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LA SCALA
Traduzione e note a cura di Luigi d’Ayala Valva
Introduzione di John Chryssavgis
EDIZIONI QIQAJON
COMUNITÀ DI BOSE
INTRODUZIONE
1 Cf. F. Nau, “Le texte grec des récits du moine Anastase sur les saints
pères du Sinai”, in Oriens Christianus 2 (1902), pp. 58-90.
5
quella palestinese ed egiziana, ma che allo stesso tempo le
mescola entrambe in uno stile di vita austero ed equili
brato. E in queste montagne che Mosè incontrò Dio, è
qui che Elia udì la voce di Dio, ed è qui che Giovanni
Climaco, ovvero Giovanni “della Scala” raccontò le sue
esperienze di Dio.
La fonte principale, a parte i Racconti di Anastasio
Sinaita2 e gli scritti di Giovanni stesso, è la Vita di
Giovanni scritta da un monaco di nome Daniele di Raito3.
Daniele scrive come un testimone oculare, o almeno come
un contemporaneo dell’asceta del Sinai autore della Scala.
Tuttavia non possiamo essere del tutto sicuri di questo:
dopo tutto, nella sua Vita, che somiglia ad un elogio edi
ficante, anche Daniele è impreciso. Non fornisce, per
esempio, alcuna cronologia e afferma esplicitamente di
non conoscere neanche il luogo di origine di Giovanni.
Comunque, tutte le altre fonti di informazione non vanno
oltre le notizie forniteci da Daniele: tali fonti includono il
Menaion del 30 Marzo, il giorno del transito di Giovanni,
così come altri syndxaria e menológhia, come la Vita del X
secolo contenuta nel Menológhion dell’imperatore Basilio.
Le date precise del periodo nel quale visse l’autore
della Scala sono difficili da determinare con certezza, a
causa della mancanza di fonti, o di informazioni detta
gliate nelle poche fonti disponibili4. Sarei personalmente
propenso a considerare Climaco un contemporaneo di
Massimo il Confessore (ca. 580-662) e la Scala come una
6
sintesi ascetica paragonabile alla sintesi teologica di
Massimo. Ci sono infatti dei passi nell’opera di Climaco
che ricordano il linguaggio usato dal Confessore3 * 5, e que
sta considerazione è plausibile non tanto come un argo
mento decisivo quanto piuttosto come una conferma del
l’ipotesi di datazione fatta da Bogdanovic6. Mi sembra
più ragionevole, quindi, considerare Giovanni come un
autore del VII piuttosto che del VI secolo. Le sue date do
vrebbero essere collocate tra il 579 circa (con la possibi
lità di scendere fino al 599) e il 659 (con la possibilità di
scendere fino al 679).
Giovanni Climaco è anche noto come “Scolastico”7 ov
vero “studioso”, un’indicazione del fatto che non era un
illetterato, come hanno ipotizzato alcuni studiosi. Nato
probabilmente in una nobile famiglia intorno all’anno
579, o poco prima, Giovanni ricevette una buona educa
zione, che il suo biografo descrive come una “istruzione
completa”8: un’espressione che indica un’educazione a
tutto campo, che potrebbe includere, anche se non neces
sariamente, un’istruzione superiore.
Non sappiamo dove Giovanni sia nato9, ma il suo bio
grafo ci racconta che arrivò al Sinai quando aveva appena
sedici anni. Giovanni sembra essere stato già eccezional
mente maturo a quell’età10. Egli con umiltà si sottopose
immediatamente all’obbedienza di una guida spirituale,
serbe ancienne, Institut d’études byzantines, Belgrade 1968, pp. 216-217, col
loca la nascita di Giovanni Climaco prima del 579 e la sua morte dopo il 654.
7 Cf. Vita, titolo.
8 Cf. ibid. 2.
9 Cf. ibid. 1.
10 Cf. ibid. 2.
7
un certo abba Martirio, che lo tonsurò sulla santa Vetta
all’età di vent’anni11. Ci sono giunti interessanti racconti
che parlano di profezie fatte da alcuni anziani che vive
vano nel deserto del Sinai a quel tempo. Scendendo dalla
Santa Montagna dopo la professione di Giovanni, abba
Martirio condusse il proprio discepolo da un certo abba
di nome Anastasio, che può essere stato l’igumeno del
monastero centrale. Anastasio predisse che Giovanni un
giorno sarebbe diventato igumeno - una profezia che si
avverò quarant’anni dopo -. Subito dopo questo incon
tro con Anastasio, e forse proprio nella stessa occasione,
Martirio e Giovanni visitarono anche Giovanni il Sabaita,
che viveva a circa quindici miglia, nel deserto di Guda, il
quale, dopo aver lavato i piedi di Giovanni, informò il
proprio discepolo che, anche se non sapeva a chi avesse
lavato i piedi, sentiva che quella persona un giorno sareb
be diventata igumeno12. Anche abba Strategio il Recluso
“sebbene non uscisse mai, fece la stessa profezia, nel
giorno in cui abba Giovanni fu tonsurato”13.
All’età di trentacinque anni e dopo la morte di Martirio14,
Giovanni andò a vivere come eremita in una località di
nome Tola15, a circa cinque miglia dal monastero centrale.
Sebbene Daniele usi esplicitamente l’espressione “uscì” per
descrivere la sua azione, in realtà non fu un’“uscita” dalla
comunità monastica, poiché con ogni probabilità in essa
11 Cf. Racc. x.
12 Cf. ibid.
13 Ibid. Queste profezie riguardo a Giovanni possono trovare un parallelo in
8
non era mai stato novizio. Soprattutto non fu un’“uscita”
dalle relazioni sociali, perché egli continuò a vedere e a con
sigliare numerosi visitatori, fino al punto che, per invidia,
fu accusato di essere un “chiacchierone”16! Di fronte a tali
critiche, Giovanni non parlò con nessuno per un anno in
tero, e soltanto quando i suoi stessi accusatori lo supplica
rono di tornare al suo comportamento precedente accettò
di nuovo di ricevere dei visitatori. In modo autentico e pro
fondo, quindi, il silenzio di Giovanni, così come la sua pa
rola, la sua uscita dal mondo e il suo ritiro nella vita solita
ria non erano una fuga dalle persone, ma piuttosto un frut
to del suo ardente amore17, per gli altri come per Dio18.
Dopo un certo tempo, Climaco intraprese la terza forma
di monacheSimo, la “via mediana o intermedia”, nota
anche come vita semi-cenobitica o semi-eremitica19, in cui
piccoli gruppi vivevano come uno stretto agglomerato di
famiglie, ciascuna sotto la guida diretta di un padre spiri
tuale. Perciò, Giovanni accettò a vivere con sé un disce
polo, un certo Mosè20. Nel monacheSimo orientale la vita
comunitaria è considerata una preparazione per il deserto.
Basilio, però, sostiene l’opinione opposta, considerando la
vita cenobitica come superiore e addirittura sconsiglia vi
vamente la vita eremitica21. Evagrio Pontico e il suo disce
polo, Giovanni Cassiano, parlano delle tentazioni e dei
pericoli della solitudine, sebbene Evagrio non esprima
realmente una preferenza per la vita cenobitica22 *; in ogni
16 Cf. Vita 8.
17 Cf. ibid. 3.
18 Cf. ibid. 7.
19 Le tre forme - quella cenobitica, quella eremitica e quella semi-eremitica -
Istituzioni V,3Ó.
9
caso fu egli stesso un solitario, e non un cenobita. Per
quanto riguarda Giovanni, egli non entrò inizialmente in
un cenobio, precisamente perché la preparazione per la
vita solitaria poteva avvenire sia all’interno della vita ce
nobitica sia di quella semi-eremitica. Quindi, tutto som
mato, Giovanni concorda con la prima opinione, che è in
generale anche la linea del monacheSimo palestinese23.
Giovanni era anche famoso per aver operato dei mira
coli per mezzo della sua preghiera24: era riconosciuto come
un medico del corpo e dell’anima25. Secondo Giovanni
Cassiano, che non solo apprezzò ma fece propria la tradi
zione del deserto egiziano, quanto più gli asceti si allonta
nano dalla gente e sono quindi più vicini a Dio, tanto più,
inevitabilmente, i visitatori si avvicinano ad essi26.
Questo si dimostrò certamente vero per Giovanni, poi
ché, mentre era nel deserto, come abbiamo visto, ricevet
te molti visitatori, tra cui spesso vi erano dei laici27.
Inoltre, Giovanni stesso visitò altri solitari malati. Ci rac
conta di aver visitato, tra l’altro, anche dei monasteri alla
periferia di Alessandria28. Può aver perfino visitato Scete
e Tabennesi, anche se per questo non ci sono prove chia
re. Climaco afferma infatti che ci sono più “luminari” tra
i monaci di Scete che tra quelli di Tabennesi, ma non for
nisce alcuna ragione per questo29. Pur menzionando en
trambi i luoghi, può non averli mai visitati; comunque,
una sua visita a Scete è certamente possibile e più vero
25 Per l’importanza del cenobio, cf. Scala IV,72, e per le difficoltà all inter
no di un monastero cenobitico, cf. ibid. XXVI/2,61. Per la tendenza palestine
se, cf. le Vite di Cirillo di Scitopoli.
24 Cf. Vita 6.
25 Cf. ibid. 7.
26 Cf. Giovanni Cassiano, Conferenze XXIV, 19.
27 Cf. Scala 1,38-40.
28 Cf. ibid. IV,16-17; V,5 e DP 100.
29 Cf. Scala XXVII/2,3.
IO
simile, perché è più vicina ad Alessandria di Tabennesi.
Giovanni descrive poi anche un altro viaggio durante il
quale incontrò vari fastidi50. Di fatto la Scala fornisce ge
neralmente informazioni storiche significative sui cenobi
di Alessandria, sugli insediamenti eremitici in Egitto e,
soprattutto, sul monacheSimo contemporaneo dello stes
so Sinai, appartenente a tutte e tre le forme di ascetismo.
La vita monastica di Giovanni non sarebbe stata com
pleta, però, senza un’esperienza nella prima forma di mo
nacheSimo: quella cenobitica. Dopo quarantanni nel de
serto, i suoi fratelli lo costrinsero a diventare igumeno31.
Il suo amore per Dio e le sue lotte ascetiche erano rima
sti in gran parte un segreto tra lui e Dio, sconosciuto ad
altri32: egli aveva trascorso notti e giorni in una spelonca
nascosta (che Daniele afferma però di aver conosciuto e
che, secondo la tradizione, può essere visitata ancora
oggi), versando in essa fiumi di lacrime33. Tuttavia, nel
giorno del suo insediamento come igumeno, giunsero al
monastero circa seicento pellegrini34.
Giovanni Climaco è visivamente e spiritualmente domi
nato da due montagne: il Sinai e il Tabor. Il Sinai, perché
viveva accanto a esso, e quei dintorni dall’aspetto severo
e inospitale devono aver spesso richiamato alla mente
dell’eremita la scena di Esodo 20; il Tabor, come il luogo
della prefigurazione della gloria di Cristo e della visione
della sua trasfigurazione (Mt 17,1). Un grande mosaico
nell’abside della basilica del,monastero - costruita quasi
un secolo prima di Giovanni e ancora oggi esistente - fu
il
dedicato alla Trasfigurazione. Climaco deve aver trascor
so molte ore a fissarlo dal suo scanno di igumeno durante
i lunghi uffici liturgici. La sua vita intera - così era perce
pita da quelli che lo conoscevano - fu una preghiera offer
ta a Dio, una vita esemplare di amore35. La luce che egli
irraggiava rifletteva la luce vista da Mosè sul monte Sinai
e contemplata dai tre apostoli sul monte Tabor.
35Cf. Vita 5.
36Cf. Lettera I. Raito si trova a nord-ovest della penisola del Sinai, a circa
125 miglia dall’attuale canale di Suez.
Sulle prime, Giovanni non aveva la minima intenzione
di scrivere, poiché si considerava “senza valore e povero
di virtù” e riteneva che il compito fosse “al di là delle
[sue] forze”. Egli infine cedette alla richiesta di abba
Giovanni, sottoponendosi al “giogo della santa obbedien
za, madre di tutte le virtù”, pur essendo convinto che
Giovanni di Raito avrebbe dovuto indirizzare questa ri
chiesta a “qualcuno con buona esperienza”, perché per
parte sua credeva di essere “ancora nella schiera dei di
scepoli”. Il compito era “al di là delle [sue] possibilità”,
ed egli lo intraprese “con timore e amore”: “Con la mia
conoscenza debole ed evanescente e la mia eloquenza im
pacciata, mi sono limitato a tracciare un primo schizzo a
inchiostro delle parole di vita”37. Riconoscendo umilmen
te i propri limiti e la propria ignoranza, l’autore giudica
la propria opera alquanto grossolana e insignificante38, ma
la realtà dei fatti si rivelò esattamente opposta.
Gli immediati destinatari della Scala erano i cenobiti
sottomessi all’autorità di Giovanni di Raito. L’autore è al
quanto esplicito su questo punto: egli non invia l’opera ad
altri che “alla comunità che è stata chiamata da Dio, in
sieme a noi, a ricevere i tuoi insegnamenti, o migliore tra
i maestri”39. Il pubblico, dunque, è chiaramente di tipo
monastico: la Scala è opera di un ex-solitario che scrive per
dei cenobiti; ma è anche opera di un ex-eremita che ha
avuto contatti personali con monaci che vivevano in co
munità e che ora, come autorevole padre spirituale e forse
già igumeno, comprende bene le difficoltà che tali mona
ci devono affrontare. Il lettore moderno deve aver ben
presente tutto ciò e non credere che l’autore intendesse 57 58
57 Lettera IL
58 Cf. Scala 111,35; V,io; XV,44; XXVII/2,2.
39 Lettera II.
13
sconcertare il suo pubblico, per esempio con il quinto gra
dino sulla penitenza, e specialmente con la terribile de
scrizione delle penitenze monastiche della “prigione” di
Alessandria nello stesso gradino40.
Gli scrittori della generazione di Giovanni Climaco
sembrano avere l’impressione di vivere alla fine di un’e
poca: un’epoca che ricapitolava gli insegnamenti dei seco
li precedenti, pur essendo allo stesso tempo aperta e
proiettata verso il futuro, e in un certo qual modo senza
precedenti. Per Climaco questo significava che prima di
poter anche soltanto iniziare a scrivere degli insegnamen
ti destinati specificamente a dei monaci, egli doveva
prima di tutto proclamare l’universalità di Dio creatore41.
Egli avvertiva la necessità di sottolineare il fatto che la
salvezza è per tutti, e che il matrimonio non è in alcun
modo un impedimento nella vita spirituale42, sebbene una
persona sposata non possa aspettarsi di raggiungere gli
stessi livelli di un monaco43: comprese che la castità non
è affatto un monopolio monastico - e qui Giovanni cita
come esempio l’apostolo Pietro44.
Nel leggere la Scala, occorre dunque tenere presenti due
punti in relazione fra loro: in primo luogo, che la Scala fu
scritta specificamente per dei monaci che vivevano in co
munità, e in secondo luogo, che l’opera è importante
anche per i laici, poiché nel corso dei secoli ha influenza
to ugualmente monaci e gente sposata. Simeone il Nuovo
Teologo, per esempio, trovò la Scala nella biblioteca di suo
padre, un laico dell’aristocrazia del X secolo. E necessario
ricordare che la vita monastica è essenzialmente “la vita
14
secondo l’evangelo”45. Tutti sono chiamati a rispondere al
l’appello di Cristo alla salvezza. Le circostanze della rispo
sta possono cambiare esternamente, ma la via è essenzial
mente una sola. Nella vita spirituale, non c’è una netta di
stinzione tra monaci e non-monaci: la vita monastica è
semplicemente la vita cristiana vissuta in modo particola
re. I monaci sono cristiani che hanno scoperto particolari
possibilità per imitare Cristo e trascendere le normali con
dizioni di vita46. Questa precisazione è essenziale per ap
prezzare la Scala. “La Scala è l’invito a un pellegrinaggio”47:
un invito esteso a tutti coloro che desiderano essere sal
vati48 - ammesso che cerchino sinceramente la salvezza.
Giovanni vuole anzitutto scrivere un resoconto della pro
pria esperienza personale durante i suoi quarant’anni di
soggiorno nel deserto del Sinai, un resoconto che intende
stimolare una parallela esperienza personale in coloro che
leggono la Scala - ed è proprio questo il motivo per cui essa
è indirettamente indirizzata a tutti i lettori. E l’esperienza
personale, quindi, che Climaco continuamente mette in ri
salto sollecitando una risposta, incitando i suoi lettori a un
salto di fede, conducendoli fino all’impegno e all’incontro
personali. Per lui il significato della vita ascetica è molto più
profondo della mera accettazione di alcune dottrine e rego
le: “Non è possibile imparare a vedere attraverso le parole,
perché ciò dipende dalla natura, né è possibile apprendere
la bellezza della preghiera dall’insegnamento di un altro”49.
Lo scopo è chiaramente spirituale e pastorale, piuttosto
che didattico o normativo. L’autore generalmente si astie
ne dal dare precise istruzioni riguardo agli uffici liturgici,
15
le tecniche di preghiera, i metodi e le ore di ascesi, o ai cibi
dai quali bisogna astenersi. Non offre alcuna disciplina in
tellettuale o morale50, ma indica piuttosto un sentiero di
iniziazione, uno stile di vita che consiste fondamentalmen
te in un’ascensione erotica verso Dio51. Ciò che per lui
conta non sono le regole ascetiche, esteriori e fisiche, come
tali, ma la disposizione interiore, non l’obbedienza infles
sibile ad esigenze di carattere etico, ma l’umiltà e la purez
za di cuore: “Non sta scritto: ‘Ho digiunato’, né: ‘Ho ve
gliato’, né: ‘Ho dormito per terra’, ma: Mi sono umiliato,
e subito il Signore mi ha salvato (Sai ii4,6)”52.
Per quanto riguarda le regole esteriori, Climaco sa che sta
scrivendo per dei monaci che possono averle già apprese
dalla loro vita in monastero: dà quindi per scontato che
essi le conoscano già, e non discute questo aspetto. Il suo
scopo è sempre di indicare lo spirito e il significato inte
riori che stanno dietro e al di là della regola esteriore. La
Scala è un’opera esistenziale che tocca l’esperienza concreta:
è destinata ai monaci, ma è altrettanto importante per ogni
lettore - laici inclusi - che sia deciso a intraprendere la salita.
16
ricercati53 54, e vi si scopre una freschezza, una spontaneità
e una purezza che ricordano gli Apoftegmì dei padri del de
serto del IV e V secolo - del resto anche la Scala contiene
un certo numero di aneddoti e di detti, che costituiscono
un piccolo Gherontikón34. Climaco dimostra inoltre un
senso di humour tipicamente monastico in molti suoi para
goni alquanto curiosi: “... come un uomo che nuota e
vuole battere le mani”55.
La forte personalità dell’autore, la sua profonda cultu
ra spirituale e l’omogeneità della sua convinzione danno
a quest’opera un carattere a un tempo tradizionale e ori
ginale, e ne fanno un’opera che, pur appartenendo a una
scuola particolare, appartiene allo stesso tempo al mondo
intero. Il carattere dell’autore emerge nel corso del libro:
ha un occhio fino per le debolezze dei monaci suoi fratel
li, un equilibrato senso dello humour, un realismo sor
prendentemente compassionevole, uniti alla coscienza
della grazia di Dio. Spesso è volutamente enigmatico - e
in questo segue le parabole dei vangeli e gli Apoftegmì dei
padri del deserto si diverte inoltre a usare frasi cripti
che come: “Tacerò le conseguenze di quest’affermazio
ne...”56, negazioni volutamente ricercate allo scopo di ac
centuare un’affermazione, e tutta una serie di immagini
prese da vari ambiti di vita, tra cui la famiglia, la corte del
re, i tribunali, la medicina, l’esercito, la campagna, il giar
dino, il mare, la scuola, e perfino la vita matrimoniale. Le
espressioni metaforiche impiegate sono molte: un esempio
è la personificazione delle varie passioni57. Perfino i nu
XXVIII,52; DP ioo,l.
54 Cf. Scala IV,21.23.26.29.
55 Ibid. VI, 12.
17
meri e le lettere hanno un valore simbolico nella Scala: i
trenta gradini - per non ricordare che un esempio - sim
boleggiano l’età della piena maturità di Cristo, ossia la
vita nascosta di Cristo prima del suo battesimo, e di con
seguenza la maturità spirituale del monaco58; e nel gradi
no XXVI l’autore elenca due “alfabeti” della vita mona
stica59. La sua prosa a volte acquista una qualità ritmica e
perfino poetica. Prosatore secco e ruvido, sebbene lo stile
sconnesso sia volutamente ricercato, Climaco è anche un
artista degno di nota e ispirato60.
Ritmico, paradossale e ironico, il suo linguaggio è allo
stesso tempo sottilmente teologico: le immagini possono
essere trinitarie o cristologiche. Il dogma è costantemente
paragonato o perfino identificato all’etica; temi dottrinali
sembrano trasformati in temi pratici; il livello puramente
ascetico è continuamente elevato a quello profondamente
mistico o perfino sottilmente teologico. In ogni caso, le af
fermazioni teologiche esplicite non sono molto frequenti.
La principale immagine usata nella Scala è quella che si
trova in Genesi 28,1261. L’uso dell’immagine della “scala”
per la vita spirituale è già attestato nei primi autori cri
stiani e perfino nell’antichità62, ma è assai più sviluppato
in Climaco: di fatto, è proprio quest’immagine che con
ferisce all’intero libro un carattere e un’unità precisi, e
58 Cf. Prol.
59 Cf. Scala XXV 1/1,14.
60 Per questi aspetti stilistici, cf. J. Duffy, “Embellishing thè Steps: Elements
18
sotto quest’aspetto il suo impiego da parte dell’autore è
del tutto senza precedenti e ha anche influenzato l’icono
grafia posteriore all’interno delle chiese e dei refettori dei
monasteri, specialmente a partire dal secolo XI.
Per quanto riguarda la sua struttura, la Scab può essere
divisa in tre parti diseguali:
2) Virtù e passioni
2.a) Virtù fondamentali
4. Obbedienza
5. Penitenza
6. Ricordo della morte
7. Gioiosa tristezza
19
2.b) Lotta contro le passioni
20
Climaco accetta la distinzione evagriana tra “vita atti
va” (pràxis) e “vita contemplativa” (theoria), ma non la
segue in modo coerente. A suo giudizio, non ci può esse
re una netta distinzione tra le due, pur essendo esse tut-
t’altro che identiche: pràxis e theoria sono interdipenden
ti, due aspetti di una sola realtà. Di fatto, vita attiva e
vita contemplativa sono considerate come equivalenti a
“penitenza” e “teologia”63. Così anche l’immagine della
“scala” nell’intenzione dell’autore non deve essere intesa
letteralmente, ma in modo figurato e dinamico: c’è chi si
trova nel primo gradino, e nonostante ciò riesce a rag
giungere ben altre altezze; o ancora, chi è molto vicino
alla cima della scala ma può essere tenuto, per esempio,
all’afflizione incessante64.
Oltre alla struttura generale sopra delineata, molti gra
dini hanno a loro volta una sottostruttura interna, che or
ganizza la loro composizione secondo il seguente schema:
- prima di tutto c’è sempre una breve affermazione in
troduttiva, spesso di carattere metaforico;
- seguono una serie di brevi definizioni, che ricordano
quelle di Aristotele;
- quindi, c’è un’esposizione del tema: un’analisi più
dettagliata, accompagnata di solito da diversi aneddoti il
lustrativi, che danno all’opera una certa vivacità;
- infine, ci viene presentata una sintesi del capitolo, la
conclusione del “gradino”, che normalmente comprende
un’esortazione attraverso la quale l’autore cerca di infon
dere coraggio e fervore.
Ora, nella sua globalità, il libro può forse dare un’im
pressione negativa. Sedici dei trenta gradini trattano di
vizi da evitare e, dei rimanenti quattordici, alcuni sono
21
apparentemente negativi: penitenza, tristezza e impassi
bilità. Tuttavia questa impressione iniziale potrebbe esse
re fuorviante, perché i sedici gradini che trattano dei vizi
trattano anche al tempo stesso delle corrispondenti virtù
e sono molto più brevi degli altri quattordici che, a loro
volta, non sono così negativi come può sembrare a un
primo sguardo.
Abbiamo già ricordato il fatto che Climaco adotta, al
meno nominalmente, la distinzione di Evagrio tra pràxis
e theoria. Perché, dunque, parla poco della vita contem
plativa, concentrandosi espressamente sulla vita attiva,
sui vizi da evitare e sulle virtù da acquisire? La sua in
tenzione è chiara: vuole che i suoi lettori ricerchino l’u
miltà e la penitenza senza aspirare a visioni e a estasi. La
Scala dimostra infatti una notevole sobrietà con il suo ri
serbo riguardo ai sogni e la sua insistenza sull’obbedien
za (gradino IV) e sul discernimento (gradino XXVI) -
questi due gradini sono infatti i più lunghi dell’intero
libro. Climaco preferisce che i suoi lettori raggiungano il
dono delle lacrime continue: egli stesso, del resto, ne era
dotato in misura eccezionale65, e quando una volta, nel
cenobio di Alessandria, tentò di avviare una conversa
zione sull’esichia, fu subito rimproverato dai monaci,
che gli risposero:
65 Cf. Vita 5.
66 Scala IV,30.
22
L’esichia è “veramente riservata a pochi”67 e la teolo
gia non è per tutti68. La reticenza dell’autore su diversi
argomenti è quindi voluta. Egli parla diffusamente della
guerra e della lotta ascetica ma evita di menzionare - o lo
fa soltanto per brevi accenni - la trasfigurazione dell’a
sceta o la visione della luce divina. Perfino in tema di vizi
e di virtù, dove la sua esposizione è più dettagliata,
Climaco riconosce i propri limiti, è prudente nel dare
consigli e rinvia umilmente ad altri69.
67 Ibid. IV,2i.
« Cf. ibid. XXVII/1,9.
69 Cf. ibid. V,io.
23
della lotta spirituale non può essere appreso dai libri70. Per
esempio, nomina esplicitamente Origene71 ed Evagrio72
(entrambi per criticarli, come d’obbligo), come anche
Giovanni Cassiano73, Gregorio il Teologo74 ed Efrem, che
chiama semplicemente “il Siro”75.
A parte i riferimenti espliciti e impliciti ad altri auto
ri, Climaco accenna anche ad alcuni anziani suoi contem
poranei, che conosce o per averli incontrati di persona o
per averne sentito parlare. Apprendiamo cosi di
Giovanni il Sabaita76, di Giorgio di Arsealo77, del mona
co Mena78, dell’arcidiacono Macedonio79, del monaco
Esichio l’Horebita80, insieme ad altri monaci del cenobio
di Alessandria81. Espressioni come: “Alcuni senza menti
re mi hanno raccontato...”, “Una persona mi ha raccon
tato...” e “Ho sentito dire da qualcuno...” non sono in
solite nella Scala82.
Ma consideriamo più attentamente il debito di Climaco
nei confronti delle sue fonti. Se esaminiamo la Scala da vi
cino, scopriamo prima di tutto dei riferimenti alla filoso
fia antica, per quanto rari essi siano. Climaco fa riferi
mento alla “meditazione della morte”, ma la sua afferma
zione è alquanto generale e non implica necessariamente
70
Cf. ibìd. XXV 1/1,29 e DP 5.
71
Cf. Scala V,29, e le allusioni implicite in XIV,5 e VI,n.
72 Cf. ibid. XIV,8, e le allusioni implicite in XIII,8; XVI,24; XXI, 1;
XXVI/1,2.29; XXVII/2,9.
73 Cf. ibid. IV, 105.
74 Cf. ibid. XXI,1; XXVI/2,19, e le allusioni implicite in XV,1.29 e
XXVIII,52.
75 Cf. ibid. XXIX,5.
76 Cf. ibid. IV, in.
77 Cf. ibid. XXVII/2,22.
78 Cf. ibid. IV,29.
79 Cf. ibid. IV,26.
80 Cf. ibid. VI,20.
81 Cf ibid V
82 Cf. ibid. vn^o.54; XXII,6.
24
un’influenza diretta da parte di Platone83. La divisione
tripartita dell’anima umana in pàthos, thymós e lògos nel
Discorso al pastore84 è un altro esempio dell’uso di propo
sizioni filosofiche, ma anch’essa potrebbe non essere
stata presa direttamente dagli scrittori pagani ma da fonti
cristiane, come Gregorio il Teologo ed Evagrio.
Ma è soprattutto la Bibbia che Climaco cita più abbon
dantemente: trovandosi più vicino a Gerusalemme che ad
Atene - geograficamente, teologicamente e spiritualmen
te -, egli considera la Bibbia come la sua fonte fondamen
tale, e ciò che è tipico del suo modo di scrivere è l’adat
tamento dei testi biblici, attraverso sia l’aggiunta che l’o
missione di alcune parole, in modo da adeguarli a un con
testo o concetto particolare85. La fine del gradino XXX,
per esempio, può essere facilmente accostata all’inno alla
carità di Paolo (iCor 13).
Non si può dire con certezza se Climaco avesse una
qualche conoscenza diretta dei teologi del IV secolo,
come Basilio Magno (329-379) o Giovanni Crisostomo
(ca. 347-407). Gregorio di Nazianzo (329-389), però, è
esplicitamente menzionato nella Scala e ha avuto un no
tevole influsso sul suo autore. Lo si vede chiaramente
perfino nei passi che non fanno esplicito riferimento a
Gregorio, ma che tradiscono un’evidente conoscenza dei
suoi scritti86. Altrove, l’autore fa riferimento a Gregorio
semplicemente come al “Teologo”87, o mostra di essere
25
stato direttamente influenzato da qualche sua dottrina,
come per esempio per la connessione tra preghiera e re
spiro, anche se, mentre in Gregorio il significato di tale
connessione è puramente metaforico, in Giovanni è sia
metaforico che letterale88. Si potrebbe anche affermare
con sicurezza che Climaco aveva familiarità con le opere
di Gregorio di Nissa (330 ca. -395), che può averlo in
fluenzato in argomenti come la persona umana89, le pas
sioni90, l’impassibilità e la salvezza91, la visione di Dio92,
la deificazione93, la morte94, così come riguardo alla rela
zione tra anima e corpo95 96. La nozione di epéktasis, tipica
del Nisseno, è presupposta in vari passi della Scala%, pur
senza la menzione del termine specifico, di cui però si
può trovare una traccia nel gradino XXIX sull’impassibi
lità, nell’espressione epekteinómenos, anche se qui l’autore
ha in mente soprattutto Filippesi 3,i397.
Climaco è familiare con la tradizione più intellettuali
sta di Origene (185-234) e di Evagrio (345-399), e ci sono
perfino tracce particolari di un’influenza da parte di que
st’ultimo, sebbene l’autore lo citi solo una volta per cri
ticarlo98. Sarebbe però sbagliato affermare che Climaco
PG 46,836.
92 Si confronti Scala XXIX,3 e DP 100 con Gregorio di Nissa, Vita di Mosè
7
passim.
93 Si confronti Scala XXIX, 15 con Gregorio di Nissa, Sulle beatitudini 7.
94 Si confronti Scala IV,43 con Gregorio di Nissa, Grande catechesi 35.
95 Si confronti Scala XV,73 e XXVI/1,54 con Gregorio di Nissa, La crea
26
appartiene alla “scuola” evagriana. La Scala analizza in
dettaglio gli otto vizi e parla di alcuni vizi e virtù come
“madri” - o corrispondentemente come “figlie” ma se
quest’analisi rivela delle evidenti somiglianze tra i due
autori, esse non sono però dovute a presupposti filosofi
ci o origenisti comuni, ma piuttosto a una comune espe
rienza fondata sulla tradizione del deserto e sulla discipli
na dell’ascesi. La Scala nel suo insieme, infatti, non è su
scettibile di una “sistematizzazione”: l’autore prende a
prestito da Evagrio idee e vocabolario, ma non una meto
dologia o un sistema. Si possono cogliere così delle somi
glianze nella descrizione delle tentazioni", nel secondo
“alfabeto” delle virtù100, nello sviluppo delle nozioni di
“insensibilità” e “impassibilità”, così come nell’accento
posto sull’“eliminazione dei pensieri” (apóthesis noemà-
ton)m. Allo stesso modo, la demonologia di Climaco e la
sua analisi dei vizi è influenzata dall’opera di Evagrio Gli
otto spiriti di malizia, tramandata nel corpus delle opere di
Nilo102. Ma Climaco non segue la classificazione evagria
na dei vizi - né qualche altro schema sullo stesso argomen
to - con alcuna precisione. Il Sinaita può concordare con
Evagrio nel collegare strettamente impassibilità e carità103,
ma lascia completamente da parte la cosmologia e la gno
seologia evagriane: per lui infatti la carità è la virtù prin
cipale104, mentre per Evagrio la gnòsis è superiore alla ca
rità. L’influenza di Evagrio su Climaco può dunque esse
re descritta più adeguatamente come terminologica o, al
massimo, come puramente formale; e perfino le affinità
«Cf. ibid.XV,73.
100 Cf. ibid. XXVI/1,14.
101 Si confronti Scala XXVII/2,17 con Evagrio Pontico, Sulla preghiera 70.
102 Cf. PG 79,1145-1164.
103 Si confronti Scala XXIX,4 con Evagrio Pontico, Trattato pratico 81.
104 Cf. Scala XXX,18.
27
terminologiche sono molto meno marcate che, per esem
pio, in Massimo il Confessore.
L’uso che l’autore fa degli Apoftegmi dei padri del de
serto (iv-V secolo) è molto evidente in tutta l’opera, ma
soprattutto, per esempio, nel gradino XXIX sull’impassi
bilità. Il suo discorso sul padre spirituale fa ricorso a detti
di abba Antonio105, menzionato anche esplicitamente106,
insieme a detti di Paolo il Semplice107 e di Arsenio il
Grande108. Altrove, la Scala può essere compresa soltanto
facendo riferimento agli Apoftegmi". l’autore, per esempio,
chiede come mai tra i tabennesioti non ci fossero altrettan
ti luminari come tra gli scetioti, ma non dà risposta - e
la risposta è fornita dal primo detto di abba Ammonio di
Nitria “Abba Antonio rispose: E perché amo il
Signore più di te!”109.
L’intera vita di Climaco, del resto, almeno stando alla
descrizione di Daniele, rifletteva in molti modi i detti
dei padri del deserto: “Mangiava di tutto ciò che gli era
consentito dal suo stato di vita, ma molto poco”110. Se al
cune parole di Climaco paiono insensate, come per esem
pio quelle sulla “prigione” di Alessandria111, esse tutta
via riflettono le stesse peculiarità degli Apoftegmi112 e, in
definitiva, la “follia” della croce (cf. iCor 1,18). E però
chiaro che l’autore era familiare con tutta l’antica tradi
zione del deserto, che oltre agli Apoftegmi stessi, com
105 Cf. Apoftegmi, Antonio 37-38. SÌ confronti anche Scala XVIII,6 con
Antonio 1; XV,27 con Antonio 14; XXIX,5 con Antonio 32; XXVII/2,29 con
Arsenio 7; XV,76 con Ammonas 7 ed Elia 7; IV,106 con Giovanni il Tebano
1; XXVI/2,25 con Timoteo 1; XV,48 con Apoftegmi Nau 291.
106 Cf. Scala XV,27 e XVIII,6.
107 Cf. ibid. XXIV,i .
3
108 Cf. ibid. XXVII/2,29.
109 Apoftegmi, Ammonio 1.
110 Vita 4: cf. Apoftegmi, Ammonas 4 e Poemen 31.
111 Cf. Scala V,5- .
7
112 Cf. Apoftegmi, Antonio 25; Arsenio 37; Ammonas 9; Apoftegmi Nau 61.
28
prendeva altre fonti importanti come la Prima vita greca
di Pacomio (ca. 390)113, la Storia lausiaca di Palladio
(419-420)114, il Prato spirituale di Giovanni Mosco (615-
619)115 e la Vita di santa Pelagia116. Climaco fa anche
esplicito riferimento a Giovanni Cassiano (ca. 365-ca.
435), che egli chiama “grande”117.
Ci sono poi delle affinità - pur non essendo abbastanza
forti da permetterci di parlare di influenze dirette - perfi
no con le Omelie pseudo-macariane (IV-V secolo), soprattut
to in riferimento al monismo antropologico dello Pseudo-
Macario, che si esprime nella nozione di cuore come cen
tro della persona umana e nel primato attribuito all’amore.
Pur riferendosi in minor misura allo Spirito santo, Climaco
sembra opporsi sia a un estremo spiritualismo che a un
estremo intellettualismo, raggiungendo così una specie di
sintesi tra Evagrio e lo Pseudo-Macario - un tentativo già
inaugurato da Marco il Monaco e Diadoco di Fotica.
Climaco non cita mai Marco il Monaco (prima metà del
V secolo) o Diadoco di Fotica (metà del V secolo) per nome,
ma probabilmente era familiare con i loro scritti; la dipen
denza da Marco però è più sicura di quella da Diadoco.
Dal primo, Climaco attinse la sua analisi della tentazione
nel gradino XV118 e alcune espressioni e termini come
29
pararripismòs noós119 o protónoia120, e anche i paragoni pre
senti nel gradino XXVI121 denunciano la stessa fonte. Dal
secondo, derivò alcuni elementi come la già menzionata
riserva nei confronti dei sogni122, la sua comprensione
della preghiera mentale senza immagini123, l’invocazione
“Signore Gesù” nella preghiera124, la considerazione del
l’impassibilità come qualcosa di positivo125, e il concetto di
“sensi spirituali”126. Diadoco parla anche del ritiro della
grazia di Dio, adottando perfino la stessa metafora della
madre e del bambino127. Tuttavia i paralleli con Diadoco,
per quanto interessanti, non sono altrettanto convincenti,
soprattutto considerando che il più lampante - ovvero
l’uso dell’espressione “Signore Gesù” - potrebbe molto
probabilmente essere stato preso da Barsanufio128.
Lo stile di esegesi biblica di Climaco, il suo modo di ci
tare liberamente e di cambiare le citazioni dell’Antico e del
Nuovo Testamento, è probabilmente influenzato da Nilo
di Andrà (v secolo). La sua influenza è peraltro evidente
in alcuni passi, soprattutto in connessione con argomenti
come il peccato129, la relazione erotica tra Dio e l’uomo130,
11,229.
130 Si confronti Scala VII,i e XXX,1 con Nilo di Ancira, Lettere 111,169.
30
la morte e la resurrezione131. Nilo parla anche della con
nessione tra preghiera e respiro, ma in lui, come in
Gregorio il Teologo, il significato è metaforico132.
Al pari dello Pseudo-Macario, lo Pseudo-Dionigi
Aeropagita (ca. 500) non è mai citato per nome nella Scala
e non vi si possono individuare influssi particolari. Ci
sono però alcuni paralleli - dovuti probabilmente a fonti
comuni più che a un influsso diretto - in riferimento ai
temi del l’èros e delle passioni133. Non c’è alcuna esplicita
trattazione della teologia apofatica, ma essa è alla base del
pensiero di Climaco e, in qualche modo, l’intera sua espe
rienza ascetica può essere descritta come apofatica. La più
chiara affermazione apofatica si trova all’inizio del trente
simo gradino sulla carità, dove l’autore rifiuta ogni defini
zione di Dio, ad eccezione di quella di Dio come amore134.
Largamente debitore - come è ovvio - nei confronti
della scuola palestinese di Gaza (prima metà del VI sec.),
Climaco può essere visto come un consapevole continuato-
re e un erede diretto di questa scuola di spiritualità. Da
essa e, tramite essa, dal deserto egiziano, ereditò la rile
vanza e il ruolo “critico” del padre spirituale, come anche
l’uso selettivo della terminologia evagriana, mentre la pre
sentazione non sistematica della Scala è tipica soprattutto
di abba Doroteo. Ma l’affinità dottrinale di Climaco con
Barsanufio, Giovanni il Profeta e il loro discepolo Doroteo
può essere colta in modo chiaro nella loro comune inter
pretazione del paolino “portare gli uni i pesi degli altri” (cf.
Gal 6,2)135. Un altro scrittore palestinese, non esplicita
203; 206; 239; 483, e Doroteo, Insegnamenti IV,56-37; VII,79. Si confronti inol
tre Scala XV,51.76 con Barsanufio di Gaza, Lettere 39; 126; 255; 268; 446; 659.
31
mente citato, cui Climaco sembra attingere è poi abba
Isaia di Scete (t 489): entrambi hanno opinioni simili su
ciò che è “secondo natura”136.
Ci sono paralleli interessanti tra Climaco e Massimo il
Confessore, ma, essendo contemporanei, non c’è alcuna
prova di una qualche influenza diretta in nessuna delle
due direzioni. Entrambi, tuttavia, parlano del primato
della carità e descrivono in modo simile le caratteristiche
delle passioni, il peccato, e perfino le due nature di
Cristo. Sebbene ogni distinzione netta tra modi diversi di
far teologia sia spesso vana, si può affermare che Climaco
ha espresso in terminologia ascetica ciò che Massimo ha
formulato in teologia dogmatica.
Si potrebbe dire che Climaco ha gettato le fondamenta
per una nuova scuola spirituale, la “scuola sinaitica”, che
comunemente è circoscritta ad Esichio (vii-viii secolo?) e
Filoteo (iX-X secolo?): tale tradizione sinaitica ha chiara
mente esercitato un’influenza profonda sugli esicasti del
XIV secolo, ma in senso stretto essi non possono essere
considerati parte della stessa scuola, perché altrimenti il
termine “spiritualità sinaitica” sarebbe fuorviante, non te
nendo conto di fondamentali considerazioni geografiche.
Comunque Climaco ha certamente rimodellato il passato
a lui immediatamente precedente in un modo unico, che
ha profondamente influenzato i suoi successori, creando e
rinnovando prospettive e perfino coniando una nuova ter
minologia per la vita spirituale, specialmente in temi come
la direzione spirituale, le lacrime, l’amore divino e il silen
zio contemplativo. Tuttavia, il cambiamento da una “scuo
la” di spiritualità, come quella palestinese, ad un’altra,
come quella del Sinai, è in ultima istanza inafferrabile per
136 Si confronti Scala XXVI/1,41 con Abba Isaia, Discorsi ascetici 2,1-2, e
anche Scala XXV,22 con Discorsi ascetici 8,7.
32
ché quel che di fatto è in gioco è l’appropriazione delle sor
genti più profonde della vita spirituale. In definitiva, per
quanto possa essere fuorviante far riferimento a una “scuo
la” sinaitica come tale, tuttavia la Scala è indubbiamente
responsabile per aver dato forma a una nuova sintesi, che
ha raccolto l’eredità egiziana, caratteristica dell’ambiente
sinaita, e influenzato a sua volta la posterità bizantina.
33
iniziata quando Fautore era ancora vivente. Dopo tutto,
l’igumeno Giovanni di Raito richiese la Scala proprio per
il beneficio spirituale dei monaci del suo monastero, e non
sarebbe difficile immaginare i monaci di Raito intenti ad
ascoltare la lettura della Scala durante i pasti di quaresima.
Come abbiamo già sottolineato sopra, il testo è destinato
ai cenobiti: molti monaci anziani, perciò, l’avranno ascol
tato o letto forse almeno cinquanta o sessanta volte nella
loro vita. Bisogna tuttavia riconoscere la popolarità che la
Scala ha avuto, nel corso dei secoli, anche tra i laici: fino
a oggi, infatti, essa si è dimostrata la lettura preferita di
un numero incalcolabile di ortodossi in Grecia, Bulgaria,
Serbia, Russia, e altrove. Il suggestivo simbolo della scala
che dà unità all’intero libro, la combinazione da parte del
l’autore di sapienza monastica e di un fresco senso dello
humour, la sua capacità di riunire così tanti temi in uno
solo, la sua sintesi allo stesso tempo tradizionale e origina
le, e soprattutto l’ineguagliabile profondità del suo intuito
spirituale: sono questi almeno alcuni aspetti della Scala che
devono aver attirato l’attenzione e l’immaginazione di in
numerevoli lettori nel corso degli anni. Non esiste un equi
valente della Scala in occidente, ma la sua popolarità può
essere paragonata a quella dell’Imitazione di Cristo, anche
se i due libri sono di carattere molto diverso. -
La vasta diffusione del libro è attestata anche dal gran
numero di manoscritti giunti fino a noi, spesso elegante
mente e finemente illustrati, che contengono anche dei
commenti, come quelli riprodotti nell’edizione di Rader
ristampata da Migne (in PG 88)138. Il monastero di Santa
138 Un buon elenco dei manoscritti esistenti della Scala si può trovare in D.
Bogdanovic, Jean Climaque, pp. 25-27; cf. anche A. Rigo, “Giovanni Climaco
a Bisanzio”, in Giovanni Climaco e ilSinaiy pp, 198-202. Sui manoscritti illus
trati della Scala cf. poi J. R. Martin, The Illustration of thè Heavenly Ladder of
John Clìmacus, Princeton University Press, Princeton 1954.
34
Caterina al Sinai, di cui Climaco stesso fu igumeno per
un certo tempo, possiede almeno quindici manoscritti
della Scala, uno dei quali risale al IX secolo {Sinai gr. 421).
Inoltre, anche molti monasteri del monte Athos posseg
gono diversi manoscritti di quest’opera, alcuni dei quali
riccamente decorati.
L’influsso esercitato da Giovanni Climaco sugli autori
spirituali posteriori è stato ad un tempo ampio e impres
sionante. Sullo stesso monte Sinai, il suo insegnamento ri
guardo alla preghiera e all’esichia fu sviluppato da Esichio
- che fa delle allusioni alla “preghiera di Gesù” dissemi
nate qua e là da Climaco il proprio tema dominante - e
più tardi da Filoteo. Anastasio (ca. 700), un altro sinaita,
e Teodoro Studita (759-826) furono ugualmente influen
zati da Climaco. Nonostante la Scala, sorprendentemente,
non sia mai citata nella vasta antologia di scritti, storie e
detti intitolata Synagoghé dal suo compilatore Paolo
Everghetinos (XI secolo), essa fu certamente letta e ap
prezzata da Simeone il Nuovo Teologo, e probabilmente
anche dal suo discepolo e biografo, Niceta Stethatos.
Simeone fu soprattutto ispirato dal gradino XIII, “sull’a-
cedia”, ma l’influsso della Scala è particolarmente eviden
te nel suo insegnamento sul dono delle lacrime e sul ruolo
del padre spirituale. La Scala è citata solo due volte nelle
sue Catechesi103, ma sappiamo che Simeone fa difficilmen
te riferimento esplicito ad altri scrittori.
Pietro Damasceno (XII secolo) cita Climaco almeno tre
dici volte, e gli esicasti del XIV secolo chiaramente attin
gono alla Scala in modo massiccio. Ci sono tredici citazio
ni della Scala in Gregorio Sinaita - assai più di ogni altro
autore - e Gregorio colloca il nome di Climaco al primo 139
35
posto nella sua lista di scrittori adatti per la lettura mona
stica140. Nelle Triadi in difesa dei santi esicasti di Gregorio
Palamas, la Scala è citata venticinque volte e, anche se in
quest’opera Palamas generalmente non cita l’autore della
Scala per nome, negli altri suoi scritti Climaco viene cita
to almeno altrettante volte e spesso anche per nome.
Callisto e Ignazio Xanthopouloi citano la Scala più di
trenta volte nella loro Centuria. Questi scrittori del XIV se
colo fanno riferimento soprattutto al gradino XXVII sul-
l’esichia, alle affermazioni di Climaco sull’invocazione del
nome di Gesù, e sul gradino XXVIII sulla preghiera.
Ma l’influsso di Climaco non è affatto trascurabile
neanche in occidente141, dove la Scala ha goduto di popo
larità all’interno di vari ordini monastici, e specialmente
tra i francescani, i benedettini, i cistercensi e i certosini,
che scrissero numerosi commenti su di essa, e in misura
minore tra i gesuiti. In Francia, i giansenisti ebbero una
particolare predilezione per Climaco, come per un certo
numero di altri autori ascetici.
I commenti e le raccolte di scholia alla Scala sono nu
merosi. Tre in particolare vanno qui menzionati, due
orientali e uno occidentale. Elia, metropolita di Creta tra
gli anni 1120 e 1130, fu il primo a scrivere un commen
to in forma sistematica, ed esistono molti manoscritti della
sua opera142. Un altro commento fu scritto in oriente da
Niceforo Callisto Xanthopoulos (t 1333)143, e in occiden
te da Dionigi il Certosino, nel XV secolo144.
36
Prima della fine del VII secolo - dunque subito dopo la
morte di Climaco - la Scala fu tradotta in siriaco. Uno dei
manoscritti più antichi, infatti, è un codice siriaco del
British Museum {Add. Ms. 14593), scritto a Edessa e re
cante la data dell’anno 817145; e numerosi altri manoscritti
esistevano all’interno dei circoli melchiti nel IX secolo. Il
libro di Climaco fu anche tradotto in altre lingue orienta
li: in arabo e georgiano, prima del X secolo, e in rumeno,
nei primi anni del XVII secolo. Le traduzioni russe, serbe e
bulgare videro la luce come un risultato dell’influenza slava
nel mondo ortodosso146. Il suo influsso sul rinnovamen
to monastico del XV secolo può essere ravvisato su figu
re significative come il capofila dei “non-possidenti”,
Nil Sorskij, o anche quello dei “possidenti”, Iosif di
Volokolamsk147. Il sovrano serbo Giorgio Brankovic com
missionò una nuova traduzione dell’opera di Climaco; e
nella corrispondenza dello zar Ivan IV, detto “il Terribile”,
la Scala è il libro più spesso citato accanto alla Bibbia.
University Press, Cambridge 1981, in particolare pp. 124, 131, 239, 260.
37
IV gradino. Egli non parla dell’obbedienza in termini di
conformità a delle regole - siano esse ordini o divieti
ma, anche se i monaci pacomiani avevano delle regole
scritte, Climaco non fa mai menzione della parola “rego
la” in questo senso. Egli parla piuttosto dell’obbedienza
come di un rapporto profondamente intimo con una per
sona determinata, ossia con il proprio padre spirituale,
grazie al quale non si rimane schiavi del proprio io. In
questo come in altri aspetti, Giovanni Climaco non fa
che seguire la tradizione monastica, specialmente nel
modo in cui è delineata dai padri del deserto egiziano nel
IV secolo e dagli “anziani” Barsanufio e Giovanni di
Gaza nei primi anni del vi secolo. L’insegnamento sul
l’obbedienza a una persona specifica è presente nella tra
dizione monastica fin dagli inizi: la prima cosa che allo
stesso Pacomio fu detto di fare, è trovare un ghéron, ov
vero un padre spirituale148.
Alcuni autori monastici chiamano il padre spirituale
“ginnasta” (gymnastés) o “allenatore” ipaidotnbes). Altri
preferiscono usare parole come “igumeno” {hegoùmenos),
“guida” (bodegós), “pastore” {poìmén)> o altri termini pa
storali simili. Nella Scala il padre spirituale è paragonato
a Mosè, che guidò gli ebrei fuori dall’Egitto: “Anche noi
infatti abbiamo bisogno di un qualche Mosè ... che stan
do in piedi, a metà tra azione e contemplazione, tenda le
mani verso Dio in nostro favore” e ci guidi alla terra pro
messa della libertà149.
Un certo numero di metafore ricorrenti sono usate per
esprimere l’idea della guida: una guida per il cieco (cf. Gb
29,15), un pastore per il gregge, un accompagnatore per
148 Cf. Vite greche di Pacomio 1,6; cf. anche Apoftegmi, Isaia 2.
149 Cf. Scala 1,14; DP 93.100.
38
10 smarrito, un padre e una madre (cf. iTs 2,7) per il
bambino, un infermiere per il bisognoso, un amico per il
disperato, e un pilota per la nave150, anche quando la
nave è in pericolo151: “Ma mi meraviglierei se qualcuno
riuscisse da solo a mettere in salvo la propria barca dai
flutti del mare! ”152 *.
Parlando della direzione spirituale, Climaco preferisce
però le immagini “terapeutiche”: “L’abilità dell’esperto e
del medico di cui abbiamo bisogno, infatti, deve essere
proporzionata al grado di cancrena delle nostre piaghe”155.
11 padre spirituale è un medico esperto che sa, per esem
pio, come estrarre le schegge senza ingrandire la ferita. Il
peccato è equivalente a una malattia o a un’infermità, e
quindi dobbiamo entrare nell’“ospedale della confessione”
dove il padre spirituale ci risana interiormente prescriven
doci dei medicamenti, fasciandoci le ferite, applicandovi il
cauterio, e perfino praticando amputazioni, se necessario.
La fiducia nel giudizio del padre spirituale dovrebbe esse
re pari alla fiducia che si ripone nella diagnosi di un medi
co, che può curarci solo se gli mostriamo le nostre piaghe:
i monaci del cenobio visitato da Climaco ad Alessandria,
prendevano nota di ogni loro peccato o pensiero cattivo su
una tavoletta che poi mostravano al loro gbéron154.
Come una persona che ha ricevuto sapienza dall’alto, il
padre spirituale è soprattutto un “maestro” (didàskalos).
Egli non ha bisogno di altri libri se non di quell’unico che
ha ricevuto attraverso la propria esperienza personale,
scritto “dal dito di Dio”155. Il maestro non dovrebbe es
39
sere soltanto adorno delle virtù dell’innocenza {akakta) e
dello zelo (sponde) ma dovrebbe essere, innanzitutto, rigo
roso ed esigente: “Anche questo infatti è segno di un
buon pastore”, il quale si preoccupa che l’ultimo Giudizio
non si riveli troppo severo per il proprio gregge156.
Il pastore ha cura di tutte le sue pecore in ogni momen
to: egli deve essere onorato e ricordato per le sue capacità
spirituali e per la sua cura pastorale, ma non deve essere
giudicato o criticato157. Tutti i suoi consigli dovrebbero es
sere accolti con gioia158, anche quando non sono immedia
tamente di nostro gradimento, poiché egli vuole metterci
alla prova e tenerci continuamente “in allenamento”159.
Davanti al proprio padre spirituale, il discepolo sta in silen
zio160: non deve soltanto appropriarsi del suo insegnamen
to (cf. Mt 3,9), ma imitare l’insegnante161. Se, prima di af
fidarsi nelle sue mani, il monaco non conosce il “medico”,
può testarlo per essere sicuro che sia esperto nel guarire e
capace di curare le ferite dei pazienti162. Se invece conosce
il proprio padre spirituale, non dovrebbe tentare di appro
fittare del suo “carattere arrendevole e conciliante”163.
Il padre spirituale ha una funzione vicaria perché rap
presenta non solo il proprio figlio davanti a Dio, ma anche
Dio davanti al proprio figlio: il suo desiderio per la nostra
salvezza corrisponde alla volontà stessa di Cristo164.
Rappresentando così il padre spirituale come un’icona
vivente del Dio vivente, la teologia ascetica considera
156 rf ìLiA -,
157 Cf! Scala IV,9.12-14; XXV .
)49
158 Cf. ibid. IV,16-17.26.ni.
159 Cf. ibid. IV,23-24.29.124.
160 Cf. ibid. IV,74.
161 Cf. ibid. IV,77.
162 Cf. ibid. IV,91.
163 Cf. ibid. ^,107.122-123.
164 Cf. ibid. IV, 106, dove si cita Apoftegmi Giovanni di Tebe 1.
i
40
l’obbedienza nei suoi confronti come rivolta a Dio stesso.
Il padre spirituale deve essere un servo di Dio, che è il no
stro unico vero padre. Come afferma la Scrittura: “Non
chiamate nessuno padre sulla terra, perché uno solo è il
Padre vostro, quello del cielo!” (Mt 23,9). Il padre spiri
tuale, quindi, non fa altro che comunicare la parola di Dio
ai figli e alle figlie di Dio, e per Climaco ciò rimane vali
do anche se il padre spirituale non è una persona partico
larmente “spirituale”. Dio infatti può parlare attraverso
chiunque gli piaccia,
41
ci consegniamo a lui nel pensiero, o piuttosto nella fidu
cia, così come ci affidiamo a Dio. La salvezza dipende da
questo. Perciò, in un certo senso e in modo del tutto
paradossale, diventa preferibile peccare contro Dio piut
tosto che contro il proprio padre spirituale:
42
carico soltanto dei peccati del passato, o di quelli del pre
sente. Egli solleva dai pesi e li porta come propri. Ciò è
illustrato in modo suggestivo dal seguente aneddoto:
43
2 . 2 . “Charmolype” : lacrime e gioia
44
Il pénthos porta con sé un elemento di “bellezza”.
Climaco conia un altro termine a questo riguardo: kalli-
penthos178. L’umanità è da compiangere per aver perduto
questa “armonia” di gioia e tristezza, l’intreccio tra lacri
me e gioia presente nella bellezza del pénthos, che
Climaco indica con un’altra espressione pregnante: kdllos
pénthous179. Il concetto caratterizza l’approccio dialettico
di Climaco: egli ritiene che distruggere quest’armonia in
tensione sia rimanere imprigionati nel pénthos, senza
poter fare nient’altro che “sospirare”180. La vera vita di
penitenza è un equilibrio di perdizione e di risurrezio
ne181, di morte e di vita, di disperazione e di speranza
nella “riconciliazione con il Signore”182, e di dolore che
deriva dal desiderio di Dio183 184. Ploutotapeìnosh184 - un
altro termine che l’autore ha coniato, per descrivere “la
ricchezza dell’umiltà” - descrive efficacemente la “gioio
sa tristezza”, il pianto che si mescola - e quasi s’identifi
ca - alla gioia185. E l’esperienza simultanea del Getsemani
e del Tabor, del venerdì santo e della domenica di
Pasqua: “Moribondi ed ecco viviamo ... addolorati, ma
sempre lieti” UCor 6,9-10). La co-inerenza di gioia e di
tristezza riflette ancora la beatitudine di Cristo: “Beati gli
afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5,4), come pure la
sua ascensione, quando fu separato dai suoi discepoli ma
promise di rimanere sempre con loro (cf. Mt 28,20; Gv
14,12). Colui che piange è come un bambino, “che è
pieno di gioia e di tristezza allo stesso tempo: di gioia per
45
ché vede colui che desidera, e di tristezza per essere stato
privato per tanto tempo della sua piacevole bellezza”186.
Climaco è capace di condensare l’intero insegnamento
patristico sulle lacrime nella sua dottrina della charmolype.
Anche altri scrittori hanno fatto allusione a questo con
cetto di “gioiosa tristezza”187, ma egli lo sviluppa in modo
esplicito per la prima volta, sia coniando il termine, sia
traendo le proprie conclusioni ascetiche dalla beatitudine
di Cristo, secondo la quale la “consolazione” beatifica è
anticipata escatologicamente qui e ora.
L’esperienza del “fiore della santa carità” e la trasfor
mazione delle “lacrime dolorose” in “lacrime di gioia” av
viene “miracolosamente”188: è un dono che viene dall’alto.
La gioiosa tristezza è soprannaturale, un dono gratuito di
Dio, che non ha origine dalle passioni dell’uomo. La gioio
sa tristezza è sorprendente per lo stesso Climaco: “Se con
sidero la natura stessa della compunzione, sono stupito al
vedere come quella che chiamiamo afflizione e tristezza
contenga in sé, come miele nel favo, gioia e letizia”189.
C’è un ottimismo soggiacente in Climaco, che consi
ste nella sua convinzione che la natura umana è stata
creata da Dio per la gioia e non per la tristezza, per il
riso e non per le lacrime: “Rallegratevi nel Signore sem
pre; ve lo ripeto: rallegratevi!” (Fil 4,4). Nel settimo
gradino l’autore dice: “Dio, miei cari, non ha bisogno,
né vuole, che l’uomo si affligga per il dolore del cuore,
ma vuole piuttosto che gioisca per amor suo nel sorriso
dell’anima”190.
Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 67. Per gli altri riferimenti, cf. la n. 5
a Scala VII,ii.
188 Cf. Scala VII,53-54.
189 Ibid. VII,50.
190 Ibid. VII,45.
46
Ma il riso “mondano” sta al riso spirituale come l’eb
brezza che deriva da bevande alcoliche sta all’ebbrezza spi
rituale191. L’autore afferma che la sola “persona” di fronte
a cui si può ridere è il diavolo192. La gioia spirituale193 è una
katdstasis (letteralmente, uno “stato”) ripiena di amore,
una condizione che esclude qualsiasi “tenebra oscura del
l’anima”, e una gioia libera da ogni tristezza: “Togli il pec
cato, e le lacrime di dolore sugli occhi del tuo corpo saran
no superflue: dove non c’è piaga, infatti, non c’è alcun bi
sogno del rasoio!”194. C’è una gioia nell’arrivare e una
gioia nell’essere in cammino, ma la gioia è completa soltan
to in patria, cioè in paradiso. C’è un legame tra gioia
{chard) e grazia (chdris), parole che condividono la stessa ra
dice sia dal punto di vista etimologico che teologico.
Come spesso in Climaco, il suo discorso sul dono delle
lacrime è una testimonianza, non un trattato; è forse
un’omelia, ma non un discorso dottrinale con uno sche
ma fisso di assiomi e di regole. L’autore comunque dimo
stra una capacità straordinaria nel penetrare a fondo que
sto “misterioso paese delle lacrime”195, i vari tipi di pian
to, e il loro ruolo e significato per la vita spirituale.
47
fuoco196. Le due immagini sono strettamente legate:
“L’amore”, ci dice, “è una sorgente di fuoco”. Egli parla
di un amore che ha sperimentato lui per primo: “Ora hai
ferito la mia anima e non riesco a contenere la tua fiam
ma- perciò continuerò a cantare le tue lodi!”197.
E dunque giusto che Climaco parli anche di èros nei ter
mini dell’unione sessuale (synotista)198, perché nell’amore
c’è una specie di santa passione e follia {makaria mania)199.
Acquistare la virtù non è una pura “aggiunta” alla perso
na umana: è un atto integrale, che fa tutt’uno con essa,
come in un vincolo matrimoniale200. Il fuoco è, per
Climaco, l’immagine più adeguata per esprimere l’amore
passionale dell’uomo per Dio: essa suggerisce sia l’ardore
di quest’amore che la luce che esso è in grado di imprime
re alla vita, il desiderio bruciante che reca in sé e la sua na
tura insaziabile, il suo effetto cauterizzante e distruttivo
sulle passioni umane e la capacità che ha di provarci come
l’argento e l’oro nel fuoco, come anche la rapidità con cui
può manifestarsi ed estinguersi. La “sete” (dtpsa) e il “de
siderio ardente” {pàthos) suscitati dal nostro amore per
Dio ci “bruciano” e ci “consumano” continuamente201.
Climaco utilizza immagini prese dalla vita quotidiana e
le applica alla spiritualità ascetica: egli vuole che nella ri
cerca delle virtù ci comportiamo come mariti gelosi nei
confronti delle loro mogli, e ci dice anche che l’amore di
Dio è di gran lunga più grande e più intenso di quello che
48
una madre nutre per il proprio bambino, che pure è carne
della sua carne202 203. Per questo egli non può che utilizzare
rimmaginario erotico. L'èros per lui non è una pura icona,
un simbolo o una figura retorica. E prima di tutto un’ener
gia, una modalità di esistenza, un prototipo e un esempio:
49
L’amore “mondano” può essere facilmente riorientato
(;metaphéro) verso Dio, e la ferma convinzione di Climaco
è che “è possibile e facile, per chi lo vuole, innestare un
oleastro su un olivo buono!”206. Proprio perché la prosti
tuta del racconto evangelico aveva “molto amato” (Le
7,37-48), l’autore afferma che “aveva potuto facilmente
scacciare l’amore con l’amore”207. Chi non ama e non è
consumato dal desiderio, avrà un fervore minore nella sua
ricerca di Dio. Climaco sa che una singola esperienza di
èros vissuta in tutta la sua intensità può far avanzare molto
di più una persona nella sua vita spirituale, e può essere
molto più efficace della più ardua lotta contro le passioni
e della più severa disciplina ascetica. Del resto, è soltanto
questo amore erotico per l’amata persona del Cristo che
può spiegare le altrimenti inspiegabili e apparentemente
insensate, o perfino eccentriche, imprese ascetiche208.
Le virtù stesse sono descritte oltre che come donne,
imparentate l’una con l’altra, anche come qualità degli
amanti209. Esse seducono l’uomo in cammino verso il pro
prio Amore definitivo: sarebbe perciò sbagliato attaccar-
visi come se fossero fine a se stesse. Tra le virtù che,
come le passioni, in greco sono di genere femminile,
Climaco sottolinea l’importanza della “memoria di Dio”:
la parola “memoria” (;mnéme) ha la stessa radice della pa
rola “fidanzata” (;mnesté). Nell’esperienza del deserto,
dunque, bisogna ricordarsi di Dio come l’innamorato si
ricorda della sua promessa sposa.
Allo stesso tempo, l’eros, con la propria carica di desi
derio passionale, getta luce sulla nozione di “passioni pec
50
caminose”: esse non devono essere soppresse o cancellate,
ma convertite, plasmate, educate, e orientate nella loro
giusta e naturale direzione. Nel contesto monastico, le
passioni sono affrontate diversamente: sono superate at
traverso la conquista di “passioni divine” più grandi. Il
monaco orienta ogni sua passione verso Dio gettando tutti
i suoi amorosi sforzi ai piedi del suo Signore:
51
Come il fuoco che, “quanto più erompe, tanto più in
fiamma l’assetato”214, il desiderio del monaco non ha li
miti: “Non si sazieranno mai di lodare il loro Creatore
... non cesseranno mai di progredire nella carità ... prima
di esser diventati angeli”215. Ciò può essere compreso
soltanto nel senso escatologico (cf. Mt 22,30; Le 20,36)
di un amore continuo e senza limiti: non si tratta di una
versione superficiale di “angelismo”, ma di una follia che
si spinge fino all’estremo.
Essendo frutto della grazia divina, l’èros suscita un’at
titudine di attesa impaziente, di invocazione dello
Spirito santo, di preghiera e di implorazione. Ed è ciò
che l’autore esprime con una domanda retorica: “Cosa
c’è infatti di più buono e di più sublime dello stare uniti
al Signore e del perseverare (proskarterein) incessante
mente in questa unione con lui ?”216 217. La parola proskarte-
reìn denota qui un’ardente attesa, un desiderio impazien
te della grazia di Dio. E se a volte la grazia divina sem
bra abbandonarci (cf. Gv 16,5-7), 1 ° fa Per suscitare in
noi lo spirito di umiltà21/, o per ferirci il cuore con il pén-
thos. Perciò, occorre perseverare, nelle lacrime e nel do
lore (cf. 2Cor 7,7), “cercando sempre smaniosamente ...
e inseguendo” Dio218. Non si è mai tranquilli nel proprio
desiderio di Dio! L’èros “non arresta mai la sua corsa, e
quando ferisce qualcuno non permette che abbia riposo
dalla sua beata follia!”219. Ferito dall’amore di Dio,
Climaco dice che “il suo cuore veglia per sovrabbondan
za d’amore (èros)”220: è un’esperienza continua di “per
™ Ibid. X X X , 1.
220 Ibid. XXX,7.
52
dita” e di “recupero” dell’oggetto della propria ricerca;
è un percepire la presenza di Cristo perfino nella sua as
senza. In ogni caso, l’amore non si dà in astratto: esso
si riduce a nulla, se non è amore di un’altra persona,
concreta ed esistente221. Come una persona che brucia
d’amore, il monaco non abbandona mai l’immagine del
proprio Amante, non se la lascia mai sfuggire, e parla in
cessantemente con Dio, sia nella veglia che nel sonno222 *.
Davvero grande è la potenza dell 'èros220: “Quel che av
viene nell’amore dei corpi, avviene anche in quello spi
rituale! ”224.
2 . 4 . La "preghiera di Gesù”
53
Non affannarti a parlare molto quando preghi, perché
la tua mente non si disperda nella ricerca delle parole.
Una sola parola da parte del pubblicano bastò a procu
rargli la misericordia di Dio, e un solo grido di fede
salvò il ladrone. L’uso di molte parole (polyloghia) nella
preghiera spesso disperde la mente e la colma di imma
gini, mentre la ripetizione di un’unica formula 0mono-
loghla) spesso la raccoglie226.
226
Ibìd. XXVIII,9.
227
Ibid. XXVII/2,6.
228 Ibid. XI,2 e XIV, i.
3
229 Ibid. XI,3.4.
230 Ibid. XXVIII, 16. I monaci della “prigione” di Alessandria, però, non
54
preghiera; c’è però un tipo di preghiera semplice, cui
viene attribuita particolare importanza: è l’invocazione o
la memoria del nome di Gesù.
Le preghiere brevi sono già menzionate negli Apoftegmi
dei padri del deserto: “Abba Poemen disse: ‘Abba
Pafnuzio ... ricorreva a preghiere brevi’”233. Nilo, poi, dà
un certo rilievo all’invocazione del nome di Gesù, ma essa
rimane pur sempre marginale all’interno della pratica spiri
tuale. E solo con Diadoco di Fotica che essa acquista im
portanza e perfino un ruolo centrale, al punto da influen
zare gli autori posteriori: Diadoco menziona 1 ’“invocazio
ne del nome di Gesù”234 e, da parte loro, Barsanufio e
Giovanni, continuano la stessa tradizione, parlando di
brevi preghiere con particolare riferimento alla preghiera di
Gesù e alla preghiera incessante235. Doroteo di Gaza com
bina insieme le tradizioni di Diadoco e di Barsanufio236 237 238.
La Scala non tratta esplicitamente di questo argomento;
ci sono però tre passi in cui viene menzionata la “preghie
ra di Gesù” e che hanno avuto molta influenza sugli auto
ri posteriori. C’è anche una quarta allusione alla “preghie
ra di Gesù”, ma là, più probabilmente, l’autore si riferisce
alla “preghiera del Signore”, cioè al Padre Nostro23/:
233 Cf. Apoftegmi, Poemen 190. Cf. anche ibid., Elia 7 e Macario 19.
234 Cf. Diadoco di Fotica, Capitoli 31; 59; 61; 85; 88; 97.
235 Barsanufio di Gaza, Lettere 446.
236 Cf. Vita di Dositeo io.
237 Cf. Scala IX, 1.
238 Ibid. XV,51. Il passo è citato da Callisto e Ignazio Xanthopouloi, Metodo
55
Il contesto di questo primo passo parla degli assalti dei
demoni al momento di prendere sonno: l’autore propone
il “ricordo della morte” e la “preghiera di Gesù” come
mezzi per combatterli. L’espressione lesoù euché è proba
bilmente usata da Climaco per la prima volta. Egli è
anche il primo a descriverla come monológhistos, concisa:
il termine significa letteralmente “che consiste in una sin
gola formula”, ed è ripreso, in forma adattata, da Marco
il Monaco, che lo usa per qualificare non la preghiera ma
la speranza239. In Climaco non è testimoniata una formu
la precisa che corrisponda alla “preghiera di Gesù”; sa
rebbe però sbagliato affermare che in questo passo l’au
tore sta semplicemente consigliando la concisione verbale,
come nel caso di altre preghiere a cui fa riferimento240.
Gli autori ascetici precedenti mostrano che, di norma,
il nome di Gesù non veniva pronunciato da solo ma era
seguito da altre invocazioni. Abba Elia, negli Apoftegmi
dei padri del deserto, usa la frase: “Gesù salvami!”, e
Barsanufio, una frase simile: “Gesù, aiutami!”. Entrambi
questi autori dicono “Gesù” senza “Signore”, mentre
Diadoco di Fotica adotta l’espressione: “Signore Gesù”.
Gli esicasti posteriori sottolineeranno il fatto che soltan
to i perfetti sono in grado di invocare il nome di Gesù da
solo. La forma ordinaria della preghiera di Gesù la si in
contra per la prima volta nella Vita di abba Filemone, un
testo che parla di un monaco egiziano, difficile da data
re ma probabilmente più o meno contemporaneo della
Scala. Le parole, a quanto pare, non erano ancora cri
stallizzate e Climaco qui può aver preferito lasciarne li
bera la scelta.
56
Mentre ti stai recando là, armati della preghiera, e
quando sei arrivato, stendi le braccia e flagella i tuoi
nemici con il nome di Gesù (onómati Iesou): non esiste
infatti arma più potente né in cielo né in terra241 !
51
sercizio ininterrotto della preghiera243. Curiosamente,
molti autori più tardi danno alla frase un significato assai
più specifico, ritenendo che essa implichi una particolare
tecnica fisica. Non esiste, tuttavia, una chiara e sicura
menzione di tale tecnica - per lo meno nella tradizione
greca - fino alla fine del xill e l’inizio del XIV secolo. Ciò
che Climaco vuol dire è che il monaco deve pregare senza
interruzione: “L’esichia è un culto ininterrotto reso a Dio
e uno stare sempre alla sua presenza”244.
Queste possono sembrare questioni tecniche, ma non
oscurano - anzi piuttosto servono a enfatizzare - il fatto
che l’invocazione incessantemente ripetuta, sia nella
forma del “Signore abbi pietà!” che del “Signore Gesù
Cristo abbi pietà di me!” o di qualunque altra breve sup
plica, riflette la comprensione fondamentale, che Climaco
manifesta, della preghiera come relazione da persona a
persona, con ciò che questo significa per l’aspetto relazio
nale dell’ascesi. La preghiera non deve neppure essere ar
ticolata in una struttura logica di parole o frasi: “Non
sappiamo neppure pregare come dovremmo, ma lo Spirito
stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti ine
sprimibili!” (Rm 8,26). E ciò è anche alla base della teo
ria e della prassi di preghiera del nostro autore.
**
58
Il padre Georgij Florovskij ha osservato che “il livello
della Scala è molto semplice: è definita dalla logica del
cuore piuttosto che dalla logica dell’intelletto”245. E vero
anche però che Climaco definisce degli ambiti difficili,
per non dire impossibili, da descrivere. Gli studiosi cer
cano di scoprire le sue fonti e i suoi influssi, ed è chiaro
che dobbiamo prima di tutto collocarlo all’interno del
contesto letterario del deserto egiziano e delle regioni mo
nastiche della Palestina, ma ciò che Climaco ha ricevuto
dai suoi predecessori lo ha fatto proprio, ed è questo che
egli ha trasmesso ai suoi successori nel mondo bizantino e
ai suoi lettori nel corso dei secoli: ovvero l’incontro per
sonale con Cristo a ogni gradino della scala. Cristo, infat
ti, è l’inizio del cammino, Cristo è il termine, e ancora
Cristo è la via (cf. Gv 14,6)!
Climaco è diventato famoso per i concetti e i termini
che conia e trasmette ai posteri per parlare delle lacrime e
del silenzio; la sua influenza, però, si deve al fatto che egli
parla in base a una propria personale esperienza di eterni
tà, rilevante per tutti i tempi. Egli rende eloquente la pro
pria esperienza attraverso l’esperienza stessa del lettore. E
pieno di compassione e libero, ma la sua esperienza è allo
stesso tempo un giudizio: la sua compassione e il suo giu
dizio sono strettamente legati e sono frutto della sua ca
pacità di amare. Del resto egli ha sopportato per primo le
difficoltà che i suoi lettori dovranno affrontare per salire
la scala; ha iniziato dal gradino più basso, ed è per questo
che, secondo lui, l’illuminazione non è da ricercare nell’e
stasi ma piuttosto nell’ascesi. Proprio in questo, forse,
consiste il ruolo dell’asceta: egli non fugge la società per
allontanarsi da essa, ma piuttosto per colmare la distanza
59
che c’è tra l’umanità e la divinità per mezzo della propria
virtù e della grazia divina. Il monaco non cerca esperien
ze o visioni di luce, e neppure la preghiera continua o la
deificazione, ma con umiltà e amore cerca unicamente di
vivere per e in Dio. Egli scrive sulla lapide della propria
tomba, non su pezzi di carta destinati a essere seppelliti
nelle biblioteche: vivere per Dio significa morire per Dio,
e Climaco scrive proprio in virtù di questo atto di vivere
e di morire.
60
NOTA EDITORIALE
XVII (sull'avarizia e sulla povertà) sono unificati nel Discorso XVI, mentre il
Discorso XXIII (sulla superbia e sulla bestemmia) è suddiviso nei Discorsi XXII
e XXIII: dunque, per i Discorsi XVI-XXII, la numerazione di Sophronios è in
feriore a quella di Rader di un’unità.
61
Tutte le citazioni bibliche sono da intendere riferite al testo
dei LXX: la loro traduzione, quindi, diverge spesso da quella
delle bibbie in lingua italiana, basate sul testo masoretico. Nel
segnalare le citazioni ci atteniamo però alla nomenclatura cor
rente dei vari libri, secondo le abbreviazioni adottate dalla
Bibbia di Gerusalemme.
Un “Glossario” in fondo al volume spiega i termini-chiave
che ricorrono con maggior frequenza, mentre le note a piè di
pagina sono preferibilmente dedicate al commento e alla spie
gazione del testo, soprattutto nei passi più oscuri: a tale scopo
si è scelto di fare ampio ricorso agli Scholia antichi, oltre che al
commento di Niceforo Callisto Xanthopoulos, recentemente
edito5, e ai passi paralleli di altri padri. Per quanto possibile,
poi, si è cercato di segnalare le numerose citazioni e allusioni
patristiche disseminate nel testo, servendoci ampiamente a tale
scopo dei lavori di W. Vòlker6 e J. Chryssavgis7.
5
Cf. Niceforo Callisto Xanthopoulos, Exegesis.
6
Cf. W. Vòlker, Scala Paradisi. Etne Stadie zu Johannes Climacus undzugleich
eine Vorstudie zu Simeon dem Neuen Theologe, F. Steiner, Wiesbaden 1968.
7 J. Chryssavgis, “The Sources of St. John Climacus (c. 580-649)”, in
62
LA SCALA
PROLOGO
65
chi non l’ha ancora raggiunta, è ancora un bambino e, se
condo il giudizio di tutti, non risulterà gradito a Dio.
