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A.A.

2016-2017 - Sapienza Università degli Studi di Roma, Dipartimento di Filosofia - Corso di


Filosofia del Linguaggio

Dispense e appunti lezioni Filosofia del Linguaggio


A.A. 2016-2017
A cura della Prof.ssa Cristina Marras
cristina.marras(at)cnr.it

Ad uso esclusivo degli studenti

1
INDICE

PARTE I .............................................................................................................................. 3
Introduzione ......................................................................................................................... 3
1. Nomi ................................................................................................................................ 5
1.1. Semiotica, cultura e comunicazione ..................................................................... 6
2. Parole ............................................................................................................................... 7
3. Cose ................................................................................................................................. 8
PARTE II ............................................................................................................................. 9
1. Teorie e modelli ............................................................................................................... 9
1.1. Modello ingegneristico dell’informazione ......................................................... 10
1.2. Modello postale della comunicazione ................................................................ 11
2. Domande di filosofia del linguaggio ............................................................................. 12
2.1. Letture … e visioni: Balance .............................................................................. 13
3.1. Gli Atti linguistici ............................................................................................... 15
3.2. Linguaggio e cooperazione ................................................................................ 16
PARTE III ......................................................................................................................... 19
1. Metafore, linguaggio e comunicazione ......................................................................... 19
1.1. Teorie contemporanee sulla metafora..................................................................... 19
1.2. Teorie semantiche e teorie pragmatiche ............................................................ 22
PARTE IV ......................................................................................................................... 24
Appunti delle lezioni ......................................................................................................... 24
Fallacie .......................................................................................................................... 24
Letture: l’amore è una fallacia ....................................................................................... 24
Alcuni tipi di Fallacie .................................................................................................... 27
Esercizi .......................................................................................................................... 29
Schede............................................................................................................................ 30

Questa breve introduzione ad alcuni temi fondamentali del corso va completata con la
lettura degli articoli in formato pdf. disponibili sul sito del corso:
http://www.lettere.uniroma1.it/view-m-didattici_all/880
Materiali di approfondimento, testi per le esercitazioni svolte in classe, link alle
applicazioni e tecnologie digitali per il lavoro sui testi sono invece disponibili in:
https://sites.google.com/site/filoslinguaggio/materiali

2
PARTE I

Introduzione
Queste dispense aggiornano alcuni dei materiali da me precedentemente pubblicati in: Il peso
delle parole, Filosofia nella comunicazione. Quaderno di teorie e pratiche metaforiche (Lithos,
Roma 2010), rivede e amplia la raccolta di appunti, note, commenti e letture messi insieme negli
anni di insegnamento integrandoli con i materiali delle lezioni sia del corso di Teoria della
Comunicazione sia di quello di Semiotica tenuti presso il Dipartimento di Filosofia (prima
Facoltà) dell’Università Sapienza di Roma. Nei corsi la prospettiva adottata è sempre stata quella
filosofico-comunicativa, molti degli argomenti affrontati hanno intersecato i principali temi della
linguistica, la storia delle idee linguistiche, la semiologia, l’etnolinguistica.
L’inevitabile intreccio tra temi linguistici e filosofia è ormai riconosciuto e spesso temi e
argomenti classici delle teorie e delle metodologie linguistiche (soprattutto contemporanee)
affondano le loro radici nelle discussioni filosofiche e nella linguistica classica. Anche nel corso di
Filosofia del Linguaggio di quest’anno accademico, 2016-2017, le teorie e le pratiche affrontate
durante le lezioni hanno voluto contribuire a tracciare percorsi di dialogo e convergenza tra temi e
ambiti disciplinari, pur nel riconoscimento delle singole specificità.

Nella parte iniziale di questa dispensa si definiscono e descrivono brevemente le relazioni tra
filosofia, cultura e comunicazione, si presentano schematicamente alcuni dei modelli elaborati
nell’ambito della Semiotica, della Teoria della Comunicazione e della Filosofia del Linguaggio,
per mettere a fuoco la complessità sia del fenomeno comunicativo sia dell’analisi del testo, in
particolare del testo filosofico.
La comunicazione è, infatti, un fenomeno complesso, è un processo sottoposto, soprattutto
nell’ultimo decennio, ad una sorta di acritica banalizzazione descrittiva.1 Durante le lezioni, si
intende recuperare una dimensione critica e analitica dell’osservazione e dello studio dei processi
comunicativi e della scrittura filosofica sposando una concezione di semiosi umana aperta e
interpretativa.
Ciò che si vuole sottolineare è il ruolo chiave della comunicazione all’interno dei fenomeni
del linguaggio e della semiosi, tenendo conto di tutta la stratificazione dei comportamenti culturali
e sociali, della centralità dei fattori ambientali, biologici e cognitivi, che ci mettono in relazione
con il modo e attraverso i quali il mondo entra in relazione con noi.2
Così come nel Quaderno pubblicato nel 2010 anche in questa dispensa si propongono letture,
rimandi bibliografici, indicazioni di siti di particolare interesse e utilità per l’approfondimento, si
segnalano in neretto le parole chiave, si descrivono alcuni degli esercizi svolti durante le lezioni.3
Nelle note si riportano i riferimenti bibliografici dei testi citati e una bibliografia per lo studio
e l’approfondimento facoltativo.

1
“appiattimento descrittivo”, in S. Gensini, Manuale della comunicazione, Carocci, Roma 2002, p.16.
2
A. Duranti, Etnopragmatica, Carocci, Roma 2007; D. Hymes, Fondamenti di sociolinguistica. Un approccio
etnografico, pres. di G. Berruto, Zanichelli, Bologna 1980, edizione originale Foundations in Sociolinguistics. An
Ethnographic Approach, 1974.
3
Là dove non è altrimenti indicato, gli esercizi riportati (se pur talvolta con le modifiche necessarie per adattarli al
contesto del corso) sono ripresi o da esperienze di gioco elaborate da me durante la ma attività di docenza o di
formazione, o dalle agende e dai libri di Enrico Euli, in particolare da: E. Euli, A. Soriga, P.G. Sechi, S. Puddu
Crespellani, Percorsi di formazione alla nonviolenza. Viaggi in training (1983-1991), Pangea Edizioni, Torino 1992; E.
Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, edizioni la meridiana, Molfetta 2007.

3
Queste brevi dispense sono a complemento del lavoro di analisi e interpretazione del testo di
G. W. Leibniz analizzato durante il corso, Dissertatio praeliminaris de alienorum operum
editione, de scopo operis, de philosophica dictione, de lapsibus Nizolii, e dello studio della
letteratura critica indicata nel programma. Tutto il materiale è scaricabili in pdf. dal sito del corso
http://www.lettere.uniroma1.it/view-m-didattici_all/880
Inoltre, disponibili nel sito https://sites.google.com/site/filoslinguaggio/materiali trovate tutti
i materiali relativi agli esercizi, agli approfondimenti sul lavoro di codifica e annotazione
semantica condotti sul testo, compresi i link alle applicazioni digitali utilizzate.

4
1. Nomi
(…) Veda, signore, il mondo è in schegge. Non abbiamo perduto solo il senso della nostra
finalità; abbiamo perduto l’idioma mercé il quale parlarne. Questi sono senz’altro argomenti
spirituali, ma hanno i loro paralleli nel mondo materiale. (…) –
-Una nuova lingua?-
Si, una lingua che finalmente dica quello che dobbiamo dire. Perchè le nostre parole non
corrispondono più al mondo. Quando le cose erano intere, credevamo che le nostre parole le
sapessero esprimere. Poi a mano a mano quelle cose si sono spezzate, sono andate in schegge
franando nel caos. Ma le parole sono rimaste le medesime. Non si sono adattate alla nuova realtà.
Pertanto, ogni volta che tentiamo di parlare di ciò che vediamo, parliamo falsamente, distorcendo
l’oggetto che vorremmo rappresentare. Tutto si fa disordine. Ma le parole anche lei comprende,
hanno la capacità di cambiare. (…)
Consideri una parola che corrisponde a una cosa: “ombrello”, lei nella sua mente vede
l’oggetto. Vede una sorta di bastone con alla sommità dei raggi pieghevoli di metallo facenti da
telaio a un tessuto impermeabile che, una volta aperto, proteggerà la sua persona dalla pioggia.
Quest’ultimo dettaglio è importante: un ombrello non è solo una cosa, ma è una cosa che svolge
una funzione… In altri termini esprime la volontà dell’uomo. (…) Ora la mia domanda è questa.
Cosa succede quando una cosa non svolge più la propria funzione? E’ sempre quella cosa, oppure
diventa qualcos’altro? Se lei lacera la tela dell’ombrello, quest’ultimo è ancora un ombrello?
Spiega i raggi, se li pone sopra la testa, esce sotto la pioggia e si bagna. E’ possible persistere a
chiamare questo oggetto ombrello? Generalmente, la gente fa così. Tutt’al più arriveranno a dire
che è un ombrello rotto. Per me, questo è un grave errore, fonte di tutti I nostri disagi. Giacchè non
può più svolgere la propria funzione, l’ombrello ha smesso di essere ombrello. Può assomigliargli,
può essere un ex ombrello, ma ora si è trasformato in un’altra cosa. Tuttavia la parola è rimasta la
stessa: perciò non rappresenta più la cosa. E’ imprecisa; è falsa; cela l’oggetto che dovrebbe
svelare. E se noi non possiamo neppure nominare un oggetto comune, quotidiano, che teniamo tra
le mani, come potremo sperare di discorrere delle cose che veramente ci riguardano? A meno che
non cominciamo ad assimilare il concetto di cambiamento delle parole d’uso, continueremo a
essere perduti. (P. Auster,4 Trilogia di New York, pgg. 81-83, con tagli)

Molti studiosi hanno esplorato in vario modo, e attraverso i percorsi più diversi, il rapporto e
la comunicazione tra le culture. Se il tema della comunicazione è stato oggetto privilegiato di
studio della ricerca sociale, e la comunicazione interculturale è stata un tema centrale per coloro
che si sono occupati delle trasformazioni sociali che accompagnano i nostri tempi nello scenario
globalizzato o glocalizzato del “traffico delle culture”, allora i filosofi, gli storici del pensiero e
delle idee non possono evitare di confrontarsi con il concetto di cultura e di dialogo interculturale.5
Ma, in primis i filosofi devono interrogarsi sul senso e il significato (importanza) che la
comunicazione assume per il genere umano, e porsi in una prospettiva filosofico-culturale per
guardare al mondo del linguaggio e dei rapporti che intercorrono tra la semiosi umana e quella di
altre specie animali. Ciò apre a prospettive di studio e di riflessione particolarmente feconde.

4
P. Auster, Trilogia di New York, trad. italiana di M. Bocchiola, Einaudi, Torino 1996 (titolo originale The New York
Trilogy, 1987). Biografia e bibliografia di Paul Auster sono disponibili in: http://www.paulauster.co.uk/.
5
S. Latouche, La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000,
titolo originale Le defi de Minerve, 2000; F. Cassano, Modernizzare stanca, Il Mulino, Bologna 2001, dello stesso
autore Il pensiero meridiano, Latenza, Bari 1996.

5
1.1. Semiotica, cultura e comunicazione
Le definizioni di cultura sono molteplici, particolarmente interessanti sono i contributi
offerti dagli antropologi, in particolare vale la pena di citare Seyla Benhabib che nel suo La
rivendicazione dell’identità culturale6, definisce la cultura come «una costruzione narrativa
condivisa, contestata e negoziata», questa idea di cultura e di un suo intreccio con la narrativa
(culturale), con il testo (si vedrà più avanti in questo Quaderno cosa si può intender con testo), è
presente anche in un dibattito particolarmente vivo negli anni settanta che ha prodotto poi
successivamente i volumi Archäologie der literarischen Kommunikation in cui si raccoglie
un’archeologia del testo letterario a partire da una ridiscussione del concetto di cultura in termini
di “profondità” temporale e di “lontananza”, e in cui la nozione di testo diventa centrale.
Interessante è il “senso culturale della comunicazione” che studia i fenomeni di trasformazione e
intensificazione della struttura connettiva della società, individuata per esempio dall’egittologo
Jan Assman nella “memoria culturale”7. La memoria, accanto all’azione dei singoli e alle azioni
collettive consapevoli contribuisce alla costruzione delle comunità linguistiche. Le lingue
rappresentano uno dei luoghi della memoria e della storia culturale, sono veicolo e testimonianza
di civiltà.8 Le parole, gli studi di etimologia, di lessicografia, di traduzione, contribuiscono ad
aiutarci a leggere, capire e ricostruire storie, culture, tradizioni.
Consideriamo la cultura come un’unione di “erramenti” nell’organizzazione della vita, sia a
livello collettivo, sia a livello individuale. “Erramenti” principalmente di due tipi: a) passivi, in cui
si analizza la realtà, si spiega, si usa l’ermeneutica e si considera la realtà ricca di segnali da
interpretare, il mondo è organizzato in un tutto congiunto e coerente di procedimenti attraverso i
quali il mondo si organizza nella mente; b) attivi, procedimenti attraverso i quali gli individui
possono maneggiare le situazioni ancora prima che si verifichino.
La cultura è dunque un insieme di abitudini, abilità e conoscenze attraverso le quali le
persone costruiscono le proprie “strategie d’azione”.

