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I primitivi traditi - Sally Price

Etnologia
Università degli Studi di Padova (UNIPD)
11 pag.

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ETNOLOGIA
I primitivi traditi di Sally Price
L’argomento proposto è quello dell’arte primitiva e delle società civilizzate, vale a dire la
presenza e la fruizione della prima in ambienti industrializzati. Viene così a rivelarsi la fitta
trama di pregiudizi e incomprensioni culturali e razziali, secondo cui l’occidente considera i
prodotti di società e culture a esso remote. La mercificazione dall’Ottocento in poi ha completato
la devastazione degli oggetti primitivi estrapolandoli dal loro contesto e riproponendoli come
curiosità etnografiche, a volte per provare la superiorità dell’uomo bianco. La lettura della loro
bellezza o funzionalità è sempre stata filtrata attraverso i canoni estetici dell’occidente.
Obiettivo del libro: fare chiarezza sulla condizione di oggetti provenienti da ogni parte del
mondo che sono stati scoperti, sottratti, ridotti a merci, privati dei loro legami sociali, ridefiniti in
nuovi assetti e ripensati per adattarsi alle esigenze economiche, culturali, politiche e ideologiche
di uomini che appartengono a società distanti. Insomma, è stata compiuta una disumanizzazione
dell’arte primitiva e dei suoi creatori.

CAPITOLO 1: LA MISTICA DEL CONOSCITORE .


Conoscitore = elegante, colto, acculturato, Selvaggio = non istruito, ingenuo, istintivo,
dal gusto sopraffino, le sue opinioni godono depravato, dissoluto, animalesco, confonde
di autorevolezza, competente nel campo la realtà con la sua immaginazione.
dell’arte, può dare giudizi critici.

Queste due figure distanti entrano in contatto e


l’occasione è il mercato dell’arte primitiva, che
uno produce e l’altro valuta.

Kenneth Clark sostiene che il gusto non sia una forma di talento artistico né una valutazione
puramente sensoriale, o una questione di moda, e non ha a che vedere con la posizione sociale.
Ha qualcosa che lo rende assimilabile alle buone maniere. Consiste nel non mettersi troppo in
mostra, nel non ostentare. Secondo Clark, il gusto dipende da un equilibrio nel rapporto tra fini e
mezzi. Il buon gusto è qualcosa che ci piace gustare, senza sapere il perché, qualcosa che
comporta sia il discernimento (dalla sensibilità ai vari sapori) che il riserbo (dalla sensibilità ai
sentimenti degli altri). ⟶ Questi due attributi confermano l'unità tra anima e corpo, ovvero che
sensibilità fisica e comportamento morale formano un insieme coerente. ⟶ Le questioni di gusto,
secondo questa prospettiva, volano sopra la sfera umana, non soggette a manipolazioni o al
contagio della cultura: non sono da apprendere o acquisire, ma sono qualcosa che non è mai
sorpassato.

Henri Kamer, parlando della capacità di valutare l'arte africana, afferma che avere gusto è come
avere un sesto senso, e ritiene a sua volta che gusto e senso della qualità siano facoltà innate. Egli
contrappone i collezionisti di successo, che non hanno conoscenze ma sono dotati di una
sensibilità innata, agli specialisti, che hanno un impressionante numero di titoli ed enormi fondi
a disposizione, ma che sono responsabili acquisti catastrofici.

Sally Price nota che l'apprezzamento dell'arte nella nostra società è caratterizzato da un
problematico conflitto di principi: da una parte, i veri amanti dell'arte sentono di poter esperire
delle pure reazioni estetiche, ma dall'altra l'intero edificio del conoscitore d'arte è costruito come
gerarchia di autorità ben definita e protetta, dove ad alcuni viene conferita la responsabilità di
riconoscere l'intrinseca bellezza dei capolavori, e ad altri viene lasciato il compito di assentire.

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In arte la capacità di essere selettivi è la facoltà essenziale del conoscitore. Con la loro capacità di
distinguere, i conoscitori più accreditati rappresentano il caso limite all'interno di un fenomeno
culturale più ampio. ⟶ Tutti sono portati a giudicare secondo un sistema di condizionamenti
complesso nell'aspirazione di poter valutare un po' più di quanto non ci permettano le nostre
facoltà percettive.

Francis Haskell consiglia un atteggiamento prudente nei confronti del luogo comune che il buon
gusto sia senza età, dimostrando che anche nei settori più “eletti” delle Belle Arti i giudizi estetici
sono il prodotto di condizioni di tempo e luogo. ⟶ Relatività del gusto. I nostri giudizi e quelli
degli eroi della nostra cultura possono essere il prodotto delle condizioni particolari in cui ci si
trova a nascere.

Pierre Bourdieu propone una prospettiva da cui emerge la contrapposizione di due elementi
nella determinazione dei gusti: un'ideologia del gusto naturale ed uno schema di comportamento
nella scelta basato su gusti acquisiti con l'educazione. Teorizza che ci sia un sottile processo
educativo che inizia tanto in famiglia e a scuola e che ha come risultato finale che la cultura
diventa natura. La cultura infatti non si compie che negandosi come tale, ovvero come artificiosa
e artificiosamente acquisita. ⟶ Bourdieu osserva che l'occhio è un prodotto della storia che si
riproduce con l'educazione.

