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Divinazione: la comunicazione tra Orun e Ayé

3. DIVINAZIONE: LA COMUNICAZIONE TRA ORUN E AYÉ

Ifá parla per enigmi,


ma i saggi comprendono le sue parole

Proverbio africano

Ifá è la divinità preposta al destino e alla divinazione anche se, come sottolinea
Verger (1954, p. 102), non è propriamente un Orixá, ma è l’oracolo, il portavoce di
Orumilá e degli altri dei, indicando Orumilá come un altro nome del dio supremo
Olôfin.
Secondo quanto riportato da Ligiéro (1993, pp.
115-116), invece, nel folklore di Ifá Orumilá fu un
profeta vissuto intorno al 2500-2100 a.C. nella città
sacra di Ifé, dove insegnava un sistema di etica,
credenze religiose e visione mistica. Verso la fine
della sua vita Orumilá insegnò ai suoi discepoli un
metodo di divinazione chiamato Dafa.
Un ulteriore visione, riportata da Cacciatore
(1977, p 198), e forse quella più diffusa, indica Ifá
come la parola di Orumilá1 e allo stesso tempo lo
identifica con Orumilá stesso.
Sebbene non sia un Orixá vero e proprio ebbe delle relazioni amorose con un certo
numero di divinità, quali Yemanjá, Ajé, Oxum e molte altre (Verger, 1982, p. 124).
Il Babalaô (letteralmente: il padre dei segreti), che Bastide (1958, p. 115) identifica
come uno dei quattro tipi di sacerdoti che esistono del Candomblé, a ognuno dei quali è
di pertinenza un preciso ambito della realtà, presiede al culto di Ifá. Il Babalossâim,
invece, presiede al culto di Ossâim, il Babalorixá e la Ialorixá presiedono al culto degli
Orixás e infine il Babaojé, presiede al culto dei morti. In Africa il babalaô era al primo
piano nella gerarchia sacerdotale, sullo stesso piano del babalossâim e di Obatalá
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Orumilá sarebbe il messaggiero di luce così come Exu è quello delle tenebre.

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stesso, per cui molto al di sopra dei sacerdoti delle altre divinità. Tale è la sua
importanza che lui solo presiede ad un ambito così fondamentale quale quello della
divinazione.
Come sottolinea mãe Stella, citata da Barbàra (2003, p. 37) non si deve tanto
intendere con divinazione la capacità di predire il futuro, quanto l’abilità di creare una
comunicazione con gli Orixás e creare un ponte tra orun e ayé, capendo che tipo di
energie accompagnano la persona.
Il babalaô trascende qualsiasi terreiro: egli non è un membro iniziato del
Candomblé, ma una figura esterna a cui le varie case di Santo chiedono aiuto e
consiglio. Solamente gli uomini possono ricevere questa carica, anche se Maupoil,
citato da Bastide e Verger (1981, p. 66), afferma che in Africa esistono dei babalaô
femmine, tesi sostenuta anche da Patri Dhaifa, intervisatata da González-Wippler (1989,
pp. 100-109), la quale afferma di essere stata iniziata ai misteri di Ifá a Oxogbo, in
Nigeria. È però probabile che ciò a cui Maupoil si riferisce è un’altra figura: l’apetebi.
Questa è un’aiutante del babalaô, non necessariamente la sua compagna,
obbligatoriamente figlia di Oxum Yabá Omi, ed ha diritto di divinare, ma con non più di
16 búzios (Bastide, ivi, p. 117).
La figura del babalaô, a detta di molti autori (Carneiro, 1954, pp. 164-166; Verger,
1954, pp. 103-104: Cacciatore, ivi, p. 60; Prandi, 1997, p. 196), è oggi scomparsa del
tutto ma, come giustamente sottolineano Bastide e Verger (in Marcondes de Moura,
1981, p.60) e Barbàra (2003, p. 116), questi dati si riferiscono unicamente alla Bahia. I
primi riportano una serie di nomi di babalaôs di Recife e Brasila, mentre la seconda
afferma che a São Paulo arrivano continuamente Babalaô da Cuba, dove questa figura
sacerdotale è ancora molto presente all’interno della Santeria2. A Bahia l’ultimo
babalaô fu Martiniano Eliseu do Bonfim, legato all’Ilê Axé Opô Afonjá di mãe Aninha,
con la quale fondò il corpo degli obás di Xangô. È comunque un dato di fatto che i
sacerdoti di Ifá sono oggigiorno veramente pochi in Brasile, ma non ancora scomparsi
del tutto.
Ifá è una divinità che non si manifesta mai attraverso la trance, ma attraverso ciò
che Bastide (1958, pp. 115-116) definisce divinazione oggettiva, contrapponendola alla
divinazione soggettiva che è quella fatta dall’Orixá stesso quando si manifesta nel corpo
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Chiamata anche regla de Ocha, è il culto degli Orixás a Cuba, in molti aspetti simile al Candomblé e in
alcuni nettamente differente.