Comunicazione. Possiamo partire dall’etimologia latina della parola: communis, cum munus,
dono e obbligazione, cum moenia, dentro le mura, la comunicazione contiene dunque nella sua
stessa parola l’idea di condivisione, di scambio, di difesa, di alterità, di responsabilità. La
comunicazione non è solo un processo ma è un evento, un percorso, uno scambio culturale,
mentale, uno scambio di ragioni e emozioni; un evento che in quanto tale costruisce e definisce
contesti, la comunicazione è relazione e ha i suoi luoghi, i suoi tempi, i suoi ritmi.
La filosofia dovrebbe pertanto guardare alla comparazione di contenuti concettuali tra
culture.9 Filosofia nella comunicazione come un muoversi nel piano della relazione tra pensiero,
parole e linguaggio, per studiare la condivisione di spazi mentali e culturali, il nodo che lega la
parole e le forme di espressione, le strategie ai modelli che il linguaggio mette in gioco, e le
relazioni tra parlanti, richiamando, in tal modo, il “discorso” e la nozione di dialogo. Deve
affrontare le domande che coinvolgono il rapporto con l’altro, l’io e il noi, i concetti di alterità e
identità.10

6
Pubblicato in traduzione italiana da Il Mulino, Bologna 2005.
7
J. Assmann, La memoria culturale, Einaudi, Torino 1997, titolo originale Das kulturelle Gaedechtnis. Schrift,
Erinnerung und politiche Identaet in fruehn Hochkulturen, 1992. Sull’importanza della terminologia di cultura si può
vedere T. Gregory, Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca, Leo S. Olschki, Firenze 2006.
8
Un interessante saggio di storia culturale della lingua è quello di Peter Burke, Lingue comunità nell’Europa Moderna,
Il Mulino, Bologna 2006, titolo originale Languages and Communities in Early Modern Europe, 2004; in Italia un testo
di riferimento è quello di Tullio de Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita uscito nel 1963 e riedito nel 1991, utile
accompagnarne la lettura anche con il suo recente La cultura degli italiani, Laterza, Bari 2010.
9
F. Julienne, Il saggio è senza idee, Torino, Einaudi 2002, titolo originale Un sage est sans idée, 1998.
10
Per un accurato quadro preliminare dei rapporti tra segno e comunicazione si veda S. Gensini, Manuale della
comunicazione, cit. in particolare il cap. 1, “Preliminari sul segno e la comunicazione”. Per la comunicazione
interculturale si veda: I. Castiglioni, La comunicazione interculturale: competenze e pratiche, Carocci, Roma 2005. G.
Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 2000, edizione riveduta e ampliata dell’originale Steps to an
Ecology of Mind, 1997.

6
2. Parole
(8) Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l'animo, neppur questo è difficile a scusarsi e
a giustificarsi così: la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo,
divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a
suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. (9) Perché bisogna
anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie forme io la ritengo e la chiamo
un discorso con metro, e chi l'ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che
strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e l'anima patisce, per effetto delle parole, un
suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere. Ma via, torniamo
al discorso di prima. (10) Dunque, gli ispirati incantesimi di parole sono apportatori di gioia,
liberatori di pena. Aggiungendosi infatti, alla disposizione dell'anima, la potenza dell'incanto,
questa la blandisce e persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create
due arti, consistenti in errori dell'animo e in inganni della mente. (11) E quanti, a quanti, quante
cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! Che se tutti avessero, circa tutte le cose,
delle passate ricordo, delle presenti coscienza, delle future previdenza, non di eguale efficacia
sarebbe il medesimo discorso, qual è invece per quelli, che appunto non riescono né a ricordare il
passato, né a meditare sul presente, né a divinare il futuro; sicché nel più dei casi, i più offrono
consigliera all'anima l'impressione del momento. La quale impressione, per esser fallace ed
incerta, in fallaci ed incerte fortune implica chi se ne serve. (12) Qual motivo ora impedisce di
credere che Elena sia stata trascinata da lusinghe di parole, e così poco di sua volontà, come se
fosse stata rapita con violenza? Così si constaterebbe l'imperio della persuasione, la quale, pur non
avendo l'apparenza dell'ineluttabilità, ne ha tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia
persuaso una mente, costringe la mente che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei
fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è colpevole; mentre chi fu
persuasa, in quanto costretta dalla forza della parola, a torto vien diffamata. (13) E poiché la
persuasione, congiunta con la parola, riesce anche a dare all'anima l'impronta che vuole, bisogna
apprendere anzitutto i ragionamenti dei meteorologi, i quali sostituendo ipotesi a ipotesi,
distruggendone una, costruendone un'altra, fanno apparire agli occhi della mente l'incredibile e
l'inconcepibile; in secondo luogo, i dibattiti oratorii di pubblica necessità [politici e giudiziari], nei
quali un solo discorso non ispirato a verità, ma scritto con arte, suol dilettare e persuadere la folla;
in terzo luogo, le schermaglie filosofiche, nelle quali si rivela anche con che rapidità l'intelligenza
facilita il mutar di convinzioni dell'opinione. (14) C'è tra la potenza della parola e la disposizione
dell'anima lo stesso rapporto che tra l'ufficio dei farmaci e la natura del corpo. Come infatti certi
farmaci eliminano dal corpo certi umori, e altri, altri; e alcuni troncano la malattia, altri la vita;
così anche dei discorsi, alcuni producono dolore, altri diletto, altri paura, altri ispirano coraggio
agli uditori, altri infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l'anima e la stregano. (15)
Ecco così spiegato che se ella fu persuasa con la parola, non fu colpevole, ma sventurata. Ora la
quarta causa spiegherò col quarto ragionamento. Che se fu l'amore a compiere il tutto, non sarà
difficile a lei sfuggire all'accusa del fallo attribuitole. Infatti la natura delle cose che vediamo non
è quale la vogliamo noi, ma quale è coessenziale a ciascuna; e per mezzo della vista, l'anima anche
nei suoi atteggiamenti ne vien modellata. (16) Per esempio, se mai l'occhio scorge nemici armarsi
contro nemici in nemica armatura di bronzo e di ferro, l'una a offesa, l'altra a difesa, subito si
turba, e turba l'anima, sicché spesso avviene che si fugge atterriti, come fosse il pericolo
imminente. Poiché la consuetudine della legge, per quanto sia salda, viene scossa dalla paura
prodotta dalla vista, il cui intervento fa dimenticare e il bello che risulta dalla legge, e il buono che
nasce dalla vittoria. (17) E non di rado alcuni, alla vista di cose paurose, smarriscono nell'attimo la
ragione che ancora possiedono: tanto la paura scaccia e soffoca l'intelligenza. Molti poi cadono in
vani affanni, e in gravi malattie, e in insanabili follie; a tal punto la vista ha impresso loro nella

7
mente le immagini delle cose vedute. E di cose terribili molte ne tralascio; ché sono, le tralasciate,
simili a quelle anzidette. (18) D'altro lato i pittori, quando da molti colori e corpi compongono in
modo perfetto un sol corpo e una sola figura, dilettano la vista. E figure umane scolpite, figure
divine cesellate sogliono offrire agli occhi un gradito spettacolo. Sicché certe cose per natura
addolorano la vista, certe altre l'attirano. Ché molte cose, in molti, di molti oggetti e persone
inspirano l'amore e il desiderio. (19) Che se dunque lo sguardo di Elena, dilettato dalla figura di
Alessandro, inspirò all'anima fervore e zelo d'amore, qual meraviglia? il quale amore, se, in
quanto dio, ha degli dèi la divina potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o
resistergli? e se poi è un'infermità umana e una cecità della mente, non è da condannarsi come
colpa, ma da giudicarsi come sventura; venne infatti, come venne, per agguati del caso, non per
premeditazioni della mente; e per ineluttabilità d'amore, non per artificiosi raggiri. (20) Come
dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia che abbia agito come ha
agito perché innamorata, sia perché lusingata da parole, sia perché rapita con violenza, sia perché
costretta da costrizione divina, in ogni caso è esente da colpa? (21) Ho distrutto con la parola
l'infamia d'una donna, ho tenuto fede al principio propostomi all'inizio del discorso, ho tentato di
annientare l'ingiustizia di un'onta e l'infondatezza di un'opinione; ho voluto scrivere questo
discorso, che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico. (Gorgia, Encomio di Elena, DK
82 B 11) 11

3. Cose
La competenza comunicativa si basa su un senso ampio di competenza linguistica e
lessicale ovvero di una visione non certo limitata di un uso del codice12 che esclude gli aspetti
comunicativi. Ripartiamo e approfondiamo, arricchendola delle esperienze interculturali e
comunicative, la definizione data da Dell Hymes di “competenza comunicativa”, ossia la capacità
dei parlanti di usare una lingua in modo efficace e appropriato a seconda dei contesti, per esigenze
di comunicazione. Hymes in “On Communicative Competence” e in “Models of the Interaction of
Language and Social Life” del 1972, parla di evento comunicativo. Ci sono almeno otto variabili
(settings) che ci aiutano a collocare l’evento in uno spazio e in un tempo determinati, in cui
convergono elementi materiali e elementi psicologici, teniamo conto di entrambi i partecipanti
all’evento (parlante e ascoltatore) e dei loro argomenti, della sequenza dei loro atti in termini di
contenuto, dei registri, ovvero delle chiavi (key) delle modalità, e di tutte le risorse disponibili
come i codici verbali e non, i dialetti, delle regole a guida della comunicazione, le norme, i
generi di discorso, da quelli informali come per esempio la barzelletta a quelli formali e
istituzionali. Vedremo nel capitolo (lezione) successivo/a i modelli a cui Hymes si rifà, in
particolare quello del linguistica russo Roman Jakobson, dal quale si distingue principalmente
proprio per la collocazione sociale dell’atto (evento) comunicativo.
E’ importante sottolineare come a partire dalla nozione di atto linguistico così come
formulata da J. Austin negli anni cinquanta e poi alla ridefinizione e sistematizzazione data da J.
Searle, ci rifaremo alla nozione di atto linguistico inserito nel suo orizzonte interpersonale,
sociale, storico-culturale, un evento più che un semplice atto, solo così infatti si può anche dare
conto della forza, del peso e della magia delle parole.

11
Un’ampia collezione di testi della filosofia antica in greco e in traduzione è accessibile online all’indirizzo:
http://www.daphnet.org/; per il frammento di Gorgia: http://presocratics.daphnet.org/texts/Presocratics/82-B,11.
12
Occorre dare una definizione di codice: un codice è un insieme di istruzioni che ci consente di indicare quali sono le
combinazioni tra i segni, di stabilire le corrispondenze tra elementi dell’espressione e elementi del contenuto, di
circoscrivere i segni estranei al sistema, di riconoscere un segno come segno di quel sistema.

8
PARTE II

1. Teorie e modelli
Per comprendere la complessità della semiosi e dei rapporti con i processi comunicativi
occorre innanzitutto rivedere quali modelli di analisi e descrizione della comunicazione ci sono
offerti, tenendo presente che ognuno di questi porta con sé un’idea precisa di “cos’è la
comunicazione” e sullo sfondo una teoria del segno. Rimando tuttavia ai manuali, alle fonti
primarie e ai materiali disponibili in rete13 per una descrizione estesa e per lo studio dei principali
modelli della comunicazione e le teorie del segno. Qui vedremo schematicamente alcuni modelli
principali, al fine anche di cominciare a costruire un lessico condiviso (metalinguaggio) per
trattare dei problemi del segno, della comunicazione e del linguaggio per la filsofia.

Esercizi
1. Telegrafo.
L’esercizio è un classico della nostra infanzia. È il telegrafo senza fili. Si sceglie una frase e
si fa passare di “orecchio in orecchio” di “bocca in bocca” tra i presenti. Al termine del passaggio
si confronta la frase “trasmessa” alla sorgente con la frase “riportata” dall’ultimo destinatario della
catena.
L’analisi dell’esercizio si svolge su più livelli:
a. riflettere sulle dinamiche di trasmissione del messaggio;
b. riflettere sui fattori in gioco nella trasmissione della frase, interni ed esterni, soggettivi e
collettivi,..
c. analizzare il messaggio alla sorgente e nella sua trasmissione finale: correttivi
apportati, omissioni, aggiunte, cambi,
d. riflettere sui fattori di comprensione o incomprensione, di interpretazione.

Nota: Usualmente propongo la frase di Ennio Flaiano: “Le zucchine mi piacciono trafelate”14
arricchita di qualche elemento di contesto, per esempio il riferimento bibliografico.
Quale che sia la frase, nella sua formulazione semplice o più ricca di informazioni, usata con
gruppi più o meno numerosi, la riflessione riguarda l’“influenza” dei passaggi operati per la
trasmissione del messaggio.

2. Gomitolo.
L’esercizio è in qualche modo complementare al primo. Si prende la parola dopo che si è
preso in mano il gomitolo, si passa al parlante successivo ma si tiene in mano il filo, e così via…
Quando il confronto sarà concluso si sarà creata una rete intricata tra i parlanti. Verrà allora
chiesto di riflettere e commentare sulla la rete (rappresentazione) della discussione che si è creata.
Questa seconda fase di riflessione è condotta riavvolgendo via via il gomitolo.

* Nota: occorre un gomitolo di spago o di lana.

13
http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Linguistica e
http://www.mediamente.rai.it/mediamentetv/learning/ed_multimediale/home/index.htm, si veda in particolare la
lezione 06.
14
La frase è tratta da E. Flaiano, Frasario essenziale per passare inosservati in società, 1986.

9
1.1. Modello ingegneristico dell’informazione
Il problema fondamentale della comunicazione è quello di riprodurre in un
determinato momento in modo esatto o approssimato un messaggio selezionato in un altro
momento. Di frequente i messaggi hanno un significato (meaning), che è ciò a cui si
riferiscono o che è ad essi correlato attraverso dei sistemi a entità fisiche o concettuali.
Questi aspetti semantici della comunicazione sono irrilevanti per I problemi di ingegneria.
L’aspetto significativo è che il messaggio analizzato è il messaggio selezionato da un set di
messaggi possibili (C. Shannon, A Mathematical Theory of Communication, 1948, p. 379,
traduzione mia15).