Lewis Mumford afferma che ci sono delle persone che ci aspettiamo di trovare ad una mostra
d’arte ed altre no. Questo perché l’apertura dei musei d’arte a un vasto pubblico è solo uno dei
fenomeni nel contesto delle condizioni sociali e culturali che determinano l’accessibilità all’arte
nella nostra società. ⟶ Diventa sempre più difficile mettere al centro della fruizione artistica la
pura reazione estetica, sostenuta da Clark e altri.

Il monumentale lavoro di Joseph Alsop sulla conoscenza dell'arte in Occidente esemplifica


questo momento di transizione da uno studio dell'esperienza estetica legato ad una sola cultura
ed uno studio che abbraccia più culture. Alsop distingue due livelli di risposta a un'opera d'arte:
1. Pura reazione estetica. Il primo, basato su ciò che soddisfa l'occhio: è la pura reazione
estetica, propria di tutte le culture, ma che al tempo stesso dipende in una certa misura dalla
formazione culturale.
2. Conoscenze acquisite. Il secondo livello si basa sulle conoscenze acquisite dagli osservatori
che situano l'oggetto in una storia dell'arte precisamente documentata. ⟶ Questa risposta è
considerata una facoltà peculiare di un ristretto numero di culture, tra cui la nostra.

John Berger osserva che non è possibile separare nettamente ciò che vediamo da ciò che
sappiamo. La nostra visione dipende molto dalla capacità di organizzare il mondo intorno a noi
in determinate categorie. Il mutamento di valutazione di un oggetto osservato ci aiuta a chiarire
l'importanza del contesto per ogni esperienza visiva. ⟶ Analizzando questa sovrapposizione tra
la sfera concettuale e l'esperienza visiva, Berger pone in rilievo i rapporti di potere connessi a tali
processi. Tanto i conoscitori quanto il loro pubblico partecipano ad un'esperienza più complessa
di una semplice reazione a stimoli visivi.

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CAPITOLO 2: IL PRINCIPIO DI UNIVERSALITÀ .
L'ideologia della fratellanza umana è stata sfruttata a fini commerciali con aspirazioni
filantropiche. Perché, dall'ottica privilegiata del bianco, la mescolanza di razze implica l'idea di
un atto di tolleranza, gentilezza e carità. In questa concessione, l'uguaglianza accordata ai non
occidentali e alla loro arte non rappresenta una conseguenza naturale dell'uguaglianza umana,
ma piuttosto il prodotto della benevolenza dell'occidente.

Comprendiamo le idee di Leonard Bernstein nate per perseguire l'obiettivo di documentare


quello che egli definisce il principio di universalità, fondendo musica e linguaggio.

Dicendosi affascinato dall'idea di una grammatica universale della
musica, Bernstein fece la sorprendente scoperta di una stessa
sequenza di 4 note ricorrente in opere che non avevano alcuna
relazione tra loro. L'autore spiega le ragioni che lo hanno spinto a
collegare musica e linguistica: “qualsiasi spiegazione della musica deve
conciliare la matematica con l'estetica, così come la linguistica concilia
la matematica con la filosofia, la sociologia o qualunque altra cosa”.
Bernstein ipotizza un'origine comune di diverse lingue: la teoria della
monogenesi il cui assunto è che tutte le lingue derivino da una fonte
comune. La sua ideologia si prefigge di documentare i principi
universali del linguaggio umano. ⟶ Fa risalire l'unità della razza
umana al vagito infantile, preculturale.

Martin Seligman afferma che l'arte in tutte le sue forme è stata storicamente il linguaggio più
tollerante, perché capace di unire le anime nella gioia comune.

Hilton Kramer afferma che il vizio di considerare le forme di cultura e l'esperienza di primitivi
come uguale alle nostre ha ormai assunto un nuovo status nelle tendenze culturali oggi in voga. E
prosegue sostenendo che in un mondo in cui il primitivo è visto come una sorta di aristocratico
del sentimento e dello spirito non dobbiamo certo meravigliarci del fatto che l'arte primitiva
venga elevata ad una nuova vita culturale.

Susan Vogel fornisce argomenti sul fatto che l'arte può essere sentita come un fenomeno che si
occupa dei problemi comuni e delle difficoltà della gente di tutto il mondo. Queste opere ci
parlano, dice, di vita e morte, nascita, sopravvivenza, vita dopo la morte, potere. Aggiunge poi che
le aspirazioni di fondo sono le stesse: il benessere, salute e la sopravvivenza. ⟶ Ma mettere sullo
stesso piano le idee di benessere e sopravvivenza di questi due gruppi significa in qualche modo
forzare queste categorie dai loro confini (Esempio: i modi di procurarsi cibo sono estremamente
diversi).

Edmund Carpenter ha commentato lo stesso problema a proposito dell'arte eschimese,


evidenziando il carattere arrogante delle affermazioni secondo cui l'arte dei primitivi sarebbe
più diretta ed elementare della nostra. Egli sostiene che affermare che “l'obiettivo dell'arte
primitiva è l'elementare” sia sbagliato. Infatti, dice che non importa quanto sia naturale un
popolo, o quanto drammatica sia la sua situazione: nessuno vive una vita elementare, semplice,
diretta, immediata. La gente ovunque crea modelli e recepisce modelli, vive in mondi simbolici,
frutto di proprie creazioni.

