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JUANITA

UNA RAGAZZA COME TANTE ALTRE MA…


(Santa Teresa di Gesù di Los Andes)

Presentazione
Sua Santità Giovanni Paolo Il, il 3 aprile
1986, nel giorno della beatificazione di
questa giovane carmelitana scalza,
esclamò: «Oggi è un grande giorno nella
vita della Chiesa cilena e della vostra
nazione... Il popolo di Dio pellegrino
incontra in lei una guida per camminare
fino alla meta della Gerusalemme
celeste...". Qual è il carisma, il soffio dello
Spirito Santo che ha reso palpabile la
santità di questa giovane che tanto ha
affascinato il cuore dei cileni per le sue
virtù? La sua vita semplice ed accessibile
è un esempio di vita evangelica,
specialmente per i nostri giovani, ed un
richiamo alla riconciliazione di tutti in Dio.
Juanita Fernàndez Solar e Teresa di Los
Andes sono lue nomi della stessa
persona. Nata a Santiago del Cile il 13 luglio 1900, fu batezzata due giorni
dopo con il nome di Juana (Giovanna). I genitori, Miguel e Lucia, gli altri
familiari e gli amici la chiamavano affettuosamente Juanita (Giannina).
Quando entrò in monastero, secondo l'uso tradizionale, le cambiarono nome,
chiamandola Suor Teresa di Gesù Dopo la morte, quando cominciò a
espandersi la sua fama di valida interceditrice dinnanzi al Signore, per
distinguerla da Santa Teresa di Gesù e da Santa Teresa di Gesù Bambino, si
cominciò a chiamarla "La Teresina Cilena". Infine s'impose e si generalizzò il
nome di Teresa di Los Andes, dal nome del monastero delle Carmelitane
Scalze di Los Andes dove entrò nel 1919 e dove morì nel 1920. Così è ormai
conosciuta ed invocata. Il 21 marzo 1993 Giovanni Paolo lI l'ha elevata agli
onori degli altari, dichiarandola "Santa".
Padre Claudio Truzzi

"Nacqui nel 1906, il 13 luglio. Mia Madre si chiama Lucia Solar de Fernàndez; mio
Padre Miguel Fernandez Jara. Vivevamo con mio nonno, ormai anziano... Gesù non
volle che io nascessi povera come Lui. Io nacqui in mezzo alle ricchezze, vezzeggiata
da tutti. Io ero la quarta... Benché fossi tanto vezzeggiata, io ero molto timida. Fin da
piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Io mi rendevo conto di
questo. Tuttavia queste stesse parole me le ripetevano quando ero già più grande, di
nascosto dalla mamma. Solo Dio sa quello che mi è costato distruggere questo
orgoglio o vanità che s'impadronì del mio cuore quando fui più grande. Il mio
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carattere era timido, dal cuore molto sensibile. Piangevo per un nulla. Però avevo un
carattere dolce. Non mi arrabbiavo mai con nessuno. ...Poiché Gesù mi amava, scelse,
per alimentare la mia povera anima, la sofferenza" (D). Sono le prime righe del suo
"Diario", e delineano già i tratti della sua vita: la famiglia, il suo carattere, il punto
debole contro cui lottò sempre, la pedagogia di Gesù verso di lei.
* Abbreviazioni: (D)= Diario; (L)= Lettere

INFANZIA FELICE
Nata a Santiago del Cile il 13 luglio 1900, fu battezzata due giorni dopo con il nome di
JUANA (Giovanna) Enriqueta Josefina de los Sagrados Corazones. I genitori,
Michele e Lucia, gli altri familiari e gli amici la chiamavano affettuosamente Juanita
(Giannina). Tutti vivevano nella casa patriarcale del nonno don Eulogio. Era una casa
molto grande tanto che i piccini si perdevano quando dovevano andare nelle parti più
lontane. I ragazzi respiravano un ambiente molto cristiano. Il nonno era medico, ma
non esercitava.
"Si può dire che era un santo. Tutto il giorno lo si vedeva sgranare il rosario" (D).
Possedeva una grande fortuna che aveva incrementato con la sua abilità. La famiglia
apparteneva all'aristocrazia cilena. Nonostante le ricchezze vivevano austeramente,
senza grandi lussi. Nella casa c'era una cappellina dove alla sera si riunivano, insieme
col nonno, familiari e servitù a recitare il rosario. Juanita trascorse i primi anni nella
grande casa di Santiago, alternando lunghi periodi nella fazenda di Chacabuco,
proprietà del nonno, a una sessantina di chilometri dalla capitale. Era il paradiso dei
ragazzi, dove, per fuggire il caldo di Santiago, vi rimanevano tutta l'estate. La casa
padronale, immensa, dava sul parco: sullo sfondo i picchi della Cordigliera delle
Ande. Juanita ricorda con affetto il nonno:
"Con nostro nonno (io e Rebecca, la sorellina minore) facevamo quello che volevamo
ingannandolo con baci e carezze...". "Tutte le sere, ricorda, ci faceva salire a cavallo,
tirando a testa e croce chi doveva essere la prima. Usciva sempre Rebecca" (D).
Testimoniano che era curiosissima di tutto ciò che riguardava Dio. Chiedeva
spiegazioni sulla comunione, il rosario, la Vergine, Gesù crocifisso...; però ciò che la
preoccupava di più era il "cielo". Per lei era un mistero insondabile: Gesù e la Vergine
stavano là, così pure la nonna e tutti i buoni... Aveva scoperto che non si aveva
bisogno di nulla in cielo e la felicità stava nel contemplare il Signore... Se cercate
Juanita, durante le "missioni" che si tenevano ogni anno a Chacabuco, cercate i
missionari. Lei era là per "interrogarli" e ascoltarli. Non che capisse molto, ma con la
purezza d'anima di quell'età i concetti divini penetravano insensibilmente nel suo
cuore.

LA PRIMA COMUNIONE
A sette anni Juanita entra, con Rebecca, nel collegio della Alameda delle religiose del
Sacro Cuore a Santiago. Qui vi farà i suoi studi, come esterna, fino al quindici anni. Il
suo temperamento "peperino" comincia a manìfestarsi:
"Il mio carattere divenne irascibile, perché mi prendevano delle rabbiette feroci. Però
il fatto veniva da lontano. A Chacabuco si trovò con noi una cugina di mamma che
non mi poteva vedere, mentre Rebecca era la vezzeggiata. Ciò mi fece soffrire oltre
ogni immaginazione. Io con lei ero terribile: non la potevo sopportare affatto. Mia
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Madre le raccontava le lotte che avevamo con i miei fratelli. L'obbedire mi costava.
Soprattutto quando mi comandavano, per svogliatezza ritardavo di andare" (D).
Non tutto in Juanita era, infatti, armonioso e perfetto, non si nasce santi! Impaziente,
energica... aveva ereditato il carattere di sua madre, mettendoci qualcosa di... suo:
abbastanza vanitosa, talvolta arrogante o addirittura violenta. Piangeva per niente, la
sua sensibilità era estrema. Cominciò però fin da piccolina a tentare di vincersi: se non
altro si propose di chiedere perdono alla persona offesa. Lei stessa confessa che se non
avesse iniziato a frenarsi a quel tempo sarebbe diventata un "piccolo mostro". Nasce
nel cuore della bambina una tenera devozione alla SS. Vergine:
"Più o meno dai sette anni nacque nell'anima mia una grandissima devozione alla mia
Madre, la SS. Vergine... Le raccontavo tutto quello che mi avveniva, e Lei mi parlava.
Sentivo la sua voce dentro di me, assai chiaramente e distintamente. Ella mi
consigliava e mi diceva tutto quello che dovevo fare per piacere a Nostro Signore. Io
credevo che ciò fosse del tutto normale e mai mi avvenne di riferire quel che la SS.ma
Vergine mi diceva (Santiago 1919)... Si può dire che sin d'allora Nostro Signore mi
prese per mano insieme alla Santissima Vergine" (D).
Già da bambina gode nel sentire parlare di Dio:
"Gesù cominciò a prendere il mio cuore per Sé poco dopo il terremoto del 1906. Mi
ricordo che mia madre con mia zia Giovanna ci portavano a Messa, e sempre ci
spiegavano ogni cosa. Quando arrivava il momento della comunione mi accendevo di
desiderio di ricevere Nostro Signore. Domandavo a mamma questo favore. Mi
mettevano a sedere alla mensa e mi interrogavano sull'Eucaristia. Io rispondevo a
tutte le loro domande; tuttavia, vedendomi tanto bambina, non me la lasciavano
ricevere" (D).
Con l'avvicinarsi della data della Prima Comunione Juanita inizia un più impegnato
sforzo di controllo personale: cerca di dominare il proprio carattere, di essere meno
collerica e combattiva, di divenire sempre più obbediente e responsabile.
"Nel mese del Sacro Cuore, annota, cambiai completamente il mio carattere. Non
bisticciavo più con i bambini. A volte mi mordevo le labbra e mi sbrigavo a vestirmi.
Facevo atti di virtù che oppuntavo sul mio libretto. Nessuno riusciva più a farmi
perdere la pazienza. I miei fratellini mi provocavano di proposito; mi dicevano moltis-
sime cose per farmi arrabbiare, ma io mi comportavo come se nulla avessi udito. La
mamma si mostrava felice nel vedermi preparare così bene alla Prima Comunione"
(D).
E finalmente, l'11 settembre 1909, il tanto atteso appuntamento: riceve la Prima
Comunione nella cappella del collegio:
... Fu un giorno senza nubi per me... fu l'anno delle felicità e del ricordo più puro di
tutta la mia vita. Fu un giorno bello anche per la natura: il sole spandeva i suoi raggi
ricolmando la mia anima di felicità e di ringraziamenti al Creatore... Quello che
passò nell'anima mia verso Gesù non è cosa che si possa descrivere. Gli chiesi mille
volte di prendermi e sentii per la prima volta la sua voce. Gli chiesi grazie per tutti.
La Vergine me la sentivo vicina. Per la prima volta sentii una pace deliziosa". "Gesù,
dopo quel primo abbraccio, non mi lasciò più e mi prese per Sé" (D).
La prima Comunione lasciò in Juanita un segno indelebile per tutta la vita:
'Da quando feci la mia prima Comunione Nostro Signore dopo la Comunione mi
parlava. Mi diceva cose che io non sospettavo, e anche quando lo interrogavo, mi
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diceva cose che dovevano accadere, e così avveniva. Tuttavia io continuavo a pensare
che a tutte le persone che si comunicavano accadesse la stessa cosa, e una volta lo
dissi alla mamma. Ella mi disse di parlarne a P. Colon, ma io ne sentivo vergogna"
(D).

“CRESCEVA IN SAPIENZA E GRAZIA” (1910-1914)


Juanita continua a ricevere una fine educazione nel Collegio del S. Cuore. La sua vita
passa tra il collegio, la casa, e i felici momenti al fondo di Chacabuco. La ragazzina si
distingue per il suo interessamento verso gli anziani e i bisognosi, arrivando in
un'occasione a privarsi in una lotteria del suo orologio per aiutare un bambino povero.
Tratta affabilmente le domestiche di casa e le accudisce quando sono inferme;
egualmente si comporta verso le persone di Chacabuco nel periodo che vi trascorre
con la famiglia. Fin da questo primo incontro nell'Eucaristia, Gesù la reclama per Sé.
Come scrive lei stessa, Gesù vuole irrobustire il suo giovane spirito e alimentarlo con
"cibo solido". E per questo lascia via libera alla sofferenza. Per ben quattro anni di
seguito, l'8 dicembre, festa dell'Immacolata, fu sul punto di morire a causa di diverse
malattie:
"Ogni anno io mi trovavo malata l'8 dicembre... A 12 anni ebbi la difterite. L '8
dicembre mi sentivo vicina a morire... Nel 1913 ebbi una febbre spaventosa... In
questo tempo N. Signore mi chiamava a sé; io però non facevo caso della sua voce.
Allora, a 14 anni, mi mandò un'appendicite, e questo mi fece ascoltare la sua voce
amata...
L' 8 dicembre si sentì morire.
'Da quel giorno mi allettai per alzarmi solo dopo l'operazione... Solo Dio sa quello
che ho sofferto. Dover andare a morire fuori casa mi dava pena. D'altra parte sentivo
una grande ripugnanza a dormire in letti già occupati da altri malati... Mi comunicai
alle cinque del mattino... Credevo che fosse l'ultima... Chiesi al Signore con tutta
l'anima che mi desse coraggio e serenità... Le sorelline vennero a vedermi. Giocai
tranquillamente a carte con loro. Più tardi venne l'infermiera a prepararmi... Vennero
i medici. Mi misi a parlare con loro tranquillamente, ma mi sembravano macellai. Ma
Gesù vinse per me... Quando mi risvegliai non sapevo dove fossi... Il dolore era
grande e il cloroformio mi causò terribili effetti tuttavia così mi ricordavo di offrirli a
Nostro Sigiiore. Per non più di un istante mi disperai; ma immediatamente me ne
pentii" (D).
Juanita ha detto "che non faceva caso alla voce di Gesù", ma si può notare la fortezza
di questa ragazzina in questi momenti di sofferenza.

