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Dalle equazioni di Maxwell al Modello Standard

delle particelle elementari

Andrea Beraudo

Istituto Nazionale di Fisica Nucleare - Sezione di Torino

Liceo Scientifico Albert Einstein


21 Febbraio 2018

1/1
Il filo conduttore
Dopo l’opera di Newton, che con la sua teoria della gravitazione ha
portato a dare un’unica descrizione della caduta dei gravi e del moto dei
corpi celesti, quella rappresentata dalle equazioni di Maxwell è stata la
secondo grande opera di unificazione delle leggi della fisica. Ricerca di
unificazione che non si è fermata con l’elettromagnetismo, ma è stata
sempre la meta cui si è cercato di tendere man mano che nuovi fenomeni
da spiegare si presentavano. Seguiremo la seguente traccia
Le equazioni di Maxwell: il loro significato fisico e il contributo
originale di Maxwell;
Le conseguenze delle equazioni di Maxwell: unificazione di elettricità
e magnetismo, onde elettromagnetiche, teoria ondulatoria della luce;
Fenomeni che mettono in crisi la teoria ondulatoria: lo scattering
Compton (oltre a effetto fotoelettrico e radiazione termica dei corpi)
−→ la luce è fatta di particelle (fotoni)!
L’entrata in gioco nuove forze, l’interazione debole: fenomeni che
governa, sue caratteristiche peculiari e descrizione di Fermi.
La soperta dei “fotoni” pesanti: l’unificazione elettrodebole, il
Modello Standard delle particelle elementari e il bosone di Higgs 2/1
Il teorema di Gauss per il campo elettrico

La prima delle equazioni di Maxwell è il teorema di Gauss per il campo


elettrico. Esso stabilisce che il flusso del campo elettrico attraverso una
superficie chiusa ∂Ω è pari alla carica elettrica Q contenuta nel volume Ω
racchiuso dalla superficie. In formule:
P
k qk Q
X
ΦE |∂Ω ≡ ~
E ·n̂ dSi = =
0 0 Ω
i

Se, come in figura, Q = 0 allora ΦE |∂Ω = 0: tante linee di forza escono,


tante entrano. Tuttavia, se considerassi solo un volumetto attorno alla
carica +/-, allora avrei un flusso netto uscente/entrante. 3/1
Alcuni commenti

Il teorema di Gauss non è altro che una diversa formulazione della


legge di Coulomb, che descrive il campo elettrico generato da una
carica puntiforme
~ (~r ) = 1 q r̂
E
4π0 r 2
da cui le linee di campo divergono, originando un flusso non nullo
La presenza nell’equazione di un termine di sorgente (Q/0 ) è legato
alla possibilità di isolare cariche di un dato segno. In ultima analisi
questo dipende dall’esistenza in natura di particelle microscopiche (o
addirittura elementari) dotate di carica elettrica: elettroni (−|e|) e
protoni (|e|) con i loro quark costituenti ((2/3)|e| e −(1/3)|e|).
4/1
Il teorema di Gauss per il campo magnetico

La seconda equazione di Maxwell è il teorema di Gauss per il campo


magnetico. Esso stabilisce che il flusso del campo magnetico attraverso
una qualunque superficie chiusa ∂Ω è sempre nullo. In formule:
X
ΦB |∂Ω ≡ ~ ·n̂ dSi = 0.
B
i
Non esistono in natura cariche magnetiche sorgenti del campo da cui le
sue linee di forza divergono, non è possibile isolare i poli di una calamita
(se la spezzo ottengo due calamite): le linee di forza di B ~ sono chiuse e il
suo flusso attraverso una superficie chiusa non può che essere zero
5/1
La legge di Ampère

Non esistendo in natura cariche magnetiche, cosa può generare un campo


magnetico? La legge di Ampère (valida in condizioni stazionarie, cioè
indipendenti dal tempo) stabilisce che le sorgenti del campo magnetico
sono le correnti elettriche, cioè il moto di cariche elettriche. È un primo
passo verso una descrizione coerente di fenomeni elettrici e magnetici.
X X
CB |∂Σ ≡ ~ ·d~li = µ0
B ~j ·n̂ dSi = µ0 I |
Σ
i i

Essa dice che la circuitazione del campo magnetico B ~ lungo una linea
chiusa ∂Σ delimitante la superficie Σ è pari alla somma delle correnti
(con segno dipendente dalla direzione!) che attraversano la superficie Σ 6/1
La legge di Ampère

Non esistendo in natura cariche magnetiche, cosa può generare un campo


magnetico? La legge di Ampère (valida in condizioni stazionarie, cioè
indipendenti dal tempo) stabilisce che le sorgenti del campo magnetico
sono le correnti elettriche, cioè il moto di cariche elettriche. È un primo
passo verso una descrizione coerente di fenomeni elettrici e magnetici.
X X
CB |∂Σ ≡ ~ ·d~li = µ0
B ~j ·n̂ dSi = µ0 I |
Σ
i i