Affermare che l'arte sia un linguaggio universale è basata sull'idea che la creatività artistica abbia
radici profonde nella psiche dell'artista. Il problema della reazione all'opera d'arte finisce con il
riguardare il fruitore, intento a cogliere la realtà psicologica che anche il primitivo, in quanto
essere umano, condivide con l'artista. Un'opinione ampiamente condivisa è che l'arte primitiva
scaturisca spontaneamente da funzioni psicologiche. È questa qualità ad essere spesso indicata
come catalizzatore di un processo di comprensione interculturale.

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Paul Wingert dice che la decisione di designare le culture in esame con il termine “primitivo“
invece che con termini alternativi si basava su questa motivazione: non è perché queste culture
rappresentano gli esordi mitici e iniziali della civiltà, ma perché mostrano sviluppi più
intimamente legati alle pulsioni fondamentali, che l'uomo civilizzato condivide, pur sepolte dal
comportamento indotto.

Judith Zilczer nota che per i critici, i neri africani rappresentano l'infanzia culturale
dell'umanità, ma al fondo delle loro discussioni sull'arte moderna e su quella primitiva permane
un filone di teorie pseudoscientifiche sulla razza e la cultura, in cui, ad esempio, viene preso per
buono il dogma freudiano con cui si equipara il selvaggio al bambino. Queste idee, che
originariamente rappresentavano una teoria intellettuale coerente, sono state meccanicamente
accolte come una naturale componente del buon senso comune.

Per di più un aspetto poco sottolineato di questo punto di vista è la sua unidirezionalità. Noi
siamo partecipi di un’identificazione con l'arte africana, e questo conduce alla coscienza di noi
stessi, alla riscoperta del nostro io infantile e consente un rinnovato contatto con i nostri più
profondi istinti. L'uomo occidentale, in pieno possesso di facoltà mentali analitiche, può
osservare il prodotto creativo dei suoi fratelli meno civilizzati e arrivare a comprenderli. Ma
generalmente non si ritiene che il processo opposto produca comprensioni altrettanto rilevanti.
Dobbiamo chiederci se la ricezione di un determinato pezzo d'arte da parte di un inuit o di un
nambikwara particolarmente sensibile artisticamente non sarebbe interessante. ⟶ I sostenitori
dell'universalità del giudizio estetico hanno dotato la loro teoria di questo implicito pensiero.
⤷ Se davvero la reazione estetica si basasse su un senso innato invece che su valutazioni
culturali, allora non sarebbero solo gli occidentali a godere della bellezza di opere d’arte
primitive, ma anche i primitivi sarebbero in grado di partecipare a esperienze estetiche che
oltrepassano i confini delle proprie culture (il che non è mai preso in considerazione dai
pensatori occidentali). Ma in realtà sono gli occidentali che additano un determinato
prodotto come capolavoro o meno.

CAPITOLO 3: IL LATO OSCURO DELL’UOMO .


Il principio di universalità in arte è una medaglia a facce che non comporta solo fratellanza ma
anche rivalità fratricida, e il riconoscimento di interesse o piacere coesiste e concorre con
l'attenzione per i tratti che separano i rami civilizzati da quelli primitivi dell'albero genealogico.
L'immagine usata per dar conto dell'alterità degli artisti primitivi utilizza una serie di luoghi
comuni, a base di paura, oscurità, spiriti pagani ed erotismo. I contrasti che questa immagine
evoca sono tra oscurità e chiarezza, profondità e altezza, paura e tranquillità, bisogni primari e
comportamento civilizzato, cioè il dualismo del fascino che l’Europa prova per l’arte primitiva.
⤷ Il buon selvaggio e il cannibale pagano sono uniti in un’unica figura: le raffigurazione
dell’uomo primitivo possono essere osservate secondo queste due diverse angolazioni, a
seconda che si voglia riconoscere in lui un fratello o un diverso, un alleato o un nemico.
L’asse di collegamento tra culture è l'arte, che può essere considerata elemento rassicurante
di unificazione.
⤷ André Malraux nota che lo studio dell'arte primitiva è l'esplorazione del lato oscuro
dell'uomo.

Paul Wingert riporta che numerose pratiche e cerimonie che hanno come fondamento forti
tradizioni, spesso di natura repellente e oltraggiosa per chi non vi partecipa, sono comuni in
presso i popoli primitivi. Non è raro che i materiali impiegati nell'arte primitiva siano considerati
ripugnanti per la sensibilità degli osservatori civilizzatori. ⟶ Terra, sangue, pelli, peli, ossa e
viscere animali.

Douglas Mcgill, nel suo tentativo di rendere conto dell'improvvisa fascinazione per l'arte
primitiva negli Stati uniti, ha imputato a questo fenomeno in buona parte all'attrazione esotica
per i demoni e per le presunte manifestazioni demoniache.

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Bernard Myers cita immagini degli artisti primitivi ispirati dalla paura, con l'asserzione che per
gli africani non sussiste la distinzione civilizzata tra realtà e irrealtà e che emotivamente lo
scultore africano è mosso dal timore per gli elementi misteriosi che lo circondano: paura degli
spiriti dei morti, delle belve feroci e delle forze della natura.

Kenneth Clark spiega la differenza tra arti civilizzate e primitive: mettendo a confronto una
scultura classica di Apollo e una maschera africana, afferma che entrambe rappresentano spiriti
messaggeri di un altro mondo, il mondo della nostra immaginazione. Tuttavia, nell’immaginario
africano è un mondo di paura, mentre nell’immaginario ellenistico si tratta di un mondo di luce e
confidenza, dove gli dei sono simili a noi, solo più belli.

