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Cascate di Ghiaccio – tra difficoltà ed evoluzione

di Daniele Mazzucato

L’evoluzione dell’alpinismo in tutte le sue forme e possibilità, l’avvento di materiali sempre più versatili e
leggeri, ma soprattutto uomini dotati di grandi capacità e senso di avventura verticale, hanno tracciato un
solco indelebile nella straordinaria attività di salire gelide montagne per linee ritenute quasi inaccessibili.
L’alpinismo su ghiaccio e quello invernale hanno radici molto profonde e datate, mentre l’ice climbing è
storia assai più recente, anzi moderna; molti dei suoi protagonisti infatti sono ancora viventi. Sull’argomento
esistono fiumi d’inchiostro che nel breve articolo è impossibile approfondire; il corso degli eventi e gli
intrecci che hanno legato i tre fattori in premessa (evoluzione tecnica, materiali e alpinisti) nelle varie aree
del mondo, sono facilmente reperibili in magnifici testi di grandi autori, ma con l’aiuto di pochi significativi
nomi e luoghi cercheremo di inquadrare quali e quante sono le difficoltà nell’affrontare la salita di una
cascata di ghiaccio e come sono evolute le cose negli anni.

Possiamo contestualizzare l’inizio di questa attività con la mutazione delle tecniche di salita delle pareti e
canaloni ghiacciati: da quando cioè si è passati dalla dotazione di una sola piccozza e il gradinamento, abilità
dei grandi intagliatori di scalini nel ghiaccio (esempi come Walter Bonatti e Cosimo Zoppelli sul Grand Pilier
d’Angle nella Brenva nel 1962, oppure René Desmaisons e Robert Flematti con 4000 scalini per salire lo
scivolo del Linceul sulle Grandes Jorasses nel 1968), all’uso di due piccozze e la tecnica di infissione di attrezzi
frontali. Questo avviene alla fine degli anni sessanta, oggi dunque questa disciplina compie “soltanto” mezzo
secolo. Tuttavia già nel 1957-58 gli scozzesi Tom Patey, Nicol Greame, Jimmi Marshall e Robin Smith fanno le
loro scorribande nei favolosi Gully del Ben Nevis in Scozia, usando i ramponi punte avanti (del ’57 la salita di
Zero Gully, prima ascensione di V grado scozzese, effettuata con incastri di piccozza). La storia assegna ad
Hamish McInnes il merito di assemblare l’attrezzo rivoluzionario nella tecnica nascente: il “terrordactyl”, una
corta piccozza munita di una becca a 45°, fusione di arnesi come martelli piccozza e pugnali da ghiaccio (1).
Siamo in Scozia, anno del Signore 1970.

In quell’anno John Cunningham (1927-1980) con


Bill March (1941-1990) sale Chancer sulla Hell’s
Lum Grag (Cairngorms – Highlands scozzesi) la
prima salita verticale totalmente compiuta con la
tecnica di punte avanti e nuovi attrezzi. Una linea
di 100 metri gradata V/6. L’avventura è appena
iniziata ed il livello tecnico è già altissimo.

Gli americani iniziano anch’essi ad interessarsi a


questa novità ed un certo Yvon Chouinard (1938)
viene a sperimentare le nuove metodologie sulle
incrostazioni ghiacciate del Ben Nevis e GlenCoe,
prendendo a “maestro” lo scozzese Cunningham.
Chouinard si sposta così in Canada e con Tom Frost (1936-2018) inizia a scalare vere e proprie cascate di
ghiaccio. Da lì nasce l’attività, fine a se stessa, di salire strutture gelate con affermazione definitiva della
tecnica di arrampicata appesi a 2 attrezzi piantati frontalmente.
Nel 1974 John Bragg e Rick Wilcox salgono Repentance sulla Cathedral Ledge (100 mt. III/5) Siamo nella
regione del New England, area al confine nordest degli USA con il Québec canadese.

