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INDICE
Premessa ......................................................................................................................................................................... 2
1 Introduzione ................................................................................................................................................................ 3
1.1 Chimica e arte: storia di una coppia inseparabile ................................................................................................... 3
1.2 Cenni sulla teoria del restauro ................................................................................................................................ 3
2 Tecniche analitiche impiegate nel restauro ........................................................................................................... 4
2.1 Generalità sulle tecniche ......................................................................................................................................... 4
2.2 Presentazione del caso studio ................................................................................................................................ 5
2.3 Presentazione della problematica .......................................................................................................................... 6
2.4 Analisi chimiche effettuate e raccolta dati ............................................................................................................ 7
2.5 Analisi chimiche sul dipinto di Van Gogh ............................................................................................................ 10
3 Materiali le restauro: le nanocellulose come consolidanti ................................................................................ 12
3.1 Introduzione ........................................................................................................................................................... 12
3.2 Cenni sulle biotecnologie ...................................................................................................................................... 12
3.3 Nanocellulosa utilizzate come consolidante......................................................................................................... 12
3.4 Produzione per via biotecnologica della nanocellulosa batterica........................................................................ 12
3.4.1 Introduzione .................................................................................................................................................... 12
3.4.2 Produzione batterica ...................................................................................................................................... 13
3.4.3 Produzione industriale ................................................................................................................................... 14
4 Conclusioni ................................................................................................................................................................. 16
Bibliografia e sitografia ............................................................................................................................................... 17
A.S 2020/2021 Benettin Riccardo Chimica e Materiali
PREMESSA
Il territorio italiano conserva su di sé tracce di una storia millenaria, segnata da numerose civiltà e culture che, nel
tempo, hanno portato alla formazione di innumerevoli beni, ognuno caratterizzato da un suo stile, da una sua stessa
unicità. L’intero patrimonio culturale custodito nel nostro Paese è il segno indelebile della identità italiana,
caratterizzata dall’intreccio tra le diverse culture che durante i secoli hanno fatto la storia dell’Italia. Difatti, passando
da nord a sud, l’Italia è costellata da molteplici centri storici, musei, mostre, in cui ogni manufatto artistico è distinto
per una sua impronta originale, che di fatto racconta la sua cultura, ma tutti questi aspetti unici e originali possono
essere unificati sotto un’unica espressione di italianità. Il nostro compito, oggi, è quello di mantenere e arricchire
tale patrimonio affinché le future generazioni possano godere di quel che per noi oggi è il pane quotidiano. Questo
pensiero è contenuto nei dieci principi fondamentali della Costituzione italiana, che afferma: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione”. Attraverso questo articolo l’Italia sancisce, tra i suoi principi legislativi, che i beni culturali e
ambientali costituiscono il patrimonio culturale italiano, definito anche patrimonio storico e artistico. I beni
culturali sono quindi identificati come un patrimonio nazionale. Pertanto, tutt’oggi, un’importante materia legata
alla manutenzione, denominata restauro, si focalizza sul ripristino e sulla conservazione dei beni culturali. Ed è
proprio il tema della attività di restauro e di conservazione dei beni culturali che in Italia, ma anche nei diversi paesi
mondiali, ha portato all’incontro e alla coesione di diverse materie scientifiche utili in questo campo. Tuttavia, non
dobbiamo pensare che la scienza e l’arte (intesa come concetto univoco rappresentate di tutte le forme d’arte) non
siano mai state connesse, poiché in tal caso commetteremmo un grave errore. Difatti, basterebbe ripercorre la storia
per capire realmente quanto queste due discipline, che sembrerebbero distanti, siano andate a braccetto insieme per
un bel po’ di tempo. Basti pensare ai primi pigmenti e allo studio di questi attraverso l’alchimia araba, grazie ai
numerosi alchimisti delle prime epoche come Geber (722 d.C.), che hanno portato allo studio più approfondito della
materia contribuendo alla produzione di altri pigmenti. Tali conoscenze furono poi ereditate dai pittori italiani che
riuscirono a stilare una metodologia, seppur primitiva, ma funzionale: in grado di produrre diversi pigmenti. Tra
questi un caso unico è rappresentato dal pittore toscano Cennino Cennini che a partire da zolfo e mercurio riuscì a
produrre il rosso vermiglione (HgS puro). Altrettanto si può dire del colore giallo oro (As2S3) sintetizzato per la prima
volta durante il Medioevo. Quindi, si può osservare quanto lo sviluppo prima dell’alchimia e poi della chimica ha
permesso l’arricchimento delle tavolozze dei pittori di tutto il mondo, consentendo lo svolgimento, da parte degli
artisti, delle loro attività nella piena libertà di scelta. Così come ieri, anche oggi arte e chimica sono strettamente
legate. Difatti, la chimica non è solo funzionale nel produrre pigmenti, ma allo stesso tempo è estremamente
importante nel campo del restauro. Obiettivo di tale elaborato è sottolineare l’importanza della chimica tecnica
nell’arte, portando alcuni esempi di strumentazioni e materiali che sono stati utili a conservare e/o salvare diverse
opere artistiche.
