Sei sulla pagina 1di 51

Corso di Laurea: Lingue, culture e società dell'Asia

e dell'Africa Mediterranea - lingua Giapponese -


percorso antropologico

IL KENDO IN ITALIA

Relatore: Professor Toshio Miyake

Co-relatore: Professoressa Franca Tamisari

Laureando: Giulia Elisa Maria Rusciano


Matricola 842947

Anno Accademico
2014 / 2015

1
Voglio dedicare questo lavoro di tesi al nonno Nino, che mi

ha accompagnata per tutto il percorso dall’infanzia

all’adolescenza, trasmettendomi i SUOI valori, che oggi

fanno parte del mio insegnamento più prezioso, racchiusi in

un posto speciale della mente e del cuore, accanto a tutti gli

altri.

E anche se oggi non c’è più,

SO che in qualche modo mi sarà sempre accanto.

Giulia

2
INDICE

ABSTRACT pag. 4
ABSTRACT IN GIAPPONESE pag. 5

INTRODUZIONE pag. 7

CAPITOLO 1 (Che cos’è il Kendo) pag. 9

CAPITOLO 2 (Lo Zen nel Kendo e il Kendo nello Zen) pag. 15

CAPITOLO 3 (Il Kendo in Italia) pag. 22

CAPITOLO 4 (Riflessioni sulla mia esperienza da kenjutsuka e kendoka) pag. 25

CAPITOLO 5 (Scuole e interviste) pag. 29

CONCLUSIONI pag. 46

BIBLIOGRAFIA pag. 49

RINGRAZIAMENTI pag. 51

3
ABSTRACT

Questo lavoro di tesi nasce principalmente dal mio interesse pluriennale per le arti
marziali, in particolare il Kenjutsu e poi il Kendo (arti che ho praticato negli ultimi due anni
del liceo a Lugano presso la scuola di Kenjutsu Wa Rei Ryu, e i primi due anni di triennale a
Venezia presso la Mizuta Kendo ), e dalla realizzazione che sono pochi i lavori che
documentano il percorso che il Kendo ha fatto in Italia: come ci è arrivato, come si è diffuso,
come è stato interpretato e come viene praticato.

Il metodo di lavoro che ho utilizzato è stato il reperimento di fonti bibliografiche, a


partire da uno studio simile fatto da Mayuko Maekawa (2013) per il Kendo in Australia. Nel
suo elaborato, Mayuko partecipa e osserva con quelli che definisce i suoi "occhi occidentali"
le lezioni di Kendo in una scuola di Melbourne, concludendo che i praticanti interpretano la
disciplina in differenti modi e che il loro interesse non deriva necessariamente da un interesse
culturale nei confronti del Giappone. Un’altra importante fonte bibliografica è rappresentata
dagli scritti di Sharf e Koestler (1960; 1993) sulla diffusione dello Zen in Europa e Stati Uniti,
e su come i giapponesi dal periodo moderno (1868) in poi si sono impegnati a costruire e
divulgare la loro cultura e tradizioni.

Mi sono poi affidata ad una serie di interviste coi Maestri di alcune delle principali scuole di
Kendo in Italia (Roma, Pesaro, Firenze, Como), ricevendo da loro materiali e informazioni
dirette. Tra questi, il maestro Franco Sarra dell’Associazione Kendo delle Marche, è stato fra
le poche persone che hanno trattato la storia del Kendo in Italia. Nella sua intervista mi ha
presentato i due volumi della sua opera (il secondo volume ancora in fase di pubblicazione),
che tratta la teoria e la tecnica del Kendo, i suoi principi, la storia di questa disciplina
marziale, inclusa la sua diffusione in Italia. Perciò, questo mio elaborato procede partendo
dalle varie definizioni attribuite al Kendo e dai suoi rapporti con la “filosofia Zen”, quindi
come e quando il Kendo è arrivato e si è diffuso in Italia, poi la mia personale esperienza con
la disciplina, e le interviste con le varie scuole di Kendo in Italia, per giungere infine alle
conclusioni di questa ricerca.

Il risultato, solo in parte sorprendente, di questo lavoro è il ruolo che i media hanno avuto
nell’arrivo e diffusione del Kendo sul nostro territorio, cominciata verso gli anni 50 del secolo
scorso, e il percorso tortuoso che hanno affrontato le diverse scuole e associazioni prima di
giungere alla nascita di un’unica associazione (6 maggio 1988) che riuscisse a rappresentare la
disciplina a livello internazionale. Un altro risultato inatteso è stato che – nelle parole di

4
alcuni dei maestri interpellati – il Kendo, i suoi valori e la filosofia che li sottende sarebbero
meglio conservati nelle scuole europee e americane che non nella sua terra di maggior
diffusione (il Giappone), dove invece è stato soggetto ad un più rapido cambiamento.

Le conclusioni di questo lavoro sono perciò solo parziali, in quanto nel provare a
descrivere il percorso del Kendo in Italia, mi si è aperto un nuovo e forse più interessante
capitolo sui rapporti tra il Kendo italiano ed europeo con il Kendo originale evolutosi in terra
giapponese. Nelle mie intenzioni questo dovrebbe essere il prossimo oggetto di studio in una
prosecuzione del mio percorso di formazione universitaria, che dovrebbe portarmi proprio in
Giappone per esperire in prima persona la cultura e la pratica del Kendo locale, valutandola
poi in rapporto alle mie esperienze italiane.

私は過去練習した剣道と剣術といった武術が大好きなことから、この論文を
書きました。私は剣術をルガーノの和礼流という学校で二年間練習し、その後ヴェ
ネツィアにある水田剣道学校で剣道を二年間練習しました。
それにイタリアの剣道に対する論文は少なく、この武術がどのようにイタリ
アに到達し広まったか、また剣道に対する意見や経験などを詳しく説明してみまし
た。
私の研究方法として、剣道や禅などについて書かれた様々な文献を読みまし

た。それらの中のひとつ、2013 年にメルボルンで剣道について書かれた前川真由子
学士の論文では、彼女の欧米的見方で剣道の練習を見学、体験しています。彼女は、
剣道家がそれぞれ独自の方法で規律を解釈し、剣道を好きだからといって必ずしも
日本という文化に興味があるとは限らないと結論付けています。
ほかの大切な論文はシャルフとケストラーという作家によるもので、いかに

して禅がアメリカとヨーロッパで広まったかについて、また近代(1868 年)以降日
本人が自国の文化と伝統をどのようにして育み広めることに努めてきたのかについ
て研究しています。

またイタリア各地の剣道の先生方と直接お会いしてインタビューをおこない
ました。なかでも、イタリアにおける剣道の歴史について研究したフランコ・サッ
ラ先生にはいろいろな資料を送って読ませて頂きました。

5
サッラ先生はインタビューの中で、自身の「剣道、刀の道」について書かれ
た本をご紹介くださいました。この本は二部に分かれており、二冊目は近々出版予
定だそうです。
そこで私の論文の構造は、まず剣道のいろいろな定義について論じます。ま
た剣道と「禅の哲学」との関係について論じます。さらに、いつどのようにして剣
道がイタリアに来たのかについて論じ、また私の過去の個人的な経験と考えについ
て話します。
最後は先生方のインタビューと私の結論で締めくくります。

私の個人的な結論は、テレビと広報のようなマス・メディアが 1950 年代に始


まった剣道の普及に大きな役割を果たしたということです。またイタリアの剣道の

各協会が難関を乗り切り、1988 年 5 月 6 日にようやく国際レベルの協会を設立で
きたことも読んで記しました。

何人かの先生方が、剣道の哲学と精神的な価値は日本より欧米でより大切に
守られてきたと言っておられました。それは日本では剣道が急速に変わってしまっ
たからだそうです。

しかしながら、本研究における私の結論は不完全です。なぜなら、剣道とイ
タリアでの剣道について研究するうちに、新たにもっと面白い研究対象を得たから
です。私の次の目標は、イタリアに来た剣道と日本やアメリカの剣道との関係につ
いて詳しく研究することです。この大学教育の一環として日本を旅行し、自分で日
本の生活と剣道を体験したいと思います。さらに、私の計画はこうした経験を比較
して剣道に対する人類学の結論として読まれる研究本を書くことです。

よろしくお願いいたします。

6
INTRODUZIONE

Il XXI secolo viene oggi definito come il "secolo della globalizzazione" e degli
"scambi interculturali". Nelle parole di un professore dell'università di Yale, tratte dal suo
manuale "A world connected” (2012):

‘No word has evoked as much passion in recent times as the word “globalization”,
which carries an array of meanings among different people and disciplines. However,
the fact is that globalization is a historical process that has connected the world and
1
influenced it, for better or worse, in every aspect of life.’

Sicuramente lo sviluppo dei media ha contribuito allo sviluppo degli scambi


interculturali sia di merci che di idee. Una delle preoccupazioni maggiori è diventata: come
presentare e vendere ciò che si definisce la "propria cultura" alle altre società?

Tramite manifestazioni, film, cartelloni pubblicitari, ristoranti etnici quali sushi wok e
ristoranti indiani, il continente asiatico è riuscito a far penetrare in territorio europeo parte di
ciò che loro reputano essere caratteristico e degno di essere esportato.

Io stessa ho imparato a conoscere in Svizzera (dove sono nata e cresciuta fino a tre
anni fa) quello che veniva fatto passare come "l'Altro Mondo", tramite pubblicità e film. Le
2
arti marziali, e in particolare il Kenjutsu e il Kendo mi hanno da subito affascinata, per
l’eleganza e la particolarità dei movimenti, l'abbigliamento e l’uso della spada. Inizialmente
attratta dall'aspetto estetico di queste discipline, mi sono poi voluta informare anche sul loro
aspetto pratico, e sulle varie scuole di pensiero e filosofie che ne erano alla base, così come
traspariva dai materiali informativi con cui ero venuta a contatto.

Infine, quando ho cominciato a interessarmi di antropologia culturale all'età di 20 anni,


questa mia curiosità si è spostata anche sulla gente intorno a me. Frequentando i corsi del
professor Ligi, del Professor Miyake e della professoressa Tamisari, ho imparato a conoscere
le diverse interpretazioni date ai concetti di società, etnia e cultura a partire dal XIX secolo da
studiosi e antropologi quali Tylor, Hall e altri; le difficoltà e le problematiche che sorgono o
possono sorgere nell'utilizzare questi termini in determinati contesti, e che in realtà qualsiasi

1 Nayan CHANDA, A world connected , Yale University Press, 2012


2 Sono conscia del fatto che la trascrizione in rōmaji dovrebbe seguire il sistema Hepburn. Tuttavia visto che
molti articoli si richiamano al kenjutsu e al Kendo utilizzando la maiuscola, così farò anche io in questo
elaborato di tesi.
7
concetto che noi esperiamo, analizziamo e interpretiamo, non ha alcuna verità assoluta al suo
interno, ma il significato viene attribuito e diffuso principalmente grazie al linguaggio, alle
istituzioni di potere e al singolo soggetto che recepisce e interpreta l'informazione data.

Perciò, in questo elaborato di tesi triennale mi sono riproposta di unire la mia vecchia
passione per il Giappone e per il Kendo con il mio recente interesse verso l'antropologia
culturale, per cercare di capire come questa disciplina marziale sia stata accolta sul suolo
italiano, come alcuni maestri di alcune scuole di Kendo che ho contattato l’abbiano
conosciuta, apprezzata e sperimentata.

Fino ad ora son stati condotti tanti studi sul Kendo come concetto, e sul suo rapporto
con le filosofie orientali (in particolare le scuole legate allo Zen). Questi argomenti li
riproporrò anche io nei primi capitoli introduttivi all’elaborato. Nel compilare questo lavoro
mi sono resa conto però che in pochi hanno eseguito uno studio concentrato sul Kendo in
Italia. Un lavoro simile era stato fatto a Melbourne dalla dottoranda Mayuko Maekawa
(2013), al quale mi sono ispirata e a cui mi sono riferita in vari punti dell'elaborato.

E’ mia intenzione, andando avanti con gli studi nel ramo dell’antropologia culturale,
approfondire la materia di questo studio, espandendo le mie osservazioni su come viene
esperito il Kendo in varie scuole situate in Giappone e anche in altre nazioni differenti al fine
di realizzare una vera analisi antropologica comparata.

