmi in che modo fossero entrate in me. Ed esse,
sotto i colpi della frusta, mi dissero:
“Non abbiamo né origine, né nascita, perché tutte le
passioni hanno origine e nascono da noi. La contrizione
del cuore, che è frutto di sottomissione, ci fa guerra aper­
ta. Non sopportiamo di essere comandate da nessuno, e
perciò, dopo esserci impadronite del potere anche nei
cieli, ce ne allontanammo.
969 d “Per dirla in breve, noi siamo le madri di tutte le pas­
sioni che si oppongono all’umiltà, mentre tutto ciò che la
sostiene si oppone a noi. Ma se siamo diventate potenti
perfino in cielo, tu dove pretendi di fuggire allontanan­
doti da noi?
“Nelle umiliazioni spesso accompagnamo l’ubbidienza,
la non-irascibilità, l’assenza di rancore e lo zelo nel servi­
zio. I nostri figli sono i peccati degli uomini spirituali:
l’ira, la maldicenza, l’irritazione, la collera, le grida, le be­
stemmie, l’ipocrisia, l’odio, l’invidia, l’indipendenza di
vita, la contestazione, la disobbedienza.
“C’è una sola cosa contro cui non possiamo far niente,
e giacché continui a frustarci te la diciamo: se ti accusi
sinceramente davanti al Signore, senza smettere mai, con­
sideraci pure come una ragnatela. Infatti, come vedi, il ca-

8
Su quest'espressione, cf. Exegesis (pp. 344-345): “Chiama la superbia ‘in­
gannatrice senza capo': ‘senza capo’ (aképhalos), perché essa attribuisce a se
stessa le opere virtuose e non al capo di tutti che è Cristo, e ‘ingannatrice^ per­
ché ci inganna e ci seduce con le sue vuote millanterie>,.
9 La vanagloria.

318
vallo della superbia è la vanagloria; ed è proprio su di lei
che sono salita. Ma la santa umiltà e l’accusa di se stessi
si rideranno del cavallo e del cavaliere, cantando armonio­ 972 A
samente l’inno della vittoria: Cantiamo al Signore perché si
è coperto di gloria : cavallo e cavaliere ha gettato nel mare (Es
15,1), cioè nell’abisso dell’umiltà!”.

Gradino ventiduesimo: chi vi è salito, è ormai forte, se


veramente è riuscito a farlo.

319
Discorso XXIII
SUGLI INESPRIMIBILI PENSIERI
DI BESTEMMIA

1. Abbiamo appena sentito come da una radice e da


una madre funesta sorga una propaggine ancor più fune­
sta: parlo cioè dell’indicibile bestemmia, figlia dell’infa­
me superbia. E necessario, dunque, portare questa pas­
sione al centro del nostro discorso: non si tratta infatti di
un nemico qualunque, ma del nemico e dell’avversario di
gran lunga più terribile di tutti; e quel che è peggio, non
è facile riuscire a esprimerlo a parole, a confessarlo, o a
manifestarlo al medico spirituale1. Ed è proprio il motivo
per cui spesso questo maledetto demonio ha portato molti
allo sconforto e alla disperazione, dopo aver corroso, 976 c
come un tarlo nel legno, tutta la loro speranza.
2. Questo infame demonio - sì proprio lui! - spesso,
proprio durante le sante sinassi e nell’ora tremenda dei
misteri, si compiace di bestemmiare il Signore e i santi
misteri che vengono celebrati; e da questo possiamo capi­
re assai chiaramente che non è la nostra anima a pronun­
ciare dentro di noi quelle parole indecenti, empie e incon­
cepibili, ma il demonio nemico di Dio, che fu cacciato dal
cielo proprio per avere anche là, a quanto pare, lanciato

Cioè al padre spirituale.

321
bestemmie contro il Signore. Se infatti quelle parole
empie e sconvenienti fossero mie, come mai, allora, rice­
vo e venero il dono2? Come posso insultare e benedire
allo stesso momento?
3. Questo ingannatore e corruttore delle anime ha spes-
976 so condotto molti alla follia. Nessun altro pensiero infatti
d

è così difficile da confessare come questo, ed è il motivo


per cui molto spesso invecchia insieme alle persone.
D’altra parte, niente dà tanta forza contro di noi ai demo­
ni e ai pensieri cattivi quanto il fatto di nutrirli e di na­
sconderli nel cuore senza confessarli.
4. Nessuno si ritenga responsabile dei pensieri di be­
stemmia: il Signore, del resto, è un conoscitore dei cuori
(cf. At 1,24; 15,8) e sa bene che tali parole e pensieri non
sono nostri ma dei nostri nemici3 * * * * * * * il.
5. L’ubriachezza provoca le cadute; e la superbia, i
pensieri sconvenienti. Colui che cade, non è colpevole
per il fatto di essere caduto, ma certamente sarà punito
per essersi ubriacato.
6. Quando ci mettiamo a pregare quei pensieri impu-
977 a ri e indecenti insorgono contro di noi, ma appena abbia­
mo terminato la preghiera, subito si ritirano, perché non
sono abituati a combattere contro chi non combatte con­
tro di loro.

2 Le specie eucaristiche.
3 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 46: “Il demonio che induce la mente
a una bestemmia contro Dio e a quelle immaginazioni proibite che io non oso
nemmeno affidare allo scritto, non ci imbrogli né ci faccia perdere la nostra
buona volontà. Infatti il Signore è un ‘conoscitore dei cuori> e sa che noi,
anche quando eravamo nel mondo, non ci siamo mai abbandonati a una tale
follia”. Per l’attributo divino “conoscitore dei cuori” (,kardiognóstes)y cf. la spie­
gazione di Evagrio Pontico, Scolti ai Salmit PG 12,13050 “Colui che è stato
l’unico a plasmare, è anche l’unico a conoscere: perciò solo Dio è chiamato a
buon diritto ‘conoscitore dei cuori’”; cf. anche Id., Scolti ai Proverbi 68; 76;
144; Id., I pensieri malvagi 37; Pseudo-Macario, Omelie (Coti. II) 16,6; Marco
il Monaco, Su chi si crede giustificato per le opere 15.

322
7. Quell’empio non solo bestemmia Dio e tutte le cose
divine, ma pronuncia nella nostra mente le parole più
turpi e indecenti per farci abbandonare la preghiera, o al­
meno cedere alla disperazione. Molti sono coloro che ha
strappato alla preghiera, e molti coloro che ha allontana­
to dai misteri4!
Questo tiranno crudele e disumano ha logorato i corpi
di alcuni con la tristezza, e altri li ha fiaccati con il digiu­
no, senza dar loro il minimo sollievo; ed è riuscito ad ot­
tenere questo risultato non solo con i secolari ma anche
con quelli che conducevano vita monastica, suggerendo
loro che non avevano più speranza di salvezza, convin­
cendoli anzi che erano più degni di compassione e più 977 b
sventurati di tutti gli infedeli e i pagani.
8. Colui che è tormentato dallo spirito di bestemmia e
vuole liberarsene, riconosca chiaramente che la causa di
tali pensieri non è la sua anima ma il demonio impuro che
una volta disse al Signore: Ti darò tutte queste cose se, pro­
strato, mi adorerai (Mt 4,9) !
Perciò anche noi disprezziamolo e non teniamo in
alcun conto le sue parole, e diciamo: “Vattene Satana!
Adorerò il Signore mio Dio, a lui solo renderò culto (cf.
Mt 4,10) ! La tua fatica e le tue parole ricadranno sulla tua
testa, e sul tuo capo scenderà la tua bestemmia, in questo
secolo e in quello futuro (cf. Sai 7,17)! Amen”. 977c
9. Chi vuole lottare contro il demonio della bestemmia
in modo diverso da come si è appena detto, somiglia a chi
pretende di afferrare un fulmine con le mani. Come po­
trebbe, infatti, afferrare questo demonio, contraddirlo, o 4

4 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 46: “L'obiettivo di questo demonio


è quello di distoglierci dalla preghiera, in modo che non stiamo più davanti al
Signore, né osiamo tendere le mani verso colui contro il quale abbiamo avuto
in mente tali cose".

323
lottare contro di lui, se costui piomba nel cuore all’im­
provviso come un vento, pronuncia le sue parole più ra­
pidamente di un lampo, e poi subito scompare ?
10. Tutti gli altri nemici, infatti, si fermano, lottano e
si attardano un po’, dando del tempo a colui che lotta
contro di loro; questo invece no, ma appena è apparso si
ritira, e appena ha pronunciato le sue parole si dilegua.
11. Questo demonio ha spesso l’abitudine di frequen­
tare le menti delle persone più semplici e ingenue, che
977 d assai più delle altre si agitano e si turbano: riguardo a loro
bisogna affermare che tutto ciò che subiscono non è certo
frutto del loro orgoglio ma dell’invidia dei demoni.
12. Smettiamo di giudicare e di condannare il prossimo,
e non dovremo più temere i pensieri di bestemmia: la
causa e la radice di tali pensieri, infatti, è proprio questa.
13. Come chi è chiuso in casa sente i discorsi di tutti
quelli che passano all’esterno, senza intrattenersi a parla­
re con loro, così l’anima raccolta in se stessa è turbata dal
semplice ascolto delle bestemmie che il demonio pronun­
cia passando attraverso di lei.
14. Chi disprezza questo demonio è liberato da questa
passione, ma chi cerca di lottare contro di lui in altro
980 a modo, finirà per soccombere. Chi infatti vuole catturare
gli spiriti con le parole, somiglia a chi pretende di mette­
re i venti sotto chiave!
Un monaco zelante che fu tormentato da questo demo­
nio per ben vent’anni, macerò la sua carne con digiuni e
veglie, ma accortosi poi di non ricavarne alcun giovamen­
to, scrisse la sua passione su un foglio di papiro, andò da
un sant’uomo e glielo consegnò, prostrandosi con la fac­
cia a terra, senza avere la forza di levare gli occhi verso
di lui. Dopo aver letto, l’anziano sorrise, e facendo rial­
zare il fratello, gli disse: “Figlio, metti la tua mano sul
mio collo”. E appena il fratello ebbe fatto ciò, quel gran-

324
de anziano gli disse: “Questo peccato sia sul mio collo,
fratello, per tutti gli anni che ti ha tormentato e ancora 980 b

ti tormenterà; tu cerca soltanto di non dartene più pen­


siero!”5. E questo fratello assicurò poi che, ancor prima
di aver lasciato la cella dell’anziano, la sua passione era
già scomparsa. Fu proprio lui, che aveva subito tale
prova, a raccontarmela, rendendone grazie a Dio.

Chi ha riportato la vittoria su questa passione, ha scac­


ciato la superbia!

5 Sulla paternità spirituale come assunzione di responsabilità, che implica il


farsi carico dei peccati del prossimo, cf. infra> DP 57 e supra, “Introduzione”,
pp. 42-43.

325
Discorso XXIV
SULLA MITEZZA, LA SEMPLICITÀ
E L’INNOCENZA,
NON NATURALI MA ACQUISITE,
E SULLA MALIGNITÀ

1. La luce dell’aurora precede il sole; così la via della


mitezza precede ogni forma di umiltà. Ascoltiamo dun­
que come la Luce stessa1 le collochi proprio in quest’or­
dine: Imparate da me - dice infatti - che sono mite e umile
di cuore (cf. Mt 11,29). E giusto, dunque, essere illumi­
nati dalla luce dell’aurora2 prima che spunti il sole3, così
da poterlo fissare poi in modo chiaro e distinto. Non è 980 d
possibile, infatti, non è proprio possibile contemplare il
sole, se prima non si è conosciuto la luce, come insegna
l’ordine reale di queste cose.
2. La mitezza è una condizione stabile della mente che
rimane sempre uguale a se stessa sia negli onori che nelle
umiliazioni. La mitezza significa pregare sinceramente
per il prossimo quando si subiscono molestie da parte
sua, senza esserne minimamente turbati. La mitezza è
una roccia che emerge sul mare della collera, che dissol­
ve tutte le onde che le si abbattono contro, senza mai es­
serne scossa.

1 Cioè Cristo: cf. Gv 1,9; 8,12.


2 Cioè dalla mitezza.
3 Cioè Pumiltà.

327
La mitezza è sostegno della pazienza, porta, anzi madre
della carità, presupposto del discernimento, poiché sta
scritto: II Signore insegnerà ai miti le sue vie (Sai 24,9b);
981 a procura il perdono dei peccati, è franchezza nella preghie­

ra, e dimora dello Spirito santo, poiché sta scritto: Su chi


poserò il mio sguardo, se non sui miti e sui pacifici? (Is 66,2).
La mitezza è collaboratrice dell’obbedienza, guida del­
l’amore fraterno, freno degli impulsivi, ostacolo dei col­
lerici, dispensatrice di gioia, imitazione di Cristo, virtù
propria degli angeli, catena dei demoni, scudo contro l’a­
marezza.
3. Nel cuore dei miti riposerà il Signore4, ma l’anima
turbolenta è sede del diavolo. I miti erediteranno la terra
(Sai 36,11; Mt 5,5), anzi domineranno su di essa, ma gli
uomini violenti saranno espulsi dalla loro terra.
4. L’anima mite è trono della semplicità, ma la mente
incline all’ira è artefice di malignità. L’anima mansueta
sarà capace di accogliere le parole della sapienza, perché
il Signore guiderà i miti nel giudizio (Sai 24,93), anzi nel
discernimento5. L’anima retta è compagna dell’umiltà,
981 b ma l’anima maligna è serva della superbia. Le anime dei

miti saranno riempite di scienza, ma la mente rabbiosa


dimora nelle tenebre e nell’ignoranza.
5. Un iracondo e un dissimulatore s’incontrarono, e
nella loro conversazione non si potè trovare una sola pa­
rola schietta! Se apri il cuore del primo, vi troverai la
follia, e se scruti l’anima del secondo, vi scoprirai la ma­
lignità.
6. La semplicità è la condizione abituale di un’anima
priva di artifici, che non si lascia trascinare a concepire il

4 Cf. Evagrio Pontico, Ai monaci 31: “In un cuore mite riposerà la sapienza”.
5 Gioco di parole in greco tra “giudizio” (krisis) e “discernimento” {didkrisis).

328
male. L’innocenza è la serena disposizione di un’anima
aliena da ogni doppiezza di pensiero6.
7. La prima caratteristica propria dell’età infantile è
una semplicità priva di artifici: finché Adamo la conser­
vò, non vide la nudità della propria anima, né la vergo­
gna della propria carne (cf. Gen 3,7).
8. Buona e beata è la semplicità che alcuni hanno per
natura, ma non quanto quella che è stata innestata su
un’indole malvagia a forza di fatiche e sudori. Se la prima
infatti è al sicuro da un gran numero di artifici e di pas­
sioni, la seconda è in grado di procurarci la più sublime
umiltà e mitezza. La ricompensa dell’una non è molto
grande, ma quella dell’altra è più che infinita!
9. Tutti noi che vogliamo attirare a noi il Signore, ac­
costiamoci a lui con semplicità, senza finzioni, né malizia,
né artifici, ma con la schiettezza con cui ci si avvicina a
un maestro per riceverne gli insegnamenti. Infatti, essen­
do egli semplice e senza molteplicità, vuole che le anime
che si accostano a lui siano semplici e innocenti. Del resto
è impossibile vedere la semplicità separata dall’umiltà.
Il maligno è un falso indovino che s’immagina di poter
cogliere i pensieri di qualcuno dalle sue parole, e i senti­
menti del cuore dagli atteggiamenti esterni.
10. Ho visto retti di cuore imparare la malignità dai
maligni, e mi sono meravigliato di come potessero perde­
re la loro indole naturale e il loro pregio così facilmente.
11. Quanto è facile per i retti di cuore mutare la pro­
pria natura, tanto è difficile per i maligni riuscire a otte­
nere la trasformazione opposta. Ma l’autentica estraneità,
la sottomissione e la custodia delle labbra spesso hanno

6 A partire da questo punto del testo fino alla fine del Discorso XXIV, l’or­
dine dei paragrafi varia sensibilmente tra i vari manoscritti e tra le edizioni di
Rader e di Sophronios, che qui continuiamo a seguire.

329
ottenuto grandi risultati e guarito prodigiosamente mali
incurabili.
12. Se la scienza per lo più gonfia (cf. iCor 8,1), guar­
da se l’ignoranza e la mancanza d’istruzione non possano
al contrario renderci umili. Ci sono alcuni però, anche se
pochi, che si vantano della loro ignoranza.
13. Chiaro esempio e modello di beata semplicità è
stato per noi il tre volte beato Paolo il Semplice7. Nessuno
infatti ha mai visto o sentito, né potrà mai vedere, un si­
mile progresso compiuto in così poco tempo.
14. Il monaco semplice è un animale privo di ragione,
ma ragionevole8, che obbedisce e depone il proprio far­
dello sulle spalle di colui che lo conduce. Un animale
non si oppone al padrone che lo lega, né un’anima retta
al superiore: lo segue dovunque voglia trascinarlo, e
anche se la conduce al sacrificio, non è in grado di con­
traddirlo.
981 c 15. Priva di malignità è l’anima che si trova nella sua
purezza naturale e si comporta con tutti in modo confor­
me alla natura nella quale è stata creata9.
16. Rettitudine è un pensiero non complicato, un caratte­
re genuino e un linguaggio senza finzione né ricercatezza.
Dio, come è chiamato “Carità” (Cf. iGv 4,8.16), così è chia-

7 Padre del deserto egiziano, discepolo di Antonio il Grande, rimasto cele­


bre per la sua obbedienza e la sua estrema semplicità, che gli meritò il sopran­
nome di “semplice”. Varie fonti parlano di lui: Palladio, Storia lausiaca 22,1-
13; Storia dei monaci in Egitto 24,1-8; Sozomeno, Storia della chiesa 1,13,1-13;
Apoftegmi, Paolo il Semplice 1.
8 Gioco di parole ossimorico tra àlogon (“bestia, animale privo di ragione”)

e loghìkón (“ragionevole”), tipico dello stile di Climaco; ne chiarisce il senso


VExegesis (p. 361): “Il monaco è ‘un animale privo di ragione1 perché non ha
più la volontà propria; sta scritto infatti: Di fronte a te ero come un animale, e
io sarò sempre con te (Sai 72,23-24). E però ‘ragionevole* perché ha scelto libe­
ramente di diventare questo ‘animale privo di ragione*, depone volontariamen­
te la volontà propria e si rende pronto all’ubbidienza”.
9 Sul concetto di “natura”, qui usato in senso pregnante, cf. infra , “Glos­

sario”, s.v. “Natura”.

330
mato anche “Rettitudine”, ed è per questo che il saggio10,
nel Cantico dei cantici, rivolgendosi al cuore puro dice: La
Rettitudine ti ha amato (Ct 1,4); e, ancora, il padre di quel
saggio11 dice: Buono e retto è il Signore (Sai 24,8); e affer­
ma che chi condivide il suo nome è salvato; dice infatti:
Lio salva i retti di cuore (Sai 7,11), e ancora: Il suo volto ha
visto e osservato la rettitudine delle anime (cf. Sai 10,7).
17. Malignità è: perversione della rettitudine, pensiero
tortuoso, falsa indulgenza, giuramenti non mantenuti, di­
scorsi complicati, cuore impenetrabile, abisso di inganno,
menzogna diventata abitudine, presunzione ormai natura­
le, avversione dell’umiltà, simulazione della penitenza, ab­
bandono dell’afflizione, odio della confessione, condotta
secondo il proprio giudizio, occasione di cadute, rifiuto di
rialzarsi da esse, sorriso davanti alle offese, tristezza simu­
lata, finta pietà, vita diabolica.
18. Il maligno è compagno e sinonimo del diavolo. Per 981 d

questo il Signore ci ha insegnato a chiamare il diavolo


così, dicendo: Liberaci dal Maligno! (Mt 6,13).
19. La malignità è una scienza - o meglio un’indecenza
- diabolica, completamente priva di verità, che crede di
restare nascosta ai più.
20. L’ipocrisia è una contraddizione tra l’atteggiamen­
to del corpo e quello dell’anima, che si associa a ogni ge­
nere di doppiezza di pensiero.
21. Fuggiamo lontano dal precipizio dell’ipocrisia e
dalla fossa della falsità, ascoltando colui che dice: I ma­
ligni saranno annientati (Sai 36,9), come fieno in fretta sa- 984 a
ranno seccati e come l’erba presto appassiranno (Sai 36,2)!
Questi tali infatti sono pascolo dei demoni.

10 Salomone, a cui la tradizione attribuisce i libri sapienziali.


11 David, padre di Salomone e, secondo la tradizione, autore dell’intero
Salterio.

331
22. Difficilmente i ricchi potranno entrare nel Regno
(cf. Mt 19,23), e i sapienti, in realtà insipienti12, potran­
no accedere alla semplicità.
23. Spesso una caduta ha fatto rinsavire i furbi, accor­
dando loro la grazia - da essi non ricercata - dell’inno­
cenza e della salvezza.
24. Lotta per confondere la tua propria sapienza, e cosi
facendo troverai la salvezza in Cristo Gesù Signore no­
stro. Amen.

Chi ha raggiunto questo gradino, si faccia coraggio: ha


imitato il Cristo, suo Maestro, ed è ormai salvo.

12 Cioè sapienti secondo il mondo e insipienti secondo Dio.

332
Discorso XXV
SULLA SUBLIME UMILTÀ,
DISTRUTTRICE DELLE PASSIONI,
CHE SI RADICA IN UN SENTIMENTO INTERIORE

i. Chi, per mezzo di parole materiali, vuole descrivere


in modo preciso il sentimento e l’effetto1 dell’amore del Si­
gnore in noi, in modo adeguato quelli della santa umiltà,
in modo veridico quelli della beata purezza, in modo chia­
ro quelli dell’illuminazione di Dio, in modo autentico quel- 988 b

li del suo timore e in modo infallibile quelli dell’intima cer­


tezza del cuore, e presume poi, attraverso la spiegazione di
tali cose, di poter illuminare coloro che non le hanno mai
gustate, si comporta in modo simile a chi, per mezzo di pa­
role ed esempi, vuole spiegare la dolcezza del miele a chi
non l’ha mai assaggiato2. Se il secondo, però, disquisisce
invano - per non dire che parla a vanvera -, il primo, o
non ha alcuna esperienza delle cose che descrive, oppure è
stato decisamente ingannato dalla propria vanagloria.

1 In greco: enérgheìa. Sul significato di questo termine in Climaco cf. infra >
“Glossario”, s.v. “Energia”.
2 Cf. Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, PG 29,3640: “Come la natura

del miele non la si può spiegare a parole a chi non Pha mai provata così effica­
cemente come con la sensazione del gusto, così anche la bontà della Parola ce­
leste non può essere trasmessa in modo persuasivo attraverso insegnamenti se,
dopo aver esaminato a lungo i dogmi della verità, non siamo capaci di gustare
la bontà del Signore attraverso la nostra personale esperienza”. Cf. Id., Omelia
di esortazione al battesimo, PG 31,4230.

333
2. Questo discorso pone davanti a noi, perché possia­
mo apprezzarne il valore, un tesoro custodito in vasi di
creta (cf. 2Cor 4,7), ovvero nei nostri corpi: tesoro la cui
essenza rimane inconoscibile per mezzo di parole3. Il ti-
988 c tolo che reca in testa, già da solo, è incomprensibile e of­
frirebbe abbondante, anzi immensa, materia di indagine
e di fatica a coloro che volessero spiegarlo a parole. Il ti­
tolo è questo: “La santa umiltà”.
3. Tutti coloro che sono guidati dallo Spìrito di Dio (Rm
7,14) si uniscano a noi in questo sinedrio spirituale colmo
di sapienza, portando nelle loro mani spirituali le tavole
della conoscenza scritte da Dio (cf. Es 31,18)!
Ci siamo riuniti4, abbiamo discusso insieme, e abbiamo
esaminato il valore di questo venerabile titolo. Uno disse:
“Significa dimenticare accuratamente le proprie opere
buone! ”; un altro: “Significa considerarsi l’ultimo e il più
peccatore di tutti!”; un altro: “Significa riconoscere nel­
l’intimo la propria impotenza e debolezza!”; un altro:
“Significa prevenire il prossimo nelle occasioni di litigio,
mettendo fine per primi alla propria collera!”; un altro:
“Significa riconoscere la grazia e la misericordia di Dio! ”;
988 d e un altro infine: “E il sentimento di un’anima contrita e

il rinnegamento della volontà propria ! ”.


Io però, dopo aver ascoltato tutti questi pareri e aver­
li esaminati dentro di me scrupolosamente e con attenzio­
ne, non sono riuscito, attraverso queste parole, a com­
prendere il beato sentimento dell’umiltà; perciò, pur es-

3 Sul carattere ineffabile dell’umiltà, cf. anche Doroteo di Gaza, Insegna­

menti 11,37: “Nessuno può dire come sia l’umiltà o come nasca nell’anima;
come ho ripetuto spesso, non è possibile comprenderla con un ragionamento,
se non abbiamo meritato di comprenderla con le nostre opere ... L’umiltà è di­
vina e sfugge a ogni comprensione”.
4 L’assemblea di sapienti che si riuniscono a discutere sul valore dell’umil­

tà è solo una finzione letteraria attraverso la quale Fautore elenca le varie de­
finizioni dell’umiltà proposte dai padri.

334
sendo l’ultimo di tutti, raccogliendo come un cane le mol­
liche che cadevano dalla tavola dei quei padri beati e sa­
pienti (cf. Mt 15,27), formulai la seguente definizione.
L’umiltà è una grazia che si riceve nell’anima e di cui 989 a

nessuno conosce il nome se non coloro che ne hanno fatto


esperienza; è una ricchezza indicibile; è il nome stesso di
Dio e un suo dono: Imparate da me - dice infatti -, non da
un angelo, né da un uomo, né da un libro, ma da me, cioè
dalla mia inabitazione, dalla mia illuminazione e dalla mia
energia presenti dentro di voi, poiché sono mite e umile di
cuore, di pensiero e di spirito, e troverete ristoro dalle lotte
e sollievo dai pensieri, per le vostre anime (cf. Mt 11,29).
4. Diverso è l’aspetto di questa santa vigna5 in inver­
no, quando ci sono ancora le passioni, diverso in prima­
vera, quando ormai spuntano i frutti, e diverso in estate,
quando si raccolgono le virtù, sebbene tutte queste fasi
contribuiscano all’unica gioia della raccolta dei frutti:
dunque, in un certo modo, ciascuna di esse porta in sé dei
segni e dei presagi dei frutti venturi.
5. Infatti, appena iniziano a spuntare in noi i grappoli 989 b
della santa umiltà, subito, anche se a fatica, cominciamo
a odiare ogni gloria e buona reputazione che viene dagli
uomini, scacciando dal nostro intimo la collera e l’irasci­
bilità. Poi, man mano che questa regina delle virtù cresce
spiritualmente nell’anima, stimiamo come un nulla, anzi
come un abominio, tutte le buone opere da noi compiute,
convinti come siamo di aggiungere ogni giorno un peso al
fardello dei nostri peccati dissipando senza saperlo i nostri
tesori; quanto all’abbondanza dei carismi divini che ci
sono stati dispensati, sospettiamo che, a causa della nostra
indegnità, divenga motivo di un castigo più grave. Ed è

5 Cioè l’umiltà. Cf. Exegesis (p. 366): “Chiama 'vigna* la santa umiltà, per­
ché essa fa sgorgare in abbondanza il vino della compunzione (cf. Sai 59,5)”.

335
così che la nostra mente rimane inviolabile, al sicuro nello
989 c scrigno della modestia, e pur udendo i colpi e le parole in­
solenti dei ladri6, non può ricevere danno da nessuno di
loro, perché la modestia è un rifugio inaccessibile!
6. Fino a qui, ci siamo arrischiati a parlare brevemente
della fioritura e della rapida crescita di questo frutto sem­
preverde. Ma qual’è il frutto maturo della santa umiltà?
Voi che siete familiari del Signore, chiedetelo a lui! E im­
possibile parlare della grandezza di questa santa virtù, e
ancora più impossibile chiarirne le qualità. Noi, dunque,
cercheremo di parlare delle sue proprietà secondo l’idea
che ce ne siamo fatti.
989 d 7. La penitenza scrupolosa, l’afflizione che purifica da
ogni macchia e la santissima umiltà dei principianti sono
così diverse e distinte tra di loro quanto il lievito e la fa­
rina lo sono dal pane. L’anima infatti prima è ridotta in
frantumi7 e macinata per mezzo di un’autentica peniten­
za; poi è unita e, per così dire, impastata con Dio per
mezzo dell’acqua di una sincera afflizione; quindi, in­
fiammata dal fuoco del Signore8, si trasforma in pane, e
così prende consistenza in lei la beata umiltà, che è priva
del lievito dell’orgoglio (cf. Mt 16,6).
992 a Perciò, questa santissima e triplice catena9, o meglio ar­

cobaleno, concorrendo a un’unica forza e a un unico effet­


to, mantiene in qualche modo i caratteri propri di ciascuna
delle sue parti, e ciò che diresti segno dell’una, scopri che
diventa elemento distintivo anche dell’altra. Tenterò di
confermare ciò che ho detto con una breve dimostrazione.

6 Gli spiriti maligni.


7 In greco: syntribetai. Il verbo, qui tradotto in senso concreto, indica in
senso traslato il raggiungimento della contrizione {syntrimmós). Cf. infra, §, 37
e “Glossario”, s.v. “Contrizione”.
8 Cioè dal fuoco deiramore di Dio.
9 Formata cioè da penitenza, afflizione e umiltà.

336
8. La prima e principale proprietà di questa bella e am­
mirevole trinità è il consenso dato con gioia alle umilia­
zioni, ricevute e accolte dall’anima a braccia aperte, come
un rimedio in grado di placare e di estinguere le sue ma­
lattie e i suoi gravi peccati. La seconda proprietà è l’estin­
zione di ogni moto di collera, e la modestia che l’accom­
pagna. Il terzo grado, che è il più alto, consiste nella se­
rena sfiducia10 nelle proprie opere buone e nel continuo
desiderio di imparare.
9. Termine della legge e dei profeti è Cristo, per la giusti­
ficazione di chiunque crede (Rm 10,4); termine delle pas­ 992 B

sioni impure sono la vanagloria e la superbia, per chiun­


que non fa attenzione: ma questa cerva spirituale che è
l’umiltà le estingue, custodendo chi vive con lei al sicuro
da ogni veleno mortifero11. Come potrebbe manifestarsi
in lei, infatti, il veleno dell’ipocrisia, o quello della mal­
dicenza ? E come potrebbe insinuarsi di nascosto in lei un
serpente? Non sarà piuttosto bandito dalla terra del
cuore, ucciso e divorato? In chi si è legato a lei, non ci
può essere né manifestazione di odio, né ombra di conte-
stazione, né traccia di disobbedienza, a meno che non si
tratti di questione di fede.
10. Chi ha sposato l’umiltà, è dolce, affabile, facilmen­
te incline alla compunzione, compassionevole verso tutti,
calmo, radioso, docile, superiore al dolore, vigile, solleci-

10 Lett.: “Fiduciosa sfiducia (apistza pisté)n\ una sfiducia cioè sostenuta e ge­
nerata dalla fiducia in Dio.
11 Era opinione diffusa nell’antichità che i cervi divorassero i serpenti e suc­

chiassero il loro veleno riuscendo a neutralizzarlo: cf. Basilio di Cesarea, Ome­


lie sui salmi, PG 29,30oA; Apoftegmi, Poemen 30: “Come i cervi nel deserto
divorano molti rettili e, quando il veleno li brucia, bramano di venire alle
acque e, dopo aver bevuto, trovano sollievo dal veleno dei rettili, così anche i
monaci che vivono nel deserto sono arsi dal veleno dei demoni malvagi e bra­
mano il sabato e la domenica per venire alle fonti delle acque, cioè al corpo e
sangue del Signore, per essere purificati dall’amarezza del maligno”; cf. anche
infra, XXVI/3,5; XXX,8.

337
to, e - per non dilungarmi oltre - impassibile, se è vero
che: Nella nostra umiltà il Signore si è ricordato di noi e ci
992 c ha liberato dai nostri nemici (Sai 135,23-24), ovvero dalle
nostre passioni e dalle nostre impurità.
11. Il monaco umile non cerca di conoscere i segreti
ineffabili, mentre il superbo vuole scrutare i giudizi di
Dio (cf. Rm 11,33).
12. Un giorno i demoni apparvero in forma visibile a
un fratello tra i più dotati di conoscenza, e si misero a co­
prirlo di lodi; ma quell’uomo colmo di sapienza disse
loro: “Se smettete di lodarmi attraverso i pensieri che su­
scitate nell’anima, dalla vostra partenza io concluderò di
essere diventato grande; ma se non smettete di lodarmi,
dalla vostre lodi non potrò che dedurre la mia impurità,
perché: Ogni uomo dal cuore superbo è impuro agli occhi
del Signore (Pr 16,5). Dunque, o vi ritirate, e allora diven­
terò grande, o lodatemi, e grazie a voi acquisterò un’u­
miltà più grande ! ”. E quelli, colpiti da queste parole im­
barazzanti, si dileguarono immediatamente.
992d 13. La tua anima non sia come una cisterna per questa
corrente d’acqua vivificante: ora colma fino all’orlo, ora
di nuovo prosciugata dall’ardore della vanagloria e del­
l’orgoglio, ma sia piuttosto una fonte pura da ogni gene­
re di passione, da cui sgorghi incessantemente il fiume
della povertà12. Sappi, amico caro, che le valli hanno grano
in abbondanza (Sai 64,14), ovvero sono ricolme di frutto
spirituale: la valle è l’anima che si umilia tra i monti - ov­
vero tra le virtù spirituali - e che rimane sempre immo­
bile, senza gonfiarsi di superbia.
14. Non sta scritto: “Ho digiunato”, né: “Ho vegliato”,
né: “Ho dormito per terra”, ma: Mi sono umiliato, e subi-

12 Cioè della povertà di spirito (ptocheia): cf. Mt 5,3; Le 6,20.

338
to il Signore mi ha salvato (Sai 114,6). La penitenza ci fa
rialzare, l’afflizione bussa alle porte del cielo, e la santa 993 a
umiltà ce le apre: io confesso e venero la trinità nell’uni­
tà, e l’unità nella trinità13!
15. Il sole illumina tutto ciò che si vede; così l’umiltà
dà consistenza a tutti gli atti compiuti secondo ragione.
Quando manca la luce, tutto diventa oscuro; quando
manca l’umiltà, tutto ciò che possediamo è senza valore.
16. In tutta la creazione, un unico luogo ha visto il sole
una sola volta; e un unico pensiero ha generato più volte
l’umiltà. In un solo e unico giorno il mondo intero ha
esultato di gioia; e questa virtù è l’unica che i demoni
non possano imitare14.
17. Una cosa è esaltarsi, altra cosa non esaltarsi, e altra
cosa ancora umiliarsi: il primo giudica gli altri ogni gior­
no, il secondo non giudica, ma non condanna neanche se
stesso; il terzo, pur essendo innocente, non cessa mai di
condannare se stesso.
18. Una cosa è essere umili, altra cosa è sforzarsi di es- 993 b
sere umili, e altra cosa ancora è lodare chi è umile. La prima

13 L’autore fa eco qui a una formula di fede trinitaria (cf. ad esempio


Gregorio di Nazianzo, Orazioni 25,17, SC 284), come spiega YExegesis (p. 372):
“Come la divinità è in tre ipostasi, ma è riconosciuta come una sola natura, ed
è unità e trinità insieme, così è per la penitenza, l’afflizione e l’umiltà: anche se
sembrano essere tre, sono una cosa sola. Esse infatti sono affini tra di loro, te­
nute insieme e riunite dalla grazia divina, che le congiunge Puna all’altra”.
14 Cf. Schol. io, PG 88,10056, che riferisce le seguenti interpretazioni di

questo passo enigmatico: “L’unico luogo è il fondale del mar Rosso, al momen­
to del passaggio d’Israele (cf. Es 14,21-22); e il giorno della gioia del mondo in­
tero non è altro che il giorno della risurrezione del Signore e Salvatore nostro,
nel quale il genere umano fu liberato dalle catene eterne della morte. Secondo
alcuni, però, si tratta del giorno della natività, nel quale si udì la voce degli an­
geli: Gloria nel più alto dei cieli (Le 2,14); secondo altri, poi, del giorno in cui
Noè uscì dall’arca insieme ai suoi familiari (Cf. Gen 8,14-9,17)”. Le stesse in­
terpretazioni sono riferite in Exegesis (p. 372), che aggiunge che “il solo pensie­
ro che ha generato più volte l’umiltà” è il ricordo della morte e dei castighi.
Sull’umiltà come unica virtù che i demoni non riescono ad imitare, cf.
Apoftegmi, Macario 11; Teodora 6.

339
cosa è propria dei perfetti, la seconda di chi vive in modo
autentico nella sottomissione, la terza di tutti i fedeli.
19. Chi ha raggiunto l’umiltà nel proprio intimo, non
rischia di essere tradito dalle proprie labbra15, perché la
porta non può lasciare uscire ciò che il tesoro non contie­
ne (cf. Mt 12,34-35).
20. Quando un cavallo è solo, spesso è convinto di cor­
rere, ma se è insieme al branco, allora si rende conto della
propria lentezza.
21. Quando il nostro pensiero cessa di vantarsi dei
propri doni naturali, questo è il segno dell’inizio della sua
guarigione; ma finché sente quel fetore16, non può senti­
re il soave odore del profumo17.
22. “Chi si è innamorato di me - dice la santa umiltà
- non riprenderà, non condannerà, non comanderà, e
non farà mostra di sapienza, finché non si sia unito a
me18; dopo l’unione, infatti, per lui non c’è piu alcuna
legge (iTm i,9)”19.
993 c 23. Un giorno i demoni maligni seminarono le lodi nel
cuore di un uomo che lottava con impegno per conquista­
re questa virtù beata, ma quello, su divina ispirazione,
s’ingegnò di vincere la malignità di quegli spiriti con un
pio inganno: alzatosi in piedi scrisse ordinatamente sulla
parete della sua cella i nomi delle virtù più sublimi - vo­
glio dire la carità perfetta, l’umiltà angelica, la preghiera
pura, la purezza incorruttibile, e le altre virtù simili a

15 Cioè non rischia di perdere le sue ricchezze spirituali a causa delle pro­

prie parole superbe.


16 Cioè la superbia.
17 Cioè l’umiltà.
18 Cf. Abba Isaia, Discorsi ascetici 8,7: “L’umiltà non ha lingua per dire di

qualcuno che è negligente o di un altro che è superbo; non ha occhi per guar­
dare i difetti degli altri, né orecchi per ascoltare cose che nuocciono all’anima;
non ha a che fare con nessuno se non con i propri peccati”.
19 L’umile non ha più bisogno di alcuna legge esterna perché l’umiltà fa

ormai parte della sua natura.

340
queste poi, quando i pensieri cattivi cominciavano a lo­
darlo, egli diceva loro: “Andiamo in giudizio!”, e subito
andava a leggere i nomi e gridava a se stesso: “Quando
avrai acquistato tutte queste virtù, allora dovrai ricono­
scere che sei ancora lontano da Dio ! ”.
24. Non siamo in grado di dire quale sia la potenza e
l’essenza di questo sole, ma possiamo comprendere la sua 993 d
essenza a partire dai suoi effetti e dalle sue proprietà20.
25. L’umiltà è un velo divino che ci copre impedendo­
ci di vedere le nostre opere buone. L’umiltà è abisso del
disprezzo di sé, inaccessibile a qualsiasi ladro. L’umiltà è
una torre fortificata di fronte al Nemico (Sai 60,4). Il
Nemico non trarrà alcun guadagno contro di lui21, e il figlio
- anzi il pensiero - dell’iniquità non arriverà a fargli del
male, ma egli distruggerà i suoi nemici davanti a sé, e met­
terà in fuga quelli che lo odiano (cf. Sai 88,23-24).
26. Oltre alle proprietà distintive già esposte sopra, il 996 a
beato possessore di questa ricchezza ne ha anche altre
dentro la propria anima. Quelle infatti, eccetto una, sono
segni visibili ed esteriori della sua ricchezza22.
27. Riconoscerai, senza rischio di illusioni, di possede­
re questa santa ricchezza23, dall’abbondanza di luce inef-

20 L'autore, come ha già fatto con le categorie dell’unità e della trinità (cf.
§, 14), applica qui la distinzione teologica tra “essenza” (ousta) ed “effetto”
0enérgheia: cf. infra, “Glossario”, s.v. “Energia”) alla virtù dell’umiltà, la quale,
pur restando inconoscibile nella sua essenza, può essere però sperimentata a
partire dagli effetti che produce in noi.
21 Bisogna intendere: rumile.
22 Come nota giustamente P. Deseille (in Saint Jean Climaque, Uéchelle sain-

te> Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1987, p. 342), le “proprietà


già esposte sopra” sono probabilmente quelle enumerate al § 8, e l’unica proprie­
tà che rimane invisibile è la “serena sfiducia nelle proprie opere buone”. I com­
mentatori antichi hanno interpretato quest’ultima “proprietà” in vario modo:
secondo gli Scholia si tratta dell’“opinione” che si ha di sé (PG 88,ioo8B), op­
pure più precisamente del “disprezzo di sé” (PG 88,i237A); secondo YExegesis
(p. 375), si tratta invece della “non-distrazione nella preghiera”.
23 Gioco di parole tra osta (“santa”) e ousta (“sostanza”, “ricchezza”).

341
fabile e dall’amore indicibile che avrai per la preghiera.
Prima che tu abbia raggiunto queste cose, ne è un segno
il cuore che non insulta più gli altri per le loro cadute; e
prima ancora, l’odio di ogni genere di vanagloria.
28. Chi è arrivato a conoscere se stesso con tutti i sensi
della propria anima, ha gettato un seme in terra (cf. Me
4,26): è impossibile, infatti, che l’umiltà fiorisca, se non
si è seminato in questo modo. Chi conosce se stesso, ac­
quista nella propria mente il timore di Dio, e se procede
lasciandosi guidare da esso, arriva alla porta della carità.
29. L’umiltà è la porta del Regno (cf. Mt 7,13-14), che
996 b vi introduce coloro che a essa si avvicinano. E riguardo a
questa porta, credo, che il Signore ha detto: Chi vuole
entrerà ed uscirà senza paura dalla vita, e troverà pascolo
(cf. Gv 10,9) ed erba verdeggiante nel paradiso. Tutti co­
loro che sono entrati per un’altra porta nella vita monasti­
ca, sono ladri della propria vita e briganti (cf. Gv 10,8).
30. Noi che vogliamo raggiungere l’umiltà, non cessia­
mo di esaminare noi stessi; e se con l’intimo sentimento
del cuore siamo convinti che il prossimo ci superi in tutto,
la misericordia di Dio è vicina24.
31. Come è impossibile che dalla neve esca una fiamma,
così è ancora più impossibile che negli eretici ci sia l’umil­
tà: questa è dunque una virtù propria dei buoni credenti e
in particolare di coloro che si sono purificati dalle passioni.
32. Noi per lo più affermiamo di essere peccatori, e
forse lo pensiamo, ma solo le umiliazioni mettono alla
prova il nostro cuore25.
996c 33. Chi si affretta verso questo porto tranquillo26, non
cessa mai di mettere in opera, di pensare e di escogitare

24 Cioè è vicino il momento in cui Dio ci farà la grazia dell’umiltà.


25 Cioè solo il modo in cui accogliamo le umiliazioni rivela la sincerità del­
l’umiltà che professiamo.
26 Ovvero verso l’umiltà.

342
tutti i comportamenti, i discorsi, i pensieri, i propositi, i
tentativi, le ricerche, le manovre, gli espedienti, le pre­
ghiere e le suppliche possibili, finché, grazie alTaiuto2/ di
Dio e ai metodi più umilianti e più mortificanti, non riesca
a liberare la barca della sua anima dal mare perennemente
in tempesta della superbia. Chi infatti si è liberato da essa,
per tutti gli altri peccati si comporterà come il pubblicano,
e otterrà facilmente il perdono (cf. Le 18,13-14).
34. Alcuni, dai propri peccati passati, hanno tratto oc­
casione di umiltà fino al termine della vita, anche dopo
averne ottenuto il perdono, schiaffeggiando in questo
modo la loro vana presunzione; altri, meditando la passio­
ne di Cristo, si considerano sempre debitori27 28; altri, a mo­
tivo delle loro mancanze quotidiane, si stimano come per­ 996 D
sone dappoco; altri hanno abbattuto il proprio orgoglio
tramite le tentazioni, le infermità e le cadute morali alle
quali sono continuamente soggetti; altri ancora, grazie
alla loro mancanza di carismi, hanno ottenuto la madre di
tutti i carismi.
Vi sono alcuni poi - ma non so dire se ve ne siano an­
cora - che traggono motivo di umiltà dagli stessi doni di
Dio, man mano che crescono, stimandosi indegni di una
tale ricchezza e credendo di aggiungere ogni giorno qual­
cosa al proprio debito: ecco l’umiltà, ecco la beatitudine, 997 A
ecco il premio perfetto!
35. Quando vedi o senti che qualcuno ha raggiunto in
pochi anni il grado più alto dell’impassibilità, sta’ pure

27 In greco: synérgheia. Su questo concetto cf. infra> “Glossario”, s.v.


“Cooperazione”.
28 Cf. Marco il Monaco, Su chi si crede giustificato per le opere 19: “Se Cristo

è morto per noi secondo le Scritture e noi non viviamo per noi stessi ma per
colui che è morto e risorto per noi, è evidente che il nostro debito ci impone
di servirlo fino alla morte. Come possiamo, dunque, ritenere che l’adozione a
figli ci sia dovuta?”.

343
certo che non ci è arrivato per altra via che per questa
beata scorciatoia29!
36. La carità e l’umiltà formano una santa coppia: la
prima innalza, e la seconda, sostenendo quelli che sono
stati innalzati, non permette che cadano mai più.
37. Una cosa è la contrizione, altra cosa la conoscenza
di sé, e altra cosa ancora l’umiltà. La contrizione è frut­
to di una caduta: chi cade infatti riporta fratture30 e senza
avere troppa confidenza se ne sta in preghiera con una lo­
devole impudenza, e appoggiandosi sul bastone della spe­
ranza come un uomo dalle ossa rotte, scaccia con essa il
cane della disperazione. La conoscenza di sé è la lucida
coscienza dei propri limiti e il ricordo costante dei propri
997 b peccati, anche minimi. L’umiltà è la dottrina spirituale di

Cristo che, come una sposa, è custodita spiritualmente


nella stanza più interna dell’anima da quanti ne sono
degni ed è inesprimibile con parole umane.
38. Chi afferma di sentire chiaramente l’odore di tale
profumo, e poi, quando riceve delle lodi, si emoziona nel
proprio cuore anche solo per poco, o riconosce il valore
di quelle parole, non s’illuda: si è illuso!
39. Ho sentito qualcuno dire con profondo sentimen­
to dell’anima: Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo
nome da’ gloria (Sai 113,9)! Sapeva infatti che la nostra
natura, da sola, non può scampare facilmente al pericolo
delle lodi. Da te viene la mia lode nella grande assemblea
(Sai 21,26), ossia nel secolo futuro: prima di quel tempo,
infatti, non sono in grado di sopportarla senza pericolo !

29 Cf. Paolo Everghetinos, Synagoghé 111,38,44: “Un anziano che viveva in


Egitto diceva sempre: ‘Non c'è via più breve deH’umiltà’”.
30 Anche qui, come al § 7 (cf. n. 7), il verbo syntribesthai ha un doppio si­

gnificato: quello concreto di “essere spezzato”, e quello traslato di “essere con­


trito”; e così “caduta” iptóma) è da intendere sia in senso materiale che in
senso morale.

344
40. Se indizio, manifestazione e caratteristica dell’e­
strema superbia è fingere virtù che non abbiamo, per ri­ 997 C
cavarne gloria, allora segno della più profonda umiltà è
fingere colpe che non ci appartengono, per disprezzo di
noi stessi.
Così fece colui che “prese in mano pane e formag­
gio”31; e così quell’altro che si spogliò del vestito e, da
campione di purezza qual’era, attraversò la città senza
provarne turbamento32. Persone come queste non si
preoccupano più di dare scandalo agli uomini, perché,
con la loro preghiera, hanno ormai il potere di rassicura­
re invisibilmente tutti sulle loro reali intenzioni.
41. Chi si preoccupa della prima cosa, mostra di non
possedere la seconda. Quando infatti Dio è pronto a
esaudirci, possiamo fare tutto! Scegli di contristare gli
uomini piuttosto che Dio: egli si rallegra infatti al veder­
ci correre incontro alle umiliazioni per calpestare, colpire 997 D
ed estinguere la nostra vana presunzione.

31 Si tratta di abba Simone, un padre del deserto egiziano; cf. Apoftegmì,


Simone 2: “Un1 altra volta venne un altro magistrato per vedere abba Simone,
e i chierici lo prevennero per dirgli: ‘Padre, preparati, perché il magistrato,
avendo sentito parlare di te, viene per ricevere la tua benedizione*. ‘Sì, rispo­
se, mi preparo*. Indossato quindi il suo vecchio mantello, prese in mano pane
e formaggio e si sedette alTingresso mangiando.v Quando il magistrato giunse
con il suo seguito e lo videro, lo disprezzarono: ‘E questo l’anacoreta di cui ab­
biamo sentito parlare?’ E ritornarono subito indietro”.
32 Si tratta di abba Serapione detto il Sindonita, asceta itinerante la cui

vita è narrata da Palladio in Storia lausiaca 37,1-15; ivi si racconta che


Serapione, a una vergine di Roma che si vantava di essere ormai “morta al
mondo”, rispose: “Bene, se vuoi convincermi che sei morta al mondo e che
non vivi più per piacere agli uomini, fa’ ciò che faccio io, e saprò che sei ve­
ramente morta: togliti tutti i vestiti, sul mio esempio, mettili sulle spalle e at­
traversa il centro della città; io ti precedo acconciato allo stesso modo”; e di
fronte alle reticenze della donna: “Vedi dunque: non essere più orgogliosa di
te stessa, pensando di essere la donna più pia di tutte e morta al mondo; io
sono più morto di te, e ti dimostro con i fatti di essere morto al mondo, poi­
ché sono disposto a compiere questo gesto senza turbamento e senza vergo­
gna” (ibid. 37,14-15).