L'ETÀ DELLA SCELTE (1915-1918)


Dopo l'intervento chirurgico, con suo immenso piacere fu richiamata a casa per alcuni
mesi, perché potesse rimettersi in salute nella tenuta di Chacabuco. Sono giorni felici.
La vicinanza dei suoi cari, l'aria libera e salubre e tanto sport (cavalcate, nuoto, gite...)
la rimettono in forma. Nulla faceva presagire la scopola che presto le sarebbe capitata
fra capo e collo. I suoi, improvvisamente, decidono di farle continuare gli studi nel
Collegio delle Magistrali del Sacro Cuore (Luglio 1915). Ma stavolta, e questo è il
punto, come "interna". Motivo? Il collegio del Sacro Cuore era vicino al quello di S.
Ignazio, frequentato dai giovani. Ogni giorno la "tata" Ofelia andava a prendere
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Juanita e Rebecca, e le accompagnava a casa. La loro abitazione non era molto
lontana, ma per forza si doveva passare vicino a quella zona "pericolosa"... I ragazzi,
come è naturale da che mondo è mondo, si avvicinavano anche alle nostre ragazze per
"attaccar bottone". La più ricercata era Juanita. Aveva quindici anni: era una donna
ormai. Slanciata, alta un metro e settanta, occhi azzurri dolci; quando sorrideva due
piccole fossette apparivano sulle guance, e una fila di piccoli denti bianchi. I capelli,
diventati un po' più scuri facevano maggiormente risaltare il viso. Juanita, come
qualsiasi ragazza di quell'età, gradiva questi incontri, sorrideva e rispondeva amabil-
mente... Non c'era nulla di male. La mamma, venuta e conoscenza della cosa, tagliò la
testa al toro, pensò bene di "internarla"! Per Juanita ciò avrebbe significato un taglio
dal caldo ambiente familiare; lei, dal temperamento così bisognoso di affetto:
"Crede che mai mi abituerò a viver lontana dalla famiglia; mio padre, mia madre, gli
esseri che amo tanto",
scrive quando riceve questa brutta notizia. E’ una ragazza abituata a vivere "in grandi
spazi", a sfogarsi in lunghe cavalcate, a praticare sport: l'idea di doversi adattare ad
una vita chiusa in un internato la fa rabbrividire. Lo ripete in tutti i toni nelle lettere di
quel periodo:
"Hai cavalcato molto. Da parte mia mi sono rifatta dell'anno passato montando a
cavallo tutti i giorni. Abbiamo fatto lunghe passeggiate. Ci siamo divertite moltissimo.
Però questi giorni verranno ad intorbidirsi con questi tristi giorni di collegio, che
arriveranno molto presto. Quando ci penso, mi dispero" (L., feb. 1916). "Ti dirò che
mancano sette giorni ci pensi?, solo sette giorni per tornare in questo carcere. Mi si
gela il... Quando si sta all'internato si è molto disgraziata. Io desidero che tu sia
sempre felice, anche se io soffro... Ridurrei in cenere l'Internato!" (L., mar. 1916).
Disperata, ricorse al suo fedele Signore. La risposta fu che questa prova era volontà di
Dio e doveva accettarla non solo per obbedienza, ma anche perché
"mi preparava la strada per abituarmi a vivere separata dalla famiglia prima di
entrare al Carmelo" (D).
Ciò non significa che Juanita arrivasse al punto di "amare" tale situazione!

SERIETÀ D'IMPEGNO
Eppure questo è il periodo più intenso e decisivo per il futuro umano e spirituale di
Juanita. Interiormente, infatti, - senza che nulla trapeli in questi lunghi mesi di
"carcere" scanditi dallo studio, da rapporti sereni con le suore, da piccoli contrasti con
le coetanee, e da vacanze liberatorie, ma "troppo veloci", con i suoi, nei vasti orizzonti
di Chacabuco, - continua il cammino a due (Gesù e Juanita).
"Tutti i giorni faccio la meditazione e vedo quanto grande aiuto è per santificarsi. È lo
specchio dell'anima. Quanto si conosce se stessi in essa! Per me la difficoltà è il
rispetto umano: che mi vedano meditare e mi chiamino una 'beata" (D).
La meditazione l'aiuta a conoscersi. Accettati i suoi limiti, si convincerà che le è
necessario appoggiarsi maggiormente a Cristo per realizzare le sue aspirazioni. E dalla
constatazione passa decisamente all'azione:
"Ho compreso che ciò che mi allontana maggiormente da Dio è il mio orgoglio. Da
Da oggi voglio e propongo di essere umile. Senza umiltà le altre virtù sono ipocrisia,
le grazie ricevute da Dio sono danno e rovina". Per questo «voglio propormi di non
nominare mai il mio io né in bene né in male" (D).
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Non vuole essere cristiana solo di nome. Fedele al suo impegno con Gesù, inizia e
porta avanti tenacemente il programma di vita che si era tracciato. Juanita, infatti, ha
pianificato la propria vita e si è imposta un metodo, in cui hanno grande rilievo
l'impegno di raccogliersi nella solitudine interiore per trovarvi l'intimità con Gesù, la
Messa quotidiana, il sacrificio, lo sforzo costante per superarsi, per eliminare quanto
poteva impedirle di realizzarsi come persona e come cristiana. Si sforza di compiere
coscienziosamente ogni dovere e di accettare serenamente le prove, numerosissime,
che la vita le presenta. Juanita si sente sempre più presa e conquistata dall'amore di
Dio. In questo contesto assume grande importanza la decisione di emettere per la
prima volta il voto di castità:
"Oggi, 8 dicembre del 1915, a quindici anni di età, faccio voto di non ammettere altro
Sposo fuori del mio Signore Gesù Cristo, che io amo con tutto il cuore e che voglio
servire fino all'ultimo momento della mia vita" (D).
E poiché ama Gesù, sente che le è assolutamente necessario assomigliare a Lui,
«vivere con Lui in unità di pensieri, di sentimenti, di azioni" in modo tale che quando
l'eterno Padre la contemplerà "troverà l'immagine di suo Figlio". Tale è la sua
aspirazione, che le impone di vivere non facendo la propria volontà ma quella di Dio,
e di aprirsi agli altri in comportamento di servizio. In tale semplice ed essenziale
scuola dell'amore a Cristo, migliore di quella di certe guide spirituali di complicare la
vita cristiana con eccessivi regolamenti, impara che questo è il sacrificio e la croce che
piace al Signore e ci santifica: “vivere secondo le parole e l'esempio del Sigiiore”.
Cioè, vivere amando Dio Padre e gli uomini nostri fratelli. E questo amore è molto
esigente. Ci impone di uscire da noi stessi per entrare nei disegni di Dio, così diversi
dai nostri. Richiede il controllo delle nostre tendenze disordinate che, disuma-
nizzandoci, distruggerebbero l'immagine di Dio che noi dobbiamo essere. Esige il
sacrificio delle nostre comodità e dei nostri gusti per produrre la felicità degli altri...
Amore che compromette, ma che ci conduce alla piena realizzazione, alla maturità
umana e cristiana, alla libertà dei figli di Dio.

VOCAZIONE
Poco alla volta va prendendo corpo in Juanita il desiderio di consacrarsi in una vita
religiosa, e si sente attratta al Carmelo. Teresa di Lisieux (1873-1897) ed Elisabetta
della Trinità (1880-1906) le sentiva sorelle (ambedue le sono praticamente
contemporanee), e come tali le amava. Il "Cammino di perfezione", il capolavoro
pedagogico della grande Maestra e Fondatrice Teresa di Gesù, la plasmava e
l'entusiasmava, aprendole i vasti orizzonti della vita d'orazione tutta fatta di intima
amicizia, vissuta nelle profondità dell'anima. Il 15 aprile 1916 rivela alla sorella
Rebecca il segreto della sua vocazione: "Sarò carmelitana. L'8 dicembre ho fatto la
promessa.

DOLCEZZA CONQUISTATA
Questo ideale le fece passare senza inciampi il difficile momento dell'età che
attraversava: "Oggi, compio quindici anni. L'età nella quale tutti vorrebbero trovarsi i
piccoli per essere considerati più grandi, gli anziani e quelli che hanno oltrepassato
quest'età vorrebbero tornare ad essa per essere più felici... Per una ragazza è l'età più
pericolosa. È l'entrata nel mare tempestoso del mondo. Però Gesù ha preso il
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comando della barchetta e l'ha tirata in disparte dall'incontro con le altre navi mi ha
legata a Lui solo" (D).
E quando inevitabilmente paga il tributo alla instabilità e insicurezza dei suoi quindici
anni, rabbiette, puntigli, "desideri sciocchi di piangere", ricava un profitto della sue
debolezze:
"Oggi fin dalla levata. mi sento molto triste. Pare che improvvisamente mi si spezzi il
cuore. Gesù mi disse che voleva ch'io soffrissi con gioia. Egli, infatti, aveva salito il
Calvario e si era disteso sulla Croce con gioia per la salvezza degli uomini. Non sei
forse tu che mi cerchi e vuoi somigliare a me? Allora vieni con me e prendi la croce
con amore e con gioia" (D).
E ancora: ”A causa della malattia ero diventata così desiderosa di carezze che non
potevo stare sola... Ma Nostro Sinore mi parlò e mi fece capire quanto fosse solo e
abbandonato nel Tabernacolo. Mi disse di tenergli compagnia...” (D).
Juanita avanza decisa su questo cammino. e anche esternamente si nota. A forza di
dominare quel carattere forte, il suo temperamento si addolcisce, acquistando una
dolcezza naturale che si riflette nelle azioni e nei comportamenti: alle suore appare
ponderata, stabile, equanime...; alle compagne: responsabile, allegra, di buona
compagnia, tenera, pronta a dare una mano... Queste la cercano, e lei sa intrattenerle,
consolarle, e far loro dimenticare che si trovavano in un "carcere"! (Come continuava
a chiamarlo Juanita).

L’ ULTIMO ANNO A CASA (1918-1919)


Il 12 agosto 1918 lascia definitivamente il collegio. Da allora, fino al suo ingresso al
Carmelo, attende alle faccende di casa. E’ un'esperienza preziosa. Le insegna che
dappertutto si può vivere secondo il piano di Dio e che la vita del focolare comporta
molti sacrifici perché esige una dedizione disinteressata agli altri:
"Oggi mi accorgo che la vita in Dio può continuare anche più che nel collegio. Quanti
sacrifici che rimangono sconosciuti a tutti!". "Non credevo che la vita di famiglia
fosse una vita di sacrficio. Mi è servito per prepararmi alla mia vita religiosa. Voglio
che nessuno sospetti che certe cose mi sono occasione di sacrificio, mostrando la mia
buona volontà per tutto. E tutti credono di aver diritto di esigere de me quel che loro
piace" (L., dic. 1918).
Esternamente cerca di essere più "normale possibile", ma i desideri di Juanita di
entrare al Carmelo vanno crescendo:
"Stiamo passando vacanze molto serene e felici. Ho potuto continuare gli stessi
esercizi di pietà che pratico in collegio. Ogni giorno penso più intensamente al
Carmelo... Sto leggendo la Vita di Santa Teresa. Quante cose m'insegna! Quanti
orizzonti mi scopre" (Algarrobo, feb. 1918).
Però Juanita non è un'illusa. Sa che nel monastero si va per immolarsi con Cristo per
l'umanità. Sa che nella sua celletta avrà la croce di legno senza Cristo. È questa la
croce dove dovrà morire al suo egoismo, a tutto ciò che le impedisce di ripetere: "Non
sono più io che vivo, ma Gesu. Nel frattempo, consapevole che il sacrificio della
separazione dai suoi sarà lacerante, accetta come una preparazione provvidenziale per
quel terribile momento le varie sofferenze che va incontrando. E non è che Juanita si
fosse fermata al pii desideri. Già dall'anno prima aveva iniziato a scrivere alla Madre
Angelica, superiora della Carmelitane di Los Andes. Ma ora comincia a rendersi conto
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che dovrà superare molte difficoltà per essere carmelitana: mancanza di salute,
opposizione familiare e perfino la difficoltà di avere la dote, dato che gli affari del
padre vanno molto male. La lotta che deve combattere contro se stessa per essere
fedele alla divina chiamata non potrebbe essere più dura. Lei stessa confessa l'estremo
suo affetto verso la famiglia. Non crede che ci siano fratelli più uniti dei suoi. Il
bisogno di tenerezza è innato in lei perché ha un temperamento bisognoso d'affetto. Lo
affermano le lettere dirette ai suoi cari; specialmente quelle scritte al padre. Tutte
traboccano di premura e di affettuosa preoccupazione per lui e per i suoi problemi, e di
pena per non poter godere della sua compagnia. Comunque la corrispondenza con
Madre Angelica si era intensificata e, a settembre 1918, le aveva chiesto di ammetterla
in comunità, se ci fosse stato un posticino. La risposta affermativa la riempie di gioia.
“Lei non può immaginare il bene che mi fa con le sue lettere e la gioia di riceverle,
specialmente in quest'ultima nella quale mi dice che c'e' un posticino in codesto
piccolo "colombaio" tanto amato” (L., sett. 1918).
Ma tutto, per il momento, deve rimanere segreto, perché si era accorta che i suoi
avevano altri progetti sul suo futuro. Era consapevole che l'avevano tolta dal collegio
per farla "entrare nella società". Già nell'ottobre del 1918 aveva scritto:
"Credo che comincino a pensare che ho vocazione, dato che desiderano che io esca
più spesso. Devo dissimularla maggiormente, poiché quando se ne accorgessero, mi
farebbero una grande guerra" (D).

EQUILIBRIO PSICOLOGICO
Un tratto che ce la rende particolarmente vicina e "imitabile" nella vita di ogni giorno
è il suo equilibrio. Esso è tale che nonostante Juanita goda di un tratto sempre più
intimo con Dio, ella vive una vita completamente normale. Meraviglia vedere Juanita
inabissata nella contemplazione delle perfezioni di Dio e nello stesso tempo vivere
allegra, amabile, e aperta agli uomini. Con la stessa naturalezza tratta con Gesù a
cuore a cuore, pratica lo sport e contagia tutti di allegria con i suoi scherzi innocenti e
con le sue risate. E con la stessa naturalezza si dedica alla casa ed a opere sociali e
religiose; la si vede interessarsi agli anziani e ai bisognosi, dar lezioni ai fanciulli
poveri, educarli, divertirli, collaborare nelle missioni al popolo... Va quindi
raggiungendo una meravigliosa armonia fra il divino e l'umano. Va unificando la sua
vita umana, che si arricchisce e raggiunge la pienezza orientandosi completamente
secondo la volontà di Dio che ci vuole a sua immagine e somiglianza.

