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UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO

FACOLTÀ DI PSICOLOGIA

Corso di Laurea in Discipline Psicosociali

Elaborato finale in

Teorie e Metodi di Psicologia Sociale

La Persuasione:
Comunicare per influenzare

Relatore Candidato

Prof. Bianca Lagioia Luciana D’Imprima


Matr: 5723HHHCLDIPSI

Anno Accademico
(2022/2023)
Dedico questo lavoro

ad Ambra, la mia migliore amica


e Simon,l’amore della mia vita.
(scrivi qui l’eventuale esergo)

«Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino»


(stile “tesi – 12 in exergo”)
Detto popolare
(stile “tesi - 12a in exergo (autore)”)
Indice

Introduzione 3

1. Alla ricerca di una teoria 6


1.1. La persuasione e l’influenza sociale: definizioni e differenze 6
1.2. Modelli a confronto: le teorie sulla persuasione 7
1.2.1. Il modello della probabilità di elaborazione (ELM) 8
1.2.2. Il modello euristico-sistematico 10
1.2.3. La proposta unimodale 11
1.2.4. La teoria dell’azione ragionata e la teoria del comportamento pianificato
12
1.2.5. La teoria della dissonanza cognitiva 12
1.3. La comunicazione ed i suoi elementi 13
1.3.1. Il messaggio 13
1.3.1.1. La mera esposizione 13
1.3.1.2. L’organizzazione del contenuto 14
1.3.1.3. Effetti del canale di comunicazione 16
1.3.1.4. Il frame 17
1.3.2. La fonte 18
1.3.2.1. La credibilità 19
1.3.2.2. L’aspetto 20
1.3.2.3. Lo stile comportamentale di comunicazione 20
1.3.2.4. Somiglianza e appartenenza sociale 21
1.3.3. Il ricevente 22
1.3.3.1. Il paradigma dell’elaborazione dell’informazione 23
1.3.3.2. L’approccio della risposta cognitiva 23
1.3.3.3. Le differenze negli individui 24

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2. Le armi della persuasione di Cialdini 27
2.1. Introduzione 27
2.2. La reciprocità 27
2.3. Impegno e coerenza 27
2.4. La riprova sociale 27
2.5. La simpatia 27
2.6. L’autorità 27
2.7. La scarsità 27

3. La persuasione e la tecnologia 28
3.1. La captologia 28
3.2. Computer carismatici o media persuasivi? 28
3.3. La fonte persuasiva tecnologica: i computer come attori sociali 28
3.4. Il dilemma sociale della tecnologia persuasiva: prospettive etiche 28

Conclusioni 30

Bibliografia (stile “tesi – 7 bibliografia titolo) 32

Sitografia (stile “tesi – 7 bibliografia titolo) 34

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Introduzione

Non ho mai amato i venditori. Ciononostante, a causa di necessità economiche,


nel 2013 mi sono ritrovata ad accettare un lavoro nell'ambito commerciale.
Con mia grande sorpresa ho scoperto di avere una certa predisposizione per il
settore e, dopo dieci anni ed un discreto successo nel campo, mi sono ritrovata a
selezionare, formare e seguire altri potenziali commerciali.
La vendita si è così trasformata da qualcosa di necessario che in maniera intuitiva
facevo discretamente bene, ad un processo da comprendere a fondo e poi
insegnare a qualcun altro, per permettergli di ottenere i migliori risultati possibili.
Queste sono le ragioni per cui ho cominciato a leggere vari libri sull’argomento
della vendita e della persuasione e, evitando a pie pari alcuni manuali alla stregua
della ciarlataneria, ho avuto il piacere di scoprire in alcuni dei saggi più famosi
sull’argomento, le ragioni per cui ci si ritrova a dire di sì, anche quando si
vorrebbe dire di no.
Il termine “persuasione” viene a volte confuso e scambiato per “manipolazione”
o addirittura “coercizione”, ed in alcuni casi sembra interscambiabile con la
definizione di influenza sociale.
Oltre al fattore ambiguità dei termini, il concetto di persuasione ci pone davanti
una domanda etica sulla liceità della stessa.
Lo scopo di questa tesi, oltre a dare un chiarimento sulla terminologia, è quello
di fornire una sintesi dei principali modelli elaborati sul tema, andando
successivamente ad indagare gli strumenti della persuasione utilizzati dai
professionisti e per ultimo delineare un quadro su come la tecnologia ha cambiato
le regole della persuasione ai giorni nostri.

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Infine, vengono proposte delle soluzioni per difendersi sia dai persuasori umani
che tecnologici, insieme ad una soluzione per assicurarsi la conformità etica delle
interazioni a scopo persuasivo e la creazione di strumenti futuri in linea con tali
standard.

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1. Alla ricerca di una teoria

1.1. La persuasione e l’influenza sociale: definizioni e differenze

Aristotele è l'autore della prima teoria sulla persuasione: considerandola un'arte,


egli la definiva come la capacità di indurre una persona a compiere un'azione che
altrimenti non avrebbe compiuto, attraverso l'utilizzo dei tre capisaldi
dell'oratoria: ethos (l'etica, l'uso della credibilità e della fiducia), pathos
(l'emotività), e logos (la logica, considerata la più importante).
L'uomo, come animale sociale, è portato a persuadere i suoi simili, conducendo
l'interlocutore da un punto A ad un punto B, approdo che rappresenta l'obiettivo
della comunicazione efficace. Attraverso l'arte della retorica, si può portare l'altro
a comprendere il senso di ciò che si propone ed indurlo ad aderire alla propria
idea. Tutt'oggi possiamo confermare questa intuizione di 2300 anni fa,
considerando la definizione di persuasione fornita da Cavazza (2018, p.11):

[...] un fenomeno di cambiamento cognitivo e/o comportamentale individuale, i cui


processi sono indotti da un agente che ha lo scopo intenzionale di provocare nel
ricevente uno stato determinato.

La discriminazione tra questa e l’influenza sociale sarebbe quindi basata


sull’intenzionalità, in quanto i processi persuasivi dell’influenza sociale
avvengono in un sviluppo circolare dove lo scopo intenzionale non è presente. La
persuasione, invece, si inscrive in un processo lineare attraverso cui un agente
attua consapevolmente in funzione che il ricevente assuma il suo punto di vista. Vi
è quindi un’asimmetria fra gli attori della comunicazione, in quanto l’agente di
persuasione e l’individuo-bersaglio non sono ruoli tra di loro intercambiabili.

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Come aggiunge Mucchi Faina (2012), oltre all'intenzionalità della fonte,
l'influenza sociale può avvenire anche sulla base di comportamenti ed immagini,
quindi non solo su argomentazioni e messaggi prettamente verbali.
La persuasione rappresenta quindi uno dei possibili tipi di influenza sociale.
L’aspetto in comune è certamente il “bersaglio”, ovvero il destinatario del
messaggio, che effettua un aggiustamento comportamentale e cognitivo in
positivo o negativo (cioè attuando o frenando un comportamento o atteggiamento)
in risposta alle informazioni presentate dall’agente di influenza, o “fonte”.
Vedremo gli attori della comunicazione ed il loro ruolo nel dettaglio nei
prossimi paragrafi.

1.2. Modelli a confronto: le teorie sulla persuasione

Gli Stati Uniti del secondo dopoguerra sono l’ambiente florido per la ricerca e lo
sviluppo delle teorie sulla persuasione nell’ambito della psicologia sociale.
Gli investimenti economici che supportano i primi programmi di ricerca
vogliono indagare le modalità con cui si possono cambiare gli atteggiamenti nei
contesti comunicativi ed in particolare ottenere consenso politico dall'opinione
pubblica. In particolare ricordiamo La Scuola di Yale, sviluppatasi alla fine degli
anni '40 e all'inizio degli anni '50 presso l'Università di Yale. Tra i più importanti
esponenti della scuola vogliamo ricordare Carl Hovland, Irving Janis e Muzafer
Sherif.
La Scuola di Yale ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della
psicologia sociale come disciplina scientifica, con particolare attenzione alle
dinamiche dei gruppi e alle influenze sociali sul comportamento umano. In
particolare, il lavoro di Hovland e dei suoi collaboratori si è concentrato sugli
effetti dei media sulla persuasione, mentre Janis ha studiato le dinamiche dei
gruppi e Sherif ha indagato la formazione degli atteggiamenti e dei pregiudizi.

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Dagli anni Quaranta del secolo scorso, si possono individuare tre grandi
direttrici nella ricerca dello studio della persuasione:
1. identificazione degli elementi conferiscono efficacia persuasiva ad una
comunicazione, con lo scopo di individuare i fattori che intervengono nel
setting comunicativo per incrementare l’efficacia del messaggio
persuasivo;
2. formulare una teoria condivisa dei processi di persuasione.
Nello specifico, l'attenzione è rivolta alla comprensione dell'attività
cognitiva del destinatario che, impegnato nella valutazione della posizione
presentata nella comunicazione persuasiva, cerca di stabilirne l'accuratezza
e l'accettabilità. Inoltre, si analizzano i processi che si attivano
automaticamente senza la consapevolezza del destinatario stesso;
3. individuare strategie di persuasione che non puntano a modificare le
opinioni, gli atteggiamenti o i valori del destinatario, ma mirano a
influenzare comportamenti specifici in un determinato contesto spazio-
temporale.
I primi due modelli che verranno illustrati qui di seguito sono definiti duali in
quanto entrambi caratterizzati dalla previsione che il cambiamento degli
atteggiamenti espliciti possa essere il risultato di due processi di natura differente.

