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Marco Raggi 3° B MN

X il 25 febbraio 2021

IL CTE E IL MONDO OSCURO DELLO SPORT

SPORT: BENEFICI E DANNI

Lo sport e l’attività fisica, si sa, hanno effetti benefici sia sulla salute che sull’anima di chi lo
pratica. Ci sono però, situazioni particolari, dove gli effetti benefici dello sport possono essere
superati da quelli negativi derivanti dal praticarlo.

In particolar modo, ricercatori e scienziati forniscono un’immagine sempre più chiara dei reali
pericoli delle malattie dovute alla pratica di qualche sport, specialmente per giocatori
professionisti. Un caso eclatante, è la cosiddetta Encefalopatia traumatica cronica (CTE).

MA CHE COS’È L’ENCEFALOPATIA TRAUMATICA CRONICA?

L’ Encefalopatia traumatica cronica è una malattia neurodegenerativa presente in atleti, personale


militare e altre persone che hanno subito, nel corso della vita, ripetuti traumi alla testa.

Questa patologia si sviluppa con il progressivo accumulo nel cervello di una proteina (Tau), che
comporta la morte delle cellule cerebrali.
I sintomi generalmente compaiono anni dopo i primi traumi alla testa, influenzando il
comportamento e l’umore del paziente. Iniziano con perdita di memoria, cambiamenti di umore,
difficoltà nella concentrazione fino a svilupparsi in una progressiva demenza. Possono anche
essere presenti depressione, aggressività e mancanza di autocontrollo.

LA SCOPERTA E L’OSTRUZIONISMO DELLA NFL

La CTE è stata descritta per la prima volta nel 1928, in un gruppo di pugili, come sindrome da
demenza pugilistica. Bisogna però aspettare il 2005, anno in cui il neuropatologo Bennet Omalu la
diagnostica e caratterizza in un ex giocatore della NFL (lega statunitense di football americano).

Secondo il dottor Omalu, le cause erano ascrivibili ai ripetuti colpi alla testa subiti nel corso della
carriera, mettendo in relazione la pratica del football americano con l’insorgenza della CTE.
Nonostante ulteriori studi, su un numero sempre maggiore di cervelli, continuarono a confermare
questa ipotesi, solamente nel 2016 l’NFL arriva a riconoscere il collegamento tra football
americano ed Encefalopatia traumatica cronica.
Precedentemente erano stati anni di negazioni e ostruzionismo, a protezione del giro d’affari
miliardario che vortica attorno a questo sport. Insomma niente di nuovo quando si parla della
macchina da soldi chiamata “sport”.

Di conseguenza, visto il grande scandalo, le autorità sportive stanno adesso cercando di


recuperare il tempo perso. Nel settembre del 2016, la NFL del football americano ha annunciato
che avrebbe speso 100 milioni di dollari per la ricerca medica e nel campo dell’ingegneria per
aumentare la protezione per i giocatori, dopo aver raggiunto un accordo da un miliardo di dollari
per risarcire ex giocatori che avevano subito lesioni al cervello.

NON SOLO IL FOOTBALL AMERICANO


Il torneo di rugby europeo Sei Nazioni continua a essere l’evento sportivo più seguito al mondo.
Per chi vi scrive, un ex giocatore e compagno di squadra di atleti internazionali, questo torneo
simboleggia un clima primaverile, entusiasmanti inni nazionali e rivalità contagiose.

Tuttavia, diverse gravi lesioni alla testa hanno recentemente iniziato a macchiare l’immagine di
questo sport e a sollevare invece seri pericoli e probabili collegamenti tra rugby e malattie
degenerative del cervello. In base ai dati della Rugby Football Union, la commozione cerebrale è
la lesione più comune nel gioco, con 5,1 casi per ogni mille ore di rugby giocato, e il peso medio
dei giocatori oggi è di 7,2 kg superiore a quello dei giocatori di 20 anni fa. Questo significa che la
forza dei loro scontri può essere equivalente a quella che il corpo subisce in un incidente
automobilistico. E il rugby non è solo in queste cattive notizie sui giornali.

La UEFA, l’organo di governo del calcio in Europa, ha commissionato un progetto di ricerca lo


scorso febbraio per esaminare i collegamenti tra demenza e pratica del gioco del calcio, dopo che
molti ex giocatori si sono mostrati critici verso un’apparente riluttanza da parte delle autorità
nazionali ad agire.
LO STUDIO SUI GIOCATORI DI FOOTBALL AMERICANO E NON SOLO
In uno studio pubblicato recentemente sulla rivista JAMA, sono stati presentati i risultati riguardanti
i cervelli di 202 giocatori di football americano. La CTE è stata diagnosticata in 3 su 14 giocatori
dell’high school, 48 su 53 giocatori di college e 110 su 111 ex giocatori NFL.