(1)
NDA Il pugnale da ghiaccio ha diversi aneddoti correlati e mi ha sempre colpito l’ardire di chi lo ha utilizzato, viene in mente Messner nel 1969 sulla Nord delle Droites. Anche
Cecchinel nel 1971, ma sorprendentemente ho avuto sotto il naso per anni la foto di uno scalatore che attraversando il canalone della Brenva durante la salita della Mayor, tiene
questo aggeggio in mano, e non avevo colto fino al momento in cui mi sono documentato per questo articolo. La foto si trova ne “Le 100 più belle ascensioni al Monte Bianco” di
Gaston Rebuffat, il libro che ha mi ha aperto al grande mondo delle Occidentali e che ho sfogliato per anni restando ogni volta immutabilmente affascinato dal quelle salite.
Contemporaneamente Jeff Lowe e Mike Weis salgono la difficile, bella e fragile Bridalveil Fall in Colorado
(difficoltà WI5+) usando un prototipo di “snarg” (primo chiodo-vite da ghiaccio dopo i c.d. cavatappi).

Steve House, in free solo su Repentance

In Europa, sulle Alpi, nomi come Walter Cecchinel, Claude Jager, Patrick Gabarrou, Jean Marc Boivin,
realizzano salite straordinarie con questa tecnica, già tra il 1973 e 1975.

Dalle nostre parti, in Italia, solo alla fine degli anni settanta si sente parlare di questa disciplina, allora non si
considera ancora tale, ma la “normale” spinta a scalate sempre più estreme e difficili, verso l’impossibile. Le
origini sono tutte piemontesi, probabilmente infatti la prima vera cascata di ghiaccio ad essere salita in
Italia, con due piccozze e la tecnica ormai definita piolet traction, si trova sotto il Monviso in Val Varaita,
dove il 18 dicembre 1977 Romeo Isaia e Piero Marchisio ne sono interpreti (2). La via viene soprannominata
“Ciucchinel” storpiando il nome di Cecchinel (precedentemente citato, alpinista francese di origine italiana,
esponente di punta nell’alpinismo invernale dell’epoca) a cui erroneamente ancora oggi alcuni attribuiscono
la salita poiché i due cuneesi tengono nascosta la loro ascensione per ben un anno. La scalata di 180 metri è
classificata D+ (II/3).

Ma è il nome di un altro piemontese che ci porta a scoprire questo tipo di ascensioni in chiave ancor più
solenne: Giancarlo Grassi (1946-1991) che si appassiona proprio in quel periodo sulla scia del giovane e
fortissimo langarolo Gianni Comino (1952-1980), con il quale compie ascensioni epiche.

Questa la famosissima foto d’archivio che ritrae il torinese insieme al compagno Gianni e al leggendario
Renato Casarotto (1948-1986) davanti al rifugio Monzino sul Monte Bianco nell’estate del 1978. Il 18 luglio i
tre conquistano la parete nord dell’Aiguille Verte (4.121 metri) lungo la goulotte che porta il loro nome, su
1.000 metri di scalata gradata TD+ (IV/4+). Appena l’anno dopo la cordata Comino-Grassi realizza
Hypercouloir, sulla Brenva passando a sinistra della Poire, “esili ed evanescenti nastri di ghiaccio” con tratti
verticali e strapiombanti negli ultimi 300 metri di salita, classificata ED. Yann Borgnet (1990) afferma: “il
superlativo che indica la via perfetta”. Ancora oggi un capolavoro assoluto a detta di uno dei più giovani e
straordinari scalatori moderni.

(2)
per dovere di cronaca, una decina di anni prima – negli anni 60 un
certo Cesare Maestri si inventa la salita della cascata di Nardis in Val di
Genova in compagnia di Ezio Alimonta; uno spettacolare show davanti
alle telecamere della RAI che poco ha a che fare con una salita in piolet
traction, bensì piuttosto un’arrampicata artificiale su ghiaccio, nello
stile trasgressivo e provocatorio tipico dello scalatore trentino. La
cascata di Nardis è valutata oggi D (II/3).

