Jean-Philippe Rameau ,
Traité de l'harmonie réduite à ses principes naturels.
INDICE
PREMESSA
Breve introduzione
Curriculum di studio dell’autore
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
CAPITOLO VII
7.1 Introduzione pratica allo studio degli intervalli armonici
7.2 Lo studio degli accordi: Czernyana, Volume I
7.3 Introduzione pratica allo studio degli intervalli melodici
7.4 Introduzione pratica allo studio dei rivolti di arpeggio
CAPITOLO VIII
PREMESSA
Breve introduzione
Matteo Malafronte, classe 1996, s'iscrive all'età di otto anni presso la scuola di
musica Massimo Isidori. Una volta ricevuti i rudimenti musicali e sostenuto a
nove anni un primo recital di pianoforte presso il Castello Orsini, lascia
l'associazione per tornare in Piemonte e, appassionatosi nel contempo a vari
strumenti tra i quali la chitarra, inizia a dedicarsi interamente allo studio del
pianoforte. Riceve privatamente la sua prima formazione pianistica come
allievo della concertista giapponese Kaori Matsui, vincitrice del trofeo "KAWAI"
come "miglior esecuzione di musica del XX secolo". Successivamente viene
ammesso al Conservatorio Guido Cantelli di Novara come studente di
pianoforte del Maestro Giuseppe Andaloro, premio Busoni. Prosegue gli studi
nello stesso conservatorio con la concertista, musicologa e teologa Chiara
Bertoglio, la più giovane diplomata all'Accademia S. Cecilia di Roma. Nel 2018
entra nel coro da camera del suo conservatorio, partecipando poi come corista
a un "Didone ed Enea" presso il Teatro Civico di Biella, esperienza
incoraggiata dagli scopi formativi di un'attività corale che lo impegnerà nella
incisione di un disco (CENTORIO, Marco Antonio; HEREDIA, Pietro. Mottetti,
Inni e Antifone . Londra: Elegia, 2019) come cantore del Coro dell’Arcidiocesi
di Vercelli, diretto dal Maestro Mons. Denis Silano. Nello stesso anno inizia
una collaborazione con il Teatro Civico di Vercelli per il celebre Festival Viotti.
Tra il 2019 e il 2020 entra nel corso propedeutico di composizione e direzione
corale del suo conservatorio, che tutt'ora frequenta sotto la guida del Maestro
Giulio Monaco. Dal 2018 studia pianoforte sotto la guida del Maestro
Alessandro Marangoni, allievo della leggendaria pianista napoletana Maria
Tipo.
CAPITOLO I
1.1 I punti di fissità dell’occhio
Figura 1
Figura 2
In senso specifico questo stesso segno può prendere, tra gli altri, il
nome di chiave di violino (fig. 3):
Figura 3
Figura 4
Figura 6
Il fatto che il nome generico della chiave non cambi in base alla riga
sulla quale posta è facilmente deducibile con questo esperimento: si
osservi l’immagine delle due chiavi di do e fa baritono qui in alto [9] .
Partendo dalla riga sulla quale è posta la chiave di fa , e
proseguendo verso l’alto, contando tutte le righe e tutti gli spazi si
finirà per incontrare la chiave di do proprio sulla riga del do . Dato
che la musica non è nata con il pianoforte, e che questo rappresenta
solo uno dei tanti strumenti attraverso i quali è possibile leggere la
musica, quelle che al momento sembrano informazioni superflue
sono in realtà dei “bocconi” che si aiuterà a “digerire” gradualmente
nel corso del manuale: sono fondamentali sul piano didattico,
perché permetteranno di comprendere i motivi che stanno dietro la
scelta di adottare determinate convenzioni di lettura per questo
strumento.
Molti manuali partono con la premessa di una visione rigida delle
due chiavi e del pentagramma : in questo modo molto spesso la
chiave posta in alto viene concepita in senso astratto da quella posta
in basso, oppure ci si concentra esclusivamente sul problema di
associare le due chiavi al pentagramma , problema che in realtà,
come si dimostrerà tra poco, non sussiste. Fatte queste premesse,
forse inizialmente ostiche, sulla “inquadratura” del pentagramma coi
tre segni di chiave esistenti, dei quali i nomi generici sono
rispettivamente di fa do e sol , verrà enormemente semplificato
l’imminente processo di apprendimento della lettura. Fortunatamente
per quanto riguarda le composizioni pianistiche, all’atto pratico, la
questione è molto semplice: si legge su un doppio pentagramma che
presenta in alto una chiave di violino e in basso una chiave di basso
. Si può dire che non ci siano varianti a questa configurazione. Provo
allora a partire da uno di questi due punti di riferimento, dalla chiave
di violino (fig. 3), e a procedere verso l’alto fino a rincontrare una riga
o uno spazio del pentagramma che abbia nuovamente il nome sol
(fig. 8).
Figura 8
Questi segni che uso per indicare una riga o uno spazio del
pentagramma hanno un preciso nome, ossia figure ritmiche . Se ne
riparlerà dettagliatamente in seguito. Tornando all’esempio:
procedendo come spiegato, si è incontrato di nuovo uno spazio con
nome sol senza dover andare oltre l’estensione del pentagramma .
Tuttavia, l’estensione del pentagramma si può superare: è sufficiente
aggiungere delle righe “in più”; queste permettono di raggiungere
altezze del pentagramma che altrimenti non si potrebbero
considerare. Tali righe addizionali vengono chiamate tagli addizionali
(fig. 10):
Figura 10
Figura 11
Figura 12
Figura 13
Figura 14
Si può incontrare lo stesso do anche procedendo verso il basso a
partire dalla riga del sol indicata dalla chiave di violino , ossia dalla
seconda riga del pentagramma superiore (fig. 15):
Figura 15
Figura 16
Quei due nomi di nota cerchiati (fig. 16) sono lo stesso nome di nota
scritto in modo diverso, ossia, rispettivamente, una volta partendo
dalla chiave di basso e una volta partendo dalla chiave di violino .
Ciò è dimostrato dal fatto che se da quel punto comune, cerchiato
nell’esempio, si continuasse a scendere dalla chiave di violino , si
otterrebbe un si dentro uno spazio esattamente come accadrebbe se
si scendesse in chiave di basso (fig. 17):
Figura 17
Figura 18
E da quel punto in avanti, verso l’alto o verso il basso, tutte le righe e
gli spazi sarebbero sovrapponibili [10] . Questo significa che, potendo
usare un illimitato numero di tagli addizionali , tutti i nomi di note
posti in chiave di basso potrebbero essere scritti in chiave di violino
e viceversa. Per esempio, se volessi scrivere il fa associato dalla
chiave di basso alla quarta riga del pentagramma inferiore
impiegando però la chiave di violino , potrei farlo in questo modo in
virtù della struttura del doppio pentagramma (fig. 19):
Figura 19
Figura 21
Figura 22
Figura 23
● In un primo momento, si deve immaginare il si che sta al
centro come un naso, e i si ai lati come le due orecchie del
pentagramma , di cui i tagli addizionali sono la sagoma del
viso dal quale sporge l’orecchio;
Figura 24
● Il sol in alto invece, dato che sta sopra a tutte le righe e tutti
gli spazi del pentagramma , potrebbe essere un bagliore nel
cielo, come quei riflessi che molto spesso si trovano nelle
fotografie.
Figura 25
Figura 26
Fin dal principio, bisogna comprendere che per stabilire questa
associazione non ci si può basare, come comunemente si pensa,
direttamente sui tasti bianchi. Infatti, occorre prima fare riferimento ai
tasti neri, perché sono disposti lungo la tastiera in due serie
nettamente separate da uno spazio. Queste serie di tasti si ripetono
in sequenza, una da due tasti neri e una da tre tasti neri (fig. 26). I
tasti bianchi invece sono disposti in un’unica serie, anonima sia da
un punto di vista tattile che visivo. Non possono quindi rappresentare
un punto di riferimento efficace per il presente lavoro di
associazione. Pensando ai tasti neri per risalire a quelli bianchi, e
non soltanto ai tasti bianchi, si trova immediatamente la posizione di
ogni componente della scala fondamentale . La capacità di
individuare immediatamente un tasto bianco senza basarsi sui tasti
bianchi che ha vicino è fondamentale, perché durante un'esecuzione
al pianoforte non si suona soltanto su tasti che si susseguono. Al
contrario, potrebbe manifestarsi la necessità di leggere e individuare
sulla tastiera un do immediatamente seguito da un sol che quindi
non gli è adiacente nella scala fondamentale , oppure di dover fare
un grande salto con la mano da un estremo all’altro dello strumento.
