DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
7
Il Datore di lavoro
Obblighi delegabili:
Tutti gli altri previsti dalla normativa vigente.
8
Il Dirigente
9
Il Dirigente
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Il Preposto
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Preposti
Obblighi:
a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli
lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni
aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei
mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione
individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della
inosservanza, informare i loro superiori diretti;
b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate
istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e
specifico;
c) richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle
situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni
affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e
inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
Continua
12
Preposti
13
Il Lavoratore
14
Gli altri soggetti
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Informazione, Formazione e Addestramento
16
Informazione, Formazione e Addestramento
17
Informazione ai lavoratori
Oggetto:
a) sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività
dell’impresa in generale;
b) sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta
antincendio, l'evacuazione dei luoghi di lavoro;
c) sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure
relative alle procedure di cui al punto b;
d) sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio
di prevenzione e protezione e del medico competente;
e) sui rischi specifici cui e' esposto in relazione all'attività svolta, le
normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;
f) sui pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati
pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla
normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;
g) sulle misure e le attività di protezione e prevenzione
adottate.
18
Informazione ai lavoratori
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Formazione dei lavoratori
Oggetto:
20
Formazione dei lavoratori
Deve avvenire:
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Documento di valutazione dei rischi (1)
22
Documento di valutazione dei rischi (2)
23
Documento di valutazione dei rischi (3)
Va rielaborato quando:
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Le sanzioni
Definizioni (art.62)
Si intendono per luoghi di lavoro:
a) i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno
dell'azienda o dell'unita' produttiva, nonché ogni altro luogo
di pertinenza dell'azienda o dell'unita' produttiva accessibile
al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro;
b) i campi, i boschi e altri terreni facenti parte di un'azienda
agricola o forestale.
Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano:
a) ai mezzi di trasporto;
b) ai cantieri temporanei o mobili;
c) alle industrie estrattive;
d) ai pescherecci.
Luoghi di lavoro
Articolo 66
Lavori in ambienti sospetti di inquinamento
I. È vietato consentire l'accesso dei lavoratori in
pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale
in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia
possibile il rilascio di gas deleteri, senza che sia stata
previamente accertata l'assenza di pericolo per la vita e
l'integrità fisica dei lavoratori medesimi, ovvero senza previo
risanamento dell'atmosfera mediante ventilazione o altri
mezzi idonei. Quando possa esservi dubbio sulla pericolosità
dell'atmosfera, i lavoratori devono essere legati con cintura di
sicurezza, vigilati per tutta la durata del lavoro e, ove occorra,
forniti di apparecchi di protezione. L'apertura di accesso a
detti luoghi deve avere dimensioni tali da poter consentire
l'agevole recupero di un lavoratore privo di sensi.
All’art. 68 sono previste le sanzioni per il datore di lavoro.
Titolo III: Uso delle attrezzature
di lavoro e dei dispositivi di
protezione individuale
Uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di
protezione individuale
35
I Dispositivi di Protezione Individuale: DPI
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I Dispositivi di Protezione Individuale: DPI
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I Dispositivi di Protezione Individuale: DPI
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I Dispositivi di Protezione Individuale: DPI
A tale fine il datore di lavoro esegue una valutazione dei rischi di cui
al precedente comma 1, tenendo in considerazione:
a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro, ivi
comprese eventuali interferenze;
b) i rischi presenti nell'ambiente di lavoro;
c) tutte le condizioni di esercizio prevedibili.
A seguito della valutazione del rischio elettrico il datore di lavoro
adotta le misure tecniche ed organizzative necessarie ad eliminare o
ridurre al minimo i rischi presenti, ad individuare i dispositivi di
protezione collettivi ed individuali necessari alla conduzione in
sicurezza del lavoro ed a predisporre le procedure di uso e
manutenzione atte a garantire nel tempo la permanenza del livello di
sicurezza raggiunto con l'adozione delle misure di cui al comma 1.
Impianti ed apparecchiature elettriche
Nel titolo VII (artt. 172-179, allegato XXXIV) le variazioni significative rispetto alla
precedente normativa inserita all’interno del D.Lgs 626/94 sono le seguenti:
computer portatili (art. 172): considerati a pieno titolo come attrezzature
munite di videoterminale (prima erano esclusi se utilizzati in misura “non prolungata”);
pause o interruzioni dall’attività (art. 175): l’obbligo di pause o interruzioni
nel D.Lgs. 626/94 scattava solo per il lavoratore che svolgeva la propria attività a
videoterminale per 4 ore consecutive; nel nuovo testo unico invece la pausa o
l’interruzione devono essere effettuate dal videoterminalista ( “lavoratore che utilizza
un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore
settimanali, dedotte le interruzioni”) se trascorrono 2 ore di applicazione continuativa;
il lavoratore videoterminalista (art. 176) può chiedere visita al medico competente
anche fuori dalla periodicità delle visite, se ritiene di avere problemi alla vista ed agli
occhi o all’apparato muscolo-scheletrico dovuti all’utilizzo di videoterminale:
nella progettazione del posto di lavoro (allegato XXXIV) bisogna tener conto
delle caratteristiche antropometriche del lavoratore;
se c’è un poggiapiedi (necessario solo nei casi in cui non si riesca a far
raggiungere una postura adeguata agli arti inferiori) esso non si deve spostare
involontariamente durante l’utilizzo (allegato XXXIV);
in caso di utilizzo prolungato di computer portatili (allegato XXXIV) sono
necessarie le forniture di un mouse e di una tastiera esterna e di un idoneo
supporto che consenta il corretto posizionamento dello schermo
Attrezzature munite di videoterminale
Nel titolo VIII (artt. 180-220, allegati XXXV-XXXVII) si parla di agenti fisici
specifici che sono il rumore, ultrasuoni, infrasuoni (capo II) , vibrazioni (capo III),
campi elettromagnetici (capo IV), radiazioni ottiche (capo V), microclima,
atmosfere iperbariche. Di seguito le variazioni significative rispetto alla
preesistente normativa .
Tutte le valutazioni sugli agenti fisici (art. 181) devono essere
effettuate con cadenza almeno quadriennale da personale qualificato
in possesso di specifiche conoscenze in materia.Vanno rifatte prima della
scadenza in caso di modifiche sostanziali del ciclo produttivo o se i risultati
della sorveglianza sanitaria ne rendano necessaria una revisione. Da considerare
anche la presenza di gruppi particolarmente sensibili agli agenti fisici (art. 183)
come donne in gravidanza e/o minori.
Rumore: diviene obbligatorio (art. 192, comma 2) applicare un
programma di misure tecniche ed organizzative volte a ridurre l’esposizione
a rumore se i lavoratori superano i valori inferiori di azione (80 decibel). Nella
precedente normativa, il D.Lgs 195/06 recepito all’interno del D.Lgs 626/94,
l’obbligo partiva dal superamento del valore superiore di azione (85 decibel).
Vibrazioni: scende da 1,15 m/s2 a 1,0 m/s2 il valore limite di azione
(“l’inizio del rischio”) per le attrezzature che espongono.Vengono inoltre
introdotti nuovi valori limite per “brevi periodi di tempo” (non meglio
specificati) di utilizzo di attrezzature o mezzi che espongono a vibrazioni.
Continua
Agenti fisici
Continua
Agenti fisici
Nel titolo IX si parla di agenti chimici (capo I), agenti cancerogeni e mutageni
(capo II), amianto (capo III). Di seguito le variazioni significative rispetto alla
preesistente normativa: rischio “moderato” (art. 224) il rischio
moderato diventa “rischio basso per la sicurezza ed irrilevante per
la salute”, aggiungendo una nuova variabile ad una definizione su cui da
anni ci sono polemiche e discussioni. Il rischio basso per la sicurezza ed
irrilevante per la salute esclude l’obbligo di sorveglianza sanitaria da parte del
medico competente per tale fattore di rischio. Sorveglianza sanitaria: la
sorveglianza sanitaria, in caso di rischio “non basso per la sicurezza
e/o non irrilevante per la salute” (ex rischio superiore al moderato) deve
essere effettuata in caso di esposizione ad agenti chimici molto tossici, tossici,
nocivi, sensibilizzanti, corrosivi, irritanti, tossici per il ciclo riproduttivo,
cancerogeni e mutageni di categoria 3, amianto: di fatto applicabile
alle sole lavorazioni che comportano per i lavoratori rischi da
esposizione ad amianto (manutenzione, rimozione dell’amianto o dei
materiali contenenti amianto), smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti,
bonifica). Nessuna variazione rispetto alle precedenti normative
Sostanze pericolose
Definizioni (art.222)
Ai fini del presente capo si intende per:
a) agenti chimici: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo
stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante
qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no
sul mercato;
b) agenti chimici pericolosi:
1) agenti chimici classificati come sostanze pericolose ai sensi del decreto legislativo 3
febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni, nonché gli agenti che corrispondono ai
criteri di classificazione come sostanze pericolose di cui al predetto decreto. Sono escluse
le sostanze pericolose solo per l'ambiente;
2) agenti chimici classificati come preparati pericolosi ai sensi del decreto legislativo 14
marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni, nonché gli agenti che rispondono ai criteri di
classificazione come preparati pericolosi di cui al predetto decreto. Sono esclusi i preparati
pericolosi solo per l'ambiente;
3) agenti chimici che, pur non essendo classifi-cabili come pericolosi, in base ai numeri 1) e
2), possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro
proprietà chimico-fisiche, chimiche o tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o
presenti sul luogo di lavoro, compresi gli agenti chimici cui e' stato assegnato un valore
limite di esposizione professionale;
c) attività che comporta la presenza di agenti chimici: ogni attività lavorativa in cui sono
utilizzati agenti chimici, o se ne prevede l'utilizzo, in ogni tipo di procedimento, compresi la
produzione, la manipolazione, l'immagazzinamento, il trasporto o l'eliminazione e il
trattamento dei rifiuti, o che risultino da tale attività lavorativa;
Continua
Sostanze pericolose
Definizioni (art.222)
d) valore limite di esposizione professionale: se non diversamente
specificato, il limite della concentrazione media ponderata nel tempo
di un agente chimico nell'aria all'interno della zona di respirazione di
un lavoratore in relazione ad un determinato periodo di riferimento;
un primo elenco di tali valori e' riportato nell'allegato XXXVIII;
e) valore limite biologico: il limite della concentrazione del relativo
agente, di un suo metabolita, o di un indicatore di effetto,
nell'appropriato mezzo biologico; un primo elenco di tali valori e‘
riportato nell'allegato XXXIX;
f) sorveglianza sanitaria: la valutazione dello stato di salute del singolo
lavoratore in funzione dell'esposizione ad agenti chimici sul luogo di
lavoro;
g) pericolo: la proprieta' intrinseca di un agente chimico di poter
produrre effetti nocivi;
h) rischio: la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle
condizioni di utilizzazione o esposizione.