Nel sopraccitato testo di Claude Shannon è proposto uno schema della trasmissione
dell’informazione (schema riportato a pag. 2 dell’edizione del 1948):

Fig. 1: Schema del modello della trasmissione dell’informazione

Il modello riguarda la teoria dell’informazione più che la teoria della comunicazione, in


quanto si occupa di misurare l’informazione e l’efficienza con cui essa può essere trasmessa. Non
coinvolge i fattori semantici e pragmatici della comunicazione e trascura completamente il
contesto (se non per il rumore che esso può produrre). La comunicazione è vista come
trasferimento d’informazioni mediante segnali da una fonte a un destinatario, per la precisione si
occupa di studiare la quantità di informazione scambiata attraverso dispositivi artificiali. Vale
comunque la pena di ricordare che applichiamo sempre un principio di economia: per esempio,
nella comunicazione via sms si abbreviano certe parole ed espressioni che ricorrono
frequentemente (“xke”, “tvb”) per poter trasmettere maggiore informazione e “superare” i limiti
del canale. Tuttavia, certe parole possono essere confuse facilmente con altre parole e se le
scriviamo in forma abbreviata rischiamo che vi sia un errore di decodifica, si pensi per esempio a
come funziona, e quanto ci irriti talvolta, la funzione del T9 nei nostri cellulari.16

15
C. Shannon, “A Mathematical Theory of Communication” in The Bell System Technical Journal, vol. 27, July –
October 1948, p. 379; poi in W. Weaver and C. E. Shannon, The Mathematical Theory of Communication, Urbana,
Illinois 1949; http://cm.bell-labs.com/cm/ms/what/shannonday/paper.html
16
Il modello ingegneristico dell’informazione trova una sua applicazione nella comunicazione umana con George
Miller, Linguaggio e comunicazione, prefazione di R. Simone, La Nuova Italia, Firenze 1972, testo originale Language
and Communication, http://www.questia.com/library/book/language-and-communication-by-george-a-miller.jsp

10
1.2. Modello postale della comunicazione
Ci soffermiamo sui lavori del linguista Roman Jakobson (1896-1982) in particolare sul suo
Linguistics and Poetics (1960)17 in cui viene sviluppato un modello della comunicazione umana
come mediazione tra l’approccio cibernetico/ingegneristico e le indicazioni offerte dagli studi di
psicologia e di antropologia a cui lui stesso si è dedicato. Il modello della comunicazione che
Jakobson propone è essenzialmente lineare, tuttavia la funzione fàtica sottolinea la relazione tra
parlanti (in questa funzione si vedono proprio le influenze degli studi antropologici), e si mette in
rilievo il ruolo del contesto, il quale svolge un ruolo essenziale pur rimanendo relegato alla
contingenza delle situazioni. Tuttavia, è utile qui richiamare una ampia tradizione di studi alla
quale appartiene per esempio Karl Bühler (1879-1963) che con la sua Sprachtheorie aveva fin dal
1933 proposto un quadro di riferimento, articolato anche dal punto di vista tecnico, per la
trattazione di molti dei problemi posti dall’analisi della comunicazione umana.

Fig. 2: Schema del modello di Jakobson

Interessante, guardando lo schema, è la sua impalcatura costruita su 6 assi centrali: Mittente,


Destinatario, Messaggio, Codice, Contesto, Canale a cui è attribuita una funzione.

LA FUNZIONE EMOTIVA è legata alla sensazione (per esempio: fantastico!, Che bello!, ecc.),
ed è orientata al (à) mittente.

LA FUNZIONE REFERENZIALE dà informazioni su qualche aspetto del mondo esterno per


esempio nella frase: il treno per Milano parte dalla Stazione Termini alle 12.00 dal binario 5), à
contesto.

LA FUNZIONE POETICA riguarda le caratteristiche fisiche del messaggio e non soltanto il suo
significato come nel classico esempio dell’espressione “M’illumino d’immenso” invece di “Il
sorgere del sole riempie lo spirito”, à messaggio.

LA FUNZIONE FÀTICA apre un canale di comunicazione fra i parlanti (pronto, chi parla?;
Buongiorno; Come sta?); à canale.

FUNZIONE METALINGUISTICA riguarda il dire o il chiedere qualcosa sul codice o su un


messaggio precedente (Che hai detto?, Quando dico “xxx” intendo…,); à codice.

17
“Closing Statement: Linguistics and Poetics”, del 1958, disponibile in traduzione italiana in R. Jakobson, Saggi di
linguistica generale, a c. di L. Heilmann, Feltrinelli, Milano 1972, in particolare si vedano le pp. 181-218.

11
FUNZIONE CONATIVA è legata alla persuasione del destinatario, ovvero il persuaderlo a
eseguire qualche azione o a mettere in atto un certo comportamento. (Silenzio!, Basta! Sii
gentile!); à destinatario.

Il modello rappresenta la trasmissione di un messaggio da una sorgente ad un destinatario


(codifica-decodifica) e non lo scambio di informazioni fra due soggetti attivi e dinamici. Assume
che vi sia un unico codice comune a mittente e destinatario senza tener conto di tutte le variabili
storiche, culturali, geografiche; se vi è incomprensione questa è dovuta al rumore (a fattori esterni
che interferiscono con la trasmissione del messaggio) – vd. Esercizio del telegrafo senza fili.
Ma siamo sicuri che condividiamo sempre, tutti e tutto il codice? Inoltre, che ruolo gioca il
destinatario?
Occorre notare che nei processi comunicativi complessi (umani) il processo di decodifica non
è mai l’applicazione meccanica di un codice astratto rispetto a dei segnali ricevuti, ma un processo
di interpretazione che dipende dal contesto, dalla conoscenza di fondo del destinatario, da fattori
emotivi, dal contesto culturale, dalle conoscenze dei soggetti.
Il contesto dunque è qui assunto in senso ampio e complesso: è l’insieme, come si diceva,
delle conoscenze condivise, è la relazione interpersonale verbale e non verbale tra parlanti, è la
dimensione spazio-temporale… pertanto vale anche la pena chiedersi: quale è la razionalità e il
razionale condiviso della comunicazione?

2. Domande di filosofia del linguaggio


Alla comunicazione verbale è affidata l’efficacia significazionale, alla comunicazione non
verbale (paralinguistica, cinestesica, aptica, prossemica, cronemica, vestemica) l’efficacia
relazionale. Il sistema linguistico interagisce con uno o più sistemi di comunicazione
extralinguistica. La comunicazione è dunque un processo complesso, dinamico e
multidimensionale che lega gli aspetti verbali (CV) e non verbali (CNV) della significazione
(CV+CNV = Comunicazione) come si può vedere nella tabella seguente:

Comunicazione18
Verbale

verb Paralinguistico - Prosodico Voci, toni, di


ale - Qualità vocali cui va osservata
l’unità, l’intensità,
l’intonazione, le
pause….
Extralinguistico
Cinesico - Mimica facciale Movimenti
Sguardo (direzione,
durata, reciprocità, fissità)
- Gesti e postura
(gesti iconici e motori,
pantomima, deittici,
Nonver linguaggio dei segni,
bale postura del corpo)
Prossemico e Territorialità, Uso dello
aptico contatto, distanza spazio pubblico e
domestico;

18
Tabella compilata a partire da L. Anolli, Psicologia della comunicazione, Il Mulino, Bologna 2002, p. 213.

12
contatto; si può
misurare una zona:
intima, personale,
sociale, pubblica
Cronemico - Monocronico Dimensione
- Policronico temporale mono o
pluri-orientata,
Vestemico Apparenza fisica Valore

Tav. 1: comunicazione vocale e nonvocale

2.1. Letture … e visioni: Balance

Per il tema della negoziazione ho scelto il cortometraggio animato


Balance. Il corto, realizzato dai fratelli gemelli Wolfgang e Christoph
Lauenstein, ha vinto l’”Academy Award for Best Animated Short” (la
durata del corto e di c.a. 7’). La trama è semplice: un gruppo di cinque
individui vive in una piattaforma sospesa. La piattaforma è mantenuta
in equilibrio dalla posizione e il movimento dei cinque che, se non
coordinato con gli altri, provoca uno sbilanciamento della piattaforma.
Tutto va bene fino a quando un misterioso oggetto…

Fig. 3 Balance:

Il film è visibile in rete su youtube, all’indirizzo:


http://www.youtube.com/watch?v=91bNp7HJolE

Fig.4: Balance, in equilibrio

13
Fig. 5: Balance, osservazione

In che modo le parole hanno un rapporto con il mondo? Un parlante si pone di fronte a un
ascoltatore, emette un’esplosione acustica, ed ecco che avvengono fatti notevoli come questi: il
parlante vuol dire qualcosa; i suoni che emette vogliono dire qualcosa; l’ascoltatore capisce quel
che si vuol dire; il parlante fa un’affermazione, pone una domanda, dà un ordine. Com’è possibile
tutto ciò? Com’è possibile per esempio, quando dico “Tizio è venuto a casa”, che da un certo
punto di vista non è dopotutto che una sequenza di rumori, voglio dire che proprio Tizio è venuto
a casa? Che differenza c’è tra dire qualcosa volendola dire e dirla senza volerla dire? Che cosa
comporta il voler dire proprio una certa cosa, quella e non un’altra? Come mai, per esempio,
quando si dice “Tizio è andato a casa” si vuol dire, di solito, che Tizo è andato a casa e non,
magari, che Caio è andato a una festa o che Sempronio è ubriaco? Che rapporto c’è tra quel che io
voglio dire quando dico una cosa e quel che essa vuol dire, che la dica qualcuno o no? In che
modo le parole stanno al posto delle cose? Che differenza c’è tra una sequenza di parole dotata di
significato e una che ne è priva? Che cosa significa che una certa cosa sia vera, o falsa?
Queste domande costituiscono l’argomento della filosofia del linguaggio. (J. Searle, Atti
linguistici, 2000 p. 25)

Nel 1969 John Searle pubblicava per la Cambridge University Press, Speech acts: An Essay
in the Philosophy of Language, uno dei primi studi di filosofia del linguaggio, o meglio, uno dei
primi studi filosofici aperto alla linguistica, come afferma Paolo Leonardi nella sua Introduzione
all’edizione italiana del libro.19 Il lavoro di Searle sistematizza in qualche misura i lavori di John
Austin, How to do things with words del 1962, nel quale si ha la prima formulazione di atto
linguistico, di Paul Grice Logic and Conversation e di P. Strawson, quest’ultimo offre un primo
momento di integrazione tra Austin e Grice in “Intention and Convention in Speech acts”
pubblicato nel 1964 nel vol. 73 del Philosophical Review (pp. 439-460).
Per Searle parlare è compiere atti linguistici, governati da regole; gli atti linguistici sono
almeno 4: atto del proferire, atto proposizionale, atto illocutivo, atto perlocutivo. Il modello
proposto è costruito, in particolare, sull’atto illocutivo, esso infatti comporta il proferire, la
trasmissione di un contenuto e ha come conseguenza degli effetti negli interlocutori. Ma per capire
meglio occorre fare qualche passo indietro, occorre risalire a John Austin e Paul Grice già citati,
ma forse anche a predecessori autorevoli spesso trascurati dagli studiosi che redigono manuali di
Pragmatica20. In traduzione italiana per esempio, per quanto riguarda la teoria degli atti linguistici,

19
J. Searle, Atti linguistici. Saggio di filosofia del linguaggio, Torina, Bollati Boringhieri, 1976, ultima ristampa 2000.
20
Si riportano qui alcuni testi di riferimento per gli studi di semantica e pragmatica: J. Lyons, An Introduction to
Theoretical Linguistic, Cambridge University Press, Cambridge 1968 e Semantics, Cambridge, Cambridge University
Press 1997; S. Levinson, Pragmatics, Cambridge University Press, Cambridge 1983; J. L. May, Pragmatics, an
introduction, Blackwell, Cambridge 1993.

14
si può far riferimento ai saggi raccolti nel volume curato da Marina Sbisà, Linguaggio, ragione,
interazione. Per una teoria pragmatica degli atti linguistici, Il Mulino, Bologna 1989.
Riprendiamo il contesto teorico:
Austin, Grice, Searle… ci muoviamo nell’ambito della “filosofia del linguaggio ordinario”. E
per orientarsi tra approcci e teorie è utile partire dalla distinzione proposta da Charles Morris in
Foundations of the Theory of Signs del 1938 in cui la Pragmatica è lo studio delle relazioni tra
segni e parlanti, la Sintassi è lo studio della combinazione tra espressioni, la Semantica è lo
studio della combinazione tra significati. Tuttavia questa distinzione trascura la reale relazione tra
segno e parlanti21).
La distinzione di Morris è certo per noi insoddisfacente, cerchiamo dunque di dare una prima
definizione di Pragmatica22 che ci guidi nell’analisi del complesso mondo della filosofia del
linguaggio e della comunicazione. Pragmatica si occupa di ciò che gli individui fanno nella realtà
attraverso il linguaggio, mette in relazione il linguaggio con il contesto includendo il suo legame
con i segni, con il referente e con le implicazioni.

