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ASPETTI GEOMORFOLOGICI,
METODI DI STUDIO E DISTRIBUZIONE
IN ITALIA
Francesco Dramis
Dipartimento di Scienze Geologiche
Università degli Studi “Roma Tre”
I fenomeni franosi Francesco Dramis
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Francesco Dramis I fenomeni franosi
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Haeberli, 1998; Dramis et al., 1995 b; sta avviene con maggiore velocità,
Harris et al., 2003); come ad esempio nel caso di alcune
- le azioni antropiche: scavo alla base di colate di terra.
un pendio; rapido sovraccarico di un
versante per accumulo di materiali; infil- - Attività intermittente - L’evoluzione
trazione concentrata di acqua nel sotto- avviene “a scatti”, con periodi di stasi,
suolo (come nel caso della rottura di generalmente lunghi, e brevi fasi di atti-
acquedotti o fognature). vità parossistica. Tale comportamento è
comune alla maggior parte dei fenome-
ni franosi lenti del tipo scorrimento e
3. STATO DI ATTIVITÀ DEI colata. La durata dei tempi di evoluzio-
ne è generalmente maggiore nel caso
FENOMENI FRANOSI di frane profonde di grandi dimensioni.
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I fenomeni franosi Francesco Dramis
vi quei fenomeni tuttora in grado di evolvere ci (Rib & Liang, 1978; Dikau et al., 1996;
sotto l’azione dello stesso agente che ne ha Dramis & Bisci, 1998), evidenze superficiali di
determinato la genesi (Dramis & Bisci, 1998). valore diagnostico per ciascuna tipologia di
Al contrario, vengono definiti inattivi quegli fenomeno che contraddistinguono i diversi
elementi morfologici (forme e depositi) i cui settori della frana, suddivisi secondo le defi-
agenti genetici non sono più presenti nell’a- nizioni di Dikau et al. (1996):
rea e che richiederebbero modificazioni
ambientali di notevole entità (quali forti - coronamento (crown) - la porzione del
variazioni climatiche o movimenti tettonici o versante ancora in posto, immediata-
gladio-eustatici di grande ampiezza) per mente adiacente al bordo superiore
poter tornare ad intervenire efficacemente. della scarpata principale;
Dato che, a differenza di quanto può - scarpata principale (main scarp) -
avvenire per altri agenti morfogenetici superficie ripida di materiale indisturbato
(acque correnti incanalate, ghiacciai, moto al margine superiore della frana prodot-
ondoso lungo la costa), l’attrazione gravita- ta dal movimento gravitativo;
tiva, agente genetico principale dei feno- - fianchi (flanks) - materiale in posto
meni franosi, è sempre presente nell’area di immediatamente ai lati della frana e
studio, e tenuto conto delle forti variazioni delimitato dalla superficie di rottura,
nel tempo degli agenti innescanti meteoro- spesso in forma di scarpata;
logici e sismici, oltre che del potenziale - testata (head) - la porzione superiore del
impatto antropico, risulta quasi sempre scor- corpo di frana, prossima al contatto con
retto assegnare ad una frana una condizio- la scarpata principale;
ne di inattività, tranne nel caso che tutta la - corpo principale (main body) - la porzio-
sua massa coinvolta realmente esaurito ogni ne di materiale in frana compresa tra la
possibilità di movimenti verso il basso. scarpata principale e il piede);
- piede (foot) -.la porzione di frana che,
avendo superato il limite inferiore della
superficie di rottura, ricopre la superficie
4. METODI DI STUDIO DELLE del terreno antistante);
FRANE - unghia (toe) – il margine inferiore, gene-
ralmente curvo, del materiale franato.
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I fenomeni franosi Francesco Dramis
- scarpate e gradini dai bordi netti; passati. Tale tipo di studio, pur consentendo
- fratture beanti e trincee senza (o con spesso di datare con buona precisione alcu-
poco) materiale di riempimento; ne fasi di attività dei fenomeni, presenta due
- gradini secondari e rughe di pressione limiti di cui è importante tenere conto: innan-
diffusi; zitutto l’evento documentato non è necessa-
- superfici di scorrimento “fresche”, levi- riamente l’ultimo avvenuto (facendo così
gate e percorse da striature; sovrastimare i tempi di riattivazione) ed inoltre
- drenaggio superficiale “sconnesso” con non sarà quasi mai possibile trovare testimo-
ristagni d’acqua; nianze di eventi non catastrofici (ponendo
- assenza di copertura vegetale tranne così un limite all’applicabilità del metodo).