Sostanze pericolose
Sanzioni
Le sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente sono definite nell’art. 262,
per il preposto nell’art. 263, per il medico competente nell’articolo 264.
Per i lavoratori le sanzioni sono definite nell’art. 265:
I lavoratori sono puniti con l'arresto fino a quindici giorni o con l'ammenda
da 100 a 400 euro per la violazione dell'articolo 240, comma 2 (Qualora si
verifichino eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare
un'esposizione anomala dei lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni, il
datore di lavoro adotta quanto prima misure appropriate per identificare e
rimuovere la causa dell'evento e ne informa i lavoratori e il rappresentante
per la sicurezza. I lavoratori devono abbandonare immediatamente l'area
interessata, cui possono accedere soltanto gli addetti agli interventi di
riparazione ed ad altre operazioni necessarie, indossando idonei indumenti
protettivi e dispositivi di protezione delle vie respiratorie, messi a loro
disposizione dal datore di lavoro. In ogni caso l'uso dei dispositivi di
protezione non può essere permanente e la sua durata, per ogni
lavoratore, e' limitata al tempo strettamente necessario).
Titolo X: Esposizione ad agenti
biologici
Esposizione ad agenti biologici
Il titolo contiene:
Abrogazioni (art. 304)
Clausola finanziaria (art. 305)
Disposizioni finali (art. 306).
http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/0D78BF49-8227-45BA-854F-
064DE686809A/0/20080409_Dlgs_81.pdf
http://www.agraria.unibo.it/NR/rdonlyres/1C2BC0C8-42EB-4D3D-B00B-
0D6526A8CC57/121588/TestoUnicosullaSicurezza1.pdf
http://www.bo.astro.it/staffonly/FG_U1.pdf
Altro materiale non riconducibile al titolare di diritti di autore
Università degli Studi di Genova
DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
Le norme
Il corpo umano
Il microclima negli ambienti di lavoro (definizione di
alcuni indici)
Gli ambienti termici
Ambiente moderato
Ambienti termicamente severi
Il decreto legge 81-2008
Sistema di termoregolazione
35,8
Il corpo umano
Indici
Indici
Indici
PMV PPD
Sensazione di Sensazione di Totale
freddo caldo insoddisfatti
-2,0 76,4% -- 76,4%
-1,0 26,8% -- 26,8%
-0,5 9,9% 0,4% 10,3%
-0,1 3,4% 1,8% 5,2%
0 2,5% 2,5% 5,0%
0,1 1,8% 3,4% 5,2%
0,5 0,4% 9,8% 10,2%
1,0 -- 26,4% 26,4%
2,0 -- 75,7% 75,7%
Gli ambienti termici
Caldi Freddi
Ambienti termicamente severi
Ambienti caldi
Ambienti caldi
Ambienti freddi
Ambienti freddi
ORTOFRUTTICOLI 6 ÷ 12°C
PASTE FRESCHE 0 ÷ 10°C
SALUMI -2 ÷ 12°C
CARNI E PESCI -1 ÷ 8°C
LATTICINI 0 ÷ 10°C
SURGELATI -18 ÷ 40 °C
CONGELATI -18 ÷ 40°C
GELATI -18 ÷ 40 °C.
Microclima freddo
Indici e problematiche
Indice IREQ
Applicazione
IREQ min criterio alla IREQ neu
situazione reale
Intervallo teorico
ottimale di valori di
isolamento del
vestiario
Raffreddamento locale
Particolare attenzione a:
• MANI
• PIEDI
• TESTA
Può produrre:
• discomfort
• decadimento prestazioni mentali e fisiche
• danno da freddo
Bibliografia
http://www.ergonomia.corep.it/fonti_amb_term.html
http://www.ergonomia.corep.it/fonti_amb_term.html
http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/settori-C-
4/industria-C-14/luoghi-di-lavoro-microclima-stress-termico-da-
temperatura-AR-10003/
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/100622_Polistu
dio_rischio_microclima.pdf
http://www.frareg.com/news/documentazione/sicurezza/microclima
_asl_verona.pdf
Altro materiale non riconducibile al titolare di diritti di autore
Università degli Studi di Genova
DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
Ergonomia: illuminazione
Agenda
Ambiente luminoso
Impianti di illuminazione:
Metodo punto a punto
Metodo del flusso totale
Ambiente luminoso
Premessa
La parola ergonomia deriva dal greco ergo, che significa
lavoro, e nomos che significa legge, regolamento. L’ergonomia
rappresenta quindi la scienza che studia le performance
lavorative e il loro benessere, in relazione alle finalità della
propria attività, alle attrezzature di lavoro ed all’ambiente di
lavoro. Questo si traduce in pratica nella progettazione di
prodotti e/o processi che utilizzino le capacità di un
individuo, tenendo conto delle sue esigenze fisiologiche e
psico intellettive.
L’ergonomia cerca quindi di individuare i parametri più
importanti per il corretto rapporto uomo/lavoro, per
eliminare i fattori negativi che possono essere presenti e
rendere quindi più facile e naturale l’utilizzo degli oggetti di
lavoro.
Ambiente luminoso
Luoghi di lavoro
Luoghi di lavoro
Luoghi di lavoro
Luoghi di lavoro
Videoterminale
E’ consigliato il
La sedia di altezza tavolo di misure
consigliata tra 42 e 120x80, profondo 90
55 cm regolabile e di colore chiaro alto
inclinabile tra 70 e 80 cm
Impianti di illuminazione
Intensità luminosa:
unità di misura la candela [cd], è l’ intensità luminosa emessa
da un corpo nero alla temperatura di solidificazione del
platino in direzione perpendicolare al foro di uscita (avente
un’area di 1/600000 m2 ) sotto la pressione di 101325 Pa.
Flusso luminoso:
unità di misura il lumen [lm], è il flusso luminoso emesso
dall’angolo solido di uno steradiante (sr) da una sorgente
puntiforme, isotropa, avente intensità luminosa di una
candela: 1 lm = 1 cd * 1 sr
Impianti di illuminazione
Illuminamento:
unità di misura il lux [lx], è l’ illuminamento prodotto su
una superficie di area 1 m2 dal flusso luminoso di 1 lm
incidente perpendicolarmente: 1 lux = 1 lm/ m2
Luminanza:
unità di misura il nit [nt], luminanza (o brillanza) di una
superficie di area 1m2 che emette in direzione
perpendicolare radiazioni con intensità luminosa di 1 cd:
1 nt = 1 cd/ m2
Impianti di illuminazione
Esempi
Intensità luminosa:
- proiettore con lampada da 1000 lm: 80000 cd su pochi steradianti
- diffusore con lampada da 1000 lm: 250 cd su 90 str
Flusso luminoso:
- lampada di segnalazione al neon: 0,6 lm
- tubo fluorescente 36 W: 2500 - 3600 lm
- lampada al sodio ad alta pressione 400 W: 100000, 140000 lm
- lampada allo xenon da 20000 W: 500000 lm
Impianti di illuminazione
Esempi
Illuminamento:
- chiaro di luna: 0,2 lx
- illuminazione stradale: 5 - 40 lx
- illuminazione industriale: 100 - 1000 lx
- illuminazione solare: 90000 lx
Luminanza:
- luna: 4000 cd/m2
- sole: 1 600 000 000 cd/m2
Impianti di illuminazione
Fenomeno dell’abbagliamento
Apparecchi di illuminazione
Esigenze illuminotecniche:
- livello di illuminamento adeguato al compito visivo
- rapporto di luminanza
- indice ammissibile di abbagliamento
- direzionalità della luce
- colore della luce
- resa cromatica.
Impianti di illuminazione
Esigenze di installazione:
- altezza di installazione
- vincoli alla disposizione planimetrica
- eventuale necessità di due livelli di illuminazione
- colore delle pareti, soffitto, pavimento
- condizioni ambientali
- elementi riflettenti (pavimenti,macchine, scrivanie).
Impianti di illuminazione
Condizioni di esercizio:
- ore annue di funzionamento dell’impianto
- costo dell’ energia elettrica per l’illuminazione
- costo della manutenzione periodica.
Impianti di illuminazione
Dove:
Impianti di illuminazione
K = ab/h(a+b)
Obiettivi :
razionalizzare e regolare l’installazione delle lampade
facilità di accesso per manutenzione
non interferenza con altri servomezzi e strutture
eventuale potenziamento del livello di illuminazione.
Illuminazione di emergenza
Illuminazione di
emergenza
Illuminazione di Illuminazione di
sicurezza riserva
Illuminazione di Illuminazione di
Illuminazione
sicurezza per aree ad alto
antipanico
l’esodo rischio
Illuminazione di emergenza
Illuminazione di riserva
Consente di continuare o terminare l’attività ordinaria senza
sostanziali cambiamenti.
Illuminazione di sicurezza
Parte dell'illuminazione di emergenza, destinata a provvedere
all’illuminazione per la sicurezza delle persone durante
l'evacuazione di una zona o di coloro che tentano di
completare un'operazione potenzialmente pericolosa prima
di lasciare la zona stessa. È destinata ad evidenziare i mezzi di
evacuazione ed a garantire che possano essere sempre
individuati ed utilizzati con sicurezza, quando risulta
necessaria l’illuminazione ordinaria o quella di emergenza.