Abbiamo giudicato necessario inserire prima di tutto la
vita del sapientissimo costruttore di questa scala spirituale
e divina, affinché, vedendo le sue fatiche, non ci rifiutia
mo di credere alle sue parole scritte. Poi, dopo aver col
locato le lettere del padre che ha commissionato l’opera e
di colui che gli ha obbedito, daremo inizio alle parole
contenute in questo libro.
66
BREVE VITA DEL BEATO GIOVANNI,
IGUMENO DEL SANTO MONTE SINAI,
DETTO SCOLASTICO
E AUTORE DELLE “TAVOLE SPIRITUALI”,
OVVERO DELLA “SCALA SANTA”
1 Sul testo della Vita, cf. A. Muller, “Die Vita Johannes des Sinaiten
von Daniel von Raithu. Ein Beitrag zur Byzantinischen Hagiographie”, in
Byzantinische Zeitschrift 95,2 (2002), pp. 585-601.
67
retta (Sai 25,12). Ma ora voglio raccontare in che modo
quest’uomo glorioso sia riuscito a ottenere una tale bea
titudine.
2. Costui, all’età di sedici anni, si offrì a Cristo come
sacrificio accetto e a lui gradito (cf. Fil 4,18), sottoponen
dosi al giogo della vita monastica sul monte Sinai, e lo
stesso luogo visibile in cui dimorava contribuiva - credo
- a guidarlo e condurlo verso il Dio invisibile. Abbracciò
così l’estraneità, che è la custode di tutte le fanciulle spi
rituali2, e respinta, grazie a essa, ogni forma di eccessiva
e sconveniente familiarità, e acquistata l’onesta umiltà,
scacciò una volta per tutte lontano da sé, fin dalla sua en
trata nella vita monastica, il demone dell’autocompiaci-
597 b mento e della fiducia in se stesso. Avendo piegato il collo
2
Cioè di tutte le virtù. Sull'estraneità (xeniteta)y cf. infrciy 111,1 ss. e “Glos
sario", s.v. “Estraneità".
68
Tola3, distante cinque miglia dalla chiesa del monastero, e
là trascorse con fervore quarantanni, sempre infiammato 600 A
da un amore ardente e dal fuoco della divina carità. Ma
chi è in grado di descrivere e celebrare a parole le fatiche
ascetiche che egli sostenne in quel luogo ? E come è possi
bile parlarne apertamente, dal momento che ogni sua fati
ca fu seminata nel segreto e senza testimoni? Tuttavia,
partendo da alcuni fatti noti e servendocene come di pic
coli indizi, possiamo intuire quale fu la santa condotta di
quest’uomo tre volte beato.
4. Mangiava di tutto ciò che gli era consentito dal pro
prio stato di vita, ma molto poco4; e così, con molta sa
pienza, riusciva a vincere l’orgoglio e ad abbassare le
corna della presunzione. Mangiando poco, infatti, schiac
ciava quanto più possibile il suo folle e insaziabile tiran
no5 gridandogli nella sua fame: Taci, calmati! (Me 4,39); e
mangiando un po’ di tutto riusciva ad abbattere la tiran
nia della vanagloria. Oltre a ciò, con la solitudine e la
mancanza di qualsiasi rapporto umano, spense le fiamme
di questa fornace6, riuscendo a ridurla in cenere e a cal ÓOO B
marla completamente. All’idolatria7, poi, quell’uomo va
loroso sfuggì valorosamente, grazie alla misericordia di
Dio e alla mancanza di ogni mezzo necessario. Fece risor
gere l’anima da quella morte e da quella paralisi in cui
essa rischia di cadere in ogni momento8 stimolandola con
il pungolo del ricordo della morte. Spezzò la catena della
5 Località a nord-ovest del massiccio del Sinai (odierna Wadi Tlah), dove
ancora oggi è possibile visitare la “caverna di san Giovanni Climaco”.
4 Seguendo in questo la “regola” dei padri egiziani che, piuttosto di grandi
digiuni, consigliavano di mangiare poco ogni giorno, senza mai giungere alla sa
zietà: cf. Apoftegmi, Ammonas 4; Poemen 31.
5 Cioè il ventre.
6 Cioè la concupiscenza della carne.
7 Cioè all'avarizia.
8 Cioè Tacedia.
69
tristezza liberandosi da ogni attaccamento passionale, o
forse anche gustando i beni invisibili. Se la tirannia dell’i
ra l’aveva uccisa già prima con la spada dell’obbedienza9,
impedendo al proprio corpo di uscire fuori dalla cella, e an
cora più alla propria parola di uscire dalle labbra, poi mise
a morte anche quella sanguisuga, simile a un ragno, che è
la vanagloria. Cosa rimane ancora ? La vittoria sull’ottava
passione, cioè la perfetta purificazione dall’empia super
bia. Questo novello Beseleèl10 iniziò quest’impresa attra
verso l’obbedienza, ma fu il Signore della Gerusalemme
600 c celeste a portarla a termine visitandolo con la propria pre
senza, ed esaltando contro la superbia la sua umiltà, virtù
senza la quale è impossibile vincere il diavolo e tutta la
sua compagnia11.
5. Ma dove posso collocare, nella corona che sto in
trecciando12, la fontana delle sue lacrime, che è un dono
601 concesso a pochissimi? L’officina segreta di queste lacri
a
70
l’acedia. Del resto l’intero corso della sua vita fu una pre
ghiera incessante e un amore appassionato e indescrivibile
per Dio: di notte e di giorno lo contemplava nel limpido
specchio della propria purezza, e non voleva mai saziarse- 601 b
71
“Giovanni, come puoi dormire così spensieratamente, men
tre Mosè si trova in pericolo?”. Ritornato in se stesso all’i
stante, imbracciò subito le armi della preghiera a difesa del
discepolo, e quando costui a sera fu di ritorno gli chiese:
“Ti è forse successo qualche spiacevole imprevisto?”. Ed
egli rispose: “Un enorme macigno mi avrebbe schiacciato e
fracassato completamente, mentre dormivo profondamente
alla sua ombra, se io, credendo di udire la tua voce, non mi
fossi alzato di soprassalto da quel luogo, tutto confuso; e
così vidi subito il macigno staccarsi e cadere a terra”. E
quell’uomo veramente umile, senza dir nulla al discepolo
604 b della visione che aveva avuto, rese grazie a Dio lodandolo
15 Cf. Sai 144,19: “Farà la volontà di coloro che lo temono, ascolterà la loro
supplica e li salverà”.
72
8. Questo padre venerabile elargiva con abbondanza le
sue parole di grazia a tutti coloro che venivano a visitar
lo e versava loro con grande generosità e larghezza le
acque del suo insegnamento: perciò alcuni uomini mali- 604 d
gni, rosi dall’invidia, cercando di por fine a tutto il bene
che faceva, lo accusarono di essere un chiacchierone e un
ciarlatano. Ma egli, sapendo di poter tutto nel Cristo che
gli dava la forza (cf. Fil 4,13) e volendo istruire chi gli si
avvicinava per la propria edificazione, non soltanto con
le proprie parole ma ancor più con il proprio silenzio e
con la sapienza delle proprie opere - per troncare così
ogni pretesto a quelli che cercavano un pretesto (cf. 2Cor
11,12), come sta scritto -, rimase in silenzio per un certo
tempo e interruppe il flusso del suo insegnamento dolce
come il miele. Riteneva preferibile infatti recare un leg
gero danno agli amanti del bene - che forse avrebbe co
munque potuto aiutare con il proprio silenzio - piuttosto
che irritare ancor di più quei giudici maldisposti, esaspe
rando la loro cattiveria. Questi ultimi perciò, rimasti am- 605 a
73
oscura e impenetrabile (cf. Es 24,18), ricevette la legge
scritta da Dio, elevandosi alla contemplazione attraverso
dei gradini spirituali. Aprì la bocca alla parola di Dio e, at
tirato lo Spirito (cf. Sai 118,131), riversò la parola buona
dal buon tesoro del proprio cuore (cf. Mt 12,35 par.).
io. Così giunse al termine di questa vita visibile gui-
605 b dando gli israeliti, cioè i monaci; e Tunica differenza tra
16Forse il monaco Isacco nominato sopra, che fu salvato dal demone della
fornicazione per aver supplicato con fede il Signore, come il re David.
17 Giovanni igumeno di Raito, il committente della Scala.
18 La prima parte della Scala è dedicata alle virtù “pratiche” (rinuncia al
74
DAI “RACCONTI SUI SANTI PADRI DEL SINAI”
DI ANASTASIO SINAITA
“Le texte grec des récits du moine Anastase sur les saints pères du Sinai”, in
Oriens Christianus 2 (1902), pp. 63-64 (VI=i), 80 (XXXIV=2), 64 (VII=3), 79
(XXXII=4), piuttosto che al testo dei racconti anonimi pubblicati in PG
88,607-610 e riprodotti nelPedizione di Sophronios, che sono il frutto di un
rimaneggiamento antico del testo di Anastasio (con Tunica eccezione forse del
racconto pubblicato in PG 88,608-609). Su Anastasio, monaco del Sinai con
temporaneo di Giovanni Climaco, cf. S. Sakkos, ITegl Avaoxaouov Ztvatx(dvy
Aristoteleion Panepistimion, Thessaloniki 1964; B. Flusin, Saint Anastase le
Perse et Vhistoìre de la Palestine au début du Vlle siede, CNRS, Paris 1991; Id.,
“Il monacheSimo sinaitico al tempo di Giovanni Climaco”, in Giovanni
Climaco e il Sinai, pp. 28-31.
2 Su di lui cf. infra, IV,in-ii3.
5 Località del monte Sinai, che secondo Anastasio Sinaita, si trovava “a
quindici miglia dal santo roveto” (Racconti sui padri del Sinai 31).
A Cf. Giovanni Mosco, Prato 122 e 127.
5 Cioè di Giovanni.
15
visto con la sua chiaroveggenza che il suo discepolo si era
scandalizzato, gli disse: “Perché ti sei scandalizzato?
Credimi, non so chi sia quel ragazzo, ma io ho accolto l’i-
gumeno del Sinai e ho lavato i suoi piedi!”. E dopo qua
rantanni egli diventò il nostro igumeno, secondo la pro
fezia dell’anziano. E non solo abba Giovanni il Sabaita,
ma anche abba Strategio il Recluso, sebbene non uscis
se mai, fece la stessa profezia, nel giorno in cui abba
Giovanni fu tonsurato.
2. Una volta abba Anastasio6 vide scendere abba
Giovanni dalla santa vetta insieme ad abba Martirio.
Chiamò dunque abba Martirio e il ragazzo, e disse all’an
ziano: “Dimmi, abba Martirio, da dove viene questo ra
gazzo? E chi lo ha tonsurato?”. E quello gli rispose: “E
tuo servo, padre, e l’ho tonsurato io”. Riprese l’altro:
“Oh! abba Martirio! Chi avrebbe mai detto che tu avre
sti tonsurato l’igumeno del Sinai?”.
Ed è veramente a buon diritto che i santi padri fecero
queste profezie riguardo al nostro santissimo padre
Giovanni: egli infatti era adorno di tutte le virtù e risplen
deva a tal punto che i padri del luogo lo chiamavano “se
condo Mosè”.
3. Un giorno vennero quassù7 circa seicento ospiti e,
mentre erano seduti a tavola e mangiavano, il nostro santo
padre Giovanni vide un uomo dai capelli corti, vestito se
condo l’uso dei giudei di una tunica bianca, che andava
avanti e indietro e dava ordini ai cuochi, agli economi, ai
cellerari e agli altri servitori. Quando dunque tutte quelle
persone se ne furono andate, mentre i servitori erano se
duti a tavola a mangiare, si cercò quell’uomo che andava
77
LETTERA DI ABBA GIOVANNI
IGUMENO DI RAITO
AL VENERABILE GIOVANNI IGUMENO
DEL MONTE SINAI, DETTO SCOLASTICO
E IN SEGUITO DALLA SUA OPERA
CHIAMATO CLIMACO OVVERO “DELLA SCALA”
79
questo scritto prezioso che ci manderai, come le Tavole
scritte da Dio, possa servire a istruire il nuovo Israele,
cioè coloro che sono appena usciti dall’Egitto spirituale e
dal mare della vita2. Come dunque in passato hai compiu
to miracoli sul mare, utilizzando invece del bastone di
Mosè (cf. Es 14,16) la tua lingua ispirata da Dio, così
anche ora, ti preghiamo, non disdegnare di esporre senza
indugio e in modo chiaro, con le tue eccellenti qualità di
maestro, tutto ciò che è necessario alla vita monastica,
624 c per la salvezza di tutti coloro che hanno scelto questa
condizione di vita angelica; e non pensare che le nostre
625 parole siano lusinghe e adulazioni, ma credi piuttosto che
a
80
LETTERA DI RISPOSTA
81
possibilità; ma questo, non certo per raccontare qualcosa
che possa esserti utile, o per spiegarti quel che tu stesso co-
628 a nosci meglio di noi, padre santo e venerabile. Sono infat
1
Cf. At 7,38, dove l’espressione è usata per designare i comandamenti ri
cevuti da Mosè sul Sinai.
82
Supplico chiunque leggerà questo libro, che se mai ne
ricaverà qualche beneficio, ne attribuisca con gratitudine
il merito al nostro eccellente superiore2, e domandi a Dio 628 c
di dare a noi la ricompensa soltanto per aver intrapreso
questo lavoro, senza guardare alle cose dette - perché
non hanno alcun valore e sono piene di ogni genere di
ignoranza e ingenuità - ma riconoscendo piuttosto la
buona intenzione di chi le offre, degna di quella vedova
di cui sta scritto nell’evangelo (cf. Me 12,42-43): Dio in
fatti commisura le ricompense non tanto all’abbondanza
di doni e di fatiche ma al fervore dell’intenzione.
83
DISCORSO ASCETICO DI ABBA GIOVANNI
IGUMENO DEI MONACI DEL MONTE SINAI
INVIATO AD ABBA GIOVANNI
IGUMENO DI RAITO
87
632 c 3. Ciascuna di queste categorie, dunque, avrebbe biso
gno di un discorso particolare che la riguardi, ma poiché
in questo momento non conviene che noi, che siamo
ignoranti, ci mettiamo a discutere diffusamente di tutte
queste cose, orsù, apprestiamoci a tendere la nostra mano
indegna, attraverso un’obbedienza cieca2, a questi auten
tici servi di Dio3 che con la loro devozione ci tiranneggia
no e con la loro fiducia ci fanno violenza: ricevendo da
questi dotti la penna dell’insegnamento, immergendola
nell’inchiostro della cupa e splendente umiltà, e posando-
633 a la sui loro cuori lisci e candidi, come su fogli o piuttosto
su tavole spirituali, per tracciarvi le parole divine, dicia
mo quanto segue.
4. Di tutte le creature dotate di libero arbitrio, Dio è
la vita, di tutte è la salvezza: dei fedeli e degli infedeli,
dei giusti e degli ingiusti, dei pii e degli empi, di coloro
che sono preda delle passioni e degli impassibili, dei mo
naci e dei secolari, dei sapienti e degli ignoranti, dei sani
e degli infermi, dei giovani e di coloro che sono già avan
ti negli anni, proprio come l’effusione della luce, la vista
del sole e l’alternanza delle stagioni. Né potrebbe essere
altrimenti, perché presso Dio non c’è parzialità (Rm 2,11)!
5. L’empio è l’essere razionale, mortale, che si sottrae
volontariamente alla vita e ritiene il proprio Creatore -
633 b proprio lui che sempre esiste! - come non esistente (cf. Sai
13,1; 52,2).
6. Il trasgressore della legge è colui che rende la legge
di Dio prigioniera della propria mente perversa, e s’illu
de di credere in Dio mentre professa un’eresia che gli è
contraria.
quanto Fautore stesso afferma in IV^, chi obbedisce rinuncia al proprio di-
scernimento “per abbondanza di discernimento”.
? I monaci di Raito.
88
7. Il cristiano è imitazione di Cristo - nella misura in
cui ciò è possibile a un uomo - in parole, opere e pensie
ri, con una fede retta e irreprensibile nella santa Trinità.
8. L’amico di Dio è colui che gode di tutti i beni che
sono secondo natura ed esenti da peccato e non trascura
di compiere tutto il bene che è in suo potere.
9. Il temperante è colui che, pur vivendo in mezzo alle
tentazioni, alle insidie e alle distrazioni, cerca con tutte
le proprie forze di imitare i comportamenti di chi è libe
ro da ogni turbamento.
10. Monaco è lo stato e la condizione di vita degli angeli 633 c
incorporei che si realizza in un corpo materiale e sordido.
Monaco è colui che si attiene unicamente ai precetti di Dio,
in ogni tempo, luogo e azione. Monaco significa violenza
ininterrotta fatta alla natura e custodia incessante dei sensi.
Monaco è un corpo casto, una bocca pura e una mente illu
minata. Monaco è un’anima afflitta che medita ininterrotta
mente il ricordo della morte, sia nella veglia che nel sonno4.
11. Il ritiro dal mondo è odio volontario e rinnegamen
to della natura allo scopo di ottenere ciò che è superiore
alla natura.
12. Tutti coloro che hanno abbandonato con zelo i
beni di questa vita, certamente l’hanno fatto o in vista del
Regno futuro, o per il gran numero dei loro peccati, o
per amore di Dio5. Ma se nessuno di questi motivi li ha
4 Sul nome del “monaco” (da mónos, “solo, unico”), cf. Pseudo-Dionigi
rituale, pur invertendone Lordine (vedi però infra, § 24). Si veda, ad esempio,
Basilio di Cesarea, Regole diffuse, prol. 3: “O ci allontaniamo dal male per ti
more del castigo e ci troviamo allora nella disposizione d’animo propria degli
schiavi, oppure, aspirando ai guadagni della ricompensa, osserviamo i coman
damenti per il vantaggio che ne ricaviamo e siamo simili così ai mercenari, o
ancora operiamo per il bene in se stesso e per amore di colui che ci ha dato la
legge, lieti di essere stati trovati degni di servire un Dio talmente glorioso e
buono, e ci troviamo così nella disposizione d’animo dei figli”.
89
guidati, allora il loro ritiro dal mondo è irragionevole.
Comunque il nostro Arbitro, nella sua bontà, attende di
vedere quale sarà il termine della nostra corsa.
633 d 13. Colui che è uscito dal mondo per sgravarsi del peso
dei propri peccati, imiti coloro che se ne stanno seduti da
vanti alle tombe fuori della città e non smetta di versare
calde e bollenti lacrime e di gemere silenziosamente nel
proprio cuore, finché anch’egli non veda venire Gesù, non
lo veda rotolare via dal suo cuore la pietra del suo induri
mento, liberare Lazzaro - ossia la nostra mente - dalle
bende dei peccati, e ordinare agli angeli che lo servono:
Scioglietelo dai vincoli delle passioni e lasciatelo andare
verso la beata impassibilità (cf. Gv 11,44)! Ma se non si
comporterà così, non trarrà alcun vantaggio dalla propria
uscita dal mondo.
14. Noi tutti che vogliamo uscire dall’Egitto e fuggire
lontano dal faraone (cf. Es 13,17-22)6, certamente abbia-
636 a mo bisogno anche noi di un qualche Mosè, come media
tore davanti a Dio e dopo Dio7, che stando in piedi, a
metà tra azione e contemplazione, tenda le mani verso
Dio in nostro favore, affinché sotto la sua guida possia
mo traversare il mare dei peccati (cf. Es 14,21-22) e met
tere in fuga l’Amalek delle passioni (cf. Es i7,8-i3)8. Si
sono illusi, perciò, quanti, confidando in se stessi, hanno
creduto di non aver bisogno di alcuno che li guidasse !
90
15. Coloro che uscirono dall’Egitto avevano come
guida Mosè, e coloro che fuggirono da Sodoma un ange
lo (cf. Gen 19,16). Gli uni somigliano a coloro che sono
guariti dalle passioni dell’anima attraverso la cura dei
loro medici9: sono appunto coloro che escono dall’Egitto.
Gli altri invece somigliano a coloro che desiderano arden
temente spogliarsi dell’immondezza del loro misero
corpo: anch’essi perciò hanno bisogno dell’aiuto di un an
gelo, o di uno che, per così dire, sia uguale a un angelo.
L’abilità dell’esperto e del medico di cui abbiamo biso- 636 b
come quando dice: 'Il monaco è violenza continua fatta alla natura’, e ancora:
'In realtà hanno bisogno di violenza1, e in molti altri passi simili. A questo pro
posito si può dire che, quando una certa abitudine è diventata in noi una di
sposizione stabile e, per così dire, una natura, in quel caso è necessaria la vio
lenza per cambiare e trasformare quell’abitudine che si è acquisito da lungo
tempo. Perciò anche il Signore dice: II regno dei cieli è dei violenti!
91
e ciò finché, a forza di semplicità, di profonda mitezza e
di fervore, non avremo condotto la nostra mente - che è
come una cagna abituata a frequentare i macelli e avida
di cibo - all’amore della vigilanza e della purezza. Ma
facciamoci coraggio, anche se siamo dominati dalle pas-
636c sioni e impotenti! Offriamo e confessiamo a Cristo, con
fede incrollabile, la nostra debolezza e l’impotenza della
nostra anima, e certamente otterremo il suo aiuto, anche
al di là dei nostri meriti, purché ci sprofondiamo conti
nuamente nell’abisso dell’umiltà.
18. Tutti coloro che intraprendono questa bella lotta
(cf. iTm 6,12; 2Tm 4,7), dura e ardua, ma allo stesso
tempo leggera11, sappiano che sono venuti a gettarsi in un
fuoco12, se veramente desiderano che il fuoco immateria
le abiti in loro. Ciascuno però esamini se stesso e poi mangi
del pane di questa lotta, che è accompagnato da erbe
amare, e beva del suo calice, che si beve con le lacrime,
per non intraprendere il combattimento a propria con
danna (cf. iCor 11,28-29).
19. Se è vero che non chiunque viene battezzato è
salvo, tacerò le conseguenze di questa affermazione.
Quanto però a coloro che intraprendono questa lotta, do
vranno rinunciare a tutto, disprezzare tutto, ridersi di
636 tutto, e scrollarsi di dosso tutto, in modo da porre un
d
buon fondamento!
20. Un buon fondamento è quello formato da tre basi
diverse e da tre colonne: innocenza, digiuno e castità.
Tutti i neonati in Cristo (cf. iCor 3,1) comincino da que
ste cose, prendendo esempio da coloro che sono neonati
11Cf. Schol. 14, PG 88,6480: “Ha detto Mura' a causa della custodia dei
sensi; ‘ardua' a causa della mortificazione della carne e del doloroso abbando
no delle abitudini inveterate; ‘leggera', infine, a causa della fiducia in Dio, dei
progressi che si potranno fare e della speranza dei beni futuri”.
12 Quello delle tentazioni.
92
fisicamente: in essi non si troverà alcunché di malvagio o
di falso, né un’avidità insaziabile o un ventre mai soddi
sfatto, né un corpo infuocato o eccitato dalle passioni; ma
forse, quando cominceranno a nutrirsi di più e a cresce
re, saranno anch’essi bruciati da quest’incendio13.
21. E veramente odioso e pericoloso che il lottatore si
rilassi fin dall’inizio della lotta, dando così a tutti un
chiaro indizio della propria disfatta14.
22. Aver iniziato a lottare con forza ci sarà sempre
utile, anche se in seguito ci saremo rilassati, poiché un’a
nima che ha iniziato a lottare con valore, anche se poi si
sarà rilassata, sarà stimolata dal ricordo dell’antico zelo,
come da un pungolo; ed è proprio in questo modo che 637 a
93
637 b 25. Alcuni costruiscono sulla pietra con mattoni; altri
innalzano colonne sulla terra; altri ancora, dopo aver
sgranchito un po’ le gambe e aver riscaldato muscoli e ar
ticolazioni, si mettono a camminare più rapidamente: chi
può capire capisca questo discorso simbolico17.
26. Corriamo con impegno pensando che siamo stati
chiamati da un Dio e da un Re, perché, con la brevità
della nostra vita, rischiamo di essere trovati senza frutti
nel giorno della morte e di morire di fame! Rendiamoci
graditi al Signore, come dei soldati nei confronti del loro
re: dopo la nostra milizia infatti ci verrà chiesto un conto
esatto del nostro servizio!
27. Temiamo il Signore come temiamo le bestie18! Ho
visto degli uomini, infatti, che erano andati a rubare senza
temere il Signore, ma poi, appena sentirono la voce dei cani
in quel luogo, tornarono subito indietro: ciò che non potè
fare il timore di Dio, riuscì a farlo la paura delle bestie!
637c 28. Amiamo Dio come onoriamo gli amici! Spesso in
fatti ho visto persone che quando offendono Dio non
provano alcun rimorso, ma quando hanno infastidito i
propri amici in una cosa da nulla, ricorrono a ogni artifi
cio, a ogni accorgimento, a ogni sacrificio, a ogni mezzo
per riconoscere la propria colpa, in prima persona, attra
verso amici, o per mezzo di regali, così da poter riguada
gnare l’antica amicizia.
94
29. Quando siamo ancora agli inizi della nostra rinun
cia al mondo, certamente l’esercizio delle virtù comporta
fatica e amarezza; quando poi abbiamo fatto progressi,
non ne proviamo più alcun dolore o ne proviamo poco; e
quando infine il nostro animo mortale è divorato e vinto
dallo zelo che ci abita, allora ormai esercitiamo quelle
virtù con ogni gioia, fervore, desiderio e ardore divino19.
30. Come sono degni di lode coloro che subito, fin dagli 637 d
Paolo e di molti altri che, avendo incontrato Cristo loro malgrado, sono entra
ti con lui nel Regno e con lui hanno regnato”.
95
34- Nessuno, adducendo come pretesti la gravità e la
quantità dei propri peccati, si dichiari indegno della pro
fessione monastica e riconosca piuttosto di tenersi in
poca stima a causa del proprio attaccamento ai piaceri,
cercando scuse per i peccati (cf. Sai 140,4)! Dove infatti è
molta la cancrena, c’è anche bisogno di una grande cura
da parte del medico per espellere il marciume: non sono
i sani, infatti, che vanno in ospedale (cf. Le 5,31)!
35. Se un re terrestre ci chiamasse e ci chiedesse di mi
litare al suo servizio, noi certo non indugeremmo né in
venteremmo scuse, ma, abbandonata ogni cosa (cf. Le
5,28), lo raggiungeremmo pieni di zelo: ora dunque che il
Re dei re, il Signore dei signori e il Dio degli dèi (cf. Dt
640B 10,17; Sai 49,r; iTm 6,16; Ap 19,16) ci chiama a questa
milizia celeste, stiamo attenti a non rifiutare il suo invi
to per negligenza o per pigrizia, per non trovarci poi
senza scuse di fronte al grande tribunale.
36. E possibile camminare, certo, anche rimanendo le
gati agli affari e alle preoccupazioni della vita, che sono
come catene di ferro, ma con molta difficoltà: spesso in
fatti anche coloro che hanno i piedi cinti con catene cam
minano, ma continuamente inciampano e si feriscono21.
37. Il celibe che è legato al mondo solo dagli affari, so
miglia a chi ha i piedi cinti da catene: perciò, quando vuole
correre verso la vita monastica, non ne è impedito; chi in
vece è sposato, somiglia a chi ha mani e piedi legati.
640 c 38. Alcuni che vivevano nel mondo con negligenza mi
dissero: “In che modo possiamo condurre la vita monasti
ca noi che viviamo insieme alle nostre mogli e siamo cir
condati dalle preoccupazioni della vita pubblica?”. Ho ri
sposto loro: “Tutto il bene che potete fare, fatelo; non in-
96
sultate nessuno; non mentite a nessuno; non siate arro
ganti con nessuno; non odiate nessuno; non disertate le
assemblee liturgiche; siate compassionevoli verso i biso
gnosi; non date scandalo a nessuno; non accostatevi alla
moglie di un altro, ma accontentatevi dei vostri salari (Le
3,14), ovvero delle vostre mogli: se vi comportate così,
non siete lontani dal regno dei cieli (cf. Me 12,34)!”. 641 A
39. Accorriamo, dunque, con gioia e timore a questa
bella lotta (cf. iTm 6,12; 2Tm 4,7) senza temere i nostri
nemici, giacché essi, anche se non li vediamo, scrutano il
volto della nostra anima22 e se lo vedono alterato per lo
spavento, allora si armano contro di noi con ancor più ac
canimento, perché capiscono, quei perfidi, che abbiamo
avuto paura di loro. Armiamoci di buon animo, dunque,
contro di loro, perché contro chi lotta con impegno, nes
suno vuole combattere!
40. Nella sua provvidenza, il Signore alleggerisce le
lotte dei principianti, affinché non ritornino nel mondo
subito fin dall’inizio. Perciò, rallegratevi nel Signore sempre
(Fil 4,4), voi tutti suoi servi (cf. Sai 133,1), riconoscendo
in ciò il primo segno dell’amore che il Signore ha per voi,
e il segno che è proprio lui ad avervi chiamati!
41. E noto però che spesso il Signore agisce anche così: 641 B
quando vede anime coraggiose, concede loro di combat
tere subito fin dagli inizi, perché vuole incoronarle in
breve tempo.
97
42. Il Signore ha nascosto a quelli che vivono nel
mondo la difficoltà - ma bisognerebbe dire piuttosto: la
facilità23! - della corsa della vita monastica, perché se l’a
vessero conosciuta, nessun mortale avrebbe mai deciso di
rinunciare al mondo!
43. Dona a Cristo le fatiche della tua giovinezza e nella
vecchiaia godrai della ricchezza dell’impassibilità: i frutti
raccolti in gioventù nutrono e alleviano la stanchezza du
rante la vecchiaia. Fatichiamo con ardore finché siamo
giovani, corriamo con vigilanza, perché è incerto il mo
mento della morte!
44. Abbiamo dei nemici veramente cattivi, feroci, per-
641 c fidi, scaltri, potenti, mai addormentati, invisibili e imma
23 Cf. la nota di Sophronios ad loc.: “Quella che ai più appare una difficol
tà della lotta ascetica, a me non sembra una difficoltà - dice l’autore - e non
lo è: infatti è difficoltà in apparenza, ma facilità in realtà; tuttavia Dio ha na
scosto a quelli che vivono nel mondo tale apparente difficoltà, poiché, se Pa-
vessero vista, nessuno avrebbe mai rinunciato al mondo, dal momento che,
come dice PApostolo, l'uomo carnale non comprende le cose dello Spirito di Dio,
perché per lui sono follia (iCor 2,14). Fare una scelta a favore di Dio è proprio
dello spirituale; ma chi vive secondo il mondo come potrebbe rinunciare alle
proprie vergognose ricchezze, se Dio non lo chiamasse con l’astuzia ? E infatti
la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio (iCor 15,50)”.
24 Vogliono cioè incendiare con la fiamma delle passioni il corpo dell’uomo
che in virtù del battesimo è tempio dello Spirito santo: cf. iCor 3,16; 2Cor 6,16.
25 Cioè del demonio che tenta il monaco in questo ambito.
98
46. La prima cosa che devono esaminare e poi realiz
zare coloro che vogliono servire veramente Cristo è la
scelta del luogo, della forma, dell’assetto di vita, e delle
occupazioni a loro convenienti, con l’aiuto dei padri spi
rituali e delle proprie conoscenze. La vita cenobitica, in
fatti, non è per tutti, a motivo della golosità, né è per 641 d
99
Discorso II
SUL DISTACCO E SULLA RINUNCIA
1 Cf. Basilio di Cesarea, Regole diffuse 5: “Chi vuole veramente seguire Dio,
deve dunque liberarsi dai vincoli dell’attaccamento alla vita; e questo può av
venire solo mediante una totale separazione dai costumi antichi e il loro oblio.
Perciò, se non ci rendiamo estranei alla parentela secondo la carne e a questa
vita, come trasferiti con il nostro modo di vivere in un altro mondo, confor
memente alle parole di colui che ha detto: La nostra patria infatti è nei cieli (Fil
3,20), ci sarà impossibile raggiungere il fine di piacere a Dio. Il Signore, infat
ti, ha affermato categoricamente: Così chiunque tra voi non rinuncia a tutti i pro
pri beni, non può essere mio discepolo (Le 14,33)”.
101
653 d 2. Sarebbe una grandissima vergogna, se, dopo aver
abbandonato tutte queste cose, rispondendo alla chia
mata del Signore e non di un uomo, ci preoccupassi
mo poi di qualche altra cosa, che non potrà aiutarci
nell’ora del bisogno, ossia della nostra dipartita: que
sto infatti significa voltarsi indietro e non essere
adatti al regno dei cieli, come ha detto il Signore (cf.
Le 9,62).
3. Il Signore, conoscendo la nostra facilità a cadere
all’inizio del cammino e sapendo com’è facile che, vi
vendo o incontrandoci con le persone del mondo, ci vol
giamo di nuovo al mondo, a colui che gli aveva chiesto:
Permettimi di andare a seppellire mio padre, rispose:
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,21-22)!
656 a 4. Dopo la nostra rinuncia al mondo, i demoni ci sug
102
morti, che vivono nel mondo, seppelliscano coloro che
sono morti nel corpo (cf. Mt 8,22) !”2.
8. La ricchezza non impediva affatto a quel giovane3 di
accedere al battesimo; vaneggiano dunque quanti vanno
dicendo che il Signore gli ordinò di vendere la sua ric
chezza per ricevere il battesimo! Una tale testimonianza
ci basti per acquistare una piena certezza della dignità
della nostra professione4.
9. Coloro che, vivendo nel mondo, si consumano in ve
glie, digiuni, fatiche ascetiche e mortificazioni, quando si
separano dagli uomini ed entrano nella vita monastica,
come in un luogo di prova o in uno stadio, non continua- 656 c
no più l’ascesi di prima, che così risulta finta e falsa5.
10. Ho visto molte e varie piante di virtù piantate da
coloro che vivono nel mondo, innaffiate dalla vanagloria,
come da un canale sotterraneo e fangoso, sarchiate dall’o
stentazione e concimate dalle lodi degli uomini; poi, però,
una volta trapiantate in una terra deserta, inaccessibile alle
persone del mondo e senz’acqua (cf. Sai 62,2) - senza cioè
quell’acqua fetida della vanagloria -, subito si sono sec-
2 Cf. SchoL 5, PG 88,6600: “Come infatti ‘muore al mondo* chi sfugge ciò
che appartiene al mondo, così ‘muore alla vita’ chi non mette in pratica i co-
mandamenti di vita; e come diciamo che un essere vivente è morto quando di
venta privo di movimento e di attività, egli è un morto spirituale, ed è detto
tale, quando non persegue più la vita attraverso il rinnegamento delle proprie
volontà”.
3 II giovane di cui si parla sopra al § 6.
4 In queste parole di Climaco si scorge in sottofondo una “teologia dei con
103
cate. Le piante acquatiche, infatti, non sono fatte per pro
durre frutti nei terreni duri e aridi delle nostre palestre6 7.
11. Chi è arrivato a odiare il mondo, è sfuggito alla tri
stezza; ma chi prova ancora attaccamento nei confronti
di qualcosa di visibile, non è ancora stato liberato dalla
tristezza: come potrebbe non rattristarsi, infatti, quando
656 d è privato dell’oggetto del proprio amore ?
12. In ogni cosa è necessaria molta vigilanza', ma più
che in tutto il resto dobbiamo porre particolare attenzio
ne a questo. Ho visto molte persone nel mondo che erano
riuscite a sfuggire alle furenti passioni della loro carne at
traverso le cure, le preoccupazioni, le ansie e le veglie de
dicate agli affari di questo mondo; ma una volta entrate
nella vita monastica, trovandosi nella totale assenza di
preoccupazioni, tali persone furono miseramente insudi
ciate dai moti passionali del corpo.
13. Facciamo attenzione a noi stessi, perché non acca
da che, mentre affermiamo di camminare per la via stret
ta e angusta, non ci smarriamo prendendo la via larga e
spaziosa (cf. Mt 7,13-14)! Ecco i segni che ti potranno
indicare chiaramente la via stretta: la mortificazione del
ventre, il restare in piedi tutta la notte, la misura nel bere
657 a acqua e la scarsità di pane; il calice purificatore delle umi
liazioni, le derisioni, gli scherni, le beffe, la recisione
delle volontà proprie, la sopportazione delle percosse; ac
cettare il disprezzo senza mormorazione; farsi violenza
nel tollerare gli insulti; sopportare con forza quando si
subisce un torto; non offendersi se si è calunniati; non
adirarsi se si è disprezzati; umiliarsi se si è condannati.
Beati coloro che percorrono questa via, perché di essi è il
regno dei cieli (cf. Mt 3,3.10)!
104
14- Nessuno potrà entrare nella celeste sala delle nozze
(cf. Mt 22,io) portando una corona, se non avrà compiu
to la prima, la seconda e la terza rinuncia; intendo cioè:
la rinuncia a ogni cosa, persona e parente; la recisione
della volontà propria; e, come terza, la rinuncia alla va
nagloria, che è implicata dall’obbedienza8.
15. Uscite di mezzo a loro e separatevi, e non toccate 657 b
106
Discorso III
SULL’ESTRANEITÀ
1 In greco: xenìteia. Per il significato del termine cf. infra, “Glossario”, s.v.
“Estraneità”.
2 In greco: aparrhesiaston, lett.: “Senza parrbesta” (per questo termine cf.
straniero dovunque tu vada. Trattieni qui la tua lingua e sarai straniero!”. Cf.
anche Titoes 2.
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2. Di solito, agli inizi, è questo il pensiero che assilla in
modo continuo e insistente gli innamorati del Signore, fa
cendoli ardere, per così dire, in un fuoco divino: intendo
dire, cioè, il pensiero che spinge gli innamorati di un così
grande bene ad allontanarsi dai propri familiari allo scopo
di poter vivere nell’abiezione e nell’angustia. Questo pen-
664 c siero, però, quanto più è nobile e degno di lode, tanto più
richiede anche un discernimento attento, poiché l’estra
neità, se spinta all’eccesso, non è sempre cosa buona.
3. Se ogni profeta è disprezzato nella sua patria, come
dice il Signore (cf. Mt 13,37 par.), guardiamo che la no
stra estraneità non diventi occasione di vanagloria5!
Estraneità significa, infatti, separarsi da tutto allo scopo
di rendere il pensiero inseparabile da Dio. Chi vive da
straniero, ama e realizza l’afflizione continua; lo stranie
ro è colui che fugge ogni rapporto, sia con la propria
gente che con gli stranieri stessi!
4. Tu che ti stai affrettando a raggiungere l’estraneità
o la solitudine, non aspettare che ti raggiungano le anime
che sono ancora legate al mondo, perché il ladro viene al
l’improvviso (cf. Mt 24,43 par.). Molti, infatti, per aver
tentato di salvare anche pigri e pusillanimi, perirono in
sieme a loro, essendosi spento col tempo il fuoco della
loro anima. Ma tu, appena hai ricevuto la fiamma, corri,
perché non sai quando si spegnerà lasciandoti nella tene
bra (cf. Gv 12,35).
664 d 5. Non a tutti noi è richiesto di salvare gli altri. Dice
infatti l’Apostolo: Ciascuno di noi, fratelli, renderà conto a
Dio di se stesso (Rm 14,12); e ancora: Tu che insegni agli
altri - dice - non insegni a te stesso (Rm 2,21) ? Certamente
però a tutti è richiesto di salvare se stessi.
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6. Se vivi da straniero, guardati dal demone del vaga
bondaggio e dell’amore del piacere: la tua estraneità, in
fatti, gli fornisce una buona occasione.
7. Buona cosa è il distacco dagli affetti, ma l’estranei
tà ne è la madre.
8. Chi si è fatto straniero a motivo del Signore, non
deve più essere attaccato a niente, perché non risulti che
fa il vagabondo a motivo delle proprie passioni. Chi dun
que è straniero al mondo, non si accosti più al mondo,
perché le passioni ritornano facilmente.
9. Èva fu esiliata dal paradiso senza volerlo (cf. Gen 665 a
6 Cioè i demoni.
7 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 22.
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le nostre azioni inique!”. Se per caso, poi, abbiamo il
dono della parola e un po’ d’istruzione, quelli ci suggeri
scono subito di tornare nel mondo come salvatori d’ani
me e maestri, allo scopo di farci disperdere in mare i beni
che abbiamo accumulato in porto.
13. Sforziamoci di imitare non la moglie di Lot, ma lo
stesso Lot (cf. Gen 19,26; Le 17,32): un’anima, infatti,
che torna là donde è venuta, diventerà insipida come il sale
(cf. Mt 3,13) e rimarrà immobile per il resto del tempo!
14. Fuggi l’Egitto senza voltarti indietro, perché i
cuori che vi sono ritornati non hanno potuto contempla
re Gerusalemme (cf. Es 16,2-3; Eb 3,7-4,41, ossia la terra
dell ’ imp as sibilit à.
15. E successo, sì, che alcuni che agli inizi avevano ab
bandonato la loro patria a motivo della loro debolezza in
fantile8, vi siano ritornati utilmente dopo essersi perfet-
665 c tamente purificati, forse allo scopo di salvare altri dopo
aver salvato se stessi. Tuttavia anche il grande Mosè, che
aveva visto Dio e da Dio stesso era stato inviato a salva
re il suo popolo (cf. Es 3,6-10), incontrò molti pericoli in
Egitto, ossia molte tenebre nel mondo.
16. E meglio rattristare i propri genitori piuttosto che
il Signore, perché il Signore ci ha plasmati e salvati, men
tre i genitori spesso portano alla perdizione e consegnano
al castigo quelli che amano.
17. Straniero è colui che vive, in piena coscienza, come
un uomo di lingua straniera tra persone di un’altra lingua.
18. Non è perché odiamo i nostri familiari o i luoghi in
cui siamo nati, che ci separiamo da essi - non sia mai! -,
ma lo facciamo per sfuggire al danno che potremmo rice
vere da parte loro.
112
straniero per noi scendendo dal cielo sulla terra, e scopri 668 D
113
Sui sogni che accompagnano i principianti
669 b 35. Che la mia mente11, fonte della mia conoscenza, sia
del tutto imperfetta e piena di ogni sorta di ignoranza, è
impossibile nasconderlo: come infatti la gola permette di
distinguere i cibi e l’udito i pensieri degli altri, e come il
sole rivela la debolezza degli occhi, così le parole accusa
no l’ignoranza dell’anima. Tuttavia la legge della carità
(cf. Gal 5,14) ci costringe a fare anche cose superiori alle
nostre forze; perciò credo - ma non oso fare affermazioni
categoriche - che dopo i discorsi sull’estraneità, o meglio
al loro stesso interno, sia ragionevole inserire alcuni brevi
cenni sui sogni, quanto basta per non rimanere all’oscuro
neppure di quest’inganno dei nostri perfidi nemici.
36. Il sogno è un moto della mente nell’immobilità
del corpo.
37. L’immaginazione è illusione degli occhi mentre l’in-
669 c telligenza è al riposo. L’immaginazione è un’uscita della
mente da sé medesima mentre il corpo è sveglio. L’imma
ginazione è una visione priva di fondamento nella realtà.
38. Il motivo per cui, dopo i precedenti discorsi, ab
biamo deciso di parlare dei sogni è evidente: da quando
infatti, dopo aver abbandonato case e parenti a motivo
del Signore, abbiamo venduto le nostre stesse persone al
l’estraneità per amore di Cristo, i demoni cercano di tur
barci attraverso i sogni, mostrandoci i nostri parenti che
si battono il petto, muoiono, o a causa nostra sono nel
l’angustia e nella miseria. Ma chi crede a tali sogni è si
mile a chi rincorre la propria ombra e cerca di afferrarla !
39. I demoni della vanagloria profetizzano nei sogni:
nella loro astuzia congetturano gli eventi futuri e ce li an-
114
nunciano prima; quando poi queste visioni si realizzano, 669 d
noi restiamo sbalorditi e montiamo in superbia, quasi cre
dendo di essere vicini al carisma della profezia.
40. Questo demone diventa spesso profeta per coloro 672 a
che gli credono; ma è sempre un mentitore per coloro che
lo disprezzano. Essendo infatti uno spirito, egli vede
tutto ciò che è nell’aria e, se capisce che qualcuno sta mo
rendo, lo preannuncia in sogno ai più creduloni.
41. I demoni però non sanno niente per prescienza,
perché in quel caso anche gli stregoni12 sarebbero in grado
di preannunciare la nostra morte.
42. Spesso i demoni si trasformano in angeli di luce
(cf. 2Cor 11,14) o prendono l’aspetto di martiri: in tale
veste ci appaiono mentre dormiamo, e quando poi ci risve
gliamo ci sprofondano nella superbia e nell’esaltazione.
43. Questo sia per te un segno del loro inganno: i veri
angeli in sogno ci mostrano punizioni, condanne, separa
zioni13, e, quando ci risvegliamo, ci ritroviamo tutti tre
manti e tristi.
44. Se cominciamo a credere ai demoni nel sonno, di
venteremo subito vittime dei loro inganni anche da sve- 672 b
gli. Chi crede ai sogni è una persona che non vale nulla;
chi invece non ci crede affatto, è un vero saggio.
45. Credi soltanto ai sogni che ti annunciano punizio
ni e condanne, ma se poi ti turba la disperazione allora
anche quelli vengono dai demoni.
115
Discorso IV
SULLA BEATA
E SEMPRE MEMORABILE OBBEDIENZA
117
della ferrea pazienza e della mitezza, respingono con esse
ogni offesa, puntura, o frecciata verbale; hanno anche
l’elmo della salvezza (cf. Ef 6,17), ossia la protezione che
il superiore assicura loro attraverso la preghiera; e non
stanno a piedi uniti, perché tendono in avanti l’uno per
il servizio, tenendo fermo l’altro nella preghiera.
680 a 3. Obbedienza è rinnegamento totale della propria
anima4, che si dimostra visibilmente per mezzo del corpo;
o forse il contrario: obbedienza è mortificazione delle
membra in un’intelligenza vivente. Obbedienza è movi
mento senza riflessione, morte volontaria, vita senza com
plicazione, rischio senza preoccupazione, difesa davanti a
Dio senza preparazione, serenità nei confronti della
morte, una navigazione senza pericoli, un viaggio che si
fa dormendo.
4. Obbedienza è tomba della volontà e resurrezione
dell’umiltà. Un morto non contraddice e non distingue
tra ciò che è buono o ciò che sembra cattivo: infatti colui
che, per atto di pietà, ha messo a morte la sua anima, ri
sponderà di lui in tutto5 * *. Obbedienza è rinuncia al discer
nimento per abbondanza di discernimento!
5. L’inizio della mortificazione, sia delle membra del
corpo che delle volontà dell’anima, è fatica; lo stadio in-
680 b termedio, ora è fatica, ora no; lo stadio finale, invece, è
ormai riposo e insensibilità alla fatica. In tale stadio, que
sto beato morto vivente prova fatica e dolore solo quan
do si vede compiere la propria volontà, poiché teme il pe
sante fardello del proprio giudizio.
118
6. Voi tutti che avete iniziato a spogliarvi per entrare
nello stadio del martirio spirituale6; voi che volete pren
dere sul vostro collo il giogo di Cristo (cf. Mt 11,29); v°i
che vi sforzate di gettare sulle spalle di un altro il vostro
fardello; voi che vi affrettate a firmare volontariamente 680 c
l’atto della vostra vendita e in cambio volete che venga
firmato l’atto della vostra liberazione; voi che, sostenuti
dalle mani di altri, traversate a nuoto questo vasto mare,
sappiate che avete deciso di percorrere un via corta e dif
ficile, e che in essa incontrerete una sola e unica causa di
sbandamento, che si chiama “idiorritmfa”, ovvero indi-
pendenza di vita7: chi ha rinunciato totalmente a essa, in
tutto ciò che gli sembra buono, spirituale e gradito a Dio,
ha raggiunto la meta ancor prima di essersi messo in cam
mino ! Obbedienza significa infatti diffidare di se stessi in
ogni opera buona fino alla fine della vita.
7. Apprestandoci a piegare il nostro collo e ad affidarci
ad un altro, nel Signore, allo scopo di raggiungere l’umil
tà e soprattutto la salvezza, prima ancora di entrare nello
stadio dell’obbedienza, se abbiamo un po’ di furbizia e di
senno, esaminiamo, giudichiamo e, per così dire, mettia- 680 d
6
Cf. infra, § io. La vita monastica è un martirio spirituale e, come il marti
re, il monaco confessa la sua fede in Cristo affrontando una “lotta”. Il tema,
già anticipato in Clemente di Alessandria {Stromati IV,4,i5) e in Origene
(Esortazione al martirio 11 ; Su Numeri 10,2), è presente fin dagli albori della let
teratura ascetica: cf., ad esempio, Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 47,1;
Id., Ai monaci, PG 28,1424^; Vite greche di Pacomio I,i; Basilio di Cesarea,
Sui quaranta martiri 2; Giovanni Cassiano, Conferenze VII,20. Sull’argomento
cf. E. E. Malone, s. v. “Martirio”, in Dizionario degli istituti dì perfezione V,
Paoline, Roma 1978, coll. 1038-1040; Atanasio (Jevtic), “Martiri del sangue e
martiri della coscienza”, in Id., L'infinito cammino. Emanazione di Dio e deifi
cazione dell’uomo, Servitium-Interlogos, Sotto il Monte-Schio 1996, pp. 123-
I41'
7 Su questo termine cf. infra, “Glossario”, s.v. “Indipendenza di vita”.
8 Cioè il nostro padre spirituale. Cf. infra, DP 3.
delle passioni invece che in uno che ne è completamente
distaccato, e venendoci a trovare in mare aperto invece che
in porto, ci procuriamo così un sicuro naufragio. Ma, una
volta entrati nello stadio della pietà e della sottomissione,
non giudichiamo più in nulla il nostro buon arbitro, anche
se ci capiterà di vedere ancora in lui - che è un uomo -
delle piccole mancanze; altrimenti, se lo giudichiamo, non
trarremo alcun vantaggio dalla nostra sottomissione.
8. E assolutamente necessario che coloro che vogliono
conservare sempre una fiducia incrollabile nei confronti
dei loro superiori, mantengano sempre nel proprio cuore,
senza mai cancellarlo, il ricordo delle loro azioni virtuose,
affinché, quando i demoni vengono a seminare la diffiden
za nei loro confronti, essi li mettano zitti con i ricordi con-
681 a servati nel proprio cuore. Quanto più, infatti, la fiducia
120
11. Chi vive nella sottomissione, pronuncia lui stesso 6 8 i b
la sentenza sulla propria persona: se infatti, per amore del
Signore, obbedisce in modo perfetto, anche se non sem
bra farlo in modo perfetto, è già sfuggito al giudizio; se
invece in qualcosa avrà compiuto la propria volontà pur
dando l’impressione di obbedire, ne porterà lui stesso il
peso. E se il superiore non smette di rimproverarlo, bene;
ma se se ne sta in silenzio, non so proprio cosa dire10.
12. Coloro che si sottomettono con semplicità nel
Signore compiono bene la loro corsa, evitando di susci
tare contro di sé la malizia dei demoni con il gusto di ca
villare.
13. Prima di tutto, confessiamo i nostri peccati al no
stro buon giudice, e soltanto a lui; se però lui ce lo ordi
na, anche davanti a tutti: le piaghe manifestate in pubbli
co, infatti, non potranno incancrenire ma guariranno.
14. Trovandomi una volta in un cenobio11, ho assistito 681 c
al tremendo giudizio di un ottimo giudice e pastore12.
Mentre io ero là, infatti, capitò che una persona che
aveva fatto parte di una banda di briganti, volesse entra
re nella vita monastica. Quell’ottimo medico e pastore gli
l’autore, che proseguirà nel discorso seguente dedicato alla penitenza (cf. infra >
V,5), e verrà ripresa in DP 94. Da IV,26 apprendiamo che questo cenobio do
veva trovarsi nei pressi di Alessandria, ma non è sicuro che si tratti - come al
cuni hanno pensato - del monastero di Canopo chiamato “Penitenza”
(.Metànoia), di cui parla Girolamo nella Prefazione alla Regola di Pacomio\ que
sto dato però sarebbe in linea con la descrizione delle pratiche penitenziali che
si fa in V,5, e con il nome di “Prigione” del monastero dipendente da questo
cenobio.
12 Cioè di un superiore, che, nei confronti dei membri della sua comunità,
121
ordinò di restare sette giorni in completo riposo, soltan
to per osservare il tipo di vita che si conduceva in quel
luogo. Dopo il settimo giorno, il pastore lo chiamò in
privato e gli chiese: “Desideri davvero vivere insieme a
noi?”. E poiché lo vide assolutamente convinto, gli chie-
681 d se ancora: “Quali delitti hai commesso nel mondo?”.
122
salvezza e di autentica umiltà, gli ordinò di nuovo di dire
a tutti in dettaglio tutto ciò che aveva fatto. E quello,
con orrore e lasciando sbigottiti tutti quelli che lo ascol
tavano, confessò a uno a uno tutti i suoi peccati: non solo
i peccati carnali, contro natura e secondo natura, com
messi con gli esseri umani e con le bestie, ma perfino gli
avvelenamenti, gli omicidi e altre cose che non è lecito né
ascoltare né consegnare allo scritto. Quando dunque ebbe
terminato la sua confessione, il superiore ordinò subito di
tonsurarlo e di accoglierlo nel numero dei fratelli.
15. Rimasto ammirato dalla sapienza di quel sant’uo- 684c
mo, in privato, gli chiesi come mai si fosse comportato in
modo cosi strano. E quello, da vero medico qual era, mi
rispose: “Per due motivi: innanzitutto, per liberare il pe
nitente dalla vergogna futura attraverso la vergogna pro
vata in questa confessione - ciò che è avvenuto realmen
te -: infatti, fratello Giovanni, egli non si era ancora alza
to da terra, che aveva già ottenuto la remissione di tutti i
suoi peccati; e non dubitarne, perché uno dei fratelli pre
senti mi ha confidato: ‘Ho visto un essere terribile che te
neva in mano un rotolo scritto e una penna, e via via che
il penitente, stando prostrato a terra, confessava un suo
peccato, quello lo cancellava con la penna’. E ciò è vero
simile, perché sta scritto: Ho detto: “Confesserò contro di
me al Signore la mia iniquità”, e tu hai perdonato l’empietà 684
d
123
presso di loro per osservare il loro modo di vivere, restan
do assai sorpreso nel vedere come quegli esseri terrestri
685 a imitassero i celesti: erano uniti tra di loro da un vincolo
di carità indissolubile (cf. Col 3,14) e - ciò che è ancora
più straordinario - senza un’eccessiva familiarità e senza
vane chiacchiere. Si esercitavano soprattutto nel non feri
re in nulla la coscienza del fratello, e se mai qualcuno mo
strava odio per un altro, il pastore lo mandava in esilio in
un monastero separato13, come un condannato. E una
volta che un fratello aveva parlato male del suo prossimo
davanti a lui, quel santo uomo ordinò subito che fosse
cacciato via, dicendo che non era ammissibile che in un
monastero ci fossero un diavolo visibile e uno invisibile.
Presso quei santi monaci ho visto cose veramente edi
ficanti e degne di ammirazione! Ho visto una comunità
di fratelli raccolta e unita nel Signore, che si dedicava in
modo meraviglioso sia all’azione che alla contemplazione.
Essi infatti si consumavano e si esercitavano a tal punto
685 b nelle opere divine, da non aver quasi più bisogno del ri
chiamo del superiore, anzi si incitavano spontaneamente
l’un l’altro alla divina vigilanza. Avevano infatti definito,
concertato e stabilito tra di loro alcune sante e divine pra
tiche: se qualcuno di loro, in assenza del superiore, ini
ziava a parlar male di un altro o a condannarlo, o anche
soltanto a far discorsi oziosi, un altro fratello lo richiama
va di nascosto con un cenno impercettibile e lo faceva
smettere; se per caso poi quello non se ne fosse accorto,
il fratello che lo aveva richiamato faceva una metanìa14
124
davanti a lui e si ritirava. Se dovevano parlare, l’argo
mento fisso e permanente delle loro conversazioni era il
ricordo della morte e il pensiero dell’eterno giudizio.
17. Non voglio tacervi, poi, il comportamento straor- 685c
dinario del loro cuoco. Vedendo infatti che durante il suo
servizio conservava un costante raccoglimento e versava
lacrime, lo supplicai di rivelarmi come avesse fatto a me
ritare una tale grazia. Ed egli, messo da me alle strette,
rispose: “Non ho mai pensato di servire gli uomini, ma
Dio; e poiché mi giudico completamente indegno dell’e-
sichia, sfrutto la vista di questo fuoco materiale per cu
stodire costantemente il ricordo delle fiamme future”.
18. Ascoltiamo anche un’altra loro pratica straordina
ria: non cessavano l’attività spirituale neppure a tavola,
ma con dei particolari gesti e cenni impercettibili quei
beati si richiamavano gli uni gli altri alla preghiera inte
riore. E non lo facevano solo a tavola, ma anche tutte le
volte che si incontravano o si riunivano tra loro. E se poi 685d
125
ma se quelli s’intestardivano senza cedere, venivano puni
ti con il divieto di prendere cibo fino a che non si fossero
riconciliati, oppure venivano cacciati dal monastero.
Questo lodevole rigore che si praticava tra di loro non
era certo inutile, anzi produceva frutti abbondanti e visi
bili: molti tra quei santi uomini infatti si dimostrarono ec
cellenti sia nella pratica delle virtù che nella contemplazio-
688 ne, sia nel discernimento che nell’umiltà. E tra di loro si
b
127
Avendo egli trascorso cosi sette anni, raggiungendo un
profondissimo grado di umiltà e di compunzione, l’illu
stre padre, giudicandolo ormai più che degno, dopo quei
sette anni conformi alla legge (cf. Dt 15,1), in cui aveva
dimostrato un’incomparabile pazienza, volle accoglierlo
nel numero dei fratelli e onorarlo dell’ordinazione presbi
terale. Ma egli, tramite altri fratelli e anche tramite la
mia misera persona, si mise a rivolgere insistenti suppli
che al pastore perché gli concedesse di continuare a vive
re nello stesso modo e di terminare là la sua corsa, sugge
rendo con queste parole, in modo enigmatico e oscuro, di
essere ormai giunto alla fine e che il momento della sua
chiamata si avvicinava, come infatti avvenne. Avendo in
fatti ottenuto dal maestro di rimanere al suo posto, dopo
689 c dieci giorni, da quella sua umile condizione emigrò glo
riosamente verso il Signore; e sette giorni dopo la sua
morte trascinò con sé anche il portinaio del monastero, al
quale questo beato aveva detto: “Se mai troverò favore
presso Dio, presto sarai anche tu là con me, e non ci se
pareremo mai più! ”, come infatti avvenne, a suprema te
stimonianza della sua obbedienza piena di fiducia e della
sua umiltà, che imitava quella del Signore (cf. Mt 11,29).
22. Quando quel grande Isidoro era ancora in vita, gli
chiesi quale fosse l’occupazione della sua mente mentre
se ne stava davanti al portone, e quell bilustre desideran
do recarmi giovamento non me lo nascose: “Agli inizi -
disse - facevo conto di essere stato venduto come schia
vo per i miei peccati, e in questo modo, pur con gran
dissimo fastidio, facendomi violenza e quasi versando il
689d sangue, riuscivo a fare le metanìe. Dopo un anno, non
provavo già più alcuna tristezza nel cuore, perché atten
devo da Dio la ricompensa per la mia pazienza. Passato
poi ancora un altro anno, cominciai a stimarmi indegno,
con un intimo sentimento del cuore, addirittura di vive-
128
re in monastero, di vedere e di incontrare i padri, di
partecipare ai divini misteri, e di guardare in faccia
chiunque: tenendo quindi gli occhi bassi e ancor più
basso il pensiero, supplicavo chi entrava e chi usciva di
pregare per me”.
23. Un giorno, mentre eravamo seduti a tavola, quel 692 a
129
Giovanni, io stavo là in piedi pregando Dio, non come
davanti a una tavola di uomini, ma proprio come davan
ti all’altare di Dio; e per la fiducia e l’amore che nutro
verso il mio pastore non ho concepito alcun pensiero cat-
692 c tivo contro di lui, poiché sta scritto: L’amore non pensa il
male (iCor 13,5). Ma tu, padre, sappi anche questo: chi
ha volontariamente consegnato se stesso alla semplicità e
all’innocenza, non lascia più né spazio né tempo al mali
gno per attaccarlo”.
24. Se così era veramente quel giusto18, per grazia di
Dio salvatore e pastore delle sue pecore spirituali, così era
anche l’economo del monastero che Dio gli aveva manda
to: assennato come nessun altro, e mite come pochi. Una
volta, per l’edificazione degli altri fratelli, il grande anzia
no inveì contro di lui senza motivo mentre erano in chie
sa, ordinando che fosse cacciato fuori senza alcuna giusti
ficazione. Io, sapendo che egli era innocente di ciò per cui
il pastore lo accusava, quando fummo soli, cominciai a
prendere le difese dell’economo davanti al superiore. E
692 d quel sapiente mi disse: “Lo so anch’io, padre, ma come è
deplorevole e ingiusto strappare il pane di bocca a un
bambino affamato, così chi è stato posto alla guida delle
anime si comporterebbe in modo altrettanto ingiusto,
verso se stesso e verso i propri operai, se in ogni momen
to non cercasse di procurar loro delle corone19, nella mi
sura in cui sa che essi sono in grado di sopportarle, attra
verso insulti, umiliazioni, segni di disprezzo e scherni.
693 a Commetterebbe infatti tre grandissime ingiustizie: in
primo luogo, perché priverebbe se stesso della ricompen
sa che si ottiene con la correzione degli altri; in secondo
luogo perché, potendo recar giovamento agli altri fratelli
130
tramite la virtù di uno, trascurerebbe di farlo; in terzo
luogo - e si tratta del motivo più grave - perché molto
spesso anche quelli che sembrano più resistenti alla fatica,
se per un po’ di tempo vengono trascurati e non sono più
né ripresi né rimproverati dal superiore - con la scusa che
ormai possiedono la virtù -, finiscono per perdere tutta la
loro mitezza e loro pazienza. Infatti, per quanto un terre
no possa essere buono, fertile e pingue, la mancanza di
acqua - cioè dell’umiliazione -, generalmente lo inselvati
chisce e fa germogliare in esso le spine della vanità, della
malizia e della mancanza di timor di Dio. Sapendo ciò,
quel grande Apostolo scriveva a Timoteo: Insisti, grida, 693
rimprovera, a tempo e fuori tempo UTm 4,2)!”.
Poiché io continuavo a far obiezioni a quell'autentica
guida, adducendo come pretesti la debolezza della nostra
generazione e l’eventualità che molti, se rimproverati
senza ragione, o anche non senza ragione, avrebbero po
tuto separarsi dal gregge, quella dimora della sapienza mi
disse di nuovo: “Un’anima che, a motivo di Cristo, si è
legata al proprio pastore nell’amore e nella fiducia, non
può separarsi da lui, neanche se deve versare il sangue,
specialmente se egli l’ha guarita da qualche piaga, poiché
si ricorda di colui che dice: Né angeli, né principati, né po
tenze, né alcun altra creatura potrà separarci dall’amore di
Cristo (Rm 8,38). Ma mi meraviglierei alquanto se un’ani
ma che non si fosse congiunta, legata e unita al proprio
pastore in questo modo, riuscisse a rimanere in questo
luogo con buone motivazioni, dal momento che il vincolo
della sua sottomissione sarebbe soltanto fittizio”. E dav- 693
vero quel grand’uomo non s’ingannò, ma anzi guidò, rese
perfette e offrì a Cristo delle pecore senza macchia.
25. Ascoltiamo la sapienza di Dio che scopriamo in vasi
di creta (cf. 2Cor 4,7), e restiamone ammirati! Mentre ero
in quel monastero, io ammiravo la fiducia e la pazienza
dei principianti20 e l’indomita resistenza con la quale sop
portavano di essere puniti, insultati e talvolta scacciati,
non solo dal superiore, ma anche da monaci di grado ben
inferiore. Per mia edificazione, interrogai allora uno dei
693 d fratelli, di nome Abbaciro, che viveva in monastero da
132
26. Sarei davvero ingiusto verso quanti vogliono imita- 696 b
133
696 d sono caduto nella fornicazione della disobbedienza ! ”. Ma
a me, persona indegna, questo grande Macedonio confi
dò il motivo per cui aveva ricercato volontariamente
quell’umile condizione: “Perché - disse - non ho mai
provato in me stesso, come ora, un tale sollievo da ogni
lotta, e una tale dolcezza di luce divina!”.
27. E proprio degli angeli non cadere; forse perché, come
affermano alcuni, non ne hanno neppure la possibilità23. E
proprio invece degli uomini cadere e rialzarsi di nuovo,
ogni volta che succede loro di cadere24. Ma è proprio sol
tanto dei demoni, una volta caduti, non rialzarsi mai più.
697 a L’economo del monastero mi fece questa confidenza:
“Quando ero giovane - disse - ed ero incaricato della cura
del bestiame, mi successe di cadere in un peccato gravis
simo per l’anima; avendo però l’abitudine di non nascon
dere mai un serpente nella tana del mio cuore, lo afferrai
per la coda (cf. Es 4,4) e lo manifestai al medico25. Egli
con volto sorridente, colpendomi leggermente la guancia,
mi disse: ‘Va’, figlio mio, continua il tuo servizio come
prima, senza più temere niente’. Ed io, confidando in lui
con ardente fiducia, in pochi giorni acquistai l’intima cer
tezza26 della mia guarigione. Continuai così a correre per
la mia strada pieno di gioia e insieme di timore”.
697 b 28. Ogni ordine di esseri creati, come affermano alcu
ni, possiede al suo interno molte diversità: poiché quindi
anche all’interno di una comunità di fratelli esistono dif
ferenze di progresso e di disposizioni spirituali, quell’au
tentico medico27, se notava che alcuni fratelli amavano
“Certezza”.
27 II superiore del monastero.
134
mettersi in mostra davanti alle persone del mondo che ve
nivano in visita al monastero, in loro presenza li copriva
dei più pesanti insulti e li caricava dei servizi più umilian
ti, col risultato che, quando c’era qualche visita di perso
ne del mondo, essi si ritiravano di corsa; ed era uno spet
tacolo veramente straordinario vedere la vanagloria scac
ciare se stessa e fuggire gli uomini!
29. Il Signore, non volendo privarmi delle preghiere di
un santo padre, una settimana prima della mia partenza
chiamò a sé colui che occupava il secondo posto nel mo
nastero dopo il pastore, un uomo straordinario, di nome 697 c
Mena, che aveva vissuto in monastero per ben cinquanta-
nove anni e svolto ogni tipo di servizio. Tre giorni dopo
la sua morte, dunque, mentre noi celebravamo il consueto
ufficio funebre per questo santo, improvvisamente il luogo
in cui egli giaceva si riempì tutto di profumo. Il superiore,
allora, ci fece scoperchiare la bara in cui era stato deposto,
e così vedemmo tutti che dai suoi piedi venerabili, come
da due sorgenti, scaturiva dell’unguento profumato. Il
maestro, allora, disse a tutti: “Vedete? Ecco i sudori dei
suoi piedi e delle sue fatiche! Come unguento odoroso
sono stati offerti a Dio, e lui li ha veramente graditi!”.
Di questo santissimo Mena i padri del monastero mi
hanno raccontato anche molte altre opere straordinarie,
tra cui questa: “Un giorno - dicevano - il superiore volle 697 d
135
nismo e la sua mancanza di pazienza, lo fece rialzare. Il
santo, infatti, sapeva che Mena avrebbe sopportato valo
rosamente, ed è per questo che inscenò questo spettacolo,
per l’edificazione di tutti. Il discepolo di questo santo
7 oo a Mena ci confermò i fatti riguardanti il suo maestro, dicen
do: ‘Poiché lo importunavo per cercare di sapere se per
caso, mentre era in ginocchio di fronte alTigumeno, fosse
stato colto dal sonno, egli mi assicurò che, mentre era pro
strato a terra, aveva recitato l’intero salterio!”’.
30. Non voglio trascurare di abbellire la corona del mio
discorso anche con quest’altro smeraldo. Un giorno inco
minciai un discorso sull’esichia29 con alcuni di questi vali
dissimi anziani, ed essi con volto sorridente e tono giovia
le mi dissero: “Noi, padre Giovanni, essendo persone ma-
700 b teriali, conduciamo una vita molto materiale, convinti
136
esserti alzato dalla mensa dell’esichia, comincia ad asciu
gare i piedi dei fratelli con spirito contrito (c£. Gv 13,4- 700 C
5; Sai 50,19), o meglio rotolati ai piedi della comunità con
animo abbattuto30. Metti sulla porta del tuo cuore dei por
tinai severi e svegli; tieni raccolta la mente in un corpo
dissipato e indaffarato; esercita l’esichia della mente in
delle membra inquiete e agitate; e ciò che è ancor più
paradossale, acquista un’anima tranquilla in mezzo ai tu
multi! Tieni stretta la lingua che smania di lanciarsi nelle
dispute: lotta contro questa tiranna settanta volte sette al
giorno! Fissa la tua mente nell’anima come sul legno della
croce, affinché, battuta da ripetuti colpi di martello come
un’incudine, derisa, insultata, sbeffeggiata e maltrattata,
non ceda, né si spezzi, ma rimanga assolutamente calma e
immobile. Spogliati della tua volontà come di un vestito
disonorevole e, senza di essa, entra nudo nell’arena della 700 D
lotta, e poi - ciò che è raro e difficile da trovare - rivèstiti
della corazza della fiducia (cf. iTs 5,8) nei confronti del
tuo allenatore31, senza lasciarti né fiaccare né ferire dalla
diffidenza. Contieni con il freno della temperanza l’ardore
sfrontato del tatto. Tieni a briglia, con la meditazione della
morte, i tuoi occhi continuamente desiderosi di andarsene
in giro a cercare grandezze e bellezze corporee. Fa’ tacere
la tua mente indiscreta occupandola col pensiero di se stes
sa, lei che nonostante la propria negligenza pretende di
condannare il fratello; e dimostra a fatti e senza finzioni al 701 A
tuo prossimo tutto l’amore e la compassione possibili.
“Da questo tutti sapranno, carissimo padre, che siamo
veramente discepoli di Cristo, se nella nostra vita comu
ne ci amiamo gli uni gli altri (cf. Gv 13,35)! Vieni, su
30 Cf. Apoftegmì, Matoes 13: “Chi vive con dei fratelli non deve essere un
cubo, ma una sfera, per poter rotolare incontro a tutti”.
31 Cioè il padre spirituale.
137
vieni - mi ripeteva il mio ottimo amico - vieni a stabilir
ti con noi ! Bevi in ogni momento le derisioni come acqua
viva (cf. Gv 4,io)! David infatti, dopo aver ricercato
tutto ciò che di piacevole esisteva sotto il cielo, alla fine,
smarrito, si chiedeva: Ecco, cosa c'è mai di bello o di pia
cevole? Nulla, se non che i fratelli abitino insieme (Sai
132,1). Ma se non ci è stato ancora concesso il dono di
una tale pazienza e obbedienza, allora la cosa migliore per
noi - se almeno siamo arrivati a riconoscere la nostra de
bolezza - è starcene da soli, lontani da questo stadio riser
vato agli atleti, proclamando beati coloro che vi lottano e
invocando per loro la pazienza32”.
701 b Fui vinto dalle buone parole di quel padre e maestro
52 In questo passo la vita solitaria, ben lungi dall’essere presentata come una
vita di perfezione, secondo la visione tradizionale, è un rifugio per chi è debo
le e sente il peso della vita a contatto con gli altri. E una visione che ritrovia
mo in alcuni detti dei padri del deserto: cf. Apoftegmì, Matoes 13: “Non per
virtù vivo in solitudine, ma per debolezza; sono forti infatti quelli che vanno in
mezzo agli uomini”; Apoftegmì Nau 573: “Un anziano disse: ‘Se vivi in solitu
dine nel deserto, non pensare di fare qualcosa di grande; piuttosto considerati
come un cane scacciato dal villaggio e incatenato, perché mordeva e assaliva gli
uomini’” (cf. anche ibid. 62).
33 Cioè servendosi delle citazioni della Scrittura.
138
Vedendo, poi, che uno dei fratelli seguiva la salmodia
con intima partecipazione del cuore34, più degli altri, e
che soprattutto all’inizio degli inni, con le espressioni e
l’atteggiamento del volto, sembrava quasi parlare con
qualcuno, interrogai quel beato per conoscere il significa
to del suo comportamento. Ed egli, non avendo l’abitu
dine di nascondere ciò che poteva essere utile ad altri, mi
disse: “All’inizio degli uffici, padre Giovanni, io ho l’a
bitudine di raccogliere i miei pensieri, la mia mente e la
mia anima, e nel convocarli dico loro: Venite, inchiniamo
ci e prosterniamoci davanti al Cristo nostro re e nostro Dio
(cf. Sai 94,6)35!
Guardai con attenzione la persona che era incaricata
del servizio in refettorio e notai che aveva un’abitudine
particolare. Vedendo che teneva appesa alla cintura una
piccola tavoletta, scoprii che vi annottava ogni giorno i 701 d
propri pensieri, per poi rivelarli tutti al pastore. E vidi
che non solo lui ma anche moltissimi altri del monastero
si comportavano in quel modo: anche questo, come poi
appresi, era un comando di quel grand’uomo !
33. Una volta il superiore scacciò via uno dei fratelli
perché aveva calunniato un altro fratello davanti a lui
come sciocco e chiacchierone; e quello rimase per sette 704 a
139
dei penitenti!”. Poiché il penitente accettò la proposta
pieno di gioia, il pastore ordinò che fosse condotto al mo
nastero separato, riservato a coloro che piangevano i loro
peccati. E così avvenne. Ma poiché ho menzionato questo
monastero, parliamone brevemente.
A un miglio di distanza dal monastero principale c’era
un luogo chiamato “Prigione”, privo di qualsiasi genere di
conforto: non vi si sarebbe potuto trovare né traccia di
fumo36, né vino, né olio per i cibi, e nient’altro all’infuo-
704 b ri di pane e di alcuni ortaggi minuti. In questo luogo il su
periore rinchiudeva, senza permesso di uscita, quelli che
dopo la loro entrata in monastero erano caduti in grave
peccato: non tutti insieme, ma ciascuno separatamente, o
al massimo in due; e ciò finché il Signore non l’avesse ras
sicurato sul conto di ciascuno. Aveva anche preposto ad
essi, come proprio vicario, un uomo eccellente di nome
Isacco, il quale esigeva da quanti gli erano stati affidati
una preghiera quasi ininterrotta, ma metteva anche a loro
disposizione molte foglie di palma per prevenire l’acedia37.
704 c Questa è la vita, la condizione e la condotta di coloro che
veramente cercano il volto del Dio di Giacobbe (Sai 23,6)38.
34. E bello ammirare le fatiche dei santi, ed emularle
procura la salvezza; pretendere però di imitare in ogni
cosa il loro stile di vita è irragionevole e impossibile.
35. Quando ci sentiamo mordere dai rimproveri, ricor
diamoci dei nostri peccati, fino a che il Signore, veden
do la violenza che noi, violenti per amor suo, facciamo a
noi stessi (cf. Mt 11,12), non li abbia cancellati, trasfor-
140
mando in gioia il dolore che ci rimorde nel cuore. Sta
scritto infatti: In proporzione alla moltitudine dei dolori
del mio cuore, le tue consolazioni hanno rallegrato la mia
anima (Sai 93,19) al momento opportuno.
36. Non dimentichiamoci di colui che dice al Signore:
Quante afflizioni e quanti mali mi hai fatto vedere! Ma mi 704 D
hai fatto ritornare ridonandomi la vita e, dopo la caduta, mi
hai fatto di nuovo risalire dagli abissi della terra (Sai 70,20)!
37. Beato colui che, insultato e disprezzato ogni giorno
a causa del Signore (cf. Mt 5,11), fa violenza a se stesso,
perché si unirà al coro dei martiri e converserà familiar
mente con gli angeli! Beato il monaco che, in ogni mo
mento, si ritiene degno di ogni genere di umiliazione e di
sprezzo! Beato colui che ha mortificato la propria volon
tà fino alla fine e che ha affidato la cura della propria per
sona al suo maestro nel Signore: sarà infatti collocato alla
destra del Crocifisso!
38. Chiunque rifiuta il rimprovero, giusto o ingiusto
che sia, rinuncia alla propria salvezza. Chi invece lo accet 705 A
ta con fatica, o anche senza fatica, otterrà presto la remis
sione dei propri peccati.
39. Manifesta a Dio nel tuo intimo la fiducia e l’amore
che provi nei confronti del tuo padre spirituale, e Dio, nel
modo che tu non sai, lo convincerà ad attaccarsi a te e a
dimostrarti un affetto proporzionato alle tue disposizioni
verso di lui. Colui che manifesta al proprio padre ogni ge
nere di serpente39, dimostra un’autentica fiducia, ma chi
li nasconde, erra ancora su strade impraticabili.
40. Se qualcuno vuol conoscere con precisione il pro
prio affetto fraterno e la propria carità, sia certo di aver
li se si vede afflitto per le cadute del fratello, e pieno di
gioia per i suoi progressi e per i doni che riceve.
141
41. Colui che in una discussione pretende di affermare
la propria parola, anche se vera, sappia che è malato della
705 b malattia del diavolo. E se lo fa soltanto quando parla con
142
violenze e umiliazioni per amore di Dio; e questo perché,
prendendo l’abitudine a non turbarsi per le umiliazioni,
potessero essere preparati alle violenze che ricevevano
dall’esterno.
46. Un’anima che pensa continuamente alla confessio
ne dei suoi peccati, è da essa trattenuta dal peccare, come
da un freno. I peccati che non confessiamo, infatti, li con
tinuiamo a commettere senza ritegno.