345
42. É la perfetta estraneità a rendere possibili tali pro­
dezze: solo chi è veramente grande infatti può sopporta­
re gli scherni dei propri familiari. Non ti stupire per que­
ste parole: nessuno è mai potuto salire in cima a una scala
in un solo balzo !
43. Da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli (cf.
Gv 13,35), non se i demoni ci ubbidiscono, ma se i no­
IOOO A stri nomi sono scritti nel cielo dell’umiltà (cf. Le 10,20).
44. L’assenza di frutti, per sua natura, fa sì che i rami
dei cedri s’innalzino verso l’alto; quando invece vengono
piegati verso il basso, subito si riempiono di frutti33. Chi
ha intelligenza per comprendere, capisce!
45. Il gradino di questa santa virtù può farci salire, da­
vanti a Dio, con un frutto del trenta, del sessanta, o del
cento per uno (cf. Me 4,8): all’ultimo livello possono sa­
lire coloro che hanno raggiunto l’impassibilità; a quello di
mezzo, i forti; al primo, tutti. Chi conosce se stesso non
potrà mai lasciarsi trarre in inganno tentando ciò che su­
pera le sue forze, ma continuerà a procedere al sicuro su
questo beato sentiero.
46. Gli uccelli temono la vista del falcone; così chi col­
tiva l’umiltà teme il suono della contestazione!
IOOO B 47. Molti hanno ottenuto la salvezza senza profezie,
né illuminazioni, né segni, né prodigi; ma senza questa
virtù nessuno entrerà mai nella sala delle nozze (cf. Mt
22,10-14)! Quest’ultima infatti è la custode di quei doni,
ma senza di essa quei doni possono condurre alla rovina
le persone più leggere.

33 Cf. Doroteo di Gaza, Insegnamenti 11,33: “Ci sono piante che non danno
frutto, finché i loro rami s'innalzano verso il cielo, ma se si prende una pietra
e la si appende ai rami per trascinarli verso terra, allora danno frutti. Così av­
viene anche all’anima: quando è umiliata, porta frutto, e quanto più porta frut­
to, tanto più si umilia, poiché quanto più i santi si avvicinano a Dio, tanto più
si riconoscono peccatori".

346
48. Affinché potessimo umiliarci anche senza volerlo,
il Signore nella sua provvidenza ha disposto che nessuno
potesse vedere le nostre piaghe meglio del prossimo:
siamo costretti così ad attribuire la grazia della nostra
guarigione non a noi stessi, ma a lui, e a Dio.
49. Chi ha la mente umile, aborrisce sempre la propria
volontà come fallace, e quando chiede qualcosa al Signore,
si lascia istruire e obbedisce con fede incrollabile, senza
guardare alla condotta dei propri maestri, ma affidandosi IOOO c

completamente a Dio, il quale ha potuto insegnare a


Balaam ciò che doveva fare anche per bocca di un asino
(cf. Nm 22,22-34).
50. Un simile operaio di umiltà, anche se pensa, opera
e parla in tutto secondo Dio, neppure così si fida di se
stesso: per l’umile infatti fidarsi di se stesso è un dolore
e un peso, come per il superbo la volontà di un altro.
51. Credo che sia proprio degli angeli non essere mai
sorpresi dai peccati; ho sentito dire infatti a un angelo
terrestre: Non mi sento colpevole di nulla, ma non per que­
sto sono giustificato: il giudice è il Signore (iCor 4,4)!
Perciò noi dobbiamo continuamente accusarci e rimpro­
verarci, per riuscire a cancellare, per mezzo del volonta­
rio disprezzo di noi stessi, i nostri peccati involontari; al­
trimenti, al momento della nostra dipartita, certamente
ce ne sarà chiesto conto in modo severo.
52. Chi chiede a Dio meno di quanto merita, certa­ IO O O D

mente otterrà più di quanto merita! Ne dà testimonian­


za il pubblicano che, avendo chiesto il perdono dei pec­
cati, ottenne la giustificazione (cf. Le 18,13-14). Il ladro­
ne, poi, chiese soltanto di essere ricordato nel Regno, ma
ereditò l’intero paradiso (cf. Le 23,42-43)!
53. Nell’intera creazione è impossibile trovare un
fuoco che sia grande o piccolo per natura: così nell’auten­
tica umiltà è impossibile che rimanga la minima traccia di

347
materia. Finché dunque cadiamo volontariamente nel
peccato, l’umiltà non è in noi; ed è questo il segno che ce
ne indica la presenza o l’assenza in noi34.
54. Il Signore, sapendo che la virtù dell’anima si con­
forma al contegno esteriore, prese un asciugatoio e ci mo­
strò la via da seguire per giungere all’umiltà (cf. Gv 13,4-
iooia 5); infatti “l’anima si assimila ai comportamenti esteriori,
si modella sulle proprie azioni e a esse si conforma”35.
55. Per uno degli angeli36 il potere divenne occasione
di superbia, pur non avendolo ricevuto per questo.
56. La disposizione interiore di chi siede su un trono è
diversa da quella di chi siede su un letamaio37, ed è per
questo forse che quel grande giusto stava seduto sul leta-

34Passo di difficile interpretazione, cosi spiegato ddlYExegesis (p. 384):


“Nella creazione non esiste alcuna differenza di natura tra un fuoco grande e
un fuoco piccolo: il fuoco infatti è sempre lo stesso, anche quando, per la gran­
de quantità di materiale tbyte), divampa in un incendio più grande. Così nel-
Tautentica umiltà è del tutto impossibile che colui che la possiede ami una
qualche forma terrestre o materiale ... Questo è il segno della presenza dell'au­
tentica umiltà: il fatto di non avere alcun attaccamento passionale nei confron­
ti della materia”. L'umile, dunque, per sua natura rimane indifferente alle cose
materiali, anche quando ne è circondato, come il fuoco non muta la propria na­
tura anche quando, per effetto della “materia”, diventa un incendio.
35 Basilio di Cesarea, Omelìa sull*umiltà, PG 31,3376.
36 Ovvero Lucifero.
37 Cf. Doroteo di Gaza, Insegnamenti 11,39: “Perché dunque si dice che

anche le fatiche del corpo rendono umili ? Che influenza può avere la fatica del
corpo su una disposizione dell'anima? Ve lo dirò. L'anima, caduta dall'obbe­
dienza al comandamento nella trasgressione, fu consegnata, l'infelice, alla con­
cupiscenza, alla piena libertà dell'errore, come dice san Gregorio, amò i beni
del corpo, divenne una sola cosa con il corpo, divenne carne interamente, come
sta scritto: Il mìo spirito non dimorerà tra questi uomini perché sono carne (Gen
6,3). E così l'anima infelice soffre con il corpo e subisce tutto ciò che accade
al corpo. Per questo l'anziano ha detto che anche le fatiche del corpo condu­
cono all'umiltà. E difatti non sono identiche le disposizioni dell’anima di chi
sta bene e di chi è malato, di chi ha fame e di chi è sazio. E non sono le stes­
se le disposizioni dell'anima di chi cavalca un cavallo e di chi cavalca un asino,
di chi è seduto su un trono e di chi è seduto per terra, di chi porta belle vesti
e di chi è vestito miseramente. La fatica dunque umilia il corpo e quando il
corpo è umiliato, anche l'anima si umilia con lui e così giustamente l'anziano
ha detto che la fatica del corpo conduce all'umiltà”.

348
maio fuori della città38; dopo aver raggiunto la perfetta
umiltà, infatti, disse dal profondo dell’anima: Ho disprez­
zato me stesso, e mi sono macerato:mi sono considerato terra
e cenere (Gb 42,6).
57. Trovo scritto che Manasse peccò come nessun altro
tra gli uomini, profanando il tempio di Dio con gli idoli
e contaminando tutta quanta la religione (cf. iRe 21,1-
18; 2Cr 33,1-9): se il mondo intero avesse digiunato per
lui, non avrebbe potuto compensare adeguatamente il suo
peccato, ma rumiltà riuscì a guarire in lui anche ciò che 10 0 1 b

sembrava incurabile (cf. 2Cr 33,i2-i3)39.


58. Se tu avessi voluto un sacrificio, te l’avrei offerto, dice
David a Dio, ma tu non ti compiaci dei corpi macerati dal
digiuno come olocausti; sacrificio a Dio, e ciò che segue,
che tutti conoscono40. Ho peccato contro il Signore!, gridò
un giorno a Dio questa beata umiltà, a causa di un adul­
terio e di un omicidio, e subito udì: Il Signore ha perdona­
to il tuo peccato (2Sam 12,13.)!
39. I padri degni di eterna memoria hanno afferma­
to che via e fondamento dell’umiltà sono le fatiche del
corpo41; io affermo che lo sono l’ubbidienza e la retti-

38 Si tratta di Giobbe: cf. Gb 2,8.


39 Oltre al testo biblico, Fautore ha qui certamente presente anche la cosid­
detta Preghiera di Manasse, un testo apocrifo conservato in alcuni manoscritti
della Bibbia dei L X X ed entrato molto presto nella liturgia bizantina, dove Fu­
mile penitenza del re empio è espressa in modo particolarmente intenso. Su
questo testo cf. Apocrifi dell'Antico Testamento III, a cura di P. Sacchi,
Paideia, Brescia 19 9 9 , pp. 539 -54 9 .
40 Cf. Sai 50,18-19 L X X : “Sacrificio a Dio è uno spirito contrito, Dio non

disprezzerà un cuore contrito e umiliato”.


41 Cf. Apoftegmi Nau 323: “Fu chiesto a un anziano che cos’è Fumiltà.

Rispose: ‘L’umiltà è un’opera grande e divina. Via delFumiltà sono le fatiche


del corpo e il ritenersi peccatori e al di sotto di tutti’”; Apoftegmi, Mosè 18:
“Disse il fratello: ‘A cosa servono i digiuni e le veglie dell’uomo?’. Dice a lui
l’anziano: ‘Servono a umiliare l’anima. Sta scritto infatti: Guarda la mia umi­
liazione e la mia fatica, e perdona tutte le mie colpe (Sai 24,18). Se l’anima pro­
duce questi frutti, per essi il Signore si impietosisce di lei’”; Doroteo di Gaza,
Insegnamenti 11,39, citato suprat n. 37.

349
tudine di cuore, che per loro natura si oppongono al­
l’orgoglio.
60. Se l’orgoglio ha potuto fare di alcuni angeli dei de-
ioox c moni, certamente l’umiltà può fare dei demoni degli an­
geli. Perciò chi è caduto si faccia coraggio!
61. Affrettiamoci e lottiamo con tutte le forze per sa­
lire sulla cima di questa virtù ! Se non ci riusciamo, mon­
tiamo almeno sulle sue spalle; e se ci mancano ancora le
forze, almeno non cadiamo dalle sue braccia, perché chi
cade di qui, difficilmente riuscirà a ricevere qualche dono
nell’eternità!
62. I nervi dell’umiltà42 e le vie che conducono ad essa
- senza essere però segni della sua presenza - sono la ri­
nuncia al possesso, un’estraneità non esibita, la dissimu­
lazione della propria sapienza, un modo di parlare senza
orpelli, il chiedere l’elemosina, il silenzio sulla propria no­
biltà di nascita, il rifiuto dell’eccessiva familiarità, l’ab­
bandono delle chiacchiere. Nulla, infatti, ha mai potuto
umiliare l’anima come la condizione di miseria e il vivere
da mendichi. Il nostro amore per la sapienza e per Dio si
dimostra infatti proprio quando, avendo la possibilità di
essere onorati, fuggiamo gli onori senza volgerci indietro.
1001 d 63. Se ti prepari a combattere contro una qualche pas­
sione, prenditi come alleata l’umiltà: essa infatti cammine-
1004 a rà sulla vipera e sul serpente e calpesterà il leone e il drago (cf.
Sai 90,13), cioè camminerà sul peccato e sulla disperazio­
ne, e calpesterà il diavolo e il drago che insidia il corpo43.
L’umiltà è un sifone celeste che dall’abisso dei peccati
può sollevare l’anima fino al cielo.
Un giorno un tale vide nel proprio cuore la bellezza
dell’umiltà, e, preso da grande stupore, le chiese di cono-

42 Cioè i mezzi che la fortificano.


43 Ovvero il demonio della fornicazione.

350
scere il nome di chi l’aveva generata, ma quella, con un
sorriso radioso e sereno, rispose: “Perché desideri tanto
conoscere il nome di colui che mi ha generata? Egli non
ha nome e non te lo dirò finché non avrai raggiunto
Dio!”44. A lui la gloria nei secoli! Amen.

L’abisso delle acque genera la sorgente, e la sorgente 1004 B


del discernimento è l’umiltà!

44 L’autore vuol far intendere, come del resto ha già detto sopra (cf. § 3),
che il padre dell’umiltà è Dio stesso.

351
Discorso XXVI/i
SUL DISCERNIMENTO DI PENSIERI,
PASSIONI E VIRTÙ

1. Il discernimento, nei principianti, è una conoscenza 1013 A


autentica di se stessi; in coloro che sono a metà del cam­
mino, è un senso spirituale che distingue infallibilmente
il bene autentico da quello naturale e dal suo contrario;
nei perfetti, è una scienza infusa per divina illuminazio­
ne, che è in grado di illuminare con il proprio lume anche
ciò che negli altri rimane coperto dalle tenebre.
Forse, più in generale, si definisce ed è discernimento
la comprensione sicura della volontà di Dio in ogni tempo,
luogo e circostanza, che è presente solo in chi è puro nel
cuore, nel corpo e nella parola. Il discernimento è una co­
scienza immacolata e una sensibilità pura.
2. Chi ha vinto i primi tre pensieri come si conviene,
insieme a quelli ha vinto anche gli altri cinque1; chi inve­ 1013 B
ce li trascura, non vincerà né gli uni né gli altri.

1 Tra le varie interpretazioni dei commentatori antichi, seguiamo qui una


di quelle proposte dalYExegeszs (p. 392): “I pensieri di malizia che ci fanno
guerra sono in tutto otto. Di questi otto, però, tre sono i più generali: quello
dell’ingordigia, quello dell’avarizia e quello della vanagloria. Con questi il dia­
volo tentò anche il Signore, e si ritirò dopo essere stato da lui sconfitto; attra­
verso questi il Signore vinse ogni tentazione, come dice l’evangelista Luca (cf.
Le 4,13), il quale con questi tre, che sono i più generali, ha inteso indicare
anche tutti gli altri pensieri. Gli otto pensieri sono questi: quello dell’ingordi­
gia, quello della vanagloria, quello dell’avarizia, quello della fornicazione, quel­
lo dell’ira, quello delTacedia, quello della tristezza e quello della superbia. Chi

353
3. Nessuno, udendo o vedendo nella vita monastica
cose superiori alla natura, cada nell’incredulità a causa
della propria ignoranza, perché dovunque c’è la presenza
di Dio - che è superiore alla natura - accadono cose su­
periori alla natura.
4. Tutte le guerre che i demoni scatenano contro di noi
sono riconducibili a queste tre cause generali: la negligen­
za, la superbia e la loro invidia. La prima è deplorevole,
la seconda del tutto miserabile, ma la terza è felice!
5. Come guida e regola in ogni cosa, dopo Dio, dob­
biamo seguire la nostra coscienza, affinché, conoscendo
da dove soffiano i venti2, possiamo spiegare le vele in
quella direzione.
1013 c 6. In tutte le azioni che compiamo secondo Dio i de­
moni ci tendono tre insidie: prima di tutto si sforzano di
impedirci di fare il bene; poi, dopo aver subito la prima
sconfitta, cercano di impedirci di compierlo secondo
Dio3; e quando infine hanno fallito anche in questo obiet­
tivo, allora quei ladri s’installano silenziosamente nella
nostra anima e si mettono a lodarci perché ci comportia­
mo in tutto secondo Dio. La prima insidia si combatte
con lo zelo e il pensiero della morte; la seconda, con la
sottomissione e l’umiliazione; la terza con la continua ac­
cusa di se stessi.
7. Questa è la fatica cui dobbiamo far fronte finché il
fuoco di Dio non sarà entrato nel nostro santuario (cf. Sai

dunque ha vinto i primi tre pensieri, ovvero quello deiringordigia (che genera
quelli della fornicazione e delPacedia), quello della vanagloria (da cui dipendo­
no quelli dell’ira e della superbia) e, come terzo, quello dell’avarizia (da cui di­
pende quello della tristezza), purché lo abbia fatto con intenzione di pietà, ha
vinto con quelli anche gli altri cinque. A quei tre infatti si possono ricondurre
anche gli altri cinque, che sono di minore entità”. Per la stessa distinzione tra
i tre vizi principali e gli altri cinque, cf. Evagrio Pontico, I pensieri malvagi 1;
Massimo il Confessore, Capitoli sulla carità 111,56.
2 Cioè, fuori di metafora, i pensieri cattivi.
3 Cioè non per compiacere Dio, ma per compiacere gli uomini e noi stessi.

354
72,i6-i7)4, perché allora non saremo più oppressi dalle
nostre predisposizioni passionali: infatti il nostro Dio è un
fuoco che consuma (Eb 12,29) ogni ardore, moto e predi­ 1013 D

sposizione passionale, ogni indurimento e accecamento,


interiore ed esteriore, materiale e spirituale!
I demoni, invece, hanno Vabitudine di fare il contrario
di ciò che si è appena detto: quando infatti riescono a im­
padronirsi della nostra anima e ad alterare il lume della
nostra mente, in noi, sventurati, non rimane più né so­
brietà, né discernimento, né conoscenza di noi stessi, né
vergogna, ma solo indolenza, insensibilità, mancanza di
discernimento e cecità.
8. Sanno molto bene ciò che sto dicendo coloro che
hanno messo giudizio, dopo essersi dati alla fornicazione,
coloro che hanno posto un freno alla propria eccessiva fa­
miliarità, e coloro che dalla sfrontatezza sono passati alla 1016 A
discrezione; e sanno molto bene come ora, dopo il risve­
glio della loro mente e la guarigione del loro indurimen­
to - o meglio della loro cecità! - provino, per così dire,
un’intima vergogna di se stessi per tutto ciò che hanno
detto e fatto quand’erano ciechi.
9. Se prima non verrà la sera e non scenderà la notte
nel giorno dell’anima, i ladri non potranno né rubare, né
uccidere, né distruggere (cf. Gv 10,10)! “Furto” è la per­
dita della propria ricchezza; “furto” è compiere ciò che
non è bene come se fosse bene; “furto” è quando l’anima
è ridotta in prigionia senza che neppure se ne accorga.
“Uccisione” dell’anima è la morte della mente ragionevo­
le caduta in azioni indegne. “Distruzione” è la dispera­
zione dopo il peccato.

4 II “fuoco di Dio” è l’amore di Dio, e il “nostro santuario” è la nostra


mente (noùs).

355
10. Di fronte ai comandamenti dell’evangelo, nessuno
adduca come pretesto la propria incapacità: ci sono anime
infatti che hanno fatto ben più di quanto richieda il co-
mandamento! Convincitene in modo certo guardando
colui che amò il suo prossimo più di se stesso, donando la
ioi6b propria vita per lui, pur non avendo ricevuto alcun co-
mandamento dal Signore per questo5.
11. Si facciano coraggio coloro che, pur essendo anco­
ra dominati dalle passioni, hanno raggiunto l’umiltà: in­
fatti, se anche cadono in tutti i precipizi, se rimangono
intrappolati in tutte le reti e contraggono tutte le malat­
tie, dopo la loro guarigione, potranno diventare medici,
luminari, fari e piloti per tutti, spiegando i sintomi di cia­
scuna malattia e salvando grazie alla propria esperienza
chi sta per cadere.
12. Coloro che sono ancora tiranneggiati dalle predi­
sposizioni passionali della loro vita passata, e nonostante
ciò sono in grado di insegnare, anche se solo a parole, in­
segnino pure, ma senza comandare. Forse, infatti, vergo­
gnandosi delle proprie parole, cominceranno a metterle in
pratica, e potrà capitare a loro quel che ho visto capitare
1016 c ad alcuni che erano immersi nel fango: coperti di fango co­
m’erano, spiegavano ai passanti in che modo si erano im­
pantanati, e ciò lo raccontavano per salvarli, perché non
cadessero anch’essi allo stesso modo; e così, a causa della
salvezza che avevano procurato agli altri, Dio onnipoten­
te liberò dal fango anche loro. Se però chi è dominato
dalle passioni si getta volontariamente nei piaceri, si limi-

5 II riferimento, come suggerisce lo scoliaste, è probabilmente ad abba


Leone di Cappadocia, che, secondo il racconto di Giovanni Mosco, Prato 1 1 2 ,
si consegnò volontariamente nelle mani dei briganti per riscattare tre suoi con­
fratelli prigionieri; al termine del racconto l’autore commenta: “Abba Leone
realizzò le parole della Scrittura: Nessuno ha un amore più grande di questo : dare
la vita per i propri amici (Gv 15,13)!”.

356
ti a insegnare con il proprio silenzio! Sta scritto infatti:
Gesù cominciò a operare, e poi a insegnare (At i,i)6.
13. Attraversiamo un mare pericoloso, sì veramente pe­ 1016 D

ricoloso, o umili monaci, e pieno di venti7, di tempeste, di


vortici, di secche, di mostri, di pirati8, di tifoni e di onde!
Per “tempesta”, in riferimento all’anima, dobbiamo in­
tendere lo scatto di collera violento e improvviso; per
“vortice”, lo scoraggiamento che circonda la mente e si
sforza di farla sprofondare nell’abisso della disperazione;
per “secca”, l’ignoranza che prende il male per bene; per
“mostro”, questo nostro corpo pesante e selvaggio; per
“pirati”, i crudelissimi demoni che servono la vanagloria,
che rapiscono il nostro carico, ossia le virtù che abbiamo
acquistato con fatica; per “onda”, il ventre dilatato e in­
grossato, che nella sua foga ci fa cadere in preda al mo­
stro; per “tifone”, la superbia, che è stata precipitata dal 1017 A
cielo9, e che a sua volta ci solleva fino al cielo, per poi farci
sprofondare fin giù nell’abisso.
14. Chiunque abbia un po’ d’istruzione sa bene quali
discipline sono riservate ai principianti, quali a coloro che
sono a metà della loro formazione, e quali agli insegnan­
ti. Stiamo bene attenti che, dopo aver passato tanto
tempo a imparare, non continuiamo a rimanere al livello
dei rudimenti per principianti: è una grandissima vergo­
gna vedere un vecchio che va alla scuola dei bambini!
Il migliore alfabeto per tutti10 è il seguente: A obbe­
dienza, B digiuno, T cilicio, A cenere, E lacrime, Z con­
fessione, H silenzio, 0 umiltà, I veglie, K fortezza, A fred­
do, M fatica, N sofferenza, E umiliazione, O contrizione, 1017 B

6 La traduzione del passo segue Tinterpretazione dell’autore.


7 Doppio senso: pneùma significa sia “vento” sia “spirito” (ovvero “demonio”).
8 Altro doppio senso: peiratés significa sia “pirata” sia “tentatore”.
9 Allusione alla caduta di Lucifero.
10 Cioè anche per i principianti.

357
n assenza di rancori, P amore fraterno, 2 mitezza, T fede
semplice e schietta, Y assenza di preoccupazioni monda­
ne, <E> odio dei propri genitori non dettato da odio11, X di­
stacco da ogni legame, W semplicità unita a innocenza, Q
volontario disprezzo di sé.
Ecco poi un bel programma e un bell’elenco di virtù
per coloro che progrediscono: assenza di vanagloria, non­
irascibilità, piena fiducia, esichia, discernimento, costan­
te ricordo del giudizio, viscere di misericordia, ospitalità,
discrezione nel correggere, preghiera non distratta da al­
cuna passione, disprezzo del denaro.
Ed ecco il criterio, la regola e la legge per gli spiriti e i
corpi che con la propria pietà raggiungono la perfezione,
pur rimanendo nella carne: A cuore libero da ogni genere
di prigionia, B carità perfetta, F sorgente continua di umil­
tà, A mente che emigra [in Dio], E intima presenza di
Cristo, Z luce inviolabile nella preghiera, H abbondanza
d’illuminazione divina, 0 desiderio della morte, I odio della
1017 c vita, K fuga dal corpo, A [essere] intercessore per il mondo,
M violentatore di Dio, N partecipe della liturgia angelica, S
abisso di conoscenza, O dimora dei misteri, n custodia dei
segreti, P salvatore degli uomini, 2 dio per i demoni, T si­
gnore delle passioni, Y padrone del corpo, O governatore
della natura, X straniero al peccato, W dimora dell’impas­
sibilità, Q imitazione del Signore con l’aiuto del Signore.
15. Abbiamo bisogno di non poca vigilanza, quando il
corpo è malato, perché i demoni, vedendoci distesi a
terra e incapaci per il momento, a causa della nostra de­
bolezza, di lottare contro di loro con l’ascesi, decidono
proprio allora di attaccarci con più violenza. E se coloro

11 Lett.: “Odio senz’odio dei genitori {tntsos àmison gonion)”: un “odio”,


cioè, che è frutto dell’amore per il Signore e della ferma volontà di mettersi
alla sua sequela (cf. Le 14,26 e supra, III, 18-19).

358
che vivono nel mondo, quando sono malati, sono assilla­
ti dal demonio dell’ira e a volte da quello della bestem­
mia, coloro che invece vivono fuori dal mondo, se sono
ben provvisti di mezzi, sono incalzati dal demonio del­ 1017 D

l’ingordigia e da quello della fornicazione, ma se vivono


in luoghi privi di ogni conforto e degni di veri asceti,
sono assediati dal tiranno dell’acedia e dell’ingratitudine.
16. Un giorno notai come il lupo12 della fornicazione
aumentasse le sofferenze di un malato e come, perfino in
mezzo a quelle sofferenze, gli procurasse moti passionali
e polluzioni: era uno spettacolo impressionante vedere la
carne gonfiarsi e ardere di passione proprio in mezzo a
forti e intensi dolori! Osservai ancora, e vidi altri malati
che giacevano nel loro letto confortati dalla grazia divina,
o dalla loro compunzione, e proprio grazie a questa con­
solazione tenevano lontane le sofferenze, al punto da non
desiderare più di essere liberati dalla malattia. Mi voltai
da un’altra parte, e vidi altri sofferenti che grazie alla
loro malattia erano riusciti a liberarsi delle passioni del­
l’anima, come se avessero compiuto una penitenza; e glo­ 1020 A

rificai colui che con il fango li aveva purificati dal fango.


17. La mente spirituale è certamente rivestita anche
di un senso spirituale13, e poiché esso è allo stesso tempo
presente e assente in noi14, non dobbiamo mai smettere
di cercarlo: infatti, quando si manifesterà, certamente i
sensi esterni cesseranno da soli dalle proprie attività15.

12 Cioè il demonio.
13 Sul concetto di “senso spirituale” cf. infra, “Glossario”, s.v. “Senso/sen-
timento spirituale o del cuore”.
14 Cf. SchoL 17, PG 88,i039D: “Il senso spirituale è presente in noi, per­

ché è intimamente unito alla mente di ogni uomo, ma è anche assente, perché
nei temperamenti passionali è coperto dalle passioni, e così reso inefficace e ir­
riconoscibile”.
15 Smetteranno cioè di essere strumenti delle passioni e si sottometteranno

al senso interno.

359
1020Cosciente appunto di questo un sapiente disse: Allora tro­
b

verai un senso divino (Pr 2,5)16!


18. La vita monastica deve essere vissuta attraverso
l’intimo senso del cuore: nelle azioni, nei discorsi, nei
pensieri e nei movimenti; altrimenti non è vita monasti­
ca e tanto meno angelica17!
19. Una cosa è la provvidenza di Dio, altra cosa il suo
soccorso, altra cosa la sua protezione, altra cosa la sua mi­
sericordia, e altra cosa ancora la sua consolazione: la
prima si manifesta in tutta la creazione, il secondo solo
nei credenti, la terza nei veri credenti, la quarta in colo­
ro che lo servono, e l’ultima in coloro che lo amano.
20. A volte, ciò che è medicina per una persona può di­
ventare veleno per un’altra; ma è anche possibile che lo stes­
so rimedio dato alla stessa persona sia una medicina, se viene
somministrato al momento opportuno, e diventi invece un
veleno, se viene somministrato quando non è il momento.
1020 c 21. Ho visto un medico18 inetto umiliare un malato già
oppresso dal dolore, senza procurargli altro che dispera-

16 1 commentatori antichi attribuiscono erroneamente la frase a Nilo Sinaita


(in riferimento al trattato evagriano Sulla preghiera 80), ma in realtà si tratta di
una variante di Pr 2,5, ben nota e attestata nella tradizione patristica, soprat­
tutto alessandrina: cf. Clemente di Alessandria, Stromati 1,4,27,2; Origene,
Contro Celso 1,48; VII,34; Id., Trattato sui prìncìpìì 1,1,9; IV,4,io; Gregorio di
Nissa, Sul Cantico dei cantici 1.9. Proprio questo passo biblico è stato utilizza­
to da Origene per elaborare la dottrina dei “sensi spirituali”. Cf. Deseille, “La
dottrina spirituale di Giovanni Climaco”, p. 124.
17 La “vita monastica” (btos monadìkós: da monàs, “unità”) porta inscritta

nel proprio nome un'esigenza di unità e di totalità: il monaco è appunto colui


che unifica tutta la propria vita in Dio. Si veda in proposito la classica defini­
zione dello Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, Sulla gerarchia ecclesiastica VI,3: “I no­
stri divini precettori [i monaci] sono stati giudicati degni di portare dei nomi
santi. Gli uni li hanno chiamati 'servitori', gli altri 'monaci', a causa del servi­
zio e del culto puro che essi rendono a Dio, e causa della loro vita indivisa e
'una', che li unifica in un raccoglimento che esclude ogni divisione, per condur­
li all’unità deiforme e alla perfezione dell’amore divino”. In generale sull’argo­
mento si veda A. Guillaumont, “Monachisme et éthique judéo-chrétienne”, in
Id., Aux orìgines du monachisme chrétien y pp. 47-66. Cf. anche supra, I,io.
18 Cioè un padre spirituale.

360
zione; e ho visto un medico abile operare attraverso l’u­
miliazione un cuore gonfio di orgoglio svuotandolo di
tutto il suo marciume. Ho visto poi un malato che a
volte, per purificarsi dalle proprie sozzure, beveva la me­
dicina dell’obbedienza, si muoveva, camminava e non
dormiva; altre volte, quando era malato l’occhio della sua
anima19, restava nell’esichia e nel silenzio. Chi ha orecchi
per intendere intenda (Le 14,35)!
22. Alcuni, non so come - non ho imparato infatti a
scrutare con arroganza i doni di Dio - sono, per così dire,
naturalmente inclini alla continenza, alla purezza, all’esi-
chia, alla riservatezza, alla mitezza, o alla compunzione.
Ci sono altri, invece, che in queste cose incontrano la re- 1020 d

sistenza della propria stessa natura, e nonostante ciò si


fanno violenza con tutte le proprie forze. E anche se co­
storo di tanto in tanto subiscono qualche sconfitta, io
però li apprezzo più dei primi perché fanno violenza alla
propria natura.
Non ti vantare, o uomo, di una ricchezza per cui non
hai faticato! Il Donatore, infatti, prevedendo il grande
danno che avresti subito, la tua debolezza e la tua perdi­
zione, ha voluto preservartene - almeno in una certa mi­
sura - con i suoi doni gratuiti. Del resto, anche gli inse­
gnamenti e l’educazione che abbiamo ricevuto fin da
bambini, e le occupazioni alle quali ci siamo dedicati, una
volta cresciuti, possono esserci di aiuto o anche di osta­
colo nella virtù e nella vita monastica.
23. Gli angeli sono luce per i monaci, ma la vita mona­
stica è luce per tutti gli uomini: i monaci, dunque, si sfor­
zino di essere un buon modello per tutti, senza dare moti­
vo di scandalo a nessuno (2Cor 6,3) in tutto ciò che fanno

19 Cf. supra, XXII,22, n. i.

361
1021 a o dicono: se infatti la luce diventa tenebra, quanto sarà
oscura la vera tenebra (cf. Mt 6,23), ovvero coloro che vi­
vono nel mondo?
24. Se davvero volete darmi ascolto, vi dico che è bene
che non ci disperdiamo e che non dividiamo la nostra po­
vera anima per combattere mille migliaia e diecimila mi­
riadi di nemici, perché non arriveremo mai a conoscerli o
anche solo a scoprirli tutti! Con l’aiuto della santa
Trinità, armiamoci contro le tre passioni con le tre
virtù20; altrimenti ci procureremo soltanto molte fatiche.
25. E proprio vero: se verrà anche in noi colui che muta
il mare in terra ferma (Sai 65,6), anche il nostro Israele -
cioè la mente che vede Dio21 - certamente riuscirà a tra­
versare il mare senza essere scossa dalle onde, e vedrà gli
1021 b egiziani annegati nell’acqua delle lacrime; se però egli non
verrà ad abitare in noi, chi potrà resistere al fragore delle
onde del mare (Sai 64,8), cioè di questa carne? Se Dio
sorge in noi attraverso la pratica delle virtù saranno disper­
si i suoi nemici; e se ci accostiamo a lui attraverso la con­
templazione, coloro che lo odiano, e che odiano anche noi,
fuggiranno lontano da lui e da noi (cf. Sai 67,2)!
26. Sforziamoci di apprendere le cose di Dio più con
il sudore e la fatica che con semplici parole: infatti, al

20 Seguo l’interpretazione di ScboL 29, PG 88,io43A-B: “Con il sostegno


della suprema e santa Trinità - l’autore vuol dire - resistiamo alle tre passioni
principali, cioè 1*amore del piacere, l’avarizia e la vanagloria, per mezzo delle
tre virtù dalle quali quelle passioni sono distrutte, ossia la temperanza, la cari­
tà e l’umiltà. L’amore del piacere, infatti, è distrutto dalla temperanza; l’ava­
rizia dalla carità, che condivide e mette in comune; e la vanagloria dall’umiltà,
che non ama l’ostentazione e odia le lodi”. Si tratta probabilmente della stes­
sa terna di “passioni principali” al quale l’autore fa riferimento nel § 2 (cf. n.
1), anche se in questo commento lo scoliaste sostituisce l’ingordigia {gastnmar-
ghia) con l’amore del piacere {philedoma).
21 Interpretazione frequente nell’esegesi patristica: cf., ad esempio, Filone

di Alessandria, /sogni 11,173; Atanasio di Alessandria, Commento ai salmi, PG


27,296.

362
momento della nostra dipartita, non dovremo mostrar pa­
role, ma fatti!
27. Chi ha sentito dire che in un luogo c’è un tesoro
nascosto (cf. Mt 13,44), si mette a cercarlo, e, quando lo
ha trovato, lo custodisce con cura per la molta fatica che
ha speso nel cercarlo; chi invece si è arricchito senza fa­
tica, sperpera con facilità.
28. E difficile vincere le proprie predisposizioni passio­
nali, ma chi non smette mai di alimentarle, o cadrà nella di­
sperazione, oppure non ricaverà alcun vantaggio dalla pro­
pria rinuncia al mondo; so però che tutto è possibile a Dio,
e che niente per lui è impossibile (cf. Mt 19,26; Le 1,37).
29. Alcuni mi proposero una questione difficile da ri­ 1021 C

solvere, che supera le capacità delle persone come me, e


che non ho trovato trattata in nessuno dei libri che mi
sono capitati tra le mani. Mi chiedevano infatti: “Quali
sono i germogli di ciascuno degli otto pensieri cattivi ? E
quale dei tre pensieri principali genera ciascuno degli altri
cinque?”22.
Avendo io dichiarato con onore la mia ignoranza di
fronte a tale questione, ecco cosa appresi da quegli uomi­
ni santissimi: “La madre della fornicazione è l’ingordigia,
e quella dell’acedia è la vanagloria; la tristezza è figlia di
tutti e tre i pensieri principali23, come anche l’ira; e la
madre della superbia è di nuovo la vanagloria”.
Ribattendo a mia volta a quegli uomini degni di eterna
memoria, dissi: “Desidero ancora conoscere i figli degli
otto pensieri, e da chi è concepito ciascuno di loro”.
E quegli uomini - che da tali passioni erano compieta- 1021 D

mente liberi - mi istruirono con molta dolcezza, dicendo


che tra chi è privo di senno non esiste né ordine né logica.

22 Cf. supra, § 2, n. i.
23 Cioè: ingordigia, vanagloria e avarizia.

363
E per convincermi di questo con buoni argomenti, quei
beati mi fecero diversi esempi, tra i quali nel nostro di­
scorso ne citiamo alcuni, perché attraverso di essi possia­
mo ricevere luce anche riguardo a tutti gli altri. Per esem­
pio: il riso inopportuno, a volte è generato dalla fornica-
10 2 4 a zione, a volte dalla vanagloria (quando qualcuno, senza
alcun pudore, si compiace di se stesso nel proprio cuore),
a volte dall’abbondanza di cibo. Il molto sonno, a volte è
frutto dell’abbondanza di cibo, a volte del digiuno (quan­
do chi ha digiunato s’inorgoglisce), a volte dell’acedia, a
volte della natura. La chiacchiera, a volte è frutto della
vanagloria, a volte dell’ingordigia. L’acedia, a volte è
frutto dell’abbondanza di cibo, a volte dell’assenza di ti­
more di Dio. La bestemmia è propriamente un frutto della
vanagloria, ma spesso può essere generata dal fatto di giu­
dicare il prossimo nel proprio cuore, o anche dall’invidia
importuna dei demoni. La durezza di cuore, a volte può
essere generata dalla sazietà, ma spesso anche dall’insensi­
bilità e da una qualche forma di attaccamento passionale.
L’attaccamento passionale, a sua volta, è generato dalla
fornicazione, dalla vanagloria, e da molte altre passioni.
10 2 4 b La malignità, dalla presunzione e dall’ira. L’ipocrisia, dal­
l’autocompiacimento e dall’indipendenza di vita.
Le virtù contrarie a queste passioni nascono dai geni­
tori contrari. Ma per non dilungarmi troppo - perché mi
mancherebbe il tempo, se volessi esaminarle una ad una
- dirò soltanto che la vera distruttrice di tutte queste pas­
sioni è l’umiltà, e chi l’acquista, le ha vinte tutte.
30. All’origine di tutti i mah ci sono il piacere e la ma­
lignità24, e chi si attacca a queste cose, non vedrà il
Signore: astenerci dal primo non ci gioverà a nulla, se non
ci asteniamo anche dalla seconda.

24 Sulla malignità cf. supra, XXIV,4 ss.

364
31. Il modo in cui temiamo le autorità e le fiere, lo si
prenda come esempio di timore del Signore25; e l’amore
carnale sia modello del tuo desiderio di Dio26. Nulla ci im­
pedisce infatti di trarre modelli di virtù dai loro contrari. 1024 C

32. Questa nostra generazione è gravemente corrotta, ed


è tutta piena d’orgoglio e d’ipocrisia: forse sostiene fatiche
fisiche paragonabili a quelle dei nostri antichi padri, ma
non è giudicata degna dei loro carismi; eppure - io credo -
mai come ora la natura umana ha avuto tanto bisogno di
carismi! Ma è normale che ci sia capitato questo, perché
Dio non si manifesta nelle fatiche, ma nella semplicità e
nell’umiltà! E se è pur vero che la potenza di Dio si ma­
nifesta pienamente nella debolezza (2Cor i2,9)27, tuttavia il
Signore non respingerà chi opera nell’umiltà (cf. Sai 93,14)!
33. Quando vediamo uno degli atleti di Cristo soffrire 1024 D

nel corpo, non cerchiamo, con malignità, di conoscere il


motivo di quella sua infermità, ma piuttosto prendiamo­
ci cura di lui, accogliendolo con amore semplice e schiet­
to, come una delle nostre membra (cf. Rm 12,5), e come
un nostro compagno d’armi ferito in guerra.
34. Ci sono malattie che servono a purificarci dai pec­
cati, e altre che servono a umiliare il nostro spirito.
Spesso il nostro buono e santissimo padrone e Signore,
quando vede che alcuni sono particolarmente pigri nell’a-
scesi, umilia il loro corpo con la malattia, come con un’a-
scesi meno faticosa, e così, a volte, purifica anche la loro
anima dai pensieri cattivi e dalle passioni.
35. Tutto quel che ci capita, sia di visibile che d’invi­ 1025 A

sibile, possiamo accoglierlo bene o in modo passionale, o

25 Cf. supra, 1,27.


26 Cf. supra, V,6, n. 12.
27 Forse, seguendo Tinterpretazione di Exegesis (p. 408), bisogna intendere:

“Se è pur vero che la potenza di Dio si manifesta in un corpo debole, che è
stato reso tale dal digiuno e dalle altre pratiche ascetiche, tuttavia...”.

365
con una via di mezzo tra i due atteggiamenti. Ho visto
tre fratelli subire una disgrazia: il primo si arrabbiò, il se­
condo rimase indifferente, e il terzo ne ricavò motivo di
grande gioia.
36. Ho visto contadini28 gettare lo stesso seme, ma cia­
scuno con un’intenzione particolare: uno per pagare i
propri debiti; un altro per accumulare ricchezza; un altro
per onorare il Signore con i propri doni; un altro per es­
sere lodato per la qualità del proprio lavoro da coloro gli
passavano accanto lungo il cammino della vita; uno per
affliggere il proprio nemico invidioso, e un altro per non
essere rimproverato dagli uomini come scansafatiche. Ed
ecco i nomi delle sementi gettate dai contadini: digiuno,
veglie, elemosina, servizio, e altre cose simili a queste.
1025 b Quanto alle intenzioni, siano i fratelli a valutarle attenta­
mente, con l’aiuto del Signore.
37. Come quando attingiamo acqua a una fonte ci può
capitare, senza accorgercene, di tirar su anche una rana,
così quando pratichiamo le virtù spesso cerchiamo di ap­
pagare anche dei vizi ad esse segretamente intrecciati.
Per esempio: all’ospitalità s’intreccia l’ingordigia; alla ca­
rità, la sensualità; al discernimento, la furbizia; alla pru­
denza, la malignità; alla mitezza, la falsità, la fiacchezza,
la pigrizia, la contestazione, l’indipendenza di vita e la di­
subbidienza; al silenzio, l’orgoglio della propria dottrina;
alla gioia, la presunzione; alla speranza, la pigrizia; alla
carità, ancora, il giudizio contro il prossimo; all’esichia,
l’acedia e la pigrizia; alla purezza, l’asprezza di compor­
tamento; all’umiltà, l’eccessiva familiarità. A tutte queste
1025 c virtù si accompagna la vanagloria, come un collirio, o me­
glio un veleno, sempre efficace!

28 Cioè, fuori di metafora, monaci o asceti.

366
38. Non rattristiamoci se per molto tempo chiediamo
al Signore qualcosa e non siamo esauditi29. Il Signore, in­
fatti, vorrebbe certo che tutti gli uomini raggiungessero
bimpassibilità in un attimo, ma, nella sua prescienza, sa
che ciò non sarebbe vantaggioso per loro. Tutti coloro che
chiedono qualcosa a Dio e non ottengono ciò che chiedo­
no, certamente non l’ottengono per uno di questi motivi:
o perché chiedono prematuramente, o in modo indegno, o
mossi dalla vanagloria, o perché, se fossero esauditi, si
gonfierebbero d’orgoglio, oppure perché, dopo aver otte­
nuto ciò che chiedono, diventerebbero negligenti.
39. Può capitare - non solo tra i credenti ma anche tra 1025 D
quelli che non credono - che alcuni siano liberati da tutte
le passioni, a eccezione di una: questa sola passione rima­
ne a occupare il posto di tutte le altre, come il primo di
tutti i mali30, se è vero che essa è così dannosa da aver po­
tuto perfino far cadere qualcuno dal cielo.
40. Che i demoni e le passioni si ritirino dall’anima, o
per un certo tempo o definitivamente, credo che nessuno
possa negarlo, ma pochi sanno in che modo avviene il
loro ritiro.
La materia31 è distrutta e consumata dal fuoco divino;
e una volta che la materia è stata eliminata e l’anima pu­
rificata, allora si ritirano anche le passioni, se non le at­
tiriamo di nuovo con una vita materiale e rilassata.
I demoni si ritirano spontaneamente per indurci alla
negligenza, e poi rapire improvvisamente la nostra pove­
ra anima.

29 Gli oggetti di tali richieste, come si comprende dalla frase seguente, sono
la liberazione dalle passioni, o comunque benefici spirituali finalizzati al pro­
gresso nella virtù.
50 Cf. supra, XXII,6, n. 2.
31 Tutto ciò che è alimento delle passioni.

367
Conosco anche un altro caso in cui queste bestie si ri­
tirano: quando cioè l’anima si è perfettamente abituata
alle passioni, e queste sono diventate talmente parte della
sua natura, che ormai essa si tende insidie e si fa guerra
da sola. Abbiamo un esempio di ciò nei neonati: per la
lunga abitudine, infatti, anche quando ormai si sono stac­
cati dal seno materno, continuano a succhiarsi le dita.
1028 a Conosco anche una quinta forma di liberazione dalle
passioni: quella che si realizza nell’anima grazie a una
grande semplicità e a una lodevole innocenza; in questi
casi, infatti, è giusto che Dio venga in aiuto, lui che salva i
retti di cuore (Sai 7,11) e li libera dai vizi senza che essi
se ne accorgano: come i neonati che, quando vengono
spogliati, non se ne rendono conto.
41. Il vizio e la passione non sono naturali nella nostra
natura: Dio infatti non è creatore delle passioni32; al con­
trario, da lui abbiamo ricevuto molte virtù naturali, tra le
quali ci sono certamente anche queste: la misericordia, poi­
ché anche i pagani sono misericordiosi; l’amore, poiché
anche gli animali privi di ragione spesso piangono per la
perdita di uno di loro; la fede, poiché tutti siamo in grado
di generarla in noi stessi33; la speranza, poiché quando pren­
diamo in prestito e prestiamo denaro, quando navighiamo
e quando seminiamo, speriamo sempre per il meglio.
1028 b Se dunque, come abbiamo dimostrato, l’amore è in noi
una virtù naturale, ed esso è vincolo e compimento della
legge (cf. Col 3,14; Rm 13,10), allora le virtù non sono
estranee alla natura. Si vergognino dunque quelli che ad­
ducono come pretesto l’impossibilità di praticarle!

32 Cf. infra, XXVI/2,41; per il concetto di “natura” cf. infra, “Glossario”,


s.v. “Natura”.
33 Per l'idea della fede come dono naturale, cf. Clemente di Alessandria,

Stromati VII, 10,55; Evagrio Pontico, Trattato pratico 81.

368
42. Sono invece superiori alla natura la purezza, la
non-irascibilità, l’umiltà, la preghiera, le veglie, il digiu­
no e la compunzione continua: di alcune di queste virtù
sono maestri gli uomini, di altre gli angeli, di altre mae­
stro e largitore è lo stesso Verbo di Dio34.
43. Quando ci si trova di fronte a due mali, bisogna
scegliere il male minore. Per esempio, spesso capita che,
mentre siamo in preghiera, giungano da noi dei fratelli;
allora è necessario scegliere una delle due cose: o inter­
rompere la preghiera, o contristare il fratello lasciandolo
andar via senza risposta. Ma la carità è più grande della
preghiera, perché, come è universalmente riconosciuto, la
preghiera è una virtù particolare, mentre la carità è una
virtù che le comprende tutte (cf. iCor 13,13).
Una volta, quand’ero ancora giovane, capitai in una 1028 c
città, o in un villaggio, e mentre me ne stavo seduto a ta­
vola, fui assalito contemporaneamente dal pensiero del­
l’ingordigia e da quello della vanagloria, ma temendo che
potesse spuntare la figlia dell’ingordigia35, preferii lasciar­
mi vincere dalla vanagloria. Ho notato però che, nei gio­
vani, è spesso il demone dell’ingordigia ad avere la me­
glio su quello della vanagloria, e ciò è normale.
44. Tra i secolari, la radice di tutti i mali è l’avarizia
(iTm 6,10), ma tra i monaci è l’ingordigia.
Spesso Dio, nella sua provvidenza, lascia negli spiritua­
li alcune passioni meno gravi, affinché essi, accusandosi

}A Cf. Schol. 55, PG 88,1049!$: “Maestri di purezza sono Elia, Giovanni il


Precursore e Giovanni il Teologo; di mitezza, Mosè e David; di preghiera, lo
stesso Verbo di Dio, l’angelo apparso ad Antonio, e quello apparso a Pacomio;
del digiuno, ancora Mosè e lo stesso Signore; della veglia, molti, alcuni dei
quali possedevano anche la compunzione; di umiltà, il Verbo di Dio che per
noi si fece povero prendendo la nostra carne come Salvatore di tutti”; per i ri­
ferimenti ad Antonio e Pacomio, cf. Apoftegmi, Antonio i; Palladio, Storia lau-
szaca 32,6-7; Vite greche di Pacomio 111,32.
35 Cioè la fornicazione.

369
continuamente per lievi mancanze - che non sono nean­
che peccati -, possano acquisire il tesoro inviolabile del-
l’umiltà.
45. Agli inizi del cammino monastico è impossibile ac-
1028 quisire l’umiltà senza vivere nella sottomissione, perché
d

chiunque impara un’arte per proprio conto finisce per


vantarsene.
46. I padri riconducono l’intera pratica delle virtù a
due virtù di carattere molto generale: [la temperanza e
l’obbedienza]; e giustamente, perché l’una consente di di-
1029 a struggere i piaceri, l’altra di preservare tale distruzione
attraverso l’umiltà36. Per questo anche l’afflizione ha un
duplice effetto: da una parte distrugge il peccato, e dal­
l’altra produce l’umiltà.
47. E proprio delle persone pie dare a chiunque chiede
(cf. Le 6,30), e delle persone ancora più pie dare anche a
chi non chiede; ma non richiedere a chi ci sottrae del no­
stro (cf. ibid.) - soprattutto quando ciò è possibile - è pro­
prio soltanto di coloro che hanno raggiunto l’impassibilità.
48. Non cessiamo mai di esaminarci su tutte le passioni
e su tutte le virtù, chiedendoci a che punto siamo, se al­
l’inizio, a metà, o alla fine.
Tutte le guerre che i demoni scatenano contro di noi
1029 b sono riconducibili a queste tre cause37: all’amore del pia­
cere, alla superbia, o alla loro invidia. Beati sono gli ulti­
mi38, del tutto infelici i secondi, e buoni a nulla fino alla
fine della vita i primi!