Lewis Mumford giustifica questa tendenza parlando ancora del successo del primitivo africano
nell'esprimere certe sensazioni primarie suscitate dalla paura e dalla morte. Inoltre, Mumford
spiega una componente dell'interesse per l'arte africana da parte della critica occidentale con
l'idea che i popoli che la creano possiedano una profonda sapienza tradizionale riguardo
l’erotismo, che il bianco civilizzato sostiene di aver rimosso.

Jacques Maquet si focalizza invece sulla particolare attenzione dell'occidente per la nudità e la
sessualità nell'arte primitiva, osservando che le statuette africane degli avi sono rappresentate
nude e i loro organi sessuali messi apertamente in mostra. Tuttavia questa posizione dovrebbe
risultare sorprendente, giacché basta pensare da parte occidentale che una vasta parte dei
quadri e delle sculture della nostra tradizione sono raffigurazioni di nudo, anche in luoghi
religiosi.

L'intento dell'autrice è quello di dimostrare che il posto che gli osservatori occidentali assegnano
alla sessualità nelle arti dei popoli primitivi dipende non tanto dagli oggetti stessi, quanto dalla
concatenazione logica di idee profondamente radicate nel pensiero occidentale:
1. Gli artisti nella società occidentale tendono ad essere associati, nella coscienza del pubblico,
ad uno stile di vita libero dalle costrizioni borghesi, caratterizzato da anticonformismo.
2. Anche i primitivi sono considerati, dal punto di vista occidentale, non conformisti (liberi
dalle regole imposte dalla società).
3. Si pensa generalmente che l'arte nelle società primitive raffiguri dei soggetti collettivi per
mezzo di forme di espressione collettive.
Messe insieme, queste idee proiettano sulle società primitive l'immagine di una comunità
bohémienne nel senso occidentale. Da qui non è difficile arrivare alla conclusione che
l'espressione artistica delle società primitive si è incentrata sull'erotismo, poiché la sessualità è il
mezzo d'espressione per eccellenza della devianza.

Inoltre, complementare alle idee sull'erotismo, c'è una sottocultura evoluzionista che dipinge i
popoli non occidentali semplicemente come selvaggi incivili, senza problematizzare la situazione
con immaginari simbolici. Abbiamo visto la tendenza a confondere ontogenesi (serie di stadi e di
progressivi cambiamenti che l'embrione attraversa per dare origine all'individuo di una
determinata specie) e filogenesi (tappe che caratterizzano l'evoluzione di un gruppo di animali o
piante), ovvero a trasferire la comprensione dello sviluppo psicosociale degli individui allo
sviluppo evolutivo delle specie umane: questa stessa tendenza gioca anche un ruolo nel
dipingere il lato oscuro dell'uomo. ⟶ La terminologia europea, formatasi all'inizio del processo
di comprensione dei problemi di razza ed evoluzione, facilita le avversità e la confusione tra i due
ambiti. ⟶ Le idee che si raccolgono intorno al termine primitivo assumono una vita autonoma.
Questo sistema di idee strettamente integrate può essere anche utilizzato per definire i fenomeni
che non hanno niente a che fare con popolazioni esotiche secondo i consueti parametri
etnografici, quali l'abbigliamento, i riti, i rapporti di parentela, o il livello tecnologico.

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CAPITOLO 4: ANONIMATO E ATEMPORALITÀ .
Si può ritenere che lo studio accademico dell'arte si incentri sulla vita e l'opera di individui che
hanno un nome, e sulla successione storica di distinti movimenti artistici. Il nostro stesso
concetto dell'arte è inseparabile dalla sua scansione storica. Ma c'è un'eccezione: secondo il
modo di vivere occidentale, un'opera nata fuori dalle grandi tradizioni deve essere il prodotto di
una figura anonima che rappresenti la sua comunità e le cui capacità manuali seguendo i dettami
di antiche tradizioni. L’artista primitivo è anonimo. Problemi legati a questo preconcetto:
● Molte descrizioni delle società primitive sono scritte usando il cosiddetto presente
etnografico, modo per svincolare l'espressione di quella cultura dal flusso del tempo storico.
Questo modo di descrivere sopravvive ancora oggi.
● Scrivere degli artisti primitivi al singolare è un’altra convenzione corrente che ha l'effetto di
sottolineare l'intercambiabilità di queste figure, non solo entro le loro società, ma sul piano
mondiale.
● Secondo questo ragionamento, in Africa non c'è un artista creatore in quanto tale perché
l'artista africano produce secondo le necessità, sempre su ordine di dignitari della tribù e
senza mai seguire l'ispirazione. ⟶ Si compie un salto logico dalla mancanza di creatività
individuale alla mancanza di identità individuale.
● I popoli primitivi (visti come schiavi di una tradizione comunitaria) hanno rappresentato un
paragone per rimarcare l'unicità degli artisti nella storia occidentale.
Nel corso degli ultimi decenni un maggior numero di studiosi applicano criteri storico-artistici
allo studio dell'arte primitiva e stanno correggendo questa prospettiva. Benché si possa fare
molto di più per conoscere gli artisti primitivi in quanto persone concrete (la mano individuale è
riconoscibile nella maggior parte dell'arte africana), l'impresa è appena stat avviata.