Purtroppo Comino, a soli 28 anni, muore sulla Poire


tentando la prima ripetizione solitaria della via, risucchiato dal vuoto creato dal crollo del seracco appena
dopo il suo passaggio. Inconsapevolmente la sua mancanza “lascia” l’amico Giancarlo incontrastato
protagonista della scena; nelle proprie salite e costante, ma insofferente, ricerca di avventura ai limiti si
incarna in Grassi il concetto di effimero (sinonimo che spesso si usa per definire la tipica formazione
glaciale), cioè quello di portare l’arrampicata di una cascata in alta montagna, contesto nel quale diventa
specialista dei c.d. couloir fantasma, canaloni dove solo d'inverno la neve, l’acqua e il gelo creano una via di
salita che in altre condizioni non esisterebbe.

Nella fase di ulteriore evoluzione della scalata di strutture ghiacciate, Grassi, insieme a Francois Damilano e
Fulvio Conta (3) salgono l’impressionante serie di candele sovrapposte in Valnontey nella valle di Cogne,
aprendo nel 1989 la “loro” Repentance Super, certamente una delle prime e difficili cascate di grado 6
italiane. Già poco dopo la stessa viene salita in solitaria in sole 3 ore e mezza da Ezio Marlier.

Abbiamo visto sin qui brevemente le origini e i luoghi, ad abbiamo iniziato a familiarizzare con alcuni livelli
di difficoltà espressi in numeri, sigle e lettere. Proviamo ad approfondire e capirne un po’ di più. Come in
alpinismo, anche nell’arrampicata su ghiaccio e su cascata, che ne rappresentano una specializzazione,
esistono diverse modalità di analisi delle difficoltà di salita, alcune semplici (forse sin troppo), altre
complesse (anche di difficile lettura), venute alla luce nelle primordiali pratiche locali ma che poi hanno
subìto una metamorfosi sotto la spinta di evoluzione tecnica e innalzamento dell’asticella, diffondendosi a
livello globale. Qui affrontiamo i criteri principali di valutazione che sono in uso nelle nostre aree di scalata,
riportate nelle guide e relazioni di più frequente consultazione, accompagnati ad elementi di buon senso ed
esperienza fondamentali nel DNA del bravo alpinista, non solo su ghiaccio.

La Valutazione d’Insieme o Scala Francese è la prima scala ad essere usata nel tempo, mutuata dalle salite
di ghiaccio classico e dagli ambienti di alta montagna. Tiene conto complessivamente delle difficoltà
tecniche (progressione e chiodatura), difficoltà ambientali ove sono situate le cascate (goulotte o i couloir
di alta quota), lunghezza di ascensione, laboriosità dell’avvicinamento e discesa, pericoli oggettivi. Vantaggi:
semplice e immediata, riduce i rischi di errore. Svantaggi: generica, ampio spazio alle interpretazioni
personali, non distingue tra impegno globale e difficoltà tecnica dei passaggi:

L’aggiunta di + e – (oppure SUP e INF) dopo le lettere, aumenta la versatilità della scala (esempio D+
oppure TD inf). In alcuni paesi il grado ED è suddiviso su ED1 ED2, in altri ulteriormente tra ED3 e ED4,
riferito ad EX e ABO. Italia e Francia non riconoscono tale suddivisione, usando unicamente ED, EX con + e –
oltre ad ABO.

Esiste anche una versione Svizzera della scala francese, che sostituisce le lettere con proprie iniziali: F
diventa L, PD corrisponde a WS, AD=ZS, D=S, TD=SS, ED=AS. EX e ABO invariate.

Tuttavia negli ultimi anni, dove si sente sempre più parlare di ghiaccio moderno come disciplina a sé stante,
rispetto al ghiaccio classico, dove molte più persone si dedicano a questa singola attività, più specifica ed in
evoluzione costante, grazie anche a materiali ed attrezzature dedicate, la scala francese risulta di difficile
applicazione e può risultare talvolta obsoleta.