Dato che i tasti bianchi sono disposti in un’unica serie, se davvero ci
si volesse basare solo su questi, si dovrebbe partire ogni volta
calcolando macchinosamente da un unico punto di riferimento e non
semplicemente pensando alla relazione che un determinato tasto
bianco ha con i suoi vicini tasti neri. È facile capire che questo non
sia corretto. Invece, avendo come riferimento i tasti neri, è
possibile individuare la posizione di ogni nome delle note
immediatamente e semplicemente pensando alla relazione che
un determinato tasto bianco ha coi tasti neri adiacenti .
Quest’ultima considerazione da sola non basta e lo si dimostrerà con
il seguente esempio: nel caso del sol non è scontato sapere quale
dei suoi due vicini tasti neri si debba effettivamente prendere in
considerazione per risalire al suo relativo tasto bianco, dal momento
che gli sono vicini allo stesso modo. Lo stesso accade con il la e con
il re . Anche in questo caso, si esporrà il metodo di studio
sistematizzato dall’autore per procedere con il presente lavoro di
associazione.
Si metta in pratica quanto scritto di seguito toccando la tastiera a
occhi chiusi, partendo dai rispettivi estremi destro e sinistro
delle due serie dei tasti neri (fig. 27):
Figura 27
Figura 28
L’ultima delle tre fasi di associazione (riassunte alla fine del par. 2 -
Cap. I) consiste nel mettere in relazione i nomi delle note associate
alle posizioni sul pentagramma con i nomi delle note associate ai
tasti bianchi, quindi mettere in relazione il pentagramma alla tastiera
.
Figura 30
Figura 31
Figura 32
Figura 34
Perciò, quella che più avanti nel manuale si chiamerà nota , e non
più soltanto nome di nota , sarà un insieme di tre componenti:
● Una figurazione ritmica , per esempio ;
● Una precisa posizione sul pentagramma , quindi la precisa
associazione con un nome (che eventualmente presenterà
un attributo , di cui si tratterà nel par. 6 del Cap. II);
● Una precisa altezza sonora, ossia un suono , di cui si
tratterà a seguire (par. 6 - Cap. II).
Figura 35
Figura 36
Figura 38
Questa è la cosiddetta indicazione di misura e si legge “quattro
quarti”. Ha valore, salvo indicazioni, lungo tutto il pentagramma che
la contiene, motivo per cui è stata scritta sia sul pentagramma
superiore che su quello inferiore. L’ indicazione di misura serve a
conoscere anticipatamente la struttura ritmica di ciò che la segue.
Molto spesso nei primi esercizi per pianoforte tale indicazione non
cambia lungo l’intero brano: si capisce quindi che è fondamentale
saperla interpretare per avere a mente, prima ancora di iniziare a
leggere ciò che la segue, una struttura ritmica da seguire. Per
poterlo fare, è necessaria la massima concentrazione nella
comprensione di quanto segue.
Nel caso dell’esempio (fig. 38), la misura sarà costituita da quattro
figure ritmiche dal valore di un quarto ciascuna (si veda il prossimo
esempio).
Figura 39
Figura 40
Contando con regolarità fino a tre , come indicato dal numero in alto
nella indicazione di misura , si sarà scandito il numero di tempi della
misura , ossia tre .
A seconda del numero dei tempi di cui una misura è costituita,
questa può essere classificata come:
Figura 41
Figura 42
Figura 43
La suddivisione del tempo può avvenire in due segni ritmici : la
misura viene definita semplice (fig. 42 - fig. 43).
Figura 44
Figura 45
Figura 47
Figura 48
Figura 49
Si dovrà subito avere in mente tre tempi dal valore di 1/4, ciascuno,
che in questo modo sono a un secondo livello di suddivisione ,
poiché si trovano quattro figure ritmiche per ogni tempo, e non
soltanto due, come avviene a un primo livello di suddivisione (fig.
43). In questo l’editoria musicale aiuta, poiché la maggior parte dei
brani editi per la stampa presenta le figure ritmiche sempre
raggruppate per unità di tempo . Le figure scritte qui sopra, infatti,
potrebbero essere scritte anche in questo modo (fig. 51):
Figura 51
CAPITOLO II
Figura 52
Figura 53
Figura 56
Da questo esempio si può comprendere la ragione per cui, nel primo
capitolo di questo manuale si è precisato che l’alfabeto di lettura
nella nostra musica , ossia i nomi della scala fondamentale, deve
essere raggruppato nei “tipi di parole della musica”. In questo caso
infatti (fig. 56), leggere le note prese singolarmente non serve a
nulla, leggerle orizzontalmente ancor meno. Per individuare a colpo
d’occhio che le sei note scritte qui sopra sono una trìade ripetuta
due volte si deve, oltre ad aver compreso quanto detto finora, saper
guardare l’aspetto numerico del pentagramma , ossia i nomi generici
degli intervalli . I tre nomi di nota che compongono il primo arpeggio
sono infatti tutti scritti sulle righe. La distanza che intercorre tra un
nome di nota e l’altro non è comunque grande come quella di una
quinta, né piccola come quella di una seconda, anche perché in
quest’ultimo caso, trattandosi di un intervallo pari, i nomi di nota non
sarebbero scritti tutti sulle righe, ma in modo diverso: alcuni sulle
righe e alcuni sugli spazi. Da ciò si evince che, se non si fosse
saputo distinguere questo “tipo di parola” della musica, ossia l’
accordo e quindi l’ arpeggio , non si sarebbe potuta cogliere la
metodologia più consona per leggere il passaggio in esempio. Per
riassumere, i tre intervalli melodici così trovati possono essere
ricondotti proprio alla trìade di partenza (fig. 57):
Figura 57
Figura 58
Lo stesso vale per gli altri nomi di nota che fanno parte della scala
fondamentale : questi saranno desunti sempre a partire da quel do
centrale di riferimento, scelto in questo caso anche per rispettare la
convenzione, presente nelle armature di chiave, di non sconfinare
nei tagli addizionali . Che cosa sia un’ armatura di chiave sarà presto
chiarito (par. 6 - Cap. II).
Dal momento che una trìade, formata dai nomi di nota do - mi - sol,
può essere scritta, e quindi letta, anche come mi - do - sol
(cambiamento di stato , o rivolto ), o ancora do - sol - mi
(cambiamento di posizione ), i nomi di nota di un accordo sono stati
associati a dei numeri ordinali ( terza, quinta ecc. [33] ); questi numeri
si riferiscono tra le altre cose al nome generico dell’ intervallo che i
nomi delle note formano con la fondamentale dell’accordo (fig. 59),
in modo da poter essere distinti nella loro collocazione in tutti gli stati
e posizioni .
Figura 59
Si capisce quindi che il nome della fondamentale è il nome della
nota sul quale si fonda l’accordo ( fondamentale ), ossia quello dal
quale si parte numericamente per costruirlo, disponendo un
intervallo di terza e poi sovrapponendone un secondo. Tale nome di
nota dà anche in parte o in tutto un nome generico all’accordo [34] .
Pertanto, un accordo detto in stato fondamentale avrà come nome
di nota più basso quello associato alla sua nota fondamentale .
Per ciò che concerne la trìade , questa si può trovare in altri due stati
oltre a quello fondamentale : in stato di primo rivolto e in stato di
secondo rivolto . Un accordo in stato di primo rivolto (fig. 60) avrà
come nome di nota più basso quello assegnato alla terza , mentre
un accordo in stato di secondo rivolto (fig. 61) avrà come nota più
basso quello assegnato alla quinta .