Illuminazione di emergenza
http://www.iuav.it/Servizi-IU/servizi-ge1/prevenzion/formazione/postura.pdf
http://corsiadistanza.polito.it/corsi/pdf/02BGHDN/Lezione_Impianti_Illumina
zione_Ed01.pdf
http://www.slideshare.net/ettoross/d-lgs-81-08
http://www.ingegnerianet.it/ingegnere_silvestro_giordano/tesi/capitolo2.pdf
Ergonomia: rumore
Agenda
Fonoassorbimento
Fonoisolamento
Premessa: analisi del disturbo e azioni di
contenimento
5 – 10 Soglia di udibilità
20 Tic tac di un orologio
30 - 40 Biblioteca / abitazione silenziosa
60 - 70 Conversazione / ufficio affollato
70 - 80 Traffico stradale / aspirapolvere
Sorgente puntiforme
Se le dimensioni di una sorgente sono piccole, in confronto
alla distanza dell’ascoltatore, questa è chiamata sorgente
puntiforme. La pressione sonora si propaga in modo sferico,
cosicché il livello sonoro è lo stesso per tutti i punti posti
alla stessa distanza dalla sorgente.
Sorgente lineare
Può essere una sorgente unica, come una conduttura, oppure
può essere composta da molte sorgenti puntiformi che
funzionano simultaneamente, come un flusso di veicoli su una
strada ad alto scorrimento. Il livello sonoro si propaga in
modo cilindrico così il livello di pressione sonora è lo stesso
in tutti i punti posti alla stessa distanza dalla linea.
Il rumore: la sordità
N.B.
La scala dei decibel non è lineare, per cui non si
possono sommare i livelli sonori in modo aritmetico
ma occorre ricorrere ai logaritmi; ad es.:
80 dB + 80 dB = 83 dB. 3 dB in più equivale al
raddoppio della potenza sonora
Per quantificare l’esposizione di un lavoratore al rumore si
utilizza il LIVELLO EQUIVALENTE
LAeq,Te
LIVELLO DI ESPOSIZIONE GIORNALIERA AL RUMORE: valore
medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al
rumore per una giornata lavorativa nominale di 8 ore, definito dalla
norma internazionale ISO 1999:1990 punto 3.6. Si riferisce a tutti i
rumori sul lavoro, incluso il rumore impulsivo
Accanto al livello sonoro continuo equivalente viene utilizzato un
secondo parametro, comunemente noto come livello di picco.
Tale livello è definito come Pressione Acustica di Picco
Ppeak
Si deduce che:
• Il valore di 87 db(A), più che un vero e proprio valore
limite, rappresenta un “rafforzativo” dell’obbligo di
impiego dei D.P.I.
D.P.I. (Dispositivi di Protezione Individuale)
Uno dei principi fondamentali della fisica, che vale anche per
l'acustica, è quello dell’ impossibilità di distruggere l'energia
che può soltanto essere trasformata.
La fonoassorbenza è la proprietà specifica di ciascun
materiale e si definisce come la capacità di assorbire onde
sonore, non riflettendole nell’ambiente circostante.
L'assorbimento acustico (fonoassorbimento o
fonoassorbenza) è la capacità di un materiale di dissipare
l'energia sonora convertendola in calore.
Dal punto di vista acustico quindi, una parte dell'energia (Ei)
che colpisce un corpo viene riflessa (Er) ma una parte viene
assorbita (Ed) dal materiale e convertita in calore secondo la
formula Ei=Er+Ed.
Fonoassorbimento
Assorbimento acustico
Energia incidente
Energia riflessa
Energia assorbita
Fonoassorbimento
A B C D
Liscio Bugnato Piramidale Keller
Fonoassorbimento
Assorbimento per risonanza di membrana
Fig. 1 Fig. 2
Fonoassorbimento
Assorbimento per risonanza di cavità
Fonoisolanti naturali
Piombo
Il piombo è il materiale fonoisolante naturale per antonomasia, grazie
alla sua alta densità infatti consente di ottenere importanti risultati in
termini di abbattimento sonoro. Non di meno le sue caratteristiche di
malleabilità e plasmabilità ne consentono un utilizzo proficuo per
risolvere le più importanti problematiche di insonorizzazione. Lo si può
utilizzare in fogli o lastre preformate di facile reperibilità.
Gomma
La gomma naturale che si ricava dalla resina delle cortecce di alcune
piante, possiede una densità cellulare consistente è può essere
impiegata proficuamente come isolante acustico in alternativa al
piombo. Apprezzabile soprattutto in un'ottica "ecologica" in quanto
non presenta le controindicazioni del piombo talora considerato come
materiale inquinante. Di norma, viene commercializzata in lastre o in
materassini.
Fonoisolamento
Solai in laterocemento
Gli elementi di separazione tra i pieni di un edificio sono realizzati
attraverso l'utilizzo di speciali mattoni intelaiati in strutture di
calcestruzzo armato. Per solai dello spessore di 20 cm si può ipotizzare
un capacità fonoisolante di circa 50-55 db.
Cemento armato
Il calcestruzzo armato (cemento con la presenza di anime in acciaio al
suo interno) utilizzato principalmente per la realizzazione delle
strutture portanti degli edifici (pilastri, travi, muri di contenimento)
raggiunge valori di perdita di trasmittanza sonora (Rw) di circa 60 db
riferito ad elementi dello spessore di 20 cm e di peso di 1500 kg/m3.
Cartongesso
Il cartongesso utilizzato principalmente per la creazione d
controsoffitti (tetti falsi) ma anche per la realizzazione di pareti
divisorie leggere, presenta più caratteristiche fonoassorbenti che
fonoimpedenti, tuttavia il suo utilizzo combinato a quello di altri
materiali contribuisce all'ottenimento di alti valori di fonoisolamento.
Fonoisolamento
Caratteristiche fonoisolanti di alcuni materiali edili
convenzionali (3)
Pannelli in alluminio
Trovano utilizzo soprattutto nella realizzazione di capannoni industriali
relativamente alle coperture e alle tramezzature. Una lastra d'alluminio
semplice dello spessore di 0, 3 cm raggiunge valori di circa 45 db Rw.
Vetri semplici
Il vetro nell'ambito delle costruzioni civili rappresenta certamente l'anello
debole della protezione sonora dell'edificio, sia per l'impossibilità di
utilizzare spessori esagerati sia per ragioni connesse alla frequenza di
risonanza dei cristalli. Indicativamente di seguito alcuni valori dell'indice Rw
in ragione dello spessore del vetro: 3 mm/26 db, 4 mm/28 db 6 mm/30, db
8 mm/32 db 10 mm/34 db.
Vetri stratificati
L'operazione di stratificazione ossia l'interposizione tra i vetri di uno o più
lamine di PVC o altri materiali plastici migliora le caratteristiche
fonoisolanti del vetro in quanto fa abbassare la frequenza di risonanza
posizionandola al di sotto del range di frequenza critica nel quale
arrecherebbe maggiormente fastidio (100-3500 Hz).
Fonoisolamento
Caratteristiche fonoisolanti di alcuni materiali edili
convenzionali (4)
Vetrocamera
Contrariamente a quanto comunemente si pensi i così detti doppi vetri
(vetrocamera) se certamente presentano indubbi vantaggi in termini di
isolamento termico non di meno non arrecano significativi miglioramenti in
termini di abbattimento del rumore, questo perchè sostanzialmente vige la
legge della massa (il massimo risultato conseguibile è quello per cui il
potere fonoisolante complessivo è pari alla somma dei poteri fonoisolanti
dei singoli divisori che compongono la vetrata doppia), poiché
l'intercapedine di pochi mm o cm non permette di ottenere grandi vantaggi
acustici che potrebbero realizzarsi soltanto per valori di separazione dei
due elementi superiori ai 10 cm (doppie o triple finestre). Tuttavia l'utilizzo
di cristalli di spessore differente e/o il riempimento dell'intercapedine con
gas particolari (es: argon) contribuiscono ad accrescere l'isolamento
acustico: in questo caso la vetrate isolanti permettono di combinare
l'isolamento termico a quello acustico.
Fonoisolamento
Caratteristiche fonoisolanti di alcuni materiali edili
convenzionali (5)
Infissi e serramenti
Sebbene nell'isolamento acustico di una porta/finestra l'elemento
più rilevante sia costituito dal vetro, bisogna tuttavia prestare
attenzione anche all'utilizzo di serramenti di qualità e spessore
congrui, al fine di non vanificare l'effetto fonoisolante dei cristalli. I
serramenti di utilizzo più comune sono costruiti in legno, PVC,
alluminio o legno-alluminio. Di significativa importanza è l'utilizzo
delle guarnizioni di tenuta che contribuiscono a stabilizzare la
prestazione fonoisolante dell'intero serramento realizzate in
gomma, silicone o EPDM. Punto debole del sistema finestra talora è
il cassonetto, nel qual caso sarà necessario apposito intervento
insonorizzante.
Riferimenti bibliografici
http://www.formazioneesicurezza.it/05_Materiale/Slide%20
2012/2012%20-%20Rumore%20e%20vibrazioni.pptx
http://www.fonoisolamento.it/assorbimento-acustico.html
http://www.unifi.it/offertaformativa/allegati/uploaded_files/2
011/200002/B002644/Acustica%20ambientale.pdf
Ergonomia_Qualità dell’ambiente di
lavoro_Inquinamento chimico aerodisperso
Agenda
3/24
Ergonomia ed ergotecnica
4/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
5/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
L’aria pura è definita come aria non inquinata da alcun tipo di sorgente,
né artificiale, né naturale.