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dei fedeli. Esistono diversi metodi di divinazione oggettiva: l’opelé Ifá, chiamato anche
rosario o collare di Ifá, i 16 Ikin, gli obi e l’edilogun. Il babalaô non conosce la
possessione, ma deve sempre mantenere la sua lucidità intellettuale nel contatto col
divino. Per lui non si tratta di ritrovare il sé perduto corrispondente alla personalità
dell’antenato divinizzato, ma il suo è un compito puramente intellettuale e di memoria,
in quanto, durante un lungo periodo di apprendistato 3, deve ricordare un numero enorme
di leggende.
Verger e Bastide (1981, pp. 65-68) indicano diverse gerarchie tra i babalaôs.
Ramos, da loro citato, afferma che in Africa, in cima al gruppo degli indovini vi sono
l’oluô e lo jibonã, seguiti dall’odofin, che sostituice l’oluô in caso di sua assenza, l’aro,
l’asara pawo e l’apetebi, la moglie del babalaô. Secondo un altro sistema gerarchico, al
grado inferiore vi è il babalaô che usa solo 4 búzios, subito al di sopra quello che ne usa
16 e, infine, quello che utilizza il collare di Ifá e può giocare con 32 conchiglie.

3.1 Gli Odu: i 256 figli di Ifá

Miticamente gli Odu sono divinità che Orumilá lasciò sulla terra come suoi
messaggieri quando dovette tornare nell’orun. In totale sono 256 e si suddividono in
due categorie: i 16 Odu padre (babá Odu) che, combinati, formano i 240 Odu figli (omó
Odu). Il nome dei babá Odu è alquanto controverso poiché, come riporta Prandi (1997),
diverse fonti citano nomi diversi. I nomi degli omó Odu, invece, è dato dall’unione del
nome dei due odu padre. Mi riferisco in questo lavoro a quelli citati da Bastide (ibidem,
p. 121):

1.Ogbê
2.Oiecu
3.Iouri
4.Odi
5.Irossum
6.Ourim
7.Obará
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Burzio (1998, p. 111) afferma che l’iniziazione ai misteri di Ifá dura mediamente tre anni.

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8.Ocanrã
9.Ogundá
10. Ossá
11. Icá
12. Oturusom
13. Oturá
14. Iretê
15. Oxé
16. Ofum