Figura 60
Figura 61
Figura 62
Figura 65
Figura 66
Figura 67
Figura 68
Figura 69
Figura 72
DO-MI-SOL
RE-FA-LA
MI-SOL-SI
FA-LA-DO
SOL-SI-RE
LA-DO-MI
SI-RE-FA
RE-FA-LA- DO
MI-SOL-SI- RE
FA-LA-DO- MI
SOL-SI-RE- FA
LA-DO-MI- SOL
SI-RE-FA- LA
DO-MI-SOL- SI
Figura 71.1
Questo specchietto considera tutti i rapporti che due intervalli di
terza, sovrapponendosi, possono instaurare con i vari nomi di note
della scala fondamentale : rappresenta dunque lo scheletro
numerico delle trìadi . Lo schema si limita alla porzione di
pentagramma già presa in esame (fig. 25). Come esercizio di lettura,
si nominino tutti i nomi di nota a partire dal basso e procedendo da
sinistra verso destra scegliendo tra chiave di violino o chiave di
basso , che sono le due impiegate per la scrittura pianistica. In
chiave di violino , si direbbe così: fa-la-do , sol-si-re , la-do-mi ,
eccetera. La stessa operazione va effettuata al contrario e poi
partendo da un punto sempre diverso dell’esercizio. Questo metodo
serve a comprendere che la scala fondamentale è presupposta alla
struttura sequenziale del pentagramma , che guadagna un orizzonte
all’interno della porzione udibile dei suoni esclusivamente attraverso
la chiave . Nonostante questo, una terza ascendente con il do come
nome della nota fondamentale dell’ intervallo sarà sempre do-mi ,
non sono la chiave o altri elementi a conferire questa struttura
numerica al pentagramma, bensì soltanto la scala fondamentale
. Per tale ragione, da questo momento si dovrebbe cercare di
instaurare una stretta relazione tra i nomi delle note e i numeri legati
al loro intervallo , come esemplifica molto chiaramente Jean-Philippe
Rameau nel suo Trattato di Armonia [43] : per praticare la lettura della
scala fondamentale è infatti essenziale una disposizione per trìadi ,
poiché la trìade è l’elemento fondamentale dell’ Armonia (e non
solo), ossia dei canoni ai quali ci si rifà, trasgredendoli o meno, per
scrivere - e leggere - la maggior parte della musica.
È possibile praticare questo esercizio con l’aggiunta del nome di
nota che si trova a un intervallo di settima da quello sul quale si
fonda l’ accordo . Vi è un motivo fondamentale per cui bisogna
praticare fin dall’inizio anche su una sequenza di quattro nomi
di nota : Jean-Philippe Rameau ne tratta nel primo paragrafo del
suo Trattato di Armonia [44] . Il motivo è che gli intervalli di settima
rientrano tra gli intervalli più importanti della nostra musica : questi
sono infatti terze, quinte e settime. Gli intervalli appena nominati
andrebbero conosciuti alla perfezione: a partire da un nome di nota
qualunque si dovrebbe subito capire quale sia la terza, la quinta o la
settima a esso associata; gli intervalli rimanenti (quelli di seconda,
quarta e sesta) sono derivati per rivolto dai tre intervalli fondamentali
di terza, quinta e settima. Nel suo trattato, Jean-Philippe Rameau
propone una tabella in cui gli intervalli sono schematizzati come una
serie di sequenze numeriche ; l’autore ritiene tuttavia che sia più
funzionale apprenderli associando già ogni intervallo a una precisa
sequenza di quattro nomi di note , sebbene queste non abbiano
ancora un significato acustico , ma solo nominale . La seconda
fase dell’esercizio sopra proposto consiste nel cercare di desumere
, e non più leggere direttamente , i nomi delle note superiori
leggendo soltanto quello posto più in basso : quest’ultimo è un
esercizio d’immaginazione imprescindibile per la lettura. Molto utile
in questo senso è anche leggere al contrario, ossia partire dal nome
di nota più alto verso quello più basso, o da destra verso sinistra.
Successivamente si dovrà eseguire l’esercizio a occhi chiusi,
immaginando a memoria ogni intervallo , fin quando lo si saprà
portare a termine mentalmente in brevissimo tempo. Questo
esercizio e quello sulla pronuncia della scala fondamentale sono
essenziali per proseguire nella lettura di questo manuale, si devono
perciò obbligatoriamente studiare: si leggerà spesso, dopo aver
preso grande confidenza coi principi esposti, solo il nome di nota più
basso dell’ accordo ricavando il rapporto che esso costituisce con la
scala fondamentale . Per il momento occorre soltanto avere chiaro lo
scopo dei prossimi paragrafi: quello di avere in mente, a partire dalla
lettura del solo nome di nota più basso di un accordo in stato
fondamentale , un’idea sulla possibile struttura di tale accordo . Per
fare questo non ci si servirà solo di elementi strettamente legati alla
scrittura del brano, ma anche di elementi relativi ad altri contesti: per
esempio, la sua periodizzazione storica. In una ballata
rinascimentale, una volta compresi i paradigmi dell’epoca,
generalmente non ci si aspetterà una sovrapposizione di più di tre
terze: sarà più comodo quindi, leggendo do come nome di nota più
basso, avere automaticamente nella mente do-mi-sol , al limite con
l’aggiunta della settima ; infine si confronterà l’esito di questo
tentativo di previsione con ciò che effettivamente è scritto sopra il
nome di nota più basso.
Con molta pratica non sarà necessario controllare sempre i tentativi
di previsione fatti per ciascun nomi di nota , uno per uno: dato che
si partirà con un’ipotesi nella mente, per confermarla o
smentirla basterà, leggendo prima attentamente il solo nome di
nota più basso, un eventuale colpo d’occhio al rapporto
numerico che i nomi di nota superiori instaurano con
quest’ultimo . Si tratterà approfonditamente di questo argomento in
un paragrafo successivo, una volta introdotte una serie di nozioni
fondamentali per la sua comprensione, come il concetto di tonalità o
quello di armonia pratica . S’invita pertanto a leggere questo
manuale in ordine, secondo la disposizione che l’autore ha scelto
per i suoi paragrafi.
Figura 73
Figura 74
Figura 75
Questi due schemi (fig. 74 - fig. 75) vanno studiati attentamente,
memorizzando le distanze che intercorrono tra tali intervalli secondo
il metodo mostrato (par. 1 - Cap. II). I segni che si trovano a sinistra
delle teste delle figure ritmiche si chiamano accidenti e servono a
modificare l’altezza (sonora) dei suoni a cui le rispettive figure
ritmiche sono associate. Da un punto di vista nominale , e non
acustico, rappresentano l’attributo o aggettivo legato a un nome di
nota (per esempio: la bemolle ). Si riportano di seguito i loro precisi
nomi, a partire da sinistra: diesis , doppio diesis , bemolle , doppio
bemolle e bequadro ( fig. 76).
Figura 76
Figura 77
Figura 78
Figura 79
Figura 80
Figura 82
Dallo schema risulta quindi evidente che il tipo e la quantità degli
accidenti appartenenti alla scala di re maggiore sono comodamente
indicati (fig. 82), ma questi si potrebbero ricavare anche senza
andare a cercare direttamente il re , semplicemente partendo dalla
scala di do maggiore (fig. 83):
Figura 83
una sensibile (ci si riferirà d’ora in poi all’ intervallo che parte
dalla nota fondamentale della scala ).
Figura 85
Figura 86
La scala di sol diesis minore melodica ascendente avrà invece
quest’altra configurazione: la terza minore , la sesta maggiore e la
sensibile (fig. 87).
Figura 87
La seconda parte del nome [di un intervallo [64] ], ossia il nome specifico
(quale tipo di terza, settima ecc .), può essere determinata mediante un
confronto con la scala maggiore formata a partire dalla più grave delle
due note . Se la nota superiore coincide con una nota della scala, l’intervallo è
maggiore (oppure giusto se si tratta di ottave, quinte, quarte o unisoni). Se la
nota superiore non coincide con una nota della scala, si devono applicare i
seguenti criteri:
[…] Nel caso in cui la nota inferiore sia alterata conviene forse considerare
l’intervallo dapprima come se tale nota fosse naturale e solo in un secondo
tempo derivare il nome dell’intervallo confrontando l’effetto dell’alterazione con
le regole precedenti.