(3)
in una breve intervista nel febbraio 2019 a Cogne, Fulvio Conta mi descrive quei giorni: “Eravamo pionieri, entravamo nella valle di nascosto
alla ricerca di pura avventura, non sapevamo quasi nulla di ciò che accadeva in giro per il mondo. Avevamo sentito parlare degli americani e di
quella lontana Repentance, divenuta già un mito. Volevamo a tutti costi anche noi la “nostra” Repentance e per distinguerla da quella americana
l’abbiamo chiamata Super. Scalavamo per la gioia di scalare ma eravamo dei pazzi sconsiderati e Giancarlo era un trainatore irrefrenabile”.
La Valutazione d’Impegno Globale associato alla Cogne-Valeille (Valle d’Aosta) febbraio
Difficoltà Tecnica o Scala Canadese rende più 2016, Elio Bonfanti (compagno storico
di Giancarlo Grassi) sale sul 2’ tiro
chiara l’indagine della salita, anche in un della cascata “E’ Tutto Relativo”, 200
eventuale confronto tra itinerari diversi, tenendo metri. In scala francese TD; in scala
canadese III/4+
separati l’impegno globale ed il grado tecnico in
due valutazioni specifiche, per mezzo di 2 scale
parallele aperte verso l’alto. Attualmente è il
sistema maggiormente in uso nella presa in esame
delle cascate dell’arco alpino. Foto arch. D. Mazzucato

ESEMPIO: III/4

IMPEGNO GLOBALE – ENGAGEMENT DIFFICOLTA’ TECNICA – GRADO MASSIMO

I salita breve, facile accesso e discesa, soste 1 pendenza 50° - 60°, uso semplice di ramponi e
attrezzate piccozza

II salita di uno o due tiri, accesso semplice, 2 pendenza 60° - 70°, ghiaccio buono, piccoli tratti
arrampicata facile, eventuale calata in doppia, pochi pericoli ripidi, soste e protezioni di facile realizzazione
oggettivi
3 pendenza 70° - 80°, ghiaccio generalmente solido,
III salita a più tiri, con impegno di poche ore oppure buone protezioni e soste, tratti ripidi intervallati da zone
lungo avvicinamento, richiede buona conoscenza di appoggiate
ambiente invernale, possibili pericoli oggettivi
4 inclinazione 75° - 85°, con sezioni verticali fino a
IV salita a più tiri, lunga o scomoda, avvicinamento 10 metri, protezioni soddisfacenti
e/o rientro impegnativi, presenza di pericoli oggettivi
5 inclinazione 85° - 90°, tratti verticali fino a 25 metri
V salita lunga in alta montagna, avvicinamento e/o con salita decisamente difficile che richiede buona
rientro difficili che richiedono competenze ed impegno disinvoltura tecnica, protezioni discrete
notevole, pericoli oggettivi elevati
6 lunghezze sostenute, sezioni verticali fino a 30
VI salita lunga in ambiente severo, difficilmente metri, pochissime possibilità di riposo, ghiaccio fragile o mal
superabile in giornata (bivacco) e richiede elevata esperienza strutturato, protezioni difficili e di dubbia tenuta, richiede
alpinistica, pericoli oggettivi di alto livello (valanghe, elevato livello tecnico
seracchi), complessità per alta quota e rischio isolamento
7 tratti verticali e strapiombanti, ghiaccio esile o non
VII analogo al grado VI, ma con elementi di ampiezza e coeso alla parete, protezioni molto difficili o impossibili,
continuità superiori al precedente richiede ottima condizione psicofisica

Per determinare gli stadi intermedi nella scala di difficoltà tecnica si usa il +, esempio il grado tra 4 e 5 si
indica con 4+. Inoltre ai valori precedenti, da 1 a 7, per offrire ulteriori elementi e aumentare la chiarezza, si
possono aggiungere alcune lettere, per individuare il tipo di terreno in cui salire: M in presenza di tratti di
misto, X in presenza di strutture molto fragili, R in presenza di ghiaccio estremamente sottile. Esempio:
IV/M4 oppure III/X5 (del misto M e pericolosità X + R approfondiamo più avanti).

La difficoltà WI e AI o Scala Americana, introdotta appunto negli Stati Uniti, questa scala va a distinguere
fondamentalmente la tipologia di ghiaccio da salire:

WI = Water Ice per ghiaccio di fusione (cascate e goulotte)


AI = Alpine Ice per ghiaccio alpino (couloir, pareti nord, alte quote)
Esprime la difficoltà in base alla pendenza, condizione del ghiaccio e possibilità di protezione. La scala
Americana risulta certamente più precisa, ma allo stesso tempo molto complessa nella sua applicazione.