Franz Boas, pur sottolineando il carattere conservatore dell'arte primitiva ed il forte peso della
tradizione sui suoi artefici, ha indicato con nettezza il compito di comprendere questa arte
ponendo l'artista e il suo oggetto al centro dell'interesse, mediante lo studio della relazione tra
creatività e tradizione. ⟶ Conduce delle ricerche per capire fino a che punto gli artisti non
occidentali possano effettuare scelte estetiche consapevoli e talvolta innovative entro le
coordinate della cultura entro cui sono stati formati.

Raymond Firth elabora un metodo di studio della vita sociale che evidenzia la libertà degli
individui entro un sistema di regole atto a stabilire i confini del comportamento lecito. Dice che il
ruolo delle facoltà creative dell'artista indigeno in rapporto alla sua conformità allo stile del
luogo va studiato approfonditamente, e apre la strada all'uso dei nomi propri per questi artisti.

Grace Glueck osserva che nella nostra cultura occidentale desta meraviglia il fatto che simili
opere siano anonime, intendendo sottolineare o rimproverare la nostra mancata conoscenza dei
nomi degli artisti. ⟶ Poiché si sa poco dei nomi dei singoli artisti africani, un'opera è
generalmente considerata come il prodotto di una cultura.

L'immagine popolare che si ha degli artisti primitivi come strumenti irriflessivi ed indifferenziata
delle proprie tradizioni fa sorgere domande sui modi in cui i popoli esotici sono utilizzati per
legittimare la società e la cultura occidentale. L'arte africana è anonima e riflette la società
comunitaria, dove l'individuo esiste solo in quanto parte del gruppo. L’articolo prosegue
sostenendo che in Africa e in Oceania l'arte deve offrire alla comunità immagini nelle quali
questa possa rispecchiarsi. In tali società l'arte è un linguaggio che appartiene interamente alla
comunità e tali forme sono caratterizzate dall'assenza di sviluppi storici. ⟶ Ragionamento
evoluzionistico dal forte sostrato razzista.

Patrick Manning sostiene che sembri che i collezionisti si siano rivolti d'un tratto alla tradizione
atemporale dell'arte africana, impossessandosi dei suoi tesori solo per metterli in mostra
totalmente avulsi dal loro contesto culturale. Manning mostra che le arti africane sono
significativamente cambiate nei secoli in risposta alle mutate condizioni di vita.

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Johannes Fabian tratta del tempo tipologico, sostenendo che, a differenza del tempo fisico,
indica un uso del tempo che è su una scala lineare, ma non solo per quanto riguarda eventi
significativi dal punto di vista socio-culturale. Il tempo tipologico sarebbe alla base di definizioni
quali preletterato/letterato, tradizione/modernità, rurale/urbano. ⟶ In questo modo il tempo
può essere quasi del tutto privato delle sue connotazioni fisiche. Invece d'essere misura del
movimento può apparire come qualità di stati. ⟶ Da ciò deriva che certi oggetti artistici prodotti
negli anni 80 siano esclusi dall’arte moderna, perché il moderno si riferisce all'identità
socio-culturale dell'artista, non alla contemporaneità fisica con il momento presente.

Bill Holm ha commentato la natura dell'anonimato notando che, nel migliore dei casi, alcuni tipi
di produzione artistica riconoscono giusto un’identificazione per tribù, anziché per artista.
Prosegue affermando che l'idea che ogni oggetto rappresenti le attività creative di una precisa
personalità contestualizzata, la cui carriera artistica ha avuto un principio, uno sviluppo, una
fine, e la cui opera ha influenzato ed è stata influenzata dall' opera di altri artisti non è nemmeno
presa in considerazione.

CAPITOLO 5: GIOCHI DI POTERE .


C'è una linea di ragionamento secondo cui gli oggetti di artigianato primitivo non si possono
considerare arte fin quando i conoscitori occidentali non ne stabiliscono il valore, perché l’occhio
selettivo del conoscitore occidentale è considerato l’unico mezzo con cui un oggetto etnografico
può essere considerato un’opera d’arte. I conoscitori occidentali si arrogano il compito di
interpretare il significato e il valore di questi oggetti. Questi stessi esperti utilizzano a loro
discrezione le considerevoli risorse finanziarie e di comunicazione di cui dispongono per
accordare il riconoscimento artistico internazionale ai loro favoriti. I collezionisti e i musei
stabiliscono la priorità di intervento in piena autonomia quando utilizzano la tecnologia
occidentale per salvare dalla distruzione le opere d'arte primitiva. Si ritengono i soli capaci,
grazie anche alle loro possibilità di benessere materiale, di assumersi il compito di determinare
la natura della produzione artistica di ogni parte del mondo.

Il processo attraverso cui tutto ciò avviene, inizia sul campo, dove i ricercatori dell'arte primitiva
si trovano faccia a faccia con gli artisti nel loro ambiente d’origine. Quando trattano tra loro, i
diritti, le procedure e i significati dello scambio non sono tanto il risultato di un negoziato,
quanto di modalità definite indipendentemente da ognuna delle due parti.

Le imprese che hanno fornito i nostri musei della maggior parte dei loro tesori artistici non
occidentali non erano basate su principi etici. La giustificazione è che la documentazione e la
conservazione dell'arte primitiva costituiscono un contributo alla conoscenza umana.
⤷ Nonostante ciò, ci sono stati degli antropologi in favore di questo metodo: William Fagg ha
affermato a tale proposito che la conservazione della cultura è ciò che distingue la civiltà
dalla cultura tribale, e che l'arte tribale, come ogni altra arte, appartiene al mondo. Sembra
quindi giusto che i popoli civilizzati debbano controllare il destino dell'arte tribale,
custodendola nelle loro riserve culturali a vantaggio di tutto il mondo.

