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ANALISI CHIMICHE E MATERIALI FINALIZZATI AL

RESTAURO E ALLA CONSERVAZIONE DEI BENI


CULTURALI
ITCS Primo Levi

Riccardo Benettin | Chimica e Materiali | A.S 2020/2021

INDICE
Premessa ......................................................................................................................................................................... 2
1 Introduzione ................................................................................................................................................................ 3
1.1 Chimica e arte: storia di una coppia inseparabile ................................................................................................... 3
1.2 Cenni sulla teoria del restauro ................................................................................................................................ 3
2 Tecniche analitiche impiegate nel restauro ........................................................................................................... 4
2.1 Generalità sulle tecniche ......................................................................................................................................... 4
2.2 Presentazione del caso studio ................................................................................................................................ 5
2.3 Presentazione della problematica .......................................................................................................................... 6
2.4 Analisi chimiche effettuate e raccolta dati ............................................................................................................ 7
2.5 Analisi chimiche sul dipinto di Van Gogh ............................................................................................................ 10
3 Materiali le restauro: le nanocellulose come consolidanti ................................................................................ 12
3.1 Introduzione ........................................................................................................................................................... 12
3.2 Cenni sulle biotecnologie ...................................................................................................................................... 12
3.3 Nanocellulosa utilizzate come consolidante......................................................................................................... 12
3.4 Produzione per via biotecnologica della nanocellulosa batterica........................................................................ 12
3.4.1 Introduzione .................................................................................................................................................... 12
3.4.2 Produzione batterica ...................................................................................................................................... 13
3.4.3 Produzione industriale ................................................................................................................................... 14
4 Conclusioni ................................................................................................................................................................. 16
Bibliografia e sitografia ............................................................................................................................................... 17
A.S 2020/2021 Benettin Riccardo Chimica e Materiali

PREMESSA
Il territorio italiano conserva su di sé tracce di una storia millenaria, segnata da numerose civiltà e culture che, nel
tempo, hanno portato alla formazione di innumerevoli beni, ognuno caratterizzato da un suo stile, da una sua stessa
unicità. L’intero patrimonio culturale custodito nel nostro Paese è il segno indelebile della identità italiana,
caratterizzata dall’intreccio tra le diverse culture che durante i secoli hanno fatto la storia dell’Italia. Difatti, passando
da nord a sud, l’Italia è costellata da molteplici centri storici, musei, mostre, in cui ogni manufatto artistico è distinto
per una sua impronta originale, che di fatto racconta la sua cultura, ma tutti questi aspetti unici e originali possono
essere unificati sotto un’unica espressione di italianità. Il nostro compito, oggi, è quello di mantenere e arricchire
tale patrimonio affinché le future generazioni possano godere di quel che per noi oggi è il pane quotidiano. Questo
pensiero è contenuto nei dieci principi fondamentali della Costituzione italiana, che afferma: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione”. Attraverso questo articolo l’Italia sancisce, tra i suoi principi legislativi, che i beni culturali e
ambientali costituiscono il patrimonio culturale italiano, definito anche patrimonio storico e artistico. I beni
culturali sono quindi identificati come un patrimonio nazionale. Pertanto, tutt’oggi, un’importante materia legata
alla manutenzione, denominata restauro, si focalizza sul ripristino e sulla conservazione dei beni culturali. Ed è
proprio il tema della attività di restauro e di conservazione dei beni culturali che in Italia, ma anche nei diversi paesi
mondiali, ha portato all’incontro e alla coesione di diverse materie scientifiche utili in questo campo. Tuttavia, non
dobbiamo pensare che la scienza e l’arte (intesa come concetto univoco rappresentate di tutte le forme d’arte) non
siano mai state connesse, poiché in tal caso commetteremmo un grave errore. Difatti, basterebbe ripercorre la storia
per capire realmente quanto queste due discipline, che sembrerebbero distanti, siano andate a braccetto insieme per
un bel po’ di tempo. Basti pensare ai primi pigmenti e allo studio di questi attraverso l’alchimia araba, grazie ai
numerosi alchimisti delle prime epoche come Geber (722 d.C.), che hanno portato allo studio più approfondito della
materia contribuendo alla produzione di altri pigmenti. Tali conoscenze furono poi ereditate dai pittori italiani che
riuscirono a stilare una metodologia, seppur primitiva, ma funzionale: in grado di produrre diversi pigmenti. Tra
questi un caso unico è rappresentato dal pittore toscano Cennino Cennini che a partire da zolfo e mercurio riuscì a
produrre il rosso vermiglione (HgS puro). Altrettanto si può dire del colore giallo oro (As2S3) sintetizzato per la prima
volta durante il Medioevo. Quindi, si può osservare quanto lo sviluppo prima dell’alchimia e poi della chimica ha
permesso l’arricchimento delle tavolozze dei pittori di tutto il mondo, consentendo lo svolgimento, da parte degli
artisti, delle loro attività nella piena libertà di scelta. Così come ieri, anche oggi arte e chimica sono strettamente
legate. Difatti, la chimica non è solo funzionale nel produrre pigmenti, ma allo stesso tempo è estremamente
importante nel campo del restauro. Obiettivo di tale elaborato è sottolineare l’importanza della chimica tecnica
nell’arte, portando alcuni esempi di strumentazioni e materiali che sono stati utili a conservare e/o salvare diverse
opere artistiche.

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INTRODUZIONE
1.1 CHIMICA E ARTE: STORIA DI UNA COPPIA INSEPARABILE
Chimica e arte, o alchimia e arte, sono parole che difficilmente vengono abbinate. Difatti, visitando un museo ci
viene probabilmente in mente l’immagine del dipinto, oppure i colori utilizzati, oppure ancora ci concentriamo sulla
scena rappresentata. Ma quello di cui ci dimentichiamo è la presenza della chimica tutto intorno a noi: dagli atomi
che compongono i pigmenti e successivamente i colori, ai materiali che compongono la tela, alle vernici che il pittore
ha spalmato sopra la propria opera per renderla eterna. La chimica, inevitabilmente, è direttamente collegata allo
sviluppo dell’arte. Infatti, basti pensare che il progresso chimico consente al pittore di ottenere più pigmenti e quindi
più colori. In effetti oggi, se non vi fosse stato lo sviluppo della chimica, non avremmo potuto godere dei celebri
girasoli di Van Gogh oppure dei bellissimi dipinti di Leonardo da Vinci. Pertanto, lo sviluppo dell’arte è direttamente
collegato con lo sviluppo della chimica (o scienza in generale) ed è proprio la storica dell’arte Anthea Callen che
propugna tali concetti, scrivendo: “Ogni opera d’arte è determinata in primo luogo e soprattutto dai materiali a
disposizione dell’artista e dalla sua abilità nel manipolarli”. Per esempio, nel Paleolitico e nel Neolitico la gamma di
pigmenti disponibili per i “pittori” di quell’epoca erano estremamente limitati, derivanti primariamente dalle rocce
o dai pochi minerali che riuscivano a lavorare. Poi, lo sviluppo della metallurgia, in primis, e dell’alchimia dopo, ha
portato alla scoperta di nuovi minerali e quindi al conseguente ampliamento della tavolozza dei pittori che, di fatto,
riuscirono a esprime con più libertà il concetto di arte. Inoltre, con il passare dei secoli, e quindi con l’avanzamento
della chimica, il prezzo dei pigmenti variò notevolmente, per esempio pensiamo al blu di lapislazzuli utilizzato nel
celebre dipinto di Tiziano “Bacco e Arianna” (v. Figura 1), tale pigmento era uno dei più costosi e quindi accessibile
solo ai pittori più celebri, come Leonardo da Vinci che utilizzò il blu di lapislazzulo per dipingere il manto di Simone
nell’Ultima Cena1, invece con l’avvento della chimica questo pigmento fu sintetizzato industrialmente e quindi reso
accessibile a tutti. Così, la chimica divenne sempre più importante nel campo dell’arte, tant’è che durante il XIX
secolo furono sintetizzati nuovi pigmenti che ricoprirono una più
ampia gamma di colori, tra i quali, per esempio, giallo cromo o il blu
di Prussia. Tuttavia, nonostante la chimica fosse essenziale, in pochi
la conoscevano e la sapevano maneggiare, mentre la maggior parte
utilizzava composti estremamente tossici senza nessun riguardo.
Infatti, il giallo cromo utilizzato da Van Gogh è stata, probabilmente,
la causa del deterioramento dei suoi dipinti, poiché, come vedremo
successivamente (v. paragrafo 2.2), tale pigmento è composto da
ossidi di cromo che riducendosi si imbruniscono.

Quindi, si può capire quanto la chimica sia stata fondamentale nello


sviluppo storico dei movimenti artistici. Tuttavia, non dobbiamo
pensare che il suo ruolo sia limitato alla produzione dei pigmenti,
perché non è affatto così. Difatti, al giorno, d’oggi la chimica è
Figura 1. Tiziano Bacco e Arianna
fondamentale nel campo del restauro. Il ruolo della chimica in questo
campo è molto ampio, infatti, essa offre diverse tecniche che sono in grado di determinare i composti di cui è formata
un’opera d’arte, oppure di visualizzare le cause del degrado di un dipinto o affresco, oppure ancora riescono a
determinare le tecniche utilizzate dal pittore. Quindi il ruolo della chimica nell’arte è sempre stato (e sempre lo sarà)
legato con l’arte.