WI 1 pendenza 50°-60°, ghiaccio solido, buone protezioni, uso semplice dei ramponi, piccozza non necessaria

WI 2 pendenza 60°-70°, ghiaccio solido, buone protezioni, uso di una piccozza

WI 3 pendenza 60°-70° con singoli tratti verticali, ghiaccio solido, buone protezioni, due piccozze, buone possibilità di riposo

WI 4 75°-80° con diversi passaggi verticali, ghiaccio buono, protezioni media difficoltà, arrampicata continua con brevi riposi

WI 5 verticale, ghiaccio mediocre anche solo a tratti, protezioni e soste difficili, arrampicata continua con riposi difficili

WI 6 verticale e strapiombante, ghiaccio mediocre e sottile, protezioni e soste difficili, arrampicata sostenuta senza riposi

WI 7 verticale e strapiombante, ghiaccio pessimo, protezioni estremamente difficili o assenti, arrampicata molto sostenuta e
psicologicamente di alto impegno

Le regole del WI si applicano analogamente alle difficoltà AI (Alpine Ice). Un esempio: V/WI6/AI6/M6,
come assegna Jeff Lowe (1950-2018) alla famosa goulotte MacIntyre-Colton sulla Nord Grandes Jorasses
(Monte Bianco), data VI/6 da Francois Damilano. Il nome del travolgente Lowe (mancato poco più di un
anno fa) ci porta dritti dritti al dry tooling, del quale l’americano è stato certamente il padre con la
realizzazione di “Octopussy” a Vail in Colorado, nel 1994, (grado M8).

Valutazione delle difficoltà su terreno Misto o Dry Tooling. La salita su misto avviene in parte su ghiaccio e
in parte su roccia, ed utilizza una propria unità di misura, chiamata Mixed abbreviata con la lettera M, citata
prima. Ramponi e piccozze vengono utilizzati anche nelle sezioni di roccia, e rappresenta oggi una disciplina
a sé stante. Tale pratica è chiamata dry tooling (o dry-tooling o ancora drytooling, non formalizzatevi). Nella
tabella che segue, viene offerto il valore di paragone con la difficoltà su roccia dello stesso tratto.

M1 poca pendenza, uso mani occasionale per bilanciare. 4a/5.5


M2 poca pendenza, buone prese per mani e piedi. 4b/5.6
M3 media pendenza, uso delle mani, piccozze non ancora necessarie. 4c/5.7
M4 tratti verticali, uso semplice delle piccozze su roccia (incastro). 5a-5b/5.8
M5 tratti verticali continui, utilizzo costante delle piccozze (aggancio). 5c/5.9
M6 tratti verticali continui, passaggi difficili. 6a+/5.10
M7 sezioni verticali e strapiombanti, passaggi molto difficili. 6c/5.11
M8 presenza di tetti e passaggi decisamente impegnativi. 7b/5.12
M9 grande tetto o sezione molto tecnica su piccoli appigli. 7c/5.12+
M10 tetto fino a 10 metri o sezione molto lunga su piccoli appigli. 7c+/5.13
M11 tetto > 10 metri e grande impegno atletico. 8a/5.13+
M12 pari ad M11 con boulder e movimenti dinamici. 8b+/5.14 breve
M13 attuale difficoltà massima, tutta sezione a tetto con boulder costante, movimenti dinamici, estremamente tecnici ed
atletici. 8b+/5.14 sostenuto

Anche qui, il segno + serve ad indicare gradi intermedi (esempio M6+ sta tra M6 e M7).
Di recente osserviamo l’uso del segno meno (“-“) in alcune relazioni casalinghe perlopiù pubblicate su
internet. È da considerarsi un’imperfezione o una licenza dell’autore, in quanto per l’appunto lo stadio
intermedio tra i gradi in cascata è valorizzato unicamente dal segno + (vale in tutte le scale, ad eccezione di
quella francese).
Restando nel mondo del Dry Tooling, si definisce Total Dry la salita che viene effettuata in totale assenza di
ghiaccio (anche falesie o indoor), talvolta con uso di scarpette, alcune dotate di rostro. Le complessità
vengono identificate dalla lettera D con una progressione simile a quella illustrata per il Mixed. Attualmente
si è giunti al grado D15.