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INTRODUZIONE
1.1 CHIMICA E ARTE: STORIA DI UNA COPPIA INSEPARABILE
Chimica e arte, o alchimia e arte, sono parole che difficilmente vengono abbinate. Difatti, visitando un museo ci
viene probabilmente in mente l’immagine del dipinto, oppure i colori utilizzati, oppure ancora ci concentriamo sulla
scena rappresentata. Ma quello di cui ci dimentichiamo è la presenza della chimica tutto intorno a noi: dagli atomi
che compongono i pigmenti e successivamente i colori, ai materiali che compongono la tela, alle vernici che il pittore
ha spalmato sopra la propria opera per renderla eterna. La chimica, inevitabilmente, è direttamente collegata allo
sviluppo dell’arte. Infatti, basti pensare che il progresso chimico consente al pittore di ottenere più pigmenti e quindi
più colori. In effetti oggi, se non vi fosse stato lo sviluppo della chimica, non avremmo potuto godere dei celebri
girasoli di Van Gogh oppure dei bellissimi dipinti di Leonardo da Vinci. Pertanto, lo sviluppo dell’arte è direttamente
collegato con lo sviluppo della chimica (o scienza in generale) ed è proprio la storica dell’arte Anthea Callen che
propugna tali concetti, scrivendo: “Ogni opera d’arte è determinata in primo luogo e soprattutto dai materiali a
disposizione dell’artista e dalla sua abilità nel manipolarli”. Per esempio, nel Paleolitico e nel Neolitico la gamma di
pigmenti disponibili per i “pittori” di quell’epoca erano estremamente limitati, derivanti primariamente dalle rocce
o dai pochi minerali che riuscivano a lavorare. Poi, lo sviluppo della metallurgia, in primis, e dell’alchimia dopo, ha
portato alla scoperta di nuovi minerali e quindi al conseguente ampliamento della tavolozza dei pittori che, di fatto,
riuscirono a esprime con più libertà il concetto di arte. Inoltre, con il passare dei secoli, e quindi con l’avanzamento
della chimica, il prezzo dei pigmenti variò notevolmente, per esempio pensiamo al blu di lapislazzuli utilizzato nel
celebre dipinto di Tiziano “Bacco e Arianna” (v. Figura 1), tale pigmento era uno dei più costosi e quindi accessibile
solo ai pittori più celebri, come Leonardo da Vinci che utilizzò il blu di lapislazzulo per dipingere il manto di Simone
nell’Ultima Cena1, invece con l’avvento della chimica questo pigmento fu sintetizzato industrialmente e quindi reso
accessibile a tutti. Così, la chimica divenne sempre più importante nel campo dell’arte, tant’è che durante il XIX
secolo furono sintetizzati nuovi pigmenti che ricoprirono una più
ampia gamma di colori, tra i quali, per esempio, giallo cromo o il blu
di Prussia. Tuttavia, nonostante la chimica fosse essenziale, in pochi
la conoscevano e la sapevano maneggiare, mentre la maggior parte
utilizzava composti estremamente tossici senza nessun riguardo.
Infatti, il giallo cromo utilizzato da Van Gogh è stata, probabilmente,
la causa del deterioramento dei suoi dipinti, poiché, come vedremo
successivamente (v. paragrafo 2.2), tale pigmento è composto da
ossidi di cromo che riducendosi si imbruniscono.
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Fonte: Antonietta Gallone: “I blu di Leonardo nell’Ultima Cena”, Politecnico di Milano
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- Riconoscibilità: ogni intervento di restauro deve essere riconoscibile, pertanto il restauratore deve operare
garantendo la perfetta disomogeneità dell’intervento attuato dall’opera originale.
- Reversibilità: qualsiasi intervento, sia “conservativo” che “estetico”, deve poter essere rimosso senza
intaccare l’originalità dell’opera.
- Compatibilità: i materiali utilizzati nelle azioni di restauro non devono recare né danno fisico né danno
chimico ai materiali originali, devono quindi avere le stesse proprietà chimico-fisiche dei materiali originali.
- Minimo intervento: limitare l’intervento di restauro al minimo indispensabile, in modo tale da ridurre gli
stress che l’opera subisce ogni intervento.
- Interdisciplinarità: l’integrazione, ove possibile, tra diverse discipline/professioni, che collaborano insieme
nella ricerca e nello scambio di conoscenze allo scopo di ottenere un lavoro più completo possibile. Un caso
esemplare è la chimica integrata nelle azioni di restauro (oggetto di studio in questo elaborato).
Un altro importante concetto è definito nella “Teoria del restauro” (1960) di Cesare Brandi che espone nel suo
saggio l’importanza della inalienabilità dell’opera dal suo sito. Con tale tesi Brandi riconosce l’importanza del luogo
in cui l’opera è nata e, quindi, ove fosse possibile, la conservazione del sito ove l’opera è contenuta, definendo tale
spazio come spazio-ambiente. Si desume, quindi, che un’azione di restauro condotta in modo metodologicamente
corretto dovrebbe considerare l’opera come parte integrante di un ben definito sistema che non si dovrebbe
perturbare o modificare nel caso in cui ciò fosse possibile.