"NOTTE OSCURA"
Un tale equilibrio e una tale naturalezza suscitano tanta più meraviglia in quanto
durante tutto l'anno continua a soffrire dolori e stanchezza nel corpo e pene nell'anima.
È che, dopo il preludio delle sofferenze fisiche, debolezza, fatiche,dolori di testa o di
spalle, è entrata pienamente nella purificazione che i mistici chiamano "notte oscura
dell'anima". È Dio che prosegue la dolorosa opera di eliminazione di tutto ciò che
impedisce all'anima di unirsi intimamente a Lui. Dalla fine dell'anno 1917 Juanita
confessa che si sente fredda, insensibile, presa da una tristezza interiore immensa. Ci
parla di abbandono, di fitte tenebre.
"Mi sento insensibile, fredda come un marmo, senza poter meditare né fare le
comunione con devozione. Gesù mio, te lo offro per i miei peccati e per i peccatori,
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per il Santo Padre e per i sacerdoti. Mi unisco al tuo abbandono sul Calvario" (D).
"Sento stanchezza ad ogni istante. Varie volte ho dovuto mettere tutta la volontà per
non lasciarmi portare dolla tristezza. Ieri, ho ricavato questo proposito nella medi-
tazione: mostrarmi allegra tutto il giorno. E l'ho fatto. Quasi non riuscivo a
dominarmi. Credo che ciò dipenda dalla debolezza nella quale mi trovo: un continuo
dolore di testa. Si aggiunge il dolore alla spalla. Mi sento ogni giorno peggio. Non ho
animo per nessuna cosa. Questa è la volontà di Dio. Che si faccia come a Lui piace"
(D). «Muoio; mi sento morire. Ieri non ne potevo più dal dolore al petto. Non potevo
respirare. Gesù mio, mi dono a Te. Ti offro la mia vita per i miei peccati e per i pec-
catori. Madre mia, offrimi come ostia". "Non so quello che passa in me. E una
tristezza interiore così grande che mi sento isolata do tutto il mondo... "Senza dubbio
è da molto tempo che non so che cosa sia il fervore. Sento la voce di Gesù, però non lo
vedo. Non sento il suo amore. Sono fredda, insensibile. Ciò mi serve per conoscere il
mio nulla, la mia miseria... Mi trovo in un periodo di prove. Nostro Signore vuole che
cerchi solo Lui, senza ricercare consolazioni di alcun genere nell'orazione... Sono
molto dissipata. Che fare con tanta miseria?… Sono malata nell'anima. Gesù mi
domanda di essere santa, di fare con perfezione il mio dovere, tale dovere, mi ha
detto, è la croce. Nella croce sta Gesù... Signore, se Ti piace, s'infittiscano ancor più
le tenebre dell'anima mia: che io non ti vedo. Non me ne importa, poiché voglio
compiere la tua volontà. Voglio passare la mia vita soffrendo per riparare le mie
colpe e quelle dei peccatori, perché i sacerdoti si santifichino". "Soffro, anzi soffro in
maniera orribile! Gesù mi ha abbandonata perché sono infedele. Ora non ascolta le
mie preghiere e mi lascia senza la grazia necessaria per vincermi, tanto sono
disperata "'Mi trovo in uno stato tremendo, irascibile, con voglia di comportarmi
male, disperata con le monache (dell'Internato), senza gusto nell'orazione, mi sento
disperata... Piango perché non capisco quello che mi accade e non ho uno che mi
consigli, uno che mi aiuti. Abbandono, aridità, agonia. Sono ad un punto che non ce
la faccio più. Mi dolgono molto il petto e la spalla..." (D).
La stessa forza che la sosteneva in altri momenti, la speranza di entrare in monastero,
viene meno; anzi si trasforma in motivo di dubbio e di tormento: "Ho avuto molti
dubbi riguardo alla mia vocazione carmelitana". "Mi trovo in un periodo di dubbi
così atroci che non so decidermi se essere carmelitana o delle Suore del Sacro
Cuore... Ciò che desidero sapere è dove mi santfiicherò più presto, dato che Nostro
Signore, come me lo ha manfestato più volte, mi ha fatto capire che vivrò molto poco"
(L., dic. 1918).
Lei stessa ci spiega il perché di questa "notte oscura", nella quale l'anima si crede
"totalmente abbandonata da Dio". La ragione è che, attaccati alle consolazioni sen-
sibili, vogliamo cercare "le consolazioni di Dio, ma non Dio". E questo è imperfetto.
Per questo il Signore purifica a volte le anime che ama, dando loro aridità. E solo
quando vede che sono indifferenti al fervore sensibile, allora concede loro doni e
consolazioni. Questa è la sofferenza maggiore, poiché è sofferenza dell'anima. Essa si
vede abbandonata alle sue forze, separata da Dio che ama tanto, accerchiata dalle
tentazioni, piena di debolezze. Quale deve essere questa sofferenza se Nostro Signore,
che pure mai si lamentò durante la sua passione, al vedersi abbandonato da Dio lo
invocò con grande angoscia: 'Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
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L'ORA DELLA SEPARAZIONE (1919)
L'11 gennaio 1919, contro ogni sua speranza e in un momento di particolare incertezza
sulla sua vocazione, riesce ad andare al monastero di Los Andes. Così rivive quella
visita:
"Si sono finalmente compiuti i desideri che ho coltivato da quattro anni. Ho
conosciuto il mio piccolo “colombaio”. Che impressione mi ha fatto nel vedere quel
conventino! Ha un aspetto molto povero. Non pare un convento, ma piuttosto una
vecchia casa, perciò la sua povertà parla assai bene in suo favore. Appena l'ho visto
mi ha incantato e sedotto. Ho parlato con Madre Angelica. Mi ha detto che trovava
infondati i miei dubbi... Sono incantevoli: così allegre, così spontanee. Al principio io
mi sentivo piuttosto emozionata e un po' vergognosa, ma poi nulla. Ero diventata una
gazza. E’ tutto semplicità, confidenza, intimità. Tra loro scherzavano, ridevano. E
questo dalla postulante sino a Madre Angelica. Una, proprio stonata cantò per ridere
e tutte la burlavano. Mi hanno trovata molto alta. Due sole ve ne erano della mia
altezza" (L., gen. 1919).
Con la visita al Carmelo di Los Andes, 11 gennaio, le si rasserena l'orizzonte. Vede
chiaramente che Dio la vuole là e ritrova la calma nel suo spirito; l'invade la felicità
più intensa.
"Mi sentivo in una pace e felicità così grande che è impossibile spiegare. Vedevo
chiaramente che Dio mi voleva lì e sentivo in me la forza di vincere tutti gli ostacoli
per poter essere carmelitana e rinchiudermi lì per sempre... Me ne partii con pena e,al
tempo stesso, ritrovavo l'anima colma di felicità. Dio aveva cambiato la tempesta in
bonaccia, il turbamento in una pace santa" (L., gen. 1919).
Esternamente, nulla è mutato, né deve: i suoi non devono ancora sospettare di nulla.
Juanita, senza trascurare il lavori di casa, collabora alle missioni nei paesi vicini:
"Noi due con Rebecca facevamo il catechismo. Si riunivano più di 50 ragazzi, e,
terminate le missioni abbiamo continuato a fare lezioni ogni giorno perché la gente di
qui è molto ignorante. Pare che poco o nulla le venga insegnato nelle scuole
pubbliche. Ai ragazzi abbiamo fatto oggi commediole e giochi ti assicuro che essi
hanno goduto molto. La domenica antecedente questa abbiamo fatto loro il cinema.
Erano incantati. E per terminare abbiamo tirato una lotteria... Tutti questi giorni
siamo usciti a cavallo per consacrare le case al Sacro Cuore. Ci occupiamo di 21
case. Con quanto amore e piacere lo faccio" (L., mar. 1919).
E continua la sua vita "all'aperto" (non si 'fa monaca" prima del tempo...!):
"Bucalemu è la campagna più bella. La attraverso a cavallo. Alle due e mezza del
pomeriggio già montiamo a cavallo, Edoardo, Luigi ed io, e non andiamo a casa che
alle otto e mezzo. Ieri abbiamo salito una collina di tale pendenza, che Edoardo
credeva non l'avrei potuta salire. Mi sono aggrappata alla criniera del cavallo e ho
cominciato a salire tranquillamente. E al di sotto correva il fiume... Siamo andati al
mare in automobile a fare merenda sulla spiaggia. Ti assicuro che ho goduto molto
salendo pendii così ripidi che ti fanno drizzare i capelli. Vi sono tratti di cammino che
sono vere montagne russe: ciò mi dava un vero piacere" (L., mar. 1919).
Eppure sotto la facciata "normale" infuriava la lotta. Fino al suo ingresso al Carmelo, 7
maggio, Juanita sperimenterà nel suo spirito le emozioni più opposte, i contrasti più
forti: Gioisce e soffre nello stesso tempo con un' intensità indescrivibile. Un paradosso
che chi ama perdutamente può capire: "Mi trovo, scrive, al colmo della felicità e del
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dolore" "Felicità", perché vede vicina la realizzazione dell'ideale lungamente
accarezzato: essere carmelitana. Ma nello stesso tempo "dolore e tortura", perché ciò
avrebbe significato distacco dai suoi cari, e grande dispiacere per loro". Per
allontanarsi dai suoi, che amava immensamente, dovette lottare contro la propria
natura e la lotta divenne agonia, man mano che si avvicinava il giorno del distacco.
"Nonostante sentissi la felicità di donarmi al mio Gesù, provavo una pena immensa e
avrei pianto liberamente se non mi avesse sostenuto il pensiero che è necessario avere
un cuore di uomo e non di donna, giacché al Signore piacciono gli animi generosi"
(L., gen. 1919).
Nel chiedere il permesso paterno, nel non vedere che lacrime negli occhi dei suoi
familiari, si sente annientata, spezzata dal dolore; la lotta interiore s'impadronisce di
lei.
"Siamo in febbraio. Mancano solo due mesi. Come descriverti la pena che in questi
istanti si va impadronendosi del mio cuore in vista della prossima separazione.
Quando guardo i miei mi dico: mi manca così poco per lasciarli. E mi pare che la
tenerezza per loro cresca ancor più nell'intimo del cuore" "Sto soffrendo una vera
agonia, poiché oggi scriverò una lettera a papà per sollecitare il permesso... Tutto
l'entusiasmo sensibile che provavo verso il Carmelo è scomparso. All'improvviso mi
sembra di commettere una pazzia, che è un'illusione, ecc." (L., mar. 1919).
Ma il Signore le comunica un'energia e un coraggio insospettabili:
”Mi restano solo 20 giorni e poi ... il Calvario, il cielo. Già sto salendo la cima. Il
dolore della separazione è così intenso, che non ci sono parole per eprimerlo. Senza
dubbio Dio mi sostiene e, anche quando vedo che tutti i miei piangono, rimango senza
piangere, quasi senza dimostrare alcuna pena. Questo è terribile...". "Tutto questo
tempo è terribile perché dovunque giri lo sguardo non vedo che lacrime. Tuttavia
dentro di me sento una energiai e un coraggio che mi è impossibile descrivere. Dio
rende il mio cuore insensibile dovanti a queste lacrime quando mi trovo di fronte ai
miei, ma una volta che mi trovo sola, sento che l'anima mia si spezza dol dolore e
s'impadronisce di essa una lotta terribile. Che dubbi e incertezze, che codordia!" (L.,
apr. 1919).
Pur nel dolore, alla fine i suoi accettano il suo passo. Le sue lettere sono colme di
gratitudine verso di loro, e specialmente verso il padre. La mamma chiede come
ricordo che Juanita le lasci il suo Diario.