Falesia Tomorrow’s World a Malga


Ciapela in Marmolada (Dolomiti). Un
gigantesco tetto di 50 metri “A Line
Above the Sky (una linea sopra il cielo)”
la via liberata dal fuoriclasse inglese
Tom Ballard (1988-2019) nel febbraio
2016 con difficoltà fino a D15, emulata
nel novembre 2017 dalla fortissima
meranese 33enne Angelika Rainer,
prima donna al mondo a raggiungere
tale risultato che ha così eguagliato la
massima difficoltà maschile.

Ai lettori cui fosse sfuggito, val la pena


ricordare che Tom Ballard è ahimè
scomparso a febbraio scorso nell’ardita e
sfortunata vicenda del Nanga Parbat con
Daniele Nardi. Conoscendo il suo valore,
scappa discreto e malizioso un sorriso,
davanti ad alcuni commenti sulla stampa
dozzinale che allora lo definivano l’anello
debole della straordinaria cordata.

Abbiamo parlato di valutazioni sempre più precise e complete, non dimentichiamo comunque che stimare
difficoltà e rischi rimane sempre un fatto soggettivo. Ancor più sull’effimero, dove l’elemento ghiaccio e la
montagna vanno interpretati ogni volta sul momento e sul posto.
Qualità del ghiaccio, temperatura, presenza di neve, vento, pericoli oggettivi, preparazione personale ed
altri fattori, concorrono a rendere una salita più o meno difficile, con una tangibile variazione dell’impegno
necessario. Ricordiamo che un buon ice climber, non deve essere soltanto un atleta, ma un bravo alpinista e
conoscitore dell’ambiente alpino, qui in veste invernale, che ne aumenta la complessità. Capacità che si
acquisisce solamente con l’esperienza e la pratica sul campo. Su molte salite vale la pena dare più peso alla
valutazione d’insieme (scala francese) o alla variabile dell’engagement (scala canadese) che al grado
tecnico. Ecco un altro modo molto pratico per comprendere la situazione, con un giudizio decisamente
QUALITATIVO espresso da Valutazione Visiva e Tangibile data dal Colore e Conformazione del Ghiaccio.
GHIACCIO AZZURRO: apporto d’acqua continuo e sufficiente, temperatura costante e non eccessivamente bassa,
plasticità ideale, ottimo per l’infissione degli attrezzi
GHIACCIO NERASTRO/GRIGIO: temperatura eccessivamente bassa, notevole fragilità
GHIACCIO BIANCASTRO/MARCIO: lavorato dal sole, con alta presenza di acqua, scarsa coesione, ghiaccio pesante e
morbido, tenuta poco affidabile
GHIACCIO FRAGILE STRATIFICATO: presenza evidente di strati, discontinuità termiche e di portata, facilità di distacco a
lastroni o scaglie
GHIACCIO CROSTOSO: neve di riporto che ha subito trasformazione, inaffidabile per inconsistenza al di sotto della
crosta esterna
GHIACCIO SOTTILE: periodo di gelo troppo breve o scarsa alimentazione, assicurazione impossibile, richiede elevata
precisione e delicatezza nella battuta
GHIACCIO STALATTITICO e/o CAVOLFIORI: cascata verticale, stillicidio. Presenza di colonne e possibile rottura delle
stesse per la loro elevata tensione, richiede tecnica di aggancio.
Nella miriade di sistemi di analisi delle salite, taluni associano una nuova scala di Valutazione della
Pericolosità. Si tratta della gradazione DANGEROUS identificata con la lettera D davanti al numero (da non
confondere assolutamente con il grado Total Dry). Usata al posto di X e R della serie canadese e di altri
sistemi, nel valutare il rischio, tiene conto del ghiaccio (es. cavolfiori, candele), tipologia di strutture (free
standing, muro compatto), qualità protezioni, quantità protezioni possibile, qualità soste e impegno
psicomotorio.
D1 ghiaccio in quantità e qualità ottime, soste attrezzate. Basso impegno psicomotorio.
D2 ghiaccio stalattitico, quantità e qualità buone. Soste attrezzate o sicure. Buon impegno psicomotorio.
D3 ghiaccio stalattitico in buona quantità, ma cattiva qualità (alveolato, cavolfiori). Soste su ghiaccio buone, protezioni buone ma
distanziate (7-9 metri). Notevole impegno psicomotorio.
D4 ghiaccio fine o stalattitico di dubbia quantità e qualità; alveolato e/o cavolfiori sempre presenti. Chiodatura difficile e
distanziata, talvolta dubbia. Soste su ghiaccio discrete. Grande impegno psicomotorio.
D5 ghiaccio fine o stalattitico poco coeso, chiodatura dubbia e molto distanziata. Soste dubbie. Impegno elevato.