36 Seguo l’interpretazione dello scoliaste, PG 88,i24oA, e di Exegesis (p.


415). L’autore vuol dire che ogni vera pratica di virtù prevede un momento di
purificazione e di dominio di sé, e un momento di consolidamento di tale pu­
rificazione attraverso l’umiltà. Sulla temperanza e l’obbedienza come virtù fon­
damentali, cf. soprattutto Diadoco di Fotica, Capitoli 41-42; Basilio di Ce­
sarea, Regole diffuse 16-17.
37 Cf. supra, § 4.
38 Cioè coloro che sono combattuti dall’ultima tentazione.

370
49- Esiste un sentimento, o piuttosto una disposizione
interiore, chiamata “capacità di sopportare il dolore”39, e
chi ne è preso, non potrà più temere, né cercherà più di
respingere il dolore: le anime dei martiri riuscirono facil­
mente a disprezzare i tormenti proprio perché erano pos­
sedute da questo nobile sentimento.
50. Una cosa è la vigilanza sui pensieri, e altra cosa la
custodia della mente40. Quanto dista l’oriente dall’occiden­
te (Sai 102,12), altrettanto la seconda è più elevata della
prima, e più difficile da raggiungere.
51. Una cosa è pregare contro i pensieri cattivi, altro è
contraddirli, e altro ancora disprezzarli e non tenerli in
alcun conto41. Del primo atteggiamento rende testimo­
nianza colui che dice: Dio vieni in mio aiuto (Sai 69,2), e
altre cose simili; del secondo, colui che afferma: A coloro 1029 C
che mi insultano risponderò con una parola (Sai 118,42)
adatta a contraddirli, e ancora: Ci hai posti come segno di
contraddizione per i nostri vicini (Sai 79,7); del terzo atteg­
giamento è testimone il salmista: Sono rimasto muto e non
ho più aperto la mia bocca (Sai 38,10), e: Ho posto una cu-

39 In greco: “Che sopporta la fatica {pheréponos)”y termine tipico della filo­


sofia stoica (cf. ad esempio Marco Aurelio, A se stesso 1,5,1; 5,5,1).
**° Cf. SchoL 6o, PG 88,io49C-D: “La ‘vigilanza sui pensieri’ significa re­
spingere le immagini dei pensieri cattivi attraverso le lotte o la preghiera; la
‘custodia della mente’ è invece un cuore libero da ogni genere di prigionia e il
ricordo incessante di Dio”.
Ai Cf. SchoL 61, PG 88,io49D: “Il primo comportamento è dei deboli, i

quali, non riuscendo in alcun modo a resistere ai nemici, li mettono in fuga at­
traverso la preghiera. Il secondo comportamento è dei lottatori che vincono i
nemici attraverso P ascesi. Il terzo comportamento è dei contemplativi, i quali,
elevandosi tramite la contemplazione, sono irraggiungibili e, per così dire, inat­
taccabili dagli avversari”. Nel primo caso si prega di essere preservati dai pen­
sieri cattivi, perché essi non penetrino nel cuore e non inneschino il meccani­
smo della tentazione; nel secondo caso, invece, si combatte contro i pensieri
dopo averli lasciati penetrare nel proprio cuore. Sui diversi metodi per combat­
tere i pensieri cattivi secondo Pinsegnamento dei padri, cf. J.-P. Larchet,
Thérapeutique des maladìes spirituelles, pp. 530-534, e in particolare sul metodo
della “contraddizione”, cf. infra, “Glossario”, s.v. “Contraddizione”.

371
stodia alla mia bocca mentre il peccatore stava davanti a me
(Sai 38,2), e ancora: Gli orgogliosi hanno gravemente tra­
sgredito la tua legge, ma io non ho deviato dalla tua contem­
plazione (cf. Sai 118,51).
Di questi tre modi, chi si serve del secondo, spesso uti­
lizza anche il primo, quando è preso alla sprovvista; chi
si serve del primo, non è ancora in grado di respingere i
nemici mediante il secondo; chi poi si serve del terzo, di­
sprezza totalmente i demoni.
52. Secondo natura è impossibile che ciò che è incor­
poreo42 sia contenuto nei limiti di un corpo; ma tutto è
possibile a chi possiede Dio (cf. Me 9,23)!
53. Come coloro che hanno l’olfatto sano riescono a
1029 d capire se qualcuno tiene nascosti dei profumi, così anche
l’anima pura è in grado di riconoscere negli altri sia il
buon odore che essa stessa ha ricevuto da Dio, sia il cat­
tivo odore dal quale si è liberata, e questo anche quando
gli altri non se ne accorgono43.
54. Non è possibile che tutti raggiungano l’impassibi­
lità, ma che tutti siano salvati e riconciliati con Dio, non
è impossibile (cf. iTm 2,4; 2Cor 5,20).
55. Non lasciarti dominare da quegli stranieri44 (cf. Sai
18,14) che pretendono di discutere con arroganza sugli
ineffabili disegni di Dio e sulle visioni concesse agli uo­
mini, suggerendoci segretamente che Dio fa preferenze di
persone (cf. At 10,34): sono infatti figli dell’orgoglio, e
come tali si fanno riconoscere!
56. Il demone dell’avarizia spesso finge l’umiltà45; e il

42 Cioè la mente; cf. infra7 XXVII/1,5, n. 4.


43 II buono e il cattivo odore indicano la presenza di Dio o dei demoni nel-
Panima.
44 Per “stranieri” bisogna intendere qui i demoni che insidiano Panima.
45 Suggerendoci, cioè, di non condividere le ricchezze per evitare Posten-

tazione.

372
demone della vanagloria - come anche quello dell’amore 1032 A
del piacere - ci incita all’elemosina: purifichiamoci dunque
da entrambi, e poi non smettiamo di esercitare la miseri­
cordia in ogni circostanza.
57. Alcuni hanno affermato che i demoni si oppongo­
no gli uni agli altri46, ma io so per esperienza che tutti cer­
cano la nostra rovina.
58. Ogni atto spirituale, esteriore o interiore, è prece­
duto da un’intenzione particolare e da un desiderio buono,
che sorgono in noi grazie all’aiuto di Dio: se prima non si
pongono questi fondamenti, l’atto non può seguire47. 1032 B
59. Sz. c’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo (Qo 3,1),
come dice l’Ecclesiaste, e se in “ogni cosa” sono compre­
se anche le sante opere del nostro genere di vita, stiamo
ben attenti, vi prego, ed esaminiamo in ogni momento
quali siano le azioni proprie di ogni tempo.
E certo, infatti, che per coloro che lottano c’è un tempo
per l’impassibilità e un tempo per le passioni - lo dico per
coloro che sono ancora bambini nella lotta c’è un tempo
per le lacrime e un tempo per la durezza di cuore; un
tempo per obbedire e un tempo per comandare; un tempo
per fare digiuno e un tempo per prendere cibo; un tempo
per subire la guerra da parte del corpo, nostro nemico, e
un tempo per mettere a morte gli ardori passionali; un
tempo per la burrasca dell’anima e un tempo per la calma
della mente; un tempo per la tristezza del cuore e un
tempo per la gioia spirituale; un tempo per l’insegnamen­
to, e un tempo per l’ascolto; un tempo per la contamina- 1032 C

46Cf. ad esempio Evagrio Pontico, Trattato pratico 58.


47 Lett.: “Se le prime cose non vengono poste come fondamenti, la seconda
non può seguire”. I commentatori antichi interpretano l’intera frase in modo di­
verso: “Ogni atto spirituale è preceduto dalla nostra propria intenzione e dal
nostro desiderio buono, che sono accompagnati dall’aiuto di Dio. Se non si pon­
gono come fondamenti la nostra intenzione e il nostro desiderio, l’aiuto di Dio
non può seguire” (cf. SchoL 64, PG 88,1052!?; Exegesis, p. 418).

373
zione, forse a causa del nostro orgoglio, e un tempo per
la purificazione, attraverso l’umiltà; un tempo per la lotta
e un tempo per il riposo tranquillo; un tempo per l’esichia
e un tempo per l’attività frenetica e senza distrazione;
un tempo per la preghiera incessante (cf. iTs 5,17) e un
tempo per il servizio sincero.
Non lasciamoci perciò trascinare da zelo superbo a cer­
care prima del tempo ciò che deve venire a suo tempo!
Non cerchiamo in inverno ciò che è proprio dell’estate, o
nel tempo della semina ciò che deve venire nel tempo
della mietitura, perché c’è un tempo per seminare le fati­
che e un tempo per mietere gli ineffabili doni di grazia;
altrimenti, neppure quando sarà giunto il tempo potremo
raccogliere i frutti propri di quel tempo!
60. Per un misterioso disegno di Dio, alcuni hanno ri­
cevuto da lui le sante ricompense per le proprie fatiche
prima ancora di averle sostenute, altri mentre le sostene­
vano, altri dopo averle sostenute, e altri ancora al mo-
1032 d mento della morte. Bisogna chiedersi quale di questi sia
diventato più umile.
61. C’è una disperazione che è frutto di una moltitu­
dine di peccati e di una coscienza gravata da un rimorso
insostenibile, quando cioè l’anima, sommersa dalla molti­
tudine delle sue ferite, sotto il loro peso sprofonda nell’a­
bisso della disperazione. C’è poi una disperazione che
sorge in noi come conseguenza della superbia e della pre­
sunzione, quando cioè pensiamo di non aver meritato la
caduta che ci è capitata. Chi osserva con attenzione, sco­
prirà le seguenti caratteristiche in ciascuno dei due casi:
nel primo ci si abbandona ormai all’indifferenza; nell’al­
tro, pur in mezzo alla disperazione, si continua a pratica­
re l’ascesi, anche se ciò non giova a nulla. Nel primo caso
1033 a si può guarire con l’astinenza e con una salda speranza,
nel secondo con l’umiltà e non giudicando nessuno.

374
62. Non dobbiamo stupirci o far meraviglie vedendo
alcuni predicare il bene e compiere il male, perché, perfi­
no in paradiso, l’orgoglio riuscì a innalzare e mandare in
perdizione il serpente (cf. Gen 3,1-15).
63. In ogni tua attività e in ogni tuo comportamento,
sia che tu viva nella sottomissione sia nel caso contrario,
sia nelle opere visibili sia in quelle spirituali, abbi come
criterio e regola che esse siano veramente secondo Dio. Se
cioè intraprendiamo un’opera qualsiasi - parlo per i prin­
cipianti -, e da essa non ricaviamo nell’anima un’umiltà
più grande di quella che avevamo, piccola o grande che sia
quell’opera, mi sembra che non la compiamo secondo Dio.
64. Per noi che siamo ancora dei bambini48, è dunque 1033 B
questo il criterio49 che ci dà la piena certezza di compie­
re la volontà del Signore; per coloro che sono a metà del
cammino, è forse la cessazione delle lotte; per i perfetti,
l’aumento e l’abbondanza di luce divina.
Le piccole cose, realizzate dai grandi, possono non es­
sere realmente piccole, ma le grandi cose, realizzate dai
piccoli, certamente non sono ancora perfette50.
65. Come il cielo sgombro di nuvole ci permette di ve­
dere lo splendore del sole, così l’anima che si è liberata
dalle proprie predisposizioni passionali e ha ottenuto il per­
dono dei peccati, riesce certamente a vedere la luce divina.

48 In senso spirituale: cf. iCor 3,1.


49 Cioè la crescita dell’umiltà.
50 Secondo l’interpretazione deWExegesis (pp. 421-422), quest’ultima frase

sfuma e corregge i criteri enunciati nella precedente. Fatti salvi quei criteri ge­
nerali - intenderebbe dire l’autore - è sempre possibile che i segni indicati
come criteri di conformità alla volontà di Dio per i principianti s’incontrino
anche nei perfetti, e viceversa; ogni cosa però è proporzionata alla grandezza
delle persone: le cose che sembrano piccole, come l’umiltà, possono diventare
grandi quando sono compiute da “grandi”, e le cose che paiono grandi, come
rilluminazione divina durante la preghiera, sono ancora imperfette quando
sono compiute da “piccoli”; non bisogna illudersi dunque di essere arrivati alla
perfezione prima del tempo.

375
66. Una cosa è il peccato, altra l’ozio, altra la negligen­
za, altra la passione, e altra ancora la caduta. Chi, con
l’aiuto del Signore, è in grado di indagare il senso di que­
ste parole, lo faccia e chiarisca51.
67. Tra i carismi spirituali alcuni esaltano soprattutto
quello di compiere miracoli in modo visibile, ma non
sanno che ne esistono molti altri superiori a questo, che,
essendo nascosti, non vengono mai meno52.
1033 c 68. Chi si è perfettamente purificato, vede, se non pro­
prio l’anima stessa del prossimo, almeno lo stato in cui
essa si trova; ma chi sta ancora progredendo, ne giudica
in base al corpo.
69. Spesso un piccolo fuoco può distruggere l’intera fore­
sta; e una piccola falla può vanificare tutta la nostra fatica.
70. Esiste un riposo accordato alla carne, nostra nemi­
ca, che risveglia le energie della mente, senza eccitare
l’ardore delle passioni; ed esiste una sua macerazione ec­
cessiva che invece può perfino risvegliare i moti passiona­
li: questo affinché non confidiamo in noi stessi ma in Dio
(2Cor 1,9) che può mortificare questa carne vivente senza
che neppure ce ne accorgiamo.
71. Quando vediamo che alcuni ci dimostrano affetto nel
Signore, guardiamoci dall’eccessiva familiarità soprattutto
nei loro confronti, perché non c’è niente che possa dissol­
vere la carità e ingenerare l’odio come tale familiarità!
72. L’occhio dell’anima53 è spirituale e di una bellezza
straordinaria, superiore a quella di ogni altra creatura, a

51 Cf. Scbol. 73, PG 88,io53C-D: ‘“Peccato* è la trasgressione di un coman­


damento qualunque, anche del più piccolo; ‘ozio* è non compiere e non realiz­
zare le opere di Dio; ‘negligenza* è realizzarle, ma svogliatamente; ‘passione* è
Pinclinazione stabile e difficilmente correggibile della mente verso ciò che le
nuoce; ‘caduta* è scivolare nelPincredulità o cadere in preda alle passioni del
corpo**.
52 Perché di essi non possiamo vantarci con il rischio di perderli.
53 Cioè la mente; cf. supra, XXII,2 2.

376
parte le sostanze incorporee54; per questo spesso anche 1033 d

uomini soggetti alle passioni riescono a discernere i pen­


sieri presenti in altre anime grazie al grande amore che
provano per esse, e ciò soprattutto quando sono immersi
nel fango delle proprie sozzure.
73. Se è vero che nulla si oppone a ciò che per natura
è immateriale quanto ciò che è materiale, chi legge com­
prenda (Mt 24,15; Me 13,14)!
74. Per quanti vivono nel mondo, le superstizioni55 si
oppongono alla provvidenza di Dio; per noi monaci, sono
un ostacolo alla conoscenza spirituale.
Chi è debole e infermo nell’anima, riconosca la visita
di Dio nei tormenti del corpo, nei pericoli e nelle prove
esteriori; i perfetti, invece, nella presenza dello Spirito 1036 a
santo in loro e nell’aumento dei carismi.
75. Vi è un demonio che, appena ci corichiamo a letto,
si avvicina a noi e comincia a bersagliarci con i suoi pen­
sieri cattivi e impuri, per far sì che noi, se per pigrizia
non ci alziamo a pregare e non ci armiamo contro di lui,
ci addormentiamo in tali pensieri impuri e facciamo dei
sogni impuri.
76. Tra gli spiriti maligni ve n’è uno chiamato “precur­
sore”, che ci assale appena ci svegliamo dal sonno e cerca
di contaminare il nostro primo pensiero. Ma tu offri al
Signore le primizie della tua giornata56, perché essa appar­
terrà a chi per primo ne avrà preso possesso! Un eccellen- 1036b
te asceta mi disse queste parole degne di essere ascoltate:
“Fin dal mattino - disse - conosco tutto il corso della mia
giornata!”.

54 Cioè gli angeli.


55 Lett.: “Le osservanze (parateréseis)”; seguo l’interpretazione di Exegesis
(P- 423)-
56 Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 126: “Compie la preghiera colui che

offre sempre a Dio ogni proprio primo pensiero”.

377
77- Molte sono le vie della pietà, e molte quelle della
perdizione: capita spesso, perciò, che, mentre si procede
in senso contrario rispetto a qualcuno, si vada al passo
con qualcun altro; e il Signore gradisce l’intenzione degli
uni e degli altri.
78. In tutte le tentazioni che ci assalgono, i demoni si
sforzano di farci dire o fare qualcosa di sconveniente; e
quando non ci riescono, si avvicinano a noi silenziosa­
mente e ci suggeriscono di elevare a Dio un ringraziamen­
to pieno di superbia.
79. Chi pensa alle cose di lassù (cf. Col 3,2), quando si
separa dal corpo, sale in alto, almeno con una parte di sé;
al contrario, chi pensa alle cose di quaggiù, scende in
basso: non c’è alcuna via di mezzo, infatti, per quanti si
separano dal corpo.
80. Una sola creatura non ha ricevuto l’essere in se stes-
1036 c sa ma in un altro57, ed è meraviglioso come essa possa sus­
sistere anche senza quello nel quale ha ricevuto l’essere.
81. Le figlie pie le generano le madri, ma le madri le
genera il Signore58; e non è sbagliato applicare questa re­
gola anche ai loro contrari59.
82. Mosè, o meglio Dio stesso, ordina: “Il pusillanime
non esca in guerra! ” (cf. Dt 20,8), perché non rischi - come
è normale - di cadere nell’estremo traviamento dell’anima,
che è assai peggiore della precedente caduta del corpo60.

57 Si tratta dell’anima, che è creata in un corpo.


58 Le “madri” sono le virtù fondamentali, dalle quali derivano le virtù par­
ticolari.
59 Nel senso cioè che i vizi particolari sono generati dai vizi fondamentali,

e questi ultimi dal demonio.


60 L’autore intende dire che chi non è in grado di sopportare le tentazioni

e le lotte non deve entrare nella vita monastica, perché, cadendo nel peccato,
non rischi di cadere anche nella completa disperazione. Il testo di Rader e di
Ignatios aggiunge di seguito anche questa frase, assente in Sophronios: “Gli
occhi sensibili sono la luce di tutte le membra del corpo; così il discernimento
è la luce spirituale delle divine virtù”.

378
Discorso XXVI/2
SUL BUON DISCERNIMENTO

1. Come la cerva arsa dalla sete anela alle fonti (cf. Sai
41,2), così i monaci desiderano ardentemente compren­
dere quale sia la volontà buona e conforme alla volontà
di Dio; ma, oltre a questa, vogliono anche conoscere la
volontà che mescola in sé bene e male1, e inoltre quella
che è decisamente contraria alla volontà di Dio; e sono
argomenti sui quali il discorso sarebbe veramente lungo e
difficile (Eb 5 , 1 1 ) . 1057 A
Quali, per esempio, tra le opere che siamo tenuti a fare,
devono essere compiute senza indugio e il più presto possi­
bile, ascoltando colui che dice: “Guai a colui che rimanda
da un giorno all altro e da un tempo all’altro” (cf. Sir 5,7) ?
E quali invece devono essere compiute con prudenza e cir­
cospezione, come esorta colui che ha detto: E con una guida
intelligente che si conduce la guerra (Pr 24,6), e ancora: Ogni
cosa sia fatta con decoro e con ordine (iCor 14,40) ?
Non è certo da tutti, infatti, dare un giudizio rapido e
chiaro su questioni di così difficile discernimento, se -
come leggiamo - anche David, che era ripieno di Dio e
nel quale parlava lo Spirito santo, pregava spesso per que­
sto, dicendo: Insegnami a fare la tua volontà, perché sei tu

1 Lett.: “Mista {synkekraménouY, cioè quella volontà che spinge a compie­


re il bene ma non con retta intenzione.

379
il mio Dio (Sai 142,10), e un’altra volta: Guidami sulla
1057 b tua verità (Sai 24,5), e ancora: Vammi conoscere, Signore,
la via da seguire perché a te ho elevato e innalzato Vanima
mia (Sai 142,8), allontanandola da ogni preoccupazione
di questa vita e da ogni passione.
2. Quanti vogliono conoscere la volontà del Signore,
prima mettano a morte la propria; poi, dopo aver prega­
to con fede e con candida semplicità e aver consultato le
anime dei padri, o anche dei fratelli, con umiltà di cuore
e senz’ombra di diffidenza nel pensiero, accolgano i loro
consigli come dalla bocca di Dio, anche se sono contrari
alle loro personali intenzioni, e anche se gli interpellati
sono tutt’altro che uomini spirituali: Dio infatti non è in­
giusto (Eb 6,10) da ingannare le anime che con fede e
semplicità si sottomettono umilmente ai consigli e ai giu-
1057 c dizi del loro prossimo; infatti, se anche gli interpellati
fossero delle bestie senza ragione, colui che parla è sem­
pre l’Immateriale e l’Invisibile!
Coloro che senz’alcuna esitazione si attengono alla re­
gola sopra indicata, sono colmati di una grande umiltà.
Del resto, se qualcuno poteva sciogliere il proprio enigma
sulla cetra (Sai 48,5), non credete forse che una mente ra­
gionevole e un’anima spirituale potranno darci una rispo­
sta assai migliore di uno strumento inanimato2 ?
Molti, però, non essendo riusciti a raggiungere questo
comportamento a un tempo facile e perfetto a causa della
propria presunzione, hanno tentato di scoprire da soli in
se stessi la volontà del Signore, lasciandoci molti e svaria­
ti pareri al riguardo.

2 II senso della frase è il seguente: se Davide, l’autore del Salterio, riusciva


a sciogliere i propri enigmi servendosi della cetra, che è uno strumento inani­
mato (il senso della citazione è evidentemente adattato al contesto), con tanto
maggior successo i monaci potranno consultare i propri padri spirituali che
sono dotati di anima e di ragione.

380
3. Alcuni, in tale ricerca3, hanno prima allontanato il
proprio pensiero da qualsiasi attaccamento alTuna o al- 1057 d
l’altra inclinazione dell’anima - cioè a dare o a rifiutare
il consenso a un’azione quindi, dopo aver presentato
per un certo numero di giorni al Signore, in una preghie­
ra fervente, la loro mente spoglia di qualsiasi volontà pro­
pria, sono arrivati a riconoscere la sua volontà; e questo
sia che un’intelligenza spirituale4 abbia parlato spiritual-
mente alla loro mente, sia che una delle due inclinazioni
sia scomparsa totalmente dalla loro anima.
Altri hanno compreso che l’opera che stavano intra­
prendendo era conforme alla volontà di Dio dalle tribola­
zioni e dagli impedimenti che l’hanno accompagnata, se­
condo le parole di colui che ha detto: Abbiamo desiderato
venire da voi una volta, anzi due, ma Satana ce lo ha impe­
dito (iTs 2,18).
Altri, al contrario, per aver ricevuto un aiuto inatteso 1060 a
nella propria opera, hanno intuito che essa era gradita a
Dio, ripetendo quelle parole: “A chiunque si propone di
fare il bene Dio viene in aiuto! (cf. Rm 8,28)”.
4. Chi per mezzo dell’illuminazione possiede Dio in se
stesso, di solito, sia nei casi urgenti sia in quelli che pos­
sono attendere, riceve la piena certezza della sua volontà
nel secondo modo5, senza però che passi molto tempo.
5. Esitare nelle proprie decisioni e rimanere a lungo in­
certi è indizio di un’anima che non ha ricevuto l’illumina­
zione e cerca la propria gloria: Dio non è ingiusto (Eb 6,10)
da chiudere la porta a coloro che bussano con umiltà (cf.
Mt 7,7-11)! In tutte le azioni, sia in quelle urgenti che in

3 Cioè nel tentativo di scoprire se un’azione era o meno conforme alla vo­
lontà di Dio.
■ * Probabilmente un angelo.
5 Con la preghiera, che è il secondo metodo indicato per conoscere la vo­
lontà di Dio, dopo la consultazione del padre spirituale.

381
quelle che richiedono di essere rimandate, ciò che dobbia­
mo valutare davanti al Signore è l’intenzione: infatti, tut­
te le azioni pure da ogni attaccamento e contaminazione
passionale, compiute unicamente per il Signore e non per
1060 b altro fine, anche se non sono del tutto buone, tuttavia ci
verranno accreditate come buone. Del resto, cercare di co­
noscere più di quanto possiamo, può essere rischioso.
6. Il giudizio del Signore su di noi è imperscrutabile. A
volte infatti vuole nasconderci provvidenzialmente la sua vo­
lontà, sapendo che, anche se la conoscessimo, non vi obbe­
diremmo, e quindi riceveremmo più percosse (cf. Le 12,47).
7. Un cuore retto resta lontano dalle azioni complicate
e naviga senza pericolo sulla barca dell’innocenza.
8. Ci sono anime coraggiose che, per ardente amore di
Dio e umiltà di cuore, si lanciano in opere superiori alle
1060 c loro forze, e ci sono cuori superbi che fanno lo stesso. Spes­
so infatti i nostri nemici mirano a suggerirci azioni superio­
ri alle nostre forze, perché, cadendo nelTacedia in seguito
a esse, trascuriamo anche quelle che sono in nostro potere,
e così diventiamo oggetto di riso per i nostri nemici.
9. Ho visto persone, debilitate nell’anima e nel corpo
per la moltitudine delle loro cadute, intraprendere lotte
superiori alle loro forze senza riuscire a sostenerle: a esse
spiegai che Dio giudica la nostra penitenza non in base
alla quantità di fatiche, ma al grado di umiltà.
10. A volte l’educazione può essere causa dei più gran­
di mali, come possono esserlo le cattive frequentazioni,
ma spesso, a rovinare un’anima, basta la sua stessa perver­
sione. Chi è riuscito a salvarsi dai primi due mali, forse
potrà evitare anche il terzo, ma chi possiede in se stesso il
terzo, si condanna alla perdizione in qualunque luogo si
trovi: infatti non c’era luogo più sicuro del cielo6...

6 Sottinteso: ”... eppure Lucifero riuscì a cadere anche di lassù”.

382
11. Se dei miscredenti o degli eretici vengono a discute- 1060 n
re con noi con intenzioni malevole, dopo una o due ammo­
nizioni (Tt 3,10), interrompiamo la discussione, ma non
stanchiamoci di fare del bene (Gal 6,9) a coloro che deside­
rano conoscere la verità; comunque, sia nell’uno che nell’al­
tro caso, approfittiamone per rinsaldarci nel nostro cuore.
12. Sarebbe alquanto stupido chi, sentendo parlare
delle virtù soprannaturali dei santi, cadesse nella dispera­
zione. Esse, al contrario, possono ammaestrarti in modo
eccellente: o incitandoti all’emulazione attraverso l’esem­
pio di un santo coraggio, oppure conducendoti, per mezzo
della santissima umiltà, a un profondo disprezzo di te stes­
so e al riconoscimento della debolezza che è in te.
13. Tra i demoni impuri ve ne sono alcuni più cattivi
degli altri, i quali non solo ci consigliano di peccare, ma
vogliono che rendiamo complici del nostro male anche 1061 a
altri, per poterci procurare così un castigo più severo.
Una volta ho visto un uomo apprendere da un altro
una cattiva abitudine: frattanto, colui che gliel’aveva in­
segnata, presa coscienza del proprio peccato, cominciò a
far penitenza e cessò di compiere il male, ma a causa delle
opere del discepolo la sua penitenza rimase inefficace7.
14. Grande, veramente grande e difficile da discerne­
re è la malizia degli spiriti cattivi: pochi la riconoscono,
e neanche questi pochi, credo, interamente!
Perché spesso succede che, quando mangiamo in abbon­
danza e siamo sazi di cibo, riusciamo a vegliare con la
mente lucida, e quando digiuniamo e soffriamo la fame,
crolliamo miseramente dal sonno? Perché, quando restia­
mo nell’esichia e nella solitudine, i nostri cuori s’indurisco­
no, e quando stiamo in compagnia di altri, raggiungiamo

7 Non gli servì, cioè, né a ottenere il perdono di Dio, né a raggiungere


un'autentica conversione.

383
la compunzione? Perché, quando siamo affamati, siamo
tentati durante il sonno, e quando siamo satolli, non sub­
iamo tentazioni? E perché, quando siamo nell’indigenza,
1061 b diventiamo tenebrosi e incapaci di compunzione, e quan­
do beviamo del vino, diventiamo radiosi e inclini alla
compunzione ?
In queste cose, chi dal Signore ne ha ricevuta la capa­
cità, illumini chi è senza luce, perché noi su tali questio­
ni non siamo stati illuminati. Possiamo soltanto dire che
alterazioni come queste non sono sempre frutto dell’azio­
ne dei demoni, ma a volte anche del temperamento che
ciascuno di noi ha ricevuto e di questa pinguedine sordi­
da e golosa che - non so come mai - ci avvolge.
Per queste anomale alterazioni di cui si è appena par­
lato e su cui è difficile formulare giudizi chiari dobbiamo
pregare con sincerità e umiltà il Signore: se poi vediamo
che, anche dopo aver pregato per un po’ di tempo, il fe­
nomeno continua come prima, possiamo essere certi che
non è opera dei demoni ma della natura. Spesso però può
essere opera anche della provvidenza di Dio, la quale
vuole assicurare il nostro bene anche con dei mezzi con-
1061 c trari, per reprimere in tutti i modi possibili la nostra pre­
sunzione.
E pericoloso mettersi a scrutare con curiosità l’abisso
dei giudizi di Dio, perché i curiosi navigano sulla barca
dell’orgoglio. Tuttavia, a causa della debolezza di molti,
bisogna parlarne un po’.
15. Un tale chiese a un uomo dotato di discernimento:
“Perché mai Dio, pur prevedendo le cadute di alcuni,
concede loro dei carismi e il dono di compiere miracoli ?”.
E quello rispose: “Allo scopo di mettere in guardia anche
gli altri spirituali, di manifestare la libertà della volontà,
e di togliere ogni possibile giustificazione a chi è caduto
al momento del giudizio ! ”.

384
16. La legge, che è ancora imperfetta, dice: Veglia su te
stesso! (Dt 4,9; 15,9), ma il Signore, che supera ogni per­
fezione, ci ha ordinato anche la correzione del fratello, 1061 d

dicendo: Se il tuo fratello pecca contro di te (Mt 18,15), e


quel che segue. Se il tuo modo di rimproverare, o piutto­
sto di richiamare, è puro e umile, non trascurare di com­
piere il comandamento del Signore; ma se non sei ancora
giunto a tanto, almeno osserva la legge!
17. Non ti meravigliare se vedi che quelli che ti sono
amici ti diventano nemici a causa dei tuoi rimproveri: i
monaci più vacui, infatti, sono strumenti dei demoni, e
soprattutto contro i loro nemici8!
18. Tra le cose che ci accadono, una mi meraviglia par­
ticolarmente: perché, pur avendo come cooperatori nelle 1064 a

virtù Dio onnipotente, gli angeli e i santi9, e nelle passio­


ni soltanto il demonio maligno, ci pieghiamo più facil­
mente e più rapidamente alle passioni? Su questo argo­
mento non voglio parlare in dettaglio, né potrei.
19. Se le creature rimangono nella condizione naturale
in cui furono create, “perché mai io che sono immagine
di Dio - come dice il grande Gregorio - sono impastato
con il fango”10? Se però qualcuno tra gli esseri creati si
trova in una condizione diversa rispetto a quella in cui fu
creato, non può che avere un desiderio insaziabile di ciò
che gli appartiene per natura11.
20. Ciascuno usi ogni mezzo possibile per elevare e far
sedere sul trono di Dio - se così posso esprimermi - il pro­
prio fango12. Nessuno dunque trovi scuse per non compiere 1064 b

8 I nemici dei demoni sono coloro che praticano le virtù.


9 Sul concetto di “cooperazione {synérgheia)” cf. infra, “Glossario”.
10 Gregorio di Nazianzo, Orazioni 14,6. Cf. supra, XV,83, n. 63.
11 Così l’uomo, essendo stato creato immortale e avendo perduto Timmor-

talità a causa del suo peccato, non può non desiderare insaziabilmente di ritor­
nare nella condizione originaria.
12 Cioè il proprio corpo.

385
la salita: la via e la porta sono aperte (cf. Gv 10,9; 14,6)13!
21. L’ascolto delle opere compiute dai padri spirituali
risveglia lo zelo della mente e dell’anima, ma l’ascolto dei
loro insegnamenti conduce chi è pieno di zelo a imitarli.
22. Il discernimento è una lampada nelle tenebre, una
via di ritorno per gli erranti, e una luce per i miopi. Chi
possiede il dono del discernimento fa ritrovare la salute e
distrugge la malattia.
23. Coloro che per ogni minima cosa fanno grandi me­
raviglie, generalmente si comportano così per due moti­
vi: o per la loro estrema ignoranza, o allo scopo di acqui­
stare l’umiltà, magnificando ed esaltando le azioni del
prossimo.
24. Sforziamoci non solo di lottare contro i demoni,
ma di far loro guerra aperta: chi lotta, infatti, a volte col­
pisce, a volte è colpito; ma chi fa guerra aperta incalza
continuamente il nemico.
1064 c 23. Chi ha vinto le passioni, ferisce i demoni: fingendo
di essere ancora in preda alle passioni, inganna i suoi ne­
mici e così non subisce i loro attacchi.
Una volta, un fratello ricevette un’umiliazione e, senza
esserne minimamente turbato nel proprio cuore, si mise a
pregare mentalmente; poi cominciò a lamentarsi delle
umiliazioni subite, nascondendo la propria impassibilità
dietro una finta passione.
Un altro fratello, che non ambiva affatto ad avere il
primo posto, si mise a fingere di darsi un gran da fare per
ottenerlo.
Come descriverti la purezza, poi, di quell’uomo che,
entrato in un bordello, apparentemente con l’intenzione

15 Con la sua morte e risurrezione Cristo ha aperto a ogni uomo la via e la


porta - che lui stesso è - per giungere alla “divinizzazione”, cioè alla piena co­
munione con Dio.

386
di peccare, vi fece uscire la prostituta spingendola alla
vita ascetica14?
A un altro esicasta, una volta qualcuno portò al matti­
no presto un grappolo d’uva, ed egli, dopo aver congeda­
to la persona che glielo aveva portato, pur senza avere ap­
petito, lo mangiò in gran fretta, per apparire ingordo agli
occhi dei demoni.
Un altro, avendo perduto alcune foglie di palma, per 1064 d
tutto un giorno fece finta di esserne addolorato.
Coloro che si comportano in questo modo, però, hanno
bisogno di molta vigilanza, altrimenti, volendo prendere in
giro i demoni, finiscono per prendere in giro se stessi! E
proprio a queste persone che l’Apostolo si riferiva dicen­
do: Considerati impostori, ma in realtà veritieri (2Cor 6,8).
26. Se qualcuno vuole offrire a Cristo un corpo casto 1065 a
e presentargli un cuore puro, custodisca attentamente la
non-irascibilità e la continenza: senza di esse, infatti,
ogni nostra fatica è inutile!
27. Come sono diversi i gradi in cui la luce può essere
percepita dagli occhi umani, così sono molti e diversi i
modi in cui il sole spirituale può spandere la sua luce nel-
l’anima: altra è l’illuminazione che si produce attraverso
le lacrime del corpo, e altra quella che si produce attra­
verso le lacrime dell’anima; altra quella che penetra attra­
verso gli occhi del corpo, e altra quella che penetra attra­
verso gli occhi della mente; altra è quella che proviene
dall’ascolto di una parola, e altra quella che sorge come
gioia spontanea nell’anima; altra è quella che è frutto del-
l’esichia, e altra quella che è frutto dell’obbedienza.
Accanto a tutte queste, si distingue particolarmente quel-

14 II riferimento, come segnala Io scoliaste, è a un episodio della vita di abba


Serapione, padre del deserto egiziano: cf. Apoftegmi, Serapione i; ma episodi
simili sono attribuiti anche ad altri padri del deserto: cf. ibid.9 Giovanni Nano
40; Timoteo i.

387
la che conduce la mente in presenza di Cristo facendola
uscire da se stessa in modo ineffabile e inesprimibile, e
immergendola in una luce spirituale.
28. Ci sono le virtù, e ci sono le madri delle virtù15: chi
1065 è saggio si sforza soprattutto di acquistare le madri. Di
b

queste “madri” è maestro Dio stesso, con la propria azio­


ne; delle “figlie”, i maestri sono moltissimi16.
29. Stiamo attenti a non compensare la mancanza di cibo
con l’abbondanza di sonno, perché questo è un comporta­
mento da insensati, come anche il contrario ! In qualche par­
ticolare circostanza, ho visto monaci operosi cedere un po’
al proprio ventre, ma poi subito, da forti quali erano, casti­
gare quel miserabile vegliando in piedi per tutta la notte, in­
segnandogli così per l’awenire a evitare con gioia la sazietà.
30. Il demonio dell’avarizia lotta aspramente contro
coloro che hanno rinunciato a ogni possesso; se però non
riesce a vincerli, allora, con il pretesto dei poveri, cerca
di convincere questi uomini immateriali a diventare di
nuovo materiali17.
31. Quando siamo scoraggiati18, non cessiamo di richia­
marci alla mente il comandamento che il Signore ha dato
1065 c a Pietro, di perdonare settanta volte sette a chi pecca, per­
ché ciò che ha comandato a un altro, egli stesso lo farà in
misura molto maggiore (cf. Mt 18,21)19! Quando invece ci

15 Cf. supra, XXVI/i,8i.


16 Cf. supra, XXVI/1,42.
17 Cioè ad acquistare ricchezze per fare relemosina ai poveri.
18 Sottinteso: “A causa dei nostri peccati”.
19 II comandamento evangelico del perdono illimitato viene inteso, ex parte

Dei, come promessa di perdono illimitato. Per la stessa interpretazione, cf.


Apoftegmiy Poemen 86: “Un fratello chiese al padre Poemen: ‘Se Tuomo è molto
invischiato in una qualche colpa, e poi si converte, sarà perdonato da Dio?'.
L’anziano gli disse: ‘II Dio che ha comandato agli uomini di fare questo, non lo
farà ancor più egli stesso? Egli infatti ha dato a Pietro quest’ordine: Perdona al
tuo fratello fino a settanta volte sette’”; cf. anche Basilio di Cesarea, Sulla creazio­
ne deWuomo 2,10; Gregorio di Nazianzo, Orazioni 39,18; 41,3.

388
gonfiamo di superbia, ricordiamoci ancora di colui che ha
detto: Chiunque osservi tutta la legge spirituale, ma cada
anche in una sola passione - cioè nella superbia -, diventa
colpevole di tutto (Gc 2,10)!
32. Tra gli spiriti maligni e invidiosi ve ne sono alcuni
che, in particolari condizioni, si ritirano volontariamente
dai santi, per non procurar loro corone tormentandoli
con guerre in cui non riescono a vincerli.
33. Beati gli operatori di pace (Mt 5,9)! - e nessuno lo
contesta ma io ho visto anche dei beati seminatori di
discordia. Due giovani avevano intrecciato una relazione
peccaminosa, e un uomo dotato di conoscenza e di gran­
de esperienza spirituale divenne strumento di inimicizia 1065 d
tra di loro: andando a dire a uno che l’altro lo insultava,
e facendo lo stesso con l’altro, quell’uomo pieno di sa­
pienza riuscì a stornare la malizia dei demoni con l’astu­
zia umana, suscitando un odio capace di sciogliere quel
legame peccaminoso.
34. C’è chi trascura un comandamento per osservarne
un altro: ho visto infatti due giovani che erano legati
l’uno all’altro da un’amicizia secondo Dio, e tuttavia, per
non dare scandalo o ferire la coscienza di qualcuno (cf.
iCor 10,28-29), decisero di comune accordo di allonta­
narsi l’uno dall’altro per un certo tempo.
35. Come una festa di matrimonio non si concilia con
un funerale, così la superbia non si accorda con la dispe­
razione: tuttavia, a causa del disordine provocato dai de­
moni, è possibile vederle assieme.
36. Ci sono demoni impuri che, agli inizi del nostro cam­
mino monastico, vengono a spiegarci come interpretare le
divine Scritture; e hanno l’abitudine di far questo soprat- 1068 a
tutto nel cuore di chi è incline alla vanagloria, specialmen­
te se ha pratica della sapienza mondana, per ingannarlo a
poco a poco, e così condurlo fino all’eresia e alla bestemmia.

389
Riconosceremo questi discorsi su Dio - o piuttosto questi
inutili sprechi di parole!20 - come opera dei demoni, dall’a­
gitazione e dalla gioia sfrenata e disordinata che sorgono
nell’anima al momento di tali spiegazioni.
37. Tutte le realtà create hanno ricevuto dal Creatore
un ordine e un inizio, e alcune anche una fine, ma il li­
mite della virtù è senza limite21; dice infatti il salmista:
Di ogni compimento ho visto il termine, ma il tuo comanda-
1068b mento è immenso (Sai 118,96) e senza limiti.
38. Se alcuni asceti pieni di buona volontà passano di
potenza in potenza (cf. Sai 83,8), ossia dalla pratica alla
contemplazione, e se la carità non avrà mai fine (iCor 13,8),
e se il Signore custodirà la tua entrata, che è il timore, e la
tua uscita, che è la carità (cf. Sai i20,8)22, allora il limite di
questa virtù è davvero senza limite, e non finiremo mai di
progredire in essa, né nel secolo presente né in quello fu­
turo, aggiungendo continuamente luce a luce. E anche se
l’affermazione potrà sembrare un po’ strana ai più, tutta­
via devo farla: direi cioè che, in base alla dimostrazione
che abbiamo appena fatto, o beatissimo padre, neppure le
sostanze spirituali sono esenti dal progresso continuo, anzi
affermo che esse passano continuamente di gloria in glo­
ria e di conoscenza in conoscenza23.

20 Gioco di parole tra theologhia (“discorso su Dio”) e battologhia (“discor­


so inutile e vano”: cf. Mt 6,7; in altri manoscritti: theomachia “battaglia con
Dio”).
21 L’autore riprende qui la nozione àt\Yepéktasis> cioè del progresso spiritua­

le continuo, nozione presente in vari padri e caratteristica in particolare della


teologia mistica di Gregorio di Nissa (cf. ad esempio Vita diMosé 1,4-8). Si veda
anche infra> XXVII/2,7; XXIX,2. Sul tema cf. supra, “Introduzione”, p. 26.
22 II timore è la prima forma di amore di Dio, e la carità ne è la forma per­

fetta, che però non ha mai limite.


23 L’autore qui si ispira chiaramente a Pseudo-Dionigi TAeropagita, I nomi

divini 1,2: “Il Bene stimola le sacre intelligenze verso la contemplazione di sé,
per quanto la possano esse raggiungere, verso la comunione e P assimilazione,
quelle intelligenze che, per quel che è lecito, vi tendono santamente e non pre-

390
39 • Non ti meravigliare se spesso i demoni ci suggeri­
scono dei buoni pensieri, e poi si mettono a contraddirli
nella nostra mente: con questo i nostri nemici mirano a 1068 C
convincerci che essi conoscono perfino i pensieri del no­
stro cuore24.
40. Non voler essere un giudice troppo severo di colo­
ro che a parole danno grandi insegnamenti, se vedi che
sono meno solleciti nel metterli in pratica: spesso infatti
i benefici recati con la parola riescono a compensare la ca­
renza di opere. Non tutti possediamo tutto in ugual mi­
sura: in alcuni infatti la parola supera le opere; in altri, al
contrario, sono le opere a superare la parola.
41. Dio non è l’autore né il creatore del male: si sono
ingannati, quindi, quanti hanno affermato che alcune
passioni sono naturali nell’anima, ignorando che siamo
noi che abbiamo trasformato in passioni quelle che erano
proprietà costitutive della nostra natura25. Per esempio,
dalla natura siamo stati dotati dello sperma per la pro­
creazione dei figli, ma noi ne abbiamo fatto un mezzo di 1068 D
fornicazione. Dalla natura siamo stati dotati della collera
contro il serpente26, ma noi ce ne siamo serviti contro il
prossimo. Dalla natura siamo stati dotati dello zelo, per­
ché potessimo essere zelanti nelle virtù (cf. iCor 12,31),
ma noi lo siamo nel vizio. Per natura l’anima è portata a
desiderare la gloria, ma quella di lassù. Per natura è por­
tata a insuperbirsi, ma contro i demoni. Altrettanto na-

sumono - sarebbe impossibile! - di raggiungere ciò che è superiore alla manife­


stazione divina concessa a loro nella giusta misura, né scivolano alTingiù verso
le cose peggiori, ma saldamente e senza volgersi mirano il raggio che brilla su di
loro e, in grazia dell’amore proporzionato ai raggi loro elargiti, si librano in alto
sulle ali castamente e santamente con sacra reverenza”.
24 Secondo la Scrittura soltanto Dio è “conoscitore dei cuori (kardìognó-

stesT: cf. Pr 24,12; At 1,24; 15,8; supra, XXIII,4, n. 3.


25 Cf. supra, XXVI/1,41.
26 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 44,7.

391
turale in noi è la gioia, ma per il Signore e per la felici­
tà del prossimo. Ci è stato dato anche il rancore, ma con­
tro i nemici dell’anima. Ci è stato dato il desiderio di
una vita beata27, ma non della dissolutezza28!
1069 A 42. L’anima intrepida eccita contro se stessa i demoni;
ma più aumentano le guerre, più aumentano le corone!
Chi non viene colpito dai nemici, non potrà certo riceve­
re la corona; ma chi, nonostante le cadute che gli capita­
no, non si scoraggia, sarà glorificato dagli angeli come un
buon soldato!
43. Qualcuno, dopo aver passato tre notti nella terra,
ritornò in vita per sempre (cf. Mt 12,40 par.). Chi ha
vinto per tre ore [la tentazione], non muore più29.
44. Quando, per una disposizione provvidenziale de­
stinata alla nostra correzione, il sole30, dopo essere sorto

27 In greco: tryphé, termine spesso utilizzato dai padri per indicare la vita
beata del paradiso (sulla scorta di Gen 3,23-24 LXX, dove traduce il nome
ebraico ‘eden).
28 Sul carattere naturale delle “passioni” cf. abba Isaia, Discorsi ascetici 2.
29 Cioè non può più soccombervi, perché ormai l’ha superata. Di questo

passo gli antichi commentatori hanno dato varie interpretazioni, riferite da


Exegesis (pp. 446-447): “Il Signore nostro Gesù Cristo, dopo aver passato tre
giorni nella terra, risuscitò e ora vive per sempre: La morte non ha più potere su
di lui (Rm 6,9)! Colui che, imitando Cristo, ha ottenuto la vittoria nelle ‘tre
ore1 della vita umana, ovvero nella giovinezza, nella maturità e nella vecchiaia,
non subisce più la morte dell'anima. Alcuni con ‘tre ore' hanno inteso le tre
principali forme di passione (Pamore del piacere, l'amore della gloria e l'amo­
re del denaro): chi infatti le ha vinte non subirà più la morte delle altre passio­
ni. Altri hanno pensato al demonio dell'acedia, che è anche chiamato ‘brivido
delle tre ore'. Ma le ‘tre ore' si possono intendere anche così: la prima, la ten­
tazione dei demoni all'inizio delle nostre lotte ascetiche; la seconda, a metà
delle lotte; la terza, alla fine della vita. Oppure puoi intendere le ‘tre ore'
anche così: la prima, quando il demonio compie il suo assalto e si è tentati di
accoglierlo senza opporgli resistenza; la seconda, quando si è tentati di tratte­
nere con compiacimento il pensiero cattivo; la terza, quando si è tentati di la­
sciarsi convincere a compiere il male. Colui che subisce queste tre tentazioni e
non soccombe, ma vince il tentatore, cingerà la corona della vita eterna.
Oppure puoi intendere anche così: colui che ha resistito per tre ore quando la
passione lo assale con violenza, con l'aiuto di Dio riuscirà a vincere e a supe­
rare la tentazione”.
30 Cioè Dio.

392
in noi, conosce il suo primo tramonto (cf. Sai 103,19), al­
lora certamente fa calare le tenebre sottraendosi alla nostra
vista (cf. Sai 17,12) e viene la notte-, in questa notte si muo­
vono contro di noi i feroci leoncelli, che prima si erano al­
lontanati, e tutte le fiere delle spinose passioni, che ruggi­
scono cercando di rapire la nostra speranza e reclamano da
Dio il loro pasto di passioni, sia nel pensiero sia nell’azio- 1069 b
ne (cf. Sai 103,20-21). Poi, attraverso l’oscura umiltà,
spunta nuovamente in noi il sole, e le fiere si radunano e si
acquattano nelle loro tane (cf. Sai 103,22), ossia nei cuori
amanti dei piaceri, e non più in noi; allora si dirà tra i de­
moni: Grandi cose ha fatto il Signore usando nuovamente
misericordia verso di loro-, e noi risponderemo loro: Grandi
cose ha fatto il Signore per noi, siamo pieni di gioia, e voi
siete respinti (cf. Sai 125,2-3)! Ecco, il Signore si siede su
una nube leggera - cioè sull’anima che si è elevata al di
sopra di ogni desiderio terreno - ed entra in Egitto, ovve­
ro nel cuore prima immerso nelle tenebre, e crollano gli
idoli fatti dalla mano dell’uomo (cf. Is 19,1), ossia i catti­
vi pensieri della mente31.
45. Se Cristo, benché onnipotente, fuggì con il suo 1069 c
corpo lontano da Erode (cf. Mt 2,13-15), i temerari im­
parino a non gettarsi da soli nelle tentazioni! Sta scritto
infatti: Non esporre al pericolo il tuo piede, e il tuo angelo
custode non si addormenterà (Sai 120,3).
46. L’orgoglio s’intreccia al coraggio, come il convolvo­
lo si avviluppa al cipresso32. Sforziamoci continuamente
di non lasciar neppure balenare in noi l’idea che abbiamo

31 Sull’intero passo, cf. M. Van Parys, “L’interpretazione delle Scritture

nella ‘Scala’”, pp. 148-149.