rare piante a rapida crescita; Ai fini della determinazione dell’età del-
- alberi inclinati; l’ultimo periodo attivo, soprattutto nel caso
- nette differenze nelle forme superficiali di fenomeni caratterizzati da riattivazioni
(rugosità, tessitura) rispetto alle aree periodiche molto distanti nel tempo (preva-
adiacenti sullo stesso versante. lentemente fenomeni connessi all’attività
sismica o con eventi meteorici estremi a
Al contrario, una frana ferma da lungo lungo periodo di ritorno), possono risultare
tempo mostra gli aspetti seguenti: utili anche datazioni assolute (metodi radio-
- scarpate e gradini dai bordi smussati; metrici, ecc.) o relative (su base stratigrafica,
- fratture beanti e trincee riempite di pedologica, paleomagnetica ecc.), da
materiale secondario; effettuare sui depositi di accumulo e sui
- gradini secondari e rughe di pressione materiali soprastanti e sottostanti.
assenti o “cancellati”; In definitiva, per una descrizione ottimale
- superfici di scorrimento alterate e vege- dell’attività di un fenomeno, sarebbe neces-
tate; sario disporre dei seguenti elementi principali:
- drenaggio superficiale “integrato” 1) stato di attività (attivo s.s., quiescente,
anche se con pattern irregolare e inattivo, fossile);
depressioni riempite di sedimenti secon- 2) tipo di attività (continua, intermittente,
dari; alternata, unica);
- presenza in superficie di suolo e di 3) datazione dell’inizio dell’attività;
copertura vegetale naturale o coltivata; 4) datazione della fine dell’attività (per i
- alberi a sviluppo verticale più recenti fenomeni inattivi) o dell’ultima attiva-
accanto a quelli più vecchi, inclinati e zione (per i fenomeni quiescenti);
raddrizzati; 5) tempi di ritorno (per i fenomeni ad atti-
- poche (o nessuna) differenze riconosci- vità intermittente o alternata).
bili tra l’area interessata dalla frana e
quelle adiacenti sullo stesso versante e Tale criterio di classificazione, data la
difficoltà a definirne i limiti (specie sul ter- mole di dati richiesti per la sua attuazione e
reno). le difficoltà del loro reperimento, è applica-
bile soprattutto a studi di estremo dettaglio
In molti casi, tuttavia, l’osservazione diret- su singoli fenomeni di particolare interesse. E’
ta non fornisce dati sufficienti a stabilire con quindi necessario adottare schemi che, pur
accettabile certezza lo stato di attività dei agevolando il processo di classificazione,
fenomeni, per cui si rendono necessarie ulte- consentano di definire con sufficiente chia-
riori indagini. Tra queste possono essere ricor- rezza lo stato di attività dei singoli fenomeni
dati i confronti con carte o fotografie realiz- riconosciuti.
zate in epoche diverse; infatti la presenza Ovviamente, per quanto riguarda i feno-
attuale di fenomeni che nei documenti più meni la cui attività si realizza in un evento
antichi erano assenti o meno sviluppati, con- unico, non ha senso parlare di stato di atti-
sente di stabilire che l’ultima attivazione è vità (a rigore è attivo in occasione dell’e-
avvenuta in un tempo compreso tra la rea- vento e successivamente inattivo) né di
lizzazione della carta o della fotografia ed il tempi di ritorno, valutazioni che si possono,
momento del rilevamento. tuttavia, correttamente applicare alle scar-
Altre indagini che possono assumere in pate o ai versanti dai quali prendono origine
alcuni casi una notevole importanza sono i movimenti gravitativi.
quelle storiche, consistenti in ricerche di Nel rilevamento geomorfologico si dovrà
archivio di documenti testimonianti eventi innanzitutto determinare per ciascun feno-
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meno il suo stato fondamentale di attività modificazioni a medio termine del paesag-
(attivo s.l. o inattivo) sulla base dei criteri gio. Il secondo limite, corrisponde all’incirca
esposti in precedenza. all’inizio, sia pure in forma sporadica, della
I fenomeni giudicati attivi andranno quin- pratica di registrazione di eventi catastrofici
di suddivisi in base al loro tempo medio di e del rinnovato interesse per i fenomeni
ritorno; per tali fenomeni potremo, ad esem- naturali.
pio, utilizzare le seguenti classi: Il criterio di classificazione qui discusso,
a) continui seppure semplificato rispetto a quello otti-
b) stagionali (tempi di ritorno minori di 1 male, permette comunque una accettabile
anno); valutazione dell’evoluzione geomorfologica,
c) frequenti (tempi di ritorno compresi tra passata ed in atto, dell’area di studio.