Verso la conclusione di questa presentazione dobbiamo ammettere che è un bel labirinto, ma esistono
ulteriori e molteplici metodi di valutazione delle difficoltà: anche il sistema britannico è molto usato:
composto da due sotto-classi, un grado di aggettivo e un grado tecnico. Il grado aggettivo descrive la
difficoltà complessiva della salita, tenendo conto di quanto sia faticoso il percorso, dell’esposizione e delle
protezioni a disposizione. I gradi aggettivi sono i seguenti: Moderate (M), Very Difficult (VD), Hard Very
Difficult (HVD), Mild Severe (MS), Severe (S), Hard Severe (HS), Mild Very Severe (MVS), Very Severe (VS),
Hard Very Severe (HVS) and Extremely Severe. Il grado Extremely Severe è poi suddiviso in 10 ulteriori
sotto-gradi da E1 a E10. La classificazione tecnica numerica descrive il passaggio più duro (crux) che si
incontra nella salita (per gli inglesi le valutazioni sono così espresse anche su roccia).
Pensiamo poi al New England (confine orientale USA-Canada) che utilizza la scala NEI1, NEI2, NEI3, 4, 5, ecc.
o alla scala Scozzese che impiega criteri simili (ma non uguali) a quella canadese per classificare le salite
invernali sui Gullys del Ben Nevis (4). L’Alaska (da AG1 a AG6) oppure alla scala Svizzera Bernese che con i
suoi livelli da G1 a G20 va ad identificare ed ordinare specifiche linee e percorsi di salita, ad esempio G12 la
Nord del Cervino (ED1), G13 lo sperone Walker alle Grandes Jorasses (ED, VI/A1), G14 per la Eiger
Nordwand lungo la via del 1938 (ED, V-), G20 affrontando la Diretta Harlin-Haston del 1966 (ED+) alla stessa
Nord fino ai 3.967 metri della più famosa cima dell’Oberland Bernese. Chissà quale rating hanno attribuito
ora i bernesi alla direttissima aperta in solitaria dal mitico Jeff Lowe “Metanoia” del 1991, ripetuta per la
prima volta da Thomas Huber e compagni il 29 e 30 dicembre 2016, e da loro gradata con un severo ed
avventuroso VII/5.10/A4/M6 sempre sui 1.800 metri della Nordwand dell’Eiger. Il noto alpinista svizzero dei
record Ueli Steck (1977-2017) in un’intervista la definì “a mistic climbing”. Siamo dinanzi al G21??
La crescita dei limiti delle scale e la riduzione degli spazi tra grado e grado negli ultimi 10 anni è figlio della
preparazione atletica e spinta avventurosa degli uomini, ma in questo gioco un ruolo chiave lo esercita
certamente il materiale utilizzato, come nuove piccozze ramponi e scarponi, e la tecnica (non ci si appende
più a cordini collegati alle piccozze e si sono abbandonate le dragonne). Un merito speciale tuttavia va ai
metodi di protezione; pensiamo solamente ai cavicchi o “cavatappi” degli anni ’70 che tenevano si e no il
peso statico di una persona, agli snarg degli anni ’80, per passare alle viti da ghiaccio con fresa degli anni
’90, e giungere ai giorni nostri con perfette micromacchine belliche di lega ultraleggera in grado di
perforare il ghiaccio in pochi secondi risparmiando tempo ed energie. Per non parlare di corde e freni!!
Il vecchio Harold Andrew Raeburn (1865-1926), scozzese di Edimburgo, progenitore delle salite estreme su
ghiaccio, si rivolterebbe nella tomba a sentir parlar di gradi, numeri, sigle, record, micromacchine, livelli di
difficoltà strettamente codificata, a volte ricondotti a mero confronto tra scalatori rivali in una
differenziazione non più oggettiva, ma delicatamente e sottilmente personale, dove lo spazio di 1 grado di
un tempo viene frammentato oggi in decimali e sotto-decimali, da far perdere la testa.