Esercizi
1. Commentare le seguenti espressioni:
a. C’è un ladro in biblioteca
b. C’è una biblioteca nel ladro
c. Drola biblioteca ladro

3.1. Gli Atti linguistici


Ci sono alcuni problemi importanti su cui concentrarsi: l’ambiguità, l’incomprensione, il
fraintendimento. Ci situiamo dunque in quello spazio in cui non tutto è chiaro e trasparente,
ovvero sulle soglie della comunicazione.
I parlanti hanno a disposizione un ampio ventaglio di espressioni referenziali che attivano
processi di identificazione, essi possono ricorrere ad elimenti descrittivi, per esempio posso dire:
“il docente con cui ho fatto l’esame mi ha dato 30”, oppure, “il prof. Poggi mi ha dato 30 …”;
posso ricorrere ai nomi comuni “arcivescovo”, ai sintagmi nominali “la sala da pranzo”, a nomi
propri “Alessandro”, “l’arcivescovo Piccirillo”, o “Agrado” per dire del gatto dei nostri amici;
posso ricorrere agli indicali che specificano l’oggetto e il contesto. In ogni caso, quando parliamo
operiamo delle scelte (dico “Silvia” anziché “una mia amica”, “ho preso un vestito rosso” oppure
“ho preso quel vestito rosso”, oppure ancora “ho preso quel vestito rosso lì”. Attraverso le nostre
scelte attiviamo in modo più o meno diretto e presente il referente.
Quando l’evento comunicativo è vincolato, attraverso le espressioni linguistiche indicali, alla
situazione stiamo ricorrendo alla deissi ovvero all’indicazione che può essere di persona: “l’ha
preso lui” indicando la persona; di spazio: “ci vediamo a casa mia”; di tempo: “ci vediamo oggi
alle 4 a casa mia”.
Gli enunciati veicolano informazioni e intenzioni dei parlanti, non solo, i parlanti possono
agevolare o ostacolare la comprensione. Quando parliamo, infatti, facciamo cose, facciamo cose
con le parole, e il nostro parlare, i nostri atti linguistici hanno una dimensione sociale. Per
orientarci meglio guardiamo i principali riferimenti teorici al riguardo.

Quante cose possiamo fare con le parole?


Posso dire: “Il libro è sul tavolo”, dunque descrivere il mondo; posso prescrivere qualcosa:
“domani stabilisco che le lezioni terminino alle 17.00”; posso far accadere qualcosa: “la dichiaro
dottore in filosofia”; posso creare delle aspettative: “ti prometto che domani porterò il libro”. Tutti

21
Si veda in italiano la recente riedizione a cura di S. Petrilli, Pensa Multimedia, Lecce 2009.
22
Il cammino della disciplina è stato particolarmente articolato si veda: B. Schlieben Lange, Linguistica pragmatica
(1975), trad. it., Il Mulino, Bologna 1980.

15
questi sono atti che compio attraverso il linguaggio, hanno tutti una dimensione sociale,
coinvolgono degli interlocutori, agiscono sulle persone, sulle cose, sul mondo.
J. L. Austin, (1911-1960) nel già menzionato How to do things with words del 1962, in
traduzione italiana nel 1987, divide gli enunciati in constativi che descrivono una realtà: “Il libro
è sul tavolo”, e performativi che compiono un atto, per esempio: “mi scuso”, e non hanno
condizioni di verità.
Gli atti linguistici per Austin si distinguono in:
- LOCUTORI: dicono qualcosa
- ILLOCUTORI: invitano, minacciano, esortano…
- PERLOCUTORI: hanno una conseguenza…per esempio: “Io ti battezzo”, oppure quando si
spaventa qualcuno attraverso una minaccia…

Gli atti performativi sono vere e proprie azioni linguistiche, coincidono con le stesse azioni
che enunciano, hanno dunque una forza illocutoria e un effetto perlocutorio.
La forza illocutoria consente di distinguere tra enunciati:
- Rappresentativi: descrivere, concludere,…in questo caso le parole si adattano al mondo
- Dichiarativi: istituzionale, in cui il mondo si adatta alle parole
- Espressivi: sentimenti
- Direttivi: ordinare, vietare, etc… in cui il destinatario assume un ruolo importante
- Commissivi: promettere, incaricare…

Il problema sul quale soffermarsi non è dunque quello della verità o meno degli
enunciati, quanto quello della loro felicità o infelicità.
Per Austin si possono individuare almeno 3 casi:
A. “vi dichiaro marito e moglie” ha un effetto se e solo se la procedura invocata
esiste (il matrimonio).
Ricordate! va sempre verificato il contesto di riferimento, le norme, le procedure.
A1. La procedura deve essere usata in circostanze appropriate, se uno dice “io ti sposo”
davanti a un barista ha una sua conseguenza, se la frase si pronuncia davanti a un sindaco o
un sacerdote ne ha un’altra. Per esempio: “ti nomino senatore” detto a un cavallo o detto a
un senatore ha evidentemente un valore diverso.

B. Difetti o lacune nelle procedure.


Testamento: “lascio il mio Dante a Luisa”. Ma se possiedo due edizioni del volume di
Dante?
C’è evidentemente una lacuna/difetto nella procedura…
Oppure, se in occasione di un matrimonio uno dei due sposi risponde al sacerdote: “ok
mi sposo”….oppure dice “no, non lo voglio”. L’atto fallisce.

C. Abusi di procedura.
“Sono felice per te” (ma in realtà ti odio)
“Si vengo” (ma non ho nessuna intenzione di venire)
“Ti consiglio di leggerlo/vederlo/sposarlo….” (ma non lo penso per niente)

Un atto può venire annullato anche proceduralmente, per esempio un matrimonio può venir
annullato dalla sacra rota, o ancora una persona può venir interdetta per “incapacità di intendere e
di volere”.

3.2. Linguaggio e cooperazione


Il signor Veneranda incontrò per via un suo conoscente.
"Oh!" disse il conoscente del signor Veneranda al signor Veneranda. "Come sta?"

16
"Come?" chiese il signor Veneranda.
"Come sta?" ripeté il conoscente del signor Veneranda.
"Ma, veramente non saprei," disse il signor Veneranda che non capiva
"Come, non saprebbe?"
"Dal momento che lei non mi ha detto di chi parla, io non posso mica sapere come sta. Chi? I
miei parenti stanno tutti bene, grazie, i miei amici quasi tutti, eccetto Tommasino che ha il
raffreddore. Lei intendeva forse Tommasino?"
"Io no, io..." balbettò il conoscente del signor Veneranda.
"Lei no, lei, come faccio io a sapere di chi vuol parlare se non si spiega? Voleva intendere
quel signore lì che passa? Io non so mica come sta, non l'ho mai visto, ma se lo vuole sapere si fa
presto!"
"Ehi, signore" gridò il signor Veneranda al signore che passava, "come sta lei?"
"Bene, grazie" rispose il signore levandosi il cappello gentilmente.
"Ecco," disse il signor Veneranda battendo un colpo sulla spalla del conoscente. "È contento,
adesso? Sta benone. E anche tutta la famiglia?" chiese ancora il signor Veneranda.
"Benone tutti, grazie" rispose il signore voltandosi e salutando.
"Ha visto?" disse il signor Veneranda. "Stanno tutti bene."
"Ma io..." balbettò il conoscente del signor Veneranda.
"Senta, se lei non intendeva parlare di quel signore lì, poteva dirmelo chiaramente prima; io
ho cercato di accontentarla".
"Benedetto uomo" mormorò il signor Veneranda crollando il capo e allontanandosi, "che
bisogno c'era di rivolgersi a me? Non poteva arrangiarsi da solo?" (C. Manzoni,23 Il signor
Veneranda, Milano, Rizzoli 1984)

Paul Grice (1913-1988) in “Logic and Conversation”, William James Lectures, Harvard
University, 1967, e prima ancora in “Meaning”, pubblicato in Philosophical Review, 66 (1957),
alle pp. 377-88, si concentra sulle difficoltà e sui problemi che insorgono nella produzione e
comprensione dei messaggi. In particolare, si concentra sulle nozioni di convenzione e intenzione.
La capacità dei parlanti di interpretare le intenzioni comunicative dei propri interlocutori
garantisce la comprensione dei messaggi. Grice pone la sua attenzione sulle intenzioni
comunicative non del tutto codificate da un enunciato. Tra interlocutori, per Grice, occorre
ammettere delle regole e una razionalità condivisa. Il “principio di inferenza” è dunque il
principio interpretativo che sostiene il processo comunicativo, un principio di cooperazione (CP)
dunque.

Ma quali sono le Massime (maxims) proposte da Grice?


Sono principalmente quattro: qualità, quantità, modo, relazione (sub-articolate
complessivamente in nove sotto-massime).
Massima della qualità: verità
▪ Non dire ciò che credi sia falso.
▪ Non dire ciò per cui non hai adeguata evidenza/prove adeguate.
Massima della quantità: Informazione
▪ Dai un contributo tanto informativo quanto richiesto.
▪ Non dare più contributi di quelli richiesti.
Massima della relazione: pertinenza
▪ Sii pertinente.
Massima di modo: Chiarezza
▪ Evita le espressioni oscure.

23
Carlo Manzoni, (1909-1975) romanziere, autore di racconti e di testi teatrali. La sua produzione si è caratterizzata per
la forte vena ironica e parodistica. Ha collaborato al bisettimanale umoristico Il Bertoldo, e al settimanale umoristico
Candido, di cui, in sostituzione di Giovannino Guareschi, ne divenne anche direttore.

17
▪ Evita le ambiguità.
▪ Evita di essere prolisso.
▪ Sii ordinato

Facciamo alcuni esempi.


Se chiedo: “A che ora vieni?” e tu rispondi “alle 10.00”, la tua risposta è valida in accordo
alla massima della qualità. Ma se chiedo “E’ vero che Francesca ha trascorso la notte da Paolo?” e
tu rispondi “Ma sai che hai proprio un bel sorriso!” è violata la massima della relazione, e mi fai
in qualche modo intendere che non vuoi impegnarti sul tema della mia domanda (… anche perché
si sta avvicinando Alessio, il marito di Francesca!). Ancora se chiedo: “Verrai all’università
domani?” E tu rispondi “Non posso andare da nessuna parte domani”, è violata la massima della
quantità, e si presuppone che venga riconosciuta l’intenzione di far sapere qualcosa di più di
quanto detto.

Tuttavia occorre chiedersi:


- Cosa avviene se i contesti linguistici e socio-culturali sono differenti? Quando anche quelli
nonverbali (vestemici, cinesici, prossemici, cronemici) sono differenti?
- Come possiamo equilibrare la bilancia della comunicazione sempre in posizione
asimmetrica, sbilanciata, tra interlocutori.
- Come posso fare “comunicazione” ovvero costruire uno spazio in cui gli interlocutori
possono situarsi in posizioni simmetriche, equivalenti?
- Cosa significa “intenzionalità”? Su quest’ultimo punto sono interessanti gli sviluppi della
attuale mind-reading.

Le idee fondamentali di P. Grice sono state sviluppate da un antropologo cognitivo, Dan


Sperber, e da una linguista, Deirdre Wilson, i quali in Relevance. Communication and Cognition
(Blackwell, London 1986) e in una serie di articoli24, propongono una teoria della pertinenza
basata sull’idea che la comunicazione è espressione e riconoscimento delle intenzioni. Ciò
presuppone un modello inferenziale della comunicazione e non “postale”.

Ecco che allora che la Pragmatica a cui facciamo riferimento si specifica ancora di più: con
la Pragmatica studiamo le influenze del contesto sull’enunciato e dell’enunciato sul contesto.
Posso infatti modificare il contesto di un discorso e influenzare i miei interlocutori. Diventa così
utile aprire una riflessione che porti ad educare al ragionamento persuasivo e ad addestrare alla
difesa del ragionare sofistico. Il punto di vista qui adottato è dunque in qualche modo ecologico,
un’ecologia della comunicazione: imparare a decontaminare la comunicazione da parole
avvelenate e argomenti inquinanti25.

24
Gli articoli sono scaricabili da: http://www.dan.sperber.fr/ e da: http://www.phon.ucl.ac.uk/home/deirdre/papers.html
25
A. Cattani, Come dirlo? Parole giuste, parole belle, Loffredo, Casoria 2008, p. 25.

18
PARTE III

1. Metafore, linguaggio e comunicazione


M. Hesse auspicava nel suo "Models, metaphors and truth" del 1975,26 che la metafora non
venisse considerata solo uno strumento letterale e decorativo, ma coinvolgesse il processo
conoscitivo e la sua stessa “natura” diventando un argomento della discussione filosofica. La
Hesse partiva da due assunzioni di base:
a) la metafora è necessaria anche nel linguaggio scientifico (obiettivo);
b) la metafora è necessaria nel metalinguaggio analitico.
A dispetto di questi due obiettivi ha resistito negli anni una spiegazione “tradizionale” che
situa la metafora tra i problemi da affrontare attraverso principi linguistici, nonostante venga
ormai considerata un fenomeno cognitivo e concettuale.
La metafora è da considerarsi come il risultato di un’interazione tra una parola o un enunciato
con un’altra parola, un altro enunciato, un contesto: crea nuovi contesti di significato piuttosto che
esprimere o mostrare significati e somiglianze che già esistono. Tale assunto è il risultato di una
secolare discussione sullo statuto della metafora che prende una deriva fondamentale tra '500 e
'600. La metafora, infatti, abbandonando la linea prevalente della tradizione che la vedeva come
puro ornamento del discorso, entra a far parte a pieno titolo dei processi conoscitivi anche se
ancora inficiata da elementi immaginifici.
Tuttavia, la giustapposizione tra due domini o due termini non è sufficiente a produrre una
metafora. Il significato metaforico ha anche bisogno di violare alcune delle regole poste a
“sostegno” della produzione del significato e della semplice contrapposizione di due “campi”.
Per esempio, i termini “labirinto” e “libertà” nell’espressione leibniziana: “il labirinto della
libertà”, non hanno niente in comune presi separatamente, ma è attraverso la loro messa in
relazione che intuitivamente rintracciamo la caratteristica della complessità o il tema della scelta.
Tuttavia, queste caratteristiche sono sufficienti per dire che “la libertà è un labirinto”?
Una riflessione sulle metafore non riguarda dunque solo il loro status, oppure stabilire e
valutare se le metafore siano entrate in un uso quotidiano del linguaggio che ha prodotto una loro
deriva letterale (metafore congelate o frozen metaphors), ma anche verificare se il loro ruolo e la
loro funzione siano, e in che modo, intrinseci al discorso e al pensiero. Spero sia superfluo
riaffermare che è restrittivo relegare l’investigazione delle metafore solo a campi quali poesia e
letteratura, così come intendere la metafora come sinonimo di tropo là dove i tropi vengono
considerati una sorta di violazione delle massime della comunicazione, o un discorso che chiaro e
oggettivo non lascia spazio a fraintendimenti.
"we humans are metaphorizing animals" diceva Johnson in Philosophical perspectives on
metaphor del 1981.