1.2.1. Il modello della probabilità di elaborazione (ELM)


Quando Petty e Cacioppo hanno elaborato il modello della probabilità nel 1981,
hanno voluto rispondere ad una domanda: è necessario che i processi cognitivi di
una persona siano attivati nell’elaborazione di un messaggio, perché egli cambi il
proprio atteggiamento?
Alcuni approcci degli studi sulle tecniche di persuasione confermavano
l'importanza dell'elaborazione del messaggio da parte dell'individuo. Mentre la

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teoria dell'autopercezione di Bem (1972) affermava che la formazione o il
cambiamento di un atteggiamento avvengono dopo una riflessione postuma su un
comportamento precedentemente svolto dall'individuo, l'approccio della risposta
cognitiva (Petty, Ostrom e Brock 1981) considerava il cambiamento di
atteggiamento come determinato dalla valutazione dei propri pensieri che il
destinatario genera quando è esposto a un messaggio persuasivo.
Un altro esempio è il paradigma dell’elaborazione dell’informazione di McGuire
(1968) secondo il quale l'efficacia persuasiva della comunicazione viene valutata
in base alla probabilità che il processo avvenga in ognuna delle sue fasi
(esposizione al messaggio, attenzione, comprensione, accordo, ricordo e
comportamento).
Petty e Cacioppo propongono un modello che contraddice le convinzioni
dell'epoca, sostenendo che l'elaborazione cognitiva non è sempre necessaria per il
cambiamento di atteggiamento, ma rappresenta una delle possibili opzioni.
Secondo il loro modello, il cambiamento può avvenire tramite due diverse vie: il
percorso centrale ed il percorso periferico.
Il modello ELM (Elaboration Likelihood Model) descrive due percorsi diversi
per il cambiamento di atteggiamento, a seconda del grado di impegno cognitivo
richiesto e della pertinenza delle informazioni contenute nel messaggio. Il
percorso centrale richiede una quantità maggiore di risorse cognitive per
l'elaborazione e la riflessione attenta sulle informazioni presenti nel messaggio,
come l'attenzione, la comprensione, l'integrazione e la valutazione delle nuove
informazioni. Invece, il percorso periferico si basa su elementi non strettamente
pertinenti al tema, come informazioni di sfondo e segnali periferici come
l'attrattività della fonte.
La scelta tra i due percorsi dipende dalla motivazione e dall'abilità cognitiva del
soggetto, inclusi il grado di intelligenza e l'assenza di distrazioni o linguaggio

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pertinente. Se il soggetto è motivato e capace di elaborare il contenuto informativo
del messaggio, l'effetto persuasivo sarà determinato dal percorso centrale di
elaborazione. In questo caso, la qualità e l'argomentazione del messaggio
rivestono un'importanza fondamentale. Al contrario, se il soggetto ha una bassa
motivazione o abilità cognitive limitate, l'effetto persuasivo sarà determinato dal
percorso periferico, dove elementi esterni al tema diventano più rilevanti.
Secondo il modello ELM, un soggetto che non è motivato o non ha la capacità
di destinare uno sforzo cognitivo adeguato al messaggio, subirà eventuali
cambiamenti di atteggiamento attraverso un percorso periferico. In questa
situazione, l'importanza dell'argomentazione diminuisce, mentre assume maggior
rilevanza i segnali periferici, come lo status della fonte e la vividezza del
messaggio.
Gli autori del modello ELM considerano la quantità di elaborazione come il
fattore chiave che determina il percorso persuasivo. Quando la quantità di
elaborazione è elevata, il percorso centrale diventa il percorso preferenziale,
mentre quando la quantità di elaborazione è bassa, il percorso periferico diventa la
strada più idonea. In entrambi i casi, la persuasione dipende dalla qualità e dalla
pertinenza delle informazioni presenti nel messaggio, nonché dalla capacità del
soggetto di elaborare tali informazioni.

1.2.2. Il modello euristico-sistematico


Il Modello "Duale" euristico-sistematico, sviluppato da Shelly Chaiken negli
anni '80, si applica quando un soggetto è di fronte a un messaggio che promuove
una posizione diversa dalla propria e deve giudicare la sua validità. Secondo
Chaiken, questo giudizio si raggiunge attraverso due processi: l'elaborazione
sistematica delle informazioni contenute nel messaggio, simile al percorso

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centrale dell'ELM e l'utilizzo di informazioni più facilmente accessibili, come
regole semplici di decisione.
Anche in questo modello, la motivazione e l'abilità cognitiva del soggetto sono
fattori fondamentali. Tuttavia, Chaiken ritiene che queste due modalità di
elaborazione non si escludono a vicenda. Quando il bisogno di raggiungere
giudizi accurati prevale sul bisogno di risparmiare risorse cognitive, la modalità
sistematica prevale su quella euristica, e viceversa.
Per utilizzare le regole euristiche, sono necessarie tre condizioni di base: il
soggetto deve aver appreso la regola durante le esperienze passate, la regola deve
poter essere richiamata alla memoria nella situazione appropriata e deve essere
percepita come affidabile. Tuttavia, l'euristica può ancora essere utilizzata anche
in presenza di alta motivazione e abilità cognitive.

1.2.3. La proposta unimodale


Per Kruglanski (et al. 2000) non è necessario fare distinzione tra processi
differenti in base alla motivazione e all’abilità cognitiva del ricevente né tra le
funzioni centrali o periferiche.
Il processo di elaborazione di un messaggio persuasivo è unico e si applica in
modo simile a qualsiasi tipo di informazione ritenuta rilevante dal ricevente, che
raccoglie informazioni pertinenti al compito e le combina con le conoscenze già
presenti in memoria per giungere a un giudizio sulla questione. Le regole
utilizzate per questo processo possono essere acquisite dall'esperienza o rese
disponibili nella cultura, come gli stereotipi.
Il compito del ricevente è quello di scegliere la regola appropriata, in un
processo a due fasi. Nella prima fase, vengono costruite delle regole pertinenti alla
situazione. Nella seconda fase, viene selezionata la regola da applicare in base alla
sua facilità o difficoltà di applicazione al contesto specifico. La selezione di una

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certa regola dipende dalla capacità di elaborazione dell'individuo e dalla
percezione di razionalità ecologica delle regole. Quando l'individuo ha un basso
potenziale di elaborazione, selezionerà solo regole di facile applicazione, mentre
quando può elaborare in modo approfondito, selezionerà anche regole più
complesse. Non è necessario distinguere tra processi diversi a seconda della
motivazione e dell'abilità cognitiva del ricevente o tra sistemi spontanei e
riflessivi.

1.2.4. La teoria dell’azione ragionata e la teoria del comportamento


pianificato
Negli anni ‘70 gli studi di Fishbein e Ajzen (1975) si concentrano sul legame tra
atteggiamenti e comportamenti, nel tentativo di spiegare perché i primi avessero
una scarsa capacità predittiva sui secondi. Dai loro assunti emerge che il
cambiamento nel comportamento di un soggetto può avvenire quando le sue
credenze alla base vengono modificate e cioè quando un’intenzione si interpone
tra i due elementi. Da questo concetto emerge un individuo volitivo che si
comporta in maniera coerente con le proprie intenzioni, il che solleva delle
critiche dove si contesta che gli autori, nella formulazione di questa teoria, non
hanno tenuto in considerazione quei comportamenti ad esempio routinari o
compulsivi che sono privi di controllo volitivo.
Per sopperire a questa mancanza, nel 1988 Ajzen riformula in maniera estesa il
modello, ridefinendolo teoria del comportamento pianificato ed inserendo
l’elemento della percezione del controllo sull’azione: in questa versione della
teoria, l’intenzione è l’esito dell’interazione tra l’atteggiamento di un individuo
verso un determinato comportamento, le sue norme soggettive e la percezione di
controllo comportamentale percepito., ovvero la percezione che l’individuo ha di
poter mettere in atto un determinato comportamento desiderato.

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1.2.5. La teoria della dissonanza cognitiva
Festinger (1957) parte dall’assunzione che l’essere umano mira alla coerenza
con sé stesso che la dissonanza tra il proprio comportamento e il proprio
atteggiamento genera un conflitto interno che porta l’individuo ad una attivazione
emotiva (arousal), spingendolo a voler ristabilire la coerenza attraverso
l’attuazione di alcune strategie. L’individuo può attuare producendo un
cambiamento sul proprio comportamento, sull’ambiente o in alternativa
cambiando un elemento del proprio mondo cognitivo. La favola di Esopo della
volpe e l’uva rappresenta un esempio tipico di riaggiustamento cognitivo dove la
coerenza viene preservata attraverso un cambiamento di opinione, espresso nella
celebre frase “l’uva è acerba”.

1.3. La comunicazione ed i suoi elementi

Nell'ambito della ricerca sulla persuasione, lo studio della comunicazione è


cruciale in quanto questa rappresenta lo strumento principale attraverso cui le
persone esercitano influenza sugli altri. La comprensione dei processi
comunicativi è fondamentale per comprendere come avvengono gli scambi di
informazioni, come si formano le opinioni e come queste ultime hanno influenza
sul comportamento delle persone. In questo senso, lo studio della comunicazione
è essenziale per comprendere i meccanismi che sottendono alla persuasione e per
sviluppare strategie efficaci per influenzare le opinioni ed i comportamenti delle
persone.
Il processo comunicativo coinvolge più individui che si scambiano informazioni
per raggiungere una visione condivisa sugli oggetti del mondo, esprimere
intenzioni, desideri, impegni, opinioni, credenze e valori.
Ogni comunicazione si basa su tre elementi fondamentali: chi invia il
messaggio, chi lo riceve e il contenuto del messaggio. La condivisione di

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significati avviene attraverso questi tre elementi, che sono interconnessi e
reciprocamente influenzati. La comunicazione è quindi essenziale per la
costruzione di relazioni, la condivisione di conoscenze e la creazione di culture
condivise.