Dall’importanza attribuita alla tutela dello spazio-ambiente ne consegue uno studio approfondito non solo del
materiale costituente del bene culturale ma, altresì, dei materiali costituenti dello spazio-ambiente. Pertanto, si
opera attuando una serie di analisi fisiche, chimico-fisiche, biologiche e chimiche al fine di individuare particolari
fattori causanti fenomeni di degrado. Tale fenomeno non è altro che l’adattamento naturale dei materiali alle
condizioni ambientali che possono cambiare in seguito a cause naturali (clima) o cause antropiche.
Nonostante il crescente interesse per i lavori di restauro e la conservazione di beni culturali, non esiste ancora una
metodologia univoca a cui rivolgersi; esistono invece delle grandi correnti di pensiero, spesso contrastanti tra loro.
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La tomografia è una particolare tecnica spettroscopica mirata alla rappresentazione a strati che è in grado di
ottenere determinate sezione, opportunamente scelte.
3 La dendrocronologia è un sistema di datazione basato sul conteggio degli anelli di accrescimento annuale degli
alberi. Nella diagnostica artistica viene utilizzata nel caso in cui il dipinto fosse realizzato su legno.
4 Il carbonio 14 è un isotopo radioattivo del carbonio avente 6 protoni e 8 neutroni. La quantità di tale isotopo
ovviamente in modo invano, la bellezza e le proprietà uniche. Inoltre, il giallo di cromo, oltre che possedere qualità
visive uniche, presenta, anche, un’estrema tossicità. Per questo si pensa che i problemi neurali di Van Gogh siano,
probabilmente, dovuti all’uso senza alcun riguardo di tale pigmento.
5Il legante è un fluido che miscelato insieme al pigmento ne migliora l’applicabilità sulle diverse superfici, l’adesione
e la colorazione
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presenti nell’atmosfera come SO2 e H2S. Il passaggio da CrVI a CrIII determina un imbrunimento complessivo del
pigmento. A causa di questo imbrunimento sono state fatte svariate ricerche su diversi dipinti di Van Gogh (grande
estimatore del giallo di cromo), grazie all’uso di tecniche non invasive compiute in situ (al museo di Van Gogh ad
Amsterdam) mediante scanning macro XRF (MA-XRF)6, spettrometria in riflettanza nel medio infrarosso (FT-IR)7 e
Raman8.
figura 5. nella parte sinistra si osserva il leggero imbrunimento del pigmento cy0 con i due differenti leganti (olio di
lino in alto e acrilico in basso). Invece, nella parte destra si osserva l’imbrunimento del pigmento ricco in solfato
(cy0.8). I quadrati con sotto scritto “3 months/” rappresentano l’imbrunimento causato dall’irraggiamento con
raggi UV.
Sebbene, il cambiamento di colore sia chiaramente visibile anche ad occhio nudo, diverse analisi colorimetriche e in
spettroscopia in riflettanza diffusa UV/Vis confermano le nostre prime impressioni (v. Figura 6 e Tabella 2.3). Difatti,
come si osserva nella figura 6 i diversi grafici mostrano un maggior assorbimento, quindi una più bassa riflettanza
percentuale (colori più vicini al nero assorbono più porzioni dello spettro sino all’assorbimento totale
corrispondente al colore nero e, quindi, una riflettanza nulla), nei pigmenti dispersi in olio di lino (CY-oil) rispetto
ai pigmenti dispersi nell’acrilico (CY-acrylic). In particolare, si osserva anche una minore riflettanza percentuale nei
pigmenti con un più alto contenuto di solfato. Pertanto, possiamo concludere che questi ultimi presentano un più
celere foto-invecchiamento e quindi un più alto “inscurimento”. Tali osservazioni sono confermate anche dai dati
colorimetrici (v. tabella 2.3) delle rispettive coordinate L*, a* e b* che rappresentano rispettivamente:
6
Vedi Allegato 2
7 Vedi Allegato 1
8 Vedi Allegato 3
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quindi ad una variazione sia negativa che positiva delle tre coordinate colorimetriche si ha un aumento del
cambiamento di colore ∆𝐸 ∗ . Ciò significa che osservando i dati di ∆𝐸 ∗ presenti in tabella 2.3 capiremmo quali
pigmenti si sono ridotti e hanno cambiato colore più facilmente (evidenziati in tabella in arancione).
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Valore totale del cambiamento del colore.
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Dove B è il legante organico, che funge da donatore di uno o due elettroni, e P è il prodotto di ossidazione di B.
Quindi, nella prima fase vi è la formazione di un intermedio di riduzione, ovvero CrV, mentre nella seconda il legante
organico (B) cede altri due elettroni all’intermedio di riduzione (CrV) formando:
Perciò, la reazione avviene se sono verificate due condizioni: il legante organico deve donare una coppia di
elettroni e l’intermedio di riduzione deve, prima, essere prodotto e poi stabilizzato, in modo tale da poter essere
successivamente ridotto a CrIII. Pertanto, si intuisce quanto il legante incida sulla formazione di CrIII. Difatti, vi
sono due diversi meccanismi di reazione:
• CY0/CY0.8 in olio di lino. Nell’olio di lino il CrVI è rilasciato sia come CrO42- e sia come HCrO4- a causa della
neutralità o della bassa acidità del legante. Gli ioni HCrO4- si comportano come ossidanti nei confronti del
substrato organico. Quindi, si ha la formazione di CrV. Questa specie ridotta è complessata (e quindi
stabilizzata) dai gruppi funzionali COOH e OH presenti in ambienti organici leggermente acidi. Quindi,
una volta complessato può, ulteriormente, ridursi (ossidando la matrice lipidica del legante) a Cr III.