A “LOS ANDES” (maggio 1919)


Juanita entra tra le Carmelitane di Los Andes il 7 maggio. Da allora si chiamerà suor
Teresa di Gesù. Una delle religiose che visse con lei scrisse: "Suor Teresa senza
dubbio entrò già santa in convento. La sua anima possedeva tutte le virtù". Se non
altro possiamo affermare che aveva lavorato coscienziosamente per santificarsi, e che
si è fatta religiosa per meglio riuscirvi. E continuò ad essere se stessa anche in
monastero: generosa, disponibile, amava le sue consorelle di cuore. Con i suoi modi
squisiti contribuì a far regnare nella comunità quella letizia, semplicità e spirito
fraterno che tanto l'avevano affascinata. Le lettere di questo primo periodo sono lo
specchio della "nuova" realtà della sua anima: felicità, tenerezza verso i suoi cari,
meraviglia per il nuovo mondo.
"Già mi trovo nel mio conventino. Non puoi immaginare la felicità che godo. Ho
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trovato infine il cielo sulla terra. Se ieri mi sono separata dai miei con il cuore lacero,
oggi godo di una pace inalterabile. Non puoi immaginare, papà caro, l'affetto e la
sollecitudine veramente materna di nostra Madre; parimenti l'affetto di ogni
consorella. Ora ti scrivo dalla mia celletta che, seppure povera, non cambierei con la
casa più ricca del mondo. Mi sento filice in mezzo a tanta povertà perché possiedo
Dio ed Egli solo mi basta" (L., mag. 1919).
Si è inabissata in Dio che è fonte della felicità, della gioia e della pace, e non può fare
a meno di sentirsi traboccante di felicità. Fino a dubitare che si trovi già in cielo. Può
finalmente trascorrere ore intere ai piedi del Tabernacolo e nel silenzio della sua cella.
E sente la necessità imperiosa di proclamare in mille forme la sua gioia ogni volta che
scrive al familiari e agli amici. Vuole contagiare i destinatari delle sue lettere della sua
passione per Gesù Cristo, per l'Eucaristia, per la Santissima Vergine, per l'abbandono
fiducioso nelle mani amorose del Padre, e per l'orazione e l'abnegazione evangelica.
Prova anche ansie di martirio e sarebbe stata felice di dare per Lui la propria vita...
Ma, concreta com'è, sa che il suo martirio è lì dove vive. E consiste nell'eliminare ad
ogni istante il proprio egoismo, nell'accettare le sofferenze interiori che la purificano,
nel compiere con gioia quello che riconosce come lo scopo della vita carmelitana, e
ciò è pregare, immolarsi nascostamente per i peccatori, per i sacerdoti, per la Chiesa.
Sulla vita delle Carmelitane le sue idee sono infatti chiare:
"Il fine della Carmelitana mi esalta: pregare per i peccatori, passare tutta la vita
sacrificandosi, senza vedere mai i fratti della preghiera e del sacrificio. Unirsi a Dio
affinché così circoli in lei il sangue redentore e lo comunichi alla Chiesa... Il suo
motto mi entusiasma: “soffrire e amare” ... E tutto nel silenzio, senza che nessuno ne
sia a conoscenza... Questa completa abnegazione mi incanta. Non c'e spazio per
l'amor proprio. Solo il cielo lo saprà... La Carmelitana nulla può possedere, e ciò fa
che tutta la sua capacità di possedere sia riempita da Dio solo... La Carmelitana deve
possedere Dio solo: aveva scritto qualche mese prima di entrare" (L., feb. 1919). E
non perde per nulla la sua grazia, allegria, spontaneità:... "Non puoi immaginare,
scrive alla mamma, tutte le cantonate che prendo ad ogni passo... Provo grande imba-
razzo nel camminare con gli zoccoli. Mi viene da ridere al vedere la mia goffaggine"
(L., mag. 1919). ”La domenica, durante la ricreazione, si fa della musica. Hanno
cetre, chitarre, ecc. Godiamo nella ricreazione perché ridiamo e scherziamo tutto il
tempo... Il compito che avrò è quello di ortolana, quante ne combinerò”... “Martedì
essendo la festa di Santa Marta, fammo noi novizie, a sostituire le Sorelle in cucina.
Immaginati quanto abbiamo goduto nel preparare i pasti. Ridevamo clamorosamente
nel vederci triturare le cipolle e piangere. Nel Carmelo si fa tutto con allegria, perché
doppertutto abbiamo il nostro Gesù che è la nostra gioia infinita". "Oggi festeggiamo
la nostra Madre... Mi sono svegliata canterina. Rifeci la cella cantando (ma perché
era giorno di ricreazione). Formavamo un duetto con un'altra sorellina novizia. Però
ognuna va per suo conto. Poi nella ricreazione, tutte scherziamo. Così, sorellina,
passiamo la vita pregando, lavorando e ridendo..." (L., mag. 1919).
E tutto ciò, come sempre, nonostante la "croce". Le aridità, il senso di abbandono, le
tenebre spirituali che a periodi sperimenterà fino a due giorni prima della sua morte,
saranno gli ultimi tocchi dell'amore purificante che elimineranno tutto ciò che
impedisce la piena unione con il suo Gesù.
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Novizia (ottobre 1919 - aprile 1920)
Il 14 ottobre, suor Teresa indossa il saio: è una novizia carmelitana. Automaticamente
diminuiscono le lettere. E’ una norma comune ai noviziati diradare la corrispondenza.
Meno lettere, ma più affettuose e familiari, con segni di maggior preoccupazione per
la salute e le faccende dei suoi. È un fatto che suor Teresa si mostra più "umana" nella
corrispondenza degli ultimi mesi di vita. E non è un caso: la sua virtù è più purificata;
la sua anima più "divinizzata". Ella vive più incondizionatamente arresa alla volontà di
Dio, facendo sempre e in tutto quello che gli è gradito. Perciò non ci sono per lei due
vite sovrapposte: una naturale-profana; l'altra soprannaturale-religiosa. Ma un'unica
vita umana, totalmente cristiana, spirituale. L'amore ha semplificato la sua vita,
unificandola. E tutto quello che fa, anche se sembra attività profana o indifferente, è
lode divina, è culto, "è continua melodia d'amore" per Dio, perché non fa se non quello
che Gli è gradito, conforme ad suo divino volere. In settembre l'abbiamo udita dire,
esprimendo tutta la tenerezza del suo cuore di figlia:
"Sì questa tenerezza, papà caro, va crescendo ogni giorno. E non credere che al
Carmelo essa si estingua, al contrario, prende maggiori proporzioni, perché si ama
disinteressatamente e in Dio".
Infatti suor Teresa vive compenetrandosi ogni giorno più intimamente con Dio. In Lui
che è la sua ricchezza, la sua gioia, ella ha trovato "il suo centro e la sua dimora".

MORTE ANNUNCIATA
Suor Teresa ebbe sempre il presentimento che la sua vita sarebbe stata breve. Ancora
ragazza aveva pressato il confessore, Padre José Blanch, perché le dicesse dove si
sarebbe santificata più velocemente, perché "Nostro Signore mi ha dato a intendere
che vivrò poco". Mai temé la morte. Già nella sua Prima Comunione aveva chiesto a
Gesù che se la prendesse. A 14 anni, credendo che sarebbe morta durante l'operazione
di appendicite, si accomiatò con candore da Gesù e dalla SS. Vergine dicendo loro,
prima di aspirare il cloroformio: "Presto vi contemplerò faccia a faccia. Addio. Nella
piena maturità spirituale, già carmelitana, assicura che per lei la morte non ha nulla di
spaventoso, perché la porterà tra "le braccia di Colui che amò in terra sopra ogni
cosa". Suor Teresa sarà coerente quando verrà la sua ora. Marzo del 1920. È già
cominciata la Quaresima. Suor Teresa comunica al confessore, P. Avertano, che morrà
entro il mese; perciò l'autorizzi ad intensificare la penitenza per i peccati dell'umanità.
Senza dare importanza a questo preannuncio, il Padre, per tutta risposta la invita a
mettersi nelle mani di Dio con totale disponibilità. Ella sa molto bene che "la vera
croce è il dovere, è l'abnegazione della nostra volontà". E, per ciò, dimentica di se
stessa, raddoppia la sua disponibilità al servizio, cercando di sollevare gli altri per
quanto le è possibile. Il distacco da se stessa arriva al punto che, pur avendo la malattia
mortale attaccato il suo fragile organismo, né le dà importanza né crede necessario dire
che ha febbre e molestie. Nessuno lo avverte, perché la vedono affabile, sorridente,
servizievole e coraggiosa nelle dure osservanze religiose della Quaresima. Più tardi le
verranno i rimorsi per avere ecceduto, e chiederà perdono più volte. Trascorrono i
giorni. Si arriva alla Settimana Santa. Benché molto minata dalla malattia, Teresa non
chiede il più piccolo sollievo e passa ore intere in ginocchio in adorazione
dell'Eucaristia e assorbita in profonda orazione durante l'esercizio delle "sette Parole"
e le lunghe funzioni che allora si celebravano. La notte del Giovedì Santo non riesce a
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dormire che poche ore. Passa il Venerdì Santo. Alla sera la Maestra delle Novizie nota
il volto acceso di suor Teresa: temendola malata, le comanda di ritirarsi in cella.
Subito si constata che ha una febbre molto alta. Si prendono i rimedi del caso, ma
senza ottenere che la febbre scenda di un punto.

L'INCONTRO CON IL SIGNORE


La Comunità, che tanto apprezzava la nostra novizia, fece l'impossibile per salvarla.
Se ne occuparono sino a sei medici. Lunedì 5 aprile l'inferma chiede gli ultimi sacra-
menti. Ricevuto il Viatico, rimane in estasi per un'ora. Lo stesso avviene martedì, dopo
la comunione. La notte dello stesso martedì, ritornata in sé dopo un grave parossismo,
fa con immensa gioia la sua professione religiosa concessale in "articulo mortis". Per
ben tre volte ripete, emozionata, la formula della consacrazione al Signore,
ringraziando la comunità per questa grazia. Mercoledì si comunica per l'ultima volta.
Da giovedì ha più volte attacchi di delirio, che confermano la diagnosi dei medici: tifo.
Quando le consorelle si occupavano di lei, sorridente e con parole di gratitudine,
rispondeva invariabilmente: "Sto molto bene". Però al medico si credeva obbligata a
manifestare tutti i suoi dolori. Così si venne a sapere che era preda di dolori terribili.
La comunità, che tanto aveva edificato con la sua virtù mentre era sana, ammirava ora
la pazienza, la serenità e la pace con le quali sopportava la malattia. “Non si lamentò
mal, né chiese né ricusò nulla; non chiedeva che cosa avesse o che cosa dicessero i
medici, se migliorava o peggiorava...”. ”La vittima d'amore, diceva, deve salire il
Calvario”. Con volto tranquillo sopportava il doloroso trattamento cui veniva sotto-
posta, specialmente le continue iniezioni che le avevano crivellato le braccia. Nel 1917
per la salvezza delle anime si era offerta a qualsiasi genere di morte, incluso quello de
'l’abbandono del Calvario". Dio accettò la sua offerta. Abbiamo visto come a volte si
eclissasse nell'anima sua la presenza di Dio e si credesse abbandonata da Lui. La
purificazione mistica raggiunse il suo culmine nella notte del Sabato, quando
sperimentò un abbandono simile a quello di Gesù sulla Croce. Furono momenti di
dubbi, di angoscia profonda. Nel delirio diceva di essere rigettata da Dio e condannata
per non aver corrisposto fedelmente alle sue grazie così grandi... In quell'ora di crisi
gli erano vicini il P. José Blanch, suo antico confessore e varie religiose. A poco a
poco la tempesta interiore andò placandosi e la tranquillità tornò a rinascere nella sua
anima. Alla fine, raccontano i testimoni, il suo volto si illuminò del suo abituale
sorriso, e fissando lo sguardo in un punto, come se vedesse. qualcuno, esclamò dol-
cemente: "Il mio Sposo!", e poi con accenti di umiltà e compunzione commoventi
ripeteva le giaculatorie: "Gesù mio, misericordia; dolce Cuore di Maria, siate la
salvezza dell'anima mia!". La domenica ebbe momenti di lucidità. In uno di essi
intonò un canto liturgico. Verso sera, dopo essere stata assistita dal cappellano, parve
addormentarsi. In realtà si immerse in un letargo dal quale non usci più. Erano le 19,35
di Lunedì 12 aprile: Juanita, suor Teresa si addormentò dolcemente nelle braccia del
Signore. Aveva detto da viva che per lei morire era "immergersi eternamente
nell'Amore". L'unica religiosa che sopravvive di quelle che la videro spirare, ha detto:
"Dava l'impressione di immergersi in una felicità immensa. Il suo viso, perdendo il
pallore proprio della morte si andava accendendo e illuminando, come irradiando la
felicità che godeva". Suor Teresa contava 19 anni e 9 mesi di età. Solo 11 mesi di
carmelitana.
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I giornali di Santiago, cosa insolita per una carmelitana, pubblicarono la notizia della
morte di suor Teresa e fecero l’elogio delle sue eroiche virtù. Tanto i familiari, quanto
la Comunità ricevettero numerose lettere, non di condoglianza, ma di congratulazioni
per avere una santa in cielo. In realtà "santa" la ritennero dentro e fuori il convento.
Una religiosa, suor Maria degli Angeli, testimoniò: "Gesù viveva in lei, e tutto il suo
essere irradiava Gesù. Bastava guardarla per comprendere che la sua anima era come
immersa in Dio. Tale era il suo aspetto, tale la sua espressione dolce e raccolta con un
qualche cosa così soprannaturale, che uno si credeva come in presenza di un angelo". I
resti mortali di suor Teresa furono trasferiti il 17 ottobre 1940 in un sepolcro costruito
sotto il coro del nuovo monastero delle Carmelitane di Los Andes.

IL QUOTIDIANO IMPREGNATO DI DIVINO

UN SANTO HA QUALCOSA DA DIRE ALL'UOMO MODERNO?


La domanda è opportuna, perché l'uomo di oggi si sente spaventato ed estraneo di
fronte alla stessa parola santità a causa dell'idea errata che ha del santo. Per troppi il
"santo" è una persona "al di fuori della norma", che può parlare solo di valori sublimi,
ma poco accessibili alla gente comune. Se così fosse, non sarebbero "santi" Teresa di
Lisieux, e neppure Teresa di los Andes. Invece la Chiesa le propone ufficialmente ai
cristiani come esempi da seguire, da imitare... perché "imitabili"! In Juanita-Teresa di
Los Andes incontriamo una giovane simile a tante altre del nostro tempo. Ella ci
consegna un messaggio profondamente umano e al tempo stesso religioso: leggendo i
suoi appunti, le sue lettere, non scrisse altro, ci accorgiamo che ha molto da dirci.
Prima di tutto dissiperà i nostri pregiudizi. Ci convincerà che essere santo significa
essere autentico, cioè, essere pienamente una persona umana che vuol vivere
l'impegno cristiano di battezzato con generosità, aspirando a realizzarsi
compiutamente e liberamente, nella padronanza delle cose create, senza esserne
schiavi. Proprio come ci vuole Dio. Questo fu l'ideale di Teresa di Los Andes. E ci
riuscì, senza mediocrità. Fece fruttare al massimo il notevole capitale di talenti, qualità
e valori umani di cui era riccamente dotata, proprio per rendere amabile la virtù e irra-
diare meglio il Cristo intorno a sé.