Secondo una leggenda gli Odu non nacquero tutti insieme, ma uno dopo l’altro, per
cui i primi sono i più vecchi e sono considerati più forti.
Ogni Odu è legato ad un tipo particolare di energia e di destino, per questo è
importante capire quale Odu regge la nostra vita, anche perché i cammini (così vengono
anche chiamati gli Odu) più nefasti possono essere maneggiati e in parte contenuti con
le dovute offerte (cfr. il mito di Oxalá). Ci sono Odu di fortuna e ricchezza, come
Ogundá o Obará, ma anche di morte e povertà, come Odi o Icá. In ogni cammino,
inoltre, parlano uno o più Orixás, legati a quel tipo di energie. La questione su quali
Orixás parlano in un determinato Odu è alquanto controversa. È impossibile associare
ad ognuno di essi un determinato Orixá, poiché le diverse fonti citano nomi diversi e,
anche a stessi cammini, associano più di un Orixá. Lo stesso Bastide (ivi, p. 118)
utilizza determinati nomi di Odu in una lista, mentre ne usa altri quando li associa alle
divinità.
Ad ogni cammino, inoltre, sono associate delle leggende (itan), da un minimo di
quattro ad un massimo di sette secondo Barba (1999, p. 100), ben 16 secondo
Cacciatore (1977, p.185). Tutte queste storie devono essere conosciute dal Babalaô, per
un totale compreso tra un minimo di 1024 e un massimo di 4096. Si comprende subito
che una qualità indispensabile per un buon indovino è un’eccellente memoria. Colui che
conosce un maggior numero di leggende, infatti, è considerato più potente, perché riesce
ad adattere meglio il responso alla storia personale del consultante. Le storie associate
agli Odu, infatti, sono il responso stesso e possono avere significati diversi. Per questo è
fondamentale conoscerne il più possibile.

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3.2 L’opelé Ifá

Questo strumento divinatorio è oggigiorno molto poco, se non per nulla, utilizzato
in Brasile, ed è stato sostituito dal jogo de búzios, effettuabile anche dalle mães de
Santo. Lo stesso Martiniano do Bonfim non è mai stato visto utilizzarlo. Bastide (ivi, p.
122) afferma che le ragioni della scomparsa del rosario di Ifá sono due: la prima è che il
babalaô deve, prima di morire, trovare un suo successore, altrimenti la sua anima sarà
condannata da Ifá a errare intorno alla terra senza potersi reincarnare e senza trovare
pace. E oggi è difficile trovare qualcuno che accetti di consacrare la sua vita a Ifá. Il
secondo motivo è che, più si sale nella gerarchia sacerdotale, più sono gli obblighi e i
precetti cui sottostare. Chi usa l’opelé è al grado massimo e, poiché i búzios rispondono
tanto bene quanto il collare e possono essere utilizzati da coloro che appartengono a
gradi inferiori, per semplificarsi la vita si preferisce ricorrere all’edilogun. Braga
(1988), citato da Ligiéro (1993, pp. 118-119), afferma che
un ulteriore motivo per cui l’opelé Ifá è scomparso è dovuto
al fatto che esige una forte memoria collettiva e un potente
senso di radicazione con le proprie origini. Come abbiamo
visto, però, questo processo divenne impossibile in Brasile,
dove diverse etnie si mischiarono inevitabilmente tra di loro
creando un contesto socio-culturale diverso da quello
originale.
Una particolareggiata descrizione dell’opelé Ifá ci
viene fornita da Bastide e Verger (1981). Esso è costituito

Collare di Ifá
da una corda o una catenella con otto noci di cola che viene

presa a metà, in modo da lasciare quattro noci di cola a sinistra e quattro a destra. La
parte finale del collare è costituita da quattro prolungamenti a destra, e questa è la parte
maschile, e solo due a sinistra, e questa è la parte femminile. Indispensabili sono anche
una piccola pietra e una conchiglietta. L’indovino prende il collare a metà e lo fa
dondolare verso i quattro punti cardinali mentre sussurra una preghiera in iorubá, lo fa
oscillare per tre volte avanti e indietro e lo lancia su una tavola in modo che cada a

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forma di U, con la parte aperta verso il babalaô4. Le noci di cola possono cadere con la
parte concava rivolta verso l’alto o verso il basso. Nel primo caso l’indovino traccia su
un’apposita tavola di legno (fate) due linee verticali, nel secondo caso traccia due linee.
Se le quattro coppie di noci di cola si presentano allo stesso modo nella metà destra e in
quella sinistra, e quindi le linee sono uguali, si tratta di un babá Odu, mentre se cadono
diversamente a destra e a sinistra si tratta di un omó Odu.