Figura 68-2
Figura 71-1
I: DO - MI - SOL
IV: FA - LA -DO
V: SOL- SI - RE
I: RE - FA(♯) - LA
IV: SOL - SI -RE
V: LA- DO(♯) - MI
Figura 71-2
In questo esempio, volutamente antimusicale e puramente
didattico , il soprano getta le basi di una linea melodica ben chiara,
composta da note che fanno parte degli accordi. Le note del
soprano sono quindi armonizzate , ossia l’ armonia a cui si
riferiscono è stata esplicitata . L’esempio ha il solo scopo di far
capire che melodia e armonia procedono di pari passo nella nostra
musica e non sono mai da concepirsi in modo separato: dell’arte di
combinare melodia e armonia si occupa soprattutto la materia
chiamata contrappunto . In questo paragrafo non ci si occuperà di
questa materia, ma di capire che per armonizzare una melodia è
necessario in primo luogo trovare accordi che contengano le note di
quella melodia . Ci si soffermi infatti sulle sole trìadi : questo stesso
abbozzo di melodia (fig. 71-2) si sarebbe potuto armonizzare
impiegando i soli gradi forti , poiché questi da soli contengono tutte
le note della scala e, conseguentemente, di qualsiasi melodia venga
costruita sulla scala stessa. Si aggiunga allora una nota dal senso
conclusivo [70] alla fine dell’esempio precedente (fig. 71-2) e si
osservi la seguente dimostrazione didattica:
Figura 71-3
Figura 71-4
Figura 71-5
1) Armonia consonante;
2) Armonia dissonante.
1) Note di passaggio;
2) Fioriture.
1) Anticipazioni;
2) Appoggiature;
3) Note sfuggite.
stabiliscono tra loro. In tal modo, nella maggior parte dei casi,
eventuali errori o elementi insoliti saltano all’occhio spontaneamente,
senza che sia sempre necessario svolgere un ruolo attivo nel
compitare ognuna delle lettere che compongono quella parola.
Viceversa, quando si legge un testo letterario compiuto non
conoscendone la lingua, solitamente si parte dalle singole lettere,
ossia dall’alfabeto e dai fonemi a esso associati. Non è un caso se
questi rappresentano alcuni dei primi rudimenti insegnati durante
l’apprendimento del linguaggio: la lettura e la pronuncia delle lettere
prese singolarmente è fondamentale, perché senza conoscere ogni
singola lettera non si potrebbero conoscere le parole scritte di cui
non si possiede ancora un’immagine di riferimento da integrare nel
proprio vocabolario.
Attribuendo la stessa importanza a specificazione e
generalizzazione, si comprende che in alcuni casi leggere per
scomposizioni può non essere sbagliato, bensì rappresentare una
prospettiva obbligata. Lo stesso vale per quanto riguarda il leggere
per sintesi: tutto sta nel non escludere una di queste due prospettive,
ma nell’integrarle in una prassi che dia loro pari importanza. Per
farlo, bisogna seguire queste fasi [77] :
CAPITOLO III
Le basi della teoria dei rivolti e dei gradi armonici di cui si è trattato
finora furono poste dal compositore e teorico francese Jean-Philippe
Rameau [82] , la cui concezione si scontrava tuttavia con quella
empirista della scuola del basso continuo [83] . Occorre sottolineare
l’importanza di entrambe le scuole al fine di integrarle in un unico
orizzonte di studio:
Figura 88
Figura
89 [88]
Figura 90
Se si vuole ottenere una quarta nota per una scrittura a quattro parti,
nelle trìadi in stato fondamentale si raddoppia solitamente la
fondamentale. Questa utile regola non viene però applicata sempre
[a esempio [93] ] per le trìadi in primo rivolto. [...] Nella maggior parte
dei casi la scelta si basa sulla posizione della nota raddoppiata
nell’ambito della tonalità. In altre parole si raddoppiano le note
importanti per la solidità tonale [i gradi forti o talvolta il II] [94] . [95]
Ciò che si è detto finora è sintetizzato nelle due regole pratiche che
riporta il manuale Armonia di W. Piston per effettuare un
collegamento lineare nel moto delle parti tra gli accordi e rispettare la
massima economia nel movimento delle voci :
[100]
3.3 Concatenare trìadi in stato fondamentale
Si enunceranno ora altre regole pratiche riguardanti il periodo tonale
, iniziando da quelle più generali e frequenti. Si inizierà dunque da
un pratico schema indispensabile per poter concatenare, e quindi
anche leggere e interpretare al pianoforte, le trìadi in stato
fondamentale . Questo schema si basa sull’osservazione della nota
posta al basso , la più grave, indipendentemente dallo stato o dalla
posizione in cui si trova l’ accordo : rappresenta il fondamento della
prassi del cosiddetto basso continuo . Oggi tutti sanno quanta
importanza abbia la nota posta al basso , anche chi compone
musica di tutt’altro genere non può prescindere da questo elemento
per ragioni non solo armoniche ma anche acustiche [101] .
TERZA
Quando il basso si muove per intervalli di terza ( minore o maggiore
, ascendente o discendente) gli accordi avranno due note comuni
nelle stesse parti.
QUARTA
Quando il basso si muove per intervalli di quarta (ascendente o
discendente) gli accordi avranno una nota comune nello stesso
tipo vocale altrimenti detto parte .
QUINTA
Quando il basso si muove per intervalli di quinta (ascendente o
discendente) gli accordi avranno una nota comune nella stessa
parte .
SESTA
Quando il basso si muove per intervalli di sesta (minore o maggiore,
ascendente o discendente) gli accordi avranno due note comuni
nelle stesse parti .
I principi che seguono sono basati sullo studio delle abitudini dei
compositori durante il periodo tonale. Essi non devono quindi essere
considerati come un insieme di regole da osservare rigorosamente.
Il I è seguito dal IV o dal V , a volte dal VI, meno sovente dal II o
dal III.
Il II è seguito dal V , a volte dal IV o dal VI, meno sovente dal I o dal
III.
Il III è seguito dal VI , a volte dal IV, meno sovente dal I, dal II o dal
V.
Il IV è seguito dal V , a volte dal I o dal II, meno sovente dal III o dal
VI.
Il V è seguito dal I , a volte dal IV o dal VI, meno sovente dal II o dal
III.
Il VI è seguito dal II o dal V , a volte dal III o dal IV, meno sovente
dal I.
Il VII è seguito dal I o dal III , a volte dal VI meno sovente dal II, dal
IV o dal V.
il [107] I può anche essere seguito dalla trìade maggiore del VII;
la trìade maggiore del III può anche essere seguita dalla trìade
maggiore del VII;
la trìade maggiore del VII è seguita dal III, a volte dal VI, più
raramente dal IV;
la trìade diminuita del VII è seguita dal I.
Queste due tavole danno una prospettiva sommaria sul modo in cui
le funzioni armoniche si succedono abitualmente. Ciò significa che
servono a sapere, per esempio, quanto segue: all’interno di un
qualsiasi modo maggiore, a un accordo costruito sul V grado nella
maggior parte dei casi seguirà uno costruito sul I grado dello stesso
modo .
È chiaro come sia impossibile prevedere l’intera struttura delle
successioni armoniche in un brano, ma avere un’idea della direzione
di una funzione armonica è uno degli elementi che contribuiscono a
sviluppare una buona lettura in tal senso. Per esempio, leggere un
settimo grado in una tonalità maggiore e aspettarsi che vada al terzo
certamente sarà, nella maggior parte dei casi, una scelta sbagliata.
CAPITOLO IV
… I think "double bass," then the color is better. This idea was often
dwelt upon by Rubinstein—so my teacher, Blumenfeld told me. "Do
not try to imitate, but think of color.
Traduzione:
Figura 96
CAPITOLO V
Figura 97-2
I primi grandi classici non sono stati scritti per il pianoforte a gran
coda, ma per uno strumento più "leggero", perciò la tecnica della
diteggiatura era di fondamentale importanza. Le tecniche di
contrappunto, dove le voci di mezzo erano così importanti,
richiedevano dita sensibilissime, attive. C'è sempre un collegamento
molto stretto tra il cervello e la punta delle dita. [116]
5.5 Revisione degli studi sulle cinque dita e del loro scopo
1. Tasto 7. Cucchiaio
2. Pilota 8. Smorzatore
3. Spingitore 9. Corda
4. Rullino 10. Bottone dello
scappamento
5. Martello (o 11. Leva di
martelletto) ripetizione
6. Paramartello 12. Cavalletto
5.7 Introduzione pratica alla meccanica del pianoforte
La meccanica , in un pianoforte, rappresenta la serie di congegni
che trasmettono al corpo vibrante l'impulso dato [126] dall'esecutore .