1.1. Teorie contemporanee sulla metafora27


Nell'ambito delle scienze del linguaggio, occuparsi di metafore ha contribuito a connettere
discipline diverse (linguistica e filosofia per esempio) e a stimolare confronti tra approcci
differenti (pragmatico, semantico, per esempio). La produzione critica e teorica riguardante la
metafora è stata da sempre copiosa ma, soprattutto negli ultimi trent'anni, la metafora è diventata
uno dei temi privilegiati nelle ricerche di filosofia del linguaggio. Superati i limiti disciplinari che
la vedevano oggetto di discussione quasi esclusiva della retorica la metafora è diventata materia di

26
In italiano Modelli e analogie nella scienza, 1980, si vedano in particolare le pp. 147-148.
27
Per un quadro storico-concettuale sulla metafora dall'antichità ai giorni nostri, si veda la voce "Metapher” nel
Historisches Wörterbuch der Rhetorik, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1992 vol. 5, pp. 1099-1184.

19
indagine anche di campi quali psicologia, sociologia, antropologia, ed alcuni recenti lavori ne
sottolineano oramai proprio il suo carattere di ubiquità.28
Autori come Georg Lakoff e Max Johnson per esempio in Metaphors we live by29 hanno,
inoltre, sostenuto che la nostra esperienza quotidiana si struttura metaforicamente, facendo così
della metafora un fondamentale strumento conoscitivo e cognitivo. Essi hanno elaborato una tesi
filosofica significativa nei riguardi delle metafore: rivisitando l’empirismo classico le considerano
la base e il fondamento esperienziale che fornisce le strutture concettuali per la conoscenza, alcune
metafore assumono infatti un ruolo “chiave” e “fondante” nella nostra concettualizzazione del
mondo.
La consistente mole di lavori sulla metafora rende difficile trovare un criterio di
classificazione delle teorie moderne sulla metafora. Possiamo però rifarci a cinque criteri:30
1. La metafora (non) è un fenomeno puramente linguistico.
2. (Non) Esiste il significato metaforico.
3. La metafora (non) si definisce in relazione a ciò che è considerato letterale.
4. La metafora è (ir)riducibile ad altri tipi di espressione.
5. La metafora (non) ha un contenuto cognitivo.

La domanda alla quale rispondere è quella della identificazione della metafora: “di cosa
stiamo parlando quando parliamo di metafore?”
Gli studiosi si dividono tra coloro che considerano la metafora un fenomeno cognitivo, cioè
uno degli elementi di base nel processo di concettualizzazione o di rappresentazione, e quelli che
invece la considerano un fenomeno linguistico -criterio 1-. Anche se, in alcuni casi, le due
posizioni talvolta non si escludono (Lakoff e Johnson).
Coloro che la considerano "linguisticamente" si sono trovati di fronte alla necessità di
riconoscere l'autonomia e la natura del significato metaforico, se ci sia cioè un significato
"metaforico" indipendente (Max Black31), magari non determinabile in termini semantici (John
Searle32) o addirittura inesistente (Donald Davidson33) -criterio 2-.
La metafora è stata spesso definita in relazione alla nozione di scarto. Il senso proprio delle
parole viene contrapposto a quello translato ossia ad una "devianza" dall'uso codificato -criterio 3-
. Ciò significa porre la questione del rapporto tra letterale e figurato e fondare nello iato tra i due
campi lo studio dei tropi, in particolare, della metafora. Pertanto, da posizioni in cui la costruzione
semiotica del mondo passa per la sua metaforizzazione (Ivor Richards 193634), si giunge fino a
radicalizzare la distinzione tra i due ambiti, in un tentativo di "purificazione" del linguaggio che
riconduce i tropi a significati letterali. C'è anche chi ritiene lo scarto necessario ma non sufficiente
a spiegare la metafora (Gruppo µ). Da un punto di vista cognitivo, invece, la distinzione tra
significato letterale e significato metaforico viene considerata talvolta psicologicamente irreale
(Raimond Gibbs35) ma talvolta anche reale e necessaria (Marcelo Dascal36), in quest’ultimo caso

28
W. Papprotte, R. Dirven (eds.) The ubiquity of metaphor, North Holland, Den Haag 1995. Un classico del recupero
del valore della metafora è P. Ricoeur, La metafora viva, titolo originale La métaphore vive 1975.
29
In italiano Metafore e vita quotidiana, Bompiani, Milano 2004 e Philosophy in the flesh, Basic Books, New York
1999.
30
E. Bustos De Guadaño, "Metafora" in Enciclopedia Ibero Americana de Filosofia, Filosofia del lenguaje II.
Pragmatica, Editorial Trotta, Madrid 1999, pp. 93-114.
31
M. Black, Modelli Archetipi Metafore, Pratiche Editrice, Parma 1983, edizione originale Models and metaphors
1962.
32
J. R. Searle Expression and meaning, Cambridge University Press, Cambridge 1979 e, sempre dello stesso anno:
"The metaphor" pubblicato in Ortony (ed.) op. cit. 1993 pp. 83-111.
33
D. Davidson "What metaphors mean" in Critical Inquiry, 5, ristampa in S. Sacks (ed.) On metaphor, University of
Chicago Press, Chicago and London 1978, pp. 29-45.
34
Ivor Richards, La filosofia della retorica, Feltrinelli, Milano 1967, edizione originale The philosophy of rhetoric
1936.
35
R. Gibbs, G. J. Steen (eds.) Metaphor in cognitive linguistics (papers from the fifth international cognitive
linguistics conference, Amsterdam 1997) , John Benjamins Publishing Company, Amsterdam Philadelphia 1999.
36
"On the roles of context and literal meaning in understanding". Cognitive science, 13 (1), 1989, pp. 253-257.

20
però, tener conto della base psicologica e dare importanza al significato letterale in relazione a
quello metaforico non significa voler ridurre la metafora ai significati letterali.
Il contenuto cognitivo della metafora è visto anche come irriducibile (ad un’espressione
letterale), vale a dire che le espressioni metaforiche sono insostituibili da altre (posizione
massimalista sostenuta nel già citato testo di Lakoff e Johnson del 1980 e da Mary Hesse37) –
criteri 4 e 5-. In tal modo, lo studio della metafora si emancipa dall'ambito esclusivo dell'analisi
linguistica e si rivolge prevalentemente ai contenuti cognitivi distinguendo l'espressione
metaforica dalla metafora in se stessa.
L'esempio di Lakoff e Johnson "l'amore è un viaggio", individua un dominio concettuale,
“amore”, mappato da un altro dominio, “viaggio”. Entrano in gioco due componenti, secondo le
definizioni date da Richards nel testo del 1936, detti rispettivamente uno veicolo, l'altro tenore.
Attualmente, a seguito del diversificarsi delle teorie, si chiama source, il veicolo, cioè la parole
usata metaforicamente, e target, il tenore, ossia l'idea convogliata metaforicamente.
Il principio interessante non è solo quello della mappatura, ma il fatto che la metafora
consiste nella transazione tra due domini, tra due contesti. Infatti, dalla relazione tra target e
source si genera una serie di espressioni che vengono comprese sulla base di un set di proprietà
appartenenti ad un condiviso dominio concettuale.

... la differenza tra similitudine e metafora ... non si regge su presupposti formali, bensì
pragmatico-cognitivi in senso stretto. La prima figura è fondata sulla percezione statica delle
affinità (e delle differenze) che legano le due entità; mentre la seconda si basa su un meccanismo
di natura eminentemente dinamica, che produce una qualche forma di fusione, o per meglio dire di
compresenza, tra i due enti raffrontati (Bertinetto, Come vi pare …,1979, p. 16038).

Se l'etimologia del termine metafora rimanda all'azione di "trasferire" (metafora deriva dal
greco metaferein) diventa cruciale chiarire la natura di tale trasferimento. Si può dire che i diversi
modi di concepire il "trasferimento" hanno determinato i diversi criteri appena elencati. Il
trasferimento può infatti avvenire per comparazione, intendendo la metafora come definita da
Quintiliano similitudo brevior; per sostituzione, basandosi sull'analogia tra una parola assente e
una presente; per propagazione, con la diffusione di tratti semantici sulla base di analogie tra
termini abitualmente non accostabili.
C'è anche chi considera la teoria comparativa un caso specifico della teoria sostitutiva:
nella sostituzione, il paragone sotteso tra i due termini implica la somiglianza; si può però
affermare che nel caso della comparazione si tratta di una forma abbreviata di paragone.
Tenere separate teorie comparative da quelle sostitutive significa anche rifarsi al quarto caso
della classificazione aristotelica, quello fondato sull'analogia. La natura della metafora consiste nel
trasferire a un oggetto il nome che è proprio di un altro, cfr. Aristotele, Poetica 21, 1457b: i: da
genere a specie; ii: da specie a genere; iii: da specie a specie; iv: per analogia, quando di quattro
termini, il secondo B, sta al primo A, nello stesso modo in cui il quarto D, sta al terzo C.
Il procedimento comparativo è una sorta di "contrazione di un paragone" come dall'esempio:
"Achille è un leone", che "contrae" l'espressione "Achille è coraggioso come un leone".
Ovviamente, ciò non è sufficiente a spiegare gran parte delle metafore, sia perché molti dei
paragoni non possono essere considerati metafore, sia perché non bisogna confondere
comparazione con similitudine.

37
"Models, metaphors and truth", in From a metaphorical point of view, Radman Z. (ed.), De Gruyter, Berlin 1995, pp.
351-372.
38
"Come vi pare. Le ambiguità di come e i rapporti tra paragone e metafora", in Retorica e scienze del linguaggio, A.
Leoni, F. e M.R. Pigliasco (eds.) Bulzoni, Roma 1979, pp. 131-170.

21
1.2. Teorie semantiche e teorie pragmatiche
Le teorie semantiche focalizzando la loro attenzione sull’interpretazione del significato delle
espressioni metaforiche, stabiliscono l'equivalenza tra le strutture logico-grammaticali delle
espressioni metaforiche con alcune espressioni letterali. Il problema sollevato da un approccio
semantico alla metafora è legato alla "impredittibilità" delle espressioni. Più precisamente, è
legato all’illimitata possibilità relativa all’uso di un’espressione. Per far fronte a tale
“impredittibilità” occorre assumere un punto di vista che prenda in considerazione "l'uso"
linguistico e rintracciare la natura del legame tra il significato linguistico e il significato utilizzato,
dunque un punto di vista "pragmatico".
J. Searle ha affrontato il problema considerando le "orazioni" semanticamente univoche e le
"obliquità" come dipendenti dalle intenzioni dei parlanti, in questo modo il significato linguistico
viene distinto dal significato comunicativo. Il primo, si fonda sulle regole grammatico-sintattiche
di una lingua, il secondo, sul contesto comunicativo. Se il pregio è quello di tener conto del
contesto comunicativo e dinamico, tuttavia, le difficoltà ad accettare questo approccio nascono dal
fatto che il significato metaforico viene ancora considerato emergente da quello letterale.
Il fenomeno metaforico è pertanto un fenomeno complesso del quale la teoria interazionista
ha cercato anch'essa di poter accoglierne la complessità spiegando, in termini semantici, la
significazione metaforica e facendola derivare dall'incontro/scontro tra i significati lessicali di due
termini senza trascurare i contesti d'uso. Una prima formulazione in questo senso è data da
Richards, il quale definisce l'interazione una "transazione tra contesti ma lo sviluppo e la
sistematizzazione di tale posizione si deve a Max Black.
La teoria interazionista così come formulata da Black, viene considerata una teoria
semantica, ma, mi sembra, che una tale attribuzione sia riduttiva. Infatti, accanto allo studio
semantico, accosta anche la necessità della loro interpretazione della metafora sul piano
pragmatico. Per Black si instaura un rapporto analogico-contrastivo tra due espressioni: il focus
(vehicle, source), e un frame (tenor, target). La metafora crea una nuova similarità piuttosto che
esprimere una similarità già esistente. Nell’espressione: "Achille è un leone", la metafora risulta
dall'interazione tra due poli o "soggetti": un soggetto principale "Achille", e uno subsidiario "il
leone". Il significato metaforico dipende dai riferimenti (contesti) che i lettori o i parlanti hanno,
attribuendo alla metafora un ruolo cognitivo nella significazione del discorso. In questo modo
però Black sembra preservare solo la potenzialità di una metafora viva. Inoltre, il fatto che il
sistema sussidiario sia usato come filtro attraverso il quale il soggetto principale viene letto,
genera un processo unidirezionale e rende l'interazione unilaterale e dunque solo parziale.
Credo che un'analisi corretta delle metafore debba tener conto di entrambe le vie e della loro
combinazione.
Per l’analisi delle metafore è interessante guardare il contributo dato dall’approccio cognitivo
(un processo mentale è cognitivo quando coinvolge essenzialmente componenti “inferenziali”)
che si rivela in qualche modo adeguato ad una esposizione dei meccanismi di funzionamento delle
metafore in quanto stabilisce una relazione tra pensiero, linguaggio e metafore, facendo di queste
ultime una base fondamentale del nostro sistema concettuale: "Our ordinary conceptual system, in
terms of which we both think and act, is fundamentally metaphorical in nature" (Lakoff e Johnson,
Metafore e vita quotidiana, 1980, p. 3).
E’ importante riconoscere la funzione strutturante e cognitiva delle metafore e il loro legame
con i set di corrispondenze (e opposizioni) tra domini concettuali, a maggior ragione se se si
lavora alle metafore in filosofia: lo studio delle metafore non contribuisce soltanto la descrizione e
la spiegazione delle strutture e delle funzioni del linguaggio ma può costituire l’irrinunciabile
strumento per l’indagine e l'analisi delle basi metafisiche e epistemologiche sottese ai concetti
filosofici.
Gli esempi portati da Lakoff e Johnson sono finalizzati a sottolineare in che modo il
linguaggio è strutturato metaforicamente ed in che modo il pensiero umano è largamente
metaforico, tuttavia la teoria concettuale della metafora rivela dei limiti. La metafora è considerata
come "radicata" in relazioni concettuali stabili e sistematiche, tanto da classificare le metafore in