Subito dopo queste esperienze e a causa dei dubbi morali che tali azioni hanno causato, gli
antropologi e le direzioni dei musei hanno iniziato a considerare con maggior riguardo i conflitti
d'interesse sul campo, reputandoli parte delle loro responsabilità professionali.

Michel Leiris comincia a propugnare il principio del rispetto per le culture delle altre
popolazioni, dicendo che quanto sottratto è sempre parte di un patrimonio culturale di un intero
gruppo sociale che viene sottratto ai suoi legittimi proprietari, e che l’aspetto del lavoro
dell'etnografo relativo alla costituzione delle raccolte crea delle responsabilità nei riguardi della
società che è oggetto di studio. ⟶ In seguito agli sforzi compiuti dalle numerose organizzazioni è
mutata l'opinione pubblica nel rispetto per i diritti degli indigeni e in vista di un uso più
equilibrato del potere. La morale odierna vede una sempre maggiore sensibilità per i sentimenti
e gli interessi di coloro che forniscono il materiale.

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Oltre alla giustificazione di collezionare l'arte primitiva come un contributo per la scienza, si
introduce il motivo del profitto, valido tanto per la raccolta sul campo quanto per il mercato
dell'arte. Come ha osservato Edmund Carpenter, Michelangelo lavorava per soldi senza con
questo perdere la sua integrità artistica.
⤷ L'autrice aggiunge che pagare gli artisti per le loro fatiche ed il loro talento all'interno di un
contesto culturale ben definito è una dinamica in cui sia l'autore che il committente
condividono dei principi di base sulla natura della transizione.
⤷ Tuttavia il discorso cambia quando un viaggiatore occidentale in Africa trova
un'interessante manufatto e si offre di acquistarlo ad un prezzo irrisorio per lui ma
rilevante per il proprietario. ⟶ In questo caso, all'acquirente sfugge la comprensione del
significato dell'oggetto nel suo contesto originario, e al venditore sfugge la
comprensione del suo significato nella sua nuova collocazione, e non c'è un terreno
comune per una valutazione del prezzo per il quale l'oggetto è stato scambiato.

CAPITOLO 6: OGGETTI D’ARTE E MANUFATTI ETNOGRAFICI .


Per gli allestimenti artistici, la distinzione tra manufatti occidentali e primitivi consiste “solo” nel
fatto che i primi sono presentati come opere di singole personalità e datati più specificamente.
Contrariamente, negli allestimenti etnografici, gli oggetti vengono presentati come reperti, e
sono quasi sempre riportate informazioni sulla tecnica, la società e la religione, e in tal modo si la
stessa idea che l'oggetto possieda qualità estetiche degne di essere segnalate. ⟶ Si pone un
aut-aut per la stesura dei testi esplicativi: o sono opere d'arte, o sono reperti etnografici.

Il passaggio da manufatto etnografico ad oggetto d'arte è associato ad un progressivo aumento
del valore di mercato e ad un mutato criterio valutativo: da parametri funzionali a parametri
estetici; quando viene messo in mostra nella galleria d’arte, all'oggetto si accompagna un testo
esplicativo sempre più criptico.

La ricorrente insistenza nel distinguere i manufatti primitivi da l'arte primitiva, e la conseguente
preminenza di quest'ultima, che naturalmente corrisponde ad un maggiore valore di mercato,
risulta con chiarezza nella divulgazione contemporanea. ⟶ A questa gerarchia di valori si
aggiungono argomentazioni che suggeriscono che l'esperienza estetica e la bellezza non siano
correlate alla testimonianza etnografica o alla curiosità per altre società, ma che occupino invece
una posizione antitetica.

Henri Kamer afferma che l'arte africana non è concepita come tale dai suoi creatori: l'oggetto
prodotto in Africa diventa oggetto d'arte dopo il suo arrivo in Europa. ⟶ Dobbiamo tenere conto
delle intenzioni dell'artista e della reazione dell'osservatore, e sapere in che misura
l'apprezzamento dell'arte richieda una spiegazione che colleghi questi due poli.
⤷ Intenzioni dell’artista: i rispettivi modi di operare degli artisti primitivi e civilizzati si
collocano in una gamma di possibilità che va dalla padronanza pienamente cosciente
all’espressione inintenzionale. L'intera vicenda della critica d'arte occidentale si fonda sulla
convinzione che ad un certo grado di consapevolezza, l'artista compia scelte motivate
creando un'opera d'arte in una particolare forma, scegliendo alcuni caratteri anziché altri.
L'idea che i primitivi non abbiano un concetto corrispondente alla nostra nozione di opera
d'arte ci evita il bisogno di prendere in seria considerazione l'originario contesto estetico.

L’autrice sostiene che il problema risieda nel fatto che l'apprezzamento dell'arte primitiva viene
espresso in termini di scelta tra due possibilità:
● quella di lasciare al giudizio estetico dell'occhio il compito di guidarci, sulla base di un
indefinito concetto universale del bello;
● quella di immergersi nelle credenze tribali per scoprire le funzioni pratiche e rituali degli
oggetti in questione.

