PREFAZIONE
Da destra: Ugo De Amicis, Guido Rey, Edmondo De Amicis ed Edoardo Rubino al Giomein
5
CAPITOLO PRIMO.
<<Sono solito segnare sul mio taccuino, a mano a mano che procedo, brevi
note sulla via seguita e sulle impressioni provate. E’ utile fissare subito sulla
carta la sensazione fugace soprattutto nei luoghi difficili; talvolta ho dovuto
6
<<Nel rileggere ora gli appunti che lungo la via segnai sul taccuino, mi si
ridesta la visione di luoghi e il ricordo di fatti che avevo dimenticati; quasi
quelle linee mi sembrano scritte da un altro. Eppure in quelle note affrettate,
spoglie di artificio, si rintraccia meglio che in una pagina di bella prosa tutta
la psicologia di una salita. Talora una frase raccolta testualmente, una
parola, un semplice punto di esclamazione valgono su quei foglietti a
rispecchiare un moto dell’animo, ad evocare il pericolo di un momento. Il
carattere stesso dello scritto vi è eloquente: da prima regolare, netto, bene
allineato, poi a sbalzi, convulso; certe lettere che escon fuori dalle righe
dicono all’evidenza la posizione incomoda dello scrittore. Quando lo scritto
diviene indecifrabile è indizio che la mano tremava; quando cessa, vuol dire
che la lotta si era fatta disperata>>. (1)
Le prime escursioni avvengono sotto l’ala protettrice della sezione torinese del
Club Alpino e dei suoi fondatori. Il capitolo quarto del Monte Cervino inizia
con la commossa rievocazione di una limpida giornata sui monti del biellese,
in compagnia del celebre zio e dei cugini:
7
<<La prima volta che vidi il Cervino avevo tredici anni, bella età in cui ogni
cosa ci è nuova.
Ero alla mia prima salita alpina. Dalla vetta modesta d’un monte di duemila
metri, nell’alba limpida d’un giorno d’estate, un uomo grande additava a me
ed a’ miei compagni una grande piramide azzurra, lontana. Nessuna nube
offuscava l’orizzonte della vista e dell’animo nostro.
“Quello là è il Cervino,” ci diceva, e un brivido di ammirazione invadeva le
piccole menti alla vista della forma strana ed aguzza che si estolleva
nell’estesa infinita dell’altre montagne.
L’uomo grande era Quintino Sella, ed era degno di additare quel monte e di
suggerirne il fascino.
Attorno a lui stavamo raccolti una diecina di ragazzi, attoniti, intenti allo
spettacolo nuovo del quale non potevamo ancora comprendere tutta la
bellezza, come non comprendevamo allora tutta l’altezza d’animo di quegli
che ce la spiegava, che voleva che ammirassimo, che imparassimo.
Più tardi appresi a conoscere l’altezza e la nobiltà di quel monte e di
quell’uomo, ed essi sono rimasti nella mia mente collegati l’uno all’altro,
ugualmente grandi, perché le forme materiali dell’uno mi sembrano
simbolizzare le virtù morali dell’altro; e ad entrambi sono grato pel gran bene
che mi hanno fatto (…)
Forse in quel momento, di fronte al lontano Cervino, in quelle prime ore felici
della vita in cui si formano i propositi ingenui che guideranno il nostro
avvenire, nasceva in me il primo germe dell’ideale che doveva occupare tanta
e così onesta parte dell’animo mio, e “che, come vedi, ancor non
m’abbandona” (…)
Egli (Quintino Sella) avrebbe voluto che tutti gli italiani fossero alpinisti, e
intanto faceva alpinisti i suoi figli e i suoi nipoti>>. (2)
8
<<Io credetti e credo la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come
un’arte bella come una fede>>. (3)
<<Ricordo che un giorno, alle falde del Cervino, una signora bella, colta e
gentile, parlando meco del libro di un alpinista che tratta di questo monte e
che essa aveva trovato a caso nell’albergo e letto nell’ora di noia, mi dichiarò
che quel libro non l’avrebbe mai dato a leggere ai suoi figli; era un’opera
pericolosa che li avrebbe indotti nelle tentazioni del monte.
Per l’alpinismo nostro auguro che non tutte le madri italiane la pensino come
quella signora gentile, ma in quel giorno sentii che più grande lode non
poteva essere data all’oscuro autore, e mi proposi di fare un libro anche
peggiore di quello, augurando in cuor mio che i giovinetti, adescati da un
titolo audace, lo leggessero di nascosto, con maggior desiderio perché libro
proibito>>. (4)
<<Vorrei che tutti i giovani colti e validi d’Italia ascendessero almeno una
volta il Cervino, perché ad essi fossero rivelate recondite energie dell’animo
loro, e, nell’orgoglio nobilissimo dello sforzo fatto, si sentissero più puri, più
capaci di alti propositi, più entusiasti per la loro bellissima terra>>. (5)
79
NOTE