1.2 CENNI SULLA TEORIA DEL RESTAURO


Il restauro, per come viene definito oggi, è il frutto di un lungo processo che ha lo scopo di rimettere in efficienza
un bene culturale, affinché questo recuperi il suo significato storico-artistico o le sue funzionalità, o entrambe le
cose, garantendo l’integrità fisica e la leggibilità dell’opera e rispettando i principi fondamentali del restauro. Tali
cinque principi fondamentali sono i “dogmi” che ogni restauratore professionista ha il dovere di rispettare e sono:
riconoscibilità, reversibilità, compatibilità, minimo intervento, interdisciplinarità.

1
Fonte: Antonietta Gallone: “I blu di Leonardo nell’Ultima Cena”, Politecnico di Milano
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- Riconoscibilità: ogni intervento di restauro deve essere riconoscibile, pertanto il restauratore deve operare
garantendo la perfetta disomogeneità dell’intervento attuato dall’opera originale.

- Reversibilità: qualsiasi intervento, sia “conservativo” che “estetico”, deve poter essere rimosso senza
intaccare l’originalità dell’opera.

- Compatibilità: i materiali utilizzati nelle azioni di restauro non devono recare né danno fisico né danno
chimico ai materiali originali, devono quindi avere le stesse proprietà chimico-fisiche dei materiali originali.

- Minimo intervento: limitare l’intervento di restauro al minimo indispensabile, in modo tale da ridurre gli
stress che l’opera subisce ogni intervento.

- Interdisciplinarità: l’integrazione, ove possibile, tra diverse discipline/professioni, che collaborano insieme
nella ricerca e nello scambio di conoscenze allo scopo di ottenere un lavoro più completo possibile. Un caso
esemplare è la chimica integrata nelle azioni di restauro (oggetto di studio in questo elaborato).

Un altro importante concetto è definito nella “Teoria del restauro” (1960) di Cesare Brandi che espone nel suo
saggio l’importanza della inalienabilità dell’opera dal suo sito. Con tale tesi Brandi riconosce l’importanza del luogo
in cui l’opera è nata e, quindi, ove fosse possibile, la conservazione del sito ove l’opera è contenuta, definendo tale
spazio come spazio-ambiente. Si desume, quindi, che un’azione di restauro condotta in modo metodologicamente
corretto dovrebbe considerare l’opera come parte integrante di un ben definito sistema che non si dovrebbe
perturbare o modificare nel caso in cui ciò fosse possibile.

Dall’importanza attribuita alla tutela dello spazio-ambiente ne consegue uno studio approfondito non solo del
materiale costituente del bene culturale ma, altresì, dei materiali costituenti dello spazio-ambiente. Pertanto, si
opera attuando una serie di analisi fisiche, chimico-fisiche, biologiche e chimiche al fine di individuare particolari
fattori causanti fenomeni di degrado. Tale fenomeno non è altro che l’adattamento naturale dei materiali alle
condizioni ambientali che possono cambiare in seguito a cause naturali (clima) o cause antropiche.

Nonostante il crescente interesse per i lavori di restauro e la conservazione di beni culturali, non esiste ancora una
metodologia univoca a cui rivolgersi; esistono invece delle grandi correnti di pensiero, spesso contrastanti tra loro.

TECNICHE ANALITICHE IMPIEGATE NEL RESTAURO


2.1 GENERALITÀ SULLE TECNICHE
Le tecniche analitiche vengono impiegate per ottenere informazioni necessarie agli studi in diversi campi, tra questi
vi sono: autenticità, datazione storica, analisi di provenienza e collocazione storico artistica, valutazione dello stato
di provenienza, analisi dei materiali che compongono non solo la tela stessa, ma anche il supporto sul quale giace
l’opera, individuazione delle possibili cause di degrado, scelta della tecnica più appropriata per il restauro. Tali
tecniche possono essere classificate in diversi modi: in base alle informazioni che forniscono, al processo chimico o
fisico o chimico-fisico su cui si basano, alla tipologia di opera che consentono di analizzare (dipinti su tela,
manoscritti, affreschi, sculture, ecc.) o ancora all’estensione massima di area analizzata. Tuttavia, le tecniche o
metodologie attuate devono tener conto del rispetto dell’oggetto che si sta analizzando, in modo da minimizzare gli
stress o i danni inflitti. Sulla base di questo possiamo identificare due macro-classi di analisi: tecniche invasive e
tecniche non invasive. Per tecniche invasive (v. tabella 2.1) si intendono una serie di metodologie d’analisi che
alterano l’opera in molteplici modi, tra i quali, quelli più comuni, sono: prelievo di materiale (quindi un
campionamento) e introduzione di materiali estranei all’opera. Invece, per metodi non invasivi (v. tabella 2.0) si
intendono tecniche in cui non viene indotta alcuna modificazione sull’oggetto di studio. Alcune analisi non invasive
possono essere impiegate anche su campioni prelevati precedentemente, garantendo, sempre, la non distruzione di
questi.

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ANALISI NON INVASIVE


Metodologie per immagine:
• Metodi fotografici
• Riflettografica (DRFTIR)
• Analisi in UV (attraverso diversi strumenti)
• Termografia (tecnica che si basa sull’acquisizione di immagine nell’infrarosso)
• Radiografia o tomografia2 (RX, TAC)
Metodologie spettroscopiche:
• Spettrometria in riflettanza UV/Vis o NIR
• spettroscopia in riflettanza infrarossa (FT-IR)
• Spettroscopia Raman o FT-Raman
Microscopie:
• Micro-FTIR, micro-XRF e micro-Raman
• Microscopia ottica in luce riflessa
Datazione
• Dendrocronologia3

Tabella 2.0. Esempio di classificazione delle principali analisi diagnostiche non


ANALISE INVASIVE, MICROINVASIVE, invasiveDISTRUTTIVE E NON DISTRUTTIVE
Tecniche spettrometriche elementari:
• Analisi distruttive del campione (AAS, AES, ICP-OES)
• Analisi micro-distruttive del campione (ICP-MS)
• Analisi non distruttive del campione (MAS-XRF)
Metodologie spettrometriche molecolari:
• Spettroscopia UV/Vis o NIR
• Spettroscopia infrarossa (FT-IR)
• Spettroscopia Raman o FT-Raman
• Spettrometria di massa
Metodologie cromatografiche:
• Gascromatografia (GC)
• Cromatografia liquida o HPLC
• GC con spettrometria di massa (GC-MS)
Microscopiche
• Microscopia elettronica
• Microscopia ottica su campioni in luce visibile, polarizzata, UV
Datazione
• Carbonio 144

Tabella 2.1. Esempio di classificazione delle principali analisi diagnostiche invasive.

2.2 PRESENTAZIONE DEL CASO STUDIO


I Girasoli (1888-1889) di Vincent Van Gogh sono una serie di dipinti olio su tela, più precisamente sette, in cui il
pittore raffigura un bouquet di girasoli in un vaso di terracotta (V. figura 2A e 2B). L’unicità di queste opere è
conferita dal famoso colore giallo di cromo, introdotto per la prima volta nel XIX secolo, grazie allo sviluppo della
chimica come scienza esatta. Questo pigmento ossessiona Van Gogh, di cui si ciba metaforicamente e non. È noto,
infatti, che il pittore ingerisse il colore direttamente dal tubetto nel tentativo di assorbirne quanto più possibile,

2
La tomografia è una particolare tecnica spettroscopica mirata alla rappresentazione a strati che è in grado di
ottenere determinate sezione, opportunamente scelte.
3 La dendrocronologia è un sistema di datazione basato sul conteggio degli anelli di accrescimento annuale degli

alberi. Nella diagnostica artistica viene utilizzata nel caso in cui il dipinto fosse realizzato su legno.
4 Il carbonio 14 è un isotopo radioattivo del carbonio avente 6 protoni e 8 neutroni. La quantità di tale isotopo

all’interno del corpo determina la sua datazione storica.


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ovviamente in modo invano, la bellezza e le proprietà uniche. Inoltre, il giallo di cromo, oltre che possedere qualità
visive uniche, presenta, anche, un’estrema tossicità. Per questo si pensa che i problemi neurali di Van Gogh siano,
probabilmente, dovuti all’uso senza alcun riguardo di tale pigmento.