Questo sistema, che si trova nel cuore dello strumento, inizia ad
agire quando i tasti vengono abbassati dal pianista attraverso una
forza che può essere quella muscolare o quella di gravità [127] . In un
pianoforte a coda, il tasto è un’asta di legno che poggia come una
leva [128] attorno a un fulcro metallico, [129] che si trova all’interno
dello strumento (fig. 99).
Figura 99
Pedale di risonanza
Questo pedale è quello situato più a destra nei pianoforti a coda .
Una volta abbassato, solleva contemporaneamente tutti gli
smorzatori dalle corde . Azionare questo pedale permette alle corde
di vibrare liberamente, ossia senza che al rilascio di un tasto lo
smorzatore ricada. Oltre ad essere essenziale in molti casi per
effettuare una legatura , può modificare il timbro e il volume del
suono emesso poiché permette alle corde simpatiche [137] di
risuonare.
Sullo spartito , il segno che si riferisce a questo pedale è:
Tale segno indica il momento in cui il pedale deve essere abbassato.
Lo si manterrà abbassato fino a incontrare quest’altro segno: ,
che ne prescrive il rilascio. Il pedale di risonanza, essendo legato
alla meccanica dello smorzatore , ha su quest’ultimo la stessa
funzione del rilascio di un tasto . Un altro segno che generalmente
indica i punti di abbassamento e rilascio del pedale , coincidenti nella
maggior parte dei casi con i cambi di armonia negli accordi , è il
seguente:
Movimento deciso
Il pedale va abbassato e
rilasciato in
corrispondenza
rispettivamente della
prima e della seconda
barra verticale, in modo
secco e deciso.
Movimento dolce
Il pedale va abbassato e
rilasciato in
corrispondenza
rispettivamente della
prima e della seconda
barra obliqua, in modo
dolce e graduale.
Movimento combinato
Rappresentato
dall’alternarsi di un
movimento deciso a uno
dolce o viceversa.
Movimento a scomparsa
Il pedale va rilasciato
nel modo più graduale
possibile fino a
sollevarsi del tutto.
Cambio spezzato
L’alternarsi di due segni
di movimento
graficamente separati
determina che il piede si
sollevi del tutto dal
pedale.
Cambio sincopato
Questa grafia determina
che il cambio avvenga
senza far perdere al
piede il suo contatto col
pedale.
Il cambio di pedale sincopato è il più frequente nel repertorio
pianistico, e determina che il pedale di risonanza venga
generalmente sollevato una frazione di secondo dopo il cambio di
armonia degli accordi .
È importante anche considerare che, a partire dal sesto tasto bianco
fa che si incontra contando dalla sinistra della tastiera , non sono
presenti smorzatori , dal momento che quelle corde per ragioni
armoniche e acustiche possono risuonare liberamente senza
“sporcare” l’esecuzione con marcate cacofonie, cosa che invece
accade per le corde della regione bassa del pianoforte, essendo
queste ultime molto lunghe e spesse.
Pedale di Rendano
Questo pedale non è impiegato nei primi studi elementari e si trova
raramente indicato in partitura poiché è stato brevettato dal suo
inventore solo nel 1919. La sua funzione è però decisamente
interessante: è simile a quella del pedale di risonanza , ma ha
efficacia solo se il pedale viene azionato a seguito
dell’abbassamento del tasto interessato (e mentre quest’ultimo è
ancora abbassato). In altre parole, attraverso questo pedale , situato
solitamente al centro della pedaliera , si può “scegliere” quali note
debbano effettivamente rimanere libere dagli smorzatori .
Pedale “una corda”
Questo pedale sposta la martelliera [138] verso la destra
dell'esecutore [139] : dato che, come si è visto, la parte di meccanica
legata ai martelli poggia attraverso il pilota sull’asse dei tasti , questo
pedale determina anche lo spostamento dell'intera tastiera . Per
comprendere l'effetto di questo pedale è importante distinguere tre
porzioni della tastiera , partendo dalla sinistra di quest’ultima:
Crescendo Diminuendo
Questa tradizione non tiene conto, nella maggior parte dei casi,
del fatto che è inutile ed anzi dannoso far precipitare le dita
sulla tastiera fino alla fine della corsa del tasto , come a farle
schiantare. I tendini dell’avambraccio non sono fatti per sopportare
questo sforzo di sostegno nelle dita, ed è inutile scaricare quella
energia nel punto in cui la corsa del tasto termina, dal momento che
non è lì che viene effettuata la spinta del martello , come
approfondito in precedenza (par. 7 - Cap. V). In quel momento il
martello è invece distanziato e privo di contatto rispetto alla corda .
Senza mettersi a criticare le scuole superate da un pezzo , come
molti le apostrofano ingiustamente, è meglio forse in questo caso
integrare le scoperte del passato con quelle che rappresentano
importanti riflessioni sulla meccanica , senza pretendere di dire
qualcosa di nuovo o di non superato .
La prima importante riflessione è che quando il braccio cade sulla
tastiera deve comportarsi come quello di un pugile, che non ha il
solo scopo di scaricare una massa sul corpo dell’avversario, ma
anche quello di conferirgli la più alta accelerazione possibile per
guadagnare una forza elastica in grado di permettere una rapida
ripresa del colpo da parte della muscolatura, fino alla posizione in cui
si può tornare alla guardia o a sferrare un nuovo colpo. Per fare
questo sul pianoforte non basta l’azione dei muscoli della mano, né
quella del braccio, ma occorre quella dell’intero apparato che, a
partire dalle spalle, deve funzionare come una molla avente come
punto di contatto e scarico della forza la sensibilità delle dita [150] .
Il punto esatto in cui chi suona può capire attraverso la sensibilità
delle dita se il peso sia stato scaricato efficacemente è il fondo del
tasto , che rappresenta un punto di comunicazione importante - su
cui non si deve indugiare con il peso [151] del corpo - per ricavare le
informazioni tattili sulle risposte della meccanica dello strumento.
Quando si suona il pianoforte e si sente una pesantezza sulle dita,
come se fossero queste ultime a sostenere il peso , è soprattutto
perché non si sta usando la muscolatura delle spalle , che
dovrebbe sostenere le braccia e le mani senza irrigidirsi . Tale
pesantezza non si avverte in una corretta postura poiché le mani si
occupano solo dei movimenti necessari ad agire con sensibilità sui
componenti della tastiera . Inoltre si deve osservare che,
anatomicamente, la forza esplosiva dei muscoli delle spalle e di
quelli del petto non è paragonabile neppure lontanamente a quella
che hanno i tendini che muovono le braccia e dita, che non sono fatti
assolutamente per questo scopo. Per questa ragione, quando si
ricerca volume, bisogna sempre preferire i primi - esattamente come
fanno i pugili - agli ultimi, che hanno esclusivo ruolo di sostegno.
Quando si ricerca un grande volume, dovendo impiegare una
velocità considerevole per raggiungere il termine della corsa del
tasto , può capitare di dover scivolare leggermente verso l’esterno
della tastiera , in direzione del proprio corpo, per evitare di indugiare
troppo sul fondo del tasto : questo è uno dei principi della prensilità .
Il braccio e la mano durante la discesa sui tasti devono essere
rilassati, la forma di quest’ultima già pronta a suonare quando è
ancora in aria, per irrigidirsi solo al momento del contatto coi tasti :
così facendo la massa dell’intero apparato potrà essere scagliata
alla massima velocità. Un’altra componente essenziale per ottenere
volume è il pedale di risonanza , quello più a destra: in termini di
volume, esso permette di aggiungere al suono della corda percossa
tutto l’aiuto derivante dalla vibrazione simpatica ; ciò risulta ancor di
più se le corde armoniche a quella percossa sono state già percosse
precedentemente, o messe in vibrazione dal sollevamento degli
smorzatori . Da queste considerazioni si ricava ancora un’importante
regola: se si cerca volume, bisogna mettersi in condizione, quando
la musica lo permette, di lasciare le corde armoniche libere dagli
smorzatori . Per ciò che concerne invece una nota ribattuta, ossia
suonata più volte in un breve lasso di tempo, la faccenda è più
complessa. Ciò che verrà descritto a breve è un modo attraverso cui
è possibile ottenere il massimo volume dalle corde del pianoforte ed
è la principale causa di rottura delle medesime, anche se non
l’unica.