PERSONALITÀ E RICCHEZZA SPIRITUALE ALLEGRA E DISINVOLTA


Juanita conduceva una vita interiore ricca e profonda, trattava con Gesù cuore a cuore,
si era consacrata a Lui senza riserve. Ma il suo equilibrio psicologico la rendeva
capace di una "vita normale", come quella delle altre giovani del suo tempo. Tutto ciò
che avrebbe potuto distinguerla, le ripugnava. Evitava perciò accuratamente anche
certe forme esteriori che l'avrebbero messa in mostra come una devota. Si dichiarava
felice; stava bene dove si trovava e sapeva dimostrarlo, senza finzioni; sapeva amare
con sincerità. Perciò aveva tante buone amiche; le sue educatrici la apprezzavano e
l'ammiravano, e tutti le volevano bene. Era allegra, comunicativa, perfino burlona,
contagiando tutti di sana letizia. Era maestra negli scherzi, non le mancava una sottile
ironia. Nelle sue lettere abbondano divertentissimi episodi che parlano di famosi
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attacchi di riso. La semplicità, la familiarità, l'allegria delle Carmelitane la incantarono
influendo notevolmente sulla sua risoluzione di entrare al Carmelo. Nell’intimità della
famiglia era amabile, dolce, affettuosa: la "gioia della casa", come disse suo fratello
Luigi. Tutto ciò che era sport la affascinava. Era una splendida amazzone. Fin da
bimba, suo nonno le aveva insegnato a montare a cavallo. Nulla le piaceva più del
cavalcare. Si divertiva a fare lunghe passeggiate a cavallo per colline e vallate, si
lanciava al galoppo sfidando i pericoli e invidiava i giovani che potevano andarsene
per alcuni giorni sulla Cordigliera. Giocava a tennis, guidava con piacere il calessino.
Ma eccelleva soprattutto come nuotatrice. Alta e ben proporzionata com'era, aveva
ottime qualità per il nuoto, batteva il record di velocità e di resistenza nel suo ambiente
e risultava indiscussa vincitrice di qualsiasi competizione organizzassero. Si estasiava
alla vista di paesaggi pittoreschi che poi descriveva in modo preciso e colorito nelle
sue lettere. Il mare e le bellezze della natura destavano in lei la sete dell'infinito.
Studiava musica e canto. Quelle volte che ebbe occasione di andare a teatro ad
assistere all'opera, dimostrò di sapere bene apprezzare le voci e l'abilità degli attori.
Racconta:
"Sono andata due volte a teatro con la Signora Giulia Freire. Ho visto l’Aida, però
non mi piacque tanto quanto Lucia di Lammermoor, Opera che fu rappresentata da
Maria Barrientos, una delle prime attrici del mondo. Ha una voce incantevole. E’un
vero usignolo. Ripensavo a te, papà, cui piace tanto la musica e incanta il teatro" (L.,
sett. 1918); e per restare in argomento "vita mondana", aggiunge con disarmante
sincerità: "Quante tentazioni ho dovuto vincere per non far civetterie. Non posso
negarlo: m'incanta far la civettuola per divertimento...". Non che in lei fosse tutto rose
e fiori. "Non mi lascerò mai trasportare dal sentimento, dal cuore ma dalla ragione e
dalla mia coscienza". "Sono ancora molto orgogliosa. Mi propongo di distruggere
fino all'ultimo germe di amor proprio".
Sono propositi di Juanita. Juanita ne aveva veramente bisogno: sapeva di essere
orgogliosa, di aver la tendenza ad agire con indipendenza e alterigia. Ci parla lei stessa
delle "arrabbiature feroci" che la coglievano da piccola, del suo "brontolare", della
ripugnanza ad ubbidire. Dice che in certe occasioni sentiva sollevarsi tutto il suo
essere:
"Per mia umiliazione racconterò una rabbietta che mi prese. Fu una cosa così grande
che mi pareva di essere pazza. il motivo fu che mia sorella e mia cugina non vollero
venire a prendere il bagno insieme a noi perché eravamo piccole. Mi disgnstai di
essere ritenuta una bambina e non volevo prendere il bagno; ma mi obbligarono.
Mentre noi ci stavamo vestendo vennero a verficare, ma io risposi che non mi sarei
vestita finché non se ne fossero andate. Esse non vollero andarsene e mia madre mi
disse di vestirmi, ma io, imbronciata, non volli. Mia madre mi picchiò, ma tutto fu
inutile. Io piangevo. Fra tanta la rabbia che provavo che avrei voluto gettarmi
nell'acqua. Mia madre cominciò a vestirmi, ma io rimanevo nella mia rabbia. Quando
fui pronta, mi pentii e andai a chiedere perdono alla mamma... Ella non volle
perdonarmi... mi cacciò dalla sua stanza ed io mi andai a nascondere per piangere
liberamente... Non so quante volte chiesi perdono, fino a che mia madre mi disse che
avrebbe osservato come mi sarei condotta in avvenire" (D).
Ancora a 17 anni, in collegio, arrivò a buftar via con rabbia un dolce che le avevano
dato, solo perché le sembrava troppo piccolo, e non volle accettarne altri!... Però già a
17
nove anni si era proposta molto seriamente di controllarsi. E umiliandosi tutte le volte
che veniva meno al suo proposito e dominando il più delle volte i suoi impulsi, a
"costo di morsicarsi la lingua" riuscì a raggiungere quella equanimità, quella dolcezza,
quella mitezza, che tutti ammiravano in lei. In questa sua serietà di proposito sta la
forza del suo modello. Il messaggio è di innegabile attualità mentre tanta gioventù si
mostra restìa ad ogni norma, accetta come unica regola valida il proprio capriccio, la
propria inclinazione, "il mi piace", "non mi piace", "mi va'; non mi va ... Molti giovani
come lei sono anche desiderosi di alte mete e dicono di volerle raggiungere. Però non
è di loro "gusto" il cammino che ad esse conduce, e quindi non pochi si fermano o
deviano. Teresa ricorda loro che l'unica strada che conduce alla piena realizzazione
umana è lo sforzo, l'autodisciplina, il controllo di sé; non il "mi piace- non mi piace",
ma il "devo-non devo" ... ed agire di conseguenza, come l'esperienza insegna. Un
uomo non è un uomo se non ha autodisciplina e controllo di sé.

AMORE VERO, INTRISO DI AFFETTUOSITÀ


Juanita aveva un temperamento fortemente affettivo. Piangeva a calde lacrime ogni
volta che doveva congedarsi dai suoi per andare in collegio. Era così dolce e
carezzevole che durante la fanciullezza si chiedeva come le monache potessero essere
felici senza ricevere dimostrazioni esteriori di affetto, e le sembrava impossibile
innamorarsi di un Dio che non si può vedere e accarezzare. Tale esagerata sensibilità
si sposava bene ad un caratterino "tutto pepe". Un passo alla volta si rese conto dei
suoi "punti deboli", e si prefisse di divenire "forte" e “umile” insieme. Riuscì ad
incanalare la sua affettuosità come fece per il suo "caratterino": ci vollero sforzi suoi e
interventi "purificatori" di Dio, ma alla fine la ricchezza del suo animo, liberata dalle
pastoie del proprio io potrà espandersi liberamente verso "gli altri": il suo Dio e gli
uomini. Gradatamente il suo cuore riuscì ad amare non le "consolazioni di Dio", ma il
"Dio delle consolazioni Imparò ad amare Dio e gli uomini" con tutto il cuore, tutta
l'anima, tutta la mente", liberando il suo cuore dalla leziosità, dalle svenevolezze,...
senza perdere nulla della sua affettuosità. Amò tanti e con tutta se stessa... e per questo
morì in un monastero! Non che Juanita non apprezzasse il matrimonio. Sapeva che la
vita coniugale è ricca di sacrifici e di fecondità, che occorrono cristiani capaci di
viverla generosamente per cooperare alla trasformazione del mondo. Ma non si sentiva
chiamata. Un paio di mesi prima di entrare aveva scritto ad un'amica:
“Ti prepari ad entrare in societa”?. Ti assicuro che sono piena di speranza, poiché
credo che quest'anno si decidera la mia sorte. Ridici un po'. Però trovo che ormai
siamo in condizione di pensare al nostro avvenire. Lasciamo di essere bambine, mia
cara “Gordita”; per essere donne. Se ci si obbliga ad entrare nella società,
andiamoci contente, per conoscere dei giovani; che, in fin dei conti, se non ci fac-
ciamo monache, è necessario preoccuparsi un po' di piacere, d'incontrarci coi
giovani. E se poi vediamo che nessuno ci soddisfa, accettiamo la sorte di rimanere
nubili, poiché potremo fare molto bene non alienando la nostra libertà... Ti dirò con
franchezza che mi costerebbe innamorarmi, perché sinora nessuno dei giovani
conosciuti mi è piaciuto. Sono molto superficiali. C'è qualche cosa in me che impe-
disce loro di soddisfare le mie aspirazioni" (L., mar. 1919).
Praticità, buonsenso, chiarezza di idee. Esaminando il proprio cuore si era convinta
che nessun essere umano avrebbe potuto colmare pienamente le sue aspirazioni
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d'amore, poiché qualsiasi amore umano sarebbe necessariamente limitato, interessato,
soggetto a debolezze. Non voleva "alienare la sua libertà", e scelse chi solo credeva
potesse "soddisfarla", e di cui potesse quindi innamorarsi. Si consacrò interamente al
Signore in un monastero. Ed ebbe la prova che Dio compensa ampiamente e concede
dimostrazioni sicure, anche se invisibili, di infinito amore.

INTIMITÀ CON DIO


Giorno dopo giorno sentì sempre più pressante la necessità dell'orazione. La sua
preghiera era semplice, senza complicazioni. Un intimo e familiare colloquio con
Gesù. Si immaginava di starsene ai suoi piedi ad ascoltarlo. E conversava con Lui di
ciò che doveva fare o evitare per essergli più gradita.
”L'anima mia sente ogni giorno di più una necessita' incalzante di pregare, di unirmi
a Dio, in tale mianiera che ora mi trovo costantemente in orazione. Adoro nel fondo
del cuore il mio Gesù e tutto ciò che faccio lo compio per amor suo "Altre volte
rimango in un raccoglimento profondo, come se fossi inabissata in Dio,
completamente assorta, contemplando le perfezioni infinite di Dio..." (L).
Sulla sua intimità con Dio scrisse pagine deliziose:
"L'amore è la fusione di due anime in una per perfezionarsi vicendevolmente. Si potra'
mai un'anima unire ad un 'altra anima più perfettamente di quel che Dio si unisce con
le nostre?. L'anima unita a Dio si divinizza in tal modo che arriva a pensare, a
desiderare e operare conformemente a Cristo. C'è nel mondo qualche cosa più grande
di Dio?. C'è qualehe cosa di più grande di un'anima divinizzata?. Non è questa la
massima grandezza cui l'uomo possa aspirare?.... Mi sento piena di Lui. Non v'è tra
noi separazione. Dovunque io vada, Egli è con me, dentro il mio povero cuore. È la
sua casetta dove io lo ospito. È il mio cielo sulla terra. Vivo con Lui, e andando a
spasso, ambedue conversiamo senza che nessuno ci sorprenda né possa
interromperci..." (L). "L'altro giorno incominciai a sentire tanto amore di Dio che,
pur facendo altre cose, Egli mi assorbiva tutto il pensiero. Era tanta la forza
dell'amore che mi sentivo come venir meno, priva di forze..." (L., gen. 1919). "Io
prima non credevo possibile arrivare ad innamorarmi di un Dio che non vedevo, che
non potevo accarezzare. Ma oggi affermo con il cuore in mano che Dio ricompensa
totalmente questo sacrificio. Uno sente talmente questo amore, queste carezze di
Nostro Signore, che sembra averlo al fianco. Lo sento unito a me così intimamente
che non posso desiderare di più...
E quando le occupazioni, i doveri verso gli altri, le impedivano di raccogliersi,
rimaneva nella pace, convinta che tutta la sua vita poteva essere un'orazione continua,
una lode ininterrotta a Dio, se tutto avesse fatto per amore Suo, senza uscire un istante
dalla Sua divina volontà. Nei luoghi di maggior distrazione godeva all'idea di essere
almeno lei, là dove Dio era dimenticato, ad adorarlo e ad amarlo.

“E’ COSI’ RICCO DONARE”!