22
differenti tipi sulla base della naturalità delle loro proiezioni concettuali corrispondenti. Pertanto,
il mapping tra source and target anche se conduce alle metafore che strutturano il nostro apparato
concettuale, non è a mio parere sufficiente a preservare la dinamicità propria della metafora. La
strutturazione, isolando le basi ontologiche, costruisce una gerarchia “rigida” di concetti
metaforici. Ciò che vorrei evidenziare, è invece il carattere “flessibile” anche se talvolta si attua
dentro un contesto “organizzato”. Penso per esempio alle metafore come sotto-struttura
dell’organizzazione del pensiero. Con ciò intendo dire che, oltre rendere conto dell’intero
processo che costruisce il concetto metaforico, si dia conto, se ci sono, di proprietà e di spazi
specifici attraverso cui e in cui la metafora si realizza. Inoltre, non considerare le metafore come
riconducibili a relazioni rigide e sistematiche ma ad una rete di relazioni che, per quanto stabili,
mantengono il carattere dell’“apertura” e tengono conto del contesto (dunque dell’uso
pragmatico), la rete rompe le gerarchie e consente di volta in volta di creare una connessione
metaforica mobile e flessibile la quale presenta solo alcuni dei nodi o delle ri-correnze di
significati pre-de-terminati. In questo senso è interessante la posizione di Lakoff che riconosce
nella molteplicità delle metafore una serie di metafore “generative” espresse in immagini spaziali,
tuttavia occorre non “radicalizzare” queste metafore fissandole nella “posizione” o nel concetto
che veicolano.
Le metafore devono poter essere usate a performare varie funzioni della conoscenza e vari
campi della conoscenza, per questo motivo, devono essere multi-formative. Ma questa “plasticità”
è ciò che conduce gli studiosi a ricercare non un processo di articolazione, bensì nuclei metaforici
essenziali o “metafore fondamentali”. Tale orientamento è presente anche in Lakoff e costituisce
un limite alla sua posizione, la quale pur salvando le potenzialità e le aperture di significato,
riconduce le metafore ad una serie di risposte ben definite.
E’ importante dunque stabilire quali sono i set di principi (proprietà) fondamentali e quali
non-necessari perché ci sia una metafora, sotto quali condizioni e passaggi, e in dipendenza da
quali circostanze, senza trascurare i fini dell’analisi alla quale le metafore vengono sottoposte.
Una pragmatica della metafora può dunque rivelarsi adeguata per evidenziare i principi
indispensabili perché la metafora mantenga la sua identità di tropo.

23
PARTE IV

Appunti delle lezioni

In questa parte sono riportati (e talvolta ripetuti) i concetti e i temi principali presentati e
discussi a lezione

Fallacie

Fallace è un ragionamento che sembra valido ma in realtà non lo è; paradossale è una


conclusione che sembra assurda ma può essere vera (A. Cattani, Botta e Risposta, 2001,cit. p. 31).

Le fallacie sono argomenti che usano a sostegno della propria conclusione elementi che non
sono rilevanti per la conclusione stessa (ovvero che sono inadeguati a stabilirne la verità).
L’entimema è modo contratto di ragionamento (logicamente corretto), ma con premesse false o
altamente implausibili.

Letture: l’amore è una fallacia

Il protagonista è uno studente pronto, calcolatore, perspicace, acuto e astuto. Abile e logico
com’era, fu per lui un gioco convincere Peter, il suo condizionabile compagno di camera, a
cedergli la sua ragazza, di cui si era invaghito, proponendogli uno scambio con un sontuoso
pellicciotto tornato di gran moda. I primi appuntamenti con Polly, la ex morosa di Peter -bella e
deliziosa; intelligente no -furono di studio: voleva capire quanto doveva impegnarsi per portarla
ad un accettabile livello culturale.
Sentiamo come andò dalla viva voce del nostro giovane, ma logicamente superdotato,
spasimante.

******
«Stasera vorrei parlarti, Polly»
«Parlare di che?»
«Di logica».
«Magnifico», disse Polly dopo averci pensato un minuto.
«La logica – dissi schiarendomi la voce – è la scienza del pensare. Per pensare correttamente,
dobbiamo prima imparare a riconoscere le comuni fallacie logiche. Cominciamo con quella che va
sotto il nome di dictio simpliciter. Per esempio: allenarsi fa bene; quindi tutti dovrebbero
allenarsi».
«Sono d’accordo, fa senz’altro bene».
«Polly – le dissi gentilmente – l’argomento è una fallacia. Allenarsi fa bene è una
generalizzazione assoluta. Se sei malato di cuore, allenarsi non fa bene. A molti il medico
prescrive infatti di non fare sforzi. Bisogna precisare le condizioni alle quali l’allenarsi fa bene. Si
deve dire che allenarsi di norma fa bene oppure che fa bene alla maggior parte delle persone.
Altrimenti si commette una fallacia di dicto simpliciter. E’ chiaro?»
«No, ma è affascinante. Continua, continua».
«Prendiamo allora la generalizzazione indebita. Io non so parlare francese, tu non sai parlare
francese, Peter non sa parlare francese. Se ne deve concludere che nessuno del nostro campus
universitario sa parlare francese».
«Nessuno, davvero?»
24
«Polly, è una fallacia! Sono troppo pochi i casi per giustificare la conclusione».
«Conosci altre fallacie? E’ addirittura più divertente che andare a ballare».
«Prendiamo la post hoc. Senti un po’: non invitare Bill alla gita. Ogni volta che viene con
noi, piove».
«Ah, ne conosco anch’io una tale e quale. Si chiama Eulalia. Ogni volta che la invitiamo,
infallibilmente…»
«Polly, Eulalia non causa la pioggia. Lei non ha nessuna relazione con la pioggia. Pecchi di
post hoc ogni volta che la accusi di questo».
«Non lo farò più, te lo giuro. Sei arrabbiato con me? Dimmene ancora di queste fallacie».
«Vediamo le premesse contraddittorie. Eccone un caso. Se Dio è onnipotente, può creare un
masso così pesante da non riuscire a sollevarlo?»
«Certo».
«Ma se può fare tutto, può anche sollevarlo, o no?»
«Sono confusa».
«E’ naturale. Quando le premesse di un argomento si contraddicono, non ci può essere
argomento. Se c’è una forza irresistibile, non ci può essere un oggetto inamovibile. Se c’è un
oggetto inamovibile, non ci può essere una forza irresistibile. Capisci?» Consultai l’orologio; si
era fatto tardi e lei sembrava una testa a prova di logica. Il progetto pareva destinato al fallimento.
Ma valutai che se avevo perso una sera, potevo sprecarne un’altra. Chi sa mai? Può darsi che nel
fondo del cratere estinto del suo animo qualche brace covasse ancora.
La sera seguente, seduti sotto una quercia, la intrattenni sulla fallacia chiamata ad
misericordiam, quella che commette un aspirante ad un posto di lavoro, il quale, alla domanda
circa le sue qualifiche, risponde che ha moglie, sei bambini a casa, senza niente da mangiare,
senza vestiti, senza scarpe, privi di letto per dormire, finito il gas per scaldarsi e l’inverno è alle
porte.
«Oh, è terribile, davvero terribile. Mi viene da piangere. Hai un fazzoletto?»
«Sì è tragico, ma non è un argomento. Ha fatto solo appello al buon cuore, non ha dato
nessuna risposta a quanto gli si chiedeva. Questa di chiama fallacia ad misericordiam».
«Asciugati le lacrime e senti quest’altra. Ti parlerò della falsa analogia. Eccone un esempio.
Agli studenti dovrebbe essere consentito usare i libri di testo durante gli esami. In fondo i medici,
gli avvocati, i muratori non hanno tutti i loro testi, i loro codici o i loro progetti che possono
consultare durante il lavoro?»
«Questa è, credo, l’idea più brillante che abbia mai sentito», esclamò entusiasta Polly.
«Polly, il ragionamento è tutto sballato. I medici, gli avvocati e i carpentieri non consultano i
testi per vedere quanto hanno imparato. Le situazioni sono completamente diverse e non si può
fare una analogia tra la prima e le seconde».
«Resto comunque convinta che sarebbe una buona idea» disse Polly.
Esasperato, le proposi tuttavia il caso dell’ ipotesi dell’irrealtà, illustrandola con questo
esempio: se madame Curie non avesse lasciato una lastra fotografica in un cassetto con un pezzo
di pechblenda, il mondo non avrebbe conosciuto il radio.
«E’ vero, ho visto anche un film che raccontava la storia».
«Ti faccio notare che madame Curie avrebbe potuto scoprirlo in seguito. Avrebbe potuto
scoprirlo qualcun altro. Chissà quante cose avrebbero potuto succedere. Non si può partire da
un’ipotesi che non è vera e ricavarne qualche conclusione che sia giustificata». «E vediamo
l’ultima, proprio l’ultima, perché c’è un limite alla capacità di tolleranza. Si chiama avvelenare la
sorgente. Due individui cominciano una discussione. Il primo esordisce dicendo: “Il mio
avversario è notoriamente un mentitore. Non si creda ad una parola di quello che dirà…” Ora,
Polly, pensa, pensa intensamente, che cosa non va bene in questo discorso?»
«Non è bello. Non è per niente bello. Che possibilità ha il secondo se il primo lo chiama
bugiardo prima ancora che inizi a parlare?»

25
«Giusto. Il primo individuo ha avvelenato la sorgente prima che qualcuno vi potesse bere. Ha
tagliato le gambe al suo concorrente prima della partenza. Sono fiero di te Polly. Vedi che non è
poi così tanto difficile. Basta concentrarsi: pensare, esaminare, valutare».
Finalmente vedevo uno sprazzo di luce, un bagliore di intelligenza. Mi occorsero notti, ma ne
valse la pena. Avevo fatto di Polly una donna logica. Le avevo insegnato a pensare. Il mio
compito era stato assolto. E lei era pronta a diventare una moglie giusta per me, una signora
perfetta per la mia casa e una madre per i miei figli. Era giunto il momento di passare dalla fase
accademica a quella romantica. L’amavo come Pigmalione ama la donna perfetta che aveva
forgiato. Decisi di dichiararmi.
«Polly, stasera non discuteremo di fallacie».
«Ah, no?» disse lei, amareggiata.
«Mia cara, abbiamo trascorso cinque sere assieme. Siamo stati splendidamente bene. E’
chiaro che siamo fatti l’uno per l’altra».
«Generalizzazione affrettata» disse Polly raggiante.
«Chiedo scusa» dissi io.
«Generalizzazione affrettata e indebita» ripetè. «Come fai a dire che siamo fatti l’uno per
l’altra sulla base di soli cinque incontri?»
Annuii divertito. La cara ragazza aveva assimilato bene le lezioni.
«Mia cara, cinque volte son più che sufficienti. Del resto, non devi mangiare tutta la torta per
sapere se è buona».
«Falsa analogia» replicò prontamente. «Io non sono una torta; sono una ragazza».
Annuii un po’ meno divertito. Anche troppo bene aveva imparato la lezione, la ragazza.
Decisi di cambiare tattica. Ovviamente il migliore approccio era una semplice, una netta, diretta
dichiarazione d’amore. Mi fermai un istante mentre la mia massa cerebrale elaborava le parole
giuste.
«Polly, ti amo. Tu per me sei tutto il mondo, e la luna e le stelle e le costellazioni. Ti prego,
dimmi che vuoi stare con me, perché se mi dici che non mi vuoi, la vita per me non avrà più
senso. Vagherò sulla faccia della terra, come un derelitto, vuoto e senza meta».
«Ad misericordiam» disse Polly.
Strinsi mani e denti. Non ero Pigmalione; ero Frankenstein, e il mostro mi teneva per la gola.
Dovevo controllare il panico, mantenermi calmo a tutti i costi.
«Bene, Polly» dissi forzando un sorriso.
«Hai certamente imparato bene le fallacie. Ma chi te le ha insegnate le fallacie, Polly?»
«Tu me le hai insegnate».
«Brava. Quindi tu mi devi qualcosa, vero? Se non fossi venuto con te non avresti mai
imparato tutte queste cose».
«Ipotesi dell’irrealtà» disse lei prontamente. Feci un bel respiro profondo.
«Polly, non devi prendere tutto ciò troppo alla lettera. Queste sono cose da scuola. Sai che le
cose che si imparano in classe non hanno niente a che fare con la vita».
«Dictio simpliciter» disse lei, agitando il suo ditino davanti a me. Proprio così fece. Andai su
tutte le furie.
«Ma insomma, vuoi o non vuoi metterti con me?»
«No, non voglio».
«Perché no?» chiesi.
«Perché oggi ho promesso a Peter che mi sarei messa con lui».
Questa era davvero troppo. Dopo che lui me l’aveva promesso, dopo che aveva fatto un
affare, dopo che mi aveva stretto la mano!
«Canaglia!» esplosi. «Non puoi andare con lui. E’ un bugiardo. E’ un imbroglione. E’ un
verme».
«Avvelenare la sorgente» disse Polly «E piantala di urlare. Penso che anche urlare sia
fallace».
Con uno sforzo enorme di volontà cercai di modulare la mia voce.