1 e 10 anni); Dal punto di vista della pratica cartografi-
d) a medio termine di ricorrenza (tempi di ca (Dramis & Bisci, 1998), i diversi stati fonda-
ritorno compresi tra 10 e 100 anni); mentali di attività rilevati (fenomeno attivo o
e) a lungo termine di ricorrenza (tempi di inattivo) andranno rappresentati tramite due
ritorno compresi tra 100 e 1000 anni); sfumature differenti del colore indicativo del-
f) a lunghissimo termine di ricorrenza l’agente morfogenetico principale respon-
(tempi di ritorno maggiori di 1000 anni). sabile dell’evoluzione del fenomeno, con
modalità del tutto analoghe a quelle propo-
Secondo le definizione date in preceden- ste da buona parte delle legende geo-
za, le prime due classi raggruppano i feno- morfologiche italiane (Panizza, 1972;
meni attivi s.s. mentre le altre comprendono Pellegrini, 1975; Dramis et al., 1979; GNGFG.,
i fenomeni che si possono definire quiescen- 1986 e 1994).
ti. Questi ultimi potranno essere distinti in Per la rappresentazione grafica delle
base al tempo trascorso dall’ultima fase di diverse classi di tempo di ritorno (fenomeni
attività fino al momento del rilevamento; attivi) o di età di ultima attivazione (fenome-
tale stima consentirà di inquadrare il feno- ni inattivi), al fine di non complicare troppo
meno in una delle seguenti classi: la lettura della carta, si propone di apporre
a) attuale (minore di 200 anni) in prossimità del simbolo relativo al fenome-
b) recente (200 – 1000 anni) no, una lettera corrispondente alla situazio-
c) dell’Olocene antico (1000 – 10.000 ne rilevata.
anni) In rilevamenti di minor dettaglio (come è
d) del Pleistocene superiore-medio in genere il caso di quelli estesi su aree assai
(10.000 – 700.000 anni) ampie e finalizzati alla produzione di docu-
e) del Pleistocene inferiore (700.000 anni menti cartografici a grande scala) è ancora
– 2.000.000 di anni) possibile passare ad ulteriori semplificazioni.
f) pre-Quaternario (maggiore di 2.000.000 Una prima possibilità deriva da una schema-
di anni) tizzazione del metodo sopra descritto, in cui
ci si limita alla divisione in fenomeni attivi s.s.,
Quest’ultima suddivisione ha il vantaggio quiescenti ed inattivi, senza specificare il
di non richiedere in genere lunghi tempi e tempo di ritorno medio (per le prime due
gravi difficoltà per la sua realizzazione. Essa classi) e l’età dell’ultima attivazione (per le
può essere applicata anche ai rari fenomeni ultime). Le carte così realizzate, pur nella loro
ormai inattivi, qualora si voglia collocare nel semplicità, potranno comunque fornire indi-
tempo la loro ultima attivazione.
cazioni di massima non trascurabili.
A parte i limiti di intervallo di significato
Dal punto di vista puramente cartografi-
geologico, quelli di 200 e 1000 anni non sono
co questa soluzione offre il vantaggio che
puramente arbitrari, ma sono stati scelti sulla
tali carte potranno comunque in seguito
base di motivazioni pratiche. Il primo com-
essere trasformate nella versione di maggior
prende gli ultimi importanti episodi della pic-
dettaglio (dopo un nuovo e più accurato
cola età glaciale (ovverosia, gli ultimi impor-
rilevamento) semplicemente aggiungendo
tanti cambiamenti climatici) e corrisponde
per ciascun fenomeno un’opportuna lettera
all’inizio della “storia contemporanea”
dell’alfabeto, senza per questo dover neces-
(Castiglioni, 1989). Inoltre, a tale periodo
vanno riferite le prime carte topografiche sariamente ridisegnare il tutto (o, nel caso
pubblicate nel nostro paese che, nonostan- auspicabile di una informatizzazione dei
te l’incompletezza dei dettagli, costituiscono dati, modificare sostanzialmente la banca
tuttavia un’utile base per valutazioni sulle dati georeferenziata).