6/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
7/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
8/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
Q =q
q
C C
u e Ci Ce
9/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
10/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
Si possono controllare:
◦ anidride carbonica
◦ odori
◦ vapore d’acqua ambientale
Un controllo meno accurato viene effettuato su
◦ fumo di tabacco (non legato al dispendio metabolico e quindi
all’immissione di anidride carbonica, mentre dipende fortemente dalle
abitudini e dal numero di fumatori presenti nell’ambiente considerato)
◦ polveri (dipende non solo dalle persone e dalle attività, ma anche da altri
fattori non sempre facilmente prevedibili)
Le caratteristiche dell’aria esterna sono definite in relazione agli inquinanti
significativi tipici di un ambiente industriale:
◦ anidride solforosa (H2S)
◦ ossido di azoto (NO),
◦ ozono (O3)
◦ monossido di carbonio (CO)
Le concentrazioni sono espresse:
◦ in termini di media oraria qualora abbiano un effetto quasi immediato
◦ in termini di media oraria calcolata su periodi di otto ore o su base annua
per quelli che non hanno un effetto aggressivo immediato e si rende
necessario valutare l’assorbimento relativamente a periodi di tempo
medio lunghi 12/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
13/24
Qualità dell’ambiente di lavoro
14/24
Inquinamento chimico aerodisperso
15/24
Inquinamento chimico aerodisperso
16/24
Inquinamento chimico aerodisperso
19/24
Inquinamento chimico aerodisperso
Nel caso di sostanze con effetto indipendente (le quali, cioè, producono
un effetto differente, oppure agiscono su differenti parti del corpo) si deve
verificare - per ciascuna di esse:
C i
1
TLV i
20/24
Inquinamento chimico aerodisperso
Gli asfissianti non hanno un valore limite prefissato per ogni tipologia, in
quanto:
◦ il vero fattore limitante è costituito dalla concentrazione di ossigeno
nell’aria, che dovrebbe essere in ogni caso superiore al 18% in volume
normale alla pressione atmosferica
Esistono, infine, alcune categorie particolari di sostanze, sulle quali vale la
pena di soffermarsi singolarmente:
◦ particolati fastidiosi ma non fibrogenici (silice amorfa non cristallina);
se la percentuale di quarzo è inferiore all’1% non generano danni gravi
◦ particolati fibrogenici (quarzo), i quali provocano la degenerazione
del tessuto degli alveoli polmonari, che diventa progressivamente
impermeabile
◦ silicati (asbesto), costituisce un componente fondamentale
dell’amianto;
◦ asfissianti semplici (ad esempio il metano - CH4 - e l’anidride
carbonica - CO2)
◦ sostanze a composizione variabile, quali vapori di benzina e fumi
di saldatura, che richiedono analisi specifiche
◦ sostanze cancerogene
21/24
Inquinamento chimico aerodisperso
22/24
Inquinamento chimico aerodisperso
Qualora non sia stato possibile intervenire a monte del processo per
l’eliminazione dell’inquinante aerodisperso, si può intervenire secondo due diverse
modalità:
◦ prelievo ed espulsione dell’aria inquinata, e immissione in ambiente di
aria pulita opportunamente trattata dal punto di vista termoigrometrico
◦ riciclaggio dell’aria ambiente, mediante una sequenza di prelievo,
depurazione e successiva reimmissione. Questo secondo metodo presenta
seri limiti d’impiego, in quanto presuppone un costante controllo del corretto
funzionamento dell’impianto di depurazione
Il riciclaggio dell’aria ambiente, ad esempio, non è utilizzabile in presenza di
inquinanti tossici, mentre può essere utilizzato nel caso di fumo di sigaretta, odori
corporei etc.
Il primo tipo di approccio può essere attuato secondo due diverse modalità:
◦ ventilazione generale, consistente nella diluizione degli inquinanti, creando
uno scambio d’aria con l’esterno
◦ aspirazione localizzata, consistente nella cattura mediante opportune
cappe collocate in prossimità di sorgenti gli inquinanti prima che si
disperdano nell’aria. I parametri caratteristici delle cappe sono:
il volume di controllo, cioè lo spazio in cui la cappa esercita
un’azione utile
la velocità di controllo, cioè la velocità dell’aria realizzata dal
sistema di aspirazione; tale velocità deve essere superiore alla
velocità di fuga dell’inquinante 23/24
Inquinamento chimico aerodisperso
24/24
Bibliografia
materiale non riconducibile al titolare di
diritti di autore
Università degli Studi di Genova
DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
Rischio meccanico
Rischi meccanici di movimento
Categoria delle macchine
Decreto legislativo
Mezzi ed apparecchi di sollevamento, di trasporto e di
immagazzinamento
Elementi caratterizzanti una macchina
Apparecchi di sollevamento materiali
Sollevatori
Rischio meccanico
Caratteristiche generali:
FOPS
Tipi di gru:
gru a torre
gru a struttura limitata
gru a ponte
gru a portale
gru a bandiera
gru a cavalletto
gru su autocarro o autogrù
Rischi possibili
Vibrazioni, rumore
Scivolamenti, cadute
Sollevatori
Piattaforme aeree
Autocarrate Semoventi
Alcuni esempi (1)
Fattori
TIPI DI ARGANO:
•a cavalletto
•a bandiera
Argano a cavalletto
elettrici.
Argano a bandiera
Ribaltamento dell’elevatore;
elettrocuzione.
Misure di sicurezza prima dell’uso
Comandi
Gruisti: segnalazioni manuali per il sollevamento
Gruisti: segnalazioni manuali per il sollevamento
Raggi d’azione delle gru si sovrappongono in modo tale che il braccio
della gru 1 interferisce con la fune di sollevamento della gru 2 .
Pericolo/rischio
■ In caso di collisione il carico della gru 2 rischia di oscillare pericolosamente
e di colpire le persone presenti nella zona sottostante.
■ Danni alla gru 2 (fune di sollevamento, carrello).
■ Caduta del carico.
Misure per gru in servizio e fuori servizio
• http://cd494.mannelli.info/files/rischio_meccanico.pdf
• Altro materiale non riconducibile al titolare di diritti di autore
Università degli Studi di Genova
DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
Rischio incendio
Agenda
Incendio
OSSIGENO
COMBUSTIBILE
CALORE
Incendi e rischio di incendio
COMBUSTIBILE
COMBURENTE
SOSTANZE
CO2
H2O
(vapore)
e
+ + +
CONDIZIONI
Incendi e rischio
Principi della di incendio
combustione
tipo di combustibile
tipo di sorgente d’innesco.
TEMPERATURA DI ACCENSIONE
TEMPERATURA D ’INFIAMMABILITA’
ENERGIA DI ACCENSIONE:
INNESCO:
Dinamica dell’incendio
Incendi e rischio di incendio
Ustioni
Perdita di conoscenza
Asfissia
Classe A
Classe B
Classe C
Classe D
Classe F
Ex classe E
Accensione diretta
Accensione indiretta
Attrito
Autocombustione o riscaldamento spontaneo
Le sorgenti d’innesco
Accensione diretta
Accensione indiretta
Attrito
Gas di combustione
Rimangono allo stato gassoso alla temperatura
ambiente di riferimento di 15 °C.
Nella maggioranza dei casi, la mortalità per incendio
è da attribuire all’inalazione di questi gas che
producono danni biologici per anossia o per tossicità.
I prodotti della combustione
Fiamme
Sono costituite dall’emissione di luce dovuta alla
combustione di gas.
Nell’incendio di combustibili gassosi è possibile valutare
approssimativamente il valore raggiunto dalla
temperatura di combustione dal colore della fiamma
I prodotti della combustione
Fumi
L'elemento più caratteristico dell'incendio. Sono formati da
piccolissime particelle solide (aerosol), liquide (nebbie o
vapori condensati).
Le particelle solide sono sostanze incombuste e ceneri.
Rendono il fumo di colore scuro.
Le particelle liquide (nebbie o vapori condensati) sono costituite da
vapor d’acqua che sotto i 100 °C condensa dando luogo a fumo di
color bianco.
Calore
È la causa principale della propagazione degli incendi.
Il calore è dannoso per l'uomo potendo causare:
disidratazione dei tessuti,
difficoltà o blocco della respirazione,
scottature.
Le sostanze estinguenti
Acqua
Schiuma
Polveri
Gas inerti
Idrocarburi alogenati (HALON)
Agenti estinguenti alternativi all’halon
Le sostanze estinguenti
Acqua
È la sostanza estinguente principale per la facilità con cui può
essere reperita.
Azione estinguente:
Raffreddamento;
Soffocamento per sostituzione dell’ossigeno con il vapore
acqueo;
Diluizione di sostanze;
Imbevimento dei combustibili solidi.
Idonea per incendi di combustibili solidi (classe A).
Non deve essere utilizzata su apparecchiature elettriche.
Le sostanze estinguenti
Schiume
Costituite da una soluzione in acqua di un liquido
schiumogeno, che per effetto della pressione di un gas
fuoriesce dall’estintore e passa all’interno di una lancia dove si
mescola con aria e forma la schiuma.
L’azione estinguente avviene per soffocamento
(separazione del combustibile dal comburente) e per
raffreddamento in minima parte.
Idonee per incendi di liquidi infiammabili (classe B).
Non è utilizzabile su apparecchiature elettriche e sui
fuochi di classe D.
Le sostanze estinguenti
Polveri
Sono costituite da particelle
solide finissime a base di
bicarbonato di sodio, potassio,
fosfati e sali organici.
L'azione estinguente è di tipo
chimico (inibizione tramite
catalisi negativa), di
raffreddamento e di
soffocamento.
Possono essere utilizzate su
apparecchiature elettriche in
tensione.
Possono danneggiare
apparecchiature e macchinari.
Le sostanze estinguenti
Gas inerti
Idrocarburi alogenati
Installazione di impianti
parafulmine
Creano una via preferenziale per la
scarica del fulmine a terra evitando
che esso possa colpire gli edifici o le
strutture che si vogliono proteggere.
Prevenzione incendi
Prevenzione incendi
Prevenzione
propriamente
detta Protezione
(riduzione occasioni
di rischio)
PASSIVA ATTIVA
La protezione antincendio
La protezione passiva
La protezione attiva
Richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un
impianto, finalizzate alla precoce rilevazione
dell’incendio, alla segnalazione e all’azione di
spegnimento.
Estintori
Rete idrica antincendio
Impianti di rivelazione automatica
d’incendio
Impianti di spegnimento automatici
Dispositivi di segnalazione e d’allarme
Evacuatori di fumo e calore
La protezione antincendio
Resistenza al fuoco
La resistenza al fuoco rappresenta il
comportamento al fuoco degli elementi portanti o
separanti.
Gli elementi costruttivi vengono classificati da un
numero che esprime i minuti per i quali
conservano le caratteristiche di resistenza meccanica
(R), tenuta ai prodotti della combustione (E), e di
isolamento termico (I).
Es. REI 90
La protezione antincendio
Resistenza al fuoco
Resistenza al fuoco
Compartimentazione
Il compartimento antincendio è una parte di edificio
delimitata da elementi costruttivi (muri, solai, porte etc) di
resistenza al fuoco predeterminata.
Di norma gli edifici vengono suddivisi in compartimenti, anche
costituiti da più piani, di superficie non eccedente quella
indicata nelle varie norme specifiche.
La protezione antincendio
Porte incernierate
Porte munite di sistemi di chiusura automatica che in caso
d’incendio fanno chiudere il serramento;
Porte scorrevoli
Porte sospese ad una guida inclinata di pochi gradi.