Essa dice che la circuitazione del campo magnetico B ~ lungo una linea
chiusa ∂Σ delimitante la superficie Σ è pari alla somma delle correnti
(con segno dipendente dalla direzione!) che attraversano la superficie Σ 6/1
La legge di Faraday

Cosa succede se consideriamo fenomeni non stazionari? Un campo


magnetico con un flusso attraverso la superficie Σ variabile nel tempo dà
origine a un campo elettrico indotto con una circuitazione non nulla
lungo la linea ∂Σ delimitante la superficie (legge di Faraday). In formule:
!
X
~ ~ d X~ dΦB
E ≡ CE |∂Σ ≡ E ·d li = − B ·n̂ dSi ≡ −
dt dt Σ
i i

Se a delimitare la superficie è un conduttore (e.g. una spira di rame), tale


campo elettrico darà luogo a una tensione (forza elettromotrice indotta)
ai suoi capi in grado di spostare le cariche: su questo principio si basano
gli alternatori delle centrali elettriche e delle biciclette. 7/1
Alcuni motivi di insoddisfazione
Le quattro equazioni finora esaminate presentano alcuni punti di
insoddisazione “estetica” o di debolezza

8/1
Alcuni motivi di insoddisfazione
Le quattro equazioni finora esaminate presentano alcuni punti di
insoddisazione “estetica” o di debolezza
Le leggi di Faraday e di Ampère, pur
riguardando entrambe la circuitazione di
un campo (elettrico e magnetico,
rispettivamente) presentano una
struttura molto diversa:

dΦB
CE |∂Σ = −
dt Σ
CB |∂Σ = µ0 I |Σ

Nella legge di Faraday infatti una


variazione del (flusso del) campo
magnetico dà origine a un campo
elettrico indotto con circuitazione non
nulla. Al contrario nella legge di Ampère
non compare nessun termine legato alla
variazione del campo elettrico.
8/1
Alcuni motivi di insoddisfazione
Le quattro equazioni finora esaminate presentano alcuni punti di
insoddisazione “estetica” o di debolezza
Le leggi di Faraday e di Ampère, pur
riguardando entrambe la circuitazione di
un campo (elettrico e magnetico,
rispettivamente) presentano una
struttura molto diversa:

dΦB
CE |∂Σ = −
dt Σ
CB |∂Σ = µ0 I |Σ

Nella legge di Faraday infatti una Tra le armature di un condensatore che


variazione del (flusso del) campo si sta caricando/scaricando si ha un
magnetico dà origine a un campo ~ con circuitazione
campo magnetico B
elettrico indotto con circuitazione non
non nulla lungo il cammino ∂Σ, anche se
nulla. Al contrario nella legge di Ampère
nessuna corrente elettrica attraversa Σ:
non compare nessun termine legato alla
CB |∂Σ 6= 0, ma I |Σ = 0!
variazione del campo elettrico.
La legge di Ampère risulta violata
8/1
L’intuizione di Maxwell

Maxwell corregge la legge di Ampère, aggiungendovi


un termine dipendente dalla variazione nel tempo del
~ . L’equazione diventa analoga alla
campo elettrico E
legge di Faraday, scambiando E~ ↔ B.
~

!
~

~j + 0 ∂ E dΦE
X X
CB |∂Σ ≡ ~ ·d~li = µ0
B ·n̂ dSi = µ0 I |Σ + µ0 0
∂t dt Σ
i i

Alla corrente elettrica I (data dal moto di particelle cariche) viene


aggiunto un termine un termine detto corrente di spostamento: tra le
armature del condensatore non passa nessuna particella carica, ma si ha
ugualmente un campo magnetico B ~ 6= 0 dovuto alla variazione del campo
elettrico durante la fase di carica/scarica.

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L’intuizione di Maxwell

Maxwell corregge la legge di Ampère, aggiungendovi


un termine dipendente dalla variazione nel tempo del
~ . L’equazione diventa analoga alla
campo elettrico E
legge di Faraday, scambiando E~ ↔ B.
~

!
~

~j + 0 ∂ E dΦE
X X
CB |∂Σ ≡ ~ ·d~li = µ0
B ·n̂ dSi = µ0 I |Σ + µ0 0
∂t dt Σ
i i

Alla corrente elettrica I (data dal moto di particelle cariche) viene


aggiunto un termine un termine detto corrente di spostamento: tra le
armature del condensatore non passa nessuna particella carica, ma si ha
ugualmente un campo magnetico B ~ 6= 0 dovuto alla variazione del campo
elettrico durante la fase di carica/scarica. Perché questo termine? Perché
possiamo immaginare la carica/scarica del condensatore come dovuta al
passaggio di cariche da un’armatura all’altra. Tale corrente immaginaria
risulta proprio uguale a 0 (dΦE /dt)
9/1
Le equazioni di Maxwell