Figura 2. Vincent Van Gogh, Girasoli, 1888-


1889 Amsterdam, museo Van Gogh

2.3 PRESENTAZIONE DELLA PROBLEMATICA


Il giallo di cromo (denominato in questo elaborato “CYs”) è una classe di pigmenti
sintetizzati per la prima volta nel XIX e XX secolo aventi colorazione che varia da
giallo-arancio a giallo limone. Tale pigmento veniva venduto all’interno di un
tubetto in cui, oltre al pigmento, vi era un legante 5, costituito, ai tempi di Van
Gogh, da olio di lino. Il giallo di cromo è un termine che raggruppa diverse
composizioni chimiche (v. figura 3): il cromato di piombo (PbCrO4) e il suo co-
precipitato di cromato di zolfo (PbCr1-xSxO4), con 0 < 𝑥 ≤ 8). Come si osserva
nell’immagine 3 la diversa concentrazione di solfati presenti all’interno del
pigmento è un fattore determinante per quanto riguarda il colore del pigmento
stesso. Le due soluzioni solide sono organizzate in due differenti strutture
cristalline: monoclina, caratterizzata dalla presenza di tre lati aventi lunghezza
diversa e un asse perpendicolare agli altri due (v. figura 4a), e ortorombica,
caratterizzata, invece, da tre assi di lunghezza differente che formano tra loro 3
angoli retti (v. figura 4b). La struttura monoclina è maggiormente diffusa nei
pigmenti di giallo cromo aventi una concentrazione di solfato compresa tra 0.0 ≤
𝑥 ≤ 0.4, mentre una struttura ortorombica è preferita per concentrazioni comprese
tra 0.4 < 𝑥 ≤ 1.0. Tale pigmento, in tutte le
sue composizioni, presenta un più o meno
Figura 3. Differenti colorazioni
veloce (che dipende dalla struttura cristallina
del giallo di cromo in relazione
e da altri fattori v. paragrafo 2.4) foto- alla quantità di solfati presenti
invecchiamento che altera l’ossidazione del
cromo, facendolo passare da CrVI a CrIII, in modo tale da formare l’ossido di
cromo (III) biidrato (Cr2O32 ּH2O). I fattori che incidono sul foto-
Figura 4a-b. Struttura invecchiamento sono molteplici: luce visibile e UV, contaminanti presenti sia
monoclina sinistra e ortoromba all’interno dello stesso pigmento sia all’interno del legante, gas contaminanti

5Il legante è un fluido che miscelato insieme al pigmento ne migliora l’applicabilità sulle diverse superfici, l’adesione
e la colorazione
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presenti nell’atmosfera come SO2 e H2S. Il passaggio da CrVI a CrIII determina un imbrunimento complessivo del
pigmento. A causa di questo imbrunimento sono state fatte svariate ricerche su diversi dipinti di Van Gogh (grande
estimatore del giallo di cromo), grazie all’uso di tecniche non invasive compiute in situ (al museo di Van Gogh ad
Amsterdam) mediante scanning macro XRF (MA-XRF)6, spettrometria in riflettanza nel medio infrarosso (FT-IR)7 e
Raman8.

2.4 ANALISI CHIMICHE EFFETTUATE E RACCOLTA DEI DATI


Studi precedenti hanno dimostrato il fatto che i gialli di cromo ricchi in zolfo ([SO42-]≥50% in peso) e aventi una
struttura cristallina ortorombica, presentano una maggiore foto-alterazione (v. Figura 5). Per dimostrare ciò sono
stati preparati due diversi modelli: uno formato da PbCrO 4 monoclino e un altro formato da PbCr0.2S0.8O4
ortorombico, tutti e due sintetizzati in laboratorio. Le due polveri sono state successivamente miscelate con due
differenti leganti (in rapporto 4:1): olio di lino (marca Zecchi) e Primal B60-A, un’emulsione acrilica contenente un
copolimero dell’acrilato d’etile e metacrilato di metile (chiamato semplicemente “Acrilico”). I quattro modelli
pittorici sono stati essiccati in una stanza senza luce, con una temperatura compresa tra 25÷35°C e con un’umidità
relativa compresa tra 35-45% (RH). Dopodiché, questi, hanno seguito tre diversi processi di degradazione: il primo
rappresentato da una degradazione naturale per 15 giorni (definita come “Naturally aged”), il secondo attraverso un
processo di degradazione naturale durato 20 giorni e, infine, un terzo attraverso una degradazione forzata mediante
raggi UV (i modelli sono stati irradiati per più di 137 h). I modelli sono stati, successivamente, analizzati attraverso
analisi colorimetriche (v. Figura 5), dalle quali si osserva un maggiore imbrunimento del pigmento ricco in solfato e
miscelato con olio di lino.

figura 5. nella parte sinistra si osserva il leggero imbrunimento del pigmento cy0 con i due differenti leganti (olio di
lino in alto e acrilico in basso). Invece, nella parte destra si osserva l’imbrunimento del pigmento ricco in solfato
(cy0.8). I quadrati con sotto scritto “3 months/” rappresentano l’imbrunimento causato dall’irraggiamento con
raggi UV.

Sebbene, il cambiamento di colore sia chiaramente visibile anche ad occhio nudo, diverse analisi colorimetriche e in
spettroscopia in riflettanza diffusa UV/Vis confermano le nostre prime impressioni (v. Figura 6 e Tabella 2.3). Difatti,
come si osserva nella figura 6 i diversi grafici mostrano un maggior assorbimento, quindi una più bassa riflettanza
percentuale (colori più vicini al nero assorbono più porzioni dello spettro sino all’assorbimento totale
corrispondente al colore nero e, quindi, una riflettanza nulla), nei pigmenti dispersi in olio di lino (CY-oil) rispetto
ai pigmenti dispersi nell’acrilico (CY-acrylic). In particolare, si osserva anche una minore riflettanza percentuale nei
pigmenti con un più alto contenuto di solfato. Pertanto, possiamo concludere che questi ultimi presentano un più
celere foto-invecchiamento e quindi un più alto “inscurimento”. Tali osservazioni sono confermate anche dai dati
colorimetrici (v. tabella 2.3) delle rispettive coordinate L*, a* e b* che rappresentano rispettivamente:

• L* la luminosità: può variare da 0% a 100%;

• a* il colore verde e rosso, se a*<0 verde e se a*>0 rosso;

6
Vedi Allegato 2
7 Vedi Allegato 1
8 Vedi Allegato 3

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• b* il colore giallo e blu, se b*<0 blu e se b*>0 giallo.

Quindi, un cambiamento nel colore giallo è


rappresentato da valori di Δb* più bassi,
poiché tale valore corrisponde alla differenza
tra la variabile b* finale (quindi del pigmento
invecchiato) meno quella iniziale (quindi del
pigmento non invecchiato). Perciò, nel caso in
cui Δb* avesse un valore molto sotto lo zero,
significherebbe che la variabile b* finale è più
bassa si quella iniziale e ciò corrisponde a una
diminuzione del giallo nel colore. Questo, per
esempio, è il caso rappresentato dal CY0.8-olio,
invecchiato con lampada UV/Vis, che presenta
un Δb* pari a -31.0 (evidenziato in grigio).
Inoltre, il cambiamento di colore dal pigmento
iniziale a quello invecchiato è rappresentato
dal valore ΔE*9: valori più alti corrispondono
ad una maggiore variazione del colore, mentre figura 6. spettri in riflettanza diffusa UV/vis acquisiti dai pigmenti in
valori, relativamente, bassi corrispondono a rappresentati nella figura 5
*
basse variazioni di colore. Per esempio, valori di ΔE ≤ 1.3 sono insignificanti, ciò significa che a livello sperimentale
il pigmento, dopo un arco di tempo preciso, non ha subito una variazione di colore abbastanza elevata, caso che
riguarda il pigmento CY0 disperso in acrilico per 3 e 20 mesi (ΔE*= 1.3 dopo 3 mesi e ΔE*=0.8 dopo 20 mesi, evidenziato
in celeste). Invece, se andassimo ad accostare i valori più bassi di ΔL*, che corrispondono ad una minore luminosità,
(per esempio CY0.8-olio invecchiato mediante UV/Vis presenta un valore di ΔL*=-17.1, evidenziato in verde)
noteremmo una minore riflettanza percentuale e pertanto un maggiore assorbimento da parte del pigmento, che, di
conseguenza, corrisponde ad un elevato imbrunimento (v. Figura 7). Elevati valori di ΔL*, Δa* e Δb* portano ad un
valore sempre più alto di ΔE*, poiché la relazione matematica che lega queste quattro variabili è rappresentata da:

∆𝐸 ∗ = √(∆𝐿∗ )2 + (∆𝑎∗ )2 + (∆𝑏∗ )2

quindi ad una variazione sia negativa che positiva delle tre coordinate colorimetriche si ha un aumento del
cambiamento di colore ∆𝐸 ∗ . Ciò significa che osservando i dati di ∆𝐸 ∗ presenti in tabella 2.3 capiremmo quali
pigmenti si sono ridotti e hanno cambiato colore più facilmente (evidenziati in tabella in arancione).

Figura 6. Si osserva l’abbassamento della curva in grigio,


corrispondente: ad una variazione notevole di Δb*, quindi
b*finale molto minore di b* iniziale, ad una variazione di
ΔL*, quindi un brusco abbassamento della luminosità, e,
in generale, un notevole cambiamento del colore dovuto
al foto-invecchiamento (o altri possibili fattori). Tali dati
fanno presagire la formazione della forma ridotta del
CrVI, ovvero CrIII, che è la causa dell’imbrunimento del
pigmento. Infine, non si riscontra un notevole
cambiamento del colore rosso, difatti, il Δa* presenta un
valore relativamente basso (-3.6).