1.3.1. Il messaggio

1.3.1.1. La mera esposizione


Secondo Zajonc (1968), la mera esposizione ripetuta di un individuo a uno
stimolo è sufficiente per suscitare un atteggiamento più favorevole verso di esso.
La sua ipotesi è stata confermata attraverso quattro esperimenti, nei quali è emerso
che l'aumento della frequenza di esposizione al stimolo porta ad uno spostamento
dell'atteggiamento verso il polo positivo. Inoltre, è interessante notare che il
riconoscimento consapevole dello stimolo non sembra essere un prerequisito per
l'effetto, poiché quando l'individuo non è in grado di percepirlo consapevolmente,
l'effetto si manifesta in modo ancora più forte.
Infine, è stato osservato che l'influenza della mera esposizione risulta più
evidente se la rilevazione viene effettuata non immediatamente dopo la sequenza
delle esposizioni, ma ad esempio dopo due settimane. Questo suggerisce che
l'effetto della mera esposizione può essere duraturo nel tempo e che
l'atteggiamento positivo verso lo stimolo può consolidarsi con il passare del
tempo, indipendentemente dal livello di consapevolezza dell'individuo.

1.3.1.2. L’organizzazione del contenuto


Secondo l'approccio di Yale (Hovland, Janis e Kelley 1953), quando un
individuo viene esposto a una comunicazione e indotto ad accettare una nuova
opinione, si verifica un'esperienza di apprendimento. È importante distinguere tra
opinioni, interpretazioni, aspettative e valutazioni, che si traducono in risposte

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verbali a una situazione-stimolo, e gli atteggiamenti, che hanno un valore di drive
e consentono di avvicinare oppure evitare un soggetto, ma non sono sempre
verbalizzabili.
Poiché molti atteggiamenti sono mediati da credenze, aspettative e giudizi
verbali, uno dei principali modi in cui la comunicazione può provocare un
cambiamento nell'atteggiamento consiste nell'agire su queste risposte verbali.
Secondo questa ottica, le opinioni delle persone tendono a persistere fino a
quando non vengono sottoposte a un nuovo apprendimento. Tuttavia, per far
prevalere una nuova risposta sull'opinione precedente, è necessario creare
incentivi, come ricompense o punizioni, che motivino l'individuo ad accettare o
rifiutare la nuova opinione. Pertanto, se si vuole persuadere le persone a cambiare
idea, l'organizzazione del contenuto del messaggio deve essere progettata per
favorire il processo di apprendimento del contenuto, e potrebbe essere utile
utilizzare incentivi appropriati per motivare il cambiamento.
Gli esperimenti condotti per verificare questa ipotesi hanno portato ai seguenti
risultati:
• conclusione esplicita VS implicita: una conclusione esplicita provoca un
cambiamento di opinione nel doppio dei partecipanti rispetto a una
conclusione implicita. In altre parole, quando la conclusione è espressa in
modo chiaro e diretto, si hanno maggiori possibilità di persuadere le
persone e farle cambiare opinione rispetto a quando la conclusione è
lasciata implicita o viene suggerita in modo indiretto;
• argomenti bilaterali VS unilaterali: secondo gli studi condotti da Hovland,
Lumsdaine e Sheffield (1953), è emerso che la versione di un messaggio
che accenna anche alla tesi contrapposta può provocare i maggiori
cambiamenti di opinione fra coloro che partono da una posizione molto
diversa da quella sostenuta nel messaggio. Invece, tra coloro che hanno già

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un'opinione molto simile a quella proposta, il messaggio unilaterale ha
maggiori effetti e può portare a opinioni ancora più rafforzate. Questi
risultati suggeriscono che la strategia di comunicazione più efficace varia a
seconda del pubblico di riferimento e che è importante adattare il
messaggio alle caratteristiche del destinatario per ottenere il massimo
impatto persuasivo;
• effetti di primacy e di recency: secondo gli studi condotti da Hovland nel
1938 sulla memorizzazione di liste di semplici item, gli individui hanno
maggior facilità a ricordare gli elementi che occupano le prime e le ultime
posizioni della lista, rispetto a quelli intermedi. Questo fenomeno è noto
come effetto di primacy e recency. L'effetto di primacy si verifica quando
gli elementi posti all'inizio della lista vengono meglio memorizzati grazie
alla maggiore attenzione e concentrazione del soggetto all'inizio della
presentazione. L'effetto di recency, invece, si verifica quando gli elementi
posti alla fine della lista vengono meglio memorizzati grazie alla maggiore
freschezza e immediatezza delle informazioni;
• la vividezza: per catturare l'attenzione del ricevente, è importante che il
messaggio sia visibile e colpisca immediatamente. La vividezza di
un'informazione dipende dalla sua concretezza e dalla capacità di suscitare
immagini e coinvolgere emotivamente il ricevente. Secondo Nisbett e
Ross (1980), le informazioni vivide hanno maggior impatto perché
richiamano l'attenzione e sono facilmente decodificabili, memorizzabili e
richiamabili alla memoria. Tuttavia, la vividezza della presentazione può
anche distrarre il ricevente e rendere il messaggio meno efficace. La
congruenza tra gli elementi vividi del messaggio e la posizione sostenuta
può potenziare gli effetti persuasivi del messaggio, grazie alla
focalizzazione dell'attenzione e all'attivazione di informazioni rilevanti

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nella memoria. Quando questo avviene, gli argomenti del messaggio
persuasivo sono più incisivi e quindi convincenti.

1.3.1.3. Effetti del canale di comunicazione


Secondo Chaiken e Eagly (1976), l'effetto del canale di comunicazione sulla
persuasione è mediato dalla facilitazione o interferenza che la presentazione del
messaggio provoca sulla comprensione dei contenuti che esso veicola. La
comprensione e la piacevolezza del messaggio hanno un impatto significativo
sull'opinione del ricevente, come confermato dai risultati degli esperimenti
condotti. Inoltre, le caratteristiche della fonte possono influenzare l'efficacia
persuasiva del messaggio a seconda della modalità di comunicazione utilizzata.
Ad esempio, una fonte con attributi positivi risulta più persuasiva in video o di
presenza, mentre una fonte con caratteristiche poco piacevoli risulta più
persuasiva nel messaggio scritto. Inoltre, le opinioni generate dai messaggi scritti
risultano leggermente più persistenti. Questi risultati suggeriscono che le
caratteristiche contestuali, come la modalità di comunicazione, possono
influenzare la capacità del ricevente di elaborare e utilizzare i segnali periferici, al
di là del livello di coinvolgimento personale nel tema in questione.

1.3.1.4. Il frame
Argomentare i vantaggi e/o gli svantaggi di un'azione è una scelta di frame,
ovvero l'inquadratura della posizione che si intende sostenere, con l'obiettivo di
far risaltare il messaggio in modo convincente e persuasivo. Il frame utilizzato
può avere un impatto significativo sull'efficacia della comunicazione e sulla
percezione del ricevente. In particolare, il frame può riguardare diversi aspetti,
come la presentazione del tema del messaggio, le conseguenze che si esortano o si
contrastano e gli atteggiamenti bersaglio della comunicazione.

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La teoria del prospetto di Tversky (2013) offre un punto di partenza per
comprendere come il frame influenzi la comunicazione e la persuasione. Secondo
questa teoria, le persone valutano le scelte in base a come queste influenzeranno il
loro stato emotivo, piuttosto che in base alla logica razionale. Ciò significa che la
percezione delle conseguenze di un'azione può essere influenzata dal modo in cui
queste vengono presentate.
Ad esempio, se si vuole argomentare a favore di una determinata politica, si può
utilizzare un frame positivo, presentando i benefici che essa apporterebbe. Al
contrario, se si vuole contrastare la stessa politica, si può utilizzare un frame
negativo, mettendo in evidenza i suoi svantaggi e le conseguenze negative. In
sintesi, la scelta del frame è un aspetto cruciale della comunicazione persuasiva e
può avere un impatto significativo sulla comprensione e sull'accettazione del
messaggio da parte del ricevente.
La scelta del frame giusto nel messaggio è importante per la comunicazione
persuasiva ma la sua efficacia dipende dalle caratteristiche del ricevente. Le
persone regolano il proprio comportamento in base alla focalizzazione della
propria attenzione sul miglioramento dello stato attuale o sulla prevenzione di
potenziali danni o conseguenze negative. Questo suggerisce che i messaggi con
frame di perdita dovrebbero convincere le persone con un focus di prevenzione,
mentre quelli con frame di guadagno dovrebbero convincere maggiormente le
persone con focus di promozione (Cesario, Higgins e Scholer 2008). Tuttavia, ci
sono anche altre variabili individuali e contestuali che possono influenzare la
risposta del ricevente al messaggio. Una comprensione approfondita delle
caratteristiche del pubblico di riferimento e del contesto in cui viene trasmesso il
messaggio può aiutare a creare un messaggio persuasivo e coinvolgente che
raggiunga gli obiettivi desiderati. Secondo uno studio condotto da Koenig et al.
nel 2009, i messaggi che sono in grado di corrispondere al focus regolatorio del

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ricevente stimolano una sensazione positiva di aver fatto la scelta giusta e
aumentano il coinvolgimento del ricevente. In altre parole, i messaggi che si
adattano alle aspettative e ai bisogni del pubblico di riferimento sono più efficaci
nel coinvolgere e persuadere il destinatario del messaggio.