Spero comunque che questo saggio iniziale possa essere di vostro interesse e che
quantomeno stimoli la curiosità del lettore invogliandolo ad approfondire la materia e magari
anche provare questa disciplina.
GIULIA ELISA MARIA RUSCIANO

8
CAPITOLO 1

Che cos'è il Kendo

Nell’affrontare la storia del Kendo in Italia, è opportuno cominciare cercando di definire


questa disciplina marziale per meglio capire come e perché si differenzia così tanto dalle normali
discipline sportive.

Tra le definizioni di Kendo, quella forse più popolare, anche se meno appropriata, è quella di
"scherma giapponese".

Infatti, dal significato letterale, si trova che:

Ken 剣: spada

Do 道: via

Quindi letteralmente il Kendo si potrebbe definire come la via (do) della spada (ken).

Lo statuto della Confederazione Italiana Kendo (CIK) nata nel 1988 ne dà questa
definizione:

"il Kendo è un modo di vivere (ikikata), qualificato dalla ricerca della perfezione come essere umano
attraverso l'addestramento nei principi dell'arte del maneggio della spada giapponese. Il cammino
1
per raggiungere la perfezione spirituale attraverso l'allenamento fisico."

Secondo la definizione della Zen Nihon Kendo Renmei (ZNKR), Federazione Giapponese di
Kendo sorta nel 1952:

"Kendo denotes the “nature (Riho) of the Ken” which was self-taught and acquired by the Japanese
Samurai (warrior) through their experiences in many battles using their sword. Therefore, the
learning of Kendo means learning the nature of the Ken. To state further, it is important to study the
spirit of the Samurai, which is within the nature of the Ken. And a means of learning this spirit is
learning how to use the sword through harsh training. This is the reason why the objective of Kendo
2
is usually referred to the way of developing the person.”

1CIK Kendo, in "Kendo-CIK, http://www.Kendo-cik.it/NEWWEB/TESTI_WEB/Show-


TESTIWEB-Table3.aspx 2 ZNKR, "What is KENDO?" In Kendo/Origin/
http://www.Kendo.or.jp/Kendo/origin/ 3 CIK, a cura di Eugenio De Medici, "I principi del
Kendo", 2002 http://www.Kendocik.it/Italiano/Varie_pdf/Bologna2003/Principi.pdf
9
Nel “Kendo no rinen” (Il concetto di Kendo), documento del 1975, viene riportata, come
spiega la CIK, l'ultima nozione accessibile per mezzo della logica e considerata orientamento
fondamentale per coloro che anche oggi apprendono il Kendo:

"è la via della ricerca della perfezione come essere umano attraverso l'esercizio dei principi
3
della spada."

Tutte queste definizioni vengono riassunte dal maestro Kozo Takizawa, 8° Dan, nell’ articolo:
"Kendo - La Via della Formazione dell'Essere Umano”, in cui l’autore intende correggere "l'ideale
del tutto superficiale e distorto" che si stava sviluppando in Italia e in Europa sul Kendo.

Attualmente, secondo la Federazione Giapponese di Kendo (ZNKR), scopo di questa disciplina è:

To mold the mind and body,


To cultivate a vigorous spirit,
And through correct and rigid training,
To strive for improvement in the art of Kendo,
To hold in esteem human courtesy and honor,
To associate with others with sincerity,
And to forever pursue the cultivation of oneself.
This will make one be able:
To love his/her country and society,
To contribute to the development of culture And
to promote peace and prosperity among all peoples.

Ci si potrebbe stupire a pensare che il Kendo, disciplina attribuita alla figura del samurai e
pensato, secondo uno stereotipo iniziale diffuso a partire dal periodo moderno (1868), come
disciplina marziale volta a combattere e eliminare l'avversario, venga definita in realtà come
disciplina che coltiva lo spirito, aiuta a relazionarsi con gli altri e promuove pace e prosperità tra le
persone. Oppure, come lo definisce il maestro Kozo Takizawa, una disciplina che rispecchia le leggi
fondamentali dell'educazione.

10
A sostegno e spiegazione di questa definizione intervengono le parole del maestro Kanzaki

"Il Kendo in effetti oggi ha subito una profonda trasformazione passando da tecniche volte a colpire
l'avversario a tecniche per colpire l'avversario con uno shinai (spada in bambù). Questo mutamento
è
il risultato di un cambiamento di finalità che il Kendo ha subito evolvendo attraverso epoche di
1
pace. Si è passati da una spada che uccide a una spada che fa viver e".

Ci si allena quindi non solo per imparare a tagliare e portare colpi, ma anche per rafforzare
corpo e spirito e imparare a riportare questa attitudine, e sfruttare questa crescita "interiore" anche
nella vita quotidiana.

L'aspirazione è quella di assumere tramite lo shinai uno stato che in giapponese viene
definito come "shin ki ryoku itchi", unione di mente, energia e tecnica. Difatti, negli allenamenti
non viene più utilizzata la katana affilata, utilizzata nei dojo per praticare lo IAIDO; niente
combattimento, ma solo pura forma e eleganza nel movimento.

Come avviene in molte altre arti marziali, quali judo e karate, l'avanzamento tecnico nella
pratica del Kendo è misurato con un sistema di gradi a cui, per i gradi più elevati, può essere aggiunto
un riconoscimento onorifico. I gradi si indicano in termini di Kyu e Dan (sistema kyudan), sistema

1Hiroshi KANZAKI, Il Kendo come cultura tradizionale giapponese,2010


http://www.Kendocik.it/italiano/ki/doc_pdf/pdf_29/Kanzaki.pdf
11
che, come afferma Luigi Rigolio in "Sugli esami Kendo: riflessioni strettamente personali"(2014),
risponde a un bisogno di "gerarchia" secondo lui insito in "quella cultura". Ad esempio il "sistema
shinokosho" che vigeva in periodo Edo distingueva i bushi dalle altre classi inferiori, quali
contadini, artigiani e mercanti. Infatti, osservando le stampe delle scuole di Kendo dell'epoca
premoderna (Edo 1603-1868), si intuisce come già allora vi fosse una divisione per livelli, ben
marcati dalla posizione fisica nel gruppo.

Quello che distingue il Kendo dalle altre discipline, è che nel Kendo non basta colpire
l'avversario: affinché un colpo venga definito valido (ippon) bisogna che contenga armonia, corretta
attitudine e postura, e rispetto dell'avversario; bisogna saper accettare gli attacchi e i colpi ricevuti,
consapevoli che contribuiscono anch'essi a un nostro miglioramento della pratica. Difatti il Katsunin ken
incorpora l'idea che "a seconda del modo in cui si usa il proprio cuore e la propria mente, il Kendo può
diventare la capacità di migliorare la propria vita e quella del proprio opponente".

Lo stesso concetto è ribadito anche dal Maestro Sotaro Honda, 7°Dan in Giappone, il quale
afferma che:

"se ci si approccia al jigeiko (combattimento a due in cui si applicano le tecniche acquisite durante
l'allenamento) nel modo sbagliato, concentrandosi solo sul colpire l'avversario, non ci si può
1
aspettare nel futuro un reale sviluppo come Kendoka."

Honda sottolinea che parti essenziali del combattimento sono:

• Avere una opportuna zanshin (mente attenta),

• Essere pronti ad attaccare o a difendere secondo i principi del Kikentai no ichi e del Ko bo ichi
cercando allo stesso tempo di sopraffare il Ki dell'avversario "uccidendo" la sua spada e
controllandone il movimento della punta con una buona seme (pressione psicologica) cercando una
strategia per dominare il centro.

La Seme viene meglio definita dalla CIK come

"la nostra determinazione, è la nostra volontà di esprimerci attraverso l’attacco che andremo a fare,
è tendere a prendere l’iniziativa (Sen) creando una rottura (Suki) nella posizione mentale e/o fisica
dell’avversario".

Sia esperendolo in prima persona, che anche attraverso la visione di alcuni filmati che
mostrano il combattimento tra due Kendoka, si intuisce che come disciplina il Kendo si distanzia

1Sotaro HONDA, Kendo Approaches for All Levels”, Bunkasha International, 2012
12
dalla scherma e anche dagli altri sport in generale. Si nota ad esempio nell''abbigliamento
l'armatura che si indossa con le parti definite:

men: copricapo

kote: protezioni per i polsi

do: protezione per il ventre

oppure dalla posizione che gli opponenti assumono, il loro modo di squadrarsi l'un l'altro, il kyai
(grido che accompagna ) lanciato al momento dell'attacco.

Nelle parole del Maestro Sarra, autore di un libro che narra la storia del Kendo in Italia
(purtroppo ormai difficile da reperire):

"nelle arti marziali giapponesi esiste un concetto, SHUGYO, che rappresenta la differenza tra il Kendo e
1
qualsiasi altra attività fisico- sportiva "

Shugyo 修 行 , composto dagli ideogrammi che significano rispettivamente "correggersi,


emendarsi, migliorarsi" e "andare/azione " si potrebbe tradurre come addestramento, pratica: infatti
lo shugyoso composto con i kanji di shugyo rappresenta la figura del monaco asceta.

A differenza della scherma, il punto ippon viene validato solo se si colpisce l'avversario
mostrando anche un corretto spirito, posizione e tecnica della lama (ki ken tai no itchi).

Sempre a differenza delle discipline sportive classiche, il Kendo riporta vari principi che la
ZNKR ha specificato e che la CIK nel suo sito ufficiale si è occupata di tradurre:

• Armonia nel movimento (enkatsu-ni), corretta attitudine mentale (tadashii kokoro), corretta
postura (tekiseina shisei) e pienezza di spirito (jujitsu-shita kisei).

Lo “ippon” è proprio il colpo che contiene la presenza di questi principi, eseguiti sfruttando i
waza, definiti come "leggi della spada”, e appresi mediante l’allenamento, durante il quale non ci si
allena solo per rinforzare il fisico.

Anche il maestro Kozo Takizawa ribadisce che l'allenamento del Kendo richiede e sviluppa virtù
quali: etichetta, coraggio, pazienza, modestia, sincerità, onore, indipendenza e autocontrollo.

Considerando un'intera lezione di Kendo, si nota come queste virtù vengano incorporate e come
l'allenamento consenta di svilupparle e migliorarle di volta in volta.

1 Franco SARRA "Kendo-La via della Spada" Luni Editrice 2015


13
Difatti:

Per tutta la durata dell'allenamento va mostrato un corretto comportamento cominciando la


lezione e chiudendola con un saluto (rei) alla scuola (dojo) e alla divinità (kami).

Partecipare a tutti gli allenamenti richiede coraggio e pazienza (oltre che perseveranza, concetto
base secondo il quale il Kendo - come giustamente appunta Franco Sarra – “deve essere praticato
sempre, in ogni situazione e condizione fisica"

Il rispetto per l'avversario deve emergere durante gli allenamenti proprio perché il Kendo,
basandosi sulle relazioni tra gli esseri umani, richiede un profondo rispetto per l'altro che ci sta di
fronte.

Il maestro Takizawa conclude affermando che

1
"attraverso queste virtu' l'essere umano può raggiungere il proprio benessere "

In conclusione di questa breve introduzione al Kendo, si potrebbe dire che per comprendere meglio
questa disciplina, oltre che a leggere statuti, regolamenti e guardare video o esibizioni dal vivo come
semplici osservatori, bisognerebbe esperirla in prima persona. Difatti, se si conoscono e si approvano le
conclusioni a cui sono giunti diversi antropologi quali Fabian (1990), Turner (1986) o Clifford (1988),
per comprendere a fondo un concetto è indispensabile l'osservazione partecipante. Difatti, come
2
affermato nei rispettivi saggi , partecipare alla pratica che si osserva permette al ricercatore di cogliere
e di riflettere alcuni aspetti del suo significato che altrimenti sarebbero

1 Takizawa KOZO "Kendo: La via della formazione dell'essere umano” in Master Budo
2
FABIAN Johannes , “Power and Performance”, University of Wisconsin Press,1990
TURNER Victor “Antropologia della performance” edizione italiana a cura di Stefano De Matteis, Bologna, Il
Mulino 1993 (ed. orig. 1986)
GRAHAM John, “Victor Turner and contemporary cultural performance: An introduction. In Victor Turner
and contemporary cultural performance.” New York: Berghahn 2008
14
trascurati. L’esperienza della performance e la partecipazione alla pratica sono modalità di
conoscenza tanto quanto il dialogo e lo studio da semplice osservatore.