47. Se, in assenza del superiore, facciamo conto che 705 D
egli sia accanto a noi rappresentandoci il suo volto, ed
evitiamo ogni incontro, discorso, cibo, sonno, o qualsiasi
altra cosa che supponiamo gli sia sgradita, allora l’obbe
dienza che esercitiamo è veramente autentica. I falsi di
scepoli considerano l’assenza del loro maestro come una
gioia, ma i discepoli autentici la considerano una perdita.
48. Un giorno interrogai uno dei monaci più stimati,
supplicandolo di dirmi in che modo l’obbedienza permet
ta di raggiungere l’umiltà. Ed egli mi rispose: “Chi è ve
ramente obbediente, anche se resuscita i morti, se rag
giunge il dono delle lacrime o la liberazione dalle lotte, ri 708 A
tiene sempre che sia stata la preghiera del proprio padre
spirituale a realizzare tutto ciò; e così egli rimane perso
nalmente estraneo alla vana presunzione. Come potrebbe
infatti vantarsi di ciò che afferma aver realizzato con
l’aiuto del proprio padre e non con i propri sforzi?”.
49. L’esicasta41 non conosce la pratica di queste virtù42:
la presunzione infatti ha la meglio su di lui e gli suggeri
sce che i suoi successi sono frutto dei suoi sforzi. Chi in
vece vive nella sottomissione ha vinto due insidie43 e,
ormai, resta eternamente un servo obbediente di Cristo.
41 Cioè colui che vive nelTesichia; cf. infra, “Glossario”, s.v. “Esicasta”.
42 Cioè delFobbedienza e dell’umiltà.
41 Cioè la disobbedienza e la presunzione.
143
50. Il demonio combatte contro gli obbedienti, ora mac
chiandoli con le contaminazioni della carne e rendendoli
duri di cuore, ora provocando in loro un turbamento con
trario alle loro abitudini, ora rendendoli aridi, sterili, golosi,
708 bpigri nella preghiera, sonnacchiosi e pieni di oscurità, per al
lontanarli dalla loro lotta facendo creder loro che non hanno
ricavato alcun profitto dalla sottomissione, e anzi cammina
no all’indietro ! Non permette loro di riflettere, infatti, che
spesso la perdita provvidenziale delle virtù che ci sembra
di avere, diventa occasione della più profonda umiltà.
51. L’ingannatore di cui parlo è spesso respinto da al
cuni tramite la pazienza; ma quando ancora quello sta par
lando, ci appare un altro angelo (cf. Gb 1,16-18) che dopo
poco tenta di sedurci in altro modo.
52. Ho visto monaci obbedienti che, grazie alla prote
zione del loro padre, erano diventati pieni di compunzione,
miti, temperanti, zelanti, liberi dalle lotte e pieni di fervore.
Ma i demoni, assalendoli, suggerirono loro che erano ormai
capaci di vivere nell’esichia e attraverso di essa erano in
708 c grado di raggiungere, come premio finale, l’impassibilità.
Così ingannati, uscirono dal porto e presero il largo, ma quan
do furono sorpresi dalla tempesta, essendo sprovvisti di pilo
ti, rischiarono di essere travolti da quel mare sudicio e salato!
53. A volte è necessario che il mare sia sconvolto, agi
tato e infuriato, per rigettare di nuovo sulla terraferma,
attraverso i fiumi delle passioni, tutto il legname, il mar
ciume e le erbacce che quegli stessi fiumi vi hanno scari
cato. Osserviamo e scopriremo che in mare, dopo la tem
pesta, c’è grande bonaccia.
54. Chi a volte obbedisce al proprio padre e a volte gli
disobbedisce, è simile ad un uomo che applica ai suoi occhi
a volte un collirio, a volte della calce viva. Sta scritto in-
708 dfatti: Quando uno edifica e l’altro distrugge, che guadagno ne
avranno se non fatiche (Sir 34,23) ?
144
55- Non ti lasciare ingannare, figlio e servo obbedien
te del Signore, dallo spirito di presunzione, al punto da
riferire le tue mancanze al maestro come se si trattasse di
quelle di un’altra persona: senza vergogna, infatti, non si
può scampare alla vergogna! Spesso i demoni hanno l’a
bitudine di convincerci a non confessare le nostre man
canze, o a farlo come se si trattasse di quelle di un altro,
o, ancora, ad accusare altri del nostro peccato.
56. Denuda, sì denuda la tua piaga davanti al medico,
e di’ senza vergognarti: “E mia questa ferita, padre, è mia
questa piaga, ed è frutto della mia trascuratezza, non di
quella di un altro! Nessun altro ne è responsabile, né un
uomo, né uno spirito, né un corpo, né qualsiasi altra cosa,
ma soltanto la mia negligenza!”. Quando ti confessi, abbi
l’atteggiamento, l’aspetto e i pensieri come quelli di un
condannato, tenendo la testa china a terra e, se possibile, 709 A
bagnando di lacrime i piedi del tuo medico e giudice,
come quelli di Cristo (cf. Le 7,38).
57. Tutto dipende e deriva dall’abitudine: tanto più le 7°9 B
opere buone, perché in esse abbiamo come valido collabo
ratore Dio stesso. Non dovrai faticare per molti anni, figlio
mio, per trovare in te stesso il beato riposo, se agli inizi ti
sarai consegnato alle umiliazioni con tutto te stesso.
58. Non disdegnare di fare la tua confessione a colui
che ti aiuta, come a Dio stesso, con un atteggiamento
umile e dimesso: ho visto infatti dei condannati che, con
un atteggiamento degno di grande pietà, una confessio
ne brutalmente schietta e una supplica insistente sono ri
usciti ad addolcire la severità del loro giudice, trasfor
mando il suo sdegno in compassione. Per questo anche
Giovanni il Precursore esigeva la confessione prima del
battesimo da quanti venivano da lui, non perché ne aves
se bisogno, ma perché cercava di procurar loro la salvez
za (cf. Mt 3,6 par.).
145
709 c 59. Non stupiamoci se siamo combattuti dalle passioni
anche dopo la confessione: è meglio, infatti, lottare con
tro i pensieri cattivi che contro la presunzione!
60. Non ti lasciare attirare né esaltare dai racconti degli
esicasti e degli anacoreti. Tu infatti stai camminando con
l’esercito del primo martire44.
61. Se cadi, non ti sottrarre all’arena della lotta, perché
proprio in quel momento abbiamo molto più bisogno del
medico. Chi, pur avendo un aiuto, è inciampato in un
sasso, se fosse stato senza aiuto, certamente non sarebbe
solo inciampato, ma sarebbe morto!
62. Ogni volta che cadiamo, i demoni ci assalgono im
mediatamente e, sfruttando quel pretesto ragionevole -
ma in realtà assurdo -, ci suggeriscono [di cercare] l’esi-
chia: il loro scopo è di aggiungere una ferita alla caduta.
63. Quando un medico dichiara la propria incapacità,
allora bisogna recarsi da un altro, perché senza medico
pochi riescono a guarire.
709 d 64. Chi mai oserebbe contraddirci se affermiamo che
146
66. Sono degni di ricevere ogni genere di punizione
da parte di Dio quei malati che, dopo aver sperimenta
to un medico e averne ricevuto giovamento, lo abban
donano prima di essere perfettamente guariti, preferen
dogli un altro.
67. Non fuggire dalle mani di colui che ti ha offerto al 712 A
147
712 b 70. Coloro che sono appena giunti in un ospedale de
vono individuare i propri dolori; coloro che invece sono
appena giunti nella vita di sottomissione, l’umiltà che
possiedono: per i primi, indizio quanto mai sicuro di gua
rigione sarà l’alleviamento dei dolori, per gli altri la cre
scita del disprezzo di se stessi.
71. Specchio della tua sottomissione sia la tua coscienza,
e questo ti basti.
712 c 72. Coloro che vivono nell’esichia sottomessi a un
padre, hanno soltanto i demoni come loro avversari; co
loro che invece vivono in comunità lottano allo stesso
tempo con i demoni e con gli uomini. I primi, essendo
continuamente davanti agli occhi del loro maestro, custo
discono i suoi comandi in modo più stretto; invece i se
condi, non essendo sempre alla sua presenza, spesso fanno
piccole trasgressioni. Comunque, se sono persone piene di
zelo e di buona volontà, riescono a compensare ampia
mente tale difetto con la sopportazione delle offese, e ri
portano così una doppia corona.
73. Sforziamoci con ogni cura di vigilare su noi stessi
(cf. Pr 4,23). Quando infatti un porto è pieno di navi, è
facile che esse si danneggino urtando l’una contro l’altra,
tanto più se sono già segretamente corrose dal verme della
collera47.
712 d 74. Di fronte al superiore, pratichiamo un assoluto si
148
75- Con tutta la vigilanza, la cura e la prudenza possi
bili, consideriamo quando e come si debba anteporre il
servizio alla preghiera. Ciò infatti non deve avvenire sem
pre e comunque.
Fa’ attenzione a te stesso (cf. Dt 4,9; 15,9) quando sei
in presenza dei tuoi fratelli, e non sforzarti mai di appari
re più giusto di loro in qualche cosa, perché saresti la causa
di due mali: urteresti gli altri con il tuo zelo falso e osten 713 A
tato, e a te stesso procureresti certamente la superbia.
76. Sii pieno di zelo neU’anima, senza mostrarlo ester
namente nel corpo, né con l’atteggiamento, né a parole,
né con segni allusivi: comportati così, però, solo se hai
davvero smesso di disprezzare il tuo prossimo; ma se sei
ancora incline a questo difetto, comportati come tutti gli
altri fratelli, piuttosto che rischiare di distinguerti da loro
solo per l’orgoglio48.
77. Ho visto un discepolo ancora privo di esperienza
vantarsi delle opere di virtù del proprio maestro, e men
tre credeva di acquistare gloria con le ricchezze altrui, si
procurò solo umiliazione, perché tutti gli dissero: “Come
può un albero buono aver dato un ramo sterile?” (cf. Mt
7,17-18 par.).
78. Siamo giudicati pazienti non quando sopportiamo
con coraggio di essere derisi dal nostro padre spirituale,
ma quando ci lasciamo disprezzare e percuotere da ogni
uomo, giacché il nostro padre lo sopportiamo per rispetto 713 B
e perché ci sentiamo in debito con lui.
149
79- Bevi avidamente la derisione come un’acqua di
vita, chiunque sia l’uomo che voglia farti bere questa be
vanda che purifica dalla sensualità: allora nella tua anima
sorgerà una profonda purezza e la luce di Dio non scom
parirà più dal tuo cuore.
80. Nessuno si vanti dentro di sé, se vede che la comu
nità dei fratelli trova pace grazie ai suoi sforzi, poiché in
torno si aggirano i ladri49.
81. Ricordati continuamente di colui che ha detto:
Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
Siamo servi inutili! Abbiamo fatto quello che dovevamo
fare (Le 17,10). Quanto al giudizio sulle nostre fatiche, lo
conosceremo al momento della nostra dipartita.
82. Il cenobio è un cielo terrestre: sforziamoci perciò di
assumere nel nostro cuore le stesse disposizioni che gli an-
713 c geli hanno nel servire il Signore! Coloro che si trovano in
questo cielo, a volte hanno il cuore duro come pietra, altre
volte ricevono conforto grazie alla compunzione: ciò ac
cade perché, da una parte, possano evitare la presunzio
ne, dall’altra, possano mitigare le loro fatiche grazie alle
lacrime.
83. Una piccola fiamma è in grado di sciogliere molta
cera; e spesso una piccola umiliazione che ci capita di
subire, riesce improvvisamente a sciogliere, addolcire e
cancellare tutta la selvatichezza, l’insensibilità e la durez
za del nostro cuore.
84. Una volta ho visto due monaci starsene nascosti a
spiare e ad ascoltare i gemiti e i tormenti di alcuni che sta
vano lottando contro le tentazioni; ma uno lo faceva per
imitarli, l’altro per poter rinfacciare loro queste cose in
pubblico, alla prima buona occasione, e distogliere così
quegli operai di Dio dal loro nobile lavoro.
150
85. Non essere taciturno senza ragione, procurando agli 713 d
altri turbamento e fastidio, né lento nei movimenti e nel
passo quando ti viene chiesto di sbrigarti. Altrimenti sarai
peggio degli agitati e dei turbolenti.
86. Ho visto cose del genere, come dice Giobbe (cf. Gb
13,1): spesso la lentezza di comportamento fa soffrire le
anime, e a volte anche la troppa affettazione; e mi sono
meravigliato di quanto può essere varia la malizia.
87. Chi vive in mezzo ad altri fratelli non può trarre
dalla salmodia altrettanto profitto come dalla preghiera50,
perché la confusione delle diverse voci impedisce la com
prensione del salmo.
88. Lotta incessantemente con la tua mente, e quando si
distrae, raccoglila di nuovo in te stesso: Dio, infatti, da co
loro che vivono in obbedienza non pretende una preghiera
senza distrazioni. Non ti scoraggiare se la mente ti viene
rubata, ma piuttosto fatti coraggio richiamandola continua-
mente a te: l’inviolabilità infatti è solo degli angeli!
89. Chi si è interiormente convinto a non abbandonare 716 a
la lotta fino all’ultimo respiro51, a costo di dover soppor
tare mille morti52 nel corpo e nell’anima, non cadrà facil
mente in alcuna di queste, perché in genere sono l’indeci
sione del cuore e l’infedeltà alla propria condizione di vita
che producono cadute e disgrazie.
90. Coloro che sono facili al cambiamento, sono privi
di qualunque virtù, perché niente produce sterilità quan
to la mancanza di perseveranza.
91. Se ti capita di arrivare in un ospedale e presso un
medico53 che non conosci, comportati come uno che è di
*5*
passaggio e, senza fartene accorgere, esamina tutti coloro
che vi si trovano. Quando poi ti accorgi di poter trovare
qualche giovamento per i tuoi mali dalle cure dei dottori
e degli infermieri, e soprattutto il rimedio che cercavi
contro il gonfiore dell’anima54, allora deciditi a entrare e
vendi te stesso a prezzo dell’oro dell’umiltà, firmando il
716 b certificato dell’obbedienza con la scrittura del servizio e
con gli angeli per testimoni55.
92. In loro presenza, straccia senza esitazione il certifi
cato della tua volontà propria; se infatti continui a girare
qua e là, finisci per annullare il contratto con il quale
ormai Cristo ti ha comprato !
93. Il luogo in cui ti trovi sia per te una tomba prima
della tomba: nessuno infatti uscirà dalla tomba prima
della risurrezione generale; e se qualcuno vi è uscito, vedi
che è morto56! Preghiamo il Signore che non capiti anche
a noi la stessa cosa!
716 c 94. I monaci più pigri, quando sentono che gli ordini
ricevuti sono pesanti, cominciano subito a preferire la pre
ghiera; quando invece li sentono più leggeri, la fuggono
come si fugge da un fuoco!
95. C’è chi intraprende un servizio, e poi lo abbando
na per recare conforto a un fratello, se ciò gli viene richie
sto; c’è chi invece lo abbandona per pigrizia. C’è poi chi
non lo abbandona per vanagloria, e chi per zelo.
54 Cioè la superbia.
55 II riferimento è alla professione monastica che, secondo la convinzione tra
dizionale in oriente, avviene alla presenza degli angeli. Nel Rito del piccolo abito
della liturgia bizantina si dice: “Considera, figlio, quali patti concludi con Cristo
Signore: gli angeli, infatti, registrano invisibilmente la tua professione, di cui
dovrai rendere conto alla seconda venuta del Signore nostro Gesù Cristo”
(Euchologion, p. 383). Sul tema, cf. P. Raffin, Les rituels orientaux de la profes
sioni monastique, Abbaye de Bellefontaine, BégrolIes-en-Mauges 1992, p. 35.
56 Come Lazzaro: cf. Gv 11,43-44.
152
96. Se sei stato forzato a legarti a una comunità con dei
voti57, e poi vedi che l’occhio della tua anima non fa alcun
progresso, non esitare ad andartene. Del resto un buon mo
naco, è un buon monaco dovunque, come anche il contrario.
97. Nel mondo gli insulti sono la causa di molte divi
sioni; ma nelle comunità è l’ingordigia a produrre tutte le
cadute e le rotture!
98. Se domini questa tiranna58, in qualunque luogo tu ri- 716 d
153
103. Gli oltraggi, le umiliazioni e le altre cose simili
sono per l’anima dell’obbediente come il gusto amaro del
l’assenzio60; gli elogi, gli onori e le lodi, invece, produco
no in chi è incline ai piaceri una grandissima dolcezza,
717 b come il miele. Consideriamo dunque quale sia la natura
60
Cf. Marco il Monaco, La legge spirituale 117.
61
Cf. supra, IV,65.
62 Cf. Giovanni Cassiano, Conferenze II,io: “Il vero discernimento - disse
Abba Mosè - non si raggiunge, se non con la vera umiltà”. Per la dipendenza
di Climaco da Cassiano,^cf. supray “Introduzione”, p. 29, n. 117.
63 In greco: diórasìs. E la capacità di “vedere” ciò che si muove nel cuore di
una persona.
*54
106. Per tutta la tua vita non ti dimenticare mai di quel
grande atleta che, per ben diciotto anni, con i suoi orecchi
esteriori non sentì mai il superiore dirgli: “Dio ti salvi!”, ma
con quelli interiori sentiva ogni giorno il Signore che gli dice
va, non tanto: “Dio ti salvi!” - perché questo è un augurio
incerto -, ma: “Sei salvo!”, che è un affermazione sicura64.
107. Tra coloro che vivono nell’obbedienza, ce ne sono
alcuni che, accorgendosi del carattere arrendevole e con
ciliante del loro superiore, sollecitano da lui disposizioni
conformi alle proprie volontà, ma così facendo ingannano
se stessi; e se ottengono ciò che vogliono, sappiano che
hanno già perduto completamente la corona dei confesso 717 D
155
110. La tentazione di abbandonare i luoghi in cui ci
troviamo, sia per noi la prova che là siamo graditi a Dio,
perché se siamo combattuti dalle tentazioni, è segno che
anche noi combattiamo67.
1 1 1 . Non vorrei comportarmi come chi nasconde in
giustamente qualcosa o la trattiene avidamente per sé in
modo disumano, tacendovi ciò che non è permesso tace
re. Il celebre Giovanni il Sabaita68 mi ha raccontato cose
veramente degne di essere udite; e tu, venerato padre,
sai per esperienza personale come egli sia un uomo com
pletamente libero dalle passioni, puro da ogni menzogna
e da ogni parola e opera malvagia. Ecco il racconto che
mi ha fatto.
720 b “Nel mio monastero in Asia69 - quel sant’uomo prove
niva infatti da quella regione - c’era un anziano assoluta-
mente negligente e intemperante, e non lo dico per giudi
carlo, ma solo per dire la verità. Costui - non so proprio
come - riuscì a guadagnarsi un giovane discepolo di nome
Acacio, persona d’animo semplice ma assennata, che sop
portava da parte di questo anziano cose che forse ai più
parranno incredibili: ogni giorno infatti l’anziano lo cari
cava non solo di insulti e di umiliazioni, ma addirittura di
percosse. La sua pazienza però non era insensata. Veden
dolo dunque ogni giorno gravemente afflitto come uno
schiavo comprato, spesso, incontrandolo gli dicevo: ‘Come
stai, fratello Acacio? Come va oggi?’, e lui subito mi mo-
156
strava ora un occhio pesto, ora il collo gonfio, altre volte
la testa contusa; al che io, conoscendo la sua virtù, gli di 720 C
cevo: ‘Bene, bene! Sopporta e ne avrai una ricompensa!’.
“Dopo aver passato dunque nove anni sotto questo an
ziano senza pietà, Acacio se ne andò al Signore e fu sep
pellito nel cimitero dei padri. Cinque giorni dopo, il suo
maestro si recò da un grande anziano che abitava in quel
luogo, e gli disse: ‘Padre, il fratello Acacio è morto!’.
Appena l’anziano udì queste parole, rispose: ‘Sta’ pur
certo, padre: io non ci credo!’. E quello disse: ‘Vieni e
vedi!’. L’anziano si levò in fretta e raggiunse il cimitero
in compagnia del maestro di quel beato lottatore; e rivol
gendosi come a una persona viva a colui che nel sonno vi
veva veramente, gridò: ‘Fratello Acacio, sei morto?’. E 720 D
quell'autentico obbediente, dimostrando la propria obbe
dienza anche dopo la morte, rispose a quel venerando:
‘Com’è possibile, padre, che sia morto un uomo che ha
esercitato l’obbedienza?’. A queste parole, l’anziano che
era stato il suo maestro - almeno di nome - fu preso da ter
rore e cadde con la faccia a terra, in lacrime; chiesta quin
di all’igumeno della laura70 una cella vicino a quella tomba, 721 A
visse là nella temperanza per il resto dei suoi giorni”.
La mia opinione, padre Giovanni71, è che sia stato
proprio lui, quel grande Giovanni, a parlare al morto:
157
quell’anima beata, infatti, mi fece anche un altro raccon
to come se si trattasse di un’altra persona, quando in
realtà si trattava di lui stesso, come più tardi potei appu
rare con precisione.
112. “In quello stesso monastero d’Asia - raccontava
- un altro giovane divenne discepolo di un monaco mite,
indulgente e pacifico. E vedendo che l’anziano lo tratta
va con rispetto e cura, giustamente pensò di fare ciò che
per molti è pericoloso: pregò cioè l’anziano di lasciarlo
721 b partire. Quest’ultimo, infatti, aveva anche un altro di
scepolo e la cosa non gli avrebbe procurato grandi fasti
di. Perciò se ne partì e, grazie a una lettera di presenta
zione del suo maestro, si stabilì in uno dei cenobi del
Ponto. Nella prima notte dopo il suo arrivo nel cenobio,
vide in sogno che alcune persone lo sottoponevano ad un
rendiconto, e che al termine di quel terribile rendiconto
egli risultava debitore di cento libbre d’oro. Risve
gliatosi, dunque, rifletté su ciò che aveva visto e si disse:
‘Povero Antioco - era questo infatti il suo nome -, il tuo
debito è veramente grande!’.
“‘Dopo essere rimasto per tre anni in quel cenobio in
assoluta obbedienza - diceva72 -, disprezzato e maltratta-
721 c to da tutti come uno straniero (là infatti non c’era nessun
altro monaco straniero), vedo di nuovo in sogno una per
sona consegnarmi la ricevuta per dieci libbre del mio de
bito, e al mio risveglio comprendo la visione e dico:
Ancora soltanto dieci? Quando potrò saldare l’intero de
bito? Allora dico a me stesso: Povero Antioco! Hai biso
gno di fatiche e umiliazioni ancora più grandi! Da quel
momento cominciai a fingermi pazzo, senza però trascu
rare minimamente il mio servizio. Perciò quei padri senza
158
pietà, vedendomi in quella condizione e pieno di zelo, mi
caricavano di tutti i lavori pesanti del monastero. Dopo
aver perseverato in questa condotta per tredici anni, vidi
di nuovo venirmi incontro le persone che mi erano appar
se in precedenza e registrare la remissione completa del
mio debito. Quando dunque i padri del monastero mi af
fliggevano in qualcosa, io, ricordandomi del mio debito,
sopportavo di buon animo’”.
Questo è il racconto che mi ha fatto quel sapientissimo 721 d
nSi tratta dei celebre monastero fondato nel 483 da san Saba (439-532) e
ancora oggi esistente: designato anticamente come la Meghiste Laura, la “Laura
maggiore”, è la più importante delle “laure” palestinesi.
159
tario sottomesso a un padre”. Disse poi al secondo: “Va',
vendi le tue volontà e dalle a Dio, poi prendi la tua croce,
724 b persevera in un cenobio e in una comunità di fratelli, e cer
tamente avrai un tesoro nei cieliì” (cf. Mt 1 9 , 2 1 ; 16,24).
Disse quindi al terzo: “Accogli in te stesso, unendola inse
parabilmente al tuo respiro, la parola di colui che ha detto:
Chi persevera fino alla fine sarà salvato (Mt 10,22), poi va’ e,
se possibile, non permettere che esista tra gli uomini una
persona più severa e più rigida del tuo allenatore74 75 nel
Signore; quindi persevera e bevi ogni giorno le derisioni e
gli scherni come latte e miele ! ”. Allora questo fratello disse
al grande Giovanni: “Padre, se quella persona vive nella
negligenza, cosa devo fare?”. E l’anziano: “Se anche lo ve
drai fornicare - disse - non ti allontanare da lui, ma di’ a
te stesso: Amico, per cosa sei venuto? (Mt 26,50), e allora
vedrai scomparire il tuo orgoglio e svanire la tua fiamma ! ”.
724 c 1 1 4 . Noi tutti che vogliamo temere il Signore, lottia
mo con tutte le nostre forze, perché non accada che nella
palestra della virtù ci procuriamo piuttosto cattiveria e
malizia, astuzia e furbizia, perversità e ira! Del resto, è
una cosa che succede e non c’è da meravigliarsene.
Infatti, finché un uomo è un semplice privato, marinaio
o contadino, i nemici del re non si armano granché con
tro di lui; ma quando vedono che ha ricevuto il sigillo, lo
scudo, il pugnale, la spada e l’arco, ed è vestito dell’uni
forme del soldato0, allora anche loro digrignano i denti
contro di lui e si sforzano di ucciderlo. Appunto per que
sto, guardiamoci dal sonnecchiare!
160
i i 5 - Ho visto arrivare a scuola fanciulli puri e pieni di
bontà in cerca di istruzione, di educazione e di profitto,
e, dal contatto con gli altri, non apprendere altro che astu 724 D
zia e malizia. Chi ha intelligenza comprenda! E impossi
bile che coloro che si sforzano con tutto il proprio impe
gno di apprendere un’arte, non facciano ogni giorno dei
progressi in essa. Ma mentre alcuni conoscono i propri
progressi, altri provvidenzialmente li ignorano76.
1 1 6 . Un bravo banchiere, ogni sera, calcola sempre il
guadagno o la perdita della giornata: non può saperlo con
precisione, però, se non ne ha preso nota ogni ora sulla
sua tavoletta, perché i calcoli fatti ogni ora rendono pos
sibile quello dell’intera giornata.
1 1 7 . Quando uno stolto riceve un rimprovero o una
sgridata e si sente punto, tenta di contraddire, oppure fa
subito una metanìa davanti a colui che lo ha rimprovera
to, non per umiltà ma per far cessare i rimproveri. Tu, 725 A
quando sei deriso, sta’ in silenzio e accetta questi cauteri
dell’anima - anzi piuttosto, queste luci che procurano pu
rezza - e solo quando il medico ha finito, fa’ una metanìa
davanti a lui, perché probabilmente nell’ira non accette
rebbe neanche la tua metanìa.
1 1 8 . Noi che viviamo in comunità dobbiamo lottare in 725 B
ogni momento contro tutte le passioni, ma forse partico
larmente contro queste due: la follia della gola e l’irascibi
lità, perché in mezzo a tante persone esse trovano l’ali
mento adatto.
A quanti vivono nella sottomissione il diavolo ispira
il desiderio di virtù impossibili; ugualmente, a quanti
vivono nell’esichia suggerisce cose non adatte alla loro
condizione.
161
i i 9 - Sonda la mente dei cenobiti buoni a nulla e vi
troverai un pensiero che divaga tra mille illusioni: il de
siderio dell’esichia, del digiuno più duro, della preghie
ra ininterrotta, dell’assoluta assenza di vanagloria, del
ricordo incessante della morte, della compunzione con
tinua, della completa assenza di irascibilità, di un pro
fondo silenzio, e di una straordinaria purezza. E se agli
inizi, per divina disposizione, non riescono a raggiunge
re tutte queste cose, ingannati dal Nemico, saltano a
caso da una condizione di vita all’altra: il Nemico infat
ti gliele ha f a t t e ricercare prima del tempo, perché non
potessero ottenerle al momento opportuno con la loro
perseveranza.
725 c 1 2 0 . A quanti vivono nell’esichia, invece, l’Ingan
natore magnifica l’ospitalità di coloro che vivono in ob
bedienza, il loro servizio, il loro affetto fraterno, la loro
vita comune, e la loro cura dei malati; e questo per far sì
che anch’essi, come quelli, non perseverino nella loro
condizione v
di vita.
1 2 1 . E veramente riservato a pochi poter vivere nel
l’autentica esichia: solo a quelli cioè che hanno ottenuto
la consolazione divina, che alleggerisce le loro fatiche e li
sostiene nei loro combattimenti.
1 2 2 . Dobbiamo valutare a quali persone sottometterci
in base alla qualità delle passioni che ci abitano, e poi sce
gliere di conseguenza. Se sei incline alla sensualità, il tuo
allenatore sia un vero asceta, molto austero nel cibo, piut
tosto che uno che opera miracoli ed è sempre pronto ad
accogliere ospiti e ad apparecchiare la tavola. Se poi sei
incline all’orgoglio, egli sia rigido e inflessibile, piuttosto
che mite e benevolo.
725 d 1 2 3 . Non cerchiamo né profeti né veggenti, ma soprat
tutto persone umili, che, per il loro carattere e il loro stile
di vita, siano adatte a curare le nostre infermità.
162
1 2 4 - Seguendo l’esempio di quel giusto Abbaciro, che
abbiamo menzionato sopra77, adotta anche tu questa buo
na abitudine per apprendere l’obbedienza: pensa sempre,
cioè, che il tuo superiore ti stia mettendo alla prova, e
cosi non sbaglierai mai.
1 2 5 . Se, nonostante i rimproveri incessanti del tuo supe
riore, la fiducia e il tuo amore verso di lui crescono, sappi
che lo Spirito santo è venuto a dimorare invisibilmente nella
tua anima e la potenza dell’Altissimo ha steso la sua ombra
su di te (cf. Le 1,35). Ma tu non ti vantare e non gioire se
sopporti coraggiosamente oltraggi e umiliazioni, ma piangi
piuttosto, perché hai commesso un’azione del tutto meri
tevole di violenza e hai eccitato un’anima contro di te!
1 2 6 . Non ti stupire di quel che sto per dire, perché ho
Mosè dalla mia parte: è meglio peccare contro Dio piut
tosto che contro il nostro padre! Se infatti Dio si adira 728a
con noi, il nostro maestro ha il potere di riconciliarci con
lui (cf. Es 3 2 , 1 1 - 1 4 . 3 0 - 3 5 ; N m 1 6 , 1 6 - 3 5 ) . Se invece è il
nostro maestro ad adirarsi, non abbiamo più nessuno che
possa intercedere per noi. Ritengo però che i due casi si
riducano ad uno.
1 2 7 . Consideriamo, discerniamo e valutiamo attenta
mente quando dobbiamo sopportare i rimproveri del no
stro padre con gratitudine e in silenzio, e quando invece
dobbiamo dargli delle spiegazioni. La mia opinione è che
sia opportuno tacere in tutte le occasioni che possano
procurarci umiliazione, perché quello è appunto il mo
mento di trarre profitto; ma nelle occasioni in cui sia co
involta una terza persona, allora bisogna parlare, per
mantenere indissolubile il vincolo della carità e della pace
(cf. Col 3 , 1 4 ; E f 4 , 3 ) .
163
1 2 8 . Coloro che hanno abbandonato l’obbedienza, te
728 b ne potrebbero testimoniare l’utilità: perché da quel mo
mento hanno compreso in quale cielo si trovavano.
1 2 9 . Chi corre verso l’impassibilità e verso Dio, ogni
giorno in cui non è stato insultato, ritiene di aver subito
una grande perdita.
1 3 0 . Come gli alberi sbattuti dal vento mettono radici
profonde, cosi anche coloro che vivono in obbedienza si
formano anime forti e salde78.
1 3 1 . Chiunque vivendo nella quiete sia arrivato a rico
noscere la propria fragilità, e poi, mutando condizione di
vita, abbia venduto se stesso all’obbedienza, costui, da
cieco che era, ha cominciato a vedere Cristo senza fatica.
1 3 2 . Rimanete saldi, rimanete saldi, e di nuovo ve lo ri
peto: rimanete saldi nella vostra corsa, voi fratelli atleti,
ascoltando quel sapiente che grida di voi: Li ha provati
come oro nel crogiolo - o piuttosto nel cenobio - e li ha ac
colti come olocausto nel suo seno (cf. Sap 3,6). A lui la glo-
728 c ria e la potenza per l’eternità, con il Padre che non ha
principio e lo Spirito santo e adorabile. Amen.
78 Cf. Apoftegmi Nau 396: “Se l'albero non è scosso dal vento, non cresce,
né affonda le radici. Così anche il monaco: se non è tentato e non sopporta la
tentazione, non diventa coraggioso”.
164
Discorso V
SULLA PENITENZA ACCURATA E AUTENTICA
DOVE SI TRATTA ANCHE
DELLA VITA DEI SANTI “CONDANNATI”
E DELLA “PRIGIONE”
16 5
3- Accorrete, avvicinatevi, venite e ascoltate, tutti voi
che avete irritato Dio, e vi racconteròl Radunatevi e vede
te tutto ciò che Dio ha mostrato alla mia anima per la sua
edificazione (cf. Sai 6 5 , 1 6 ) ! Vogliamo dare il primo
posto, quello d’onore, a un racconto che narra di uomini
virtuosi che nel loro disonore sono degni d’onore.
4. Tutti noi che abbiamo subito qualche caduta impre
vista, ascoltiamo, custodiamo e comportiamoci di conse
guenza! Voi che giacete a terra a causa delle vostre cadu
te, rialzatevi e mettetevi a sedere! Fate attenzione, fra
telli miei, alle mie parole, piegate il vostro orecchio (cf.
Sai 7 7 , 1 ) , voi tutti che volete riconciliarvi con Dio attra
verso una vera conversione!
764 d 5 a. Avendo sentito parlare, io pover’uomo, dello straor
dinario e insolito genere di vita e dell’umiltà che si prati
cava in quel monastero separato chiamato “Prigione”2 -
che dipendeva dall’autorità di quell’uomo che ho già men
zionato sopra, vera luce delle luci -, supplicai quel giusto
di concedermi di visitarlo. Quel grand’uomo, non volen
do in alcun modo contristare un’anima, accondiscese alle
mie preghiere.
b. Giunto dunque al monastero dei penitenti3, a quell'au
tentica terra di piangenti, vidi veramente - se non sono
166
troppo audace a parlare così - cose che rocchio di un uomo 765 A
efficace forse per coloro che non sono ancora pienamente illuminati dalla grazia
dello Spirito” (P. Deseille, “La dottrina spirituale di Giovanni Climaco”, p.
in). Su questa descrizione si vedano anche le osservazioni di Th. Merton,
“L’Echelle qui méne à Dieu”, in Contacts 21 (1969), pp. 136-137 ; J.
Chryssavgis, “Una spiritualità delPimperfezione”, in Giovanni Climaco e il
Sinai} pp. 175-177. In ogni caso, questa pagina di Climaco diventò per molte ge
nerazioni di monaci un vero modello di penitenza, tanto che a partire da essa,
in una data incerta, fu composto un Canone penitenziale (,Kanòn katanyktikós),
un inno diviso in nove odi formate da più strofe (sul modello del Grande cano
ne di Andrea di Creta), che viene riportato dalla maggioranza dei codici clima-
chei a partire dalTxi secolo. Per il testo del canone, cf. J. R. Martin, The
lllustration of thè Heavenly Ladder, pp. 128-149; I. Barnea, “Un manuscrit
byzantin illustre du X I siècle”, in Révue des études sud-est européennes I (1963),
pp. 321-324; T. Avner, “The Recovery of An Illustrated Byzantine Manuscript
of thè Early i2th Century”, in Byzantion 54 (1984), pp. 8-9.
167
e. Altri, seduti a terra su tela di sacco e cenere, si co
privano il volto tra le ginocchia e battevano la fronte al
suolo. Altri si colpivano continuamente il petto ripensan
do alla loro anima e alla loro vita passata. Alcuni di que
sti bagnavano il pavimento con le loro lacrime; altri, inca-
765 c paci di piangere, si percuotevano. Alcuni levavano grida e
lamenti per le loro anime, come si fa per i morti, non
avendo la forza di sopportare l’angoscia del loro cuore.
Altri ruggivano nel profondo del loro cuore, soffocando
dentro la loro bocca il suono dei loro gemiti, ma a volte,
non potendo trattenersi, emettevano grida improvvise.
f. Là ho visto alcuni che per il loro comportamento e i
loro pensieri erano come fuori di sé: per la grande ango
scia erano diventati muti, completamente ottenebrati e
come insensibili a tutti i bisogni di questa vita; la loro
mente era ormai sprofondata nell’abisso dell’umiltà e le
lacrime dei loro occhi ribollivano al fuoco del loro avvili
mento. Altri se ne stavano seduti, immersi nei loro pen
sieri, con gli occhi rivolti a terra, scuotendo continua-
mente il capo e, come leoni, traevano ruggiti e gemiti dal
profondo del cuore fino ai loro denti.
765 d g. Alcuni di loro, pieni di speranza, chiedevano e invo
cavano una remissione completa dei loro peccati; altri,
nella loro ineffabile umiltà, si giudicavano indegni di tale
remissione e gridavano di non avere la forza di giustifi
carsi davanti a Dio. Alcuni chiedevano con insistenza di
essere castigati quaggiù, per ricevere misericordia lassù;
768 a altri, schiacciati sotto il peso della loro coscienza, diceva
168
no: “Lo sappiamo, lo sappiamo bene, che siamo degni di
ogni castigo e tormento, e giustamente!, giacché ormai
non saremmo in grado di soddisfare la quantità dei nostri
debiti, neppure se convocassimo il mondo intero a pian
gere per noi! Questo soltanto chiediamo, imploriamo e
supplichiamo: Non rimproverarci con collera e non correg- 768 b
gerci nella tua ira (Sai 6,2); non punirci nel tuo giusto giu
dizio, ma risparmiaci! Ci basta essere liberati dalla tua
grande minaccia e dai tormenti sconosciuti e nascosti!
Non osiamo chiedere infatti la remissione completa dei
nostri peccati, giacché come potremmo farlo, noi che non
abbiamo custodito senza macchia la nostra professione,
ma l’abbiamo profanata, dopo aver ricevuto la tua mise
ricordia e il tuo perdono ?”4.
i. Là, amici, proprio là, si potevano vedere veramente
realizzate le parole di David: Uomini afflitti e prostrati fino
al termine della loro vita, camminavano tutto il giorno con
volto triste, esalavano fetore dalle piaghe imputridite del
loro corpo (cf. Sai 37,7-6), ma non se ne curavano affat
to; si dimenticavano di mangiare il loro pane, mescolavano
con le lacrime l’acqua che bevevano, mangiavano cenere e
polvere insieme al pane; le loro ossa aderivano alla loro 768 c
carne ed erano inariditi come l’erba (cf. Sai 1 0 1 , 5 . 1 0 . 6 . 1 2 ) .
Da loro non si potevano udire altre parole che queste:
“Ahi, ahi! Ohimè, ohimè! E giusto, è giusto! Risparmiaci,
171
né le ali della purezza, per accedere al cospetto del
Signore, a meno che i nostri angeli protettori non si av
vicinino a noi, la prendano e gliela offrano ! ”.
p. Nel dubbio, spesso si interrogavano l’un l’altro e di
cevano: “Forse, fratelli, abbiamo ottenuto qualcosa? Ab
biamo raggiunto ciò che abbiamo chiesto nella preghiera ?
Ci accoglie di nuovo il Signore? Ci apre la porta?”. E altri
a queste domande rispondevano: “Chi può sapere - come
dicevano i nostri fratelli niniviti - se il Signore si pentirà
769d (Gn 3,9), e se ci libererà almeno dal grande castigo?
Comunque, noi facciamo quel che è in nostro potere, e se
lui ci aprirà, bene; altrimenti sia benedetto il Signore Dio
che ci esclude giustamente! Continuiamo però a bussare
fino alla fine della nostra vita, perché forse colui che è
buono ci aprirà per la nostra grande impudenza e insisten
za (cf. Mt 7,7-11; Le 11,5-13)!”. Perciò incitandosi a vi
cenda dicevano: “Corriamo, fratelli, corriamo! Abbiamo
bisogno di correre, infatti, e di correre con tutte le nostre
forze, perché siamo rimasti indietro rispetto alla nostra
nobile compagnia! Corriamo, senza risparmiare questa
nostra carne sudicia e corrotta, ma uccidiamola, come
essa ci ha ucciso!”6. E così facevano effettivamente quei
beati colpevoli.
772 a q. Tra loro si potevano vedere ginocchia indurite per la
quantità di metanìe, e occhi consumati e profondamente
incavati; erano senza capelli; avevano le guance piagate e
infuocate dal bollore delle loro calde lacrime; i loro volti
erano rinsecchiti e pallidi, in nulla diversi da quelli dei ca
daveri; i loro petti erano doloranti per le piaghe, ed essi,
172
a causa dei pugni che si davano sul petto, erano costretti
a sputare sangue. E poi, dov’era mai un giaciglio? Dove
vestiti puliti e in buono stato? Tutto era rotto, insozza
to e coperto di pulci! Cos’è in confronto la sofferenza
degli indemoniati, di coloro che piangono i morti, o di co
loro che vivono in esilio? E cos’è in confronto la pena
degli omicidi? Le torture e i castighi involontari di que
sti ultimi non sono davvero niente a paragone di quelli
che essi si imponevano volontariamente! Vi prego però, 772 B
fratelli, di non considerare favole le cose che sto dicendo.
Essi spesso supplicavano quel grand’uomo, intendo il pa
store, quell’angelo tra gli uomini, di metter loro ferri e
catene ai polsi e al collo, di stringere i loro piedi in ceppi,
e di non liberarli prima che la tomba li avesse accolti;
anzi non volevano neppure la tomba!
r. Non voglio nascondervi, infatti, neppure quest’altro
modo, veramente degno di pietà, con cui quei beati mani
festavano la loro umiltà, il loro amore per Dio pieno di
contrizione e la loro penitenza. Quando erano sul punto di
passare al Signore e di comparire davanti al suo tribunale
imparziale, quei nobili cittadini di questa terra della peni
tenza supplicavano il superiore, per tramite del loro prepo- 772 C
sito7, di giurar loro di non onorarli con umana sepoltura,
ma di gettarli come bestie nella corrente del fiume o in
campagna, in pasto alle fiere. E spesso quell’autentico
lume di discernimento acconsentì a fare ciò, ordinando che
fossero portati via senza salmodia e senza onori funebri.
s. Com’era terribile e degno di pietà lo spettacolo della
loro ultima ora! Appena infatti i compagni si accorgeva
no che uno di loro se ne stava andando precedendoli nella
morte, quando ancora quello era in grado d’intendere, lo
173
circondavano, e assetati, piangenti e spinti da un arden
te desiderio, con atteggiamento di estrema pietà, con
voce triste e scuotendo la testa, interrogavano il moren-
772 d te, e ardenti di compassione gli dicevano: “Come va, fra
tello e compagno di condanna? Cosa dici? Cosa speri?
Cosa ti aspetti ? Hai ottenuto ciò che cercavi con le tue fa
tiche, o non ci sei riuscito? Hai raggiunto il tuo scopo o
no? Hai ricevuto un’intima certezza, oppure hai ancora
una speranza incerta? Hai raggiunto la libertà, o il tuo
pensiero è ancora sconvolto e assediato dai dubbi? Hai
percepito una qualche illuminazione nel tuo cuore, o esso
è ancora preda delle tenebre e dell’umiliazione ? Hai sen
tito dentro di te una voce dirti: Ecco sei guanto! (Gv
5,14), o: Ti sono rimessi i tuoi peccati! (Mt 9,2 par.), o: La
tua fede ti ha salvato! (Mt 9,22 par.); oppure ti sembra di
sentire ancora quell'altra voce che dice: Vadano all’infer
no i peccatori! (Sai 9,18), e: Legatelo mani e piedi e gettate
lo nelle tenebre! (Mt 22,13), e ancora: L’empio sia tolto di
773 a mezzo, perché non veda la gloria del Signore (Is 26,10)?
Insomma cosa dici, fratello ? Rispondici, ti supplichiamo,
perché anche noi possiamo conoscere a che cosa andiamo
incontro! Infatti il tuo tempo è finito, e non ne avrai altro
per tutta l’eternità!”.
t. A queste domande alcuni dei morenti rispondevano:
“Sia benedetto il Signore che non ha respinto la mia preghie
ra e la sua misericordia lontano da me!” (Sai 65,20); altri
ancora: “Sia benedetto il Signore che non ci ha consegnato
in preda ai loro denti!” (Sai 123,6). Altri dolorosamente
dicevano: “Potrà la nostra anima attraversare le acque insor
montabili degli spiriti dell’aria?”(cf. Sai 123,5). E lo di
cevano perché non avevano ancora una piena fiducia, ma
aspettavano di vedere cosa sarebbe successo al momento
della resa dei conti. Altri poi rispondevano in modo ancor
più triste, e dicevano: “Guai a quell’anima che non avrà
i 74
custodito integra la sua professione! In quest’ora, e in 773b
questa soltanto, conoscerà quale sorte le è stata riserva
ta! Ed io, dopo aver visto e udito tali cose tra loro, ero
sul punto di cadere nella disperazione, considerando la
mia negligenza e mettendola a confronto con tutti i loro
patimenti!
u. E com’era poi il luogo in cui risiedevano e abitavano ?
Completamente oscuro, maleodorante, sudicio e squallido
- giustamente infatti era chiamato “Prigione” e “Peniten
ziario”-, al punto che anche la sola vista del luogo poteva
insegnare la perfetta penitenza e afflizione! Ma ciò che è
duro e insopportabile per altri, risulta gradevole per colo
ro che hanno perduto la virtù e la ricchezza spirituale.
Un’anima, infatti, che non ha più la franchezza di un
tempo, che ha perduto la speranza dell’impassibilità, ha
rotto il sigillo della castità, si è lasciata spogliare della rie- 773 c
chezza dei suoi carismi, è diventata estranea alla consola
zione spirituale, ha violato il patto concluso con il
Signore, ha spento il bel fuoco delle lacrime, e che, al ri
cordo di tutte queste cose, è ferita e dolorosamente trafit
ta dal rimorso, quest’anima, dico, non solo accetta queste
fatiche con tutto lo zelo di cui è capace, ma nel suo fervo
re cerca addirittura di darsi la morte attraverso l’ascesi, se
solo rimane in lei una piccola scintilla d’amore e di timo
re del Signore. Ed ecco com’erano veramente quegli uo
mini beati!
v. Avendo in mente questi pensieri e riflettendo da
quale altezza di virtù erano caduti, dicevano: “Ci ricor
diamo dei giorni di un tempo (cf. Sai 142,5) e dell’ardo
re del nostro zelo”; altri gridavano a Dio: “Dov’è la tua
misericordia di un tempo, Signore, quella che hai mostrato
alla mia anima nella tua verità? Ricordati dell’infamia e 773 d
della sofferenza dei tuoi servi” (cf. Sai 88,50-51). E un
altro diceva: “Chi mi farà ritornare ai mesi di un tempo,
*15
quando Dio mi custodiva, quando la lucerna della sua luce
risplendeva sul capo del mio cuore?” (cf. Gb 29,2-3).
Come si ricordavano poi delle virtù di una volta! Le
776 a rimpiangevano come bambini, e dicevano: “Dov’è finita
vita eterna, la quale supera il tempo della vita umana scandito dai sette giorni
della settimana. Cf. anche infra, XXVII/2,2, n. 2.
177
cora alzato dai miei piedi indegni e sudici, che Dio l’ave
va già perdonato. E non c’è da farne meraviglia, perché,
avendo accolto nel proprio cuore la fede di quella prosti-
777 a tuta dell’evangelo (cf. Le 7,38), anch’egli bagnò i miei po
veri piedi con la stessa intima fiducia: Tutto è possibile a
chi crede (Me 9,23), dice il Signore!”.
6. Ho visto anime impure furiosamente invischiate
negli amori carnali, le quali, avendo tratto dall’esperien
za di quell’amore passionale occasione di penitenza, tra
sferirono poi lo stesso amore passionale sul Signore e, cal
pestato immediatamente ogni timore, si sentirono insa
ziabilmente spronate all’amore di Dio. Perciò il Signore
non disse a quella casta peccatrice che aveva provato ti
more, ma che aveva molto amato (cf. Le 7,47), e così
aveva potuto facilmente scacciare l’amore con l’amore12.
7. Non ignoro, miei onorati fratelli, che le lotte di que
gli uomini beati da me narrate, ad alcuni sembreranno in
credibili, ad altri quantomeno difficili da credere, e per
altri ancora saranno motivo di disperazione. Ma l’uomo
coraggioso da questi racconti trarrà piuttosto uno stimo-
777 b lo, come una freccia infuocata, e se ne andrà con il cuore
ardente di zelo. Chi poi ha un ardore minore, riconosce
rà la propria debolezza e, acquistando facilmente l’umil-
178
tà con i rimproveri che rivolgerà a se stesso, correrà die
tro al primo; e non so se addirittura non lo possa raggiun
gere. Il negligente invece non ascolti questi racconti, per
ché, cadendo nella completa disperazione, non dissipi
anche quel poco che ha fatto finora, e si compia così per
lui la parola che dice: A chi non ha buona volontà, sarà
tolto anche ciò che ha (cf. Mt 25,29)!
8. Se siamo caduti nella fossa dei peccati, non potremo
mai uscirne fuori senza esserci sprofondati nell’abisso
dell’umiltà dei penitenti!
9. Altra è la mesta umiltà di coloro che si affliggono
dei propri peccati, altro è il rimorso di coscienza di colo- 777 c
ro che sono ancora nel peccato, e altra è la beata dovizia
di umiltà che i perfetti raggiungono per mezzo della gra
zia di Dio che opera in loro. Ma non affanniamoci a in
vestigare con parole questa terza forma di umiltà, perché
correremmo invano! Della seconda è segno il sopportare
pazientemente ogni tipo di umiliazione. Quanto a chi si
affligge dei propri peccati, anch’egli spesso è tiranneggia
to dalle proprie predisposizioni passionali13, e non c’è da
farne meraviglia.
10. Il discorso sui giudizi di Dio e sulle nostre cadute è
oscuro, e nessun’anima umana riesce a comprendere quali
cadute siano frutto di negligenza, quali di un abbandono
provvidenziale, e quali di un’allontanamento da parte di
Dio. Qualcuno però mi ha spiegato che le cadute che de
rivano da una disposizione provvidenziale sono seguite da
un rapido pentimento, perché Dio che ci ha consegnato a
esse, non può permettere che ne siamo dominati a lungo.
11. Noi che siamo caduti in peccato, però, combattia- 777 d
mo prima di tutto contro il demone della tristezza: co-
179
stui, infatti, presentandosi a noi al momento della pre
ghiera, e ricordandoci la franchezza che un tempo aveva
mo in essa, cerca così di renderla inefficace.
12. Non turbarti se cadi ogni giorno e non arrenderti,
ma resisti con coraggio, e il tuo angelo custode certamen
te renderà onore alla tua perseveranza. Quando la ferita
è ancora recente e calda, è facile da curare; quelle che in
vece sono ormai croniche, per il fatto che sono state ne
glette e trascurate, sono difficilmente guaribili, e la loro
cura richiede molta fatica e che vi si applichi il ferro, la
polvere disseccante e il fuoco!
13. Molte ferite col tempo diventano incurabili, ma a
Dio tutto è possibile (Mt 19,26)! Prima della caduta i de-
780 a moni affermano che Dio è misericordioso14, ma dopo la
caduta, che è inflessibile.
14. Se, dopo un grosso peccato, ti capita di commette
re piccole mancanze, non dar retta a colui che ti dice:
“Magari tu non avessi fatto quello! Questo qui infatti
non è niente! ”. Spesso infatti dei piccoli doni sono riusci
ti a placare la grande ira del giudice.
15. Chi si sottopone a un sincero esame di coscienza,
ritiene perduto ogni giorno nel quale non si sia afflitto
dei propri peccati, anche se in esso ha fatto qualche altra
buona azione.
16. Nessuno di coloro che piangono i propri peccati at
tenda il momento della propria morte per acquisire una
piena certezza15 del perdono, perché ciò che è ignoto16 è
insicuro. Per questo qualcuno disse: Dammi sollievo con
una piena certezza e riprenderò fiato, prima che me ne vada
di qui incerto della mia sorte (cf. Sai 38,14).
180
17. Dove c’è lo Spirito del Signore, ogni legame è sciolto
(cf. 2Cor 3,17)! Dove c’è umiltà profonda, ogni legame è
sciolto ! Ma coloro che partono da questa vita senza avere que
ste due certezze, non s’illudano, perché sono ancora legati.
18. Solo coloro che vivono nel mondo sono estranei a
queste due certezze, e soprattutto alla prima. Tuttavia al- 780 b
cuni compiono la loro corsa praticando l’elemosina, e
così, al momento di partire dalla vita, scoprono quel che
hanno guadagnato.
19. Chi piange se stesso non si accorgerà né del pian
to né delle cadute degli altri, né dei rimproveri che ven
gono loro mossi.
20. Un cane morso da una fiera, le si rivolta contro con
più rabbia, e per il dolore della ferita s’infuria contro di
lei con violenza ancora maggiore.
21. Stiamo attenti che la coscienza non smetta di rim
proverarci, non per aver raggiunto la purezza, ma per es
sere stata sommersa dal male!
22. Segno della remissione dei peccati è il fatto di ri
tenersi sempre debitori.
23. Non c’è niente che possa eguagliare o superare la mi
sericordia di Dio. Perciò, colui che dispera uccide se stesso.
24. Segno di autentica penitenza è il fatto di ritenersi
di tutte le tribolazioni visibili e invisibili che ci ca
pitano, e di tribolazioni ancora più grandi. 780 c
25. Mosè, dopo aver visto Dio nel roveto, ritornò in
Egitto (cf. Es 3,2-4; 4,20), ossia nelle tenebre, a fabbri
care mattoni per il faraone (cf. Es 1,14; 5,6-i4)17 - da in-
181
tendere ugualmente in senso spirituale ma poi tornò
ancora al roveto, e non solo, ma salì anche sul monte (cf.
Es 19,3). Colui che ha sperimentato la visione di Dio,
non potrà mai disperare di se stesso! Il grande Giobbe
cadde in miseria, ma poi riebbe le sue ricchezze in misu
ra doppia (cf. Gb 42,10).
26. Per gli svogliati, le cadute che avvengono dopo la
chiamata alla vita monastica, sono pericolose, perché to
gliendo loro la speranza di raggiungere l’impassibilità, li
convincono a stimare una beatitudine anche il solo fatto
di rialzarsi dal baratro.
27. Stai attento, stai attento, perché non possiamo
certo ritornare a Dio per il cammino con il quale ci siamo
traviati, ma per un altro più corto18!
28. Ho visto due uomini che correvano verso Dio sulla
stessa via e contemporaneamente: uno di loro era anzia-
780 d no e avanzato nelle fatiche ascetiche; l’altro, che era suo
182
30. Misura, esempio, modello e immagine della tua pe
nitenza siano quei santi “condannati” di cui abbiamo par
lato sopra, e non avrai più bisogno di alcun libro in que
sta vita, finché il Cristo, lui che è il Figlio di Dio e Dio, 781 a
non ti illuminerà facendoti risorgere con un’autentica pe
nitenza. Amen.
183
Discorso VI
SUL RICORDO DELLA MORTE
186
zione e quel timore che scaccia ogni timore; a meno che
tu non ti veda trascinato nell’abisso della disperazione.
12. Colui che vuole mantenere sempre in se stesso il ri
cordo della morte e del giudizio di Dio e poi si abbando
na alle preoccupazioni e alle distrazioni materiali, è simi
le a colui che mentre nuota vuole battere le mani.
13. Il vivo ricordo della morte spinge a ridurre il cibo;
e quando, in tutta umiltà, il cibo viene ridotto, vengono 796 b
recise con esso anche le passioni.
14. L’assenza di dolore nel cuore indurisce la mente.
L’abbondanza di cibo inaridisce le fonti3. La sete e la ve
glia affliggono il cuore; ma quando il cuore è afflitto,
sgorgano le acque.
15. Queste parole sembreranno dure ai golosi e incre
dibili ai fannulloni, ma l’uomo operoso cercherà subito di
metterle alla prova con zelo; colui che ne ha fatto espe
rienza ne sorriderà, ma colui che ancora ne ricerca il
senso, sarà più triste che mai.
16. Come i padri affermano che la carità perfetta non
cade mai in errore4, così io, da parte mia, dichiaro che la
perfetta coscienza della morte è esente da timore.
187
i-]. Sono molti gli esercizi della mente operosa: inten
do dire, cioè, il pensiero dell’amore che nutriamo per
Dio, il ricordo di Dio, il ricordo del Regno, il ricordo
dello zelo dei santi martiri, e il ricordo della presenza
796 c stessa di Dio accanto a noi - come ha detto il salmista:
Vedevo sempre il Signore davanti a me (Sai 15,8) -, il ricor
do delle sante potenze spirituali, il ricordo della diparti
ta, della comparizione in giudizio, della sentenza e della
punizione. Abbiamo iniziato con gli esercizi elevati, per
terminare con quelli che ci difendono dalle cadute.
18. Una volta un monaco egiziano mi fece questo rac
conto: “Dopo che il ricordo della morte mi si fu impres
so nell’intimo del cuore, una volta, per una necessità che
si era presentata, volli sollevare un po’ questo mio corpo
di fango da tale ricordo, ma ne fui impedito come da un
giudice; e la cosa straordinaria è che, pur volendo, non ri
uscii scacciarlo via ! ”.
19. Un altro monaco che abitava qui, nella località
chiamata Tola5, era spesso trasportato fuori di sé dal pen
siero della morte, e i fratelli che lo trovavano come sve
nuto o in preda a un attacco di epilessia, lo portavano via
quasi senza respiro.
796 d 20. Non voglio omettere di riferirvi neppure la storia di
188
te con nessuno, senza nutrirsi d’altro che di pane e di
acqua, e stando sempre seduto col pensiero fisso in ciò che 797 A
aveva visto nel suo rapimento: era talmente immerso nei suoi
pensieri che non cambiò mai la sua espressione, e rimanendo
sempre come in estasi, versava silenziosamente calde lacrime.
Quando era sul punto di morire, spaccammo la porta
ed entrammo dentro la sua cella, ma, per quante doman
de gli facessimo, udimmo da lui soltanto queste parole:
“Perdonatemi! Chiunque custodisca in sé il ricordo della
morte, non potrà mai peccare!”. Noi che prima lo aveva
mo visto così negligente, ci stupimmo nel vederlo com
pletamente trasformato, con un mutamento e una tra
sformazione così felici. Lo seppellimmo religiosamente
nel cimitero vicino alla fortezza7, ma il giorno dopo, cer
cando le sue sante spoglie, non le trovammo: il Signore,
anche con questo, volle rassicurare riguardo alla peniten
za scrupolosa e degna di lode di quella persona tutti co
loro che intendono correggersi anche dopo una lunga vita 797 B
di negligenza.
21. Come alcuni definiscono infinito l’abisso del
mare, e lo chiamano “luogo senza fondo”, così il pensie
ro della morte ci fa considerare la purezza e l’attività spi
rituale senza alcun limite. E ciò è confermato dal santo
di cui si è appena parlato: uomini come questi aggiungo
no continuamente timore a timore e non si fermano fin
ché non hanno esaurito tutta la forza che hanno nelle
loro ossa.
22. Convinciamoci che anche questo8 è un dono di
Dio, accanto a tutti gli altri suoi benefici. Altrimenti
come si spiega che frequentando assiduamente le tombe
189
restiamo senza lacrime e con il cuore indurito, mentre poi
ci capita assai spesso di raggiungere la compunzione senza
un tale spettacolo?
23. Chi è morto a tutto e a tutti, si ricorda della morte;
ma chi conserva in sé ancora dei legami, non ha il tempo
797 c di farlo, perché tende insidie a se stesso.
24. Non pretendere di dichiarare a tutti con parole l’a
more che nutri nei loro confronti, ma piuttosto prega Dio
che lo manifesti loro in modo misterioso; altrimenti non
ti basterà il tempo per mantenere sia le relazioni che la
compunzione.
25. Non illuderti, operaio stolto, di poter recuperare il
tempo con il tempo: un giorno infatti non ti basta nean
che per saldare integralmente al Signore il tuo debito
quotidiano9 !
26. Non è possibile - dice qualcuno - non è assoluta-
mente possibile trascorrere il giorno presente nel timore
di Dio, a meno di non considerarlo l’ultimo di tutta la no
stra vita10. Ed è sorprendente che anche i pagani abbiano
190
detto qualcosa di simile, poiché definiscono la filosofia
una “meditazione della morte”11.
Sesto gradino: colui che vi è salito non cadrà mai più nel 800 A
peccato, se sono vere quelle parole che dicono: Ricordati
della tua fine e non cadrai mai nel peccato (Sir 7,36).
191
Discorso VII
SULL’AFFLIZIONE CHE È FONTE DI GIOIA
193
ti, la non-irascibilità e la pazienza nelle offese; e di coloro
che hanno raggiunto ormai la perfezione, l’umiltà, la sete
di umiliazioni, la fame volontaria di tribolazioni involon
tarie, il rifiuto di condannare i peccatori, e una compas
sione che supera le forze umane. I primi sono accettabili,
degni di lode i secondi, e beati coloro che hanno fame di
tribolazione e sete di umiliazione, poiché essi saranno sa
ziati del cibo di cui non si avrà mai sazietà (cf. Mt 5,6)!
7. Una volta raggiunta l’afflizione, tienila stretta, per
ché prima che essa diventi parte di te, ti può essere facil
mente strappata: i rumori, le preoccupazioni materiali, le
mollezze, ma soprattutto le molte chiacchiere e il continuo
scherzare la dissolvono in un attimo come il fuoco la cera!
804 b 8. Più grande del battesimo è la fonte delle lacrime che
sgorga dopo il battesimo, per quanto l’affermazione possa
essere un po’ ardita. Il battesimo infatti ci purifica dai
peccati commessi prima, ma questa fonte da quelli com
messi in seguito3; e se il primo, avendolo ricevuto da
bambini, lo abbiamo contaminato, con la seconda lo ri
portiamo alla sua purezza. E se Dio, nel suo grande
amore per gli uomini, non avesse concesso loro questa
grazia, quelli che si salvano sarebbero veramente pochi e
difficili da trovare4!
3 Dopo il battesimo.
4 Con queste affermazioni, che possono sembrare alquanto sorprendenti -
ma che trovano paralleli nella letteratura patristica (cf. in particolare Gregorio
di Nazianzo, Orazioni 39,17 e 40,9, che potrebbero essere qui la fonte) -, Fau
tore “non intende minimamente sostituire le lacrime al sacramento del battesi
mo. Giovanni è perfettamente cosciente della condizione di unicità del battesi
mo ... Qualunque sia la loro importanza, le lacrime non sostituiscono, ma piut
tosto rinnovano il battesimo; non garantiscono la grazia divina, ma portano alla
nostra consapevolezza una grazia già accordata nel battesimo ... La supremazia
o l’efficacia del sacramento non è mai in questione, mentre c’è un’affermazione
del bisogno di una ricettività consapevole e di una continua risposta alla grazia
battesimale. Il battesimo delle lacrime illumina - non elimina - il battesimo d’ac
qua e di Spirito” (J. Chryssavgis, “Una spiritualità dell’imperfezione”, p. 183).
194
9. I gemiti e la tristezza gridano al Signore; le lacrime
che sono frutto di timore intercedono per noi; ma le la
crime che sono frutto della santissima carità ci manifesta
no che la nostra supplica è stata accolta.
10. Se è vero che nulla si accorda meglio all’umiltà del
l’afflizione, nulla le è più contrario del riso.
11. Tieni ben salda la beata e gioiosa tristezza5 frutto
della santa compunzione, e non cessare di esercitarti in
essa, finché non ti abbia elevato al di sopra delle cose di 804 c
quaggiù, e, puro, non ti abbia presentato a Cristo.
12. Non smettere mai di rappresentarti nella mente e
di scrutare l’abisso del fuoco eterno, i servitori crudeli, il
giudice spietato e inflessibile, l’abisso senza fondo delle
fiamme infernali, gli stretti precipizi di quei terribili luo
ghi sotterranei e di quelle voragini, e tutte altre immagi
ni simili, affinché la sensualità che abita la nostra anima,
stretta da grande paura, si unisca alla purezza incorrutti
bile e accolga in sé lo splendore del fuoco dell’afflizione
che brilla più dell’altro fuoco.
13. Quando supplichi il Signore nella preghiera, statte-
ne tutto tremante come un condannato che compare da
vanti al suo giudice, affinché con il contegno esteriore e
l’atteggiamento interiore tu possa riuscire a spegnere l’ira
del giusto giudice: egli infatti non può trascurare un’ani-
195
804 d ma che, come una vedova, gli compare davanti tutta do
lente e cerca di stancarlo con le sue suppliche, lui l’Instan
cabile (cf. Le 18,2-6)!
14. Per chi ha ottenuto il dono delle lacrime interiori,
ogni luogo è adatto per giungere all’afflizione; ma chi
versa ancora solo lacrime esteriori, non deve smettere di
fare discernimento sui luoghi e sui modi appropriati.
15. Se è vero che un tesoro nascosto (cf. Mt 13,44) è
più al sicuro dai ladri di quello esposto sulla piazza del
mercato, dobbiamo intendere allo stesso modo quel che
si è appena detto6.
16. Non comportarti come coloro che, appena hanno dato
sepoltura ai loro morti, prima piangono su di loro, e poi si
ubriacano in loro onore; sii piuttosto come i prigionieri nelle
miniere, che sono sferzati in ogni momento dai loro aguzzini.
17. Colui che prima si affligge, e poi si abbandona ai
piaceri e agli scherzi, è simile a chi respinge il cane della
805 a sensualità colpendolo con il pane: apparentemente lo
scaccia, ma in realtà lo incita a stargli vicino.
18. Rimani raccolto in te stesso, senza ostentazione,
tutto preso dalla cura del tuo cuore: i demoni infatti te
mono il raccoglimento come i ladri i cani.
19. Non siamo stati chiamati qui, miei cari, a una festa
di nozze! Colui che ci ha chiamati qui, dunque, ci ha cer
tamente chiamato perché ci affliggessimo su noi stessi!
20. Alcuni, mentre versano lacrime, si sforzano in modo
inopportuno di non pensare assolutamente a nulla in quel
momento beato, senza riflettere che le lacrime senza pen
siero sono proprie degli esseri privi di ragione e non degli
esseri razionali. Il pianto è figlio dei pensieri; ma il pensie
ro, a sua volta, è figlio di una mente che ragiona!
6 Le lacrime interiori, cioè, sono più sicure di quelle esteriori perché non ci
espongono al rischio della superbia.
196
21. Il tuo coricarti a letto sia per te l’immagine della
tua deposizione nella tomba, e così dormirai di meno. Lo
stesso atto del mangiare a tavola ti ricordi il doloroso 805 b
continua dei propri peccati. L’autore in questo passo capovolge la visione tra
dizionale della vita monastica come vita di perfezione e sembra dire al mona
co: “Se sei monaco e se porti l’abito nero del lutto, è perché sei un peccatore,
non un perfetto, altrimenti non ne avresti alcun bisogno”.
197
bilità della nostra natura. Ho visto infatti piccole gocce
versate a fatica come sangue, e ho visto fontane sgorgare
senza alcuna fatica: per quanto mi riguarda ho giudicato
quei sofferenti più in base alla loro fatica, che alla quan
tità delle loro lacrime; e credo che così faccia anche Dio.
26. La teologia non si addice a coloro che si affliggono,
perché essa per sua natura estingue l’afflizione: il teologo
infatti somiglia a chi è seduto in cattedra per insegnare,
805 d mentre colui che si affligge somiglia a chi è seduto sull’im-
198
29. Spesso all’afflizione gradita a Dio si mescolano le
lacrime della vanagloria, che a Dio non piacciono affatto !
E dobbiamo riconoscere questo fatto in modo sincero e
onesto, se vediamo che nonostante la nostra afflizione ci
comportiamo male.
30. La compunzione è propriamente un dolore dell’a
nima che non le permette alcuna distrazione o conforto,
ma che in ogni momento le fa immaginare la propria di
partita e attendere come acqua refrigerante la consolazio
ne che Dio accorda ai monaci umili (cf. 2Cor 7,6).
31. Tutti coloro che hanno raggiunto l’afflizione nel- 808 b
l’intimo senso del cuore11, hanno anche preso in odio la
propria stessa vita, perché piena di fatiche e fonte di la
crime e dolori; al proprio corpo poi hanno voltato le spal
le come a un nemico.
32. Quando in coloro che sembrano affliggersi secondo
Dio notiamo ira e superbia, riteniamo pure che le loro la
crime siano cattive, poiché sta scritto: Quale comunione ci
può essere tra la luce e le tenebre? UCor 6,14).
33. La falsa compunzione genera la presunzione; quel
la autentica e degna di lode, la consolazione. Come il
fuoco divora la paglia, così le lacrime pure eliminano ogni
sozzura, sia esteriore che interiore.
34. Molti padri definiscono oscuro e difficile il discorso
relativo alle lacrime, specialmente nel caso dei principian
ti, perché esse possono essere prodotte - dicono - da cause
molteplici e svariate12. Intendo dire, cioè, dalla natura, da
Dio, da una sofferenza generata dal peccato o degna di
11 Si tratta cioè deirautentica afflizione provata nel profondo del cuore. Sul
concetto di “senso del cuore” cf. infra, “Glossario”, s.v. “Senso/sentimento
spirituale, o del cuore”.
12 Giovanni Cassiano, in Conferenze IX,29, è il primo a fornire una classi
199
808 c lode, dalla vanagloria, dall’impudicizia, dalla carità, dal
ricordo della morte e da molte altre cause.
35. Dopo aver esaminato grazie al timore di Dio queste
diverse forme di lacrime, procuriamoci per noi le lacrime
pure e senza inganno che sono prodotte dal pensiero della
nostra morte: in esse infatti non c’è rischio né di presun
zione né di furto, ma grazie ad esse si ottiene piuttosto la
purificazione, il progresso nell’amore di Dio, l’abluzione
dal peccato e l’impassibilità.
36. Non c’è da meravigliarsi se coloro che si affliggo
no iniziano con lacrime buone e finiscono con lacrime
cattive, ma ciò che è veramente degno di lode è il fatto
di poter passare da lacrime cattive, o semplicemente na
turali, a lacrime spirituali! E quelli che hanno una forte
inclinazione alla vanagloria sanno bene di cosa si tratta.
37. Non credere alle tue lacrime che sgorgano come
fontane, prima di esserti purificato perfettamente: non si
dà fiducia, infatti, al vino appena spremuto dai torchi!
808 d Nessuno contesta che tutte le nostre lacrime, purché con
formi alla volontà di Dio, siano assolutamente utili; ma
quale sia il guadagno che ne ricaviamo, verremo a saper
lo solo al momento della nostra dipartita.
38. Colui che vive nella continua afflizione secondo Dio,
non cessa di essere in festa ogni giorno; ma colui che non cessa
di far festa materialmente, erediterà un’eterna afflizione !
39. Non esiste alcuna gioia per i condannati in prigione,
né alcuna festa per i veri monaci in terra. Ed è forse per
questo che quell’autentico modello di afflizione diceva ge
mendo: “Fa' uscire la mia anima dal carcere (Sai 141,8), per
ché io possa finalmente esultare nella tua ineffabile luce ! ”.
40. Sii come un re nel tuo cuore, seduto sul trono sub-
809a lime dell’umiltà, e comanda al riso: “Va’ via!”, e se ne
vada; al dolce pianto: “Vieni!”, e venga; al corpo, nostro
servo e tiranno: “Fa’ questo!”, e lo faccia (cf. Mt 8,9).
200
41. Chiunque ha indossato, come un manto nuziale,
l’afflizione beata e piena di grazia, ha conosciuto il sorriso
spirituale dell’anima. Chi è mai colui che nella vita mona
stica ha speso tutto il proprio tempo in modo così santo da
non aver mai perso né un giorno, né un’ora, né un istan
te, ma li ha spesi interamente per il Signore, pensando che
nella vita non si può vedere due volte lo stesso giorno ?
42. Beato quel monaco che può contemplare con gli
occhi dell’anima le potenze angeliche! Ma davvero im
peccabile colui che, attraverso il ricordo della morte e dei
propri peccati, bagna incessantemente le proprie guance 809 b
con acque vive! Non faccio fatica a credere che la prima
condizione proceda dalla seconda13.
43. Ho visto mendicanti e poveri sfrontati riuscire in
poco tempo a muovere a compassione con le loro parole
furbe perfino i cuori dei re; e ho visto poveri e mendican
ti di virtù gridare sfrontatamente e insistentemente al Re
celeste, dal profondo del loro cuore disperato, usando
non parole furbe ma piuttosto parole umili, piene di te
nebra e di trepidazione, e riuscire con la loro violenza a
violentare la sua misericordia e la sua natura che non può
subir violenza (cf. Mt 11,12; Le 16,16).
44. Colui che s’inorgoglisce nell’anima delle proprie la
crime e dentro di sé condanna coloro che non piangono,
è simile a colui che, dopo aver chiesto al re un’arma con
tro i propri nemici, la usasse per uccidere se stesso! 809c
45. Dio, miei cari, non ha alcun bisogno, né vuole, che
l’uomo si affligga per il dolore del cuore, ma vuole piut
tosto che gioisca per amor suo nel sorriso dell’anima.
L’autore anche qui segue fedelmente l’insegnamento dei padri del deser
to: cf. Apoftegmi Nau 332: “Chiesero a un anziano: ‘Come mai alcuni dicono di
vedere gli angeli?’. Rispose: ‘Beato colui che vede sempre il proprio peccato!”’.
201
46. Togli il peccato, e le lacrime di dolore sugli occhi
del tuo corpo saranno superflue: dove non c’è piaga, infat
ti, non c’è alcun bisogno del rasoio! Prima della trasgres
sione Adamo non aveva lacrime, come non ne resteranno
dopo la risurrezione, quando il peccato sarà distrutto, per
ché dolore, tristezza e pianto saranno fuggiti (Is 35,10).
47. Ho visto alcuni affliggersi, e altri affliggersi per man
canza di afflizione: essi, pur possedendola, vivono come se
non la possedessero, e grazie a questa beata ignoranza re
stano al sicuro da ogni rapina; e questi sono coloro di cui
sta scritto: Il Signore rende sapienti i ciechi (Sai 145,8).
809 d 48. Accade spesso che anche le lacrime siano motivo
202
Signore: allora nell’anima non c’è più alcun piacere spia
cevole, perché Dio consola segretamente i contriti di cuore
(cf. Sai 50,19)! Ma come stimolo per acquistare un’af
flizione veramente efficace e un dolore ricco di frutti,
ascoltiamo un racconto utile all’anima e in grado di susci
tare grandissima pietà.
Un tale Stefano, che abitava qui16 e conduceva vita so
litaria nell’esichia, aveva passato molti anni nella palestra
della vita monastica, ed era ormai tutto adorno di digiu
ni, e soprattutto di lacrime, e ricolmo di altri bei frutti di 812 B
virtù. La sua cella era sulla pendice del santo profeta
Elia, su questa santa montagna. Quest’uomo venerabile,
dunque, allo scopo di poter praticare una maggiore e più
austera penitenza, decise di stabilirsi nella regione degli
anacoreti chiamata Siden. Dopo aver vissuto là per alcu
ni anni nella più stretta e rigida austerità - poiché quel
luogo era privo di ogni conforto e quasi inaccessibile agli
uomini, trovandosi a quasi settanta miglia dalla fortezza17
-, verso la fine della sua vita, l’anziano ritornò nella sua
cella sulla santa cima; là aveva anche due discepoli pale
stinesi, molto devoti, che avevano custodito la sua cella
prima del suo ritorno.
Dopo pochi giorni egli si ammalò di una malattia che lo 812 C
portò alla morte. Ma il giorno prima di morire, fu rapito
in spirito, e con gli occhi spalancati guardava a destra e a
sinistra del letto; e come se qualcuno lo stesse sottoponen
do a un esame, mentre tutti i presenti l’udivano, a volte ri
spondeva: “Sì, certo, è vero, ma per questo ho digiunato
tanti anni!”; altre volte: “No! State certamente menten
do, questo non l’ho fatto!”; e ancora: “Sì, questo è vero,
sì, ma ho pianto e ho adempiuto al mio servizio!”; e di
203
nuovo: “No, mi calunniate!”; e a volte a certe accuse ri
spondeva: “Sì, è vero, sì! A questo non so cosa risponde
re ! Dio è misericordioso ! ”. Era uno spettacolo orrendo e
terribile: un processo invisibile e senza pietà! Ma più ter
ribile ancora era il fatto che lo accusavano anche di ciò
812 d che non aveva fatto. Oh! Proprio lui che era un esicasta e
204
perché l’afflizione è un dolore stabilmente radicato in
un’anima in fiamme! Per molti l’afflizione è stata come
il “precursore” della beata impassibilità, avendo prepara
to, purificato e consumato il corpo materiale.
52. Una volta un bravo operaio di questa virtù mi disse:
“Spesso quando ho cercato di abbandonarmi alla vanaglo- 813 b
205
56. Non correre verso la contemplazione quando non
è il momento della contemplazione, affinché sia essa a in
seguire e raggiungere la bellezza della tua umiltà, per
unirsi a te in purissime nozze per i secoli dei secoli.
57. Quando agli inizi il bambino riconosce suo padre,
si riempie tutto di gioia; ma se il padre, per qualche mo
tivo, si assenta per un certo tempo e poi ritorna di nuovo,
il bambino è pieno di gioia e di tristezza allo stesso
tempo: di gioia perché vede colui che desidera, e di tri
stezza per essere stato privato per tanto tempo della sua
piacevole bellezza.
58. Talvolta la madre si nasconde al bambino, e quan-
813 d do vede ch’egli la cerca in lacrime, ne è contenta: così gli
insegna a rimanere sempre attaccato a lei, accendendo nel
bambino un amore sempre più ardente verso di lei22 * *. Chi
ha orecchi per ascoltare ascolti! (Le 14,35), dice il Signore.