32 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malizia 15: “Il convolvolo si avvi­

luppa attorno all’albero, e quando raggiunge la cima ne secca la radice; così la


vanagloria cresce accanto alle virtù, e non se ne va prima di averne smorzato
il vigore”.

393
acquistato la benché minima virtù; ma, considerando at­
tentamente quale sia il segno distintivo di questa virtù33,
esaminiamo se esso è presente in noi, e certamente ci sco­
priremo manchevoli. Cerca incessantemente anche i sin­
tomi delle passioni, e scoprirai che in te ce ne sono molti.
Quando però siamo malati, non siamo in grado di discer­
nerli, o perché siamo troppo deboli, o perché essi sono
1069 d profondamente radicati in noi.
47. Dio giudica l’intenzione; ma nella misura in cui ne
abbiamo le possibilità, reclama benevolmente anche le
opere. Grande è chi non trascura ciò che è nelle sue pos­
sibilità, e ancor più grande chi con umiltà intraprende ciò
che supera le sue possibilità.
1072 a Spesso però i demoni ci impediscono di compiere le
opere più semplici, che sono anche le più utili, e ci esor­
tano a intraprendere piuttosto quelle più faticose.
48. Trovo nella Scrittura che Giuseppe è lodato per
aver fuggito il peccato e non per aver dato prova d’im­
passibilità (cf. Gen 39,7-20). Ma bisogna chiedersi con
quali e quanti peccati tale fuga è in grado di procurarci la
corona, perché un conto è fuggire l’ombra, un altro cor­
rere verso il sole di giustizia (MI 3,20)!
49. Chi è nelle tenebre, inciampa; chi inciampa, cade;
chi cade, muore. Coloro che sono ottenebrati dal vino,
spesso riescono a ritornare in se stessi lavandosi con l’ac­
qua; coloro che sono ottenebrati dalle passioni possono
farlo con le lacrime.
50. Una cosa è l’intorbidamento della mente, altra cosa
la dissipazione, altra cosa ancora l’accecamento. Il primo
male è guarito dalla temperanza; il secondo dall’esichia; il
terzo dall’obbedienza e da Dio che per noi si è fatto obbe­
diente (Fil 2,8).

33 Ossia Pumiltà.

394
51. Per comprendere adeguatamente i due diversi 1072 B
modi di purificazione di quanti sono intenti alle cose di
lassù (cf. Col 3,2), prendiamo come modelli i due luoghi
in cui si lavano gli indumenti di quaggiù: con il nome di
“lavanderia”34 possiamo chiamare la vita cenobitica con­
forme alla volontà del Signore, perché essa gratta via lo
sporco, il grasso e le imperfezioni dell’anima; la “tinto­
ria”, invece, potrebbe essere la vita anacoretica, destina­
ta a coloro che, avendo ormai deposto la lussuria, il ran­
core e l’ira, dal cenobio vanno a vivere nell’esichia.
52. Alcuni affermano che il fatto di cadere negli stessi
peccati è frutto della mancanza di una penitenza adegua­
ta che compensi con una giusta correzione gli sbagli com­
messi. Bisogna chiedersi però se chi non è ricaduto nello
stesso genere di peccati, abbia veramente fatto una degna
penitenza.
53. Alcuni ricadono negli stessi peccati, o perché hanno
sepolto nell’abisso della dimenticanza i loro peccati passa­
ti, o perché, per il loro amore del piacere, presumono che
Dio sia pieno di misericordia, o perché disperano della
propria salvezza; e se non avessi paura di essere rimprove­ 1072 C
rato a questo riguardo, direi anche che costoro non sono
più capaci di incatenare il nemico, perché ormai fa loro
violenza con la tirannia dell’abitudine.
54. Bisogna anche chiedersi come mai l’anima, che è
incorporea, non sia in grado di vedere gli spiriti che la vi­
sitano nel loro aspetto naturale, nonostante essi siano
della sua stessa natura35. Ciò forse si deve al fatto che
essa è unita al corpo, nel modo che conosce soltanto colui
che operò l’unione.

* Cf. supra, Vili,28.


J5Cioè spirituali.

395
55- Un giorno un uomo dotato di conoscenza mi chie­
se: “Dimmi un po’, dimmi - desidero saperlo - quali sono
gli spiriti maligni che umiliano la nostra mente quando
pecchiamo, e quali sono quelli che la esaltano?”. Di fron­
te a tale domanda restai confuso, e poiché giuravo di non
saperlo, quello, che prima voleva imparare, si mise a in-
1072 d segnare, e disse: “Voglio darti in poche parole un lievito
per il tuo discernimento, e poi ti lascerò esaminare il
resto con le tue forze. Il demonio della fornicazione,
quello dell’ira, quello dell’ingordigia, quello dell’acedia e
quello del sonno in genere non esaltano la mente; lo
fanno invece quello dell’avarizia, quello della smania di
potere, quello della chiacchiera, e molti altri, che così ag­
giungono male a male: tra questi ultimi c’è perciò anche
il demonio che ci porta a giudicare il prossimo”.
56. Se qualcuno visita o accoglie come ospiti dei seco­
lari e quando poi si separa da loro, dopo un giorno o dopo
un’ora, è ferito dalla tristezza, piuttosto che gioire per es­
sersi liberato da un ostacolo e da un laccio, costui è lo zim­
bello della propria vanagloria o della propria sensualità!
1073 a 57. Prima di tutto cerchiamo di capire da dove soffia
il vento36, perché non ci troviamo a stendere le vele nella
direzione contraria.
58. Conforta con amore gli anziani che hanno pratica­
to le virtù e che hanno logorato i loro corpi nell’ascesi,
accordando loro un po’ di riposo, ma costringi i giovani
che hanno logorato le loro anime nei peccati a praticare
l’astinenza, ricordando loro il castigo.
59. Non è possibile, come abbiamo già detto in altro
luogo, purificarsi perfettamente dall’ingordigia e dalla vana­
gloria subito agli inizi del nostro cammino monastico. Non

36 Cioè da dove hanno origine le tentazioni degli spiriti maligni.

396
cerchiamo però di combattere la vanagloria con un regime
alimentare rilassato, soltanto perché la vittoria sull’ingordi­
gia alimenta la vanagloria - intendo dire nei principianti
ma preghiamo piuttosto per esserne liberati facendo asti­
nenza, perché verrà l'ora, ed è questa (cf. Gv 4,23; 5,25) -
per chi vuole -, in cui il Signore sottometterà anche que­
sta passione sotto i nostri piedi (cf. Sai 8,7)!
60. I giovani e gli anziani che intraprendono la vita 1073 b
monastica non sono tormentati dalle stesse passioni; spes­
so, anzi, hanno proprio le malattie opposte. Perciò sia be­
nedetta, veramente benedetta, l’umiltà, perché grazie a
essa la penitenza diventa sicura ed efficace, sia nei giova­
ni che negli anziani!
61. Non turbarti per quello che sto per dire: esistono
- anche se poche - anime semplici e innocenti, aliene da
qualsiasi genere di malizia, di ipocrisia e di furbizia, alle
quali non giova affatto il vivere insieme ad altri uomini,
ma che, con l’aiuto della loro guida, sono in grado di sa­
lire al cielo salpando, per così dire, dal porto dell’esichia,
senza aver bisogno di sperimentare le turbolenze e gli
scandali della vita comunitaria.
62. I dissoluti li possono curare gli uomini; i cattivi, gli
angeli; ma i superbi, Dio solo.
63. Spesso anche questa è una forma di carità: per- 1073 c
mettere al nostro prossimo, quando viene a visitarci, di
comportarsi in tutto come vuole, facendogli buon viso
in tutto37.

37 Cf. Apoftegmì Nau 343: “Vi erano due monaci che abitavano in un luogo,
e si recò da loro un anziano; volendo metterli alla prova, prese un bastone e
cominciò a distruggere tutti gli ortaggi di uno dei due. Il fratello, vedendo, si
nascose. Quando fu rimasta una sola radice, disse airanziano: ‘Padre, se vuoi,
lasciala, perché io la possa cuocere e la mangiamo insieme*. L’anziano si inchi­
nò davanti al fratello dicendo: Ter la tua pazienza, fratello, si è posato su di
te Io Spirito santo!’”.

397
64. Bisogna chiedersi in che modo, fino a che punto,
quando e se davvero il fatto di rimpiangere il bene com­
piuto possa cancellarlo, come avviene con il male.
65. Abbiamo bisogno di molto discernimento per capi­
re quando dobbiamo resistere, in quali casi e fino a che
punto dobbiamo lottare contro ciò che alimenta le passio­
ni, e quando invece dobbiamo ritirarci: a volte, infatti, a
causa della nostra debolezza, è preferibile scegliere la
fuga piuttosto che morire38.
66. Consideriamo e osserviamo attentamente quando e
come - con qualche amaro rimedio - possiamo riuscire a
svuotare la nostra bile39; quali tra i demoni ci esaltano, e
quali ci umiliano; quali ci induriscono, e quali ci incorag­
giano al bene; quali ci ottenebrano, e quali invece fingo­
no d’illuminarci; quali ci rendono fiacchi, e quali furbi;
1073 d quali tristi, e quali allegri.
67. Non stupiamoci se, subito dopo la nostra entrata
nello stadio della vita monastica, ci vediamo più soggetti
alle passioni di quando vivevamo nel mondo: è necessario
infatti che le cause della malattia manifestino pienamen­
te la loro azione, prima di poter riacquistare la salute:
quelle bestie40 infatti non erano visibili solo perché fino a
quel momento erano nascoste.
68. Quando capita che coloro che sono ormai prossimi alla
perfezione subiscano una qualche piccola sconfitta da parte
dei demoni, immediatamente mettono in moto ogni artificio
per strappar loro una rivincita cento volte più grande !
69. Come i venti a volte agitano il mare solo in super­
ficie, quando è bonaccia, e altre volte lo sconvolgono
nelle sue profondità, così devi pensare anche dei venti te-

38 Ciò che alimenta le passioni sono i pensieri cattivi: in alcuni casi è me­
glio fuggirli fin dal loro primo apparire, in altri è meglio lottare contro di essi.
39 Cioè il carico del nostro peccato.
40 Cioè le passioni.

398
nebrosi del peccato: in quelli che sono ancora soggetti alle
passioni, in genere sconvolgono il senso stesso del cuore;
in quelli che sono già progrediti nella virtù, invece, agita­
no solo la parte superficiale della mente, cosicché essi ri­ IO76 A
trovano subito la propria tranquillità, poiché il loro cuore
non è stato contaminato.
70. E proprio dei perfetti saper sempre riconoscere
nell’anima quale pensiero venga dalla coscienza, quale da
Dio, e quale dai demoni: i demoni infatti non ci sugge­
riscono sempre e soltanto cose malvagie fin dall’inizio, e
perciò il problema è veramente oscuro e difficile da ri­
solvere.
Il corpo riceve luce dai due occhi sensibili, mentre gli IO76 B
occhi del cuore sono illuminati dal discernimento delle
cose visibili e di quelle spirituali.

399
Discorso XXVI/3
BREVE RICAPITOLAZIONE
DI TUTTI I DISCORSI PRECEDENTI

1. La fede salda è la madre della rinuncia al mondo, e 1084 c


il suo contrario è evidente. La speranza incrollabile è la
porta del distacco dal mondo, e il suo contrario è eviden­
te. L’amore di Dio è il fondamento dell’estraneità, e il
suo contrario è evidente.
2. La condanna di se stessi e il desiderio della salute1
generano la sottomissione. La meditazione della morte e
la memoria costante del fiele e dell’aceto del Signore (cf.
Mt 27,34.48 par.) sono madri della temperanza. L’esichia
è sostegno della castità. Il digiuno è estinzione dell’ardo­
re passionale. La contrizione del cuore è avversaria dei 1084 d

turpi pensieri.
3. La fede e l’estraneità sono la morte dell’avarizia; la
compassione e la carità offrono il corpo in sacrificio. La
preghiera incessante distrugge l’acedia; la memoria del
giudizio stimola all’impegno. L’amore dell’umiliazione
guarisce la collera.
4. Il canto dei salmi, la compassione e la rinuncia al
possesso soffocano la tristezza. Il distacco dalle realtà sen­
sibili conduce alla contemplazione delle realtà spirituali.

1 Ovvero della guarigione dalle passioni.

401
1085 a II silenzio e l’esichia sono nemici della vanagloria; se però
vivi in mezzo ad altri, ricerca l’umiliazione.
5. La superbia esteriore e visibile può essere guarita da
abitudini e condizioni di vita dimesse; quella interiore e
invisibile solo da colui che da prima dei secoli è invisibi­
le. Il cervo uccide tutte le bestie sensibili; l’umiltà quelle
spirituali2.
Attraverso le realtà naturali possiamo ricevere insegna-
menti chiari su tutto ciò che concerne le realtà spirituali.
6. Come il serpente non può spogliarsi della sua vec­
chia scorza, se non entrando in una stretta fessura, così
anche noi non potremo mai deporre le nostre vecchie pre­
disposizioni passionali, la vecchiaia della nostra anima e
la tunica dell’uomo vecchio (cf. Ef 4,22; Col 3,$>)3, se non
percorrendo la via stretta e angusta del digiuno e dell’u­
miliazione (cf. Mt 7 , 1 4 ) .
1085 b 7. Come gli uccelli troppo grassi non possono volare in
cielo, così anche colui che nutre e soddisfa la propria
carne.
8. Un pantano asciutto non alletta più i porci: così una
carne consumata dall'ascesi non dà più riposo ai demoni.
9. Come una grande quantità di legna spesso soffoca la
fiamma e la spegne, producendo molto fumo, così spesso
una tristezza eccessiva4 rende l’anima fumosa e oscura, e
prosciuga l’acqua delle lacrime.
1085c io. Come un arciere cieco viene scartato, così un di­
scepolo che contraddice va in perdizione.
11. Come un ferro temprato può affilare quello che
non lo è, così un fratello pieno di zelo spesso può salvar­
ne uno pigro.

2 Cf. supra, XXV,9, n. n.


3 La “tunica dell’uomo vecchio” è la tunica di pelle di cui fu rivestito Adamo
al momento del peccato (cf. supra, XV^ó, n. 60).
4 Prodotta dall5 ascesi e dalla penitenza.

402
12. Come le uova degli uccelli covate in mezzo agli
escrementi si schiudono producendo nuove vite, così
anche i pensieri cattivi che non vengono manifestati5 ge­
nerano figli e si traducono in azioni.
13. Come i cavalli correndo gareggiano l’uno con l’al­
tro, così in una buona comunità ci si stimola a vicenda.
14. Come le nuvole nascondono il sole, così i pensieri
cattivi oscurano la mente e la mandano in perdizione.
15. Come chi ha ricevuto una sentenza di condanna e
si avvia al supplizio non si mette a parlare di spettacoli
teatrali, così chi si affligge veramente su di sé, non potrà 1085 d

mai preoccuparsi di soddisfare il proprio ventre.


16. Come i poveri, vedendo i tesori dei re, si rendono
meglio conto della propria povertà, così anche l’anima,
leggendo i racconti delle grandi virtù dei padri, rende il
suo pensiero sempre più umile.
17. Come il ferro, anche senza volere, è attratto verso
la calamita da una misteriosa forza della natura, così co­
loro le cui predisposizioni passionali sono diventate abi­
tudini, sono da esse tiranneggiati.
18. Come l’olio, anche senza volere, calma il mare agi­
tato, così il digiuno spegne gli ardori del corpo, anche
contro la loro volontà.
19. Come l’acqua, premuta da ogni parte, sale verso
l’alto, così spesso l’anima stretta dai pericoli, si eleva a 1088
a

Dio attraverso la penitenza e si salva.


20. Come chi porta dei profumi, anche se non vuole
farsene accorgere, è tradito dal loro odore, così chi ha lo
Spirito del Signore è riconosciuto dalle sue parole e dalla
sua umiltà.
21. Come il sole rende visibile l’oro facendolo brillare,
così anche la virtù rende riconoscibile chi la possiede.

5 In confessione al padre spirituale.

403
22. Come i venti sconvolgono le profondità del mare,
così la collera sconvolge la mente più di ogni altra cosa.
23. Come ciò che non si vede con gli occhi, non si può
desiderare ardentemente di gustarlo solo sentendone par­
lare, così coloro che sono puri nel corpo traggono un
grande sollievo da questa loro condizione.
24. Come i ladri non si avvicinano facilmente dove ve­
dono che ci sono le armi del re, così chi ha unito salda­
mente la preghiera al proprio cuore non potrà facilmente
essere derubato dai ladri spirituali.
1088 b 25. Come il fuoco non genera la neve, così chi aspira
agli onori di quaggiù, non godrà di quelli di lassù.
26. Come spesso una sola scintilla arriva a incendia­
re una grande foresta, così capita che una sola opera
buona possa cancellare una quantità enorme di gravi
peccati.
27. Come è impossibile uccidere una bestia feroce
senza un’arma, così è impossibile raggiungere la non-ira-
scibilità senza umiltà.
28. Come, secondo le leggi di natura, non si può vive­
re senza mangiare, così chi vuole essere salvato, non può
essere negligente neanche per un istante, fino al giorno
della sua dipartita.
29. Come un raggio di sole che penetra attraverso una
fessura, illumina tutto l’interno di una casa, al punto che
si può veder volare nell’aria perfino il più fine pulvisco­
lo, così anche il timore del Signore che entra nel cuore,
gli manifesta tutti i suoi peccati.
1088c 30. Come i granchi sono facili da catturare perché si
muovono ora avanti ora indietro, così anche l’anima che
ora ride, ora si affligge e ora si abbandona ai piaceri non
potrà guadagnare niente di buono.
31. Come chi sonnecchia viene facilmente derubato:
così anche chi pratica la virtù restando vicino al mondo.

404
32. Come chi lotta con un leone, appena volge lo sguar­
do altrove, è perduto: così anche chi lotta con la propria
carne, appena le accorda un po’ di sollievo.
33. Come chi sale su una scala di legno marcio rischia
di cadere, così ogni forma di onore, di gloria e di potere,
opponendosi l’umiltà6, fa cadere chi li possiede.
34. Come è impossibile che chi è affamato si dimenti- 1088 d

chi del pane, così è impossibile che chi desidera essere


salvato si dimentichi della morte e del giudizio.
35. Come l’acqua cancella la scrittura, così le lacrime
possono cancellare i peccati.
36. Come alcuni, in mancanza d’acqua, cancellano la
scrittura con altri mezzi, così ci sono anime che, non aven­
do il dono delle lacrime, raschiano e grattano via i loro
peccati con il rimorso, i sospiri e una profonda mestizia.
37. Come una gran quantità di letame produce una
gran quantità di vermi, così una gran quantità di cibo
produce una gran quantità di peccati, di pensieri e di
sogni impuri.
38. Come un cieco non vede dove cammina, così anche
un pigro non può vedere il bene, né compierlo.
39. Come chi ha i piedi legati non riesce facilmente a 1089 a

camminare, così coloro che accumulano tesori non posso­


no salire al cielo (cf. Mt 6,19-20).
40. Come è facile guarire una ferita ancora calda, così,
al contrario, è difficile guarire le ferite di vecchia data
presenti nell’anima - ammesso che si riesca a guarirle -.
41. Come è impossibile che un morto cammini, così è
impossibile che chi è caduto nella disperazione sia salvato.
42. Chi, avendo una fede retta, commette peccati, è si­
mile a un volto senz’occhi.

6 Che è l’unica a garantire un’ascesa sicura della scala delle virtù: cf. supra,
XXV>35.

405
43- Chi, senza avere la fede, compie qualche opera
buona, è simile a chi attinge dell’acqua e la versa in una
giara forata7.
1089 b 44. Come una nave guidata da buon pilota arriva in
porto senza pericolo, con l’aiuto di Dio, così un’anima
guidata da un buon pastore sale facilmente al cielo, anche
se ha commesso molti peccati.
45. Come chi non ha una guida è facile che sbagli stra­
da, anche se è molto prudente, così chi percorre il cammi­
no della vita monastica guidato solo dalla propria volontà,
è facile che si perda, anche se possiede tutta la sapienza di
questo mondo.
46. Chi è debole nel corpo e ha commesso gravi pecca­
ti, segua la via dell’umiltà e osservi tutto ciò che essa ri­
chiede, perché non troverà altra via di salvezza.
1089 c 47. Come chi è malato da lungo tempo non può riac­
quistare la salute in un attimo, così è impossibile vincere
all’istante le passioni, o anche una sola passione. Osserva
quale grado raggiungi in ogni passione e in ogni virtù, e
potrai conoscere i tuoi progressi.
48. Come coloro che scambiano l’oro con il fango subisco­
no una perdita: così anche coloro che parlano con ostentazio­
ne dei propri doni spirituali per ottenerne vantaggi materiali.
49. Molti hanno ottenuto rapidamente la remissione
dei peccati, ma nessuno l’impassibilità: essa infatti richie­
de molto tempo, un intenso desiderio, e l’aiuto di Dio.
1089 d 50. Esaminiamo quali bestie o uccelli8 ci insidiano al
momento della semina, quali al momento in cui il nostro
grano è ancora tenero, e quali al momento della mietitura9,
per poter tendere loro delle trappole adeguate.

/ Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 22.


8 Cioè le passioni e i demoni maligni.
9 Si tratta dei tre momenti del cammino spirituale del monaco.

406
51. Come non è giusto che chi ha la febbre si suicidi,
così non bisogna mai disperare, fino all’ultimo respiro.
52. Come è contrario a qualsiasi buon costume che
colui che ha appena seppellito il proprio padre, dopo il fu­
nerale si rechi a una festa di nozze, così è sconveniente
che chi si affligge sui propri peccati cerchi onore, confor­
to e gloria in questo mondo da parte degli uomini.
53. Come le dimore dei liberi cittadini sono diverse da
quelle dei condannati, così la condotta di vita di chi pian­ 1092 A
ge i propri peccati deve essere completamente diversa da
quella di chi è innocente.
54. Come il re non ordina di cacciare dall’esercito un
soldato che in guerra ha riportato gravi ferite alla faccia,
ma piuttosto lo promuove di grado, così anche il re cele­
ste incorona il monaco che ha sopportato molte prove da
parte dei demoni.
55. Il senso dell’anima10 è una facoltà che le è propria;
il peccato, invece, è uno schiaffo dato a tale senso. La
presa di coscienza genera la cessazione o la diminuzione
del peccato, ed essa è appunto frutto della coscienza. La
coscienza è la voce e il rimprovero dell’angelo custode che 1092 B
ci è stato dato al momento del battesimo: per questo ve­
diamo che i non battezzati non provano nella loro anima
un rimorso altrettanto forte per le azioni malvagie, ma ne
hanno una percezione molto più vaga.
La diminuzione del peccato genera il distacco dal pec­
cato; il distacco dal peccato è l’inizio della penitenza; l’i­
nizio della penitenza è l’inizio della salvezza; l’inizio della
salvezza sono i buoni propositi; i buoni propositi genera­
no le fatiche dell’ascesi; l’inizio delle fatiche sono le
virtù; l’inizio delle virtù è la loro fioritura; la fioritura

1 0 Cf. supra, XXVI/1,17.

407
delle virtù è l’inizio della loro pratica; il frutto della virtù
è la pratica continua; il frutto della pratica continua è l’a­
bitudine al bene; il frutto dell’abitudine è la disposizione
al bene.
1092 c La disposizione al bene genera il timore; il timore ge­
nera l’osservanza dei comandamenti, sia di quelli celesti
che di quelli terreni; l’osservanza dei comandamenti è in­
dizio di carità; l’inizio della carità è la ricchezza di umil­
tà; la ricchezza di umiltà genera l’impassibilità, e la sua
acquisizione è la pienezza della carità, ossia la perfetta
inabitazione di Dio in coloro che, grazie all’impassibilità,
sono puri di cuore; poiché sta scritto che essi vedranno
Dio (Mt 5,8). A lui la gloria nei secoli! Amen.

408
Discorso XXVII/i
SULLA SANTA ESICHIA
DEL CORPO E DELL’ANIMA

i. Noi, che siamo come schiavi che si sono lasciati com­


prare dalle passioni impure, anzi che si sono sottomessi a
esse volontariamente, per questo conosciamo, almeno in
una certa misura, gli inganni, i metodi, le angherie e le
astuzie degli spiriti che hanno spadroneggiato sulla nostra 1096 d

povera anima; vi sono altri, però, che hanno scoperto le


arti malvagie di questi spiriti, per essere stati illuminati
dallo Spirito santo e per essersi liberati dal loro dominio.
C’è infatti chi cerca di immaginare il benessere della sa­
lute a partire dalla sofferenza della malattia, e chi inve­
ce cerca di comprendere e di congetturare lo sconforto
che si prova nella malattia a partire dalla gioia provata
nella salute.
Noi, dunque, deboli come siamo, abbiamo timore di
trattare ora, nel nostro discorso, del porto dell’esichia,
perché sappiamo che, intorno alla tavola di una buona co­
munità, si aggira sempre qualche cane che tenta di rubare
un pezzo di pane - ossia un’anima - per addentarlo e poi
correre via a divorarlo tranquillamente nell’esichia1.

1 L’autore vuol dire che chi vive in comunità è spesso tentato dal demonio
di abbandonare prima del tempo il proprio monastero, per abbracciare la vita
eremitica, ma in questo modo non ottiene niente di buono, anzi rischia di com­
promettere la propria salvezza.

409
1097 a Perciò, per non dare occasione a questo cane con le no­
stre parole, e per non fornire un pretesto a chi cerca un
pretesto (cf. 2Cor 1 1 , 1 2 ) , non riteniamo giusto metterci
ora a parlare di pace a questi coraggiosi soldati del nostro
re che sono ancora in guerra2, ma diciamo soltanto que­
sto: per chi combatte valorosamente, sono già state in­
trecciate corone di pace e di tranquillità. Tuttavia, se cre­
dete, diremo alcune cose sull’esichia, a mo’ di spunti di
riflessione, per non rischiare di far torto a qualcuno la­
sciando questo tema completamente privo di trattazione.
2. L’esichia del corpo è la disciplina dei costumi e dei
sensi, e la loro condizione pacificata; l’esichia dell’anima
è la disciplina dei pensieri, e una mente inviolabile.
1097 b Amico dell’esichia è un pensiero forte e risoluto che rima­
ne sempre vigilante alla porta del cuore, per uccidere o scac­
ciare i pensieri cattivi che si avvicinano. Chi pratica l’esichia
con l’intimo senso del cuore, capisce quel che sto dicendo; chi
invece è ancora principiante, non avendone ancora fatto espe­
rienza, l’ignora. L’esicasta dotato di conoscenza non avrà biso­
gno di parole, perché per lui sono i fatti a illuminare le parole.
3. L’inizio dell’esichia è quando si scaccia ogni rumore
che possa turbare le profondità dell’anima, ma il suo
grado perfetto è quando non si temono più i frastuoni,
anzi si rimane insensibili a essi.
4. Chi, anche se esce dalla propria cella, non ne esce
con la parola, è mansueto e vera dimora della carità: parla
difficilmente ed è incapace di andare in collera. Il contra­
rio è evidente3.

2 Cioè ai monaci cenobiti, che ancora si trovano ad affrontare le lotte del­


l’obbedienza e della vita comune. L'autore pensa ai monaci della comunità di
Raito a cui il suo scritto è indirizzato.
3 "Il silenzio è la vera cella portatile da cui l’uomo di preghiera non deve

mai uscire, anche quando per necessità è costretto a lasciare la cella visibile”
(I. Hausherr, Solitudine e vita contemplativa secondo Vesìcasmo, Queriniana,
Brescia 1978, p. 62).

410
5. L’esicasta è colui che aspira a circoscrivere l’incor­
poreo in una dimora corporea: supremo paradosso4!
6. La gatta spia il topo; il pensiero dell’esicasta spia il 1097

topo spirituale5. Non considerare banale questo paragone,


perché vorrebbe dire che non sai ancora cosa sia l’esichia!
7. Un monaco solitario non è lo stesso di un monaco
che vive insieme a un altro monaco: il monaco solitario
infatti ha bisogno di molta sobrietà e di una mente non
distratta. A chi vive in compagnia di altri, può venire
spesso in aiuto il suo fratello; ma il solitario può soccor­
rerlo solo il suo angelo!
8. Le potenze spirituali partecipano alla liturgia di
colui che pratica l’esichia dell’anima e dimorano volentie­
ri in lui; ma di quel che succede nel caso contrario, pre­
ferisco non parlare.
9. L’abisso dei dogmi è profondo, ma la mente dell’e­
sicasta vi si t u f f a senza pericolo6. Non è sicuro nuotare
vestiti, né tanto meno accostarsi alla teologia quando si è
ancora posseduti dalle passioni!
10. La cella dell’esicasta sono i limiti del corpo: al suo
interno racchiude una dimora per la conoscenza7.

4 Cf. supra, XXVI/1,52. Su questo passo, cf. Gregorio Palamas, Triadi 1,2,6:
“Vi sono alcuni ... che tentano di persuadere quasi tutti - e addirittura gli stes­
si che hanno abbracciato la vita che porta in alto grazie all’esichia - che è me­
glio per chi prega tenere fuori dal corpo la mente, e così costoro non rispettano
nemmeno Giovanni, che per noi costruì con i suoi scritti la Scala che porta verso
il cielo e, definendo e dimostrando, disse che Tesicasta è c o l u i . . m e n t r e anche
gli insegnamenti impartitici dai nostri padri sono concordi con lui”.
5 Cioè il pensiero cattivo.
6 II testo di Rader e Ignatios ha qui: “non senza pericolo”, ma probabilmen­

te si tratta di una correzione dovuta airapparente contraddizione con la frase


seguente. In realtà l’autore vuol dire che Pesicasta, essendosi liberato dalle pas­
sioni, è ormai in grado di penetrare il senso profondo dei dogmi per un’intima
partecipazione alla loro verità più che attraverso una speculazione intellettuale.
7 Cf. Pseudo-Basilio, Costituzioni ascetiche 5: “Per il monaco perfetto la

cella e il sicuro rifugio per l’anima è il proprio corpo: anche se si trova sulla
pubblica piazza, al mercato, in montagna o nei campi, in mezzo a una grande
folla, se ne sta nel suo monastero naturale, unifica le profondità del suo cuore
e medita ciò che deve”. Cf. anche supra, XXVII/1,5.
11. Chi è ancora malato di una qualche passione del-
1097 d l’anima e si mette a praticare l’esichia, è simile a colui che
si butta in mare da una nave, e con una tavoletta è con­
vinto di poter raggiungere la riva senza pericolo.
12. Coloro che lottano contro il proprio corpo di
fango, a tempo debito potranno praticare l’esichia, pur­
ché abbiano qualcuno che li guidi. Per vivere da soli, in­
fatti, bisogna avere la forza degli angeli: parlo degli au­
tentici esicasti, nel corpo e nell’anima.
13. L’esicasta che ha allentato il proprio zelo dirà men­
zogne per indurre subdolamente gli uomini a distoglierlo
dall’esichia. Una volta abbandonata la propria cella, accu­
sa i demoni senza accorgersi di essere diventato un demo­
nio per se stesso!
14. Ho visto alcuni praticare l’esichia saziando insazia-
i i o o a bilmente la loro ardente brama di Dio e generando con il

loro fuoco altro fuoco, con il loro amore altro amore, e


con il loro ardente desiderio altro desiderio.
15. L’esicasta è l’immagine terrestre di un angelo che
con il papiro del proprio desiderio e la scrittura del pro­
prio zelo ha affrancato la propria preghiera dalla negli­
genza e dall’indolenza8.
16. Esicasta è colui che ha dichiarato apertamente:
Pronto è il mio cuore, o Dio (Sai 56,8)! Esicasta è colui
che ha detto: Io dormo, ma il mio cuore veglia (Ct 5,2)!
17. Chiudi la porta della cella al tuo corpo, la porta
della lingua alle parole, e la porta interiore agli spiriti
maligni.
18. La bonaccia e il sole di mezzogiorno mettono alla
prova la pazienza del marinaio; così la mancanza del ne­
cessario mostra la perseveranza dell’esicasta. Quando il

8 Le immagini utilizzate fanno riferimento allatto di manumissione con cui


si affrancavano gli schiavi.

412
primo si scoraggia, si tuffa in acqua; e quando il secondo
si abbandona all’acedia, si mescola alle folle.
19. Non aver paura dei rumori provocati dai demoni
per prendersi gioco di te: chi vive nell’afflizione infatti
non conosce la paura, né si turba9.
20. Coloro che hanno veramente imparato a pregare
con la mente, parlano con il Signore faccia a faccia (cf. Es 1100 B
33,11), come quelli che parlano all’orecchio del re.
Coloro che pregano con la bocca somigliano invece a
quelli che si prosternano davanti a lui in presenza di tutta
la corte. Quelli poi che vivono nel mondo rivolgono sup­
pliche al re in mezzo allo strepito di tutto il popolo. Se
hai imparato bene quest’arte, capisci quel che dico!
21. Seduto su un’altura, osserva te stesso - se sai farlo
- e allora vedrai come, quando, da dove, quanti e quali
ladri entrano per rubare i tuoi grappoli d’uva10. Quando
la sentinella11 è stanca, si alzerà a pregare; poi, di nuovo,
si siederà e riprenderà con coraggio il lavoro iniziato.
22. Un tale12, che di queste cose ha fatto esperienza, 1100 C
vorrebbe parlarne in dettaglio e con precisione, ma teme
di rendere indolente chi già vi si dedica con fervore e di
spaventare con il rumore delle sue parole chi ne ha l’in­
tenzione. Chi parla dell’esichia con precisione e cognizio­
ne di causa, eccita contro di sé i demoni: nessun altro
come lui infatti è capace di manifestare i loro comporta­
menti indecenti.
23. Chi ha raggiunto l’esichia, conosce l’abisso dei di­
vini misteri, ma non sarebbe mai arrivato a una tale prò-

9 Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 97: “Chi si esercita nella preghiera
pura sentirà rumori, colpi, voci e ingiurie dai demoni, ma non demorderà né
perderà la ragione; dirà invece a Dio: Non temerò alcun male perché tu sei con
me (Sai 22,4), e altre simili frasi”.
10 Ovvero le tue virtù.
11 Fuori di metafora: la mente che veglia sul cuore.
12 L’autore parla di se stesso.

413
fondità, se prima non avesse visto e udito il tumulto delle
onde e dei venti13, rimanendone forse spruzzato.
Conferma ciò che dico il grande apostolo Paolo: se in­
fatti non fosse stato rapito in paradiso, come in un luogo
di esichia, non avrebbe mai potuto ascoltare parole indi­
cibili (cf. 2Cor 12,4).
24. L’orecchio dell’esichia udrà da Dio parole straordi­
narie; perciò anche nel libro di Giobbe questa sapientis-
iiood sima diceva: Torse che il mio orecchio non udrà da lui pa­
role straordinarie? (Gb 4,12).
25. L’esicasta è colui che fugge tutti gli uomini senza
odiarli - come altri corrono loro incontro per leggerezza
- perché non vuole privarsi per un solo momento della
dolcezza di Dio14.
26. Va’, distribuisci subito i tuoi beni - perché vender­
li richiede troppo tempo - e dalli ai monaci poveri (cf. Mt
19,21), affinché con la loro preghiera ti sostengano nella
tua corsa verso l’esichia; quindi prendi la tua croce (Mt
noi a 16,24), portandola per mezzo dell’obbedienza e soppor­
tando con forza il peso della recisione della tua volontà,
poi vieni e seguimi (Mt 19,21), per abbracciare la beatissi­
ma esichia, e ti insegnerò le opere visibili e il genere di vita
delle potenze spirituali15.
Quelle potenze spirituali per tutti i secoli dei secoli non
si sazieranno mai di lodare il loro Creatore, né colui che è
entrato nel cielo dell’esichia di cantare inni al Creatore16.

13 Cf. supra, XXVI/1,13.


14 Cf. Apoftegmì, Arsenio 13: “Il padre Marco disse al padre Arsenio: ‘Per­
ché ci fuggi?1. L’anziano gli dice: ‘Dio sa che vi amo. Ma non posso essere con­
temporaneamente con Dio e con gli uomini. Le schiere celesti che sono a mi­
gliaia e a decine di migliaia hanno un’unica volontà, mentre gli uomini ne
hanno tante. Perciò non posso lasciare Dio per venire dagli uomini”’; ìbid.,
Teodoro di Ferme 14: “Chi ha conosciuto la dolcezza della cella fugge il suo
prossimo, ma non con disprezzo”. Cf. infra, XXVII/2,29-
15 Cioè degli angeli, di cui gli eremiti sono l’immagine visibile (cf. supra, § 15).
16 Cf. supra, XXVI/2,38.

414
Non si preoccupano della materia gli spiriti immateriali, né
del cibo coloro che, pur trovandosi nella materia, sono
immateriali. I primi non sono sensibili agli alimenti, né i
secondi hanno bisogno che qualcuno prometta loro di for­
nirglieli. Quelli non si preoccupano di ricchezze o di pro­
prietà, né questi dei maltrattamenti subiti da parte degli
spiriti maligni. Quei celesti non hanno desiderio di alcu­
na creatura visibile, né questi terrestri di alcuna visione
sensibile. Quelli non cesseranno mai di progredire nella
carità, né questi di gareggiare con loro ogni giorno. I ixoib

primi non ignorano la ricchezza del loro progresso, né i


secondi l’amore che li spinge a salire. E questi non si fer­
meranno prima di aver raggiunto i serafini, né si stanche­
ranno prima di esser diventati angeli.
Beato colui che spera di raggiungere la meta; tre volte
beato chi è sul punto di raggiungerla; ma chi l’ha raggiun­
ta è un angelo!

4i5
Discorso XXVII/2
SULLE DIVERSE FORME DELL’ESICHIA
E SU COME DISCERNERLE

1. In ogni genere di disciplina, come è noto a tutti, 1105 A

esiste diversità di opinioni e di intenzioni: non tutti in­


fatti sono perfetti in tutto, sia per mancanza di zelo che
di capacità.
Vi sono dunque alcuni che entrano in questo porto, o
meglio in questo mare, o forse in questo abisso, a causa
della loro incapacità di dominare la lingua o della predi­
sposizione del loro corpo alle passioni1. Altri vi entrano
perché, non avendo il controllo della propria collera, sono
incapaci - poverini! - di tenerla a freno in mezzo a un
gran numero di persone. Altri perché, per loro presunzio­
ne, hanno deciso di navigare in modo indipendente piut­
tosto che sotto la guida di un altro. Altri perché, in mezzo
alle cose materiali, non sono in grado di astenersene. Altri
vi entrano per diventare virtuosi conducendo una vita ri­
tirata. Altri per potersi infliggere torture per i propri pec­
cati, senza che alcuno lo sappia. Altri per poter acquista­ II05 B

re gloria attraverso questa vita. Vi sono altri poi - se pure


il Figlio dell’uomo ne troverà ancora sulla terra quando

1 Cioè a causa della loro inclinazione ai piaceri, che nel relativo benessere

di un cenobio troverebbe più occasioni per essere soddisfatta: cf. supra, 1,46;
Vili,2 0 .

417
verrà (cf. Le 18,8) ! - che hanno sposato questa santa esi-
chia per poter godere dell’amore e della dolcezza di Dio
e saziare così la loro sete; ma non l’hanno fatto prima di
aver ripudiato ogni tipo di acedia, perché rimanere lega­
ti a quest’ultima è come commettere adulterio nei con­
fronti della prima.
2. Secondo la poca scienza che mi è stata data, come
un architetto non certo sapiente (cf. iCor 3,10), ho co­
struito una scala per permettere la salita: ora ciascuno
guardi in quale gradino si trova, considerando se è venu­
to per volontà d’indipendenza, o per la gloria umana, o
per la propria incapacità di dominare la lingua, o di tene­
re a freno l’ira, o per la gran quantità dei propri attacca­
menti passionali, o per espiare i propri peccati, o per di­
ventare virtuoso, o per acquistare un fuoco ancora più
grande. Gli ultimi saranno i primi, e i primi ultimi (Mt
1x05 c 20,16)! Le prime sette sono le opere della settimana del
secolo presente, alcune gradite a Dio, altre no; mentre
l’ottava è chiaramente un segno del secolo futuro2!
3. Osserva attentamente, o monaco solitario, i momen­
ti in cui spuntano le bestie feroci; altrimenti non potrai
tendere loro trappole adatte!
Se l’acedia, che abbiamo ripudiato, si è veramente dile­
guata, il lavoro è superfluo3 * 5; ma se continua ad assalirci con
impudenza, non so come sia possibile praticare l’esichia.

2 II tempo della storia umana è scandito dal ritmo ciclico della settimana,
che solo l’irrompere deir “ottavo giorno” - il giorno della risurrezione e della
parousta - può spezzare, aprendo la storia all'eternità: i primi sette modi di ab­
bracciare Tesichia sono dunque frutto delle possibilità umane, l’ultimo dell’in­
tervento di Dio. Sul simbolismo del numero sette e del numero otto, cf.
Evagrio Pontico, Scolti ai Salmi) PG i2,i624B-C: “Come l’ottavo giorno sim­
boleggia il secolo futuro, perché contiene la potenza della risurrezione, così il
settimo è simbolo di questo mondo”; Origene, SulLevitico 8,4; Basilio di Cesa­
rea, Esamerone 2,8; Gregorio di Nazianzo, Orazioni 41,2-4.
5 II lavoro manuale, che è un mezzo efficace contro l’acedia: cf. supra,
XIII,io.

418
Perché mai tra i santi monaci di Tabennesi non ci sono
stati tanti luminari come tra i monaci di Scete4 ? Chi può
intendere intenda! Io infatti non posso parlarne, o piut­
tosto non voglio5.
Tra coloro che vivono in quest’abisso, alcuni si dedica­
no a diminuire le loro passioni, altri salmeggiano e passa­
no la maggior parte del loro tempo in preghiera, mentre
altri ancora attendono alla contemplazione. Chi vuole ap­ 1105 D
profondire la questione, tenga presente la figura della
scala4 5 6. Chi può comprendere, comprenda nel Signore (cf.
Mt 19,12)!
4. Vi sono anime pigre che vivono nei cenobi e trovan­
dovi abbondanti occasioni per alimentare la propria pigri­
zia finiscono col perdersi del tutto. Ve ne sono altre poi che
grazie al fatto di vivere insieme ad altri riescono a deporre
la propria pigrizia; e ciò avviene non solo ai più negligen­ 1108 A
ti, ma spesso anche a coloro che sono già pieni di zelo.
Si può applicare la stessa regola all’esichia dicendo che
molti che aveva accolto come idonei, li ha poi respinti a
causa della loro tendenza a vivere in modo indipendente,
avendoli scoperti amanti dei piaceri; altri, invece, che
aveva accolto per la loro paura e la loro preoccupazione
di subire la condanna, li ha poi resi zelanti e fervorosi.
5. Nessuno osi assolutamente mettersi sulle tracce del-
Pesichia, se è ancora turbato dalla collera, dall’orgoglio,

4 I primi sono i monaci della comunità cenobitica fondata da Pacomio a

Tabennesi, nella Tebaide; i secondi sono gli anacoreti che vivevano nel deser­
to di Scete, a ovest del delta del Nilo.
5 Cf. Schol. 5, PG 88,iii7C: “L’opera dell’esichia è certamente grande e
procura un progresso spirituale superiore rispetto a quello della vita cenobiti­
ca. Ma l’autore non vuol dirlo a motivo dei più deboli”.
6 Ovvero: comprenda che le categorie di persone appena elencate corrispon­

dono ai diversi gradini del progresso spirituale: principianti, proficienti e per­


fetti. Su questo passo si veda il commento di Pseudo-Simeone, Metodo della
santa preghiera e attenzione, in I padri esicasti, Vamore della quiete, a cura di
A. Rigo, Qiqajon, Bose 1993, p. 44.

419
dall’ipocrisia e dal rancore, perché non ne ricaverebbe
altro che la propria follia! Chi si è purificato da tali pas­
sioni, allora potrà conoscere quel che è bene per lui; ma
credo che forse neanche lui potrà conoscerlo7.
6. I segni, le virtù e i tratti caratteristici di quanti pra­
ticano l’esichia in modo ragionevole sono i seguenti:
iio8b mente insonne, pensiero puro, rapimento dell’anima in
Dio, memoria continua dei castighi, pressante desiderio
della morte, preghiera insaziabile, custodia inviolabile del
cuore, estinzione della sensualità, ignoranza di qualsiasi
attaccamento passionale, morte al mondo, assenza di in­
gordigia, predisposizione per la teologia, sorgente conti­
nua di discernimento, lacrime spontanee, perdita della
chiacchiera, e altri simili comportamenti, ai quali i più
sono generalmente avversi.
Ecco invece qual è la penuria di ricchezze spirituali pro­
pria di quanti non praticano l’esichia in modo ragionevole:
aumento dell’irascibilità, accumulo di rancore, diminu­
zione della carità, crescita dell’orgoglio, e voglio tacere il
resto.
7. Giacché il nostro discorso è giunto a questo punto, è
necessario considerare qui anche il caso di coloro che vi­
vono nella sottomissione: il nostro discorso, del resto, è ri-
1108 c volto soprattutto a loro. I tratti caratteristici di quanti
hanno sposato in modo legittimo, senza adulterio né con­
taminazioni, questa bella e nobile virtù8, secondo l’inse­
gnamento dei padri teofori, sono i seguenti - e sono tutte
cose che giungeranno a perfezione al loro tempo, purché
noi ci sforziamo9 ogni giorno di svilupparle e di farle prò-

7 Probabilmente bisogna sottintendere: “Se qualcuno non lo guiderà”.


8 Cioè appunto la sottomissione.
9 Lett.: “Ci protendiamo {epekteinómetka)”\ è il verbo dell’epéktasis - il pro­

gresso spirituale continuo -, ricavato da Fil 3,13. Cf. supra, XXVI/2,37; infra,
XXIX, 2.

420
gredire crescita dell’umiltà iniziale, diminuzione dell’i­
rascibilità (una volta vuotata la bile, infatti, come potreb­
be essere altrimenti?), scomparsa di tutto ciò che ottene­
bra la mente, aumento della carità, affrancamento dalle
passioni, liberazione dall’odio, diminuzione della sensuali­
tà grazie ai rimproveri subiti, ignoranza dell’acedia, au­
mento dello zelo, amore della compassione, abbandono
della superbia - impresa quest'ultima che tutti si augura­
no di compiere, ma che pochi realizzano
Una fonte senz’acqua non merita il nome di fonte, e chi
ha intelligenza capisce ciò che voglio dire con questo10!
8. Una giovane sposa che non custodisce il proprio tala­ 1108 D
mo contamina il proprio corpo; ma un’anima che non custo­
disce la promessa fatta contamina il proprio spirito. Per la
prima le conseguenze sono: rimproveri, odio, frustate, e -
cosa più deplorevole di tutte - il divorzio; per la seconda:
contaminazioni, oblio della morte, ingordigia del ventre, in­
continenza degli occhi, ricerca della vanagloria, desiderio in­
saziabile del sonno, durezza di cuore, insensibilità, accumu­
lo di pensieri cattivi e aumento dei consensi dati ad essi, pri­
gionia del cuore, condotta irrequieta, disobbedienza, conte-
stazione, diffidenza, cuore dubbioso, chiacchiere, attacca­
mento alle cose materiali e - cosa più grave di tutte - ecces­
siva familiarità, e - cosa ancor più deplorevole - cuore privo
di compunzione, da cui, se non si sta attenti, nasce l’indo­
lenza, che è la madre degli spiriti maligni e delle cadute. 1109 A
9. Tra gli otto pensieri cattivi, cinque assalgono coloro
che praticano l’esichia, e tre coloro che vivono nella sot­
tomissione11. Chi pratica l’esichia e combatte ancora con-

10 Cf. Schol. 12, PG 88,ii2oC: “Chi non ha queste virtù, non è un mona­
co che vive nella sottomissione”.
11 Lo Schol. 14, PG 88,ii2oC, afferma che i pensieri cattivi che assalgono

gli esicasti sono Pacedia, la vanagloria, la superbia, la tristezza e Pira, mentre


quelli che assalgono i cenobiti sono Pingordigia, la fornicazione e Pavarizia.

421
tro l’acedia, spesso perde più di quanto guadagna, perché
il tempo che dovrebbe riservare alla preghiera e alla con­
templazione lo spreca a cercare espedienti per lottare
contro quella.
10. Un giorno, mentre me ne stavo seduto nella mia
cella in preda alla pigrizia e quasi meditavo di abbando­
narla, alcuni uomini vennero da me e si misero a coprirmi
110 9 b di lodi per la mia vita di esicasta. Subito il pensiero della
pigrizia fu scacciato da quello della vanagloria e si ritirò;
e io sono rimasto sbalordito al vedere come questo demo­
ne a tre punte12 riesca ad opporsi a tutti gli spiriti maligni.
11. Sorveglia continuamente gli impulsi e i turbamenti
della tua consorte13, le sue inclinazioni e i suoi movimen­
ti, e guarda come si producono e dove tendono. Solo chi
ha raggiunto la calma per mezzo dello Spirito santo, non
ignora ciò che dico.
12. La principale opera delTesichia è l’assenza di preoc­
cupazioni nei confronti di tutte le cose, sia ragionevoli che
irragionevoli, perché chi aprirà la porta alle prime, certa­
mente s’imbatterà anche nelle seconde14. La seconda
opera dell’esichia è la preghiera incessante; e la terza, l’at­
tività inviolabile del cuore15. E impossibile, secondo natu­
ra, che chi non conosce l’alfabeto possa studiare sui libri;
ma è ancora più impossibile che chi non ha raggiunto la
prima opera possa praticare a dovere le altre due.