“L’autorità etnografica dell’antropologo si basa tutta sul suo “essere stato là”, sul suo viaggio
iniziatico e sulla mistica del campo come “osservazione partecipante”, cioè osservazione diretta di
una realtà che si dispiega tutta sotto i suoi occhi. In questo senso l’incontro etnografico avviene in
1
uno spazio determinato accuratamente, ma al di fuori del tempo.”

Questo non vuol dire che sia comunque possibile arrivare a una comprensione assoluta della
disciplina; anche i più grandi filosofi greci ammoniscono che mai si arriverà al traguardo, c'è
sempre qualcosa da imparare, ma sicuramente l'esperire in prima persona questa attività marca sul
corpo i vari concetti e termini sopraelencati, troppo astratti da figurarsi nella mente.

CAPITOLO 2
LO ZEN NEL KENDO E IL KENDO NELLO ZEN

Lo Zen rappresenta una serie di scuole buddhiste sviluppatesi dall’ VIII secolo in poi sul
territorio giapponese a partire dalla scuola Gozu istituita da Saicho.

Il Kendo e lo Zen potrebbero essere considerati come le due rotaie parallele che formano un
unico binario. Infatti, tanto nel Kendo quanto nella meditazione zazen (immobile) si incontrano
termini affini alle varie scuole di filosofia Zen.

Appare infatti che parte dello Zen abbia attinto al Kendo, come ci fa notare Dennis Lishka in un
suo articolo (1978) che si richiama alla figura del maestro Takuan, e che verrà analizzato più avanti.

1 CLIFFORD James, “I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel XX secolo”, Torino, Bollati
Boringhieri,2004
15
1
D'altra parte però, ricordando le parole di Kuroki Yoshitake in “Kendo e Zen” , non è erroneo
affermare che anche il Kendo abbia preso molto dalle scuole Zen. Fu difatti un'influenza reciproca. A
questo punto, per meglio circoscrivere il termine Zen, riportiamo le parole del maestro Shunryu Suzuki,
monaco Zen della setta sōtō, che contribuì a rendere noto il buddhismo Zen negli Stati Uniti:

2
“Zen is not some kind of excitement, but concentration on our usual everyday routine .”

Il secondo patriarca, allievo di Bodhidharma, ha riassunto la filosofia Zen in 4 sentenze:

• Intoccabile e non ortodossa,

• Non fondata su parole o scritture,

• Che punta dritto alla mente umana,

• Che guarda dentro la natura umana aprendo l'accesso alla Buddhità.

Di fatto, lo Zen non ha e non può avere una definizione esatta, in quanto per sua stessa natura
sfugge a qualsiasi categorizzazione. Il suo fondamento va trovato nell'esperienza quotidiana, è un
incontro naturale e spontaneo tra il soggetto e ciò che lo circonda, una volta liberato dalle illusioni
3
(velo di Maya ).

Quando si domanda ai monaci Zen "Che cos'è lo Zen", una delle risposte che si può ricevere è:
“Your ordinary, everyday life."
O anche:

"A mental divestment of yourself until you recognize your true nature."

Altri maestri, come riportato da R.H.Sharf (1993), lo definiscono come

"Three pounds of flax” Oppure:


"A decaying noodle"

O addirittura come

"a toilet stick"

Infatti, concludendo insieme a Sharf:

1Yoshitake Kuroki: “KENDO E ZEN” 2012 http://ittoryukai.it/wp-content/uploads/2012/12/Kuroki_Zen.pdf


2
Shunryu Suzuki, "Zen Mind, Beginner's Mind (1973)
3 La rappresentazione, ovvero il fenomeno come velo di Maya (apparenza illusoria) consta di soggetto e
oggetto e si basa sulle forme a priori di spazio, tempo e causalità.
16
1
"Zen cannot be debunked, because its method is self-debunking"

E quello che conta è la semplice esperienza dell'essere come la quiddità dell'esistenza.

Queste semplici ed essenziali affermazioni riguardanti il concetto di Zen sembrano in contrasto


con quello che molti Giapponesi nazionalisti desiderosi di affermare una loro "cultura”, hanno
sostenuto e diffuso in periodo moderno guadagnando fiducia e rispetto da molti europei e americani.
Infatti questi autori sovraccaricavano il concetto di Zen con termini quali "estetico”, "bello" o
"raffinato”, che solo una mente giapponese può comprendere e apprezzare fino in fondo, come ben
ci fanno notare gli autori Sharf e Koestler nei rispettivi articoli "The Zen of Japanese Nationalism" e
"A stink of Zen".

Di conseguenza, in periodo moderno pre e post II Guerra Mondiale, molti giapponesi attivisti,
nel tentativo di dare una definizione di Giappone e Popolo Giapponese, portarono all'esasperazione
determinati concetti e valori secondo loro legati alla tradizione e alla cultura del Giappone. Uno di
questi fu D.T.Suzuki, vissuto a cavallo tra 1800 e 1900, scrittore di libri e saggi riguardanti lo Zen e
il Buddhismo. Egli definisce lo Zen come la cristallizzazione di tutte le filosofie orientali, esso è

" the whole mind, and in it we find a great many things2"

D.T. Suzuki

1Robert SHARF, The Zen of Japanese Nationalism in Hystory of Religions, Vol.33 The university of Chikago Press 1993
2 D.T.SUZUKI, An introduction to Zen Buddhism, Grove Press 1934
17
Come ancora sottolinea R.H.Sharf nel medesimo articolo (1993), professore e studioso di
Buddhismo, sia lo Zen che il bushido divennero espressione della giapponesità, e nonostante il
termine bushido compaia sin dalla letteratura di periodo Meiji (1868-1912) in avanti, i Giapponesi
sfruttarono questi termini per confermare e celebrare la loro superiorità spirituale e sostenere di
possedere un vantaggio evolutivo.

Anche i giardini Zen, ben noti come espressione del pensiero Zen, non compaiono come tali in
alcun manuale Zen prima del periodo moderno.

I testi atti a esaltare lo spirito e le virtù giapponesi per acclamare la superiorità del popolo stesso,
vengono racchiusi nel termine Nihonjinron.

I Nihonjinron infatti sono scritti che si focalizzano sulla questione culturale e identitaria del
Giappone, cominciati a esser pubblicati in periodo Edo, periodo riconosciuto come periodo di pace
e prosperità per l'assenza di guerre e la chiusura delle frontiere, e come tali divennero una sorta di
"Bibbia" per questi ultranazionalisti di periodo moderno.

Ancora dalle parole di Sharf nel medesimo articolo "The Zen of Japanese Nationalism"(1993):

"Nihonjinron is in large part a Japanese response to modernity, the sense of being adrift in a sea
of tumultuous change, cut off from the past, alienated from history and tradition. Since the Meiji
reforms, Japanese intellectuals have been confronted with the collapse of traditional Japanese
political and social structures, accompanied by the insidious threat posed by the hegemonic
discourse of the West."

Quindi lo Zen e lo spirito del samurai, divennero concetti per esemplificare la superiorità dello
spirito giapponese.

18
Con quanto detto finora non si intende sminuire lo Zen, ma ricondurlo alla sua evoluzione storica
per poter meglio spiegare come questa filosofia abbia influenzato la pratica del Kendo e viceversa.

1
In un articolo di Koestler (1960) viene esplicitato come gli insegnamenti Zen, quali koan e
mondo2 abbiano poco della bellezza e della raffinatezza che vien propagandata da altri. Per questo
motivo l'articolo è intitolato "A stink of Zen" (Puzza di Zen). Secondo Koestler, lo Zen non ha né
dottrina né sacre scritture e il suo insegnamento viene trasmesso tramite strane parabole (appunto i
koan), che portano a un iniziale spaesamento. Sharf ne riporta vari nel suo articolo proprio per
sottolinearne la rozzezza e l’assurdità apparenti:

"Everybody has a place of birth; where is your place of birth?"

Risposta: “Early this morning I ate white rice gruel, now I'm hungry again".

Questi koan vengono studiati e sfruttati dai monaci Zen per superare le dicotomie e le definizioni
delle illusioni che permeano e circondano l'essere.

L'attitudine che un monaco Zen deve avere è quella della "mente senza la mente", come insegno'
il maestro Takuan nel XVI secolo.

Gli insegnamenti Zen del maestro Takuan dimostrano attraverso le parole di Dennis Lishka in
un noto articolo tratto dal “Japanese Journal of Religious Studies”del 1978, che per meglio
trasmettere il concetto astratto dello Zen relativo al mushin (mente senza la mente), si necessita di
una immagine dinamica, ricca di significati e di episodi, tale da rendere la scoperta della verità
interessante e rilevante per la reale esperienza.

Kuroki Yoshitake, insegnante di Kendo e 7° Dan, tenne un discorso nel 2012 ritrascritto dal
Maestro Cipollaro e tradotto da Brivio, in cui ribadisce l'influenza reciproca tra Kendo e Zen:

"lo Zen in poco tempo ha influenzato la casta dei samurai, e anche il Kendo contemporaneo è il risultato
di una grande influenza dello Zen: all'inizio del periodo Edo, in una famiglia samurai il più importante
esponente chiamato Yagyuo Munemori ebbe un rapporto stretto con il monaco Takuan e ne fu
3
influenzato moltissimo lasciando diversi scritti."

1 Affermazioni paradossali usate per aiutare la meditazione e quindi "risvegliare" una profonda
consapevolezza. Spesso si trovano nella narrazione dell'incontro tra un maestro e il suo discepolo nel quale in
questo modo viene rivelata la natura ultima della realtà
2 Definiti da Koestler in ‘A stink of Zen’ come "brief , sharp dialogue between master and pupil "
3 Kuroki YOSHITAKE KENDO E ZEN in "Ittoryukai", 2012
http://ittoryukai.it/wpcontent/uploads/2012/12/Kuroki_Zen.pdf
19
Quindi se da una parte ci sono le testimonianze riportate da Dennis Lishka del noto monaco
Takuan, che sottolineano l'importanza che la concretezza della disciplina e l'attitudine
nell'allenamento hanno avuto sulla filosofia Zen, dall'altra si può capire dalle parole riportate sopra,
che anche Yagyuo Munemori attinse e si ispirò agli insegnamenti Zen e del monaco Takuan.

Anche Miyamoto Musashi, noto militare e scrittore del XVI secolo, riporta una visibile
influenza dello Zen nei suoi libri. Ad esempio, la sua opera intitolata "I cinque anelli"(1642) è
suddivisa in cinque parti, ognuna si riferisce a un elemento costituente l'universo secondo la cultura
taoista: terra, acqua, aria, fuoco e vuoto. Ogni capitolo tratta di un tema inerente l'arte della spada e
le tecniche di combattimento, tranne l'ultimo in cui l'autore trae le sue conclusioni filosofiche.

Altro maestro di Kendo, Kenshi Shimada, ricordato nelle parole di Kuroki Yoshitake (che lo
conobbe di persona) nella medesima lecture, e considerato santo e illuminato del Kendo poiché
compose i suoi primi scritti già all'età di 21 anni, influenzato dalla filosofia Zen scrisse:

"che cosa è il Kendo? Non è colpire una persona ma è colpire il cuore di una persona "

Esclude da questa frase tutta la brutalità e la violenza che potrebbero venir riportate alla mente
all'idea di eseguire una disciplina con una spada affilata, trasferendo il significato del colpo a un
puro gesto di riflessione, crescita e introspezione.

Anche Yamaoka Tesshu, persona importante vissuta a cavallo tra periodo Edo e Meiji, predicava
ai suoi allievi " non usate la spada, ma cercate il vero contatto con le altre persone"

Sempre lo stesso Kuroki Yoshitake, alla fine del suo discorso confida:

"la via del Buddhismo è la via di conoscenza di sé stessi. Io l'ho applicata al Kendo: si passa attraverso il
confronto con l'altro per conoscere sé stessi "

Sia Kendo che Zen portano alla ricerca del mushin, di un abbandono dell'ego, e da questo si trae
che sono due discipline in comunicazione tra di loro che unendo i propri concetti rispettivamente
astratti e concreti della pratica, aspirano allo stato della "mente senza la mente", della "quiddità".