Normalmente stanno in posizione aperta trattenute da un
contrappeso e da un cavo in cui è inserito un fusibile che in caso
d’incendio si fonde permettendo la chiusura
Porte a ghigliottina
Porte installate secondo un principio analogo alle porte
scorrevoli, con la differenza che il pannello viene mantenuto
sospeso sopra l’apertura e le guide sono verticali.
La protezione antincendio
Estintori a polvere
Estintore a schiuma
Idrante a muro
Apparecchiatura antincendio composta essenzialmente da:
cassetta, o da un portello di protezione;
supporto della tubazione;
valvola manuale di intercettazione;
tubazione flessibile completa di raccordi;
lancia erogatrice.
La protezione antincendio
Idrante sottosuolo
Naspi
Impianti a schiuma
Rivelatori d’incendio
Classificazione in base al fenomeno chimico-fisico rilevato:
Rivelatore di calore sensibile all'aumento della temperatura.
Rivelatore di fumo sensibile alle particelle dei prodotti della
combustione.
Rivelatore di gas sensibile ai prodotti gassosi della combustione e/o
della decomposizione termica.
Rivelatore di fiamme sensibile alla radiazione emessa dalle
fiamme di un incendio.
Rivelatore multi-criterio: sensibile a più di un fenomeno.
La protezione antincendio
Rivelatori d’incendio
Segnaletica di sicurezza
Cartelli di divieto
Forma rotonda
Pittogramma nero su
fondo bianco; bordo e
banda (verso il basso
da sinistra a destra lungo
il simbolo, con
un’inclinazione di 45°)
rossi (il rosso deve
coprire almeno il 35%
della superficie del
cartello).
Vieta un comportamento
Normativa di riferimento
Cartelli di avvertimento
Forma triangolare
Pittogramma nero
su fondo giallo,
bordo nero (il giallo
deve coprire almeno il
50% della superficie del
cartello).
Avverte di un pericolo
Normativa di riferimento
Cartelli di prescrizione
Forma rotonda
Pittogramma
bianco su fondo
azzurro (l’azzurro deve
coprire almeno il 50%
della superficie del
cartello).
Prescrive un
comportamento
Normativa di riferimento
Cartelli di salvataggio
Forma quadrata o
rettangolare
Pittogramma
bianco su fondo
verde (il verde deve
coprire almeno il 50%
della superficie del
cartello).
Fornisce indicazioni (es.
sulle uscite di
sicurezza)
Normativa di riferimento
Cartelli per le
attrezzature
antincendio
Forma quadrata o
rettangolare
Lancia
Pittogramma bianco Scala Estintore
antincendio
su fondo rosso (il
rosso deve coprire
almeno il 50% della
superficie del cartello).
Fornisce indicazioni (su
attrezzature
antincendio)
Telefono Direzione da seguire
Illuminazione di sicurezza
Piano di emergenza;
Procedure da adottare quando si scopre un incendio;
Procedure da adottare in caso di allarme;
Piano di evacuazione;
Procedure di chiamata dei servizi di soccorso;
Collaborazione con i Vigili del Fuoco in caso di intervento.
Piano di emergenza
Linee guida
Procedure comportamentali che rappresentano le migliori
azioni da intraprendere in emergenza.
(Procedure Operative Standard)
In mancanza di appropriate procedure un incidente
diventa caotico, causando confusione ed
incomprensione.
Piano di emergenza
Verifica
Il Piano di Emergenza deve individuare persone o gruppi
- chiave, dei quali descrivere le azioni da
intraprendere e quelle da non fare.
Deve tener conto anche della presenza di eventuali clienti,
i visitatori, i dipendenti di altre società di
manutenzione etc.
Il gestore dell’emergenza
http://www.vigilfuoco.it/informazioni/uffici_territorio/Gestione
Siti/downloadFile.asp?s=85&f=28008
http://www.isismontaletradate.it/appunti-per-
casa/volpi/sicurezza/6_rischio%20incendio.ppt
Guasti elettrici
Protezioni elettriche
EFFETTI DELLA CORRENTE ELETTRICA
Alcuni dati statistici
La direttiva “bassa
tensione” stabilisce che
ciascun prodotto
elettrico deve essere
fornito sia di marcatura
CE che di targa con i
dati caratteristici del
costruttore e i
parametri elettrici per
un suo corretto uso
IMPIANTO ELETTRICO - LEGISLAZIONE
L’apposizione di tale
marchiatura sugli apparecchi
elettrici garantisce:
l’approvazione del
costruttore
la corrispondenza dell’
apparecchio alla
norma CEI
il controllo della
produzione
Contatto diretto e indiretto
PROTEZIONE DEI CONTATTI DIRETTI
PRESE A SPINA
CON ALVEOLI
SCHERMATI
PROTEZIONE DEI CONTATTI DIRETTI
PROTEZIONE DEI CONTATTI INDIRETTI
PROTEZIONE DEI CONTATTI I INDIRETTI
CON INTERRUZIONE AUTOMATICA DEL CIRCUITO
PROTEZIONE DELL’IMPIANTO ELETTRICO DA SOVRACORRENTI
Centralino d’appartamento
Locali bagni e docce
o con l'adesivo.
E’ UN RISCHIO
INUTILE!
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
Per qualsiasi
intervento sull'impianto
elettrico chiedere
l'intervento di
personale specializzato.
Se proprio è
necessario sostituire
una lampadina, staccare
prima l'interruttore
generale di zona.
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
Usare sempre
adattatori e prolunghe
adatti a sopportare la
corrente assorbita dagli
apparecchi utilizzatori.
Su tutte le prese e le
ciabatte è riportata
l'indicazione della
corrente, in Ampere
(A), o della potenza
massima, in Watt (W).
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
Segnalare
immediatamente eventuali
condizioni di pericolo di
cui si viene a conoscenza,
adoperandosi
direttamente nel caso di
urgenza ad eliminare o
ridurre l'anomalia o il
pericolo. Ad esempio se vi
sono segni di cedimento o
rottura, sia da usura che
da sfregamento, nei cavi o
nelle prese e spine degli
apparecchi utilizzatori,
nelle prese a muro non
adeguatamente fissate alla
scatola, ecc.
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
Allontanare le
tende o altro
materiale
combustibile dai
faretti e dalle
lampade.
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
Evitare assolutamente
di toccare con le
mani nude i cocci
delle lampade
fluorescenti (neon).
Le eventuali lesioni
sono difficilmente
guaribili.
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
Le spine di
alimentazione degli
apparecchi con potenza
superiore a 1 kW
devono essere estratte
dalla presa solo dopo
aver aperto
l'interruttore
dell'apparecchio o
quello a monte della
presa. Non effettuare
nessuna operazione su
apparecchiature
elettriche quando si
hanno le mani bagnate o
umide.
RISCHI ELETTRICI E REGOLE DI COMPORTAMENTO
AL DIFFERENZIALE O
SALVAVITA” AFFIDIAMO
OGGI LA QUASI TOTALITA’
DELLA SICUREZZA
DELL’IMPIANTO ELETTRICO
E DELLE PERSONE CHE LO
UTILIZZANO. DOBBIAMO
ESSERE CERTI DEL SUO
BUON FUNZIONAMENTO
PER CUI E’ INDISPENSABILE
ESEGUIRE MENSILMENTE LA
VERIFICA AGENDO SUL
TASTO DI PROVA.
Bibliografia
materiale non riconducibile al titolare di
diritti di autore
Università degli Studi di Genova
DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
Affidabilità: introduzione
Il concetto di affidabilità
Il concetto di guasto
Il rateo di guasto
Obiettivi dell’affidabilità
La disponibilità
La manutenibilità
Affidabilità: introduzione
Quindi:
◦ (t)* dt = f(t)*dt/R(t)
◦ Da cui discende: f(t) = (t)* R(t)
In altri termini:
Diagramma tipico del rateo di guasto: bath tube curve (curva a vasca da
bagno) [Approfondimento della figura illustrata alla slide 17]
Segue
Il rateo di guasto
Sicurezza
L’analisi di tipologie impiantistiche che utilizzano sostanze
pericolose (impianti soggetti a rischi di incidenti rilevanti, che
possono coinvolgere anche aree adiacenti agli stabilimenti
produttivi) per valutare la probabilità che il guasto di un
componente o di un sistema di sicurezza possa determinare
una sequenza incidentale con gravi conseguenze
sull’incolumità delle persone.
Anche in impianti che non sono soggetti a rischi di incidente
rilevante, un’analisi di affidabilità può avere benefici effetti
sulla sicurezza, per esempio per garantire l’incolumità del
personale addetto nello svolgimento di operazioni critiche
(sostanze pericolose o macchine particolari) o per valutare
l’affidabilità delle procedure operative normali e di quelle di
emergenza.
Obiettivi dell’affidabilità
Qualità (1)
Qualità (2)
Costi (1)
In un impianto industriale il costo annuo totale delle misure
di riduzione del rischio comprende:
◦ costi di investimento (per esempio, acquisto nuove
apparecchiature di sicurezza);
◦ costi di manutenzione degli impianti e delle
apparecchiature di sicurezza;
◦ costi operativi (per esempio, per l'aggiunta di personale o
per l'addestramento dello stesso). Normalmente non
vengono inclusi ulteriori costi operativi per la realizzazione
di procedure operative più sicure, in quanto si assume che
questi siano già considerati tra i costi di realizzazione
dell'intervento.
Obiettivi dell’affidabilità
Costi (2)
Questi costi vengono, in genere, valutati in funzione
dell’affidabilità richiesta al sistema in esame, in quanto questa
può essere ottenuta con due diverse strategie:
◦ richiedendo al fornitore un prodotto con affidabilità molto
elevata: questo comporta costi rilevanti di progettazione e
di produzione e, quindi, un costo d'acquisto piuttosto
elevato ma minori costi di manutenzione;
◦ richiedendo al fornitore un prodotto di affidabilità
inferiore e, quindi, di costo inferiore ma prevedendo un
adeguato programma di manutenzione con un aumento
dei costi di manutenzione.