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L’autrice, insoddisfatta, aggiunge una terza possibilità come posizione intermedia tra le prime
due, che possa rispecchiare sia la natura dell'esperienza estetica che la natura dell'arte nelle
società primitive. Questa possibilità esige di convenire su due assunti:
● il primo è che anche l'occhio del conoscitore più naturalmente dotato non è nudo;
● il secondo è che i primitivi sono dotati di un occhio selettivo, similmente addestrato ad una
visione che riflette la propria formazione culturale.
⤷ Alla luce di questi due assunti, il contesto esplicativo antropologico è un mezzo per ampliare
l'esperienza estetica oltre i ristretti confini culturali della nostra visione. ⟶ Tenere conto
dell'esistenza e della legittimità del contesto estetico in cui sono state create le opere d'arte
primitive. In tal modo il contesto esplicativo non sarebbe più un pesante fardello di credenze
esoteriche e rituali che ci distolgono dalla bellezza degli oggetti, ma una lente che ci aiuta a
vederli in una nuova luce.

Molte idee sulla qualità prese per buone dagli occidentali postulano una relazione tra gli originali
e le loro copie, dove i primi hanno maggior legittimità e valore. Ciò che sottrae gli originali da una
possibilità di confronto con le copie è la loro priorità nel tempo e il maggior valore. Senza un tale
riconoscimento di valore, non ci sarebbe motivo di fare una copia e, per definizione, una copia
può solo venire dopo un originale (resta l'originale a dettare legge). Lo scopo del copista è
avvicinarsi talmente all'originale da non rendere impercettibile il divario che li separa. Questo
divario esiste ancora, ma le copie offrirono una maggiore accessibilità o un prezzo più basso.
⤷ Nonostante sia stata realizzata prima, e anche quando l'arte primitiva funge da modello per
quella occidentale, la lente occidentale percepisce questa come una copia, un risultato
inferiore. La disparità di valori per l'arte di società differenti si può verificare almeno in due
ambiti: infatti, il valore di cui gode un oggetto nella considerazione della critica si riflette
sulla valutazione monetaria (in entrambi i casi l'arte primitiva è in una posizione inferiore).

L’autrice pensa che sia importante comprendere che l'inquadramento culturale di un'opera
d'arte deve necessariamente includere considerazioni estetiche. Di fronte a un'opera d'arte che
non ci è familiare, dobbiamo aiutarci non solo con riferimenti di natura sociale, economica,
rituale o simbolica, ma anche estetica. Il presupposto è che le finalità estetiche dei creatori e
quelle dei critici non sono mai universali. Valutare una maschera africana sulla base dei criteri
estetici occidentali è all'incirca come valutare un Duchamp coi criteri estetici validi per Giotto.

CAPITOLO 7: DALLA FIRMA AL PEDIGREE .


Il collezionista è contraddistinto dal possesso dell'opera d'arte e dalla maggiore disponibilità
finanziaria, rispetto ai semplici amanti dell’arte. La sfera sociale di chi colleziona originali
artistici è esclusiva, perché sono pochi quelli che hanno le risorse per farlo. I collezionisti a volte
permettono che l'autore dell'opera sia sopravanzato da quello dei suoi possessori. In generale, i
non collezionisti tendono ad interessarsi all'oggetto in sé e alla storia della sua creazione, mentre
i collezionisti tendono ad interessarsi all'oggetto in sé e alle sue vicende future.

Il pedigree dell'oggetto è fondamentale: è costituito da una linea di discendenza genealogica, che


fornisce all'eventuale compratore una garanzia del valore dell'acquisto.

Per quanto riguarda l'arte primitiva, il collezionismo presenta aspetti che non si riscontrano nel
collezionismo di altri tipi d'arte. Dopo che un manufatto primitivo è stato prelevato dal campo, si
provvede al nuovo passaporto. Il pedigree di tale oggetto non fornisce informazioni dettagliate
sul suo autore o sui suoi originari possessori indigeni, ma rende conto solo dei passaggi di
proprietà dell'oggetto in occidente. ⟶ L'anonimizzazione dell'arte primitiva è essenziale per
questa particolare carta d'identità.

Molti intenditori pensano che il fascino dell'anonimato contribuisca molto all’entusiasmo di un


collezionista d'arte africana e che l’esotismo e l'anonimato dell'artista siano capaci di dare
enorme piacere, e una volta saputo chi ha creato l'oggetto l'arte primitiva cesserebbe di essere
tale, non è necessario caricarla del peso della conoscenza,

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L’autrice ha spesso richiamato l'attenzione sugli artisti il cui nome è andato perso, ponendo il
problema del loro rilievo. Le risposte che ha ricevuto si dividono in due tipi.
1. Secondo alcuni, il conoscitore è capace di vedere per primo la qualità artistica di un pezzo, e
per tanto di attribuirgli lo statuto di pezzo d'arte. ⟶ Secondo gli intenditori occidentali
l'elemento artistico nell'opera non sarebbe percepito dall'autore, che sarebbe interessato
soprattutto a realizzarlo bene secondo le regole della sua comunità, senza valutare le proprie
capacità artistiche, che si rivelano ad un occhio europeo.
2. Altri si limitano a ribattere che le informazioni sull'identità dell'artista non sono disponibili.
La consuetudine di documentare il nome del proprietario ma non quello dell'artista è solo la
conseguenza dell'impossibilità di risalire al singolo artista, il cui nome si sarebbe perso sia
per la disattenzione degli indigeni sia per l'assenza di documenti scritti.