Nell'opera Fudochi Shinmyo Roku (1600 ca.), Takuan così si esprime:

"Ignoranza” (avydia) è una parola che significa “mancanza di consapevolezza” e si riferisce alla delusione.
“Giacere a terra” indica una posizione dove ci si arresta o ci si ferma. All’interno del Dharma (legge) del
Buddha esiste la pratica dei cinquantadue livelli verso l’illuminazione. In qualsiasi momento la mente si fermi
su una singola cosa attraversando i cinquantadue livelli, ciò è conosciuto come “giacere al suolo”. “Giacere”
ha il significato di distrarsi, quando ci si distrae in relazione ad una qualsiasi cosa, cioè quando

20
la mente si sofferma su questa cosa. Parlando in termini della tua arte marziale (la via della spada), si
potrebbe verificare una singola occhiata ad un fendente e qualora la mente si concentrasse su questa
circostanza, si fermerebbe sulla spada dell’avversario. Di fronte all’istante in cui l’avversario colpisce,
qualora il suo colpo non venga anticipato, non ci dovrà essere nessuna riflessione persistente, né ansietà,
né pensiero nocivo. Non si vedrà nessun colpo di spada successivo e la mente non si soffermerà
assolutamente da nessuna parte. Per trarre vantaggio in modo esatto da questa situazione, bisogna
considerare la spada dell’avversario come il suo punto più vulnerabile. Impadronendosi dell’attacco
quando la spada viene in avanti, la propria spada sarà in grado di influenzare ed esercitare pressione
sull’opponente. Se la mente si fermasse sul fendente dell’avversario o sul proprio fendente, o ancora sulla
persona che porta il fendente o anche sulla prossima combinazione, sul ritmo, o sull’incompiutezza degli
attacchi, i propri movimenti sarebbero perduti irrimediabilmente. Ciò significherebbe la possibilità di
essere colpiti irrimediabilmente. Non soffermare il pensiero su te stesso né sull’avversario, se il pensiero
incedesse sulla spada dell’avversario la tua mente sarebbe catturata dalla sua spada. Se la tua mente si
fermasse su qualcuna di queste situazioni, non saresti altro che un cadavere ." 1

Per questo non sarà possibile eseguire correttamente le tecniche del Kendo senza avere presente
determinati termini legati alla meditazione e alle pratiche Zen, come non sarà possibile praticare una
efficace comprensione nella meditazione Zen senza avere paradossalmente una concreta idea di
quello a cui realmente lo Zen aspira.

1 Takuan SOHO, Fudōchi shinmyōroku in Peter HASKEL,Sword of Zen: Master Takuan and His Writings on
Immovable Wisdom and the Sword Taie, Univ of Hawaii Pr ,2012
21
CAPITOLO 3
IL KENDO IN ITALIA

"Non conoscere la propria storia è come non avere radici, e senza radici non c'è crescita " (F. Sarra)

Prima di riportare dialoghi e commenti degli incontri avuti con alcuni maestri delle
scuole (dojo) di Kendo, riporto qui brevemente la tumultuosa storia dello sviluppo del Kendo
in Italia.

Non è facile reperire materiale stampato, per cui quello che viene qui esposto si basa
su articoli di giornale trovati sul sito ufficiale della CIK e sui testi gentilmente inviati via mail
dal Maestro F. Sarra, grande ex Maestro Kendoka, tra i fondatori della Confederazione
Italiana Kendo, e autore del libro "Kendo - La via della Spada"(2015). Il Maestro Sarra ha
vissuto in prima fila l'evoluzione del Kendo in Italia, fino al suo ritiro a vita privata una volta
1
raggiunto l’obiettivo della unificazione delle varie scuole italiane di Kendo.

Il Kendo giunge in Italia tra gli anni ‘60 e ‘70, periodo in cui si registrano i primi
appassionati, tra i quali il grande Maestro Mario Bottoni, definito "anima dell’AIK". Nel suo
articolo intitolato "Storia di un'associazione"(1980), il Maestro Bottoni racconta di aver
conosciuto il Kendo per la prima volta nel 1960, e di aver deciso di praticarlo dopo averne
visto alcune sequenze in un film di quegli anni ambientato in Giappone.

Il Kendo così acquista notorietà e si affianca alle altre arti marziali già praticate in Italia
quali Karate e Judo. Come le altre arti marziali, anche il Kendo necessitava di un'associazione

1 Mi richiamo in particolare a Franco SARRA: Perché la CIK , 2014 , http://www.Kendo.it/wordpress/?


p=1716 , e a Simona BARAZZONE: Breve storia del Kendo italiano http://www.isds.it/?page_id=52

22
propria, e così nel 1973 a Padova, dopo meeting e stage in Francia con vari maestri
giapponesi, per opera di Mario Bottoni nasce l'AIK (Associazione Italiana Kendo), a cui
aderirono gli allora allievi Livolsi, Cappio e Del Miglio. Il Maestro Yoshimura (8° dan) si
offrì di fare da "sensei" a coloro che aderirono alla neonata associazione. L'anno successivo
l'AIK ottenne il riconoscimento della EKF (European Kendo Federation) e l'anno seguente
ancora della IKF (International Kendo Federation). Inoltre, grazie agli insegnamenti del
maestro Nakajima (8° dan), l’AIK era in continuo progresso ed espansione.

Il Kendo stava diventando talmente popolare che anche la Federazione Italiana Karate,
e la Federazione sportiva italiana karate guidata dal Maestro Shirai (10° dan) vollero creare un
loro settore dedicato al Kendo.

Altro personaggio che viene definito chiave nello sviluppo del Kendo nazionale italiano
negli anni 1970-1980 è il maestro Toyofuku che, allora residente a Milano, operava in Italia come
scultore, e che poté riscoprire il Kendo proprio grazie alla nascita di queste associazioni.

Il maestro Toyofuku

Altri maestri giapponesi che giungevano in Italia sia per motivi turistici che lavorativi
diedero il loro contributo nell'allenamento pratico. Tra questi i Maestri Miyazaki, Takizawa e
Hirakawa.

Quello che mancava a questo punto era il sostegno economico del Comitato Olimpico
Nazionale Italiano (CONI), ente parastatale che governa lo sport italiano, e che però

23
riconosceva solo il Karate e il Judo come discipline degne di avere un proprio sussidio
economico. Finalmente, anche se tra varie difficoltà che ora qui sarebbe inutile riportare in
maniera dettagliata, nel 1980 anche la Federazione Italiana Scherma apriva un settore
dedicato al Kendo, grazie al quale anche questa disciplina marziale poté godere di qualche
sussidio da parte del CONI. Nel 1986 questo ramo della FIS si affranca, e diventa la FIK
(Federazione Italiana Kendo). Infine nel 1988 nasce la Federazione Nazionale Italiana Kendo
(FENIKE), che aggregava anche quelle scuole che non avevano inizialmente aderito alla FIK,
e di cui Sarra fu prima segretario e poi presidente.

Poiché poi nel 1988 le scuole italiane di Kendo vengono invitate a partecipare ai
mondiali di Seoul, in Corea, si pone l’obiettivo principale di avere una amministrazione unica
che le rappresenti tutte, e che consenta alle varie scuole di dedicarsi esclusivamente agli
aspetti tecnici e di formazione, senza doversi preoccupare delle questioni amministrative. In
questo modo nasce nel 1988 la Confederazione Italiana Kendo (CIK) tutt'ora esistente, e che
con la "battaglia di Seoul”, a cui partecipò anche F. Sarra, si aggiudica l'approvazione da parte
della European Kendo Federation di poter rappresentare il Kendo sul suolo Italiano.

Terminato perciò questo tumultuoso periodo ironicamente definito da Sarra "delle


organizzazioni combattenti" a causa di qualche dissidio sorto nelle varie fasi di aggregazione, può
finalmente iniziare lo sviluppo del Kendo italiano, che stabilizzerà e solidificherà la
confederazione italiana, divenuta federazione unitaria nel 2003, con tanti iscritti al suo seguito.

24
CAPITOLO 4

RIFLESSIONI SULLA MIA ESPERIENZA DA KENJUTSUKA E KENDOKA.

Kendo, for most of us, most of the time, is a choice. It is not always an enjoyable choice, but
the challenges it presents are probably why those of us who stick at it continue to stick at it,
throw all of our money at it, and forgo weekend sleep-ins for it. (Blake Bennett)

In questo capitolo cercherò di far rivivere i ricordi e le sensazioni provate praticando


queste discipline in prima persona. Ammetto che essendo ricordi di qualche anno fa, che risalgono
al tempo delle superiori e dei primi due anni di università, non è stata cosa semplice riportare alla
mente emozioni e pensieri. Cercherò di trasmettere attraverso queste righe il sudore, la gioia, la
determinazione che hanno caratterizzato il mio approccio a queste discipline.

Ho cominciato a frequentare il dojo di Kenjutsu a Lugano ai tempi del liceo (2009).


Inizialmente la mia testa era piena di immagini che i media ci passano sui samurai, le arti
marziali, i combattimenti acrobatici e via dicendo. La sfida che mi ero posta era quella di
diventare una emula di Ken il guerriero (con la katana però) e di intimorire chiunque mi
tagliasse la strada. Ovviamente, non mi era ancora ben chiaro in mente il fatto che ormai l'arte
della katana era passata, come direbbe il maestro Kanzaki, "dalla spada che uccide alla spada
che fa vivere".

Con chiarezza mi ritornano alla mente le prime lezioni in cui due volte a settimana, per
due ore di fila, ci allenavamo nella palestra. La scuola di kenjutsu si chiamava Wa rei ryu, e

25
l'allenamento si svolgeva in una piccola saletta, che faccio fatica a definire Dojo, affittata
dalla Wa rei ryu per poter praticare le lezioni sia il martedì che il giovedì sera.

Il mio maestro (Marc Boillat), dopo un duro esercizio fisico, ci insegnava i colpi, i
tagli e io sempre più emozionata me li riprovavo a casa convinta che un giorno o l'altro sarei
diventata un perfetto samurai tutta virtù onore e coraggio pronto a partire per continuare
l'allenamento in un dojo in Giappone. Nella mia testa si era formata ormai l'immagine della
paladina Giulia, già diretta verso questa terra lontana, armata di spada e coraggio, per
sconfiggere un ipotetico nemico e salvare il mondo. Questa terra era la patria dei samurai,
della filosofia Zen e del Buddhismo; ero affascinata dalle letture riguardanti questi argomenti
e ogni concetto passava senza alcun filtro accrescendo le mie illusioni di trovare in Giappone
un locus amoenus legato a virtù e tradizioni lontane da quella realtà consumista in cui mi
trovavo immersa.

Nella scuola di kenjutsu inizialmente non eravamo in tanti. Strinsi subito amicizia con i
miei compagni di corso con i quali mi allenavo anche fuori dagli orari delle lezioni. La mia vita era
diventata “studio, kenjutsu, anime, manga e libri”. Tutto il resto era secondario. Fu lì che
cominciai ad ammalarmi e a trascurare la mia salute. Forse perché non ero abbastanza matura per
comprendere fino in fondo determinati concetti che il mio maestro e le letture cercavano di
trasmettermi. Con una visione che ora posso definire distorta, della forza e della temperanza, mi
ero convinta che per essere più forti e sicuri di sé, oltre che a duri esercizi fisici quotidiani
bisognasse eliminare quasi del tutto il cibo, fonte inutile di piacere per l'essere umano. Più i mesi
passavano, più il mio corpo si faceva debole fuori, ma forte dentro. Nella mia quasi eccessiva
magrezza c'era la convinzione di essere ormai arrivata all'Assoluto, niente piaceri, e tutto sudore e
devozione. Mi vantavo con i miei compagni del liceo esasperando i racconti degli allenamenti, e la
loro ammirazione nei miei riguardi mi conduceva alla convinzione che quello che stavo facendo
era giusto. Mi ammiravano poiché con un fisico tanto magro riuscivo ad allenarmi tutti i giorni e
andare avanti a scuola. Il kenjutsu era diventato un meccanismo attraverso il quale mettevo a dura
prova la mia forza di volontà, perché dentro di me ero consapevole del fatto che la forza fisica
stava andando a esaurirsi quasi del tutto.

Terminato il liceo, ero ancora talmente innamorata di questa idea lontana ed esaltata del
Giappone, dei samurai e dei monaci Zen, la cui vita era volta ad annientare ogni piacere fisico per
dedicarsi anima e corpo all’Assoluto, che volli studiare giapponese per meglio capire i concetti
riguardanti la loro filosofia e religione e comprendere meglio le terminologie associate per poter
dare maggior senso alla pratica. Fu lì che, sempre con lo scopo di forgiare il carattere
26
e accrescere la mia anima, mi iscrissi a un dojo di Kendo, la Mizuta Kendo Venezia, che ho
frequentato per due anni.