12 Cf. supra, XXI,5.


]} Cioè la carne.
H “Le cose irragionevoli, che non hanno alcuna ragione di essere, sono quel­

le che costituiscono i peccati, o portano al peccato e si rivelano, fin da princi­


pio, spiritualmente inutili. Queste, ogni cristiano le deve evitare. Al contrario,
le eùloga sembrano giustificate da buone ragioni, per esempio, la cura del
corpo; o persino necessarie per legge naturale, come la sollecitudine per i po­
veri o per il prossimo. Queste pure, il monaco deve evitarle" (I. Hausherr,
Solitudine e vita contemplativa, p. 87).
15 Cioè non turbata dai demoni e dalle passioni.

422
13. Una volta16, mentre ero intento all’opera che sta in
mezzo alle altre due17, mi ritrovai nella condizione pro­
pria di coloro che hanno raggiunto questo grado interme­
dio18: ero assetato19 ed egli20 m’illuminava, ma poi mi ri­ 1109 c
trovavo nuovamente in quella stessa condizione. Gli chie­
si cosa fosse prima di prendere forma visibile21, ma non
potè insegnarmelo, perché il Sovrano non lo permetteva.
Gli chiesi allora in quale condizione si trovasse attual­
mente, e mi rispose di trovarsi nella condizione a lui pro­
pria, non in questa. E io: “Cosa significa stare e sedere
alla destra di colui che è il principio di tutte le cose?”. Mi
disse: “E impossibile essere iniziati a questi misteri per
mezzo di parole ! ”. Allora gli chiesi di condurmi là dove
mi attirava il mio ardente desiderio, ma quello mi rispose
che non era ancora giunta l’ora (cf. Gv 2,4), perché mi
mancava ancora il fuoco dell’incorruttibilità. Non so se
queste cose le abbia vissute con il mio corpo di terra o
senza di esso (cf. 2Cor 12,4).

16 Vera crux desperationìs di commentatori antichi e moderni, questo para­


grafo è stato variamente interpretato. In generale i commentatori antichi
hanno inteso l’intero passo come la descrizione di un’esperienza mistica nel
corso della quale l’autore parlerebbe con un angelo (uno degli esseri che stan­
no appunto “in posizione mediana” tra Dio e gli uomini) ponendogli alcune do­
mande relative a Cristo (cf. Scbol. PG 88,i24ÓC-D; Exegesis, pp. 489-491).
Sono invece più complesse le interpretazioni di Fozio, Amphilochia 273 e di
Michele Psello, Theologica 30. Seguiamo qui l’interpretazione e il testo - un
po’ diverso da quello di Sophronios - proposti da J. Gouillard, “Un ravisse-
ment de Jean Climaque: exstase ou artifice didactique?”, in Bv£àvnovy
Aquégaiiia arov Avògéa N. Zrgàro II, Athinai 1986, pp. 445-459: secondo tale
interpretazione, l’interlocutore non è un angelo ma il Cristo stesso, ciò che ap­
pare più conforme al pensiero dell’autore, che quando allude a delle esperien­
ze mistiche non fa mai riferimento a degli intermediari; cf. ad esempio infra}
XXIX,15; XXX,12; DP 100,a.
17 Cioè la preghiera incessante: la seconda “opera” elencata sopra.
w Cioè il grado intermedio del progresso spirituale, tra la pratica e la con­

templazione.
19 Sottinteso: “Di conoscere e di vedere Dio”.
20 Cioè Cristo.
21 Ovvero: quale fosse la sua condizione, prima della sua incarnazione.

423
i4- È difficile scuotersi di dosso il sonno di mezzogior­
no, soprattutto nelle ore estive: soltanto allora, forse, non
si dovrà disdegnare il lavoro manuale.
1109d 15. Ho scoperto che il demonio dell’acedia prepara e
spiana la via a quello della fornicazione, in modo che,
dopo che l’uno ha violentemente indebolito il corpo e lo
ha sprofondato nel sonno, l’altro possa contaminare gli
esicasti con immagini impure, come se fossero svegli.
Se tenti di resistere con forza a questi demoni, certa­
mente ti combatteranno con ancor più violenza, per farti
desistere dalle tue lotte, facendoti credere che non ti ser­
vono a nulla; ma nulla dimostra con più evidenza la scon­
fitta dei demoni, come la violenza con cui ci fanno guerra.
16. Quando esci, custodisci ciò che hai accumulato:
quando si apre la porta, infatti, gli uccelli in gabbia volano
via. E allora non trarremo più alcun guadagno dall’esichia.
17. Un minuscolo capello dà fastidio all’occhio; così la
1112 minima preoccupazione fa scomparire l’esichia: l’esichia è
a

infatti l’eliminazione di ogni rappresentazione mentale22 e


la rinuncia a ogni preoccupazione ragionevole!
18. Chi ha veramente raggiunto l’esichia non si preoc­
cupa più neppure della sua stessa carne: non mente infatti
colui che ha promesso (cf. Mt 6,25-34; Tt 1,2; Eb 10,23)!
19. Chi vuole presentare a Dio una mente pura ed è
agitato dalle preoccupazioni, è simile a chi, dopo essersi
legati i piedi con stretti vincoli, pretendesse di cammina­
re velocemente23.

22 In greco: apóthesis noemàton, espressione tipicamente evagriana; cf. Eva-

grio Pontico, Sulla preghiera 70: “La preghiera è l’eliminazione delle rappresen­
tazioni mentali”. I noémata sono le rappresentazioni degli oggetti sensibili ela­
borate dalla mente (nou$)> che servono da supporto ai “pensieri” (loghismot):
cf. M. Lot-Borodine, Perché Vuomo diventi Dio, Qiqajon, Bose 1999, p. 123,
n. 72; A. Guillaumont, “Introduction”, in Evagre le Pontique, Sur ìes pensées,
Cerf, Paris 1998, pp. 24-27.
23 Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 70-71: “Non potrai pregare in modo

424
20. Sono rari coloro che sono perfettamente istruiti
nella sapienza mondana; ma io dico che sono ancora più
rari coloro che possiedono la sapienza divina della vera
esichia !
Chi non ha ancora conosciuto Dio, non è adatto per
l’esichia e va incontro a molti pericoli. L’esichia soffoca
gli inesperti, perché essi, non avendo gustato la dolcezza
di Dio, consumano il loro tempo a lasciarsi ridurre in pri­
gionia e derubare dai demoni, ad abbandonarsi all’acedia
e alle distrazioni.
21. Chi ha toccato con mano la bellezza della preghie­ 1112 B
ra, fuggirà le folle come un onagro! Chi infatti, se non
questa, lascia libero l’asino selvatico da ogni rapporto
umano (cf. Gb 39,5)24?
22. Chi è ancora circondato dalle passioni e vive nel de­
serto, non può che dedicare la sua attenzione alle loro
chiacchiere, come mi anche detto e insegnato un santo an­
ziano - voglio dire Giorgio Arsilaita25 -, che anche a te, o
venerabile padre26, non è completamente sconosciuto.
Costui, una volta, mentre istruiva e guidava un’anima
incapace nei primi rudimenti dell’esichia, mi disse: “Ho 1112 C
notato che in genere al mattino vengono i demoni della
vanagloria e della concupiscenza; a mezzogiorno, quelli
dell’acedia, della tristezza e dell’ira; e alla sera, i sordidi27
tiranni del miserabile ventre”.

puro, se sei attaccato alle cose materiali e agitato da continue preoccupazioni


... Non si può correre legati, né la mente schiava delle passioni può vedere il
luogo della preghiera spirituale ! ”.
24 L’“asino selvatico” è qui il monaco, e in particolare l’esicasta. Per la stes­

sa interpretazione, cf. Olimpiodoro, Commento a Giobbe 39,5.


25 Eremita del monte Sinai vissuto tra il VI e il VII secolo nella laura di
Arselao, che si trovava a una mezza giornata di cammino dal monastero prin­
cipale. Sulla sua vita cf. Anastasio Sinaita, Racconti sui padri del Sinai 9-12; D.
Tsamis, Tò regovztxòv zov Eivdf Thessaloniki 1991, pp. 126-131.
26 Giovanni di Raito, a cui è indirizzata l’opera.
27 Lett.: “Amanti dello sterco {philokóprous)”.

42 5
23. Meglio un poveretto che vive in obbedienza, di un
esicasta soggetto alle distrazioni!
24. Chi abbraccia l’esichia con giudizio, ma poi non ne
vede ogni giorno i frutti, è perché non la pratica con giu­
dizio, oppure perché si lascia derubare dall’orgoglio.
25. L’esichia è un culto ininterrotto reso a Dio e uno
stare sempre alla sua presenza.
26. La memoria di Gesù faccia tutt’uno con il tuo re­
spiro, e allora conoscerai l’utilità dell’esichia28.
27. E la volontà propria che fa cadere chi vive in ob­
bedienza, ma è l’interruzione della preghiera che fa cade­
re l’esicasta.
28. Se ti rallegri quando ricevi visite nella tua cella,
sappi che non stai dedicando il tuo tempo a Dio ma sol­
tanto all’acedia!
1112D 29. Modello di preghiera sia per te quella vedova che
aveva ricevuto un torto da parte di un suo avversario (cf.
Le 18,1-8), e modello di esichia, il grande esicasta
Arsenio, uguale agli angeli29. Tu che vivi nella solitudine,
ricordati della condotta di quel grande esicasta e conside­
ra come egli spesso abbia mandato via coloro che veniva­
no a visitarlo, per non perdere la cosa più importante30!
30. Ho scoperto che i demoni persuadono coloro che

28 Questo passo della Scala diventerà famoso nella successiva tradizione esi­
casta, quando la “preghiera di Gesù” sarà legata sempre più strettamente al
ritmo del respiro fisico: cf. Gregorio Sinaita, Uesichia 3; Callisto e Ignazio
Xanthopouloi, Metodo e canone rigoroso 22; 49. Cf. anche supra, “Introduzione”,
PP* 53-58-
29 Arsenio, uno dei grandi padri del deserto egiziano, fu sempre considera­

to dalla tradizione monastica il modello di tutti gli esicasti: la voce di Dio che
egli udì nel deserto (cf. Apoftegmi, Arsenio, 2: “Arsenio, fuggi, taci, pratica re­
sidua!”) diventò un programma di vita per intere generazioni di eremiti (cf.
Cirillo di Scitopoli, Vita di Eutimio 59). Sul tema cf. I. Hausherr, Solitudine e
vita contemplativa, pp. 40 ss.; Ph. Adnès, s.v. “Hésychasme”, in DS VII, coll.
383-386.
30 Cf. Apoftegmi, Arsenio 7; 8; 13; 28; 34; 37.

426
girovagano senza motivo a visitare sempre più spesso colo­
ro che praticano con giudizio l’esichia, per poter ostacola­
re almeno un po’ attraverso di loro quei bravi operai. Ma
tu, mio caro, tieni d’occhio questi tali, e, per motivo di
pietà, non esitare a contristare codesti scioperati! Forse, 1 1 x 3 a
infatti, grazie a tale tristezza, smetteranno di girovagare.
Comportandoti così, però, guardati dal contristare senza
motivo un’anima assetata, che viene da te ad attingere
acqua. In tutto hai bisogno del lume del discernimento.
31. La vita degli esicasti, o piuttosto di ogni monaco,
deve essere guidata dalla coscienza e dal senso interiore31.
Chi compie la sua corsa con giudizio e ordina ogni sua at­
tività, ogni sua parola, ogni suo pensiero, ogni suo passo,
ogni suo proposito e ogni suo movimento secondo il
Signore, costui agisce con l’intimo senso dell’anima e al
cospetto del Signore; se però si lascia distrarre32, non vive
ancora secondo la virtù.
32. “Esporrò sulla cetra la mia difficoltà (Sai 48,5) e la
mia volontà”, ha detto qualcuno a causa di un discerni­
mento ancora insufficiente; ma io manifesterò la mia
volontà attraverso la preghiera, e di là riceverò piena
certezza.
33. La fede è l’ala della preghiera: senza di essa la mia 1x13 b

preghiera tornerà di nuovo nel mio seno (cf. Sai 34,13). La


fede è stabilità incrollabile dell’anima, non scossa da alcu­
na contrarietà. L’uomo di fede non è chi crede che Dio può
tutto, ma chi crede di poter ottenere tutto (cf. Mt 21,22)!
34. La fede è dispensatrice delle cose che non osiamo
sperare, ed è ciò che ha dimostrato il ladrone (cf. Le
23,43). Madre della fede è la fatica, unita a un cuore
retto: se quest’ultimo la rende salda, la prima la costrui-

}1 Cf. supra, XXVI/1,18.


32 Lett.: “Si lascia derubare (kléptetai)”; cf. infra, XXVIII,24.

427
sce. La fede è madre degli esicasti: chi infatti non ha la
fede, come può praticare Tesichia?
35. Chi è stato incatenato e messo in prigione ha paura
di colui che può infliggergli una pena, e chi dimora nella
calma della propria cella, genera in se stesso il timore del
Signore: il primo non teme così tanto il tribunale, quan­
to il secondo il giudizio del sommo Giudice.
1 1 1 3 C Nell’esichia, o mio eccellente amico, hai bisogno di
molto timore, perché niente è così efficace per scacciare
l’acedia!
36. Il condannato sta continuamente all’erta per vede­
re quando il giudice si presenti alla prigione; il vero ope­
raio, per vedere quando venga chi lo solleciti a uscire
dalla vita33. Il primo si porta legato un carico di tristezza,
il secondo una fonte di lacrime.
37. Se impugni il bastone della pazienza, subito i cani34
cesseranno di comportarsi da sfrontati! La pazienza è lo
sforzo tenace dell’anima che non si lascia turbare da alcun
rumore, ragionevole o irragionevole che sia. La pazienza è
un argine posto alla tribolazione, che l’accoglie ogni gior­
no. Il paziente è un operaio infallibile che, anche con le
sue cadute, riporta la vittoria. La pazienza è la recisione
di ogni occasione di distrazione e l’attenzione a se stessi.
38. L’operaio della virtù non ha tanto bisogno di cibo,
111 3 d quanto di pazienza. La mancanza del primo gli varrà una
corona, ma la mancanza della seconda lo condurrà alla
perdizione !
39. L’uomo paziente è già morto prima di andare nella
tomba, perché ha fatto della cella la propria tomba. La
pazienza è figlia della speranza e dell’afflizione: chi infat­
ti è senza queste due cose, è schiavo dell’acedia.

33 Cioè Pangelo “psicoforo” che conduce Panima fuori dal corpo.


34 Cioè i demoni.

428
40. Il lottatore di Cristo deve conoscere quali nemici
scacciare da lontano, e a quali permettere di lottare con i u ó a
lui a corpo a corpo35. A volte la lotta procura la corona, e
altre volte il rifiuto della lotta squalifica i lottatori. Non
è possibile insegnare tali cose a parole, perché non abbia­
mo tutti le stesse qualità e lo stesso carattere.
41. Tra gli spiriti maligni ce n’è uno che devi tenere
d’occhio con particolare vigilanza, perché da parte sua ti
fa guerra incessantemente: quando stai in piedi, quando
cammini, quando sei seduto, quando ti muovi, quando ti
corichi, quando preghi e quando dormi36.
42. Tra coloro che si sono messi sulla strada dell’esi-
chia, alcuni si esercitano incessantemente sulle parole:
Davanti a me vedevo sempre il Signore (Sai 15,8). Non sono
tutti dello stesso tipo, infatti, i pani del frumento celeste
che ci danno nutrimento spirituale. Altri meditano le pa­
role: Con la vostra pazienza guadagnerete le vostre anime (Le
21,19); altri: Vegliate e pregate (Mt 26,41); altri: Prepara le
tue opere in vista della tua partenza (Pr 24,27); altri: Mi iu6b

sono umiliato, e mi ha salvato (Sai 114,6); altri: Le sofferen­


ze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futu­
ra (Rm 8,18). Altri infine meditano continuamente: Per
paura che non vi rapisca, e non vi sia chi vi liberi (Sai 49,22).
Tutti corrono, ma uno solo di questi conquista il premio
(iCor 9,24) senza fatica37.

55 L'autore vuol dire che il monaco deve saper discernere quali tra i pensieri
cattivi è opportuno scacciare subito con la preghiera, e a quali permettere L acces­
so al proprio cuore per poterli meglio combattere attraverso un'intima lotta spiri­
tuale, e in particolare con il metodo della “contraddizione" (cf. supra, XXVI/1,51).
36 Secondo lo scoliaste (PG 88,i248A) e PExegesis (p. 498) può trattarsi dello

spirito di fornicazione, o di quello della vanagloria, o ancora di quello dell'acedia.


37 Cf. Exegesis (p. 499): “Uno solo riceve la corona della vittoria senza fati­

ca, colui che realizza uno di questi esercizi con profonda umiltà; oppure chi
persevera fino alla fine senza mai stancarsi; oppure con ‘uno' intende dire il
‘primo', che si esercita sulle parole: Davanti a me vedevo sempre il Signore, per­
ché è alla mia destra, affinché io non vacilli".

429
43- Chi è ormai progredito nell’esichia sta in attività
non solo quando è sveglio, ma anche quando dorme; per
questo alcuni anche durante il sonno insultano i demoni
che si avvicinano a loro e richiamano alla castità le donne
dissolute38.
44. Non attendere visite e non fare preparativi per
esse, perché la condizione di chi pratica l’esichia è asso­
lutamente semplice e libera da ogni vincolo!
43. Nessuno, volendo costruire una torre, ovvero una
cella per l’esichia, intraprende l’opera prima di essersi sedu-
1116 c to a calcolare e valutare con la preghiera se ha le capacità di
portarla a compimento, per evitare che, dopo aver gettato le
fondamenta, egli diventi un oggetto di scherno per i suoi
nemici, e un ostacolo per gli altri operai (cf. Le 14,28-29).
46. Stai bene attento che la dolcezza che viene a visi­
tare la tua anima non ti sia stata per caso propinata a tra­
dimento da qualche medico crudele, o piuttosto da qual­
che perfido ingannatore!
47. Di notte, dedica la maggior parte del tempo alla
preghiera, e una piccola parte alla salmodia; di giorno,
poi, regolati secondo le tue forze. La lettura39, poi, è in
grado di illuminare e di raccogliere non poco la mente,
perché quelle sono parole dello Spirito santo e certamen­
te mettono ordine40 in coloro che le frequentano!
Tu sei un operaio, abbi letture pratiche41: mettere in
pratica queste, infatti, rende inutili le altre letture !

38 Sottinteso: “Che appaiono loro in sogno per tentarli”.


39 Sottinteso: “Della Scrittura”.
40 In greco: “Danno un ritmo, una regola (rytbmizousin)”. L’esicasta ha un

estremo bisogno di questa “regola” della Scrittura - insinua l’autore -, perché,


non vivendo più sottomesso a un anziano, egli rischia di vivere a proprio pia­
cimento, cadendo nel soggettivismo e nell’idiorrhythmia (termine formato dalla
radice del verbo rythmizo), ovvero nella completa indipendenza di vita. Su que­
st’ultimo termine cf. infra, “Glossario”, s.v. “Indipendenza di vita”.
41 Letture, cioè, che possano aiutare a praticare Tesichia. Il passo è citato

in Gregorio Sinaita, Vesichia n.

430
48. Cerca d’illuminare quelle parole salutari42 con le tue
fatiche più che con i libri43! Non accostarti a opere che IIl6 D

hanno un senso allegorico prima di aver acquisito la forza


spirituale: essendo infatti parole oscure, gettano nell’oscu­
rità chi è debole44 !
49. Spesso una sola coppa basta a farci capire il sapo­
re di un vino: ugualmente una sola parola di un esicasta,
a chi è capace di gustarne il sapore, può rivelare tutta la
sua attività e condizione interiore.
50. Non distogliere mai l’occhio della tua anima45 dal­
l’orgoglio, perché non c’è furto che possa danneggiarci
più di questo!
51. Quando esci, risparmia la lingua, perché essa è in
grado di sperperare in un attimo le tue molte fatiche !
52. Sforzati di non essere curioso, perché la curiosità è
in grado di contaminare l’esichia come nessun’altra cosa!
53. Ai tuoi visitatori offri il necessario: intendo sia per
il corpo che per lo spirito. Se sono più sapienti di noi, di­ III7 A
mostriamo la nostra sapienza con il silenzio; se invece
sono fratelli come a noi, apriamo loro con moderazione la

42 Secondo l'insegnamento tradizionale dei padri, le parole della Scrittura


sono medicine che guariscono le ferite delTanima: cf. Basilio di Cesarea, Omelie
sui Salmi, PG 29,209.
4J La tradizione patristica insiste molto sulla necessità di leggere la Scrittura

con la vitavper penetrarne il senso profondo e autentico. Dice Giovanni


Cassiano: “E allora che le Scritture divine ci appaiono con maggiore chiarezza
e, in certo qual modo, ci aprono le loro vene e le loro viscere, appunto quan­
do la nostra esperienza personale non solo avverte, ma ne previene la conoscen­
za, e cosi il senso delle parole ci sarà svelato non da qualche spiegazione, ma
dall’esperienza viva che ne abbiamo fatto" (Conferenze X,ii). Cf. anche Marco
il Monaco, Legge spirituale 87-88. Su questo tema, cf. M. M. Morfino, Leggere
la Bibbia con la vita, Qiqajon, Bose 1990, pp. 103-106.
44 Secondo Scbol. 40, PG 88,1128A-B si tratterebbe dei libri della Scrittura

che richiedono di essere interpretati allegoricamente, come per esempio il


Cantico dei cantici, o dei libri oscuri degli eretici. Cf. M. Van Parys, “L'inter­
pretazione delle Scritture nella ‘Scala'”, pp. 138-139.
45 Cf. supra, XXII,22.

431
porta delle nostre labbra. Comunque, è sempre meglio ri­
tenere che siano superiori a noi.
54. A chi è ancora principiante, avrei voluto vietare
del tutto il lavoro manuale durante le sinassi, ma me l’ha
impedito colui che per tutta la notte portava la sabbia
con il suo mantello46.
55. Come alla dottrina del dogma della santa, increata
e adorabile Trinità si contrappone la dottrina dell’incarna­
zione di una delle persone di questa Trinità degna di ogni
lode - poiché ciò che là è plurale, qui è singolare, e ciò che
là è singolare, qui è plurale47 -, così altre sono le attività
adeguate all’esichia, e altre quelle adeguate all’obbedienza.
1117B 56. Il divino Apostolo dice: Chi mai ha conosciuto il
pensiero del Signore? (Rm 11,35), ma i° dico: chi ha mai
conosciuto la mente di colui che pratica l’esichia nel
corpo e nello spirito?
La potenza del re dipende dalla sua ricchezza e dal
grande numero [dei suoi sudditi]; la potenza dell’esicasta,
dalla ricchezza della sua preghiera!

46 Cf. Vite greche di Pacomio 1,6, dove si racconta che abba Paiamone, per
tener sveglio Pacomio durante le lunghe veglie, gli faceva trasportare della sab­
bia da un luogo a un altro. Cf. supra, XVIII,6.
47 L'autore vuol dire che, mentre nel dogma trinitario si parla di tre perso­

ne (Padre, Figlio e Spirito santo), ma di una sola natura, di una sola energia e
di una sola volontà (quella divina), nel dogma cristologico si parla di una sola
persona (il Figlio), ma di due nature, di due energie e di due volontà (quella
umana e quella divina).

432
Discorso XXVIII
SULLA SANTA E BEATA PREGHIERA,
MADRE DELLE VIRTÙ,
E SUL MODO DI ATTENDERVI
CON LA MENTE E CON IL CORPO

i. La preghiera, nella sua essenza, è intimità e unione


dell’uomo con Dio1; nei suoi effetti, è sostegno2 del
mondo, riconciliazione con Dio, madre delle lacrime e
loro figlia, espiazione dei peccati, ponte per superare le
tentazioni, muro contro le tribolazioni, eliminazione delle II29 B
guerre3, opera degli angeli, nutrimento di tutti gli esseri
incorporei, letizia del mondo futuro, attività senza fine,
fonte di virtù, dispensatrice di grazie, progresso invisibi­
le, alimento dell’anima, illuminazione della mente, scure
contro la disperazione, dimostrazione di speranza, disso­
luzione della tristezza, ricchezza dei monaci e tesoro degli
esicasti, diminuzione della collera, specchio del nostro
progresso, indice del nostro grado di perfezione, manife­
stazione della nostra condizione interiore, rivelazione dei
beni futuri e pegno della gloria. La preghiera, per chi
prega veramente, è corte di giustizia, giudizio e tribunale
del Signore prima del giudizio futuro.

! Cf. supra, “Introduzione”, p. 51.


2 In greco: systasis, “ciò che tiene insieme, che dà consistenza”.
3 Che i demoni muovono contro le anime.

433
2. Alziamoci e ascoltiamo questa regina delle virtù che
grida a gran voce verso di noi dicendo: Venite a me, voi
1129 c tutti affaticati e oppressi, e io vi darò riposo! Prendete il mio
giogo sopra di voi e imparate da me, e troverete riposo per le
vostre anime, e guarigione per le vostre ferite ! Il mio giogo
infatti è dolce, ed è in grado di guarire grandi cadute (cf.
Mt 11,28-30)!
3. Ogni volta che andiamo a presentarci davanti al no­
stro Re e Dio e a conversare con lui, guardiamo di non
metterci in strada se prima non ci siamo preparati, per­
ché non succeda che egli, vedendo da lontano che non ab­
biamo le armi e il vestito adatto per presentarci a corte,
ordini ai suoi servitori e ministri di legarci, di scacciarci
lontano dalla sua presenza (cf. Mt 22,11-12) e di gettar­
ci in faccia le nostre richieste (cf. Sai 34,13), dopo aver­
le strappate.
4. Quando vai a presentarti davanti al Signore, la tuni­
ca della tua anima sia interamente tessuta con il filo - o
piuttosto con il presupposto4 - dell’assenza di rancori,
1 1 2 9 d perché altrimenti non ricaverai alcun profitto dalla tua
preghiera. L’intero tessuto della tua supplica sia senza or­
namenti: il pubblicano e il figlio prodigo infatti si riconci­
liarono con Dio con una sola parola (cf. Le 9,13; 15,21)!
5. Tutti quelli che pregano, certo, stanno in presenza
di Dio, ma in questo ci sono molte varietà e differenze.
Alcuni si rivolgono a lui come a un amico e a un padro­
ne, offrendo ringraziamenti e suppliche, non per se stes­
si, ma per gli altri. Altri si rivolgono a lui per domandar­
gli un aumento di ricchezza e di gloria spirituali, e di con­
fidenza filiale5; altri, per chiedergli di essere compieta-
mente liberati dal loro avversario; altri, per supplicarlo di

4 In greco c’è un gioco di parole tra némati (“filo”) e lémmati (“premessa”).


5 In greco: parrheria.

434
concedere loro una qualche grazia; altri, per chiedergli di
essere perfettamente liberati dalla preoccupazione riguar­
do al loro debito; altri, per ottenere la liberazione dalla
loro prigione; e altri la remissione dei loro crimini.
6. Sul rotolo della nostra supplica, dobbiamo collocare 1132 A
prima di tutto un sincero rendimento di grazie; poi, al se­
condo posto, la confessione dei peccati e un’autentica con­
trizione dell’anima; quindi presentiamo la nostra petizio­
ne al re dell’universo. Questo è il modo migliore di prega­
re, come è stato rivelato da un angelo a uno dei fratelli.
7. Se mai hai dovuto rendere conto delle tue azioni di
fronte a un giudice di questo mondo, non hai bisogno di
altro modello di come stare in preghiera; ma se non sei
mai comparso di persona di fronte a un giudice, né mai
hai assistito al processo di altri, impara almeno dalle sup­
pliche che i malati rivolgono ai medici, quando stanno
per subire un’amputazione o una cauterizzazione.
8. Nella tua preghiera, non usare parole sofisticate, per­
ché spesso il balbettio semplice e ripetitivo dei bambini è
riuscito a intenerire il Padre loro che è nei cieli (cf. Mt 6,9).
9. Non affannarti a parlare molto quando preghi (cf. 1132 B
Mt 6,7), perché la tua mente non si disperda nella ricer­
ca delle parole. Una sola parola da parte del pubblicano
bastò a procurargli la misericordia di Dio (cf. Le 18,13),
e un solo grido di fede salvò il ladrone (cf. Le 23,42-43).
L’uso di molte parole nella preghiera spesso disperde la
mente e la colma di immagini, mentre la ripetizione di
una sola formula spesso la raccoglie6.
10. Quando una parola della tua preghiera ti pervade di
dolcezza o di compunzione, rimani in essa, perché in quel
momento il nostro angelo custode sta pregando con noi.

6 Cf. supra, XV,5i.

435
11. Anche se hai raggiunto la purezza, non avere trop­
pa confidenza nella tua preghiera; accostati piuttosto ad
essa con grande umiltà, e riceverai ancor più confidenza.
12. Anche se hai salito l’intera scala delle virtù, prega per
la remissione dei tuoi peccati, ascoltando Paolo che afferma
1132 c riguardo ai peccatori: Io sono il primo di loro (iTm 1,15)!
13. L’olio e il sale condiscono le pietanze; la castità e
le lacrime danno ali alla preghiera.
14. Se ti sei interamente rivestito di mitezza e spoglia­
to di ogni irascibilità, non faticherai molto a liberare la
tua mente dalla prigionia.
15. Finché non abbiamo raggiunto l’autentica preghie­
ra, somigliamo a coloro che esercitano i bambini a com­
piere i primi passi'.
16. Lotta per elevare il tuo pensiero, o piuttosto per
concentrarlo nelle parole della tua preghiera; e anche se si
stanca e cade - dal momento che è ancora bambino -, tu
riconducilo di nuovo in esse. L’instabilità, infatti, è pro­
pria della mente, ma Dio può rendere stabile ogni cosa!
17. Se sostieni questa lotta incessantemente, verrà ad
abitare anche in te colui che stabilisce i confini al mare
della mente, e durante la tua preghiera gli dirà: Fin qui
giungerai e non oltre (Gb 38,11)!
1 1 3 2 d 18. E impossibile incatenare lo spirito, ma laddove è
presente il creatore dello spirito, tutto gli si sottomette.
19. Se mai hai contemplato il Sole7 8 in modo autentico,
potrai anche conversare con lui come si conviene.
Altrimenti, come puoi rivolgerti a colui che non hai mai
visto senza essere falso ?
20. L’inizio della preghiera consiste nel respingere gli
assalti dei demoni fin dal primo istante con la ripetizione

7 La mente è il “bambino” che compie i primi passi nella preghiera.


8 Cioè Cristo.

436
di una sola formula; il grado intermedio, nel mantenere
fisso il pensiero nelle parole pronunciate e pensate; il
grado perfetto, nell’essere rapiti nel Signore.
21. Altra è la gioia che provano nella preghiera coloro
che vivono in comunità, e altra è quella che provano co­
loro che pregano nell’esichia. La prima, infatti, può esse­ 1133 A
re legata, almeno in piccola parte, a delle immagini, men­
tre la seconda è interamente colma di umiltà9.
22. Se eserciti la mente a non divagare, resterà accan­
to a te anche quando ti metti a tavola; ma se essa vaga li­
beramente, non potrà mai rimanere con te.
23. Quel gran cultore della sublime e perfetta pre­
ghiera afferma: Preferisco dire cinque parole con la mia
mente {iCor 14,19) e ciò che segue. Ma una tale preghie­
ra è estranea alle anime che sono ancora nell’infanzia;
perciò noi, che siamo imperfetti, abbiamo bisogno, in­
sieme alla qualità, anche di una certa quantità di parole:
quest’ultima infatti procura la prima. Sta scritto infatti:
Egli accorda una preghiera pura a chi prega (cf. iSam 2,9)
con impegno, anche se la sua preghiera è contaminata e
detta a fatica.
24. Un conto è l’impurità della preghiera, altro conto
la sua estinzione, altro il suo furto, e altro ancora la sua
macchia: “impurità” è quando stiamo alla presenza di II33 B
Dio e ci rappresentiamo immagini sconvenienti; “estin­
zione” è quando ci lasciamo catturare da preoccupazioni
inutili; “furto” è quando il pensiero si lascia distrarre
senza accorgersene; “macchia” è qualunque assalto del
demonio che ci sorprenda in quel momento.

9 Cf. Diadoco di Fotica, Capitoli 60: “Altra è la gioia iniziale, altra è quel­
la perfetta; la prima non è esente da immaginazione, l’altra possiede la forza
dell’umiltà; tra le due si trova una tristezza benedetta e delle lacrime senza do­
lore”; cf. anche ibid. 73. Sul rifiuto dell’immaginazione nella preghiera cf.
infra, § 44, n. 17.

437
25. Se, al momento della preghiera, non siamo da soli,
formiamoci un atteggiamento di supplica nel nostro inti­
mo; ma se non ci sono persone che ci possano lodare, as­
sumiamo pure un atteggiamento adatto alla preghiera
anche esteriormente. La mente, infatti, in coloro che
sono ancora imperfetti, spesso si conforma al corpo10.
26. Tutti, ma soprattutto coloro che si recano dal re
per ricevere la remissione dei peccati, hanno bisogno di
una profondissima contrizione.
27. Se siamo ancora in prigione, ascoltiamo colui che
dice a Pietro: “Mettiti il grembiule dell’obbedienza e spo­
gliati delle tue volontà (cf. At 12,8), e così nudo presen-
1133 c tati al Signore nella preghiera, invocando soltanto la sua
volontà. Allora riceverai Dio, che tiene il timone della
tua anima e ti guida senza pericolo!”.
28. Una volta risorto dalla morte dell’amore del mondo
e dei piaceri, respingi le preoccupazioni, spogliati dei pen­
sieri e rinnega il corpo, poiché la preghiera non è nient’al­
tro che estraniamento dal mondo visibile e invisibile.
Cosa c’è per me in cielo? Niente. Accanto a te, cosa ho
voluto sulla terra? Niente, se non stare sempre unito a te
nella preghiera senza distrazioni. Alcuni desiderano la
ricchezza, altri la gloria, altri le creature, ma il mio desi­
derio è stare unito a Dio, riporre in lui la speranza della mia
impassibilità (cf. Sai 72,25.28)!
29. La fede dà ali alla preghiera: senza di essa infatti
quest’ultima non può volare in cielo11.
1133 d 30. Noi che siamo ancora schiavi delle passioni, implo­

riamo il Signore con perseveranza. Tutti gli impassibili,


infatti, sono passati dalla schiavitù delle passioni all’im­
passibilità.

10 Cf. supra, XV,76; XXV,54.


11 Cf. supra, XXVII/2,33.

438
31. Anche se il Giudice non teme Dio - essendo lui
stesso Dio -, tuttavia, poiché l’anima rimasta vedova di
lui a causa dei suoi peccati e delle sue cadute gli procura
fastidi, egli le farà giustizia contro il suo avversario, il
corpo, e contro gli spiriti suoi nemici (cf. Le 18,4).
32. Il nostro Dio, da buon mercante, attira al suo
amore coloro che gli sono riconoscenti, esaudendo imme­
diatamente le loro domande; ma le anime ingrate come
cani, le fa stare in preghiera davanti a sé con la fame e la 1136 A
sete di vedere esaudite le loro domande! Il cane ingrato,
infatti, appena ha ricevuto il pane, subito si allontana da
chi glielo ha dato.
33. Quando hai pregato per lungo tempo, non dire che
non hai ottenuto nulla, perché hai già ottenuto qualcosa:
cosa c’è, infatti, di più buono e di più sublime dello stare
unito al Signore e del perseverare incessantemente in
questa unione con lui (cf. Sai 72,28)?
34. Chi sta per essere condannato non teme così tanto
la sentenza della propria condanna, come chi è sollecito
nella preghiera teme il momento in cui si mette a prega­
re12; e così, se ha un po’ di saggezza e di accortezza, con
quel solo pensiero riesce a respingere ogni ricordo di offe­
sa, ogni ira, ogni preoccupazione, ogni fastidio, ogni ango­
scia, ogni sazietà, ogni pensiero cattivo e ogni tentazione.
35. Preparati con la preghiera continua dell’anima al
momento della supplica, e così farai rapidi progressi. 1136 B
36. Ho visto persone, che brillavano nell’obbedienza e
che per quanto potevano custodivano nella mente il ricor­
do di Dio, mettersi a pregare all’improvviso e subito es­
sere in grado di concentrare la propria mente e di versare
torrenti di lacrime: si erano infatti già preparate attraver­
so la santa obbedienza.

12 Cf. supra, VII,i3.

439
37- Alla salmodia cantata insieme a un gran numero di
persone, spesso si accompagnano pensieri che rendono
prigioniera la mente e la distraggono13; non così nella sal­
modia solitaria. Quest’ultima però deve combattere con­
tro l’acedia14, mentre la prima è sostenuta dallo zelo.
38. La guerra dimostra l’amore che il soldato ha per il re,
1136 c e il tempo passato in preghiera rivela l’amore che il monaco
ha per Dio15. La tua preghiera ti manifesterà il tuo stato inte­
riore: i teologi, infatti, la chiamano “specchio del monaco”16.
39. Chi si dedica a una qualsiasi attività e, quando
giunge l’ora della preghiera, continua a occuparsi in essa,
è raggirato dai demoni: quei ladri infatti mirano a rubar­
ci un’ora dopo l’altra!
40. Non rifiutarti di pregare per un’anima, quando ti
viene richiesto, anche se non hai il dono della preghiera.
La fede del richiedente, infatti, spesso salva anche chi
prega per lui con cuore contrito. Non ti esaltare se pre­
ghi per un altro e vieni esaudito, perché è la fede di quel­
la persona che ha operato in modo efficace !
41. Ogni allievo viene interrogato ogni giorno dal pro­
prio maestro sulla lezione da lui appresa; così, a ogni mente,
ogni volta che prega, viene giustamente richiesta la forza
che ha ricevuto da Dio. Perciò bisogna fare attenzione!

Cf. supra, XVIII,5.


14 Cf. supra, XIII,3-5.
15 Cf. Marco il Monaco, Su chi si crede giustificato per le opere 90: “La pre­

ghiera senza distrazione, per chi vi persevera, è segno di amore per Dio.
Trascurarla e lasciarsi distrarre da essa è invece prova di amore del piacere”;
Massimo il Confessore, Capitoli sulla carità II, 1: “Chi ama Dio d’un amore sin­
cero, prega senza lasciarsi distrarre; chi prega senza lasciarsi distrarre, ama Dio
d’un amore sincero” (cf. Schol. 26, PG 88,1146D).
16 Cf. Apoftegmi Nau 96: “Dicevano gli anziani: ‘La preghiera è specchio

del monaco!’”. In generale, sulla preghiera come mezzo per conoscere Porien-
tamento della propria anima, cf. Pseudo-Macario, Omelie (Coll. Ili) 24,5. Per
“teologi” bisogna intendere qui coloro che conoscono Dio per averne fatto
esperienza nella preghiera (cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 60: “Se sei teo­
logo, pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo”).

440
42. Quando riuscirai a pregare con attenzione, sarai 1136 d

subito assalito dalla tentazione dell’ira: è proprio questo,


infatti, che vogliono i nostri nemici! Dobbiamo sempre
praticare ogni virtù - e soprattutto la preghiera - con un
profondo sentimento interiore. L’anima prega con tale
sentimento, quando riesce a dominare l’ira.
43. Ciò che si ottiene con molte preghiere e dopo lungo
tempo, è durevole. Chi possiede in se stesso il Signore,
non dovrà più esprimere l’oggetto della sua preghiera, per­
ché ormai lo Spirito intercede per lui nel suo intimo con
gemiti inesprimibili (cf. Rm 8,26).
44. Non accogliere alcun genere di immaginazione sen­
sibile nella tua preghiera, per non rischiare di andare fuori
di senno17!
45. L’intima certezza dell’esaudimento di ogni nostra
domanda si mostra nella preghiera. L’intima certezza è la 1137 a
liberazione dal dubbio. L’intima certezza è la manifesta­
zione di ciò che non è manifesto priva di ogni esitazione.
46. Sii pieno di misericordia mentre ti dedichi alla preghie­
ra: è in essa infatti che i monaci riceveranno il centuplo; quan­
to al resto, lo riceveranno nel secolo futuro (cf. Mt 19,29).
47. Quando il fuoco viene ad abitare in un cuore, risuscita
la preghiera; e quando questa risorge e ascende in cielo, ecco
che avviene la discesa del fuoco nel cenacolo dell’anima18.

17 Sul rifiuto delPimmaginazione (phantasia) durante la preghiera, cf. Evagrio


Pontico, Sulla preghiera, 114-117: “Se aspiri a vedere il volto del Padre che è
nei cieli, non cercare di costruirti una forma o un’immagine nel tempo della pre­
ghiera. Non desiderare di vedere sensibilmente angeli, potenze o Cristo, per
non esser preso da follia, scambiando il lupo con il pastore e prostrandoti dinan­
zi ai demoni, ostili nemici. La vanagloria è fonte di errore poiché da essa la
mente è spinta a circoscrivere la divinità in immagini e forme. Dirò qui il mio
pensiero, che ho espresso anche ai più giovani: beata la mente che dedicandosi
alla preghiera, raggiunge la perfetta assenza di forma!”; cf. anche ibid.y 66-68;
Diadoco di Fotica, Capitoli 59; 68. Sul tema cf. M. Lot-Borodine, Perche' l'uo­
mo diventi Dio, pp. 119-120.
18 Cf. At 2,3. Lo Spirito santo cioè discende nell’anima, come un tempo

sugli apostoli riuniti nel cenacolo dopo la risurrezione di Cristo.

441
48. Alcuni dicono che la preghiera è più potente del
ricordo della morte; io lodo le due nature in una sola per­
sona19!
49. Un buon cavallo, via via che avanza, si riscalda e
diventa sempre più veloce nella sua corsa. Per corsa qui
1137 b intendo la salmodia, e per cavallo la mente coraggiosa:
essa fiuta la guerra da lontano (Gb 39,25), vi si prepara in
anticipo, e così rimane assolutamente invincibile.
50. E grave strappare l’acqua dalla bocca di un asseta­
to, ma ancor più grave che un’anima che sta pregando
con compunzione si separi dalla sua intensa preghiera
prima di averla portata a termine.
51. Non allontanarti dalla preghiera finché non vedi
che il fuoco e l’acqua20, per divina disposizione, sono ces­
sati, perché forse in tutta la tua vita non avrai più un’oc­
casione simile per ottenere la remissione dei peccati. Chi
ha gustato il sapore della preghiera, spesso riesce a conta­
minare la propria mente con una sola parola pronunciata
in modo disattento, e generalmente, poi, quando si mette
a pregare, non trova più ciò che desidera.
52. Una cosa è vigilare con assiduità sul proprio cuore,
altra cosa è essere - per così dire - “vescovi” del proprio
cuore21, usando la mente ora come guida, ora come
sommo sacerdote che offre a Cristo sacrifici spirituali
(cf. Rm 12,i)22.
1137 c Quando il fuoco santo e celeste23 * 25 visita gli uni - come dice

19 Lette "Le due sostanze in una sola ipostasi”. L’autore usa una formula

teologica tradizionale in senso spirituale, come in XXV, 14.


20 II fuoco della compunzione e l’acqua delle lacrime.
21 Gioco di parole tra epìskopeìn (“sorvegliare”) ed episkopeùsai (“essere ve­
scovo”).
22 Su questo passo e in generale sulla funzione “sacerdotale” della mente,

cf. M. Van Parys, “La liturgie du coeur selon saint Grégoire le Sinaite”, in
Irénikon 51 (1978), pp. 312-337, in particolare p. 332.
25 Cioè lo Spirito santo.

442
uno di quelli che hanno il soprannome di teologi24-, li bru­
cia, perché hanno ancora bisogno di purificazione; mentre
gli altri, li illumina, perché hanno ormai raggiunto la perfe­
zione. Lo stesso Dio, infatti, è chiamato fuoco che consu­
ma (cf. Eb 12,29) e luce che illumina (cf. Gv 1,9)! Alcuni
perciò escono dalla preghiera come da una fornace25, sen­
tendosi alleggeriti da qualche loro sozzura e dalla materia;
altri, invece, vi escono come illuminati da una luce e rive­
stiti del doppio manto dell’umiltà e della gioia24 25 26. Chi infat­
ti esce dalla preghiera senza aver sperimentato questi due
effetti, prega in modo materiale, per non dire alla maniera
dei giudei! Se un corpo si trasforma e muta il proprio modo
di agire quando tocca un altro corpo, com’è possibile che
non si trasformi chi con mani pure tocca il corpo di Dio27 ?
53. Come un re di questa terra, così vediamo il nostro 1137 D
re infinitamente buono elargire doni ai propri soldati: ora
direttamente, ora attraverso un amico, ora attraverso un
servo, o talvolta anche in modo nascosto; ma tutto ciò
nella misura in cui indossiamo la tunica dell’umiltà.

24 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 9,2: “Il sole rivela la debolezza del­
l’occhio e la visita di Dio rivela la malattia dell’anima. Per gli uni è una luce,
per gli altri un fuoco, secondo la natura profonda e la qualità di ciascuno”; e
anche ibid. 40,36.
25 Cf. supra, XVIII,7.
26 Le stesse immagini del fuoco e della luce applicate alla preghiera si ritro­

vano in Gregorio Sinaita, Utilissimi capitoli 113: “Per i principianti la preghie­


ra è come un fuoco di letizia che sale dal cuore; per i perfetti, come profuma­
ta luce operante”.
27 Questa espressione estremamente ardita, più che come un riferimento al­

l’eucaristia - così intendono molti sulla base di Schol. 23, PG 88,11450 -, va


forse compresa in senso metaforico, nel quadro della sensibilità spirituale: se è
vero cioè che, in tutta l’opera, l’autore afferma l’esistenza di una dimensione
“sensibile” che si colloca a un livello più profondo della sensibilità corporea (cf.
supra, XXVI/1,17), “toccare il corpo di Dio” può indicare l’esperienza di un in­
timo contatto con Dio che il monaco sperimenta nella propria preghiera attraver­
so il senso spirituale: tale intima esperienza però si riverbera anche all’esterno, al
punto da trasfigurare visibilmente l’intero corpo della persona (cf. infra,
XXX,io. 11). L’espressione sottolinea bene anche il carattere fortemente dialogi­
co e personale che la preghiera riveste agli occhi del nostro autore (cf. supra, § 1).

443
54- Come un re di questa terra sarebbe alquanto infa­
stidito al vedere qualcuno che, stando alla sua presenza,
distoglie da lui il proprio sguardo e parla con i nemici del
1140 a proprio sovrano, così il Signore è disgustato al vedere chi
accoglie i pensieri impuri mentre sta in preghiera.
55. Quando viene il cane, scaccialo con la tua arma28;
e, per quanto continui ad abbaiare, tu non cedere.
56. Chiedi con l’afflizione, cerca con l’obbedienza e
bussa con la pazienza, perché chiunque chiede così riceve, e
chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (Mt 7,8 par.). Nella
tua preghiera, sta’ attento a non intercedere con leggerez­
za per una donna, per non essere derubato da destra29.
57. Non voler confessare i tuoi peccati carnali specifi­
cando in dettaglio quali sono, per non tenderti una trap­
pola da solo30.
58. Il tempo della preghiera non diventi per te un’oc­
casione per riflettere su affari importanti e necessari, o
anche su questioni spirituali; altrimenti ti lasceresti ruba­
re la cosa più importante !
59. Chi tiene saldamente in pugno il bastone della pre­
ghiera, non inciamperà; o se mai gli capita, non cadrà in
1140 b modo definitivo. La preghiera, infatti, è una pia tirannia
esercitata su Dio. La sua utilità ci è dimostrata dagli osta­
coli che i demoni ci frappongono durante le sinassi, e il
suo frutto, dalla sconfitta del nemico. Da questo - dice in­
fatti il salmista - so che mi hai voluto bene, se il mio nemi­
co non godrà di me (Sai 40,12) nel tempo della guerra. Ho
gridato - dice - con tutto il mio cuore (Sai 118,145), cioè

28 Ovvero: “Quando il demonio viene a tentarti, scaccialo con la preghiera”.


29 Cioè perché il demonio non ti inganni, rubandoti il frutto della tua pre­
ghiera, dietro un’apparenza di bene.
30 Cf. Marco il Monaco, Su chi si crede giustificato per le opere 139: “I pecca­

ti passati, se ricordati in dettaglio, nuocciono a chi è pieno di speranza, perché


se riemergono con dolore lo allontanano dalla speranza, e se vengono rappresen­
tati nella mente senza dolore, gli procurano di nuovo l’antica macchia”.

444
con la bocca, con l’anima e con lo spirito, perché laddove
gli ultimi due sono riuniti insieme, Dio è in mezzo a loro
(cf. Mt 18,20).
60. Non siamo tutti uguali, né in ciò che riguarda il
corpo, né in ciò che riguarda lo spirito. Ad alcuni infatti
giova una salmodia rapida, ad altri una più lenta: i primi
affermano di combattere così contro i pensieri che ridu­
cono in prigionia la mente, gli altri contro l’ignoranza31.
61. Se preghi incessantemente il re contro i tuoi nemi­
ci, quando ti assalgono, fatti coraggio: non dovrai fatica­ 1140 C
re molto, perché essi si allontaneranno subito da soli;
quei maledetti, infatti, non vogliono vederti ricevere una
corona combattendo contro di loro con la preghiera; e
oltre a questo, fuggiranno perché flagellati dalla tua pre­
ghiera, come si fugge davanti al fuoco.
62. Da’ prova di tutto il tuo ardimento, e avrai Dio
stesso come maestro di preghiera!
63. Non è possibile imparare a vedere attraverso le pa­
role, perché ciò dipende dalla natura, né è possibile ap­
prendere la bellezza della preghiera dall’insegnamento di
un altro, perché essa ha come proprio maestro Dio, che in­
segna all’uomo la scienza (Sai 93,10), accorda la preghiera a
chi prega e benedice gli anni dei giusti (iSam 2,9)32. Amen.

31 Salmeggiando lentamente possono infatti comprendere il significato delle


parole cantate.
32 Cf. anche Evagrio Pontico, Sulla preghiera 58.