Il contributo di Maxwell sembra molto piccolo, ma consente di rendere


tra loro consistenti le equazioni che descrivono i fenomeni elettrici e
magnetici, dandone una descrizione unificata riassunta dal sistema

Q
ΦE |∂Ω =
0 Ω
ΦB |∂Ω = 0

dΦB
CE |∂Σ = −
dt Σ

dΦE
CB |∂Σ = µ0 I |Σ + µ0 0
dt Σ

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Le equazioni di Maxwell
Il contributo di Maxwell sembra molto piccolo, ma consente di rendere
tra loro consistenti le equazioni che descrivono i fenomeni elettrici e
magnetici, dandone una descrizione unificata riassunta dal sistema

Q
ΦE |∂Ω =
0 Ω
ΦB |∂Ω = 0

dΦB
CE |∂Σ + =0
dt Σ

dΦE
CB |∂Σ − µ0 0 = µ0 I |Σ
dt Σ

Cariche e correnti elettriche agiscono come sorgenti


Prima-seconda e terza-quarta equazione sono tra loro molto simili
L’accoppiamento tra campi elettrici e magnetici e la loro evoluzione
temporale è descritto dalla terza e quarta equazione: anche in
assenza di sorgenti esterne campi magnetici variabili nel tempo sono
in grado di generare campi elettrici e viceversa. 11 / 1
Equazioni di Maxwell e onde elettromagnetiche
Scritto un sistema di equazioni occorre trovare le sue soluzioni. Le
equazioni di Maxwell ammettono soluzioni non banali anche in assenza di
sorgenti, ovvero quando Q = I = 0. Vedremo ora quali sono queste
soluzioni.

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Equazioni di Maxwell e onde elettromagnetiche
Scritto un sistema di equazioni occorre trovare le sue soluzioni. Le
equazioni di Maxwell ammettono soluzioni non banali anche in assenza di
sorgenti, ovvero quando Q = I = 0. Vedremo ora quali sono queste
soluzioni. Combinando terza e quarta equazione di ottiene la seguente
~ (t, ~x ):
equazione per il campo elettrico E
∂2 ∂2 ∂2 ∂2 ~
 
0 µ0 2 − 2 − 2 − 2 E (t, ~x ) = 0
∂t ∂x ∂y ∂z
Mostreremo ora che questa è l’equazione che descrive la propagazione di
un’onda e saremo anche in grado di legare la sua velocità di propagazione
alle proprietà fisiche del mezzo in cui avviene, in questo caso il vuoto,
caratterizzato da 0 e µ0 . Vedremo inoltre quali sono le proprietà di
queste onde elettromagnetiche che discendono dalle equazioni di Maxwell.
Per semplificare la derivazione assumeremo che le quantità dipendano
solo dalla coordinata z. In questo caso l’equazione da risolvere diventa
∂2 ∂2 ~
 
0 µ0 2 − 2 E (t, z) = 0
∂t ∂z

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Equazioni di Maxwell e onde elettromagnetiche
Tutti abbiamo presente l’immagine delle onde del mare, ma cos’è
esattamente un’onda? Dal punto di vista matematico un’onda è una
funzione del tempo e dello spazio f (t, z), che non dipende però da t e z
separatamente, ma dalla combinazione (z −v t). Verifichiamo che un
~ (z −v t) effettivamente soddisfa l’equazione
campo elettrico E
∂2
 
∂ ~ (z −v t ) = 0
0 µ0 2 − 2 E
∂t ∂z | {z }
≡Z
Per farlo basta applicare la regola di Leibniz:
~
∂E ~ ∂Z
∂E ~
∂E ~
∂E ~ ∂Z
∂E ~
∂E
= = (−v ), = =
∂t ∂Z ∂t ∂Z ∂z ∂Z ∂z ∂Z
Si ottiene:
1
0 µ0 v 2 − 1 = 0 −→ v=√
0 µ0
Le equazioni di Maxwell nel vuoto, in assenza di sorgenti, descrivono
pertanto la propagazione di onde (onde elettromagnetiche) che viaggiano

alla velocità v = 1/ 0 µ0 dipendente dalla costante dielettrica e dalla
permeabilità magnetica del vuoto.
13 / 1
Proprietà delle onde elettromagnetiche