22 L’immagine della madre e del bambino è spesso utilizzata dai padri per
descrivere il rapporto tra Dio e il credente: cf. Diadoco di Fotica, Capitoli 86:
“Avviene che la grazia ... nasconda spesso la sua presenza allo spirito per sol
lecitare, per così dire, l’anima con l’amarezza provocata dai demoni, perché
questa, nel timore più assoluto e nell’umiltà più piena, cerchi allora il soccor
so di Dio e poco alla volta riconosca la malizia del suo nemico. La grazia si
comporta come una madre che respinge per un po’ dalle sue braccia il proprio
bambino indocile alla regolamentazione delle poppate, e gli fa paura prospet
tandogli le cose che lo circondano come uomini repellenti o bestie feroci di
qualsiasi forma, perché egli con grande timore pur tra le lacrime ritorni al seno
materno”; Pseudo-Macario, Omelìe (Coll. II) 46,3: “Il bambino, se pure non
può far nulla ed è incapace di raggiungere sua madre reggendosi sulle proprie
gambe, tuttavia si rigira, grida e piange cercando sua madre ed essa si lascia
commuovere e gioisce al vedere che il bambino la cerca con pena e grida; e se
il bambino non è in grado di raggiungerla, è la madre stessa che a motivo del
grande desiderio del bambino va da lui, prigioniera del suo amore per lui, e lo
prende tra le braccia, lo consola, lo nutre con immensa tenerezza. Così si com
porta il Dio amico degli uomini con l’anima che viene a lui e lo desidera con
brama ardente. Anzi, spinto da un ben più profondo amore e dalla sua dolce
bontà si unisce ai suoi pensieri e diviene un solo spirito con essi, secondo la pa
rola dell’Apostolo (cf. iCor 6,17)”; cf. anche ibid. 31,4; Efrem il Siro, Sulla
compunzione, p. 377; Id., Come Vanima deve pregare con le lacrime, pp. 60-61;
Giovanni Cassiano, Conferenze XIII,14.
206
59- Il condannato che ha ricevuto la sentenza di morte
non potrà più preoccuparsi delle programmazioni degli
spettacoli teatrali; e così chi piange in modo sincero non
deve più badare ai piaceri, alla gloria o alla collera!
60. L’afflizione è un dolore stabilmente radicato in
un’anima penitente, che aggiunge dolore a dolore, come
una donna nelle doglie del parto.
61. Giusto e santo è il Signore (cf. Sai 144,17): egli pro
cura giustamente la compunzione a chi giustamente vive
nell’esichia, e rallegra ogni giorno chi vive giustamente
nella sottomissione. Ma chi non segue in modo autentico 816 a
una di queste due vie, è privato dell’afflizione!
62. Respingi il cane che si avvicina a te quando sei im
merso nell’afflizione più profonda per suggerirti che Dio è
senza compassione: se lo osservi attentamente, infatti, sco
prirai che è quel cane che, prima del peccato, chiamava Dio
misericordioso, compassionevole e pronto al perdono23.
63. L’esercizio assiduo favorisce la continuità24, e que
sta si traduce in esperienza sensibile; e ciò che si è realiz
zato in un’esperienza sensibile, difficilmente ci potrà es
sere strappato.
64. Per quanto sublimi possano essere gli stili di vita
da noi intrapresi, se non abbiamo il cuore addolorato,
consideriamoli pure come inutili e falsi!
65. E necessario - sì veramente necessario! - che co
loro che si sono nuovamente contaminati dopo il lavacro
battesimale ripuliscano le loro mani, per così dire, dalla
pece del peccato con il fuoco incessante del cuore e l’olio
della misericordia di Dio25.
25 Cf. supra, V I , 1 1 .
24 Sottinteso: “Dell’afflizione”.
25 Lett.: “Con Folio di Dio”. In greco c’è un gioco di parole tra élaion
207
816 b 66. Ho visto alcuni giungere all’estremo limite dell’af
flizione: li ho visti infatti versare materialmente sangue
dalla bocca, a causa del dolore e della ferita del loro cuore;
e mi sono ricordato di colui che ha detto: Sono stato fal
ciato come erba, e il mio cuore è inaridito (Sai 101,5).
67. Le lacrime che nascono dal timore trovano in se
stesse garanzia di protezione, mentre quelle che nascono
dall’amore, possono essere facilmente sequestrate a chi
non abbia ancora raggiunto un amore perfetto; a meno
che quel fuoco memorabile26, al momento di agire, non
abbia incendiato completamente il cuore. E sorprenden
te notare come la cosa più umile nel giusto momento sia
anche la più sicura.
68. Vi sono cose materiali che inaridiscono le nostre
fonti, e ve ne sono altre che addirittura producono fango
816 c e generano belve al loro interno. Le prime portarono Lot
a unirsi alle proprie figlie contro ogni buon costume (cf.
Gen 19,30-38); le seconde provocarono la caduta del
diavolo27.
69. La malizia dei nostri nemici è cosi grande, che sono
capaci di trasformare le madri delle virtù in madri dei
vizi, e le cose che potrebbero generare l’umiltà in cause
di superbia!
70. Spesso gli stessi luoghi in cui abitiamo e il loro
aspetto sono capaci di richiamare la nostra mente alla
compunzione: ti convinca di questo fatto l’esempio di
Gesù, di Elia e di Giovanni che pregavano nella solitudi
ne (cf. Me 1,35 par.; iRe 19,9-18; Mt 3,1 par.).
26 Cioè 1*amore.
27 Secondo YExegesis (p. 206) ciò “che inaridisce le nostre fonti” è il vino
bevuto senza misura: Lot infatti si unì alle sue figlie dopo essersi ubriacato; le
cose che generano le “belve” (cioè le passioni) sono invece il potere e gli onori
che gonfiano d’orgoglio chi li possiede: Satana-Lucifero infatti proprio per que
sto motivo decadde dalla sua condizione angelica.
208
71. Spesso ho visto lacrime suscitate anche in mezzo
alle città e ai rumori, per far credere ad alcuni che da tale
confusione non possono ricevere alcun danno, e così farli
avvicinare al mondo: è proprio questa infatti l’intenzione
dei demoni malvagi.
72. Spesso una sola parola basta a dissipare l’afflizio
ne. Ma sarebbe un vero miracolo se una sola parola ba- 816 d
stasse anche a farla tornare!
73. Quando la nostra anima lascerà questa vita, miei
cari, non verremo accusati né di non aver fatto miracoli,
né di non aver praticato la teologia, né di non essere stati
dei contemplativi, ma certamente dovremo rendere conto
a Dio di non aver custodito incessantemente l’afflizione!
209
Discorso Vili
SULLA NON-IRASCIBILITÀ E SULLA MITEZZA
211
7. La collera è un movimento che rende instabile il ca
rattere e deforma l’anima.
8. Come all’apparire della luce le tenebre si ritirano,
così al profumo dell’umiltà ogni irritazione e collera
scompare. Alcuni, pur essendo facili alla collera, non si
preoccupano affatto di curarla e di cercare dei rimedi per
essa; quegli sventurati non ascoltano colui che dice:
L’istante della sua collera è la sua caduta (Sir 1,22)!
829 a 9. Un rapido movimento della mola2 può, in un solo
istante, tritare e distruggere nell’anima più grano e più
frutto di qualsiasi altro movimento che duri un intero
giorno: perciò bisogna stare attenti!
10. La vampata improvvisa di un fuoco suscitata da un
vento impetuoso può bruciare e distruggere il campo del
cuore più di un fuoco che arde costante per lungo tempo.
11. Neanche questo deve sfuggirci, miei cari: che a
volte i demoni malvagi, quando lo ritengono opportuno,
si ritirano, per far sì che noi, a forza di trascurare come
insignificanti le nostre gravi passioni, finiamo per con
trarre dei mali incurabili.
12. Come una pietra appuntita e dura, se urta e sbat
te contro altre pietre, smussa tutte le sue punte e tutta la
sua durezza e diventa rotonda, così anche un’anima spi
golosa e rigida, se si mescola a una folla di uomini duri e
829 b irascibili, e vive insieme a essi, dovrà scegliere tra una
delle due cose: o curerà la propria ferita per mezzo della
pazienza, o, se si ritira, dovrà assolutamente riconoscere
la propria debolezza, perché quella sua vile fuga, come
uno specchio, gliela manifesterà in modo evidente3.
212
13.Il collerico è un epilettico volontario che, per ef
fetto di una predisposizione involontaria, dà in escande
scenza e cade.
14. Nulla è più sconveniente ai penitenti quanto il
fatto di lasciarsi sconvolgere dalla collera, poiché la peni
tenza richiede molta umiltà, e invece la collera è sintomo
della più grande presunzione!
15. Se il limite estremo della mitezza è rimanere tranquil
li nel proprio cuore anche davanti a chi ci provoca, nutren
do per lui sentimenti di amore, certamente il limite estremo
della collera è continuare a litigare e a imbestialirsi a parole
e a gesti contro chi ci ha offeso, anche quando si vive da soli.
16. Se lo Spirito santo è definito come la pace dell’anima
(cf. Rm 8,6; Gal 5,22)4, e lo è veramente, e se l’ira è ed è 829 c
chiamata turbamento del cuore, allora niente come la colle
ra è capace di impedire la venuta dello Spirito santo in noi.
17. Sappiamo che i rampolli dell’ira sono moltissimi e
detestabili, ma ne abbiamo trovato uno solo che, genera
to da essa suo malgrado, risulta utile, pur essendo ba
stardo. Ho visto alcuni furiosamente infiammati dall’ira
riuscire in questo modo a vomitare un rancore segreta-
mente covato da tempo, liberandosi di una passione at
traverso un’altra passione e ottenendo da parte di chi li 829 d
213
18. Contro questo serpente6 ci è necessaria molta atten
zione, perché anch’esso, come il serpente della fornicazio
ne, ha come alleato la nostra stessa natura! Ho visto per
sone adirate rifiutare il cibo per l’irritazione, ma con que
sta loro assurda astinenza non fecero altro che aggiungere
veleno a veleno! Ne ho visti altri che, approfittando della
collera, come se fosse una giustificazione sensata - quan
do in realtà è assurda! -, .si abbandonarono alla furia del
832a ventre, e dalla fossa caddero nel precipizio! Ne ho visti
altri ancora, giudiziosi come dei bravi medici, che, con
temperando l’uno e l’altro eccesso, trassero grandissimo
giovamento da una alimentazione equilibrata.
19. A volte il canto misurato riesce a calmare la collera
in modo eccellente, ma altre volte, quando è senza misu
ra e inopportuno, stimola la ricerca del piacere: fissiamo
perciò dei tempi precisi, così da poterne fare buon uso !
20. Un giorno, trovandomi per una qualche necessità
fuori della cella di alcuni esicasti, li ho sentiti baruffare da
soli nella loro cella, come pernici in gabbia, per l’irritazio
ne e la collera che avevano, avventandosi contro la perso
na che li aveva offesi come se fosse realmente presente ! A
essi consigliai rispettosamente di non vivere più da solita
ri, per non diventare demoni, da uomini che erano.
Ne ho visti altri, invece, che per indole erano sensuali e
amanti dei cibi, affabili e complimentosi, affettuosi con i
832 b loro fratelli e attirati dai bei volti: a essi consigliai di ricer
care l’esichia come antidoto contro la sensualità e la gola,
se da uomini dotati di ragione quali erano, non volevano
ridursi nella condizione miserabile di bestie senza ragione.
Quando poi alcuni mi confessarono di sentirsi misera
mente trascinati a entrambi i vizi7, proibii loro assoluta-
214
mente di vivere a proprio arbitrio, suggerendo amichevol
mente ai loro superiori di consentire loro di abbracciare
ora l’uno, ora l’altro regime di vita8, a condizione però che
in tutto fossero perfettamente sottomessi e obbedienti al
superiore e alla loro guida.
21. Chi è portato ai piaceri corrompe se stesso, e forse
anche qualche altro suo complice; ma chi è portato alla
collera spesso, come un lupo, sconvolge l’intero gregge e
ferisce molte anime umili!
22. E grave, certo, turbare l’occhio del proprio cuore9 832 c
con la collera, come dice: II mio occhio è sconvolto per la col
lera (Sai 6,8); è ancor più grave manifestare con le labbra la
violenza che si ha nell’anima; ma venire alle mani è del tutto
contrario ed estraneo alla vita monastica, angelica e divina !
23. Se vuoi liberare l’occhio di qualcuno da una festuca (cf.
Mt 7,3) - o piuttosto hai la pretesa di farlo -, non cercare di
toglierla con una trave invece che con un bisturi, perché fi
nirai per spingerla più dentro. La “trave” sono le parole dure
e i gesti inconsulti; il “bisturi”, invece, l’insegnamento paca
to e la correzione paziente. Rimprovera, correggi, esortai (2Tm
4,2), dice l’Apostolo, ma non dice anche: “Percuoti!”; e se
proprio ce n’è bisogno, fallo raramente e non di tua mano10.
testimonia in una catechesi come nella sua comunità monastica si facesse un uso
distorto di queste parole della Scala; cf. Piccole catechesi 47: “Coloro di cui stia
mo parlando non solo insultano in modo furibondo, ma arrivano addirittura a
picchiare; e tutto ciò nei confronti di fratelli che portano il loro stesso abito!
Se poi sono rimproverati per il loro comportamento sconsiderato, rispondono di
non essere colpevoli in base alla regola, poiché dicono: ‘Non abbiamo picchiato
in prima persona ma tramite altri!', prendendo così a difesa della loro passione
quella breve sentenza della Scala, senza accorgersi che quelle parole sono forza
te e non conformi alla legge di Dio! E lo dimostra lo stesso padre quando cita
le parole dell’Apostolo e dice: ‘Ammonisci, rimprovera, esorta, però non dice
anche: Picchia!’. Se dunque non ha detto di picchiare, chi osa aggiungere o to
gliere qualcosa alle parole che l’Apostolo ci ha consegnato?”.
215
24. Prestiamo attenzione, e vedremo che ci sono molte
persone irascibili che praticano con zelo il digiuno, le ve-
832 d glie e l’esichia: lo scopo del demonio, infatti, è di insinua
re in loro ciò che è in grado di alimentare e accrescere la
passione con il pretesto della penitenza e dell’afflizione11.
25. Se un solo lupo, come abbiamo già detto, può scon
volgere l’intero gregge con l’aiuto del diavolo, certamen
te anche un solo fratello pieno di sapienza, come un otre
pieno d’olio12, è in grado di calmare i flutti e di porre in
salvo la nave con l’aiuto di un angelo, ricevendo da Dio
una ricompensa grande quanto la condanna del primo e
diventando un esempio utile per tutti.
26. L’inizio della beata mitezza è accogliere le umilia
zioni con amarezza e dolore dell’anima; il grado interme
dio è sopportarle senza dolore; e la perfezione - se esiste
833 a - è di considerarle come onori. Rallegrati, tu che sei nella
prima condizione! Fatti forza, tu che sei nella seconda!
E beato te che sei nella terza condizione, perché esulti
nel Signore!
27. Negli iracondi ho potuto notare un pietoso spettaco
lo che essi offrivano attraverso il loro orgoglio, senza nep
pure avvedersene: dopo essersi adirati, infatti, si adirava
no di nuovo per essersi lasciati vincere dall’ira. Io mi me
ravigliavo di veder punita una caduta con un’altra caduta,
e provavo pietà per loro, nel vedere come vendicassero un
peccato con un altro peccato. Atterrito dalla malizia dei
demoni, per poco non disperavo della mia stessa vita.
28. Se qualcuno si accorge di essere facilmente vinto
dall’orgoglio, dagli scatti d’ira, dalla malignità e dall’ipo
crisia, e decide di sguainare contro queste passioni la
216
spada a doppio taglio della dolcezza e della mitezza,
dovrà entrare, per così dire, in una salutare lavanderia13,
ossia in una comunità di fratelli, i quali dovranno essere
quanto mai duri, se egli vuole davvero spogliarsi perfet
tamente di tali passioni. E ciò affinché là sia stirato e per
cosso spiritualmente dagli insulti, dalle umiliazioni e dalle 833 b
2x7
anche di tutte le altre passioni - hanno cause e origini mol
teplici. Perciò è impossibile definire un’unica regola con
tro queste passioni; il mio consiglio, piuttosto, è che cia
scuno dei malati ricerchi con tutta la cura e l’impegno pos-
833 d sibili il metodo di guarigione a lui adatto. E la prima cura
sarà proprio riconoscere la causa del proprio dolore, giac
ché, una volta che avremo trovato la causa, noi malati po
tremo ricevere il rimedio efficace contro di essa dalla
provvidenza di Dio e dai nostri medici spirituali.
31. Coloro che vogliono entrare insieme a noi nel tri
bunale spirituale che stiamo per proporre come esempio,
vi entrino, e insieme cerchiamo di fare in qualche modo
l’esame delle suddette passioni e delle loro cause!
La collera, questa tiranna, sia dunque legata nelle cate
ne della mitezza, percossa dalla pazienza, trascinata a
forza dalla santa carità e, una volta fatta comparire da
vanti a questo tribunale della ragione, sia esaminata come
si conviene con queste domande: “Dicci, o stolta e sfron
tata, il nome di colui che ti ha generata e di colei che ti
ha sventuratamente partorita, e i nomi dei tuoi figli e
836 a delle tue figlie immonde; e non solo, ma rivelaci anche
chi sono coloro che ti fanno guerra e ti uccidono ! ”. E lei,
rispondendoci, dirà pressappoco così: “Le mie madri
sono molte, e mio padre non è unico. Le mie madri sono:
la vanagloria, l’avarizia, l’ingordigia, e talvolta anche la
fornicazione. Colui che mi ha generato si chiama orgo
glio. Le mie figlie sono il rancore, l’inimicizia, l’autogiu-
stificazione e l’odio. I miei avversari, che ora mi tengono
in catene, sono le virtù opposte a queste passioni: la non
irascibilità e la mitezza. Colei che m’insidia si chiama
umiltà. Ma se poi volete sapere chi l’ha generata, doman
datelo a lei, al momento opportuno14!”.
218
Nell’ottavo gradino viene assegnata la corona della 836 b
219
Discorso IX
SUL RANCORE
221
5- Un banchetto di carità dissipa l’odio, e dei doni sin
ceri raddolciscono l’anima; ma un banchetto imbandito
senza la necessaria attenzione genera eccessiva familiari
tà, e per la porticina della carità entra l’ingordigia!
6. Ho visto l’odio rompere le catene della fornicazione
in cui qualcuno era imprigionato da lungo tempo, e - cosa
sorprendente ! - il rancore custodire tale rottura anche in
seguito1. Che spettacolo straordinario: un demonio che
guarisce un altro demonio! Ma ciò forse è opera della
provvidenza di Dio e non dei demoni.
7. Il rancore è lontano dalla solida e autentica carità, ma
841 c a essa si avvicina facilmente la fornicazione: la puoi vedere
infiltrarsi di nascosto come un pidocchio in una colomba!
8. Se vuoi coltivare il rancore, coltivalo contro i demo
ni, e se vuoi odiare, non cessare mai di odiare il tuo
corpo! La carne è un’amica sconsiderata e infida, e più ci
si prende cura di lei, più ci fa torto.
9. Il rancore è un esegeta della Scrittura che interpreta
allegoricamente le parole dello Spirito piegandole alla pro
prie intenzioni. Ma lo svergogni la preghiera di Gesù, che
non possiamo dire insieme a lui se siamo pieni di rancore2 !
10. Se, dopo aver molto lottato, non sei ancora riuscito
a eliminare questa spina fino in fondo, dà segni di penti
mento al tuo nemico, almeno a parole, perché, a lungo an
dare, tu possa vergognarti dell’ipocrisia che nutri nei suoi
confronti e così, stimolato dalla tua coscienza come da un
fuoco, tu possa arrivare ad amarlo in modo perfetto.
1 L'autore vuol dire che un rapporto troppo esclusivo tra due monaci, che
rischiava di trasformarsi in una relazione impura e passionale, fu troncato ef
ficacemente da un'inimicizia, che suscitò prima l'odio e poi il rancore per le of
fese subite da parte di entrambi.
2 II riferimento non è all'invocazione del nome di Gesù (come in XV,5i),
ma alla recita del Padre Nostro, la preghiera insegnata da Gesù, in cui è conte
nuta la domanda: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai no
stri debitori ! ”.
222
11. Saprai di esserti allontanato da questa cancrena,
non quando pregherai per colui che ti ha fatto torto, né
quando lo ricambierai con doni, né quando lo inviterai a 841 D
tavola, ma quando, venendo a sapere che gli è capitata
qualche sventura, spirituale o materiale, te ne dorrai e
piangerai come per te stesso.
12. Un esicasta rancoroso è un aspide che si nasconde
nella tana e porta in sé un veleno mortale. Il ricordo delle
sofferenze di Gesù guarirà Tanima che serba rancore, fa
cendola vergognare grandemente di fronte alla sua man
suetudine.
13. I vermi nascono nel legno marcio: così il risenti
mento si attacca ai temperamenti che sono miti e pacifi
ci soltanto in apparenza. Chi ha allontanato il risentimen
to, ha trovato il perdono; ma chi vi si attacca, si priva
della misericordia di Dio (cf. Mt 6,14-15).
14. Alcuni per ottenere il perdono si sono sottoposti a
fatiche e sudori, ma l’uomo che non conserva rancore ha
già superato queste cose, se sono vere le parole che dico- 844 a
no: “Perdonate immediatamente, e vi sarà perdonato in
abbondanza!” (cf. Le 6,37).
15. L’assenza di rancore è indizio di autentica peniten
za. Chi invece conserva l’inimicizia, anche se crede di fare
penitenza, è simile a chi in sogno è convinto di correre.
16. Ho visto persone piene di rancore esortare altri a
dimenticare i rancori; comunque, svergognate dalle loro
stesse parole, finirono per liberarsi da tale passione.
17. Che nessuno consideri questa passione tenebrosa
come una cosa da nulla, perché spesso può arrivare a con
quistare perfino gli uomini spirituali!
223
Discorso X
SULLA MALDICENZA
225
mo, senza metterlo in ridicolo ! É questa infatti la forma
di carità gradita al Signore.
4. Non ti dimenticare di questo, e certamente starai
ben attento a non giudicare chi pecca: Giuda faceva parte
della cerchia dei discepoli (cf. Mt 26,14-16 par.), e il
buon ladrone della schiera degli assassini (cf. Le 23,42-
43); ma è straordinario come in un solo istante essi si
siano scambiati di posto1 !
5. Se qualcuno vuole vincere lo spirito della maldicen
za attribuisca la colpa non a chi commette il peccato, ma
al demone che glielo ha suggerito. Nessuno, infatti, vuole
peccare contro Dio, sebbene tutti noi pecchiamo senza
esservi costretti.
6. Ho visto una persona peccare in pubblico e poi pen
tirsi in segreto; e ho scoperto che colui che avevo condan-
848 a nato come fornicatore, era considerato casto da Dio, poi
ché con la sua sincera conversione si era procurato la be
nevolenza divina.
7. Non aver riguardo per chi parla male del suo pros
simo davanti a te. Digli piuttosto: “Smettila, fratello! Io
cado ogni giorno in peccati ben più gravi, e come posso
condannare quello là?”. Otterrai così un doppio guada
gno: con una sola medicina guarirai te stesso e il tuo
prossimo!
8. Questa è una delle vie più brevi che conducono al
perdono dei peccati, intendo dire il fatto di non giudica
re; se sono vere quelle parole: Non giudicate e non sarete
giudicati! (Le 6,37). Il fuoco è nemico dell’acqua, quanto
il giudicare è estraneo a colui che vuole fare penitenza.
1 Cf. Apoftegmij Xanthia i: “Il padre Xanthia disse: ‘Il ladrone pendeva
dalla croce e fu giustificato da una sola parola; e Giuda, che era stato annove
rato con gli apostoli, in una sola notte perse ogni fatica e piombò dai cieli all'in
ferno. Perciò nessuno che compie il bene si deve gloriare, poiché tutti quelli
che hanno avuto fiducia in se stessi sono caduti!”'.
226
9. Anche se vedi qualcuno peccare in punto di morte,
non condannarlo neanche allora, poiché il giudizio di Dio
rimane nascosto agli uomini! Alcuni in pubblico hanno
commesso grandi peccati, ma in segreto hanno fatto 848 b
opere virtuose ancora più grandi, e così i loro calunnia-
tori si sono ingannati fermandosi a contemplare il fumo
invece del sole!
10. Ascoltatemi, ascoltatemi, tutti voi perfidi censori
delle azioni altrui! Se è vero, come è vero, che col giu
dizio con cui giudicate sarete giudicati (Mt 7,2), certamen
te cadremo negli stessi peccati per i quali accusiamo il
prossimo, sia dell’anima che del corpo! E non può esse
re altrimenti.
11. Quei censori scrupolosi e inflessibili delle man
canze del loro prossimo sono soggetti a questa passione
perché non si sono ancora presi la briga di ricordare e
considerare i propri peccati in modo attento e preciso.
Chiunque infatti, dopo aver rimosso il velo dell’amore
di sé, riuscisse a vedere con esattezza i propri peccati,
non penserebbe a nient’altro nella vita, ritenendo che
tutto il suo tempo non potrebbe bastargli per affligersi 848 c
su di sé, neanche se vivesse cent’anni, e neanche se ve
desse l’intero fiume Giordano scorrere giù dai suoi occhi
in lacrime!
12. Ho esaminato l’afflizione, e in essa non ho trova
to traccia di maldicenza o di condanna del prossimo.
13. I demoni ci costringono a peccare, oppure, se non
pecchiamo, a giudicare chi pecca; e questo per riuscire,
da omicidi quali sono, a insozzare il nostro primo com
portamento con il secondo. Sappi che le persone rancoro-
se e calunniatrici si riconoscono da questo: dal fatto che
biasimano e denigrano volentieri e con grande facilità gli
insegnamenti, le azioni o i risultati positivi del prossimo,
miseramente immersi come sono nello spirito dell’odio.
227
14- Ho visto persone che, di nascosto e lontano dalla
vista degli altri, commettono peccati terribili, e poi, con
l’alibi della propria innocenza, si scagliano duramente
848 d contro coloro che hanno commesso peccati leggeri ma di
fronte a tutti.
15. Giudicare è impudente usurpazione di una prero
gativa di Dio, ma condannare è la rovina della propria
anima!
16. Come la presunzione, anche senza altre passioni,
può portare alla perdizione chi la possiede, così il giudi
care, anche da solo, è in grado di portarci alla totale per
dizione: il fariseo infatti fu condannato proprio per que
sto (cf. Le 18,10-14)!
17. Il bravo vendemmiatore mangia l’uva matura senza
raccogliere quella acerba. Così la mente saggia e assennata
prenderà scrupolosamente nota di tutte le virtù che vedrà
negli altri, mentre quella stolta cercherà di scoprire difet
ti e mancanze; è di essa che è stato detto: Hanno cercato
849 a le iniquità e si sono esauriti continuando a cercare (Sai 63,7).
228
Discorso XI
SULLA CHIACCHIERA E SUL SILENZIO
229
l’eccessiva familiarità, compagno dell’esichia, avversario
del gusto di insegnare, sostegno della conoscenza, creato
re della contemplazione, progresso invisibile, ascensione
nascosta.
852 c 4. Chi ha riconosciuto i propri peccati, trattiene la lin
gua; ma chi si abbandona alle chiacchiere, non è ancora
giunto a una giusta conoscenza di se stesso.
L’amico del silenzio si avvicina a Dio e, intrattenendo
si segretamente con lui, riceve l’illuminazione.
Il silenzio di Gesù mise in soggezione Pilato (cf. Mt
27,14 par.); così, l’esichia di un uomo è in grado di di
struggere la vanagloria.
5. Pietro, dopo aver pronunciato una parola, pianse
amaramente (cf. Mt 26,75 Par-) Per essersi dimenticato di
colui che disse: Dissi: “Custodirò le mie vie, per non pecca
re con la mia lingua” (Sai 38,2), e di quell’altro che disse:
“E meglio cadere a terra da un’altura che cadere con la
lingua!” (cf. Sir 20,18).
6. Riguardo a queste cose non voglio scrivere molto,
anche se gli inganni delle passioni vorrebbero spingermi
a farlo. Un giorno, però, ho sentito dire a una persona
che discuteva con me sull’esichia che la chiacchiera deri
va sempre da una di queste cause: o da una condotta e da
852 d abitudini di vita malvagie e sregolate, poiché - diceva -
230
7. Chi medita sulla propria dipartita, taglia corto con
le parole; e chi ha raggiunto l’afflizione deH’anima, fugge
la chiacchiera come il fuoco!
8. Chi ama l’esichia tiene chiusa la bocca; ma chi si
compiace di fare uscite, è scacciato dalla cella dalla pro
pria passione.
9. Chi ha conosciuto il profumo del fuoco divino,
fugge la compagnia degli uomini come l’ape il fumo; poi
ché, come il fumo scaccia l’ape, la compagnia degli uomi
ni è di ostacolo a questa persona5.
10. Assai pochi riescono a contenere l’acqua uscita 853 A
fuori dagli argini; ancora di meno, a frenare una bocca in
temperante !
231
Discorso XII
SULLA MENZOGNA
233
preghiera! Non limitarti però a fuggire, ma sciogli anche
quel malvagio consesso, come richiede la pietà, gettando
in mezzo a esso il ricordo della morte e del giudizio. E
meglio, infatti, rischiare di ricevere così qualche spruzzo
di vanagloria2, pur di recare giovamento a molti.
5. Spesso l’ipocrisia è madre e occasione di menzogna.
Secondo alcuni, infatti, l’ipocrisia non significa altro che
meditare e inventare menzogne, mescolandovi giuramen
ti colpevoli. Chi ha acquistato il timore di Dio, si è reso
estraneo alla menzogna, avendo ormai la propria coscien
za come giudice incorruttibile.
6. Come in tutte le passioni riconosciamo gradi diver
si di danno, così è anche per la menzogna. Diversa è la
856 c condanna di chi mente per paura di un castigo, e diversa
quella di chi lo fa senza esservi spinto da alcun pericolo.
C’è chi mente per capriccio, e chi per amore del piacere;
c’è chi lo fa per spingere al riso i presenti, e chi per ten
dere insidie al proprio fratello e fargli del male.
7. I magistrati eliminano la menzogna mediante le tor
ture, ma soltanto fiumi di lacrime possono distruggerla
definitivamente! Chi ricorre alla menzogna adduce come
pretesto la prudenza, e spesso considera giustizia ciò che
conduce l’anima alla perdizione. L’uomo che fabbrica
menzogne sostiene di essere imitatore di Raab (cf. Gs
2,1-21) e con la propria rovina afferma di poter procura
re la salvezza agli altri!
8. Quando ci saremo totalmente purificati dalla men
zogna, allora sì - se le circostanze lo richiederanno - po
tremo ricorrervi, ma con timore3.
234
Un bambino non conosce la menzogna, né la conosce
un’anima che si è liberata della malizia.
Chi è allegro a causa del vino che ha bevuto, senza vo
lere dirà la verità in tutto; così chi si è ubriacato di com- 856 d
punzione4, non potrà mentire.
4 L’espressione si ispira a Sai 59,5 LXX: “Ci hai fatto bere un vino di com
punzione”. Sul tema del “vino di compunzione” (collegato a quello della
“gioiosa tristezza”, cf. supra, n. 5 a VII,ii), cf. Pseudo-Giovanni Crisostomo,
Discorsi sulla penitenza 1, PG 60,697.
235
Discorso XIII
SULL’ACEDIA
237
3. Il cenobio è nemico dell’acedia, ma essa è l’insepa
rabile compagna dell’esicasta6: non lo abbandonerà prima
della morte, e lotterà contro di lui ogni giorno, fino alla
fine. Quando vede la cella di un’anacoreta, essa sorride
e, avvicinandosi a lui, s’installa al suo fianco.
4. Il medico visita i malati al mattino, mentre l’acedia
860 b visita gli asceti verso mezzogiorno7. L’acedia suggerisce di
accogliere gli ospiti e costringe a compiere lavori manuali
per poter fare elemosine. Esorta con ardore a visitare i
malati, ricordando la parola di colui che ha detto: Ero ma
lato e siete venuti a trovarmi (Mt 25,3Ó)8. Suggerisce di re
carsi da coloro che sono abbattuti e scoraggiati, dicendo:
Confortate i pusillanimi! (iTs 5,14), proprio lei, la pusilla
nime! Quando siamo in preghiera ci fa venire in mente
qualche dovere urgente, e mette in moto ogni espediente
per trascinarci via di là, con buone ragioni, come con una
cavezza, proprio lei così irragionevole!
5. Per tre ore9 il demone dell’acedia ci provoca brividi,
mal di testa, febbre e dolori intestinali. Giunta l’ora nona,
ci fa alzare un po’ il capo, e poi, quando la tavola è pron
ta, ci fa balzare giù dal letto. Appena però giunge l’ora
di cui si parla in Sai 90,6: cf. Trattato pratico 12 e Scolii ai Salmi, PG 12,15520;
cf. anche Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,14560, qui citato quasi
letteralmente.
8 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malìzia 13: “L’acedioso adduce
normale dell’unica refezione giornaliera dei monaci (cf. Apoftegmiì Antonio 34;
Macario 33). Evagrio Pontico, Trattato pratico 12, parla di quattro ore: dall’o
ra quarta (le dieci) all’ora ottava (le quattordici).
238
della preghiera, il corpo si sente di nuovo appesantito; e,
mentre siamo in preghiera, ci immerge di nuovo nel sonno 860 c
e con inopportuni sbadigli ci strappa di bocca i versetti10.
6. Ciascuna delle altre passioni può essere vinta con
una qualche virtù, ma l’acedia per il monaco è una morte
che lo circonda da ogni parte.
7. Un’anima coraggiosa può risuscitare una mente
morta, ma l’acedia e la pigrizia dilapidano tutto il bel te
soro accumulato.
8. Poiché anche questo è uno degli otto principali de
moni che presiedono ai vizi, e il più opprimente di tutti11,
comportiamoci con esso come con gli altri12. Aggiungere
mo però ancora questo: che quando non è il momento
della salmodia, l’acedia non si fa vedere; e quando l’uffi
cio è terminato, i nostri occhi si riaprono13.
9. Proprio nel momento dell’acedia si vede chi sa farsi
violenza (cf. Mt 11,12): infatti nessun’altra cosa come
l’acedia procura al monaco così tante corone, purché egli
attenda all’opera di Dio14 senza cedere.
10 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malizia 14: “Il monaco acedioso è
riluttante a pregare e non pronuncia mai le parole della preghiera. Infatti, come
il malato non porta un carico pesante, così l’acedioso non compie l’opera di Dio
con diligenza. Quegli ha perduto la forza del corpo, questi ha allentato la ten
sione dell’anima”.
11 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 12; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri
so érgon toù theoù), che in origine significava l’intera vita del cristiano consa
crata a Dio nella fede (a partire da Gv 6,29), non sembra aver mai assunto in
oriente il significato ristretto e univoco di “ufficio divino”, nel senso di una
preghiera celebrata in comune a momenti fissi (come invece Vopus Dei in occi
dente, a partire da Benedetto). Sull’argomento cf. I. Hausherr, “Opus Dei”,
in Etudes de spiritualité orientale, Pont. Institutum Orientalium Studiorum,
Roma 1969, pp. 121-144.
239
Fa’ attenzione e vedrai come essa combatta contro i
tuoi piedi, quando sei in posizione eretta, e ti suggerisca
860 d di appoggiarti al muro quando sei seduto; poi, provocan
do qualche frastuono e rumore di passi, ti spinge a met
ter la testa fuori della cella15. Ma chi si affligge su se stes
so, non conosce l’acedia!
io. Anche questa tiranna16 sia incatenata dal ricordo
dei peccati, percossa dal lavoro manuale, trascinata a
forza dal pensiero dei beni futuri e, una volta fatta com
parire in tribunale17, sia interrogata come si conviene:
“Su, dimmi, pigra e sfaticata, chi è quello sciagurato che
ti ha generata? Quali sono i tuoi figli? Chi sono coloro
che ti fanno guerra e chi è in grado di annientarti?”. Ed
essa, costretta, potrebbe risponderti: “Io non ho dove po
sare il capo (cf. Mt 8,20)18 tra coloro che vivono veramen
te in obbedienza; ma trovo posto presso quelli che vivo
no nell’esichia, e me ne sto tranquilla con loro. Molte e
861 a diverse sono le cause da cui traggo origine: a volte l’in
sensibilità dell’anima, altre volte la dimenticanza delle
cose di lassù, e a volte anche l’eccesso di fatiche19. I miei
figli sono: i cambiamenti di luogo da me ispirati, la disob
bedienza al padre spirituale, la dimenticanza del giudizio,
e talvolta anche l’abbandono della professione monastica.
15 Cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malìzia 14: “L’occhio dell’acedio-
so è continuamente puntato sulla finestra, e la sua mente si immagina dei visi
tatori. La porta ha mandato un cigolio? Eccolo che balza in piedi. Ha udito
una voce? Egli spia dalla finestra, e non si muove di là finché Tintorpidimen-
to non ve l’abbia fatto scendere”; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG
79,14606: “Opera dell’acedia: muovere qua e là i piedi durante la preghiera,
fissare ora i muri, ora il tetto, ora qualche oggetto che è nella cella; sporgersi
dalla finestra, tendere l’orecchio come se si fosse udito qualcuno venire”,
16 Cf. supra, Vili,32.
17 Cioè davanti alla propria coscienza.
18 Cf. anche supra, § 3.
19 Anche Barsanufio di Gaza, Lettere 562, parla di un’“acedia fisica” che è
240
I miei avversari, che ora mi tengono in catene, sono la
salmodia e il lavoro manuale20; la mia nemica è la medita
zione della morte; ma colei che può uccidermi compieta-
mente è la preghiera unita alla ferma speranza nei beni
futuri21. Ma se volete sapere chi generi la preghiera, chie
detelo a lei!
20 Cf. Apoftegmi, Antonio i, citato infra, XVIII,6. Sul lavoro manuale come
rimedio contro Pacedia insiste particolarmente Giovanni Cassiano, Istituzioni
X>7-24.
21 Consigli analoghi contro Pacedia si ritrovano in Pseudo-Nilo, Gli otto
241
Discorso XIV
SUL VENTRE,
NOSTRO FAMIGERATO TIRANNO
243
4- Il giudeo si rallegra il sabato e nei giorni di festa, e
il monaco ingordo, il sabato e la domenica2: calcola in an
ticipo quanto manca alla Pasqua e prepara i suoi manica
retti molti giorni prima. Chi serve il proprio ventre, si fi
gura nella mente i cibi con cui celebrerà la festa; chi serve
Dio, pensa alle grazie di cui sarà arricchito. Quando arri
va un ospite, lo schiavo del ventre è spinto dalla propria
ingordigia a profondersi in manifestazioni di carità nei
suoi confronti, e considera come ristoro del fratello il
proprio lasciarsi andare. In presenza di qualcuno, ritiene
giusto concedersi un po’ di vino, e credendo di nasconde
re la sua virtù3, in realtà diventa schiavo della passione!
5. La vanagloria spesso fa guerra all’ingordigia, ed esse
litigano per accaparrarsi il povero monaco come uno
schiavo venduto all’asta: l’una lo costringe a lasciarsi an
dare, l’altra gli suggerisce di farsi bello della propria
8 6 5 a virtù! Ma il monaco saggio sfuggirà ad entrambe, scac
244
8. Il maledetto4 Evagrio credette di essere più sapiente
dei sapienti nell’eloquenza e nei pensieri, ma in realtà s’in
gannò, sventurato, rivelandosi più stolto degli stolti in
molte cose, e in particolare laddove dice: “Quando Fani- 865 b
ma desidera cibi variegati, la si riduca a pane e acqua!”5,
ordinando qualcosa di simile a chi dicesse a un bambino
di salire l’intera scala con un solo balzo!
Perciò noi, capovolgendo la sua affermazione, diciamo:
“Quando l’anima desidera cibi variegati, richiede qualco
sa che è proprio della natura: guardiamo perciò di usare
astuzia contro di lei, che è piena di astuzia; e se proprio
non ci troviamo nel mezzo di una violentissima lotta e
non dobbiamo correggerci da qualche caduta, in un primo
momento tagliamo via soltanto i cibi che ingrassano, poi
quelli che riscaldano, e infine quelli che sono gustosi”.
9. Nei limiti del possibile, da’ al tuo ventre alimenti che
lo riempiano in fretta e siano di facile digestione: così, ri
empiendolo, sazieremo il suo appetito insaziabile, e dige
rendo rapidamente ci libereremo del suo ardore, che è per 865 c
noi come una sferza. Se stiamo ben attenti, scopriremo
245
che la maggior parte degli alimenti che gonfiano il ventre
sono anche eccitanti.
10. Ridi in faccia al demonio che, alla fine del pasto,
ti suggerisce di prolungare i tuoi digiuni: all’ora nona del
giorno seguente, infatti, egli avrà già rinnegato l’accordo
concluso il giorno prima.
11. Altra è l’astinenza che si addice a coloro che hanno
una condotta irreprensibile, e altra quella che si addice a
coloro che devono scontare dei peccati: per i primi infat
ti i moti della carne sono solo un segnale6; gli altri invece
ne sono affetti senza interruzione e senza tregua fino alla
morte e al termine della vita. I primi cercano di custodire
sempre l’equilibrio della mente; i secondi si procurano la
benevolenza di Dio attraverso la tristezza dell’anima e la
macerazione della carne.
12. Un momento di allegria e di distensione non procu
ra la minima preoccupazione a chi ha raggiunto la perfe
zione; per chi invece ancora combatte contro le passioni,
è un momento di lotta; per chi infine è schiavo delle pas-
865 d sioni, è la “festa delle feste e la solennità delle solennità”7.
13. Il cuore degli ingordi sogna cibi e alimenti; il cuore
degli afflitti, giudizi e castighi.
14. Domina il ventre prima che sia esso a dominarti, per
ché allora dovrai praticare l’astinenza con vergogna. Sanno
quel che dico coloro che sono caduti in quell’orribile fossa8,
mentre gli “eunuchi”9 di ciò non hanno alcuna esperienza.
246
15. Recidiamo i desideri del ventre con il pensiero del
fuoco eterno: alcuni, infatti, per aver obbedito a esso, fi
nirono poi per mutilare le membra del proprio corpo e mo
rirono di una doppia morte10. Riflettiamo, e scopriremo
che il ventre da solo è la causa di tutti i nostri naufragi!
16. La mente di chi digiuna prega con vigilanza, quel
la dell’intemperante è ripiena di immagini impure. La sa- 868 a
s.v. “Cooperazione”.
247
vengono ammorbiditi con l’uso, ma non possono fare al
trettanto se rimangono inutilizzati.
21. Chi sforza il proprio ventre, dilata le interiora; chi
invece lotta contro di esso, le restringe; e quando ormai le
interiora sono ristrette, non abbiamo più bisogno di molti
alimenti, e da quel momento digiuniamo in modo naturale.
22. Spesso la sete calma la sete, ma è difficile, e addi
rittura impossibile, eliminare la fame con la fame. Se il
ventre ti domina, tu assoggettalo con le fatiche, ma se per
la tua debolezza anche questo ti è impossibile, allora lotta
contro di esso con le veglie.
23. Se i tuoi occhi sono appesantiti, applicati a un lavo
ro manuale; ma se non hai sonno, lascia da parte il lavoro,
perché è impossibile dedicare la propria mente a Dio e a
mammona (cf. Mt 6,24), ossia a Dio e al lavoro manuale15.
868c 24. Sappi che spesso il demonio16 s’insedia nello stoma
co e fa sì che l’uomo non si sazi, neanche se mangia l’in
tero Egitto e beve tutta l’acqua del Nilo! Dopo il pasto
quel maledetto si ritira e manda contro di noi il demonio
della fornicazione, dopo averlo messo al corrente di ciò
che è accaduto: “Afferralo tu - dice - afferralo e tormen
talo, perché ora che il suo ventre è carico non farai molta
fatica!”. E quello si avvicina e sorride, lega le nostre
mani e i nostri piedi con il sonno e fa ormai tutto ciò che
vuole, contaminando l’anima e il corpo con impurità, fan
tasie e polluzioni! Ed è sorprendente vedere come la
mente incorporea sia contaminata e ottenebrata dal
corpo, e come poi, attraverso il fango17, l’immateriale sia
nuovamente purificata e affinata.
248
25. Se hai promesso a Cristo di percorrere la strada
stretta e angusta (cf. Mt 7,13), restringi il tuo ventre, 868 d
poiché, se lo soddisfi e lo dilati, hai violato i patti!
26. Sta’ attento e udrai colui che dice: Larga e spazio
sa è la via del ventre che conduce alla perdizione della for
nicazione, e sono molti coloro che vi entrano! Quanto stret
ta invece è la porta e angusta la via del digiuno che condu
ce alla via della purezza, e sono pochi coloro che entrano
attraverso di essa (cf. Mt 7,13-14)!
27. Lucifero, l’angelo decaduto, è principe dei demo
ni, e la gola, principe delle passioni.
28. Quando sei seduto a una mensa colma di vivande,
richiama alla mente il ricordo della morte e del giudizio: a
mala pena anche così riuscirai a porre un freno alla passione !
E quando prendi da bere, non smettere di richiamare alla 869 a
memoria l’aceto e il fiele del tuo Signore (cf. Mt 27,34.48
par.), e così certamente sarai temperante, o almeno ti met
terai a piangere e renderai più umile il tuo pensiero.
29. Non illuderti: non potrai mai essere liberato dal fa
raone, né potrai contemplare la Pasqua di lassù18, se non
mangerai continuamente erbe amare e pani azzimi (cf. Es
12,8): le “erbe amare” sono la violenza e la sofferenza del
digiuno, e gli “azzimi” il pensiero che non si gonfia.
30. Restino sempre unite al tuo respiro le parole di colui
che ha detto: Mentre i demoni mi tormentavano, mi vestivo
di sacco, umiliavo la mia anima nel digiuno, la mia preghie
ra aderiva all’intimo della mia anima (cf. Sai 34,13).
31. Il digiuno è violenza fatta alla natura, circoncisio
ne dei piaceri della gola, amputazione dei desideri che ci
infiammano, recisione dei pensieri cattivi, liberazione dai
sogni, purezza della preghiera, luce dell’anima, custodia
della mente, scioglimento della durezza del cuore, porta 869 b
249
della compunzione, umile gemito, lieta contrizione, asten
sione dalla chiacchiera, origine dell’esichia, custode del
l’ubbidienza, alleggerimento del sonno, salute del corpo,
causa dell’impassibilità, remissione dei peccati, porta e de
lizia del paradiso.
32. Interroghiamo anche questa nostra nemica19, o
piuttosto questa comandante suprema di tutti i nostri ne
mici, questa porta delle passioni, causa della caduta di
Adamo (cf. Gen 3,6) e della rovina di Esaù (cf. Gen
25,27-34), flagello degli israeliti (cf. Es 14,11), disonore
di Noè (cf. Gen 9,20-23), traditrice di Gomorra (cf. Ez
16,49), causa di biasimo per Lot (cf. Gen 19,30-38),
morte dei figli di Eli (cf. iSam 2,12-17), suscitatrice di
impurità: chiediamole, dunque, chi l’ha generata, quali
sono i suoi rampolli, chi può fiaccarla e chi estinguerla
definitivamente.
869 c Dicci, dunque, o tiranna di tutti i mortali, tu che hai
comprato tutto con l’oro della tua insaziabilità, per quale
via sei riuscita a entrare in noi ? E una volta entrata, quali
sono gli effetti che produci ? E come possiamo farti usci
re e allontanarti da noi ? Ed essa, seccata da questi nostri
insulti, fremente d’ira e furiosa, da vera tiranna qual è, ci
risponderà:
“Perché mi coprite d’insulti, voi che siete i miei sotto
messi ? Perché vi sforzate di separarvi da me ? Io sono le
gata a voi per natura! La mia porta è la natura stessa dei
cibi; l’abitudine è la causa della mia insaziabilità; e ciò
che mi trasforma in passione è un’abitudine di lunga
data, unita all’insensibilità dell’anima e all’assenza del ri
cordo della morte.
“Perché volete conoscere i nomi dei miei rampolli ? Li
conterò e saranno più della sabbia (Sai 138,18)! Tuttavia
19 II vizio dell’ingordigia.
250
ascoltate almeno come si chiamano i miei primogeniti e
quelli che amo di più. Mio figlio primogenito è lo spirito 869 d
251
Discorso XV
SULLA PUREZZA
E SULLA CASTITÀ INCORRUTTIBILI
RAGGIUNTE DA UOMINI CORRUTTIBILI
PER MEZZO DI FATICHE E SUDORI
1 Cioè l’ingordigia.
2 L’autore vuol dire che se Adamo non si fosse cibato del frutto proibito,
non si sarebbe mai unito a sua moglie Èva. L’idea che la vita sessuale sia estra
nea alla natura deH’uomo secondo il piano creazionale di Dio e sia invece con
seguenza del peccato, è diffusa nei padri, i quali considerano la verginità come
un ritorno dell’uomo alla sua autentica natura, simile a quella degli angeli: cf.
Gregorio di Nissa, La creazione dell uomo 17: “Se, una volta ristabilita nell’or
dine originario, la nostra vita sarà simile a quella degli angeli, è perché la vita
prima della trasgressione era in qualche modo una vita angelica; ed è appunto
perciò che anche il nostro ritorno alla condizione primitiva ci rende simili agli
angeli. Ora, come è noto, pur non esistendo tra loro il matrimonio, le loro schie
re sono miriadi infinite: così racconta Daniele nelle sue visioni. Dunque, allo
stesso modo, se il peccato non ci avesse trasformati e fatti decadere da una con
dizione pari a quella angelica, non avremmo avuto bisogno del matrimonio per
moltiplicarci”; Giovanni Damasceno, Esposizione della fede 97,5-12: “La vergi
nità era originaria e innata nella natura degli uomini. In paradiso, la verginità
era lo stato normale ... Ma quando con la trasgressione la morte entrò nel
mondo, allora soltanto Adamo conobbe sua moglie ed essa partorì”. Cf. anche
Ireneo di Lione, La predicazione apostolica 14; Cirillo di Gerusalemme, Catechesi
12,5; Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi 18,4; Id., Sulla verginità 14.
253
che osservano il primo comandamento3 non cadono nella
seconda trasgressione, ma rimangono figli di Adamo, pur
non conoscendo la condizione di Adamo4 ed essendo di
poco inferiori agli angeli (cf. Sai 8,6); e ciò5 “affinché il
male non rimanga immortale”, come dice colui che è chia
mato il Teologo6.
880 d 2. La purezza è appropriazione della natura incorporea.
La purezza è amabile dimora di Cristo e cielo terrestre del
cuore. La purezza è soprannaturale rinnegamento della
nostra natura ed emulazione veramente meravigliosa degli
angeli incorporei da parte di un corpo mortale e corrutti
bile. Il puro è colui che scaccia l’amore con l’amore7 e spe-
gne il fuoco materiale con il fuoco immateriale.
3. Castità8 è il nome generico di tutte le virtù. Casto è
colui che, anche quando sogna, non sente alcun movi
mento nel corpo o alterazione del proprio stato. Casto è
colui che ha raggiunto una perfetta insensibilità nei con-
881 a fronti delle differenze che esistono tra i corpi. Regola e
criterio della purezza perfetta e assoluta è il provare gli
stessi sentimenti di fronte ai corpi animati e a quelli ina-
5
Quello del digiuno.
4 Cioè rimangono uomini mortali, pur senza conoscere la condizione di
“morte spirituale” di Adamo dopo la caduta.
5 La condizione mortale ereditata da Adamo.
6 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 8, PG 36,6336: “L'uomo si dimenticò
dell'ordine che aveva ricevuto da Dio e non potè trattenersi dal gustare Tama
ro frutto, allora fu bandito nello stesso tempo dalTalbero della vita e da Dio a
causa della sua malvagità ... Anche in questo caso guadagnò qualcosa, vale a dire
la morte e il fatto che pose un termine al suo peccato, affinché il male non fosse
immortale: così la punizione di Dio divenne un beneficio per l’uomo”. L'idea è
formulata per la prima volta in Ireneo di Lione, Contro le eresie 111,23,6.
7 Cf. supra, n. 12 a V,6.
8 In greco: sophrosyne. Qui Climaco assume il termine in senso ampio, come
254
nimati, a quelli degli esseri ragionevoli e a quelli delle be
stie prive di ragione.
4. Nessuno di coloro che da tempo si esercitano nella
purezza creda di essere giunto a possederla grazie ai pro
pri sforzi: vincere la propria natura infatti non è tra le
cose possibili. Ogniqualvolta si verifica una vittoria sulla
natura, bisogna riconoscere la presenza di colui che è al
di sopra della natura. Nessuno infatti può negare che ciò
che è inferiore sia sconfitto da ciò che è superiore.
L’inizio della purezza è non acconsentire ai pensieri
cattivi9, e subire ogni tanto polluzioni notturne non ac
compagnate da immagini; il grado intermedio è avvertire
movimenti naturali dovuti all’abbondanza di cibo, ma
senza immagini, né polluzione; il grado perfetto è la mor
tificazione del corpo, dopo la morte dei pensieri.
5. Veramente beato è chi ha raggiunto la perfetta in
sensibilità di fronte a ogni corpo, colore e bellezza!
6. Non chi ha custodito senza macchia il proprio corpo 881 B
di fango è puro, ma chi ne ha perfettamente sottomesso
le membra all’anima.
\
dizione”.
255
tutte i suoi assalti, anche se vive ancora, è già risorto
dalla tomba.
9. Se segno di autentica purezza è rimanere immobili di
fronte alle fantasie impure che si hanno durante il sonno,
certamente il limite estremo della sensualità è subire la
polluzione da svegli a causa dei propri pensieri.
10. Chi combatte questo avversario con sudori e fati-
881 c che, somiglia a chi lega il suo nemico con un giunco; chi
invece lo combatte con l’astinenza e le veglie somiglia a
chi lo stringe in catene; e chi poi lo combatte con l’umil-
tà, la non-irascibilità e la sete, somiglia a colui che ha uc
ciso il suo nemico e lo ha nascosto nella sabbia14, e con
“sabbia” devi intendere l’umiltà, poiché essa non forni
sce alimento alle passioni, ma è come terra e cenere (cf.
Gen 18,27; Gb 42,6).
11. C’è chi tiene legato questo tiranno con le sue lotte,
chi con la sua umiltà, e chi infine lo fa grazie a una rive
lazione divina: il primo somiglia alla stella del mattino, il
secondo alla luna, il terzo al sole splendente, e ciascuno
di essi ha la propria dimora nei cieli (cf. Fil 3,20). Ma
come dal chiarore del mattino spunta la luce, e dalla luce
il sole, allo stesso modo bisogna cercare d’intendere le
cose che abbiamo appena detto15.
12. La volpe finge di dormire, mentre il corpo e il de
monio fingono di essere casti: quella lo fa per ingannare
881 d una gallina, e questi per ingannare un’anima.
13. Finché vivi, non fidarti del tuo corpo di fango, e
non confidare in esso finché non comparirai davanti a
Cristo.
256
14- Non credere di non cadere solo perché pratichi l’a
stinenza: infatti uno che non mangiava nulla è stato pre
cipitato dal cielo16!
15. Alcuni uomini dotati di conoscenza definiscono
bene la rinuncia al mondo come un odio del corpo e una
lotta contro il ventre.
16. Le cadute nei principianti sono generalmente provo
cate dall’abbondanza di cibo; in coloro che si trovano a metà
del cammino, dalla superbia - ciò che può succedere anche
nei principianti e in coloro che sono ormai vicini alla
perfezione unicamente dal fatto di giudicare il prossimo.
17. Alcuni proclamano beati coloro che sono eunuchi 884a
per natura, perché sono liberi dalla tirannia del corpo, ma
io proclamo beati gli “eunuchi quotidiani”, tutti coloro
cioè che hanno l’abitudine di mutilarsi con il pensiero,
come con un coltello (cf. Mt 19,12).
18. Ho visto alcuni cadere in questo peccato loro mal
grado, e ne ho visti altri che volentieri avrebbero voluto
cadere, ma non potevano; e questi ultimi li ho considera
ti più miserabili di quelli che cadono ogni giorno, perché
desiderano la puzza17 pur essendo impotenti!
19. Chi cade, fa pietà, ma fa ancor più pietà chi fa ca
dere anche un altro, perché egli porta il peso delle cadu
te di due persone e del piacere provato da una.
20. Non cercare di respingere il demonio della fornica
zione con giustificazioni e contraddizioni verbali18, per
ché, avendo come alleata la natura, anche lui ha buone ra
gioni per combatterci.
21. Chi vuole vincere la propria carne, o anche solo 884 b
farle guerra, con le proprie forze, corre invano: se infat-
16 Cioè Lucifero.
17 Cioè il peccato.
18 Cf. supra, § 8.
257
ti il Signore non distrugge la dimora della carne e non
edifica quella dell’anima, invano digiuna e veglia chi
vuole distruggerla (cf. Sai 126,1-2).
22. Offri al Signore la debolezza della tua natura, rico
noscendo interamente la tua impotenza, e senza accorger
tene riceverai il dono della castità.
23. Negli uomini inclini ai piaceri - come mi racconta
va uno di loro che ne aveva fatto esperienza, dopo esse
re rientrato in sé -, c’è un forte sentimento di amore dei
corpi e uno spirito impudente e disumano che s’installa
sfacciatamente nel senso stesso del cuore e procura a
colui che ne è combattuto una sensazione di dolore fisico
nel cuore, facendolo ardere come una fornace infuocata:
tale spirito non teme Dio, disprezza il ricordo del castigo
884 c come cosa di nessun conto, prova disgusto per la preghie
ra e quando è sul punto di passare all’azione, se vede dei
cadaveri, li considera come pietre inanimate; priva del
senno la sua vittima riducendola fuori di sé, ebbra di
brama insaziabile per gli esseri ragionevoli e irragionevo
li, e se i suoi giorni non fossero abbreviati, nessun anima si
salverebbe (cf. Mt 24,22), rivestita com’è di questo corpo
di fango mescolato a sangue e umore impuro! Come po
trebbe essere altrimenti? Ogni essere creato infatti desi
dera insaziabilmente ciò che appartiene alla sua stessa
specie: il sangue desidera il sangue, il verme il verme, e il
fango il fango; e quindi anche la carne desidera la carne,
anche se noi, che facciamo violenza alla natura e aspiria
mo al Regno (cf. Mt 11,12), tentiamo di ingannare il no
stro ingannatore con qualche astuzia.
885 a 24. Beati coloro che non fanno esperienza di questa
lotta! Ma preghiamo anche noi di essere completamente
liberati da una simile prova, poiché coloro che scivolano
in questa fossa cadono molto più in basso rispetto a colo
ro che salgono e scendono quella famosa scala (cf. Gen
258
28,i2)19, e per rialzarsi di là hanno bisogno di molti su
dori e di digiuni durissimi.
25. Osserviamo attentamente se per caso anche i no
stri nemici spirituali20, nello schierarsi a battaglia contro
di noi, non si comportino come in una guerra materiale,
in cui a ciascuno è affidato un compito proprio e specifi
co da svolgere.
26. Questo fatto sorprendente21 ho avuto modo di con
statarlo in coloro che subiscono la tentazione; e ho visto
che esistono cadute più gravi di altre: chi ha l’intelligen
za per intendere intenda (cf. Mt 11,15)!
Il demonio - soprattutto nei confronti di quelli che lot- 885 b
tano e praticano la vita monastica - ha l’abitudine di met
tere in moto tutta la sua violenza, tutto il suo impegno,
tutti i suoi artifici e inganni, e tutta la sua intelligenza, per
indurli ad atti contro natura, e non tanto a quelli secondo
natura, e si sforza di tentarli soprattutto in questo. E così
è successo che alcuni, trovandosi insieme a delle donne e
non essendo minimamente tentati dal desiderio di esse, si
siano proclamati beati; ma essi ignoravano, poveretti, che
quando la caduta è più grave, non c’è alcun bisogno che
ci venga procurata quella meno grave !
27. Credo che siano due i motivi per cui quegli infami
assassini hanno l’abitudine di combatterci e devastarci
con le tentazioni contro natura: perché in questo modo
possiamo trovare sempre e dovunque delle occasioni per
cadere nel peccato, e perché così possiamo ricevere un ca
stigo più severo. Sa bene ciò che dico quel monaco che
19 Si allude qui alla scala di Giacobbe, ma anche alla scala delle virtù de
scritta in questo libro: Fautore vuol dire che chi cade nel peccato di fornica
zione non si limita a retrocedere di qualche gradino nella scala delle virtù, ma
precipita addirittura a un livello più basso del primo gradino.
20 Cioè i demoni che presiedono ai vari spiriti del male.
21 Ovvero ciò che Fautore ha appena detto.
259
885 c prima fu in grado di dare ordini agli onagri e poi cadde
lui stesso miseramente in potere degli onagri selvaggi22 e
dei loro raggiri, e che prima si nutriva di pane celeste e
poi fu privato di questo bene. E la cosa più sorprendente
è che, anche dopo che egli si fu pentito, il nostro grande
maestro Antonio abbia detto piangendo amaramente: “E
caduta una grande colonna!”, e con queste parole quel
saggio tacque sul modo in cui era avvenuta la caduta23;
egli sapeva infatti che esiste una fornicazione commessa
corporalmente ma senza il concorso di un altro corpo.
28. C’è in noi una specie di morte, un rischio di cadere
in perdizione che è dentro di noi e che ci portiamo sempre
appresso, soprattutto nella giovinezza; ma di questo non ho
il coraggio di scrivere perché la mia mano è trattenuta da
colui che ha detto: Quanto viene fatto da alcuni in segreto, è
vergognoso perfino dirlo, scriverlo e udirlo (cf. Ef 5,12)!
885 d 29. Questa carne, che è mia, eppure non mia, a un
tempo amica e nemica, Paolo l’ha chiamata “morte”, di
cendo: Chi mi libererà da questo mio corpo votato alla
morte? (Rm 7,24); un altro teologo poi l’ha chiamata “sot
tomessa alle passioni”, “schiava” e “notturna”24, e io desi
dererei sapere perché hanno utilizzato questi appellativi25.
22 Cioè i demoni.
23 Cf. Apoftegmi, Antonio 14: “Il padre Antonio udì di un giovane monaco
che aveva compiuto un prodigio sulla strada: visti degli anziani affaticati dal
cammino, aveva ordinato agli onagri di venire e di portarli fino ad Antonio.
Dice loro: ‘Quel monaco mi pare una nave piena di tesori; ma non so se giun
gerà in porto*. Dopo qualche tempo, a un tratto, il padre Antonio si mette a
piangere, a strapparsi i capelli, a gemere. I discepoli gli chiedono: ‘Padre perché
piangi?*. Ed egli: ‘E crollata or ora una grande colonna della chiesa* - inten
deva dire di quel giovane monaco. ‘Ma andate da lui - dice - a vedere quel che
è accaduto*. I discepoli dunque vanno e trovano il monaco che, seduto su una
stuoia, piange il peccato commesso. Al vedere i discepoli dell’anziano, egli dice:
‘Dite al padre che supplichi Dio di concedermi solo dieci giorni di tempo, e
spero di poterne fare ammenda*. Dopo cinque giorni morì**.
24 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 40,2.
25 Sul significato del termine “carne** cf. infra, “Glossario**, s.v. “Carne**.
260
30. Se, come ho appena detto, la carne è una morte, chi
l’ha vinta, certamente non muore. Ma chi è mai quell uomo
che vivrà e non vedrà la morte (Sai 88,49), ovvero la conta
minazione della carne ? Bisogna riflettere attentamente, ve
ne supplico, su chi sia il più grande: chi è morto ed è risor 888 A
to26, oppure chi non è morto affatto ? Chi proclama beato il
secondo s’inganna, perché Cristo è morto ed è risorto! Ma
chi proclama beato il primo, vuole che coloro che muoiono,
o meglio cadono nel peccato, non perdano mai la speranza.
31. Il nemico disumano che presiede al vizio della for
nicazione dice che Dio è amico dell’uomo e che è pronto
a perdonare questa passione, poiché essa è legata alla no
stra natura; ma se osserviamo attentamente gli inganni
dei demoni scopriremo che, dopo che abbiamo commesso
il peccato, essi lo chiamano giudice giusto e senza pietà:
ci insinuano questi pensieri, la prima volta per indurci a
peccare, e la seconda, per farci sprofondare nella dispera
zione. Finché siamo in preda alla tristezza e alla dispera
zione, infatti, non possiamo rammaricarci della nostra ca
duta, accusare noi stessi e vendicarci contro il demonio; e
appena quelle cessano, il tiranno viene di nuovo a parlar 888 B
ci dell’amore che Dio nutre per gli uomini.
32. Poiché il Signore è incorruttibile e incorporeo, egli
si rallegra della purezza e dell’incorruttibilità del nostro
corpo. Al contrario - affermano alcuni - niente rende fe
lici i demoni come il fetore della fornicazione e, quindi,
nessun’altra passione come quella che contamina il corpo.
33. Purezza significa familiarità e somiglianza con Dio,
per quanto è possibile agli uomini. Madre di dolci frutti
è la terra, unita alla rugiada; ma madre della purezza è
l’esichia, unita all’obbedienza.
26 Cioè chi è caduto nel peccato, e poi si è rialzato grazie alla penitenza.
261
888 c 34. L’impassibilità del corpo ottenuta per mezzo del-
l’esichia, se viene spesso a contatto con il mondo non ri
mane salda; ma quella acquistata per mezzo dell’obbe
dienza, supera sempre la prova, e rimane inconcussa.
35. Ho visto la vanagloria diventare occasione di umil
tà, e mi sono ricordato di colui che dice: Chi mai ha po
tuto conoscere il pensiero del Signore ? (Rm 11,34).
36. La caduta è una fossa e un frutto dell’orgoglio, ma
per coloro che lo vogliono spesso la caduta può diventare
occasione di umiltà.
37. Chi pretende di vincere il demone della fornicazio
ne con l’ingordigia e la sazietà, è simile a chi vuole spe
gnere un incendio con dell’olio27.
38. Chi crede di poter placare questa guerra solo con
l’astinenza, è simile a chi nuota con una mano sola e pre
tende di allontanarsi dal mare aperto. Al giogo dell’asti
nenza devi associare l’umiltà, perché senza la seconda la
prima risulta inutile.
888 39. Chiunque si accorga che una passione sta per im
d
262
40. Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo
corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio 889 a
263
tolica30 riaccoglie gli eretici, dopo la solenne abiura della
loro eresia, li ritiene degni di prendere parte ai misteri,
mentre, quando riaccoglie colui che ha commesso la forni
cazione e confessa e abbandona il suo peccato, lo esclude
dai santi misteri per degli anni, in obbedienza alla prescri
zione dei Canoni apostolici31?”, e siccome di fronte a que
sta difficoltà rimasi confuso, il problema restò insoluto32.
45. Esaminiamo, valutiamo e osserviamo attentamen
te se la dolcezza che proviamo durante la salmodia ci
889 c venga procurata dal demonio della fornicazione, o dalle
parole dello Spirito, e dalla grazia e dalla potenza che
esse contengono.
46. Non ingannare te stesso, o giovane! Ho visto in
fatti alcuni che pregavano di tutto cuore per i loro amici
e, pur essendo mossi a ciò dalla loro sensualità, credeva
no di compiere la legge della carità.
47. Con il semplice tatto si può provocare la contamina
zione del corpo: non esiste senso più pericoloso di questo.
48. Ricordati di quel tale che avvolse la sua mano con
il mantello33, e trattieni la tua mano dalle parti “natura-
cf. Basilio di Cesarea, Lettere 217, canone 59: “Il fornicatore sarà escluso per
sette anni dalla partecipazione ai sacramenti: per due anni piangerà, per due
anni sarà uditore, per due anni si prosternerà, e per un anno se ne starà sola
mente in piedi; all’ottavo anno sarà ammesso alla comunione”.
32 Lo scoliaste (PG 88,12330 spiega che mentre l’eresia è un peccato della
sola anima, la fornicazione è un peccato sia dell’anima che del corpo, e per que
sto chi vuole allontanarsi da esso ha bisogno di molto tempo, per poterlo gua
rire con la fatica dell’ascesi e le lacrime.
33 Cf. Apoftegmi Nau 159: “Un fratello era in viaggio con la sua vecchia
264
li”34 e dalle altre parti del corpo, sia tuo che degli altri.
49. Penso che nessuno possa essere chiamato giusta
mente santo, se prima non ha trasformato questo corpo
di terra in una cosa santa, ammesso pure che tale trasfor
mazione sia possibile.
50. Quando ci distendiamo sul letto, vigiliamo, perché
allora la mente combatte contro i demoni senza l’aiuto
del corpo, e se è incline al piacere diventa facilmente tra
ditrice35.
51. Il ricordo della morte e la “preghiera di Gesù”, che 889d
consiste in una sola formula36, si addormentino con te, e
con te si risveglino: infatti, non troverai aiuti più effica
ci di questi durante il sonno.
52. Alcuni affermano che le tentazioni e le polluzioni
derivino soltanto dai cibi, ma io ho visto persone seria
mente malate e macerate dai digiuni, che nonostante ciò
erano gravemente soggette a tali contaminazioni.
53. Un giorno interrogai a questo proposito un mona
co dotato di discernimento tra i più stimati, e quell’uomo
beato mi diede un insegnamento molto chiaro: “La pollu- 892 a
zione durante il sonno - mi disse quel grand’uomo - può
essere frutto dell’abbondanza di cibo e della rilassatezza
di vita; un’altra causa può essere la superbia, quando cioè
ci vantiamo di non avere di questi flussi da molto tempo;
ed è possibile, poi, che essa derivi anche dal fatto di giu
dicare il prossimo. Gli ultimi due casi possono capitare
il Monaco, La legge spirituale io; Su chi si crede giustificato per le opere 140; Il
battesimo 5. Cf. G. J. M. Bartelink, “Quelques observations sur le terme ‘mo-
nologhistos”’, in Vigiliae Christianae 34 (1980), pp. 172-179. La “preghiera di
Gesù” alla quale Climaco fa allusione (cf. anche XX,6; XXVII,26; XXVIII,9)
è Tinvocazione del nome di Gesù attraverso l’incessante ripetizione di una
breve formula di preghiera, anche se l’autore non accenna mai a una formula
specifica. Cf. supra, “Introduzione”, pp. 53-58.
265
anche ai malati, e forse anche tutti e tre. Ma se qualcuno
si vede purificato da tutte queste cause è beato, perché
ha raggiunto una tale impassibilità, e quando gli capita
quest’incidente, è solo per invidia del diavolo: Dio per un
certo tempo permette che ciò gli succeda, affinché attra
verso un tale incidente, esente da peccato, egli possa rag
giungere la più sublime umiltà”.
54. Nessuno cerchi di rimeditare tra sé durante il gior-
892 b no le fantasie che ha avuto durante il sonno: in questo
modo infatti i demoni cercano di contaminarci da svegli
per mezzo dei nostri sogni.
55. Ascoltiamo anche un altro imbroglio dei nostri ne
mici: come i cibi che nuocciono al corpo in genere ci
fanno ammalare solo dopo un certo tempo, o dopo un
giorno, così avviene spesso anche per le cause che conta
minano l’anima.
56. Ho visto alcuni che mangiavano cibi raffinati, e sul
momento non subivano alcuna tentazione; e ne ho visti
altri che mangiavano e s’intrattenevano con donne, e su
bito non concepivano alcun cattivo pensiero: tuttavia, vit
time dell’inganno com’erano, fiduciosi in se stessi e privi
della minima preoccupazione, quando ormai credevano di
aver raggiunto la pace e la sicurezza, ecco che subirono
improvvisamente la disgrazia nella loro cella! E qual è
questa disgrazia? Quella che avviene nel nostro corpo e
nella nostra anima quando siamo nella completa solitudi
ne: chi ne ha fatto esperienza lo sa, e chi invece non ne
ha fatto esperienza, non c’è bisogno che lo sappia!
892 c In quel momento possono esserci di grande aiuto il ci
licio, la cenere, lo stare in piedi tutta la notte, il restare
senza pane e con la lingua riarsa o appena un po’ inumi
dita, il dimorare tra le tombe, e soprattutto l’umiltà del
cuore; e ancora, se è possibile, l’aiuto di un padre o di un
fratello di buona volontà, che siano avanzati nella sapien-
266
za: mi meraviglierei, infatti, se qualcuno riuscisse da solo
a mettere in salvo la propria barca dai flutti del mare.
57. Spesso lo stesso peccato, commesso da una perso
na, merita una condanna cento volte più severa di quan
do è commesso da un’altra; e ciò dipende dal tipo di vita,
dal luogo e dal grado di progresso spirituale, come da
molti altri fattori.
58. Un tale mi ha raccontato di un sorprendente ed ec
cezionale esempio di purezza: “Qualcuno - mi disse - 892 d
avendo visto la bellezza di una donna, innalzò grandi lodi
al Creatore per essa, e quella sola vista bastò ad incitarlo
all’amore di Dio e a fargli versare un fiume di lacrime37.
Ed era sorprendente vedere come ciò che per qualcuno
sarebbe stata occasione di peccato, per un altro, in modo
soprannaturale, diventava occasione di corone!”. Se un
tale uomo, in circostanze simili, prova sempre tali senti
menti e si comporta sempre in questo modo, è già risor- 893 a
267
60. Alcuni, come abbiamo già detto, vivendo in luoghi
solitari, sono combattuti in modo molto più violento; e
non c’è da farne meraviglia, perché i demoni dimorano
volentieri in quei luoghi, da quando il Signore li ha con
finati nei deserti e nell’abisso.
61. I demoni della fornicazione combattono spietata
mente contro l’esicasta per riuscire a riportarlo nel mondo,
convincendolo che dal deserto non ricava alcun vantaggio.
Quando ci troviamo nel mondo, i demoni si ritirano da
893 b noi, affinché, vedendo che là non siamo più combattuti,
decidiamo di restare con la gente del mondo.
62. Se siamo combattuti dalle tentazioni, significa cer
tamente che anche noi combattiamo spietatamente con
tro il Nemico; perché, se noi non combattessimo contro
di lui, anch’egli sarebbe nostro amico!
63. Quando ci troviamo nel mondo per una qualche ne
cessità, siamo protetti dalla mano di Dio, forse grazie al
l’intercessione del nostro padre spirituale, in modo che il
Signore non venga bestemmiato a causa nostra (cf. Rm
2,24)38. A volte però ciò può avvenire anche per la nostra
insensibilità e perché, per averne fatto lunga esperienza,
siamo ormai sazi di tutto ciò che si vede, si dice e si fa nel
mondo; oppure perché i demoni si sono ritirati spontanea
mente da noi lasciandoci solo il demonio dell’orgoglio,
che occupa il posto di tutti gli altri.
64. O voi tutti che avete deciso di esercitare la purez
za, udite un’altra astuzia e un altro imbroglio di questo
nostro ingannatore, e state in guardia!
893 c Una persona che aveva fatto esperienza di quest’ingan
no mi ha raccontato che spesso il demone della lussuria si
ritira completamente dal monaco, ispirandogli grandissi
ma devozione e forse facendogli versare torrenti di lacri-
268
me, proprio nel momento in cui è seduto a parlare con
delle donne, suggerendogli di istruirle sul ricordo della
morte, sul giudizio e sulla castità; e ciò affinché, grazie a
quei discorsi e a quella sua finta devozione, le sventurate
accorrano verso il lupo come se fosse un pastore, e poi,
quando ormai i rapporti sono diventati familiari e confi
denziali, il poveruomo cada nel peccato.
65. Evitiamo con tutti i nostri sforzi di guardare o
anche di sentir parlare di questo frutto39, perché ci siamo
impegnati a non assaggiarlo mai più! Mi meraviglierei,
infatti, se ci ritenessimo più forti del profeta David40,
perché ciò che è impossibile!
La lode che si addice alla purezza è talmente grande e 893 d
sublime, che alcuni padri hanno osato chiamarla “impas
sibilità”41.
66. Alcuni affermano che chi ha gustato il peccato,
non può più essere chiamato puro42; ma io, da parte mia,
confutando la loro opinione, affermo che è possibile e faci
le, per chi lo vuole, innestare un oleastro su un olivo buono
(cf. Rm 11,24). Se le chiavi del Regno dei cieli fossero state
affidate a un uomo vergine, forse l’opinione di quei tali sa
rebbe giustificata, ma poiché non è così, li confonda colui43
che, pur avendo una suocera (cf. Me 1,30), diventò puro e 896 a
269
loro che invece ne hanno già fatto esperienza, il maledet
to li stimola attraverso il ricordo a provare di nuovo. Tra
i primi, molti rimangono senza essere tentati, grazie alla
loro ignoranza del male; i secondi invece, avendo già
fatto esperienza di questa lordura, subiscono turbamenti
e lotte. Ma spesso può capitare anche il contrario.
896 b 68. Quando ci svegliamo dal sonno ben disposti e in
pace, è segno che, senza accorgercene, siamo consolati dai
santi angeli, e ciò soprattutto se ci siamo addormentati
con molte preghiere e molta vigilanza. Ma può capitare
anche che ci svegliamo dal sonno senza una buona dispo
sizione, e questo ci succede a causa dei brutti sogni e delle
visioni che abbiamo avuto.
69. Ho visto l’empio esaltato, elevato, agitato e infuria
to dentro di me come i cedri del Libano; son passato oltre
mediante l’astinenza, ed ecco che il suo furore non era più
come prima; l’ho cercato dopo aver umiliato il mio pen
siero, e non ho piu trovato il suo posto in me, né la sua
traccia (cf. Sai 36,35-36).
896 c 70. Chi ha vinto il corpo, ha vinto la natura; e chi ha
vinto la natura, certamente ha raggiunto una condizione
superiore alla natura, e chi ha raggiunto questa condizio
ne, è di poco - per non dire in nulla - inferiore agli ange
li (Sai 8,6).