Come esposto in precedenza (par. 7 - Cap. V), esistono due fonti di
spinta del martelletto verso le corde : lo spingitore e la barra di
ripetizione , che è posta più o meno allo stesso livello, rispetto al
rullino , dello spingitore a riposo. Si è detto altresì che lo spingitore
lancia il martelletto verso le corde tramite il rullino , fatto che
permette al martelletto stesso di percuotere la corda anche senza
che il tasto dalla parte di chi suona sia stato abbassato del tutto. Se
non si abbassa del tutto il tasto , è possibile mantenere lo spingitore
in posizione di massima estensione verso l’alto e non far partecipare
al lancio la leva dello scappamento . In questo modo il rullino si trova
a ricadere non sulla leva di ripetizione o sul paramartello , ma di
nuovo sullo spingitore o sulla leva di ripetizione . Se si riesce a
coordinare questo movimento (sono necessari un po’ di velocità e un
po’ di tempismo, in altre parole coordinazione) con un rapido e
leggero ritrarsi dello spingitore prima che il martelletto finisca sul
paramartello o con il suo rullino sulla leva di ripetizione - senza però
far interrompere del tutto la vibrazione della corda dallo smorzatore -
è possibile in un secondo momento rilanciare con forza elastica il
martello verso la corda , a una forza quindi esponenzialmente
maggiore rispetto a quella del primo lancio, e verso una corda che
ha già superato la sua soglia di inerzia [152] . Quest’ultima
considerazione sullo smorzatore fa capire che realizzare questa
tecnica con lo smorzatore tenuto alzato da un pedale è più semplice.
Tradurre questo apparentemente complesso ragionamento in termini
tecnici, ossia pianistici, non è semplice: una volta abbassato il tasto
e fatta suonare una corda , lo si deve, a una breve distanza
temporale dalla percussione precedente, riabbassare alla massima
velocità possibile; se non si sta impiegando il pedale , la corsa del
tasto non deve superare i tre quarti della sua lunghezza (almeno non
per troppo tempo, a seconda del timbro che si vuole ottenere). In
caso contrario la corda smetterebbe in parte o in tutto di vibrare - e
se smettesse del tutto la tecnica sarebbe errata - in quanto rilasciare
il tasto completamente significherebbe far abbassare lo smorzatore
sulla corda . In entrambi i casi, se si cerca un volume molto
importante - anche se si sta impiegando il pedale - è sempre buona
regola non rilasciare del tutto il tasto (dalla prima percussione alla
seconda dovrebbe passare il minor tempo possibile, una frazione di
secondo). Il mero timbro , quindi non il volume , caratteristico di
questa tecnica, ossia il “brillare” della corda , è ottenibile anche
semplicemente ripercuotendo una corda già percossa
precedentemente e ancora in vibrazione. Riassumendo, combinare
questa tecnica con le possibilità dei suoni armonici e delle relative
corde simpatiche significa ottenere il massimo volume dal pianoforte.
Al contrario, per ottenere il minimo volume dal pianoforte, bisogna
studiare la soglia entro la quale la velocità di discesa del tasto
permette l'emissione del suono attraverso la meccanica (in altre
parole, la velocità minima alla quale avviene la percussione della
corda da parte del martello ). La massa posta sul tasto che sopra vi
si scarica - che sia il dito, l’intera mano o l’intero braccio attraverso
quel dito, eccetera - non ha nessun valore in questo procedimento
se non la si mette in relazione alla sua velocità di movimento verso il
basso. Per attuare lo studio di tale velocità, bisogna considerare che
l’unica risposta proveniente dal tasto è quella data dal suo fondo. In
quel punto, la mano riceve una risposta tattile concreta dalla quale il
pianista può determinare:
CAPITOLO VI
Dopo aver effettuato uno studio delle dita in modo simultaneo (par. 5
- Cap. V), bisogna studiare il succedersi delle note della scala a
partire da una data posizione fondamentale della mano , applicando
a quest’ultima lo studio sulle cinque dita . Nell’effettuare questa
applicazione, occorre comprendere se effettivamente tutte le dita
stiano abbassando i tasti fino in fondo, attraverso il peso (par. 7 -
Cap. V). La posizione fondamentale della mano non prevederà
necessariamente l’uso simultaneo di tutte le dita. Nell’attuare
qualsiasi studio che alterni due posizioni fondamentali della mano ,
la posizione fondamentale della mano deve essere preparata
mentalmente e in anticipo rispetto al momento in cui si giunge sui
tasti a essa relativi. È infatti controproducente preparare la mano nel
momento in cui le dita arrivano ai tasti , effettuando solo in seguito
gli aggiustamenti necessari (movimenti orizzontali delle dita, ecc.).
Un efficace esercizio per praticare l’immaginazione dei tasti e
anticipare nella mente le varie posizioni fondamentali che la mano
dovrà assumere sui medesimi è quello di pensare a due posizioni
fondamentali della mano in forma di note “scritte” sul pentagramma.
Nei paragrafi successivi verranno forniti esempi melodici e accordali
per attuare questo esercizio in differenti contesti. Successivamente,
si dovranno immaginare tali posizioni sulla tastiera del pianoforte,
ossia pensare a quali tasti siano riferite le due posizioni fondamentali
della mano , facendo corrispondere le note “scritte” ai tasti. Ciò
permetterà di aprire la mano anticipatamente, prima di toccare la
tastiera , in corrispondenza dei tasti che si sono immaginati. Soltanto
alla fine sarà possibile porre la propria mano sulla tastiera del
pianoforte, per verificare se la posizione fondamentale della mano
immaginata mentalmente corrisponda nei fatti alla forma richiesta
dalla tastiera . Nel fare questo, occorre mantenere un alto livello di
attenzione tanto durante l’apertura delle dita quanto durante la loro
chiusura. Per esempio, in una scala melodica di do maggiore
naturale si alternano due posizioni fondamentali della mano : in
questo caso, bisogna anticipare mentalmente la disposizione della
mano sulla serie da quattro tasti bianchi mentre ci si trova ancora
sulla serie da tre, pensando a come la propria mano dovrà cadere su
di essi prima che vi giunga sopra.
● Nel paragrafo sul circolo delle quinte si è detto che per ogni
tonalità non si devono tenere a mente più di tre alterazioni
per ogni armatura di chiave . Lo stesso principio vale anche
per le note che, rispetto alla scala maggiore, devono essere
ricordate al fine di costruire le relative minori armonica e
melodica ascendente o discendente ; sono infatti tre anche
queste note , e procedono per grado congiunto : sesto,
settimo e primo grado della scala. Conviene quindi
concepirle da subito in ordine decrescente (per esempio: la -
sol - fa ) ponendo di volta in volta gli accidenti necessari (
diesis o bequadri ), senza tenere a mente tutte le note della
scala minore . In linea generale, tutte le scale minori devono
essere considerate in relazione alle scale maggiori , dal
momento che la loro armatura di chiave è la stessa;
Figura 103
Figura 104
Figura 107
Figura 107
Figura 108
Figura 108
Figura 109
Figura 110
CAPITOLO VII
Figura 111
CAPITOLO VIII
Figura 113
Figura 114
La punta delle dita deve essere sempre il più possibile rivolta verso
la superficie dei tasti , pronta ad abbassarli. Lo stesso vale per l’
articolazione del pollice, che è tuttavia dotata di due sole falangi: il
dito si solleverà prima dalla tastiera , poi si piegherà leggermente in
dentro, a partire dalla seconda falange, se dovrà effettuare un
passaggio del pollice, aiutato in tutto dal movimento orizzontale del
polso che lancia l’intera mano. L’utilizzo della muscolatura si potrà
avvertire soprattutto a partire dai gomiti, che dovranno essere
quanto più possibile pendenti . Da tutto ciò è evidente che la forza
del muscolo ha un ruolo marginale nella determinazione della
velocità con la quale si solleva il dito dal tasto : bisogna
piuttosto insistere sulla perfetta coordinazione di questi
momenti [175] . L’esercizio dei due momenti dell’ articolazione
fondamentale è da praticarsi come segue:
Tutte le dita devono poter spingere il resto della mano e del braccio,
anche solo leggermente o quando non è necessario, verso una
direzione voluta. Quest’ultima può essere:
1) Le variazioni ritmiche;
2) Le variazioni sui segni di articolazione.