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Valore totale del cambiamento del colore.
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Processo di Campione Tempo di ΔL* Δa* Δb* ΔE*


invecchiamento invecchiamento
CY0-olio 3 mesi 0.9 -2.6 -0.6 2.8
Processo naturale 20 mesi -1.5 -1.8 -3.2 4.0
CY0-acrilico 3 mesi -1.0 0.5 -0.7 1.3
20 mesi 0.2 -0.7 -0.4 0.8
CY0.8-olio 3 mesi -3.0 0.9 -5.2 6.1
20 mesi -4.2 -2.2 -10.0 11.1
CY0.8- 3 mesi 0.0 -0.4 0.1 0.4
acrilico
20 mesi -0.3 -0.2 -0.8 0.9
Invecchiamento CY0-olio 137 ore -2.6 -3.0 -4.6 6.1
UV/Vis
CY0-acrilico 137 ore -2.5 -1.0 -4.3 5.1
CY0.8-olio 137 ore -17.1 -3.6 -31.0 35.6
CY0.8- 137 ore -5.5 0.9 -9.7 11.2
acrilico
Tabella 2.2. Variazione delle coordinate colorimetriche L*, a* e b* e il valore totale di cambiamento del colore ΔE*. Le
coordinate colorimetriche sono espresse in Δ, ovvero la differenza tra la coordinata colorimetrica finale meno quella
iniziale.
La riduzione del CrVI a CrIII dipende fortemente dal tipo di legante che utilizziamo come matrice. Difatti, si è
dimostrato, che il processo di riduzione è descritto dalle reazioni seguenti:

CrVI + B → CrV + P (eq. 1)

Dove B è il legante organico, che funge da donatore di uno o due elettroni, e P è il prodotto di ossidazione di B.
Quindi, nella prima fase vi è la formazione di un intermedio di riduzione, ovvero CrV, mentre nella seconda il legante
organico (B) cede altri due elettroni all’intermedio di riduzione (CrV) formando:

CrV + B → CrIII + P (eq. 2)

Perciò, la reazione avviene se sono verificate due condizioni: il legante organico deve donare una coppia di
elettroni e l’intermedio di riduzione deve, prima, essere prodotto e poi stabilizzato, in modo tale da poter essere
successivamente ridotto a CrIII. Pertanto, si intuisce quanto il legante incida sulla formazione di CrIII. Difatti, vi
sono due diversi meccanismi di reazione:

• CY0/CY0.8 in olio di lino. Nell’olio di lino il CrVI è rilasciato sia come CrO42- e sia come HCrO4- a causa della
neutralità o della bassa acidità del legante. Gli ioni HCrO4- si comportano come ossidanti nei confronti del
substrato organico. Quindi, si ha la formazione di CrV. Questa specie ridotta è complessata (e quindi
stabilizzata) dai gruppi funzionali COOH e OH presenti in ambienti organici leggermente acidi. Quindi,
una volta complessato può, ulteriormente, ridursi (ossidando la matrice lipidica del legante) a Cr III.

• CY0/CY0.8 in acrilico. Nell’acrilico il CrVI è rilasciato solo come CrO42- a causa del pH leggermente alcalino
dell’ambiente organico (pH~9.0). Questa specie porta alla formazione di una minore quantità
dell’intermedio di riduzione (CrV). Inoltre, la composizione chimica dell’acrilico, priva di gruppi funzionali
COOH e/o OH, ostacola la stabilizzazione del CrV che, quindi, non potrà ridursi ulteriormente a CrIII.

Per tali ragioni nei dati sperimentali si osserva un imbrunimento e, quindi una formazione di CrIII, più alta nel
legante ad olio e più bassa nel legante in acrilico.

Prima abbiamo dimostrato come la formazione di cromo ridotto dipenda, fortemente, dal legante organico.
Tuttavia, non abbiamo esplicitato quale sia il contributo della radiazione solare nelle equazioni 1 e 2. Infatti, la luce
può contribuire alla formazione di Cr (III) secondo due diverse strade:

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• Favorendo l’ossidazione del legante, tramite la decomposizione e formazione di idroperossidi10 instabili;


successivamente, questi possono agire come dei donatori di elettroni per l’equazione 1 e 2;

• Producendo specie Cr (VI) eccitate che, attraverso l’interazione con il legante (B), permettono la
formazione di complessi (i complessi, come descritto prima, si formano se nel legante sono presenti gruppi
funzionali COOH o OH) in uno stato eccitato (v. eq. 3). Questo può decadere, successivamente, in Cr (V)
e poi, infine, in Cr (III), mentre la matrice organica viene ossidata (v. eq. 4 e 5):

Cr(VI) → 𝐶𝑟(𝑉𝐼)∗ → [𝐶𝑟(𝑉𝐼)𝐵]∗ (eq. 311)

[𝐶𝑟(𝑉𝐼)𝐵]∗ → 𝐶𝑟(𝑉) + 𝐵∙ (eq. 4)

𝐶𝑟(𝑉) + 𝐵 → 𝐶𝑟(𝐼𝐼𝐼) + 𝑃 (eq. 512)

Quindi, attraverso queste reazioni possiamo affermare che il cromato di piombo (in tutte le sue forme) è una
specie chimica fotosensibile e tale caratteristica può essere amplificata dal tipo di legante utilizzato nella vernice.

2.5 ANALISI CHIMICHE SUL DIPINTO DI VAN GOGH


Una volta studiati i processi secondo i quali il cromato di piombo può ossidarsi e imbrunirsi, dobbiamo, adesso,
capire quanto di tale pigmento vi è sulla superficie del dipinto di Van Gogh e, soprattutto, quanto Cr ridotto è
presente. Per far ciò sono stati impiegati diverse metodologie
spettroscopiche, tra le quali: spettroscopia in riflettanza diffusa nel
mid-IR (DRFTIR), spettroscopia Raman e Macro XRF (MA-XRF).

Anzitutto, è stata fatta una mappatura dei componenti presenti


sulla superficie del dipinto (v. Figura 7), attraverso strumentazione
MA-XRF e Raman. La mappatura tramite MA-XRF (v. Figura 7 B, C)
mostra che il Pb e Cr sono i costituenti principali dei petali di
girasole, del tavolo e delle particolari colorazioni arancio corallo.
Invece, si osserva che lo Zn è il maggior costituente dello sfondo e
del vaso, facendo presagire la presenza di bianco di zinco (ZnO).
Nell’immagine 7 C si osserva che alcuni petali, di colore ocra e giallo
arancione, sono miscelati insieme a Hg e/o Cu/As, testimoniando
la presenza di diversi pigmenti, quali: vermiglione (chiamato anche
cinabro, HgS) e verde smeraldo (3Cu(AsO2)2)·Cu(CH3COOH)2)). È
anche presente il ferro in alcuni petali e nella terra, questo indica la
presenza del giallo ocra (idrossido di ferro). Invece, una mappa più
accurata, mediante spettroscopia Raman, delinea una più precisa
Figura 7. A) Fotografia dei Girasoli di Van Gogh localizzazione del pigmento giallo di cromo, utilizzato, anche,
(Arles, 1889; Van Gogh Museum, Amsterdam); insieme ad altri pigmenti. Infatti, come si osserva negli spettri
F458/4 e F458/1 prelievo campioni per analisi Raman (v. Figura 8 A), sono presenti i caratteristici stretching
invasive. B) Pb/Cr/Zn e C) Hg/As + Cu/Fe
simmetrici del solfato (ν1(SO42-), 976 cm-1) e del cromato (ν1(CrO42-
mappa MA-XRF. D) Distribuzione Raman dei
pigmenti utilizzati: LS-CY(X~0.5) )) e il segnale di legame del cromato (ν4(CrO42-). La distinzione tra
PbCr0.5S0.5O4, LF-CY PbCrO4, CO arancio di CY0.5 e CY0 si evince, prima di tutto, dalla presenza, nello spettro del
cromo PbCrO4ּ xPbO; V e RL indicano le aree in CY0.5, dello stretching del solfato (ν1), ma anche dall’allargamento e
cui sono presenti anche il vermiglione e rosso dallo spostamento, verso valori più alti, sia dello stretching
piombo; i triangoli e i numeri romani indicano asimmetrico del CrO42- (ν1(CrO42-), che passa da 841 a 844 cm-1) e sia
le aree dove sono stati fatti le analisi con FTIR. dal segnale di legame (ν4(CrO42-), che passa da 407 a 400 cm-1), (v.
Figura 8 A). Tali spostamenti hanno permesso ai ricercatori di

10
Gli idroperossidi o, anche, perossoli sono composti contenenti il gruppo idroperossido ROOH.
11 La prima freccia dell’equazione ha hν, mentre la seconda ha B sopra.
12 La freccia dell’equazione ha hν sopra.

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distinguere le due composizioni del pigmento. Inoltre, attraverso gli spettri mid-FTIR, sono stati osservati, anche
pigmenti già degradati del CY0.5, che è più fotosensibile rispetto al CY0, (v. Figura 8 B, spettro I e II). Il pigmento
degradato è stato riconosciuto sia grazie al confronto con lo standard (linea in grigio), ma anche poiché esso
differisce dagli altri pigmenti a base di solfato nella forma e nella posizione del numero d’onda (cm -1). Infine, nei
corrispondenti spettri mid-FTIR (v. Figura 8 B, spettro III), è stata trovata la presenza solo di bianco di zinco (ν(ZnO),
zinco ossalato (1364, 1320 cm-1) e carbossilato di zinco (1540, 1465, 1398, 744, 718 cm-1). Questi ultimi due sono i
prodotti della reazione tra ZnO e il legante ad olio. Infine, dagli spettri Raman si osserva che il pigmento giallo di
cromo è stato miscelato con altri pigmenti, quali vermiglione, rosso piombo e altri. Per esempio, gli spettri hanno
confermato che, sulla superficie dei petali è presente sia il CY0, nelle parti più scure (v. Figura 1 D e 2 A, punti da 9 a
13), e sia il CY0.5 nelle parti più chiare (v. Figura 1 D e 2 A, punti da 4 a 8). Invece, in due aree (punti 14-15) gli spettri
Raman e FTIR hanno confermato che le due diverse composizioni dello stesso pigmento giallo di cromo (CY 0.5 ovvero
PbCr0.5S0.5O4 e CY0 ovvero PbCrO4) sono state usate insieme. Anche nei punti 17-19 è stata osservata un’altra miscela
di pigmenti, quali CY0.5/CY0, miscelata con vermiglione (v. Figura 8 A, 252 e 341 cm-1). Infine, nel punto 20 si registra
la presenza dell’arancio cromo (CO), nella corolla del fiore, e nei punti 21 e 22 questo composto è miscelato con il
giallo di cromo (CY0.5).