71. Non c’è niente di straordinario nel fatto che un es
sere immateriale combatta contro un altro essere immate
riale; ma la cosa veramente straordinaria è che un essere
immerso nella materia, combattendo contro questa mate
ria ostile e insidiosa, riesca a mettere in fuga i propri ne
mici immateriali'*4.
AA L’autore vuol dire che la cosa straordinaria non è che la mente (che è im
materiale) combatta contro i demoni (che sono ugualmente immateriali), ma
che essa li combatta e li vinca pur essendo mescolata al corpo materiale, con
tro cui deve ugualmente combattere.
270
72. Il Signore buono, mostrando in questo molta pre
videnza nei nostri confronti, con il freno del pudore, ha
come imbrigliato l’impudenza della donna, perché se essa
corresse liberamente verso l’uomo, nessun vivente si sal
verebbe (cf. Mt 24,22)!
73. I padri dotati di discernimento hanno distinto
l’uno dall’altro l’assalto, la relazione, il consenso, la pri
gionia, la lotta e ciò che si chiama passione dell’anima45.
Quegli uomini beati definiscono “assalto”46 la semplice 896 d
parola47 o l’immagine di una cosa qualsiasi che si presen
ta improvvisamente nel cuore. La “relazione”48 è poi l’in
trattenersi con ciò che è apparso, con o senza passione. Il
“consenso”49 è l’assenso che l’anima rivolge con compia
cimento a ciò che le viene mostrato. La “prigionia”50 è un
rapimento violento e involontario del cuore, oppure l’at
taccamento ostinato all’oggetto, che distrugge le nostre
migliori disposizioni. Definiscono quindi “lotta”51 un
confronto a forze pari con l’avversario, in cui, a seconda
della propria volontà, si riporta la vittoria o si subisce una
sconfitta. Affermano, infine, che la “passione”52, in senso 897 a
proprio, è un moto che si nasconde nell’anima da lungo
45 Per le differenze nella descrizione delle varie fasi della tentazione nei di
versi padri, cf. J.-P. Larchet, Thérapeutique des maladies spirituelles, pp. 521-524.
L'analisi di CHmaco, che appare sostanzialmente una sintesi del pensiero di
Marco il Monaco con alcuni tratti evagriani, diventerà classica nella letteratura
ascetica: cf. Esichio Sinaita, Centurie 1,46; Filoteo Sinaita, Sulla sobrietà 34-35.
46 Cf. Marco il Monaco, Il battesimo 11; La legge spirituale 141.
47 L'aggettivo qui tradotto “semplice" (psilós, “puro”) è un termine tipica
271
tempo, e che ormai l’attrae frequentemente a sé, come
per abitudine, sì che essa vi corre da sola, volontariamen
te e spontaneamente.
Di tutti questi moti, il primo è esente da peccato; il se
condo, non sempre; il terzo, a seconda della disposizione
interiore di colui che combatte; la lotta può procurarci co
rone o castighi; la prigionia è valutata diversamente se av
viene nel momento della preghiera o in un altro momento,
897 b a motivo di cose di scarsa importanza o di pensieri cattivi;
la passione invece, senza alcun dubbio, richiede sempre
una penitenza proporzionata, altrimenti incorrerà nel casti
go futuro. Perciò, chi resiste in modo impassibile al primo
moto del pensiero, recide in un sol colpo tutti gli altri.
I più precisi tra i padri dotati di conoscenza descrivo
no anche un’altro moto interiore, più sottile dei prece
denti, che alcuni chiamano “turbamento momentaneo
della mente”53, e che, in un attimo, senza parola e senza
immagine, suggerisce distintamente la passione a chi cade
in preda ad essa. Tra i moti dello spirito non se ne trovi
uno più penetrante e più impercettibile di questo: rivela la
sua presenza nell’anima attraverso un semplice ricordo,
non riflesso, istantaneo, inattingibile e presso alcuni anche
inconsapevole. Se qualcuno, grazie all’afflizione, è riuscito
897 c a percepire un moto così sottile, potrà insegnarci come sia
possibile che con una sola occhiata, un semplice sguardo,
una toccata della mano, o l’ascolto di una semplice melo
dia, l’anima cada in preda alla passione della fornicazione,
senza aver concepito alcuna immagine o pensiero.
74. Alcuni affermano che il corpo è trascinato verso le
passioni dai pensieri di lussuria; altri, al contrario, che i
272
pensieri cattivi sono prodotti dalle sensazioni del corpo54.
I primi affermano: “Se l’intelletto non avesse preceduto,
il corpo non l’avrebbe seguito!”55. I secondi invece, por
tano a sostegno della propria opinione il male prodotto
dalle manifestazioni passionali del corpo, dicendo: “Spes
so i pensieri riescono a entrare nel cuore in seguito a una
visione particolarmente gradevole, alla semplice toccata di
una mano, all’odore di un profumo o all’ascolto di una
voce gradevole”56.
Colui che, nel Signore, è in grado di illuminarci riguar
do a queste cose, lo faccia: sono infatti veramente neces- 897 d
“Quando ti rendi conto che le pulsioni latenti prendono una consistenza reale
ed eccitano alla passione la mente che è nella pace, sappi che è stata proprio la
mente ad aprir loro la strada e a metterle all'opera, collocandole stabilmente
nel cuore. Una nuvola non può prendere consistenza senza un soffio di vento;
così anche la passione non nasce senza un'idea presente nella mente". La stes
sa opinione si trova in Doroteo di Gaza, Insegnamenti XIII,145.
56 E l'opinione sostenuta da Evagrio in Trattato pratico 38: “Le passioni
combattono soprattutto con le cose, contro i monaci per Io più con i pensieri:
essi infatti sono privi delle cose a motivo della solitudine".
273
Io riguardo a questo argomento mi limito a dire: Cercherai
la sapienza presso i malvagi, e non la troverai (Pr 14,6)!
900 a 76. Quando, dopo aver lottato a lungo contro questo
demonio59, compagno del nostro corpo di fango, riusciamo
a scacciarlo dal nostro cuore tormentandolo con la pietra
del digiuno e la spada dell’umiltà, allora quel miserabile,
rimanendo come un verme dentro il nostro corpo, si sfor
za di contaminarci eccitandoci con moti sconvenienti e
importuni. E ciò succede per lo più a quelli che cedono al
demone della superbia; infatti, non avendo più continua-
mente nel cuore pensieri di fornicazione, cadono in quel
la passione. E se vogliono una prova della verità delle mie
parole, appena abbiano raggiunto un po’ di esichia, si esa
minino con attenzione e certamente troveranno un pensie
ro cattivo nel profondo del loro cuore, come un serpente
nascosto nel letame, il quale suggerisce loro che il grado di
purezza di cuore che hanno raggiunto - grande o piccolo
900 b che sia - è dovuto al loro proprio sforzo e al loro zelo. E
274
l’inno trionfale della purezza, come un tempo fecero quei
fanciulli puri61 : ciò a condizione però che, una volta spoglia
ti, non siano trovati nudi (cf. 2Cor 5,3), privi cioè dell’in
nocenza e dell’umiltà, che nei fanciulli sono naturali.
Questo demonio, molto più degli altri, spia i momenti
opportuni per assalirci, e, quando non siamo in grado di
pregare contro di lui con il corpo, allora quel maledetto
decide di farci guerra!
Coloro che non hanno ancora raggiunto la vera preghie- 900 c
ra del cuore possono trovare un aiuto negli sforzi della pre
ghiera del corpo; mi riferisco al tendere le mani, al batter
si il petto, al levare al cielo sguardi puri, all’emettere forti
gemiti, e al piegare continuamente le ginocchia. Ma poiché
spesso, a causa della presenza di altri, non possiamo fare
queste cose, i demoni ci fanno guerra proprio in quei mo
menti, quando cioè, non avendo ancora la forza di resiste
re ai nostri nemici con la concentrazione della mente e la
potenza invisibile della preghiera, finiamo necessariamen
te per cedere a loro.
Ritirati immediatamente, se ti è possibile; nasconditi
un po’ in un luogo segreto; eleva gli occhi della tua
anima, se ne sei capace; altrimenti, almeno quelli del tuo
corpo; stendi le tue mani in croce, rimanendo immobile,
per confondere e vincere con questo segno Amalek62;
grida verso colui che può salvarti (cf. Eb 5,7), non con un 900 d
61 Sono i bambini che accolsero Gesù nella sua entrata a Gerusalemme: cf.
Mt 21,15.
62 Cioè il demonio. Cf. Es 17,11-13.
275
Chi si è abituato a combattere in questo modo63, sarà ben
presto capace di mettere in fuga i propri nemici con la sola
anima: la seconda cosa è concessa da Dio ai buoni operai
come ricompensa della prima opera, ed è giusto che sia così.
901 a 77. Una volta, trovandomi in una riunione, notai che
un fratello pieno di zelo era tormentato dai pensieri cat
tivi, e non trovando un luogo adatto per pregare, usciva
per andare a soddisfare un bisogno del corpo, come se ne
sentisse lo stimolo, e in quel luogo combatteva contro i
nemici con un’intensa preghiera. Poiché lo rimproverai
per aver scelto un luogo sconveniente, mi disse: “In un
luogo impuro ho pregato per scacciare pensieri impuri,
così da essere purificato da ogni lordura ! ”.
78. Tutti i demoni si sforzano di ottenebrarci la
mente, per poterci suggerire così ciò che piace a loro, poi
ché, fino a che la nostra mente non chiuderà i suoi occhi,
il nostro tesoro non potrà esserci sottratto; il demonio
della fornicazione, però, lo fa più di tutti gli altri: spesso,
dopo averci ottenebrato la mente, che è la nostra guida,
ci spinge - perfino in presenza d’altri - a commettere
901 b azioni che solo i pazzi commettono; per cui, dopo un po’
di tempo, quando la nostra mente ha riacquistato la sua
sobrietà, ci vergogniamo dei nostri atti, discorsi e com
portamenti indecenti, non solo di fronte a quelli che ci
hanno visto, ma anche di fronte a noi stessi, e ci stupia
mo del nostro precedente accecamento. Spesso, perciò, è
successo che alcuni, in seguito a una tale presa di coscien
za, abbiano smesso di commettere il male.
79. Respingi il Nemico che dopo un’azione malvagia ti im
pedisce di pregare, di rivolgerti a Dio, o di vegliare, ricordan
doti di colui che ha detto: Poiché questa povera anima, tiran-
276
neggiata dalle sue predisposizioni passionali, mi procura fasti
di, le farò giustizia liberandola dai suoi nemici (cf. Le 18,5).
80. Chi ha vinto il proprio corpo? Chi è giunto alla
contrizione del cuore. E chi mai vi è giunto? Chi ha rin
negato se stesso (cf. Mt 16,24). Come potrà, infatti, non
avere il cuore contrito chi è morto alla propria volontà ?
81. Esistono uomini corrotti, più corrotti dei corrotti, 901 C
che provano piacere e diletto perfino nel fare la confes
sione delle proprie sconcezze.
82. I pensieri impuri e sconci che sono nel nostro cuore,
sono generalmente suscitati da quel seduttore del cuore
che è il demonio della fornicazione: per guarire da essi bi
sogna praticare l’astinenza e non tenerli in alcun conto.
83. Non so in che modo e con quale mezzo potrò inca
tenare questo mio amico64 per condurlo in giudizio come
277
tutti gli altri vizi: prima di averlo incatenato, si scioglie;
prima di averlo giudicato, mi riconcilio con lui; e prima
di averlo punito, mi piego su di lui! Come potrò vincere
ciò che per natura sono portato ad amare? Come potrò li
berarmi da ciò a cui sono vincolato per l’eternità? Come
potrò distruggere ciò che risorgerà con me? Come potrò
rendere incorruttibile ciò che ha ricevuto una natura cor
ruttibile? Quale argomento ragionevole potrò usare con
tro ciò che per natura ha tutte le ragioni dalla sua parte ?
901 d Se lo incateno con il digiuno, subito condanno il pros
278
Ed essa66, rispondendo, per così dire, alla sua anima,
potrebbe dire:
“Non ti spiegherò nulla che tu non sappia, ma solo ciò
che entrambe conosciamo bene. Mi vanto di avere in me
stessa la carità67 come madre! Il mio ardore esteriore, poi,
è generato dalla troppa cura di me stessa, e in generale da
ogni forma di rilassamento; mentre la fiamma che mi bru
cia dentro e sconvolge i miei pensieri è frutto di un prece
dente rilassamento e delle azioni passate. Da parte mia,
concepisco e partorisco i peccati, ed essi, una volta partori- 904 b
ti, generano a loro volta la morte mediante la disperazione.
“Se riconosci chiaramente la mia e la tua profonda de
bolezza, mi hai legato le mani. Se reprimi la gola, mi hai
legato i piedi, così che non posso più andare avanti. Se ti
sottometti al giogo dell’obbedienza, ti sottrai al mio. Se
acquisti l’umiltà, mi hai tagliato la testa!”.
279
Discorso XVI
SULL’AVARIZIA
E SULLA RINUNCIA AL POSSESSO
1 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 6.9; Id., Gli otto spiriti di malizia 7;
Id., I vizi e le virtù 3; Pseudo-Nilo, Gli otto pensieri malvagi, PG 79,1449!$;
Giovanni Cassiano, Istituzioni VII,i; Id., Conferenze V,2 ; Gregorio Magno,
Commento morale a Giobbe XXXI,45,87.
2 II demonio della fornicazione.
3 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 9: “L’avarizia suggerisce una lunga
zioni mondane per seguire Cristo e cercare il Regno: cf. Mt 6,25-34; 19,21 par.
le proprie ricchezze, mentre chi afferma di poter convi
vere con l’una e con le altre, inganna se stesso!
4. Chi si affligge su di sé, rinnega anche il proprio
corpo, e, quando l’occasione lo richiede, non risparmia
neanche quello.
5. Non dire che accumuli per i poveri, perché due spic
cioli sono bastati a comperare il Regno (cf. Le 21,2)!
6. Un uomo ospitale e un avaro s’incontrarono, e il se
condo rinfacciò al primo di essere senza discernimento!
7. Chi ha vinto questa passione, ha eliminato le preoc
cupazioni; chi invece vi rimane legato, non riuscirà mai a
pregare in modo puro.
925 a 8. Il pretesto dell’elemosina è l’inizio dell’avarizia; l’o
282
L’operaio6 che rinuncia al possesso è figlio del distacco,
e considera tutto ciò che gli appartiene come se non esistes
se. Quando poi arriva il momento del suo ritiro dal mondo,
considera tutto come spazzatura (cf. Fil 3,8); ma se si rat
trista per qualcosa, non ha ancora rinunciato al possesso.
L’uomo che ha rinunciato al possesso è puro nella sua
preghiera, mentre chi è attaccato alle proprietà, prega ri
volgendo la mente a immagini materiali.
13. Coloro che vivono nella sottomissione ignorano l’a
varizia: dal momento che infatti hanno consegnato anche
il proprio corpo, cosa potrebbero possedere ormai di pro
prio ? Una sola cosa può danneggiarli, il fatto di essere fa
cili e pronti a mutare luogo.
14. Ho visto monaci rimanere con perseveranza nello
stesso luogo a causa dei beni materiali, e ho giudicato più 928 d
beati quelli che sono vagabondi a causa del Signore.
15. Chi ha gustato le cose di lassù (Col 3,1), disprezza
facilmente quelle di quaggiù; chi invece non le ha gusta
te, si rallegra di ciò che possiede.
16. Chi rinuncia al possesso in modo irragionevole7, rice
ve un doppio danno: non gode dei beni presenti ed è pri
vato di quelli futuri. Stiamo dunque attenti, o monaci, a
non apparire più increduli degli uccelli, i quali non hanno
preoccupazioni materiali né accumulano beni (cf. Mt 6,26)!
17. Grande è chi rinuncia ai propri beni per amore di
Dio, ma santo chi rinuncia alla propria volontà: il primo
riceverà il centuplo, o in beni materiali o in carismi, ma è 929 a
il secondo che erediterà la vita eterna (cf. Mt 19,29).
18. Al mare non mancheranno mai le onde, né all’ava
ro l’ira e la tristezza8.
283
19. Chi disprezza i beni materiali si tiene lontano dalle
contese e dai litigi; chi invece vi rimane attaccato, lotte
rà fino alla morte per un solo ago.
20. Una fede incrollabile potrà eliminare le preoccupa
zioni materiali, ma il ricordo della morte porta a rinnega
re anche il proprio corpo.
21. In Giobbe non c’era traccia di avarizia: perciò,
anche quando fu privato dei suoi beni, rimase impertur
bato (cf. Gb 1,22).
22. L’avarizia è la radice di tutti i mali (iTm 6,10), ed
è chiamata così, perché da essa derivano l’odio, i furti,
le invidie, le divisioni, i litigi, i rancori, le crudeltà e
gli omicidi.
23. Alcuni con un piccolo fuoco sono riusciti a brucia
re molto legname9, e con una sola virtù sono sfuggiti a
tutte le passioni appena elencate: questa virtù si chiama
929 b “distacco”10, ed è generata dall’esperienza e dal gusto di
Dio, come anche dal pensiero della resa dei conti a cui sa
remo sottoposti al momento della morte.
24. Il lettore attento non si sarà dimenticato delle pa
role della madre di tutti mali11: essa dice infatti che il se
condo rampollo della sua maledetta e miserabile prole è la
pietra dell’insensibilità; ma io non ho potuto assegnare a
essa il posto che le spettava, perché me lo ha impedito il
serpente dell’idolatria dalle molte teste12, al quale - non so
come mai - i padri dotati di discernimento hanno assegna
to il terzo posto nella catena degli otto vizi. Dopo aver
parlato a sufficienza di questo, vogliamo ormai parlare
dell’insensibilità, che pur avendo qui il terzo posto, è
9 Gioco di parole: in greco la parola hyle significa sia “legname” sia “ma
teria” (e quindi “beni materiali”, come nei §§ 14 e 19).
10 Cf. supra, II.
11 L’ingordigia. Cf. supra, XIV,32.
12 Cioè ravarizia.
284
stata generata per seconda. Dopo questa, tratteremo bre
vemente del sonno e della veglia, e poi anche della pusil
lanimità, che è cosa infantile e indegna di un uomo: sono 929 c
queste infatti le malattie dei principianti.
285
Discorso XVII
SULL’INSENSIBILITÀ
CHE È NECROSI DELL’ANIMA
E MORTE DELLA MENTE
PRIMA DELLA MORTE DEL CORPO
287
“Faccio male!” - esclama -, e continua di buona lena.
Con la bocca prega di essere liberato dalla passione, ma
con il corpo lotta per soddisfarla. Filosofeggia sulla
morte, e vive come se fosse immortale. Parla con gemiti
e sospiri della separazione dell’anima dal corpo, e se ne
sta in ozio come se fosse eterno. Discetta sull’astinenza,
e lotta per soddisfare l’ingordigia.
932 d Proclama beata l’obbedienza, e lui per primo disobbe
disce. Loda chi è distaccato da tutto, e non si vergogna
di conservare rancore e di litigare per uno straccio. Se va
in collera, si irrita con se stesso, e poi va di nuovo in col
lera per essersi irritato, senza accorgersi che così aggiun
ge sconfitta a sconfitta.
Legge quel che sta scritto sul giudizio, e si mette a sor
ridere; quel che sta scritto sulla vanagloria, e s’insuperbi
sce nel momento stesso in cui legge. Ripete a memoria di
scorsi sulla veglia, e subito si immerge nel sonno. Loda la
preghiera, e la fugge come fosse una frusta. Si pente di
aver mangiato fino alla sazietà, e subito dopo riprende a
riempirsi il ventre. Esalta il silenzio, e ne tesse le lodi con
fiumi di chiacchiere. Insegna la mitezza, e mentre la inse
gna, va continuamente in collera. Rientrato in se stesso,
sospira, poi scuote la testa e cede di nuovo alla passione.
Biasima il riso e poi ridacchiando predica l’afflizione. Si
accusa di vanagloria di fronte agli altri, e accusandosi va
in cerca di gloria. Fissa i volti delle persone con sensuali-
933 a tà, e parla di castità. Elogia gli esicasti mentre vive nel
mondo, e non si rende conto di svergognare se stesso.
Esalta i misericordiosi che fanno elemosine, e insulta i po
veri. Si fa continuamente accusatore di se stesso, e non
vuole prenderne coscienza, per non dire che non può.
4. Ho visto molte persone di questa risma piangere
sentendo parlare della morte e dei terribili giudizi di Dio
e poi, ancora con le lacrime agli occhi, correre in fretta a
288
mettersi a tavola; e sono rimasto sbalordito vedendo come
quel fetido tiranno - intendo il ventre - rafforzato da un
bel po’ d’indolenza, riuscisse a vincere perfino l’afflizione.
5. Nei limiti della mia povera conoscenza e delle mie 933 b
289
il tempo mi fa crescere, la cattiva abitudine mi consolida,
933 d e chi la contrae, non riuscirà più a liberarsi di me !
“Se mediti continuamente il giudizio eterno, vegliando
a lungo, forse ti darò un po’ di respiro. Esamina la causa
per cui sono nata in te, e lotta contro quella mia madre,
perché non ne ho una sola in tutti i casi. Prega spesso tra
le tombe, imprimendotene nel cuore l’immagine in modo
indelebile: se infatti non l’avrai incisa in te con lo stilo
del digiuno, non potrai vincermi in eterno!”.
290
Discorso XVIII
SUL SONNO, SULLA PREGHIERA
E LA SALMODIA COMUNITARIA
291
nel sonno; altri ci stimolano il ventre con acuti e insoliti
dolori; altri ci spingono a tenere conversazioni nella casa
del Signore; altri trascinano la nostra mente verso pensie
ri sconvenienti. Altri ci fanno appoggiare al muro, come
se fossimo sfiniti dalla stanchezza2 3 *, magari facendoci
anche sbadigliare ininterrottamente.
937 c Alcuni, poi, durante la preghiera ci fanno ridere in
continuazione, per suscitare in tal modo l’indignazione di
Dio contro di noi; altri ci costringono a recitare i salmi in
modo affrettato, per pigrizia; altri ci spingono a cantarli
più lentamente, per vano compiacimento; e può succede
re che alcuni si appostino addirittura sulla nostra bocca e
ce la chiudano, così che facciamo difficoltà ad aprirla.
4. Chi pensa, con profondo sentimento del cuore, di
trovarsi alla presenza di Dio mentre è in preghiera, reste
rà immobile come una colonna, e nessuno dei demoni di
cui abbiamo appena parlato potrà prendersi gioco di lui.
Spesso succede che chi è veramente obbediente, appe
na si presenta alla preghiera, diventi tutto radioso e pieno
di gioia: quel lottatore infatti si era già preparato e in
fiammato in anticipo con la sincerità del proprio servizio.
5. Pregare insieme a un gran numero di persone è possi-
937 d bile a tutti; pregare con un solo fratello animato dallo stesso
spirito è conveniente a molti; ma la preghiera solitaria è ri
servata a pochissimi. Quando canti i salmi insieme a un gran
numero di persone, non puoi pregare in modo immateriale5,
292
ma per esercitare la tua mente, contempla le parole che
vengono cantate, o ancora, recita qualche breve preghie
ra in attesa del versetto successivo4.
6. Nessuno si dedichi a un’altra occupazione durante
la preghiera, tanto meno a un lavoro materiale5. Questo
lo ha insegnato chiaramente l’angelo apparso al grande
Antonio6.
7. La fornace prova l’oro, e lo stare in preghiera mette
alla prova lo zelo e l’amore che i monaci hanno per Dio'.
intende: “Quel lavoro che fa stare in basso {kàtó) l'attività della mente e non
le permette di raggiungere la sublimità della preghiera”.
6 Cf. Apoftegmiy Antonio 1: “Un giorno il santo padre Antonio, mentre se
deva nel deserto, fu colto dall'acedia e da una fitta nebbia di pensieri. E dice
va a Dio: ‘O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che
posso fare nella mia afflizione?'. Ora, sporgendosi un po', Antonio vede un
altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi
e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli
forza. E udì l'angelo che diceva: ‘Fa' così e sarai salvo!'. All'udire quelle pa
role, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò”. L'abitudine di
lavorare pregando e ripetendo parole della Scrittura era in realtà largamente
diffusa in tutto il monacheSimo antico, e raccomandata dai padri (cf. Giovanni
Cassiano, Istituzioni 11,12-14, e sull'argomento L. Regnault, Vita quotidiana dei
padri del deserto, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 113-124), ma forse qui
Climaco intende raccomandare l’astensione dal lavoro soltanto nei momenti
specificamente consacrati alla preghiera. Cf. anche supra, XIV,23 e infra,
XXVII/2,54.
7 Cf. infra, XXVIII,38.52.
293
Discorso XIX
SULLA VEGLIA DEL CORPO
E SUL MODO DI PRATICARLA
295
corrono una via assai più modesta: Dio però accetta e va
luta i doni secondo l’intenzione e la forza di ciascuno.
2. L’occhio che veglia purifica la mente, ma l’abbondan
za di sonno indurisce l’anima. Il monaco vigilante è nemi
co della fornicazione, mentre il sonnolento è suo compagno.
3. La veglia è estinzione del fuoco passionale, libera
zione dai sogni, occhio umido di lacrime, cuore inteneri
to, custodia dei pensieri, fornace dei cibi, briglia delle
passioni, freno della lingua, esilio delle fantasie.
4. Il monaco che veglia è un pescatore di pensieri, poten
do facilmente avvistarli e catturarli nella calma della notte.
94 i A Il monaco che ama Dio, appena suona il segnale2 della pre
ghiera, dice: “Bene! Bene!”, e il pigro: “Ohimè! Ohimè!”.
5. Una tavola imbandita rivela chi è ingordo, e l’eser
cizio della preghiera, chi è amico di Dio: il primo al ve
dere la tavola salta di gioia, l’altro si rattrista.
6. Il troppo sonno procura l’oblio, ma la veglia purifi
ca la memoria.
7. La ricchezza dei contadini viene raccolta sull’aia e
nel torchio, mentre la ricchezza e la scienza dei monaci
sono raccolte durante le veglie serali e notturne, e con gli
esercizi della mente.
8. Il troppo sonno è un compagno sleale, perché sot
trae al pigro metà della vita, o anche di più.
9. Il cattivo monaco sta ben sveglio nelle conversazioni,
ma quando arriva l’ora della preghiera gli pesano gli
occhi3. Il monaco fatuo eccelle nelle chiacchiere, ma al mo
941 B mento della lettura, non riesce più a vedere per il sonno.
Al suono dell’ultima tromba i morti risorgeranno (cf.
iCor 15,52; iTs 4,16); allo stesso modo, appena sentono
le chiacchiere, i dormiglioni si risvegliano!
296
Il tiranno4 del sonno è un amico infido: spesso, quando
siamo sazi, si ritira, e quando invece siamo affamati e as
setati, ci attacca con violenza. Durante la preghiera, poi, ci
suggerisce di dedicarci a un lavoro manuale, perché altrimen
ti non riuscirebbe a distruggere la preghiera di chi veglia.
Questo tiranno è il primo ad assalire i novizi: per ren
derli negligenti fin dagli inizi, o per preparare la strada al
demonio della fornicazione. Finché non ce ne saremo libe
rati, non chiediamo la dispensa dalla salmodia comunitaria;
spesso infatti la vergogna può trattenerci dal sonnecchiare.
10. Il cane è nemico delle lepri, e il demonio della va
nagloria è nemico del sonno.
11. Alla fine della giornata, il bottegaio si mette sedu
to e calcola il suo guadagno; il monaco operoso5, invece, 941 c
lo fa alla fine della salmodia.
12. Dopo la preghiera, rimani vigilante, e vedrai inte
re schiere di demoni! Noi infatti li abbiamo combattuti,
ed essi, terminata la preghiera, tentano di ferirci con fan
tasie sconvenienti. Siediti e osserva, e vedrai coloro che
hanno l’abitudine di rapirci le primizie dell’anima!
13. Può capitare che, per l’abitudine presa, si ripetano le
parole dei salmi anche durante il sonno; ma a volte sono i de
moni a suggerircele, per farci montare in superbia. C’è poi un
terzo caso, che non volevo menzionare, ma qualcuno6 mi co
stringe a farlo: l’anima che medita incessantemente la parola
del Signore, può arrivare a intrattenersi con essa perfino nel
sonno. Quest’ultima cosa, infatti, non è che la giusta ricompen
sa della precedente, per mettere in fuga i peccati e le fantasie.
A Cioè il demonio.
5 Lett.: “L’operaio (ergdtes)”.
6 Gli esempi presenti nelle Scritture: cf. Sai 1,2; 118,148; Ct 5,2.
297
Discorso XX
SULLA PUSILLANIMITÀ CHE È COSA INFANTILE
E INDEGNA DI UN UOMO
299
5. Tutti i pusillanimi sono pieni di vanagloria; ma non
tutti i coraggiosi sono umili, perché anche i ladri e i vio
latori di tombe non si spaventano facilmente.
6. Non esitare a recarti in piena notte nei luoghi in cui
di solito hai paura, perché se ti lasci andare un po’ a que
sta passione ridicola e infantile, essa finirà per invecchiare
con te ! Mentre ti stai recando là, armati della preghiera, e
quando sei arrivato, stendi le braccia e flagella i tuoi nemi
ci con il nome di Gesù1: non esiste infatti arma più poten
te né in cielo né in terra! Una volta guarito da questa ma
lattia, eleva un canto a colui che ti ha liberato, perché se
gli dimostrerai gratitudine, egli ti proteggerà in eterno.
945 d 7 . Come non riuscirai mai a saziare il ventre con un solo
ne provvidenziale.
300
10. Chi è diventato servo del Signore, teme il proprio
padrone, e lui solo (cf. Mt 10,28 par.); ma chi ancora non
lo teme, spesso si spaventa davanti alla sua stessa ombra!
11. Quando uno spirito2 si avvicina invisibilmente, il
corpo si spaventa. Ma se si avvicina un angelo, Tanima
degli umili esulta di gioia; perciò, appena riconosciamo la
sua presenza da quest’effetto, corriamo subito alla pre
ghiera: il nostro buon custode, infatti, è venuto a prega
re con noi!
2 Cioè un demonio.
301
Discorso XXI
SULLA MULTIFORME VANAGLORIA
zeno parla di “sette spiriti della malizia, pari di numero a quelli della virtù”,
mi sembra sufficiente a spiegare il riferimento del nostro autore, e non c’è
alcun bisogno di pensare - come fanno alcuni studiosi - che, con il nome di
“Gregorio il Teologo”, 1*autore abbia inteso riferirsi a Gregorio Magno (cf.
Commento morale a Giobbe XXXI,45,87); cf. P. Deseille, “La dottrina spiri
tuale di Giovanni Climaco”, pp. 100 e 114; M. Viller, K. Rahner, Ascetica e
mistica nella patristica. Un compendio della spiritualità cristiana antica,
Queriniana, Brescia 1991, pp. 156-157.
5 Sul rapporto tra vanagloria e superbia cf. anche infra, § 27.
303
parliamo brevemente delle passioni che sono inizio e cul
mine dell’empia presunzione: chi infatti volesse discuter
ne diffusamente, sarebbe simile a chi si affatica invano a
misurare il peso dei venti.
2. La vanagloria, nella sua essenza, è uno stravolgimen
to della natura, una perversione dei costumi e un’attenzio
ne sempre desta alle critiche; nelle sue qualità, poi, è sper-
949 b pero di fatiche, spreco di sudori, insidia del nostro tesoro,
4 Cioè la virtù.
304
lunque modo tu la getti, questa passione tiene sempre
una punta rivolta verso l’alto5.
6. Il vanaglorioso è un credente idolatra, che in appa
renza onora Dio, ma in realtà cerca di piacere agli uomi
ni e non a Dio. Vanaglorioso è chiunque ama mettersi in
mostra: il suo digiuno rimane senza ricompensa, e la sua
preghiera è inutile e inopportuna, perché sia l’uno che
l’altra sono fatti per la lode degli uomini (cf. Mt 6,1-6.16-
17). L’asceta vanaglorioso riceve un danno doppio: mace
ra il proprio corpo e non riceve alcuna ricompensa.
7. Chi potrebbe non ridere vedendo come lo schiavo
della vanagloria, durante la salmodia, sia spinto da que
sta passione ora a ridere, ora a piangere di fronte a tutti? 949 D
8. Dio spesso nasconde ai nostri occhi anche le virtù
che possediamo; ma chi ci loda - o meglio chi ci inganna
-, con le sue lodi ci apre gli occhi e, aperti gli occhi, la
nostra ricchezza scompare (cf. Gen 3,7).
9. L’adulatore è un servo dei demoni, un complice
della superbia, un distruttore della compunzione, un an-
nientatore delle virtù, un ingannatore che ci fuorvia:
Coloro che vi chiamano beati - dice infatti il profeta - vi
ingannano (Is 3,12)!
10. E proprio degli spiriti elevati sopportare le offese 952 A
con coraggio e con gioia; ma è proprio dei santi e dei puri
passare indenni in mezzo alle lodi.
11. Ho visto persone che si affliggevano per i propri
peccati accendersi d’ira per gli elogi ricevuti, scambiando
una passione con un’altra passione6, come si fa in una fiera.
12. Nessuno conosce i segreti dell’uomo, se non lo spirito
dell’uomo che è in lui (iCor 2,11): si vergognino dunque e
chiudano la bocca coloro che osano lodarci in faccia !
305
13. Se senti che il tuo vicino o il tuo amico ti ha rivol
to un insulto, in tua presenza o in tua assenza, lodalo e
dimostragli il tuo amore.
14. Grande cosa è scacciare dalla propria anima le lodi
degli uomini, ma è cosa ancor più grande respingere le
lodi dei demoni.
13. Dimostra umiltà non chi disprezza o insulta se stes
so - come potrebbe, infatti, non sopportare le proprie pa-
952 b role? -, ma chi, offeso da un altro, non diminuisce il pro
prio amore per lui.
16. Ho notato come a volte il demonio della vanaglo
ria suggerisca a un fratello dei pensieri cattivi rivelandoli
allo stesso tempo a un altro, e come poi spinga quest’ul
timo a rivelare al primo i pensieri del suo cuore, così che
quello finisca per lodarlo come un profeta7.
A volte questo demonio maledetto può perfino attac
carsi alle membra del corpo facendole sussultare.
Non lasciarlo avvicinare quando ti fa balenare la pro
spettiva di diventare vescovo, igumeno o maestro, perché
è difficile scacciare un cane dal banco del macellaio8!
Appena costui si accorge che qualcuno ha raggiunto un
po’ di pace interiore, subito lo spinge a lasciare il deser
to per tornare nel mondo, dicendogli: “Va’ a salvare le
anime che periscono ! ”.
17. Come l’aspetto degli etiopi9 è diverso da quello
delle statue, così la forma di vanagloria propria dei ceno-
952 c biti è diversa da quella degli eremiti.
18. Quando dei secolari vengono in visita, la vanaglo
ria ne anticipa l’arrivo e spinge i monaci più fatui a usci-
7 Cf. infrat DP 84. Seguo qui il testo di Rader invece di quello di Sophronios,
8 L'immagine si riferisce alla mente che rimane invischiata nelle preoccupa
zioni mondane e materiali.
9 Cioè dei neri.
306
re loro incontro: li fa cadere ai loro piedi e li veste di
umiltà - proprio lei che è piena di superbia! -, accomo
da il loro portamento e la loro voce, li spinge a guardare
le mani dei visitatori nella speranza di ricevere qualcosa,
e a chiamarli signori e padroni, e, dopo Dio, “datori della
vita”. A tavola, consiglia di fare astinenza e di rimprove
rare senza pietà gli inferiori10. Durante la salmodia, rende
solleciti i pigri, dà una bella voce a chi non ce l’ha, e ri
sveglia i sonnacchiosi; lusinga il maestro del coro e lo sup- 952 d
plica di assegnare ai vanitosi le parti principali del canto:
lo chiama padre e maestro, finché gli ospiti non se ne
siano andati. Rende orgoglioso chi è apprezzato più degli
altri, e infonde rancore in chi è disprezzato.
19. Spesso la vanagloria procura disonore invece che
onore: i suoi seguaci, infatti, possono subire una grande
umiliazione, se si abbandonano all’ira. La stessa vanaglo
ria può rendere miti davanti agli uomini le persone irasci
bili; tanto più salta addosso a coloro che possiedono delle
doti naturali, e per mezzo di esse conduce quegli sventu
rati alla rovina!
20. Ho visto un demonio assalire e scacciare un altro
demonio suo fratello: una volta infatti, mentre un mona- 953 a
co era in preda all’ira, giunsero improvvisamente dei seco
lari, e quello sventurato passò dall’ira alla vanagloria, giac
ché non poteva servire l’una e l’altra allo stesso tempo.
21. Chi si è venduto alla vanagloria, vive una doppia
vita: esteriormente vive tra i monaci, ma con lo spirito e
col pensiero vive nel mondo.
22. Se veramente desideriamo piacere al re di lassù,
sforziamoci di gustare la gloria di lassù! Chi infatti l’avrà
gustata, disprezzerà ogni gloria terrena; ma mi meravi-
10 Si può intendere: i monaci più giovani di loro, oppure quelli che non sono
al loro livello di ascesi.
307
glierei se qualcuno riuscisse a disprezzare la seconda senza
aver gustato la prima.
23. Spesso, dopo essere stati depredati dalla vanaglo
ria11, ci siamo rivoltati contro di lei e, a nostra volta, siamo
riusciti a depredarla grazie a una migliore disposizione. Ho
visto alcuni intraprendere un’opera spirituale per vanaglo
ria, e poi, lasciato da parte il motivo riprovevole che glie-
953 b l’aveva fatta iniziare, portarla a termine in modo degno di
lode, per aver mutato le proprie intenzioni.
24. Chi s’insuperbisce dei propri doni naturali, per
esempio della propria intelligenza, della propria facilità di
apprendimento, delle proprie capacità di lettura e di
espressione, del proprio ingegno, e di altre cose simili,
non otterrà mai i beni soprannaturali, perché chi è infe
dele nel poco, sarà infedele - ovvero vanitoso - anche nel
molto (cf. Le 16,10).
25. Molti, pur di acquistare la perfetta impassibilità, ca
rismi in abbondanza, e la capacità di operare miracoli e fare
profezie, macerano il proprio corpo in modo sconsiderato,
senza sapere, poverini, che non sono le fatiche, ma è piut
tosto l’umiltà la madre di tali cose. Chi pretende di riceve
re dei doni in cambio delle proprie fatiche, ha posto delle
fondamenta destinate a crollare; chi invece si considera un
debitore, all’improvviso riceverà una ricchezza inaspettata.
26. Non ti fidare del vagliatore12, che ti suggerisce di
953 c ostentare le tue virtù perché chi ti ascolta ne possa rica
vare giovamento. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se
guadagnerà il mondo intero, e poi perderà se stesso? (cf. Mt
16,26; Le 9,25). Non c’è niente che possa edificare di più
chi ci guarda, di un atteggiamento umile e sincero, e di
308
una parola franca: ciò infatti aiuta anche gli altri a non
insuperbirsi mai. E che cosa può mai esserci di più utile ?
27. Un uomo dotato del carisma di chiaroveggenza
ebbe una visione e mi raccontò quel che vide: “Un giorno
- disse - mentre ero seduto in assemblea, vennero il de
monio della vanagloria e il demonio della superbia, e si mi
sero a sedere accanto a me, uno da una parte e uno dal
l’altra. Il primo mi punzecchiava il fianco con il dito della 953 d
vanagloria, esortandomi a raccontare qualche mia visione
o qualche prodezza da me compiuta nel deserto. Ma appe
na me ne fui liberato, dicendogli: ‘Retrocedano e siano co
perti di vergogna quelli che meditano il male contro di me! ’
(Sai 39, i^b), subito quello che stava alla mia sinistra mi
disse nell’orecchio: ‘Bene! Ben fatto! Sei stato grande a
vincere quella spudorata di mia madre!’; e io immediata
mente, riprendendo il seguito del versetto, gli dissi: ‘Siano
subito respinti e coperti di vergogna quelli che mi dicono:
Bene! Hai fatto bene/ ’ (cf. Sai 39,16)”.
Allora io chiesi a quella persona: “Come mai la vana
gloria è madre della superbia?”; ed egli mi rispose: “Le
lodi esaltano e gonfiano, e quando l’anima è esaltata, la 956a
superbia la afferra, la porta fino al cielo, e poi la precipi
ta giù nell’abisso”.
28. C’è una gloria che viene dal Signore, poiché sta
scritto: Glorificherò coloro che mi glorificheranno (iSam
2,30); e ce n’è una che è frutto dell’inganno del diavolo,
poiché sta scritto: Guai a voi quando tutti gli uomini di
ranno bene di voi (Le 6,26).
29. La prima, la riconoscerai chiaramente quando, con
siderandola come un danno, cercherai di respingerla in
tutti i modi, e quando, dovunque andrai, cercherai di na
scondere la tua condotta di vita; la seconda, invece,
quando farai tutto, anche la minima cosa, per essere visto
dagli uomini.
309
Questa gloria impura ci suggerisce di fingere delle
virtù che non abbiamo, dicendo: “Sta scritto: Così ri-
956 b splenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le
vostre opere buone! ” (Mt 5,16). Spesso il Signore condu
ce i vanagloriosi al ripudio della vanagloria facendo subir
loro qualche umiliazione.
30. L’inizio del ripudio della vanagloria consiste nella
custodia della propria bocca (cf. Sai 140,3) e nell’amore
delle umiliazioni; il grado intermedio, nella recisione di
tutti i pensieri di vanagloria che abbiamo nella mente; il
grado perfetto - ammesso che possa esistere un limite
nell’abisso -, nel ricercare tutto ciò che può umiliarci in
pubblico, senza provarne il minimo fastidio.
31. Non nascondere la tua infamia13 con il pretesto di
non dare scandalo! Tuttavia, forse, a seconda del tipo di
caduta, non sarà opportuno applicare sempre lo stesso ri
medio.
32. Quando ricerchiamo la gloria, o quando essa ci
viene procurata da altri senza che l’abbiamo ricercata, o
ancora, quando intraprendiamo qualche opera per vana-
956 c gloria, ricordiamoci della nostra afflizione passata e di
quel timore con cui ci presentavamo davanti a Dio nella
nostra preghiera solitaria, e certamente faremo vergogna-
re quella spudorata14, purché ci sforziamo davvero di pre
gare in modo autentico. Se ciò non basta, richiamiamo
subito alla mente il pensiero della morte; e se non basta
neanche questo, temiamo almeno la vergogna che segue
la gloria, poiché chi si esalta, sarà umiliato (Le 1 4 , 1 1 ) , non
solo nell’altra vita, ma certamente anche in questa!
33. Quando i nostri adulatori - o meglio i nostri ingan
natori - cominciano a elogiarci, richiamiamo subito alla
310
mente la moltitudine dei nostri peccati, e ci scopriremo in
degni delle lodi e degli onori che ci vengono tributati.
34. Certamente ci sono anche vanagloriosi che meritano
di essere esauditi da Dio in alcune loro richieste: di solito,
però, il Signore previene le loro preghiere e le loro suppli- 956
che, per evitare che essi, ricevendo ciò che chiedono per
mezzo della preghiera, s’insuperbiscano ancora di più.
35. Non sono certo le persone più semplici le vittime
ordinarie di questo veleno: la vanagloria infatti è rifiuto
della semplicità e finzione continua nei propri comporta
menti.
36. Spesso il verme, quando è cresciuto, mette le ali e
vola in alto; così la vanagloria, quando è giunta a piena
maturazione, genera la superbia, autrice e perfezionatrice
di tutti i mali (cf. Eb 12,2).
313
riseo che, dissimulando la propria superbia, disse: Dio, ti
ringrazio! (Le 18,11).
5. Ogniqualvolta si verifica una caduta, vuol dire che
la superbia aveva già piantato la sua tenda, poiché Luna
è indizio dell’altra.
965 d 6. “Supponi che le infami passioni (cf. Rm 1,26) siano
dodici - ho sentito dire da un uomo degno di rispetto
se ne ami volontariamente anche una sola, intendo dire la
presunzione, quella occuperà il posto delle altre undici! ”2.
7. Il monaco superbo contraddice con aggressività; l’u
mile invece non sa neanche guardare in faccia. Un cipresso
non si piega per far crescere i suoi rami a terra; né il mo
naco dal cuore superbo si piega ad acquistare l’obbedienza.
8. L’uomo dal cuore superbo brama di comandare: non
c’è altro modo infatti in cui possa - o piuttosto voglia -
perdere completamente se stesso.
9. Il Signore resiste ai superbi (Pr 3,34; cf. Gc 4,6; iPt
968a 5,5): chi dunque può avere pietà di loro? Ogni uomo dal
cuore superbo è impuro agli occhi del Signore (Pr 16,3): chi
dunque potrà renderlo di nuovo puro ?
10. La caduta corregge i superbi; il demonio li stimo
la; il delirio della mente procura loro l’abbandono da
parte di Dio. Dai primi due mali, gli uomini riescono
spesso a guarire grazie all’aiuto di altri uomini; ma l’ulti
mo è umanamente inguaribile.
11. Chi rifiuta i rimproveri, rivela la sua passione; chi
li accoglie, è già libero dai suoi vincoli.
12. Se a causa di questa sola passione, senza il concor
so di altre, qualcuno è caduto dal cielo, bisogna chieder
si se non sia possibile salire al cielo con la sola umiltà,
anche senz’altre virtù.
314
13. La superbia è sperpero di ricchezza e di sudori.
Hanno gridato, e non c era chi li salvava: certamente per
ché hanno gridato con superbia ! Hanno gridato al Signore
e non ha dato loro ascolto (Sai 17,42): certamente perché
non avevano eliminato le cause dei peccati da cui prega
vano di essere liberati!
14. Un giorno, un anziano dotato di profondo discer- 968 b
nimento richiamò con un consiglio spirituale un fratello
che si dimostrava superbo, ma quello, nel suo accecamen
to, gli disse: “Perdonami, padre, ma io non sono super
bo!”. E quell’anziano ripieno di sapienza gli rispose:
“Quale dimostrazione più chiara della tua passione potre
sti darmi, figlio, del tuo dire: ‘Non sono superbo!’?”.
Per simili individui sono fondamentali la sottomissione,
una disciplina più rude e umiliante, e la lettura degli esem
pi di virtù soprannaturali dei padri; e anche così, forse,
sarà piccola la speranza di salvezza per questi malati.
15. E una vergogna farsi belli di un ornamento prezioso
che non ci appartiene, ma è somma follia vantarsi dei doni
ricevuti da Dio. Vantati soltanto - semmai - del bene che
hai fatto prima di nascere, perché quello che hai fatto dopo 968 c
la tua nascita, è un dono di Dio, come la nascita stessa!
16. Soltanto le virtù che hai conseguito senza l’aiuto
della mente ti appartengono, perché la mente te l’ha do
nata Dio. Soltanto le vittorie che hai riportato senza il
corpo sono frutto dei tuoi sforzi, perché il corpo non è
tuo, ma è opera di Dio3!
315
17. Non ti sentire sicuro finché non hai ricevuto la
sentenza, vedendo come quell’uomo, che pure era già
stato ammesso alla festa nella sala delle nozze, fu legato
mani e piedi e gettato fuori nelle tenebre (cf. Mt 22,13).
18. Non alzare troppo la testa, tu che sei fatto di terra:
molti infatti furono precipitati dal cielo, pur essendo
santi e incorporei!
19. Quando il demonio ha stabilito la sua dimora in co
loro che compiono le sue opere, allora appare loro mentre
968 d dormono, o anche mentre sono svegli, nell’aspetto di un
santo o di un martire, rivela loro qualche mistero e li gra
tifica di qualche carisma, affinché quegli sventurati, così
ingannati, finiscano per perdere completamente la testa.
20. Se anche sopportassimo innumerevoli morti per Cri
sto, non avremmo ancora saldato il nostro debito, perché
un conto è il sangue di Dio, altro conto il sangue dei suoi
servi: quanto al valore, voglio dire, non alla sostanza4.
969 a 21. Non smettiamo mai di meditare e di esaminare le
vite luminose dei padri che ci hanno preceduto, e allora
scopriremo che non abbiamo fatto neanche un passo sulle
orme della loro vita perfetta, né abbiamo custodito san
tamente la nostra professione, ma ci troviamo ancora
nella condizione di chi vive nel mondo.
22. Ecco cos’è veramente un monaco: un occhio dell’a
nima5 che non si lascia mai distrarre6, e sensi del corpo
ne, cf. Pseudo-Macario, Omelìe (Coll. II) 7,8: “Come gli occhi esteriori vedo
no da lontano i rovi, i dirupi, i fossi, così anche la mente, essendo più vigoro
sa, vede le arti della potenza avversa e le sue insidie e premunisce l’anima; in
fatti è come l’occhio dell’anima”.
6 In greco: ameteóriston , espressione tipicamente basiliana, coniata a parti
316
che rimangono immobili. Monaco è colui che incita i suoi
nemici al combattimento come bestie feroci, e li provoca
anche quando fuggono via da lui. Monaco è continuo ra
pimento in Dio, e tristezza per questa vita. Monaco è
colui che è così naturalmente orientato alle virtù, come
altri ai piaceri. Monaco è luce incessante nell’occhio del
cuore. Monaco è un abisso di umiltà che ha sommerso e 969 b
317
l’aiuto del Signore, perché per lui è vana la salvezza degli
uomini (Sai 107,13)!
28. Un giorno ho sorpreso questa ingannatrice senza
capo8 nel mio cuore, portata sulle spalle da sua madre9, e
dopo averle catturate entrambe con il laccio dell’obbe
dienza, e frustate con la frusta della modestia, le costrin
si a dirmi in che modo fossero entrate in me. Ed esse,
sotto i colpi della frusta, mi dissero:
“Non abbiamo né origine, né nascita, perché tutte le
passioni hanno origine e nascono da noi. La contrizione
del cuore, che è frutto di sottomissione, ci fa guerra aper
ta. Non sopportiamo di essere comandate da nessuno, e
perciò, dopo esserci impadronite del potere anche nei
cieli, ce ne allontanammo.
969 d “Per dirla in breve, noi siamo le madri di tutte le pas
sioni che si oppongono all’umiltà, mentre tutto ciò che la
sostiene si oppone a noi. Ma se siamo diventate potenti
perfino in cielo, tu dove pretendi di fuggire allontanan
doti da noi?
“Nelle umiliazioni spesso accompagnamo l’ubbidienza,
la non-irascibilità, l’assenza di rancore e lo zelo nel servi
zio. I nostri figli sono i peccati degli uomini spirituali:
l’ira, la maldicenza, l’irritazione, la collera, le grida, le be
stemmie, l’ipocrisia, l’odio, l’invidia, l’indipendenza di
vita, la contestazione, la disobbedienza.
“C’è una sola cosa contro cui non possiamo far niente,
e giacché continui a frustarci te la diciamo: se ti accusi
sinceramente davanti al Signore, senza smettere mai, con
sideraci pure come una ragnatela. Infatti, come vedi, il ca-
8
Su quest'espressione, cf. Exegesis (pp. 344-345): “Chiama la superbia ‘in
gannatrice senza capo': ‘senza capo’ (aképhalos), perché essa attribuisce a se
stessa le opere virtuose e non al capo di tutti che è Cristo, e ‘ingannatrice^ per
ché ci inganna e ci seduce con le sue vuote millanterie>,.
9 La vanagloria.
318
vallo della superbia è la vanagloria; ed è proprio su di lei
che sono salita. Ma la santa umiltà e l’accusa di se stessi
si rideranno del cavallo e del cavaliere, cantando armonio 972 A
samente l’inno della vittoria: Cantiamo al Signore perché si
è coperto di gloria : cavallo e cavaliere ha gettato nel mare (Es
15,1), cioè nell’abisso dell’umiltà!”.
319
Discorso XXIII
SUGLI INESPRIMIBILI PENSIERI
DI BESTEMMIA
321
bestemmie contro il Signore. Se infatti quelle parole
empie e sconvenienti fossero mie, come mai, allora, rice
vo e venero il dono2? Come posso insultare e benedire
allo stesso momento?
3. Questo ingannatore e corruttore delle anime ha spes-
976 so condotto molti alla follia. Nessun altro pensiero infatti
d
2 Le specie eucaristiche.
3 Cf. Evagrio Pontico, Trattato pratico 46: “Il demonio che induce la mente
a una bestemmia contro Dio e a quelle immaginazioni proibite che io non oso
nemmeno affidare allo scritto, non ci imbrogli né ci faccia perdere la nostra
buona volontà. Infatti il Signore è un ‘conoscitore dei cuori> e sa che noi,
anche quando eravamo nel mondo, non ci siamo mai abbandonati a una tale
follia”. Per l’attributo divino “conoscitore dei cuori” (,kardiognóstes)y cf. la spie
gazione di Evagrio Pontico, Scolti ai Salmit PG 12,13050 “Colui che è stato
l’unico a plasmare, è anche l’unico a conoscere: perciò solo Dio è chiamato a
buon diritto ‘conoscitore dei cuori’”; cf. anche Id., Scolti ai Proverbi 68; 76;
144; Id., I pensieri malvagi 37; Pseudo-Macario, Omelie (Coti. II) 16,6; Marco
il Monaco, Su chi si crede giustificato per le opere 15.
322
7. Quell’empio non solo bestemmia Dio e tutte le cose
divine, ma pronuncia nella nostra mente le parole più
turpi e indecenti per farci abbandonare la preghiera, o al
meno cedere alla disperazione. Molti sono coloro che ha
strappato alla preghiera, e molti coloro che ha allontana
to dai misteri4!
Questo tiranno crudele e disumano ha logorato i corpi
di alcuni con la tristezza, e altri li ha fiaccati con il digiu
no, senza dar loro il minimo sollievo; ed è riuscito ad ot
tenere questo risultato non solo con i secolari ma anche
con quelli che conducevano vita monastica, suggerendo
loro che non avevano più speranza di salvezza, convin
cendoli anzi che erano più degni di compassione e più 977 b
sventurati di tutti gli infedeli e i pagani.
8. Colui che è tormentato dallo spirito di bestemmia e
vuole liberarsene, riconosca chiaramente che la causa di
tali pensieri non è la sua anima ma il demonio impuro che
una volta disse al Signore: Ti darò tutte queste cose se, pro
strato, mi adorerai (Mt 4,9) !
Perciò anche noi disprezziamolo e non teniamo in
alcun conto le sue parole, e diciamo: “Vattene Satana!
Adorerò il Signore mio Dio, a lui solo renderò culto (cf.
Mt 4,10) ! La tua fatica e le tue parole ricadranno sulla tua
testa, e sul tuo capo scenderà la tua bestemmia, in questo
secolo e in quello futuro (cf. Sai 7,17)! Amen”. 977c
9. Chi vuole lottare contro il demonio della bestemmia
in modo diverso da come si è appena detto, somiglia a chi
pretende di afferrare un fulmine con le mani. Come po
trebbe, infatti, afferrare questo demonio, contraddirlo, o 4
323
lottare contro di lui, se costui piomba nel cuore all’im
provviso come un vento, pronuncia le sue parole più ra
pidamente di un lampo, e poi subito scompare ?
10. Tutti gli altri nemici, infatti, si fermano, lottano e
si attardano un po’, dando del tempo a colui che lotta
contro di loro; questo invece no, ma appena è apparso si
ritira, e appena ha pronunciato le sue parole si dilegua.
11. Questo demonio ha spesso l’abitudine di frequen
tare le menti delle persone più semplici e ingenue, che
977 d assai più delle altre si agitano e si turbano: riguardo a loro
bisogna affermare che tutto ciò che subiscono non è certo
frutto del loro orgoglio ma dell’invidia dei demoni.
12. Smettiamo di giudicare e di condannare il prossimo,
e non dovremo più temere i pensieri di bestemmia: la
causa e la radice di tali pensieri, infatti, è proprio questa.
13. Come chi è chiuso in casa sente i discorsi di tutti
quelli che passano all’esterno, senza intrattenersi a parla
re con loro, così l’anima raccolta in se stessa è turbata dal
semplice ascolto delle bestemmie che il demonio pronun
cia passando attraverso di lei.
14. Chi disprezza questo demonio è liberato da questa
passione, ma chi cerca di lottare contro di lui in altro
980 a modo, finirà per soccombere. Chi infatti vuole catturare
gli spiriti con le parole, somiglia a chi pretende di mette
re i venti sotto chiave!
Un monaco zelante che fu tormentato da questo demo
nio per ben vent’anni, macerò la sua carne con digiuni e
veglie, ma accortosi poi di non ricavarne alcun giovamen
to, scrisse la sua passione su un foglio di papiro, andò da
un sant’uomo e glielo consegnò, prostrandosi con la fac
cia a terra, senza avere la forza di levare gli occhi verso
di lui. Dopo aver letto, l’anziano sorrise, e facendo rial
zare il fratello, gli disse: “Figlio, metti la tua mano sul
mio collo”. E appena il fratello ebbe fatto ciò, quel gran-
324
de anziano gli disse: “Questo peccato sia sul mio collo,
fratello, per tutti gli anni che ti ha tormentato e ancora 980 b
325
Discorso XXIV
SULLA MITEZZA, LA SEMPLICITÀ
E L’INNOCENZA,
NON NATURALI MA ACQUISITE,
E SULLA MALIGNITÀ
327
La mitezza è sostegno della pazienza, porta, anzi madre
della carità, presupposto del discernimento, poiché sta
scritto: II Signore insegnerà ai miti le sue vie (Sai 24,9b);
981 a procura il perdono dei peccati, è franchezza nella preghie
4 Cf. Evagrio Pontico, Ai monaci 31: “In un cuore mite riposerà la sapienza”.
5 Gioco di parole in greco tra “giudizio” (krisis) e “discernimento” {didkrisis).
328
male. L’innocenza è la serena disposizione di un’anima
aliena da ogni doppiezza di pensiero6.
7. La prima caratteristica propria dell’età infantile è
una semplicità priva di artifici: finché Adamo la conser
vò, non vide la nudità della propria anima, né la vergo
gna della propria carne (cf. Gen 3,7).
8. Buona e beata è la semplicità che alcuni hanno per
natura, ma non quanto quella che è stata innestata su
un’indole malvagia a forza di fatiche e sudori. Se la prima
infatti è al sicuro da un gran numero di artifici e di pas
sioni, la seconda è in grado di procurarci la più sublime
umiltà e mitezza. La ricompensa dell’una non è molto
grande, ma quella dell’altra è più che infinita!
9. Tutti noi che vogliamo attirare a noi il Signore, ac
costiamoci a lui con semplicità, senza finzioni, né malizia,
né artifici, ma con la schiettezza con cui ci si avvicina a
un maestro per riceverne gli insegnamenti. Infatti, essen
do egli semplice e senza molteplicità, vuole che le anime
che si accostano a lui siano semplici e innocenti. Del resto
è impossibile vedere la semplicità separata dall’umiltà.
Il maligno è un falso indovino che s’immagina di poter
cogliere i pensieri di qualcuno dalle sue parole, e i senti
menti del cuore dagli atteggiamenti esterni.
10. Ho visto retti di cuore imparare la malignità dai
maligni, e mi sono meravigliato di come potessero perde
re la loro indole naturale e il loro pregio così facilmente.
11. Quanto è facile per i retti di cuore mutare la pro
pria natura, tanto è difficile per i maligni riuscire a otte
nere la trasformazione opposta. Ma l’autentica estraneità,
la sottomissione e la custodia delle labbra spesso hanno
6 A partire da questo punto del testo fino alla fine del Discorso XXIV, l’or
dine dei paragrafi varia sensibilmente tra i vari manoscritti e tra le edizioni di
Rader e di Sophronios, che qui continuiamo a seguire.
329
ottenuto grandi risultati e guarito prodigiosamente mali
incurabili.
12. Se la scienza per lo più gonfia (cf. iCor 8,1), guar
da se l’ignoranza e la mancanza d’istruzione non possano
al contrario renderci umili. Ci sono alcuni però, anche se
pochi, che si vantano della loro ignoranza.
13. Chiaro esempio e modello di beata semplicità è
stato per noi il tre volte beato Paolo il Semplice7. Nessuno
infatti ha mai visto o sentito, né potrà mai vedere, un si
mile progresso compiuto in così poco tempo.
14. Il monaco semplice è un animale privo di ragione,
ma ragionevole8, che obbedisce e depone il proprio far
dello sulle spalle di colui che lo conduce. Un animale
non si oppone al padrone che lo lega, né un’anima retta
al superiore: lo segue dovunque voglia trascinarlo, e
anche se la conduce al sacrificio, non è in grado di con
traddirlo.
981 c 15. Priva di malignità è l’anima che si trova nella sua
purezza naturale e si comporta con tutti in modo confor
me alla natura nella quale è stata creata9.
16. Rettitudine è un pensiero non complicato, un caratte
re genuino e un linguaggio senza finzione né ricercatezza.
Dio, come è chiamato “Carità” (Cf. iGv 4,8.16), così è chia-
330
mato anche “Rettitudine”, ed è per questo che il saggio10,
nel Cantico dei cantici, rivolgendosi al cuore puro dice: La
Rettitudine ti ha amato (Ct 1,4); e, ancora, il padre di quel
saggio11 dice: Buono e retto è il Signore (Sai 24,8); e affer
ma che chi condivide il suo nome è salvato; dice infatti:
Lio salva i retti di cuore (Sai 7,11), e ancora: Il suo volto ha
visto e osservato la rettitudine delle anime (cf. Sai 10,7).
17. Malignità è: perversione della rettitudine, pensiero
tortuoso, falsa indulgenza, giuramenti non mantenuti, di
scorsi complicati, cuore impenetrabile, abisso di inganno,
menzogna diventata abitudine, presunzione ormai natura
le, avversione dell’umiltà, simulazione della penitenza, ab
bandono dell’afflizione, odio della confessione, condotta
secondo il proprio giudizio, occasione di cadute, rifiuto di
rialzarsi da esse, sorriso davanti alle offese, tristezza simu
lata, finta pietà, vita diabolica.
18. Il maligno è compagno e sinonimo del diavolo. Per 981 d
331
22. Difficilmente i ricchi potranno entrare nel Regno
(cf. Mt 19,23), e i sapienti, in realtà insipienti12, potran
no accedere alla semplicità.
23. Spesso una caduta ha fatto rinsavire i furbi, accor
dando loro la grazia - da essi non ricercata - dell’inno
cenza e della salvezza.
24. Lotta per confondere la tua propria sapienza, e cosi
facendo troverai la salvezza in Cristo Gesù Signore no
stro. Amen.
332
Discorso XXV
SULLA SUBLIME UMILTÀ,
DISTRUTTRICE DELLE PASSIONI,
CHE SI RADICA IN UN SENTIMENTO INTERIORE
1 In greco: enérgheìa. Sul significato di questo termine in Climaco cf. infra >
“Glossario”, s.v. “Energia”.
2 Cf. Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, PG 29,3640: “Come la natura
del miele non la si può spiegare a parole a chi non Pha mai provata così effica
cemente come con la sensazione del gusto, così anche la bontà della Parola ce
leste non può essere trasmessa in modo persuasivo attraverso insegnamenti se,
dopo aver esaminato a lungo i dogmi della verità, non siamo capaci di gustare
la bontà del Signore attraverso la nostra personale esperienza”. Cf. Id., Omelia
di esortazione al battesimo, PG 31,4230.
333
2. Questo discorso pone davanti a noi, perché possia
mo apprezzarne il valore, un tesoro custodito in vasi di
creta (cf. 2Cor 4,7), ovvero nei nostri corpi: tesoro la cui
essenza rimane inconoscibile per mezzo di parole3. Il ti-
988 c tolo che reca in testa, già da solo, è incomprensibile e of
frirebbe abbondante, anzi immensa, materia di indagine
e di fatica a coloro che volessero spiegarlo a parole. Il ti
tolo è questo: “La santa umiltà”.
3. Tutti coloro che sono guidati dallo Spìrito di Dio (Rm
7,14) si uniscano a noi in questo sinedrio spirituale colmo
di sapienza, portando nelle loro mani spirituali le tavole
della conoscenza scritte da Dio (cf. Es 31,18)!
Ci siamo riuniti4, abbiamo discusso insieme, e abbiamo
esaminato il valore di questo venerabile titolo. Uno disse:
“Significa dimenticare accuratamente le proprie opere
buone! ”; un altro: “Significa considerarsi l’ultimo e il più
peccatore di tutti!”; un altro: “Significa riconoscere nel
l’intimo la propria impotenza e debolezza!”; un altro:
“Significa prevenire il prossimo nelle occasioni di litigio,
mettendo fine per primi alla propria collera!”; un altro:
“Significa riconoscere la grazia e la misericordia di Dio! ”;
988 d e un altro infine: “E il sentimento di un’anima contrita e
menti 11,37: “Nessuno può dire come sia l’umiltà o come nasca nell’anima;
come ho ripetuto spesso, non è possibile comprenderla con un ragionamento,
se non abbiamo meritato di comprenderla con le nostre opere ... L’umiltà è di
vina e sfugge a ogni comprensione”.
4 L’assemblea di sapienti che si riuniscono a discutere sul valore dell’umil
tà è solo una finzione letteraria attraverso la quale Fautore elenca le varie de
finizioni dell’umiltà proposte dai padri.
334
sendo l’ultimo di tutti, raccogliendo come un cane le mol
liche che cadevano dalla tavola dei quei padri beati e sa
pienti (cf. Mt 15,27), formulai la seguente definizione.
L’umiltà è una grazia che si riceve nell’anima e di cui 989 a
5 Cioè l’umiltà. Cf. Exegesis (p. 366): “Chiama 'vigna* la santa umiltà, per
ché essa fa sgorgare in abbondanza il vino della compunzione (cf. Sai 59,5)”.
335
così che la nostra mente rimane inviolabile, al sicuro nello
989 c scrigno della modestia, e pur udendo i colpi e le parole in
solenti dei ladri6, non può ricevere danno da nessuno di
loro, perché la modestia è un rifugio inaccessibile!
6. Fino a qui, ci siamo arrischiati a parlare brevemente
della fioritura e della rapida crescita di questo frutto sem
preverde. Ma qual’è il frutto maturo della santa umiltà?
Voi che siete familiari del Signore, chiedetelo a lui! E im
possibile parlare della grandezza di questa santa virtù, e
ancora più impossibile chiarirne le qualità. Noi, dunque,
cercheremo di parlare delle sue proprietà secondo l’idea
che ce ne siamo fatti.
989 d 7. La penitenza scrupolosa, l’afflizione che purifica da
ogni macchia e la santissima umiltà dei principianti sono
così diverse e distinte tra di loro quanto il lievito e la fa
rina lo sono dal pane. L’anima infatti prima è ridotta in
frantumi7 e macinata per mezzo di un’autentica peniten
za; poi è unita e, per così dire, impastata con Dio per
mezzo dell’acqua di una sincera afflizione; quindi, in
fiammata dal fuoco del Signore8, si trasforma in pane, e
così prende consistenza in lei la beata umiltà, che è priva
del lievito dell’orgoglio (cf. Mt 16,6).
992 a Perciò, questa santissima e triplice catena9, o meglio ar
336
8. La prima e principale proprietà di questa bella e am
mirevole trinità è il consenso dato con gioia alle umilia
zioni, ricevute e accolte dall’anima a braccia aperte, come
un rimedio in grado di placare e di estinguere le sue ma
lattie e i suoi gravi peccati. La seconda proprietà è l’estin
zione di ogni moto di collera, e la modestia che l’accom
pagna. Il terzo grado, che è il più alto, consiste nella se
rena sfiducia10 nelle proprie opere buone e nel continuo
desiderio di imparare.
9. Termine della legge e dei profeti è Cristo, per la giusti
ficazione di chiunque crede (Rm 10,4); termine delle pas 992 B
10 Lett.: “Fiduciosa sfiducia (apistza pisté)n\ una sfiducia cioè sostenuta e ge
nerata dalla fiducia in Dio.
11 Era opinione diffusa nell’antichità che i cervi divorassero i serpenti e suc
337
to, e - per non dilungarmi oltre - impassibile, se è vero
che: Nella nostra umiltà il Signore si è ricordato di noi e ci
992 c ha liberato dai nostri nemici (Sai 135,23-24), ovvero dalle
nostre passioni e dalle nostre impurità.
11. Il monaco umile non cerca di conoscere i segreti
ineffabili, mentre il superbo vuole scrutare i giudizi di
Dio (cf. Rm 11,33).
12. Un giorno i demoni apparvero in forma visibile a
un fratello tra i più dotati di conoscenza, e si misero a co
prirlo di lodi; ma quell’uomo colmo di sapienza disse
loro: “Se smettete di lodarmi attraverso i pensieri che su
scitate nell’anima, dalla vostra partenza io concluderò di
essere diventato grande; ma se non smettete di lodarmi,
dalla vostre lodi non potrò che dedurre la mia impurità,
perché: Ogni uomo dal cuore superbo è impuro agli occhi
del Signore (Pr 16,5). Dunque, o vi ritirate, e allora diven
terò grande, o lodatemi, e grazie a voi acquisterò un’u
miltà più grande ! ”. E quelli, colpiti da queste parole im
barazzanti, si dileguarono immediatamente.
992d 13. La tua anima non sia come una cisterna per questa
corrente d’acqua vivificante: ora colma fino all’orlo, ora
di nuovo prosciugata dall’ardore della vanagloria e del
l’orgoglio, ma sia piuttosto una fonte pura da ogni gene
re di passione, da cui sgorghi incessantemente il fiume
della povertà12. Sappi, amico caro, che le valli hanno grano
in abbondanza (Sai 64,14), ovvero sono ricolme di frutto
spirituale: la valle è l’anima che si umilia tra i monti - ov
vero tra le virtù spirituali - e che rimane sempre immo
bile, senza gonfiarsi di superbia.
14. Non sta scritto: “Ho digiunato”, né: “Ho vegliato”,
né: “Ho dormito per terra”, ma: Mi sono umiliato, e subi-
338
to il Signore mi ha salvato (Sai 114,6). La penitenza ci fa
rialzare, l’afflizione bussa alle porte del cielo, e la santa 993 a
umiltà ce le apre: io confesso e venero la trinità nell’uni
tà, e l’unità nella trinità13!
15. Il sole illumina tutto ciò che si vede; così l’umiltà
dà consistenza a tutti gli atti compiuti secondo ragione.
Quando manca la luce, tutto diventa oscuro; quando
manca l’umiltà, tutto ciò che possediamo è senza valore.
16. In tutta la creazione, un unico luogo ha visto il sole
una sola volta; e un unico pensiero ha generato più volte
l’umiltà. In un solo e unico giorno il mondo intero ha
esultato di gioia; e questa virtù è l’unica che i demoni
non possano imitare14.
17. Una cosa è esaltarsi, altra cosa non esaltarsi, e altra
cosa ancora umiliarsi: il primo giudica gli altri ogni gior
no, il secondo non giudica, ma non condanna neanche se
stesso; il terzo, pur essendo innocente, non cessa mai di
condannare se stesso.
18. Una cosa è essere umili, altra cosa è sforzarsi di es- 993 b
sere umili, e altra cosa ancora è lodare chi è umile. La prima
questo passo enigmatico: “L’unico luogo è il fondale del mar Rosso, al momen
to del passaggio d’Israele (cf. Es 14,21-22); e il giorno della gioia del mondo in
tero non è altro che il giorno della risurrezione del Signore e Salvatore nostro,
nel quale il genere umano fu liberato dalle catene eterne della morte. Secondo
alcuni, però, si tratta del giorno della natività, nel quale si udì la voce degli an
geli: Gloria nel più alto dei cieli (Le 2,14); secondo altri, poi, del giorno in cui
Noè uscì dall’arca insieme ai suoi familiari (Cf. Gen 8,14-9,17)”. Le stesse in
terpretazioni sono riferite in Exegesis (p. 372), che aggiunge che “il solo pensie
ro che ha generato più volte l’umiltà” è il ricordo della morte e dei castighi.
Sull’umiltà come unica virtù che i demoni non riescono ad imitare, cf.
Apoftegmi, Macario 11; Teodora 6.
339
cosa è propria dei perfetti, la seconda di chi vive in modo
autentico nella sottomissione, la terza di tutti i fedeli.
19. Chi ha raggiunto l’umiltà nel proprio intimo, non
rischia di essere tradito dalle proprie labbra15, perché la
porta non può lasciare uscire ciò che il tesoro non contie
ne (cf. Mt 12,34-35).
20. Quando un cavallo è solo, spesso è convinto di cor
rere, ma se è insieme al branco, allora si rende conto della
propria lentezza.
21. Quando il nostro pensiero cessa di vantarsi dei
propri doni naturali, questo è il segno dell’inizio della sua
guarigione; ma finché sente quel fetore16, non può senti
re il soave odore del profumo17.
22. “Chi si è innamorato di me - dice la santa umiltà
- non riprenderà, non condannerà, non comanderà, e
non farà mostra di sapienza, finché non si sia unito a
me18; dopo l’unione, infatti, per lui non c’è piu alcuna
legge (iTm i,9)”19.
993 c 23. Un giorno i demoni maligni seminarono le lodi nel
cuore di un uomo che lottava con impegno per conquista
re questa virtù beata, ma quello, su divina ispirazione,
s’ingegnò di vincere la malignità di quegli spiriti con un
pio inganno: alzatosi in piedi scrisse ordinatamente sulla
parete della sua cella i nomi delle virtù più sublimi - vo
glio dire la carità perfetta, l’umiltà angelica, la preghiera
pura, la purezza incorruttibile, e le altre virtù simili a
15 Cioè non rischia di perdere le sue ricchezze spirituali a causa delle pro
qualcuno che è negligente o di un altro che è superbo; non ha occhi per guar
dare i difetti degli altri, né orecchi per ascoltare cose che nuocciono all’anima;
non ha a che fare con nessuno se non con i propri peccati”.
19 L’umile non ha più bisogno di alcuna legge esterna perché l’umiltà fa
340
queste poi, quando i pensieri cattivi cominciavano a lo
darlo, egli diceva loro: “Andiamo in giudizio!”, e subito
andava a leggere i nomi e gridava a se stesso: “Quando
avrai acquistato tutte queste virtù, allora dovrai ricono
scere che sei ancora lontano da Dio ! ”.
24. Non siamo in grado di dire quale sia la potenza e
l’essenza di questo sole, ma possiamo comprendere la sua 993 d
essenza a partire dai suoi effetti e dalle sue proprietà20.
25. L’umiltà è un velo divino che ci copre impedendo
ci di vedere le nostre opere buone. L’umiltà è abisso del
disprezzo di sé, inaccessibile a qualsiasi ladro. L’umiltà è
una torre fortificata di fronte al Nemico (Sai 60,4). Il
Nemico non trarrà alcun guadagno contro di lui21, e il figlio
- anzi il pensiero - dell’iniquità non arriverà a fargli del
male, ma egli distruggerà i suoi nemici davanti a sé, e met
terà in fuga quelli che lo odiano (cf. Sai 88,23-24).
26. Oltre alle proprietà distintive già esposte sopra, il 996 a
beato possessore di questa ricchezza ne ha anche altre
dentro la propria anima. Quelle infatti, eccetto una, sono
segni visibili ed esteriori della sua ricchezza22.
27. Riconoscerai, senza rischio di illusioni, di possede
re questa santa ricchezza23, dall’abbondanza di luce inef-
20 L'autore, come ha già fatto con le categorie dell’unità e della trinità (cf.
§, 14), applica qui la distinzione teologica tra “essenza” (ousta) ed “effetto”
0enérgheia: cf. infra, “Glossario”, s.v. “Energia”) alla virtù dell’umiltà, la quale,
pur restando inconoscibile nella sua essenza, può essere però sperimentata a
partire dagli effetti che produce in noi.
21 Bisogna intendere: rumile.
22 Come nota giustamente P. Deseille (in Saint Jean Climaque, Uéchelle sain-
341
fabile e dall’amore indicibile che avrai per la preghiera.
Prima che tu abbia raggiunto queste cose, ne è un segno
il cuore che non insulta più gli altri per le loro cadute; e
prima ancora, l’odio di ogni genere di vanagloria.
28. Chi è arrivato a conoscere se stesso con tutti i sensi
della propria anima, ha gettato un seme in terra (cf. Me
4,26): è impossibile, infatti, che l’umiltà fiorisca, se non
si è seminato in questo modo. Chi conosce se stesso, ac
quista nella propria mente il timore di Dio, e se procede
lasciandosi guidare da esso, arriva alla porta della carità.
29. L’umiltà è la porta del Regno (cf. Mt 7,13-14), che
996 b vi introduce coloro che a essa si avvicinano. E riguardo a
questa porta, credo, che il Signore ha detto: Chi vuole
entrerà ed uscirà senza paura dalla vita, e troverà pascolo
(cf. Gv 10,9) ed erba verdeggiante nel paradiso. Tutti co
loro che sono entrati per un’altra porta nella vita monasti
ca, sono ladri della propria vita e briganti (cf. Gv 10,8).
30. Noi che vogliamo raggiungere l’umiltà, non cessia
mo di esaminare noi stessi; e se con l’intimo sentimento
del cuore siamo convinti che il prossimo ci superi in tutto,
la misericordia di Dio è vicina24.
31. Come è impossibile che dalla neve esca una fiamma,
così è ancora più impossibile che negli eretici ci sia l’umil
tà: questa è dunque una virtù propria dei buoni credenti e
in particolare di coloro che si sono purificati dalle passioni.
32. Noi per lo più affermiamo di essere peccatori, e
forse lo pensiamo, ma solo le umiliazioni mettono alla
prova il nostro cuore25.
996c 33. Chi si affretta verso questo porto tranquillo26, non
cessa mai di mettere in opera, di pensare e di escogitare
342
tutti i comportamenti, i discorsi, i pensieri, i propositi, i
tentativi, le ricerche, le manovre, gli espedienti, le pre
ghiere e le suppliche possibili, finché, grazie alTaiuto2/ di
Dio e ai metodi più umilianti e più mortificanti, non riesca
a liberare la barca della sua anima dal mare perennemente
in tempesta della superbia. Chi infatti si è liberato da essa,
per tutti gli altri peccati si comporterà come il pubblicano,
e otterrà facilmente il perdono (cf. Le 18,13-14).