1 2 3 4 5 6 7 8
Ogbê-mêji Oiecu-mêji Iouri-mêji Odi-mêji Irossum-mêji Ourim-mêji Obará-mêji Ocanrã-mêji
│ │ ║ ║ ║ ║ │ │ │ │ ║ ║ │ │ ║ ║
│ │ ║ ║ │ │ ║ ║ │ │ ║ ║ ║ ║ ║ ║
│ │ ║ ║ │ │ ║ ║ ║ ║ │ │ ║ ║ ║ ║
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9 10 11 12 13 14 15 16
Ogundá-mêji Ossá-mêji Icá-mêji Oturusom-mêji Oturá-mêji Iretê-mêji Oxé-mêji Ofum-mêji
│ │ ║ ║ ║ ║ ║ ║ │ │ │ │ │ │ ║ ║
│ │ │ │ │ │ ║ ║ ║ ║ │ │ ║ ║ │ │
│ │ │ │ ║ ║ │ │ │ │ ║ ║ │ │ ║ ║
║ ║ │ │ ║ ║ ║ ║ │ │ │ │ ║ ║ │ │

Tipologie degli Odu padri

Al consultante vengono dati la pietra e la conchiglia da mettere ognuna in una


mano. Il babalaô, dal lancio dell’opelé, vede se l’Odu più vecchio e più forte si trova
sul lato destro o sinistro e fa aprire la mano opposta. Per esempio, se a destra esce
Oiecu e a sinistra Obará, l’indovino farà aprire al consultante la mano sinistra, poiché
Obará è più giovane di Oiecu. Se nella mano c’è la pietra il risultato è positivo e gli dei
danno la loro benedizione, ma se c’è la conchiglia la risposta è negativa. In Africa, ad
ogni lancio, venivano raccontate le itan legate all’Odu che più si adeguavano alla storia
e alla richiesta del consultante. Oggi questa usanza è pressoché inutilizzata e alle
leggende si preferisce raccontare il significato dell’Odu. È importante sottolineare che
per essere un bravo babalaô non è sufficiente avere una buona memoria e conoscere le
regole del gioco, ma bisogna anche avere intuizione, sensibilità, il dono di poter
comunicare con le divinità creando un ponte tra orun e ayé. Senza questa qualità ogni
conoscenza diventa inutile e superflua.
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Presso i Fon, al contrario, è la parte aperta che resta verso il consultante.

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3.3 I 16 ikin

L’utilizzo dei 16 ikin per la divinazione viene ampiamente descritto da Iyakẹmi


Ribeiro (1996, pp. 193-196) e da GonzálezWippler (1989, p. 90). Gli Ikin sono i frutti
sacri della palma ope Ifá utilizzati nei paesi iorubá nei momenti più solenni, come
l’incoronazione di un re. Insieme ai semi viene utilizzato anche il fate, lo stesso usato
per l’opelé Ifá, sulla quale viene cosparsa la iyẹrosun, una polvere gialla tratta
dall’albero irosun, sostituibile con polveri ricavate dall’albero iroko o dal bambù.
La consultazione avviene in questo modo: il babalaô prende nella mano destra i 16
ikin e li passa in un lancio nella mano sinistra, considerata la mano della vita, cercando
di afferrarne il più possibile. Se riesce a prenderne una sola l’indovino traccerà sulla
tavola due linee con l’indice e il medio, se ne prende due traccia una sola linea con il
medio, se non ne prende o ne prende più di due il lancio deve essere rifatto.
L’operazione viene poi ripetuta per otto volte, fino ad ottenere l’Odu come nell’opelé
Ifá.

3.4 Il lancio degli obi

Si tratta di un gioco molto semplice descritto da Bastide e Verger (1981, p. 64).