Obiettivi dell’affidabilità
Costi (3)
Costi (4)
L'andamento tipico delle curve costo/sicurezza, nella visione
moderna, è mostrato sotto:
Obiettivi dell’affidabilità
Costi (5)
Quindi:
Discende che:
La manutenibilità
http://tesi.cab.unipd.it/33818/1/politiche_manutentive_degli_impianti_i
ndustriali.pdf
http://aiman.gs-m.eu/regioni/sicilia/compagno_trapani_enna200210.pdf
http://tesi.cab.unipd.it/33818/1/politiche_manutentive_degli_impianti_i
ndustriali.pdf
Elementi di statistica:
Introduzione
Media
Moda
Mediana
Quantili
Scarto
Varianza
Devianza
Covarianza
Correlazione
Agenda (2)
Esperimento aleatorio
Esperimento composto
Spazio campione di un esperimento aleatorio
Tipologie di spazio campione
Tipologie di eventi
Interpretazione frequentista della probabilità
Assiomi fondamentali della probabilità
Misura di probabilità
La probabilità nei giochi (ripasso, approfondimenti e nuovi esempi)
Elementi di statistica
Introduzione
Esempio:
◦ variabile casuale: livello di espressione del gene AAA;
◦ osservazione: il gene AAA della persona X ha un livello di
espressione pari a 12.3, il gene AAA della persona Y ha un
livello di espressione di 10.2, il gene AAA della persona Z….
Variabile quantitativa e qualitativa
Indici statistici
Indici statistici
Tendenza
Dispersione Forma
centrale
C’è un solo valore con una frequenza più elevata degli altri
A = {1, 2, 2, 3, 3, 3, 4, 4, 4, 4, 5, 5, 5, 6, 6, 7, 7, 8}
Distribuzione bimodale
Ci sono due valori con una frequenza più elevata degli altri
A = {1, 2, 2, 3, 3, 3, 3, 5, 6, 6, 6, 6, 6, 7, 7, 8, 8}
Distribuzione bimodale
Distribuzione bimodale
Mediana
Caratteristiche:
◦ si ricorre al suo uso quando si vuole attenuare l'effetto di
valori estremi;
◦ in una distribuzione o serie di dati, ogni valore estratto a
caso ha la stessa probabilità di essere inferiore o superiore
alla mediana.
Mediana: il calcolo
96 78 90 62 73 89 92 84 76 86
62 73 76 78 84 86 89 90 92 95
Mediana = (84+86)/2 = 85
Quantili
Indici analizzati:
◦ CAMPO DI VARIAZIONE
◦ VARIANZA
◦ DEVIAZIONE STANDARD
◦ COVARIANZA
◦ CORRELAZIONE
Campo di variazione (range)
C= xmax - xmin
Cosa significa?
Significa che i voti di Anna sono più concentrati (vicini)
rispetto a quelli di Stefano
Covarianza
Covarianza
Esempio:
56
Esperimento aleatorio
58
Esperimenti deterministici ed esperimenti aleatori
Esperimento deterministico
Se l'esperimento consiste nella misurazione del tempo
impiegato da un oggetto a raggiungere il suolo, essendo note le
condizioni iniziali del sistema e risolvendo le equazioni del
moto, è possibile predire con esattezza in ogni istante lo stato
del sistema.
Esperimento aleatorio
Se l'esperimento consiste nel lancio di una moneta, non è
possibile stabilire con certezza se l'esito di un singolo lancio
sarà testa o croce.
59
Che cosa significa “aleatorio”?
60
Esperimento composto
62
Spazio campione di un esperimento aleatorio
63
Esempio 1
E1 E5
E3
E2 E6
E4
64
Esempio 1
Esempio 2
Nel caso dell’esperimento che consiste nell’estrarre una
carta da un mazzo, lo spazio campione è costituito da
tutte le 52 carte del mazzo.
65
Esempio 3
I n q u e s to c a s o , lo s p a z io c o n tie n e u n
in s ie m e in fin ito n o n n u m e r a b ile d i p u n t i
c a m p io n e .
66
Tipologie di spazi campione
67
Spazio campione finito
Esempio
Un’urna contiene 100 palline numerate. Per l’esperimento
che consiste nell’estrazione di una pallina dall’urna, lo spazio
campione sarà finito e sarà costituito da 100 punti campione,
ciascuno dei quali corrisponde ad una delle palline.
68
Spazio campione infinito numerabile
Esempio
Uno psicologo che osserva il numero di pazienti che si
presentano ad un centro di igiene mentale compie un
esperimento i cui risultati possibili costituiscono uno spazio
campione infinito numerabile.
Segue
69
Esempio
70
Spazio campione infinito non numerabile
Esempio
Lo spazio costituito dagli eventi “esatto momento della
nascita” è uno spazio infinito non numerabile. Infatti,
prese due qualunque persone nate ognuna in un certo
momento, è sempre possibile individuarne una terza la cui
nascita si colloca tra le due precedenti.
71
Spazio campione discreto
72
Evento
73
Tipologie di eventi
Eventi elementari
Eventi complessi
74
Eventi elementari
75
Eventi elementari
76
Eventi elementari
Eventi complessi
78
Eventi complessi
79
Eventi complessi
Evento “triangolo”
L’evento “triangolo”
Ci sono 5 triangoli
81
Eventi complessi
Esempio
Per l’esperimento costituito dal lancio di un dado viene
definito l'evento A: “si osserva un numero dispari”.
82
Esempio
A={1,2,3}
Dato che corrisponde ad 2 punti dello spazio
campione di questo esperimento aleatorio, B è un
evento complesso.
83
Esempio
N e l c a s o d e ll’e s p e r im e n t o c o s t it u it o d a l la n c io
d i u n d a d o v ie n e d e f in it o l'e v e n t o E 5 :
“s i o s s e r v a il n u m e r o 5 ” .
A={5}
84
Eventi mutuamente esclusivi
O g n i q u a lv o lt a u n e s p e r im e n t o v ie n e e s e g u it o , u n o
e u n s o lo e v e n t o s e m p lic e p u ò e s s e r e o s s e r v a t o .
G li e v e n t i s e m p lic i, d u n q u e , s o n o m u t u a m e n t e
e s c lu s iv i.
85
Esempio
86
Eventi complessi
Esempio
L 'e v e n t o A ( e s it o d is p a r i ) h a lu o g o s e s i o s s e r v a
E 1 o E 3 o E 5.
L ’e v e n t o B ( n u m e r o m in o r e d i 3 ) h a lu o g o s e s i
o sse rv a E 1 o E 2. G li e v e n t i A e B , q u in d i, n o n
s o n o m u t u a m e n t e e s c lu s iv i.
87
Spazio probabilistico
89
Interpretazione frequentista della probabilità
Dunque: A
90
Esempio
91
Esempio
La grandezza di A è |A| = 48
La frequenza relativa di A è:
A 48
0 ,48
Ω 100
92
Interpretazione frequentista della probabilità
A
lim P A
n Ω
93
Legge dei grandi numeri
N e l c a s o d i u n o s p a z io c a m p io n e fin ito , u n
n u m e ro P ( A ) , c h ia m a to p ro b a b ilità d i A , p u ò
e s s e re a s s e g n a to a c ia s c u n e v e n to A ( la d d o v e A
è u n s o tto in s ie m e d i ) s e i s e g u e n ti a s s io m i
v e n g o n o ris p e tta ti:
95
Assioma 1
P A 0
Assioma 2
Se A1, A2, …, Am sono eventi mutuamente esclusivi in
, allora
m
P A1 A2 ... Am P Ai
i 1
Assioma 3
S e lo s p a z io c a m p io n e è c o s t it u it o d a N e v e n t i
e le m e n t a r i, a llo r a
I l s e c o n d o a s s io m a p u ò e s s e r e r if o r m u la t o
d ic e n d o c h e la f r e q u e n z a r e la t iv a d e ll’u n io n e d i
d u e o p iù e v e n t i m u t u a m e n t e e s c lu s iv i è u g u a le
a lla s o m m a d e lle r is p e t t iv e f r e q u e n z e r e la t iv e .
I n b a s e a l t e r z o a s s io m a , la s o m m a d e lle
f r e q u e n z e r e la t iv e d i t u t t i g li e v e n t i e le m e n t a r i
d e llo s p a z io c a m p io n e d e v e e s s e r e u g u a le a 1 .
97
Interpretazione degli assiomi di Kolmogorov
98
Interpretazione degli assiomi di Kolmogorov
P(A)
P()
P(AB)
B 0 1
A
P(B)
99
Interpretazione degli assiomi di Kolmogorov
100
Misura di probabilità
101
Misura di probabilità
102
Misura di probabilità
= {T, C};
103
Misura di probabilità
w i : Pw i 0
P w 1
i
i
A : P A Pw
wA
104
Misura di probabilità
dove:
|A| = numero di elementi in A per A
|| = numero di elementi in
105
Misura di probabilità
Esempio
106
Esempio
1
P E i , con i 1 , 2 ,..., 6
6
107
Esempio
A
lim P A
n
Esempio
Assegnando una probabilità di 1/6 a ciascun evento
semplice risulta soddisfatto il primo assioma:
P A 0
108
Esempio
Il terzo assioma
è soddisfatto in quanto
P() P( E1 ) P( E2 ) ... P( E6 )
1 1 1
... 1
6 6 6
109
Esempio
P ( A) P( E1 E3 E5 )
P ( E1 ) P( E3 ) P( E5 )
1 6 1 6 1 6 1 2
110
Esempio
P( B) P( E5 E6 )
P ( E5 ) P( E6 )
1 6 1 6 1 3
111
Esempio
112
Esempio
D e f in ia m o 3 e v e n t i c o m p le s s i: l'e v e n t o A h a
lu o g o q u a n d o u n a p a llin a b ia n c a v ie n e e s t r a t t a ,
l'e v e n t o B h a lu o g o q u a n d o u n a p a llin a r o s s a
v ie n e e s t r a t t a , l'e v e n t o C h a lu o g o q u a n d o u n a
p a llin a n e r a v ie n e e s t r a t t a .
C ia s c u n o d i q u e s t i 3 e v e n t i c o s t it u is c e u n
s o t t o in s ie m e d e llo s p a z io c a m p io n e .
L 'e v e n t o B ( " u n a p a l l i n a r o s s a è s t a t a
e s t r a t t a " ) s i v e r if ic a q u a n d o v ie n e o s s e r v a t o
u n o d i 3 e v e n t i e le m e n t a r i d i ( o v v e r o ,
q u a n d o v ie n e e s t r a t t a u n a d e lle 3 p a llin e
ro sse ).