26
«Bene» dissi. «Tu sei una persona logica. Guardiamo allora logicamente alla faccenda. Come
fai a scegliere Peter al posto mio? Guarda me: uno studente brillante, un fantastico intellettuale, un
uomo con un futuro assicurato. Guarda Peter: uno senza arte né parte, che non si sa dove mangerà
domani. Puoi darmi una sola ragione logica per stare con lui?»
«Certo che posso» dichiarò Polly. «…Possiede una magnifica pelliccia!»39.

Alcuni tipi di Fallacie40


"ad baculum" è il ricorso alla forza (al bastone). Es.: “è stato punito vuol dire che ha
sbagliato”.

"ad misericordiam" è il ricorso alla pietà. Es.: “Mi faccia passare all’esame lavoro, mio
marito è disoccupato”.

"ad verecundiam" è il ricorso all'autorità. Es.: “L’ha detto il presidente quindi è vero”.

“ad hominem” (detto anche “abusivo”). Si usa l’argomento dell’avversario per negarlo (senza
entrare nel merito). Es.: "Quello che dice è sbagliato! E' sempre stato uno stupido."

“ad ignorantiam”. Inferire la verità di una proposizione dal fatto che non è stata dimostrata
falsa, o viceversa. Es.: "Gli UFO esistono! Nessuno è riuscito a dimostrare che non ci sono".

“petitio principi”. Dare per dimostrata o assumere tra le premesse la conclusione che si vuole
dimostrare.
Es.: "La petitio principi è una fallacia bellissima, la migliore. Infatti tra le varie fallacie
considerate essa rappresenta il punto più alto dell'estetica delle fallacie".
La petitio principi dà spesso luogo ad argomenti circolari: "Le persone furbe studiano molto e
usano bene il loro tempo. Cosa vuol dire usar bene il proprio tempo? Ma è chiaro! Vuol dire
studiare molto."

“Non sequitur”. Conclusione che assume come causa di un evento qualcosa che non ne è
causa, legato di solito al concetto di causalità (e quindi a problemi di logica induttiva).

"plurimum interrogationum" o "questione complessa". Usata abilmente da investigatori e


poliziotti e in politica. Esempio: "Dove hai nascosto le prove?", oppure "Preferisci il comunismo o
la libertà?”. Si presuppone la verità di un asserto nel porre una domanda, e si ottiene una risposta
non voluta.

“Ignoratio elenchi”. Buon argomento e buona conclusione; solo che la conclusione non è
quella di cui si discuteva, ma una più generale. Usato nei processi o per discutere proposte di
legge, per esempio se si discute di una persona imputata di omicidio: “l'assassinio è un crimine
orribile e questo assassinio particolare è ancora più efferato dei normali casi di assassinio”.
Tuttavia non si è ancora dimostrato che la persona è l'assassino.

Ci sono delle Fallacie dette “per ambiguità”, sono quelle che usano parole o frasi ambigue, il
cui significato cambia nel corso dell'argomento, rendendolo fallace. L’Equivocazione, per
esempio, quando si usa una parola con più sensi nel corso di una argomento. Per esempio: "Fine di
una cosa è la sua perfezione; la morte è la fine della vita; quindi la morte è la perfezione della

39
Traduzione da Love is a fallacy di Max Shulman (1951)
40
Un testo classico per lo studio delle fallacie è C. L. Hamblin, Fallacies, Methuen, London 1970.

27
vita". "Fine” è usato ora come "scopo", ora come "termine". L’ Anfibolia, ovvero un'asserzione
che può essere vera o falsa a seconda dell'interpretazione. Per esempio: "Si uccide dopo un addio
alla famiglia con un colpo di fucile".

28
Esercizi

1. Il terrore degli abissi


«Il becco del calamaro catturato nel Mar di Ross lo scorso aprile era lungo quasi quattro
centimetri. L’esemplare era soltanto a metà del suo sviluppo. I biologi marini hanno potuto
stabilirlo esaminando le uova conservate al suo interno, non ancora mature (G. Stabile, “E’ questo
il terrore degli abissi?”, in La Stampa, 4 ottobre 2003, supplemento Lo Specchio, pp. 130-13141).
- A coppie, a partire dai dati del trafiletto soprariportato, uno costruisce un argomento a
favore dell’esistenza del mostro degli abissi e l’altro un argomento contro: “E’ questo il mostro
degli abissi?”

-Nota: Si deve far uso del maggior numero possibile di fallacie, costruzioni retoriche.

41
Riprendo la citazione da A. Iacona, L’argomentazione, Einaudi, Torino 2005.

29
Schede

I
DOMANDA: Perché studiare filosofia del linguaggio e cos’è la filosofia del linguaggio
Vd. Articolo di U. Eco e Tullio De Mauro

Approccio critico (ragione ragionevole), attenzione ai testi


Il testo filosofico non è un ricettacolo passivo i cui si ‘depone’ il pensiero ma il luogo
privilegiato in cui si ‘effettua’ il senso – testo evento, accadono delle cose… si fanno cose, si
provocano cose…
Approccio interdisciplinare: umanistica digitale
Partiamo da wikipedia… conoscenza sociale e condivisa ma non ‘provata’ condizioni di
verità, verità assoluta, verità sociale… schema
La filosofia del linguaggio si La natura del linguaggio è un problema filosofico
occupa del linguaggio umano Riflessione sulla natura del linguaggio
(lingue naturali e lingue artificiali) Filosofia antica occidentale: classi e ordine delle parole
NOTA: linguaggio animale (logica e retorica), teorie dell’argomentazione: Aristotele,
Platone…, grammatica di Port Royale

Quali sono le condizioni di possibilità e in che modo si


definisce come specie specifica
Riflessisone sui sistemi logici (sistemi artificiali),
proprietà universali delle lingue (filosofia analitica del
linguaggio): Frege, Russell

Filosofia del linguaggio ordinario: studio del


linguaggio a prescindere dalle formalizzazioni, linguaggio
parlato quotidianamente.
Esistono delle corrispondenze tra la lingua e entità reali
e concettuali?
E’ possibile accedere alle condizioni implicite nell’uso
del linguaggio attraverso un’analisi minuziosa dello stesso?
Si può parlare di abuso delle parole? (errori)

- Svolta linguistica in filosofia: linguistic turn (Searle,


Rorty, Austin)
Fare cose con le parole
Linguaggio e politica
e dei suoi sistemi di Cosa vuol dire sistema,
comunicazione Cosa vuol dire comunicazione relazione: cum munio,
mettere in comune. Comunicazione scritta, sempre circolare
(confronto con l’ermeneutica)

Indaga le relazioni tra tematizzazione nel ‘600 grazie al contributo di G. W.


linguaggio, pensiero e realtà Leibniz T. Hobbes, e J. Locke

meta-testualità

Problema della descrizione del linguaggio:


Rinascimento dizionario monolingue, informazione sulle
lingue, informazione sulle cose.
Dizionario, lemmario, enciclopedia, diversi dalle liste

30
di parole (Ars Grammatica di Dionisio di Trace, II sec a.C.)

la filosofia del linguaggio si Rischio – confine - interdisciplinarità


pone al confine con altre La filosofia del linguaggio non ha una vera e propria
discipline quali la psicologia, unità disciplinare
metafisica, l'epistemologia, la
logica, la linguistica, la semiotica - complessità

Studia il rapporto tra segno e Semantica e pragmatica: che relazione?


significato
- J. L. Austin, J. R. Searle
Linguaggio come atto significativo (né falso, né vero)
Atto diretto (ordine); commissivo (promessa);
dichiarativo (matrimonio); espressivo (chiedere scusa)
la capacità umana di usarli Tecnica: scrittura e lettura
nella comunicazione (Leroi- Rottura del continuum
Gourhan, le geste et la parole, Parole Concetti Discorso
1965) Il linguaggio non è uno strumento neutro
Intelligenza collettiva e intelligenza connettiva
Modelli centralizzati e modelli distribuiti (Stuart
Kaufaman), non esiste un punto di vista assoluto e
indipendente dal linguaggio in quanto la conoscenza non è
un fenomeno isolato ma distribuito: la conoscenza va
concepita, rappresentata, costruita … e condivisa

Linguaggio e politica

Livello della parola, della Doppio aspetto della costituzione discorsiva:


lingua, e livello del discorso ‘istituzione’ e ‘istaurazione’. Il primo media la relazione tra
Testo come ‘evento’ testo e contesto; il secondo la relazione tra gli schemi
speculativi e le forme di espressione.
La filosofia si costruisce nell’ordine del discorso
Forme miste e fattori di dominanza
Posizioni dottrinali e scelte espositive
Cfr. Cossutta, Sarfati, Mainguenau (scuola francese
dell’analisi del discorso)

31
II
Dal testo al discorso Definizioni di testo e di discorso
Testo TESTO
Senza contesto non si da testo COTESTO
CONTESTO
Eco, U., Lector in fabula. La Il testo è una struttura aperta che necessita
cooperazione interpretativa nei testi narrativi, «movimenti cooperativi
Bompiani, Milano 1979.: attivi e coscienti» (Eco, 1979, p. 51)
Competenza comunicativa 1. Beatrice ha una vecchia credenza
= competenza linguistica + competenza
lessicale, competenza semantica
a. C’è una biblioteca nel ladro
b. C’è un ladro in biblioteca
c. Drola biblioteca ladro
Ci farà enorme piacere avervi nostril ospiti
in villa siamo a casa la seconda metà di luglio ma
fa sempre un caldo soffocante in quell periodo
Testo come unità comunicativa Coesione : collegamento tra le parti: rispetto
Robert de Beaugrande dei rapporti grammaticali e della connessione
Wolfgang Dressler: Introduzione alla sintattica tra le varie parti del testo:
linguistica testuale, ed. Or. 1981,
Bologna, Il Mulino, 1994. Coerenza : continuità di senso, riguarda le
funzioni in base a cui le componenti del mondo
Criteri di testualità testuale, ossia la configurazione di concetti e
relazioni soggiacente al testo di superficie, sono
reciprocamente accessibili e rilevanti.
Intenzionalità: obiettivi
Accettabilità: ricevente
Informatività
Adeguatezza e principio di sospensione
dell’incredulità (fiction)
Enciclopedia Il sapere testuale è legato alla enciclopedia
individuale e, in particolare, alla capacità di
inquadrare le informazioni in FRAME che
permettano di interpretare il testo come
unità logico-semantica,
cogliendone, nei termini di Coseriu, il senso
Legittimazione del proprio spazio discorsivo
ENUNCIAZIONE FILOSOFICA
- esigenza che produce il testo – pratica
della lettura
polifonia enunciativa organizzata -enunciatore /coenunciatore –STATUTO del
testo
-interirità testuale - mondo esteriore,
continuità discorsiva
Apparato formale dell’enunciazione filosofica /Specificità discorsiva
Scena filosofica

32
III
Comprendere il rapporto tra schemi dottrinali ed esigenze comunicative permette di studiare
lo statuto e lo status di un’opera filosofica
Si può collegare la linguistica - Esistono delle corrispondenze tra la lingua e entità
dell’enunciazione, la filosofia del reali e concettuali?
linguaggio e l’analisi del discorso - E’ possibile accedere alle condizioni implicite
per costruire un modello della nell’uso del linguaggio attraverso una analisi minuziosa
DISCORSIVITA FILOSOFICA? dello stesso?
- Si può parlare di abuso delle parole? (errori)
La filosofia è un discorso autocostituentesi che impone delle regole di metodo?
Delimitiamo il dominio Partiamo dalla distinzione tra langue e parole (quindi
anche dalla relazione società/individuo)
- articolazione dei prodotti La linguistica e il programma saussuriano si orienta
linguistici nel loro spazio sociale verso i ‘fatti di sistema’ costitutivi del linguaggio: la
manifestazione effettiva del linguaggio (parole), luogo
delle variazioni individuali si distingue in qualche modo da
ciò che è sociale.
Noi ci concentriamo sul pezzo in qualche modo
mancante: il discorso ma recuperiamo la soggettività nel
linguaggio attraverso il concetto di enunciazione (cfr.
Emile Benveniste, problemi di linguistica generale)
La nozione di testo non la Discorso:
isoliamo da quella del discorso linguaggio in azione
tutti gli enunciati superiori alla frase
una enunciazione che ha un locutore e un uditore
conversazione
il discorso mette in atto dei meccanismi discorsivi
si lega alle posizioni sociali e ideologiche
non si riduce al verbale ma si inserisce in una
dimensione semiologica ampia (semiotica delle culture)
1. Opera 1. produzione organizzata secondo le norme
2. Genere del genere definito
3. Discorso 2. categoria di classificazione (giornalistico…
reportage…intervista…)
3. oggetto che designa i testi le loro
condizioni storiche di produzione
DISCORSO 3 criteri: situazione sociologica relativa al
Prospettiva gruppo sociale dato (posizionamento); qualità del
integratrice suo rapporto mediatico (iscrizione); il regime di
Testo in rapporto alle relazioni che regolano i rapporti che il testo
sue condizioni di intrattiene con altri testi/discorsi (intertestualità)
produzione
Interiore e esteriore
Livelli di approccio 1. transfrastico (ancoraggio enunciativo-
regolarità semantiche); retorico-stilistico
(eterogeneità del testo) ; tipologico (testo e
discorso); semiotico (contenuti e società)
Temporalità e tempi Tempo del testo, tempo storico, tempo
linguistici dell’autore