1.3.2. La fonte
Nella sua opera Retorica (IV secolo a.C.), Aristotele riconosceva già
l'importanza della credibilità della fonte come uno dei fattori chiave per
influenzare il destinatario del messaggio.
Negli studi sperimentali, la fonte del messaggio è considerata la persona o le
persone a viene attribuita la posizione comunicata. Tuttavia, l'identificazione della
fonte può non essere sempre chiara, poiché possono esserci messaggi provenienti
da persone che non ne sono gli autori, come nel caso dei testimonial nella
pubblicità. La psicologia sociale ha dimostrato che le caratteristiche della fonte
del messaggio possono influenzare la capacità di persuasione del messaggio
stesso, anche se il contenuto rimane invariato. La credibilità della fonte è uno
degli elementi chiave nella persuasione e nella comunicazione efficace, ma ci
sono anche altri fattori che possono influenzare la risposta del destinatario del
messaggio, come l'affinità con la fonte, la reputazione della fonte, la familiarità o
l'autorità. A tal proposito, McGuire (1985) identifica tre classi di fattori:
credibilità, attrazione e potere.

1.3.2.1. La credibilità
Hovland e Weiss (1951) definiscono la credibilità come la caratteristica della
fonte quando dispone di una conoscenza dettagliata su un determinato argomento
(livello di expertise) ed è affidabile nel dire la verità su quel tema
(trustworthiness). Tuttavia, gli autori si chiedono se la variazione delle
caratteristiche della fonte possa influenzare la valutazione degli argomenti da

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parte del destinatario e se questa variazione possa, a sua volta, influire sul
cambiamento di opinione. Secondo gli autori, mentre la credibilità della fonte può
influenzare la motivazione a credere ai contenuti immediatamente dopo aver
ricevuto il messaggio, nel tempo i destinatari tendono a dissociare gli argomenti
dalla fonte e a basare la loro opinione principalmente sui primi, facendo
scomparire l'effetto della fonte stessa (effetto sleeper). In altre parole, l'effetto
persuasivo della credibilità della fonte può essere limitato nel tempo. La ricerca
condotta in questo campo ha confermato che una fonte credibile rappresenta un
elemento fondamentale per l'accettazione del messaggio da parte del ricevente e
ciò può facilmente provocare un cambiamento sia nei comportamenti che negli
atteggiamenti. In sostanza, se il destinatario del messaggio percepisce che la fonte
è affidabile e ha una conoscenza approfondita sull'argomento, sarà più incline ad
accettare il messaggio e ad agire di conseguenza (Pornpikatpan, 2004).

1.3.2.2. L’aspetto
L’utilizzo diffuso del canale video per la trasmissione di messaggi persuasivi ha
suscitato l’interesse degli studiosi relativamente agli effetti circa le caratteristiche
fisiche della fonte. Nonostante gli studi sperimentali sembrino supportare l’aspetto
persuasivo di una fonte attraente (Reigen e Kernan, 1993), secondo Chaiken, non
si può trascurare il fatto che ogni individuo sviluppa abilità comunicative
differenti come risultato della socializzazione. Ciò significa che le persone
attraenti potrebbero sviluppare maggiormente queste abilità proprio grazie ai
rinforzi positivi che ricevono nell'esperienza comunicativa interpersonale.
Per esempio, una persona attraente ma poco persuasiva potrebbe non riuscire a
convincere il ricevente, mentre una persona meno attraente ma con abilità
comunicative sviluppate potrebbe essere molto convincente. Pertanto, è

20
importante considerare non solo l'aspetto fisico della persona fonte, ma anche le
sue abilità comunicative.

1.3.2.3. Lo stile comportamentale di comunicazione


Per stile comportamentale di comunicazione si intendono quei segnali di
comunicazione non verbale come le espressioni del volto, il comportamento nello
spazio ed i segnali paralinguistici. Per Chaiken questi sono una caratteristica
essenziale che incrementa l’efficacia della fonte in un contesto di comunicazione
persuasiva.
In particolar modo, l’effetto di influenza è maggiore quando esercitato attraverso
un breve contatto fisico della fonte sul ricevente: questo gesto promuove la
formazione di un’opinione positiva nella persona che lo riceve e genera anche un
miglioramento dell’umore nella stessa (Hornik, 1992). Due differenti teorie sono
state avallate per dare una spiegazione a questo fenomeno: da un lato si ritiene che
un breve contatto generi familiarità e che questo aumenti l’efficacia
autopersuasiva, dall’altro lo sfioramento rappresenterebbe il prototipo della forma
più precoce di comunicazione dell’essere umano e sarebbe quindi associato
implicitamente nella memoria ad una connotazione positiva.

1.3.2.4. Somiglianza e appartenenza sociale


Gli studiosi hanno dimostrato che l'attrattività della persona fonte non è
determinata soltanto dalla sua bellezza, ma anche dalla percezione di somiglianza
o di condivisione di una qualche appartenenza sociale rilevante fra fonte e
ricevente. Byrne e colleghi (1961) hanno condotto numerose ricerche su questo
tema, dimostrando una correlazione positiva tra la somiglianza percepita di
atteggiamenti tra il sé e l'altro e il grado di attrazione verso lo stesso partner.
Inoltre, si è dimostrato che con l'aumentare del grado di attrazione, aumenta
generalmente anche l'impatto persuasivo. Tuttavia, la correlazione positiva tra

21
somiglianza e attrazione non indica se il soggetto percepisce simili a sé gli altri
che gli piacciono o se gli piacciono quelli che percepisce simili a sé.
Mackie, Worth e Asuncion (1990) e Mackie et al. (1992) hanno studiato gli
effetti dell'ingroup in riferimento ai modelli a due percorsi, dimostrando che le
caratteristiche della persona fonte non fungono solo da segnali periferici, ma
possono aumentare la probabilità di elaborazione delle informazioni trasmesse. In
particolare, i messaggi dell'in-group hanno un impatto persuasivo maggiore
rispetto a quelli dell'out-group, ma solo se il tema è rilevante rispetto
all'appartenenza di gruppo o se la posizione sostenuta non è subito chiara. La
forza degli argomenti non ha invece impatto nella condizione in cui il messaggio
proviene da una fonte dell'out-group.
Infine, è importante tenere conto di quale sia il gruppo dominante fra in-group e
out-group, come ha evidenziato Cavazza1. In conclusione, la somiglianza e
l'appartenenza sociale della persona fonte possono influenzare l'impatto
persuasivo del messaggio, ma la percezione del messaggio da parte del ricevente
dipende anche dalle sue credenze e dalle sue esperienze passate.

1.3.3. Il ricevente
Il ricevente è colui che deve stabilire se la posizione condivisa dalla fonte e
contenuta all’interno della comunicazione persuasiva è accettabile.
Le differenze nell'impatto di un messaggio su diverse persone possono essere
spiegate in gran parte dalle loro caratteristiche socio-psicologiche. La ricerca
psicosociale ha identificato molti fattori che influenzano il potere persuasivo dei
contenuti. Partendo dal lavoro di Hovland e dei suoi collaboratori sul ruolo
dell'apprendimento del messaggio, sono state sviluppate due teorie fondamentali
sul processo di elaborazione che porta al cambiamento atteso: il paradigma

1
Ibidem

22
dell'elaborazione delle informazioni di McGuire(1968) e l'approccio della
risposta cognitiva di Petty, Ostrom e Brock (1981).
Queste teorie rappresentano un'evoluzione del pensiero teorico nel tempo e non
costituiscono alternative tra loro. Entrambe propongono un approccio per
comprendere come le persone elaborano e processano le informazioni in modo da
influenzare il loro comportamento e le loro opinioni.

23
1.3.3.1. Il paradigma dell’elaborazione dell’informazione
Il modello di McGuire è una delle prime teorie a descrivere in modo preciso il
processo attraverso il quale un individuo elabora e processa le informazioni
contenute in un messaggio persuasivo. Grazie a questo modello, gli studiosi hanno
compreso meglio il ruolo che svolgono l'attenzione, la comprensione e
l'accettazione nella persuasione. Il modello si sviluppa in sei fasi, formalizzato in
termini matematici, che devono essere completate affinché la comunicazione
persuasiva eserciti un impatto sul ricevente. Queste sei fasi rappresentano
un'evoluzione del pensiero teorico nel tempo e non costituiscono alternative tra
loro. Il modello è stato poi semplificato in due fasi: ricezione e accettazione.
Tuttavia, ci sono alcune difficoltà empiriche nel testare il modello nella sua
forma originale a sei fasi. Pertanto, il modello semplificato è stato utilizzato in
numerosi studi. Il potere predittivo del modello diminuisce al di fuori del
laboratorio, poiché i messaggi utilizzati in laboratorio sono semplici e non ci sono
distrazioni.
Il modello di McGuire suggerisce che l'importanza relativa della ricezione e
dell'accordo varia in base ai fattori di contesto. La ricezione assume un peso
maggiore nell'equazione quando il messaggio è complesso, mentre l'accordo
risulta più importante se il messaggio è particolarmente semplice.
Inoltre, il modello di McGuire non considera la motivazione del ricevente, che
può influenzare la sua attenzione e la sua comprensione del messaggio. Pertanto, i
fattori motivazionali devono essere considerati insieme alla quantità e alla qualità
delle informazioni per comprendere l'effetto persuasivo di un messaggio.