Dalle equazioni di Maxwell segue inoltre che


~ è ortogonale a E
B ~ e inoltre |B|
~ = |E
~ |/v
Le onde e.m. sono trasverse (6= onde sonore): E~ eB
~ oscillano
perpendicolarmente alla direzione di propagazione
Abbiamo quindi due polarizzazioni indipendenti, date dal piano di
oscillazione del campo elettrico (ω ≡ 2πν, k ≡ 2π/λ e v = ω/k)

~ = E0 sin(kz − ωt)ûx
E ~ = E0 sin(kz − ωt)ûy
E
~ = B0 sin(kz − ωt)ûy
B ~ = −B0 sin(kz − ωt)ûx
B
14 / 1
La velocità delle onde elettromagnetiche...
Sostituendo i valori fisici della costante dielettrica e della permeabilità
magnetica del vuoto 0 = 8.854 · 10−12 F/m e µ0 = 4π · 10−7 H/m si trova
1
v=√ ≈ 3 · 108 m/c.
0 µ0

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La velocità delle onde elettromagnetiche...
Sostituendo i valori fisici della costante dielettrica e della permeabilità
magnetica del vuoto 0 = 8.854 · 10−12 F/m e µ0 = 4π · 10−7 H/m si trova
1
v=√ ≈ 3 · 108 m/c.
0 µ0
Le onde elettromagnetiche si propagano alla velocità della luce! Viene
pertanto naturale intepretare la luce come un’onda elettromagnetica. Le
equazioni di Maxwell segnano il trionfo della teoria ondulatoria della luce.

Per un’onda e.m. in un mezzo con costante dielettrica relativa r :

1 c c interpretazione microscopica dell’indice di


v=√ =√ ≡ . rifrazione del mezzo!
r 0 µ0 r n 15 / 1
...e la teoria ondulatoria della luce

Vari fenomenomeni supportavano una descrizione ondulatoria della luce


interferenza

16 / 1
...e la teoria ondulatoria della luce

Vari fenomenomeni supportavano una descrizione ondulatoria della luce


interferenza
diffrazione

16 / 1
...e la teoria ondulatoria della luce

Vari fenomenomeni supportavano una descrizione ondulatoria della luce


interferenza
diffrazione
polarizzazione
tuttavia quello che mancava era una teoria fondamentale alla base.
Questo è stato quanto fatto da Maxwell con le sue equazioni, un po’
come la teoria gravitazionale di Newton ha giustificato le leggi empiriche
di Keplero.
16 / 1
...e la teoria ondulatoria della luce

Vari fenomenomeni supportavano una descrizione ondulatoria della luce


interferenza
diffrazione
polarizzazione
tuttavia quello che mancava era una teoria fondamentale alla base.
Questo è stato quanto fatto da Maxwell con le sue equazioni, un po’
come la teoria gravitazionale di Newton ha giustificato le leggi empiriche
di Keplero.
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La conservazione della carica elettrica
Combinando la prima e la quarta equazione di Maxwell si ottiene la
seguente equazione di continuità
∂ ∂ x ∂ y ∂ z
ρ+ j + j + j = 0,
∂t ∂x ∂y ∂z
che lega la densità di carica ρ (cioè la carica per unità di volume) e la
densità di corrente ~j (cioè la carica che attraversa per unità di tempo
l’unità di superficie). Il suo risultato macroscopico, considerando un
volume Ω delimitato dalla superficie ∂Ω, è il seguente

∆Q Carica entrante − Carica uscente
= .
∆t Ω Unità di tempo ∂Ω

La carica elettrica è conservata! La sua variazione ∆Q all’interno del


volume Ω può solo essere dovuta alla differenza tra un flusso entrante e
un flusso uscente attraverso la superficie ∂Ω e non alla creazione dal
nulla di una carica netta. La conservazione della carica elettrica è una
delle leggi fondamentali della natura: la carica totale dell’universo (che si
pensa essere zero) è la stessa oggi che subito dopo il Big Bang.
17 / 1
La quantizzazione della carica elettrica
La carica elettrica può assumere qualsiasi valore oppure esistono in natura
delle “cariche elementari”? E se sı̀, qual è il loro valore? Questa è la
domanda cui cercò di rispondere Millikan con il suo esperimento nel 1913

Sia a causa dello strofinio al momento dell’emissione, sia a causa della


ionizzazione dell’aria indotta dai raggi X, sulle goccioline d’olio di
andavano a depositare delle cariche elettriche. Era sempre possibile
regolare la tensione ∆V tra le armature del condensatore in modo da
mantenere in equilibio la gocciolina con carica qn
∆V mgd
qn E = mg ↔ qn = mg −→ qn =
d ∆V
−19
Si trova sempre qn = n|e|, con |e| = 1.602 · 10 C 18 / 1
La quantizzazione della carica elettrica
La carica elettrica può assumere qualsiasi valore oppure esistono in natura
delle “cariche elementari”? E se sı̀, qual è il loro valore? Questa è la
domanda cui cercò di rispondere Millikan con il suo esperimento nel 1913