L'intimità con il Signore le fece comprendere che il cristiano non può essere un
individualista. Da qui il suo desiderio e il suo impegno di mortificare il proprio
egoismo naturale per vivere aperta alle necessità degli altri. Ecco alcune sue
risoluzioni. Ha 17 anni:
"Devo forzarmi di essere più amabile, senza permettermi mai parola di malumore e
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molto meno delle frasi piccanti". "Non farò passare occasione alcuna in cui si possa
rivolgere agli altri una parola amabile e piacevole. Come pure non reprimerò un
sorriso che possa far piacere a coloro con i quali tratterò". "Sopporterò con pazienza
il carattere delle persone il cui tratto mi infastidisca e mi contrari, mostrandomi più
attenta e servizievole con esse che con altre". “Mi impegnerò nel procurare la felicità
degli altri. Cercherò di rendere amabile la virtù agli altri” (D). ”Sacrfiiicarsi per
rendere felici gli altri”; mettendolo in pratica con semplicità, in modo che non si
accorgessero di quanto a volte potesse essere duro accontentare e far piacere a tutti; e,
una nota tutta sua!, «cercherò di rendere amabile la virtù"! Quanto bisogno ce nè! I
giovani che aspirano alla maturità umana devono assolutamente fare propri questi
valori. Perché è risaputo e arcinoto che soltanto aprendosi agli altri, donandosi,
uscendo dal proprio egoismo alla ricerca del benessere degli altri, si raggiunge la
pienezza e la maturità della propria personalità umana. È questo che Cristo chiede
decisamente ai suoi seguaci. Quelli che non affrontano lo sforzo di vivere in questo
modo, non possono giungere ad essere uomini nuovi, capaci di costruire quel mondo
nuovo e più umano a cui dicono di aspirare. Non era proprio fatta per godere da sola.
Abbiamo visto come anche durante le vacanze, tempo di passeggiate e di sane
distrazioni, si rendesse disponibile in attitudine di servizio ai poveri, e soprattutto ai
bambini. "Donare è ricco!", diceva, e donava e si donava. Non grandi cose, ma ciò che
ognuno di noi potrebbe: tempo, disponibilità, intelligenza, buona volontà, "una mano",
sorriso e comprensione... Della felicità di servire Dio non si limitava a godere da sola.
Le straziava Vanima il sapere che moltissimi vivono lontano da Lui. Offriva perciò la
propria vita e mille sacrifici affinché gli altri lo conoscessero ed amassero, senza mai
darsi pace, fino ad entrare in monastero per trasformarsi in "vittima" al Signore,
"immolata" per il miglioramento dell'umanità. Era convinta, per esperienza, che non si
può essere felici veramente se non con Dio! E se per questo è necessaria la sofferenza,
ben venga! Diceva: "che importa il soffrire quando si ama"? E, perdutamente
innamorata di Cristo, concentrava il proprio ideale nel soffrire, amare e pregare per la
Chiesa e per l'umanità peccatrice.

EQUILIBRIO DIVINO E UMANO


La cosa più sorprendente era la naturalezza con cui riusciva a comporre in armonia il
rapporto con Dio e quello con gli uomini. Poteva inabissarsi e rimanere assorta nella
contemplazione delle perfezioni di Dio e delle delicatezze del suo amore, senza
cessare di mostrarsi allegra, amabile, comunicativa con i suoi simili. È proprio questo
equilibrio psicologico che ce la rende particolarmente vicina e "imitabile" nella vita di
ogni giorno. Con la stessa naturalezza tratta con Gesù a cuore a cuore e pratica lo sport
e contagia tutti di allegria, con i suoi scherzi innocenti e con le sue risate:
“Tutto ciò che vedo mi porta a Dio. Il mare con la sua immensità mi fa pensare a Dio,
alla sua infinita grandezza. Sento allora una sete d'infinito”. "Passiamo il nostro
tempo sulla spiaggia o in passeggiate a cavallo e a piedi... Che paesaggi incantevoli
vediamo ad ogni passo. Il nostro paesaggio favorito sono le colline di sabbia... poiché
ci lasciamo cadere da tre metri di altezza rotolandoci sulla sabbia... Ora andiamo al
bagno in una spiaggia dove il mare sembra quasi una piscina e dove nuoto tutto il
tempo" (Algarrobo, Feb. 1918). "Ho viaggiato molto a cavallo e sono incantata
salendo e scendendo colline. Qui si meravigliano perché non mi stanco e mi dicono
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che sono una vera amazzone" (L., mar. 1919). "Il viaggio fu divertentissimo.
Godemmo perché incominciammo a scherzare da quando partimmo da S. Antonio. Ci
siamo anche ricordati di te, Madre mia, però solamente per “raderti” perché, come
già ti ho detto, sei una “palla” (L., mar. 1918). "Tu non puoi immaginare quante
burle faccia all'Erminia. Stiamo sempre a ridere. Mi sono fatto un nome con le mie
provocazioni alle risate... Non faccio che scherzare. Preparati. A tavola siamo agli
ultimi posti con Pepe. Ne dicevamo tante e tanto ridevamo, che a volte non riusciva a
mangiare. il peggio è che il Padre che recitava le preghiere a fine mensa, a metà della
preghiera non riusciva più ad andare avanti per il ridere, poiché l'avevamo con-
tagiato... Tutte le sere recitiamo il mese mariano. Elisita recita il mese ed il Rosario e
suona l'armonium. Figurati che ieri stavamo cantando l'Ave Maria quando Erminia ci
provocò al riso. Invece del canto ci venivano delle risate. Non abbiamo potuto
continuare!" (L., nov. 1918).
Abbiamo abbondato in citazioni su questo argomento, che potrebbe sembrare
secondario, proprio perché crediamo che abbia grande importanza. Importante perché
troppo spesso si accomuna “santità = serietà, se non musonerla”, “Dio = croce sulle
cose belle della vita”... Nella nostra Juanita, sarà stato anche il carattere, l'età a
renderla così "simpatica"... Ma ciò che meraviglia, è che non ha mai pensato che per
essere una santa dovesse mutarsi in una “beatona” o dal momento che aspirava a farsi
"monaca" dovesse scimmiottarne lo stile di vita mentre era ancora "nel mondo". E con
la medesima libertà di spirito, praticava vari sport, accudiva alla casa, si dedicava ad
opere sociale e religiose... E che ciò fosse 'farina buona" appare nel momento della
verità: colpisce il vederla così normale, compiacente, allegra e perfino burlona, anche
durante i mesi di stanchezze e di sofferenze spirituali per le più angoscianti
purificazioni, dubbi, aridità, abbandono, agonia interiore, con cui l'amore le raffinava
l'anima, specialmente nei due ultimi anni di vita. Teresa è riuscita ad ottenere
l'armonia tra il divino e l'umano compiendo nella propria vita un'ammirabile sintesi.
Per lei non c'erano due vite sovrapposte, quella naturale, profana, e quella
soprannaturale, spirituale. Vivendo tutta aperta alla volontà divina Teresa unificò in sé
con incantevole naturalezza il rapporto con Dio e quello con gli uomini. Per questo,
anche dopo divenuta "suor" Teresa, più che mai colma di Dio, continuò ad essere
amabile, comunicativa, scherzosa, rallegrando le religiose della comunità e i desti-
natari delle sue lettere. Dalla sua cella monastica scrisse queste righe vibranti di
squisita ironia:
“Riguardo a ciò che mi dici delle tue passeggiate sul Corso, non ho potuto fare a
meno di ridere. Ti vedo proprio mentre te ne vai, con l'incarico di pescarti un fidan-
zato, passando in mezzo ai corteggiatori, in atteggiamento verginale, gli occhi bassi,
il cappello a mezza testa, la pettinatura da postulante e il passo affrettato” (L).
La destinataria, amica di Teresa, aveva deciso di consacrarsi all'apostolato della carità
rinunciando al matrimonio. Ed era suo diritto. Ma, poiché i genitori la obbligavano a
quelle passeggiate, ella avrebbe dovuto farlo con grazia e naturalezza, cercando di
compiacerli. Era questo che intendeva dirle Teresa, perché ciò era giusto dal punto di
vista umano, cristiano e divino. La giovane invece, non per malizia, ma per timidezza,
nell'obbedire a metà ai genitori, si distoglieva a metà anche dal volere divino. E in un
modo che sfiorava il ridicolo. L'obbedienza a Dio le avrebbe evitato quel
comportamento stravagante ironicamente descritto da Teresa. Il Concilio Vaticano Il
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afferma che è nella comunione con Dio che l’uomo raggiunge la pienezza e la più alta
dignità umana. Perché nello stato della piena comunione con Dio, tutto quello che è
autenticamente umano, lungi dall'annullarsi, si purifica, si perfeziona, si divinizza.
Allora non ci sarebbero scompartimenti stagni: il "profano" e il "religioso": ma
un'unica realtà: un uomo, figlio di Dio, che opera sotto lo sguardo compiaciuto del
Padre, e tutto ciò che fa gli è gradito. Ed è questo che Teresa chiede a noi tutti: di tra-
sformare l'intera nostra vita in un culto, in un'offerta, in un "continuo canto d'amore"
verso Dio. Può rammentarci che ci è possibile onorare Dio non soltanto con l'ora della
messa domenicale e con i pochi minuti giornalieri dedicati alla preghiera, ma con tutti
i minuti del giorno e con tutte le ore della settimana. Quando la nostra preghiera sarà
come quella di Teresa di Los Andes, una conversazione intima col Signore e un
rapporto familiare con Lui, e usciremo da essa disposti a sacrificare ciò che della
nostra vita personale e sociale è a Lui sgradito, allora tutta la nostra vita, "unificata",
sarà autenticamente cristiana. Sì, anche quella degli affari, della professione, della
famiglia. Allora tutta la nostra giornata, svaghi compresi, diventerà culto, liturgia,
canto continuo, glorificazione di Dio.

PENSIERI INTIMI DI TERESA

Dopo la morte di Teresa di Los Andes sorse spontaneamente, nella comunità religiosa
e nel popolo, un movimento di ammirazione e di venerazione: molti si sentivano spinti
ad invocare la sua intercessione presso Dio; molti lasciavano testimonianze di favori
ottenuti. Il suo nome divenne rapidamente conosciuto. Quando poi apparvero i suoi
Scritti, crebbe l'interesse, e non solo per la fama di santità, ma per il messaggio di alta
spiritualità che quegli scritti recavano. Non si tratta di grandi opere o trattati di
mistica... ma umili scritti costituiti dal suo DIARIO e dalle 164 sue LETTERE. "Il
DIARIO consta di 6 quadernetti, scritti quasi interamente prima dell'ingresso al
Carmelo, e tracciati in gran parte a matita. A datare dai 15 anni Juanita vi appuntava i
suoi pensieri, le sue riflessioni sugli avvenimenti così semplici della sua giornata, le
sue aspirazioni, le piccole battaglie per correggere i difetti e vincere gli ostacoli che
non mancano nel cammino verso la santità. Soprattutto, però, quelle pagine ci rivelano
dal vivo le profonde illuminazioni della grazia, i pressanti appelli di Dio e l'azione di
Cristo per introdurla in una vita interiore tanto intensa di amore e di vita. Specialmente
nelle pagine scritte nell'avvicinarsi al Carmelo e poi nella realtà della vita religiosa, il
suo mondo spirituale si va arricchendo di luce, di forza, di elevate aspirazioni e di
divine esperienze. Questi scritti, Lettere e Diario, ci pemettono, così, di leggere
all'interno dell'anima che va percorrendo il suo itinerario di santità, in un'appassionata
ricerca di Cristo, nella progressiva scoperta del suo mistero e nella inebriante
esperienza della sua amicizia, così come nelle crescenti esigenze del suo amore e della
chiamata all'opera della salvezza. Si tratta di quell'alta vita di preghiera contemplativa
nella prospettiva ecclesiale che caratterizza tanto fortemente la spiritualità di Teresa di
Gesù, la Riformatrice del Carmelo". I Pensieri che abbiamo estrapolato dal Diario e
dalle Lettere e che riportiamo qui di seguito, esigono naturalmente di essere inquadrati
nei vari momenti della vita di Teresa.