445
Discorso XXIX
SULL’IMPASSIBILITÀ,
CHE È IMITATRICE DI DIO
E CIELO TERRESTRE,
PERFEZIONE E RISURREZIONE DELL’ANIMA
PRIMA DELLA COMUNE RISURREZIONE

1. Ecco che anche noi, che siamo immersi nella fossa 1148 b

profondissima dell’ignoranza, nelle passioni tenebrose e


nell’ombra della morte di questo corpo (cf. Le 1,79), con
grande audacia cominciamo a parlare di questo cielo ter­
restre1. Come infatti le stelle sono la bellezza del firma­
mento, le virtù sono l’ornamento dell’impassibilità. Io
credo, del resto, che l’impassibilità non sia nient’altro
che il cielo della mente penetrato nell’intimo del cuore2,
che fa ritenere ormai tutte le trappole dei demoni come
ridicoli scherzi.
2. E veramente impassibile, e tale è riconosciuto, colui
che, dopo aver reso incorruttibile la propria carne, eleva­
to la propria mente al di sopra delle cose create, sotto­
messo ad essa tutti i propri sensi e stabilito la propria
anima alla presenza del Signore, resta costantemente prò-

1Cioè delPimpassibilità.
2Climaco anticipa qui in nuce la nozione di “discesa della mente nel cuore”
che sarà centrale nella spiritualità esicastica del XIV secolo. Cf. Gregorio
Palamas, Triadi 11,2,27.

447
teso verso di lui in modo superiore alle proprie forze3.
1148 c Alcuni definiscono l’impassibilità una risurrezione dell’a­
nima che precede quella del corpo. Altri dicono che è una
perfetta conoscenza di Dio, inferiore soltanto a quella
degli angeli.
3. Questa perfetta, eppur sempre imperfetta, perfezio­
ne dei perfetti4 5 - come mi ha raccontato una persona che
l’aveva gustata - santifica e distacca la mente dalle cose
materiali, al punto che essa, oramai, dopo aver raggiunto
questo porto celeste, vive la maggior parte della sua vita
carnale come se fosse stata rapita in cielo, elevandosi
nella contemplazione. A questo proposito, dice giusta­
mente da qualche parte un uomo che ne aveva fatto espe­
rienza: Ipotenti di Dio sono stati molto elevati da terra (Sai
46,10)! E sappiamo che accadeva proprio così anche a
quell’egiziano che, quando pregava insieme a qualcuno,
evitava di tenere le braccia stese per lungo tempo3.

3
Cf. supra, XXVI/2,37. Sulla concezione dell’impassibilità in Climaco si
veda la lunga Osservazione di Rader, in PG 88,1173-1178, in cui l’interprete si
sente in dovere di rispondere alle accuse di “stoicismo” mosse a Climaco da J.
Gerson e cerca di spiegare l’autentico signicato che l’impassibilità rivestiva per
il Sbraita; a differenza di quanto sostiene Rader, però, Dionigi il Certosino non
condivideva l’opinione di Gerson: cf. Dionigi il Certosino, Expositzo librorum
lohannis Clìmacì, pp. 482-486. Cf. anche infra, “Glossario”, s.v. “Impassibilità”.
4 Sul rapporto tra impassibilità e perfezione, cf. Ignazio e Callisto

Xantopouloi, Metodo e canone rigoroso 87: “Anche sant’Efrem a proposito del­


l’impassibilità e della perfezione dichiara: 'Gli impassibili, protesi insaziabil­
mente verso ciò che è sommamente desiderabile, fanno della perfezione una
condizione che non ha fine: poiché i beni eterni non hanno fine’; e ancora:
‘L’impassibilità è perfetta quando la si misura sulla capacità umana; ma è im­
perfetta in quanto sempre supera se stessa con ciò che giorno per giorno ag­
giunge e perché si eleva continuamente con le ascensioni a Dio’”. La citazione
di Efrem, che può ben essere la fonte che ha ispirato Climaco (cf. anche Schol.
1-2, PG 88,ii52C-D), non è rintracciabile nel corpus greco delle opere attri­
buite a questo autore.
5 Cf. Apoftegmì, Titoes 1: “Del padre Titoes raccontavano che se non fa­

ceva presto ad abbassare le braccia quando stava in preghiera, la sua mente era
rapita in alto. Perciò se accadeva che dei fratelli pregassero insieme a lui, si af­
frettava ad abbassare le braccia, perché la sua mente non venisse rapita e ri­
manesse a lungo in tale stato”.

448
4- C’è chi è impassibile, e c’è chi è più impassibile del­ 1148 D
l’impassibile! Il primo odia con forza il male, ma il secon­
do si arricchisce insaziabilmente di virtù. Anche la purez­
za è chiamata impassibilità6, e a ragione, perché essa è il
preludio della comune risurrezione e dell’incorruttibilità
dei corpi corruttibili.
5. Diede prova d’impassibilità colui che disse:
“Possiedo il pensiero del Signore!” (cf. iCor 2,16). Diede
prova d’impassibilità quell’egiziano che affermava di non
temere più il Signore7. Diede prova d’impassibilità colui
che pregò perché gli fossero restituite le passioni8. E chi
mai, prima di giungere allo splendore della vita futura, fu
onorato dell’impassibilità come quel siriano? Se infatti
l’illustre profeta David disse al Signore: Permettimi ài ri­
prendere fiato! (Sai 38,14), quell’atleta di Dio disse inve­ II49 A

ce: “Ritira i flutti della tua grazia!”9.

6 Cf. ad esempio Efrem il Siro, Parenesi ai monaci d'Egitto 36.


7 Cf. Apoftegmiy Antonio 32: “Il padre Antonio disse: ‘Io non temo più
Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore (iGv 4,18)’”.
8 Cf. ibid. Giovanni Nano 13: “Il padre Poemen raccontava che il padre
t
Giovanni Nano aveva pregato Dio e furono allontanate da lui le passioni, e fu
liberato da ogni sollecitudine. Si recò allora da un anziano e gli disse: ‘Mi trovo
nelTesichia, e non devo sostenere nessuna lotta*. Gli disse il vecchio: ‘Va* e prega
Dio perché sopraggiunga su di te la lotta e tu tragga quella contrizione e umil­
tà che avevi prima. E attraverso la lotta che Panima progredisce! *. L’altro pregò
Dio per questo e, quando giunse la lotta, non pregò più perché la allontanasse
da lui. Chiedeva invece: ‘Dammi, Signore, pazienza nei combattimenti!’”.
9 Cf. Efrem il Siro, Discorso ascetico , p. 182: “Ti supplico, Cristo salvatore

del mondo, volgi il tuo sguardo su di me e liberami dalla moltitudine delle mie
iniquità. Ho disprezzato tutti i doni che mi hai elargito fin dalla mia giovinez­
za; perché, pur essendo ignorante e stupido, tu mi hai reso vaso ripieno di scien­
za e di sapienza. Hai moltiplicato la tua grazia verso di me, ed essa ha saziato
la mia fame ed estinto la mia sete, ha illuminato la mia mente tenebrosa e rac­
colto i miei pensieri distogliendoli dall’errore. Ora supplico e prego la tua inef­
fabile bontà, confessando la mia debolezza: ritira da me i flutti di questa tua
grazia e conservala per me in quel giorno, e non ti adirare con me, o tu che
sei infinitamente buono: ho osato farti questa richiesta sconsiderata perché
non riesco a sostenere i flutti di questa grazia”. L’accostamento con Sai 38,14
è dovuto al fatto che entrambe le citazioni iniziano in greco con la parola ànes
(“lascia”, “permetti”, ma anche “placa”, “calma”). Cf. anche Gregorio di Nissa,
Encomio di sant'Efrem , PG 46,836.

449
6. L’anima possiede l’impassibilità quando per essa le
virtù sono diventate così naturali come i piaceri per chi è
sottomesso alle passioni.
7. Se l’estremo limite dell’ingordigia è di sforzarsi di
mangiare anche senza appetito, l’estremo limite della
temperanza sarà certamente di dominare l’istinto natura­
le della fame anche quando è senza colpa.
8. Se l’estremo limite della lussuria è di infiammarsi di
desiderio per le bestie senza ragione e senz’anima, l’e­
stremo limite della purezza sarà di avere verso tutti gli
stessi sentimenti che si hanno verso gli esseri inanimati.
9. Se il colmo dell’avarizia è di non cessare mai di accu­
mulare e di non saziarsi mai, il colmo della rinuncia al pos­
sesso sarà di non risparmiare neppure il proprio corpo10.
10. Se il colmo dell’acedia è di non conservare la pa­
zienza neppure nella completa tranquillità, il colmo della
pazienza sarà di credere di godere della tranquillità anche
in mezzo alla tribolazione.
1149 b 11. Se l’abisso dell’ira è di infuriarsi anche quando non
c’è nessuno, l’abisso della mansuetudine sarà di custodi­
re la stessa calma sia in presenza di chi ci insulta sia in
sua assenza.
12. Se il culmine della vanagloria è di fingere atti ipo­
criti anche quando non c’è nessuno che ci possa lodare,
sarà segno della virtù contraria che la nostra mente non
si lasci catturare neanche in presenza di chi ci loda.
13. Se è segno di perdizione, ovvero di superbia, van­
tarsi anche in una condizione miserabile, sarà indizio di
salutare umiltà custodire un pensiero umile anche nelle
imprese e nei successi più grandi.
14. Se è segno di completa sottomissione alle passioni ce­
dere subito a tutte le suggestioni dei demoni, ritengo che sia

10 Cf. supra, XVI,4.

430
indizio certo della santa impassibilità poter dire: “Quando
il Maligno si allontana da me, io non me ne accorgo (Sai 1149 C
100,4), né so come sia venuto, né perché, né come se ne sia
andato; anzi rimango completamente insensibile a tali cose,
perché sono interamente unito a Dio, e sempre lo sarò!”.
15. Colui che ha meritato una tale condizione pur tro­
vandosi ancora nella carne, diventa dimora di Dio, il quale
lo guida in ogni sua parola, azione e pensiero. Perciò, per
illuminazione, percepisce ormai la volontà di Dio come una
voce interiore e, diventato superiore a ogni umano inse­
gnamento, dice: “Quando verrò e comparirò davanti al volto
di Dio? (Sai 41,3), giacché non riesco più a sostenere la po­ 1149 D
tenza del desiderio, ma aspiro a quella bellezza immortale
che tu mi avevi dato prima di questo mio corpo di
fango!”11. Ma perché dilungarci? L’impassibile, non vive
più lui stesso, ma in lui vive Cristo (cf. Gal 2,20), come
disse colui che aveva combattuto la buona battaglia, termi­
nato la corsa e conservato la fede (cf. 2Tm 4,7).
16. Il diadema di un re non è formato da una sola
gemma; così l’impassibilità non è perfetta se trascuriamo
una sola virtù, quale che essa sia.
L’impassibilità devi intenderla come il palazzo del re ce­
leste che è nei cieli; le “molte dimore” (cf. Gv 14,2) come
le abitazioni che sono all’interno della città; e la remissione 1152 A
dei peccati come il muro di questa Gerusalemme celeste.
17. Corriamo, fratelli, corriamo, per poter entrare nella
camera nuziale del palazzo! Se poi, per grande sventura,
siamo impediti da qualche fardello o predisposizione pas­
sionale o dalla mancanza di tempo, cerchiamo almeno di
raggiungere una di quelle dimore che sono intorno alla ca­
mera nuziale; e se poi siamo ancora troppo deboli e ci ven-

11 Si ricordi che, secondo i padri, il corpo mortale fu assunto dall’uomo sol­


tanto dopo il peccato; cf. supra, n. 59 a XV,76.

451
gono meno le forze, sforziamoci almeno in tutti i modi di
entrare all’interno delle mura, perché chi prima della fine
non vi sarà entrato, o meglio non le avrà scavalcate, andrà
ad alloggiare nel deserto dei demoni e delle passioni! Per
questo qualcuno pregava dicendo: Con il mio Dio scaval­
cherò il muro (Sai 17,30); e un altro, come in persona di
Dio, dice: Non sono forse i vostri peccati che creano una se­
parazione tra voi e me? (Is 59,2).
18. Abbattiamo, miei cari, questo muro di separazione
che sta frammezzo (Ef 2,14) e che abbiamo sventar atamen-
1152b te costruito con la nostra disobbedienza! Riceviamo così
la remissione del nostro debito, perché all’inferno non c’è
chi possa rimetterci i debiti!
19. Dedichiamoci a quest’ozio12, una buona volta, fra­
telli, giacché di noi sta scritto che siamo degli “oziosi”13!
Non possiamo più accampare come scuse le cadute, il
tempo o il fardello dei peccati. A quanti, infatti, hanno ac­
colto il Signore, per mezzo di un lavacro di rigenerazione
(cf. Tt 3,3), egli ha dato il potere di diventare figli di Dio
(Gv 1,12), dicendo: Fermatevi, e riconoscete che io sono Dio
(Sai 43,11), ovvero l’Impassibilità. A lui la gloria nei seco­
li dei secoli! Amen.
1152 c La beata impassibilità solleva la povera mente da terra e
rialza il misero dal letamaio delle passioni, ma la carità,
degna di ogni lode, lo fa sedere tra i principi - cioè gli ange­
li - tra i principi del popolo del Signore (cf. Sai 112,7-8)!

12 In greco: scholdsomen\ ovvero: sforziamoci di lasciar da parte tutto ciò che


ci impedisce di aderire interamente a Dio, di vacare Deo, di “essere liberi per Dio”.
13 In greco: scholastai. C’è qui un’allusione a Es 5,17, dove, in bocca al fa­

raone, troviamo le parole: “Voi state in ozio {scholdseté)ì siete degli oziosi (.sco-
lastat) e dite: innalzeremo preghiere al Signore nostro Dio!”, parole che i padri
interpretano collegandole a Sai 45,11 (vedi infra): per conoscere e contempla­
re Dio è necessario essere liberi da ogni preoccupazione mondana; cf. Eusebio
di Cesarea, Commento ai Salmi 45,11; Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, PG
29,429A; Didimo il Cieco, Sui Salmi fr. 483.

45 2
Discorso XXX
SUL VINCOLO FORMATO
DALLA SANTA TRINITÀ DELLE VIRTÙ,
CIOÈ DALLA CARITÀ,
DALLA SPERANZA E DALLA FEDE

1. Dopo tutto quel che abbiamo detto, rimangono dun­


que queste tre cose, che insieme costituiscono il vincolo
che lega e tiene unito tutto il resto: la fede, la speranza e 1156 a

la carità, ma di tutte più grande è la carità (iCor 13,13),


perché è il nome stesso di Dio (cf. iGv 4,8.16). Io però
- per quel tanto che mi è dato di comprendere - conside­
ro la prima come il raggio, la seconda come la luce, e la
terza come il disco solare: tutte insieme formano un
unico riverbero luminoso e un solo splendore1! La fede,
infatti, può compiere e realizzare ogni cosa (cf. Me 9,23;
Mt 17,20); la speranza è circondata dalla misericordia di
Dio, che le concede di non essere mai confusa (cf. Rm
5,5); la carità, poi, non viene mai meno (cf. iCor 13,8)2,
né arresta mai la sua corsa, e quando ferisce qualcuno non
permette che abbia riposo dalla sua beata follia!
2. Chiunque voglia parlare della carità, deve comincia­
re a parlare di Dio, ma spiegare Dio a parole è assai ri-

1 L’immagine del sole, del raggio e della luce è spesso utilizzata dai padri per
rappresentare Punita delle tre persone della Trinità: cf. Atanasio di Alessandria,
A Serapione 1,19; Giovanni Damasceno, Esposizione della fede 8,293-297.
2 Sull’interpretazione di questo versetto cf. supra, VI, 16.

453
schioso e pericoloso per chi non faccia attenzione! Gli
angeli sanno parlare della carità, ma anch’essi nella misu­
ra in cui sono illuminati da Dio. La carità è Dio stesso
(cf. iGv 4,8.16), e chi pretendesse di definirlo sarebbe
come un cieco che volesse contare i granelli di sabbia
degli abissi marini!
1x56 b 3. La carità nella sua essenza è somiglianza con Dio -

nella misura in cui ciò è possibile a dei mortali nei suoi


effetti3, è ebbrezza dell’anima; nelle sue proprietà, è sor­
gente di fede, abisso di pazienza, oceano di umiltà.
4. La carità è innanzitutto ripudio di qualunque pensie­
ro d’inimicizia, se è vero che la carità non tiene conto del
male (iCor 13,5). La carità, l’impassibilità e l’adozione a
figli si distinguono soltanto di nome: come la luce, il fuoco
e la fiamma concorrono a un unico effetto, lo stesso devi
pensare di queste4.
Nella misura in cui manca la carità, è presente il timo­
re; chi infatti è senza timore o è ripieno di carità (cf. 1 Gv
4,18), oppure è morto nell’anima!
5. Non c’è niente di sconveniente se dalle cose umane
prendiamo delle immagini per rappresentare il desiderio,
il timore, il fervore, lo zelo, il servizio e l’amore di Dio.
1156 c Beato chi prova per Dio un desiderio così grande quan­
to quello di un folle innamorato per la propria amata5!

3 Per la stessa distinzione tra “essenza” ed “effetti” cf. $upray XXV, 1-2.
4 L’autore sembra qui rinunciare a stabilire un preciso rapporto “genealogi­
co” tra la carità e l’impassibilità, al contrario di Evagrio che ritiene la carità
“figlia dell’impassibilità” (Trattatopratico 81; ma cf. Id., A TLulogìo 23: “La ca­
rità è il vincolo dell’impassibilità”). In altri passi, però, Climaco sembra piut­
tosto condividere l’opinione dello Pseudo-Macario (cf. Omelie [Coll. II], 45,7:
“La carità, essendo salda e incrollabile, rende impassibili e irremovibili quanti
la desiderano”) e di Diadoco di Fotica (Capitoli 89: “Nessun’altra virtù, se non
la carità, è in grado di procurare all'anima l’impassibilità”), secondo cui è la ca­
rità stessa a rendere impassibili (cf. supra, VI,16; XXVI/3,55). Della stessa opi­
nione è anche Massimo il Confessore, Capitoli sulla carità III,30.
5 Per l’amore di Dio come “amore passionale” (èros), cf. supra, V,6, n. 12 e

“Introduzione”, pp. 47-53.

454
Beato chi teme il Signore quanto i condannati temono
il loro giudice!
Beato chi è animato da un così grande fervore in ciò
che veramente conta, quanto il servo fedele nei confron­
ti del proprio padrone !
Beato chi è diventato così pieno di zelo6 nelle virtù
quanto i mariti gelosi nel vegliare sulle proprie mogli!
Beato chi sta in preghiera davanti al Signore come i
servitori davanti al re!
Beato chi si sforza continuamente di onorare il Signore
come si onorano gli uomini!
Una madre che allatta il proprio bambino non lo tiene
così stretto a sé quanto il figlio della carità si tiene stret­
to al Signore in ogni momento!
6. Chi è veramente innamorato si rappresenta conti­
nuamente il volto della persona amata e l’abbraccia den- 1 1 5 6 d
tro di sé con grande gioia: egli non può acquietare il pro­
prio desiderio neanche durante il sonno, ma anche allora
si intrattiene con la persona amata. Quel che avviene nel­
l’amore dei corpi, avviene anche in quello spirituale!
7. Un tale, che era stato ferito da un simile amore, di­
ceva di sé - e sono parole mirabili Io dormo per neces­
sità di natura, ma il mio cuore veglia per sovrabbondanza
di amore (cf. Ct 5,2)!
8. Devi notare, mio eccellente amico, che allorché l’a­
nima, come una cerva, ha ucciso i serpenti velenosi7, si
consuma di desiderio e si strugge (Sai 83,2) per il Signore,
colpita dal fuoco della carità come da un veleno.
9. Gli effetti della fame sono in qualche modo nasco- 1157 a
sti e non si notano, mentre quelli della sete sono così in-

6 In greco: zélos, che significa sia “zelo”, “fervore” sia “gelosia”.


7 Si tratta dell’anima che, attraverso Pumiltà (questo il significato della
“cerva spirituale”: cf. supra, XXV,9), ha raggiunto l’impassibilità (i “serpenti
velenosi” sono le passioni).

455
tensi ed evidenti, che rivelano a tutti l’ardore del deside­
rio. Appunto per questo colui che desidera Dio dice: La
mìa anima ha sete del Dio potente e vivente (Sai 41,3).
10. Se il volto della persona amata è in grado di pro­
durre un cambiamento evidente in tutto il nostro essere
e di renderci radiosi e pieni di gioia allontanando la tri­
stezza, che cosa non farà il volto del Signore, quando
verrà a visitare invisibilmente un’anima pura?
11. Il timore, quando penetra nell’intimo senso dell’a­
nima, è capace di dissolvere e di consumare le impurità
della carne. Dice infatti il salmista: Trafiggi con il timore la
mia carne (Sai 118,120). La santa carità, invece, talvolta
può divorare alcuni, secondo la parola di colui che dice:
Mi hai rapito il cuore, mi hai rapito il cuore! (Ct 5,9); altre
volte può riempire di gioia e di luce, come dice: Il mio
1157 b cuore ha sperato in lui ed è stato aiutato, e la mia carne è ri­
fiorita (Sai 27,7); e ancora: Quando il cuore si rallegra, il
volto fiorisce (Pr 15,13).
Quando dunque l’intero essere dell’uomo si è, per così
dire, mescolato all’amore di Dio8, allora lo splendore della
sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore del
corpo, come in uno specchio: questa è la gloria di cui fu
coronato il grande Mosè, che vide Dio (cf. Es 34,29)!
Coloro che hanno raggiunto una tale condizione, che li
rende pari agli angeli, spesso si dimenticano del nutri­
mento del proprio corpo, e credo che molte volte non ne
provino neanche appetito. Non c’è da farne meraviglia,
se è vero che spesso un forte desiderio contrario riesce a
scacciare il desiderio del cibo.
Credo che il corpo di questi uomini incorruttibili
ormai non possa neanche più ammalarsi facilmente, per-

8 Per quest’espressione, tipica del vocabolario dell’esperienza mistica, cf.


Pseudo-Macario, Omelie (Coll. II) 1,3; 5,7; 18,10; 27,17; 44,9.

456
ché è diventato come incorruttibile, essendo stato purifi­
cato dalla fiamma della castità, che ha spento l’altra fiam­
ma. Credo che ormai neanche il cibo che mangiano pro­
curi loro il minimo piacere, perché come l’acqua sotterra­
nea nutre le radici delle piante, così il fuoco celeste nutre 1157 C
le loro anime9.
12. La crescita del timore è l’inizio della carità, e la pu­
rezza perfetta è il fondamento della teologia10. Colui che
ha perfettamente unito a Dio i propri sensi, è da lui ini­
ziato al mistero delle sue parole; ma finché i sensi non si
sono uniti a lui, è difficile e rischioso parlare di Dio.
13. La Parola che dimora nell’anima la rende perfetta­
mente pura (cf. Gv 15,3) e con la sua presenza mette a
morte la morte11; e morta questa, il discepolo che vuole
apprendere la teologia riceve l’illuminazione. La parola
del Signore, che procede da Dio Padre, è pura e rimane
per sempre (cf. Sai 11,7; 18,10). Ma chi non ha conosciu­
to Dio parla per congettura.

9 La trasfigurazione del corpo dei santi già nella loro vita terrena è al cen­

tro della concezione antropologica del nostro autore, fedele anche in questo al­
lenterà tradizione patristica; come ha ben sottolineato Chryssavgis: “La teolo­
gia ascetica di Giovanni Climaco fa un tutt’uno con la sua teologia dogmatica.
Seguendo la tradizione patristica, egli lega strettamente fede e comportamen­
to morale. Egli sa molto bene che la corruttibilità è un risultato della caduta
dell’uomo e, per quanto tecnico possa sembrare, questo punto dogmatico è vi­
tale per la spiritualità. Significa che nella misura in cui l’uomo supera il pecca­
to, raggiungendo la deificazione attraverso la grazia, corruttibilità e malattia
possono diminuire ... L’esempio classico nella letteratura patristica è la Vita di
Antonio in cui Atanasio dice che il corpo di Antonio non era deteriorato dopo
ventanni di austera ascesi e che la sua salute fu in buone condizioni fino alla
fine della sua vita. L’effetto della grazia di Dio risplendeva letteralmente sul
volto di Antonio: ‘Poiché la sua anima era tranquilla e senza turbamento, lo
erano anche i suoi sensi esteriori: anche il suo volto era radioso come per la
gioia dell’anima (Vita di Antonio 67)” (J. Chryssavgis, Ascent to Heaven.
The Theology of thè Human Person according to Saint John of thè Laddert Holy
Cross Orthodox Press, Brookline 1989, p. 49). Cf. anche Vite greche ài
Pacomio 11,88.
10 Cioè della conoscenza di Dio, non intellettuale ma esperienziale.
11 Cioè le passioni mortifere.

457
i4- La purezza può fare di un discepolo un teologo in
grado di afferrare da solo i dogmi della Trinità12.
15. Chi ama il Signore, ha amato prima il proprio fra­
tello: il secondo amore infatti è la prova del primo (cf.
1x57 d iGv 4,19-21). Chi ama il suo prossimo, non potrà mai
sopportare coloro che parlano male di lui, anzi li fuggirà
come il fuoco. Chi dice di amare il Signore e si adira con
il proprio fratello, è simile a chi sogna di correre!
16. La forza della carità è la speranza: grazie a essa in­
fatti attendiamo la ricompensa della carità. La speranza è
una ricchezza di beni non ancora visibili. La speranza è una
certezza indubitabile di un tesoro non ancora posseduto. È
sollievo dalle fatiche, porta della carità, arma contro la di-
1160 a sperazione, immagine di ciò che non è ancora presente. La

mancanza di speranza annienta la carità: a essa sono legate


le nostre fatiche, da essa sono sostenuti i nostri travagli, e
grazie ad essa siamo circondati dalla misericordia di Dio.
17. Il monaco pieno di speranza elimina l’acedia, scac­
ciandola con la spada della propria speranza. La speranza è
generata dall’esperienza dei doni di Dio: chi infatti non li ha
sperimentati non può mai rimanere senza dubbi. L’ira dissi­
pa la speranza, perché se quest’ultima, come dice la Scrit­
tura, non è mai causa di vergogna (cf. Rm 5,5), l’uomo ira­
condo invece non si comporta in modo decoroso (cf. Pr 11,25).
18. La carità procura il dono della profezia; la carità
opera miracoli; la carità è un abisso d’illuminazione; la
carità è una sorgente di fuoco: quanto più zampilla, tanto
più infiamma l’assetato; la carità è la condizione degli an­
geli; la carità è un progresso che continua per l’eternità!
“Dicci, o tu che sei la più bella tra le virtù, dove fai

12 C’è un probabile riferimento all’evangelista Giovanni, che, da discepolo


del Signore quale era, diventò “il teologo” per antonomasia - secondo il tito­
lo che gli viene attribuito in oriente -, in grado di scrutare i misteri ineffabili
della Trinità.

458
pascolare le tue pecore e dove riposi a mezzogiorno (cf.
Ct 1,7). Illuminaci, dissetaci, guidaci, prendici per mano,
perché ormai vogliamo salire fino a te: tu infatti domini
su tutto ! Ora hai ferito la mia anima, e non riesco a con­
tenere la tua fiamma; perciò continuerò a cantare le tue
lodi: Tu domìni la violenza del mare, calmi Vagitazione dei
suoi flutti e la fai morire. Tu umili il superbo come un fe­
rito; con il tuo braccio potente hai disperso i tuoi nemici (Sai 1160 c
88,10-11)13 e liberi dalla guerra i tuoi amanti. Desidero
ardentemente sapere che aspetto avevi quando Giacobbe
ti vide sopra la scala (cf. Gen 28,12); spiegami, ti prego,
come si può compiere una tale ascensione! Quali sono i
gradini che formano insieme questa scala e che il tuo
amante ha disposto come altrettante ascensioni nel proprio
cuore (cf. Sai 83,6) ? Ho anche sete di conoscere quale sia
il loro numero e il tempo necessario per compiere la sali­
ta! Colui che ti vide e lottò con te14 ci ha riferito quali
guide ci avrebbero preso per mano15, ma non ha voluto,
o meglio non ha potuto, illuminarci su nient’altro”.
E lei - anche se credo che farei meglio a dire: lui16 -,
quella regina, apparendomi come se scendesse dal cielo
mi disse parlandomi agli orecchi deH’anima: “Finché non iióod
ti sarai liberato, o mio amante, dalla materia, non potrai
scoprire qual è la mia bellezza; ma questa scala ti insegni
la disposizione spirituale delle virtù. Io sto sulla cima di
questa scala, come disse quel mio grande iniziato: Ora ri­
mangono dunque queste tre cose: fede speranza e carità, ma
di tutte più grande è la carità (iCor 13,13)!”.

13 II salmo è evidentemente inteso in senso allegorico: la carità è in grado


di dominare e calmare le passioni e di mettere in fuga i demoni tentatori.
u Cioè Giacobbe, che lottò con Dio lungo il fiume Iabbok: cf. Gen 32,25-

31. Si noti che l’autore - come fa notare lui stesso un poco più oltre - ha co­
minciato a rivolgersi direttamente a Dio, che è la stessa carità.
15 Gli angeli: cf. Gen 28,12.
16 Perché la carità è Dio stesso.

459
BREVE ESORTAZIONE CHE RIASSUME
IN MODO ALTRETTANTO EFFICACE
QUANTO È STATO DETTO PER ESTESO

Salite, fratelli, salite, disponendo con fervore ascensio­


ni nei vostri cuori (cf. Sai 83,6), e ascoltando colui che nói a

dice: Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del no­
stro Dio (Is 2,3), che ha reso i nostri piedi come quelli di una
cerva e ci ha innalzato sulle alture (Sai 17,34), perché potes­
simo ottenere la vittoria elevando a lui un canto (Ab 3,19)!
Correte, vi prego, insieme a colui che dice: Affrettia­
moci finché non siamo arrivati tutti all’unità della fede e
della conoscenza di Dio, allo stato di uomo perfetto, all’età
della piena maturità di Cristo (Ef 4,13), il quale, riceven­
do il battesimo nel trentesimo anno della sua vita umana,
raggiunse il trentesimo gradino della scala spirituale, poi­
ché la carità è Dio stesso (cf. iGv 4,8.16)! A lui la lode,
la potenza e la forza, a lui che è, era e sarà l’unica causa
di tutti i beni, per i secoli senza fine! Amen.

461
DISCORSO AL PASTORE

1. In questo libro terrestre, divino padre1, ti ho lascia- 1 1 6 5 a

to l’ultimo posto, ma sono convinto che in quello cele­


ste tu ci preceda tutti, se è veritiero colui che ha detto:
Gli ultimi nel pensiero saranno i primi nella dignità (cf.
Mt 20,16)!
2. Vero pastore è colui che, attraverso la propria inno- 1165 b

cenza, il proprio zelo e la propria preghiera, è in grado di


cercare e di riportare sulla retta via le pecore dotate di ra­
gione che si sono perdute.
3. Pilota è colui che, grazie all’aiuto di Dio e alle pro­
prie fatiche, ha ottenuto una forza spirituale che lo mette
in grado di strappare la nave non solo alla tempesta ma
anche allo stesso abisso.
4. Medico è colui che è sano sia nel corpo che nell’ani­
ma, e che per essi non ha bisogno di alcuna medicina.
3. Vero maestro è colui che, avendo ricevuto il libro
della conoscenza spirituale scritto dal dito di Dio2 - ov­
vero dall’energia3 * 5 della sua illuminazione -, non ha più 1165 c
alcun bisogno di altri libri. E sconveniente per dei mae-

1 L’autore si rivolge a Giovanni di Raito a cui è dedicata Finterà opera.


2 Cf. Es 31,18, dove l’espressione è riferita alle tavole della legge ricevute
da Mosè sul Sinai: ogni padre spirituale è per Climaco un altro Mosè (cf. supra,
1,14) che avendo fatto esperienza di Dio è in grado di trasmetterla ai suoi figli.
Sul confronto con Mosè, cf. soprattutto infra, DP ioo.
5 Su questo termine cf. infra “Glossario”.
t

463
stri insegnare a partire da libri scritti da altri, come per
dei pittori dipingere copiando tavole antiche!
6. Tu che ammaestri persone che vivono quaggiù sulla
terra, insegna loro ciò che tu stesso ricevi dall’alto, e in
modo materiale istruiscili su ciò che è spirituale! Non ti
dimenticare di colui che ha detto: “Non ho ricevuto né ap­
preso il mio insegnamento dagli uomini né per mezzo di
ix68a un uomo!” (cf. Gal 1,12); infatti non è mai stato possi­
bile guarire chi giace a terra con rimedi terrestri.
7. Un abile pilota porrà in salvo la nave, un buon pa­
store riporterà in vita e guarirà le pecore malate. Nella
misura in cui le pecore avranno seguito fedelmente il loro
pastore e fatto progressi, egli potrà rendere conto di loro
davanti al padrone di casa. Il pastore scagli le pietre delle
sue parole sulle pecore rimaste indietro per pigrizia o in­
gordigia: anche questo infatti è segno di un buon pastore.
8. Quando le pecore per l’ardore della calura - o piut­
tosto del corpo - cominceranno a sonnecchiare nell’ani­
ma, il pastore, guardando verso il cielo, vegli più intensa­
mente per loro, perché in quei momenti molte rischiano
di cadere in preda ai lupi. Ma se esse, come vediamo fare
abitualmente alle pecore materiali al momento dell’ardo-
1168 b re della calura, piegano verso terra la testa della loro
anima, abbiamo allora la parola che dice: Un cuore contri­
to e umiliato, Dio non lo disprezzerà (Sai 50,19).
9. Allorché le tenebre e la notte delle passioni scendono
sul gregge, metti il tuo cane immobile davanti a Dio, a ve­
gliare nella notte; e non c’è niente di strano nel considera­
re la mente come un cane, perché essa scaccia le fiere4.
1168 d io. Anche questo è un tratto tipico della nostra natu­
ra quale il nostro Signore buono l’ha creata: che il mala- 4

4 Cioè appunto le passioni.

464
to si rallegri al solo vedere il medico, anche se forse non
può ricevere da lui alcun beneficio.
11. Anche tu, mio eccellente amico, procurati impia­
stri, pozioni, polveri, colliri, spugne, lancette da salasso,
cauteri, unguenti, sonniferi, bisturi, bende, e la cosiddet­
ta “immunità alla nausea”. Ma se siamo privi di queste 1169a
cose, come faremo a dimostrare la nostra competenza? E
impossibile! Del resto si riceve un compenso non per
delle parole ma per delle opere.
12. L’“impiastro” è il rimedio per le passioni visibili,
cioè del corpo. La “pozione” è il rimedio per le passioni
interiori, che permette di spurgare tutte le impurità nasco­
ste. La “polvere” è l’umiliazione che brucia e purifica la
putredine dell’orgoglio. Il “collirio” è il rimedio che puri­
fica l’occhio dell’anima5 quando è intorbidato dalle turbo­
lenze dall’ira; il collirio è anche il rimprovero tagliente,
che dopo un po’ di tempo procura la guarigione. Il “salas­
so” è la rapida evacuazione di un fetore nascosto, ma pre­
cisamente il salasso è un’incisione energica e decisa per la
salvezza dei malati. La “spugna” è la cura refrigerante che
il medico applica al malato dopo il salasso o dopo l’opera­
zione chirurgica, per mezzo di parole gradevoli, dolci e te­
nere. Il “cauterio” è l’ordine o la punizione dati con mi- 1169 b

sericordia per un certo tempo, in vista della penitenza.


L’“unguento” è il conforto che si dà al malato dopo aver
applicato il cauterio, tramite parole o altre forme di con­
solazione. Il “sonnifero” significa prendere su di sé il far­
dello del discepolo offrendogli in cambio, attraverso la
sottomissione, il riposo, un sonno insonne6 e una santa
cecità, perché non veda le proprie virtù. Le “bende” con­
sistono nel ridare forza e tensione, attraverso una pazien-

5 Cf. supra, XX,22.


6 Cioè la capacità di vigilare.

465
za fino alla morte, a coloro che sono rilassati e infiacchi­
ti per la vanagloria. E infine, il “bisturi” è la decisione
estrema di operare un’amputazione su un corpo spiritual-
mente morto, o su un membro incancrenito, perché l’im­
purità non si estenda anche agli altri membri.
13. Cosa beata e degna di lode è 1 ’“immunità alla nau­
sea” per i medici, e l’impassibilità per i superiori! Gli
1169 c uni, infatti, non provando alcuna nausea, potranno cura­
re senza indugio qualunque piaga maleodorante; gli altri
potranno risuscitare qualunque anima morta.
14. Nelle sue preghiere il superiore chieda, tra le altre
cose, di riuscire a provare affetto e di essere ben dispo­
sto verso tutti in misura del merito di ciascuno, per non
rischiare di nuocere - come Giacobbe - sia al suo predi­
letto sia a tutti gli altri fratelli (cf. Gen 37,1-36). Questo
succede quando i superiori non hanno ancora i sensi del­
l’anima perfettamente esercitati al discernimento del
bene e del male, e di ciò che sta nel mezzo.
1172 d 15. E una grande vergogna per un superiore pregare
Dio che conceda al suo discepolo qualcosa che lui stesso
non possiede ! Coloro che sono stati ammessi alla presen­
za di un re e ne hanno guadagnato l’amicizia, possono ri-
conciliare con il re anche tutti i suoi servitori, e forse
anche gli sconosciuti o i nemici - se questi lo vogliono -,
permettendo loro di prendere parte alla sua gloria: lo
stesso discorso vale per i santi.
16. Gli amici mostrano rispetto e obbediscono ai loro
amici più stretti e autentici, e talvolta si lasciano anche
far violenza da loro. E bello avere come amici gli “amici
spirituali”7, perché nessun altro meglio di loro può aiutar­
ci ad acquistare la virtù!

7 Cioè gli angeli, oppure i santi.

466
17. Un amico di Dio mi ha raccontato, che se è vero
che Dio ricompensa sempre con i suoi doni coloro che lo
servono, lo fa però soprattutto in occasione delle feste
annuali e delle solennità del Signore.
18. Il medico8 deve essersi perfettamente spogliato 1173 A
delle passioni per poterne all’evenienza fingere qualcuna,
e soprattutto nel caso della collera. Se infatti non le aves­
se veramente respinte, non potrebbe rivestirsene di
nuovo in modo impassibile.
19. Ho visto un cavallo ancora male addestrato che,
finché era tenuto alle briglie, camminava tranquillamente,
ma appena le briglie gli venivano un po’ allentate, subito
cercava di disarcionare il padrone. Ci sono due demoni
che generalmente si comportano allo stesso modo: chi
vuole indagare la questione, lo faccia con tutto il proprio
impegno9 !
Il medico riconoscerà di aver ricevuto da Dio la sapien­ 1177 A
za, solo quando potrà curare le malattie incurabili.
20. Non è degno di particolare ammirazione il maestro
che rende sapienti gli allievi intelligenti, ma piuttosto
quello che rende sapienti e perfettamente educati gli stu­
pidi e gli insipienti. Così, l’abilità degli aurighi dà prova
di sé e merita veramente l’applauso, quando essi ottengo­
no la vittoria con cavalli di cattiva qualità, conducendoli
al traguardo sani e salvi.
21. Se hai ricevuto degli occhi capaci di prevedere i
marosi, preannunciali in modo chiaro a quanti si trovano
sulla nave; altrimenti sarai tu il responsabile del naufra­
gio, perché tutti ti hanno affidato il governo della nave,
senza alcuna preoccupazione!

8 Cioè il superiore.
9 Secondo Schol. 1, PG 88,1173A, si tratterebbe dei demoni della vanaglo­
ria e deiringordigia o della fornicazione.

467
22. Ho visto medici non rivelare ai pazienti le cause
delle loro malattie, procurando in questo modo molte
pene e dolori sia ai malati che a se stessi.
1177 b 23. Quanto più il superiore si accorge che non solo i

suoi discepoli ma anche gli altri ripongono in lui una


grande fiducia, tanto più deve vigilare su se stesso con la
massima attenzione, per tutto ciò che fa e dice, sapendo
che tutti guardano a lui come a un modello considerando
ciò che dice o fa come una regola e una legge.
24. L’amore rivela il vero pastore: per amore, infatti,
il nostro grande Pastore è stato crocifisso (cf. Eb 13,20).
1177 c 23. I peccati degli altri falli tuoi, almeno a parole, e
così non sarai più trattenuto dal troppo rispetto umano10.
26. Affliggi per un po’ di tempo il malato11, perché la
sua malattia non diventi cronica, o addirittura egli muoia
a causa del tuo maledetto silenzio! Molti, a causa del si­
lenzio del loro pilota, s’illudevano di navigare bene, fin­
ché non sono andati a cozzare contro gli scogli.
27. Ascoltiamo ciò che il grande Paolo scrive a
1180 a Timoteo: Ammoniscili a tempo e fuori tempo (iTm 4,2);

“a tempo”, cioè, quando coloro che sono rimproverati


sopportano di buon grado i rimproveri, e “fuori tempo”,
quando invece ne sono irritati. Anche le sorgenti, infat­
ti, continuano a far sgorgare le loro acque quando spesso
non c’è nessuno che abbia sete.
28. Esiste in alcuni superiori una tendenza naturale -
se così posso dire - al rispetto umano, che spesso li spin­
ge a tacere ciò invece dovrebbero dire ai propri sottopo­
sti: nonostante ciò, essi non possono rifiutarsi di assolve-

10 L’autore probabilmente vuol dire: confessa di aver commesso gli stessi

peccati dei tuoi discepoli, e così mettendoti al loro livello troverai il coraggio
di correggerli.
11 Sottinteso: “Con le tue cure, cioè con i tuoi rimproveri”.

468
re ai propri doveri di maestri nei confronti dei propri di­
scepoli, ma devono semmai provare a dar loro le necessa­
rie istruzioni per iscritto.
29. Ascoltiamo quel che dice la divina Scrittura in alcuni
passi: Taglia il fico! Perché mai dovrebbe sfruttare inutilmente
il terreno? (Le 13,7); e poi: Togliete il malvagio di mezzo a
voi! (iCor 5,13); e ancora: Non pregare per questo popolo!
(Ger 7,16), e lo stesso si dice per Saul12. Bisogna che il pa­ 1180 B
store sappia a quali persone, in che modo e quando applica­
re tutte queste parole: nulla infatti è più veritiero di Dio!
30. Chi non si vergogna quando è rimproverato in pri­
vato, farà anche del rimprovero pubblico un’occasione
per dar prova di impudenza, perché ha ormai disdegnato
volontariamente la propria salvezza!
31. Voglio notare anche un altro fatto che ho visto ac­ 1181 C
cadere ad alcuni malati pieni di buona volontà: coscienti
della propria pusillanimità e della propria debolezza, sup­
plicarono i medici di legarli, anche loro malgrado, e di cu­
rarli a forza, ma con il loro consenso. Lo spirito è pronto,
infatti, a causa della speranza futura, ma la carne è debole,
a causa delle predisposizioni passionali contratte nel pas­
sato (cf. Mt 26,41). Avendo visto questo, io stesso suppli­
cai i medici di dar loro ascolto.
32. La guida non deve dire a chiunque si avvicina che
la via è stretta e angusta (cf. Mt 7,14), né a tutti che il
giogo è dolce e il carico leggero (cf. Mt 11,30); deve piut­
tosto valutare ogni singolo caso e quindi applicare le me­
dicine adatte: per chi è oppresso dal peso di gravi pecca­
ti e può cadere facilmente nella disperazione, va bene la
seconda medicina; per chi invece è incline alla superbia e 1181 D
all’orgoglio, va bene la prima.

12 Cf. iSam 16,1: “Il Signore disse a Samuele: Fino a quando piangerai su
Saul mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele?”.

469
33- Alcuni, prima di partire per un lungo viaggio, chie­
sero informazioni a delle persone che conoscevano la via,
e si sentirono rispondere che era dritta e senza pericoli.
A causa di queste parole si misero in viaggio senza gran-
1184 a de impegno, ma a metà del cammino si trovarono nel pe­
ricolo, o addirittura tornarono indietro, trovandosi im­
preparati ad affrontare le prove. Ma pensa anche al caso
opposto !
34. Quando l’amore divino tocca il cuore, le parole
non hanno la forza di suscitare il timore (cf. iGv 4,18)13;
quando appare il timore della geenna, si sopporta ogni ge­
nere di fatica; quando infine s’intravede la speranza del
Regno, si arriva a disprezzare tutto ciò che appartiene a
questo mondo.
35. Il bravo generale deve conoscere molto bene la po­
sizione e l’ordine di battaglia adatti a ciascuno dei suoi
subalterni: infatti, in mezzo a tante persone, possono es­
serci alcuni che sono in grado di combattere da soli nelle
prime file, e che per questo egli deve collocare nell’esi-
chia perché possano aiutarlo a difendere gli altri soldati14.
36. Il pilota non può da solo recare in salvo la nave
senza la collaborazione dei marinai, né il medico può cu-
1184 rare il malato, se costui prima non lo supplica e non lo in­
b

coraggia mostrandogli la propria ferita con piena fiducia.


Coloro che si vergognano dei medici lasciano andare le
proprie ferite in cancrena, e molti spesso muoiono.
37. Mentre le pecore pascolano, il pastore non cessi di
suonare il flauto della parola, soprattutto quando stanno

u Cf. supm, xxx,4.


u Questo consiglio prevede una comunità monastica formata da un “ceno­
bio” e da una “laura” (cf. infra, DP 94), cioè da un nucleo centrale di cenobi-
ti alle dirette dipendenze del superiore, e da un certo numero di anacoreti che
vivono in celle separate nei pressi del cenobio. Con la loro preghiera di inter­
cessione, questi ultimi devono aiutare il superiore a difendere i più deboli, che
ancora combattono contro le passioni.

470
per andare a dormire, perché non c’è niente che il lupo
tema così tanto come il suono del flauto del pastore!
38. Il superiore non deve né sempre umiliarsi, in modo 1184 c
irragionevole, né sempre esaltarsi, in modo sciocco, ma
deve guardare a Paolo che seguiva sia l’una che l’altra via
(cf. 2Cor 10,10; 12,10).
39. Il Signore spesso copre gli occhi dei subalterni su
alcuni difetti del loro superiore, ma se egli stesso li rive­
la loro, genera in essi la sfiducia.
40. Ho visto un superiore che, per estrema umiltà, su
alcune questioni chiedeva consiglio ai propri figli; e ne ho
visto un altro che, mosso dall’orgoglio, si fingeva igno­
rante per poter meglio sfoggiare davanti a loro la propria
stupida sapienza.
41. In alcuni casi, anche se di rado, ho visto uomini
dominati dalle passioni dirigere uomini impassibili, e a
poco a poco, vergognandosi di fronte ai discepoli, rompe­
re con le proprie passioni. Questa fu la ricompensa -
credo - di quelli che si erano salvati grazie a loro; e ciò
che essi avevano intrapreso dominati dalle passioni, di­
ventò per loro causa di impassibilità! 1184d
42. Bisogna stare attenti a non disperdere in mare
aperto ciò che si è accumulato in porto: sanno bene di
cosa parlo coloro che non sono ancora preparati ad af­
frontare i tumulti esterni!
\

43. E davvero un’impresa grande riuscire a sopportare 1185 a


di buon animo e con coraggio l’arsura, la calma completa e
la tentazione della negligenza che sono proprie dell’esichia
senza cercare distrazioni e conforti fuori della nave della no­
stra cella, come quei marinai negligenti che al momento della
bonaccia si tuffano in mare. Ma è impresa incomparabilmen­
te più grande non temere i tumulti esterni, ma in mezzo a
quei rumori rimanere con il cuore intrepido e imperturbabi­
le, vivendo all’esterno con gli uomini, e nell’intimo con Dio.

47i
1185 b 44. Ciò che avviene nei tribunali mondani, mio eccel­
lente amico, ti ricordi ciò che avviene nei nostri! A volte
davanti al nostro terribile e autentico tribunale si presen­
ta un colpevole, altre volte un innocente con un grande
desiderio di lavorare e di servire Dio15: sono modi di av­
vicinarsi del tutto opposti, e ognuno richiede un tratta­
mento diverso e particolare.
45. Prima di tutto bisogna interrogare il colpevole -
naturalmente in privato -, su quale genere di peccati
abbia commesso, e questo per due motivi: da una parte
perché, pungolato continuamente dal ricordo di questa
confessione, non diventi mai sfrontato, e dall’altra per­
ché, sapendo di quali ferite ci siamo presi carico, sia spin­
to ad amarci.
46. Neanche questo ti sfugga, venerato padre - e cer­
tamente non ti sfugge, non sia mai! -: voglio dire che nel
giudicare i colpevoli bisogna tener conto anche del luogo
1185 c in cui hanno vissuto, dell’educazione che hanno ricevuto,
e delle abitudini che hanno contratto, perché queste cose
sono causa di molte varietà e differenze. Spesso la perso­
na più debole risulta essere anche più umile di cuore, e
per questo deve essere punita con minor rigore dai giudi­
ci spirituali. Il contrario è evidente.
47. Non è giusto che un leone conduca al pascolo le pe­
core; e non è sicuro che colui che è ancora sottomesso alle
passioni comandi su persone ugualmente sottomesse alle
passioni.
1 x 8 8 a 48. E uno spettacolo penoso vedere una volpe in un

pollaio, ma non c’è niente di più penoso di un pastore che


si lascia vincere dall’ira: quella spaventa e uccide i polli,
questo le anime dotate di ragione.

15L’autore si riferisce a coloro che si presentano per essere ammessi alla vita
monastica.