Sia a causa dello strofinio al momento dell’emissione, sia a causa della


ionizzazione dell’aria indotta dai raggi X, sulle goccioline d’olio di
andavano a depositare delle cariche elettriche. Era sempre possibile
regolare la tensione ∆V tra le armature del condensatore in modo da
mantenere in equilibio la gocciolina con carica qn
∆V mgd
qn E = mg ↔ qn = mg −→ qn =
d ∆V
−19
Si trova sempre qn = n|e|, con |e| = 1.602 · 10 C 18 / 1
Alcune questioni aperte

Osserviamo le equazioni di Maxwell



Q
ΦE |∂Ω =
0 Ω
ΦB |∂Ω = 0

dΦB
CE |∂Σ = −
dt Σ

dΦE
CB |∂Σ = µ0 I |Σ + µ0 0
dt Σ

Esse non sono completamente simmetriche in quanto come termini di


sorgente vi appaiono cariche e correnti elettriche, ma non i corrispettivi
termini magnetici. In natura non sono stati finora osservati monopoli
magnetici, ma solo dipoli, con un polo Nord e un polo Sud.
Inoltre la carica elettrica non può assumere qualsiasi valore, ma risulta
quantizzata in unità di una carica elementare |e|. Come mai?

19 / 1
E se esistessero monopoli magnetici?
Nel 1931 il fisico P.M. Dirac, uno dei padri della meccanica quantistica e
il primo ad aver dimostrato teoricamente l’esistenza di antiparticelle,
affrontò la questione (Proc. Roy. Soc. A 133, 60 (1931))

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E se esistessero monopoli magnetici?
Nel 1931 il fisico P.M. Dirac, uno dei padri della meccanica quantistica e
il primo ad aver dimostrato teoricamente l’esistenza di antiparticelle,
affrontò la questione (Proc. Roy. Soc. A 133, 60 (1931))

Dirac mostrò come l’esistenza di un monopolo magnetico di carica


magnetica qm implicasse per la carica elettrica la condizione di
quantizzazione
qe · qm = 2πn, con n = ±1, ±2, ±3...
Effettivamente in natura la carica elettrica è quantizzata in unità di |e|
(|e|/3 se si considerano i quark, che però non sono mai osservati liberi,
ma sempre confinati all’interno di protoni e neutroni)
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Le equazioni di Maxwell in presenza di cariche magnetiche

Qe
ΦE |∂Ω =
0 Ω
ΦB |∂Ω = µ0 Qm |Ω

dΦB
CE |∂Σ = − − µ0 Im |Σ
dt Σ

dΦE
CB |∂Σ = µ0 0 + µ0 Ie |Σ
dt Σ

Appare evidente come, introducendo cariche e correnti magnetiche, le


equazioni di Maxwell abbiano ora una struttura completamente
simmetrica.

21 / 1
Le equazioni di Maxwell in presenza di cariche magnetiche

Qe
ΦE |∂Ω =
0 Ω
ΦB |∂Ω = µ0 Qm |Ω

dΦB
CE |∂Σ = − − µ0 Im |Σ
dt Σ

dΦE
CB |∂Σ = µ0 0 + µ0 Ie |Σ
dt Σ

Appare evidente come, introducendo cariche e correnti magnetiche, le


equazioni di Maxwell abbiano ora una struttura completamente
simmetrica. Alla luce degli importanti problemi teorici che risolverebbero
(quantizzazione della carica elettrica e simmetria delle equazioni di
Maxwell) in modo molto “economico”, diventa interessante cercare una
conferma sperimentale dell’esistenza di monopoli magnetici: questo si
può fare sia cercando di misurare eventuali monopoli che arrivano dallo
spazio, sia quelli eventualmente prodotti agli acceleratori nelle collisioni di
particelle di alta energia. 21 / 1
Monopoli magnetici dallo spazio

La ricerca di monopoli magnetici provenienti dal cosmo (e.g. esperimento


MACRO ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso) ha finora consentito solo
di mettere dei limiti superiori al loro flusso (cioè al numero di particelle
per unità di tempo, di superficie e di angolo solido di cielo).
NB a causa del valore molto grande della carica magnetica
(qm = 2πn/|e|!) ci si aspetta una grande perdita di energia per
ionizzazione (i.e. particella strappa elettroni dagli atomi) da parte di un
monopolo nell’attraversare un rivelatore di particelle
22 / 1
L’evento misurato a Stanford

A parte quella della perdita di energia per ionizzazione, un’altra tecnica


per rivelare un monopolo è basata su bobine superconduttrici (SQUID,
Superconductive Quantum Interference Device) in grado di misurare la
variazione di flusso magnetico al suo passaggio. Un evento di questo tipo
fu misurato a Stanford nel 1982.