1.3.3.2. L’approccio della risposta cognitiva


La proposta di Yale e McGuire considerava il ricevente come un soggetto
passivo che deve infatti ricevere e apprendere il contenuto del messaggio

24
persuasivo senza considerare la sua reazione soggettiva. Tuttavia, Greenwald nel
1968 mette in discussione questa concezione, sottolineando l'importanza della
rielaborazione dei contenuti da parte del soggetto. Questa idea è stata poi
sviluppata da Petty, Ostrom e Brock nel 1981, i quali sostengono che l'impatto
persuasivo è determinato soprattutto dalle risposte cognitive del ricevente quando
anticipa, riceve o riflette su una comunicazione.
Secondo questo approccio, la reazione soggettiva alla comunicazione è
l'elemento che media fra esposizione al messaggio e l'effettivo cambiamento di
opinione. Il ricevente mette in relazione le informazioni contenute nel messaggio
con le credenze che egli possiede relativamente alla questione. Se le informazioni
inducono pensieri favorevoli, l'atteggiamento del ricevente sarà influenzato nella
direzione desiderata. Se invece inducono pensieri sfavorevoli, l'atteggiamento
iniziale rimarrà immutato o andrà nella direzione opposta. Inoltre, quanto più un
messaggio è in grado di evocare una grande quantità di pensieri favorevoli, tanto
più risulterà persuasivo.
In questa prospettiva, la ricerca si concentra sull'individuazione dei fattori che
favoriscono o inibiscono l'attività cognitiva di risposta del ricevente al messaggio,
attraverso la tecnica della lista di pensieri, che ha lo scopo di permettere al
soggetto di accedere direttamente alla propria attività cognitiva, riportando i
propri pensieri scevri da distorsioni di natura sociale.

1.3.3.3. Le differenze negli individui


Negli anni '60, gli studiosi della persuasione erano principalmente interessati ad
analizzare il ruolo dei tratti di personalità e delle caratteristiche individuali nel
processo di influenza dell’altro. A partire dagli anni '70, l'attenzione si è spostata
verso i fattori ambientali e sociali e dagli anni ‘80 si è assistito ad una riscoperta
dell'individuo come soggetto attivo nella costruzione della realtà.

25
Oggi negli Stati Uniti, questo approccio continua ad essere presente negli studi
sulla persuasione, in particolare nell'analisi delle differenze individuali.
Comprendere l'impatto differenziato dovuto a specifiche caratteristiche del
ricevente consente di concepire comunicazioni mirate a specifici segmenti di
popolazione. Ciò significa che la conoscenza delle differenze individuali può
essere utilizzata per creare messaggi persuasivi più efficaci e mirati, in grado di
raggiungere specifici obiettivi di comunicazione.
Dalle ricerche condotte è emerso che la comprensione del messaggio è un
fattore cruciale che media il processo di influenza. McGuire ha avanzato l'ipotesi
che l'intelligenza e l'autostima agiscano in modo opposto sulla ricezione e
sull'accettazione messaggio persuasivo. In particolare, una persona intelligente è
in grado di comprendere meglio il messaggio rispetto a una meno intelligente, ma
sarà anche meno propensa ad accettarne acriticamente le conclusioni. Al contrario,
una persona con un'alta autostima rispetto a una persona con una bassa autostima,
sarà anche meno influenzata dalle posizioni sostenute nella comunicazione a
causa della sua forte sicurezza rispetto alle proprie opinioni preesistenti.
Gli effetti persuasivi più significativi si verificano a livello intermedio sia di
intelligenza che di autostima, dove c'è una discreta probabilità di ricezione e una
discreta probabilità di accettazione. Inoltre l’atteggiamento tende ad essere
correlato positivamente con l'intelligenza nella condizione di messaggio
complesso e negativamente nella condizione di messaggio semplice. I riceventi
più intelligenti dimostrano infatti un migliore ricordo e comprensione dei
contenuti del messaggio.
In sintesi, la comprensione del messaggio è un fattore cruciale nel processo di
persuasione, ma l'intelligenza e l'autostima possono influenzare la ricezione e
l'accettazione del messaggio in modo diverso. Tuttavia, gli effetti persuasivi più
significativi si verificano a livello intermedio sia di intelligenza che di autostima.

26
Per quanto riguarda le differenze di genere, degli esperimenti condotti da Eagly
(1978) nell’ambito della persuasione ed in particolare nello studio della
conformità, sembrano sostenere la credenza comune che le donne siano più
influenzabili rispetto agli uomini; tra le varie ragioni teoriche individuate per
spiegare questa differenza, Eagly ha suggerito che la motivazione potrebbe
risiedere nelle diverse tendenze tra i due sessi, in quanto gli uomini sono più
focalizzati sul Sé individuale, mentre le donne sono più attente agli aspetti
relazionali interpersonali. Nonostante siano presenti degli indicatori che attestano
la maggiore influenzabilità delle donne, le prove empiriche raccolte ad oggi non
validano con certezza che questa inclinazione si manifesti in maniera concreta.
Allo stesso modo, dagli studi condotti per verificare se le caratteristiche di
personalità del ricevente siano in relazione ad una potenziale vulnerabilità alla
persuasione non è emersa nessuna propensione sistematica rilevante (Halko e
Kientz, 2010).
Per contro, l’umore sembra rappresentare una variabile personale in grado di
spingere il ricevente ad una maggiore predisposizione nell’accettare un messaggio
persuasivo: un umore positivo, infatti, comunica al cervello l’assenza di minacce
nell’ambiente, per cui non si rende necessario un impegno nell’elaborazione dei
contenuti di un messaggio che verrebbe, quindi, accettato molto più di buon
grado. Al contrario, un umore negativo comporterebbe l’effetto opposto. Questo
porta a supporre che l’umore impatta non tanto il cambiamento degli
atteggiamenti, quanto le strategie di elaborazione.

27
2. Le armi della persuasione di Cialdini

2.1. Introduzione

Studi ed esperimenti hanno confermato che l’essere umano, così come altri
animali, agisce attuando dei comportamenti automatici a volte persino stereotipati
che si basano sull’”economia cognitiva”: scorciatoie di pensiero ed euristiche
sono infatti strategie utili e talvolta necessarie per la sua esistenza. Durante la
giornata, ognuno di noi si ritrova continuamente in circostanze in cui spesso non
si ha il tempo o la capacità di analizzare a fondo ogni evento e situazione. Il
bisogno di una rapida valutazione delle informazioni presenti e conseguente
elaborazione mentale può indurci a prendere delle decisioni sbagliate: questo
perché, nonostante nella maggior parte dei casi i nostri schemi mentali di azione
automatica abbiano utilità adattiva e siano funzionali, esistono dei casi in cui
possono essere utilizzati a nostro svantaggio.
Cialdini (1984) si imbarca in un viaggio per “gli abissi dell’umana
persuadibilità”2,con lo scopo di illustrare sei tecniche di “acquiescenza” (come le
definisce nel volume), ognuna di queste corrispondente ad un concetto
psicologico e a dei fattori motivazionali che permettono di orientare il
comportamento umano in una determinata direzione, conferendogli potere.
Dopo aver illustrato nei dettagli attraverso i vari risultati degli esperimenti che
lo stesso Cialdini ha messo in pratica, lo psicologo sociale allarga il campo di
indagine dedicandosi allo studio dell’operato dei cosiddetti professionisti della
persuasione. Qui viene tracciata una linea a differenziare tra l’utilizzo inconscio di

2
Assunto Quadrio (2017)

28
questi principi psicosociali che entrano continuamente in gioco nel quotidiano
durante le interazioni tra le persone, e l’utilizzo consapevole e specializzato di tali
concetti per esercitare una maggiore acquiescenza nel ricevente del messaggio
persuasivo, definito da Cialdini come la “vittima”.
Infine, l’autore propone delle tecniche di “contrattacco” per difendersi dai
cosiddetti persuasori occulti, ovvero come dire di no a venditori e commercianti
che potrebbero utilizzare le tecniche di persuasione per ottenere i loro scopi in
maniera illecita, tramite la falsificazione e la manipolazione.