A conclusione, non possiamo certamente affermare che la presentazione qui riportata sia esaustiva e
soprattutto che abbia raggiunto la sua massima espressione di difficoltà. Esisterà sempre qualcuno che
riuscirà ad oltrepassare il limite dell’impossibile ed innalzare ulteriormente il livello tecnico. Il messaggio
fondamentale è che la montagna offre dimensioni di avventura ancora oggi inesplorate, riservate
certamente a coloro che possiedono mezzi e capacità superiori alla media, ma che regala a tutti noi – ad
ogni livello di preparazione tecnica – un mondo affascinante e straordinario, mutevole e irripetibile, e per
questo ogni volta unico e prezioso.
La raccomandazione finale: per propria natura, l’alpinismo, in particolare quello su ghiaccio e cascata,
presenta componenti e margini di rischio che non possono essere totalmente eliminati e dei quali bisogna
essere perfettamente consapevoli ed impegnarsi a conoscere profondamente, in modo da affrontare le
salite poi con diligente ed accurato bagaglio fisico, tecnico e mentale. Buone salite a tutti.

(4)
Nel 2015, durante una piccola spedizione sulle incrostazioni ghiacciate del Ben Nevis insieme a Giorgio Gregorio di Trieste (uno dei protagonisti delle scalate
italiane negli anni ‘80, nell’area nord orientale) ed altri amici, ho avuto a che fare con Alan Kimber e Robin Clothier, custodi del Ben Nevis; li ho visti scalare e
muoversi in quell’ambiente. Il loro fare e parlare, austero e solenne, dal sapore antico, trasuda tradizione e rispetto per quelle pareti che mai vedono luce
diretta a tale latitudine. Si capisce perché il grado di difficoltà ambientale sia sempre così severo: il posto cupo e selvaggio, la distanza dal fondovalle, il vento e
le condizioni atmosferiche, le cortissime giornate invernali, impongono sempre grande attenzione e destrezza. Inoltre l’uso di protezioni aleatorie, come i nuts,
al posto di viti da ghiaccio non sempre utilizzabili e soste tutte da attrezzare, spesso su sfuggenti massi coperti di una spessa brina, danno un carattere diverso
alle salite. Ricordo inoltre che qui non parliamo solo di cascate, ma spesso e sovente di roccia ricoperta da cristalli di ghiaccio nella quale per aggrapparsi
occorrono piccozze affilate e sangue freddo. Da qui la fama del “grado scozzese” che rivendica l’unicità assoluta del luogo e modo di salire.

Bibliografia
www.alaskaiceclimbing.com – ice and mixed climbing ratings
Wikipedia – il grado di difficoltà Renzo Quagliotto (ed. Monti) – arrampicare in piolet traction
Cuneo Climbing – il portale dell’arrampicata cuneese Fulvio Scotto – Ice Story (all’interno del libro “Cascate” di Gianfranco
Ghibaudo ed. Blu)
Planetmountain
Francesco Cappellari (ed. Idea Montagna) – ghiaccio verticale vol. 1
Manuale CAI – arrampicata su ghiaccio verticale e2
www.iceclimbingcolorado.com – ice climbing ratings Mike Pescod (ed. Cicerone) – Winter Climbs in Ben Nevis and
www.guidedolomiti.com/gradi-di-difficolta-in-arrampicata GlenCoe

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