• CY0/CY0.8 in acrilico. Nell’acrilico il CrVI è rilasciato solo come CrO42- a causa del pH leggermente alcalino
dell’ambiente organico (pH~9.0). Questa specie porta alla formazione di una minore quantità
dell’intermedio di riduzione (CrV). Inoltre, la composizione chimica dell’acrilico, priva di gruppi funzionali
COOH e/o OH, ostacola la stabilizzazione del CrV che, quindi, non potrà ridursi ulteriormente a CrIII.
Per tali ragioni nei dati sperimentali si osserva un imbrunimento e, quindi una formazione di CrIII, più alta nel
legante ad olio e più bassa nel legante in acrilico.
Prima abbiamo dimostrato come la formazione di cromo ridotto dipenda, fortemente, dal legante organico.
Tuttavia, non abbiamo esplicitato quale sia il contributo della radiazione solare nelle equazioni 1 e 2. Infatti, la luce
può contribuire alla formazione di Cr (III) secondo due diverse strade:
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• Producendo specie Cr (VI) eccitate che, attraverso l’interazione con il legante (B), permettono la
formazione di complessi (i complessi, come descritto prima, si formano se nel legante sono presenti gruppi
funzionali COOH o OH) in uno stato eccitato (v. eq. 3). Questo può decadere, successivamente, in Cr (V)
e poi, infine, in Cr (III), mentre la matrice organica viene ossidata (v. eq. 4 e 5):
Quindi, attraverso queste reazioni possiamo affermare che il cromato di piombo (in tutte le sue forme) è una
specie chimica fotosensibile e tale caratteristica può essere amplificata dal tipo di legante utilizzato nella vernice.
10
Gli idroperossidi o, anche, perossoli sono composti contenenti il gruppo idroperossido ROOH.
11 La prima freccia dell’equazione ha hν, mentre la seconda ha B sopra.
12 La freccia dell’equazione ha hν sopra.
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distinguere le due composizioni del pigmento. Inoltre, attraverso gli spettri mid-FTIR, sono stati osservati, anche
pigmenti già degradati del CY0.5, che è più fotosensibile rispetto al CY0, (v. Figura 8 B, spettro I e II). Il pigmento
degradato è stato riconosciuto sia grazie al confronto con lo standard (linea in grigio), ma anche poiché esso
differisce dagli altri pigmenti a base di solfato nella forma e nella posizione del numero d’onda (cm -1). Infine, nei
corrispondenti spettri mid-FTIR (v. Figura 8 B, spettro III), è stata trovata la presenza solo di bianco di zinco (ν(ZnO),
zinco ossalato (1364, 1320 cm-1) e carbossilato di zinco (1540, 1465, 1398, 744, 718 cm-1). Questi ultimi due sono i
prodotti della reazione tra ZnO e il legante ad olio. Infine, dagli spettri Raman si osserva che il pigmento giallo di
cromo è stato miscelato con altri pigmenti, quali vermiglione, rosso piombo e altri. Per esempio, gli spettri hanno
confermato che, sulla superficie dei petali è presente sia il CY0, nelle parti più scure (v. Figura 1 D e 2 A, punti da 9 a
13), e sia il CY0.5 nelle parti più chiare (v. Figura 1 D e 2 A, punti da 4 a 8). Invece, in due aree (punti 14-15) gli spettri
Raman e FTIR hanno confermato che le due diverse composizioni dello stesso pigmento giallo di cromo (CY 0.5 ovvero
PbCr0.5S0.5O4 e CY0 ovvero PbCrO4) sono state usate insieme. Anche nei punti 17-19 è stata osservata un’altra miscela
di pigmenti, quali CY0.5/CY0, miscelata con vermiglione (v. Figura 8 A, 252 e 341 cm-1). Infine, nel punto 20 si registra
la presenza dell’arancio cromo (CO), nella corolla del fiore, e nei punti 21 e 22 questo composto è miscelato con il
giallo di cromo (CY0.5).
In conclusione, i ricercatori, grazie all’uso di tecniche non invasive, hanno potuto osservare le sostanze presenti sulla
superficie del dipinto, tra le quali anche il giallo di cromo, sia non degradato che, di fatto, degradato in Cr (III).