2.2. La reciprocità

La regola del contraccambio prevede che ogni individuo, indipendentemente


dalla cultura di riferimento, si senta obbligato a ricambiare regali, inviti e favori
ricevuti. Il concetto di reciprocità mette quindi in atto una “ragnatela di debiti”, un
sistema a carattere adattivo tipico della cultura umana che permette lo scambio di
beni e servizi, innescando una rete di interdipendenze tali da mettere in
connessione gli individui tra di loro e promuovere relazioni sociali efficienti.
Questa norma generale ha una potenza tale che induce persino al contraccambio
anche quando il favore ricevuto non è stato richiesto o auspicato: lo sanno bene gli
Hare Krishna, la setta religiosa che è passata dalla mera richiesta di offerte
economiche ai passanti al donare un fiore o un libro chiedendo poi un contributo
in cambio. Con la strategia del "benefattore prima che questuante", si mette in atto
la regola in tutta la sua forza, costringendo gli ignari passanti a ripagare la
presunta generosità per colmare un debito imposto per un omaggio indesiderato.
Su un altro campo, la pratica del favoritismo per accaparrarsi i voti degli elettori
è cosa nota in ambito politico. Nel commerciale, spesso le aziende venditrici
utilizzano i campioni gratuiti per indurre i potenziali clienti all'acquisto di

29
prodotti, mascherando questa tecnica con il pretesto apparentemente innocente di
mettere al corrente il pubblico della qualità degli stessi.
Condivido con Cialdini la predilezione per un esempio che illustra a perfezione
come la regola della reciprocità abbia applicazione anche in contesti dove gli
scambi commerciali non entrano in gioco: mi riferisco alla storia della sentinella
che durante la seconda guerra mondiale viene risparmiata dal soldato tedesco
perché questa gli offre un pezzo di pane, gesto che gli risparmia la vita.
La forza di questa regola risiede nella riprova sociale a cui il soggetto sarebbe
sottoposto qualora questi decidesse di non contraccambiare il favore ricevuto, in
quanto verrebbe certamente etichettato come approfittatore o ingrato. Questo
aspetto mette in luce le potenzialità di utilizzo improprio della norma: poiché non
è socialmente raccomandabile declinare favori o regali, pena venir etichettati
come scortesi, l'impossibilità di opporsi ad un dono, rifiutandolo, pone le
condizioni ideali per utilizzare la regola della reciprocità in maniera illecita,
obbligando il ricevente ad accettare (come nel caso degli Hare Krishna, che si
guardano bene dal prendere indietro il fiore una volta donatolo).
Un altro fattore che induce a dire di sì è l'effetto sorpresa di una richiesta
inaspettata: in questi casi, nell'incertezza del momento, mettiamo il pilota
automatico che ci spinge a sdebitarci quanto prima, quasi senza rifletterci sopra.
Oltre alla riprova sociale, infatti, la sensazione poco piacevole di sentirsi in debito
con qualcuno è un'altra motivazione che spinge ad attuare la norma descritta, a
volte addirittura contraccambiando con un favore più grosso e producendo un
risultato asimmetrico.
Ancora più efficace è la strategia di avanzare prima una cospicua richiesta che
per questo viene rifiutata, per poi ripiegare sulla richiesta reale, percepita a questo
punto come una concessione minore. Per cui il ragazzino che propone
inizialmente un biglietto per lo spettacolo annuale dei boy scout al costo di cinque

30
dollari, ha più possibilità di vendere delle tavolette di cioccolato del costo di un
dollaro, se queste vengono proposte come un ripiego della proposta iniziale. Due
effetti collaterali della concessione sono il senso di responsabilità personale per
l'accordo preso, dovuto all'impressione di aver svolto un ruolo attivo per l'esito
finale e la soddisfazione per il compromesso raggiunto, dato dall'illusione di aver
negoziato efficientemente con la controparte.
Di primo acchito sembrerebbe non ci sia modo di scampare alla regola della
reciprocità, poiché sottrarsi ad essa implicherebbe essere additati come scortesi o
peggio vivere con il peso di un debito non corrisposto; in verità, una maniera
efficace per dire di no esiste e risiede nel neutralizzare la regola stessa: se l'offerta
iniziale si rivela un tentativo per ottenere acquiescenza, basterà rispondere di
conseguenza per renderla inefficace. Attraverso questo "atto mentale di
ridefinizione", ci si mette al riparo da trucchi e stratagemmi di vendita indesiderati
che fanno leva sul ripagare una presunto atto di generosità.

2.3. Impegno e coerenza

Vari teorici hanno considerato il bisogno di coerenza come un fattore primario


nella motivazione del comportamento: pensiamo a Festinger e la teoria della
dissonanza cognitiva e successivamente Rogers con la congruenza del sé.
Il bisogno quasi compulsivo degli individui di apparire coerenti con le proprie
azioni può portare ad autoconvincersi delle proprie scelte per sentirsi in linea con
sé stessi. Ne è un esempio l’atteggiamento degli scommettitori all’ippodromo, che
dopo aver scommesso su un cavallo si sentono fiduciosi di poter vincere.
Quest’arma di persuasione che dirige in maniera inconscia le nostre azioni è
incentrata sulla percezione della coerenza, generalmente associata con la logica e
l’onestà e quindi apprezzata, al contrario della coerenza che viene invece additata
come un tratto negativo poiché messa in relazione con l’irrazionalità e instabilità

31
di carattere. Il carattere adattivo di questa risposta automatica ha la funzionalità di
Per questo motivo, ad esempio, siamo molto più motivati a tenere d’occhio la
proprietà altrui al mare se il possessore ce ne fa esplicita richiesta: risulta infatti da
un esperimento che diciannove persone su venti hanno agito di conseguenza
davanti alla simulazione del furto, rispetto alle quattro persone dell’esperimento
precedente, dove non veniva espressamente richiesto di vigilare sugli oggetti,
innescando il meccanismo di coerenza.
Anche questa risposta automatica ha carattere adattivo, giacché attenersi ad una
posizione presa in precedenza permettere all’essere umano di evitare di spendere
ulteriore tempo ed energie mentali nel valutare una corretta decisione, offrendo un
metodo comodo per evitare le complicazioni quotidiane, soprattutto in un contesto
ambientale che ha alte pretese sulle nostre capacità mentali.
Cialdini parla anche di “uso protettivo della coerenza”, in riferimento al fatto
che la tendenza dell’essere umano di arroccarsi rigidamente nelle proprie
convinzioni in conformità a dei principi sposati in precedenza può fornire un
rifugio sicuro, un’illusione per sentirsi meglio con sé stessi, al riparo dalle insidie
del pensiero e l’eventuale necessità di arrovellarsi ulteriormente su di un
problema.
La molla che fa scattare questo automatismo è l’impegno: quando qualcuno
assume una determinata posizione o afferma qualcosa pubblicamente, si sente poi
quasi in dovere a comportarsi in maniera coerente a quanto comunicato.
Una prova dell’esistenza di questo processo mentale è il programma di
indottrinamento praticato dai cinesi ad opera dei prigionieri americani, al fine di
ottenere una forma di collaborazione: procedendo per gradi e basandosi sul
meccanismo della coerenza, i prigionieri venivano indotti a fare delle
dichiarazioni antiamericane firmate che venivano poi utilizzate nelle trasmissioni
radiofoniche trasmesse nei campi di prigionia, trasformandoli in collaboratori

32
filocomunisti. Ecco che una affermazione apparentemente ingenua come “Gli
Stati Uniti non sono perfetti” veniva registrata ed usata per ottenere maggiori
affermazioni di questa tipologia che i cinesi utilizzavano a proprio vantaggio per
ottenere informazioni e confessioni durante gli interrogatori, poi utilizzate per
modificare le credenze di altri connazionali ed i loro atteggiamenti politici. Una
dichiarazione firmata valeva più delle parole, era un atto, e poiché le azioni sono
alla base della percezione che ognuno ha di sé, pian piano i prigionieri avrebbero
cambiato l’immagine di sé per allinearsi alle azioni intraprese.
Sul campo commerciale, Cialdini cita la tattica del “piede nella porta”, che
consiste nell’avanzare una richiesta piccola per poi, una volta ottenuto l’assenso,
procedere con una di portata maggiore. Attraverso il conseguimento di un piccolo
impegno iniziale si può, facendo leva sul bisogno di coerenza dell’interlocutore,
arrivare ad ottenere da questi un impegno successivamente maggiore.
Poiché la coerenza è un tratto di personalità desiderabile, se si assume una
posizione in pubblico, sarà più auspicabile mantenerla per mostrare agli altri di
essere un coerente con sé stessi. Un esperimento ha confermato che i membri di
una giuria sottoposta a voto per alzata di mano tendono maggiormente a
mantenere la propria posizione rispetto ad un contesto di votazione segreta.3
Sebbene la coerenza sia generalmente un tratto positivo, è certamente da evitare
nei casi in cui questa ci espone ai trucchi di chi desidera approfittarne a proprio
vantaggio. Secondo Cialdini, mettersi a ragionare ponendo in discussione la
posizione presa sulla base di nuove informazioni ottenute dal contesto, sarebbe
una strategia efficace per divincolarsi dalla morsa di questa potente arma di
persuasione. Fermarsi un momento per riflettere e chiedersi “alla luce di quello
che so adesso, attuerei comunque questa condotta?” Qualora ci si renda conto che

3
Gerard (1955) e Kerr e MacCoun (1985)

33
quello che si sta facendo non lo si fa perché si vuole ma per una forma di obbligo
verso la propria persona,in breve quando si avverte una forma di segnale prodotto
dallo stomaco, è in quel momento che bisogna lasciar perdere l'idea di restare
coerenti con ciò che si è affermato in precedenza poiché è probabile che in un
contesto del genere il persuasore stia facendo leva sul senso di coerenza per
ottenere un vantaggio personale.