Complessivamente, l’87% dei giocatori di ogni livello, era affetto da encefalopatia traumatica
cronica. Gli ex atleti avevano giocato, in media, 15 anni. Per conoscere gli eventuali sintomi di
CTE degli atleti deceduti, i ricercatori hanno chiesto informazioni ai parenti più stretti. Le autopsie
a livello del cervello hanno mostrato che la CTE era presente nei giocatori di qualsiasi livello e più
anni avevano giocato, maggiore era la probabilità di sviluppare CTE e di avere sintomi più gravi.

Se a un primo impatto questi risultati possono sembrare sorprendenti, bisogna essere cauti sul
significato che ne deriva.

Lo studio evidenzia come lo sviluppo della CTE può essere correlato alla pratica del football
americano. Tuttavia, manca il confronto con un gruppo di controllo che rappresenti tutti i giocatori
di football americano, compresi coloro che non hanno sviluppato la patologia. Questa mancanza è
dipendente dall’impossibilità, a oggi, di diagnosticare la CTE se non in seguito a morte, tramite
autopsia. Quindi, senza questi dati, non è ancora possibile avere una stima complessiva del
rischio.

Per quanto riguarda il rugby, nel Regno Unito, un progetto di ricerca sta monitorando le lesioni alla
testa di circa 50 giocatori del Saracens Rugby Club cercando dei biomarcatori nel loro sangue,
urina e saliva per scoprire dei cambiamenti chimici quando avviene una lesione del cervello.
“Dobbiamo seguire i giocatori negli sport di contatto per raccogliere questi dati sistemici. Noi
abbiamo bisogno di capire perché una lesione ripetitiva quando si hanno 30 anni può portare a
una malattia del cervello quando si arriva a 50 anni, ” ha detto John Hardy, professore di
neuroscienza all’UCL (University College London).

La prof.ssa Patria Hume ha studiato centinaia di giocatori di rugby e atleti di sport non di contatto,
e ha raccontato come “…sia irresponsabile per le persone affermare che non ci sono problemi a
lungo termine per la salute del cervello.”

Le prove sono purtroppo ancora lontane dall’essere evidenti, con i ricercatori che continuano a
fare congetture sui fattori che portano alle lesioni del cervello, sollecitando di conseguenza il
bisogno di ulteriori ricerche.
Ciò che risulta tuttavia chiaro è che i sintomi della CTE sono tremendi per chi ne è colpito e che
servono nuove linee guida per offrire ai giocatori maggiore protezione e maggiore consapevolezza
dei possibili pericoli.

CONSIDERAZIONI SCIENTIFICHE
La CTE, seppur studiata prevalentemente su giocatori di football americano, è stata osservata
anche in pugili, militari, giocatori di hockey e rugby, e in un numero di casi inferiori anche in
giocatori di calcio, wrestling, baseball, pallacanestro e in vittime di abusi domestici.

Nonostante queste evidenze scientifiche, è importante sottolineare che non tutti coloro che
subiscono ripetuti colpi alla testa, sviluppano la CTE. L’insorgenza può essere dipendente da
diversi fattori di rischio: la durata dell’esposizione, l’età della prima esposizione e un eventuale
predisposizione genetica.

Un’osservazione importante sulla CTE è il fatto che sia stata diagnosticata anche in persone che
non hanno subito traumi cranici nella loro vita. Ciò indica che anche impatti subconcussivi (meno
forti e senza sintomi) prolungati nel tempo, possono portare all’insorgenza della patologia.

Attualmente non ci sono cure disponibili. Sono necessarie ulteriori ricerche per una comprensione
più approfondita, aprendo allo sviluppo di trattamenti e a una prevenzione più efficace.

Tuttavia, il fatto che la CTE sia così comune, “pone preoccupazioni riguardo alla sicurezza del
football americano”, come ha scritto in un editoriale Gil Rabinovici, dell’Università della California
di San Francisco. Dunque, “si dovrebbero apportare cambiamenti alle regole del gioco tali per cui
siano ridotti i rischi di impatto alla testa”, ha concluso l’esperto.

CONSIDERAZIONI E RIFLESSIONI PERSONALI

Guardando il film proposto in classe, e svolgendo questa relazione, sono venuto a conoscenza di
un problema nello sport che non pensavo esistesse. Pensavo, anzi davo per scontato, che ci
fossero dei rischi nello sport ma che questi specialmente per i giocatori professionisti fossero
analizzati, controllati e contrastati per garantire un gioco sicuro.

E invece mi rende conto di quanto marciume ci sia nel mondo dello sport. Tutto gira intorno al
denaro, perfino la più nobile e competitiva delle attività umane, e come se non bastasse, oltre a
essere un gioco che serve il guadagno e non la passione sportiva, questo inganna le persone che
spendono parte della propria vita e dei propri soldi anche solo per limitarsi a guardare giocare i
giocatori che più ammirano.