Tuttavia, il gruppo di ricercatori non si è fermato solo a classificare le sostanze presenti, bensì, grazie al prelievo di
due campioni (F458/4 e F4581) e metodologie invasive, sono riusciti a determinare la percentuale di cromo ridotto
presente sulla superficie del dipinto, confermata a 35% sulla superficie e 0% all’interno del colore giallo. Tali risultati,
non solo, sono, assolutamente, concordi con le precedenti ricerche, ma inoltre confermano il fatto che le radiazioni
solari degradano fortemente tale pigmento. Come soluzioni sono state proposte molte soluzioni, tra le quali le più
importanti sono: esporre il dipinto meno ai raggi del sole e/o fonti di luce, oppure particolari vetri e/o vernici.
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Si veda Allegato 4
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I. Una molecola di glucosio viene prima convertita in glucosio 6-fosfato dall’enzima glucochinasi, che idrolizza
una molecola di ATP in ADP:
II. Poi la molecola di glucosio 6-P viene isomerizzata in glucosio 1-P, da un enzima chiamato
fosfoglucomutasi:
III. Una molecola di glucosio 1-P reagisce con uridina trifosfato (UTP) per generare uridina difosfato di glucosio
(UDP-glucosio) dall’enzima pirofosforilasi:
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Gli enzimi sono una classe di proteine che hanno la funzione di catalizzare le reazioni biologiche
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IV. Infine, gli UDP-glucosio vengono polimerizzati in catene di glucano β-1,4 lineari, dall’enzima cellulosa
sintetasi.
Questo processo di quattro reazioni catalitiche permette al batterio di sintetizzare una quantità molto elevata di
cellulosa. Possono, inoltre, essere introdotti anche altri zuccheri, come il fruttosio che viene convertito in fruttosio
1-P, fruttosio 6-P e glucosio 6-P, grazie a una serie di reazioni enzimatiche. Dopo la polimerizzazione intracellulare,
le catene polimeriche di cellulosa vengono espulse dalla membrana cellulare, a seguito di una reazione
intra/intermolecolare tra i gruppi ossidrilici e atomi di ossigeno nel polimero del glucosio (v. Figura 13). Quindi, le
nanofibrille vengono prese ed estruse, prima, (a) in una singola nanofibra elementare con una dimensione del
diametro di ~1.5 nm, e, poi, (b) queste vengono raccolte in una
nanofibra a nastro con uno spessore di 3-4 nm. Le microfibre,
così formate, si intrecciano ulteriormente in solidi a tre
dimensioni, formando una pellicola gelatinosa che galleggia
sulla superficie del mezzo di coltura (in una fermentazione
statica), che fornisce un ambiente sicuro, ricco di ossigeno e
umido per i batteri aerobi. Quindi, i batteri producono tale
struttura per proteggersi dalle radiazioni e da eventuali attacchi
esterni.
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Sia per i metodi statici che per quelli agitati, il terreno di coltura è la parte più importante
del processo, poiché, non solo fornisce i nutrienti necessari per la crescita batterica, ma
ha anche un ruolo fondamentale sulle strutture e sulle rese della nanocellulosa. I terreni,
idealmente, dovrebbero contenere 2,0% di glucosio, lo 0,5% di peptone, lo 0,5% di estratto
d lievito, lo 0,27% di Na2HPO4 e lo 0,115% in peso di acido citrico, in cui il glucosio funge
da fonte di carbonio ed energia, il peptone e l’estratto di lievito come fonti di azoto.
Tuttavia, per risparmiare sul costo del terreno di coltura vengono, banalmente, utilizzati
latte di cocco, melassa di barbabietola e scarti agroindustriale (v. Figura 15). Una volta
preparato il terreno, e quindi aver fatto crescere i batteri, questi vengono immessi
all’interno del bio-reattore (un comune reattore STR). Essendo i batteri aerobi, il reattore
deve provvedere alla perfetta miscelazione di ossigeno bimolecolare nell’inoculo. Il pH del
reattore viene regolato, ad un valore di 6.0, utilizzando HCl o NaOH. La temperatura
ottimale del reattore deve essere intorno ai 30°C, anche se, ultimamente, sono stati
brevettati processi più efficienti che consentono di operare a temperature più basse
(10÷20°C). Una volta concluso il processo, la nanocellulosa così prodotta è estremamente
impura. Infatti, il processo di purificazione comprende tre fasi:
I. I prodotti vengono trattati con soluzioni alcaline a 100°C per 15-20 minuti,
in modo tale da rimuovere le cellule batteriche; Figura 14. A sopra
(statico) e B sotto
II. I prodotti di nanocellulosa vengono isolati dalla soluzione alcalina; (agitato)
III. Infine, la nanocellulosa viene lavata con acqua distillata per ristabilire il valore di pH neutro.
Figura 15. Diagramma schematico dei diversi trattamenti preliminari e processi dei differenti rifiuti
agroindustriali. HS medium è un particolare terreno di crescita (Hestrin-Schramm); MD1 è il batterio; BNC è
la nanocellulosa batterica.
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CONCLUSIONI
In questo breve e sintetico elaborato si è sottolineata la notevole presenza della chimica nell’arte di ieri e, soprattutto,
nell’arte di oggi. Difatti, il restauro, come si è visto, utilizza tantissimi prodotti e strumenti chimici. Pertanto, anche
se non sembra, queste due materie sono sempre state in contatto fra loro, dal neolitico sino al XXI secolo.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
INTRODUZIONE :
Bensi P. La chimica e le tecniche pittoriche del XIX secolo
PARTE DI ANALITICA :
Skoog D., Holler J., Crouch S. Chimica analitica strumentale. Seconda edizione, Edisis; 2007. Solo capitoli riguardanti
spettroscopia IR, Raman e cenni sul XRF.