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L’evento misurato a Stanford

A parte quella della perdita di energia per ionizzazione, un’altra tecnica


per rivelare un monopolo è basata su bobine superconduttrici (SQUID,
Superconductive Quantum Interference Device) in grado di misurare la
variazione di flusso magnetico al suo passaggio. Un evento di questo tipo
fu misurato a Stanford nel 1982.

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L’evento misurato a Stanford
A parte quella della perdita di energia per ionizzazione, un’altra tecnica
per rivelare un monopolo è basata su bobine superconduttrici (SQUID,
Superconductive Quantum Interference Device) in grado di misurare la
variazione di flusso magnetico al suo passaggio. Un evento di questo tipo
fu misurato a Stanford nel 1982.

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L’evento misurato a Stanford

A parte quella della perdita di energia per ionizzazione, un’altra tecnica


per rivelare un monopolo è basata su bobine superconduttrici (SQUID,
Superconductive Quantum Interference Device) in grado di misurare la
variazione di flusso magnetico al suo passaggio. Un evento di questo tipo
fu misurato a Stanford nel 1982.

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L’evento misurato a Stanford

A parte quella della perdita di energia per ionizzazione, un’altra tecnica


per rivelare un monopolo è basata su bobine superconduttrici (SQUID,
Superconductive Quantum Interference Device) in grado di misurare la
variazione di flusso magnetico al suo passaggio. Un evento di questo tipo
fu misurato a Stanford nel 1982.

Un analogo evento fu misurato in un esperimento all’Imperial College di


Londra nel 1985, ma due eventi, che potrebbero avere anche un’altra
origine, non sono sufficienti per avere evidenza statistica di una scoperta.

23 / 1
La ricerca di monopoli ai collider

Oltre che nei raggio cosmici i monopoli magnetici continuano ad essere


cercati anche tra le particelle prodotte nelle collisioni agli acceleratori
come l’LHC al CERN

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La ricerca di monopoli ai collider

Oltre che nei raggio cosmici i monopoli magnetici continuano ad essere


cercati anche tra le particelle prodotte nelle collisioni agli acceleratori
come l’LHC al CERN

24 / 1
La ricerca di monopoli ai collider

Oltre che nei raggio cosmici i monopoli magnetici continuano ad essere


cercati anche tra le particelle prodotte nelle collisioni agli acceleratori
come l’LHC al CERN

Attualmente l’esperimento MoEDAL sta fornendo i primi risultati in


collisioni protone-protone a 8 e 13 TeV e ponendo dei limiti superiori alla
produzione di monopoli

24 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
Con un esperimento di scattering (i.e. diffusione) di raggi X (λ  λlight )
su elettroni (di un campione di grafite) Compton mise in crisi
l’interpretazione ondulatoria della luce. Vediamo come lui stesso descrive
le sue scoperte nella sua Nobel lecture del 1927

I raggi X da poco scoperti sembravano essere una forma di


radiazione elettromagnetica come la luce visibile, solo di
lunghezza d’onda più piccola. La loro interferenza poteva
addirittura essere usata per studiare la struttura cristallina
della materia (legge di Bragg: 2d sin θmax(n) = nλ)
25 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
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Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
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Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
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Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
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Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
26 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
26 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
26 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
Vediamo infatti cosa prevede la teoria classica riguardo l’interazione della
radiazione elettromagnetica con la materia

La descrizione classica funziona molto bene nel caso di radiazione di


lunghezza d’onda λ (∼ 400−700 nm per la luce visibile ) molto più
grande del tipico raggio a0 ∼ 10−1 nm di un atomo e di frequenza piccola
rispetto alla massa dell’elettrone (~ω ∼ eV  me c 2 ≈ 0.5MeV). Il campo
elettrico dell’onda incidente fa oscillare gli elettroni (-) rispetto ai nuclei
(+) degli atomi/molecole: si ha un dipolo oscillante, sorgente di un’onda
diffusa, della stessa frequenza dell’onda incidente.
26 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce

In queste condizioni (grande lunghezza d’onda, piccola frequenza) la


diffusione della radiazione viene detta diffusione Thomson se avviene su
elettroni liberi o diffusione Rayleigh se avviene su (gli elettroni di)
molecole neutre. La diffusione Rayleigh è il processo responsabile del
colore blu del cielo e del colore rosso del sole al tramonto