472
49- Sta’ attento a non diventare un inquisitore severo
delle più piccole mancanze, perché così non saresti più un
imitatore di Dio!
50. Abbi tu stesso Dio per economo e igumeno di tutta
la tua vita interiore ed esteriore, considerandolo come un
eccellente pilota; e così, recidendo grazie a lui la tua vo­
lontà propria, anche tu diventerai Ubero da ogni preoccu­
pazione, lasciandoti guidare soltanto daUe sue indicazioni.
51. Devi chiederti - come del resto dobbiamo fare
tutti - se la grazia di Dio non abbia disposto di operare
attraverso di noi molti prodigi, non in virtù della nostra
purezza, ma deUa fede di coloro che si accostano a noi:
proprio in questo modo, infatti, hanno operato miracoli
anche molti che erano ancora sottomessi alle passioni.
52. Se è vero che sta scritto: Molti mi diranno in quel
giorno : Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo h 88 b
nome (Mt 7,22), e ciò che segue, allora quel che ho appe­
na detto non è incredibile.
53. Chi ha veramente ottenuto il favore di Dio è in
grado di fare del bene a coloro che soffrono senza farse­
ne accorgere e in modo nascosto, e ottiene così due gran­
di risultati: preserva se stesso dalla gloria umana, come da
una ruggine, e fa sì che quanti hanno ottenuto misericor­
dia rendano grazie a Dio solo.
54. A coloro che corrono con giovanile ardore, offri 1189 a
con generosità e coraggio i cibi migUori e più raffinati16;
a coloro che invece, con i loro comportamenti o la loro
disposizione interiore, rimangono indietro, offri del latte,
perché sono dei bambini e hanno ancora bisogno di con­
forto (cf. iCor 3,1-2).
55. Spesso lo stesso cibo può infondere in alcuni il fer­
vore e in altri lo sconforto; perciò, prima di gettare il

16 Cioè gli insegnamenti spirituali più solidi e impegnativi.

473
seme, bisogna fare attenzione alle circostanze: al momen­
to, alla persona, alla qualità e alla quantità necessarie.
56. Alcuni, senza tenere nel minimo conto quanto sia
impegnativo assumersi una responsabilità spirituale17, si
sono improvvisati pastori di anime senza alcun discerni­
mento; e anche se prima avevano molte ricchezze, alla
fine se ne sono andati a mani vuote, dopo averle distribui­
te tutte a coloro che avevano preso in carico.
57. Come ci sono figli pienamente legittimi, altri nati
da seconde nozze, altri da schiave, e altri trovatelli,
1189 b ugualmente possiamo distinguere molti livelli di respon­
sabilità spirituale. C’è dunque un’assunzione di responsa­
bilità spirituale nel pieno senso del termine, che significa
offrire totalmente la propria anima per l’anima del pros­
simo (cf. Gv 10,11); ma è anche possibile prendersi cari­
co solo dei peccati passati, o solo di quelli futuri, o assu­
mersi la responsabilità soltanto dei propri ordini, e ciò
per difetto di forza spirituale e per mancanza di impassi­
bilità. Anche nel primo caso, però, quando la responsabi­
lità che ci assumiamo è totale, il peso che portiamo dipen­
de dal grado di recisione della volontà propria18.
58. Il figlio legittimo si riconosce quando il padre è as­
sente: lo stesso vale anche per coloro che vivono nella
sottomissione.

Cioè il prendersi carico di un discepolo di fronte a Dio. Sul padre spiri­


17

tuale come anddocbos (“colui che è responsabile”, “che si prende carico di qual­
cuno”), cf. supra, XXIII,14; XXIV,i4. Sul tema cf. J. Chryssavgis, Soni men-
ding. The A h of Spiritual Direction , Holy Cross Orthodox Press, Brookline
2000, e supra, “Introduzione”, pp. 42-43.
18 Sottinteso: “che il discepolo è disposto a operare su di sé”. Affinché l'as­

sunzione di responsabilità da parte del padre spirituale sia completa è necessa­


ria una collaborazione tra chi guida e chi è guidato (cf. supra, DP 36): il disce­
polo deve abbandonarsi totalmente nelle mani del padre e con completa fidu­
cia gettare su di lui ogni suo “peso”, altrimenti anche un impegno totale da
parte di quest'ultimo può rivelarsi infruttuoso.

474
Il superiore osservi e prenda accuratamente nota di co­
loro che lo contraddicono o gli fanno resistenza e li puni­
sca con pene severissime in presenza di qualche persona
importante, incutendo così timore anche agli altri, senza
curarsi se essi sono profondamente feriti da tali umilia­
zioni: la correzione di molti, infatti, vale più del danno 1189 c
di una sola persona!
59. Ci sono alcuni che, mossi da autentica carità, si
fanno carico dei pesi degli altri al di là delle loro forze, ri­
cordando colui che ha detto: Nessuno ha un amore più gran­
de di questo (Gv 15,13), e ciò che segue; e ci sono altri che,
pur avendo forse ricevuto da Dio la forza di farsi carico
degli altri, non si sobbarcano volentieri di questo peso per
la salvezza dei fratelli. Questi ultimi sono per me da com­
piangere, perché non possiedono la carità. Quanto ai primi,
ho trovato scritto da qualche parte: Chi estrae ciò che è pre­
zioso da ciò che è vile, sarà come la mia bocca (Ger I5,i9)19,
e ancora: Come hai fatto tu, così sia fatto a te (Abd 1,15).
60. Ti prego di considerare anche questo: spesso il pec­
cato commesso dal superiore nel pensiero è giudicato più
grave del peccato commesso dal discepolo nell’azione, se 1189 d

è vero che l’errore di un soldato è meno grave della deci­


sione sbagliata del generale.
61. Ammonisci i tuoi discepoli di non confessare i pec­
cati carnali e sessuali in modo dettagliato; ma di richia­
mare alla mente in modo dettagliato tutti gli altri pecca­
ti, di giorno e di notte.

19 II passo è interpretato allo stesso modo da Giovanni Crisostomo, dal


quale Climaco probabilmente dipende: cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla
Genesi 3,4: “Affinché tu impari quale grande bene è essere in grado di guada­
gnare la salvezza di un altro insieme alla propria, ascolta il profeta che dice in
persona di Dio: Chi estrae ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarà come la mia
bocca. E cosa significa questo? ‘Chi guida il suo prossimo - vuol dire - dalPer-
rore alla verità, o dal vizio alla virtù, imita me, nei limiti delle umane possibi­
lità! cf. Id., Omelie su Matteo 78,3; Id., Omelie su iCorinzi 3,5.

475
62. Abitua coloro che ti sono sottomessi a essere total­
mente schietti gli uni verso gli altri, ma molto prudenti
nei confronti dei demoni.
1192 a 63. Non ti sfugga l’intenzione che hanno le tue pecore
nelle loro relazioni reciproche, perché l’intento dei lupi20
è di infiacchire i ferventi per mezzo dei pigri.
64. Non esitare a intercedere nella preghiera, se ti è ri­
chiesto, anche per persone totalmente negligenti21, chie­
dendo non che ottengano misericordia - perché questo è
impossibile finché essi non collaborano22 -, ma piuttosto
che Dio risvegli in loro lo zelo.
65. I deboli non mangino insieme agli eretici, come
prescrivono i canoni23 ! Quanto a coloro che sono forti nel
Signore, se gli infedeli li invitano in buona fede ed essi
vogliono andare, vadano pure, a gloria del Signore.
66. Non addurre l’ignoranza come un pretesto per i
tuoi peccati, perché colui che senza saperlo avrà fatto cose
meritevoli di percosse, sarà comunque percosso per non aver
cercato d’imparare (cf. Le 12,48)!
1192 d 67. E una vergogna per un pastore temere la morte, se
è vero che l’obbedienza si definisce proprio come sereni­
tà nei confronti della morte24.
1193 a 68. Cerca, o beato, qual è quella virtù senza la quale
nessuno vedrà il Signore (cf. Eb I2,i4)25 e poi fa’ in modo
che i tuoi figli l’acquistino prima di ogni altra, liberando­
li completamente dalla vista di qualsiasi volto imberbe e
femmineo.

20 Cioè i demoni.
21 Cf. supra, XXVIII,40.
22 Sulla nozione di “cooperazione” (,synérgheia ), cf. infra , “Glossario”.
23 Cf. Basilio di Cesarea, Canone 96 sugli eretici; Id., Regole brevi 124. Cf.

anche iCor 5,11.


2A Cf. supra , IV,3.

25 La virtù alla quale Fautore allude è la purezza: secondo i padri, solo chi
è puro può accostarsi al Puro (cf. iGv 3,3; Mt 5,8). Cf. anche infra, DP 100,b.

476
69. Tutti coloro che ci sono sottomessi nel Signore ab­
biano un regime di vita e un’abitazione distinti a secon­
da della loro età fisica26. Nessuno infatti deve essere re­
spinto dal porto27!
70. Non abbiamo fretta d’imporre le mani ad alcuno28,
prima che abbia raggiunto l’età legale della ragione secon­
do il mondo, perché non avvenga che qualche pecora, en­
trata nell’età dell’ignoranza, una volta raggiunta la cono­
scenza, non sopportando più il peso e la fatica, ritorni nel
mondo; e ciò non sarà senza conseguenze per chi avrà im­
posto loro le mani prematuramente!
71. Chi sarà mai quel bravo economo posto da Dio
che, non avendo più bisogno delle proprie lacrime, dei
propri gemiti e delle proprie fatiche, potrà offrirle gene­ 1193 B

rosamente a Dio per la purificazione degli altri ?


72. Non cessare mai di lavare e di purificare le anime
contaminate, e soprattutto i corpi, per poter reclamare
con piena fiducia dal nostro giusto Arbitro le corone
della vittoria, non solo per la tua ma anche per le altre
anime!
73. Ho visto un malato guarire la malattia di un altro
malato con la propria fede, intercedendo per lui presso
Dio con lodevole impudenza e offrendo umilmente la
propria anima per l’anima dell’altro; e cosi, guarendo l’al­
tro, egli finì per guarire anche se stesso. Ho visto un
altro, poi, far la stessa cosa mosso dall’orgoglio, e sentir­
si rinfacciare: Medico, cura te stesso (Le 4,23)!
74. Si può rinunciare a un bene per un bene più gran­
de, come quel tale che evitò il martirio, non per viltà ma

26 Sulla necessità di mantenere distinti l’abitazione e il regime di vita dei

più giovani da quelli dei più anziani, cf. Basilio di Cesarea, Regole diffuse 15.
27 A nessuno cioè si deve impedire di entrare nella vita monastica, neanche

ai più giovani.
28 L’autore allude al rito della professione monastica.

477
per il bene di coloro che grazie a lui dovevano raggiunge­
re la salvezza29.
1193 c 75. C’è chi si è esposto al disonore per salvare l’onore
degli altri: costui, pur essendo considerato dai più un vi­
zioso, in realtà, è come chi è considerato un impostore
pur essendo veritiero (cf. 2Cor 6,8).
76. Se colui che ha il dono della parola per l’utilità co­
mune e non ne fa parte agli altri con generosità, non potrà
restare impunito, quanto più grande, mio caro amico, sarà
il pericolo cui si esporranno coloro che, potendo aiutare
chi si trova in difficoltà con il semplice zelo delle loro
opere, non sono disposti a sobbarcarsi una tale fatica ?
77. Redimi gli altri, tu che sei stato redento da Dio,
salva, tu che sei stato salvato, coloro che sono condotti
alla morte, e non far riserve di te stesso per riscattare co­
loro che sono uccisi dai demoni! Questa è infatti l’impre­
sa più grande agli occhi di Dio, superiore a qualsiasi atti­
vità e contemplazione di uomini e di angeli!
78. Colui che, grazie alla purezza che ha ricevuto da
1193 d Dio, lava e purifica la sporcizia degli altri, offrendo a Dio
doni senza macchia a partire da ciò che è impuro, diven­
ta come un collaboratore delle potenze spirituali e incor­
poree. E questa infatti l’unica opera dei ministri divini,
poiché sta scritto: Tutti coloro che stanno intorno a lui gli
offriranno dei doni (Sai 75,12), cioè delle anime.
79. Niente manifesta l’amore e la bontà che il nostro

29 II riferimento è a Gregorio il Taumaturgo (ca. 213-275), vescovo di


Neocesarea, che durante le persecuzioni di Decio fuggì insieme ad altri fedeli,
per cercare di impedire il dilagare deir apostasia. Su questo avvenimento cf.
Gregorio di Nissa, Vita di Gregorio Taumaturgo, PG 46,9450.* “Vedendo dun­
que quel grande la debolezza della natura umana, come cioè i più non avesse­
ro la forza di lottare per la pietà fino alla morte, consigliò alla chiesa di sottrar­
si per un po’ a quella spaventosa persecuzione, ritenendo che fosse meglio che
le loro anime si salvassero attraverso la fuga, piuttosto che tradissero la fede
resistendo nelle lotte”.

478
creatore ha verso noi uomini, come il fatto di aver lascia­
to le novantanove pecore per cercare quella perduta (cf.
Le 15,4)! Fa’ dunque attenzione, mio eccellente amico, e
dimostra tutto il tuo zelo, tutta la tua carità, tutto il tuo
fervore, tutta la tua sollecitudine e tutta la tua capacità di
intercessione presso Dio, in favore di colui che si è com­
pletamente traviato ed è schiacciato dal dolore; perché
quando le malattie e le ferite sono gravi, certamente anche 1196 a
i compensi corrisposti per la loro guarigione sono grandi!
80. Ponderiamo, esaminiamo, e poi agiamo: a motivo
della debolezza di alcuni, infatti, non è bene che il supe­
riore pronunci sempre un giudizio giusto.
Una volta ho visto due fratelli giudicati da un giudice
sapientissimo: egli dichiarò innocente il colpevole poiché
era più debole, mentre l’innocente, poiché era coraggioso
e forte, lo dichiarò colpevole, per evitare che, applicando
la giustizia, la differenza tra i due aumentasse ancora di
più; in privato e in disparte, però, disse a ciascuno ciò che
era giusto e conveniente, specialmente a colui che aveva
l’anima malata.
81. Una pianura erbosa è ciò che ci vuole per delle pe­
core; ma l’insegnamento e il ricordo della morte sono an­
cora più appropriati per tutte le pecore dotate di ragione,
perché sono in grado di curare ogni genere di scabbia.
82. Prendi di mira i forti, e umiliali senza motivo in
presenza dei deboli, per guarire con la medicina data agli 1196
b

uni la ferita degli altri e insegnare ai fiacchi a diventare


robusti !
83. Non risulta che Dio abbia mai rivelato in pubblico
la confessione udita da qualcuno, e ciò per non ostacola­
re con tale rivelazione coloro che vogliono confessarsi,
rendendo così incurabili le loro malattie.
84. Anche se abbiamo il dono della prescienza, guar­
diamoci dal dire noi per primi ai colpevoli i loro peccati,

479
ma piuttosto esortiamoli alla confessione con parole vela­
te; la confessione che fanno davanti a noi infatti contri­
buisce non poco a procurar loro il perdono. Dopo la con­
fessione, concediamo loro maggiore confidenza e dimo­
striamo loro più affetto di prima, perché questo accresce
notevolmente la fiducia e l’amore che nutrono per noi.
Dobbiamo offrir loro un esempio di estrema umiltà, ma
allo stesso tempo educarli a provare timore davanti a noi.
Devi essere paziente in tutto, tranne quando disobbedi­
scono ai tuoi comandi!
1196 c 85. Stai attento che un’eccessiva umiltà da parte tua
non accumuli carboni ardenti sul capo dei tuoi figli (cf.
Pr 25,22; Rm 12,20)!
86. Osserva attentamente se per caso nel tuo campo
non vi siano alberi che sfruttano inutilmente il terreno
(cf. Le 13,7), mentre forse potrebbero fruttificare in un
altro: non esitiamo a sradicarli amorevolmente con i no­
stri consigli, e a trapiantarli altrove!
87. A volte il superiore può praticare senza pericolo la
virtù anche nei luoghi meno appropriati, ossia nei luoghi
più mondani e pieni di vizi.
88. Se il medico gode dell’esichia interiore, non ha
1196 tanto bisogno di quella esteriore per curare i malati30, ma
d

in mancanza della prima, ricorra alla seconda!


89. Il superiore faccia molta attenzione quando acco­
glie nuovi agnelli nel proprio ovile, perché non ogni rifiu­
to o esclusione sono sgraditi a Dio!
90. Non c’è dono più gradito che possiamo fare a Dio
dell'offrirgli anime dotate di ragione attraverso la peni-

50 Seguo qui il testo di Rader e di Ignatios, invece di quello di Sophronios,


che dà un senso meno accettabile. La sentenza non fa che ripetere, con parole
diverse, ciò che è detto al paragrafo precedente: se il padre spirituale ha rag­
giunto l’esichia interiore, cioè la pace profonda dell’anima, può guarire le altre
anime dai peccati anche nei luoghi meno adatti al raccoglimento.

480
tenza. Il mondo intero non vale quanto un’anima, perché
il mondo passa, ma l’anima è incorruttibile e rimane per
sempre! Perciò non ritenere beati coloro che offrono de­ 1197 C
naro, tu che sei beato, ma piuttosto coloro che offrono a
Cristo pecore dotate di ragione31.
91. Il tuo olocausto sia senza difetto, perché altrimen­
ti non ti gioverà a niente.
92. Come bisogna credere che il Figlio dell’uomo dove­
va essere tradito (Le 24,7), ma guai a colui dal quale è stato
tradito! (Me 14,21), così, al contrario, devi credere che
molti dovranno essere salvati - quelli che lo vogliono,
s’intende -, e a coloro che, dopo Dio, saranno stati causa
della loro salvezza, sarà data la ricompensa!
93. Prima di tutto, venerabile padre, abbiamo bisogno
di molta forza spirituale, affinché, quando vediamo che 1197 D
quelli che abbiamo deciso d’introdurre nel Santo dei santi
per mostrar loro il Cristo seduto alla mensa mistica e se­
greta32, sono afflitti e oppressi da una folla di pensieri cat­ 1200 A
tivi che vogliono impedir loro il passaggio - soprattutto
quando essi sono sulla soglia d’entrata -, possiamo, grazie
a tale forza, prenderli per mano come bambini e liberarli
da quella folla di pensieri. Se poi alcuni di loro sono an­
cora molto piccoli e deboli, bisogna sollevarli e portarli in
spalla finché non siano riusciti a oltrepassare quella porta
d’entrata veramente stretta (cf. Le 13,24), perché è pro­
prio in quel punto che in genere si concentra tutta la ressa
opprimente e soffocante dei pensieri. Perciò qualcuno ha
detto a questo proposito: Questa fatica è davanti a me fin­
ché non sono entrato nel santuario di Dio (Sai 72,16-17).

31 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie su iCorinzi 3,5: “Niente vale quanto

un’anima, neppure il mondo intero: anche se doni ricchezze infinite ai poveri,


non farai niente di paragonabile a chi riconduce un’anima sola sulla retta via!
32 II “Santo dei santi” è qui probabilmente la parte più intima del cuore,

dove avviene Funione mistica con il Cristo.

481
94- Nella nostra precedente trattazione, abbiamo già
parlato, o padre dei padri, di quello straordinario padre
dei padri e maestro dei maestri33, dicendo come egli fosse
1200 b interamente rivestito di sapienza celeste, privo di finzio­
ni, severo, rigoroso, equilibrato, condiscendente, e sereno
nell’anima. Ma la cosa più sorprendente di tutte era che
se vedeva qualcuno desideroso di essere salvato, lo tratta­
va con maggior rigore; e se vedeva qualcuno custodire una
volontà propria o un qualche attaccamento passionale, lo
privava dell’oggetto dei suoi desideri, al punto che ormai
tutti si guardavano bene dal manifestare una qualche vo­
lontà propria per ciò a cui tenessero particolarmente.
Quell’uomo illustre soleva ripetere: “E meglio scaccia­
re qualcuno dal monastero, che lasciargli compiere la sua
volontà! Chi infatti scaccia qualcuno, spesso lo rende
più umile, fino a fargli recidere la sua volontà; ma chi
per misericordia e condiscendenza solo apparenti si mostra
indulgente con tali persone, si farà maledire tristemente
al momento della morte, per averli ingannati invece che
aiutati!”.
1200C Alla fine della preghiera del vespro, si poteva vedere
quel grand’uomo seduto come un re su un trono - un
trono, il suo, esteriormente fatto di legno, ma interior­
mente di carismi spirituali -, e la sua bella comunità ri­
unita al completo lo circondava come uno sciame di api
sagge, ascoltando le sue parole e i suoi comandi come se
venissero da Dio: a uno comandava di recitare cinquanta
salmi, a un altro trenta, a un altro cento; a un altro di
fare altrettante genuflessioni; a un altro di dormire sedu­
to; a un altro di leggere per un tempo determinato; e a
un altro di stare per lo stesso tempo in preghiera.

33 Cf. supra, IV,14-33; V>5-

482
Oltre a questo, aveva stabilito due fratelli come sorve­
glianti, con il compito di sorvegliare e impedire, di gior­
no, le conversazioni e gli ozi, e di notte, le veglie inop­
portune e altre cose che non è lecito riferire per iscritto.
E non è tutto: anche in materia di cibo quel grande aveva 1200 D
assegnato a ciascuno una regola propria; non c’era infatti
un solo regime alimentare uguale per tutti, ma era diver­
so per ciascuno, a seconda della sua condizione34: ad alcu­
ni, infatti, quel bravo economo aveva assegnato una dieta
più austera, ad altri una più abbondante, e la cosa sor­
prendente era che ogni suo comando veniva eseguito
senza mormorazioni, come se fosse uscito dalla bocca di
Dio. Inoltre, alle dipendenze di quell’illustre superiore
c’era anche una laura35, dove quell’uomo, perfetto in
tutto, mandava i fratelli del monastero che erano in grado
di vivere nell’esichia.
95. Guardati, ti supplico, dal rendere astuti e maligni
nei loro pensieri i monaci più semplici; o meglio, se ti è
possibile, cerca di trasformare gli astuti in semplici, che 1201 A
è cosa assolutamente straordinaria!
96. Chi ha raggiunto la perfetta purezza grazie a una
perfetta impassibilità, potrà usare il rigore, come il giudi­
ce divino: la mancanza di impassibilità infatti colpisce il
cuore del giudice e non gli permette di punire e purifica­
re gli altri come dovrebbe.
97. Prima di tutto lascia ai tuoi figli l’eredità di una
fede senza macchia e di sante dottrine, per poter condur­
re al Signore, attraverso la via dell’ortodossia, non solo i
tuoi figli ma anche i figli dei tuoi figli.

34 Conformemente alle prescrizioni di Basilio, Regole diffuse 19.


35 L’autore utilizza in riferimento all’Egitto un termine tipico del monache­
Simo palestinese (cf. supra, IV,ni), dove era anche frequente la combinazione
tra laura e cenobio.

483
98. Non esitare a fiaccare e domare i giovani pieni di
ardori passionali, perché al momento della morte possano
cantare le tue lodi.
99. Anche in questo, o uomo colmo di sapienza, ti
serva da modello il grande Mosè: egli non potè liberare
dal faraone coloro che gli erano stati affidati - per quan­
to fossero disposti a seguirlo docilmente -, finché essi
non mangiarono il pane azzimo con le erbe amare (cf. Es
12 0 1
b 12,8). Il “pane azzimo” è Tanima che non ha in sé alcu­
na volontà propria36: essa infatti la farebbe gonfiare e
inorgoglire, mentre ciò che è azzimo rimane sempre basso
e umile. Per “erbe amare” invece dobbiamo intendere, a
volte il fastidio pungente che si prova al ricevere degli or­
dini, a volte le angustie causate dal rigore del digiuno.
100 a. Nello scriverti queste cose, però, o padre dei
padri, mi sembra di udire le parole che dicono: Tu che in­
segni a un altro, non insegni a te stesso (Rm 2,21)? Ma ora,
prima di concludere il discorso, voglio aggiungere una sola
1201 c cosa: un’anima che attraverso la purezza si è unita a Dio,
non avrà più bisogno della parola di un altro per essere
istruita, perché quella beata ormai porta in sé il Verbo eter­
no, come suo mistagogo, sua guida e sua luce! E so bene
che la tua anima è proprio così, o vetta santissima e piena
di luce! Conosco infatti la perfetta limpidezza del tuo pen­
siero, non solo per averne sentito parlare, ma per averlo
visto all’opera e averne fatto esperienza: è tutto splenden­
te di umiltà e di una mitezza che uccide le fiere37, proprio
come quel grande legislatore: Mosè (cf. Es 34,29)38.

36 Lette “Che non ha raggiunta {próslemma) della volontà propria” (secon­


do la lezione di Rader e Ignatios), oppure “che non ha la nozione Iprólemma)
di volontà propria” (secondo la lezione di Sophronios). La prima lezione sem­
bra preferibile, perché permette di cogliere meglio il paragone implicito con il
lievito che si aggiunge alla pasta per farla gonfiare.
37 Cioè le passioni.
38 Quest’ultima parte del DP è un encomio che celebra le virtù e la sapien-

484
b. Tu stai veramente seguendo le sue orme, padre pieno
di pazienza, e progredendo continuamente verso l’alto, sei
quasi arrivato a superarlo - intendo dire per ciò che ri­
guarda l’onore della purezza e il merito della castità!
Grazie a queste virtù più che ad altre, infatti, possiamo
avvicinarci a Dio, che è il totalmente puro (cf. iGv 3,3; 1201 D

Mt 5,8)39, lui che dona e sostiene ogni impassibilità, e at­


traverso di essa trasferisce in cielo coloro che ancora vivo­
no sulla terra. Montando con piede risoluto su di esse40
come su un carro di fuoco - sull’esempio di quel grande
amante della purezza che fu Elia (cf. 2Re 2 , ) - , non ii 4 1

solo hai ucciso l’egiziano, nascondendo nella sabbia dell’u­


miltà il merito di quest’impresa (cf. Es 2,i2)42, ma sei
anche salito sul monte e hai visto Dio attraverso il roveto
di una vita spinosa e difficile (cf. Es 3,2-4). Hai udito la 1204 A

voce di Dio e goduto dello splendore della sua luce. Ti sei


sciolto i calzari, cioè ti sei spogliato di tutto il rivestimen­
to di morte che ci avvolge (cf. Es 3,5)43. Hai afferrato per

za pastorale di Giovanni di Raito, interamente costruito sul raffronto con la vita


di Mosè e di Giosuè interpretata in chiave allegorica come modello di ascesi e di
progresso spirituale (come già nella tradizione, a partire da Filone di Alessandria
e Origene, fino a Gregorio di Nissa, dal quale Climaco soprattutto dipende). In
generale sulla figura di Mosè come modello di santità nei padri, cf. P.-M.
Guillaume, s.v. “Mo'ise, IV. Epoque patristique”, in DS X, coll. 1464-1470.
59 Cf. supra, DP 68.
40 Le due virtù di cui si è detto sopra.
41 Per Elia come modello di purezza e di castità cf. supra, Schol. 55, in n. 34

a XXVI/1,42; Nilo di Ancira, Lettere I , i 8 i : “Hai imitato nella castità e nella


purezza l’ammirevole Elia che, facendosi iniziatore di ogni ascesi, per primo ci
ha mostrato la temperanza e il celibato angelico, a causa del quale fu rapito da
un carro di fuoco”. In generale su questo tema, cf. E. Poirot, Elie, archétype du
moine, Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1995, pp. 25-51.
42 L’“egiziano” rappresenta la concupiscenza della carne (cf. Schol. 2, PG

88,i2o8B). Per la stessa immagine cf. supra, XV,io.39.


43 I “calzari” rappresentano la “carne” mortale di cui Puomo fu rivestito agli

inizi per la sua trasgressione (cf. il tema delle “tuniche di pelle”, supra, n. 60 a
XV,76) e di cui egli si deve spogliare per accedere alla perfezione. Cf. Gregorio
di Nissa, Vita di Mosè 11,2 2: “I piedi dell’anima debbono essere liberati dal ri-
vestimento di pelli morte e terrene, che hanno avviluppato all’inizio la sua na­
tura, quando per la trasgressione del comando divino fummo denudati”.

485
la coda - cioè quando ormai era alla fine - colui che da
angelo si è trasformato in serpente (cf. Es 4,4)44, e lo hai
gettato nella sua tana, cioè nell’abisso profondissimo
delle tenebre. Hai vinto il faraone orgoglioso e altero45, e
hai colpito gli egiziani e ucciso i loro primogeniti (cf. Es
n,5)46, che è l’impresa più grande di tutte!
c. Quindi, a motivo della tua saldezza, il Signore ti ha af­
fidato la direzione dei fratelli, e tu, o guida delle guide,
senza timore li hai allontanati e liberati dal faraone e dal­
l’impura fabbricazione dei mattoni di argilla (cf. Es i,i4)47,
1204 b per introdurli alla piena conoscenza del fuoco divino e della
nube della purezza che estingue ogni fiamma di desiderio
carnale (cf. Es 13,21-22). Oltre a ciò, hai diviso davanti a
loro questo mare rosso e infuocato (cf. Es 14,21)48, nel
quale la maggior parte di noi rischia spesso di far naufragio,
e con il tuo bastone e la tua sapienza pastorale li hai condot­
ti alla vittoria e al trionfo, dopo aver annegato completamen­
te i nemici che li incalzavano alle spalle (cf. Es 14,27-28).
d. Oltre a ciò, stendendo le tue braccia e stando a metà
tra azione e contemplazione, hai ottenuto per il tuo po­
polo, illuminato dalla luce di Dio, il trionfo sulTAmalek
dell’orgoglio (cf. Es 17,8-13), il quale assale regolarmen­
te chiunque abbia ottenuto la vittoria sul mare. Hai vinto
le nazioni. Hai condotto coloro che erano con te sulla
montagna dell’impassibilità, e li hai costituiti sacerdoti49.

44 Per Pespressione “afferrare il serpente per la coda” cf. anche supra, IV,27.
45 Cioè il vizio della superbia.
46 Gli “egiziani” sono i demoni malvagi, e i “primogeniti” i pensieri cattivi

da essi ispirati.
4/ La “fabbricazione dei mattoni di argilla” sono le occupazioni terrene e

carnali. Cf. supra, V,25, n. 17.


48 Questo “mare” è la carne con la sua concupiscenza (cf. Schol. 4, PG

88,i2o8B e supra, XXVI/1,25).


49 In senso spirituale: li hai resi capaci di offrire sacrifici spirituali al Signore

(cf. supra, XXVIII,52).

486
Hai imposto loro la circoncisione30, perché chi non è stato
purificato per mezzo di essa non può vedere Dio. Sei 1204 c
asceso in alto, dissipando ogni oscurità, caligine e tempe­
sta: ovvero la triplice tenebra dell’ignoranza.
e. Ti sei avvicinato a una luce ben più venerabile, splen­
dente e sublime di quella del roveto (cf. Es 3,2-4). Hai
meritato di udire la voce di Dio, di contemplarlo, e di ri­
cevere il dono della profezia: hai visto, in qualche modo,
pur vivendo ancora in questo mondo, i beni futuri31, ov­
vero la perfetta e definitiva illuminazione della conoscen­
za che ci sarà donata di là; poi hai udito la voce che dice­
va: L’uomo non potrà vedere ... (cf. Es 33,20). Perciò,
dopo questa visione di Dio, sei disceso nella valle profon­
da dell’umiltà, verso l’Horeb, portando con te anche le
tavole che descrivono l’ascensione verso la conoscenza di
Dio, con il volto tutto raggiante di gloria nell’anima e nel
corpo (cf. Es 34,29). Ma quale triste spettacolo vedere il
vitello d’oro fabbricato proprio dalla mia comunità, e le
tavole infrante (cf. Es 32,19)!
f. Ma poi cos’è avvenuto? Hai preso il popolo per 1204d
mano, lo hai condotto nel deserto, e una volta, quando
era arso dal proprio fuoco32, forse anche tu hai fatto sgor­
gare in lui una sorgente d’acqua, cioè di lacrime, usando
il bastone di legno (cf. Es 17,5-6), cioè crocifiggendo la
sua carne con le sue passioni e i suoi desideri (cf. Gal 5,24).
Hai combattuto contro i popoli che vi assalivano, bru­
ciandoli con il fuoco di Dio33. Quindi sei arrivato al
Giordano (cf. Gs 3,1) - niente ci impedisce infatti di ab­
breviare un po’ la storia -: hai diviso il popolo con la tua 50 51 52 *

50 Cioè la “circoncisione del cuore” (cf. Rm 2,29), ovvero la sua purificazione.


51 Lett.: “Ciò che viene dopo (tà ópisthen méllonta)”: interpretazione allego­
rica delle “terga di Dio” contemplate da Mosè in Es 33,23.
52 Cioè dal fuoco delle passioni.
55 Cioè con il fervore della preghiera.

487
parola come Giosuè (cf. Gs i3,i-33)54, e hai separato le
acque, facendo scorrere quelle a valle verso il mare del
sale e della mortificazione, e trattenendo invece quelle a
monte - cioè quelle della carità - sugli occhi dei tuoi
israeliti spirituali (cf. Gs 3,i6)55.
1205 A g. Hai ordinato poi di portare dodici pietre (cf. Gs 4,2-

8), o per indicar loro la via degli apostoli, o per rappre­


sentare simbolicamente la vittoria sulle otto nazioni -
ossia sulle otto passioni - e l’acquisizione delle quattro
virtù principali56. Lasciandoti completamente alle spalle il
mare morto e sterile, hai raggiunto la città del Nemico57,
e, facendo risuonare la tromba della preghiera per sette
volte - cioè lungo l’intero corso della vita umana58 - hai
abbattuto le sue mura e l’hai vinta (cf. Gs 6,1-21), così
da poter ormai cantare anche tu al tuo Alleato invisibile
e immateriale: Le spade del nemico sono svanite per sempre
e hai distrutto le città (Sai 9,7)!
h. Ma vuoi che dica la cosa di gran lunga più importan­
te di tutte ? Sei asceso a Gerusalemme - cioè alla visione
della pace perfetta delle anime59 - e hai visto Cristo, il
Dio della pace! Hai condiviso le sue sofferenze come un
1205 b buon soldato (cf. 2Tm 2,3). Hai crocifisso con lui la tua

54 Assegnando cioè ad ognuno un “luogo adatto” - le virtù e lo stile di vita


da praticare - nella “terra promessa” della vita monastica.
55 Secondo l’interpretazione di Scbol. 8, PG 88,i209A, le acque “a valle”

(lett.: “le prime”) sono le lacrime dei principianti, che sono frutto dell’ascesi e
sono destinate a purificare i peccati; le acque “a monte” (lett.: “dall’alto”) sono
invece le lacrime donate da Dio e alimentate dalla carità.
56 Le “otto passioni” sono gli otto principali vizi o pensieri cattivi, già in­

contrati più volte, mentre le “quattro virtù principali” sono le virtù cardinali:
prudenza {phrónesis)} fortezza (andreta), temperanza {sophrosyne) e giustizia
(dikaiosyné).
57 Interpretazione allegorica di Gerico: nei padri questa città rappresenta il

“mondo” opposto al “paradiso” di Gerusalemme.


58 La vita umana infatti è scandita dal ritmo temporale dei sette giorni (cf.

supra, V,5,y).
59 Interpretazione tradizionale del nome di Gerusalemme.

488
carne con le sue passioni e i suoi desideri (cf. Gal 5,24), e
giustamente, perché anche tu sei diventato un dio per il
faraone e per tutta la sua potenza nemica60! Poi, insieme
a lui sei stato sepolto (cf. Rm 6,4), e sei disceso agli infe­
ri, ovvero nell’abisso della teologia61 e dei misteri ineffa­
bili. Sei stato unto di mirra e profumato dalle tue paren­
ti e amiche (cf. Me 16,1 par.), ovvero dalle virtù. Sei ri­
suscitato: cosa mi impedisce infatti di dire anche questo,
quando anche tu sei veramente seduto in cielo alla destra
di Dio Padre (cf. Ef 1,20; Col 3,1; iPt 3,221 62, anzi si è
diffusa la voce del rapimento del tuo corpo (cf. Mt
28,15)? Sì, sei risuscitato anche tu dopo tre giorni, dopo
aver vinto i tre tiranni, ovvero, per parlare in modo più
chiaro, dopo aver ottenuto la vittoria sul corpo, sull’ani­
ma e sullo spirito, oppure dopo aver purificato le tre parti
dell’anima: quella passionale, quella irascibile, e quella ra­
zionale.
i. Sei arrivato al monte degli Ulivi63 - devo infatti con­ 1205 C
cludere, senza andare troppo per le lunghe, tanto più scri­
vendo a te che sei ripieno di sapienza e che ci superi tutti
in conoscenza -: a quel monte, intendo dire, di cui un ec­
cellente corridore diceva cantando: Le alte montagne sono
per i cervi! (Sai 103,18), cioè per le anime che uccidono
le fiere64. Correndo dunque anche tu insieme a lui, hai
raggiunto la base della montagna, e dopo aver alzato gli
occhi verso il cielo - torno di nuovo a seguire il modello
del Verbo - hai benedetto noi tuoi discepoli (cf. Le
24,51) e hai visto elevarsi davanti a te la scala delle virtù
(cf. Gen 28,12).

60 Come un tempo Mosè, secondo le parole di Es 7,1.


61 Su questo termine cf. infrat “Glossario”.
62 Sull’idea di una risurrezione “anticipata” cf. supra, XV,58; XXIX,2.4.
65 Da dove Gesù ascese al cielo: cf. Le 24,50.
64 Cf. supra, XXV,9.

489
l. Di tale scala tu, secondo la grazia di Dio che ti è stata
data, come un sapiente architetto hai posto il fondamento (cf.
iCor 3,io), o meglio l’hai edificata interamente, anche se
poi, per la tua umiltà, hai costretto noi, poveri sempliciot­
ti, a prestarti la nostra bocca impura per parlare al tuo po-
1205 d polo65. Ciò non è affatto strano, perché, se si guarda al
modello della storia di Mosè, anche lui aveva l’abitudine
di descrivere se stesso come balbuziente e tardo nel parlare
(Es 4,10): Mosè però ebbe la fortuna di trovare in Aronne
un ottimo assistente e parlatore (cf. Es 4,14-16), tu inve­
ce, che sei iniziato ai misteri ineffabili, non so come mai,
hai voluto venire da me, sorgente inaridita e tutta piena
di rane d’Egitto, o meglio di carboni (cf. Es 7,27-8,8)66.
m. Ma poiché non è bene che io me ne vada lasciando
incompiuta la corsa della mia narrazione, riprendo a tes-
1208 a sere l’elogio della tua bellezza, o corridore celeste, dicen­
do che ti sei avvicinato al monte santo e, elevando i tuoi
occhi verso il cielo, hai posto il tuo piede alla sua base, hai
corso, sei salito, sei stato elevato, sei montato a cavallo dei
cherubini - cioè delle virtù - e hai volato (cf. Sai 17,11), e
così sei asceso tra le acclamazioni (cf. Sai 46,6) dopo aver
trionfato sul Nemico.
Ci hai aperto e indicato la via, anzi anche ora continui
a guidare e indicare la via a noi tutti, perché ormai hai
raggiunto la cima della santa scala e ti sei unito alla cari­
tà, e la carità è Dio stesso (cf. iGv 4,8.16)!
A lui la gloria nei secoli! Amen.

65 Cioè alla tua comunità.


66 Gioco di parole tra batràchon (“rane”) e anthràkon (“carboni”).

490
ABBREVIAZIONI E SIGLE

DP Giovanni Climaco, Discorso al pastore, citato secon­


do la numerazione di Sophronios, KXlfia.% xov
’lwàvvov xov Eivcuxov, Konstantinoupolis 1883.

DS Dictionnaire de spiritualìté, ascétique et mystique,


doctrine et hìstoìre, 16 voli., Beauchesne, Paris
1937-1996.

Esort. Breve esortazione che riassume in modo altrettanto


efficace quanto è stato detto per esteso (alla fine di
Scala XXX).

Exegesis Niceforo Callisto Xanthopoulos, E^qyeoig ovvxopog


eig xrjv KXlqaxa xov 7(oàvvov, editio princeps a cura
di N. Meletios, S. Dimitreas e B. Lampropoulos,
Ekdosi Ieras Mitropoleos Nikopoleos, Preveza 2002.

Lettera I Lettera di abba Giovanni igumeno di Raito al venera­


bile Giovanni igumeno del monte Sinai.

Lettera II Lettera di risposta.

Menaion Vita Climaci ex Menaeis 30 Martii, PG 88,6o9C-6i2A.

PG Patrologiae cursus completus. Series graeca, a cura di


J.-P. Migne, Paris 1857 ss.

PL Patrologiae cursus completus. Series latina, a cura di


J.-P. Migne, Paris 1844 ss.

Prol. Prologo alla Scala.

491
Racc. Dai “Racconti sui santi padri del Sinai” di Anastasio
Sinaita (capitoli relativi a Giovanni Climaco, citati
secondo la numerazione adottata in questo libro).

se Sources Chrétiennes, Cerf, Paris 1942 ss.

Scala Giovanni Climaco, La scala, citata secondo la nume­


razione di Sophronios.

Scbol. Scholia graeca anonymi ad s. Climaci Scalam Paradisi,


PG 88,643-12x0.

Vita Breve vita del beato Giovanni, igumeno del santo


monte Sinai.

492
BIBLIOGRAFIA

Edizioni

KXifiaè, zov ’lcoàvvov zov a cura di Sophronios Lavriotis,


Zivatzov,
Konstantinoupolis 1883 (rist. Astir, Athinai 1979).

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Sei, Torino 1941.

Sancii Joannis Abbatis, vulgo Climaci, Opera Omnia, a cura di M. Rader,


S. Cramoisy, Lutetiae Parisiorum 1632, poi in PG 88, 579-1248
{Scala Paradisi 633-1164, Liber ad Pastorem 1165-1210).

a cura dell’arch.
Tov óolov IJcttQÒg r/pcòv ’lcoàvvov zov Zivatzov KXl/ ua.% ,
Ignatios (Pouloupatis), Iera Moni Paraklitou, Oropos Attikis 19998.

Traduzioni italiane

Giovanni Climaco, La scala del paradiso, a cura di C. Riggi, Città


Nuova, Roma 1996'.

S. Giovanni Climaco, La scala del paradiso, 2 voli., a cura di B.


Ignesti, Cantagalli, Siena 1955.

San Giovanni Climaco, Scala Paradisi, 2 voli., a cura di P. Trevisan,


Sei, Torino 1941.

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Commenti antichi

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ecstatici D. Dionysii Cartesiani, Opera omnia in unum corpus digesta
XXVIII, Brépols, Tournai 1905.

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Sbomìk ix (1892), pp. 21-24; 3 cura di G. Hofmann, “Der hi. Jo­
hannes Klimax bei Photios”, in Orientalia Christiana Periodica 7
(1941), pp. 461-479, (cf. anche Photii patriarchae constantinopolita-
ni Epistulae et Amphilochia VI/i, a cura di L. G. Westerink, Teub-
ner, Leipzig 1987, pp. 64-66).

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P. Gautier, Teubner, Leipzig 1989, pp. 121-126.

NlCEFORO Callisto XANTHOPOULOS, ’Efyyeoig ovvxopog dg xqv


editio princeps a cura di N. Meletios, S. Di-
KXifiaxa xov’lcuàvvov,
mitreas e B. Lampropoulos, Ekdosi Ieras Mitropoleos Nikopoleos,
Preveza 2002.

Pseudo-Giovanni di Raito, In sancii Joannis, cognomento Scolastici


seu Climaci, Climacen Scholia, PG 88,1211-1248 (solo in versione
latina).

Scholia graeca anonymi ad s. Climaci Scalam Paradisi, ante hac numquam


edita, ex Elia Cretesi archiepiscopo potissimum, et aliis Patribus et
scriptoribus Graecis decerpta, PG 88,643-1210.

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AMMONIO, Sull’Isagoghé di Porfirio = In Porphyrii isagogen sive quinque


voces, a cura di A. Busse, in Commentarla in Aristotelem Graeca
IV/3, Reimer, Berlin 1891, pp. 1-128.

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grec des récits du moine Anastase sur les pères du Sinai”, in Oriens
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Città Nuova, Roma 1996.

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a cura di E. Cattaneo, Città Nuova, Roma 1986.

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sitiones in Psalmos, PG 27,60-589.

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cura di G. J. M. Bartelink, SC 400, Cerf, Paris 1994. Tr. it. Ata­
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-, Omelie sui Salmi = S. Basilii Magni homiliae super Psalmos, PG


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di A. Regaldo Raccone, Paoline, Roma 1965.

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1305. Tr. it. Basilio di Cesarea, Le regole, a cura di L. Cremaschi,
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quadraginta martyres, PG 31,508-525.

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P. Nautin e L. Doutreleau, SC 233-244, Cerf, Paris, 1976-1978.

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a cura di L. Regnault e J. De Préville, SC 92, Cerf, Paris, 1963, pp.
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zoles, To perivoli tis Panaghias, Thessaloniki 19952, pp. 122-184.

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Aiyvnxov povaxovg, in Tov èv àyloig naxgòg rjpdjv ’Ecpgaìp xov Svgov
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cura di P. Géhin, SC 340, Cerf, Paris 1987.

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Evagrio Pontico, La preghiera pura, a cura di G. Bertotti, Il leone
verde, Torino 1998.
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-, Trattato pratico = Évagre le Pontique, Traité pratique ou Le moine,
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513
GLOSSARIO

Acedia (akedta). L’acedia o accidia è quel vago sentimento di noia,


di sconforto, di torpore spirituale e di disgusto della vita, che, secon­
do i padri, coglie soprattutto i monaci, coloro cioè che, avendo ab­
bracciato una vita di radicale spogliamento e di sequela del Signore,
sono più esposti di altri ad essere tentati sull’essenziale, ovvero sul
senso della vita come dono di Dio o sul valore della preghiera e della
vita spirituale. Cf. la descrizione di Climaco nel Discorso XIII.

Afflizione (pénthos). L’afflizione è la condizione di lutto di colui che


piange i propri peccati: “La parola pénthos ha la stessa radice della pa­
rola pàthos: ambedue derivano etimologicamente dal verbo pathein che
significa ‘soffrire’ ... Il pénthos consiste in un’afflizione per una per­
dita; è la tristezza e la sofferenza per l’assenza di Dio, un’inestingui­
bile sete per la presenza di Dio. Uno si affligge per il proprio estrania-
mento da Dio e i suoi occhi divengono ‘una fonte di lacrime’ (Scala
XXVII/2,36)” (J. Chryssavgis, “Una spiritualità dell’imperfezione”,
p. 178). L’afflizione però può diventare causa di gioia (charopoiòn pén­
thos) nella misura in cui rende consapevole il peccatore, oltre che della
gravità del proprio peccato, anche della grandezza del perdono di Dio
(cf. Scala VII,n).

Ascesi (àskesis). L’ascesi è l’esercizio e la “fatica del corpo” - come


spesso la chiama l’autore - attraverso cui esso viene reso partecipe del
movimento di conversione e di rinascita dell’intera persona dalla morte
del peccato alla vita dello Spirito: l’ascesi però “non è una lotta volon­
taristica che si svolge alla superficie della vita, con la conseguenza che
le insufficienze combattute cambino solo di piano e diventino, così, an­
cora più pericolose. E invece un lavoro continuo per accogliere la gra­
zia, per respirare più in profondità il Soffio della vita ... La grazia, a
sua volta, sostiene lo sforzo di aprirsi alla verità: l’ascesi è divino-
umana. Dio comunica all’uomo la sua stessa forza” (O. Clément, Il
canto delle lacrime. Saggio sul pentimento, Ancora, Milano 20022, p. 81).

5i 5
Assenza di preoccupazioni (amerimnta). L’amerimma è la libertà dalle
preoccupazioni mondane e materiali raggiunta attraverso una fede
salda e incrollabile nel Dio provvidente e “amico degli uomini”. Il si­
gnificato di questo termine è stato fissato dai padri a partire dalle pa­
role che Gesù stesso rivolge ai suoi discepoli: “Non preoccupatevi per
la vostra vita, di quello che mangerete o berrete ... Di tutte queste
cose si preoccupano i pagani. Il Padre vostro sa che ne avete biso­
gno!” (Mt 6,25-32). Per Climaco l’assenza di preoccupazioni è l’ope­
ra principale dell’esicasta (cf. Scala XXVII/2,12), che è chiamato a “ri­
manere libero” (scbolàzein) per potersi dedicare a Dio e alla preghiera
con cuore indiviso (cf. ibid. XXIX, 19).

Attaccamento passionale iprospàtheia). Il termine indica qualsiasi lega­


me affettivo, a cosa o persona, che rischia di distogliere il monaco dal
suo proposito di vita e di frenare il suo progresso spirituale. Il distacco
da tali legami (aprospàtheia) definisce dunque la rinuncia interiore al
“mondo”, dopo quella materiale ed esteriore (apotaghé): è il secondo gra­
dino verso quella monotropia, quell’unificazione del cuore che è richie­
sta al monaco dal suo stesso nome (monachós da mónos, “unico, solo”).

Carne {sane). Conformemente all’uso biblico il termine “carne” in­


dica in Climaco la natura umana - nella sua unità indivisibile di corpo
e di spirito - in quanto peccatrice e sottomessa alla “morte”; a volte
però lo stesso termine è impiegato per indicare il corpo in opposizio­
ne allo spirito. Anche se l’impiego del termine non è privo di una certa
ambiguità, occorre notare che il secondo significato non implica un di­
sprezzo del corpo in quanto tale, ma soltanto delle passioni e del pec­
cato che lo abitano. L’ascesi del resto non ha lo scopo di vincere il
corpo, ma di sottomettere e di trasformare la “carne”, ovvero l’intera
vita dell’uomo opposta al disegno di Dio.

Certezza (plerophona). La plerophoria è il sentimento di intima e


piena certezza che la persona prova quando, attraverso il proprio
senso spirituale, percepisce la presenza e l’azione della grazia divina
nel cuore (cf. Scala V,i6; XXVI/2,4). A volte si declina anche come
sicurezza di essere esauditi nella preghiera (cf. ibid. XXVIII,45).

Compunzione (katanyxis). Il termine compunzione è analogo ad af­


flizione {pénthos), ma rispetto al generico rimpianto per i propri pecca­
ti espresso da quel termine, indica un’esperienza più intensa e precisa:
la compunzione è infatti la “puntura” - questo il significato etimologi­
co del greco katanyxis e del latino compunctio - che improvvisamente
trafigge il cuore e, immergendolo nel dolore, lo incita alla conversione.

516
“La compunzione, perciò, non implica semplicemente rimorso e rim­
pianto, ma anche un incitamento, una spinta verso la perfezione. Il
suo significato non è puramente negativo, ma soprattutto positivo. In
realtà la puntura viene da Dio, ma può venire indirettamente anche
dall’esterno - tramite qualcuno che incontriamo o qualche parola che
udiamo - o anche dall’interno, dal nostro cuore o dalla nostra mente.
In ogni caso la compunzione presuppone una ‘visita’ da parte di Dio:
‘Il Signore viene senza essere invitato’ {Scala VII,27)” (J. Chryssavgis,
“Una spiritualità dell’imperfezione”, p. 173).