Gli allenamenti presso la Mizuta, paragonati a quelli di Lugano, erano ancora più tosti. Il
mio entusiasmo crebbe al suo massimo nel momento in cui l’insegnante, il maestro Ermanno
Ceriello, mi fece indossare l'armatura. Ermanno era severo al punto giusto e decisamente non
trascurava l'allenamento fisico, parte per me diventata ormai essenziale. Il livello di adrenalina
che mi si metteva in circolo durante queste lezioni era alto. A casa, oltre che ad allenarmi mi
guardavo allo specchio ed esaltavo le "scapole del guerriero alato" che mi erano spuntate e le "
costole della vittoria”. Nonostante i miei genitori e gli amici cercassero di aprirmi gli occhi, io
pensavo di aver capito tutto del Kendo e della filosofia sottesa, e le letture e i racconti che
apprendevo alle lezioni all'Università venivano interpretati da me erroneamente.

Così, tra stereotipi, assurde convinzioni ed interpretazioni arrivai a un punto in cui fui
costretta a smettere Kendo per un eccesso di debilitazione fisica, e l'anno successivo tornare a
casa a Lugano per ristabilirmi in salute, con l’aiuto di medici e psicologi reclutati dai miei
genitori. Fu in quel periodo che maturai e compresi di avere una visione distorta del
Giappone, del concetto di samurai e di forza interiore. Cominciai ad avere uno sguardo più
critico e riflessivo verso le letture, e ripercorrendo le mie esperienze passate mi accorsi che
avevo certamente frainteso gli insegnamenti che mi volevano trasmettere i miei professori e i
maestri di Kendo.

Il mio amore per il Giappone e per la disciplina si ridimensionò. Oggi continuo a


sentirmi una appassionata di arti marziali, e ogni volta che si parla di Kendo o che leggo
qualcosa a riguardo mi emoziono, ma dentro di me è ancora in via di sviluppo la piena
comprensione della sensazione che adesso provo nel parlarne. Da una parte sento il desiderio
di riprendere gli allenamenti, ma dall'altra la mia paura di ricadere in questa visione distorta
del Kendo come puro esercizio fisico volto ad accrescere la forza di volontà e ad annientare i
piaceri terreni mi blocca.

Forse la stesura di questa ricerca mi aiuterà a comprendere fino in fondo quello che
voglio, e per adesso intendo ancora limitarmi alle letture e agli incontri con gli insegnanti,
perché ciò che ora mi incuriosisce è proprio l'esperienza dell'altro, come ha vissuto
l’avvicinamento alla disciplina e cosa attualmente prova. Ciò potrebbe essere d'aiuto a capire
ciò che provo io dentro, perché mi basta guardare il mio vecchio shinai e la mia vecchia
armatura per provare ancora forti emozioni che mi fanno sudare le mani e tremare.

27
Evidentemente ci sarà ancora un lungo lavoro di introspezione da fare. Tuttavia, il Kendo non
ha avuto solo effetti negativi: grazie a questa disciplina sono riuscita a diventare una persona
più socievole; in entrambi i corsi di Kenjutsu e Kendo ho stretto amicizia con tante persone,
che colgo l'occasione di ringraziare per essermi state vicine nel periodo "buio". Sono
diventata anche una persona più temperata, determinata e sicura di sé; e penso che se da una
parte il Kendo mi ha trasmesso insegnamenti da me male interpretati, e che mi hanno fatto
cadere in una brutta malattia psicofisica, dall'altra mi ha anche dato la forza di volontà di
uscirne più forte ed entusiasta di prima.

28
CAPITOLO 5

SCUOLE E INTERVISTE

L’intervista ai maestri dei vari dojo sì è aperta con la richiesta di una breve
presentazione della scuola, per poi passare a un racconto della esperienza personale di ogni
singolo maestro e degli effetti del Kendo sulla vita quotidiana e sui rapporti sociali. Ho infine
chiesto informazioni sulla struttura delle lezioni e sul tipo di rapporto con gli allievi.

Vengono ora illustrate qui di seguito le interviste e gli incontri avuti con alcuni dei
maestri delle scuole in Italia.

LE SCUOLE

FIRENZE: Dojo Ken Shin Kan, Maestro Stefano Zancaner Tarassi

剣 Ken = Spada 心 Shin = Cuore, Spirito 館 Kan = Edificio, Luogo. Quindi: "Luogo dove
si coltiva lo Spirito della Spada".

Fondato nel 1983, ha raccolto e conserva l’insegnamento di alcuni Maestri giapponesi


che vi si sono succeduti nella seconda metà degli anni settanta (Yabe Mitsushi, Sanada
Daijiro, Ichikura Yoshihiro, Yamamura Masaki, Ebisawa Tatsuo) ed in particolare quello del
Maestro Nishinoara Kenzo.

Il motto del Ken Shin Kan è: 剣 心 一 如 "Ken Shin Ichi Nyo" ovvero: "Spada e
Cuore sono la medesima cosa". Il motto fa riferimento ad un concetto fondamentale nel
Kendo, più volte richiamato durante l'insegnamento dai Maestri Nishinoara Kenzo, Yabe
Mitsushi e Yamamura Masaki, ovvero che la pratica del Kendo non può prescindere da una
corretta educazione del "cuore" (in giapponese kokoro, shin). Presso il Ken Shin Kan, infatti,
il Kendō è visto come sistema educativo della persona e non come sport ordinario.1

1 Per contatti Dojo di Firenze: http://www.kenshinkan.it/ksk.html

29
http://www.kenshinkan.it/ksk.html

PESARO: Dojo I Ken Den Shin (Il luogo della spada e del cuore), Insegnante Alessio Nicolini

(Alessio ha tenuto a precisare che non desidera essere chiamato maestro in quanto non si
ritiene tale, preferisce insegnante in quanto cura le lezioni – allenamenti).

Scuola di Kendo nata nel 2013; associazione multidisciplinare specializzata nella


pratica del Kendo.

Iscritta alla CIK (Confederazione Italiana Kendo) svolge lezioni a Pesaro e Fano sotto la
supervisione tecnica di Stefano Betti (Kendo 6°dan).

"Viviamo in una regione, le Marche, in cui il Kendo non è di certo un’arte diffusa e praticata
da tempo. Possiamo considerarla una terra di frontiera, un avamposto isolato, fuori dalle zone
abitualmente frequentate dal “Kendo che conta”.

http://www.Kendopesaro.it

30
COMO: Dojo Mugen Kendo & Iaido, Maestro Salvatore Bellisai

L’associazione “MUGEN A.S.D.” è stata fondata a Como nel dicembre 2010 dal M.
Salvatore Bellisai, 6° Dan, che da oltre trent’anni promuove lo sviluppo del Kendo a Crema,
Cremona, San Donato Mil.se, San Giuliano Mil.se Abbiategrasso, Como e nella regione
Marche. L’associazione è iscritta alla C.I.K. Confederazione Italiana Kendo.3

Il maestro Bellisai ha però voluto astenersi da commenti di carattere sia generale che
personale sul Kendo e il suo insegnamento, ritenendo fuorviante qualsiasi esposizione
spogliata degli aspetti pratici. Ho dedicato uno spazio al Maestro Bellisai in fondo a questo
capitolo.

http://www.fluireconsapevole.it/Kendo/como.htm

ROMA: Dojo 三つ巴 (mitsudomoe), Direttore tecnico Enrico Banchetti

Le tre virgole o mitsudomoe (三つ巴), caratteristiche del logo dell'Accademia Romana


Kendo, traggono le loro origini dalla cultura giapponese, ma sono volutamente rappresentate
con i colori propri della bandiera Italiana. Il loro significato viene generalmente ricondotto
come rappresentativo della triplice divisione al cuore della religione Shinto: l'uomo, la terra e
il cielo. Questo simbolo era associato alla divinità shintoista della guerra Hachiman e per
questo motivo fu adottato come simbolo tradizionale dai maestri di spada.

31
L'Accademia Romana Kendo1 si propone, attraverso lo studio delle tecniche della
spada (katana), di creare una comunità di appassionati di tutte le età, che si riconoscano nei
valori dell'umiltà, del sacrificio e del rispetto per gli altri, anche e soprattutto, per l'avversario.

http://www.Kendoroma.it/index.php

LE INTERVISTE

Domande personali

• Quando e come è venuto a conoscenza di questa disciplina e quale è stato il principale


elemento di attrazione?

Stefano: Il mio primo contatto è avvenuto tramite una copia del catalogo del museo Stibbert
di Firenze. Sono rimasto affascinato principalmente dalla forma della spada giapponese. I
2
miei primi insegnanti di Kendo nel 1976 sono stati Giovanni Notarnicola e Piero Biagiotti
3
. Successivamente mi sono formato con altri maestri giapponesi.

1 Dojo Roma http://www.Kendoroma.it/index.php


2 Maestro che intorno al 1976 portò il Kendo a Firenze dopo un lungo soggiorno in Giappone
3 Maestro che nel 1976 curò la prima edizione di uno dei primi testi sul Kendo disponibile in Italia
intitolato “Kendo Kyohon, Edizioni Mediterranee
32
Alessio: Sono rimasto colpito dall'uso della spada quando praticavo Aikido ed ho
approfondito la ricerca fino ad arrivare al Kendo. I primi passi li ho mossi circa una decina di
anni fa con il Maestro Bellisai che veniva nelle Marche per divulgare questa disciplina.

Enrico: Per puro caso. A 16 anni davanti ad un centro sportivo vicino casa nel quartiere Talenti a
Roma, dopo aver visto la scritta Kendo, sono entrato e mi sono iscritto. Conoscevo già un po’ la
disciplina e cercavo un'alternativa al solito sport da combattimento. Il Kendo quindi è stata una
scelta naturale. Le altre arti marziali invece le ho conosciute tramite i film cinesi, e sono sempre
stato attirato dalla modalità di combattimento e dall’efficacia della tecnica.

• L'ha mai sperimentata in Giappone? Se sì, ha notato differenze nell'attitudine verso la


disciplina degli altri praticanti e nell'allenamento in generale?

Stefano: No, per paura di non ritrovare la peculiarità dell'insegnamento ricevuto all'inizio
dello studio. Conferma dei miei timori l'ho avuta dai maestri ospitati nel dojo. I media che
1
hanno influenzato la mia visione sono il famoso film shichinin no samurai e diversi libri sul
Giappone.

Alessio: No, mai avuto finora l'occasione di andare, ma ho intenzione di andarci. Non mi
sono comunque costruito alcuna realtà, e so che la vera realtà è distante da quella dei libri.

Enrico: Sono stato due volte in Giappone e quattro volte in Corea, e ho trovato che lì la pratica
è molto diversa. Soprattutto è più intensa. Dipende dall'approccio mentale con cui si pratica.
In questi Paesi c'è una maggiore attitudine al sacrificio inteso come volontà di allenarsi
intensamente. In media non Poi il numero di praticanti decisamente più elevato e la diversa
qualità dei Maestri rendono incolmabile una differenza tecnica già di per sé elevata.

• Che attitudine ha nei confronti della disciplina?

Stefano: Il men è come uno specchio che riflette la propria reale natura, bisogna prima coltivare la
sensibilità a percepire questa natura e confrontarsi onestamente e senza spirito giudicante. Il
Kendo per me è come una meditazione in movimento. Si agisce anche attraverso il fisico, perché
quando il fisico è stremato e pensieri discorsivi diventano impossibili, la vera natura di

1 I sette samurai”, film del 1954 diretto da Akira Kurosawa


33
un individuo viene espressa, e allora inizia la vera fase di educazione. Questa è una
concezione estrema ma non lontana anche dagli insegnamenti Zen.

Alessio: Il Kendo permette di praticare sia a livello agonistico che di studio. Non pongo
attenzione alla parte relativa all'agonismo perché non ritengo ci siano differenze sostanziali
nella pratica comune, se fatta con serietà. Mi piace accostare il Kendo moderno praticato con
1
armatura alla tradizione studiata attraverso i Kata . Lo studio si svolge durante la pratica: è
un'attività di ricerca personale

Enrico: Dò sempre il massimo dell’impegno: questa è per me la disciplina del Kendo.

• Che svolta ha dato alla sua vita praticare Kendo?

Stefano: Avendo iniziato lo studio del Kendo a 17 anni ho difficoltà a fare confronti tra prima
e dopo. Per me il Kendo coincide ormai con lo stile di vita.