34. Alcuni, dai propri peccati passati, hanno tratto oc
casione di umiltà fino al termine della vita, anche dopo
averne ottenuto il perdono, schiaffeggiando in questo
modo la loro vana presunzione; altri, meditando la passio
ne di Cristo, si considerano sempre debitori27 28; altri, a mo
tivo delle loro mancanze quotidiane, si stimano come per 996 D
sone dappoco; altri hanno abbattuto il proprio orgoglio
tramite le tentazioni, le infermità e le cadute morali alle
quali sono continuamente soggetti; altri ancora, grazie
alla loro mancanza di carismi, hanno ottenuto la madre di
tutti i carismi.
Vi sono alcuni poi - ma non so dire se ve ne siano an
cora - che traggono motivo di umiltà dagli stessi doni di
Dio, man mano che crescono, stimandosi indegni di una
tale ricchezza e credendo di aggiungere ogni giorno qual
cosa al proprio debito: ecco l’umiltà, ecco la beatitudine, 997 A
ecco il premio perfetto!
35. Quando vedi o senti che qualcuno ha raggiunto in
pochi anni il grado più alto dell’impassibilità, sta’ pure
è morto per noi secondo le Scritture e noi non viviamo per noi stessi ma per
colui che è morto e risorto per noi, è evidente che il nostro debito ci impone
di servirlo fino alla morte. Come possiamo, dunque, ritenere che l’adozione a
figli ci sia dovuta?”.
343
certo che non ci è arrivato per altra via che per questa
beata scorciatoia29!
36. La carità e l’umiltà formano una santa coppia: la
prima innalza, e la seconda, sostenendo quelli che sono
stati innalzati, non permette che cadano mai più.
37. Una cosa è la contrizione, altra cosa la conoscenza
di sé, e altra cosa ancora l’umiltà. La contrizione è frut
to di una caduta: chi cade infatti riporta fratture30 e senza
avere troppa confidenza se ne sta in preghiera con una lo
devole impudenza, e appoggiandosi sul bastone della spe
ranza come un uomo dalle ossa rotte, scaccia con essa il
cane della disperazione. La conoscenza di sé è la lucida
coscienza dei propri limiti e il ricordo costante dei propri
997 b peccati, anche minimi. L’umiltà è la dottrina spirituale di
344
40. Se indizio, manifestazione e caratteristica dell’e
strema superbia è fingere virtù che non abbiamo, per ri 997 C
cavarne gloria, allora segno della più profonda umiltà è
fingere colpe che non ci appartengono, per disprezzo di
noi stessi.
Così fece colui che “prese in mano pane e formag
gio”31; e così quell’altro che si spogliò del vestito e, da
campione di purezza qual’era, attraversò la città senza
provarne turbamento32. Persone come queste non si
preoccupano più di dare scandalo agli uomini, perché,
con la loro preghiera, hanno ormai il potere di rassicura
re invisibilmente tutti sulle loro reali intenzioni.
41. Chi si preoccupa della prima cosa, mostra di non
possedere la seconda. Quando infatti Dio è pronto a
esaudirci, possiamo fare tutto! Scegli di contristare gli
uomini piuttosto che Dio: egli si rallegra infatti al veder
ci correre incontro alle umiliazioni per calpestare, colpire 997 D
ed estinguere la nostra vana presunzione.
345
42. É la perfetta estraneità a rendere possibili tali pro
dezze: solo chi è veramente grande infatti può sopporta
re gli scherni dei propri familiari. Non ti stupire per que
ste parole: nessuno è mai potuto salire in cima a una scala
in un solo balzo !
43. Da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli (cf.
Gv 13,35), non se i demoni ci ubbidiscono, ma se i no
IOOO A stri nomi sono scritti nel cielo dell’umiltà (cf. Le 10,20).
44. L’assenza di frutti, per sua natura, fa sì che i rami
dei cedri s’innalzino verso l’alto; quando invece vengono
piegati verso il basso, subito si riempiono di frutti33. Chi
ha intelligenza per comprendere, capisce!
45. Il gradino di questa santa virtù può farci salire, da
vanti a Dio, con un frutto del trenta, del sessanta, o del
cento per uno (cf. Me 4,8): all’ultimo livello possono sa
lire coloro che hanno raggiunto l’impassibilità; a quello di
mezzo, i forti; al primo, tutti. Chi conosce se stesso non
potrà mai lasciarsi trarre in inganno tentando ciò che su
pera le sue forze, ma continuerà a procedere al sicuro su
questo beato sentiero.
46. Gli uccelli temono la vista del falcone; così chi col
tiva l’umiltà teme il suono della contestazione!
IOOO B 47. Molti hanno ottenuto la salvezza senza profezie,
né illuminazioni, né segni, né prodigi; ma senza questa
virtù nessuno entrerà mai nella sala delle nozze (cf. Mt
22,10-14)! Quest’ultima infatti è la custode di quei doni,
ma senza di essa quei doni possono condurre alla rovina
le persone più leggere.
33 Cf. Doroteo di Gaza, Insegnamenti 11,33: “Ci sono piante che non danno
frutto, finché i loro rami s'innalzano verso il cielo, ma se si prende una pietra
e la si appende ai rami per trascinarli verso terra, allora danno frutti. Così av
viene anche all’anima: quando è umiliata, porta frutto, e quanto più porta frut
to, tanto più si umilia, poiché quanto più i santi si avvicinano a Dio, tanto più
si riconoscono peccatori".
346
48. Affinché potessimo umiliarci anche senza volerlo,
il Signore nella sua provvidenza ha disposto che nessuno
potesse vedere le nostre piaghe meglio del prossimo:
siamo costretti così ad attribuire la grazia della nostra
guarigione non a noi stessi, ma a lui, e a Dio.
49. Chi ha la mente umile, aborrisce sempre la propria
volontà come fallace, e quando chiede qualcosa al Signore,
si lascia istruire e obbedisce con fede incrollabile, senza
guardare alla condotta dei propri maestri, ma affidandosi IOOO c
347
materia. Finché dunque cadiamo volontariamente nel
peccato, l’umiltà non è in noi; ed è questo il segno che ce
ne indica la presenza o l’assenza in noi34.
54. Il Signore, sapendo che la virtù dell’anima si con
forma al contegno esteriore, prese un asciugatoio e ci mo
strò la via da seguire per giungere all’umiltà (cf. Gv 13,4-
iooia 5); infatti “l’anima si assimila ai comportamenti esteriori,
si modella sulle proprie azioni e a esse si conforma”35.
55. Per uno degli angeli36 il potere divenne occasione
di superbia, pur non avendolo ricevuto per questo.
56. La disposizione interiore di chi siede su un trono è
diversa da quella di chi siede su un letamaio37, ed è per
questo forse che quel grande giusto stava seduto sul leta-
anche le fatiche del corpo rendono umili ? Che influenza può avere la fatica del
corpo su una disposizione dell'anima? Ve lo dirò. L'anima, caduta dall'obbe
dienza al comandamento nella trasgressione, fu consegnata, l'infelice, alla con
cupiscenza, alla piena libertà dell'errore, come dice san Gregorio, amò i beni
del corpo, divenne una sola cosa con il corpo, divenne carne interamente, come
sta scritto: Il mìo spirito non dimorerà tra questi uomini perché sono carne (Gen
6,3). E così l'anima infelice soffre con il corpo e subisce tutto ciò che accade
al corpo. Per questo l'anziano ha detto che anche le fatiche del corpo condu
cono all'umiltà. E difatti non sono identiche le disposizioni dell’anima di chi
sta bene e di chi è malato, di chi ha fame e di chi è sazio. E non sono le stes
se le disposizioni dell'anima di chi cavalca un cavallo e di chi cavalca un asino,
di chi è seduto su un trono e di chi è seduto per terra, di chi porta belle vesti
e di chi è vestito miseramente. La fatica dunque umilia il corpo e quando il
corpo è umiliato, anche l'anima si umilia con lui e così giustamente l'anziano
ha detto che la fatica del corpo conduce all'umiltà”.
348
maio fuori della città38; dopo aver raggiunto la perfetta
umiltà, infatti, disse dal profondo dell’anima: Ho disprez
zato me stesso, e mi sono macerato:mi sono considerato terra
e cenere (Gb 42,6).
57. Trovo scritto che Manasse peccò come nessun altro
tra gli uomini, profanando il tempio di Dio con gli idoli
e contaminando tutta quanta la religione (cf. iRe 21,1-
18; 2Cr 33,1-9): se il mondo intero avesse digiunato per
lui, non avrebbe potuto compensare adeguatamente il suo
peccato, ma rumiltà riuscì a guarire in lui anche ciò che 10 0 1 b
349
tudine di cuore, che per loro natura si oppongono al
l’orgoglio.
60. Se l’orgoglio ha potuto fare di alcuni angeli dei de-
ioox c moni, certamente l’umiltà può fare dei demoni degli an
geli. Perciò chi è caduto si faccia coraggio!
61. Affrettiamoci e lottiamo con tutte le forze per sa
lire sulla cima di questa virtù ! Se non ci riusciamo, mon
tiamo almeno sulle sue spalle; e se ci mancano ancora le
forze, almeno non cadiamo dalle sue braccia, perché chi
cade di qui, difficilmente riuscirà a ricevere qualche dono
nell’eternità!
62. I nervi dell’umiltà42 e le vie che conducono ad essa
- senza essere però segni della sua presenza - sono la ri
nuncia al possesso, un’estraneità non esibita, la dissimu
lazione della propria sapienza, un modo di parlare senza
orpelli, il chiedere l’elemosina, il silenzio sulla propria no
biltà di nascita, il rifiuto dell’eccessiva familiarità, l’ab
bandono delle chiacchiere. Nulla, infatti, ha mai potuto
umiliare l’anima come la condizione di miseria e il vivere
da mendichi. Il nostro amore per la sapienza e per Dio si
dimostra infatti proprio quando, avendo la possibilità di
essere onorati, fuggiamo gli onori senza volgerci indietro.
1001 d 63. Se ti prepari a combattere contro una qualche pas
sione, prenditi come alleata l’umiltà: essa infatti cammine-
1004 a rà sulla vipera e sul serpente e calpesterà il leone e il drago (cf.
Sai 90,13), cioè camminerà sul peccato e sulla disperazio
ne, e calpesterà il diavolo e il drago che insidia il corpo43.
L’umiltà è un sifone celeste che dall’abisso dei peccati
può sollevare l’anima fino al cielo.
Un giorno un tale vide nel proprio cuore la bellezza
dell’umiltà, e, preso da grande stupore, le chiese di cono-
350
scere il nome di chi l’aveva generata, ma quella, con un
sorriso radioso e sereno, rispose: “Perché desideri tanto
conoscere il nome di colui che mi ha generata? Egli non
ha nome e non te lo dirò finché non avrai raggiunto
Dio!”44. A lui la gloria nei secoli! Amen.
44 L’autore vuol far intendere, come del resto ha già detto sopra (cf. § 3),
che il padre dell’umiltà è Dio stesso.
351
Discorso XXVI/i
SUL DISCERNIMENTO DI PENSIERI,
PASSIONI E VIRTÙ
353
3. Nessuno, udendo o vedendo nella vita monastica
cose superiori alla natura, cada nell’incredulità a causa
della propria ignoranza, perché dovunque c’è la presenza
di Dio - che è superiore alla natura - accadono cose su
periori alla natura.
4. Tutte le guerre che i demoni scatenano contro di noi
sono riconducibili a queste tre cause generali: la negligen
za, la superbia e la loro invidia. La prima è deplorevole,
la seconda del tutto miserabile, ma la terza è felice!
5. Come guida e regola in ogni cosa, dopo Dio, dob
biamo seguire la nostra coscienza, affinché, conoscendo
da dove soffiano i venti2, possiamo spiegare le vele in
quella direzione.
1013 c 6. In tutte le azioni che compiamo secondo Dio i de
moni ci tendono tre insidie: prima di tutto si sforzano di
impedirci di fare il bene; poi, dopo aver subito la prima
sconfitta, cercano di impedirci di compierlo secondo
Dio3; e quando infine hanno fallito anche in questo obiet
tivo, allora quei ladri s’installano silenziosamente nella
nostra anima e si mettono a lodarci perché ci comportia
mo in tutto secondo Dio. La prima insidia si combatte
con lo zelo e il pensiero della morte; la seconda, con la
sottomissione e l’umiliazione; la terza con la continua ac
cusa di se stessi.
7. Questa è la fatica cui dobbiamo far fronte finché il
fuoco di Dio non sarà entrato nel nostro santuario (cf. Sai
dunque ha vinto i primi tre pensieri, ovvero quello deiringordigia (che genera
quelli della fornicazione e delPacedia), quello della vanagloria (da cui dipendo
no quelli dell’ira e della superbia) e, come terzo, quello dell’avarizia (da cui di
pende quello della tristezza), purché lo abbia fatto con intenzione di pietà, ha
vinto con quelli anche gli altri cinque. A quei tre infatti si possono ricondurre
anche gli altri cinque, che sono di minore entità”. Per la stessa distinzione tra
i tre vizi principali e gli altri cinque, cf. Evagrio Pontico, I pensieri malvagi 1;
Massimo il Confessore, Capitoli sulla carità 111,56.
2 Cioè, fuori di metafora, i pensieri cattivi.
3 Cioè non per compiacere Dio, ma per compiacere gli uomini e noi stessi.
354
72,i6-i7)4, perché allora non saremo più oppressi dalle
nostre predisposizioni passionali: infatti il nostro Dio è un
fuoco che consuma (Eb 12,29) ogni ardore, moto e predi 1013 D
355
10. Di fronte ai comandamenti dell’evangelo, nessuno
adduca come pretesto la propria incapacità: ci sono anime
infatti che hanno fatto ben più di quanto richieda il co-
mandamento! Convincitene in modo certo guardando
colui che amò il suo prossimo più di se stesso, donando la
ioi6b propria vita per lui, pur non avendo ricevuto alcun co-
mandamento dal Signore per questo5.
11. Si facciano coraggio coloro che, pur essendo anco
ra dominati dalle passioni, hanno raggiunto l’umiltà: in
fatti, se anche cadono in tutti i precipizi, se rimangono
intrappolati in tutte le reti e contraggono tutte le malat
tie, dopo la loro guarigione, potranno diventare medici,
luminari, fari e piloti per tutti, spiegando i sintomi di cia
scuna malattia e salvando grazie alla propria esperienza
chi sta per cadere.
12. Coloro che sono ancora tiranneggiati dalle predi
sposizioni passionali della loro vita passata, e nonostante
ciò sono in grado di insegnare, anche se solo a parole, in
segnino pure, ma senza comandare. Forse, infatti, vergo
gnandosi delle proprie parole, cominceranno a metterle in
pratica, e potrà capitare a loro quel che ho visto capitare
1016 c ad alcuni che erano immersi nel fango: coperti di fango co
m’erano, spiegavano ai passanti in che modo si erano im
pantanati, e ciò lo raccontavano per salvarli, perché non
cadessero anch’essi allo stesso modo; e così, a causa della
salvezza che avevano procurato agli altri, Dio onnipoten
te liberò dal fango anche loro. Se però chi è dominato
dalle passioni si getta volontariamente nei piaceri, si limi-
356
ti a insegnare con il proprio silenzio! Sta scritto infatti:
Gesù cominciò a operare, e poi a insegnare (At i,i)6.
13. Attraversiamo un mare pericoloso, sì veramente pe 1016 D
357
n assenza di rancori, P amore fraterno, 2 mitezza, T fede
semplice e schietta, Y assenza di preoccupazioni monda
ne, <E> odio dei propri genitori non dettato da odio11, X di
stacco da ogni legame, W semplicità unita a innocenza, Q
volontario disprezzo di sé.
Ecco poi un bel programma e un bell’elenco di virtù
per coloro che progrediscono: assenza di vanagloria, non
irascibilità, piena fiducia, esichia, discernimento, costan
te ricordo del giudizio, viscere di misericordia, ospitalità,
discrezione nel correggere, preghiera non distratta da al
cuna passione, disprezzo del denaro.
Ed ecco il criterio, la regola e la legge per gli spiriti e i
corpi che con la propria pietà raggiungono la perfezione,
pur rimanendo nella carne: A cuore libero da ogni genere
di prigionia, B carità perfetta, F sorgente continua di umil
tà, A mente che emigra [in Dio], E intima presenza di
Cristo, Z luce inviolabile nella preghiera, H abbondanza
d’illuminazione divina, 0 desiderio della morte, I odio della
1017 c vita, K fuga dal corpo, A [essere] intercessore per il mondo,
M violentatore di Dio, N partecipe della liturgia angelica, S
abisso di conoscenza, O dimora dei misteri, n custodia dei
segreti, P salvatore degli uomini, 2 dio per i demoni, T si
gnore delle passioni, Y padrone del corpo, O governatore
della natura, X straniero al peccato, W dimora dell’impas
sibilità, Q imitazione del Signore con l’aiuto del Signore.
15. Abbiamo bisogno di non poca vigilanza, quando il
corpo è malato, perché i demoni, vedendoci distesi a
terra e incapaci per il momento, a causa della nostra de
bolezza, di lottare contro di loro con l’ascesi, decidono
proprio allora di attaccarci con più violenza. E se coloro
358
che vivono nel mondo, quando sono malati, sono assilla
ti dal demonio dell’ira e a volte da quello della bestem
mia, coloro che invece vivono fuori dal mondo, se sono
ben provvisti di mezzi, sono incalzati dal demonio del 1017 D
12 Cioè il demonio.
13 Sul concetto di “senso spirituale” cf. infra, “Glossario”, s.v. “Senso/sen-
timento spirituale o del cuore”.
14 Cf. SchoL 17, PG 88,i039D: “Il senso spirituale è presente in noi, per
ché è intimamente unito alla mente di ogni uomo, ma è anche assente, perché
nei temperamenti passionali è coperto dalle passioni, e così reso inefficace e ir
riconoscibile”.
15 Smetteranno cioè di essere strumenti delle passioni e si sottometteranno
al senso interno.
359
1020Cosciente appunto di questo un sapiente disse: Allora tro
b
360
zione; e ho visto un medico abile operare attraverso l’u
miliazione un cuore gonfio di orgoglio svuotandolo di
tutto il suo marciume. Ho visto poi un malato che a
volte, per purificarsi dalle proprie sozzure, beveva la me
dicina dell’obbedienza, si muoveva, camminava e non
dormiva; altre volte, quando era malato l’occhio della sua
anima19, restava nell’esichia e nel silenzio. Chi ha orecchi
per intendere intenda (Le 14,35)!
22. Alcuni, non so come - non ho imparato infatti a
scrutare con arroganza i doni di Dio - sono, per così dire,
naturalmente inclini alla continenza, alla purezza, all’esi-
chia, alla riservatezza, alla mitezza, o alla compunzione.
Ci sono altri, invece, che in queste cose incontrano la re- 1020 d
361
1021 a o dicono: se infatti la luce diventa tenebra, quanto sarà
oscura la vera tenebra (cf. Mt 6,23), ovvero coloro che vi
vono nel mondo?
24. Se davvero volete darmi ascolto, vi dico che è bene
che non ci disperdiamo e che non dividiamo la nostra po
vera anima per combattere mille migliaia e diecimila mi
riadi di nemici, perché non arriveremo mai a conoscerli o
anche solo a scoprirli tutti! Con l’aiuto della santa
Trinità, armiamoci contro le tre passioni con le tre
virtù20; altrimenti ci procureremo soltanto molte fatiche.
25. E proprio vero: se verrà anche in noi colui che muta
il mare in terra ferma (Sai 65,6), anche il nostro Israele -
cioè la mente che vede Dio21 - certamente riuscirà a tra
versare il mare senza essere scossa dalle onde, e vedrà gli
1021 b egiziani annegati nell’acqua delle lacrime; se però egli non
verrà ad abitare in noi, chi potrà resistere al fragore delle
onde del mare (Sai 64,8), cioè di questa carne? Se Dio
sorge in noi attraverso la pratica delle virtù saranno disper
si i suoi nemici; e se ci accostiamo a lui attraverso la con
templazione, coloro che lo odiano, e che odiano anche noi,
fuggiranno lontano da lui e da noi (cf. Sai 67,2)!
26. Sforziamoci di apprendere le cose di Dio più con
il sudore e la fatica che con semplici parole: infatti, al
362
momento della nostra dipartita, non dovremo mostrar pa
role, ma fatti!
27. Chi ha sentito dire che in un luogo c’è un tesoro
nascosto (cf. Mt 13,44), si mette a cercarlo, e, quando lo
ha trovato, lo custodisce con cura per la molta fatica che
ha speso nel cercarlo; chi invece si è arricchito senza fa
tica, sperpera con facilità.
28. E difficile vincere le proprie predisposizioni passio
nali, ma chi non smette mai di alimentarle, o cadrà nella di
sperazione, oppure non ricaverà alcun vantaggio dalla pro
pria rinuncia al mondo; so però che tutto è possibile a Dio,
e che niente per lui è impossibile (cf. Mt 19,26; Le 1,37).
29. Alcuni mi proposero una questione difficile da ri 1021 C
22 Cf. supra, § 2, n. i.
23 Cioè: ingordigia, vanagloria e avarizia.
363
E per convincermi di questo con buoni argomenti, quei
beati mi fecero diversi esempi, tra i quali nel nostro di
scorso ne citiamo alcuni, perché attraverso di essi possia
mo ricevere luce anche riguardo a tutti gli altri. Per esem
pio: il riso inopportuno, a volte è generato dalla fornica-
10 2 4 a zione, a volte dalla vanagloria (quando qualcuno, senza
alcun pudore, si compiace di se stesso nel proprio cuore),
a volte dall’abbondanza di cibo. Il molto sonno, a volte è
frutto dell’abbondanza di cibo, a volte del digiuno (quan
do chi ha digiunato s’inorgoglisce), a volte dell’acedia, a
volte della natura. La chiacchiera, a volte è frutto della
vanagloria, a volte dell’ingordigia. L’acedia, a volte è
frutto dell’abbondanza di cibo, a volte dell’assenza di ti
more di Dio. La bestemmia è propriamente un frutto della
vanagloria, ma spesso può essere generata dal fatto di giu
dicare il prossimo nel proprio cuore, o anche dall’invidia
importuna dei demoni. La durezza di cuore, a volte può
essere generata dalla sazietà, ma spesso anche dall’insensi
bilità e da una qualche forma di attaccamento passionale.
L’attaccamento passionale, a sua volta, è generato dalla
fornicazione, dalla vanagloria, e da molte altre passioni.
10 2 4 b La malignità, dalla presunzione e dall’ira. L’ipocrisia, dal
l’autocompiacimento e dall’indipendenza di vita.
Le virtù contrarie a queste passioni nascono dai geni
tori contrari. Ma per non dilungarmi troppo - perché mi
mancherebbe il tempo, se volessi esaminarle una ad una
- dirò soltanto che la vera distruttrice di tutte queste pas
sioni è l’umiltà, e chi l’acquista, le ha vinte tutte.
30. All’origine di tutti i mah ci sono il piacere e la ma
lignità24, e chi si attacca a queste cose, non vedrà il
Signore: astenerci dal primo non ci gioverà a nulla, se non
ci asteniamo anche dalla seconda.
364
31. Il modo in cui temiamo le autorità e le fiere, lo si
prenda come esempio di timore del Signore25; e l’amore
carnale sia modello del tuo desiderio di Dio26. Nulla ci im
pedisce infatti di trarre modelli di virtù dai loro contrari. 1024 C
“Se è pur vero che la potenza di Dio si manifesta in un corpo debole, che è
stato reso tale dal digiuno e dalle altre pratiche ascetiche, tuttavia...”.
365
con una via di mezzo tra i due atteggiamenti. Ho visto
tre fratelli subire una disgrazia: il primo si arrabbiò, il se
condo rimase indifferente, e il terzo ne ricavò motivo di
grande gioia.
36. Ho visto contadini28 gettare lo stesso seme, ma cia
scuno con un’intenzione particolare: uno per pagare i
propri debiti; un altro per accumulare ricchezza; un altro
per onorare il Signore con i propri doni; un altro per es
sere lodato per la qualità del proprio lavoro da coloro gli
passavano accanto lungo il cammino della vita; uno per
affliggere il proprio nemico invidioso, e un altro per non
essere rimproverato dagli uomini come scansafatiche. Ed
ecco i nomi delle sementi gettate dai contadini: digiuno,
veglie, elemosina, servizio, e altre cose simili a queste.
1025 b Quanto alle intenzioni, siano i fratelli a valutarle attenta
mente, con l’aiuto del Signore.
37. Come quando attingiamo acqua a una fonte ci può
capitare, senza accorgercene, di tirar su anche una rana,
così quando pratichiamo le virtù spesso cerchiamo di ap
pagare anche dei vizi ad esse segretamente intrecciati.
Per esempio: all’ospitalità s’intreccia l’ingordigia; alla ca
rità, la sensualità; al discernimento, la furbizia; alla pru
denza, la malignità; alla mitezza, la falsità, la fiacchezza,
la pigrizia, la contestazione, l’indipendenza di vita e la di
subbidienza; al silenzio, l’orgoglio della propria dottrina;
alla gioia, la presunzione; alla speranza, la pigrizia; alla
carità, ancora, il giudizio contro il prossimo; all’esichia,
l’acedia e la pigrizia; alla purezza, l’asprezza di compor
tamento; all’umiltà, l’eccessiva familiarità. A tutte queste
1025 c virtù si accompagna la vanagloria, come un collirio, o me
glio un veleno, sempre efficace!
366
38. Non rattristiamoci se per molto tempo chiediamo
al Signore qualcosa e non siamo esauditi29. Il Signore, in
fatti, vorrebbe certo che tutti gli uomini raggiungessero
bimpassibilità in un attimo, ma, nella sua prescienza, sa
che ciò non sarebbe vantaggioso per loro. Tutti coloro che
chiedono qualcosa a Dio e non ottengono ciò che chiedo
no, certamente non l’ottengono per uno di questi motivi:
o perché chiedono prematuramente, o in modo indegno, o
mossi dalla vanagloria, o perché, se fossero esauditi, si
gonfierebbero d’orgoglio, oppure perché, dopo aver otte
nuto ciò che chiedono, diventerebbero negligenti.
39. Può capitare - non solo tra i credenti ma anche tra 1025 D
quelli che non credono - che alcuni siano liberati da tutte
le passioni, a eccezione di una: questa sola passione rima
ne a occupare il posto di tutte le altre, come il primo di
tutti i mali30, se è vero che essa è così dannosa da aver po
tuto perfino far cadere qualcuno dal cielo.
40. Che i demoni e le passioni si ritirino dall’anima, o
per un certo tempo o definitivamente, credo che nessuno
possa negarlo, ma pochi sanno in che modo avviene il
loro ritiro.
La materia31 è distrutta e consumata dal fuoco divino;
e una volta che la materia è stata eliminata e l’anima pu
rificata, allora si ritirano anche le passioni, se non le at
tiriamo di nuovo con una vita materiale e rilassata.
I demoni si ritirano spontaneamente per indurci alla
negligenza, e poi rapire improvvisamente la nostra pove
ra anima.
29 Gli oggetti di tali richieste, come si comprende dalla frase seguente, sono
la liberazione dalle passioni, o comunque benefici spirituali finalizzati al pro
gresso nella virtù.
50 Cf. supra, XXII,6, n. 2.
31 Tutto ciò che è alimento delle passioni.
367
Conosco anche un altro caso in cui queste bestie si ri
tirano: quando cioè l’anima si è perfettamente abituata
alle passioni, e queste sono diventate talmente parte della
sua natura, che ormai essa si tende insidie e si fa guerra
da sola. Abbiamo un esempio di ciò nei neonati: per la
lunga abitudine, infatti, anche quando ormai si sono stac
cati dal seno materno, continuano a succhiarsi le dita.
1028 a Conosco anche una quinta forma di liberazione dalle
passioni: quella che si realizza nell’anima grazie a una
grande semplicità e a una lodevole innocenza; in questi
casi, infatti, è giusto che Dio venga in aiuto, lui che salva i
retti di cuore (Sai 7,11) e li libera dai vizi senza che essi
se ne accorgano: come i neonati che, quando vengono
spogliati, non se ne rendono conto.
41. Il vizio e la passione non sono naturali nella nostra
natura: Dio infatti non è creatore delle passioni32; al con
trario, da lui abbiamo ricevuto molte virtù naturali, tra le
quali ci sono certamente anche queste: la misericordia, poi
ché anche i pagani sono misericordiosi; l’amore, poiché
anche gli animali privi di ragione spesso piangono per la
perdita di uno di loro; la fede, poiché tutti siamo in grado
di generarla in noi stessi33; la speranza, poiché quando pren
diamo in prestito e prestiamo denaro, quando navighiamo
e quando seminiamo, speriamo sempre per il meglio.
1028 b Se dunque, come abbiamo dimostrato, l’amore è in noi
una virtù naturale, ed esso è vincolo e compimento della
legge (cf. Col 3,14; Rm 13,10), allora le virtù non sono
estranee alla natura. Si vergognino dunque quelli che ad
ducono come pretesto l’impossibilità di praticarle!
368
42. Sono invece superiori alla natura la purezza, la
non-irascibilità, l’umiltà, la preghiera, le veglie, il digiu
no e la compunzione continua: di alcune di queste virtù
sono maestri gli uomini, di altre gli angeli, di altre mae
stro e largitore è lo stesso Verbo di Dio34.
43. Quando ci si trova di fronte a due mali, bisogna
scegliere il male minore. Per esempio, spesso capita che,
mentre siamo in preghiera, giungano da noi dei fratelli;
allora è necessario scegliere una delle due cose: o inter
rompere la preghiera, o contristare il fratello lasciandolo
andar via senza risposta. Ma la carità è più grande della
preghiera, perché, come è universalmente riconosciuto, la
preghiera è una virtù particolare, mentre la carità è una
virtù che le comprende tutte (cf. iCor 13,13).
Una volta, quand’ero ancora giovane, capitai in una 1028 c
città, o in un villaggio, e mentre me ne stavo seduto a ta
vola, fui assalito contemporaneamente dal pensiero del
l’ingordigia e da quello della vanagloria, ma temendo che
potesse spuntare la figlia dell’ingordigia35, preferii lasciar
mi vincere dalla vanagloria. Ho notato però che, nei gio
vani, è spesso il demone dell’ingordigia ad avere la me
glio su quello della vanagloria, e ciò è normale.
44. Tra i secolari, la radice di tutti i mali è l’avarizia
(iTm 6,10), ma tra i monaci è l’ingordigia.
Spesso Dio, nella sua provvidenza, lascia negli spiritua
li alcune passioni meno gravi, affinché essi, accusandosi
369
continuamente per lievi mancanze - che non sono nean
che peccati -, possano acquisire il tesoro inviolabile del-
l’umiltà.
45. Agli inizi del cammino monastico è impossibile ac-
1028 quisire l’umiltà senza vivere nella sottomissione, perché
d
370
49- Esiste un sentimento, o piuttosto una disposizione
interiore, chiamata “capacità di sopportare il dolore”39, e
chi ne è preso, non potrà più temere, né cercherà più di
respingere il dolore: le anime dei martiri riuscirono facil
mente a disprezzare i tormenti proprio perché erano pos
sedute da questo nobile sentimento.
50. Una cosa è la vigilanza sui pensieri, e altra cosa la
custodia della mente40. Quanto dista l’oriente dall’occiden
te (Sai 102,12), altrettanto la seconda è più elevata della
prima, e più difficile da raggiungere.
51. Una cosa è pregare contro i pensieri cattivi, altro è
contraddirli, e altro ancora disprezzarli e non tenerli in
alcun conto41. Del primo atteggiamento rende testimo
nianza colui che dice: Dio vieni in mio aiuto (Sai 69,2), e
altre cose simili; del secondo, colui che afferma: A coloro 1029 C
che mi insultano risponderò con una parola (Sai 118,42)
adatta a contraddirli, e ancora: Ci hai posti come segno di
contraddizione per i nostri vicini (Sai 79,7); del terzo atteg
giamento è testimone il salmista: Sono rimasto muto e non
ho più aperto la mia bocca (Sai 38,10), e: Ho posto una cu-
quali, non riuscendo in alcun modo a resistere ai nemici, li mettono in fuga at
traverso la preghiera. Il secondo comportamento è dei lottatori che vincono i
nemici attraverso P ascesi. Il terzo comportamento è dei contemplativi, i quali,
elevandosi tramite la contemplazione, sono irraggiungibili e, per così dire, inat
taccabili dagli avversari”. Nel primo caso si prega di essere preservati dai pen
sieri cattivi, perché essi non penetrino nel cuore e non inneschino il meccani
smo della tentazione; nel secondo caso, invece, si combatte contro i pensieri
dopo averli lasciati penetrare nel proprio cuore. Sui diversi metodi per combat
tere i pensieri cattivi secondo Pinsegnamento dei padri, cf. J.-P. Larchet,
Thérapeutique des maladìes spirituelles, pp. 530-534, e in particolare sul metodo
della “contraddizione”, cf. infra, “Glossario”, s.v. “Contraddizione”.
371
stodia alla mia bocca mentre il peccatore stava davanti a me
(Sai 38,2), e ancora: Gli orgogliosi hanno gravemente tra
sgredito la tua legge, ma io non ho deviato dalla tua contem
plazione (cf. Sai 118,51).
Di questi tre modi, chi si serve del secondo, spesso uti
lizza anche il primo, quando è preso alla sprovvista; chi
si serve del primo, non è ancora in grado di respingere i
nemici mediante il secondo; chi poi si serve del terzo, di
sprezza totalmente i demoni.
52. Secondo natura è impossibile che ciò che è incor
poreo42 sia contenuto nei limiti di un corpo; ma tutto è
possibile a chi possiede Dio (cf. Me 9,23)!
53. Come coloro che hanno l’olfatto sano riescono a
1029 d capire se qualcuno tiene nascosti dei profumi, così anche
l’anima pura è in grado di riconoscere negli altri sia il
buon odore che essa stessa ha ricevuto da Dio, sia il cat
tivo odore dal quale si è liberata, e questo anche quando
gli altri non se ne accorgono43.
54. Non è possibile che tutti raggiungano l’impassibi
lità, ma che tutti siano salvati e riconciliati con Dio, non
è impossibile (cf. iTm 2,4; 2Cor 5,20).
55. Non lasciarti dominare da quegli stranieri44 (cf. Sai
18,14) che pretendono di discutere con arroganza sugli
ineffabili disegni di Dio e sulle visioni concesse agli uo
mini, suggerendoci segretamente che Dio fa preferenze di
persone (cf. At 10,34): sono infatti figli dell’orgoglio, e
come tali si fanno riconoscere!
56. Il demone dell’avarizia spesso finge l’umiltà45; e il
tazione.
372
demone della vanagloria - come anche quello dell’amore 1032 A
del piacere - ci incita all’elemosina: purifichiamoci dunque
da entrambi, e poi non smettiamo di esercitare la miseri
cordia in ogni circostanza.
57. Alcuni hanno affermato che i demoni si oppongo
no gli uni agli altri46, ma io so per esperienza che tutti cer
cano la nostra rovina.
58. Ogni atto spirituale, esteriore o interiore, è prece
duto da un’intenzione particolare e da un desiderio buono,
che sorgono in noi grazie all’aiuto di Dio: se prima non si
pongono questi fondamenti, l’atto non può seguire47. 1032 B
59. Sz. c’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo (Qo 3,1),
come dice l’Ecclesiaste, e se in “ogni cosa” sono compre
se anche le sante opere del nostro genere di vita, stiamo
ben attenti, vi prego, ed esaminiamo in ogni momento
quali siano le azioni proprie di ogni tempo.
E certo, infatti, che per coloro che lottano c’è un tempo
per l’impassibilità e un tempo per le passioni - lo dico per
coloro che sono ancora bambini nella lotta c’è un tempo
per le lacrime e un tempo per la durezza di cuore; un
tempo per obbedire e un tempo per comandare; un tempo
per fare digiuno e un tempo per prendere cibo; un tempo
per subire la guerra da parte del corpo, nostro nemico, e
un tempo per mettere a morte gli ardori passionali; un
tempo per la burrasca dell’anima e un tempo per la calma
della mente; un tempo per la tristezza del cuore e un
tempo per la gioia spirituale; un tempo per l’insegnamen
to, e un tempo per l’ascolto; un tempo per la contamina- 1032 C
373
zione, forse a causa del nostro orgoglio, e un tempo per
la purificazione, attraverso l’umiltà; un tempo per la lotta
e un tempo per il riposo tranquillo; un tempo per l’esichia
e un tempo per l’attività frenetica e senza distrazione;
un tempo per la preghiera incessante (cf. iTs 5,17) e un
tempo per il servizio sincero.
Non lasciamoci perciò trascinare da zelo superbo a cer
care prima del tempo ciò che deve venire a suo tempo!
Non cerchiamo in inverno ciò che è proprio dell’estate, o
nel tempo della semina ciò che deve venire nel tempo
della mietitura, perché c’è un tempo per seminare le fati
che e un tempo per mietere gli ineffabili doni di grazia;
altrimenti, neppure quando sarà giunto il tempo potremo
raccogliere i frutti propri di quel tempo!
60. Per un misterioso disegno di Dio, alcuni hanno ri
cevuto da lui le sante ricompense per le proprie fatiche
prima ancora di averle sostenute, altri mentre le sostene
vano, altri dopo averle sostenute, e altri ancora al mo-
1032 d mento della morte. Bisogna chiedersi quale di questi sia
diventato più umile.
61. C’è una disperazione che è frutto di una moltitu
dine di peccati e di una coscienza gravata da un rimorso
insostenibile, quando cioè l’anima, sommersa dalla molti
tudine delle sue ferite, sotto il loro peso sprofonda nell’a
bisso della disperazione. C’è poi una disperazione che
sorge in noi come conseguenza della superbia e della pre
sunzione, quando cioè pensiamo di non aver meritato la
caduta che ci è capitata. Chi osserva con attenzione, sco
prirà le seguenti caratteristiche in ciascuno dei due casi:
nel primo ci si abbandona ormai all’indifferenza; nell’al
tro, pur in mezzo alla disperazione, si continua a pratica
re l’ascesi, anche se ciò non giova a nulla. Nel primo caso
1033 a si può guarire con l’astinenza e con una salda speranza,
nel secondo con l’umiltà e non giudicando nessuno.
374
62. Non dobbiamo stupirci o far meraviglie vedendo
alcuni predicare il bene e compiere il male, perché, perfi
no in paradiso, l’orgoglio riuscì a innalzare e mandare in
perdizione il serpente (cf. Gen 3,1-15).
63. In ogni tua attività e in ogni tuo comportamento,
sia che tu viva nella sottomissione sia nel caso contrario,
sia nelle opere visibili sia in quelle spirituali, abbi come
criterio e regola che esse siano veramente secondo Dio. Se
cioè intraprendiamo un’opera qualsiasi - parlo per i prin
cipianti -, e da essa non ricaviamo nell’anima un’umiltà
più grande di quella che avevamo, piccola o grande che sia
quell’opera, mi sembra che non la compiamo secondo Dio.
64. Per noi che siamo ancora dei bambini48, è dunque 1033 B
questo il criterio49 che ci dà la piena certezza di compie
re la volontà del Signore; per coloro che sono a metà del
cammino, è forse la cessazione delle lotte; per i perfetti,
l’aumento e l’abbondanza di luce divina.
Le piccole cose, realizzate dai grandi, possono non es
sere realmente piccole, ma le grandi cose, realizzate dai
piccoli, certamente non sono ancora perfette50.
65. Come il cielo sgombro di nuvole ci permette di ve
dere lo splendore del sole, così l’anima che si è liberata
dalle proprie predisposizioni passionali e ha ottenuto il per
dono dei peccati, riesce certamente a vedere la luce divina.
sfuma e corregge i criteri enunciati nella precedente. Fatti salvi quei criteri ge
nerali - intenderebbe dire l’autore - è sempre possibile che i segni indicati
come criteri di conformità alla volontà di Dio per i principianti s’incontrino
anche nei perfetti, e viceversa; ogni cosa però è proporzionata alla grandezza
delle persone: le cose che sembrano piccole, come l’umiltà, possono diventare
grandi quando sono compiute da “grandi”, e le cose che paiono grandi, come
rilluminazione divina durante la preghiera, sono ancora imperfette quando
sono compiute da “piccoli”; non bisogna illudersi dunque di essere arrivati alla
perfezione prima del tempo.
375
66. Una cosa è il peccato, altra l’ozio, altra la negligen
za, altra la passione, e altra ancora la caduta. Chi, con
l’aiuto del Signore, è in grado di indagare il senso di que
ste parole, lo faccia e chiarisca51.
67. Tra i carismi spirituali alcuni esaltano soprattutto
quello di compiere miracoli in modo visibile, ma non
sanno che ne esistono molti altri superiori a questo, che,
essendo nascosti, non vengono mai meno52.
1033 c 68. Chi si è perfettamente purificato, vede, se non pro
prio l’anima stessa del prossimo, almeno lo stato in cui
essa si trova; ma chi sta ancora progredendo, ne giudica
in base al corpo.
69. Spesso un piccolo fuoco può distruggere l’intera fore
sta; e una piccola falla può vanificare tutta la nostra fatica.
70. Esiste un riposo accordato alla carne, nostra nemi
ca, che risveglia le energie della mente, senza eccitare
l’ardore delle passioni; ed esiste una sua macerazione ec
cessiva che invece può perfino risvegliare i moti passiona
li: questo affinché non confidiamo in noi stessi ma in Dio
(2Cor 1,9) che può mortificare questa carne vivente senza
che neppure ce ne accorgiamo.
71. Quando vediamo che alcuni ci dimostrano affetto nel
Signore, guardiamoci dall’eccessiva familiarità soprattutto
nei loro confronti, perché non c’è niente che possa dissol
vere la carità e ingenerare l’odio come tale familiarità!
72. L’occhio dell’anima53 è spirituale e di una bellezza
straordinaria, superiore a quella di ogni altra creatura, a
376
parte le sostanze incorporee54; per questo spesso anche 1033 d
377
77- Molte sono le vie della pietà, e molte quelle della
perdizione: capita spesso, perciò, che, mentre si procede
in senso contrario rispetto a qualcuno, si vada al passo
con qualcun altro; e il Signore gradisce l’intenzione degli
uni e degli altri.
78. In tutte le tentazioni che ci assalgono, i demoni si
sforzano di farci dire o fare qualcosa di sconveniente; e
quando non ci riescono, si avvicinano a noi silenziosa
mente e ci suggeriscono di elevare a Dio un ringraziamen
to pieno di superbia.
79. Chi pensa alle cose di lassù (cf. Col 3,2), quando si
separa dal corpo, sale in alto, almeno con una parte di sé;
al contrario, chi pensa alle cose di quaggiù, scende in
basso: non c’è alcuna via di mezzo, infatti, per quanti si
separano dal corpo.
80. Una sola creatura non ha ricevuto l’essere in se stes-
1036 c sa ma in un altro57, ed è meraviglioso come essa possa sus
sistere anche senza quello nel quale ha ricevuto l’essere.
81. Le figlie pie le generano le madri, ma le madri le
genera il Signore58; e non è sbagliato applicare questa re
gola anche ai loro contrari59.
82. Mosè, o meglio Dio stesso, ordina: “Il pusillanime
non esca in guerra! ” (cf. Dt 20,8), perché non rischi - come
è normale - di cadere nell’estremo traviamento dell’anima,
che è assai peggiore della precedente caduta del corpo60.
e le lotte non deve entrare nella vita monastica, perché, cadendo nel peccato,
non rischi di cadere anche nella completa disperazione. Il testo di Rader e di
Ignatios aggiunge di seguito anche questa frase, assente in Sophronios: “Gli
occhi sensibili sono la luce di tutte le membra del corpo; così il discernimento
è la luce spirituale delle divine virtù”.
378
Discorso XXVI/2
SUL BUON DISCERNIMENTO
1. Come la cerva arsa dalla sete anela alle fonti (cf. Sai
41,2), così i monaci desiderano ardentemente compren
dere quale sia la volontà buona e conforme alla volontà
di Dio; ma, oltre a questa, vogliono anche conoscere la
volontà che mescola in sé bene e male1, e inoltre quella
che è decisamente contraria alla volontà di Dio; e sono
argomenti sui quali il discorso sarebbe veramente lungo e
difficile (Eb 5 , 1 1 ) . 1057 A
Quali, per esempio, tra le opere che siamo tenuti a fare,
devono essere compiute senza indugio e il più presto possi
bile, ascoltando colui che dice: “Guai a colui che rimanda
da un giorno all altro e da un tempo all’altro” (cf. Sir 5,7) ?
E quali invece devono essere compiute con prudenza e cir
cospezione, come esorta colui che ha detto: E con una guida
intelligente che si conduce la guerra (Pr 24,6), e ancora: Ogni
cosa sia fatta con decoro e con ordine (iCor 14,40) ?
Non è certo da tutti, infatti, dare un giudizio rapido e
chiaro su questioni di così difficile discernimento, se -
come leggiamo - anche David, che era ripieno di Dio e
nel quale parlava lo Spirito santo, pregava spesso per que
sto, dicendo: Insegnami a fare la tua volontà, perché sei tu
379
il mio Dio (Sai 142,10), e un’altra volta: Guidami sulla
1057 b tua verità (Sai 24,5), e ancora: Vammi conoscere, Signore,
la via da seguire perché a te ho elevato e innalzato Vanima
mia (Sai 142,8), allontanandola da ogni preoccupazione
di questa vita e da ogni passione.
2. Quanti vogliono conoscere la volontà del Signore,
prima mettano a morte la propria; poi, dopo aver prega
to con fede e con candida semplicità e aver consultato le
anime dei padri, o anche dei fratelli, con umiltà di cuore
e senz’ombra di diffidenza nel pensiero, accolgano i loro
consigli come dalla bocca di Dio, anche se sono contrari
alle loro personali intenzioni, e anche se gli interpellati
sono tutt’altro che uomini spirituali: Dio infatti non è in
giusto (Eb 6,10) da ingannare le anime che con fede e
semplicità si sottomettono umilmente ai consigli e ai giu-
1057 c dizi del loro prossimo; infatti, se anche gli interpellati
fossero delle bestie senza ragione, colui che parla è sem
pre l’Immateriale e l’Invisibile!
Coloro che senz’alcuna esitazione si attengono alla re
gola sopra indicata, sono colmati di una grande umiltà.
Del resto, se qualcuno poteva sciogliere il proprio enigma
sulla cetra (Sai 48,5), non credete forse che una mente ra
gionevole e un’anima spirituale potranno darci una rispo
sta assai migliore di uno strumento inanimato2 ?
Molti, però, non essendo riusciti a raggiungere questo
comportamento a un tempo facile e perfetto a causa della
propria presunzione, hanno tentato di scoprire da soli in
se stessi la volontà del Signore, lasciandoci molti e svaria
ti pareri al riguardo.
380
3. Alcuni, in tale ricerca3, hanno prima allontanato il
proprio pensiero da qualsiasi attaccamento alTuna o al- 1057 d
l’altra inclinazione dell’anima - cioè a dare o a rifiutare
il consenso a un’azione quindi, dopo aver presentato
per un certo numero di giorni al Signore, in una preghie
ra fervente, la loro mente spoglia di qualsiasi volontà pro
pria, sono arrivati a riconoscere la sua volontà; e questo
sia che un’intelligenza spirituale4 abbia parlato spiritual-
mente alla loro mente, sia che una delle due inclinazioni
sia scomparsa totalmente dalla loro anima.
Altri hanno compreso che l’opera che stavano intra
prendendo era conforme alla volontà di Dio dalle tribola
zioni e dagli impedimenti che l’hanno accompagnata, se
condo le parole di colui che ha detto: Abbiamo desiderato
venire da voi una volta, anzi due, ma Satana ce lo ha impe
dito (iTs 2,18).
Altri, al contrario, per aver ricevuto un aiuto inatteso 1060 a
nella propria opera, hanno intuito che essa era gradita a
Dio, ripetendo quelle parole: “A chiunque si propone di
fare il bene Dio viene in aiuto! (cf. Rm 8,28)”.
4. Chi per mezzo dell’illuminazione possiede Dio in se
stesso, di solito, sia nei casi urgenti sia in quelli che pos
sono attendere, riceve la piena certezza della sua volontà
nel secondo modo5, senza però che passi molto tempo.
5. Esitare nelle proprie decisioni e rimanere a lungo in
certi è indizio di un’anima che non ha ricevuto l’illumina
zione e cerca la propria gloria: Dio non è ingiusto (Eb 6,10)
da chiudere la porta a coloro che bussano con umiltà (cf.
Mt 7,7-11)! In tutte le azioni, sia in quelle urgenti che in
3 Cioè nel tentativo di scoprire se un’azione era o meno conforme alla vo
lontà di Dio.
■ * Probabilmente un angelo.
5 Con la preghiera, che è il secondo metodo indicato per conoscere la vo
lontà di Dio, dopo la consultazione del padre spirituale.
381
quelle che richiedono di essere rimandate, ciò che dobbia
mo valutare davanti al Signore è l’intenzione: infatti, tut
te le azioni pure da ogni attaccamento e contaminazione
passionale, compiute unicamente per il Signore e non per
1060 b altro fine, anche se non sono del tutto buone, tuttavia ci
verranno accreditate come buone. Del resto, cercare di co
noscere più di quanto possiamo, può essere rischioso.
6. Il giudizio del Signore su di noi è imperscrutabile. A
volte infatti vuole nasconderci provvidenzialmente la sua vo
lontà, sapendo che, anche se la conoscessimo, non vi obbe
diremmo, e quindi riceveremmo più percosse (cf. Le 12,47).
7. Un cuore retto resta lontano dalle azioni complicate
e naviga senza pericolo sulla barca dell’innocenza.
8. Ci sono anime coraggiose che, per ardente amore di
Dio e umiltà di cuore, si lanciano in opere superiori alle
1060 c loro forze, e ci sono cuori superbi che fanno lo stesso. Spes
so infatti i nostri nemici mirano a suggerirci azioni superio
ri alle nostre forze, perché, cadendo nelTacedia in seguito
a esse, trascuriamo anche quelle che sono in nostro potere,
e così diventiamo oggetto di riso per i nostri nemici.
9. Ho visto persone, debilitate nell’anima e nel corpo
per la moltitudine delle loro cadute, intraprendere lotte
superiori alle loro forze senza riuscire a sostenerle: a esse
spiegai che Dio giudica la nostra penitenza non in base
alla quantità di fatiche, ma al grado di umiltà.
10. A volte l’educazione può essere causa dei più gran
di mali, come possono esserlo le cattive frequentazioni,
ma spesso, a rovinare un’anima, basta la sua stessa perver
sione. Chi è riuscito a salvarsi dai primi due mali, forse
potrà evitare anche il terzo, ma chi possiede in se stesso il
terzo, si condanna alla perdizione in qualunque luogo si
trovi: infatti non c’era luogo più sicuro del cielo6...
382
11. Se dei miscredenti o degli eretici vengono a discute- 1060 n
re con noi con intenzioni malevole, dopo una o due ammo
nizioni (Tt 3,10), interrompiamo la discussione, ma non
stanchiamoci di fare del bene (Gal 6,9) a coloro che deside
rano conoscere la verità; comunque, sia nell’uno che nell’al
tro caso, approfittiamone per rinsaldarci nel nostro cuore.
12. Sarebbe alquanto stupido chi, sentendo parlare
delle virtù soprannaturali dei santi, cadesse nella dispera
zione. Esse, al contrario, possono ammaestrarti in modo
eccellente: o incitandoti all’emulazione attraverso l’esem
pio di un santo coraggio, oppure conducendoti, per mezzo
della santissima umiltà, a un profondo disprezzo di te stes
so e al riconoscimento della debolezza che è in te.
13. Tra i demoni impuri ve ne sono alcuni più cattivi
degli altri, i quali non solo ci consigliano di peccare, ma
vogliono che rendiamo complici del nostro male anche 1061 a
altri, per poterci procurare così un castigo più severo.
Una volta ho visto un uomo apprendere da un altro
una cattiva abitudine: frattanto, colui che gliel’aveva in
segnata, presa coscienza del proprio peccato, cominciò a
far penitenza e cessò di compiere il male, ma a causa delle
opere del discepolo la sua penitenza rimase inefficace7.
14. Grande, veramente grande e difficile da discerne
re è la malizia degli spiriti cattivi: pochi la riconoscono,
e neanche questi pochi, credo, interamente!
Perché spesso succede che, quando mangiamo in abbon
danza e siamo sazi di cibo, riusciamo a vegliare con la
mente lucida, e quando digiuniamo e soffriamo la fame,
crolliamo miseramente dal sonno? Perché, quando restia
mo nell’esichia e nella solitudine, i nostri cuori s’indurisco
no, e quando stiamo in compagnia di altri, raggiungiamo
383
la compunzione? Perché, quando siamo affamati, siamo
tentati durante il sonno, e quando siamo satolli, non sub
iamo tentazioni? E perché, quando siamo nell’indigenza,
1061 b diventiamo tenebrosi e incapaci di compunzione, e quan
do beviamo del vino, diventiamo radiosi e inclini alla
compunzione ?
In queste cose, chi dal Signore ne ha ricevuta la capa
cità, illumini chi è senza luce, perché noi su tali questio
ni non siamo stati illuminati. Possiamo soltanto dire che
alterazioni come queste non sono sempre frutto dell’azio
ne dei demoni, ma a volte anche del temperamento che
ciascuno di noi ha ricevuto e di questa pinguedine sordi
da e golosa che - non so come mai - ci avvolge.
Per queste anomale alterazioni di cui si è appena par
lato e su cui è difficile formulare giudizi chiari dobbiamo
pregare con sincerità e umiltà il Signore: se poi vediamo
che, anche dopo aver pregato per un po’ di tempo, il fe
nomeno continua come prima, possiamo essere certi che
non è opera dei demoni ma della natura. Spesso però può
essere opera anche della provvidenza di Dio, la quale
vuole assicurare il nostro bene anche con dei mezzi con-
1061 c trari, per reprimere in tutti i modi possibili la nostra pre
sunzione.
E pericoloso mettersi a scrutare con curiosità l’abisso
dei giudizi di Dio, perché i curiosi navigano sulla barca
dell’orgoglio. Tuttavia, a causa della debolezza di molti,
bisogna parlarne un po’.
15. Un tale chiese a un uomo dotato di discernimento:
“Perché mai Dio, pur prevedendo le cadute di alcuni,
concede loro dei carismi e il dono di compiere miracoli ?”.
E quello rispose: “Allo scopo di mettere in guardia anche
gli altri spirituali, di manifestare la libertà della volontà,
e di togliere ogni possibile giustificazione a chi è caduto
al momento del giudizio ! ”.
384
16. La legge, che è ancora imperfetta, dice: Veglia su te
stesso! (Dt 4,9; 15,9), ma il Signore, che supera ogni per
fezione, ci ha ordinato anche la correzione del fratello, 1061 d
talità a causa del suo peccato, non può non desiderare insaziabilmente di ritor
nare nella condizione originaria.
12 Cioè il proprio corpo.
385
la salita: la via e la porta sono aperte (cf. Gv 10,9; 14,6)13!
21. L’ascolto delle opere compiute dai padri spirituali
risveglia lo zelo della mente e dell’anima, ma l’ascolto dei
loro insegnamenti conduce chi è pieno di zelo a imitarli.
22. Il discernimento è una lampada nelle tenebre, una
via di ritorno per gli erranti, e una luce per i miopi. Chi
possiede il dono del discernimento fa ritrovare la salute e
distrugge la malattia.
23. Coloro che per ogni minima cosa fanno grandi me
raviglie, generalmente si comportano così per due moti
vi: o per la loro estrema ignoranza, o allo scopo di acqui
stare l’umiltà, magnificando ed esaltando le azioni del
prossimo.
24. Sforziamoci non solo di lottare contro i demoni,
ma di far loro guerra aperta: chi lotta, infatti, a volte col
pisce, a volte è colpito; ma chi fa guerra aperta incalza
continuamente il nemico.
1064 c 23. Chi ha vinto le passioni, ferisce i demoni: fingendo
di essere ancora in preda alle passioni, inganna i suoi ne
mici e così non subisce i loro attacchi.
Una volta, un fratello ricevette un’umiliazione e, senza
esserne minimamente turbato nel proprio cuore, si mise a
pregare mentalmente; poi cominciò a lamentarsi delle
umiliazioni subite, nascondendo la propria impassibilità
dietro una finta passione.
Un altro fratello, che non ambiva affatto ad avere il
primo posto, si mise a fingere di darsi un gran da fare per
ottenerlo.
Come descriverti la purezza, poi, di quell’uomo che,
entrato in un bordello, apparentemente con l’intenzione
386
di peccare, vi fece uscire la prostituta spingendola alla
vita ascetica14?
A un altro esicasta, una volta qualcuno portò al matti
no presto un grappolo d’uva, ed egli, dopo aver congeda
to la persona che glielo aveva portato, pur senza avere ap
petito, lo mangiò in gran fretta, per apparire ingordo agli
occhi dei demoni.
Un altro, avendo perduto alcune foglie di palma, per 1064 d
tutto un giorno fece finta di esserne addolorato.
Coloro che si comportano in questo modo, però, hanno
bisogno di molta vigilanza, altrimenti, volendo prendere in
giro i demoni, finiscono per prendere in giro se stessi! E
proprio a queste persone che l’Apostolo si riferiva dicen
do: Considerati impostori, ma in realtà veritieri (2Cor 6,8).
26. Se qualcuno vuole offrire a Cristo un corpo casto 1065 a
e presentargli un cuore puro, custodisca attentamente la
non-irascibilità e la continenza: senza di esse, infatti,
ogni nostra fatica è inutile!
27. Come sono diversi i gradi in cui la luce può essere
percepita dagli occhi umani, così sono molti e diversi i
modi in cui il sole spirituale può spandere la sua luce nel-
l’anima: altra è l’illuminazione che si produce attraverso
le lacrime del corpo, e altra quella che si produce attra
verso le lacrime dell’anima; altra quella che penetra attra
verso gli occhi del corpo, e altra quella che penetra attra
verso gli occhi della mente; altra è quella che proviene
dall’ascolto di una parola, e altra quella che sorge come
gioia spontanea nell’anima; altra è quella che è frutto del-
l’esichia, e altra quella che è frutto dell’obbedienza.
Accanto a tutte queste, si distingue particolarmente quel-
387
la che conduce la mente in presenza di Cristo facendola
uscire da se stessa in modo ineffabile e inesprimibile, e
immergendola in una luce spirituale.
28. Ci sono le virtù, e ci sono le madri delle virtù15: chi
1065 è saggio si sforza soprattutto di acquistare le madri. Di
b
388
gonfiamo di superbia, ricordiamoci ancora di colui che ha
detto: Chiunque osservi tutta la legge spirituale, ma cada
anche in una sola passione - cioè nella superbia -, diventa
colpevole di tutto (Gc 2,10)!
32. Tra gli spiriti maligni e invidiosi ve ne sono alcuni
che, in particolari condizioni, si ritirano volontariamente
dai santi, per non procurar loro corone tormentandoli
con guerre in cui non riescono a vincerli.
33. Beati gli operatori di pace (Mt 5,9)! - e nessuno lo
contesta ma io ho visto anche dei beati seminatori di
discordia. Due giovani avevano intrecciato una relazione
peccaminosa, e un uomo dotato di conoscenza e di gran
de esperienza spirituale divenne strumento di inimicizia 1065 d
tra di loro: andando a dire a uno che l’altro lo insultava,
e facendo lo stesso con l’altro, quell’uomo pieno di sa
pienza riuscì a stornare la malizia dei demoni con l’astu
zia umana, suscitando un odio capace di sciogliere quel
legame peccaminoso.
34. C’è chi trascura un comandamento per osservarne
un altro: ho visto infatti due giovani che erano legati
l’uno all’altro da un’amicizia secondo Dio, e tuttavia, per
non dare scandalo o ferire la coscienza di qualcuno (cf.
iCor 10,28-29), decisero di comune accordo di allonta
narsi l’uno dall’altro per un certo tempo.
35. Come una festa di matrimonio non si concilia con
un funerale, così la superbia non si accorda con la dispe
razione: tuttavia, a causa del disordine provocato dai de
moni, è possibile vederle assieme.
36. Ci sono demoni impuri che, agli inizi del nostro cam
mino monastico, vengono a spiegarci come interpretare le
divine Scritture; e hanno l’abitudine di far questo soprat- 1068 a
tutto nel cuore di chi è incline alla vanagloria, specialmen
te se ha pratica della sapienza mondana, per ingannarlo a
poco a poco, e così condurlo fino all’eresia e alla bestemmia.
389
Riconosceremo questi discorsi su Dio - o piuttosto questi
inutili sprechi di parole!20 - come opera dei demoni, dall’a
gitazione e dalla gioia sfrenata e disordinata che sorgono
nell’anima al momento di tali spiegazioni.
37. Tutte le realtà create hanno ricevuto dal Creatore
un ordine e un inizio, e alcune anche una fine, ma il li
mite della virtù è senza limite21; dice infatti il salmista:
Di ogni compimento ho visto il termine, ma il tuo comanda-
1068b mento è immenso (Sai 118,96) e senza limiti.
38. Se alcuni asceti pieni di buona volontà passano di
potenza in potenza (cf. Sai 83,8), ossia dalla pratica alla
contemplazione, e se la carità non avrà mai fine (iCor 13,8),
e se il Signore custodirà la tua entrata, che è il timore, e la
tua uscita, che è la carità (cf. Sai i20,8)22, allora il limite di
questa virtù è davvero senza limite, e non finiremo mai di
progredire in essa, né nel secolo presente né in quello fu
turo, aggiungendo continuamente luce a luce. E anche se
l’affermazione potrà sembrare un po’ strana ai più, tutta
via devo farla: direi cioè che, in base alla dimostrazione
che abbiamo appena fatto, o beatissimo padre, neppure le
sostanze spirituali sono esenti dal progresso continuo, anzi
affermo che esse passano continuamente di gloria in glo
ria e di conoscenza in conoscenza23.
divini 1,2: “Il Bene stimola le sacre intelligenze verso la contemplazione di sé,
per quanto la possano esse raggiungere, verso la comunione e P assimilazione,
quelle intelligenze che, per quel che è lecito, vi tendono santamente e non pre-
390
39 • Non ti meravigliare se spesso i demoni ci suggeri
scono dei buoni pensieri, e poi si mettono a contraddirli
nella nostra mente: con questo i nostri nemici mirano a 1068 C
convincerci che essi conoscono perfino i pensieri del no
stro cuore24.
40. Non voler essere un giudice troppo severo di colo
ro che a parole danno grandi insegnamenti, se vedi che
sono meno solleciti nel metterli in pratica: spesso infatti
i benefici recati con la parola riescono a compensare la ca
renza di opere. Non tutti possediamo tutto in ugual mi
sura: in alcuni infatti la parola supera le opere; in altri, al
contrario, sono le opere a superare la parola.
41. Dio non è l’autore né il creatore del male: si sono
ingannati, quindi, quanti hanno affermato che alcune
passioni sono naturali nell’anima, ignorando che siamo
noi che abbiamo trasformato in passioni quelle che erano
proprietà costitutive della nostra natura25. Per esempio,
dalla natura siamo stati dotati dello sperma per la pro
creazione dei figli, ma noi ne abbiamo fatto un mezzo di 1068 D
fornicazione. Dalla natura siamo stati dotati della collera
contro il serpente26, ma noi ce ne siamo serviti contro il
prossimo. Dalla natura siamo stati dotati dello zelo, per
ché potessimo essere zelanti nelle virtù (cf. iCor 12,31),
ma noi lo siamo nel vizio. Per natura l’anima è portata a
desiderare la gloria, ma quella di lassù. Per natura è por
tata a insuperbirsi, ma contro i demoni. Altrettanto na-
391
turale in noi è la gioia, ma per il Signore e per la felici
tà del prossimo. Ci è stato dato anche il rancore, ma con
tro i nemici dell’anima. Ci è stato dato il desiderio di
una vita beata27, ma non della dissolutezza28!
1069 A 42. L’anima intrepida eccita contro se stessa i demoni;
ma più aumentano le guerre, più aumentano le corone!
Chi non viene colpito dai nemici, non potrà certo riceve
re la corona; ma chi, nonostante le cadute che gli capita
no, non si scoraggia, sarà glorificato dagli angeli come un
buon soldato!
43. Qualcuno, dopo aver passato tre notti nella terra,
ritornò in vita per sempre (cf. Mt 12,40 par.). Chi ha
vinto per tre ore [la tentazione], non muore più29.
44. Quando, per una disposizione provvidenziale de
stinata alla nostra correzione, il sole30, dopo essere sorto
27 In greco: tryphé, termine spesso utilizzato dai padri per indicare la vita
beata del paradiso (sulla scorta di Gen 3,23-24 LXX, dove traduce il nome
ebraico ‘eden).
28 Sul carattere naturale delle “passioni” cf. abba Isaia, Discorsi ascetici 2.
29 Cioè non può più soccombervi, perché ormai l’ha superata. Di questo
392
in noi, conosce il suo primo tramonto (cf. Sai 103,19), al
lora certamente fa calare le tenebre sottraendosi alla nostra
vista (cf. Sai 17,12) e viene la notte-, in questa notte si muo
vono contro di noi i feroci leoncelli, che prima si erano al
lontanati, e tutte le fiere delle spinose passioni, che ruggi
scono cercando di rapire la nostra speranza e reclamano da
Dio il loro pasto di passioni, sia nel pensiero sia nell’azio- 1069 b
ne (cf. Sai 103,20-21). Poi, attraverso l’oscura umiltà,
spunta nuovamente in noi il sole, e le fiere si radunano e si
acquattano nelle loro tane (cf. Sai 103,22), ossia nei cuori
amanti dei piaceri, e non più in noi; allora si dirà tra i de
moni: Grandi cose ha fatto il Signore usando nuovamente
misericordia verso di loro-, e noi risponderemo loro: Grandi
cose ha fatto il Signore per noi, siamo pieni di gioia, e voi
siete respinti (cf. Sai 125,2-3)! Ecco, il Signore si siede su
una nube leggera - cioè sull’anima che si è elevata al di
sopra di ogni desiderio terreno - ed entra in Egitto, ovve
ro nel cuore prima immerso nelle tenebre, e crollano gli
idoli fatti dalla mano dell’uomo (cf. Is 19,1), ossia i catti
vi pensieri della mente31.
45. Se Cristo, benché onnipotente, fuggì con il suo 1069 c
corpo lontano da Erode (cf. Mt 2,13-15), i temerari im
parino a non gettarsi da soli nelle tentazioni! Sta scritto
infatti: Non esporre al pericolo il tuo piede, e il tuo angelo
custode non si addormenterà (Sai 120,3).
46. L’orgoglio s’intreccia al coraggio, come il convolvo
lo si avviluppa al cipresso32. Sforziamoci continuamente
di non lasciar neppure balenare in noi l’idea che abbiamo
393
acquistato la benché minima virtù; ma, considerando at
tentamente quale sia il segno distintivo di questa virtù33,
esaminiamo se esso è presente in noi, e certamente ci sco
priremo manchevoli. Cerca incessantemente anche i sin
tomi delle passioni, e scoprirai che in te ce ne sono molti.
Quando però siamo malati, non siamo in grado di discer
nerli, o perché siamo troppo deboli, o perché essi sono
1069 d profondamente radicati in noi.
47. Dio giudica l’intenzione; ma nella misura in cui ne
abbiamo le possibilità, reclama benevolmente anche le
opere. Grande è chi non trascura ciò che è nelle sue pos
sibilità, e ancor più grande chi con umiltà intraprende ciò
che supera le sue possibilità.
1072 a Spesso però i demoni ci impediscono di compiere le
opere più semplici, che sono anche le più utili, e ci esor
tano a intraprendere piuttosto quelle più faticose.
48. Trovo nella Scrittura che Giuseppe è lodato per
aver fuggito il peccato e non per aver dato prova d’im
passibilità (cf. Gen 39,7-20). Ma bisogna chiedersi con
quali e quanti peccati tale fuga è in grado di procurarci la
corona, perché un conto è fuggire l’ombra, un altro cor
rere verso il sole di giustizia (MI 3,20)!
49. Chi è nelle tenebre, inciampa; chi inciampa, cade;
chi cade, muore. Coloro che sono ottenebrati dal vino,
spesso riescono a ritornare in se stessi lavandosi con l’ac
qua; coloro che sono ottenebrati dalle passioni possono
farlo con le lacrime.
50. Una cosa è l’intorbidamento della mente, altra cosa
la dissipazione, altra cosa ancora l’accecamento. Il primo
male è guarito dalla temperanza; il secondo dall’esichia; il
terzo dall’obbedienza e da Dio che per noi si è fatto obbe
diente (Fil 2,8).
33 Ossia Pumiltà.
394
51. Per comprendere adeguatamente i due diversi 1072 B
modi di purificazione di quanti sono intenti alle cose di
lassù (cf. Col 3,2), prendiamo come modelli i due luoghi
in cui si lavano gli indumenti di quaggiù: con il nome di
“lavanderia”34 possiamo chiamare la vita cenobitica con
forme alla volontà del Signore, perché essa gratta via lo
sporco, il grasso e le imperfezioni dell’anima; la “tinto
ria”, invece, potrebbe essere la vita anacoretica, destina
ta a coloro che, avendo ormai deposto la lussuria, il ran
core e l’ira, dal cenobio vanno a vivere nell’esichia.
52. Alcuni affermano che il fatto di cadere negli stessi
peccati è frutto della mancanza di una penitenza adegua
ta che compensi con una giusta correzione gli sbagli com
messi. Bisogna chiedersi però se chi non è ricaduto nello
stesso genere di peccati, abbia veramente fatto una degna
penitenza.
53. Alcuni ricadono negli stessi peccati, o perché hanno
sepolto nell’abisso della dimenticanza i loro peccati passa
ti, o perché, per il loro amore del piacere, presumono che
Dio sia pieno di misericordia, o perché disperano della
propria salvezza; e se non avessi paura di essere rimprove 1072 C
rato a questo riguardo, direi anche che costoro non sono
più capaci di incatenare il nemico, perché ormai fa loro
violenza con la tirannia dell’abitudine.
54. Bisogna anche chiedersi come mai l’anima, che è
incorporea, non sia in grado di vedere gli spiriti che la vi
sitano nel loro aspetto naturale, nonostante essi siano
della sua stessa natura35. Ciò forse si deve al fatto che
essa è unita al corpo, nel modo che conosce soltanto colui
che operò l’unione.
395
55- Un giorno un uomo dotato di conoscenza mi chie
se: “Dimmi un po’, dimmi - desidero saperlo - quali sono
gli spiriti maligni che umiliano la nostra mente quando
pecchiamo, e quali sono quelli che la esaltano?”. Di fron
te a tale domanda restai confuso, e poiché giuravo di non
saperlo, quello, che prima voleva imparare, si mise a in-
1072 d segnare, e disse: “Voglio darti in poche parole un lievito
per il tuo discernimento, e poi ti lascerò esaminare il
resto con le tue forze. Il demonio della fornicazione,
quello dell’ira, quello dell’ingordigia, quello dell’acedia e
quello del sonno in genere non esaltano la mente; lo
fanno invece quello dell’avarizia, quello della smania di
potere, quello della chiacchiera, e molti altri, che così ag
giungono male a male: tra questi ultimi c’è perciò anche
il demonio che ci porta a giudicare il prossimo”.
56. Se qualcuno visita o accoglie come ospiti dei seco
lari e quando poi si separa da loro, dopo un giorno o dopo
un’ora, è ferito dalla tristezza, piuttosto che gioire per es
sersi liberato da un ostacolo e da un laccio, costui è lo zim
bello della propria vanagloria o della propria sensualità!
1073 a 57. Prima di tutto cerchiamo di capire da dove soffia
il vento36, perché non ci troviamo a stendere le vele nella
direzione contraria.
58. Conforta con amore gli anziani che hanno pratica
to le virtù e che hanno logorato i loro corpi nell’ascesi,
accordando loro un po’ di riposo, ma costringi i giovani
che hanno logorato le loro anime nei peccati a praticare
l’astinenza, ricordando loro il castigo.
59. Non è possibile, come abbiamo già detto in altro
luogo, purificarsi perfettamente dall’ingordigia e dalla vana
gloria subito agli inizi del nostro cammino monastico. Non
396
cerchiamo però di combattere la vanagloria con un regime
alimentare rilassato, soltanto perché la vittoria sull’ingordi
gia alimenta la vanagloria - intendo dire nei principianti
ma preghiamo piuttosto per esserne liberati facendo asti
nenza, perché verrà l'ora, ed è questa (cf. Gv 4,23; 5,25) -
per chi vuole -, in cui il Signore sottometterà anche que
sta passione sotto i nostri piedi (cf. Sai 8,7)!
60. I giovani e gli anziani che intraprendono la vita 1073 b
monastica non sono tormentati dalle stesse passioni; spes
so, anzi, hanno proprio le malattie opposte. Perciò sia be
nedetta, veramente benedetta, l’umiltà, perché grazie a
essa la penitenza diventa sicura ed efficace, sia nei giova
ni che negli anziani!
61. Non turbarti per quello che sto per dire: esistono
- anche se poche - anime semplici e innocenti, aliene da
qualsiasi genere di malizia, di ipocrisia e di furbizia, alle
quali non giova affatto il vivere insieme ad altri uomini,
ma che, con l’aiuto della loro guida, sono in grado di sa
lire al cielo salpando, per così dire, dal porto dell’esichia,
senza aver bisogno di sperimentare le turbolenze e gli
scandali della vita comunitaria.
62. I dissoluti li possono curare gli uomini; i cattivi, gli
angeli; ma i superbi, Dio solo.
63. Spesso anche questa è una forma di carità: per- 1073 c
mettere al nostro prossimo, quando viene a visitarci, di
comportarsi in tutto come vuole, facendogli buon viso
in tutto37.
37 Cf. Apoftegmì Nau 343: “Vi erano due monaci che abitavano in un luogo,
e si recò da loro un anziano; volendo metterli alla prova, prese un bastone e
cominciò a distruggere tutti gli ortaggi di uno dei due. Il fratello, vedendo, si
nascose. Quando fu rimasta una sola radice, disse airanziano: ‘Padre, se vuoi,
lasciala, perché io la possa cuocere e la mangiamo insieme*. L’anziano si inchi
nò davanti al fratello dicendo: Ter la tua pazienza, fratello, si è posato su di
te Io Spirito santo!’”.
397
64. Bisogna chiedersi in che modo, fino a che punto,
quando e se davvero il fatto di rimpiangere il bene com
piuto possa cancellarlo, come avviene con il male.
65. Abbiamo bisogno di molto discernimento per capi
re quando dobbiamo resistere, in quali casi e fino a che
punto dobbiamo lottare contro ciò che alimenta le passio
ni, e quando invece dobbiamo ritirarci: a volte, infatti, a
causa della nostra debolezza, è preferibile scegliere la
fuga piuttosto che morire38.
66. Consideriamo e osserviamo attentamente quando e
come - con qualche amaro rimedio - possiamo riuscire a
svuotare la nostra bile39; quali tra i demoni ci esaltano, e
quali ci umiliano; quali ci induriscono, e quali ci incorag
giano al bene; quali ci ottenebrano, e quali invece fingo
no d’illuminarci; quali ci rendono fiacchi, e quali furbi;
1073 d quali tristi, e quali allegri.
67. Non stupiamoci se, subito dopo la nostra entrata
nello stadio della vita monastica, ci vediamo più soggetti
alle passioni di quando vivevamo nel mondo: è necessario
infatti che le cause della malattia manifestino pienamen
te la loro azione, prima di poter riacquistare la salute:
quelle bestie40 infatti non erano visibili solo perché fino a
quel momento erano nascoste.
68. Quando capita che coloro che sono ormai prossimi alla
perfezione subiscano una qualche piccola sconfitta da parte
dei demoni, immediatamente mettono in moto ogni artificio
per strappar loro una rivincita cento volte più grande !
69. Come i venti a volte agitano il mare solo in super
ficie, quando è bonaccia, e altre volte lo sconvolgono
nelle sue profondità, così devi pensare anche dei venti te-
38 Ciò che alimenta le passioni sono i pensieri cattivi: in alcuni casi è me
glio fuggirli fin dal loro primo apparire, in altri è meglio lottare contro di essi.
39 Cioè il carico del nostro peccato.
40 Cioè le passioni.
398
nebrosi del peccato: in quelli che sono ancora soggetti alle
passioni, in genere sconvolgono il senso stesso del cuore;
in quelli che sono già progrediti nella virtù, invece, agita
no solo la parte superficiale della mente, cosicché essi ri IO76 A
trovano subito la propria tranquillità, poiché il loro cuore
non è stato contaminato.
70. E proprio dei perfetti saper sempre riconoscere
nell’anima quale pensiero venga dalla coscienza, quale da
Dio, e quale dai demoni: i demoni infatti non ci sugge
riscono sempre e soltanto cose malvagie fin dall’inizio, e
perciò il problema è veramente oscuro e difficile da ri
solvere.
Il corpo riceve luce dai due occhi sensibili, mentre gli IO76 B
occhi del cuore sono illuminati dal discernimento delle
cose visibili e di quelle spirituali.
399
Discorso XXVI/3
BREVE RICAPITOLAZIONE
DI TUTTI I DISCORSI PRECEDENTI
turpi pensieri.
3. La fede e l’estraneità sono la morte dell’avarizia; la
compassione e la carità offrono il corpo in sacrificio. La
preghiera incessante distrugge l’acedia; la memoria del
giudizio stimola all’impegno. L’amore dell’umiliazione
guarisce la collera.
4. Il canto dei salmi, la compassione e la rinuncia al
possesso soffocano la tristezza. Il distacco dalle realtà sen
sibili conduce alla contemplazione delle realtà spirituali.