Cozzi R., Protti P., Ruaro T. Elementi di analisi chimica strumentale. Seconda edizione, Zanichelli; 2013. Solo capitolo
sull’IR.
Monico L., Janssen K., Hendriks E. e altri Evidence for Degradation of the Chrome Yellows in Van Gogh’s Sunflowers:
A Study Using Noninvasive In Situ Methods. Angewandte Chemie; 2015.
Monico L., Sorace L., Cotte M. e altri Disclosing the Binding Medium Effects and the Pigment Solubility in the
(photo)reduction Process of Chrome Yellows (PbCrO4/PbCr1-xSxO4). ACS Omega; 2019, 4, 6607-6619.
Minolta Konica, Identifyng Color Differences Using L* a* b* or L* C* H * Coordinates. Solo paragrafi riguardanti le
coordinate L* a* e b*.
Esposito A. Tecniche diagnostiche non distruttive applicate ai Beni Culturali. Diapositive. Solo parte relativa alla
Riflettografia IR.
PARTE DI INDUSTRIALE :
Calatozzolo M., Natali S. Tecnologie chimiche industriali, Terzo volume. Seconda edizione, Edisco; 2014
Susana L. Polimeri per il consolidamento di opere pittoriche: nuove formulazioni oltre il BEVA 371. Anno accademico
2017/2018. Solo capitolo 2 e 4 (pag. 61)
Abol-Fotouh D., Hassan M. e altri Bacterial nanocellulose from agro-industrial waste: low-cost and enhanced
production by Komagataeilbacter saccharivorans MD1. Scientific reports, Nature; 2020.
Zhong C. Industrial-Scale Production and Applications of Bacterial Cellulose. Frontiers in Bioengineering and
Biotechnology; 2020.
Boschi M., Rizzoni P. Biochimicamente. Zanichelli. Solo parte relativa al metabolismo e alla classificazione dei
microrganismi.
Sito Macchine Alimentari, La cellulosa prodotta dai batteri per gli imballaggi alimentari. Solo parte relativa alla
descrizione dei batteri.
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ALLEGATO 1
CENNI SULLA SPETTROSCOPIA IR
Fonti: Libro di testo: “Elementi di analisi chimica strumentale” Cozzi R e altri.; libro di testo: “Chimica analitica e
strumentale” Holler J.; libro di testo: “Metodi di analisi tecniche” Cozzi R.
INTRODUZIONE
La spettroscopia IR è una tecnica analitica che si basa sull’interazione fra la radiazione elettromagnetica e la materia.
In particolare, la radiazione infrarossa è compresa nella zona dello spettro elettromagnetico che si trova tra le regioni
del visibile e delle microonde (v. Figura 1), ovvero tra 0,8 e 30 m.
I legami tra i diversi atomi non sono perfettamente immobili. Difatti, essi si muovono (oscillano) in modo periodico,
modificando l’angolo e la lunghezza del legame. Le radiazioni IR possono amplificare tali oscillazioni. Per spiegare
questo fenomeno si è partiti dal modello classico per poi ottenere il modello quantistico.
MODELLO CLASSICO
In tale modello dobbiamo considerare la molecola come un sistema di oscillatori armonici, in cui due masse (i due
atomi m1 e m2) sono legate da una molla (legame chimico):
𝐹 = −𝑘𝑦 (1.0)
Dove k è la costante di elasticità della molla (in questo caso rappresenta la costante di forza del legame), che dipende
dalla rigidità della molla, mentre y è lo spostamento. Il segno negativo indica che F è una forza di richiamo. Ciò
significa che forza e spostamento hanno direzione opposta e quindi la forza tende a riportare la massa nella sua
posizione originale, ovvero quella di equilibrio.
1 𝑘
𝜈= √𝜇 (1.5)
2𝜋
Si evince che la frequenza naturale dell’oscillatore meccanico dipende dalla costante di forza del legame e dalla
massa ridotta (μ), ma è indipendente dall’energia fornita al sistema; le variazioni di energia provocano solo una
variazione dell’ampiezza A della vibrazione. Inoltre, la massa ridotta (μ) non è altro che:
𝑚𝑎 ∙ 𝑚𝑏
μ=
𝑚𝑎 + 𝑚𝑏
L’energia associata a questa vibrazione, (ovvero l’energia vibrazionale del sistema) sarà dunque:
𝐸𝑣𝑖𝑏𝑟 = ℎ𝜈𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠
MODELLO QUANTISTICO
L’assorbimento delle molecole può essere descritto secondo un modello quantistico, in cui è sperimentalmente
verificato che l’energia vibrazionale (Evibr) delle molecole è quantizzata ed assume i valori:
1
𝐸𝑣𝑖𝑏𝑟 = (𝑣 + )ℎ𝜈 (eq. 1.6)
2
Dove v è il numero quantico vibrazionale (può assumere solo valori discreti); 𝜈 è la frequenza della vibrazione; h la
costante di Plank.