Confidenza (parrhesta) cf. familiarità.

Contemplazione (theoria). Il termine tkeoria indica la contemplazione


dei beni e delle realtà spirituali attraverso la mente, contemplazione che
al suo grado più sublime raggiunge il mistero stesso di Dio - e in questo
caso si parla più specificamente di “teologia” E opportuno rilevare
che nel nostro autore non vi è traccia di una netta opposizione tra “vita
pratica” e “vita contemplativa”, peraltro assente anche nella più auten­
tica tradizione dei padri che le intende come inscindibilmente unite.

Contraddizione {antirrhesis). Si tratta di un metodo di combattimen­


to spirituale assai diffuso nel monacheSimo orientale che, sul modello
della pagina evangelica delle tentazioni di Gesù (cf. Mt 4,3-12), con­
siste nel respingere i pensieri cattivi penetrati nel cuore contraddicen­
doli con una “parola” contraria presa dalla Scrittura. Per degli esem­
pi di antirrhesis in Climaco, cf. Scala XXI,27; XXV,i2.

Cooperazione {synérgheia). Il termine synérgheia esprime un’idea


cara alla teologia dei padri greci: la convinzione, cioè, che la liberazio­
ne dell’uomo dal peccato e la sua salvezza non sono frutto né solo
della volontà umana né solo della grazia di Dio, ma di un’intima co­
operazione - sinergia appunto - tra l’una e l’altra. L’uomo, infatti, può
arrivare alla pienezza della propria umanità, cioè alla conformazione
al Cristo, nella misura in cui obbedisce con docilità e piena libertà al
dinamismo dello Spirito che lo abita in virtù del battesimo. I padri
greci non conoscono la netta opposizione tra grazia e libertà tipica
della tradizione occidentale: per essi l’uomo è pienamente uomo, e
dunque libero, nella misura in cui coopera con Dio lasciandosi piena­
mente trasformare da lui; e questo non è al di là delle sue possibilità
(cf. Scala XIV, 19; XXVII/2,18; DP 64).

Cuore {kardta). Secondo tutta la tradizione biblica e patristica, il


“cuore” indica il centro spirituale della persona: il “luogo” in cui av­

517
viene sia l’incontro tra l’uomo e Dio nella preghiera (vedi “preghiera
del cuore”), sia la lotta contro i pensieri cattivi (loghismoi). Il cuore è
anche la sede del “senso spirituale”.

Demoni cf. pensiero cattivo

Discernimento (didkrisis). Il discernimento è un carisma, particolar­


mente necessario al padre spirituale, grazie al quale egli è in grado di
distinguere chiaramente - in se stesso e negli altri - tra i pensieri
buoni e i pensieri cattivi, tra la volontà conforme alla volontà di Dio,
e la volontà malvagia ispirata dal demonio (cf. Scala XXVI/1,1). Il di-
scernimento, a seconda dei casi, può assumere la forma della “chiaro-
veggenza” (diórasis), cioè di una visione lucida attraverso il cuore e la
mente delle persone, della “preveggenza” (proórasis), cioè di uno
sguardo penetrante sugli eventi in grado di anticiparne gli sviluppi (cf.
Scala IV, 105), o della semplice “discrezione”, cioè della capacità di
trovare la giusta misura in ogni cosa.

Distacco (aprospàtheia) cf. attaccamento passionale.


\

Energia/effetto/operazione (enérgbeia). E il termine che i padri, a


partire dai cappadoci, utilizzano per esprimere l’azione con cui Dio,
che è inconoscibile nella sua essenza, si fa conoscere dagli uomini in
modo concreto e sperimentabile. Secondo una consuetudine tipica
della letteratura ascetica bizantina, la categoria teologica è assunta in
ambito spirituale: qui non si tratta degli “atti” che Dio compie nella
storia della salvezza, ma degli “effetti” che l’azione di Dio ha nell’a­
nima del singolo credente, anche se 1’utihzzo dello stesso termine per
indicare l’una e l’altra realtà ci fa chiaramente intuire come, secondo
il pensiero dei padri (che non separa mai teologia e spiritualità), la se­
conda non sia disgiunta dalla prima, ma in essa si inserisca e su di essa
si fondi.

Esicasta {besycastés). L’esicasta è colui che pratica l’“esichia” e dimo­


ra nella condizione così raggiunta. Il termine è sinonimo di eremita.

Esichia (hesychia). Abbiamo reso il termine greco hesychia con il


calco “esichia” in mancanza di un termine italiano in grado di render­
ne tutte le sfumature. L’esichia è la quiete, la pace, la tranquillità, la
solitudine, il silenzio, allo stesso tempo del corpo e dell’anima, neces­
sari al monaco per raggiungere lo stato di preghiera e di contemplazio­
ne. Essa però non è pura condizione di passività, ma anche e prima di
tutto una continua attività della mente nel vigilare sul cuore e sui pen-

5x8
sieri (cf. Scala XXVII/2,43): presuppone dunque l’attenzione (proso­
die), la sobrietà/vigilanza (népsis), l’assenza di preoccupazioni (ame-
rimm'a) e il discernimento (diàkrisìs). Il termine “esichia” è quasi sem­
pre sinonimo di vita eremitica, ma Climaco prevede anche una forma
di esichia compatibile con la vita cenobitica (cf. ibid. IV,31).

Estraneità (xeniteia). La xeniteia (da xénos, “straniero”), definisce


l’atteggiamento fondamentale del cristiano e del monaco che, conside­
randosi straniero e pellegrino sulla terra, in quanto cittadino della
città celeste (cf. Fil 3,20), rifugge da tutto ciò che potrebbe distoglier­
lo dal servizio di Dio, vivendo nel nascondimento, nell’umiltà e nella
continua attesa del definitivo incontro con Cristo. Ma la xeniteia non
è soltanto un atteggiamento interiore: per il monaco si può concretiz­
zare anche nella scelta materiale di un volontario esilio dalla propria
terra che accompagni la “rinuncia” (apotaghé) e il “distacco” (aprospd-
theia) dalla propria famiglia e dai propri beni. Sul tema cf. A. Guillau-
mont, “Le dépaysement comme forme d’ascése dans le monachisme
ancien”, in Id., Aux origines du monachisme chrétien, Abbaye de Bel-
lefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1979, pp. 89-116.

Familiarità/franchezza/confidenza (parrhesia). Il termine parrhesia, in


Climaco come in altri autori monastici, è ambivalente: secondo l’eti­
mologia, significa il diritto o l’abitudine di “dire tutto” (da pàn eirein).
Di qua derivano due sensi: uno positivo, la confidenza e la franchez­
za del credente di fronte a Dio (cf. Scala V,ii; XXVIIL5.11); l’altro
negativo, l’eccessiva libertà e familiarità nelle parole o negli atteggia­
menti con le persone, che estingue sia l’autentica carità, sia quel senso
di estraneità essenziale a ogni vita monastica (cf. ibid. III,i;
XXVI/1,8.71).

Impassibilità (apàtheia). Il termine, assunto dai padri dalla filosofia


stoica, indica lo stato di reintegrazione dell’anima nella sua purezza
originale e di completa liberazione dalle passioni: più che della loro
estinzione, però, si tratta qui della loro sottomissione e della loro ri-
conversione nel dinamismo vivificante della carità (agape), essa stessa
definita come èros, ovvero “amore passionale”, fuoco che spegne ogni
altro fuoco. Climaco evita il termine “divinizzazione”, impiegato da
altri padri, ma l’impassibilità esprime per lui la stessa idea, cioè la
piena conformazione dell’uomo a Cristo: “L’impassibile non vive più
lui stesso, ma in lui vive Cristo!” (Scala XXX,15).

Indipendenza di vita (idiorrhythmia). Il termine idiorrhythmia (da


idios “proprio”, e rythmós “ritmo, regola”) indica in Climaco un’impo-

519
stazione di vita svincolata da qualsiasi “regola” oggettiva (sia essa rap­
presentata dal padre spirituale o dalla comunità), il cui unico criterio­
guida rimane la volontà propria del soggetto: è la principale tentazione
dei cenobiti e di tutti coloro che vivono sottomessi all’obbedienza (cf.
Scala XXVII/2,1.2.4). Soltanto in un’epoca successiva a Climaco (XIV
sec.) questo stesso termine perderà la sua accezione negativa e indiche­
rà una forma di vita monastica distinta da quella cenobitica, in cui ogni
singolo monaco ha la libertà di vivere secondo il “proprio ritmo”, con
pochi obblighi nei confronti della comunità cui appartiene.

Mente (noùs). Secondo la tradizione patristica, a partire da Orige­


ne, il noùs, qui tradotto “mente” (da altri “intelletto” o “spirito”), è
la suprema facoltà umana, sede dell’immagine di Dio nell’uomo, e l’or­
gano della contemplazione. Per Climaco, che raccoglie tale tradizione,
la mente è da una parte “l’occhio del cuore” (cf. Scala XXII,22), ov­
vero la sua “sentinella” (cf. ibid. XXVII/1,21) e il suo “cane da guar­
dia” (cf. DP 9), la cui funzione è quella di vigilare sul cuore, perché i
pensieri cattivi non vi s’insinuino o non vi dimorino a lungo; dall’al­
tra è l’organo della preghiera che, come un sommo sacerdote, celebra
la “liturgia del cuore” offrendo continuamente a Dio sacrifici spiritua­
li (cf. ibid. XXVIII,52).

Natura (physis). La nozione di “natura” designa sia la natura umana


decaduta, sia la natura umana nella sua condizione creaturale confor­
me al progetto di Dio. In realtà, a ben vedere, la “natura” nel pieno
senso del termine è solo quest’ultima, essendo la prima una condizio­
ne “contro natura” (para physin). Per tutta la tradizione patristica
orientale, infatti, l’uomo è stato creato buono e, in virtù dell’immagi­
ne divina che gli è stata donata, è stato abilitato a vivere “secondo na­
tura” (katà physin), ovvero secondo la virtù. La successiva trasgressio­
ne ha sì sovrapposto a questa natura fondamentale una natura deca­
duta, estrinseca, ma non ha cancellato la prima, cosicché l’uomo, in
virtù della redenzione di Cristo e del dono dello Spirito che collabora
all’opera di salvezza, può combattere e vincere questa falsa natura e
riscoprire la sua autentica natura, fino a raggiungere una condizione
“al di sopra della natura” (bypèr physin); ma anche tale condizione non
va intesa come una sovrapposizione alla natura umana, frutto della
pura grazia, ma come il pieno sviluppo di tale natura, dovuto ad un’in­
tima e costante cooperazione tra Dio e l’uomo.

Passione (pàthos). La passione, secondo i padri, è una “malattia”


dell’anima, un impulso cattivo che è frutto del ripetuto consenso della
mente alle suggestioni demoniache. Come molti altri, Climaco ritiene

520
che le passioni siano essenzialmente “contro natura”, o meglio siano
la perversione di tendenze naturali poste da Dio nell’uomo (cf. Scala
XXVI/2,41). A tal punto le passioni stravolgono la natura profonda
dell’uomo, che anche colui che vi rinuncia rimane sottoposto a delle
“predisposizioni passionali” (prolépseis), cioè a delle tendenze passio­
nali latenti e involontarie, che sono frutto dei ripetuti atti di peccato
compiuti nel passato (cf. ibid. XXVI/i,7.12.28.65).

Penitenza/pentimento (metànoia). La metànoia, secondo il significato


letterale del termine, indica un “cambiamento della mente”, ossia un
pentimento che scaturisce dalla dolorosa coscienza dei propri peccati:
esso si traduce in un radicale mutamento di agire e di condotta e, at­
traverso concrete opere “penitenziali”, arriva a plasmare l’intera esi­
stenza dell’uomo come un perpetuo movimento di conversione a Dio e
alla sua volontà. Per cercare di mantenere sia il significato interiore che
quello esistenziale e concreto del termine greco, si è preferito quasi
sempre la traduzione “penitenza” (piuttosto che “pentimento” o “con­
versione”, entrambi traduzioni parziali), anche se è necessario prescin­
dere - ne siamo coscienti - dalla sfumatura negativa di cui la parola
“penitenza” è carica nelle lingue moderne, frutto di un’indebita con­
nessione con la parola “pena” (lat. poena) avvenuta nella tradizione me­
dievale occidentale.

Pensiero cattivo (poneròs loghismós, o semplicemente loghismós). Il


“pensiero cattivo” è uno dei concetti-chiave della “psicologia” dei
padri orientali: indica un’immagine o un’inclinazione negativa che
sorge nel cuore e turba la mente, distraendola dal ricordo di Dio e spin­
gendola al peccato. Secondo tutta la tradizione patristica i pensieri cat­
tivi hanno origine dalle suggestioni dei demoni e dunque sono indipen­
denti dalla libertà umana, che però può decidere se acconsentirvi o
meno. Evagrio (in Trattato pratico 6) identifica i loghismolcon i “demo­
ni” che li suscitano, ed elenca otto “pensieri principali” che sono all’o­
rigine di tutti gli altri: ingordigia (gastrimargbla), fornicazione (pamela),
avarizia (philargyn'a), tristezza (lype), ira (orghé), acedia (akedla), vana­
gloria (kenodoxla), e orgoglio (hyperephanla). Questo elenco è rimasto
classico in tutta la tradizione patristica, così come l’analisi che Clima-
co fa del processo della tentazione attraverso il quale un pensiero cat­
tivo penetra nel cuore e lo muove alla passione (cf. Scala XV,73).

Pratica (praktike). Secondo la visione evagriana alla quale Climaco


si ispira, la vita spirituale è divisa in tre tappe: “pratica”, “fisica” e
“teologia”. La pratica è “il metodo spirituale che purifica la parte pas­
sionale dell’anima” (Evagrio Pontico, Trattato pratico 78) e consiste es-

521
senzialmente nell’esercizio delle virtù e nella lotta contro i pensieri
cattivi: il suo fine è il raggiungimento dell’impassibilità (apàtheia).

Predisposizione passionale (prólepsis) cf. passione.

Rinuncia (apotaghé). Il termine “rinuncia” definisce la decisione di


abbandonare materialmente il “mondo” (casa, famiglia, proprietà,
condizione sociale...) e di entrare nella vita monastica al fine di segui­
re Cristo in modo radicale: questa prima rinuncia però non è sufficien­
te per intraprendere il cammino, se non è seguita dalla rinuncia alla
volontà propria e dalla rinuncia alla vanagloria (cf. Scala II, 14).

Senso/sentimento spirituale o del cuore (aìsthesis noerà, tès kardtas). Se­


condo la dottrina tradizionale dei “sensi spirituali”, risalente a Orige­
ne, l’uomo è dotato di cinque “sensi spirituali”, cioè di cinque facoltà
interiori che lo abilitano a percepire e gustare in modo cosciente la gra­
zia di Dio (cf. per esempio Origene, Contro Celso 1,48); facendo pro­
pria tale dottrina, Climaco, come già Diadoco di Fotica (Capitoli 25),
preferisce parlare di un unico “senso spirituale” o “del cuore”: grazie
ad esso il monaco unifica la propria vita interiore ed esteriore percepen­
dovi la presenza nascosta di Dio (cf. Scala XXVI/1,17-18). Lo stesso
termine indica anche il “sentimento” che attraverso tale senso si perce­
pisce nell’intimo del proprio cuore (cf. ibid. XVIII,4; XXVIII,42). Sul
tema cf. M. Canévet, s.v. “Sens spirituel”, in DS XV, coll. 589-617.

Sobrietà (népsis) cf. vigilanza.

Tentazione {peirasmós). Il termine indica globalmente il processo at­


traverso il quale un pensiero cattivo di ispirazione diabolica (loghi-
smós) penetra nel cuore umano e spinge la mente a dare il proprio con­
senso a esso, fino a generare la passione (per le varie fasi cf. Scala
XV,73). Il termine peirasmós può indicare anche la semplice “prova”
inviata da Dio per il progresso spirituale dell’uomo.

Teologia {theologhia). Il termine in Climaco ha un duplice significa­


to: in senso debole, indica l’indagine razionale su Dio (in particolare
sul mistero trinitario), sconsigliata al monaco perché fonte di distra­
zione e occasione di superbia (cf. Scala VII,26); in senso forte, indica
la vera conoscenza di Dio che si acquisisce attraverso la preghiera, che
è il livello più alto del percorso spirituale di un monaco (cf. ibid.
XXX,12-13; DP I4 e 100,h). In questo senso Evagrio afferma: “Se
sei teologo, pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo”
{Sulla preghiera 60).

522
Vigilanza/sobrietà (népsis). Il termine népsis, che in senso materiale
indica lo stato di sobrietà dal vino (in opposizione a méthe), viene uti­
lizzato dagli autori monastici per indicare la condizione della mente
che si trova nella piena padronanza delle proprie facoltà: tale condi­
zione è necessaria per la preghiera, il discernimento, la custodia del
cuore e la lotta contro i pensieri cattivi. Il termine è sostanzialmente
sinonimo di “attenzione a se stessi” (prosoché).

Volontà propria (oikeìon o ìdion thélemd). Il termine non indica la


libera determinazione dell’uomo, ma piuttosto la sua volontà “mala­
ta”, frutto delle passioni che lo abitano: come diceva abba Poemen,
essa è come un muro di bronzo fra l’uomo e Dio (cf. Apoftegmi, Poe­
men 54) che impedisce ogni vero progresso spirituale. Per intrapren­
dere con frutto il proprio cammino il monaco deve perciò operare una
netta “recisione” (ekkopé) di tale volontà per mezzo dell’obbedienza
e della sottomissione al padre spirituale, il quale lo guida nel discerni­
mento della volontà divina e si fa garante di ogni suo atto di fronte a
Dio (cf. Scala IV,92; DP 57).

523
INDICE BIBLICO

I riferimenti biblici sono in base al testo greco dei 1.X X , come anche la
numerazione. La nomenclatura dei libri, invece, è quella corrente.

Genesi 3,5 DP ioo,b


3 >i-i 5 xxvi/1,62 3,6-10 III,i 5
3.6 XIV,32 4,4 IV,27; DP 100,b
3.7 XXI,8; XXIV,7 4,10 DP ioo,l
3.16 XV, 1 4,14-16 DP ioo,l
3.21 XV,76 4,20 V,25
3.23-24 XXVI/2,41 5,6-14 V,25
3,23 III,9 5,17 XXIX, 19
8,14-9,17 XXV, 16 7,1 DP 100,h
9,20-23 XIV,32 7,27-8,8 DP xoo,I
12,X 111,28 n,5 DP 100,b
18,27 XV, io 12,8 XIV,29; DP 99
19,1-29 IV, 100 13,17-22 I> 1 4
19,16 1,15 i 3 ,21-22 DP ioo,c
19,26 II,18; 111,13 14,11 XIV,3 2
19,30-38 VII,68; XIV,32 14,16 Lettera I
23 , 27-34 XIV,32 14,21 DP ioo,c
27,36 Pro!. 14,21-22 1,14; XXV,16
28,12 Prol.; Lettera I; 14,27-28 DP 100,c
IX,1; XV,24; XXII,28
XXX,18; DP100 15,20 IV,65
32,25-31 XXX, 18 16,2-3 III.I 4
37 , 1,36 DP 14 17,5-6 DP 100, £
39 , 7*20 XXVI/2,48 17,8-13 1,14; DP 100,d
17,11-13 XV,76
19,3 V,2 5
Esodo 24,18 Vita 9
V,25; DP 100,c 3I>2_3 Vita 4
2,12 XV,io. 39; 31,r8 XXV,3; DP 5
DP 100,b 32,11-14 IV,126
3 > 2-4 V,2 5 ; XV, 39 ; 32,30-35 IV, 126
DP ioo,b.e 32,15-16 Vita io

525
32,19 DP lÙOyt 2Re
33.n XXVll/l,20 2,11 DP 100,b
33,18-23 Lettera I
33,20 DP 100,e
33.23 DP ioo,e 2 Cronache
34.29 XXX,11; 33,i-9 XXV,57
DP 100,a.e 33,12-13 XXV,57

Numeri 2Maccabei
16,16-35 IV, 126 7,6 V,5,n
20,17 1,47; 111,45
22,22-34 XXV,49
Giobbe
x,16-18 IV,51
Deuteronomio 1,22 XVI,21
4»9 IV,75; XXVI/2,16 2,8 VII,26; XXV,56
10,17 1,35 4,12 XXVII/1,24
15,1 IV,21 4,15 XX,7
J5)9 IV,75; XXVI/2,16 13,1 IV,86
20,8 XXVI/1,82 14,11 VII,22
32,7 Lettera I 16,15 VII,26
32,36 V,5,n 29,2-3 V,5,v
34.4 Vztó io 38,11 XXVIII, 17
39,5 XXVII/2,21
39,25 XXVIII,49
Giosuè 40,7 IV,31
2,1-21 XII,7 42,6 XV, xo; XXV,6
DP 100,f 42,10 V,25
3.16 DP 100,f
4,2-8 DP ioo,g
6,1-21 DP 100,g Salmi
i3>*“33 DP 100,f 1,2 XIX, 13
5,4 XII,2
6,2 V,5,h
1 Samuele 6,3 XV,76
2,9 XXVIII,23.63 6,8 Vili,22
2,12-17 XIV,3 2 7,ii XXIV, 16;
2,30 XXI,28 XXVI/1,40
16,1 DP 29 7,i7 XXIII,8
8,6 XV,1.70
8,7 XXVI/2,59
2 Samuele 9,7 DP 100,g
11,2-3 XV,65 9,18 V,5,s
12,13 XXV,58 10,7 XXIV, 16
n,7 XXX, 13
13,1 1,5
iRe 15,8 VI,17;
19,9-18 VII,70 XXVII/2,42
21,1-18 XXV,57 16,8 VII,27

526
i?,7 V,5,n 62,9 11,1
I 7, x i DP 100, m 63,7 X,i7
17,12 XXVI/2,44 64,8 XXVI/1,25
17,3° XXIX, 17 64,14 XXV, 13
17,34 Esort. 65,6 XXVI/1,25
17,42 XXII,13 65,16 V,3
i 8, i o XXX, 13 65,20 V,5,t
18,14 XXVI/1,55 66,2 V,5,n
21,26 XXV,39 67,2 XXVI/1,25
23,6 III,2o; IV, 3 3 67,11 IV,105
24,5 XXVI/2,1 69,2 XXVI/1,51
24,8 XXIV, 16 70,20 IV,36
24,93 XXIV,4 72,16-17 XXVI/1,7; DP 93
24,9b XXIV, 2 72,25 XXVIII,28
25,12 Vita 1 72,28 XXVIII,28.33
27,7 XXX,11 75,12 DP 78
3i,5 IV,15 77,1 V,4
34,i3 XIV,30; 78,8 V,5,n
XXVII/2,33; 79,4 V,5,n
XXVIII,3 79,7 XXVI/1,51
36,2.9 XXIV, 21 83,2 XXX,8
36,11 XXIV,3 83,6 XXX, 18; Esort.
36,35-36 XV,69 83,8 XXVI/2,38
37,7-6 V,5,i 87,3 V,5,o
38,2 XI,5; XXVI/1,51 88,10-11 XXX, 18
38,4 V, 29 88,23-24 XXV,25
38,10 XXVI/1,51 88,49 XV,30
38,14 V,i6; XXIX,5 88,50-51 V,5,v
39,i IV,23 90,6 XIII,4
39,i5b XXI,27 90,13 XXV,63
39,16 XXI,27 93,10 XXVIII,63
40,12 XXVIII,59 93,14 XXVI/1,32
41,2 XXVI/2,1 93,19 IV,35
4i,3 XXIX,15; XXX,9 94,6 IV,32
45,ii XXIX, 19 100,4 XXIX, 14
46,6 DP ioo,m 100,5 X,3
46,10 XXIX,3 101,5 V,5,i; VII,4.66;
48,5 XXVI/2,2; X,3
XXVII/2,32 101,6 V,5,i
49,i 1,35 101,10 V,5,i
49,22 XXVII/2,42 102,12 V,5,i; XXVI/1,50
50,18-19 XXV,58 103,18 DP 100,i
50,19 IV,31; VII,50; Io3,19-22 XXVI/2,44
DP 8 107,13 XXII,27
52,2 1,5 112,7-8 XXIX, 19
54,7 IV,1 Ir3>9 XXV,39
56,8 XXVII/1,16 114,6 XXV, i4;
59,5 XII,8; XXV,4 XXVII/2,42
60,4 XXV,25 118,42 XXVI/1,51
62,2 II,IO 118,51 XXVI/1,51

527
118,96 XXVI/2,37 Cantico dei cantici
118,120 XXX, 11 i,4 XXIV, 16
118,131 Vita 9 i,7 XXX, 18
118,145 XXVIII,59 5,2 XIX,13;
118,148 XIX,13 XXVII/i,K
120,3 XXVI/2,45 XXX,7
120,8 XXVI/2,38 5,9 XXX, Il
123,5 V,5,n.t
123,6 V,5,t
125,2-3 XXVI/2,44 Sapienza
126,1-2 XV, 21 3,6 IV,132
130,1 XXII,22
132,1 IV,31
x33,x 1,4° Siracide
I35>23"24 IV,65; 1,22 Vili,8
XXV, io 5>7 XXVI/2,1
x36>4 VII,26 7,36 VI,26
138,18 XIV,3 2 20,18 XI,5
X!
IxJ
t—i

140,3 34,23 IV,54


c<*\
O

140,4 1.34
141,8 VII,39
x42,5 V,5,v Isaia
142,8 XXVI/2,1 2,3 Esort.
142,10 XXVI/2,1 3,12 XXI,9
x44,x7 VII,61 19,1 XXVI/2,44
144,19 Vita 7 26,10 V,5,s
x45>8 IV,99; VII,47 35,10 VII,46
49,9 V,5,n
59,2 XXIX, 17
66,2 XXIV,2
Proverbi
1—1
XI
XI
M
-sj
H
<

2>5

3>34 XXII,9 Geremia


4,23 IV,73 7,16 DP 29
4,27 1,47; 111,45 15.19 DP 59
11,25 XXX, 17 17,16 II, 1
x4>6 XV,75
x5,x3 XXX, Il Ezechiele
16,5 XXII,9; 7,7 VII,50
XXV,12 16,49 XIV,3 2
24,6 XXVI/2,1
24,12 XXVI/2,39
24,27 XXVII/2,42 Abdia
25,22 DP 85 i,i5 DP 59

Giona
Qohelet (Ecclesiaste) 3,9 V.5.P
3>x XXVI/1,59
4,9 IV,68 Abacuc
4,10 1,47 3,x9 Esort.

528
iach ia 10,22 iv,n3
3>20 xxvi/2,48 10,28 XX, io
10,34 111,22
II,12 I,i6; IV,35;
itteo VII,43;
2,13-15 XXVI/2,45 XIII,9; XV,23
3>* VII,70 11,15 XV,26
3,6 IV,58 11,28-30 XXVIII,2
4,9 XXIII,8 11,29 IV,6.21; XXIV,1;
4,10 XIII,8 XXV,3
5,3 II,i3; XVI,9; n,3° DP 32
XXV,13 12,34-35 XXV,19
5>5 XXIV,3 12,35 Vita 9
5,6 VII,6 12,40 xxvi/2,43
5,8 XXVI/3,55; 12,45 11,17
DP 68.100,b 12,49-50 111,19
5,9 XXVI/2,33 13,8 1,32
5,10 II,i3 T3>44 VII,15;
5,i i IV,37 XXVI/1,27
5,i3 III.I3 *3>57 III,3
5,i5 Vita 9 I5>27 XXV,3
5,16 XXI,29 16,6 XXV,7
6, i -6. i 6 - i 7 X X I,6 16,19 XV,66
6,7 XXVI/2,36; 16,24 IV,n3; XV,80;
XXVIII,9 XXVII/1,26
6,9 XXVIII,8 16,26 XXI, 26
6,13 XXIV, 18 17,20 XXX, 1
6,14-15 IX,13 18,15 XXVI/2,i6
6,19-20 XXVI/3,39 18,20 1,47; XXVIII,59
6,23 XXVI/1,23 18,21 XXVI/2,31
6,24 III,2i; XIV,23 19,12 XIV,14; XV,17;
6,25-34 XVI,3; XXVII/2,3
XXVII/2,18 19,21 IV,113; XVI,3;
6,20 XVI,16 XXVII/1,26
7,2 X,io 19,23 XXIV,22
7,3 Vili,23 19,26 V,13; XXVI/1,28
7>7-n V,5,p; XXVI/2,5 19,29 XVI,17; XVIII,46
7,8 XXVIII,56 20,16 XXVII/2,2; DP 1
7,13 XIV,25 21,15 XV,76
7,13-M 11,13; Xiv,26; 21,22 XXVII/2,33
XXV,29 22,10 11,14
7,M XXVI/3,6; DP 32 22,10-14 XXV,47
7,17-18 IV,77 22,11-12 XXVIII,3
7,22 DP 52 22,13 V,5,s; XXII, 17
8,9 VII,40 24,15 XXVI/1,73
8,20 XIII,io 24,22 XV,23.72
8,21-22 11,3 24>43 III,4
8,22 11,7 24>45 1,48
9,2 V,5,s 25,14-3° Lettera I
9,22 V,5,s 25,29 V,7
25,36 XIII,4 12,42 1,48
26,14-16 X,4 12,47 XXVI/2,6
26,41 XXVII/2,42; 12,48 XXVIII,66
DP 31 i3,7 DP 29.86
26,50 IV,1x3 13,24 DP 93
26,75 XI,5 14,11 XXI, 32
27.14 XI,4 14,26 XXVI/1,14
27.34 XIV,28; XXVI/3,2 14,28-29 XXVII/2,45
27.48 XIV,28; XXVI/3,2 M,33 n,x
28,15 DP 100,h M,33 VII,58;
XXVI/1,21
13,4 DP 79
arco x3>21 XXVIII,4
1,30 XV,66 16,10 IV,42; XXI,24
i,35 VII,70 16,16 VII,4 3
3,3i III,i9 17,10 IV,81; XXI,24
4,8 XXV,45 17,32 II,18; 111,13
4,26 XXV, 2 8 18,1-8 XXVII/2,29
4,39 Vita 4 18,2-6 VII,13
9,23 V,5,y; XXVI/1,52; 18,4 XXVIII,31
XXX, 1 18,5 XV, 79
12,34 1,38 18,8 XXVII/2,1
12,42-43 Lettera II 18,10-14 X,i6
13,14 XXVI/1,73 18,11 XXII, 4
14,21 DP 92 18,13 XXVIII,9
16,1 DP 100,h 18,13-14 XXV,33.52
18,22 11,6
21,2 XVI, 5
ica 21,19 XXVII/2,42
i>35 IV, 125; XV,76 22,31 XXI,26
i>37 XXVI/1,28 23,42-43 X,4; XXV,52;
i,45 IV,31 XXVIII,9
i,79 V,5,n; XXIX,1 23,43 XXVII/2,34
2,14 XXV, 16 24,7 DP 92
3,i4 1,38 24,50-51 DP 100,1
4,23 DP 73
5,28 1,35
5,3i 1,34 Giovanni
6,20 XXV, 13 i>9 XXIV, x;
6,26 XXI,28 XXVIII, 52
6,30 XXV Vi ,47 1,12 XXIX, 19
6,37 IX,14; X,8 2,4 XXVII/2,13
7,38 IV,56; V,5,y 4,10 IV,31
7,47 V,6 4,23 XXVI/2,59
9,*3 XXVIII,4 3,i4 Vss
9,25 XXI,26 3,25 XXVI/2,59
9,62 1,48; 11,2 8,12 XXIV, I
10,20 XXV,43 10,8-9 XXV, 29
II>5‘I3 V,5,P 10,9 XXVI/2,20
12,29 XXII,22 10,10 XXVI/1,9

530
10,11 DP 57 I2?5 XXVI/1,33
11,43-44 IV,93 I 2?20 DP 85
il >44 I,i3 13,10 XXVI/1,41
12,35 III,4 14,12 III,5
i3>4-5 IV,31; XXV,54 14,26 IV,8
I3>35 IV,3i; XXV,43
I4>2 XXIX,16
14,6 XXVI/2,20 1 Corinzi
i5>3 XXX,13 2,9 V,5,b
I5>i3 XXVI/1,10; 2,11 XXI, 12
DP 59 2,16 XXIX,5
20,4 V,i.28 3»1 1,20; III,i5;
XXVI/1,64
3)1'2 DP 54
Atti degli apostoli 3>10 XXVII/2,2;
i>i XXVI/1,12 DP ioo,l
i>24 XXIII,4; 3^6 1,44
XXVI/2,39 4>4 XXV,51
2,3 XXVIII,47 4>7 XV,76
7,3 8 Lettera II 5>n DP 65
io,34 XXVI/1,55 5>T3 DP 29
12,7 IX, 1 6,18 XV,40
12,8 XXVIII,27 8,1 XXIV, 12
15,8 XXIII,4; 9>24 XXVII/2,42
XXVI/2,39 10,28-29 XXVI/2,34
20,34 XVI,io 11,28-29 I,i8
12,31 XXVI/2,41
13,5 IV,23; XXX,4
Romani 13,8 VI,16;
1,26 X,2; XXII,6 XXVI/2,38;
2,11 1,4 XXX, 1
2,21 111,5; DP 100,a 13,13 XXVI/1,43;
2,24 XV,63 XXX,1.18
2,29 DP 100,d 14,19 XXVIII,23
5*5 XXX,1.17 14,40 XXVI/2,1
6,4 DP ioo,h 15,31 VI,26
6,9 XXVI/2,43 15,33 111,33
7,i4 XXV,3 15,52 XIX,9
7,24 XV,29
8,6 Vili,16
8,18 XXVII/2,42 2 Corinzi
8,26 XXVIII,43 i,9 XXVI/1,70
8,28 XXVI/2,3 3,i7 V,i7
8,38 IV,24 4,7 IV,25; XXV,2
10,4 XXV,9 5,3 XV,76
11,24 XV,66 5,20 XXVI/1,54
n,33 XXV, 11 6,3 XXVI/1,23
ii,34 XV,35 6,8 XXVI/2,25;
n>35 XXVII/2,56 DP 75
12,1 XXVIII,52 6,14 VII,32

53i
6,i6 1,44 3,2 xxvi/1,79;
6,17 11,15 xxvi/2,51
7)6 VII,30 3,5 XVI, 2
10,3-4 Vita 3 3,9 XXVI/3,6
10,10 DP 38 3,14 IV, 16.127;
11,12 Vita 8; XXVII/1,1 XXVI/1,41
11,14 111,42
12,4 XXVII/1,23;
XXVII/2,13 iTessalonicesi
12,9 XXVI/1,32 2,18 XXVI/2,3
12,10 DP 38 4)i6 XIX,9
5>8 IV,31
5)i4 XIII,4
Galati 5)i7 XXVI/1,59
1,12 DP 6
2,20 XXIX, 15
5>i4 IH,35 2Tessalonicesi
5,22 Vili,16 3,10 XVI,io
5)24 DP 100,f.h
6,9 XXVI/2,11
1 Timoteo
i)9 XXV,2 2
Efesini i)i5 XXVIII, 12
1,18 Vili,22 2,4 XXVI/1,54
1,20 DP ioo,h 2,5 1,14
2,14 XXIX, 18 4)2 DP 27
4)3 IV, X2 7 6,10 XVI,22;
4)13 Esort. XXVI/1,44
4)22 XXVI/3,6 6,12 1,18.39
4)26 IV, 18 6,16 I>35
5>5 XVI,2
5,12 XV,28
6,12 Lettera I 2Timoteo
6,15 IV,2 2,3 DP ioo,h
6,17 IV,2 4)2 IV,24; Vili,23
4)7 1,18.39; XXIX,15

Filippesi
2,8 XXVI/2,50 Tito
3,8 XVI,12 1,2 XXVII/2,18
3,r3 XXVII/2,7 3)5 XXIX, 19
3,20 Vita 1; XV,11 3,10 XXVI/2,11
4,4 1,40
4,i3 Vita 8; IV,31
4,18 Vzta 2 Ebrei
3)7-4,4 III,i4
5,7 XV,76
Colossesi 5,ii XXVI/2,1
2,14 VII,27 6,10 XXVI/2,2.5
3,1 XVI,15; DP ioo,h 7,7 IV,20

532
10,23 xxvll/2,18 XXII,9
12,2 XXI,36
12,14 IV,io; DP 68
12,23 Vita 1 1 Giovanni
12,29 XXVI/1,7; 3)3 DP 68.100
XXVIII,52 4,8.16 XXIV, 16;
13,20 DP 24 XXX,1.2;
Esort.;
DP ioo,m
Giacomo 4,18 XXX,4;
2,10 XXVI/2,31 DP 34
XXII,9 4,19-21 XXX,15

i Pietro Apocalisse
3,22 DP 100,h 19,16 135
INDICE DELLE FONTI EXTRABIBLICHE

L’indice riguarda esclusivamente il testo e le note. Si sono però tralasciati i


riferimenti agli Scholia e all’Exegesis di Niceforo Callisto Xanthopoulos.

Abba Isaia Apoftegmi Nau


Discorsi ascetici IV,31.130;
XXV,2 2; VII, 42.55;
XXVI/2,41 XV,48;
XXV,59;
Ammonas XXVI/2,63;
Lettere XXVIII,38
VII, 11
Atanasio di Alessandria
Ammonio A Serapione
Sull’Isagoghé di Porfirio XXX, 1
VI,26 Ai monaci
IV,6
Apoftegmi (Serie alfabetica) Commento ai Salmi
Vita 4; XXVI/1,25
1,29; 111,1 ; Vita di Antonio
IV,io.27.31.33.89.106; IV,6; VI,26;
Vili,12; X,4; XII,8; V II. i i ;
XIII,5.io; XIV,23; XXX, 11
XV,27; XVIII,6;
XXIV, 13; Barsanufìo di Gaza
XXV, 9.16.40.59; Lettere
XXVI/1,42; XIII,io
XXVI/2,25.31;
XXVII/1,25; Basilio di Cesarea
XXVII/2,29; Canone 96 sugli eretici
XXIX,3.5 DP 65

535
Esagerone VI,26;
XXVII/ 2,2 XXVI/1,17.41
Lettere
XV,44 Crisippo
Omelia di esortazione al battesimo Frammenti morali
XXV, 1 VI,26
Omelie sui Salmi
XXV, 1.9; Diadoco di Fotica
XXVII/2,48; Capitoli
XXIX, 19 VII,58; XV,3;
Omelia sull*umiltà XVIII,5;
XXV,54 XXVI/1,46;
Regole brevi XXVIII,21.44;
DP 65 XXX,4
Regole diffuse
1,12; II,1; Didimo il Cieco
XXVI/1,46; Sui Salmi fr.
DP 69.94 XXIX,19
Sui quaranta martiri Sulla Genesi
IV,6 Prol.
Sulla creazione dell'uomo
XXVI/2,31 Doroteo di Gaza
Veglia su di te Insegnamenti
XXII,22 1,14; 11,8; V,25;
XII, 8;
Callisto e Ignazio Xanthopouloi XIII, io;
Metodo e canone rigoroso XV,74;
XXVII/2,26; XXV,2.44.56.59
XXIX,3
Efrem il Siro
Cirillo di Gerusalemme Come Panima deve pregare con le la
Catechesi crime
XV,1.44 VII,58
Discorso ascetico
Cirillo di Scitopoli XXIX,5
Vita di Eutìmio Parenesi ai monaci d'Egitto
XXVII/2,29 XV,63; XXIX,4
Sulla compunzione
Clemente di Alessandria VII, 58
Quale ricco sì salverà?
VII,50 Epifanio di Salamina
Stremati Ancoratus
IV,6; XIV,8

536
Esichio Sinaita Trattato pratico
Centurie III,11; VII,49;
XV,73 XIII, 1.4.5.8;
XIV, 8 ; XV,74.75;
Euchologion XVI,1.2; XXI,1;
IV,92; V,5 ,h XXIII,4.7;
XXVI/1,41.57;
Eusebio di Cesarea XXX,4
Commento ai Salmi
XXIX,19 Filone di Alessandria
Storia della chiesa Allegorie delle leggi
XIV, 15 Prol.
I sogni
Evagrio Pontico XXVI/1,25
A Eulogio II mutamento dei nomi
XV, 73; XXX,4 Prol.
Az monaci
XXIV,3
Filoteo Sinaita
Antirrhetikos
Sulla sobrietà
XIII,1
XV,73
G/z otto spiriti di malìzia
XIII,1.4.5.9;
Fozio
XVI, x; XXII,16;
Amphilochia
XXVI/2,46
XXVII/2,13
I pensieri malvagi
XV, 73; XXIII,4;
Giamblico
XXVI/1,2
Protrettico
I vizi e le virtù
VI,26
XIII, 1; XV,73;
XVI, 1
Scolii ai Proverbi Giovanni Cassiano
Conferenze
XXIII,4
Scolii ai Salmi II,i4; IV,6.105;
XIII,4; XXIII,4; VI,16; VII,ii.34-58;
XXVII/2,2 XII, 8; XVI,1;
Sulla preghiera XXI,1; XXVII/2,48
VII,11; XV,73; Istituzioni
XVIII,5; XIII, 1.io; XVI,i;
XXVI/i,17.76; XVIII,5.6; XXI,1
XXVI/3,43;
XXVII/1,19; Giovanni Crisostomo
XXVII/2,17.19; Omelie su 1 Corinzi
XXVIII,38.44.63 DP 59.90

537
Omelie su Colossesi Gregorio di Nazianzo
VII,ii Carmi morali
Omelie su Filippesi XII,1
VII, n Orazioni
Omelie su Matteo IV,27; VII,8.11;
DP 59 XV,1.29,76.83;
Omelie sulla Genesi XXI, 1;
XV,i; DP 59 XXV,14;
Omelie sulla penitenza XXVI/2,I9.3I.4I;
XXII,20 XXVII/2,2;
Sw/Zs vanagloria XXVIII, 52
XXII,25
5«/&z verginità Gregorio di Nissa
XV,i Encomio di sanTEfrem
XXIX, 5
Giovanni Damasceno L'anima e la risurrezione
Canone pasquale XV,76.83
XIV, 12 L'istituzione cristiana
Capitoli filosofici VI, 16
VI, 26 creazione dell* uomo
Esposizione della fede XV, 1
XV, 1; L<z verginità
XXX,I IV, 65
$«/ Cantico dei cantici
Giovanni Mosco V, 6; XXVI/1,17
Prato Vite di Gregorio Taumaturgo
Racc. 1; DP 74
XIII,io; Vite di Alosè
XXVI/1,10 V,25; XXVI/2,3-7;
DP ioo,b
Girolamo
Prefazione alla Regola di Pacomio Gregorio Palamas
IV,14 Triadi
XXVII/1,5;
Giustino XXIX, 2
Dialogo con Trifone
VII, 50 Gregorio Sinaita
Cowe Tesicasta deve sedere in pre­
Gregorio Magno ghiera
Commento morale a Giobbe VII, 11
XVI, 1; L’esichia
XXI,I XXVII/2,26.47

538
Utilissimi capitoli Nilo di Andrà
XXVIII,52 Lettere
DP ioo,b
Ignazio di Antiochia
Ai Romani Olimpidoro Diacono
V,6 Commento a Giobbe
XXVII/2,21
Ireneo di Lione
Contro le eresie Origene
XV,i Contro Celso
La predicazione apostolica XXVI/1,17
XV,i Esortazione al martirio
IV,6
Marco il Monaco I principi
A Nicola XXVI/1,17
XV,73 Selecta in Genesim
Il Battesimo XV,76
VI,25; Su Numeri
XV,51.73 IV,6
La legge spirituale Sul Levitico
IV, 103; XXVII/2,2
XV,51.73.74;
XXII,6; Palladio
XXVII/48 Storia lausìaca
cAz si crede giustificato per le opere V, 5 ,p; XXIV,1
VI,25; XXV,40;
XIII,io; XXVI/1,42
XV,51.73;
XXIII,4; Paolo Everghetinos
XXV,34;
XXVIII,38.57 XXV,35

Massimo il Confessore Preghiera di Manasse


Capitoli sulla carità XXV,38
XV,74;
XXVI/1,2; Platone
XXVIII,38; Fedone
XXX,4 VI,26

Michele Psello Procopio di Cesarea


Theo logica Gli edifici
XXVII/2,13 VI,19
Pseudo-Basilio Pseudo-Simeone
Costituzioni ascetiche Metodo della santa preghiera
XXVII/i.io e attenzione
XXVII/2,3
Pseudo-Dionigi l’Aeropagita
I nomi divini Simeone il Nuovo Teologo
V, 6; Catechesi
XXVI/2)38 VII, 11
Sulla gerarchia ecclesiastica Trattati etici
I,io; XXVI/i,i8 VII,11
Trattati teologici
Pseudo-Giovanni Crisostomo VII,11
Discorsi sulla penitenza
XII, 8 Sozomeno
Storia della chiesa
Pseudo-Macario XXIV, 13
Grande lettera
VI, i6 Storia dei monaci in Egitto
Omelie (Coll. II) XXIV, 13
VI,i6; VII,58;
XXII, 22; Teodoro Studita
XXIII, 4; Piccole catechesi
XXX,4.11 Vili,23
Omelie (Coll. Ili)
XXVIII,38 Vita di santa Pelagia
XV,58
Pseudo-Nilo
Gli otto pensieri malvagi Vite greche di Pacomio
XIII, 1.3.4.8.9.io; IV,6;
XIV, 2.17; XXVI/1,42;
XVI,1.2.io.18; XXVII/2,54;
XXI,1.5 XXX, 11

540
INDICE

5 INTRODUZIONE
5 1. Giovanni Climaco e la “Scala”
5 1. x. La vita di Giovanni Climaco
12 1.2. Destinatari e scopo dell’opera
16 1.3. Contenuto e stile
23 1.4. Le fonti della “Scala”
33 1.5. Popolarità e influenza
37 2. Alcuni temi spirituali della “Scala”
37 2.1. La direzione spirituale
44 2.2. “Charmolype”: lacrime e gioia
47 2.3. “Eros” divino
53 2.4. La “preghiera di Gesù”

61 NOTA EDITORIALE

63 LA SCALA

65 Prologo

67 Breve vita del beato Giovanni, igumeno del santo monte Sinai,
detto Scolastico e autore delle “Tavole spirituali”, ovvero della
“Scala santa”

75 Dai “Racconti sui santi padri del Sinai” di Anastasio Sinaita

79 Lettera di abba Giovanni igumeno di Raito al venerabile


Giovanni igumeno del monte Sinai, detto Scolastico e in segui­
to dalla sua opera chiamato Climaco ovvero “della Scala”

81 Lettera di risposta

541
85 DISCORSO ASCETICO DI ABBA GIOVANNI IGUMENO
DEI MONACI DEL MONTE SINAI INVIATO AD ABBA
GIOVANNI IGUMENO DI RAITO

87 Discorso I. Sulla violenta rinuncia alla vita vana


e sul ritiro dal mondo

101 Discorso II. Sul distacco e sulla rinuncia

107 Discorso III. Sull’estraneità

117 Discorso IV. Sulla beata e sempre memorabile obbedienza

165 Discorso V. Sulla penitenza accurata e autentica. Dove si tratta


anche della vita dei santi “condannati” e della “Prigione”

185 Discorso VI. Sul ricordo della morte

193 Discorso VII. Sull’afflizione che è fonte di gioia

211 Discorso Vili. Sulla non-irascibilità e sulla mitezza

221 Discorso IX. Sul rancore

225 Discorso X. Sulla maldicenza

229 Discorso XI. Sulla chiacchiera e sul silenzio

233 Discorso XII. Sulla menzogna

237 Discorso XIII. Sull’acedia

243 Discorso XIV. Sul ventre, nostro famigerato tiranno

253 Discorso XV. Sulla purezza e sulla castità incorruttibili


raggiunte da uomini corruttibili per mezzo di fatiche e sudori

281 Discorso XVI. Sull’avarizia e sulla rinuncia al possesso

287 Discorso XVII. Sull’insensibilità che è necrosi dell’anima


e morte della mente prima della morte del corpo

542
291 Discorso XVIII. Sul sonno, sulla preghiera
e la salmodia comunitaria

295 Discorso XIX. Sulla veglia del corpo e sul modo di praticarla

299 Discorso XX. Sulla pusillanimità che è cosa infantile


e indegna di un uomo

303 Discorso XXI. Sulla multiforme vanagloria

313 Discorso XXII. Sulla superbia ribelle a ogni autorità

321 Discorso XXIII. Sugli inesprimibili pensieri di bestemmia

327 Discorso XXIV. Sulla mitezza, la semplicità e l’innocenza,


non naturali ma acquisite, e sulla malignità

333 Discorso XXV. Sulla sublime umiltà, distruttrice delle passioni,


che si radica in un sentimento interiore

353 Discorso XXVI/i. Sul discernimento di pensieri, passioni e virtù

379 Discorso XXVI/2. Sul buon discernimento

401 Discorso XXVI/3. Breve ricapitolazione di tutti i discorsi


precedenti

409 Discorso XXVII/i. Sulla santa esichia del corpo e dell’anima

417 Discorso XXVII/2. Sulle diverse forme dell’esichia


e su come discernerle

433 Discorso XXVIII. Sulla santa e beata preghiera, madre delle


virtù, e sul modo di attendervi con la mente e con il corpo

447 Discorso XXIX. Sull’impassibilità, che è imitatrice di Dio


e cielo terrestre, perfezione e risurrezione dell’anima
prima della comune risurrezione

453 Discorso XXX. Sul vincolo formato dalla santa trinità


delle virtù, cioè dalla carità, dalla speranza e dalla fede

543
461 Breve esortazione che riassume in modo altrettanto efficace
quanto è stato detto per esteso

463 Discorso al pastore

491 ABBREVIAZIONI E SIGLE

493 BIBLIOGRAFIA

513 GLOSSARIO

525 INDICE BIBLICO

535 INDICE DELLE FONTI EXTRABIBLICHE

544

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