Non permette di avere risposte complesse, ma solo dei sì e dei no. Viene utilizzato per
sapere se le offerte agli Orixás sono state accettate e se tutto è andato per il meglio.
Ogni noce di cola è divisa in quattro parti (oppure se ne usano due divise a metà); la
parte aperta è quella interna, quella chiusa è quella esterna arrotondata.

Gli obi vengono lanciati a terra e possono formare cinque possibili combinazioni:
1. Alafiá: la risposta è favorevole e rappresenta pace e tranquillità.
2. Etawa: la risposta è sfavorevole e bisogna capire cosa non è andato bene.
3. Eji Alaketu: la risposta è favorevole ed è un sì certo.

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4. Okanran: la risposta è sfavorevole e bisogna capire cosa non è andato


bene.
5. Oyeku: la risposta è disastrosa, un no nel modo più assoluto.

3.5 Il dilogun

La particolarità di questa tecnica divinatoria sta nel fatto che a rispondere al gioco
non è più Ifá, ma Exu, l’intermediario divino. Il dilogun utilizza delle speciali
conchiglie chiamate búzios5, preferibilmente importate dall’Africa poiché lì l’axé è più
forte, che si presentano con un lato zigrinato naturalmente (faccia chiusa) ed uno che
viene aperto manualmente limandolo o staccandolo con uno scalpellino (faccia aperta).
Il jogo de búzios, così viene chiamata più comunemente questa tecnica divinatoria,
rappresenta il primo processo di avvicinamento al Candomblé da parte del fedele.
Infatti, poiché a rispondere non è più Ifá, questo gioco può essere utilizzato anche dalle
mães de santo e non solo dai babalaô. Di solito una persona inizia a frequentare un
terreiro ed inevitabilmente decide di farsi leggere le conchiglie, le quali consigliano,
aiutano, dicono qual è l’Orixá de cabeça di una persona, prescrivono ebó per ingraziersi
gli dei… La consulta avviene, secondo quanto riportato da Barba (1999) solitamente in
questo modo: di fronte al consultante vi sono delle collane che delimitano uno spazio
sacro, all’interno del quale vengono lanciate le conchiglie, nella maggior parte dei casi
in numero di sedici. Accanto alle collane vi è sempre un bicchiere d’acqua, simbolo di
vita e catalizzatore delle energie negative del cliente, e una candela bianca accesa, il cui
scopo è quello di aiutare la mãe de Santo a raggiungere la giusta concentrazione. I
búzios vengono presi nelle mani e scossi, mentre si pronuncia a bassa voce una
preghiera in iorubá per omaggiare gli Orixás, primo fra tutti Exu. Le conchiglie
vengono gettate all’interno del cerchio e si contano quante ne cadono aperte. Ad ogni
combinazione è associato un Odu e uno o più Orixás. Per ogni domanda vengono
effettuati tre lanci e la configurazione con un maggior numero di conchiglie aperte è
quella predominante. La divinità associata ad ogni configurazione varia molto da
persona a persona, spesso cambia anche da mãe de santo a filho de santo. Riporto qui di
seguito quello tratto da Barba (ivi, p. 102).
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In italiano sono chiamati cauri, cyproea moneta

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Búzios aperti Orixás che rispondono


1 Exu
2 Oxalufã, Ibêji, Obá, Logunedé
3 Oxum, Yemanjá, Xangô
4 Oxóssi, Iansã, eguns, Yemanjá
5 Oxum, Yemanjá, Ogun, Omolu
6 Xangô, Exu, Euá
7 Ogun, Oxaguiã
8 Exu, Oxóssi, Obaluaiê, Ogun, Oxaguiã
9 Yemanjá, Iansã, Xangô Aganju, Obaluaiê
10 Oxalufã, Yemanjá, Xangô Agodô
11 Exu, Iansã
12 Xangô, Yemanjá
13 Nanã, Oxumarê, Ossâim, Ibêji
14 Exu, Ogun, Iansã
15 Rendere omaggio agli eguns
16 Chiudere il gioco

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