401
1085 a II silenzio e l’esichia sono nemici della vanagloria; se però
vivi in mezzo ad altri, ricerca l’umiliazione.
5. La superbia esteriore e visibile può essere guarita da
abitudini e condizioni di vita dimesse; quella interiore e
invisibile solo da colui che da prima dei secoli è invisibi
le. Il cervo uccide tutte le bestie sensibili; l’umiltà quelle
spirituali2.
Attraverso le realtà naturali possiamo ricevere insegna-
menti chiari su tutto ciò che concerne le realtà spirituali.
6. Come il serpente non può spogliarsi della sua vec
chia scorza, se non entrando in una stretta fessura, così
anche noi non potremo mai deporre le nostre vecchie pre
disposizioni passionali, la vecchiaia della nostra anima e
la tunica dell’uomo vecchio (cf. Ef 4,22; Col 3,$>)3, se non
percorrendo la via stretta e angusta del digiuno e dell’u
miliazione (cf. Mt 7 , 1 4 ) .
1085 b 7. Come gli uccelli troppo grassi non possono volare in
cielo, così anche colui che nutre e soddisfa la propria
carne.
8. Un pantano asciutto non alletta più i porci: così una
carne consumata dall'ascesi non dà più riposo ai demoni.
9. Come una grande quantità di legna spesso soffoca la
fiamma e la spegne, producendo molto fumo, così spesso
una tristezza eccessiva4 rende l’anima fumosa e oscura, e
prosciuga l’acqua delle lacrime.
1085c io. Come un arciere cieco viene scartato, così un di
scepolo che contraddice va in perdizione.
11. Come un ferro temprato può affilare quello che
non lo è, così un fratello pieno di zelo spesso può salvar
ne uno pigro.
402
12. Come le uova degli uccelli covate in mezzo agli
escrementi si schiudono producendo nuove vite, così
anche i pensieri cattivi che non vengono manifestati5 ge
nerano figli e si traducono in azioni.
13. Come i cavalli correndo gareggiano l’uno con l’al
tro, così in una buona comunità ci si stimola a vicenda.
14. Come le nuvole nascondono il sole, così i pensieri
cattivi oscurano la mente e la mandano in perdizione.
15. Come chi ha ricevuto una sentenza di condanna e
si avvia al supplizio non si mette a parlare di spettacoli
teatrali, così chi si affligge veramente su di sé, non potrà 1085 d
403
22. Come i venti sconvolgono le profondità del mare,
così la collera sconvolge la mente più di ogni altra cosa.
23. Come ciò che non si vede con gli occhi, non si può
desiderare ardentemente di gustarlo solo sentendone par
lare, così coloro che sono puri nel corpo traggono un
grande sollievo da questa loro condizione.
24. Come i ladri non si avvicinano facilmente dove ve
dono che ci sono le armi del re, così chi ha unito salda
mente la preghiera al proprio cuore non potrà facilmente
essere derubato dai ladri spirituali.
1088 b 25. Come il fuoco non genera la neve, così chi aspira
agli onori di quaggiù, non godrà di quelli di lassù.
26. Come spesso una sola scintilla arriva a incendia
re una grande foresta, così capita che una sola opera
buona possa cancellare una quantità enorme di gravi
peccati.
27. Come è impossibile uccidere una bestia feroce
senza un’arma, così è impossibile raggiungere la non-ira-
scibilità senza umiltà.
28. Come, secondo le leggi di natura, non si può vive
re senza mangiare, così chi vuole essere salvato, non può
essere negligente neanche per un istante, fino al giorno
della sua dipartita.
29. Come un raggio di sole che penetra attraverso una
fessura, illumina tutto l’interno di una casa, al punto che
si può veder volare nell’aria perfino il più fine pulvisco
lo, così anche il timore del Signore che entra nel cuore,
gli manifesta tutti i suoi peccati.
1088c 30. Come i granchi sono facili da catturare perché si
muovono ora avanti ora indietro, così anche l’anima che
ora ride, ora si affligge e ora si abbandona ai piaceri non
potrà guadagnare niente di buono.
31. Come chi sonnecchia viene facilmente derubato:
così anche chi pratica la virtù restando vicino al mondo.
404
32. Come chi lotta con un leone, appena volge lo sguar
do altrove, è perduto: così anche chi lotta con la propria
carne, appena le accorda un po’ di sollievo.
33. Come chi sale su una scala di legno marcio rischia
di cadere, così ogni forma di onore, di gloria e di potere,
opponendosi l’umiltà6, fa cadere chi li possiede.
34. Come è impossibile che chi è affamato si dimenti- 1088 d
6 Che è l’unica a garantire un’ascesa sicura della scala delle virtù: cf. supra,
XXV>35.
405
43- Chi, senza avere la fede, compie qualche opera
buona, è simile a chi attinge dell’acqua e la versa in una
giara forata7.
1089 b 44. Come una nave guidata da buon pilota arriva in
porto senza pericolo, con l’aiuto di Dio, così un’anima
guidata da un buon pastore sale facilmente al cielo, anche
se ha commesso molti peccati.
45. Come chi non ha una guida è facile che sbagli stra
da, anche se è molto prudente, così chi percorre il cammi
no della vita monastica guidato solo dalla propria volontà,
è facile che si perda, anche se possiede tutta la sapienza di
questo mondo.
46. Chi è debole nel corpo e ha commesso gravi pecca
ti, segua la via dell’umiltà e osservi tutto ciò che essa ri
chiede, perché non troverà altra via di salvezza.
1089 c 47. Come chi è malato da lungo tempo non può riac
quistare la salute in un attimo, così è impossibile vincere
all’istante le passioni, o anche una sola passione. Osserva
quale grado raggiungi in ogni passione e in ogni virtù, e
potrai conoscere i tuoi progressi.
48. Come coloro che scambiano l’oro con il fango subisco
no una perdita: così anche coloro che parlano con ostentazio
ne dei propri doni spirituali per ottenerne vantaggi materiali.
49. Molti hanno ottenuto rapidamente la remissione
dei peccati, ma nessuno l’impassibilità: essa infatti richie
de molto tempo, un intenso desiderio, e l’aiuto di Dio.
1089 d 50. Esaminiamo quali bestie o uccelli8 ci insidiano al
momento della semina, quali al momento in cui il nostro
grano è ancora tenero, e quali al momento della mietitura9,
per poter tendere loro delle trappole adeguate.
406
51. Come non è giusto che chi ha la febbre si suicidi,
così non bisogna mai disperare, fino all’ultimo respiro.
52. Come è contrario a qualsiasi buon costume che
colui che ha appena seppellito il proprio padre, dopo il fu
nerale si rechi a una festa di nozze, così è sconveniente
che chi si affligge sui propri peccati cerchi onore, confor
to e gloria in questo mondo da parte degli uomini.
53. Come le dimore dei liberi cittadini sono diverse da
quelle dei condannati, così la condotta di vita di chi pian 1092 A
ge i propri peccati deve essere completamente diversa da
quella di chi è innocente.
54. Come il re non ordina di cacciare dall’esercito un
soldato che in guerra ha riportato gravi ferite alla faccia,
ma piuttosto lo promuove di grado, così anche il re cele
ste incorona il monaco che ha sopportato molte prove da
parte dei demoni.
55. Il senso dell’anima10 è una facoltà che le è propria;
il peccato, invece, è uno schiaffo dato a tale senso. La
presa di coscienza genera la cessazione o la diminuzione
del peccato, ed essa è appunto frutto della coscienza. La
coscienza è la voce e il rimprovero dell’angelo custode che 1092 B
ci è stato dato al momento del battesimo: per questo ve
diamo che i non battezzati non provano nella loro anima
un rimorso altrettanto forte per le azioni malvagie, ma ne
hanno una percezione molto più vaga.
La diminuzione del peccato genera il distacco dal pec
cato; il distacco dal peccato è l’inizio della penitenza; l’i
nizio della penitenza è l’inizio della salvezza; l’inizio della
salvezza sono i buoni propositi; i buoni propositi genera
no le fatiche dell’ascesi; l’inizio delle fatiche sono le
virtù; l’inizio delle virtù è la loro fioritura; la fioritura
407
delle virtù è l’inizio della loro pratica; il frutto della virtù
è la pratica continua; il frutto della pratica continua è l’a
bitudine al bene; il frutto dell’abitudine è la disposizione
al bene.
1092 c La disposizione al bene genera il timore; il timore ge
nera l’osservanza dei comandamenti, sia di quelli celesti
che di quelli terreni; l’osservanza dei comandamenti è in
dizio di carità; l’inizio della carità è la ricchezza di umil
tà; la ricchezza di umiltà genera l’impassibilità, e la sua
acquisizione è la pienezza della carità, ossia la perfetta
inabitazione di Dio in coloro che, grazie all’impassibilità,
sono puri di cuore; poiché sta scritto che essi vedranno
Dio (Mt 5,8). A lui la gloria nei secoli! Amen.
408
Discorso XXVII/i
SULLA SANTA ESICHIA
DEL CORPO E DELL’ANIMA
1 L’autore vuol dire che chi vive in comunità è spesso tentato dal demonio
di abbandonare prima del tempo il proprio monastero, per abbracciare la vita
eremitica, ma in questo modo non ottiene niente di buono, anzi rischia di com
promettere la propria salvezza.
409
1097 a Perciò, per non dare occasione a questo cane con le no
stre parole, e per non fornire un pretesto a chi cerca un
pretesto (cf. 2Cor 1 1 , 1 2 ) , non riteniamo giusto metterci
ora a parlare di pace a questi coraggiosi soldati del nostro
re che sono ancora in guerra2, ma diciamo soltanto que
sto: per chi combatte valorosamente, sono già state in
trecciate corone di pace e di tranquillità. Tuttavia, se cre
dete, diremo alcune cose sull’esichia, a mo’ di spunti di
riflessione, per non rischiare di far torto a qualcuno la
sciando questo tema completamente privo di trattazione.
2. L’esichia del corpo è la disciplina dei costumi e dei
sensi, e la loro condizione pacificata; l’esichia dell’anima
è la disciplina dei pensieri, e una mente inviolabile.
1097 b Amico dell’esichia è un pensiero forte e risoluto che rima
ne sempre vigilante alla porta del cuore, per uccidere o scac
ciare i pensieri cattivi che si avvicinano. Chi pratica l’esichia
con l’intimo senso del cuore, capisce quel che sto dicendo; chi
invece è ancora principiante, non avendone ancora fatto espe
rienza, l’ignora. L’esicasta dotato di conoscenza non avrà biso
gno di parole, perché per lui sono i fatti a illuminare le parole.
3. L’inizio dell’esichia è quando si scaccia ogni rumore
che possa turbare le profondità dell’anima, ma il suo
grado perfetto è quando non si temono più i frastuoni,
anzi si rimane insensibili a essi.
4. Chi, anche se esce dalla propria cella, non ne esce
con la parola, è mansueto e vera dimora della carità: parla
difficilmente ed è incapace di andare in collera. Il contra
rio è evidente3.
mai uscire, anche quando per necessità è costretto a lasciare la cella visibile”
(I. Hausherr, Solitudine e vita contemplativa secondo Vesìcasmo, Queriniana,
Brescia 1978, p. 62).
410
5. L’esicasta è colui che aspira a circoscrivere l’incor
poreo in una dimora corporea: supremo paradosso4!
6. La gatta spia il topo; il pensiero dell’esicasta spia il 1097
4 Cf. supra, XXVI/1,52. Su questo passo, cf. Gregorio Palamas, Triadi 1,2,6:
“Vi sono alcuni ... che tentano di persuadere quasi tutti - e addirittura gli stes
si che hanno abbracciato la vita che porta in alto grazie all’esichia - che è me
glio per chi prega tenere fuori dal corpo la mente, e così costoro non rispettano
nemmeno Giovanni, che per noi costruì con i suoi scritti la Scala che porta verso
il cielo e, definendo e dimostrando, disse che Tesicasta è c o l u i . . m e n t r e anche
gli insegnamenti impartitici dai nostri padri sono concordi con lui”.
5 Cioè il pensiero cattivo.
6 II testo di Rader e Ignatios ha qui: “non senza pericolo”, ma probabilmen
cella e il sicuro rifugio per l’anima è il proprio corpo: anche se si trova sulla
pubblica piazza, al mercato, in montagna o nei campi, in mezzo a una grande
folla, se ne sta nel suo monastero naturale, unifica le profondità del suo cuore
e medita ciò che deve”. Cf. anche supra, XXVII/1,5.
11. Chi è ancora malato di una qualche passione del-
1097 d l’anima e si mette a praticare l’esichia, è simile a colui che
si butta in mare da una nave, e con una tavoletta è con
vinto di poter raggiungere la riva senza pericolo.
12. Coloro che lottano contro il proprio corpo di
fango, a tempo debito potranno praticare l’esichia, pur
ché abbiano qualcuno che li guidi. Per vivere da soli, in
fatti, bisogna avere la forza degli angeli: parlo degli au
tentici esicasti, nel corpo e nell’anima.
13. L’esicasta che ha allentato il proprio zelo dirà men
zogne per indurre subdolamente gli uomini a distoglierlo
dall’esichia. Una volta abbandonata la propria cella, accu
sa i demoni senza accorgersi di essere diventato un demo
nio per se stesso!
14. Ho visto alcuni praticare l’esichia saziando insazia-
i i o o a bilmente la loro ardente brama di Dio e generando con il
412
primo si scoraggia, si tuffa in acqua; e quando il secondo
si abbandona all’acedia, si mescola alle folle.
19. Non aver paura dei rumori provocati dai demoni
per prendersi gioco di te: chi vive nell’afflizione infatti
non conosce la paura, né si turba9.
20. Coloro che hanno veramente imparato a pregare
con la mente, parlano con il Signore faccia a faccia (cf. Es 1100 B
33,11), come quelli che parlano all’orecchio del re.
Coloro che pregano con la bocca somigliano invece a
quelli che si prosternano davanti a lui in presenza di tutta
la corte. Quelli poi che vivono nel mondo rivolgono sup
pliche al re in mezzo allo strepito di tutto il popolo. Se
hai imparato bene quest’arte, capisci quel che dico!
21. Seduto su un’altura, osserva te stesso - se sai farlo
- e allora vedrai come, quando, da dove, quanti e quali
ladri entrano per rubare i tuoi grappoli d’uva10. Quando
la sentinella11 è stanca, si alzerà a pregare; poi, di nuovo,
si siederà e riprenderà con coraggio il lavoro iniziato.
22. Un tale12, che di queste cose ha fatto esperienza, 1100 C
vorrebbe parlarne in dettaglio e con precisione, ma teme
di rendere indolente chi già vi si dedica con fervore e di
spaventare con il rumore delle sue parole chi ne ha l’in
tenzione. Chi parla dell’esichia con precisione e cognizio
ne di causa, eccita contro di sé i demoni: nessun altro
come lui infatti è capace di manifestare i loro comporta
menti indecenti.
23. Chi ha raggiunto l’esichia, conosce l’abisso dei di
vini misteri, ma non sarebbe mai arrivato a una tale prò-
9 Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 97: “Chi si esercita nella preghiera
pura sentirà rumori, colpi, voci e ingiurie dai demoni, ma non demorderà né
perderà la ragione; dirà invece a Dio: Non temerò alcun male perché tu sei con
me (Sai 22,4), e altre simili frasi”.
10 Ovvero le tue virtù.
11 Fuori di metafora: la mente che veglia sul cuore.
12 L’autore parla di se stesso.
413
fondità, se prima non avesse visto e udito il tumulto delle
onde e dei venti13, rimanendone forse spruzzato.
Conferma ciò che dico il grande apostolo Paolo: se in
fatti non fosse stato rapito in paradiso, come in un luogo
di esichia, non avrebbe mai potuto ascoltare parole indi
cibili (cf. 2Cor 12,4).
24. L’orecchio dell’esichia udrà da Dio parole straordi
narie; perciò anche nel libro di Giobbe questa sapientis-
iiood sima diceva: Torse che il mio orecchio non udrà da lui pa
role straordinarie? (Gb 4,12).
25. L’esicasta è colui che fugge tutti gli uomini senza
odiarli - come altri corrono loro incontro per leggerezza
- perché non vuole privarsi per un solo momento della
dolcezza di Dio14.
26. Va’, distribuisci subito i tuoi beni - perché vender
li richiede troppo tempo - e dalli ai monaci poveri (cf. Mt
19,21), affinché con la loro preghiera ti sostengano nella
tua corsa verso l’esichia; quindi prendi la tua croce (Mt
noi a 16,24), portandola per mezzo dell’obbedienza e soppor
tando con forza il peso della recisione della tua volontà,
poi vieni e seguimi (Mt 19,21), per abbracciare la beatissi
ma esichia, e ti insegnerò le opere visibili e il genere di vita
delle potenze spirituali15.
Quelle potenze spirituali per tutti i secoli dei secoli non
si sazieranno mai di lodare il loro Creatore, né colui che è
entrato nel cielo dell’esichia di cantare inni al Creatore16.
414
Non si preoccupano della materia gli spiriti immateriali, né
del cibo coloro che, pur trovandosi nella materia, sono
immateriali. I primi non sono sensibili agli alimenti, né i
secondi hanno bisogno che qualcuno prometta loro di for
nirglieli. Quelli non si preoccupano di ricchezze o di pro
prietà, né questi dei maltrattamenti subiti da parte degli
spiriti maligni. Quei celesti non hanno desiderio di alcu
na creatura visibile, né questi terrestri di alcuna visione
sensibile. Quelli non cesseranno mai di progredire nella
carità, né questi di gareggiare con loro ogni giorno. I ixoib
4i5
Discorso XXVII/2
SULLE DIVERSE FORME DELL’ESICHIA
E SU COME DISCERNERLE
1 Cioè a causa della loro inclinazione ai piaceri, che nel relativo benessere
di un cenobio troverebbe più occasioni per essere soddisfatta: cf. supra, 1,46;
Vili,2 0 .
417
verrà (cf. Le 18,8) ! - che hanno sposato questa santa esi-
chia per poter godere dell’amore e della dolcezza di Dio
e saziare così la loro sete; ma non l’hanno fatto prima di
aver ripudiato ogni tipo di acedia, perché rimanere lega
ti a quest’ultima è come commettere adulterio nei con
fronti della prima.
2. Secondo la poca scienza che mi è stata data, come
un architetto non certo sapiente (cf. iCor 3,10), ho co
struito una scala per permettere la salita: ora ciascuno
guardi in quale gradino si trova, considerando se è venu
to per volontà d’indipendenza, o per la gloria umana, o
per la propria incapacità di dominare la lingua, o di tene
re a freno l’ira, o per la gran quantità dei propri attacca
menti passionali, o per espiare i propri peccati, o per di
ventare virtuoso, o per acquistare un fuoco ancora più
grande. Gli ultimi saranno i primi, e i primi ultimi (Mt
1x05 c 20,16)! Le prime sette sono le opere della settimana del
secolo presente, alcune gradite a Dio, altre no; mentre
l’ottava è chiaramente un segno del secolo futuro2!
3. Osserva attentamente, o monaco solitario, i momen
ti in cui spuntano le bestie feroci; altrimenti non potrai
tendere loro trappole adatte!
Se l’acedia, che abbiamo ripudiato, si è veramente dile
guata, il lavoro è superfluo3 * 5; ma se continua ad assalirci con
impudenza, non so come sia possibile praticare l’esichia.
2 II tempo della storia umana è scandito dal ritmo ciclico della settimana,
che solo l’irrompere deir “ottavo giorno” - il giorno della risurrezione e della
parousta - può spezzare, aprendo la storia all'eternità: i primi sette modi di ab
bracciare Tesichia sono dunque frutto delle possibilità umane, l’ultimo dell’in
tervento di Dio. Sul simbolismo del numero sette e del numero otto, cf.
Evagrio Pontico, Scolti ai Salmi) PG i2,i624B-C: “Come l’ottavo giorno sim
boleggia il secolo futuro, perché contiene la potenza della risurrezione, così il
settimo è simbolo di questo mondo”; Origene, SulLevitico 8,4; Basilio di Cesa
rea, Esamerone 2,8; Gregorio di Nazianzo, Orazioni 41,2-4.
5 II lavoro manuale, che è un mezzo efficace contro l’acedia: cf. supra,
XIII,io.
418
Perché mai tra i santi monaci di Tabennesi non ci sono
stati tanti luminari come tra i monaci di Scete4 ? Chi può
intendere intenda! Io infatti non posso parlarne, o piut
tosto non voglio5.
Tra coloro che vivono in quest’abisso, alcuni si dedica
no a diminuire le loro passioni, altri salmeggiano e passa
no la maggior parte del loro tempo in preghiera, mentre
altri ancora attendono alla contemplazione. Chi vuole ap 1105 D
profondire la questione, tenga presente la figura della
scala4 5 6. Chi può comprendere, comprenda nel Signore (cf.
Mt 19,12)!
4. Vi sono anime pigre che vivono nei cenobi e trovan
dovi abbondanti occasioni per alimentare la propria pigri
zia finiscono col perdersi del tutto. Ve ne sono altre poi che
grazie al fatto di vivere insieme ad altri riescono a deporre
la propria pigrizia; e ciò avviene non solo ai più negligen 1108 A
ti, ma spesso anche a coloro che sono già pieni di zelo.
Si può applicare la stessa regola all’esichia dicendo che
molti che aveva accolto come idonei, li ha poi respinti a
causa della loro tendenza a vivere in modo indipendente,
avendoli scoperti amanti dei piaceri; altri, invece, che
aveva accolto per la loro paura e la loro preoccupazione
di subire la condanna, li ha poi resi zelanti e fervorosi.
5. Nessuno osi assolutamente mettersi sulle tracce del-
Pesichia, se è ancora turbato dalla collera, dall’orgoglio,
Tabennesi, nella Tebaide; i secondi sono gli anacoreti che vivevano nel deser
to di Scete, a ovest del delta del Nilo.
5 Cf. Schol. 5, PG 88,iii7C: “L’opera dell’esichia è certamente grande e
procura un progresso spirituale superiore rispetto a quello della vita cenobiti
ca. Ma l’autore non vuol dirlo a motivo dei più deboli”.
6 Ovvero: comprenda che le categorie di persone appena elencate corrispon
419
dall’ipocrisia e dal rancore, perché non ne ricaverebbe
altro che la propria follia! Chi si è purificato da tali pas
sioni, allora potrà conoscere quel che è bene per lui; ma
credo che forse neanche lui potrà conoscerlo7.
6. I segni, le virtù e i tratti caratteristici di quanti pra
ticano l’esichia in modo ragionevole sono i seguenti:
iio8b mente insonne, pensiero puro, rapimento dell’anima in
Dio, memoria continua dei castighi, pressante desiderio
della morte, preghiera insaziabile, custodia inviolabile del
cuore, estinzione della sensualità, ignoranza di qualsiasi
attaccamento passionale, morte al mondo, assenza di in
gordigia, predisposizione per la teologia, sorgente conti
nua di discernimento, lacrime spontanee, perdita della
chiacchiera, e altri simili comportamenti, ai quali i più
sono generalmente avversi.
Ecco invece qual è la penuria di ricchezze spirituali pro
pria di quanti non praticano l’esichia in modo ragionevole:
aumento dell’irascibilità, accumulo di rancore, diminu
zione della carità, crescita dell’orgoglio, e voglio tacere il
resto.
7. Giacché il nostro discorso è giunto a questo punto, è
necessario considerare qui anche il caso di coloro che vi
vono nella sottomissione: il nostro discorso, del resto, è ri-
1108 c volto soprattutto a loro. I tratti caratteristici di quanti
hanno sposato in modo legittimo, senza adulterio né con
taminazioni, questa bella e nobile virtù8, secondo l’inse
gnamento dei padri teofori, sono i seguenti - e sono tutte
cose che giungeranno a perfezione al loro tempo, purché
noi ci sforziamo9 ogni giorno di svilupparle e di farle prò-
gresso spirituale continuo -, ricavato da Fil 3,13. Cf. supra, XXVI/2,37; infra,
XXIX, 2.
420
gredire crescita dell’umiltà iniziale, diminuzione dell’i
rascibilità (una volta vuotata la bile, infatti, come potreb
be essere altrimenti?), scomparsa di tutto ciò che ottene
bra la mente, aumento della carità, affrancamento dalle
passioni, liberazione dall’odio, diminuzione della sensuali
tà grazie ai rimproveri subiti, ignoranza dell’acedia, au
mento dello zelo, amore della compassione, abbandono
della superbia - impresa quest'ultima che tutti si augura
no di compiere, ma che pochi realizzano
Una fonte senz’acqua non merita il nome di fonte, e chi
ha intelligenza capisce ciò che voglio dire con questo10!
8. Una giovane sposa che non custodisce il proprio tala 1108 D
mo contamina il proprio corpo; ma un’anima che non custo
disce la promessa fatta contamina il proprio spirito. Per la
prima le conseguenze sono: rimproveri, odio, frustate, e -
cosa più deplorevole di tutte - il divorzio; per la seconda:
contaminazioni, oblio della morte, ingordigia del ventre, in
continenza degli occhi, ricerca della vanagloria, desiderio in
saziabile del sonno, durezza di cuore, insensibilità, accumu
lo di pensieri cattivi e aumento dei consensi dati ad essi, pri
gionia del cuore, condotta irrequieta, disobbedienza, conte-
stazione, diffidenza, cuore dubbioso, chiacchiere, attacca
mento alle cose materiali e - cosa più grave di tutte - ecces
siva familiarità, e - cosa ancor più deplorevole - cuore privo
di compunzione, da cui, se non si sta attenti, nasce l’indo
lenza, che è la madre degli spiriti maligni e delle cadute. 1109 A
9. Tra gli otto pensieri cattivi, cinque assalgono coloro
che praticano l’esichia, e tre coloro che vivono nella sot
tomissione11. Chi pratica l’esichia e combatte ancora con-
10 Cf. Schol. 12, PG 88,ii2oC: “Chi non ha queste virtù, non è un mona
co che vive nella sottomissione”.
11 Lo Schol. 14, PG 88,ii2oC, afferma che i pensieri cattivi che assalgono
421
tro l’acedia, spesso perde più di quanto guadagna, perché
il tempo che dovrebbe riservare alla preghiera e alla con
templazione lo spreca a cercare espedienti per lottare
contro quella.
10. Un giorno, mentre me ne stavo seduto nella mia
cella in preda alla pigrizia e quasi meditavo di abbando
narla, alcuni uomini vennero da me e si misero a coprirmi
110 9 b di lodi per la mia vita di esicasta. Subito il pensiero della
pigrizia fu scacciato da quello della vanagloria e si ritirò;
e io sono rimasto sbalordito al vedere come questo demo
ne a tre punte12 riesca ad opporsi a tutti gli spiriti maligni.
11. Sorveglia continuamente gli impulsi e i turbamenti
della tua consorte13, le sue inclinazioni e i suoi movimen
ti, e guarda come si producono e dove tendono. Solo chi
ha raggiunto la calma per mezzo dello Spirito santo, non
ignora ciò che dico.
12. La principale opera delTesichia è l’assenza di preoc
cupazioni nei confronti di tutte le cose, sia ragionevoli che
irragionevoli, perché chi aprirà la porta alle prime, certa
mente s’imbatterà anche nelle seconde14. La seconda
opera dell’esichia è la preghiera incessante; e la terza, l’at
tività inviolabile del cuore15. E impossibile, secondo natu
ra, che chi non conosce l’alfabeto possa studiare sui libri;
ma è ancora più impossibile che chi non ha raggiunto la
prima opera possa praticare a dovere le altre due.
422
13. Una volta16, mentre ero intento all’opera che sta in
mezzo alle altre due17, mi ritrovai nella condizione pro
pria di coloro che hanno raggiunto questo grado interme
dio18: ero assetato19 ed egli20 m’illuminava, ma poi mi ri 1109 c
trovavo nuovamente in quella stessa condizione. Gli chie
si cosa fosse prima di prendere forma visibile21, ma non
potè insegnarmelo, perché il Sovrano non lo permetteva.
Gli chiesi allora in quale condizione si trovasse attual
mente, e mi rispose di trovarsi nella condizione a lui pro
pria, non in questa. E io: “Cosa significa stare e sedere
alla destra di colui che è il principio di tutte le cose?”. Mi
disse: “E impossibile essere iniziati a questi misteri per
mezzo di parole ! ”. Allora gli chiesi di condurmi là dove
mi attirava il mio ardente desiderio, ma quello mi rispose
che non era ancora giunta l’ora (cf. Gv 2,4), perché mi
mancava ancora il fuoco dell’incorruttibilità. Non so se
queste cose le abbia vissute con il mio corpo di terra o
senza di esso (cf. 2Cor 12,4).
templazione.
19 Sottinteso: “Di conoscere e di vedere Dio”.
20 Cioè Cristo.
21 Ovvero: quale fosse la sua condizione, prima della sua incarnazione.
423
i4- È difficile scuotersi di dosso il sonno di mezzogior
no, soprattutto nelle ore estive: soltanto allora, forse, non
si dovrà disdegnare il lavoro manuale.
1109d 15. Ho scoperto che il demonio dell’acedia prepara e
spiana la via a quello della fornicazione, in modo che,
dopo che l’uno ha violentemente indebolito il corpo e lo
ha sprofondato nel sonno, l’altro possa contaminare gli
esicasti con immagini impure, come se fossero svegli.
Se tenti di resistere con forza a questi demoni, certa
mente ti combatteranno con ancor più violenza, per farti
desistere dalle tue lotte, facendoti credere che non ti ser
vono a nulla; ma nulla dimostra con più evidenza la scon
fitta dei demoni, come la violenza con cui ci fanno guerra.
16. Quando esci, custodisci ciò che hai accumulato:
quando si apre la porta, infatti, gli uccelli in gabbia volano
via. E allora non trarremo più alcun guadagno dall’esichia.
17. Un minuscolo capello dà fastidio all’occhio; così la
1112 minima preoccupazione fa scomparire l’esichia: l’esichia è
a
grio Pontico, Sulla preghiera 70: “La preghiera è l’eliminazione delle rappresen
tazioni mentali”. I noémata sono le rappresentazioni degli oggetti sensibili ela
borate dalla mente (nou$)> che servono da supporto ai “pensieri” (loghismot):
cf. M. Lot-Borodine, Perché Vuomo diventi Dio, Qiqajon, Bose 1999, p. 123,
n. 72; A. Guillaumont, “Introduction”, in Evagre le Pontique, Sur ìes pensées,
Cerf, Paris 1998, pp. 24-27.
23 Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 70-71: “Non potrai pregare in modo
424
20. Sono rari coloro che sono perfettamente istruiti
nella sapienza mondana; ma io dico che sono ancora più
rari coloro che possiedono la sapienza divina della vera
esichia !
Chi non ha ancora conosciuto Dio, non è adatto per
l’esichia e va incontro a molti pericoli. L’esichia soffoca
gli inesperti, perché essi, non avendo gustato la dolcezza
di Dio, consumano il loro tempo a lasciarsi ridurre in pri
gionia e derubare dai demoni, ad abbandonarsi all’acedia
e alle distrazioni.
21. Chi ha toccato con mano la bellezza della preghie 1112 B
ra, fuggirà le folle come un onagro! Chi infatti, se non
questa, lascia libero l’asino selvatico da ogni rapporto
umano (cf. Gb 39,5)24?
22. Chi è ancora circondato dalle passioni e vive nel de
serto, non può che dedicare la sua attenzione alle loro
chiacchiere, come mi anche detto e insegnato un santo an
ziano - voglio dire Giorgio Arsilaita25 -, che anche a te, o
venerabile padre26, non è completamente sconosciuto.
Costui, una volta, mentre istruiva e guidava un’anima
incapace nei primi rudimenti dell’esichia, mi disse: “Ho 1112 C
notato che in genere al mattino vengono i demoni della
vanagloria e della concupiscenza; a mezzogiorno, quelli
dell’acedia, della tristezza e dell’ira; e alla sera, i sordidi27
tiranni del miserabile ventre”.
42 5
23. Meglio un poveretto che vive in obbedienza, di un
esicasta soggetto alle distrazioni!
24. Chi abbraccia l’esichia con giudizio, ma poi non ne
vede ogni giorno i frutti, è perché non la pratica con giu
dizio, oppure perché si lascia derubare dall’orgoglio.
25. L’esichia è un culto ininterrotto reso a Dio e uno
stare sempre alla sua presenza.
26. La memoria di Gesù faccia tutt’uno con il tuo re
spiro, e allora conoscerai l’utilità dell’esichia28.
27. E la volontà propria che fa cadere chi vive in ob
bedienza, ma è l’interruzione della preghiera che fa cade
re l’esicasta.
28. Se ti rallegri quando ricevi visite nella tua cella,
sappi che non stai dedicando il tuo tempo a Dio ma sol
tanto all’acedia!
1112D 29. Modello di preghiera sia per te quella vedova che
aveva ricevuto un torto da parte di un suo avversario (cf.
Le 18,1-8), e modello di esichia, il grande esicasta
Arsenio, uguale agli angeli29. Tu che vivi nella solitudine,
ricordati della condotta di quel grande esicasta e conside
ra come egli spesso abbia mandato via coloro che veniva
no a visitarlo, per non perdere la cosa più importante30!
30. Ho scoperto che i demoni persuadono coloro che
28 Questo passo della Scala diventerà famoso nella successiva tradizione esi
casta, quando la “preghiera di Gesù” sarà legata sempre più strettamente al
ritmo del respiro fisico: cf. Gregorio Sinaita, Uesichia 3; Callisto e Ignazio
Xanthopouloi, Metodo e canone rigoroso 22; 49. Cf. anche supra, “Introduzione”,
PP* 53-58-
29 Arsenio, uno dei grandi padri del deserto egiziano, fu sempre considera
to dalla tradizione monastica il modello di tutti gli esicasti: la voce di Dio che
egli udì nel deserto (cf. Apoftegmi, Arsenio, 2: “Arsenio, fuggi, taci, pratica re
sidua!”) diventò un programma di vita per intere generazioni di eremiti (cf.
Cirillo di Scitopoli, Vita di Eutimio 59). Sul tema cf. I. Hausherr, Solitudine e
vita contemplativa, pp. 40 ss.; Ph. Adnès, s.v. “Hésychasme”, in DS VII, coll.
383-386.
30 Cf. Apoftegmi, Arsenio 7; 8; 13; 28; 34; 37.
426
girovagano senza motivo a visitare sempre più spesso colo
ro che praticano con giudizio l’esichia, per poter ostacola
re almeno un po’ attraverso di loro quei bravi operai. Ma
tu, mio caro, tieni d’occhio questi tali, e, per motivo di
pietà, non esitare a contristare codesti scioperati! Forse, 1 1 x 3 a
infatti, grazie a tale tristezza, smetteranno di girovagare.
Comportandoti così, però, guardati dal contristare senza
motivo un’anima assetata, che viene da te ad attingere
acqua. In tutto hai bisogno del lume del discernimento.
31. La vita degli esicasti, o piuttosto di ogni monaco,
deve essere guidata dalla coscienza e dal senso interiore31.
Chi compie la sua corsa con giudizio e ordina ogni sua at
tività, ogni sua parola, ogni suo pensiero, ogni suo passo,
ogni suo proposito e ogni suo movimento secondo il
Signore, costui agisce con l’intimo senso dell’anima e al
cospetto del Signore; se però si lascia distrarre32, non vive
ancora secondo la virtù.
32. “Esporrò sulla cetra la mia difficoltà (Sai 48,5) e la
mia volontà”, ha detto qualcuno a causa di un discerni
mento ancora insufficiente; ma io manifesterò la mia
volontà attraverso la preghiera, e di là riceverò piena
certezza.
33. La fede è l’ala della preghiera: senza di essa la mia 1x13 b
427
sce. La fede è madre degli esicasti: chi infatti non ha la
fede, come può praticare Tesichia?
35. Chi è stato incatenato e messo in prigione ha paura
di colui che può infliggergli una pena, e chi dimora nella
calma della propria cella, genera in se stesso il timore del
Signore: il primo non teme così tanto il tribunale, quan
to il secondo il giudizio del sommo Giudice.
1 1 1 3 C Nell’esichia, o mio eccellente amico, hai bisogno di
molto timore, perché niente è così efficace per scacciare
l’acedia!
36. Il condannato sta continuamente all’erta per vede
re quando il giudice si presenti alla prigione; il vero ope
raio, per vedere quando venga chi lo solleciti a uscire
dalla vita33. Il primo si porta legato un carico di tristezza,
il secondo una fonte di lacrime.
37. Se impugni il bastone della pazienza, subito i cani34
cesseranno di comportarsi da sfrontati! La pazienza è lo
sforzo tenace dell’anima che non si lascia turbare da alcun
rumore, ragionevole o irragionevole che sia. La pazienza è
un argine posto alla tribolazione, che l’accoglie ogni gior
no. Il paziente è un operaio infallibile che, anche con le
sue cadute, riporta la vittoria. La pazienza è la recisione
di ogni occasione di distrazione e l’attenzione a se stessi.
38. L’operaio della virtù non ha tanto bisogno di cibo,
111 3 d quanto di pazienza. La mancanza del primo gli varrà una
corona, ma la mancanza della seconda lo condurrà alla
perdizione !
39. L’uomo paziente è già morto prima di andare nella
tomba, perché ha fatto della cella la propria tomba. La
pazienza è figlia della speranza e dell’afflizione: chi infat
ti è senza queste due cose, è schiavo dell’acedia.
428
40. Il lottatore di Cristo deve conoscere quali nemici
scacciare da lontano, e a quali permettere di lottare con i u ó a
lui a corpo a corpo35. A volte la lotta procura la corona, e
altre volte il rifiuto della lotta squalifica i lottatori. Non
è possibile insegnare tali cose a parole, perché non abbia
mo tutti le stesse qualità e lo stesso carattere.
41. Tra gli spiriti maligni ce n’è uno che devi tenere
d’occhio con particolare vigilanza, perché da parte sua ti
fa guerra incessantemente: quando stai in piedi, quando
cammini, quando sei seduto, quando ti muovi, quando ti
corichi, quando preghi e quando dormi36.
42. Tra coloro che si sono messi sulla strada dell’esi-
chia, alcuni si esercitano incessantemente sulle parole:
Davanti a me vedevo sempre il Signore (Sai 15,8). Non sono
tutti dello stesso tipo, infatti, i pani del frumento celeste
che ci danno nutrimento spirituale. Altri meditano le pa
role: Con la vostra pazienza guadagnerete le vostre anime (Le
21,19); altri: Vegliate e pregate (Mt 26,41); altri: Prepara le
tue opere in vista della tua partenza (Pr 24,27); altri: Mi iu6b
55 L'autore vuol dire che il monaco deve saper discernere quali tra i pensieri
cattivi è opportuno scacciare subito con la preghiera, e a quali permettere L acces
so al proprio cuore per poterli meglio combattere attraverso un'intima lotta spiri
tuale, e in particolare con il metodo della “contraddizione" (cf. supra, XXVI/1,51).
36 Secondo lo scoliaste (PG 88,i248A) e PExegesis (p. 498) può trattarsi dello
ca, colui che realizza uno di questi esercizi con profonda umiltà; oppure chi
persevera fino alla fine senza mai stancarsi; oppure con ‘uno' intende dire il
‘primo', che si esercita sulle parole: Davanti a me vedevo sempre il Signore, per
ché è alla mia destra, affinché io non vacilli".
429
43- Chi è ormai progredito nell’esichia sta in attività
non solo quando è sveglio, ma anche quando dorme; per
questo alcuni anche durante il sonno insultano i demoni
che si avvicinano a loro e richiamano alla castità le donne
dissolute38.
44. Non attendere visite e non fare preparativi per
esse, perché la condizione di chi pratica l’esichia è asso
lutamente semplice e libera da ogni vincolo!
43. Nessuno, volendo costruire una torre, ovvero una
cella per l’esichia, intraprende l’opera prima di essersi sedu-
1116 c to a calcolare e valutare con la preghiera se ha le capacità di
portarla a compimento, per evitare che, dopo aver gettato le
fondamenta, egli diventi un oggetto di scherno per i suoi
nemici, e un ostacolo per gli altri operai (cf. Le 14,28-29).
46. Stai bene attento che la dolcezza che viene a visi
tare la tua anima non ti sia stata per caso propinata a tra
dimento da qualche medico crudele, o piuttosto da qual
che perfido ingannatore!
47. Di notte, dedica la maggior parte del tempo alla
preghiera, e una piccola parte alla salmodia; di giorno,
poi, regolati secondo le tue forze. La lettura39, poi, è in
grado di illuminare e di raccogliere non poco la mente,
perché quelle sono parole dello Spirito santo e certamen
te mettono ordine40 in coloro che le frequentano!
Tu sei un operaio, abbi letture pratiche41: mettere in
pratica queste, infatti, rende inutili le altre letture !
430
48. Cerca d’illuminare quelle parole salutari42 con le tue
fatiche più che con i libri43! Non accostarti a opere che IIl6 D
431
porta delle nostre labbra. Comunque, è sempre meglio ri
tenere che siano superiori a noi.
54. A chi è ancora principiante, avrei voluto vietare
del tutto il lavoro manuale durante le sinassi, ma me l’ha
impedito colui che per tutta la notte portava la sabbia
con il suo mantello46.
55. Come alla dottrina del dogma della santa, increata
e adorabile Trinità si contrappone la dottrina dell’incarna
zione di una delle persone di questa Trinità degna di ogni
lode - poiché ciò che là è plurale, qui è singolare, e ciò che
là è singolare, qui è plurale47 -, così altre sono le attività
adeguate all’esichia, e altre quelle adeguate all’obbedienza.
1117B 56. Il divino Apostolo dice: Chi mai ha conosciuto il
pensiero del Signore? (Rm 11,35), ma i° dico: chi ha mai
conosciuto la mente di colui che pratica l’esichia nel
corpo e nello spirito?
La potenza del re dipende dalla sua ricchezza e dal
grande numero [dei suoi sudditi]; la potenza dell’esicasta,
dalla ricchezza della sua preghiera!
46 Cf. Vite greche di Pacomio 1,6, dove si racconta che abba Paiamone, per
tener sveglio Pacomio durante le lunghe veglie, gli faceva trasportare della sab
bia da un luogo a un altro. Cf. supra, XVIII,6.
47 L'autore vuol dire che, mentre nel dogma trinitario si parla di tre perso
ne (Padre, Figlio e Spirito santo), ma di una sola natura, di una sola energia e
di una sola volontà (quella divina), nel dogma cristologico si parla di una sola
persona (il Figlio), ma di due nature, di due energie e di due volontà (quella
umana e quella divina).
432
Discorso XXVIII
SULLA SANTA E BEATA PREGHIERA,
MADRE DELLE VIRTÙ,
E SUL MODO DI ATTENDERVI
CON LA MENTE E CON IL CORPO
433
2. Alziamoci e ascoltiamo questa regina delle virtù che
grida a gran voce verso di noi dicendo: Venite a me, voi
1129 c tutti affaticati e oppressi, e io vi darò riposo! Prendete il mio
giogo sopra di voi e imparate da me, e troverete riposo per le
vostre anime, e guarigione per le vostre ferite ! Il mio giogo
infatti è dolce, ed è in grado di guarire grandi cadute (cf.
Mt 11,28-30)!
3. Ogni volta che andiamo a presentarci davanti al no
stro Re e Dio e a conversare con lui, guardiamo di non
metterci in strada se prima non ci siamo preparati, per
ché non succeda che egli, vedendo da lontano che non ab
biamo le armi e il vestito adatto per presentarci a corte,
ordini ai suoi servitori e ministri di legarci, di scacciarci
lontano dalla sua presenza (cf. Mt 22,11-12) e di gettar
ci in faccia le nostre richieste (cf. Sai 34,13), dopo aver
le strappate.
4. Quando vai a presentarti davanti al Signore, la tuni
ca della tua anima sia interamente tessuta con il filo - o
piuttosto con il presupposto4 - dell’assenza di rancori,
1 1 2 9 d perché altrimenti non ricaverai alcun profitto dalla tua
preghiera. L’intero tessuto della tua supplica sia senza or
namenti: il pubblicano e il figlio prodigo infatti si riconci
liarono con Dio con una sola parola (cf. Le 9,13; 15,21)!
5. Tutti quelli che pregano, certo, stanno in presenza
di Dio, ma in questo ci sono molte varietà e differenze.
Alcuni si rivolgono a lui come a un amico e a un padro
ne, offrendo ringraziamenti e suppliche, non per se stes
si, ma per gli altri. Altri si rivolgono a lui per domandar
gli un aumento di ricchezza e di gloria spirituali, e di con
fidenza filiale5; altri, per chiedergli di essere compieta-
mente liberati dal loro avversario; altri, per supplicarlo di
434
concedere loro una qualche grazia; altri, per chiedergli di
essere perfettamente liberati dalla preoccupazione riguar
do al loro debito; altri, per ottenere la liberazione dalla
loro prigione; e altri la remissione dei loro crimini.
6. Sul rotolo della nostra supplica, dobbiamo collocare 1132 A
prima di tutto un sincero rendimento di grazie; poi, al se
condo posto, la confessione dei peccati e un’autentica con
trizione dell’anima; quindi presentiamo la nostra petizio
ne al re dell’universo. Questo è il modo migliore di prega
re, come è stato rivelato da un angelo a uno dei fratelli.
7. Se mai hai dovuto rendere conto delle tue azioni di
fronte a un giudice di questo mondo, non hai bisogno di
altro modello di come stare in preghiera; ma se non sei
mai comparso di persona di fronte a un giudice, né mai
hai assistito al processo di altri, impara almeno dalle sup
pliche che i malati rivolgono ai medici, quando stanno
per subire un’amputazione o una cauterizzazione.
8. Nella tua preghiera, non usare parole sofisticate, per
ché spesso il balbettio semplice e ripetitivo dei bambini è
riuscito a intenerire il Padre loro che è nei cieli (cf. Mt 6,9).
9. Non affannarti a parlare molto quando preghi (cf. 1132 B
Mt 6,7), perché la tua mente non si disperda nella ricer
ca delle parole. Una sola parola da parte del pubblicano
bastò a procurargli la misericordia di Dio (cf. Le 18,13),
e un solo grido di fede salvò il ladrone (cf. Le 23,42-43).
L’uso di molte parole nella preghiera spesso disperde la
mente e la colma di immagini, mentre la ripetizione di
una sola formula spesso la raccoglie6.
10. Quando una parola della tua preghiera ti pervade di
dolcezza o di compunzione, rimani in essa, perché in quel
momento il nostro angelo custode sta pregando con noi.
435
11. Anche se hai raggiunto la purezza, non avere trop
pa confidenza nella tua preghiera; accostati piuttosto ad
essa con grande umiltà, e riceverai ancor più confidenza.
12. Anche se hai salito l’intera scala delle virtù, prega per
la remissione dei tuoi peccati, ascoltando Paolo che afferma
1132 c riguardo ai peccatori: Io sono il primo di loro (iTm 1,15)!
13. L’olio e il sale condiscono le pietanze; la castità e
le lacrime danno ali alla preghiera.
14. Se ti sei interamente rivestito di mitezza e spoglia
to di ogni irascibilità, non faticherai molto a liberare la
tua mente dalla prigionia.
15. Finché non abbiamo raggiunto l’autentica preghie
ra, somigliamo a coloro che esercitano i bambini a com
piere i primi passi'.
16. Lotta per elevare il tuo pensiero, o piuttosto per
concentrarlo nelle parole della tua preghiera; e anche se si
stanca e cade - dal momento che è ancora bambino -, tu
riconducilo di nuovo in esse. L’instabilità, infatti, è pro
pria della mente, ma Dio può rendere stabile ogni cosa!
17. Se sostieni questa lotta incessantemente, verrà ad
abitare anche in te colui che stabilisce i confini al mare
della mente, e durante la tua preghiera gli dirà: Fin qui
giungerai e non oltre (Gb 38,11)!
1 1 3 2 d 18. E impossibile incatenare lo spirito, ma laddove è
presente il creatore dello spirito, tutto gli si sottomette.
19. Se mai hai contemplato il Sole7 8 in modo autentico,
potrai anche conversare con lui come si conviene.
Altrimenti, come puoi rivolgerti a colui che non hai mai
visto senza essere falso ?
20. L’inizio della preghiera consiste nel respingere gli
assalti dei demoni fin dal primo istante con la ripetizione
436
di una sola formula; il grado intermedio, nel mantenere
fisso il pensiero nelle parole pronunciate e pensate; il
grado perfetto, nell’essere rapiti nel Signore.
21. Altra è la gioia che provano nella preghiera coloro
che vivono in comunità, e altra è quella che provano co
loro che pregano nell’esichia. La prima, infatti, può esse 1133 A
re legata, almeno in piccola parte, a delle immagini, men
tre la seconda è interamente colma di umiltà9.
22. Se eserciti la mente a non divagare, resterà accan
to a te anche quando ti metti a tavola; ma se essa vaga li
beramente, non potrà mai rimanere con te.
23. Quel gran cultore della sublime e perfetta pre
ghiera afferma: Preferisco dire cinque parole con la mia
mente {iCor 14,19) e ciò che segue. Ma una tale preghie
ra è estranea alle anime che sono ancora nell’infanzia;
perciò noi, che siamo imperfetti, abbiamo bisogno, in
sieme alla qualità, anche di una certa quantità di parole:
quest’ultima infatti procura la prima. Sta scritto infatti:
Egli accorda una preghiera pura a chi prega (cf. iSam 2,9)
con impegno, anche se la sua preghiera è contaminata e
detta a fatica.
24. Un conto è l’impurità della preghiera, altro conto
la sua estinzione, altro il suo furto, e altro ancora la sua
macchia: “impurità” è quando stiamo alla presenza di II33 B
Dio e ci rappresentiamo immagini sconvenienti; “estin
zione” è quando ci lasciamo catturare da preoccupazioni
inutili; “furto” è quando il pensiero si lascia distrarre
senza accorgersene; “macchia” è qualunque assalto del
demonio che ci sorprenda in quel momento.
9 Cf. Diadoco di Fotica, Capitoli 60: “Altra è la gioia iniziale, altra è quel
la perfetta; la prima non è esente da immaginazione, l’altra possiede la forza
dell’umiltà; tra le due si trova una tristezza benedetta e delle lacrime senza do
lore”; cf. anche ibid. 73. Sul rifiuto dell’immaginazione nella preghiera cf.
infra, § 44, n. 17.
437
25. Se, al momento della preghiera, non siamo da soli,
formiamoci un atteggiamento di supplica nel nostro inti
mo; ma se non ci sono persone che ci possano lodare, as
sumiamo pure un atteggiamento adatto alla preghiera
anche esteriormente. La mente, infatti, in coloro che
sono ancora imperfetti, spesso si conforma al corpo10.
26. Tutti, ma soprattutto coloro che si recano dal re
per ricevere la remissione dei peccati, hanno bisogno di
una profondissima contrizione.
27. Se siamo ancora in prigione, ascoltiamo colui che
dice a Pietro: “Mettiti il grembiule dell’obbedienza e spo
gliati delle tue volontà (cf. At 12,8), e così nudo presen-
1133 c tati al Signore nella preghiera, invocando soltanto la sua
volontà. Allora riceverai Dio, che tiene il timone della
tua anima e ti guida senza pericolo!”.
28. Una volta risorto dalla morte dell’amore del mondo
e dei piaceri, respingi le preoccupazioni, spogliati dei pen
sieri e rinnega il corpo, poiché la preghiera non è nient’al
tro che estraniamento dal mondo visibile e invisibile.
Cosa c’è per me in cielo? Niente. Accanto a te, cosa ho
voluto sulla terra? Niente, se non stare sempre unito a te
nella preghiera senza distrazioni. Alcuni desiderano la
ricchezza, altri la gloria, altri le creature, ma il mio desi
derio è stare unito a Dio, riporre in lui la speranza della mia
impassibilità (cf. Sai 72,25.28)!
29. La fede dà ali alla preghiera: senza di essa infatti
quest’ultima non può volare in cielo11.
1133 d 30. Noi che siamo ancora schiavi delle passioni, implo
438
31. Anche se il Giudice non teme Dio - essendo lui
stesso Dio -, tuttavia, poiché l’anima rimasta vedova di
lui a causa dei suoi peccati e delle sue cadute gli procura
fastidi, egli le farà giustizia contro il suo avversario, il
corpo, e contro gli spiriti suoi nemici (cf. Le 18,4).
32. Il nostro Dio, da buon mercante, attira al suo
amore coloro che gli sono riconoscenti, esaudendo imme
diatamente le loro domande; ma le anime ingrate come
cani, le fa stare in preghiera davanti a sé con la fame e la 1136 A
sete di vedere esaudite le loro domande! Il cane ingrato,
infatti, appena ha ricevuto il pane, subito si allontana da
chi glielo ha dato.
33. Quando hai pregato per lungo tempo, non dire che
non hai ottenuto nulla, perché hai già ottenuto qualcosa:
cosa c’è, infatti, di più buono e di più sublime dello stare
unito al Signore e del perseverare incessantemente in
questa unione con lui (cf. Sai 72,28)?
34. Chi sta per essere condannato non teme così tanto
la sentenza della propria condanna, come chi è sollecito
nella preghiera teme il momento in cui si mette a prega
re12; e così, se ha un po’ di saggezza e di accortezza, con
quel solo pensiero riesce a respingere ogni ricordo di offe
sa, ogni ira, ogni preoccupazione, ogni fastidio, ogni ango
scia, ogni sazietà, ogni pensiero cattivo e ogni tentazione.
35. Preparati con la preghiera continua dell’anima al
momento della supplica, e così farai rapidi progressi. 1136 B
36. Ho visto persone, che brillavano nell’obbedienza e
che per quanto potevano custodivano nella mente il ricor
do di Dio, mettersi a pregare all’improvviso e subito es
sere in grado di concentrare la propria mente e di versare
torrenti di lacrime: si erano infatti già preparate attraver
so la santa obbedienza.
439
37- Alla salmodia cantata insieme a un gran numero di
persone, spesso si accompagnano pensieri che rendono
prigioniera la mente e la distraggono13; non così nella sal
modia solitaria. Quest’ultima però deve combattere con
tro l’acedia14, mentre la prima è sostenuta dallo zelo.
38. La guerra dimostra l’amore che il soldato ha per il re,
1136 c e il tempo passato in preghiera rivela l’amore che il monaco
ha per Dio15. La tua preghiera ti manifesterà il tuo stato inte
riore: i teologi, infatti, la chiamano “specchio del monaco”16.
39. Chi si dedica a una qualsiasi attività e, quando
giunge l’ora della preghiera, continua a occuparsi in essa,
è raggirato dai demoni: quei ladri infatti mirano a rubar
ci un’ora dopo l’altra!
40. Non rifiutarti di pregare per un’anima, quando ti
viene richiesto, anche se non hai il dono della preghiera.
La fede del richiedente, infatti, spesso salva anche chi
prega per lui con cuore contrito. Non ti esaltare se pre
ghi per un altro e vieni esaudito, perché è la fede di quel
la persona che ha operato in modo efficace !
41. Ogni allievo viene interrogato ogni giorno dal pro
prio maestro sulla lezione da lui appresa; così, a ogni mente,
ogni volta che prega, viene giustamente richiesta la forza
che ha ricevuto da Dio. Perciò bisogna fare attenzione!
ghiera senza distrazione, per chi vi persevera, è segno di amore per Dio.
Trascurarla e lasciarsi distrarre da essa è invece prova di amore del piacere”;
Massimo il Confessore, Capitoli sulla carità II, 1: “Chi ama Dio d’un amore sin
cero, prega senza lasciarsi distrarre; chi prega senza lasciarsi distrarre, ama Dio
d’un amore sincero” (cf. Schol. 26, PG 88,1146D).
16 Cf. Apoftegmi Nau 96: “Dicevano gli anziani: ‘La preghiera è specchio
del monaco!’”. In generale, sulla preghiera come mezzo per conoscere Porien-
tamento della propria anima, cf. Pseudo-Macario, Omelie (Coll. Ili) 24,5. Per
“teologi” bisogna intendere qui coloro che conoscono Dio per averne fatto
esperienza nella preghiera (cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 60: “Se sei teo
logo, pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo”).
440
42. Quando riuscirai a pregare con attenzione, sarai 1136 d
441
48. Alcuni dicono che la preghiera è più potente del
ricordo della morte; io lodo le due nature in una sola per
sona19!
49. Un buon cavallo, via via che avanza, si riscalda e
diventa sempre più veloce nella sua corsa. Per corsa qui
1137 b intendo la salmodia, e per cavallo la mente coraggiosa:
essa fiuta la guerra da lontano (Gb 39,25), vi si prepara in
anticipo, e così rimane assolutamente invincibile.
50. E grave strappare l’acqua dalla bocca di un asseta
to, ma ancor più grave che un’anima che sta pregando
con compunzione si separi dalla sua intensa preghiera
prima di averla portata a termine.
51. Non allontanarti dalla preghiera finché non vedi
che il fuoco e l’acqua20, per divina disposizione, sono ces
sati, perché forse in tutta la tua vita non avrai più un’oc
casione simile per ottenere la remissione dei peccati. Chi
ha gustato il sapore della preghiera, spesso riesce a conta
minare la propria mente con una sola parola pronunciata
in modo disattento, e generalmente, poi, quando si mette
a pregare, non trova più ciò che desidera.
52. Una cosa è vigilare con assiduità sul proprio cuore,
altra cosa è essere - per così dire - “vescovi” del proprio
cuore21, usando la mente ora come guida, ora come
sommo sacerdote che offre a Cristo sacrifici spirituali
(cf. Rm 12,i)22.
1137 c Quando il fuoco santo e celeste23 * 25 visita gli uni - come dice
19 Lette "Le due sostanze in una sola ipostasi”. L’autore usa una formula
cf. M. Van Parys, “La liturgie du coeur selon saint Grégoire le Sinaite”, in
Irénikon 51 (1978), pp. 312-337, in particolare p. 332.
25 Cioè lo Spirito santo.
442
uno di quelli che hanno il soprannome di teologi24-, li bru
cia, perché hanno ancora bisogno di purificazione; mentre
gli altri, li illumina, perché hanno ormai raggiunto la perfe
zione. Lo stesso Dio, infatti, è chiamato fuoco che consu
ma (cf. Eb 12,29) e luce che illumina (cf. Gv 1,9)! Alcuni
perciò escono dalla preghiera come da una fornace25, sen
tendosi alleggeriti da qualche loro sozzura e dalla materia;
altri, invece, vi escono come illuminati da una luce e rive
stiti del doppio manto dell’umiltà e della gioia24 25 26. Chi infat
ti esce dalla preghiera senza aver sperimentato questi due
effetti, prega in modo materiale, per non dire alla maniera
dei giudei! Se un corpo si trasforma e muta il proprio modo
di agire quando tocca un altro corpo, com’è possibile che
non si trasformi chi con mani pure tocca il corpo di Dio27 ?
53. Come un re di questa terra, così vediamo il nostro 1137 D
re infinitamente buono elargire doni ai propri soldati: ora
direttamente, ora attraverso un amico, ora attraverso un
servo, o talvolta anche in modo nascosto; ma tutto ciò
nella misura in cui indossiamo la tunica dell’umiltà.
24 Cf. Gregorio di Nazianzo, Orazioni 9,2: “Il sole rivela la debolezza del
l’occhio e la visita di Dio rivela la malattia dell’anima. Per gli uni è una luce,
per gli altri un fuoco, secondo la natura profonda e la qualità di ciascuno”; e
anche ibid. 40,36.
25 Cf. supra, XVIII,7.
26 Le stesse immagini del fuoco e della luce applicate alla preghiera si ritro
443
54- Come un re di questa terra sarebbe alquanto infa
stidito al vedere qualcuno che, stando alla sua presenza,
distoglie da lui il proprio sguardo e parla con i nemici del
1140 a proprio sovrano, così il Signore è disgustato al vedere chi
accoglie i pensieri impuri mentre sta in preghiera.
55. Quando viene il cane, scaccialo con la tua arma28;
e, per quanto continui ad abbaiare, tu non cedere.
56. Chiedi con l’afflizione, cerca con l’obbedienza e
bussa con la pazienza, perché chiunque chiede così riceve, e
chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (Mt 7,8 par.). Nella
tua preghiera, sta’ attento a non intercedere con leggerez
za per una donna, per non essere derubato da destra29.
57. Non voler confessare i tuoi peccati carnali specifi
cando in dettaglio quali sono, per non tenderti una trap
pola da solo30.
58. Il tempo della preghiera non diventi per te un’oc
casione per riflettere su affari importanti e necessari, o
anche su questioni spirituali; altrimenti ti lasceresti ruba
re la cosa più importante !
59. Chi tiene saldamente in pugno il bastone della pre
ghiera, non inciamperà; o se mai gli capita, non cadrà in
1140 b modo definitivo. La preghiera, infatti, è una pia tirannia
esercitata su Dio. La sua utilità ci è dimostrata dagli osta
coli che i demoni ci frappongono durante le sinassi, e il
suo frutto, dalla sconfitta del nemico. Da questo - dice in
fatti il salmista - so che mi hai voluto bene, se il mio nemi
co non godrà di me (Sai 40,12) nel tempo della guerra. Ho
gridato - dice - con tutto il mio cuore (Sai 118,145), cioè
444
con la bocca, con l’anima e con lo spirito, perché laddove
gli ultimi due sono riuniti insieme, Dio è in mezzo a loro
(cf. Mt 18,20).
60. Non siamo tutti uguali, né in ciò che riguarda il
corpo, né in ciò che riguarda lo spirito. Ad alcuni infatti
giova una salmodia rapida, ad altri una più lenta: i primi
affermano di combattere così contro i pensieri che ridu
cono in prigionia la mente, gli altri contro l’ignoranza31.
61. Se preghi incessantemente il re contro i tuoi nemi
ci, quando ti assalgono, fatti coraggio: non dovrai fatica 1140 C
re molto, perché essi si allontaneranno subito da soli;
quei maledetti, infatti, non vogliono vederti ricevere una
corona combattendo contro di loro con la preghiera; e
oltre a questo, fuggiranno perché flagellati dalla tua pre
ghiera, come si fugge davanti al fuoco.
62. Da’ prova di tutto il tuo ardimento, e avrai Dio
stesso come maestro di preghiera!
63. Non è possibile imparare a vedere attraverso le pa
role, perché ciò dipende dalla natura, né è possibile ap
prendere la bellezza della preghiera dall’insegnamento di
un altro, perché essa ha come proprio maestro Dio, che in
segna all’uomo la scienza (Sai 93,10), accorda la preghiera a
chi prega e benedice gli anni dei giusti (iSam 2,9)32. Amen.
445
Discorso XXIX
SULL’IMPASSIBILITÀ,
CHE È IMITATRICE DI DIO
E CIELO TERRESTRE,
PERFEZIONE E RISURREZIONE DELL’ANIMA
PRIMA DELLA COMUNE RISURREZIONE
1. Ecco che anche noi, che siamo immersi nella fossa 1148 b
1Cioè delPimpassibilità.
2Climaco anticipa qui in nuce la nozione di “discesa della mente nel cuore”
che sarà centrale nella spiritualità esicastica del XIV secolo. Cf. Gregorio
Palamas, Triadi 11,2,27.
447
teso verso di lui in modo superiore alle proprie forze3.
1148 c Alcuni definiscono l’impassibilità una risurrezione dell’a
nima che precede quella del corpo. Altri dicono che è una
perfetta conoscenza di Dio, inferiore soltanto a quella
degli angeli.
3. Questa perfetta, eppur sempre imperfetta, perfezio
ne dei perfetti4 5 - come mi ha raccontato una persona che
l’aveva gustata - santifica e distacca la mente dalle cose
materiali, al punto che essa, oramai, dopo aver raggiunto
questo porto celeste, vive la maggior parte della sua vita
carnale come se fosse stata rapita in cielo, elevandosi
nella contemplazione. A questo proposito, dice giusta
mente da qualche parte un uomo che ne aveva fatto espe
rienza: Ipotenti di Dio sono stati molto elevati da terra (Sai
46,10)! E sappiamo che accadeva proprio così anche a
quell’egiziano che, quando pregava insieme a qualcuno,
evitava di tenere le braccia stese per lungo tempo3.
3
Cf. supra, XXVI/2,37. Sulla concezione dell’impassibilità in Climaco si
veda la lunga Osservazione di Rader, in PG 88,1173-1178, in cui l’interprete si
sente in dovere di rispondere alle accuse di “stoicismo” mosse a Climaco da J.
Gerson e cerca di spiegare l’autentico signicato che l’impassibilità rivestiva per
il Sbraita; a differenza di quanto sostiene Rader, però, Dionigi il Certosino non
condivideva l’opinione di Gerson: cf. Dionigi il Certosino, Expositzo librorum
lohannis Clìmacì, pp. 482-486. Cf. anche infra, “Glossario”, s.v. “Impassibilità”.
4 Sul rapporto tra impassibilità e perfezione, cf. Ignazio e Callisto
ceva presto ad abbassare le braccia quando stava in preghiera, la sua mente era
rapita in alto. Perciò se accadeva che dei fratelli pregassero insieme a lui, si af
frettava ad abbassare le braccia, perché la sua mente non venisse rapita e ri
manesse a lungo in tale stato”.
448
4- C’è chi è impassibile, e c’è chi è più impassibile del 1148 D
l’impassibile! Il primo odia con forza il male, ma il secon
do si arricchisce insaziabilmente di virtù. Anche la purez
za è chiamata impassibilità6, e a ragione, perché essa è il
preludio della comune risurrezione e dell’incorruttibilità
dei corpi corruttibili.
5. Diede prova d’impassibilità colui che disse:
“Possiedo il pensiero del Signore!” (cf. iCor 2,16). Diede
prova d’impassibilità quell’egiziano che affermava di non
temere più il Signore7. Diede prova d’impassibilità colui
che pregò perché gli fossero restituite le passioni8. E chi
mai, prima di giungere allo splendore della vita futura, fu
onorato dell’impassibilità come quel siriano? Se infatti
l’illustre profeta David disse al Signore: Permettimi ài ri
prendere fiato! (Sai 38,14), quell’atleta di Dio disse inve II49 A
del mondo, volgi il tuo sguardo su di me e liberami dalla moltitudine delle mie
iniquità. Ho disprezzato tutti i doni che mi hai elargito fin dalla mia giovinez
za; perché, pur essendo ignorante e stupido, tu mi hai reso vaso ripieno di scien
za e di sapienza. Hai moltiplicato la tua grazia verso di me, ed essa ha saziato
la mia fame ed estinto la mia sete, ha illuminato la mia mente tenebrosa e rac
colto i miei pensieri distogliendoli dall’errore. Ora supplico e prego la tua inef
fabile bontà, confessando la mia debolezza: ritira da me i flutti di questa tua
grazia e conservala per me in quel giorno, e non ti adirare con me, o tu che
sei infinitamente buono: ho osato farti questa richiesta sconsiderata perché
non riesco a sostenere i flutti di questa grazia”. L’accostamento con Sai 38,14
è dovuto al fatto che entrambe le citazioni iniziano in greco con la parola ànes
(“lascia”, “permetti”, ma anche “placa”, “calma”). Cf. anche Gregorio di Nissa,
Encomio di sant'Efrem , PG 46,836.
449
6. L’anima possiede l’impassibilità quando per essa le
virtù sono diventate così naturali come i piaceri per chi è
sottomesso alle passioni.
7. Se l’estremo limite dell’ingordigia è di sforzarsi di
mangiare anche senza appetito, l’estremo limite della
temperanza sarà certamente di dominare l’istinto natura
le della fame anche quando è senza colpa.
8. Se l’estremo limite della lussuria è di infiammarsi di
desiderio per le bestie senza ragione e senz’anima, l’e
stremo limite della purezza sarà di avere verso tutti gli
stessi sentimenti che si hanno verso gli esseri inanimati.
9. Se il colmo dell’avarizia è di non cessare mai di accu
mulare e di non saziarsi mai, il colmo della rinuncia al pos
sesso sarà di non risparmiare neppure il proprio corpo10.
10. Se il colmo dell’acedia è di non conservare la pa
zienza neppure nella completa tranquillità, il colmo della
pazienza sarà di credere di godere della tranquillità anche
in mezzo alla tribolazione.
1149 b 11. Se l’abisso dell’ira è di infuriarsi anche quando non
c’è nessuno, l’abisso della mansuetudine sarà di custodi
re la stessa calma sia in presenza di chi ci insulta sia in
sua assenza.
12. Se il culmine della vanagloria è di fingere atti ipo
criti anche quando non c’è nessuno che ci possa lodare,
sarà segno della virtù contraria che la nostra mente non
si lasci catturare neanche in presenza di chi ci loda.
13. Se è segno di perdizione, ovvero di superbia, van
tarsi anche in una condizione miserabile, sarà indizio di
salutare umiltà custodire un pensiero umile anche nelle
imprese e nei successi più grandi.
14. Se è segno di completa sottomissione alle passioni ce
dere subito a tutte le suggestioni dei demoni, ritengo che sia
430
indizio certo della santa impassibilità poter dire: “Quando
il Maligno si allontana da me, io non me ne accorgo (Sai 1149 C
100,4), né so come sia venuto, né perché, né come se ne sia
andato; anzi rimango completamente insensibile a tali cose,
perché sono interamente unito a Dio, e sempre lo sarò!”.
15. Colui che ha meritato una tale condizione pur tro
vandosi ancora nella carne, diventa dimora di Dio, il quale
lo guida in ogni sua parola, azione e pensiero. Perciò, per
illuminazione, percepisce ormai la volontà di Dio come una
voce interiore e, diventato superiore a ogni umano inse
gnamento, dice: “Quando verrò e comparirò davanti al volto
di Dio? (Sai 41,3), giacché non riesco più a sostenere la po 1149 D
tenza del desiderio, ma aspiro a quella bellezza immortale
che tu mi avevi dato prima di questo mio corpo di
fango!”11. Ma perché dilungarci? L’impassibile, non vive
più lui stesso, ma in lui vive Cristo (cf. Gal 2,20), come
disse colui che aveva combattuto la buona battaglia, termi
nato la corsa e conservato la fede (cf. 2Tm 4,7).
16. Il diadema di un re non è formato da una sola
gemma; così l’impassibilità non è perfetta se trascuriamo
una sola virtù, quale che essa sia.
L’impassibilità devi intenderla come il palazzo del re ce
leste che è nei cieli; le “molte dimore” (cf. Gv 14,2) come
le abitazioni che sono all’interno della città; e la remissione 1152 A
dei peccati come il muro di questa Gerusalemme celeste.
17. Corriamo, fratelli, corriamo, per poter entrare nella
camera nuziale del palazzo! Se poi, per grande sventura,
siamo impediti da qualche fardello o predisposizione pas
sionale o dalla mancanza di tempo, cerchiamo almeno di
raggiungere una di quelle dimore che sono intorno alla ca
mera nuziale; e se poi siamo ancora troppo deboli e ci ven-
451
gono meno le forze, sforziamoci almeno in tutti i modi di
entrare all’interno delle mura, perché chi prima della fine
non vi sarà entrato, o meglio non le avrà scavalcate, andrà
ad alloggiare nel deserto dei demoni e delle passioni! Per
questo qualcuno pregava dicendo: Con il mio Dio scaval
cherò il muro (Sai 17,30); e un altro, come in persona di
Dio, dice: Non sono forse i vostri peccati che creano una se
parazione tra voi e me? (Is 59,2).
18. Abbattiamo, miei cari, questo muro di separazione
che sta frammezzo (Ef 2,14) e che abbiamo sventar atamen-
1152b te costruito con la nostra disobbedienza! Riceviamo così
la remissione del nostro debito, perché all’inferno non c’è
chi possa rimetterci i debiti!
19. Dedichiamoci a quest’ozio12, una buona volta, fra
telli, giacché di noi sta scritto che siamo degli “oziosi”13!
Non possiamo più accampare come scuse le cadute, il
tempo o il fardello dei peccati. A quanti, infatti, hanno ac
colto il Signore, per mezzo di un lavacro di rigenerazione
(cf. Tt 3,3), egli ha dato il potere di diventare figli di Dio
(Gv 1,12), dicendo: Fermatevi, e riconoscete che io sono Dio
(Sai 43,11), ovvero l’Impassibilità. A lui la gloria nei seco
li dei secoli! Amen.
1152 c La beata impassibilità solleva la povera mente da terra e
rialza il misero dal letamaio delle passioni, ma la carità,
degna di ogni lode, lo fa sedere tra i principi - cioè gli ange
li - tra i principi del popolo del Signore (cf. Sai 112,7-8)!
raone, troviamo le parole: “Voi state in ozio {scholdseté)ì siete degli oziosi (.sco-
lastat) e dite: innalzeremo preghiere al Signore nostro Dio!”, parole che i padri
interpretano collegandole a Sai 45,11 (vedi infra): per conoscere e contempla
re Dio è necessario essere liberi da ogni preoccupazione mondana; cf. Eusebio
di Cesarea, Commento ai Salmi 45,11; Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, PG
29,429A; Didimo il Cieco, Sui Salmi fr. 483.
45 2
Discorso XXX
SUL VINCOLO FORMATO
DALLA SANTA TRINITÀ DELLE VIRTÙ,
CIOÈ DALLA CARITÀ,
DALLA SPERANZA E DALLA FEDE
1 L’immagine del sole, del raggio e della luce è spesso utilizzata dai padri per
rappresentare Punita delle tre persone della Trinità: cf. Atanasio di Alessandria,
A Serapione 1,19; Giovanni Damasceno, Esposizione della fede 8,293-297.
2 Sull’interpretazione di questo versetto cf. supra, VI, 16.
453
schioso e pericoloso per chi non faccia attenzione! Gli
angeli sanno parlare della carità, ma anch’essi nella misu
ra in cui sono illuminati da Dio. La carità è Dio stesso
(cf. iGv 4,8.16), e chi pretendesse di definirlo sarebbe
come un cieco che volesse contare i granelli di sabbia
degli abissi marini!
1x56 b 3. La carità nella sua essenza è somiglianza con Dio -
3 Per la stessa distinzione tra “essenza” ed “effetti” cf. $upray XXV, 1-2.
4 L’autore sembra qui rinunciare a stabilire un preciso rapporto “genealogi
co” tra la carità e l’impassibilità, al contrario di Evagrio che ritiene la carità
“figlia dell’impassibilità” (Trattatopratico 81; ma cf. Id., A TLulogìo 23: “La ca
rità è il vincolo dell’impassibilità”). In altri passi, però, Climaco sembra piut
tosto condividere l’opinione dello Pseudo-Macario (cf. Omelie [Coll. II], 45,7:
“La carità, essendo salda e incrollabile, rende impassibili e irremovibili quanti
la desiderano”) e di Diadoco di Fotica (Capitoli 89: “Nessun’altra virtù, se non
la carità, è in grado di procurare all'anima l’impassibilità”), secondo cui è la ca
rità stessa a rendere impassibili (cf. supra, VI,16; XXVI/3,55). Della stessa opi
nione è anche Massimo il Confessore, Capitoli sulla carità III,30.
5 Per l’amore di Dio come “amore passionale” (èros), cf. supra, V,6, n. 12 e
454
Beato chi teme il Signore quanto i condannati temono
il loro giudice!
Beato chi è animato da un così grande fervore in ciò
che veramente conta, quanto il servo fedele nei confron
ti del proprio padrone !
Beato chi è diventato così pieno di zelo6 nelle virtù
quanto i mariti gelosi nel vegliare sulle proprie mogli!
Beato chi sta in preghiera davanti al Signore come i
servitori davanti al re!
Beato chi si sforza continuamente di onorare il Signore
come si onorano gli uomini!
Una madre che allatta il proprio bambino non lo tiene
così stretto a sé quanto il figlio della carità si tiene stret
to al Signore in ogni momento!
6. Chi è veramente innamorato si rappresenta conti
nuamente il volto della persona amata e l’abbraccia den- 1 1 5 6 d
tro di sé con grande gioia: egli non può acquietare il pro
prio desiderio neanche durante il sonno, ma anche allora
si intrattiene con la persona amata. Quel che avviene nel
l’amore dei corpi, avviene anche in quello spirituale!
7. Un tale, che era stato ferito da un simile amore, di
ceva di sé - e sono parole mirabili Io dormo per neces
sità di natura, ma il mio cuore veglia per sovrabbondanza
di amore (cf. Ct 5,2)!
8. Devi notare, mio eccellente amico, che allorché l’a
nima, come una cerva, ha ucciso i serpenti velenosi7, si
consuma di desiderio e si strugge (Sai 83,2) per il Signore,
colpita dal fuoco della carità come da un veleno.
9. Gli effetti della fame sono in qualche modo nasco- 1157 a
sti e non si notano, mentre quelli della sete sono così in-
455
tensi ed evidenti, che rivelano a tutti l’ardore del deside
rio. Appunto per questo colui che desidera Dio dice: La
mìa anima ha sete del Dio potente e vivente (Sai 41,3).
10. Se il volto della persona amata è in grado di pro
durre un cambiamento evidente in tutto il nostro essere
e di renderci radiosi e pieni di gioia allontanando la tri
stezza, che cosa non farà il volto del Signore, quando
verrà a visitare invisibilmente un’anima pura?
11. Il timore, quando penetra nell’intimo senso dell’a
nima, è capace di dissolvere e di consumare le impurità
della carne. Dice infatti il salmista: Trafiggi con il timore la
mia carne (Sai 118,120). La santa carità, invece, talvolta
può divorare alcuni, secondo la parola di colui che dice:
Mi hai rapito il cuore, mi hai rapito il cuore! (Ct 5,9); altre
volte può riempire di gioia e di luce, come dice: Il mio
1157 b cuore ha sperato in lui ed è stato aiutato, e la mia carne è ri
fiorita (Sai 27,7); e ancora: Quando il cuore si rallegra, il
volto fiorisce (Pr 15,13).
Quando dunque l’intero essere dell’uomo si è, per così
dire, mescolato all’amore di Dio8, allora lo splendore della
sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore del
corpo, come in uno specchio: questa è la gloria di cui fu
coronato il grande Mosè, che vide Dio (cf. Es 34,29)!