113
Esempio
114
Esempio
1 1 1 3
P(estrarre una pallina rossa)
10 10 10 10
115
Esempio
P(rosso bianco) = 0
116
Esercizio
117
Esercizio
B A
118
Esercizio
119
Esercizio
120
Esercizio
Maria F biondi 63
Susanna F bruni 66
Gianna F biondi 65
Alice F rossi 68
Eleonora F bruni 67
Giovanni M bruni 71
Loretta F biondi 63
Giacomo M rossi 70
Enrico M biondi 73
121
Prove bernulliane e multinomiali
122
Esempio (prove bernoulliane)
In formule:
nf
p(E )
np
Di conseguenza la probabilità è un numero compreso tra
0 e 1 0 ≤ p(E) ≤ 1
nf 1
P 6 0,1 6
np 6
La probabilità che non esca 6 è invece
1 5
P 6 1 P ( 6 ) 1 0 ,8 3
6 6
La somma della probabilità di tutti gli eventi possibili è 1
P(1)+ P(2)+ P(3)+ P(4)+ P(5)+ P(6)= 1/6+ 1/6+ 1/6+ 1/6+ 1/6+ 1/6=1
Lancio di due dadi
Quali sono i possibili risultati della somma del lancio di due dadi ?
Qual è la probabilità di ottenere ciascuna delle somme possibili?
Il numero dei casi possibili è pari a 6 × 6 = 36, perché ogni faccia del
primo dado si può combinare con ognuna delle sei facce del secondo.
Come possiamo determinare tutte le possibili somme in tutti i possibili
modi?
DADO 1
1 2 3 4 5 6
1 2 3 4 5 6 7
D
2 3 4 5 6 7 8
A
D 3 4 5 6 7 8 9
O 4 5 6 7 8 9 10
2
5 6 7 8 9 10 11
6 7 8 9 10 11 12
Dalla tabella si possono ottenere le loro probabilità:
Ad esempio:
1nf
P2 P(12)
n p 36
nf 2
P 3 P (11 )
np 36
G
I
3 D P D P D P E quindi non sono più equiprobabili.
O 4 P D P D P D
C
2 5 D P D P D P
Due eventi si dicono incompatibili se non si possono
verificare contemporaneamente, quindi l’uno esclude l’altro.
P( A B)
P( A / B)
P( B)
Esempio
P( E F ) P ( 4) 1
P( E / F )
P( F ) P (2, 4, 6 3
Teorema di Bayes
p( A) p( B / A)
p ( A / B)
p( A) p( B / A) p(nonA) p( B / nonA)
Ma …
Il gioco delle tre carte
Dadi di Efron
6 2 6
Dado 3-3 Dado 5-1
2 B
3 1
2
3 3 3 5 1 5
3 1
D 3 5
4
0 4 0
4 C
Dado 4-0
Supponiamo che uno dei due giocatori scelga il dado 5-1 e l’altro,
conoscendo il funzionamento dei dadi scelga il dado 6 – 2 ;
calcoliamo con quale probabilità il secondo giocatore può essere
vincitore con un solo lancio
Il numero di casi possibili è 6 × 6 = 36.
6 2 6
Dado 3-3 Dado 5-1
2 B
3 1
2
3 3 3 5 1 5
3 1
D
3 5
4
0 4 0
4
C
Dado 4-0
Dai giochi d’azzardo ai giochi strategici
http://www.mind.disco.unimib.it/public/site_files/file/Materiale
%20Didattico/Lezione1.pdf
http://filosofia.dafist.unige.it/epi/hp/pal/0-EMS-Stat.pdf
http://dipiter.unical.it/sistrasp/1.%20Introduzione%20calcolo%
20probabilit%C3%A0.PPT
http://www.liceobenedetti.it/TDG/probabilit%C3%A0%20e%2
0teoria%20dei%20giochi.ppt
Altro materiale non riconducibile al titolare di diritti di
autore
Università degli Studi di Genova
DIME
Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica,
gestionale e dei trasporti
Tabella 14
Gli step della metodologia
Tabella 15
Gli step della metodologia
Una visione
completa del flusso
logico della
metodologia può
essere
schematizzato nel
seguente modo
(Figura 7):
Glossario della metodologia HAZOP
Figura 8
8
Alcune regole pratiche
Figura 9
Riferimenti bibliografici
Tabella 17b
La metodologia FTA
Tabella 18
18
Regole fondamentali da considerare nella
costruzione di un FT
Figura 10
Figura 11
Applicazione della metodologia FTA allo studio di
un semplice sistema
Figura 12
Un esempio di FTA utilizzando un tool di calcolo
dedicato
Figura 13
Figura 14
Applicazione della metodologia FTA allo studio di un
semplice sistema
In Figura 15 (a
lato) viene
riportato un
esempio di
rappresentazion
e FT relativo
allo schema di
impianto di
Figura 13,
attraverso
l’utilizzo di uno
strumento
informatico.
Event tree analysis - ETA
Prima parte
Seconda parte
Figura1
Introduzione
Tabella 1
Glossario della FMEA
Tabella 1b
Glossario della FMEA
Fondamentale è :
◦ l’assegnazione della categoria di severità, il cui fine è
l’individuare le azioni correttive;
◦ la modalità di propagazione del guasto, al fine di
salvaguardare il sistema nel suo complesso
Tabella 2:
Analisi delle criticità - Criticality Analysis
Tabella 3
Analisi della criticità
Fattori correttivi:
b: indica la probabilità condizionata che l’effetto di guasto
risulterà nella classificazione della criticità identificata, dato
l’accadimento del modo di guasto; in altre rappresenta il
giudizio dell’analista;
a: indica la frazione del tasso di guasto (l p) di un
componente del sistema, corrispondente al livello di
scomposizione più dettagliato, relativo a uno specifico modo
di guasto che dovrà essere valutato dall’analista e registrato;
t: indica il tempo operativo espresso in ore o in numero di
cicli operati di un’apparecchiatura per singola missione, dovrà
essere derivato dalla definizione del sistema e riportato sui
tabulati.
Analisi della criticità
Figura 4
Risk Priority Number - RPN
> RPN:
◦ > sarà la criticità a cui esso è riferito;
◦ > è la priorità d’intervento
Tabella 4
Risk Priority Number - RPN
Tabella 5
5
Risk Priority Number - RPN
6
Tabella 6
Esempi di modulistica utilizzata nell’analisi
FMEA/FMECA
Tabella 9:
9
Applicazione della metodologica FMECA
Ogni alternativa:
NS (Net Savings).
Lyfe Cycle Cost Analysis - LCCA
10
Life Cycle Cost Analysis - LCCA
Si procede a:
Limitazioni dell’analisi:
◦ approssimazioni in quanto stime e valutazioni sono
effettuate all’inizio della vita di un progetto;
◦ omissione di dati;
◦ mancanza di struttura sistemica di analisi;
◦ errata interpretazione dei dati;
◦ errato impiego delle tecniche di analisi e di stima;
◦ concentrazione di eventi sbagliati o insignificanti;
◦ errori nella valutazione della incertezza;
◦ errori nel controllo del lavoro;
◦ errati valori nei parametri utilizzati nel calcolo dei costi.
Life Cycle Cost Analysis -LCCA
3. Parametri comuni
periodo di studio;
data di inizio del ciclo di vita del sistema;
data di inizio della fase di esercizio del sistema;
tasso di sconto;
modalità di trattamento della inflazione;
ipotesi operative.
4. Dati di costo e fattori relativi
costi di investimento;
costi operativi;
costi di utilizzo delle utilities;
temporizzazione dei costi;
fonti dati di costo,
valutazione della incertezza.
Continua
La documentazione della LCCA e la terminologia
da usare
5. Calcoli
attualizzazioni;
calcolo di tutti i costi del ciclo di vita;
calcolo degli indici economici supplementari ( SIR, NS, AIRR).
6. Interpretazione
risultanze derivanti da confronti di LCC associati ad
alternative distinte;
valutazione della incertezza;
risultanze delle analisi di sensitività.
7. Risparmi o costi non monetari
descrizione degli intangibili.
8. Altre considerazioni
annotazioni.
9. Raccomandazioni
La documentazione della LCCA e la terminologia
da utilizzare
Tabella 11
La documentazione della LCCA e la terminologia
da utilizzare
Tabella 11
La documentazione della LCCA e la terminologia
da utilizzare
Tabella 11
Le regole della LCCA
Dove:
Introduzione
Indici di manutenzione
Gestione dei piani di manutenzione
Lo sviluppo organizzativo della manutenzione
La fabbrica snella
Manutenzione produttiva (TPM)
Obiettivi
La gestione della manutenzione e delle imprese
L’ingegneria della manutenzione
La struttura organizzativa ed i principali ruoli
Manutenzione programmata e officine
Il mercato della manutenzione
Tipologie di prestazioni per la manutenzione
Il Global Service di manutenzione
Introduzione
Il ruolo dell’ingegneria di manutenzione
Figura A
Indici di manutenzione
Figura C:
Alcuni esempi di indici
E’:
◦ un indice di tipo globale usato per stabilire il livello
prestazionale di una linea produttiva;
◦ un parametro utilizzato per eseguire una
classificazione e una quantificazione delle principali
cause di perdita di efficienza;
◦ una misura del valore aggiunto apportato da una
macchina o da un impianto alla produzione.
Alcuni esempi di indici
dove:
◦ A = (Durata della produzione pianificata - Durata del
downtime non previsto)/Durata della produzione
pianificata.
◦ E = (Produzione reale)/(Produzione teorica)
◦ Q = (Produzione totale – Produzione
scartata)/(Produzione totale).
Alcuni esempi di indici
Continua
Alcune regole pratiche legate alla valutazione degli
indici
Figura E:
Giustificazione degli interventi di manutenzione da
pianificare
Uno dei vincoli di un piano è l’economicità.
E’ necessario che gli interventi siano tutti effettivamente necessari
e impostati in modo corretto.
La giustificazione oggettiva degli interventi deriva da una
dimostrazione della loro effettiva necessità.