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Compton e la teoria corpuscolare della luce
In queste condizioni (grande lunghezza d’onda, piccola frequenza) la
diffusione della radiazione viene detta diffusione Thomson se avviene su
elettroni liberi o diffusione Rayleigh se avviene su (gli elettroni di)
molecole neutre. La diffusione Rayleigh è il processo responsabile del
colore blu del cielo e del colore rosso del sole al tramonto

La potenza irradiata da un dipolo oscillante, e quindi l’intensità dell’onda


diffusa, varia come la quarta potenza della frequenza, P ∝ ω 4 , per cui la
luce blu è molto più diffusa della luce rossa: per questo il cielo è blu e al
tramonto solo i raggi del sole rossi riescono at attraversare il lungo tratto
di atmosfera senza essere diffusi dalle sue molecole. 27 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
In queste condizioni (grande lunghezza d’onda, piccola frequenza) la
diffusione della radiazione viene detta diffusione Thomson se avviene su
elettroni liberi o diffusione Rayleigh se avviene su (gli elettroni di)
molecole neutre. La diffusione Rayleigh è il processo responsabile del
colore blu del cielo e del colore rosso del sole al tramonto

La potenza irradiata da un dipolo oscillante, e quindi l’intensità dell’onda


diffusa, varia come la quarta potenza della frequenza, P ∝ ω 4 , per cui la
luce blu è molto più diffusa della luce rossa: per questo il cielo è blu e al
tramonto solo i raggi del sole rossi riescono at attraversare il lungo tratto
di atmosfera senza essere diffusi dalle sue molecole.
27 / 1
Compton e la teoria corpuscolare della luce
L’intepretazione dei dati di diffusione di raggi X (λ piccola, ω grande!)
su elettroni richiedeva tuttavia uno schema teorico totalmente diverso!

Partendo da c = λν = λω/2π si può verificare che δλ/λ ∝ ~ω/mc 2 :


l’effetto è misurabile solo per grandi frequenze della radiazione incidente
(nel caso della luce visibile sarebbe ∼ 10−6 e non lo si era osservato!)
28 / 1
La luce è fatta di fotoni

Compton descrive la diffusione di raggi X su elettroni come l’urto tra due


particelle: l’elettrone di massa me e il fotone (quanto di luce) di energia
Eγ = hν ≡ ~ω. La quantità h che lega frequenza della radiazione ed
energia dei fotoni è detta costante di Planck

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La luce è fatta di fotoni
Compton descrive la diffusione di raggi X su elettroni come l’urto tra due
particelle: l’elettrone di massa me e il fotone (quanto di luce) di energia
Eγ = hν ≡ ~ω. La quantità h che lega frequenza della radiazione ed
energia dei fotoni è detta costante di Planck

Anche la radiazione termica dei corpi (stelle, forni, metalli


incandescenti...) può essere spiegata solo ammettendo che la
radiazione elettromagnetica sia emessa dai corpi caldi per quanti
discreti (fotoni): maggiore è la temperatura minore è la lunghezza
d’onda della radiazione (Legge di Planck, 1900)

29 / 1
La luce è fatta di fotoni
Compton descrive la diffusione di raggi X su elettroni come l’urto tra due
particelle: l’elettrone di massa me e il fotone (quanto di luce) di energia
Eγ = hν ≡ ~ω. La quantità h che lega frequenza della radiazione ed
energia dei fotoni è detta costante di Planck

Anche la radiazione termica dei corpi (stelle, forni, metalli


incandescenti...) può essere spiegata solo ammettendo che la
radiazione elettromagnetica sia emessa dai corpi caldi per quanti
discreti (fotoni): maggiore è la temperatura minore è la lunghezza
d’onda della radiazione (Legge di Planck, 1900)
Nel 1905 Einstein spiega l’effetto fotoelettrico (emissione di
elettroni da metalli colpiti dalla luce) come dovuto all’assorbimento
di quanti di luce (fotoni) che devono avere una frequenza (energia!)
minima per strappare gli elettroni dalla superficie del metallo. 29 / 1
Un breve riassunto di quanto discusso
L’opera di Maxwell ha consentito di dare una descrizione unificata
dei fenomeni elettrici e magnetici e di interpretare la luce come
un’onda elettromagnetica, con i suoi tipici fenomeni di riflessione,
rifrazione, interferenza e polarizzazione.
A partire da inizio ’900 l’interpretazione di una serie di esperimenti
(radiazione termica dei corpi, effetto fotoelettrico, diffusione
Compton di raggi X ) ha richiesto l’introduzione di un diverso
schema concettuale: la luce è fatta di particelle, i fotoni, che sono i
mediatori dell’interazione elettromagnetica (l’interazione come
scambio di particelle è uno schema con cui oggi si interpretano
anche le altre forze fondamentali)
Questo dualismo onda/particella è tipico della descrizione della natura
data dalla meccanica quantistica: la radiazione elettromagnetica, che
siamo abituati a descrivere in termini di onde, a volte mette in luce la sua
natura corpuscolare; gli elettroni, che siamo abituati a pensare come
particelle, a volte danno luogo a fenomeni di interferenza tipici delle onde
(una discussione più approfondita richiederebbe una lezione a sé stante).
30 / 1
La radioattività naturale
e la scoperta di nuove interazioni
L’interazione nucleare forte, responsabile dell’attrazione tra i
nucleoni (protoni e neutroni) e quindi dell’energia di legame
dei nuclei
L’interazione debole, responsabile di alcuni importanti
decadimenti nucleari