Coloro che hanno raggiunto una tale condizione, che li
rende pari agli angeli, spesso si dimenticano del nutri
mento del proprio corpo, e credo che molte volte non ne
provino neanche appetito. Non c’è da farne meraviglia,
se è vero che spesso un forte desiderio contrario riesce a
scacciare il desiderio del cibo.
Credo che il corpo di questi uomini incorruttibili
ormai non possa neanche più ammalarsi facilmente, per-
456
ché è diventato come incorruttibile, essendo stato purifi
cato dalla fiamma della castità, che ha spento l’altra fiam
ma. Credo che ormai neanche il cibo che mangiano pro
curi loro il minimo piacere, perché come l’acqua sotterra
nea nutre le radici delle piante, così il fuoco celeste nutre 1157 C
le loro anime9.
12. La crescita del timore è l’inizio della carità, e la pu
rezza perfetta è il fondamento della teologia10. Colui che
ha perfettamente unito a Dio i propri sensi, è da lui ini
ziato al mistero delle sue parole; ma finché i sensi non si
sono uniti a lui, è difficile e rischioso parlare di Dio.
13. La Parola che dimora nell’anima la rende perfetta
mente pura (cf. Gv 15,3) e con la sua presenza mette a
morte la morte11; e morta questa, il discepolo che vuole
apprendere la teologia riceve l’illuminazione. La parola
del Signore, che procede da Dio Padre, è pura e rimane
per sempre (cf. Sai 11,7; 18,10). Ma chi non ha conosciu
to Dio parla per congettura.
9 La trasfigurazione del corpo dei santi già nella loro vita terrena è al cen
tro della concezione antropologica del nostro autore, fedele anche in questo al
lenterà tradizione patristica; come ha ben sottolineato Chryssavgis: “La teolo
gia ascetica di Giovanni Climaco fa un tutt’uno con la sua teologia dogmatica.
Seguendo la tradizione patristica, egli lega strettamente fede e comportamen
to morale. Egli sa molto bene che la corruttibilità è un risultato della caduta
dell’uomo e, per quanto tecnico possa sembrare, questo punto dogmatico è vi
tale per la spiritualità. Significa che nella misura in cui l’uomo supera il pecca
to, raggiungendo la deificazione attraverso la grazia, corruttibilità e malattia
possono diminuire ... L’esempio classico nella letteratura patristica è la Vita di
Antonio in cui Atanasio dice che il corpo di Antonio non era deteriorato dopo
ventanni di austera ascesi e che la sua salute fu in buone condizioni fino alla
fine della sua vita. L’effetto della grazia di Dio risplendeva letteralmente sul
volto di Antonio: ‘Poiché la sua anima era tranquilla e senza turbamento, lo
erano anche i suoi sensi esteriori: anche il suo volto era radioso come per la
gioia dell’anima (Vita di Antonio 67)” (J. Chryssavgis, Ascent to Heaven.
The Theology of thè Human Person according to Saint John of thè Laddert Holy
Cross Orthodox Press, Brookline 1989, p. 49). Cf. anche Vite greche ài
Pacomio 11,88.
10 Cioè della conoscenza di Dio, non intellettuale ma esperienziale.
11 Cioè le passioni mortifere.
457
i4- La purezza può fare di un discepolo un teologo in
grado di afferrare da solo i dogmi della Trinità12.
15. Chi ama il Signore, ha amato prima il proprio fra
tello: il secondo amore infatti è la prova del primo (cf.
1x57 d iGv 4,19-21). Chi ama il suo prossimo, non potrà mai
sopportare coloro che parlano male di lui, anzi li fuggirà
come il fuoco. Chi dice di amare il Signore e si adira con
il proprio fratello, è simile a chi sogna di correre!
16. La forza della carità è la speranza: grazie a essa in
fatti attendiamo la ricompensa della carità. La speranza è
una ricchezza di beni non ancora visibili. La speranza è una
certezza indubitabile di un tesoro non ancora posseduto. È
sollievo dalle fatiche, porta della carità, arma contro la di-
1160 a sperazione, immagine di ciò che non è ancora presente. La
458
pascolare le tue pecore e dove riposi a mezzogiorno (cf.
Ct 1,7). Illuminaci, dissetaci, guidaci, prendici per mano,
perché ormai vogliamo salire fino a te: tu infatti domini
su tutto ! Ora hai ferito la mia anima, e non riesco a con
tenere la tua fiamma; perciò continuerò a cantare le tue
lodi: Tu domìni la violenza del mare, calmi Vagitazione dei
suoi flutti e la fai morire. Tu umili il superbo come un fe
rito; con il tuo braccio potente hai disperso i tuoi nemici (Sai 1160 c
88,10-11)13 e liberi dalla guerra i tuoi amanti. Desidero
ardentemente sapere che aspetto avevi quando Giacobbe
ti vide sopra la scala (cf. Gen 28,12); spiegami, ti prego,
come si può compiere una tale ascensione! Quali sono i
gradini che formano insieme questa scala e che il tuo
amante ha disposto come altrettante ascensioni nel proprio
cuore (cf. Sai 83,6) ? Ho anche sete di conoscere quale sia
il loro numero e il tempo necessario per compiere la sali
ta! Colui che ti vide e lottò con te14 ci ha riferito quali
guide ci avrebbero preso per mano15, ma non ha voluto,
o meglio non ha potuto, illuminarci su nient’altro”.
E lei - anche se credo che farei meglio a dire: lui16 -,
quella regina, apparendomi come se scendesse dal cielo
mi disse parlandomi agli orecchi deH’anima: “Finché non iióod
ti sarai liberato, o mio amante, dalla materia, non potrai
scoprire qual è la mia bellezza; ma questa scala ti insegni
la disposizione spirituale delle virtù. Io sto sulla cima di
questa scala, come disse quel mio grande iniziato: Ora ri
mangono dunque queste tre cose: fede speranza e carità, ma
di tutte più grande è la carità (iCor 13,13)!”.
31. Si noti che l’autore - come fa notare lui stesso un poco più oltre - ha co
minciato a rivolgersi direttamente a Dio, che è la stessa carità.
15 Gli angeli: cf. Gen 28,12.
16 Perché la carità è Dio stesso.
459
BREVE ESORTAZIONE CHE RIASSUME
IN MODO ALTRETTANTO EFFICACE
QUANTO È STATO DETTO PER ESTESO
dice: Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del no
stro Dio (Is 2,3), che ha reso i nostri piedi come quelli di una
cerva e ci ha innalzato sulle alture (Sai 17,34), perché potes
simo ottenere la vittoria elevando a lui un canto (Ab 3,19)!
Correte, vi prego, insieme a colui che dice: Affrettia
moci finché non siamo arrivati tutti all’unità della fede e
della conoscenza di Dio, allo stato di uomo perfetto, all’età
della piena maturità di Cristo (Ef 4,13), il quale, riceven
do il battesimo nel trentesimo anno della sua vita umana,
raggiunse il trentesimo gradino della scala spirituale, poi
ché la carità è Dio stesso (cf. iGv 4,8.16)! A lui la lode,
la potenza e la forza, a lui che è, era e sarà l’unica causa
di tutti i beni, per i secoli senza fine! Amen.
461
DISCORSO AL PASTORE
463
stri insegnare a partire da libri scritti da altri, come per
dei pittori dipingere copiando tavole antiche!
6. Tu che ammaestri persone che vivono quaggiù sulla
terra, insegna loro ciò che tu stesso ricevi dall’alto, e in
modo materiale istruiscili su ciò che è spirituale! Non ti
dimenticare di colui che ha detto: “Non ho ricevuto né ap
preso il mio insegnamento dagli uomini né per mezzo di
ix68a un uomo!” (cf. Gal 1,12); infatti non è mai stato possi
bile guarire chi giace a terra con rimedi terrestri.
7. Un abile pilota porrà in salvo la nave, un buon pa
store riporterà in vita e guarirà le pecore malate. Nella
misura in cui le pecore avranno seguito fedelmente il loro
pastore e fatto progressi, egli potrà rendere conto di loro
davanti al padrone di casa. Il pastore scagli le pietre delle
sue parole sulle pecore rimaste indietro per pigrizia o in
gordigia: anche questo infatti è segno di un buon pastore.
8. Quando le pecore per l’ardore della calura - o piut
tosto del corpo - cominceranno a sonnecchiare nell’ani
ma, il pastore, guardando verso il cielo, vegli più intensa
mente per loro, perché in quei momenti molte rischiano
di cadere in preda ai lupi. Ma se esse, come vediamo fare
abitualmente alle pecore materiali al momento dell’ardo-
1168 b re della calura, piegano verso terra la testa della loro
anima, abbiamo allora la parola che dice: Un cuore contri
to e umiliato, Dio non lo disprezzerà (Sai 50,19).
9. Allorché le tenebre e la notte delle passioni scendono
sul gregge, metti il tuo cane immobile davanti a Dio, a ve
gliare nella notte; e non c’è niente di strano nel considera
re la mente come un cane, perché essa scaccia le fiere4.
1168 d io. Anche questo è un tratto tipico della nostra natu
ra quale il nostro Signore buono l’ha creata: che il mala- 4
464
to si rallegri al solo vedere il medico, anche se forse non
può ricevere da lui alcun beneficio.
11. Anche tu, mio eccellente amico, procurati impia
stri, pozioni, polveri, colliri, spugne, lancette da salasso,
cauteri, unguenti, sonniferi, bisturi, bende, e la cosiddet
ta “immunità alla nausea”. Ma se siamo privi di queste 1169a
cose, come faremo a dimostrare la nostra competenza? E
impossibile! Del resto si riceve un compenso non per
delle parole ma per delle opere.
12. L’“impiastro” è il rimedio per le passioni visibili,
cioè del corpo. La “pozione” è il rimedio per le passioni
interiori, che permette di spurgare tutte le impurità nasco
ste. La “polvere” è l’umiliazione che brucia e purifica la
putredine dell’orgoglio. Il “collirio” è il rimedio che puri
fica l’occhio dell’anima5 quando è intorbidato dalle turbo
lenze dall’ira; il collirio è anche il rimprovero tagliente,
che dopo un po’ di tempo procura la guarigione. Il “salas
so” è la rapida evacuazione di un fetore nascosto, ma pre
cisamente il salasso è un’incisione energica e decisa per la
salvezza dei malati. La “spugna” è la cura refrigerante che
il medico applica al malato dopo il salasso o dopo l’opera
zione chirurgica, per mezzo di parole gradevoli, dolci e te
nere. Il “cauterio” è l’ordine o la punizione dati con mi- 1169 b
465
za fino alla morte, a coloro che sono rilassati e infiacchi
ti per la vanagloria. E infine, il “bisturi” è la decisione
estrema di operare un’amputazione su un corpo spiritual-
mente morto, o su un membro incancrenito, perché l’im
purità non si estenda anche agli altri membri.
13. Cosa beata e degna di lode è 1 ’“immunità alla nau
sea” per i medici, e l’impassibilità per i superiori! Gli
1169 c uni, infatti, non provando alcuna nausea, potranno cura
re senza indugio qualunque piaga maleodorante; gli altri
potranno risuscitare qualunque anima morta.
14. Nelle sue preghiere il superiore chieda, tra le altre
cose, di riuscire a provare affetto e di essere ben dispo
sto verso tutti in misura del merito di ciascuno, per non
rischiare di nuocere - come Giacobbe - sia al suo predi
letto sia a tutti gli altri fratelli (cf. Gen 37,1-36). Questo
succede quando i superiori non hanno ancora i sensi del
l’anima perfettamente esercitati al discernimento del
bene e del male, e di ciò che sta nel mezzo.
1172 d 15. E una grande vergogna per un superiore pregare
Dio che conceda al suo discepolo qualcosa che lui stesso
non possiede ! Coloro che sono stati ammessi alla presen
za di un re e ne hanno guadagnato l’amicizia, possono ri-
conciliare con il re anche tutti i suoi servitori, e forse
anche gli sconosciuti o i nemici - se questi lo vogliono -,
permettendo loro di prendere parte alla sua gloria: lo
stesso discorso vale per i santi.
16. Gli amici mostrano rispetto e obbediscono ai loro
amici più stretti e autentici, e talvolta si lasciano anche
far violenza da loro. E bello avere come amici gli “amici
spirituali”7, perché nessun altro meglio di loro può aiutar
ci ad acquistare la virtù!
466
17. Un amico di Dio mi ha raccontato, che se è vero
che Dio ricompensa sempre con i suoi doni coloro che lo
servono, lo fa però soprattutto in occasione delle feste
annuali e delle solennità del Signore.
18. Il medico8 deve essersi perfettamente spogliato 1173 A
delle passioni per poterne all’evenienza fingere qualcuna,
e soprattutto nel caso della collera. Se infatti non le aves
se veramente respinte, non potrebbe rivestirsene di
nuovo in modo impassibile.
19. Ho visto un cavallo ancora male addestrato che,
finché era tenuto alle briglie, camminava tranquillamente,
ma appena le briglie gli venivano un po’ allentate, subito
cercava di disarcionare il padrone. Ci sono due demoni
che generalmente si comportano allo stesso modo: chi
vuole indagare la questione, lo faccia con tutto il proprio
impegno9 !
Il medico riconoscerà di aver ricevuto da Dio la sapien 1177 A
za, solo quando potrà curare le malattie incurabili.
20. Non è degno di particolare ammirazione il maestro
che rende sapienti gli allievi intelligenti, ma piuttosto
quello che rende sapienti e perfettamente educati gli stu
pidi e gli insipienti. Così, l’abilità degli aurighi dà prova
di sé e merita veramente l’applauso, quando essi ottengo
no la vittoria con cavalli di cattiva qualità, conducendoli
al traguardo sani e salvi.
21. Se hai ricevuto degli occhi capaci di prevedere i
marosi, preannunciali in modo chiaro a quanti si trovano
sulla nave; altrimenti sarai tu il responsabile del naufra
gio, perché tutti ti hanno affidato il governo della nave,
senza alcuna preoccupazione!
8 Cioè il superiore.
9 Secondo Schol. 1, PG 88,1173A, si tratterebbe dei demoni della vanaglo
ria e deiringordigia o della fornicazione.
467
22. Ho visto medici non rivelare ai pazienti le cause
delle loro malattie, procurando in questo modo molte
pene e dolori sia ai malati che a se stessi.
1177 b 23. Quanto più il superiore si accorge che non solo i
peccati dei tuoi discepoli, e così mettendoti al loro livello troverai il coraggio
di correggerli.
11 Sottinteso: “Con le tue cure, cioè con i tuoi rimproveri”.
468
re ai propri doveri di maestri nei confronti dei propri di
scepoli, ma devono semmai provare a dar loro le necessa
rie istruzioni per iscritto.
29. Ascoltiamo quel che dice la divina Scrittura in alcuni
passi: Taglia il fico! Perché mai dovrebbe sfruttare inutilmente
il terreno? (Le 13,7); e poi: Togliete il malvagio di mezzo a
voi! (iCor 5,13); e ancora: Non pregare per questo popolo!
(Ger 7,16), e lo stesso si dice per Saul12. Bisogna che il pa 1180 B
store sappia a quali persone, in che modo e quando applica
re tutte queste parole: nulla infatti è più veritiero di Dio!
30. Chi non si vergogna quando è rimproverato in pri
vato, farà anche del rimprovero pubblico un’occasione
per dar prova di impudenza, perché ha ormai disdegnato
volontariamente la propria salvezza!
31. Voglio notare anche un altro fatto che ho visto ac 1181 C
cadere ad alcuni malati pieni di buona volontà: coscienti
della propria pusillanimità e della propria debolezza, sup
plicarono i medici di legarli, anche loro malgrado, e di cu
rarli a forza, ma con il loro consenso. Lo spirito è pronto,
infatti, a causa della speranza futura, ma la carne è debole,
a causa delle predisposizioni passionali contratte nel pas
sato (cf. Mt 26,41). Avendo visto questo, io stesso suppli
cai i medici di dar loro ascolto.
32. La guida non deve dire a chiunque si avvicina che
la via è stretta e angusta (cf. Mt 7,14), né a tutti che il
giogo è dolce e il carico leggero (cf. Mt 11,30); deve piut
tosto valutare ogni singolo caso e quindi applicare le me
dicine adatte: per chi è oppresso dal peso di gravi pecca
ti e può cadere facilmente nella disperazione, va bene la
seconda medicina; per chi invece è incline alla superbia e 1181 D
all’orgoglio, va bene la prima.
12 Cf. iSam 16,1: “Il Signore disse a Samuele: Fino a quando piangerai su
Saul mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele?”.
469
33- Alcuni, prima di partire per un lungo viaggio, chie
sero informazioni a delle persone che conoscevano la via,
e si sentirono rispondere che era dritta e senza pericoli.
A causa di queste parole si misero in viaggio senza gran-
1184 a de impegno, ma a metà del cammino si trovarono nel pe
ricolo, o addirittura tornarono indietro, trovandosi im
preparati ad affrontare le prove. Ma pensa anche al caso
opposto !
34. Quando l’amore divino tocca il cuore, le parole
non hanno la forza di suscitare il timore (cf. iGv 4,18)13;
quando appare il timore della geenna, si sopporta ogni ge
nere di fatica; quando infine s’intravede la speranza del
Regno, si arriva a disprezzare tutto ciò che appartiene a
questo mondo.
35. Il bravo generale deve conoscere molto bene la po
sizione e l’ordine di battaglia adatti a ciascuno dei suoi
subalterni: infatti, in mezzo a tante persone, possono es
serci alcuni che sono in grado di combattere da soli nelle
prime file, e che per questo egli deve collocare nell’esi-
chia perché possano aiutarlo a difendere gli altri soldati14.
36. Il pilota non può da solo recare in salvo la nave
senza la collaborazione dei marinai, né il medico può cu-
1184 rare il malato, se costui prima non lo supplica e non lo in
b
470
per andare a dormire, perché non c’è niente che il lupo
tema così tanto come il suono del flauto del pastore!
38. Il superiore non deve né sempre umiliarsi, in modo 1184 c
irragionevole, né sempre esaltarsi, in modo sciocco, ma
deve guardare a Paolo che seguiva sia l’una che l’altra via
(cf. 2Cor 10,10; 12,10).
39. Il Signore spesso copre gli occhi dei subalterni su
alcuni difetti del loro superiore, ma se egli stesso li rive
la loro, genera in essi la sfiducia.
40. Ho visto un superiore che, per estrema umiltà, su
alcune questioni chiedeva consiglio ai propri figli; e ne ho
visto un altro che, mosso dall’orgoglio, si fingeva igno
rante per poter meglio sfoggiare davanti a loro la propria
stupida sapienza.
41. In alcuni casi, anche se di rado, ho visto uomini
dominati dalle passioni dirigere uomini impassibili, e a
poco a poco, vergognandosi di fronte ai discepoli, rompe
re con le proprie passioni. Questa fu la ricompensa -
credo - di quelli che si erano salvati grazie a loro; e ciò
che essi avevano intrapreso dominati dalle passioni, di
ventò per loro causa di impassibilità! 1184d
42. Bisogna stare attenti a non disperdere in mare
aperto ciò che si è accumulato in porto: sanno bene di
cosa parlo coloro che non sono ancora preparati ad af
frontare i tumulti esterni!
\
47i
1185 b 44. Ciò che avviene nei tribunali mondani, mio eccel
lente amico, ti ricordi ciò che avviene nei nostri! A volte
davanti al nostro terribile e autentico tribunale si presen
ta un colpevole, altre volte un innocente con un grande
desiderio di lavorare e di servire Dio15: sono modi di av
vicinarsi del tutto opposti, e ognuno richiede un tratta
mento diverso e particolare.
45. Prima di tutto bisogna interrogare il colpevole -
naturalmente in privato -, su quale genere di peccati
abbia commesso, e questo per due motivi: da una parte
perché, pungolato continuamente dal ricordo di questa
confessione, non diventi mai sfrontato, e dall’altra per
ché, sapendo di quali ferite ci siamo presi carico, sia spin
to ad amarci.
46. Neanche questo ti sfugga, venerato padre - e cer
tamente non ti sfugge, non sia mai! -: voglio dire che nel
giudicare i colpevoli bisogna tener conto anche del luogo
1185 c in cui hanno vissuto, dell’educazione che hanno ricevuto,
e delle abitudini che hanno contratto, perché queste cose
sono causa di molte varietà e differenze. Spesso la perso
na più debole risulta essere anche più umile di cuore, e
per questo deve essere punita con minor rigore dai giudi
ci spirituali. Il contrario è evidente.
47. Non è giusto che un leone conduca al pascolo le pe
core; e non è sicuro che colui che è ancora sottomesso alle
passioni comandi su persone ugualmente sottomesse alle
passioni.
1 x 8 8 a 48. E uno spettacolo penoso vedere una volpe in un
15L’autore si riferisce a coloro che si presentano per essere ammessi alla vita
monastica.
472
49- Sta’ attento a non diventare un inquisitore severo
delle più piccole mancanze, perché così non saresti più un
imitatore di Dio!
50. Abbi tu stesso Dio per economo e igumeno di tutta
la tua vita interiore ed esteriore, considerandolo come un
eccellente pilota; e così, recidendo grazie a lui la tua vo
lontà propria, anche tu diventerai Ubero da ogni preoccu
pazione, lasciandoti guidare soltanto daUe sue indicazioni.
51. Devi chiederti - come del resto dobbiamo fare
tutti - se la grazia di Dio non abbia disposto di operare
attraverso di noi molti prodigi, non in virtù della nostra
purezza, ma deUa fede di coloro che si accostano a noi:
proprio in questo modo, infatti, hanno operato miracoli
anche molti che erano ancora sottomessi alle passioni.
52. Se è vero che sta scritto: Molti mi diranno in quel
giorno : Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo h 88 b
nome (Mt 7,22), e ciò che segue, allora quel che ho appe
na detto non è incredibile.
53. Chi ha veramente ottenuto il favore di Dio è in
grado di fare del bene a coloro che soffrono senza farse
ne accorgere e in modo nascosto, e ottiene così due gran
di risultati: preserva se stesso dalla gloria umana, come da
una ruggine, e fa sì che quanti hanno ottenuto misericor
dia rendano grazie a Dio solo.
54. A coloro che corrono con giovanile ardore, offri 1189 a
con generosità e coraggio i cibi migUori e più raffinati16;
a coloro che invece, con i loro comportamenti o la loro
disposizione interiore, rimangono indietro, offri del latte,
perché sono dei bambini e hanno ancora bisogno di con
forto (cf. iCor 3,1-2).
55. Spesso lo stesso cibo può infondere in alcuni il fer
vore e in altri lo sconforto; perciò, prima di gettare il
473
seme, bisogna fare attenzione alle circostanze: al momen
to, alla persona, alla qualità e alla quantità necessarie.
56. Alcuni, senza tenere nel minimo conto quanto sia
impegnativo assumersi una responsabilità spirituale17, si
sono improvvisati pastori di anime senza alcun discerni
mento; e anche se prima avevano molte ricchezze, alla
fine se ne sono andati a mani vuote, dopo averle distribui
te tutte a coloro che avevano preso in carico.
57. Come ci sono figli pienamente legittimi, altri nati
da seconde nozze, altri da schiave, e altri trovatelli,
1189 b ugualmente possiamo distinguere molti livelli di respon
sabilità spirituale. C’è dunque un’assunzione di responsa
bilità spirituale nel pieno senso del termine, che significa
offrire totalmente la propria anima per l’anima del pros
simo (cf. Gv 10,11); ma è anche possibile prendersi cari
co solo dei peccati passati, o solo di quelli futuri, o assu
mersi la responsabilità soltanto dei propri ordini, e ciò
per difetto di forza spirituale e per mancanza di impassi
bilità. Anche nel primo caso, però, quando la responsabi
lità che ci assumiamo è totale, il peso che portiamo dipen
de dal grado di recisione della volontà propria18.
58. Il figlio legittimo si riconosce quando il padre è as
sente: lo stesso vale anche per coloro che vivono nella
sottomissione.
tuale come anddocbos (“colui che è responsabile”, “che si prende carico di qual
cuno”), cf. supra, XXIII,14; XXIV,i4. Sul tema cf. J. Chryssavgis, Soni men-
ding. The A h of Spiritual Direction , Holy Cross Orthodox Press, Brookline
2000, e supra, “Introduzione”, pp. 42-43.
18 Sottinteso: “che il discepolo è disposto a operare su di sé”. Affinché l'as
474
Il superiore osservi e prenda accuratamente nota di co
loro che lo contraddicono o gli fanno resistenza e li puni
sca con pene severissime in presenza di qualche persona
importante, incutendo così timore anche agli altri, senza
curarsi se essi sono profondamente feriti da tali umilia
zioni: la correzione di molti, infatti, vale più del danno 1189 c
di una sola persona!
59. Ci sono alcuni che, mossi da autentica carità, si
fanno carico dei pesi degli altri al di là delle loro forze, ri
cordando colui che ha detto: Nessuno ha un amore più gran
de di questo (Gv 15,13), e ciò che segue; e ci sono altri che,
pur avendo forse ricevuto da Dio la forza di farsi carico
degli altri, non si sobbarcano volentieri di questo peso per
la salvezza dei fratelli. Questi ultimi sono per me da com
piangere, perché non possiedono la carità. Quanto ai primi,
ho trovato scritto da qualche parte: Chi estrae ciò che è pre
zioso da ciò che è vile, sarà come la mia bocca (Ger I5,i9)19,
e ancora: Come hai fatto tu, così sia fatto a te (Abd 1,15).
60. Ti prego di considerare anche questo: spesso il pec
cato commesso dal superiore nel pensiero è giudicato più
grave del peccato commesso dal discepolo nell’azione, se 1189 d
475
62. Abitua coloro che ti sono sottomessi a essere total
mente schietti gli uni verso gli altri, ma molto prudenti
nei confronti dei demoni.
1192 a 63. Non ti sfugga l’intenzione che hanno le tue pecore
nelle loro relazioni reciproche, perché l’intento dei lupi20
è di infiacchire i ferventi per mezzo dei pigri.
64. Non esitare a intercedere nella preghiera, se ti è ri
chiesto, anche per persone totalmente negligenti21, chie
dendo non che ottengano misericordia - perché questo è
impossibile finché essi non collaborano22 -, ma piuttosto
che Dio risvegli in loro lo zelo.
65. I deboli non mangino insieme agli eretici, come
prescrivono i canoni23 ! Quanto a coloro che sono forti nel
Signore, se gli infedeli li invitano in buona fede ed essi
vogliono andare, vadano pure, a gloria del Signore.
66. Non addurre l’ignoranza come un pretesto per i
tuoi peccati, perché colui che senza saperlo avrà fatto cose
meritevoli di percosse, sarà comunque percosso per non aver
cercato d’imparare (cf. Le 12,48)!
1192 d 67. E una vergogna per un pastore temere la morte, se
è vero che l’obbedienza si definisce proprio come sereni
tà nei confronti della morte24.
1193 a 68. Cerca, o beato, qual è quella virtù senza la quale
nessuno vedrà il Signore (cf. Eb I2,i4)25 e poi fa’ in modo
che i tuoi figli l’acquistino prima di ogni altra, liberando
li completamente dalla vista di qualsiasi volto imberbe e
femmineo.
20 Cioè i demoni.
21 Cf. supra, XXVIII,40.
22 Sulla nozione di “cooperazione” (,synérgheia ), cf. infra , “Glossario”.
23 Cf. Basilio di Cesarea, Canone 96 sugli eretici; Id., Regole brevi 124. Cf.
25 La virtù alla quale Fautore allude è la purezza: secondo i padri, solo chi
è puro può accostarsi al Puro (cf. iGv 3,3; Mt 5,8). Cf. anche infra, DP 100,b.
476
69. Tutti coloro che ci sono sottomessi nel Signore ab
biano un regime di vita e un’abitazione distinti a secon
da della loro età fisica26. Nessuno infatti deve essere re
spinto dal porto27!
70. Non abbiamo fretta d’imporre le mani ad alcuno28,
prima che abbia raggiunto l’età legale della ragione secon
do il mondo, perché non avvenga che qualche pecora, en
trata nell’età dell’ignoranza, una volta raggiunta la cono
scenza, non sopportando più il peso e la fatica, ritorni nel
mondo; e ciò non sarà senza conseguenze per chi avrà im
posto loro le mani prematuramente!
71. Chi sarà mai quel bravo economo posto da Dio
che, non avendo più bisogno delle proprie lacrime, dei
propri gemiti e delle proprie fatiche, potrà offrirle gene 1193 B
più giovani da quelli dei più anziani, cf. Basilio di Cesarea, Regole diffuse 15.
27 A nessuno cioè si deve impedire di entrare nella vita monastica, neanche
ai più giovani.
28 L’autore allude al rito della professione monastica.
477
per il bene di coloro che grazie a lui dovevano raggiunge
re la salvezza29.
1193 c 75. C’è chi si è esposto al disonore per salvare l’onore
degli altri: costui, pur essendo considerato dai più un vi
zioso, in realtà, è come chi è considerato un impostore
pur essendo veritiero (cf. 2Cor 6,8).
76. Se colui che ha il dono della parola per l’utilità co
mune e non ne fa parte agli altri con generosità, non potrà
restare impunito, quanto più grande, mio caro amico, sarà
il pericolo cui si esporranno coloro che, potendo aiutare
chi si trova in difficoltà con il semplice zelo delle loro
opere, non sono disposti a sobbarcarsi una tale fatica ?
77. Redimi gli altri, tu che sei stato redento da Dio,
salva, tu che sei stato salvato, coloro che sono condotti
alla morte, e non far riserve di te stesso per riscattare co
loro che sono uccisi dai demoni! Questa è infatti l’impre
sa più grande agli occhi di Dio, superiore a qualsiasi atti
vità e contemplazione di uomini e di angeli!
78. Colui che, grazie alla purezza che ha ricevuto da
1193 d Dio, lava e purifica la sporcizia degli altri, offrendo a Dio
doni senza macchia a partire da ciò che è impuro, diven
ta come un collaboratore delle potenze spirituali e incor
poree. E questa infatti l’unica opera dei ministri divini,
poiché sta scritto: Tutti coloro che stanno intorno a lui gli
offriranno dei doni (Sai 75,12), cioè delle anime.
79. Niente manifesta l’amore e la bontà che il nostro
478
creatore ha verso noi uomini, come il fatto di aver lascia
to le novantanove pecore per cercare quella perduta (cf.
Le 15,4)! Fa’ dunque attenzione, mio eccellente amico, e
dimostra tutto il tuo zelo, tutta la tua carità, tutto il tuo
fervore, tutta la tua sollecitudine e tutta la tua capacità di
intercessione presso Dio, in favore di colui che si è com
pletamente traviato ed è schiacciato dal dolore; perché
quando le malattie e le ferite sono gravi, certamente anche 1196 a
i compensi corrisposti per la loro guarigione sono grandi!
80. Ponderiamo, esaminiamo, e poi agiamo: a motivo
della debolezza di alcuni, infatti, non è bene che il supe
riore pronunci sempre un giudizio giusto.
Una volta ho visto due fratelli giudicati da un giudice
sapientissimo: egli dichiarò innocente il colpevole poiché
era più debole, mentre l’innocente, poiché era coraggioso
e forte, lo dichiarò colpevole, per evitare che, applicando
la giustizia, la differenza tra i due aumentasse ancora di
più; in privato e in disparte, però, disse a ciascuno ciò che
era giusto e conveniente, specialmente a colui che aveva
l’anima malata.
81. Una pianura erbosa è ciò che ci vuole per delle pe
core; ma l’insegnamento e il ricordo della morte sono an
cora più appropriati per tutte le pecore dotate di ragione,
perché sono in grado di curare ogni genere di scabbia.
82. Prendi di mira i forti, e umiliali senza motivo in
presenza dei deboli, per guarire con la medicina data agli 1196
b
479
ma piuttosto esortiamoli alla confessione con parole vela
te; la confessione che fanno davanti a noi infatti contri
buisce non poco a procurar loro il perdono. Dopo la con
fessione, concediamo loro maggiore confidenza e dimo
striamo loro più affetto di prima, perché questo accresce
notevolmente la fiducia e l’amore che nutrono per noi.
Dobbiamo offrir loro un esempio di estrema umiltà, ma
allo stesso tempo educarli a provare timore davanti a noi.
Devi essere paziente in tutto, tranne quando disobbedi
scono ai tuoi comandi!
1196 c 85. Stai attento che un’eccessiva umiltà da parte tua
non accumuli carboni ardenti sul capo dei tuoi figli (cf.
Pr 25,22; Rm 12,20)!
86. Osserva attentamente se per caso nel tuo campo
non vi siano alberi che sfruttano inutilmente il terreno
(cf. Le 13,7), mentre forse potrebbero fruttificare in un
altro: non esitiamo a sradicarli amorevolmente con i no
stri consigli, e a trapiantarli altrove!
87. A volte il superiore può praticare senza pericolo la
virtù anche nei luoghi meno appropriati, ossia nei luoghi
più mondani e pieni di vizi.
88. Se il medico gode dell’esichia interiore, non ha
1196 tanto bisogno di quella esteriore per curare i malati30, ma
d
480
tenza. Il mondo intero non vale quanto un’anima, perché
il mondo passa, ma l’anima è incorruttibile e rimane per
sempre! Perciò non ritenere beati coloro che offrono de 1197 C
naro, tu che sei beato, ma piuttosto coloro che offrono a
Cristo pecore dotate di ragione31.
91. Il tuo olocausto sia senza difetto, perché altrimen
ti non ti gioverà a niente.
92. Come bisogna credere che il Figlio dell’uomo dove
va essere tradito (Le 24,7), ma guai a colui dal quale è stato
tradito! (Me 14,21), così, al contrario, devi credere che
molti dovranno essere salvati - quelli che lo vogliono,
s’intende -, e a coloro che, dopo Dio, saranno stati causa
della loro salvezza, sarà data la ricompensa!
93. Prima di tutto, venerabile padre, abbiamo bisogno
di molta forza spirituale, affinché, quando vediamo che 1197 D
quelli che abbiamo deciso d’introdurre nel Santo dei santi
per mostrar loro il Cristo seduto alla mensa mistica e se
greta32, sono afflitti e oppressi da una folla di pensieri cat 1200 A
tivi che vogliono impedir loro il passaggio - soprattutto
quando essi sono sulla soglia d’entrata -, possiamo, grazie
a tale forza, prenderli per mano come bambini e liberarli
da quella folla di pensieri. Se poi alcuni di loro sono an
cora molto piccoli e deboli, bisogna sollevarli e portarli in
spalla finché non siano riusciti a oltrepassare quella porta
d’entrata veramente stretta (cf. Le 13,24), perché è pro
prio in quel punto che in genere si concentra tutta la ressa
opprimente e soffocante dei pensieri. Perciò qualcuno ha
detto a questo proposito: Questa fatica è davanti a me fin
ché non sono entrato nel santuario di Dio (Sai 72,16-17).
481
94- Nella nostra precedente trattazione, abbiamo già
parlato, o padre dei padri, di quello straordinario padre
dei padri e maestro dei maestri33, dicendo come egli fosse
1200 b interamente rivestito di sapienza celeste, privo di finzio
ni, severo, rigoroso, equilibrato, condiscendente, e sereno
nell’anima. Ma la cosa più sorprendente di tutte era che
se vedeva qualcuno desideroso di essere salvato, lo tratta
va con maggior rigore; e se vedeva qualcuno custodire una
volontà propria o un qualche attaccamento passionale, lo
privava dell’oggetto dei suoi desideri, al punto che ormai
tutti si guardavano bene dal manifestare una qualche vo
lontà propria per ciò a cui tenessero particolarmente.
Quell’uomo illustre soleva ripetere: “E meglio scaccia
re qualcuno dal monastero, che lasciargli compiere la sua
volontà! Chi infatti scaccia qualcuno, spesso lo rende
più umile, fino a fargli recidere la sua volontà; ma chi
per misericordia e condiscendenza solo apparenti si mostra
indulgente con tali persone, si farà maledire tristemente
al momento della morte, per averli ingannati invece che
aiutati!”.
1200C Alla fine della preghiera del vespro, si poteva vedere
quel grand’uomo seduto come un re su un trono - un
trono, il suo, esteriormente fatto di legno, ma interior
mente di carismi spirituali -, e la sua bella comunità ri
unita al completo lo circondava come uno sciame di api
sagge, ascoltando le sue parole e i suoi comandi come se
venissero da Dio: a uno comandava di recitare cinquanta
salmi, a un altro trenta, a un altro cento; a un altro di
fare altrettante genuflessioni; a un altro di dormire sedu
to; a un altro di leggere per un tempo determinato; e a
un altro di stare per lo stesso tempo in preghiera.
482
Oltre a questo, aveva stabilito due fratelli come sorve
glianti, con il compito di sorvegliare e impedire, di gior
no, le conversazioni e gli ozi, e di notte, le veglie inop
portune e altre cose che non è lecito riferire per iscritto.
E non è tutto: anche in materia di cibo quel grande aveva 1200 D
assegnato a ciascuno una regola propria; non c’era infatti
un solo regime alimentare uguale per tutti, ma era diver
so per ciascuno, a seconda della sua condizione34: ad alcu
ni, infatti, quel bravo economo aveva assegnato una dieta
più austera, ad altri una più abbondante, e la cosa sor
prendente era che ogni suo comando veniva eseguito
senza mormorazioni, come se fosse uscito dalla bocca di
Dio. Inoltre, alle dipendenze di quell’illustre superiore
c’era anche una laura35, dove quell’uomo, perfetto in
tutto, mandava i fratelli del monastero che erano in grado
di vivere nell’esichia.
95. Guardati, ti supplico, dal rendere astuti e maligni
nei loro pensieri i monaci più semplici; o meglio, se ti è
possibile, cerca di trasformare gli astuti in semplici, che 1201 A
è cosa assolutamente straordinaria!
96. Chi ha raggiunto la perfetta purezza grazie a una
perfetta impassibilità, potrà usare il rigore, come il giudi
ce divino: la mancanza di impassibilità infatti colpisce il
cuore del giudice e non gli permette di punire e purifica
re gli altri come dovrebbe.
97. Prima di tutto lascia ai tuoi figli l’eredità di una
fede senza macchia e di sante dottrine, per poter condur
re al Signore, attraverso la via dell’ortodossia, non solo i
tuoi figli ma anche i figli dei tuoi figli.
483
98. Non esitare a fiaccare e domare i giovani pieni di
ardori passionali, perché al momento della morte possano
cantare le tue lodi.
99. Anche in questo, o uomo colmo di sapienza, ti
serva da modello il grande Mosè: egli non potè liberare
dal faraone coloro che gli erano stati affidati - per quan
to fossero disposti a seguirlo docilmente -, finché essi
non mangiarono il pane azzimo con le erbe amare (cf. Es
12 0 1
b 12,8). Il “pane azzimo” è Tanima che non ha in sé alcu
na volontà propria36: essa infatti la farebbe gonfiare e
inorgoglire, mentre ciò che è azzimo rimane sempre basso
e umile. Per “erbe amare” invece dobbiamo intendere, a
volte il fastidio pungente che si prova al ricevere degli or
dini, a volte le angustie causate dal rigore del digiuno.
100 a. Nello scriverti queste cose, però, o padre dei
padri, mi sembra di udire le parole che dicono: Tu che in
segni a un altro, non insegni a te stesso (Rm 2,21)? Ma ora,
prima di concludere il discorso, voglio aggiungere una sola
1201 c cosa: un’anima che attraverso la purezza si è unita a Dio,
non avrà più bisogno della parola di un altro per essere
istruita, perché quella beata ormai porta in sé il Verbo eter
no, come suo mistagogo, sua guida e sua luce! E so bene
che la tua anima è proprio così, o vetta santissima e piena
di luce! Conosco infatti la perfetta limpidezza del tuo pen
siero, non solo per averne sentito parlare, ma per averlo
visto all’opera e averne fatto esperienza: è tutto splenden
te di umiltà e di una mitezza che uccide le fiere37, proprio
come quel grande legislatore: Mosè (cf. Es 34,29)38.
484
b. Tu stai veramente seguendo le sue orme, padre pieno
di pazienza, e progredendo continuamente verso l’alto, sei
quasi arrivato a superarlo - intendo dire per ciò che ri
guarda l’onore della purezza e il merito della castità!
Grazie a queste virtù più che ad altre, infatti, possiamo
avvicinarci a Dio, che è il totalmente puro (cf. iGv 3,3; 1201 D
inizi per la sua trasgressione (cf. il tema delle “tuniche di pelle”, supra, n. 60 a
XV,76) e di cui egli si deve spogliare per accedere alla perfezione. Cf. Gregorio
di Nissa, Vita di Mosè 11,2 2: “I piedi dell’anima debbono essere liberati dal ri-
vestimento di pelli morte e terrene, che hanno avviluppato all’inizio la sua na
tura, quando per la trasgressione del comando divino fummo denudati”.
485
la coda - cioè quando ormai era alla fine - colui che da
angelo si è trasformato in serpente (cf. Es 4,4)44, e lo hai
gettato nella sua tana, cioè nell’abisso profondissimo
delle tenebre. Hai vinto il faraone orgoglioso e altero45, e
hai colpito gli egiziani e ucciso i loro primogeniti (cf. Es
n,5)46, che è l’impresa più grande di tutte!
c. Quindi, a motivo della tua saldezza, il Signore ti ha af
fidato la direzione dei fratelli, e tu, o guida delle guide,
senza timore li hai allontanati e liberati dal faraone e dal
l’impura fabbricazione dei mattoni di argilla (cf. Es i,i4)47,
1204 b per introdurli alla piena conoscenza del fuoco divino e della
nube della purezza che estingue ogni fiamma di desiderio
carnale (cf. Es 13,21-22). Oltre a ciò, hai diviso davanti a
loro questo mare rosso e infuocato (cf. Es 14,21)48, nel
quale la maggior parte di noi rischia spesso di far naufragio,
e con il tuo bastone e la tua sapienza pastorale li hai condot
ti alla vittoria e al trionfo, dopo aver annegato completamen
te i nemici che li incalzavano alle spalle (cf. Es 14,27-28).
d. Oltre a ciò, stendendo le tue braccia e stando a metà
tra azione e contemplazione, hai ottenuto per il tuo po
polo, illuminato dalla luce di Dio, il trionfo sulTAmalek
dell’orgoglio (cf. Es 17,8-13), il quale assale regolarmen
te chiunque abbia ottenuto la vittoria sul mare. Hai vinto
le nazioni. Hai condotto coloro che erano con te sulla
montagna dell’impassibilità, e li hai costituiti sacerdoti49.
44 Per Pespressione “afferrare il serpente per la coda” cf. anche supra, IV,27.
45 Cioè il vizio della superbia.
46 Gli “egiziani” sono i demoni malvagi, e i “primogeniti” i pensieri cattivi
da essi ispirati.
4/ La “fabbricazione dei mattoni di argilla” sono le occupazioni terrene e
486
Hai imposto loro la circoncisione30, perché chi non è stato
purificato per mezzo di essa non può vedere Dio. Sei 1204 c
asceso in alto, dissipando ogni oscurità, caligine e tempe
sta: ovvero la triplice tenebra dell’ignoranza.
e. Ti sei avvicinato a una luce ben più venerabile, splen
dente e sublime di quella del roveto (cf. Es 3,2-4). Hai
meritato di udire la voce di Dio, di contemplarlo, e di ri
cevere il dono della profezia: hai visto, in qualche modo,
pur vivendo ancora in questo mondo, i beni futuri31, ov
vero la perfetta e definitiva illuminazione della conoscen
za che ci sarà donata di là; poi hai udito la voce che dice
va: L’uomo non potrà vedere ... (cf. Es 33,20). Perciò,
dopo questa visione di Dio, sei disceso nella valle profon
da dell’umiltà, verso l’Horeb, portando con te anche le
tavole che descrivono l’ascensione verso la conoscenza di
Dio, con il volto tutto raggiante di gloria nell’anima e nel
corpo (cf. Es 34,29). Ma quale triste spettacolo vedere il
vitello d’oro fabbricato proprio dalla mia comunità, e le
tavole infrante (cf. Es 32,19)!
f. Ma poi cos’è avvenuto? Hai preso il popolo per 1204d
mano, lo hai condotto nel deserto, e una volta, quando
era arso dal proprio fuoco32, forse anche tu hai fatto sgor
gare in lui una sorgente d’acqua, cioè di lacrime, usando
il bastone di legno (cf. Es 17,5-6), cioè crocifiggendo la
sua carne con le sue passioni e i suoi desideri (cf. Gal 5,24).
Hai combattuto contro i popoli che vi assalivano, bru
ciandoli con il fuoco di Dio33. Quindi sei arrivato al
Giordano (cf. Gs 3,1) - niente ci impedisce infatti di ab
breviare un po’ la storia -: hai diviso il popolo con la tua 50 51 52 *
487
parola come Giosuè (cf. Gs i3,i-33)54, e hai separato le
acque, facendo scorrere quelle a valle verso il mare del
sale e della mortificazione, e trattenendo invece quelle a
monte - cioè quelle della carità - sugli occhi dei tuoi
israeliti spirituali (cf. Gs 3,i6)55.
1205 A g. Hai ordinato poi di portare dodici pietre (cf. Gs 4,2-
(lett.: “le prime”) sono le lacrime dei principianti, che sono frutto dell’ascesi e
sono destinate a purificare i peccati; le acque “a monte” (lett.: “dall’alto”) sono
invece le lacrime donate da Dio e alimentate dalla carità.
56 Le “otto passioni” sono gli otto principali vizi o pensieri cattivi, già in
contrati più volte, mentre le “quattro virtù principali” sono le virtù cardinali:
prudenza {phrónesis)} fortezza (andreta), temperanza {sophrosyne) e giustizia
(dikaiosyné).
57 Interpretazione allegorica di Gerico: nei padri questa città rappresenta il
supra, V,5,y).
59 Interpretazione tradizionale del nome di Gerusalemme.
488
carne con le sue passioni e i suoi desideri (cf. Gal 5,24), e
giustamente, perché anche tu sei diventato un dio per il
faraone e per tutta la sua potenza nemica60! Poi, insieme
a lui sei stato sepolto (cf. Rm 6,4), e sei disceso agli infe
ri, ovvero nell’abisso della teologia61 e dei misteri ineffa
bili. Sei stato unto di mirra e profumato dalle tue paren
ti e amiche (cf. Me 16,1 par.), ovvero dalle virtù. Sei ri
suscitato: cosa mi impedisce infatti di dire anche questo,
quando anche tu sei veramente seduto in cielo alla destra
di Dio Padre (cf. Ef 1,20; Col 3,1; iPt 3,221 62, anzi si è
diffusa la voce del rapimento del tuo corpo (cf. Mt
28,15)? Sì, sei risuscitato anche tu dopo tre giorni, dopo
aver vinto i tre tiranni, ovvero, per parlare in modo più
chiaro, dopo aver ottenuto la vittoria sul corpo, sull’ani
ma e sullo spirito, oppure dopo aver purificato le tre parti
dell’anima: quella passionale, quella irascibile, e quella ra
zionale.
i. Sei arrivato al monte degli Ulivi63 - devo infatti con 1205 C
cludere, senza andare troppo per le lunghe, tanto più scri
vendo a te che sei ripieno di sapienza e che ci superi tutti
in conoscenza -: a quel monte, intendo dire, di cui un ec
cellente corridore diceva cantando: Le alte montagne sono
per i cervi! (Sai 103,18), cioè per le anime che uccidono
le fiere64. Correndo dunque anche tu insieme a lui, hai
raggiunto la base della montagna, e dopo aver alzato gli
occhi verso il cielo - torno di nuovo a seguire il modello
del Verbo - hai benedetto noi tuoi discepoli (cf. Le
24,51) e hai visto elevarsi davanti a te la scala delle virtù
(cf. Gen 28,12).
489
l. Di tale scala tu, secondo la grazia di Dio che ti è stata
data, come un sapiente architetto hai posto il fondamento (cf.
iCor 3,io), o meglio l’hai edificata interamente, anche se
poi, per la tua umiltà, hai costretto noi, poveri sempliciot
ti, a prestarti la nostra bocca impura per parlare al tuo po-
1205 d polo65. Ciò non è affatto strano, perché, se si guarda al
modello della storia di Mosè, anche lui aveva l’abitudine
di descrivere se stesso come balbuziente e tardo nel parlare
(Es 4,10): Mosè però ebbe la fortuna di trovare in Aronne
un ottimo assistente e parlatore (cf. Es 4,14-16), tu inve
ce, che sei iniziato ai misteri ineffabili, non so come mai,
hai voluto venire da me, sorgente inaridita e tutta piena
di rane d’Egitto, o meglio di carboni (cf. Es 7,27-8,8)66.
m. Ma poiché non è bene che io me ne vada lasciando
incompiuta la corsa della mia narrazione, riprendo a tes-
1208 a sere l’elogio della tua bellezza, o corridore celeste, dicen
do che ti sei avvicinato al monte santo e, elevando i tuoi
occhi verso il cielo, hai posto il tuo piede alla sua base, hai
corso, sei salito, sei stato elevato, sei montato a cavallo dei
cherubini - cioè delle virtù - e hai volato (cf. Sai 17,11), e
così sei asceso tra le acclamazioni (cf. Sai 46,6) dopo aver
trionfato sul Nemico.
Ci hai aperto e indicato la via, anzi anche ora continui
a guidare e indicare la via a noi tutti, perché ormai hai
raggiunto la cima della santa scala e ti sei unito alla cari
tà, e la carità è Dio stesso (cf. iGv 4,8.16)!
A lui la gloria nei secoli! Amen.
490
ABBREVIAZIONI E SIGLE
491
Racc. Dai “Racconti sui santi padri del Sinai” di Anastasio
Sinaita (capitoli relativi a Giovanni Climaco, citati
secondo la numerazione adottata in questo libro).
492
BIBLIOGRAFIA
Edizioni
a cura dell’arch.
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493
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YANNARAS, Ch., “Eros divin et èros humain selon saint Jean Climaque”,
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513
GLOSSARIO
5i 5
Assenza di preoccupazioni (amerimnta). L’amerimma è la libertà dalle
preoccupazioni mondane e materiali raggiunta attraverso una fede
salda e incrollabile nel Dio provvidente e “amico degli uomini”. Il si
gnificato di questo termine è stato fissato dai padri a partire dalle pa
role che Gesù stesso rivolge ai suoi discepoli: “Non preoccupatevi per
la vostra vita, di quello che mangerete o berrete ... Di tutte queste
cose si preoccupano i pagani. Il Padre vostro sa che ne avete biso
gno!” (Mt 6,25-32). Per Climaco l’assenza di preoccupazioni è l’ope
ra principale dell’esicasta (cf. Scala XXVII/2,12), che è chiamato a “ri
manere libero” (scbolàzein) per potersi dedicare a Dio e alla preghiera
con cuore indiviso (cf. ibid. XXIX, 19).
516
“La compunzione, perciò, non implica semplicemente rimorso e rim
pianto, ma anche un incitamento, una spinta verso la perfezione. Il
suo significato non è puramente negativo, ma soprattutto positivo. In
realtà la puntura viene da Dio, ma può venire indirettamente anche
dall’esterno - tramite qualcuno che incontriamo o qualche parola che
udiamo - o anche dall’interno, dal nostro cuore o dalla nostra mente.
In ogni caso la compunzione presuppone una ‘visita’ da parte di Dio:
‘Il Signore viene senza essere invitato’ {Scala VII,27)” (J. Chryssavgis,
“Una spiritualità dell’imperfezione”, p. 173).
517
viene sia l’incontro tra l’uomo e Dio nella preghiera (vedi “preghiera
del cuore”), sia la lotta contro i pensieri cattivi (loghismoi). Il cuore è
anche la sede del “senso spirituale”.
5x8
sieri (cf. Scala XXVII/2,43): presuppone dunque l’attenzione (proso
die), la sobrietà/vigilanza (népsis), l’assenza di preoccupazioni (ame-
rimm'a) e il discernimento (diàkrisìs). Il termine “esichia” è quasi sem
pre sinonimo di vita eremitica, ma Climaco prevede anche una forma
di esichia compatibile con la vita cenobitica (cf. ibid. IV,31).
519
stazione di vita svincolata da qualsiasi “regola” oggettiva (sia essa rap
presentata dal padre spirituale o dalla comunità), il cui unico criterio
guida rimane la volontà propria del soggetto: è la principale tentazione
dei cenobiti e di tutti coloro che vivono sottomessi all’obbedienza (cf.
Scala XXVII/2,1.2.4). Soltanto in un’epoca successiva a Climaco (XIV
sec.) questo stesso termine perderà la sua accezione negativa e indiche
rà una forma di vita monastica distinta da quella cenobitica, in cui ogni
singolo monaco ha la libertà di vivere secondo il “proprio ritmo”, con
pochi obblighi nei confronti della comunità cui appartiene.
520
che le passioni siano essenzialmente “contro natura”, o meglio siano
la perversione di tendenze naturali poste da Dio nell’uomo (cf. Scala
XXVI/2,41). A tal punto le passioni stravolgono la natura profonda
dell’uomo, che anche colui che vi rinuncia rimane sottoposto a delle
“predisposizioni passionali” (prolépseis), cioè a delle tendenze passio
nali latenti e involontarie, che sono frutto dei ripetuti atti di peccato
compiuti nel passato (cf. ibid. XXVI/i,7.12.28.65).
521
senzialmente nell’esercizio delle virtù e nella lotta contro i pensieri
cattivi: il suo fine è il raggiungimento dell’impassibilità (apàtheia).
522
Vigilanza/sobrietà (népsis). Il termine népsis, che in senso materiale
indica lo stato di sobrietà dal vino (in opposizione a méthe), viene uti
lizzato dagli autori monastici per indicare la condizione della mente
che si trova nella piena padronanza delle proprie facoltà: tale condi
zione è necessaria per la preghiera, il discernimento, la custodia del
cuore e la lotta contro i pensieri cattivi. Il termine è sostanzialmente
sinonimo di “attenzione a se stessi” (prosoché).
523
INDICE BIBLICO
I riferimenti biblici sono in base al testo greco dei 1.X X , come anche la
numerazione. La nomenclatura dei libri, invece, è quella corrente.
525
32,19 DP lÙOyt 2Re
33.n XXVll/l,20 2,11 DP 100,b
33,18-23 Lettera I
33,20 DP 100,e
33.23 DP ioo,e 2 Cronache
34.29 XXX,11; 33,i-9 XXV,57
DP 100,a.e 33,12-13 XXV,57
Numeri 2Maccabei
16,16-35 IV, 126 7,6 V,5,n
20,17 1,47; 111,45
22,22-34 XXV,49
Giobbe
x,16-18 IV,51
Deuteronomio 1,22 XVI,21
4»9 IV,75; XXVI/2,16 2,8 VII,26; XXV,56
10,17 1,35 4,12 XXVII/1,24
15,1 IV,21 4,15 XX,7
J5)9 IV,75; XXVI/2,16 13,1 IV,86
20,8 XXVI/1,82 14,11 VII,22
32,7 Lettera I 16,15 VII,26
32,36 V,5,n 29,2-3 V,5,v
34.4 Vztó io 38,11 XXVIII, 17
39,5 XXVII/2,21
39,25 XXVIII,49
Giosuè 40,7 IV,31
2,1-21 XII,7 42,6 XV, xo; XXV,6
DP 100,f 42,10 V,25
3.16 DP 100,f
4,2-8 DP ioo,g
6,1-21 DP 100,g Salmi
i3>*“33 DP 100,f 1,2 XIX, 13
5,4 XII,2
6,2 V,5,h
1 Samuele 6,3 XV,76
2,9 XXVIII,23.63 6,8 Vili,22
2,12-17 XIV,3 2 7,ii XXIV, 16;
2,30 XXI,28 XXVI/1,40
16,1 DP 29 7,i7 XXIII,8
8,6 XV,1.70
8,7 XXVI/2,59
2 Samuele 9,7 DP 100,g
11,2-3 XV,65 9,18 V,5,s
12,13 XXV,58 10,7 XXIV, 16
n,7 XXX, 13
13,1 1,5
iRe 15,8 VI,17;
19,9-18 VII,70 XXVII/2,42
21,1-18 XXV,57 16,8 VII,27
526
i?,7 V,5,n 62,9 11,1
I 7, x i DP 100, m 63,7 X,i7
17,12 XXVI/2,44 64,8 XXVI/1,25
17,3° XXIX, 17 64,14 XXV, 13
17,34 Esort. 65,6 XXVI/1,25
17,42 XXII,13 65,16 V,3
i 8, i o XXX, 13 65,20 V,5,t
18,14 XXVI/1,55 66,2 V,5,n
21,26 XXV,39 67,2 XXVI/1,25
23,6 III,2o; IV, 3 3 67,11 IV,105
24,5 XXVI/2,1 69,2 XXVI/1,51
24,8 XXIV, 16 70,20 IV,36
24,93 XXIV,4 72,16-17 XXVI/1,7; DP 93
24,9b XXIV, 2 72,25 XXVIII,28
25,12 Vita 1 72,28 XXVIII,28.33
27,7 XXX,11 75,12 DP 78
3i,5 IV,15 77,1 V,4
34,i3 XIV,30; 78,8 V,5,n
XXVII/2,33; 79,4 V,5,n
XXVIII,3 79,7 XXVI/1,51
36,2.9 XXIV, 21 83,2 XXX,8
36,11 XXIV,3 83,6 XXX, 18; Esort.
36,35-36 XV,69 83,8 XXVI/2,38
37,7-6 V,5,i 87,3 V,5,o
38,2 XI,5; XXVI/1,51 88,10-11 XXX, 18
38,4 V, 29 88,23-24 XXV,25
38,10 XXVI/1,51 88,49 XV,30
38,14 V,i6; XXIX,5 88,50-51 V,5,v
39,i IV,23 90,6 XIII,4
39,i5b XXI,27 90,13 XXV,63
39,16 XXI,27 93,10 XXVIII,63
40,12 XXVIII,59 93,14 XXVI/1,32
41,2 XXVI/2,1 93,19 IV,35
4i,3 XXIX,15; XXX,9 94,6 IV,32
45,ii XXIX, 19 100,4 XXIX, 14
46,6 DP ioo,m 100,5 X,3
46,10 XXIX,3 101,5 V,5,i; VII,4.66;
48,5 XXVI/2,2; X,3
XXVII/2,32 101,6 V,5,i
49,i 1,35 101,10 V,5,i
49,22 XXVII/2,42 102,12 V,5,i; XXVI/1,50
50,18-19 XXV,58 103,18 DP 100,i
50,19 IV,31; VII,50; Io3,19-22 XXVI/2,44
DP 8 107,13 XXII,27
52,2 1,5 112,7-8 XXIX, 19
54,7 IV,1 Ir3>9 XXV,39
56,8 XXVII/1,16 114,6 XXV, i4;
59,5 XII,8; XXV,4 XXVII/2,42
60,4 XXV,25 118,42 XXVI/1,51
62,2 II,IO 118,51 XXVI/1,51
527
118,96 XXVI/2,37 Cantico dei cantici
118,120 XXX, 11 i,4 XXIV, 16
118,131 Vita 9 i,7 XXX, 18
118,145 XXVIII,59 5,2 XIX,13;
118,148 XIX,13 XXVII/i,K
120,3 XXVI/2,45 XXX,7
120,8 XXVI/2,38 5,9 XXX, Il
123,5 V,5,n.t
123,6 V,5,t
125,2-3 XXVI/2,44 Sapienza
126,1-2 XV, 21 3,6 IV,132
130,1 XXII,22
132,1 IV,31
x33,x 1,4° Siracide
I35>23"24 IV,65; 1,22 Vili,8
XXV, io 5>7 XXVI/2,1
x36>4 VII,26 7,36 VI,26
138,18 XIV,3 2 20,18 XI,5
X!
IxJ
t—i
140,4 1.34
141,8 VII,39
x42,5 V,5,v Isaia
142,8 XXVI/2,1 2,3 Esort.
142,10 XXVI/2,1 3,12 XXI,9
x44,x7 VII,61 19,1 XXVI/2,44
144,19 Vita 7 26,10 V,5,s
x45>8 IV,99; VII,47 35,10 VII,46
49,9 V,5,n
59,2 XXIX, 17
66,2 XXIV,2
Proverbi
1—1
XI
XI
M
-sj
H
<
2>5
Giona
Qohelet (Ecclesiaste) 3,9 V.5.P
3>x XXVI/1,59
4,9 IV,68 Abacuc
4,10 1,47 3,x9 Esort.
528
iach ia 10,22 iv,n3
3>20 xxvi/2,48 10,28 XX, io
10,34 111,22
II,12 I,i6; IV,35;
itteo VII,43;
2,13-15 XXVI/2,45 XIII,9; XV,23
3>* VII,70 11,15 XV,26
3,6 IV,58 11,28-30 XXVIII,2
4,9 XXIII,8 11,29 IV,6.21; XXIV,1;
4,10 XIII,8 XXV,3
5,3 II,i3; XVI,9; n,3° DP 32
XXV,13 12,34-35 XXV,19
5>5 XXIV,3 12,35 Vita 9
5,6 VII,6 12,40 xxvi/2,43
5,8 XXVI/3,55; 12,45 11,17
DP 68.100,b 12,49-50 111,19
5,9 XXVI/2,33 13,8 1,32
5,10 II,i3 T3>44 VII,15;
5,i i IV,37 XXVI/1,27
5,i3 III.I3 *3>57 III,3
5,i5 Vita 9 I5>27 XXV,3
5,16 XXI,29 16,6 XXV,7
6, i -6. i 6 - i 7 X X I,6 16,19 XV,66
6,7 XXVI/2,36; 16,24 IV,n3; XV,80;
XXVIII,9 XXVII/1,26
6,9 XXVIII,8 16,26 XXI, 26
6,13 XXIV, 18 17,20 XXX, 1
6,14-15 IX,13 18,15 XXVI/2,i6
6,19-20 XXVI/3,39 18,20 1,47; XXVIII,59
6,23 XXVI/1,23 18,21 XXVI/2,31
6,24 III,2i; XIV,23 19,12 XIV,14; XV,17;
6,25-34 XVI,3; XXVII/2,3
XXVII/2,18 19,21 IV,113; XVI,3;
6,20 XVI,16 XXVII/1,26
7,2 X,io 19,23 XXIV,22
7,3 Vili,23 19,26 V,13; XXVI/1,28
7>7-n V,5,p; XXVI/2,5 19,29 XVI,17; XVIII,46
7,8 XXVIII,56 20,16 XXVII/2,2; DP 1
7,13 XIV,25 21,15 XV,76
7,13-M 11,13; Xiv,26; 21,22 XXVII/2,33
XXV,29 22,10 11,14
7,M XXVI/3,6; DP 32 22,10-14 XXV,47
7,17-18 IV,77 22,11-12 XXVIII,3
7,22 DP 52 22,13 V,5,s; XXII, 17
8,9 VII,40 24,15 XXVI/1,73
8,20 XIII,io 24,22 XV,23.72
8,21-22 11,3 24>43 III,4
8,22 11,7 24>45 1,48
9,2 V,5,s 25,14-3° Lettera I
9,22 V,5,s 25,29 V,7
25,36 XIII,4 12,42 1,48
26,14-16 X,4 12,47 XXVI/2,6
26,41 XXVII/2,42; 12,48 XXVIII,66
DP 31 i3,7 DP 29.86
26,50 IV,1x3 13,24 DP 93
26,75 XI,5 14,11 XXI, 32
27.14 XI,4 14,26 XXVI/1,14
27.34 XIV,28; XXVI/3,2 14,28-29 XXVII/2,45
27.48 XIV,28; XXVI/3,2 M,33 n,x
28,15 DP 100,h M,33 VII,58;
XXVI/1,21
13,4 DP 79
arco x3>21 XXVIII,4
1,30 XV,66 16,10 IV,42; XXI,24
i,35 VII,70 16,16 VII,4 3
3,3i III,i9 17,10 IV,81; XXI,24
4,8 XXV,45 17,32 II,18; 111,13
4,26 XXV, 2 8 18,1-8 XXVII/2,29
4,39 Vita 4 18,2-6 VII,13
9,23 V,5,y; XXVI/1,52; 18,4 XXVIII,31
XXX, 1 18,5 XV, 79
12,34 1,38 18,8 XXVII/2,1
12,42-43 Lettera II 18,10-14 X,i6
13,14 XXVI/1,73 18,11 XXII, 4
14,21 DP 92 18,13 XXVIII,9
16,1 DP 100,h 18,13-14 XXV,33.52
18,22 11,6
21,2 XVI, 5
ica 21,19 XXVII/2,42
i>35 IV, 125; XV,76 22,31 XXI,26
i>37 XXVI/1,28 23,42-43 X,4; XXV,52;
i,45 IV,31 XXVIII,9
i,79 V,5,n; XXIX,1 23,43 XXVII/2,34
2,14 XXV, 16 24,7 DP 92
3,i4 1,38 24,50-51 DP 100,1
4,23 DP 73
5,28 1,35
5,3i 1,34 Giovanni
6,20 XXV, 13 i>9 XXIV, x;
6,26 XXI,28 XXVIII, 52
6,30 XXV Vi ,47 1,12 XXIX, 19
6,37 IX,14; X,8 2,4 XXVII/2,13
7,38 IV,56; V,5,y 4,10 IV,31
7,47 V,6 4,23 XXVI/2,59
9,*3 XXVIII,4 3,i4 Vss
9,25 XXI,26 3,25 XXVI/2,59
9,62 1,48; 11,2 8,12 XXIV, I
10,20 XXV,43 10,8-9 XXV, 29
II>5‘I3 V,5,P 10,9 XXVI/2,20
12,29 XXII,22 10,10 XXVI/1,9
530
10,11 DP 57 I2?5 XXVI/1,33
11,43-44 IV,93 I 2?20 DP 85
il >44 I,i3 13,10 XXVI/1,41
12,35 III,4 14,12 III,5
i3>4-5 IV,31; XXV,54 14,26 IV,8
I3>35 IV,3i; XXV,43
I4>2 XXIX,16
14,6 XXVI/2,20 1 Corinzi
i5>3 XXX,13 2,9 V,5,b
I5>i3 XXVI/1,10; 2,11 XXI, 12
DP 59 2,16 XXIX,5
20,4 V,i.28 3»1 1,20; III,i5;
XXVI/1,64
3)1'2 DP 54
Atti degli apostoli 3>10 XXVII/2,2;
i>i XXVI/1,12 DP ioo,l
i>24 XXIII,4; 3^6 1,44
XXVI/2,39 4>4 XXV,51
2,3 XXVIII,47 4>7 XV,76
7,3 8 Lettera II 5>n DP 65
io,34 XXVI/1,55 5>T3 DP 29
12,7 IX, 1 6,18 XV,40
12,8 XXVIII,27 8,1 XXIV, 12
15,8 XXIII,4; 9>24 XXVII/2,42
XXVI/2,39 10,28-29 XXVI/2,34
20,34 XVI,io 11,28-29 I,i8
12,31 XXVI/2,41
13,5 IV,23; XXX,4
Romani 13,8 VI,16;
1,26 X,2; XXII,6 XXVI/2,38;
2,11 1,4 XXX, 1
2,21 111,5; DP 100,a 13,13 XXVI/1,43;
2,24 XV,63 XXX,1.18
2,29 DP 100,d 14,19 XXVIII,23
5*5 XXX,1.17 14,40 XXVI/2,1
6,4 DP ioo,h 15,31 VI,26
6,9 XXVI/2,43 15,33 111,33
7,i4 XXV,3 15,52 XIX,9
7,24 XV,29
8,6 Vili,16
8,18 XXVII/2,42 2 Corinzi
8,26 XXVIII,43 i,9 XXVI/1,70
8,28 XXVI/2,3 3,i7 V,i7
8,38 IV,24 4,7 IV,25; XXV,2
10,4 XXV,9 5,3 XV,76
11,24 XV,66 5,20 XXVI/1,54
n,33 XXV, 11 6,3 XXVI/1,23
ii,34 XV,35 6,8 XXVI/2,25;
n>35 XXVII/2,56 DP 75
12,1 XXVIII,52 6,14 VII,32
53i
6,i6 1,44 3,2 xxvi/1,79;
6,17 11,15 xxvi/2,51
7)6 VII,30 3,5 XVI, 2
10,3-4 Vita 3 3,9 XXVI/3,6
10,10 DP 38 3,14 IV, 16.127;
11,12 Vita 8; XXVII/1,1 XXVI/1,41
11,14 111,42
12,4 XXVII/1,23;
XXVII/2,13 iTessalonicesi
12,9 XXVI/1,32 2,18 XXVI/2,3
12,10 DP 38 4)i6 XIX,9
5>8 IV,31
5)i4 XIII,4
Galati 5)i7 XXVI/1,59
1,12 DP 6
2,20 XXIX, 15
5>i4 IH,35 2Tessalonicesi
5,22 Vili,16 3,10 XVI,io
5)24 DP 100,f.h
6,9 XXVI/2,11
1 Timoteo
i)9 XXV,2 2
Efesini i)i5 XXVIII, 12
1,18 Vili,22 2,4 XXVI/1,54
1,20 DP ioo,h 2,5 1,14
2,14 XXIX, 18 4)2 DP 27
4)3 IV, X2 7 6,10 XVI,22;
4)13 Esort. XXVI/1,44
4)22 XXVI/3,6 6,12 1,18.39
4)26 IV, 18 6,16 I>35
5>5 XVI,2
5,12 XV,28
6,12 Lettera I 2Timoteo
6,15 IV,2 2,3 DP ioo,h
6,17 IV,2 4)2 IV,24; Vili,23
4)7 1,18.39; XXIX,15
Filippesi
2,8 XXVI/2,50 Tito
3,8 XVI,12 1,2 XXVII/2,18
3,r3 XXVII/2,7 3)5 XXIX, 19
3,20 Vita 1; XV,11 3,10 XXVI/2,11
4,4 1,40
4,i3 Vita 8; IV,31
4,18 Vzta 2 Ebrei
3)7-4,4 III,i4
5,7 XV,76
Colossesi 5,ii XXVI/2,1
2,14 VII,27 6,10 XXVI/2,2.5
3,1 XVI,15; DP ioo,h 7,7 IV,20
532
10,23 xxvll/2,18 XXII,9
12,2 XXI,36
12,14 IV,io; DP 68
12,23 Vita 1 1 Giovanni
12,29 XXVI/1,7; 3)3 DP 68.100
XXVIII,52 4,8.16 XXIV, 16;
13,20 DP 24 XXX,1.2;
Esort.;
DP ioo,m
Giacomo 4,18 XXX,4;
2,10 XXVI/2,31 DP 34
XXII,9 4,19-21 XXX,15
i Pietro Apocalisse
3,22 DP 100,h 19,16 135
INDICE DELLE FONTI EXTRABIBLICHE
535
Esagerone VI,26;
XXVII/ 2,2 XXVI/1,17.41
Lettere
XV,44 Crisippo
Omelia di esortazione al battesimo Frammenti morali
XXV, 1 VI,26
Omelie sui Salmi
XXV, 1.9; Diadoco di Fotica
XXVII/2,48; Capitoli
XXIX, 19 VII,58; XV,3;
Omelia sull*umiltà XVIII,5;
XXV,54 XXVI/1,46;
Regole brevi XXVIII,21.44;
DP 65 XXX,4
Regole diffuse
1,12; II,1; Didimo il Cieco
XXVI/1,46; Sui Salmi fr.
DP 69.94 XXIX,19
Sui quaranta martiri Sulla Genesi
IV,6 Prol.
Sulla creazione dell'uomo
XXVI/2,31 Doroteo di Gaza
Veglia su di te Insegnamenti
XXII,22 1,14; 11,8; V,25;
XII, 8;
Callisto e Ignazio Xanthopouloi XIII, io;
Metodo e canone rigoroso XV,74;
XXVII/2,26; XXV,2.44.56.59
XXIX,3
Efrem il Siro
Cirillo di Gerusalemme Come Panima deve pregare con le la
Catechesi crime
XV,1.44 VII,58
Discorso ascetico
Cirillo di Scitopoli XXIX,5
Vita di Eutìmio Parenesi ai monaci d'Egitto
XXVII/2,29 XV,63; XXIX,4
Sulla compunzione
Clemente di Alessandria VII, 58
Quale ricco sì salverà?
VII,50 Epifanio di Salamina
Stremati Ancoratus
IV,6; XIV,8
536
Esichio Sinaita Trattato pratico
Centurie III,11; VII,49;
XV,73 XIII, 1.4.5.8;
XIV, 8 ; XV,74.75;
Euchologion XVI,1.2; XXI,1;
IV,92; V,5 ,h XXIII,4.7;
XXVI/1,41.57;
Eusebio di Cesarea XXX,4
Commento ai Salmi
XXIX,19 Filone di Alessandria
Storia della chiesa Allegorie delle leggi
XIV, 15 Prol.
I sogni
Evagrio Pontico XXVI/1,25
A Eulogio II mutamento dei nomi
XV, 73; XXX,4 Prol.
Az monaci
XXIV,3
Filoteo Sinaita
Antirrhetikos
Sulla sobrietà
XIII,1
XV,73
G/z otto spiriti di malìzia
XIII,1.4.5.9;
Fozio
XVI, x; XXII,16;
Amphilochia
XXVI/2,46
XXVII/2,13
I pensieri malvagi
XV, 73; XXIII,4;
Giamblico
XXVI/1,2
Protrettico
I vizi e le virtù
VI,26
XIII, 1; XV,73;
XVI, 1
Scolii ai Proverbi Giovanni Cassiano
Conferenze
XXIII,4
Scolii ai Salmi II,i4; IV,6.105;
XIII,4; XXIII,4; VI,16; VII,ii.34-58;
XXVII/2,2 XII, 8; XVI,1;
Sulla preghiera XXI,1; XXVII/2,48
VII,11; XV,73; Istituzioni
XVIII,5; XIII, 1.io; XVI,i;
XXVI/i,17.76; XVIII,5.6; XXI,1
XXVI/3,43;
XXVII/1,19; Giovanni Crisostomo
XXVII/2,17.19; Omelie su 1 Corinzi
XXVIII,38.44.63 DP 59.90
537
Omelie su Colossesi Gregorio di Nazianzo
VII,ii Carmi morali
Omelie su Filippesi XII,1
VII, n Orazioni
Omelie su Matteo IV,27; VII,8.11;
DP 59 XV,1.29,76.83;
Omelie sulla Genesi XXI, 1;
XV,i; DP 59 XXV,14;
Omelie sulla penitenza XXVI/2,I9.3I.4I;
XXII,20 XXVII/2,2;
Sw/Zs vanagloria XXVIII, 52
XXII,25
5«/&z verginità Gregorio di Nissa
XV,i Encomio di sanTEfrem
XXIX, 5
Giovanni Damasceno L'anima e la risurrezione
Canone pasquale XV,76.83
XIV, 12 L'istituzione cristiana
Capitoli filosofici VI, 16
VI, 26 creazione dell* uomo
Esposizione della fede XV, 1
XV, 1; L<z verginità
XXX,I IV, 65
$«/ Cantico dei cantici
Giovanni Mosco V, 6; XXVI/1,17
Prato Vite di Gregorio Taumaturgo
Racc. 1; DP 74
XIII,io; Vite di Alosè
XXVI/1,10 V,25; XXVI/2,3-7;
DP ioo,b
Girolamo
Prefazione alla Regola di Pacomio Gregorio Palamas
IV,14 Triadi
XXVII/1,5;
Giustino XXIX, 2
Dialogo con Trifone
VII, 50 Gregorio Sinaita
Cowe Tesicasta deve sedere in pre
Gregorio Magno ghiera
Commento morale a Giobbe VII, 11
XVI, 1; L’esichia
XXI,I XXVII/2,26.47
538
Utilissimi capitoli Nilo di Andrà
XXVIII,52 Lettere
DP ioo,b
Ignazio di Antiochia
Ai Romani Olimpidoro Diacono
V,6 Commento a Giobbe
XXVII/2,21
Ireneo di Lione
Contro le eresie Origene
XV,i Contro Celso
La predicazione apostolica XXVI/1,17
XV,i Esortazione al martirio
IV,6
Marco il Monaco I principi
A Nicola XXVI/1,17
XV,73 Selecta in Genesim
Il Battesimo XV,76
VI,25; Su Numeri
XV,51.73 IV,6
La legge spirituale Sul Levitico
IV, 103; XXVII/2,2
XV,51.73.74;
XXII,6; Palladio
XXVII/48 Storia lausìaca
cAz si crede giustificato per le opere V, 5 ,p; XXIV,1
VI,25; XXV,40;
XIII,io; XXVI/1,42
XV,51.73;
XXIII,4; Paolo Everghetinos
XXV,34;
XXVIII,38.57 XXV,35
540
INDICE
5 INTRODUZIONE
5 1. Giovanni Climaco e la “Scala”
5 1. x. La vita di Giovanni Climaco
12 1.2. Destinatari e scopo dell’opera
16 1.3. Contenuto e stile
23 1.4. Le fonti della “Scala”
33 1.5. Popolarità e influenza
37 2. Alcuni temi spirituali della “Scala”
37 2.1. La direzione spirituale
44 2.2. “Charmolype”: lacrime e gioia
47 2.3. “Eros” divino
53 2.4. La “preghiera di Gesù”
61 NOTA EDITORIALE
63 LA SCALA
65 Prologo
67 Breve vita del beato Giovanni, igumeno del santo monte Sinai,
detto Scolastico e autore delle “Tavole spirituali”, ovvero della
“Scala santa”
81 Lettera di risposta
541
85 DISCORSO ASCETICO DI ABBA GIOVANNI IGUMENO
DEI MONACI DEL MONTE SINAI INVIATO AD ABBA
GIOVANNI IGUMENO DI RAITO
542
291 Discorso XVIII. Sul sonno, sulla preghiera
e la salmodia comunitaria
295 Discorso XIX. Sulla veglia del corpo e sul modo di praticarla
543
461 Breve esortazione che riassume in modo altrettanto efficace
quanto è stato detto per esteso
493 BIBLIOGRAFIA
513 GLOSSARIO
544