Ma la domanda da porsi secondo me è questa: i tifosi e gli amanti dello sport guarderebbero con
gli stessi occhi questo mondo se venissero a conoscenza che è tutto fonte di guadagno, che è
tutto programmato, che è un giro di affari che utilizza non solo l’amore e la passione dei tifosi ma
anche gli stessi giocatori, oserei dire, come carne da macello?

Nella maggior parte dei casi, solo chi è disposto a sacrificare la propria salute, a spingersi oltre i
limiti fisici dell’uomo, può godere di una temporanea gloria e soddisfazione fittizia, per poi essere
dimenticato e trascurato con tutti i problemi di questo modo di vivere sconsiderato e sleale.

Probabilmente penso che la risposta di queste persone sarebbe sicurante no. Nessuno vuole
vedere uno sport scarnato dei suoi più sani principi e della passione.

Concludo la relazione riportando il pensiero del Sig. Livio Sgarbi, Mental Coach dei campioni in
ambito sport, life e business, che condivido appieno:

“Amo lo sport.

Lo pratico da sempre, lo guardo con passione e, grazie al mio lavoro, ne approfondisco la


conoscenza nelle sue infinite discipline. Adoro l’odore della canfora negli spogliatoi e la
sensazione dell’adrenalina prima, durante e dopo le gare.

Potrei scrivere a lungo elencando tutte le ragioni per le quali sento lo sport come una parte
entusiasmante dell’esperienza della vita; ragioni che infiammano il cuore di milioni di appassionati
in tutto il mondo.

Ovviamente, come ogni cosa, non è fatta solo di aspetti positivi. Nulla è positivo o negativo per
sua natura, invece tutto è sia positivo che negativo.

Nello sport ad esempio, che tutti riconoscono come strumento per il benessere fisico, esistono
aspetti e risvolti che di salutare hanno ben poco. Nello sport agonistico si porta il fisico così vicino
al limite che spesso lo si supera, arrecando danno all’organismo: traumi, rotture, lesioni,
affaticamenti, ecc.

La maggior parte degli atleti professionisti a fine carriera sono fisicamente “distrutti”. Lo sport
agonistico non fa bene alla salute.

Il doping è l’estrema frontiera oltre la quale incontrare la possibilità di ottenere performance oltre
ogni immaginazione. Recuperi prodigiosi, prestazioni eccellenti e allenamenti a ritmi al limite
dell’umano. Una sirena decisamente suadente alla quale diventa difficile resistere. Ci sono caduti
atleti straordinari, uomini e donne di indiscusso talento che però hanno ceduto alla tentazione.

La parte oscura dello sport. Tutta quella zona d’ombra che esiste anche se non si vede e che
rende lo sport un’attività meno nobile di quanto la si voglia descrivere. Mi verrebbe da dire: beh
solo tra i professionisti. Solo tra coloro che dalle proprie prestazioni ci guadagna fior di quattrini; e
invece non è così. Il doping è largamente diffuso anche tra i dilettanti e amatori.

In questi giorni si è fatta un pochino di luce su un’altra zona d’ombra: le scommesse e gli incontri
“truccati”. In questo caso si parla di calcio. Nomi illustri, calciatori eccellenti che si mettevano
d’accordo per definire in anticipo il risultato finale delle partite e guadagnare così dalle
scommesse.
Stiamo parlando di persone privilegiate per il solo fatto di poter fare un lavoro che corrisponde
anche alla loro passione, che in molti casi guadagnano cifre imbarazzanti e comunque
decisamente superiori alla media della popolazione; che hanno popolarità, ecc. In apparenza,
persone di successo, ricche e felici. Poi si viene a sapere che scommettono sulle partite (e fin qui
tutto legale) e che si adoperano per manipolare l’esito delle partite, per poi finire in manette
sottoposti al ludibrio pubblico… della serie: piccoli criminali crescono.

Non mi sento indignato per due motivi: Primo, nulla di nuovo. Non si conoscevano nomi e fatti
precisi, ma si tratta di cose che, più o meno, tutti sapevano. Certo che non ne hai la prova fino a
quando non “scoppia la bomba”, ma nell’ambiente si sanno.

Secondo, fortunatamente le persone che alimentano questa parte oscura sono poche rispetto a
coloro che vivono lo sport in maniera più “romantica”. Certo che quando accadono fatti così
eclatanti si muovono giornali e tv e il baccano si fa sentire di più.

Mi spiace. Dico solo che mi dispiace.

Mi spiace per le persone coinvolte e per le loro famiglie. Mi spiace per lo sport in generale. Mi
spiace che persone comunque privilegiate cerchino strade fraudolente e scorciatoie per realizzare
obiettivi economici che potrebbero raggiungere in altro modo.

E’ un vero peccato.”

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