2.4. La riprova sociale

Secondo questo principio, uno dei modi che abbiamo per decidere se qualcosa è
giusto è valutare cosa gli altri considerano come tale, in particolar modo quando si
tratta di un comportamento. Un esempio lampante sono le risate preregistrate dei
programmi televisivi, che nessuno di noi apprezza, ma che finiscono per
condizionarci dandoci una linea guida su qual è il comportamento corretto da
tenere in quel momento, ovvero ridere.
La predisposizione ad agire in accordo su come fanno gli altri ha la funzionalità
precisa di commettere meno errori possibili confrontandosi con il contesto sociale,
da un lato offre una scorciatoia valida per mettere in atto un comportamento
adeguato, dall’altro ci espone a potenziali approfittatori. A tal proposito,
pubblicitari e venditori sponsorizzano i loro prodotti insistendo sul fatto che questi
riscuotono grande successo, ad indicare che non hanno bisogno di convincere
della qualità, basta segnalare che anche gli altri (clienti soddisfatti) la pensano
così.
In campo scientifico il principio della riprova sociale è stato tra i primi
analizzato da Albert Bandura, che ha dimostrato come l’imitazione del
comportamento altrui porta alla modifica di atteggiamenti, sia in positivo che in
negativo. Se da un lato i suoi esperimenti hanno provato che bambini sottoposti
alla visione di un pupazzo maltrattato tendono ad agire allo stesso modo

34
riproducendo la violenza osservata, dall’altro si è scoperto che è altrettanto facile
eliminare le fobie, sottoponendo dei bambini che avevano il terrore dei cani alla
visione un coetaneo che giocava tranquillamente con l’animale per 20 minuti al
giorno. I risultati di questo esperimento provavano che gli effetti del
condizionamento sociale non solo si manifestavano dopo solo quattro giorni, ma
tendevano a permanere anche ad un mese di distanza. In particolar modo, se a
giocare con il cane non era solo un bambino ma un gruppo di bambini, l’effetto
era ancora maggiore; questo dimostra che il principio della riprova sociale
funziona in maniera più efficace quando il comportamento viene attuato da molte
persone. Infatti, quanto maggiore è il numero di persone che trova giusta un’idea,
tanto più viene percepita come giusta.
Ognuna delle armi di persuasione funziona meglio in alcune condizioni e
contesti. Per difenderci efficacemente dall’azione di queste, è importante capire
quali sono le condizioni che ci espongono in maniera maggiore alla loro influenza.
In un contesto di incertezza come una situazione ambigua, è più probabile che ci
si guardi attorno per vedere come si comportano gli altri. Ciò che si sottovaluta in
queste circostanze, è che anche gli altri potrebbero trovarsi nella stessa condizione
di ricerca della riprova sociale, dando vita al fenomeno definito come “ignoranza
collettiva”. Questo fenomeno spiega gli episodi in cui gruppi di passanti si
ritrovano ad ignorare le vittime di aggressioni senza offrire alcun soccorso. Lo
stato di ignoranza collettiva che avvolge gli spettatori occasionali durante
incidenti del genere è stato studiato da Bibb Latané e John Darley, due psicologi
newyorchesi che sono arrivati a fornire una spiegazione. Benché sembrasse
improbabile, proprio il grande numero di testimoni oculari mette ogni individuo in
condizione di non agire: per una parte, la responsabilità personale viene diluita
con gli altri, che “saranno certamente già intervenuti”, d’altra parte ci si guarda
intorno e si finisce per imitare il comportamento altrui, per cui infine nessuno

35
interviene. In questi casi è quindi più facile che un individuo solo, non
condizionato dalla calma degli altri, agisca prestando soccorso.
Allora, come sarebbe possibile ovviare a questa forma di apatia sociale qualora
fosse necessario chiedere aiuto in un contesto pubblico? Dopo averci rassicurato
in merito al fatto che la maggior parte degli spettatori non interviene non per una
qualche forma di crudeltà, ma perché effettivamente l’imprevedibilità del
momento genera incertezza sul da farsi, Cialdini propone una strategia efficace
per fare chiarezza tra gli astanti, rendendo la richiesta il più precisa possibile e
rivolgendola ad una persona specifica: assegnando il compito a qualcuno, si
elimina il dubbio sulla possibilità che qualcun altro stia già intervenendo.
Un’altra condizione in cui il principio di riprova sociale funziona in maniera
maggiore, oltre all’incertezza, è la somiglianza. Se le persone osservate sono
come noi, saremo più inclini ad imitare la loro condotta. I pubblicitari lo sanno
bene ed è per questo motivo, ad esempio, che nelle pubblicità anti acne il
protagonista è di solito un teenager. Per la stessa ragione Cialdini ricorda di essere
rimasto sorpreso quando vide suo figlio di tre anni Chris, apparentemente
incapace di nuotare, saltare giù da un trampolino in piscina. Chris aveva visto
Tom, della sua stessa età, nuotare senza ciambella ed aveva per questo motivo
deciso che anche lui ne sarebbe stato capace. Il confronto con un simile può
quindi spingere persino un bambino ad imitarne il comportamento ed esserne
ispirato in maniera maggiore rispetto ad un adulto.
La riprova sociale è un’arma così pervasiva che difendersi sembra parecchio
arduo, specialmente perché le indicazioni date da questa scorciatoia sono
solitamente utili e ci permettono di barcamenarci in decisioni senza dover
attentamente indagare pro e contro. Il suggerimento che ci arriva dall’autore è
duplice. Il primo caso è quello in cui la riprova sociale è l’esito di una
contraffazione delle informazioni presenti, come nel caso delle risate preregistrate,

36
creato ad hoc per dare l’impressione che varie persone si stiano comportando
come dovremmo comportarci noi. In questi casi, data la tangibile artificialità della
situazione, basta rimanere vigili per rendersi conto di questo trucco e riprendere in
mano la situazione, cambiando rotta. Nel secondo caso, in cui i dati della riprova
sociale non sono il risultato di una finzione deliberata, ma un errore innocente che
da via ad un processo a valanga che culmina con l’ignoranza collettiva, bisogna
accertarsi di rimanere in sintonia con le fonti di informazione presenti in quella
determinata situazione: i nostri giudizi personali ed i fatti oggettivi in primo
luogo. Basta guardarsi intorno, spegnere il pilota automatico e distogliere lo
sguardo dalla folla.

2.5. La simpatia

Non è un mistero che sia più facile acconsentire alle richieste di persone che ci
piacciono e che conosciamo. L'esempio più palese in ambito commerciale
dell'utilizzo di questa regola è il Tupperware party, dove le amiche della
proprietaria di casa sono invogliate all'acquisto dei prodotti proprio da lei che ha
organizzato la festa e che in tasca una percentuale su ogni prodotto venduto.
Anche il "metodo della catena" è parecchio rodato: per trovare nuovi clienti si
chiede ai fedeli di nominarne dei nuovi, che verranno naturalmente messi al
corrente della persona che ha fatto il loro nome. La ricerca nell'ambito delle
scienze sociali ha individuato determinati fattori legati all'aspetto della simpatia. Il
primo di questi è certamente la bellezza fisica, assimilabile ciò che in psicologia
sociale si chiama effetto alone, ossia la predominanza di una singola caratteristica
nella percezione di un individuo. Quando l'aspetto fisico mette in moto l'effetto
Alone, si innesca la tendenza ad attribuire ad una persona bella altre caratteristiche
positive quali l'onestà , la gentilezza e l'intelligenza. Questo fenomeno è stato
rilevato in una ricerca nel campo della selezione del personale, dove i candidati di

37
bell'aspetto ricevevano un esito maggiormente favorevole rispetto ad altri
candidati meno attraenti, a parità di titolo di studio e competenze. Ancora più
preoccupanti sono i risultati in ambito dei processi giudiziari dove le qualità
fisiche degli imputati riuscivano ad ottenere sentenze più favorevoli tra la giuria.
Altri studi dimostrano che le persone di bell'aspetto hanno maggiori possibilità di
ricevere assistenza in caso di bisogno e la loro capacità persuasiva è maggiore.
Persino in alcune ricerche sui bambini della scuola elementare emerge che gli
adulti sono più indulgenti con i bambini belli e tendono a ritenerli anche più
intelligenti rispetto agli altri.E altrettanto noto che ci piaccia Chi ha delle
caratteristiche simili a noi. Per questo motivo una persona che indossa abiti del
nostro stesso stile o ha il nostro stesso senso dell'umorismo risulta più simpatica.
Anche avere gli stessi interessi o provenienza fa gioco. È facile pertanto ottenere
la simpatia di qualcuno manipolando questi aspetti Qualora non siano presenti in
maniera naturale. L'approccio "mirror and match" addirittura consiglio di imitare
la postura e lo stile verbale di un potenziale cliente per ottenere maggiore successo
nelle vendite.Anche i complimenti, persino quelli falsi, hanno un effetto
persuasivo legato alla simpatia. Sherif (1961) ha studiato il conflitto tra gruppi,
notando come pretesti di cooperazione per risolvere un problema comune
portavano ad una svolta comportamentale a: i due gruppi finivano per mettere da
parte l'astio e la competitività in favore della collaborazione per il raggiungimento
di un obiettivo condiviso passando da avversari ad alleati. L'importanza della
Cooperazione ai fini della simpatia e della promozione di un legame positivo è
ampiamente dimostrato dal successo ottenuto dall'apprendimento di gruppo in
ambito scolastico. Alcuni stratagemmi messi in atto dai professionisti della
persuasione ci dimostrano la possibilità di potere condizionare la simpatia, ad
esempio attraverso il collegamento tra i prodotti e qualcosa che ci piace. i

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motorshow pieni ragazze giovani ed attraenti sono rappresentativi di questa
associazione.
Un altro esempio di condizionamento mentale è quello scoperto da Gregory
Razran (1940), chiamato la “tecnica dello spuntino”, secondo la quale i soggetti
sono più bendisposti verso cose e persone se queste sono loro presentate durante
un pasto. Giudizi e affermazioni migliorano con il cibo, forse questa è la ragione,
oltre alla convivialità, per cui durante gli incontri di lavoro non mancano mai
spuntini e leccornie sui tavoli delle sale riunioni. La scoperta di Razran non fu
casuale: studiando e traducendo le idee di Pavlov, aveva portato l’esperimento
classico del fisiologo sovietico ad un livello in cui il processo associativo con del
buon cibo portava alla possibilità di condizionare una reazione positiva.
Il fenomeno della simpatia per associazione si verifica con grande forza in
particolar modo nei contesti sportivi e caratterizza in maniera particolare il
rapporto tra la squadra ed i suoi sostenitori. Come dice Asimov (1975):

“[…] a parità di condizioni, facciamo il tifo per il nostro sesso, la nostra cultura, la
nostra città… e vogliamo provare che noi siamo meglio dell’altro. Chiunque sia
quello per cui facciamo il figo, esso rappresenta sempre noi, e quando vince siamo
noi a vincere”.