Accento
Di questo segno di articolazione si è già parlato indirettamente (par.
6 - Cap. I) . L’ accento (fig. 117) serve a far capire che la nota sulla
quale è posto dev’essere evidenziata. Questo non significa
necessariamente che quel suono debba essere suonato più forte
degli altri; per esempio, si può mettere in evidenza un suono anche
facendo una impercettibile pausa prima del suono stesso. Questo
secondo tipo di resa è tuttavia riservato a una mano esperta, in
quanto molto spesso necessita, oltre che di una variazione sull’
articolazione, anche di un intervento sulla durata dei segni ritmici e
sull’ andamento , ossia sull’ agogica musicale.
Figura 117
Tenuto
Il tenuto (fig. 117-1) è molto simile a un accento , ma differisce da
quest’ultimo perché la nota sulla quale è posto riceve un’enfasi che
può prolungarsi modificando l’effettivo ruolo ritmico della nota
(questo procedimento, in agogica , si chiama rubato ).
Figura 117-1
Legatura
Anche se si è già parlato della legatura in un paragrafo precedente
(par. 2 - Cap. IV) , bisogna all’atto pratico distinguere tra due tipi ben
diversi di legatura :
Figura 118
● Legatura di valore (fig. 119), che come segno serve a
sommare la durata di due segni ritmici posti sulla stessa
altezza .
Figura 119
Staccato
Lo staccato (fig. 120) serve a distinguere nettamente una o più note
dalle altre; a differenza dell’ accento però, non ha nulla a che vedere
con la dinamica . Suonare una nota in modo più forte delle altre non
la rende staccata . Suonare una nota staccata può aiutare a
prepararne una accentata , in quanto lo staccato prevede una pausa
ritmica che accorci drasticamente la durata della nota , pur non
modificandone il ruolo ritmico . A esempio, l’esecuzione di un
passaggio simile potrebbe essere quella a seguire:
Figura 120
Figura 121
Non-legato
Esiste una forma più tenue dello staccato , chiamata non-legato (fig.
122) , o portato. In questa forma l’esecuzione vista per lo staccato
sarebbe più simile alla seguente:
Figura 122
Disponendo questi segni di articolazione in modo da formare delle
variazioni, esattamente com’è successo per quanto riguarda le
variazioni ritmiche , si potrebbero ottenere dei risultati simili (fig.
123):
Figura 123
Figura 124
Figura 125
Di per sé, questa variazione ritmica ha il solo scopo di indicare
una distinzione per l’alternarsi di un singolo dito a quello che
dovrà suonare immediatamente dopo . Questo perché alla
variazione ritmica non è stata accompagnata l’indicazione sull’
articolazione . Ciò non è un errore, la scelta è stata semplicemente
affidata all’esecutore. Occorre ora comprendere che esistono molti
altri segni di articolazione oltre quelli mostrati, e che la conoscenza
di quelli trattati sarà sufficiente ai fini del presente capitolo.
Come si è detto, una legatura di espressione differisce fortemente
come segno da una legatura di valore, dal momento che riguarda
note disposte su altezze diverse. Si torni allora al pentagramma e si
provi a sperimentare con questo segno di articolazione , cercando di
capire di volta in volta quale funzione di studio possa avere
all’interno della variazione ritmica presa prima in esame.
Per usare una metafora concreta, i segni di articolazione
rappresentano per uno studente di musica ciò che rappresenta il
martello per un fabbro, la chiave inglese per un idraulico: sono gli
strumenti attraverso i quali studiare e affinare, da un punto di vista
tecnico, tutto ciò che si è trattato nel corso del presente manuale.
Eccone una prova pratica: si aggiunga una legatura di espressione
tra una cellula e l’altra della variazione presa prima in esempio. Dato
che questa prevede altezze diverse, si immagini per un momento
che la melodia originale sulla quale si è impiegata la variazione
ritmica sia la seguente (fig. 126):
Figura 126
Figura 128
Figura 129
Figura 130
Figura 131
Figura 132
Il respiro (fig. 132) tra due legature distinte è un tipo di variazione sui
segni di articolazione riguardante il polso: per eseguirlo, quest’ultimo
dovrà necessariamente sollevarsi, portando con sé la mano per
lasciar respirare la musica, esattamente come fa un cantante o un
flautista tra una frase e un’altra. Quanto agli altri elementi, una
legatura così lunga, dal levare , e note così ritmicamente piccole
concorrono a dilatare i tempi di scarico del peso in senso
orizzontale: la muscolatura viene coinvolta per una maggiore durata
perché non ha tempo di rilassarsi. Nell’altro caso, il periodo in cui il
dito indugia sul tasto abbassato consente di rilassare
completamente la muscolatura che si è coordinata per abbassarlo,
prima di passare al tasto successivo. Allo stesso tempo, questo
procedimento avvicina il significato della variazione il più possibile al
frammento di partenza (quello al quale si è applicata tale variazione),
costituito in questo caso da una battuta in due tempi suddivisi due
volte (secondo livello di suddivisione ) e raggruppati rispettivamente
in quattro semicrome ciascuno.
Figura 133
L’uso dell’ accento sul battere e del punto di staccato sul levare di
ogni tempo servono a studiare l’ articolazione del polso in senso
rotatorio. Si può dire che questo tipo di scrittura riguardi
l’avambraccio, in cui avviene la sovrapposizione di ulna e radio: il
polso in sé, infatti, non può ruotare su sé stesso senza l’ausilio
dell’avambraccio.
Accento e punto di staccato sono entrambi segni di articolazione
che, alternandosi, prevedono uno scambio di peso: nel primo,
questo viene impiegato per far scendere il tasto , quindi a partire
dall’alto; nel secondo, questo viene combinato a una leggera azione
muscolare al fine di creare una molla che attraverso l’ articolazione
del polso faccia sollevare le dita dal tasto , quindi a partire dal basso.
In questo caso il peso del polso e in parte dell’avambraccio cade
sulla prima nota per determinare l’ accento e si distribuisce
gradualmente, venendo recuperato leggermente dalla muscolatura,
verso il punto di staccato che prevede necessariamente un distacco
della mano a partire dalla tastiera . Uno staccato eseguito solo con
le dita sarebbe inefficace in questo caso, perché non preparerebbe
la mano a servirsi nuovamente del peso per accentare la nota : lo
staccato è proprio il punto di slancio, il respiro che prepara la caduta
, e influenza in quanto tale l’ampiezza e la durata della caduta stessa
[180] .
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
5.5 Revisione degli studi sulle cinque dita e del loro scopo
Ruolo attivo
Ruolo passivo
Cinque dita
Posizione fondamentale della mano
CAPITOLO VI
BIBLIOGRAFIA
JONÁS, Alberto. Master school of modern piano playing & virtuosity . New
York: C. Fischer, 1922-1929.
PISTON, Walter. Harmony . New York: W. W. Norton & Company Inc., 1941
(edizione e traduzione di Gilberto Bosco, Giovanni Gioanola, Gianfranco Vinay
in PISTON, Walter. Armonia. Torino: EDT, 2014).
[1] [Dei suoni si tratterà in seguito (par. 6 - Cap. II), una volta introdotto il
concetto di tonalità .]
[2] RAMEAU, Jean-Philippe. Traité de l'harmonie réduite à ses principes
secondo all’effetto acustico prodotto sul suono da tali segni . Per questo i
due termini saranno impiegati come sinonimi solo in precisi contesti.]
[7] [ Le righe e gli spazi del pentagramma si contano dal basso verso l’alto.]
[8]
[9] [Per rispettare gli scopi del presente manuale, cioè quelli di introdurre il
lettore ai rudimenti più importanti della lettura pianistica senza rendere la
trattazione confusa e dispersiva, non vengono trattate singolarmente tutte le
posizioni del pentagramma in cui potrebbe trovarsi il segno di chiave do :
queste diverse posizioni concorrono, insieme a quelle già mostrate, a
determinare il setticlavio , cioè l’insieme delle posizioni di chiave più diffuse
nell’ambito della nostra musica . Le si enuncia per completezza in una nota a
parte: tenore , contralto , mezzosoprano , soprano .]