La pianificazione deve provenire da una conoscenza di alcuni
indicatori, es.:
◦ età degli asset;
◦ tasso di guasto;
◦ MTBF;
◦ MTTR;
◦ andamento degli indici di performance degli asset;
◦ valore d’immobilizzo tecnico;
◦ costo di manutenzione correttiva;
◦ costo di manutenzione preventiva;
◦ costo totale di manutenzione/valore immobilizzo tecnico;
◦ tasso di utilizzo dell’asset.
Giustificazione degli interventi di manutenzione da
pianificare
Figura G:
Pianificazione e project management
Figura L:
La fabbrica snella
Equazione vincente:
meno investimenti sulle risorse tecnologiche;
maggiore coinvolgimento e valorizzazione delle
risorse invisibili (quelle intellettuali degli operatori).
Concetti di base
Figura M:
Concetti di base
Figura N:
Concezione
Figura O:
Contenuti della manutenzione produttiva
E’ riportato uno
standard tipico di
ispezione-
lubrificazione-
pulizia (figura a
fianco) dove appare
come tutti gli
interventi di
automanutenzione
definiti a seguito
della prima fase
della manutenzione
produttiva sono
codificati in modo
puntuale.
Miglioramento delle “performance” e
pianificazione della manutenzione (MAGEC)
Figura P:
Miglioramento delle “performance” e
pianificazione della manutenzione (MAGEC)
Figura Q:
Lo sviluppo delle attività
E le tipologie di attività:
◦ miglioramento dell’efficienza delle macchine;
◦ pianificazione della manutenzione;
◦ automanutenzione:
◦ prevenzione della manutenzione;
◦ formazione ed addestramento
Lo sviluppo delle attività
Figura R:
Metodo di lavoro
Figura S:
Metodo di lavoro
Obiettivi:
Principali contenuti:
◦ preparazione delle attività assegnate al conduttore e
interpretazione dei dati ispettivi;
◦ preparazione dei lavori di manutenzione
programmata;
◦ approvvigionamento dei materiali.
La gestione delle imprese
Figura T:
La struttura organizzativa
Figura U:
Responsabile minifabbrica
Le responsabilità
◦ Conseguire le performance
◦ Adeguare il livello professionale delle risorse umane
◦ Perseguire il continuo miglioramento delle prestazioni dei
mezzi produttivi in termini di affidabilità e di utilizzo
◦ Migliorare la flessibilità e la capacità di prevenzione e di
reazione della minifabbrica a fronte di mutamenti ed eventi
perturbatori
◦ Assicurare l’adeguatezza e la corretta applicazione delle
prescrizioni e degli strumenti operativi nonché delle
norme sulla sicurezza e sull’ambiente
◦ Ottimizzare i costi di trasformazione del prodotto
attraverso la dinamica della gestione budgetaria.
Responsabile minifabbrica
Le attività:
◦ Predisporre, discutere e definire il budget dei costi, la
pianificazione della produzione, il piano delle migliorie
e le performance
◦ Esercitare il controllo gestionale attraverso gli
indicatori di efficienza, di costo, di affidabilità impianti
e di qualità
◦ Individuare gli assetti produttivi ottimali
◦ Sviluppare le capacità di prevenzione, di reazione e di
flessibilità del sistema produttivo etc
Controller
Le responsabilità
◦ Definire gli indici efficienziali del prodotto/processo.
◦ Conseguire il miglioramento continuo delle prestazioni dei mezzi
produttivi e delle risorse.
◦ Fornire le prescrizioni operative alle squadre e verificarne
l’osservanza applicativa.
Le attività
◦ Elaborare i budget mensili, annuali e pluriennali
◦ Definire il sistema di controllo dei fattori tecnico-produttivi
◦ Controllare l’andamento dei parametri tecnici di misura delle
performances qualitative, quantitative e tecnologiche
◦ Emettere rapporti periodici finalizzati, evidenziando gli
scostamenti dagli obiettivi
◦ Effettuare studi e/o collaborare a progetti per il continuo
miglioramento e aggiornamento del sistema produttivo
◦ Partecipare alla gestione delle controversie con i clienti etc
Gestione della manutenzione
Le responsabilità
◦ Migliorare l’affidabilità impiantistica in ottica di prevenzione
◦ Ottimizzare l’efficienza ed efficacia degli interventi di
manutenzione.
Le attività
◦ Preparare e fornire il quadro delle esigenze e delle previsioni ai
fini della stesura del budget di manutenzione
◦ Raccogliere e analizzare tutti gli elementi necessari per la
gestione dei costi e dei parametri di controllo della
manutenzione
◦ Aggiornare gli standard e i piani della manutenzione
◦ Analizzare i rapporti di ispezione e di pronto intervento
trasmessi dal capo turno, e individuarne gli interventi correttivi e
le priorità
◦ Curare, assieme all’ingegneria della manutenzione,
l’aggiornamento degli archivi tecnici della minifabbrica
◦ Provvedere all’addestramento e alla formazione del personale
operativo per gli aspetti ispettivi e manutentivi etc
Capo turno di produzione/capo squadra/team
leader
Le responsabilità
◦ Attuare i programmi produttivi di turno e gli obiettivi
di qualità e di costo.
◦ Garantire il corretto impiego e il mantenimento dei
mezzi affidati.
◦ Perseguire l’ottimale utilizzo delle risorse e della loro
professionalità.
◦ Garantire l’applicazione delle norme di sicurezza.
Capo turno di produzione/capo squadra/team
leader
Le attività
◦ Gestire il personale delle squadre affidategli
◦ Assicurare la copertura delle postazioni tecnologiche
◦ Fornire alla squadra le direttive e le informazioni
necessarie per svolgere l’attività produttiva in turno
◦ Predisporre gli impianti per ricevere gli impianti di
manutenzione programmata e assicurare la messa in
sicurezza dell’impianto
◦ Addestrare i conduttori per un costante
miglioramento della professionalità con particolare
riguardo alla manutenzione
◦ Relazionare il responsabile minifabbrica sugli
andamenti nel turno della produzione, della qualità,
delle fermate, del personale etc
Conduttore
Le responsabilità
◦ Realizzare il programma di produzione assegnato nei
modi e nei tempi prescritti
◦ Rispettate gli standards di qualità del prodotto
◦ Gestire tempestivamente le varianze
◦ Eseguire correttamente e tempestivamente gli
interventi manutentivi di competenza.
Conduttore
Le attività
◦ Condurre gli impianti e le macchine del segmento di
processo di competenza nel rispetto delle norme di
sicurezza;
◦ Effettuare la sostituzione, la messa a punto e la regolazione
di attrezzature, nonché la movimentazione dei materiali;
◦ Esercitare la sorveglianza continua su parti d’impianto o su
fasi del processo attraverso controlli routinari e attività di
ispezione e di minuto mantenimento prescritte;
◦ Alimentare adeguatamente i sistemi operativi-gestionali
(automatizzati e non) di propria competenza;
◦ A inizio e fine turno curare il passaggio di consegne e la
continuità operativa.
Manutenzione programmata e officine
Le responsabilità
◦ Programmare secondo priorità ed eseguire gli
interventi di manutenzione preventiva e le modifiche
impiantistiche richiesti dalla minifabbrica.
◦ Essere strumento di costante aggiornamento delle
professionalità manutentive operanti nella propria
organizzazione e nelle minifabbriche.
Manutenzione programmata e officine
Le attività:
◦ Concordare con le minifabbriche e la funzione
programmazione della produzione, il programma dei
singoli interventi di manutenzione preventiva
◦ Pianificare, in accordo con la minifabbrica, con le
officine e con gli Approvvigionamenti l’utilizzo delle
risorse e definire tempi, costi e modalità degli
interventi
◦ Fornire, su richiesta delle minifabbriche, risorse
integrative per l’esecuzione di interventi di emergenza
particolarmente complessi ed impegnativi
◦ Consuntivare tempi e costi degli interventi
◦ Realizzare le modifiche impiantistiche approvate etc
Ingegneria di manutenzione
Le responsabilità
◦ Essere il riferimento “culturale”di tutta
l’organizzazione manutentiva
◦ Definire e promuovere le politiche e le tecniche
manutentive più adeguate alla situazione produttiva,
anche tenendo conto delle tendenze evolutive del
mondo esterno
◦ Promuovere la standardizzazione dei sistemi gestionali
e informativi
◦ Promuovere costantemente il miglioramento
continuo.
Ingegneria di manutenzione
Le attività
◦ Effettuare il monitoraggio continuo del sistema
manutenzione per ricercare le criticità e proporne il
superamento
◦ Supportare le minifabbriche nell’azione di promozione,
sviluppo ed attuazione di modifiche impiantistiche che
permettono l’eliminazione delle criticità esistenti
◦ Promuovere la diffusione di metodologie e mezzi atti ad
aumentare l’efficienza e l’efficacia degli interventi
manutentivi
◦ Studiare e promuovere la standardizzazione dei ricambi
utilizzati e delle specifiche tecniche per il loro acquisto
◦ Coordinare con la funzione del Personale lo sviluppo della
professionalità e dei percorsi di carriera delle risorse
manutentive etc
Conclusioni
Figura V:
Il mercato della manutenzione
Figura Z:
Livello del servizio
◦ Ingegneria impianti:
La funzione di ingegneria di processo rappresenta
un know-how proprio che il committente deve
detenere al suo interno.
Figura W:
Presidio del Know-how
Distinguiamo tra:
◦ Know-how di processo:
conoscenze relative al particolare processo produttivo
non possono che essere detenute all’interno,
concorrendo tipicamente alla formazione delle core
competence della propria attività.
◦ Know- how impiantistico:
il fornitore del servizio manutentivo non può
prescindere da una conoscenza impiantistica.
◦ Know-how manutentivo:
l’assuntore mettendo a disposizione il proprio know-
how corre un forte rischio non essendo tutelato dal
fatto che al termine del periodo contrattuale il
committente possa reincorporare l’attività
precedentemente terziarizzata.
Global Service con outsourcing
Fattibilità strategica
Fattibilità economica
La partnership comporta:
◦ reciproca fiducia e tendenza al raggiungimento di
obiettivi comuni in base al modello win-win.
L’assuntore deve:
◦ descrivere la forma organizzativa che intende
adottare per l’erogazione del servizio di
manutenzione;
◦ deve evidenziare in modo completo e dettagliato un
organigramma riportante le funzioni e le risorse
impegnate.
Materiali tecnici