PENSIERI
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Guardare il mio crocifisso mi sostiene.
Tutti i giorni faccio la mia meditazione e vedo quanto è di aiuto per santificarmi. È lo
specchio dell'anima. Come in essa si conosce se stessi!
L'8 dicembre mi sono promessa a Lui. Il mio pensiero non si occupa che di Lui. È il
mio ideale, un ideale infinito (anno 1916).
Oh, sono felice! Perché posso dire in verità che l'unico amore del mio cuore è stato
Lui.
Gesù mio, ho capito che una cosa è necessaria: amarti e servirti con fedeltà,
conformarmi e assomigliare in tutto a Te. In questo consisterà tutta la mia ambizione.
Il Padre troverà in me l'immagine di Cristo? Quanto mi manca per configurarmi a Lui!
Il mio specchio deve essere Maria. Poiché sono sua figlia, devo rendermi simile a Lei
e così mi renderò simile a Gesù.
Ho messo insieme trenta pesos per il mio onomastico. Ci comprerò le scarpe per
Juanito, e il resto lo darò ai poveri. E’ così ricco donare!
Maria, sei la Madre dell'universo. Chi non prende coraggio, nel vederti così tenera e
compassionevole, per rivelarti i suoi intimi tormenti? Se è un peccatore le tue carezze
lo inteneriscono. Se è un fedele devoto, basta la tua presenza ad accendere la fiamma
viva dell'amore divino.
Ho preso la risoluzione di vivere molto allegra esteriormente.
Mi sento piena di Dio. Non c'è separazione fra noi. Dovunque io vada Egli è con me,
dentro di me. Vivo con lui. Anche durante le passeggiate, noi stiamo conversando
senza che nessuno ci sorprenda né possa interromperci.
La volontà di Dio è un alimento spirituale che fortifica l'anima che si abbandona a Lui
con gioia.
Ieri ho lasciato definitivamente il collegio. D'ora in poi, caro papà, voglio che tu conti
su di me in tutto. Non desidero altro che compiacerti in ogni cosa, tenerti compagnia,
consolarti. Penso di occuparmi della casa, cercando di farlo il meglio possibile.
I cuori degli uomini un giorno amano e un altro sono indifferenti. Solo Dio non
cambia.
Ho capito che nel mondo la felicità non esiste. Il suo contatto mi lascia sempre un
vuoto che solo Nostro Signore colma completamente.
So che se vado al Carmelo sarà per molto soffrire. Però la sofferenza non mi è
sconosciuta. In essa trovo la mia gioia, perché sulla croce si incontra Gesù, e Lui è
l'Amore. E che importa soffrire quando si ama?
Non temere sorellina cara. Non ci sarà mai separazione fra le nostre anime. Io vivrò
con Lui. Cerca Gesù e in Lui mi incontrerai e là tutti e tre continueremo i colloqui
intimi che dobbiamo continuare per l'eternità (Lettera alla sorella Rebecca).
Gesù non vuole che esista alcuna cosa tra Lui e me. Manifestandosi all'anima mia l'ha
talmente innamorata che solo in Lui posso trovar riposo.
Il fine della Carmelitana mi esalta: santificare se stessa affinché la linfa divina si
comunichi, per l'unione che esiste tra i fedeli, a tutti i membri della Chiesa. La
Carmelitana si immola sulla croce e il suo sangue cade sui peccatori, invocando
misericordia e pentimento. Cade sui sacerdoti, santificandoli. E tutto in silenzio, senza
che nessuno lo sappia.
Per Gesù ho preferito essere povera e lavorare. Poiché per amor mio Egli si fece
povero, io, per amor suo, desidero esserlo;
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La tenerezza del mio cuore di figlia cresce ogni giorno, papà mio, e non credere che si
estinguerà nel Carmelo, anzi, al contrario, prenderà nuove proporzioni perché si ama
disinteressatamente e in Dio.
Se tu sapessi la felicità che inonda la mia anima ad ogni istante della mia vita nascosta
in Dio! Mi sembra di aver cominciato a vivere solo il 7 maggio. Ti assicuro che tutti i
sacrifici fatti mi sembrano nulla. Viviamo ridendo e amando. Non immagini l'allegria,
la confidenza, la semplicità che regnano qui. Mi trovo nel mio centro.
La mia cella è proprio poverella, ma in essa me ne sto con Nostro Signore in intimo
colloquio cuore a cuore.
Che cosa meravigliosa è per l'anima amante passare la vita vicino al Tabernacolo!
Dopo la comunione mi sento in cielo, e dominata dall'amore infinito del mio Dio.
Per una Carmelitana la morte non ha nulla di spaventoso. Va a vivere la vita vera. Va a
cadere nelle braccia di Colui che qui in terra ha amato sopra ogni cosa. Va a
sommergersi nell'Amore in eterno. Gesù Cristo, questo folle d'amore, mi ha resa folle.
É un martirio quello che patisco vedendo che cuori capaci di essere riconoscenti alle
creature non lo sono con Colui che li sostenta, che dona loro la vita, che li sorregge,
che dà e ha dato loro tutto, fino a dare se stesso.
Occupiamoci del prossimo, di servirlo, anche se il farlo ci costa ripugnanza. In tal
modo otterremo che il trono del nostro cuore sia occupato dal suo Signore, da Dio.
Dio mi sostiene in ogni momento. Tutto ciò che vedo mi parla del suo potere infinito e
del suo amore. Unendomi al suo Essere divino mi santifico, mi perfeziono, mi
divinizzo.
L'anima unita a Dio si divinizza in tal modo che giunge a pensare, a desiderare e a
operare in conformità a Gesù Cristo.
C'è qualcosa più grande di Dio? C'è qualcosa che sia più grande di un'anima
divinizzata? Non è questa la massima grandezza a cui l'uomo possa aspirare?
Dio è amore e gioia ed Egli ce la comunica. Solo Dio basta. Fuori di Lui non c'è
felicità possibile.
"Sono felice, sono anzi la creatura più felice del mondo. Sto cominciando una vita di
cielo, di adorazione, di lode e di amore continuo...
Mi chiedi di dirti il mio parere sulla tua vocazione. Mi viene da sorridere al pensiero a
chi lo chiedi. Che fiducia puoi avere in me? Ma infine, poiché me lo chiedi, ti dirò che
a mio parere la tua missione per ora è di stare in mezzo ai tuoi. Nel frattempo puoi
essere carmelitana nel mondo. Dio vuole che lo sia. Egli fi darà la forza e la grazia ne-
cessaria per esserlo. Che in questo deserto d'amore, Gesù trovi un'oasi nella sua
Isabella. Che in queste tenebre del mondo trovi la fiamma d'amore del tuo cuore puro.
Non abbiamo altro desiderio che di glorificare Dio compiendo ogni momento la sua
divina volontà. Vivere sempre molto allegre. Dio è gioia infinita. Essere molto
indulgenti con gli altri e molto esigenti con noi stesse. L'altro giorno al riguardo dis-
sero un pensiero che mi è piaciuto molto: essere talpa con il prossimo e lince con se
stesso. Cioè, non vedere i difetti altrui, ma i propri..." (14 maggio 1919).
"Mi pare che ho cominciato a vivere il 7 maggio. Ti assicuro che tutti i sacrifici che ho
fatto sono un nulla. Con questo non voglio dire che non mi hanno comportato
sofferenza fin nell'intimo dell'anima. Tuttavia quando mi sono separata dai miei,
quando mi sono strappata dalle braccia di mia madre, Gesù mi ha aperto le sue braccia
e mi ha stretto al suo Cuore. Come è dolce vivere unita a Lui!" (maggio 1919).
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"Ti assicuro, mammina, che sento una fame, una sete insaziabile che le anime cerchino
Dio, ma lo cerchino non per timore, ma per un'illimitata confidenza nel suo Amore
divino. Quando un'anima si dona così, Gesù fa tutto, perché vede che quest'anima è
misera e incapace di ogni bene. Ma poiché la vede piena di buona volontà e priva di
fiducia in se stessa, il suo cuore amoroso si commuove e la prende a suo carico.
Abbiamo un Bambinello Gesù, che ho tenuto con me nella mia celletta per qualche
ora, dicendogli mille spropositi, perché sono pazza, ma pazza davvero. Prega per la tua
Teresita, perché è pazza piena di Dio, no?" (maggio 1919).
"Da tre giorni sono immersa nell'agonia di Nostro Signore. Mi si rappresenta in ogni
istante moribondo. Con la faccia a terra. Con i capelli rossi di sangue. Con gli occhi
lividi. Senza fattezze umane: pallido, dimagrito. Ha la tunica fino a metà del corpo. Le
spalle sono coperte da una moltitudine di lancette, che penso siano i peccati. Nelle
scapole ha due piaghe che lasciano vedere le ossa scoperte. Conficcate nel vuoto di
queste ferite le lancette gli danno un dolore orribile. Da ambedue i lati scorre il sangue
a torrenti e inonda il mondo. La Santissima Vergine sta al suo fianco, in piedi,
piangendo e implorando misericordia al Padre. Questa immagine la vedo con tale
vivezza che mi produce una specie di agonia. Non posso piangere, però mi copro tutta
di traspirazione. Le mani mi si gelano, il cuore mi duole e la stessa respirazione viene
a mancare. Con questa visione tutto mi diventa amarezza e non sento altro piacere che
di tener compagnia al Signore. Tuttavia trovo più perfetto fare tutto in silenzio senza
tradire alVesterno alcuna pena" (28 maggio).
"...Dio si comunica all'anima in maniera ineffabile in questi giorni che passo nel
cenacolo (in ritiro, n.d.r.). Quello che sento non è un amore sensibile, ma molto
interiore. Nell'orazione non posso fare riflessioni, ma è come un dormire in Dio. Sento
talmente la sua grandezza e provo tale gioia nell’anima, che mi ritrovo tutta penetrata
dalla Divinità. Tre o quattro giorni fa, stando in orazione, ho sentito come Dio sia
abbassa a me, ma con un così grande impeto d'amore che ancora un po' e non avrei
potuto resistere, poiché in quei momenti la mia anima tende a uscire dal corpo.
Tuttavia non tutto è stato godimento. La croce è stata molto pesante. Per prima cosa
dovetti tener compagnia al Signore nell'agonia. Poi mi vennero orribili dubbi di fede.
La terza prova fu la più orribile. Sentii tutto il peso dei miei peccati e i numerosi favori
e l'amore di Dio. La quarta prova fu spaventosa. Mi venne il pensiero che tutto questo
erano inganni del demonio. Furono le tenebre più orrende perché mi credevo abban-
donata da Dio. Inoltre avevo una grandissima pena, al pensiero che si notasse qualche
cosa di strano in me. Ciò mi ricolmava di amarezza perché desidero passare
inosservata".
"Prima di tutto comincerò con il ringraziarti per i tuoi regalini. Già abbiamo pregato
per te e ugualmente per Elisita e per Giacomo. Con nome e cognome li hanno
menzionati in refettorio. É naturale che all'udire il nome del "Sig. Don Giacomo" mi
sono messa a ridere ed ho pensato: "Se sapessero chi èquesto diavoletto... Molta pena
mi fa quello che mi dite sulle feste. Povera "Gordita" per quali commedie me la fate
passare. Che parti ridicole si devono rappresentare in quei saloni della società. A tua
madre scriverò. Alla Elisita fa' sapere che, anche se non le posso scrivere, prego per
lei, e lo stesso per questo innamorato di Giacomo" (22 giugno 1919).
"Quanto a ciò che mi dici del passaggio per la "Alameda", non ho potuto fare a meno
di ridere. Già ti vedo, al fine di pescare, passare in mezzo alle persone galanti, con
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atteggiamento puro, con gli occhi bassi, con il cappello calato sulla testa, con la petti-
natura di postulante e con il passo piuttosto affrettato. Non è così? Ti ripeterò sempre
che se stai in società devi cercare di piacere, prima che ad altri, a tuo padre e a tua
madre, e poi a tutti quelli che ti circondano. Fallo per Iddio". (22 luglio 1919).
"Dopo la comunione mi sento in cielo, e sono dominata dall'amore infinito del mio
Dio. A volte l'unica consolazione in quest'esilio è la comunione, nella quale mi unisco
intimamente con Lui. Provo ansie di morire per possederlo senza timore di perderlo
per il peccato. Questo desiderio mi fa fuggire anche le piccole imperfezioni, poiché
esse mi separano dall'Essere infinitamente santo. Nostro Signore a volte mi si
rappresenta interiormente e mi parla: Una settimana fa l'ho visto in agonia, ma in un
modo tale come non l'avevo ancora neppure sognato. Ho sofferto molto, perché
portavo continuamente quella immagine e mi chiese di consolarlo. Poi fu il Sacro
Cuore nel tabernacolo, con il volto assai triste. E in ultimo, il giorno del Sacro Cuore,
mi si rappresentò con tale tenerezza e bellezza, che la mia anima bruciava nel suo
amore, senza poter resistere. In quanto alle parole interiori, non faccio attenzione, se
non al buon effetto che producono in me, per non affezionarmi ad esse. Anzi cerco di
respingerle. Quanto a Dio non me lo rappresento in nessuna forma, per poter andare a
Lui nella fede..." (20 luglio 1919).
"Tua figlia carmelitana non ti dimentica neppure per un giorno. Se sapessi, papà caro,
quante volte mi trovo al tuo fianco tenendoti compagnia; quante volte al giorno
innalzo la mia supplice preghiera per chiedere al Signore consolazione per il mio caro
papà, forza per non soccombere al peso dei lavori che sostiene per i figli. Soprattutto
di notte mi pare che l'anima tua si senta abbattuta per la tristezza. Ti ricordi, papà,
quando solevi farmi confidenze di quanto ti accadeva? Ora, Nostro Signore, anche se
non l'esprime con le parole, me lo comunica ponendo nel mio pensiero la tua amata
immagine che lotta col dolore. Allora sento la necessità di chiedergli con tutte le forze
dell'anima che ti dia la rassegnazione. Papà caro, quando soffri e quando ti senti solo,
pensa che la tua figlia carmelitana ti sta vicino...". (27 luglio 1919).
"Mia carissima Luci, sai perfettamente quanto ti ami. E pur vivendo più in cielo che
sulla terra, non dimentico mai i fratellini e la mia vezzosa nipotina. Vorrei esprimerti
la mia felicità. È vero che ho dato tutto, ma sono anche arrivata a possedere il Tutto.
Se l'affetto di Cristo e tutti i suoi sacrifici per te te lo fanno amare maggiormente, che
ti dirò io quando in Dio il suo amore non ha conosciuto limiti e la sua immolazione
non può essere più grande? Vorrei consumarmi e morire molto presto per amarlo; però
il pensiero del mondo peccatore e dell'ambiente glaciale che circonda l'altare mi
trattengono... E’ necessario preparare il cuoricino della tua Licetta, affinché sia sempre
il tabernacolo di Gesù. Ora con le tue preghiere, più tardi con l'insegnamento, la
vigilanza e l'esempio. Insegnale ad amarlo sin da piccina. Ricordale sempre che c'è un
Dio che l'ama infinitamente. Io, dal mio monastero, le sto accanto. Mi sentivo così
felice quando la tenevo tra le mie braccia: vedevo nella sua anima la Santissima
Trinità. Che mistero e che contrasto: tutto il cielo in un cuore così piccino! Dalle molti
baci da parte di sua zia. L'amo tanto... A Chiro dirai che gli serbo sempre raffetto di
fratello. Prego molto perché siate sempre molto felici. Cercate sempre Dio. In Lui sta
la fonte della felicità". (29 novembre 1910).
"Gesù è runica attrattiva della mia vita. È Lui, con i suoi incanti e soavità, a farmi
dimenticare tutto. Nondimeno vi sono momenti in cui si soffre, e non sono sofferenze
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qualsiasi quelle della carmelitana; ma quando è lo stesso Gesù a crocifiggerla e a
straziarla, ci si sente felici di essere il suo giocattolo d'amore. Tu comprendi il
linguaggio della croce. In essa si compie la trasformazione dell'anima in Dio. Il meglio
è amare la volontà di Dio. Lì troveremo la croce meglio che in nessun'altra parte. Lì
cresce questo albero diritto, senza impedimenti, perché avviene senza la nostra scelta,
senza alcuna soddisfazione. Possiamo vivere in comunione con l'Amore unendoci alla
sua volontà. Che non incontri resistenza nella nostra volontà..." (novembre 1919).