Alessio: Kendo è sacrificio: bisogna essere disposti a mettersi sempre in discussione. In


questo modo si otterranno risultati sul proprio carattere e sul proprio rapporto con gli altri e
maturare una sicurezza in se stessi. Ma occorre umiltà ed essere disposti ad apprezzare anche
le critiche più severe per poter migliorare.

Enrico: Il Kendo ti dà la possibilità di migliorare come persona, e a me ha permesso di


diventare più equilibrato, più diretto, più determinato.

• Ha notato cambiamenti dal punto di vista personale e sociale nei rapporti con gli altri,
intesi familiari, amici …

Stefano: Posso solo ribadire che, praticando Kendo dall'età di 17 anni, la risposta a domande
di questo genere per me ha poco senso, in quanto la mia vita e i miei rapporti sociali sono
praticamente da sempre improntati al Kendo. Ho potuto però notare cambiamenti significativi
in molti miei allievi e allieve in termini di autostima, determinazione e minore aggressività.

Alessio: Si, ho notato cambiamenti sociali. La conoscenza e la pratica del Kendo mi aiutano a
mantenere un profilo umile, e questo approccio lo riporto naturalmente nella quotidianità.

1 10 modelli fissi di esecuzioni di tecniche prestabilite che riproducono le azioni base del kendo
originariamente utilizzati per preservare le tecniche del kenjutsu per le future generazioni
34
Enrico: Il Kendo insegna ad essere pratici ed essenziali in quanto la pratica stessa lo impone.
Quindi anche dal punto di vista relazionale si acquisisce una maggiore semplicità nei rapporti e si
cerca di arrivare alle soluzioni dei problemi sociali nel modo più semplice e diretto possibile.

• Praticare Kendo la sta aiutando anche ad affrontare la vita quotidiana di tutti i giorni
in maniera diversa rispetto a quando non lo praticava?

Stefano: Non posso fare paragoni per i motivi già detti, ma ritengo che il Kendo sia
certamente d’aiuto nell’affrontare la quotidianità.

Alessio: Sì, certamente

Enrico: Decisamente sì, con più determinazione ed energia.

L’allenamento e il rapporto con gli allievi

• In cosa pensa si distinguano gli allenamenti e le lezioni nel suo Dojo rispetto agli altri?

Stefano: Rispetto ad altri dojo non saprei. Quando ho avuto l'opportunità di allenarmi altrove
vivendo lo “spirito” del dojo locale, ovvero non solo in allenamenti occasionali, non ho
trovato grandi differenze (ma forse è dovuto al fatto che chi mi ospitava aveva una visione
vicina alla mia).

Alessio: Il dojo di Pesaro è un gruppo coeso che va oltre la singola pratica. Si cerca di
costituire un luogo di pratica non legato al maestro, tutti contribuiscono per sentirsi parte
integrante e attiva del progetto contribuendo sia a livello economico che di idee.

35
Enrico: Nessuna differenza, tutti i dojo hanno un metodo standard, ciò che potrebbe
distinguere il dojo di Roma in cui pratico dagli altri è l'elevato numero di iscritti (60 ca.) e il
metodo di allenamento: ci rifacciamo al metodo adottato dal capitano della nazionale

americana che prevede numerose serie di Kajarigeiko1.

• Cosa insegna ai suoi allievi? Come li invoglia a praticare Kendo, come li motiva al
miglioramento verso la disciplina?

Stefano: Le sembrerà paradossale, ma non incentivo lo studio del Kendo e mi stupisco


sempre delle motivazioni che spingono qualcuno a venire al Ken Shin Kan.

La prima cosa che normalmente diciamo è che presso di noi non è prevista la pratica
agonistico/sportiva (gare) e invitiamo chi cerca questo aspetto a rivolgersi agli altri dojo di
Firenze.

Chi accede al nostro sito web avrà notato la presenza del “kamawan” (ciotola e falcetto) che
richiama il concetto di “kama wan nai - non ci interessa”. Tale simbolo era affisso nei dojo
tradizionali ed era un modo di per avvisare i possibili apprendisti che quello non era un luogo
dove andare a cercare prestigio, guadagni o fama, ma un luogo dove si praticava con serietà.

Per avere un’idea di kama wan nai nel nostro sito era scritto (ora il sito è in manutenzione e si
accede al testo completo solo dall’indirizzo http://www.kenshinkan.it/t_kamawan.html

“Se vuoi praticare con noi, non aspettarti di essere supplicato o che il tuo ego venga coccolato.

Abbandona tutti i tuoi preconcetti sulla Via della spada e mantieni la mente aperta.

Aspettati di faticare ad ogni passo sulla Via, aspettati di essere corretto per i tuoi errori e che
i tuoi successi vengano ignorati. Ma aspettati, altresì, di imparare e che ti venga data
l’opportunità di far emergere il massimo da te.”

Una volta accettati nel nostro dojo (c’è un periodo di noviziato che può durare tre mesi o più) è
come entrare in una famiglia dove tutti hanno lo scopo di progredire impegnandosi seriamente.

Questo è molto importante: l’impegno del singolo è necessario e fondamentale per tutti gli
altri membri del dojo.

1 Metodo di allenamento in gruppo in cui un praticante (tori) risponde all’attacco a turno di più persone
(kakari), tecnica di allenamento usata anche come riscaldamento prima di un contest
36
Alessio: Abbiamo un programma standard: ogni allievo ha una chiave per essere stimolato
alla crescita, bisogna quindi focalizzarsi su questi aspetti. In Italia si inizia a 25- 30 anni
quindi tardi, bisogna ponderare l'allenamento volto all'aspetto fisico e cercare in ognuno di
loro la chiave che li spinge a praticare.

Enrico: Nel Kendo non si usa il termine avversario ma "opponente" cioè colui che sta
davanti. Un termine neutro per indicare che chi combatte contro di noi comunque è sempre un
amico perché il Kendo insegna ad avere rispetto di ogni praticante

• Nota differenze tra allievi giapponesi (se ne ha) e allievi italiani? c'è omogeneità nel
loro apprendimento e nella loro attitudine?

Stefano: Gli allievi Orientali si dimostrano meno diligenti.

Alessio: Gli allievi Orientali hanno un approccio più atletico; i maestri Giapponesi ci dicono
di vedere nei praticanti Occidentali più etichetta che nei loro allievi.

Enrico: Sì, c’è omogeneità se si impegnano a rispettare l'etichetta, ma ogni tanto vanno
richiamati alle regole che sono essenziali per una corretta pratica.

• Fa distinzione nell'allenare allievi e allieve? Pensa che la forza fisica sia un tratto
importante nell'allenamento per una corretta esecuzione delle tecniche?

Stefano: Nessuna differenza, anche perché nel Kendo la forza fisica non serve.

L’allenamento è senz’altro molto vigoroso, specialmente quello dei più giovani, ma più si
progredisce (…e si invecchia), assume sempre più importanza la correttezza ed armonia del
movimento: un mio Maestro ultrasettantenne (Ito Iroo sensei) è agile e la sua tecnica morbida
ed armoniosa si confronta senza alcun problema con quella di Maestri provenienti dalla
Scuola della Polizia di Tokyo (Keishicho) che è notoriamente molto “dura”. Ho potuto
riscontrare che le allieve hanno una maggiore facilità nell’apprendimento corretto delle
tecniche, proprio perché non ci mettono inutile forza fisica.

37
Alessio: Il Kendo non necessita di forza fisica, ma bisogna porre importanza nei movimenti, e
nel Kendo ci son cose che le donne apprendono prima.

Enrico: Il Kendo non è solo forza fisica ma anche velocità e agilità e nelle allieve riscontro
talvolta maggior agilità che negli allievi.

• Com'è strutturata una Sua lezione di Kendo?

1 2
Stefano: È un mix equilibrato di kihon , kata, e mawarigeiko ; per noi il combattimento
3
jigeiko ha valenza di studio.

Alessio: Si inizia con il riscaldamento, poi esercizi suburi4, parti dei fondamentali, tecniche
kihon e combattimento libero con simulazioni di gare, shiai in cui 2 praticanti si mettono a
confronto senza un arbitro.

Enrico: Il nostro allenamento è caratterizzato sia dalla pratica di base che dalla pratica
agonistica. Pratichiamo ovviamente anche i Kata. I fondamentali si praticano insieme e poi ci
dividiamo in gruppi in base al livello. I principianti sono impegnati più sulle basi mentre gli
avanzati anche sulla parte agonistica, e quindi nello studio del combattimento.

• Si concentra di più sull'insegnamento dei fondamentali, oppure nel memorizzare


determinati Kata, o nella postura e nella prontezza del jigeiko ...?

• Quanta importanza dà all'esperienza personale del singolo allievo e al rapporto


allievo-maestro?

Stefano: Il rapporto allievo maestro è fondamentale. Personalmente aiuto gli altri allievi a
percorrere la via che io stesso sto ancora percorrendo e il praticante deve essere libero di
sperimentare, ma nel contempo guidato per non ferirsi interiormente.

1 Sequenze semplici di tecniche di base estrapolate dai kata per fissare le sensazioni corporee che
accompagnano la tecnica e raggiungerne la padronanza.
2 Forma di allenamento in cui si pratica tutti assieme. Generalmente si formano due file in modo da
cambiar partner continuamente con una prefissata scadenza di tempo.
3 Combattimento simulato che ci offre la possibilità di testare le nostre abilità nell’utilizzare le tecniche
waza.
4 Esercizi ripetitivi individuali svolti anche come riscaldamento prima dell’inizio dell’allenamento vero e
proprio.
38
Alessio: Il rapporto allievo maestro è importante; ogni volta che mi trovo qualcuno di fronte
cerco di stimolarlo al massimo, e nel combattimento con quelli più avanzati mi aspetto ed
esigo di più.

Enrico: Per me il Kendo è solo pratica, tutto ciò che riguarda la pratica è importante, incluso
il rapporto con gli allievi durante l'allenamento. Troppo "Kendo parlato" è inutile.

• Dà importanza anche a letture - racconti o è pura pratica della disciplina?

Stefano: Racconto qualche aneddoto solo per far ridere e non come insegnamento esoterico,
ma invito lo stesso i miei allievi ad approfondire la loro passione con qualche lettura. Il mio
dojo è dotato di una biblioteca circolante con una 50ina di volumi riguardanti vari aspetti
della pratica.

Alessio: C'è poco tempo, quindi lancio messaggi durante l'allenamento e chi li vuole cogliere
li coglie. Lo studio teorico è pericoloso e se si filosofeggia troppo si rischia di trascurare la
disciplina. Certi messaggi passano meglio attraverso il sudore.

Enrico: Il Kendo è pura pratica della disciplina.

Domande di carattere generale

• Preferisce definire il Kendo come arte marziale o filosofia di vita?

Stefano: Il Kendo è uno strumento per coltivare una filosofia di vita al pari di altre arti, ma se
è fine a se stesso diventa un'arte marziale. È un percorso educativo, e l'attitudine che si
sviluppa bisogna trasporla nella vita quotidiana.

Alessio: Fino a qualche anno fa l'avrei definito solo come un'arte marziale, praticandolo con
costanza è diventato una filosofia di vita.

39
Enrico: Entrambe le cose. Il motto del Kendo infatti è: "migliorare l'essere umano attraverso
la pratica del Kendo".

• In cosa si distingue dalle altre discipline / sport?

Stefano: Si può guardare alla differenza tra una disciplina sportiva simile, quale la scherma e
il Kendo. Da un punto di vista puramente tecnico possono essere la stessa cosa (fatte salve le
ovvie differenze di maneggio), ma l'etica legata alla spada giapponese è venuta meno in tempi
molto più recenti rispetto alla scherma occidentale. Il mio avvicinamento al Kendo è dipeso
anche dal fatto che ritenevo in Giappone ancora vivi aspetti che nella scherma occidentale
erano spariti secoli prima. Mentre l'etica della Cavalleria Occidentale ha concluso il suo ciclo
intorno al XVI secolo, l'etica cavalleresca Giapponese è sopravvissuta fino alla fine del XIX
secolo (consolidandosi nei due secoli di isolamento - era Tokugawa). Il primo studio sull'etica
samurai che arrivò in Occidente (primi '900) fu ‘Bushido’ di Nitobe Inazo, che aveva studiato
in Occidente, e scrisse il suo libro per un pubblico non specializzato.