In conclusione, i ricercatori, grazie all’uso di tecniche non invasive, hanno potuto osservare le sostanze presenti sulla
superficie del dipinto, tra le quali anche il giallo di cromo, sia non degradato che, di fatto, degradato in Cr (III).
Tuttavia, il gruppo di ricercatori non si è fermato solo a classificare le sostanze presenti, bensì, grazie al prelievo di
due campioni (F458/4 e F4581) e metodologie invasive, sono riusciti a determinare la percentuale di cromo ridotto
presente sulla superficie del dipinto, confermata a 35% sulla superficie e 0% all’interno del colore giallo. Tali risultati,
non solo, sono, assolutamente, concordi con le precedenti ricerche, ma inoltre confermano il fatto che le radiazioni
solari degradano fortemente tale pigmento. Come soluzioni sono state proposte molte soluzioni, tra le quali le più
importanti sono: esporre il dipinto meno ai raggi del sole e/o fonti di luce, oppure particolari vetri e/o vernici.

Figura 8. A)Spettri Raman presi nei punti


della figura 1D: punti 1-8 giallo tenue, sfondo
e petali; 9-14/15 (RL), petali giallo ocra; 17-18
(V)/19 (V), petali ocra; 20, corolle dei fiori
arancioni; 21-22, petali gialli-arancioni. Il
colore dello spettro indica il tipo di giallo di
cromo (rosso: PbCr0.5S0.5O4 (definito CY0.5);
verde: PbCrO4 monoclino (definito CY0); blu:
arancio di cromo (CO); magenta: CY0.5 +
CO. B) Spettri mid-FTIR registrati nelle zone
indicate nella Figura 1D, confrontati con
degli spettri standard (linee grigie)

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MATERIALI NEL RESTAURO : LE NANOCELLULOSE COME CONSOLIDANTI


3.1 INTRODUZIONE
Il restauro di dipinto olio su tela, che coinvolgono vari componenti come substrati tessili, strati di preparazione,
pellicole di pittura e strati di vernice, è una delle principali preoccupazioni del restauratore. Difatti, la tela,
solitamente, di lino è sensibile ai parametri microclimatici, allo stress meccanico e, soprattutto, al livello di umidità
dell’ambiente di esposizione. Quindi, la tela, negli anni, può perdere la sua elasticità, coesione, resistenza meccanica
e si possono formare diversi tagli, strappi, de coesioni dello strato pittorico. Dunque, il restauratore deve riportare
la tela al suo antico splendore e per far ciò, vengono seguite due metodologie: I) il consolidamento13 della tela
originale e/o II) il rivestimento della tela. In entrambe le operazioni di restauro vengono applicati un adesivo al
tessuto danneggiato. Tali adesivi possiedono una natura polimerica (resine acriliche, epossidiche e altre). Tuttavia,
anche se molto funzionali, tali adesivi e consolidanti possono essere tossici o, in certi casi, dannosi per l’opera. Per
questo, negli ultimi anni, si sono cercate nuove soluzioni con un più basso impatto ambientale e sono state
introdotte, come consolidanti, le nanocellulose prodotte per via biotecnologica (v. Figura 9). Queste si sono
dimostrate un ottimo sostituto, poiché possiedono caratteristiche chimico-fisiche molto interessanti, quali, per
esempio: produzioni, relativamente, economiche, processi di produzione a basso impatto ambientale, elevate
proprietà meccaniche, eccellente biocompatibilità e biodegradabilità.

3.2 CENNI SULLE BIOTECNOLOGIE


Per biotecnologie si intendono l’insiemi di quei processi e
tecniche che, grazie all’uso integrato di biochimica,
microbiologia ed ingegneria, utilizzano in maniere
controllata e sicura agenti biologici (cellule, enzimi,
componenti della cellula, batteri), allo scopo di produrre
beni di consumo di interesse commerciale. Le biotecnologie
si suddividono in quattro grandi rami: biotecnologie rosse,
bianche, verdi e blu. Le rosse comprendono tutte quelle
Figura 9. A sinistra carta danneggiata, a destra
produzione che portano alla formazione di farmaci e cure
consolidata con cellulosa
innovative e sono il settore che ha avuto uno sviluppo
maggiore. Le bianche sono tutti quei processi collegati alle produzioni industriali (come la produzione di
nanocellulose). Le verdi sono le biotecnologie legate alle produzioni agroalimentari. Le blue, per finire, sono legate
alle produzioni nel settore marino. Inoltre, anche la bioinformatica si può considerare come un settore delle
biotecnologie. Esse possono contribuire ad affrontare alcune problematiche primarie: emissioni di gas serra
(produzione di bioetanolo), riciclo di materiali (produzione di materiali biodegradabili), sostituzione di risorse non
rinnovabili e realizzazione di processi industriali a basso costo energetico.

3.3 NANOCELLULOSA UTILIZZATA COME CONSOLIDANTE


La nanocellulosa batterica è uno dei nanomateriali più utilizzati, al giorno d’oggi, per il consolidamento di opere
olio su tela, grazie alle sue straordinarie proprietà meccaniche, chimico e chimico-fisiche. Inoltre, essendo la tela
composto, prevalentemente, di cellulosa, essa aderisce perfettamente e presente un’elevata biocompatibilità. Nei
prossimi paragrafi tratterò la produzione di nanocellulosa batterico secondo processi biotecnologici.

3.4 PRODUZIONE PER VIA BIOTECNOLOGIA DELLA NANOCELLULOSA BATTERICA


3.4.1 INTRODUZIONE
La cellulosa è il polimero più abbondante sulla Terra. Chimicamente è un polisaccaride lineare composto da unità
di β-D-glucopiranosio legate da legami β-1,4 glicosidici (v. Figura 10). Queste macromolecole lineari, contenenti in
media 5000 unità di glucosio, si aggregano formando fibrille associate da legami idrogeno tra gli ossidrili di catene

13
Si veda Allegato 4
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adiacenti. A loro volta, tali fibrille si avvolgono a spirale in direzioni opposte


introno a un comune asse centrale, formando un materiale estremamente
resistente e con ottime proprietà meccaniche.

3.4.2 PRODUZIONE BATTERICA


La cellulosa batterica (d’ora in avanti BC) può essere sintetizzata da una serie
di batteri come i Gluconacetobacteri, Aerobacteri, Rhizibium, Sarcina,
Azotobacteri e tanti altri. Tra questi, quello che ad oggi viene utilizzato nei
reattori biotecnologici è il Gluconacetobacteri
xylinus (chiamato anche Komagataeibacteri
cylinus). è un batterio Gram-negativo, aerobico
e di forma simile a bastoncini (v. Figura 11). Tale Figura 10. Cellulosa
batterio presenta un’efficienza estremamente
alta. Difatti, un singolo batterio G. xylinus consente di polimerizzare più di 200 mila
molecole di glucosio in catene β-1,4 glucano e, contemporaneamente, disporre le
catene polimeriche in nanofibre in pochi secondi. Rispetto alla cellulosa vegetale la
batterica viene prodotta in forma pura; privo di lignina, pectina ed emicellulosa.
Inoltre, la BC presenta maggiore cristallinità, capacità di assorbimento, superficie
Figura 11. Immagine SEM specifica e grado di polimerizzazione rispetto alla cellulosa vegetale. Un altro aspetto
Gluconacetobacteri è l’abbondanza di gruppi ossidrilici nel BC, che ne facilità la funzionalizzazione o il
legame con altri composti rinforzanti, conferendogli nuove proprietà chimiche, fisiche e meccaniche. Tuttavia, la
biosintesi non è così semplice. Infatti, essa, può essere suddivisa in due fasi: (I) la polimerizzazione intracellulare di
molecole di glucosio in cellulosa e (II) l’assemblaggio di nanofibre di cellulosa. La sintesi biochimica della cellulosa
nei batteri avviene attraverso quattro reazioni catalizzate da enzimi14 (v. Figura 12):

I. Una molecola di glucosio viene prima convertita in glucosio 6-fosfato dall’enzima glucochinasi, che idrolizza
una molecola di ATP in ADP:

II. Poi la molecola di glucosio 6-P viene isomerizzata in glucosio 1-P, da un enzima chiamato
fosfoglucomutasi:

III. Una molecola di glucosio 1-P reagisce con uridina trifosfato (UTP) per generare uridina difosfato di glucosio
(UDP-glucosio) dall’enzima pirofosforilasi:

14
Gli enzimi sono una classe di proteine che hanno la funzione di catalizzare le reazioni biologiche
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IV. Infine, gli UDP-glucosio vengono polimerizzati in catene di glucano β-1,4 lineari, dall’enzima cellulosa
sintetasi.