CRONOLOGIA

1900 13 LUGLIO
Nasce a Santiago del Cile. Figlia di Miguel Fernàndez Jaraquemada e di Lucia Solar Armstrong.
Quinta di sette figli.
15 luglio. - Viene battezzata nella chiesa parrocchiale di Sant'Anna dal sacerdote Baldomero Grossi
col nome di Juana Fnriqueta Josefina dei Sacri Cuori. Padrino e Madrina: Salvador Ruiz-Tagle e
Rosa Fernàndez de Ruiz-Tagle. Suoi fratelli e sorelle sono: Lucia, Miguel, Luis, Juana (morta
qualche ora dopo la nascita), Rebecca e Ignacio. Soggiornò, alternativamente, nelle proprietà di
Santiago e nel podere di campagna di Chacabuco che appartenevano al nonno materno.

1906
Sin dalla sua infanzia, si rallegrava di sentir parlare di Dio. Imparò a leggere frequentando, per un
mese, di pomeriggio, il Collegio retto dalle Teresiane.

1907
Frequenta come esterna il Collegio Alameda retto dalle suore del Sacro Cuore.
13 maggio. - Morte del nonno materno, Eulogio Solar Quiroga. Nel cuore di Juanita nasce una tenera
devozione alla Santa Vergine Maria che le chiede di recitare tutti i giorni il Rosario. Per tutta la vita
ella manterrà fede a questa promessa. Insieme alla mamma comincia ad assistere regolarmente alla
messa quotidiana e, non potendo comunicarsi, come desidera e domanda, inizia a prepararsi alla sua
Prima Comunione, applicandosi a «modificare il proprio carattere". Preparata dalle suore, si
confessa per la prima volta.

1909 22 OTTOBRE
Riceve il sacramento della Cresima.

1910 11 SETTEMBRE
Dalle mani di Mons. Angel Jara riceve la Prima Comunione nella cappella del Collegio. "Giorno
senza nubi" che la segnerà definitivamente. ”Da allora mi comunicavo tutti i giorni e parlavo a
lungo con Gesù...”

1911 8 DICEMBRE
Ogni anno, dal 1911 al 1914, il giorno dell'Immacolata, Juanita è sempre in punto di morte a segnito
di diverse malattie.
Fino al 1915 - Riceve, come alunna esterna, una notevole formazione scolastica presso il Collegio
del Sacro Cuore. Emerge per la sua attenzione nei confronti degli anziani e dei bisognosi che si
spinge sino a mettere all'asta il proprio orologio, a favore d'un bambino povero. Tratta i domestici
con affetto e li cura con sollecitudine nelle loro malattie. Medesima attitudine nei confronti dei
mezzadri di Chacabuco durante i soggiorni che vi fa con la famiglia.

1914 30 DICEMBRE
È operata d'appendicite all'Ospedale San Vicente di Santiago, rischiando grosso.

1915 GENNAIO – FEBBRAIO


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Trascorre la convalescenza a Chacabuco dove si ristabilisce.
13 luglio - Anniversario: quindicesimo compleanno, confessa che Cristo l'ha "catturata".
Luglio - Entra come interna nel Collegio del Sacro Cuore, via della Maestranza (oggi via Portogallo).
10 settembre - Ha, con Madre Julia Rios, un colloquio decisivo sulla sua vocazione, le confida di
avere letto più volte la vita di Teresa di Lisieux.
8 dicembre. - Fa voto di castità e poi lo rinnova periodicamente. Promette di non "avere altro Sposo
che Gesù Cristo".

1916 GENNAIO – FEBBRAIO


Vacanze a Chacabuco. Prende parte alla Missione cittadina e non abbandona né l'orazione, né la let-
tura spirituale.
15 aprile. - Svela a sua sorella Rebecca il segreto della propria vocazione: "Voglio essere
Carmelitana. Mi ci sono impegnata l'8 dicembre". Durante il ritiro spirituale annuale, s'impegna con
un programma di vita che comprende ogni giorno orazione, esame di coscienza, e anche la pratica
dell'umiltà.

1917 GENNAIO
La lettura della Vita di Santa Teresa di Gesù l'incoraggia a essere fedele al proprio progetto
d'orazione quotidiana.
Gennaio - febbraio. - Trascorre qualche settimana di riposo a Chacabuco. Tra le decisioni prese per
l’anno, vi sono:
dimenticare se stessa,
applicarsi a far contenti gli altri,
vivere con Gesù dentro di sé e rendere piacevole la virtù.
S'impone dei sacrifici e offre la propria vita al Signore per la conversione di parecchie persone.
15 giugno. - È ammessa tra le Figlie di Maria e riceve la medaglia distintivo.
Luglio. - Legge gli Scritti di suor Elisabetta della Trinità, (Carmelitana francese, 1880 - 1906; ora
Beata.), che la incanta, poiché la sua gioia, è di vivere con Gesù nell'intimo di sé e di trasformare
tutta la propria esistenza in lode di Dio.
8 agosto. - Durante il Ritiro fa una confessione generale. Il confessore la assicura che, per grazia di
Dio, non ha commesso durante la sua vita alcun peccato mortale.
5 settembre. - Scrive una prima lettera alla priora delle Carmelitane di Los Andes. Le manifesta il
suo desiderio d'entrare in quella Comunità. Si rende presto conto che avrà grandi difficoltà da
superare per poter essere Carmelitana: scarsa salute, opposizioni famigliari, e difficoltà finanziarie
per prepararsi la dote.
20 dicembre. - Supera brillantemente gli esami e con i premi vinti, lascia l'internato per prendersi una
vacanza con i suoi.

1918
La corrispondenza con Madre Angelica si intensifica e aumenta pure il desiderio d'essere Carmeli-
tana.
Gennaio - febbraio. - Vacanze spensierate a Algarrobo.
12 marzo. - Rientra all'internato. Per molti mesi soffre a causa di prove interiori: abbandono
spirituale, svogliatezza, aridità...
7 agosto. - Ultimo Ritiro spirituale all'internato. Prende la risoluzione di comunicarsi, di fare l'esame
di coscienza e l'orazione mentale ogni giorno, di sforzarsi a compiere in tutto la volontà di Dio.
12 agosto. - Lascia per sempre l'internato proponendosi di avere carattere e di non lasciarsi guidare
dal rispetto umano né dal sentimento, ma dalla ragione e dalla coscienza. Juanita si reca a casa della
sorella Lucia che è sposata e si sforza di compiacere tutti e di sacrificarsi per tutti, ad ogni istante.
7 settembre. - Scrive a Madre Angelica chiedendo di essere ammessa nella sua Comunità. Per lettera
la Madre risponde affermativamente.
Novembre. - Legge il Cammino di Pefezione di Santa Teresa di Gesù. Trascorre una ventina di giorni
di riposo a Cuanco nella proprietà dei cugini. Per parecchie settimane, è assalita da dubbi: deve
essere Carmelitana o suora del Sacro Cuore? I dubbi sono fugati dai colloqui coi suoi direttori
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spirituali.

1919 11 GENNAIO
Visita con la mamma le Carmelitane di Los Andes. Rientra a casa decisa ad essere una di loro.
14 gennaio - 7 marzo - Soggiorna nella proprietà San Pablo (vicino a San Javier de Loncomilla).
Senza trascurare le incombenze domestiche, collabora alla Missione cittadina, istruisce i bambini nel
catechismo, insegna loro diverse materie scolastiche e li diverte organizzando recite, giochi e
tombole.
7 marzo - Ritorna a Santiago. Trascorre qualche giorno di riposo a Bucalemu, nella proprietà degli
zii.
25 marzo - Scrive al papà una lettera commovente per domandargli l'autorizzazione d'essere
Carmelitana.
6 aprile. - Riceve la risposta affermativa del papà.
Dal 7 al 15 aprile. - Soggiorna nella proprietà dei cugini Valdés-Ossa a Cuanco.
Marzo - maggio. - Durante questo periodo, Juanita perviene all'apice della felicità e del dolore La
felicità perché il suo ideale di essere tutta di Dio presto si realizzerà, e il martirio il più lacerante
perché deve separarsi dai suoi genitori e dai suoi fratelli e sorelle.
7 maggio. - Entra dalle Carmelitane di Los Andes. Cambia il suo nome e si chiamerà suor Teresa di
Gesù.
8 maggio. - Scrive dal Monastero la sua prima lettera. Si tratta di una eloquente testimonianza del
suo amore filiale e della felicità che la inonda. Nascosta nella clausura, dà prova tuttavia di un senso
apostolico intenso, non soltanto attraverso la fecondità misteriosa del sacrificio e della preghiera, ma
anche attraverso le sue lettere.
14 ottobre. - Vestizione monastica come Carmelitana scalza. Inizia il noviziato. Ormai, scriverà di
meno, ma saranno lettere più affettuose e debordanti di umanità. Queste lettere provano in modo
eccellente che i santi non sono esseri strani e folli, ma persone di un grande equilibrio e solidità. In
Dio, "Suo centro e sua dimora", Teresa condivide la stabilità e la gioia di Colui che è l'Immutabile e
ella vive in pienezza la condizione umana. Anche la morte non ha niente di spaventoso per lei perché
ella sapeva che morire, èinabissarsi definitivamente in Dio per vivere tra le sue braccia amanti.

1920 PRIMI GIORNI DI MARZO


Afferma che morirà fra un mese.
2 aprile. - Si ammala gravemente di tifo.
5 aprile. - Domanda gli ultimi Sacramenti e li riceve con grande fervore.
6 aprile. - Esprime, benché ancora novizia, il desiderio di pronunciare i Voti religiosi prima di morire
e rinnova con gioia ed emozione la propria formula di consacrazione al Signore.
7 aprile. - Ultima Comunione di suor Teresa di Gesù.
12 aprile. - Alle ore 19 e 15, si spegne santamente. Aveva diciannove anni e nove mesi, di cui
soltanto undici mesi vissuti come Carmelitana!
14 aprile. - Funerale e sepoltura alla presenza di una numerosissima folla. "Suor Teresa di Gesù farà
in fretta dei miracoli", afferma il Padre Juliàn Cea, c.m.f qualche giorno dopo la morte, e la sua
previsione fu pienamente giustificata. Da allora, un numero incalcolabile di persone attribuiscono
alla intercessione di Suor Teresa di Gesù grazie e favori di ogni genere.

1940 17 OTTOBRE
Traslazione dei resti mortali nel sepolcro ricavato nel pavimento del Coro del Monastero di Los
Andes.

1947 20 MARZO
Apertura del processo diocesano in previsione della beatificazione. Il processo fu portato a termine il
14 marzo 1971.

1976
La Sede Apostolica decide di aggiungere al processo diocesano, una ulteriore indagine chiamata
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processo cognitionis aperto ufficialmente il 17 novembre per completare e arricchire il precedente.
La sessione di chiusura fu celebrata il 18 marzo 1978.

1986 22 MARZO
Terminate le normali formalità del processo di beatificazione, in Vaticano viene firmato il decreto di
riconoscimento e di approvazione delle virtù eroiche della Serva di Dio. Ora Teresa di Gesù di Los
Andes ha il titolo di Venerabile.

1987 5 APRILE
Davanti ad una folla di più di trecentomila fedeli, Giovanni Paolo Il la beatifica solennemente a San-
tiago del Cile.
18 ottobre. - La Monache Carmelitane Scalze di Los Andes si trasferiscono nel nuovo Monastero di
Auco. Portano con loro i resti di Teresa di Gesù che depongono nella piccola cappella,
provvisoriamente, nell'attesa che vengano ultimati i lavori della costruzione del nuovo Santuario di
Auco.

1988 11 DICEMBRE
Inaugurazione della cripta del nuovo Santuario e traslazione dei resti della Beata Teresa di Gesù di
Los Andes.
13 dicembre. - Dedicazione solenne del Santuario a Nostra Signora del Monte Carmelo, con
Vassistenza del Delegato di Sua Santità, il cardinale Juan Francisco Fresno, di Mons. Raùl Silva
Henrique e della Conferenza Episcopale Cilena al completo. Il Rito è presieduto dal vescovo
diocesano, Monsignor Manuel Camilo Vial.

1991 12 GIUGNO
Dopo sei mesi di lavoro, il tribunale che esamina la causa di Marcela Antunez Riveros trasmette gli
atti del processo alla Congregazione per le cause dei santi a Roma. La giovane Marcela aveva
sofferto d'asfissia d'immersione il 7 dicembre 1978, restando almeno cinque minuti sott'acqua. Le sue
compagne e una delle assistenti la raccomandano all'intercessione della Beata Teresa di Gesù di Los
Andes. La guarigione fu quasi istantanea e non le rimase la benché minima conseguenza.

1992 7 GIUGNO
In conformità al parere dei medici e dei teologi, che non trovano una spiegazione naturale alla pronta
guarigione della piccola Marcela Antùnez Riveros, la Congregazione dei vescovi e dei cardinali
approva il caso come valido per procedere alla canonizzazione della Beata Teresa di Gesù di Los
Andes. L'11 luglio viene promulgato il decreto corrispondente.

1993 21 MARZO
All'interno della Basilica di San Pietro a Roma alla presenza di circa cinquemila Cileni provenienti
dalla madre patria e da diversi punti dell'Europa, Giovanni Paolo Il proclama solennemente Santa, la
Beata Teresa di Gesù di Los Andes. È la prima Santa Cilena e la prima Santa Carmelitana
Americana. Celebrava col Santo Padre la quasi totalità della Conferenza Episcopale Cilena.

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