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La permapicoltura in breve

A differenza dell’apicoltura convenzionale, il cui obiettivo prioritario è facilitare il


lavoro dell’apicoltore e massimizzare la produzione anche a discapito delle
condizioni di vita delle api, la permapicoltura punta a ricrearne l’habitat naturale.
 19 Maggio 202320987 letture
 AGRICOLTURA NATURALE   API   PERMAPICOLTURA 

Le arnie in permapicoltura si distinguono per il maggiore sviluppo in altezza sia del nido che del
melario. In genere, i telaini da nido vengono sostituiti da semplici stecche, sulle quali le api costruiscono
i favi in modo naturale, mentre per i melari spesso si utilizzano gli stessi telaini dell’apicoltura
convenzionale, di conseguenza la covata è più nutrita, le api più numerose e l’alveare più  forte. In
questo modo aumenta il numero di bottinatrici e operaie, e diminuisce il consumo invernale, perché la
colonia riesce a mantenere meglio il calore all’interno dell’arnia nei mesi freddi. Un numero elevato di
api è un vantaggio anche per le varie mansioni dell’alveare: pulizia, sostituzione o eliminazione di cera
vecchia, difesa dell’alveare. Nel nido c’è più miele, più polline e maggiore ventilazione interna, fattori
fondamentali per lo sviluppo della covata.
Con favi più lunghi, la regina è libera di distribuire in modo più naturale la covata, inclusa quella
maschile. Ovviamente non si tratta di uno spazio smisurato: l’arnia in permapicoltura ha anch’essa dei
limiti, ma le sue dimensioni sono studiate in modo che le api non disperdano il calore e allo stesso
tempo possano svilupparsi a loro piacimento.

I punti di forza
In permapicoltura non si pratica il nomadismo e non si effettuano le nutrizioni zuccherine che di fatto
indeboliscono l’alveare; né tantomeno vengono effettuati trattamenti contro i parassiti così come si fa
nell’apicoltura convenzionale.
Anche le ispezioni all’interno degli alveari sono ridotte al minimo indispensabile, se non del tutto evitate,
perché l’alveare viene considerato come un unico organismo in equilibrio dinamico e quindi ogni
ispezione va a interferire con il metabolismo e lo sviluppo della colonia.
Un altro aspetto fondamentale è la gestione delle riserve di miele, nutrimento base delle api,
essenziale per superare l’inverno. Per questo motivo, in permapicoltura il miele del nido non viene
prelevato, così come si evita di intercambiare i telai tra le arnie o ridurre il numero dei telaini stessi per
«stringere» la famiglia. Tali interventi alterano la naturale preparazione allo svernamento da parte
delle api, che distribuiscono il miele all’interno del nido in modo che sia facilmente accessibile al
glomere e mantenga il calore.

Un alveare quasi selvatico


È evidente che la permapicoltura stravolge completamente i ritmi e i principi alla base dell’approccio
convenzionale.
Promuove un cambio radicale di rotta nel modo di allevare e gestire le api, proponendo un approccio
che si potrebbe definire semi selvatico. Libere di svilupparsi in modo autonomo, secondo i loro ritmi
naturali, le api hanno quindi più facilità nell’attuare strategie di difesa dai parassiti.
La conversione di un apiario dal convenzionale o dal biologico alla permapicoltura è un processo
delicato che ha bisogno del suo tempo ed è consigliabile farsi seguire da apicoltori con esperienza o
perlomeno poter collaborare con uno di loro. Soprattutto nei primi anni è molto probabile che il
passaggio determini una riduzione, anche molto significativa, della produzione di miele, ma questo
rientra nel nor-male processo di selezione naturale. Dopotutto, insistere a tenere in vita alveari deboli,
come si fa in apicoltura convenzionale, non ha nulla di naturale e non dobbiamo stupirci se nelle
condizioni attuali le api si ammalano sempre più.
Nonostante le prevedibili perdite e la riduzione della produzione, per un apicoltore fare permapicoltura
non significa necessariamente guadagnare meno. Ce lo conferma anche l’esperienza di Ranuccio
Turolla, apicoltore professionista calabrese, convertitosi alla permapicoltura. «Prima producevo 10
quintali di miele che vendevo a 4,5 euro al kg» racconta. «Oggi con la permapicoltura ne produco 4
quintali, che però riesco a vendere a 10 euro (o più) al kg. Non è la stessa cosa?». La rivoluzione
dell’alveare vuol dire anche questo: produrre meno miele, ma di maggiore qualità e soprattutto senza
indebolire un insetto come l’ape, fondamentale per l’equilibrio ecologico del pianeta.
Cominciano a essere numerose le testimonianze di apicoltori professionisti e non, molte delle quali
sono state raccolte nel libro La rivoluzione dell’alveare  (Terra Nuova Edizioni).
Le informazioni in questo articolo sono tratte da precedenti numeri del mensile Terra Nuova.

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