Figura 12. Illustrazione schematica della biosintesi di cellulosa

Questo processo di quattro reazioni catalitiche permette al batterio di sintetizzare una quantità molto elevata di
cellulosa. Possono, inoltre, essere introdotti anche altri zuccheri, come il fruttosio che viene convertito in fruttosio
1-P, fruttosio 6-P e glucosio 6-P, grazie a una serie di reazioni enzimatiche. Dopo la polimerizzazione intracellulare,
le catene polimeriche di cellulosa vengono espulse dalla membrana cellulare, a seguito di una reazione
intra/intermolecolare tra i gruppi ossidrilici e atomi di ossigeno nel polimero del glucosio (v. Figura 13). Quindi, le
nanofibrille vengono prese ed estruse, prima, (a) in una singola nanofibra elementare con una dimensione del
diametro di ~1.5 nm, e, poi, (b) queste vengono raccolte in una
nanofibra a nastro con uno spessore di 3-4 nm. Le microfibre,
così formate, si intrecciano ulteriormente in solidi a tre
dimensioni, formando una pellicola gelatinosa che galleggia
sulla superficie del mezzo di coltura (in una fermentazione
statica), che fornisce un ambiente sicuro, ricco di ossigeno e
umido per i batteri aerobi. Quindi, i batteri producono tale
struttura per proteggersi dalle radiazioni e da eventuali attacchi
esterni.

3.4.3 PRODUZIONE INDUSTRIALE Figura 13. Rete di legame idrogeno. Linee


Le produzioni industriali possono essere di due tipi: statica e tratteggiate sono i legami a idrogeno inter e
agitata. La scelta del tipo di produzione incide fortemente sul intra molecolari
prodotto finale. Infatti, come si osserva nella figura 14, nella
fermentazione statica (v. Figura 14 A) si ha la formazione di un film continuo e gelatinoso, mentre nella
fermentazione agitata (v. Figura 14 B) si viene a formare piccoli granuli irregolari completamente sospesi nel brodo.
Inoltre, la BC prodotta attraverso fermentazione statica presenta un grado di polimerizzazione e un’efficienza
maggiore rispetto all’agitata. Tuttavia, la BC prodotta da coltura statica ha una capacità di trattenere l’acqua e una
viscosità maggiore. Quindi, la scelta del tipo di fermentazione è di notevole importanza per il tipo di prodotto che
si vuol andare a produrre. Per esempio, la statica è preferita per la produzione di materie prime che richiedono
geometrie fisse, alte resistenze meccaniche e capacità di trattenere l’acqua.

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Sia per i metodi statici che per quelli agitati, il terreno di coltura è la parte più importante
del processo, poiché, non solo fornisce i nutrienti necessari per la crescita batterica, ma
ha anche un ruolo fondamentale sulle strutture e sulle rese della nanocellulosa. I terreni,
idealmente, dovrebbero contenere 2,0% di glucosio, lo 0,5% di peptone, lo 0,5% di estratto
d lievito, lo 0,27% di Na2HPO4 e lo 0,115% in peso di acido citrico, in cui il glucosio funge
da fonte di carbonio ed energia, il peptone e l’estratto di lievito come fonti di azoto.
Tuttavia, per risparmiare sul costo del terreno di coltura vengono, banalmente, utilizzati
latte di cocco, melassa di barbabietola e scarti agroindustriale (v. Figura 15). Una volta
preparato il terreno, e quindi aver fatto crescere i batteri, questi vengono immessi
all’interno del bio-reattore (un comune reattore STR). Essendo i batteri aerobi, il reattore
deve provvedere alla perfetta miscelazione di ossigeno bimolecolare nell’inoculo. Il pH del
reattore viene regolato, ad un valore di 6.0, utilizzando HCl o NaOH. La temperatura
ottimale del reattore deve essere intorno ai 30°C, anche se, ultimamente, sono stati
brevettati processi più efficienti che consentono di operare a temperature più basse
(10÷20°C). Una volta concluso il processo, la nanocellulosa così prodotta è estremamente
impura. Infatti, il processo di purificazione comprende tre fasi:

I. I prodotti vengono trattati con soluzioni alcaline a 100°C per 15-20 minuti,
in modo tale da rimuovere le cellule batteriche; Figura 14. A sopra
(statico) e B sotto
II. I prodotti di nanocellulosa vengono isolati dalla soluzione alcalina; (agitato)

III. Infine, la nanocellulosa viene lavata con acqua distillata per ristabilire il valore di pH neutro.

In questo modo vengono prodotti fino a 15 g/L in 50 h (v. Figura 16).

Figura 15. Diagramma schematico dei diversi trattamenti preliminari e processi dei differenti rifiuti
agroindustriali. HS medium è un particolare terreno di crescita (Hestrin-Schramm); MD1 è il batterio; BNC è
la nanocellulosa batterica.

BNC è la nanocellulosa batterica; HS è un tipo di terreno (Hestrin-Schramm); MD1 sono i Komagataeibacter


Saccharivorans (una specie dei batteri Komagataeibacteri cylinus)

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Figura 16. a)Terreno di coltura in vassoio, b) pellicola di BC


purificata, c)reattore a fermentazione statica, d) liquame BC
raccolto.

CONCLUSIONI
In questo breve e sintetico elaborato si è sottolineata la notevole presenza della chimica nell’arte di ieri e, soprattutto,
nell’arte di oggi. Difatti, il restauro, come si è visto, utilizza tantissimi prodotti e strumenti chimici. Pertanto, anche
se non sembra, queste due materie sono sempre state in contatto fra loro, dal neolitico sino al XXI secolo.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
INTRODUZIONE :
Bensi P. La chimica e le tecniche pittoriche del XIX secolo

Zecchina A. Alchimie nell’arte: la chimica e l’evoluzione della pittura. Zanichelli; 2012

Granata T. La chimica nel restauro. Da pag.3 a pag. 7.

Gallone A. I blue di Leonardo nell’Ultima Cena. Archivio Gallone, Politecnico di Milano.

PARTE DI ANALITICA :
Skoog D., Holler J., Crouch S. Chimica analitica strumentale. Seconda edizione, Edisis; 2007. Solo capitoli riguardanti
spettroscopia IR, Raman e cenni sul XRF.

Cozzi R., Protti P., Ruaro T. Elementi di analisi chimica strumentale. Seconda edizione, Zanichelli; 2013. Solo capitolo
sull’IR.

Monico L., Janssen K., Hendriks E. e altri Evidence for Degradation of the Chrome Yellows in Van Gogh’s Sunflowers:
A Study Using Noninvasive In Situ Methods. Angewandte Chemie; 2015.

Monico L., Sorace L., Cotte M. e altri Disclosing the Binding Medium Effects and the Pigment Solubility in the
(photo)reduction Process of Chrome Yellows (PbCrO4/PbCr1-xSxO4). ACS Omega; 2019, 4, 6607-6619.

Blitz J. Diffuse Reflectance Spectroscopy. Da pag. 185 a pag. 193.

Minolta Konica, Identifyng Color Differences Using L* a* b* or L* C* H * Coordinates. Solo paragrafi riguardanti le
coordinate L* a* e b*.

Esposito A. Tecniche diagnostiche non distruttive applicate ai Beni Culturali. Diapositive. Solo parte relativa alla
Riflettografia IR.

Treccani, Uno studio sui gialli di cromo in Van Gogh

PARTE DI INDUSTRIALE :
Calatozzolo M., Natali S. Tecnologie chimiche industriali, Terzo volume. Seconda edizione, Edisco; 2014

Susana L. Polimeri per il consolidamento di opere pittoriche: nuove formulazioni oltre il BEVA 371. Anno accademico
2017/2018. Solo capitolo 2 e 4 (pag. 61)

Abol-Fotouh D., Hassan M. e altri Bacterial nanocellulose from agro-industrial waste: low-cost and enhanced
production by Komagataeilbacter saccharivorans MD1. Scientific reports, Nature; 2020.

Zhong C. Industrial-Scale Production and Applications of Bacterial Cellulose. Frontiers in Bioengineering and
Biotechnology; 2020.

Boschi M., Rizzoni P. Biochimicamente. Zanichelli. Solo parte relativa al metabolismo e alla classificazione dei
microrganismi.

Sito Macchine Alimentari, La cellulosa prodotta dai batteri per gli imballaggi alimentari. Solo parte relativa alla
descrizione dei batteri.

Sito: Wikipedia. Solo per definizioni, chiarimenti e immagini.

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ALLEGATO 1
CENNI SULLA SPETTROSCOPIA IR
Fonti: Libro di testo: “Elementi di analisi chimica strumentale” Cozzi R e altri.; libro di testo: “Chimica analitica e
strumentale” Holler J.; libro di testo: “Metodi di analisi tecniche” Cozzi R.

Sitografia: Gorassini.pdf; Spettroscopia Infrarossa (.pdf).

INTRODUZIONE
La spettroscopia IR è una tecnica analitica che si basa sull’interazione fra la radiazione elettromagnetica e la materia.
In particolare, la radiazione infrarossa è compresa nella zona dello spettro elettromagnetico che si trova tra le regioni
del visibile e delle microonde (v. Figura 1), ovvero tra 0,8 e 30 m.

Figura 1. Spettro della luce

I legami tra i diversi atomi non sono perfettamente immobili. Difatti, essi si muovono (oscillano) in modo periodico,
modificando l’angolo e la lunghezza del legame. Le radiazioni IR possono amplificare tali oscillazioni. Per spiegare
questo fenomeno si è partiti dal modello classico per poi ottenere il modello quantistico.