Dunque, dato che il numero quantico vibrazionale può assumere solo valori discreti (0, 1, 2, 3…), nello stato
vibrazionale fondamentale (v=0), l’energia vibrazionale di una molecola sarà sicuramente diversa da 0. Ciò, porta a
concludere che una molecola è sempre in oscillazione.
Questi risultano cadere a una frequenza che è, circa, il doppio di quella fondamentale. Il fenomeno illustrato viene
chiamato overtone.
Uno spettro infrarosso si presenta come una serie di picchi (curve) di assorbimento posizionate lungo i valori
dell’ascissa. Ogni curva presenta delle diverse caratteristiche che possono essere riassunte nella figura 3:
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• La forma.
STRUMENTAZIONE IR
Schema a blocchi di uno spettrofotometro FT-IR con interferometro di Michelson. La radiazione entra prima
all’interno dell’interferometro (si veda Figura 4), viene poi inviato, prima, al campione (che ne assorbe una parte), e
poi al rivelatore.
S ORGENTI :
I tre dispositivi, generalmente, utilizzati come sorgenti sono:
• Filamento di Nernst. Si tratta di un filamento costituito da miscele di ossidi fusi di Zr, Y, Th e Ce, riscaldati
a 1200-1700°C. È uno strumento che necessita di una breve fase di preriscaldamento e presenta una bassa
resistenza meccanica.
• Filamento di Nichel-cromo. E’ un filamento riscaldata sino a 1200°C e raffreddato ad aria. Presenta una bassa
emissione. Viene, principalmente, utilizzato come sorgente per strumenti di routine.
• Filamento di ceramica. Si tratta di un filamento riscaldato sino a 1200°C ed è dotato di un sistema di controllo
della temperatura ad acqua o ad aria. è il dispositivo più utilizzato.
R IVELATORI :
I rivelatori, ad oggi, più utilizzati sono i cristalli piroelettrici, che possiedono la proprietà di manifestare una tensione
elettrica quando vengono scaldati.
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I NTERFEROMETRO :
L’interferometro di Michelson consiste in un sistema di specchi che suddivide i raggi di luce in due raggi distinti (v.
Figura 4), i due raggi vengono ricombinati e danno luogo a fenomeni di interferenza. L’interferometro è formato da
uno specchio fisso (y) ed uno specchio mobile (x). Se i due raggi percorrono la stessa distanza, la differenza fra i
cammini ottici è uguale a zero. Se, invece, lo specchio mobile si sposta di una distanza x dalla posizione iniziale, il
ritardo è uguale al cammino percorso per andare e tornare ( 2 volte la distanza x):
𝛿 = 2𝑥
In questo modo si vengono a creare delle interferenze costruttive e distruttive dei due raggi, ovvero:
• Se i cammini dei due raggi sono uguali o differiscono di una quantità uguale a un numero intero di lunghezze
d’onda (𝛿 = 𝑛𝜆, 𝑐𝑜𝑛 𝑚 = 0, 1, 2 ,3, 4 … ), l’interferenza sarà costruttiva;
1
• Se invece (𝛿 = (𝑛 + 2)𝜆, l’interferenza è completamente distruttiva.
All’uscita dell’interferometro l’intensità del segnale varia in modo sinusoidale ed è rappresentato dalla funzione: I(δ).
Difatti, l’interferogramma risultante è un’onda sinusoidale, il cui periodo varia con la frequenza della radiazione che
1
l’ha prodotto; nei punti di massimo si verifica la condizione 𝛿 = 𝑛𝜆, nei punti di minimo 𝛿 = (𝑛 + 2)𝜆.
L A TRASFORMATA DI F OURIER
Questo operatore matematico viene utilizzato per convertire l’interferogramma ottenuto (di difficile lettura),
contenente tutte le informazioni necessarie per identificare i campioni analizzati, in spettri. Tale passaggio è
permesso dall’utilizzo della trasformata di Fourier.
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La riflettanza diffusa trova enormi applicazioni nelle analisi non invasive di dipinti. Infatti, in tal caso la radiazione
viene assorbita, riflessa e, infine, registrata (v. Figura 6).
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ALLEGATO 2
BREVE INTRODUZIONE SULLO SCANNER MA -XRF
Sitografia: uantwerpen.be
INTRODUZIONE
Scansione macro-XRF (MA-XRF) è una variante dell'imaging XRF che consente la visualizzazione della distribuzione
degli elementi in un campione piatto e macroscopico (fino a diversi metri quadrati) in modo non distruttivo. Ciò si
ottiene scansionando la superficie del campione con un fascio di raggi X focalizzato o collimato di dimensioni
millimetriche e analizzando la radiazione di fluorescenza emessa. Il metodo è molto importante nell'indagine di
dipinti storici, poiché le immagini ottenute possono rivelare strati sotterranei nascosti, comprese le modifiche
apportate dall'artista o i restauri sulla superficie. In questo modo può fornire una visione unica del processo creativo
degli artisti e del dipinto.