Alessio: Il Kendo è rigido nei confronti dell'avversario e ha delle regole ferree, il maestro si
mette in gioco con gli allievi e non sta in disparte ad osservare.

Enrico: La differenza sta nell'etichetta. Esempio l'inchino, il saluto al dojo e al Maestro.


Durante le gare non si esulta se si fa punto, come nella scherma e il pubblico non fa il tifo,
applaude e basta.

• Secondo Lei è nato prima lo Zen o la Via della Spada?

Stefano: Lo Zen contribuì con altre componenti filosofico - religiose a sviluppare la via della
spada. Forse esisteva qualcosa prima ma nello Zen i samurai trovarono una filosofia/religione
confacente alla loro vita rude e frugale. L’incontro tra Zen e samurai avvenne nel periodo
kamakura. Il kamakura Zen ne fu l'esempio perché adattò il Ch'an all'esperienza che
l'ignorante classe guerriera faceva sul campo. Fu in periodo tokugawa che il samurai dovette
affrontare un lavoro introspettivo sulla sua Via.

Alessio: La via della spada è relativamente giovane e credo che lo Zen sia presente dapprima
del Kendo.

40
Enrico: Sono poco informato al riguardo, mi concentro solo sulla pratica senza ulteriori
speculazioni filosofiche.

• Pensa ci sia una differenza di fondo tra interpretazione del Kendo italiana /europea e
giapponese?

Stefano: L'influenza dello Zen nel Kendo in Occidente è stata colta come prevalente, ma il
Kendo è una sorta di sincretismo tra le varie correnti, quindi in Giappone c'è un maggior
interesse per questi aspetti. In Giappone il Kendo si sta laicizzando, il saluto al kamiza è stato
sostituito con il saluto al dojo. L’Occidente conserva meglio le tradizioni nipponiche del
Giappone stesso. Ci sono ogni anno scuole che si rivolgono a praticanti Occidentali per
conservare nel mondo le loro tradizioni perché in Occidente ci sono le condizioni ideali per
tenerle vive mentre in Giappone a causa dell'occidentalizzazione e perché gli adepti di certe
discipline rimasero una élite chiusa in sé stessa, c'è il fenomeno opposto.

Alessio: Non vedo una differenza importante. In Giappone con competizioni e squadre si
esalta l'aspetto agonistico, noi abbiamo un maggiore approccio filosofico perché affascinati
da questo mondo. C'è questo fascino per il Giappone molto forte ma forse l'agonismo ancora
praticato in Occidente cambierà lo stato delle cose anche nel vecchio continente.

Enrico: Il Kendo in Europa è molto cambiato ed ora questo concetto è meno distante rispetto
a venti o trenta anni fa. Negli ultimi dodici anni la nazionale italiana e quella ungherese sono
arrivate terze a squadre ai Campionati del Mondo e gli USA secondi, segno tangibile che, se
anche c'è una differenza incolmabile tra tecnica orientale e occidentale, si sono capite molte
cose sui metodi di allenamento grazie anche ai media e alla possibilità di ospitare atleti
agonisti di livello. Inoltre la nazionale USA nel 2006 ha battuto il Giappone. Un evento
incredibile. Con tecnica orientale e occidentale intendo che i Giapponesi praticano Kendo
dall'età di 5 anni quindi la loro tecnica e bravura per ora è ancora superiore.

(Qui il Maestro Stefano ha voluto precisare che USA (ma lo stesso vale per Canada e Brasile)
compaiono ai primi posti (per anni la classifica è stata 1 Giappone, 2 Corea, con alternanza di 3
tra Brasile e USA e Canada), perché queste squadre erano e sono formate in maggioranza da
oriundi giapponesi (Brasile) e – o coreani (USA e Canada), i così detti nisei – sansei. È
significativo invece che, come dice Enrico, negli ultimi campionati si siano inserite squadre come
la Francia, l'Italia e l 'Ungheria, tutte composte prevalentemente da soli occidentali. Non
solo: Giapponesi e Coreani schierano “professionisti” del Kendo che praticano anche sei-sette
41
ore al giorno come avviene al Keishicho Budokan, la scuola di Kendo della Polizia
Metropolitana di Tokyo, mentre noi possiamo solo sognarci di avere un luogo dove praticare
così assiduamente.

• Lei pensa che la lingua giochi un ruolo importante nella comprensione di determinati
concetti chiave del Kendo? Il giapponese grazie alla sua struttura in kanji e kana è più
vicino nel trasmettere l'immediatezza dell'esperienza?

Stefano: Importantissimo. Studio l'etimologia dei kanji per comprendere l'essenza di qualche
tecnica. Comunque è più difficile la traduzione di un kanji - immagine - concetto che di una
semplice parola. Per il trasmettere l'immediatezza dell’esperienza…si tratta di convenzione.

Alessio: La lingua gioca un ruolo importante. La bravura del maestro sta nel far capire
concetti anche attraverso la pratica.

Enrico: la comunicazione è essenziale per capire i concetti base della pratica. Per capire la
lingua giapponese purtroppo è necessario studiarla a fondo in quanto non è proprio come lo
spagnolo per gli italiani. Ma effettivamente i concetti che esprime sono utili in senso figurato
a far capire la tecnica. Basti pensare alla tecnica di "kaeshi”: da "kaeru" "ritornare" ovvero
restituire un attacco sfruttando l'attacco ricevuto.

42
COMMENTI A INTEGRAZIONE DELLE INTERVISTE

INCONTRO CON STEFANO:

Lo scambio di pensieri e opinioni con il Maestro Stefano Zancaner Tarassi, che ancora ringrazio
per il tempo speso, del Dojo di Firenze è avvenuto via mail. Preparandomi le domande, non ho
esitato a chiedere la sua esperienza e la sua opinione sull'attività da lui insegnata e svolta,
ricevendo celeri risposte ad ogni mia domanda. Essendo stato il mio primo scambio, e avendo da
poco letto gli articoli di Sharp, Koestler e Maekawa già citati prima, e inerenti la
stereotipizzazione europea di varie discipline e arti considerate puramente "giapponesi", questo
scambio via mail è andato a vertere più su domande di ordine storico - filosofico. Influenzata da
queste letture, purtroppo ho fatto emergere troppo il mio lato critico convinta che ormai il Kendo
in Italia doveva essere stato per forza assimilato in quel modo estremo come gli ultranazionalisti
di epoca moderna e post-moderna, quali il noto e già citato D.T.Suzuki, avevano trasmesso. Per
questo, nella parte inerente le esperienze personali e gli allenamenti in generale, compaiono dei
punti poco chiari. Comunque, felice di ammettere che la mia convinzione è stata confutata dalle
brillanti risposte datemi dal maestro Stefano durante lo scambio, facendomi comprendere la sua
competenza anche in ambito storico del Kendo. Infatti, discutendo sul rapporto tra filosofie Zen e
Kendo, il Maestro ha confermato che:

‘l'incontro tra Zen e samurai avvenne all'inizio del Bakufu a Kamakura (lo Zen guerriero prese il
nome proprio di Kamakura Zen), ma ritengo che fu nel periodo Tokugawa che il samurai dovette
affrontare un lavoro introspettivo sulla natura della sua Via. Tutti i samurai? Assolutamente no!
Questo è molto idealizzato, anche perché i Bushi appartenevano a strati sociali diversi. Sarebbe
come dire che TUTTI i Cavalieri Templari, avendo una Regola religiosa e basando la propria
missione sul "De Laude Novae Militiae" di San Bernardo fossero tutti santi per definizione... [...]Per
assurdo il samurai si chiedeva come affrontare la guerra in quello che sarebbe stato il più lungo
periodo di pace. Potrebbe essere interessante indagare su quali implicazioni ebbe per il samurai il
fatto di passare dalla prevalenza di scontri campali, alla prevalenza di duelli individuali’

Suggerendomi così anche un ulteriore tema su cui indagare. Di particolare interesse è stata la
sua affermazione che in Occidente meglio si è riusciti a conservare le "tradizioni nipponiche".
Chiedendo maggiori chiarimenti al riguardo così mi è stato risposto:

‘Non solo noi occidentali; dicevo "in Occidente" che è cosa diversa. Come succede anche per altre
etnie (italiani compresi) i giapponesi fuori dal Giappone tendono a creare comunità fortemente

43
identitarie, specialmente tra gli immigrati che potremmo definire "di lunga data". In queste comunità
prevalgono i richiami alla propria storia e cultura passata, che per i giapponesi del secolo scorso
furono rappresentati in gran parte da quella pre-bellica fortemente influenzata, come lei ben sa, da
un nazionalismo esasperato che propose una diffusa visione guerriera legata alla figura del Bushi.
Non solo, ma dopo la guerra, molti maestri giapponesi, sempre formati nel periodo pre bellico,
vennero a cercare fortuna in Occidente, in particolare Stati Uniti e Francia, dove trovarono un
ambiente curioso ben disposto ad accettare anche la cultura soggiacente a certe discipline. A parte le
Arti Marziali, pensi all'attuale diffusione di molte discipline che oggi definiamo olistiche che proprio
in quel periodo vennero introdotte presso di noi. In Occidente, quindi, si sono venute a creare le
condizioni ideali per mantenere vive certe tradizioni anche da parte di occidentali che le vollero
approfondire. In Giappone si è verificato il fenomeno opposto, sia per l'occidentalizzazione forzata
post bellica, sia perché gli adepti di certe discipline rimasero lungamente una élite chiusa in sé
stessa. Anche il Kendo venne permesso dalle autorità occupanti, snaturandolo completamente e
dandogli regole sportive aliene, per certi versi, alla cultura marziale giapponese. Oggi assistiamo ad
un fenomeno altrettanto interessante: ci sono scuole tradizionali Koryu che si rivolgono a praticanti
occidentali per conservare nel mondo le loro tradizioni’

Oltre che alla sua maestria nello spiegare e argomentare, il Maestro Stefano mi ha resa esplicita la sua
remora nell'andare in Giappone per poterne rimanere deluso, remora che condivido io stessa ma che
non ho ritrovato negli altri Maestri.

INCONTRO CON ALESSIO:

Ho avuto poi l'onore di avere via telefonica uno scambio di pensieri e opinioni con il Maestro
della scuola di Pesaro, Alessio Nicolini. Essendomi resa conto della "trappola" in cui ero
caduta precedentemente, ho cercato di orientare le mie domande verso un ambito più
esperienziale che filosofico-speculativo, domande alle quali il Maestro Alessio ha risposto
con manifesto interesse. Antagonista della telefonata è stata la mia eccessiva emozione nella
conversazione che non va sottovalutata.

Dall'incontro con Alessio è emerso che anche lui pensa che il Kendo con i suoi valori sottesi
venga meglio conservato in territorio occidentale, poiché la disciplina in Giappone al giorno
d'oggi sta vertendo maggiormente verso un'attività fisico-sportiva.

Per il resto, come si può riscontrare dalle risposte, il suo entusiasmo nel Kendo lo dimostra
partecipando in prima persona e invogliando gli allievi durante le lezioni a migliorare e dando
spazio anche ai rapporti personali e ai momenti collettivi che vengono rafforzati nelle attività

44
note come "dai ni dojo”, ovvero attività dopo l'allenamento in cui si va a mangiare tutti
insieme fuori o a bere qualche bicchiere di sakè, bevanda alcolica giapponese a base di riso.

Il Maestro Alessio ci ha tenuto a precisare che tutti contribuiscono a livello economico sia per
la palestra che per le attività fuori sede.

INCONTRO CON ENRICO:

Sempre per via telefonica ho avuto anche l'onore di poter parlare con Enrico Banchetti, uno
degli istruttori del dojo Accademia Romana Kendo di Roma. Era la terza intervista, e quindi
con maggiore tranquillità sono riuscita a porre le domande già fatte agli altri insegnanti.
Anche in Enrico è emersa una viva passione per la disciplina. In lui in maniera più marcata si
è rilevata l'idea che il Kendo sia pura pratica della disciplina, e perciò non abbiamo
approfondito tanto sul fronte filosofico – ideologico. Nonostante ciò, Enrico non ha esitato a
consigliarmi gentilmente delle letture che ha trovato molto interessanti quali

"Hagakure" di Tsunetomo Yamamoto (XVII secolo ca.)