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frane si manifestano anche sui versanti 2000, Piemonte-Valle d’Aosta 2000), respon-
generati da faglie normali o da tettonica sabile di un gran numero di vittime oltre che
compressiva (Dramis et al., 1995; Crescenti di pesantissimi danni, il governo italiano ha
et al., 1994; Dramis & Sorriso-Valvo, 1994; emesso il Decreto n. 365/2000, noto come
Dramis et al., 1995 e 2002). Molti di questi “Decreto Soverato” per effetto del quale le
fenomeni sono contraddistinti da una evolu- Autorità di Bacino sono tenute a investire
zione “a scatti”, con brevi fasi di riattivazio- risorse finanziarie per realizzare inventari
ne, legate all’incidenza di fattori di innesco delle frane, modelli di ricorrenza (30, 50, 200
sismico o meteorologici, e lunghi intervalli di anni) di eventi meteorici innescanti e carto-
inattività. Nelle valli alpine, il ritiro dei ghiac- grafie di dettaglio dei dissesti con l’obiettivo
ciai pleistocenici e la conseguente perdita di valutare i livelli di rischio delle aree costrui-
di supporto laterale ai versanti hanno deter- te e di quelle di futuro sviluppo.
minato condizioni particolarmente favorevo-
li all’attivazione di frane in materiali morenici
e nel substrato, specialmente dove quest’ul-
timo era fratturato dalla tettonica o defor-
mato dalla pressione glaciale (Panizza,
1973). Negli ultimi anni, è stato inoltre messo
in evidenza il ruolo della degradazione del
permafrost nell’innesco di frane in alta mon-
tagna (Dramis et al., 1995 b; Harris et al.,
2003).
Il rischio da frana, che spesso coinvolge
vite umane, è reso particolarmente elevato
dall’alta densità della popolazione presente
nelle valli montane o concentrata in insedia-
menti urbani posti alla sommità di rilievi colli-
nari modellati in rocce tenere. Singole abita-
zioni, villaggi e, talora, interi insediamenti
urbani sono ubicati in area ad alto livello di
pericolosità, quali corpi di frana quiescenti o
conoidi alluvionali messi in posto da ricorren-
ti fenomeni di colate di detrito, terra o fango.
Le ragioni di queste ubicazioni improprie
sono da ricercare, solo in parte, in scelte
erronee fatte nel lontano passato, ma sono
più spesso legate a piani di sviluppo più
recenti, spesso realizzati nella totale ignoran-
za dei possibili condizionamenti ambientali
e, talora, in modo del tutto abusivo. Inoltre, i
ripetuti condoni edilizi, hanno avuto come
risultato il semplice trasferimento delle
responsabilità finanziarie dai costruttori alla
comunità nazionale.
Secondo un rapporto del Ministero dei
Lavori Pubblici, nel periodo 1945-90, le frane
hanno fatto 2447 vittime. Tra gli eventi cata-
strofici più recenti sono ben noti quelli del
Vajont (Müller, 1964), della Valpola (Dramis et
al., 1995b) e di Sarno (Celico & Guadagno,
1998; Guadagno & Perriello Zampilli, 2000).
Nel 1970 vennero dichiarati ufficialmente
instabili 1804 centri e 304 di questi furono
obbligatoriamente evacuati.
Dopo la catastrofica sequenza di alluvio-
ni e frane dell’ultimo decennio (Piemonte
1994, Versilia 1996, Sarno 1998, Soverato
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Scorrimento planare in detriti fini (mudslide). Il fenomeno si è verificato in Etiopia (Sidamo), per effetto di precipitazioni
intense e prolungate che hanno mobilitato la copertura alteritica di rocce vulcaniche (Temesgen et al., 1999).
Scorrimento in blocco (block slide) riattivato in Irpinia dal terremoto del 1980 (Dramis et al., 1982).
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Espandimento laterale (lateral spreading) alla sommità di Monte Frascare (Marche), dovuto alla sovrapposizione di cal-
cari (scaglia bianca e rosata) a marne (marne a fucoidi), disposti in giacitura suborizzontale. Alcune delle trincee visibili
in primo piano sembra abbiano subito un sensibile allargamento dopo il terremoto umbro del 1997 (B. Gentili, comuni-
cazione personale).
Colata detritica veloce (debris flow) nel Torrente Colognati (Calabria ionica stettentrionale).
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Accumulo frontale (e danni) di una colata detritica incanalata, innescata in Val d’Aosta dall’evento meteorico del 2000
(Dramis et al., 2002).
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frattura aperta sul versante occidentale di Monte Fema (Marche). Testimoni locali hanno riferito che la frattura si sareb-
be allargata in occasione del terremoto di Norcia del 1979.
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Valanga di detrito (debris avalanche) nel Torrente Colognati (Calabria ionica stettentrionale): il fenomeno è iniziato come
scorrimento in detriti (debris slide) evolvendo immediatamente in flusso detritico ad alta velocità.
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