[10] [ Attenzione, non speculari.]
[11] HOFMANN, Józef. Piano Playing with Piano Questions Answered .
Philadelphia: Theodore Presser Co., 1920.
[12] [S’introdurrà in seguito a questo tipo di associazione (par. 6 - Cap. II).]
[13] [Dato che le chiavi impiegate per la scrittura pianistica sono due e
indicano due punti differenti della tastiera , può nascere l’errata concezione
che la mano destra sia riservata alla chiave di violino mentre la mano sinistra
a quella di basso . Molto presto si capirà quanto questa concezione sia errata.]
[14] [In tal modo si potrà anche comprendere, qualora necessario, in quale
ambito la propria capacità di lettura sia carente.]
[15] [A questi due segni viene talvolta aggiunta erroneamente la corona ,
ritornello . Quelle singole indicano, come già detto, l’inizio e la fine di una
battuta . Quelle doppie possono indicare la fine di un discorso musicale
compiuto (par. 2 - Cap. VI). Quelle di ritornello , accompagnate prima o dopo
da due punti, indicano che una determinata sezione di brano deve ripetersi (se
non sono presenti ulteriori specificazioni, si sottintende che quella sezione
inclusa tra due stanghette di ripetizione deve essere ripetuta una volta). Al
termine della ripetizione, salvo indicazioni, si deve proseguire suonando
normalmente quello che è scritto oltre la stanghetta di ritornello .]
[18] [ A esempio le misure miste , composte generalmente dall'unione di una
intervallo generico.]
[34] [Se una trìade è costruita su un nome di nota privo di attributo ( diesis ,
bemolle ecc.), tale nome di nota rappresenterà il nome generico dell’ accordo
. Se invece è costruita su un nome di nota accompagnato da un attributo , tale
attributo dovrà essere incluso nel nome generico dell’ accordo (per esempio:
trìade di do diesis ). Della seconda parte del nome di un accordo , ossia del
suo nome specifico , si tratterà in seguito (par. 6 - Cap. II).]
[35] PISTON, Walter. Harmony . New York: W. W. Norton & Company Inc.,
1941 (edizione e traduzione di Gilberto Bosco, Giovanni Gioanola, Gianfranco
Vinay in PISTON, Walter. Armonia. Torino: EDT, 2014).PISTON, Walter.
Harmony . New York: W. W. Norton & Company Inc., 1941 (edizione e
traduzione di Gilberto Bosco, Giovanni Gioanola, Gianfranco Vinay in PISTON,
Walter. Armonia. Torino: EDT, 2014).
[36] DUBOIS, Théodore. Traité d'harmonie théorique et pratique . Paris: J. B.
C. Ballard, 1722.
[37] [E dei suoi eventuali attributi . Per comprendere più approfonditamente il
in termini di ottave, dai tre tipi vocali superiori (a patto che non sconfini
l’estensione assegnatagli).]
[41] LONGO, Alessandro. Czernyana . Milano: CURCI, 1951.
[42] [In teoria, come si è visto (fig. 72), l’ intervallo di seconda è sempre
nota (di tali componenti si è trattato nel paragrafo 6 del capitolo I)].
[46] [Gli elementi che compongono un intervallo melodico si succedono, a
transitorie valgono dal punto in cui vengono poste (compreso) fino alla fine
della battuta in cui sono contenute e non, come accadeva per le alterazioni
costanti , fino a indicazione contraria per tutta la durata della composizione .
Le alterazioni transitorie valgono per tutte le note poste sulla medesima ottava
( non su tutte le ottave). Nel caso in cui l'ultima nota della battuta venga
alterata e legata di valore alla prima nota della battuta seguente - tramite un
apposito segno che indica all’esecutore che il valore ritmico della prima nota
debba essere sommato a quello della seconda - l’effetto dell’ alterazione
transitoria vale ancora per quella nota e smette di valere subito dopo la
medesima. Si ricorda inoltre che talvolta un’ alterazione può essere indicata
ripetutamente nella partitura solo per facilitarne il riconoscimento: in generale
questo tipo di indicazione avviene tra parentesi e ha il solo scopo di facilitare il
riconoscimento di quell’ alterazione da parte dell’esecutore, che potrebbe
trovarsi a dover leggere frequenti cambi di tonalità con rischio di confusione.]
[58] [Nella nostra musica , l‘alternativa è che un accidente debba essere
nome di nota . A esempio: mettendo un diesis sul nome di nota do questo non
diventa un altro nome di nota ma resta do con attributo diesis .]
[60] [Questo termine è da legare strettamente al significato della parola che lo
grado della tonalità , ha senso conclusivo poiché la sensibile , che nelle scale
maggiori corrisponde al VII grado , ha carattere di forte tensione verso la
tonica sulla quale quasi sempre risolve questa propria tensione armonica .]
[71] LONGO, Achille. T rentadue lezioni pratiche sull'armonizzazione del canto
basarsi piuttosto sulle regole dell’ Armonia e del basso continuo , senza le
quali verranno a mancare gli strumenti interpretativi per comprendere il
significato delle scelte di un compositore.]
[80] [La sintesi consente infatti uno sguardo dall’alto. Se prima la trìade di
composizione (per la definizione di questi due termini, si veda: par. 2 - Cap. VI)
e rappresentano la “punteggiatura” del discorso musicale.]
[91] [Quindi tra tenore e soprano , poiché una scrittura che prevede uno
la nota al basso sono indicati con dei numeri romani (I, II, III, IV, V, VI o VII.]
[104] PISTON, Walter. Harmony . New York: W. W. Norton & Company Inc.,
1941 (edizione e traduzione di Gilberto Bosco, Giovanni Gioanola, Gianfranco
Vinay in PISTON, Walter. Armonia. Torino: EDT, 2014).
[105] [Si consulti il seguente manuale d’introduzione allo studio dell’ armonia
può essere in legno, come semplice prolungamento dalla leva dello smorzo .
A volte il materiale varia anche semplicemente da un modello all’altro della
stessa casa di costruzione, o in base all’anno di produzione di un determinato
pianoforte eccetera.]
[133] [Il rullino è destinato a ricadere per forza elastica e per forza di gravità,
dal momento che il lancio non avviene con un proiettile libero ma con una
componente attaccata a un fulcro e obbligata nel suo movimento.]
[134] [Su questo c’è un’importante considerazione da fare: lo spingitore rimane
rullino , il che di conseguenza si risolve in una caduta del martello dalla corda
, dal momento che il rullino è attaccato all’asta del martello .]
[137] [Le corde simpatiche sono quelle associate a suoni che si producono per
impiega per farlo, gli accordi di settima vengono classificati in sette specie .
Più precisamente, sono le relazioni intervallari che si vengono a formare
disponendo le terze a partire da un grado sempre diverso delle scale a
determinare questa classificazione. Di questo argomento si può trattare con un
Maestro di Armonia .]
[173] [ Per completezza, il termine armonico , come attributo, può riferirsi sia
all’ Armonia che all’ armonia , e non c’è in questo contesto differenza tra l’uno
o l’altro perché significa “ Rispondente alle leggi o concernente le leggi
dell'armonia ” Armonico. In: DEVOTO, Giacomo; OLI, Gian Carlo. Il dizionario
della lingua italiana . Firenze: Felice Le Monnier S.p.A., 2000 .
Questo poiché tutto quello che viene scritto per la nostra musica risponde,
salvo eccezioni, a queste leggi.]
[174] HANON, Charles-Louis. Le Pianiste virtuose . Boulogne sur Mer:
L'auteur, 1873-75 (traduzione di Theodore Baker in HANON, Charles-Louis.
The virtuoso pianist . New York: G. Schirmer, 1900).
[175] SÁNDOR, György. On piano playing: its art and application. New York:
Schirmer Books, 1981.
[176] [Lo staccato di dita è impiegato principalmente per passaggi veloci. Ne
esistono altri tipi, che si chiamano in base a quale sia la parte del corpo
maggiormente coinvolta nell’ articolazione : staccato di polso , staccato di
avambraccio eccetera.]
[177] [Dal momento che sul pianoforte, come si è visto, il suono decade