MODELLO CLASSICO
In tale modello dobbiamo considerare la molecola come un sistema di oscillatori armonici, in cui due masse (i due
atomi m1 e m2) sono legate da una molla (legame chimico):

Il sistema può essere descritto dalla legge di Hooke:

𝐹 = −𝑘𝑦 (1.0)

Dove k è la costante di elasticità della molla (in questo caso rappresenta la costante di forza del legame), che dipende
dalla rigidità della molla, mentre y è lo spostamento. Il segno negativo indica che F è una forza di richiamo. Ciò
significa che forza e spostamento hanno direzione opposta e quindi la forza tende a riportare la massa nella sua
posizione originale, ovvero quella di equilibrio.

La frequenza ν della vibrazione è caratteristica di ogni sistema, essendo collegata:

1. alla massa degli atomi;

2. alla forza di legame


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1 𝑘
𝜈= √𝜇 (1.5)
2𝜋

Si evince che la frequenza naturale dell’oscillatore meccanico dipende dalla costante di forza del legame e dalla
massa ridotta (μ), ma è indipendente dall’energia fornita al sistema; le variazioni di energia provocano solo una
variazione dell’ampiezza A della vibrazione. Inoltre, la massa ridotta (μ) non è altro che:

𝑚𝑎 ∙ 𝑚𝑏
μ=
𝑚𝑎 + 𝑚𝑏

Quindi, il comportamento di una vibrazione molecolare è, in prima approssimazione, analogo al modello


matematico descritto nell’equazione 1.5. La frequenza di vibrazione viene calcolata introducendo le masse dei due
atomi ma e mb, mentre k è la costante di forza del legame chimico, ovvero una misura della sua rigidità.

L’energia associata a questa vibrazione, (ovvero l’energia vibrazionale del sistema) sarà dunque:

𝐸𝑣𝑖𝑏𝑟 = ℎ𝜈𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠

Dove, con νclass si indica la frequenza naturale di oscillazione del sistema.

MODELLO QUANTISTICO
L’assorbimento delle molecole può essere descritto secondo un modello quantistico, in cui è sperimentalmente
verificato che l’energia vibrazionale (Evibr) delle molecole è quantizzata ed assume i valori:
1
𝐸𝑣𝑖𝑏𝑟 = (𝑣 + )ℎ𝜈 (eq. 1.6)
2

Dove v è il numero quantico vibrazionale (può assumere solo valori discreti); 𝜈 è la frequenza della vibrazione; h la
costante di Plank.

Dunque, dato che il numero quantico vibrazionale può assumere solo valori discreti (0, 1, 2, 3…), nello stato
vibrazionale fondamentale (v=0), l’energia vibrazionale di una molecola sarà sicuramente diversa da 0. Ciò, porta a
concludere che una molecola è sempre in oscillazione.

A SSORBIMENTO DELLA RADIAZIONE


Siccome l’ energia termica media posseduta dalle molecole a temperatura ambiente è troppo bassa rispetto a quella
necessaria per indurre a salti vibrazionali, praticamente tutte le molecole si trovano allo stato fondamentale (ν=0).
Infatti, sperimentalmente, si osserva un solo grosso assorbimento della radiazione, che è quello corrispondente al
passaggio ν=0 → ν=1, permesso dalle regole di selezione, in cui è permessa solo la transizione Δν=+/- 1. Tuttavia,
nella realtà, la forza di richiamo dell’ipotetica molla non è esattamente descritta da un oscillatore tradizionale, per
cui abbiamo a che fare con un oscillatore armonico. Quindi, di conseguenza, il sistema può assorbire energia non
solo alla sua frequenza caratteristica per passare al livello superiore, ma anche per valori ν multipli di quello
fondamentale:

Questi risultano cadere a una frequenza che è, circa, il doppio di quella fondamentale. Il fenomeno illustrato viene
chiamato overtone.

Uno spettro infrarosso si presenta come una serie di picchi (curve) di assorbimento posizionate lungo i valori
dell’ascissa. Ogni curva presenta delle diverse caratteristiche che possono essere riassunte nella figura 3:
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• La posizione espressa come numero d’onda v max;

• L’intensità è espressa dall’altezza del picco di assorbimento;

• La forma.

Figura 3. Esempi di curve di assorbimento.

STRUMENTAZIONE IR

Schema a blocchi di uno spettrofotometro FT-IR con interferometro di Michelson. La radiazione entra prima
all’interno dell’interferometro (si veda Figura 4), viene poi inviato, prima, al campione (che ne assorbe una parte), e
poi al rivelatore.

S ORGENTI :
I tre dispositivi, generalmente, utilizzati come sorgenti sono:

• Filamento di Nernst. Si tratta di un filamento costituito da miscele di ossidi fusi di Zr, Y, Th e Ce, riscaldati
a 1200-1700°C. È uno strumento che necessita di una breve fase di preriscaldamento e presenta una bassa
resistenza meccanica.

• Filamento di Nichel-cromo. E’ un filamento riscaldata sino a 1200°C e raffreddato ad aria. Presenta una bassa
emissione. Viene, principalmente, utilizzato come sorgente per strumenti di routine.

• Filamento di ceramica. Si tratta di un filamento riscaldato sino a 1200°C ed è dotato di un sistema di controllo
della temperatura ad acqua o ad aria. è il dispositivo più utilizzato.

R IVELATORI :
I rivelatori, ad oggi, più utilizzati sono i cristalli piroelettrici, che possiedono la proprietà di manifestare una tensione
elettrica quando vengono scaldati.

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I NTERFEROMETRO :
L’interferometro di Michelson consiste in un sistema di specchi che suddivide i raggi di luce in due raggi distinti (v.
Figura 4), i due raggi vengono ricombinati e danno luogo a fenomeni di interferenza. L’interferometro è formato da
uno specchio fisso (y) ed uno specchio mobile (x). Se i due raggi percorrono la stessa distanza, la differenza fra i
cammini ottici è uguale a zero. Se, invece, lo specchio mobile si sposta di una distanza x dalla posizione iniziale, il
ritardo è uguale al cammino percorso per andare e tornare ( 2 volte la distanza x):

𝛿 = 2𝑥

In questo modo si vengono a creare delle interferenze costruttive e distruttive dei due raggi, ovvero:

• Se i cammini dei due raggi sono uguali o differiscono di una quantità uguale a un numero intero di lunghezze
d’onda (𝛿 = 𝑛𝜆, 𝑐𝑜𝑛 𝑚 = 0, 1, 2 ,3, 4 … ), l’interferenza sarà costruttiva;
1
• Se invece (𝛿 = (𝑛 + 2)𝜆, l’interferenza è completamente distruttiva.

All’uscita dell’interferometro l’intensità del segnale varia in modo sinusoidale ed è rappresentato dalla funzione: I(δ).
Difatti, l’interferogramma risultante è un’onda sinusoidale, il cui periodo varia con la frequenza della radiazione che
1
l’ha prodotto; nei punti di massimo si verifica la condizione 𝛿 = 𝑛𝜆, nei punti di minimo 𝛿 = (𝑛 + 2)𝜆.

Figura 4. Interferometro di Michelson. La


radiazione, proveniente dalla sorgente,
viene spezzata in due radiazioni: una viene
riflessa dallo specchio mobile x, l’altra
dallo specchio fisso y. La distanza dello
specchio x rispetto allo specchio
semitrasparente determina un’interazione
tra le onde riflesse, che può essere
distruttiva o costruttiva.

L A TRASFORMATA DI F OURIER
Questo operatore matematico viene utilizzato per convertire l’interferogramma ottenuto (di difficile lettura),
contenente tutte le informazioni necessarie per identificare i campioni analizzati, in spettri. Tale passaggio è
permesso dall’utilizzo della trasformata di Fourier.

S ISTEMA DI ELABORAZIONE DATI


Il SED e il software che gestiscono il funzionamento dello strumento devono essere in grado di compiere molteplici
elaborazioni diverse.

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ANALISI IN RIFLETTANZA DIFFUSA


Le misure in riflettanza consentono di registrare lo spettro IR di sostanze di
vario tipo, senza l’attraversamento del campione da parte delle radiazioni IR
(v. Figura 5). La riflettanza diffusa viene utilizzata, soprattutto, se il
campione si presenta in polvere o nel caso in cui la superficie non fosse
perfettamente riflettente (come un dipinto). Quando questo viene colpito
assorbe parte della radiazione incidente, mentre un’altra parte viene riflessa
in tutte le direzioni. Questo fenomeno viene utilizzato nella spettroscopia
in riflettanza diffusa. Lo spettro che si ottiene è fortemente distorto rispetto
a quelli normali (v. Figura 6), però, grazie alla funzione Kubelka-Munk, è
possibile elaborare i dati. Tale funzione è proporzionale alla concentrazione
del campione (come l’assorbanza). Nella figura 6 si osserva lo schema ottico
per analisi in riflettanza diffusa: il raggio, proveniente dalla sorgente, viene
riflesso dagli specchi 1, 2 e 3 e focalizzato, mediante l’ellissoide 4, sul
campione posto, in questo caso, su una coppetta. Questi raggi vengono
nuovamente riflessi e mandati al monocromatore. Figura 6. Schema ottico per analisi
in riflettanza diffusa.

Figura 5. a) Dispositivo ATR: il raggio (I0)


proveniente dall’ interferometro viene
inviato all’interfaccia tra il cristallo a forma
di prisma e il campione, da uno specchio. Il
raggio in uscita (I) viene poi inviato al
rivelatore. b) Strumentazione per MIR in
riflettanza: la radiazione proveniente
dall’interferometro (I0) viene riflessa, più
volte, dal cristallo e incontra il campione.
Una parte viene assorbita, mentre l’altra
fuoriesce come I.