33
IV
Esercizio: “Lo so” Confidenziale: ti metto a parte che lo so
Espositivo-informale: sappi che lo so
Espositivo formale: ti rendo noto che lo so
Assertivo: Ti dico che lo so
Esclamativo: Lo so!
Interrogativo: Lo sai che lo so?
Ottativo: desidero dirti che lo so
Confessione: Riconosco che lo so
Dubitativo: Credo di saperlo
Esitante: Non so come ma…
Categorico: Non posso non saperlo
Affidabile: ti garantisco che lo so
Solenne: Giuro che lo so
Perentorio: Lo so da sempre
Comprendere il rapporto tra schemi dottrinali ed esigenze comunicative permette di studiare
lo status di un’opera filosofica
Retorica Quadrivium: aritmetica, geometria astronomia e
Dialettica musica
Matrimonio tra filologia e Trivium: retorica, dialettica e grammatica (arti
eloquenza, cfr. Marziano Cappella liberali)
(IV-V secolo d.C.) Dialettica dia-legein (parlare attraverso) + techne
Le nozze di Filologia con arte/tecnica
Mercurio Metodo argomentativo della filosofia, strumento di
De nuptiis Philologiae er indagine della verità; Domande e risposte vs. discorso
Mercuri lungo
Chaim Perelman riabilita la Giudizio negativo di Aristotele che lo considera un
retorica in ambito giuridico (1966) ragionamento imperfetto; Retorica: arte del parlare in
pubblico, con l’obiettivo di persuadere l’interlocutore
Argomentazione Discorso dimostrativo - Discorso argomentativo
Importante evidenziare le relazioni che la filosofia instaura con i supporti espressivi che
permettono di collegare atti di discorso e atti di pensiero
La nozione di testo non la Discorso: linguaggio in azione
isoliamo da quella del discorso tutti gli enunciati superiori alla frase
una enunciazione che ha un locutore e un uditore
il discorso mette in atto dei meccanismi discorsivi
si lega alle posizioni sociali e ideologiche
non si riduce al verbale ma si inserisce in una
dimensione semiologica ampia (semiotica delle culture)
DISCORSO 3 criteri: situazione sociologica relativa al gruppo
Prospettiva integratrice sociale dato (posizionamento); qualità del suo rapporto
Testo in rapporto alle sue mediatico (iscrizione); il regime di relazioni che
condizioni di produzione regolano i rapporti che il testo intrattiene con altri
Interiore e esteriore testi/discorsi (intertestualità)
Testo contesto cotesto In-fra; ex-tra; in-tra
Livelli di approccio 1. transfrastico (ancoraggio enunciativo-regolarità
semantiche); retorico-stilistico (eterogeneità del testo) ;
tipologico (testo e discorso); semiotico (contenuti e
società)
Come rendere più fruibile il In un altro testo di G. W. Leibniz, la Nova
discorso filosofico? Methodus discendae docendaeque jurisprudentiae,
formazione del giurista; interpretazione come un

34
processo in cui il testo inscriptio si inserisce
storicamente nella norma e nella tradizione subscriptio, è
totalis e partialis, katà poda, parola per parola; parametri
contestuali e cotestuali; mos geometricus;
intreccio tra dimensione storica Linguaggio naturale e ordinario
e fatto linguistico

35
V
Comprendere il rapporto tra schemi dottrinali ed esigenze comunicative permette di studiare
lo status di un’opera filosofica
Argomentazione Discorso dimostrativo
Discorso argomentativo
La nozione di testo non la Discorso: linguaggio in azione, tutti gli enunciati
isoliamo da quella del discorso superiori alla frase; una enunciazione che ha un locutore e
un uditore
- il discorso mette in atto dei meccanismi discorsivi si
lega alle posizioni sociali e ideologiche non si riduce al
verbale ma si inserisce in una dimensione semiologica
ampia (semiotica delle culture)
DISCORSO 3 criteri: situazione sociologica relativa al gruppo
Prospettiva integratrice sociale dato (posizionamento); qualità del suo rapporto
Testo in rapporto alle sue mediatico (iscrizione); il regime di relazioni che regolano
condizioni di produzione i rapporti che il testo intrattiene con altri testi/discorsi
Interiore e esteriore (intertestualità)
Testo contesto cotesto In-fra; ex-tra; in-tra
Livelli di approccio 1. transfrastico (ancoraggio enunciativo-regolarità
semantiche); retorico-stilistico (eterogeneità del testo) ;
tipologico (testo e discorso); semiotico (contenuti e
società)
Come rendere più fruibile il In un altro testo la Nova Methodus discendae
discorso filosofico? docendaeque jurisprudentiae: formazione del giurista;
interpretazione come un processo in cui il testo inscriptio si
inserisce storicamente nella norma e nella tradizione
subscriptio, è totalis e partialis, katà poda, parola per
parola; parametri contetsuali e cotestuali; mos geometricus;
intreccio tra dimensione Linguaggio naturale e ordinario
storica e fatto linguistico
Presentazione della posizione di M. Nizolio anti aristotelico/ciceroniano vsìis à vis quella di
G. W. Leibniz
Codificare un testo Rappresentazione e interpretazione

- slides sulla codifica del testo di A. Russo


- slides sulla annotazione semantica e l’uso di Pundit di M. Tardella

36
VI
Esercizio: Gomitolo, Telegrafo
Problema del supporto rapporto tra testo/discorso e medium
Comprendere il rapporto tra schemi dottrinali ed esigenze comunicative permette di studiare
lo status di un’opera filosofica
Il processo di codifica esplicita delle informazioni anche in più rispetto al testo originale.
Scompone il testo nei suoi elementi costitutivi: testo è un oggetto multiplo, composito
(componente materiale e componente astratta), è un dispositivo comunicativo
E’ un’attività interpretativa, di scelta e valutazione
Rappresentazione anche formale del testo, formalizzazione del sapere
Aumenta l’accessibilità, la pervasività e la portabilità –intercambiabile- dei testi (universalità
d’accesso ai contenuti)
Intreccio tra dimensione storica e fatto linguistico
Strategia discorsiva
Soggetto Enunciatore universale: forma vuota inglobando
C’è una relazione tra seconda e terza persona
l’impiego degli indizi di Enunciatore di riferimento: neutrale
soggettività nella lingua dei Enunciatore identificato: prima persona, è insieme
filosofi e lo statuto filosofico che forma di esposizione e contenuto esposto
questi accordano alla soggettività? Enunciatore singolarizzato: biografico

Attenzione al destinatario

VII
Come rendere più fruibile il In un altro testo di G. W. Leibniz, Nova Methodus
discorso filosofico? discendae docendaeque jurisprudentiae: formazione del
giurista; interpretazione come un processo in cui il testo
inscriptio si inserisce storicamente nella norma e nella
tradizione subscriptio, è totalis e partialis, katà poda,
parola per parola; parametri contestuali e cotestuali; mos
geometricus
Strategia discorsiva Funzione pedagogica: conversione del lettore… ciò a
Funzione di destinazione cui tendere…
Funzione didattica: comprensione… non lasciarsi
scoraggiare
Soggetto Enunciatore universale: forma vuota inglobando
C’è una relazione tra seconda e terza persona
l’impiego degli indizi di Enunciatore di riferimento: neutrale
soggettività nella lingua dei Enunciatore identificato: prima persona, è insieme
filosofi e lo statuto filosofico che forma di esposizione e contenuto esposto
questi accordano alla soggettività? Enunciatore singolarizzato: biografico

Destinatario Mediatore tra l’autore e ste stesso da una parte e


dall’altra parte tra la fonte enunciatrice e la comunità di
riferimento (resiste, integra, si oppone…)
Gioca un ruolo importante per la ricezione del testo da
parte della scena sociale e istituzionale in cui si iscrive, e
per la leggibilità interna del testo
Destinatario di esclusione
Destinatario di inclusione
- prossimità, prossimità intima

37
Integrazione dei punti di vista
Processo di instaurazione del Luoghi in cui il senso è localizzato: prese di posizione
senso: Termine, senso, riferimento (definizioni)
(esempi) Costruzione di registri: distinguo qui …
Aperture: non si può …
Metafora

VIII
Il rapporto tra il filosofo e il linguaggio è legato ad una filosofia del linguaggio
E’ un problema onto-logico?
Il processo di codifica esplicita delle informazioni anche in più rispetto al testo originale.
Scompone il testo nei suoi elementi costitutivi: testo è un oggetto multiplo, composito
(componente materiale e componente astratta), è un dispositivo comunicativo
Canone: percorso dell’enunciazione filosofica
Integrazione dei punti di Polifonia: soggetto parlante, locutore, enunciatore,
vista: soggetto, destinatario
(mediatore)/ Dialogo
Processo di instaurazione del Luoghi in cui il senso è localizzato: prese di posizione
senso: Termine, senso, riferimento (definizioni)
(esempi) Costruzione di registri: distinguo qui …
Aperture/Chiusure: non si può …
Semantizzazione concettuale L’insieme delle operazioni mediante le quali il
Semantica filosofica (scelta di filosofo rende esplicito deliberatamente il significato delle
termini e regole d’uso) espressioni che usa.
Prese di posizione di tipo enunciativo
Identificare i concetti e Integrazione della terminologia in una totalità
costruire il campo concettuale sistematica

38
IX
Processo di instaurazione del Luoghi in cui il senso è localizzato: prese di posizione
senso: Termine, senso, riferimento (definizioni)
(esempi) Costruzione di registri: distinguo qui …
Aperture/Chiusure: non si può …
Contraddizione Negazione metalinguistica, polemica, descrittiva,
Semantizzazione concettuale L’insieme delle operazioni mediante le quali il filosofo
Semantica filosofica (scelta rende esplicito deliberatamente il significato delle
di termini e regole d’uso) espressioni che usa.
Prese di posizione di tipo enunciativo
Identificare i concetti e Integrazione della terminologia in una totalità
costruire il campo concettuale sistematica
Errore Fallimento inconsapevole del pensiero nel
raggiungimento della verità
- ignoranza, del non conoscere la verità, scambiando
per vero ciò che è falso (Socrate)
- la conoscenza del vero è il primo passo verso il
conseguimento della felicità individuale (Platone, Leibniz)
liberarsi dall’errore per conseguire la verità e
progredire nella scienza (Bacone) ERRORI= Idola
1 causa: l'uomo è più attaccato alle proprie idee che
alle cose, cioè l'uomo spesso dà più valore alle proprie idee
che alla realtà; 2: l'insofferenza per il dubbio; 3: attribuire
false finalità alla conoscenza; 4: la fede cieca nell'autorità
Bacone: la scienza è sposa non cortigiana (Novum
organum)
- “Nessuno sbaglia volontariamente ma la volontà ci
spinge ad affermare per vero ciò che l'intelletto non
concepisce ancora come evidente, come chiaro e distinto”
(Descartes).
- 'errore si riduce a un semplice calcolo errato. Infatti il
pensare è simbolico e si riduce a una combinazione di
segni: se il linguaggio simbolico è efficiente noi potremo
cogliere le relazioni tra le cose poiché esiste
un isomorfismo strutturale tra il pensiero e la realtà: e
«questa proporzione o relazione è il fondamento della
verità”, 'errore si riduce a un semplice calcolo errato. Infatti
il pensare è simbolico e si riduce a una combinazione di
segni: se il linguaggio simbolico è efficiente noi potremo
cogliere le relazioni tra le cose poiché esiste
un isomorfismo strutturale tra il pensiero e la realtà: e
«questa proporzione o relazione è il fondamento della
verità”.
Errore di natura pratica (morale), teoretico (vero,
falso)

39
X
Comprendere il rapporto tra schemi dottrinali ed esigenze comunicative permette di studiare
lo status di un’opera filosofica
Terminologia La dottrina nominalista si posiziona nella
ante rem, cosiddetta disputa sugli universali sostenendo i termini, i
esistono prima delle cose nella concetti, in filosofia ‘universali’, non possiedono una loro
mente di Dio; esistenza scollegata dalle cose, né esistono fuori dalle cose
in re , gli universali (post rem, convenzioni), vs. i realisti per i quali i concetti
sono all'interno delle cose stesse, posseggono un'esistenza in un mondo di astrazioni
come essenza reale; indipendente dal mondo degli oggetti fisicamente definiti
post rem gli universali sono (Platone)- realtà degli enti del pensiero
un prodotto reale della nostra Linguaggio – pensiero – conoscenza – realtà
mente che svolge quindi una
funzione autonoma nella
elaborazione dei concetti che non
dipende dalla realtà
Canone percorso dell’enunciazione filosofica
Processo di instaurazione del Luoghi in cui il senso è localizzato: prese di posizione
senso: Termine, senso, riferimento (definizioni)
(esempi) Costruzione di registri: distinguo qui …
Aperture/Chiusure: non si può …
Semantizzazione L’insieme delle operazioni mediante le quali il filosofo
concettuale rende esplicito deliberatamente il significato delle
Semantica filosofica (scelta espressioni che usa. Prese di posizione di tipo enunciativo
di termini e regole d’uso)
Identificare i concetti e Integrazione della terminologia in una totalità
costruire il campo concettuale sistematica

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Lezione del 9 aprile. Gli studenti dicono:

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NOTE / APPUNTI
……….

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