ALLEGATO 3
CENNI SULLA SPETTROSCOPIA RAMAN
Fonti: Libro di testo: “Chimica analitica e strumentale”, James Haller e altri.
INTRODUZIONE
La spettroscopia Raman è una tecnica analitica, simile all’IR, importante in molti campi. Tale tecnica si basa sulla
diffusione Raman che deriva dallo stesso tipo di transizioni vibrazionali quantizzate associate all’assorbimento IR.
Pertanto, la differenza di lunghezza d’onda tra la radiazione incidente e quella visibile diffusa corrisponde a
lunghezze d’onda nella regione del NIR (tra 0.75 e 3 μm). In realtà lo spettro della diffusione Raman e quello
dell’assorbimento IR, per una stessa specie, sono fortemente simili.
molecole della radiazione eccitante, provoca il passaggio della molecola a uno stato energetico più elevato rispetto
allo stato energetico delle altre molecole e, quindi, il rilassamento della molecola, dallo stato energetico più alto allo
stato energetico fondamentale, provocherà una maggiore energia della radiazione rispetto a quella assorbita. La
diffusione anti-stokes è più caratteristica, poiché risente meno delle interferenze. Ovviamente, gli spostamenti anti-
stokes presenteranno una minore intensità, poiché gli atomi allo stato eccitato a temperature normali sono una
piccola porzione. Agli spostamenti stokes vengono, generalmente, assegnati valori positivi; invece, per gli
spostamenti anti-stokes vengono preferiti valori negativi (v. Figura 2).
Figura 2. Spostamenti stokes, Rayleigh e anti-stokes. Si osserva come lo spostamento Rayleigh venga utilizzato per
fissare lo zero.
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Il fenomeno di diffusione Raman causa una distorsione momentanea degli elettroni, in un legame della molecola; in
questa forma, quindi, la molecola è temporaneamente polarizzata e si genera un dipolo indotto istantaneo che si
annulla dopo il rilassamento.
STRUMENTAZIONE
La strumentazione per la moderna spettroscopia Raman è costituita da un sorgente laser monocromatica, da un
sistema di illuminazione del campione e da un opportuno spettrometro (v. Figura 3).
Figura 3. Schema a blocchi di uno spettrometro Raman. La radiazione laser viene mandata nella
cella del campione. La diffusione Raman si misura di solito ad angoli retti, per evitare di osservare
la radiazione della sorgente. Poi, un selettore di lunghezze d’onda selezione quella desiderata. Il
trasduttore converte il segnale Raman in un segnale elettrico proporzionale che viene elaborato
dal SED.
SORGENTI
Le sorgenti che vengono, usualmente, utilizzate nella spettroscopia Raman sono a laser, perché la loro intensità è
necessaria per produrre una diffusione Raman di intensità sufficiente per essere misurata con un ragionevole
rapporto segnale-rumore:
I laser più utilizzati sono i primi tre presenti nella tabella 1, anche se producono un’elevata fluorescenza.
• Campioni gassosi, sono contenuti in tubi di vetro di 1-2 cm di diametro o possono essere sigillati in piccoli
tubi capillari;
• Campioni liquidi, possono essere sigillati in ampolle, tubi di vetro o capillari. I capillari possono avere un
diametro interno di 0,5-0,1 mm e 1 mm di lunghezza.
• Campioni solidi, vengono ridotti a polveri fini e immessi all’interno di una piccola cavità.
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Invece, per quanto riguarda i trasduttori vengono utilizzati tubi fotomoltiplicatori, poiché il segnale è molto debole.
Tuttavia, negli ultimi anni sono stati utilizzati anche dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD) e a iniezione di
carica (CID).
ALLEGATO 4
CENNI SUL CONSOLIDAMENTO
Sitografia: “Polimeri per il consolidamento di opere pittoriche: nuove formulazioni oltre il BEVA 371”, a cura di Laura
Susana
Tutti questi strati hanno differenti composizioni chimiche, stabilità e proprietà meccaniche in funzione dei differenti
composti utilizzati nella produzione del dipinto. Anche lo spessore del dipinto può variare da artista ad artista. Per
esempio, un artista può disporre sulla tela meno pittura, e questo cambia radicalmente lo spessore del dipinto;
oppure, la mancanza della vernice finale sopra il dipinto (caso assai strano) può cambiare totalmente lo spessore.
Non è quindi sorprendente che con l’invecchiamento naturale dei diversi componenti, si inizino a rilevare problemi
di vario tipo, che danneggiano, inevitabilmente, l’opera, come la rottura o la delaminazione degli strati pittorici.
CONSOLIDANTI
Un buon consolidante deve ripristinare la coesione degli strati pittorici slegati l’una dagli altri, attraverso le sue
proprietà chimico-fisiche. Inoltre, un buon consolidante deve avere capacità di impregnazione elevate (ovvero deve
bagnare in modo corretto l’opera), tempo di azione lento, compatibilità con i materiali originali (per questo la
nanocellulosa è anche un ottimo consolidante) e stabilità chimico e fisica. Non deve invece possedere nessuna azione
solvente o reattiva verso i materiali da consolidare.
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