La riflettanza diffusa trova enormi applicazioni nelle analisi non invasive di dipinti. Infatti, in tal caso la radiazione
viene assorbita, riflessa e, infine, registrata (v. Figura 6).

Figura 6. La radiazione IR attraverso


lo strato di colore, raggiunge il fondo,
viene retrodiffusa verso l’esterno ed è
rivelata dal rivelatore.

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ALLEGATO 2
BREVE INTRODUZIONE SULLO SCANNER MA -XRF
Sitografia: uantwerpen.be

INTRODUZIONE
Scansione macro-XRF (MA-XRF) è una variante dell'imaging XRF che consente la visualizzazione della distribuzione
degli elementi in un campione piatto e macroscopico (fino a diversi metri quadrati) in modo non distruttivo. Ciò si
ottiene scansionando la superficie del campione con un fascio di raggi X focalizzato o collimato di dimensioni
millimetriche e analizzando la radiazione di fluorescenza emessa. Il metodo è molto importante nell'indagine di
dipinti storici, poiché le immagini ottenute possono rivelare strati sotterranei nascosti, comprese le modifiche
apportate dall'artista o i restauri sulla superficie. In questo modo può fornire una visione unica del processo creativo
degli artisti e del dipinto.

Esperimenti di scansione MA-XRF al


Van Gogh Museum, Amsterdam.

ALLEGATO 3
CENNI SULLA SPETTROSCOPIA RAMAN
Fonti: Libro di testo: “Chimica analitica e strumentale”, James Haller e altri.

INTRODUZIONE
La spettroscopia Raman è una tecnica analitica, simile all’IR, importante in molti campi. Tale tecnica si basa sulla
diffusione Raman che deriva dallo stesso tipo di transizioni vibrazionali quantizzate associate all’assorbimento IR.
Pertanto, la differenza di lunghezza d’onda tra la radiazione incidente e quella visibile diffusa corrisponde a
lunghezze d’onda nella regione del NIR (tra 0.75 e 3 μm). In realtà lo spettro della diffusione Raman e quello
dell’assorbimento IR, per una stessa specie, sono fortemente simili.

TEORIA DELLA SPETTROSCOPIA RAMAN


La teoria della spettroscopia Raman sì basa sullo studio della radiazione emessa, dalla molecola, previo assorbimento
di una radiazione di energia pari a hνex . Questa radiazione elettromagnetica utilizzata è ben lontana dalla banda di
assorbimento della molecola e, quindi, si può pensare che l’eccitazione coinvolga uno stato virtuale dello stato
energetico. La molecola, che si trova nello stato vibrazionale fondamentale, assorbe la radiazione inviata e può
riemetterla in tre differenti modi: diffusione Rayleigh, diffusione stokes e diffusione anti-stokes (v. Figura 1). La
diffusione Rayleigh si osserva quando la radiazione diffusa ha energia pari alla radiazione inviata e viene utilizzata
per fissare lo zero. La diffusione stokes si osserva quando la radiazione diffusa ha energia minore rispetto alla
radiazione inviata (ΔE=h(νex-νv)). Infine, la diffusione anti-stokes si osserva quando la radiazione diffusa ha energia
più alta di quella della sorgente. Ciò è possibile a causa del fenomeno, descritto dalla distribuzione di Boltzmann,
secondo cui alcune molecole si trovano in uno stato energetico eccitato. Pertanto, l’assorbimento da parte di queste
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molecole della radiazione eccitante, provoca il passaggio della molecola a uno stato energetico più elevato rispetto
allo stato energetico delle altre molecole e, quindi, il rilassamento della molecola, dallo stato energetico più alto allo
stato energetico fondamentale, provocherà una maggiore energia della radiazione rispetto a quella assorbita. La
diffusione anti-stokes è più caratteristica, poiché risente meno delle interferenze. Ovviamente, gli spostamenti anti-
stokes presenteranno una minore intensità, poiché gli atomi allo stato eccitato a temperature normali sono una
piccola porzione. Agli spostamenti stokes vengono, generalmente, assegnati valori positivi; invece, per gli
spostamenti anti-stokes vengono preferiti valori negativi (v. Figura 2).

Figura 1. Origine della diffusione Raman

Figura 2. Spostamenti stokes, Rayleigh e anti-stokes. Si osserva come lo spostamento Rayleigh venga utilizzato per
fissare lo zero.

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Il fenomeno di diffusione Raman causa una distorsione momentanea degli elettroni, in un legame della molecola; in
questa forma, quindi, la molecola è temporaneamente polarizzata e si genera un dipolo indotto istantaneo che si
annulla dopo il rilassamento.

STRUMENTAZIONE
La strumentazione per la moderna spettroscopia Raman è costituita da un sorgente laser monocromatica, da un
sistema di illuminazione del campione e da un opportuno spettrometro (v. Figura 3).

Figura 3. Schema a blocchi di uno spettrometro Raman. La radiazione laser viene mandata nella
cella del campione. La diffusione Raman si misura di solito ad angoli retti, per evitare di osservare
la radiazione della sorgente. Poi, un selettore di lunghezze d’onda selezione quella desiderata. Il
trasduttore converte il segnale Raman in un segnale elettrico proporzionale che viene elaborato
dal SED.

SORGENTI
Le sorgenti che vengono, usualmente, utilizzate nella spettroscopia Raman sono a laser, perché la loro intensità è
necessaria per produrre una diffusione Raman di intensità sufficiente per essere misurata con un ragionevole
rapporto segnale-rumore:

TIPI DI LASER LUNGHEZZA D’ONDA (nm)


Ione argo 488,0 o 514,5
Ione cripto 530,9 o 646,1
Elio-neon 632,8
Diodo 785 o 830
Tabella 1. Alcuni comuni sorgenti laser per spettroscopia Raman

I laser più utilizzati sono i primi tre presenti nella tabella 1, anche se producono un’elevata fluorescenza.

S ISTEMA DI ILLUMINAZIONE DEL CAMPIONE


Come cuvette per il campione possono essere utilizzate semplici contenitori in vetro. La sorgente laser viene
focalizzata su una piccola area del campione e la radiazione emessa è, a sua volta, focalizzata efficacemente sulla
fenditura. Lo stato del campione può far variare il tipo di sistema di illuminazione:

• Campioni gassosi, sono contenuti in tubi di vetro di 1-2 cm di diametro o possono essere sigillati in piccoli
tubi capillari;

• Campioni liquidi, possono essere sigillati in ampolle, tubi di vetro o capillari. I capillari possono avere un
diametro interno di 0,5-0,1 mm e 1 mm di lunghezza.

• Campioni solidi, vengono ridotti a polveri fini e immessi all’interno di una piccola cavità.

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D ISPOSITIVI PER LA SELEZIONE DI LUNGHEZZE D ’ ONDA E TRASDUTTORI


Nella spettroscopia Raman ci vuole un dispositivo di alta qualità per la selezione delle lunghezze d’onda per poter
separare le righe Raman, relativamente deboli, dalla radiazione Rayleigh diffusa. I tradizionali spettrometri Raman
utilizzano dei monocromatori a doppio o anche triplo reticolo.

Invece, per quanto riguarda i trasduttori vengono utilizzati tubi fotomoltiplicatori, poiché il segnale è molto debole.
Tuttavia, negli ultimi anni sono stati utilizzati anche dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD) e a iniezione di
carica (CID).

ALLEGATO 4
CENNI SUL CONSOLIDAMENTO
Sitografia: “Polimeri per il consolidamento di opere pittoriche: nuove formulazioni oltre il BEVA 371”, a cura di Laura
Susana

PROBLEMI DI CONSOLIDAMENTO DELL ’OPERA


Con il termine consolidamento ci si riferisce a tutte quelle operazioni tese a ristabilire un grado sufficiente di
coesione in materiali che hanno subito una compromissione, dovuta a differenti cause fisiche, chimiche,
batteriologiche o chimico-fisiche. L’opera pittorica è formata da diversi strati (v. Figura 1), formati da materiali
differenti.

Figura 1.Rappresentazione schematica dei diversi strati che compongono un


dipinto su tela.

Tutti questi strati hanno differenti composizioni chimiche, stabilità e proprietà meccaniche in funzione dei differenti
composti utilizzati nella produzione del dipinto. Anche lo spessore del dipinto può variare da artista ad artista. Per
esempio, un artista può disporre sulla tela meno pittura, e questo cambia radicalmente lo spessore del dipinto;
oppure, la mancanza della vernice finale sopra il dipinto (caso assai strano) può cambiare totalmente lo spessore.
Non è quindi sorprendente che con l’invecchiamento naturale dei diversi componenti, si inizino a rilevare problemi
di vario tipo, che danneggiano, inevitabilmente, l’opera, come la rottura o la delaminazione degli strati pittorici.

CONSOLIDANTI
Un buon consolidante deve ripristinare la coesione degli strati pittorici slegati l’una dagli altri, attraverso le sue
proprietà chimico-fisiche. Inoltre, un buon consolidante deve avere capacità di impregnazione elevate (ovvero deve
bagnare in modo corretto l’opera), tempo di azione lento, compatibilità con i materiali originali (per questo la
nanocellulosa è anche un ottimo consolidante) e stabilità chimico e fisica. Non deve invece possedere nessuna azione
solvente o reattiva verso i materiali da consolidare.

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