Questa spiegazione illustra in modo chiaro la passione dei tifosi, dove la partita
non è solo un diversivo ma un evento in cui è in gioco l’immagine di sé. Per
questa ragione i fan passano rapidamente dall’adorare per i propri beniamini in
caso di vittoria, al disprezzarli in maniera feroce durante le sconfitte. Quindi non
solo il classico binomio “noi/loro” che rappresenta le due diverse squadre
oppositrici, ma anche “abbiamo vinto/hanno perso”, in cui gli insuccessi del
proprio team fomentano una sorta di dissociazione del singolo da questo.
Nel tirare le somme sul concetto di simpatia come arma, Cialdini ribadisce che i
fattori in gioco, ovvero bellezza familiarità ed associazione agiscono in maniera

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inconscia. Per questo motivo è inutile pensare di attuare una controtattica qualora
ci trovassimo di fronte ad un professionista intento ad usare questa arma contro di
noi: risulta molto più efficace dissociare mentalmente il venditore dal prodotto che
viene proposto e, una volta che ci si rende conto che il primo ci piace più del
secondo, attuare un’inversione di marcia sui nostri pensieri.

2.6. L’autorità

L’esperimento certamente più famoso circa il tema dell’autorità è quello


condotto dallo psicologo Stanley Milgram nel 1961. Lo studio prevedeva la
somministrazione di scosse elettriche di voltaggio sempre maggiore, sotto
istruzione dello sperimentatore, a danno di una vittima-complice e per mano del
soggetto della ricerca. I risultati dell’esperimento andarono ben oltre le previsioni:
nemmeno uno dei 40 soggetti si rifiutò di somministrare le scosse di 450 volt, le
più alte, nonostante le grida di dolore provenienti dalla stanza in cui si trovava la
vittima. Questa tipologia di test prova che l’essere umano ha un senso di
deferenza nei confronti dell’autorità (qui lo sperimentatore) profondamente
radicato e a cui non osa opporsi. Quando Milgram iniziò i suoi studi per l’autorità,
era mosso dalla voglia di comprendere come i tedeschi avessero potuto
partecipare allo sterminio di massa durante il nazismo. L’idea di Milgram era
quella di trasferire in Germania la sua ricerca ma, dopo la messa a punto della
procedura in territorio americano; si rese conto ben presto di quanto questo non
fosse necessario, comprendendo come l’esigenza di obbedire non fosse monopolio
di una specifica cultura, interessando la totalità della popolazione mondiale.
Eseguire ordini che fanno parte di una politica folle non è purtroppo una rarità
né prerogativa del terzo reich: non sorprende come l’estrema disponibilità di
eseguire fino all’estremo gli ordini di un’autorità è una tendenza nota dai governi,
che la utilizzano per ottenere dai cittadini un livello di acquiescenza

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incredibilmente alto. Questo avviene, secondo Cialdini, principalmente perché un
ordine stratificato e condiviso di rapporti d’autorità conferisce al gruppo il
vantaggio di poter sviluppare complesse strutture per il commercio, l’espansione
ed il controllo sociale che sarebbero altrimenti impossibili da attuare. La religione
fornisce quel contributo in più, con la Bibbia che scoraggia gli esseri umani alla
disobbedienza all’autorità suprema, pena l’espulsione dall’Eden. O ancora con la
parabola del sacrificio di Isacco, pronto ad essere sacrificato senza alcuna
spiegazione dal padre Abramo, per ordine di Dio.
Le informazioni che ci fornisce l’autorità, seppur anche sconosciuta, vengono
utilizzate come scorciatoia per decidere il comportamento più adeguato in una
determinata situazione. Per Milgram., il vantaggio sul lato pratico dell’obbedienza
è chiaro: le figure di autorità, come genitori ed ed insegnanti, rappresentano la
saggezza e dispensano ricompense e punizioni per scopi nobili legati
all’educazione e l’istruzione.
Ovviamente, data la facilità con cui ci lasciamo andare a questa reazione
automatica all’autorità, questo ci espone a causa del carattere meccanico di un
atteggiamento del genere. Ad esempio in alcune circostanze non ci sogniamo
nemmeno di mettere in discussione le istruzioni dell’autorità, anche quando queste
non siano affatto logiche, come nel caso di un errore da parte di chi fornisce il
comando, o quando la fonte non è così credibile come crediamo. Nell’ambito
pubblicitario è consuetudine utilizzare attori travestiti da medici per sponsorizzare
prodotti medicali accrescendone la presunta validità. L’attore diventa qui quella
fonte autorevole che ci assicura e raccomanda, dall’alto delle sue competenze, il
prodotto in questione. Questo argomento ci introduce alla questione della
vulnerabilità ai simboli oltre che alla sostanza dell’autorità. Tra i simboli di
autorità capaci di influenzare in maniera maggiore, troviamo i titoli, il vestiario e
gli ornamenti. Ecco che un dottore, un professionista in giacca e cravatta ed un

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militare, o degli individui travestiti da tali, generano un senso di acquiescenza più
alto rispetto a chi è sprovvisto di tali simboli di autorità.
A questo punto, Cialdini vuole come di consueto metterci al riparo contro gli
effetti automatici dell’autorità come arma di persuasione. Innanzitutto parte
dall’acquisizione di una maggiore consapevolezza dei confronti del potere
dell’autorità ed i suoi simboli. C’è però una complicazione nel meccanismo di
deferenza all’autorità, poiché nella maggior parte dei casi non è nostro interesse
resistervi od opporsi ad essa. In linea di massima, le persone autorevoli ci danno
dei consigli validi. Per cui è certamente un’ottima strategia quella di concentrarsi
sulla valutazione delle credenziali del personaggio e la sua rilevanza riguardo al
problema in discussione: una volta ottenute le prove della presunta autorevolezza,
saremo in gradi di evitare l’inganno, distinguendo tra autorità rilevante e
irrilevante.

2.7. La scarsità

Il principio di scarsità ci dice che le opportunità ci sembrano più desiderabili di


quello che in realtà sono, quando la loro disponibilità è limitata. L’idea di una
potenziale perdita agisce in maniera particolare nel processo decisionale
dell’uomo. Per questa ragione. La gente sembra più motivata ad un determinato
comportamento per timore di una perdita che per la voglia di un guadagno di
entità pari. Lo sanno bene i collezionisti di ogni genere di oggetti, consapevoli
della rilevanza che ha il principio di scarsità per determinare il valore di un
articolo. Di solito, se qualcosa è raro o sta per diventare raro, vale di più. Questo
porta in alcuni casi a ciò che Cialdini definisce “paradosso istruttivo” (p.213),
ossia l’aumento di valore di oggetti che a causa di difetti di fabbricazione
diventano dei pezzi unici o estremamente rari.

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Ancora una volta, i commercianti sanno perfettamente come utilizzare questa
scorciatoia di pensiero a proprio vantaggio, attraverso la tecnica del “numero
limitato”, che sollecita i potenziali clienti all’acquisto di un prodotto sulla base del
presupposto che le scorte di un determinato prodotto siano in via di esaurimento.
Una tattica simile è quella dell’”offerta valida per pochi giorni”, che fa leva sul
presunto tempo limite, quasi mai specificato, piuttosto che sull’esigua quantità di
prodotto disponibile, oltre il quale non sarà più possibile concludere l’affare.
Secondo la teoria della reattanza psicologica di Jack Brehm, il bisogno di
difendere la nostra libertà decisionale ci porta a desiderare qualcosa più di prima,
quando questa libertà viene minacciata. Questa è una delle ragioni per cui il
principio di scarsità è così potente nel determinare una risposta automatica. L’altra
ragione è la presupposizione che le cose difficili da ottenere sono solitamente
migliori rispetto a quelle di facile accesso. Per cui quando qualcosa è raro,
disponibile in maniera limitata o ci viene tolta, la vogliamo di più; ma non siamo
capaci di renderci conto che l’aumento del desiderio è la causa diretta della
limitazione. Ma poiché abbiamo la necessità di giustificare questo desiderio,
attribuiamo delle qualità positive alla cosa desiderata. Anche il materiale soggetto
a censura ha questo effetto sugli individui, diventando immediatamente più
interessante quando questo viene messo al bando e l’accesso al pubblico vietato: è
il caso della pornografia, dell’estremismo politico ed di alcune notizie come la
violenza in TV.

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3. La persuasione nella tecnologia

3.1. La captologia

(scrivi qui il testo del primo paragrafo – stile “tesi – 01 corpo testo”)

3.2. Computer carismatici o media persuasivi?

3.3. La fonte persuasiva tecnologica: i computer come attori sociali

3.4. Il dilemma sociale della tecnologia persuasiva: prospettive


etiche

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Conclusioni

(scrivi qui le tue conclusioni – stile “tesi – 01 corpo testo”)

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Bibliografia

Borg J. (2010) Persuasione. L'arte di convincere le persone, Tecniche Nuove


Fogg, B. J. (2005). Tecnologia della persuasione. Apogeo Education.

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Sitografia

(scrivi qui la tua sitografia – stile “tesi – 8 bibliografia”)

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