"Lo Zen e il tiro con l'arco" di Herrigel Eugen (Adelphi, 1975)

“Lo Zen nell’arte del tirare la spada” di Reinhard Kammer (Feltrinelli, 2009)

Interessante è stato il suo voler precisare come il Kendo sia comunque una attività fisica
basata sull'etichetta, molto formale, al contrario della scherma o di altre attività sportive in
cui, affermazione ironica, si può fare il tifo a gran voce e gridare come nel calcio. Nel Kendo
esiste un concetto di ordine, disciplina e rispetto che sono fondamentali per una corretta
pratica e dalle quali non si può prescindere.

Alla domanda su che cosa gli trasmetteva il Kendo in più rispetto alle altre discipline sportive
ha risposto che il praticare Kendo provoca in lui una forte emozione, anche perché è una
disciplina che non si finisce mai di imparare. Il Kendo per lui è uno sport a tutti gli effetti e la
differenza sta come detto prima nell'etichetta.

Alla fine della telefonata mi ha raccontato in maniera molto veemente come erano gli
allenamenti in Giappone che lui stesso ha sperimentato, li ha definiti "pazzeschi", svolti in
palestre in cui erano in 100 e passa allievi e sia per il clima che per l'esperienza mi ha
trasmesso positività in questo suo ricordo.

45
INCONTRO COL MAESTRO SALVATORE BELLISAI:

Dedico l'ultimo spazio prima delle conclusioni al Maestro Salvatore Bellisai, con il quale ho
sostenuto un breve incontro via telefonica. Egli ha tenuto a sottolineare che il Kendo è pura
pratica, le ideologie e le speculazioni filosofiche alla base sono solo pettegolezzi, e che lui
pensa solo a praticare e a insegnare la disciplina senza pensare alle "chiacchiere". Vista
questa sua ferma convinzione, non si è sentito di raccontarmi della sua esperienza
pluridecennale (40 anni!) nel mondo del Kendo insistendo invece ancora sull'importanza
dell'allenamento e della pratica.

CONCLUSIONI

Nello sviluppo di questa ricerca è stato particolarmente interessante analizzare e scoprire


come Kendo e Zen siano in comunicazione tra di loro, cosa già appurata non solo dai saggi a
cui mi sono richiamata nel capitolo 2, ma anche dall’esperienza fatta in prima persona sia a
Lugano che a Venezia partendo dalla meditazione in seiza, procedura che mi ha fatto riflettere
su questa connessione che allora mi era meno evidente.

Dai vari incontri emerge come ogni Maestro si rapporti in maniera differente con la
disciplina: c'è chi ha sostenuto che il Kendo è pura pratica e nient'altro e quindi ha voluto
lasciar da parte le speculazioni filosofiche, mentre altri hanno cercato di trasmettermi lo
spirito che nella loro interpretazione sottende alla pratica. C'è chi l'ha potuta sperimentare in
Giappone sortendone effetti positivi e chi no, o per paura di rimanerne deluso o per questioni
di tempo o economiche.
46
Grazie a questi incontri ho potuto così raccogliere tra i Maestri accreditati una tale varietà
di idee, pensieri e modi di vivere il Kendo (pratica e teoria) che mi induce a concludere che
non esista di fatto un modo canonico (che potrebbe essere definito come ‘giusto’) di praticare,
interpretare ed esperire questa disciplina che alcuni definiscono sport e altri arte marziale e
filosofia di vita. Infatti, nella realtà delle cose, ognuno lo pratica e lo vive a modo suo,
cogliendone i benefici sia a livello fisico che psichico. E questa sensazione trova conferma
nei primi capitoli in cui analizzo le varie definizioni che le diverse associazioni dal XX secolo
ad oggi hanno cercato di dare alla disciplina, senza però riuscire ad etichettarla, come se in
essa ci fosse un’unica essenza immutabile e non influenzabile.

In questo lavoro di analisi che ho fatto, mi sono ritrovata e immedesimata in alcune delle
asserzioni dei Maestri intervistati. Ad esempio quando Alessio racconta come certi messaggi
passino meglio attraverso il sudore. Oppure sono riuscita a partecipare all’entusiasmo
trasmessomi da Enrico - anche se solo per via telefonica - nel raccontarmi la sua esperienza in
Giappone, in quanto anche io ho vissuto un’esperienza simile quando sono andata a fare una
lezione di Kenjutsu a Barcellona con la Wa rei Ryu nel 2010, in cui talmente furono dure
quelle due ore di allenamento intensivo, che dal sudore e i kiai gli specchi si appannavano
tutti, e alla fine di quelle due ore il Maestro vi disegnò con le dita il kanji di “ki 気 . Mi
ricordo i brividi, l’emozione che provai dentro di me, la passione che mi trasmise, e che mi
conferma ancora oggi che il Kendo, comunque, molte emozioni positive me le ha trasmesse e
che in futuro potrà darmi molto di più.

Oggi però, proprio dalla mia complessa personale esperienza, posso aggiungere che non
sempre la pratica della disciplina determina solo risultati positivi nella vita quotidiana e nella
psicologia dei praticanti. Se non si è maturi abbastanza per capirla e accettarla, questa disciplina
può anche sortire alcuni effetti negativi. In me v’è stato un connubio di entrambe le cose.

Tra i maestri contattati nessuno mi ha raccontato di aver subito effetti negativi nella
pratica del Kendo. Un caso però l’ho trovato riportato in un articolo pubblicato nel 1980 sulla
rivista “Karate Judo”, che ho potuto leggere grazie all'ausilio del Maestro Franco Sarra che
me l'ha cortesemente inviato via mail. Questo articolo mi ha confermato come anche altre
persone abbiano sperimentato una iniziale negatività, per poi maturare e crescere nella
disciplina, fino a sfruttarne a pieno il potenziale che essa può trasmettere al praticante. Il
personaggio in questione è il maestro Mario Bottoni, venuto purtroppo a mancare qualche
anno fa, che nel suo articolo intitolato "Storia di un'associazione"(1980) racconta:

47
"[…] la mia disponibilità verso il Kendo era diventata un impegno di vita [...], sentivo che non
c'era quasi alcun progresso, non avevo ancora trovato la chiave. [Vari avvenimenti] non
consentivano che mi immergessi in quella calma, indispensabile al progredire del Kendo e
all'evolversi della mia personalità attraverso la disciplina. Ma allora io non operavo in parallelo
con lo spirito del Kendo! [Con un maestro venuto dal Giappone] girai l'Italia settentrionale e
Centrale. La mia esperienza fu aspra, insieme al maestro c'era l'uomo con il quale non riuscivo a
sintonizzare. Il mio Kendo si fermò, peggiorò, l'umore diventò impossibile. Litigavo spesso in
casa, in associazione e con il maestro stesso. Di nuovo le energie che davo non erano reintegrate e
prolificava il deficit."

Quindi, dopo l'aspra esperienza iniziale, con i mondiali del 1976 e grazie al progresso
dell'AIK (Associazione Italiana Kendo, futura CIK), associazione divenuta idonea a
rappresentare il Kendo italiano nelle federazioni internazionali:

"Finalmente la calma cominciò a inserirsi nella mia vita e così, dopo aver costruito lo strumento
che può permettere agli altri di evolversi, pensai a me stesso. Partecipai al secondo campionato
europeo a Bruxelles nel 1977, poi al terzo campionato europeo a Chambèry nel 1978. Il mio

Kendo comincia solo ora a mettersi sulla giusta via, e intorno a me qualcuno cresce. "1

Perciò solo con la pratica, la maturità e l’esperienza la disciplina (qui parlo del Kendo,
ma penso che questo discorso possa essere anche esteso ad altre arti marziali in cui esiste un
forte connubio tra pensiero filosofico ed esercizio fisico) potrà essere assimilata (‘embodied’)
e infine riflettere la personale attitudine e la crescita nella vita sociale e privata.

Il Maestro Mario Bottoni

1 Mario BOTTONI: Storia di un’associazione, in Karate Judo, 1980


48
BIBLIOGRAFIA

LIBRI

COX Rupert "The Zen Arts, an anthropological Study of the Culture of Aesthetic Form in
Japan", Great Britain, Routledge Curzon, 2002

FABIAN Johannes, “Power and Performance”, University of Wisconsin Press, 1990

GRAHAM John, “Victor Turner and contemporary cultural performance: An introduction. In


Victor Turner and contemporary cultural performance.” New York: Berghahn, 2008

SARRA Franco, "Kendo. La via della spada"Vol.1. , Milano, Luni Editrice, 2015

TURNER Victor “Antropologia della performance” edizione italiana a cura di Stefano De


Matteis, Bologna, Il Mulino 1993 (ed. orig. 1986)

RIVISTE

BENNET Alex, "A Brief synopsis of the History of Kendo”, Kendo World Issue, 2004

BOTTONI Mario, "Storia di un'associazione", 1980

KANZAKI Hiroshi, "Il Kendo come cultura tradizionale giapponese", Kendo Iaido. Online
Marzo 2010

LISHKA Dennis, “The Dharma of the Zen master Takuan", Japanese Journal of Religious
Studies, 1978

LOY David, "Is Zen Buddhism?" The Eastern Buddhist, Autumn 1995

SHARF Robert, "The Zen of Japanese Nationalism", History of Religions, Aug.1993

TAKIZAWA Kozo, "Kendo: la via della formazione dell'essere umano, trad. di Franco Sarra,
Master Budo

DOCUMENTI E MATERIALI TRATTI DALLA RETE:

FRANCO Sarra, "Perché la CIK", 2014, http://www.Kendo.it/wordpress/?p=1716

HONDA Sotaro, "Kendo Approaches for all levels" 2012, http://www.amazon.com/Kendo-


Approaches-For-All-Levels-ebook/dp/B008S8SK7Q
49
KUROKI Yoshitake, "KENDO E ZEN",2012,
http://ittoryukai.it/wpcontent/uploads/2012/12/Kuroki_Zen.pdf

LUIGI Rigolio, "Sugli esami di Kendo: riflessioni strettamente personali", 2014,


http://www.Kendo.it/wordpress/?p=1722

SIMONA Cappio Barazzone, "Breve storia del Kendo italiano", http://www.isds.it/?


page_id=52

Arthur KOESTLER, "A Stink of Zen", Encounter, October 1960 - UNZ.org

http://www.unz.org/Pub/Encounter-1960oct-00013?View=PDF

TESI DI DOTTORATO

MAYUKO Maekawa, "Reconsidering Orientalism/Occidentalism: representations of


a Japanese martial art in Melbourne" The University of Melbourne, 2013

50
RINGRAZIAMENTI

Desidero qui ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione di questo lavoro di Tesi.

I miei Professori: il relatore di tesi, professor Toshio Miyake e la co-relatrice, professoressa Franca
Tamisari, per i preziosi consigli e il supporto datomi finora, e per essermi ancora mentori nella
prosecuzione degli studi.

Tutti i Maestri dei dojo di Kendo, elencati qui sotto in ordine alfabetico, per il tempo dedicatomi
nelle interviste e il materiale suggeritomi per arricchire l’elaborato:
 Bellisai Salvatore (Como)
 Banchetti Enrico (Roma)
 Nicolini Alessio (Pesaro)
 Ricci Maurizio (Roma)
 Sarra Franco
 Zancaner Tarassi Stefano (Firenze)

Le amiche e gli amici di Lugano: Vittoria, Fedra, Loris e Alexander; le colleghe e amiche di Facoltà
a Venezia: Carla, Valeria, Martina, Erika, Francesca, Nina, Celeste; per essermi state sempre vicine
e di conforto anche nei momenti più difficili e di scoramento;

I miei vecchi compagni di Kenjutsu a Lugano: Maddalena Nicholas, Alberto e Lorenzo, e il Maestro
Marc Boillat; tutti quanti hanno contribuito alla mia iniziazione alle arti marziali e me ne hanno
trasmesso i valori;

I miei vecchi compagni di Kendo a Mestre: Francesca, Marco, Davide, Andrea, Pierre, Nicoletta,
Paolo e il Maestro Ermanno Ceriello, che purtroppo per motivi di tempo non ho potuto incontrare e
inserire in questa ricerca, ma che comunque è stato uno dei miei punti di riferimento nell’apprendere
tecnica e valori di questa disciplina;

LAST BUT NOT LEAST …. I miei genitori, il mio fidanzato Stefan e i suoi genitori, per
l’indispensabile supporto e sostegno morale.

Tutte queste persone hanno svolto un ruolo fondamentale nella stesura della tesi, ma desidero
precisare che ogni errore o imprecisione è imputabile soltanto a me.

51

Potrebbero piacerti anche