CAPITOLO 8: UN ESEMPIO PRATICO .


I Maroon, discendenti degli Africani importati in Sud America come schiavi nei secoli passati,
sebbene uniti da una tradizione di ribellione dalla schiavitù nelle piantagioni, sono divisi in sei
gruppi politicamente distinti. Le guerre di liberazione intraprese dai loro avi ebbero fine nel
XVIII secolo, con l’indipendenza dall’Olanda. L'attività artistica dei Maroon è uno degli aspetti
meglio documentati della loro vita culturale. La scultura lignea è il loro fiore all'occhiello, sia per
uso proprio che per vendita agli stranieri. Nei villaggi gli oggetti intagliati vengono dati in dono a
mogli ed amanti, in cambio dei quali le donne elaborano capi di vestiario decorati oltre a lavorare
all'uncinetto strisce di pelle colorate per gli indumenti maschili e intagliare zucche per farne
utensili da tavola. L'arte della cicatrizzazione ha poi importanza per le relazioni sessuali. Al
contrario, gli oggetti rituali sono decorati in modo sommario e non appartengono al campo
dell'arte propriamente detto.

I legami storici e culturali dei Maroon con l'Africa sono un elemento essenziale della loro
immagine. Essi costituiscono una piccola Africa in America. I Maroon sono rimasti fedeli alle loro
tradizioni africane, costituendo un fenomeno unico di civiltà autonoma in un continente e
trapiantata in un altro. ⟶ Come altri aspetti dei Maroon, le arti sono intese come tradizioni
statiche da molti stranieri, importate da africani schiavizzati e tramandate fedelmente nel tempo.
⤷ L'autrice tralascia, in questo caso, l'importanza del concetto di storia dell'arte che tiene conto
dei cambiamenti stilistici e tecnici e riconosce la porta della creatività del singolo, ponendo
attenzione allo sviluppo cronologico.

Per quanto riguarda uno dei gruppi, i Saramaka, l'autrice ha imparato i nomi degli stili e delle
tecniche che caratterizzano periodi differenti, le personalità a cui si deve la loro introduzione, i
modi in cui particolari innovazioni sono state adottate diffuse, e i rapporti tra tecniche differenti,
con disegni e caratteri stilistici trasferibili da un periodo all'altro. I Maroon non hanno musei e
documenti scritti, né conservano un corpus di tradizioni storiche orali. Esiste però un’estesa
conoscenza del passato. Per i Saramaka la loro arte dell'intaglio del legno va articolata in quattro
distinti stili, che possono essere collocati nel tempo con una certa precisione. Essi sono
consapevoli delle trasformazioni nella loro arte e mostrano un’analoga conoscenza delle loro arti
tessili, articolate in diversi periodi per ogni fase.

I Maroon non confondono i diversi individui, passati o presenti e nemmeno ignorano i contributi
particolari di singoli artisti. Ad esempio riconoscono il lavoro dell’intagliatore Seketima o della
tessitrice Keekete, con la stessa precisione con cui un frequentatore del Moma riconoscerebbe
un Pollock.

Un artificio letterario frequentemente utilizzato per l'anonimato degli artisti Maroon è l'uso del
singolare maschile, che viene riferito approssimativamente a decine di migliaia di uomini, donne,
ragazzi e ragazze che appartengono ai 6 gruppi.

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Anche il principio di universalità è importante per l'immagine che abbiamo dell'arte Maroon,
infatti i primitivi sono spesso utilizzati per rappresentare la natura umana ridotta alla sua
essenza e in tal modo divengono figure centrali nell'immagine della famiglia umana. I Maroon,
come gli altri primitivi, sono rappresentati come le versioni più semplici e infantili di noi stessi,
tanto che il guinness dei primati menziona i loro linguaggi come i meno complessi del mondo.

Il tentativo più recente di stabilire un lessico dei simboli per l'arte Maroon è stato realizzato da
Jean Hurault, che dichiara di avere come scopo una migliore comprensione delle intenzioni
dell'artista e dei suoi principi compositivi. In un resoconto scrive che l'inventario da lui realizzato
ha permesso di stabilire con certezza il significato ed il valore di un gran numero di motivi che
sono stati dimenticati dagli odierni Maroon. ⟶ Sebbene sembri più sistematica e scientifica di
quelle dei predecessori, anche la tecnica utilizzata da quest'ultimo studioso condivide
l'indifferenza per ciò che hanno da dire gli autoctoni sul significato della propria arte. La
conseguenza di tali atteggiamenti sono le incomprensioni che portano a situazioni di contrasto, e
quando ciò accade sono abitualmente gli esponenti delle culture primitive, e non quelli del
mondo civilizzato, che finiscono con il fare concessioni, per mantenere delle buone relazioni.

Una volta che un oggetto artistico lascia il suo luogo d'origine, il dialogo interculturale si
trasforma in un discorso intraculturale. I criteri per valutare le ipotetiche interpretazioni
dipendono allora dalle conoscenze che si possono attingere dalle fonti scritte, dalle concezioni e
dalle modalità di comprensione degli occidentali. Così, il modo di presentare una particolare
forma d'arte proveniente da un luogo esotico è spesso scelto in base alla sua compatibilità con i
luoghi comuni, alla sua mancanza di contrasto con ciò che il pubblico ha già in mente.

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