31 / 1
La scoperta della radioattività naturale
Nel 1896 Henry Becquerel, scoprı̀ per caso che i sali di uranio erano in
grado di impressionare una lastra fotografica.

Capı̀ che il fenomeno era dovuto a particelle emesse spontaneamente


dagli atomi (dai nuclei, precisamente) di uranio.

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La scoperta della radioattività naturale
Nel 1896 Henry Becquerel, scoprı̀ per caso che i sali di uranio erano in
grado di impressionare una lastra fotografica.

Capı̀ che il fenomeno era dovuto a particelle emesse spontaneamente


dagli atomi (dai nuclei, precisamente) di uranio. Studiando il loro moto
in un campo magnetico (r = Mv /qB) si capı̀ che queste erano di tre tipi
diversi (ancora oggi campi magnetici sono usati per separare particelle!):
cariche positive, massive (poco deflesse): particelle α (nuclei di 4 He)
cariche negative, leggere (molto deflesse): particelle β (elettroni)
elettricamente neutre: particelle γ (fotoni)
32 / 1
L’energia di legame nucleare
I nuclei sono stati legati formati da A nucleoni: Z protoni e N neutroni.
Sono legati poiché MA < ZMp +NMn : la massa mancante è diventata
energia di legame EB = (ZMp +NMn −MA )c 2 .

Tipicamente si ha EB /A ≈ 8 MeV
(da confrontare con EB = 13.6
eV di atomo di H!). Nucleo più
stabile è il 56 Fe. È possibile
liberare energia o per fissione di
un nucleo pesante o per fusione
di due nuclei leggeri

L’interazione forte tra nucleoni è attrattiva (anche se a corto raggio


∼ 10−15 m) e tende a tenerli legati. Tuttavia i nucleoni sulla superficie
hanno meno vicini con cui interagire e sono quindi meno legati. Inoltre
l’interazione Coulombiana repulsiva tra i protoni ha raggio d’azione
infinito e tende a diminuire il legame: nuclei pesanti tendono ad avere un
eccesso di neutroni per opporsi alla repulsione elettromagnetica! 33 / 1
Instabilità nucleare e radioattività

34 / 1
Instabilità nucleare e radioattività

34 / 1
Quando può avvenire un decadimento?

35 / 1
Quando può avvenire un decadimento?

Il neutrino, elettricamente neutro


e quindi praticamente non
misurabile, fu ipotizzato dal fisico
Pauli (1930) per spiegare
l’apparente non conservazione
dell’energia e della quantità di
moto nei decadimenti β.

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La teoria di Fermi delle interazioni deboli
Il primo a proporre una teoria delle interazioni deboli in grado di fornire
una descrizione corretta, usata ancora oggi, di processi di bassa energia
come i decadimenti β ∓ fu Enrico Fermi (Tentativo di una teoria dei raggi
β, Il Nuovo Cimento, 1934)

Nella teoria di Fermi quelle deboli sono interazioni di contatto (a


differenza delle interazioni elettromagnetiche che hanno range ∞) e il
decadimento β è descritto dal diagramma in figura.

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La teoria di Fermi delle interazioni deboli
Il primo a proporre una teoria delle interazioni deboli in grado di fornire
una descrizione corretta, usata ancora oggi, di processi di bassa energia
come i decadimenti β ∓ fu Enrico Fermi (Tentativo di una teoria dei raggi
β, Il Nuovo Cimento, 1934)

Nella teoria di Fermi quelle deboli sono interazioni di contatto (a


differenza delle interazioni elettromagnetiche che hanno range ∞) e il
decadimento β è descritto dal diagramma in figura. Oggi siamo in grado
di dare una descrizione più microscopica del processo, a livello di quark,
costituenti elementari di protoni (uud) e neutroni (udd)
36 / 1
Le reazioni nucleari e l’energia delle stelle
Da dove trae il sole l’energia che ogni secondo irraggia? Il primo fisico a
capire che la sorgente di energia delle stelle era nelle reazioni nucleari che
avvengono al loro interno fu Hans Bethe (Nobel 1967)

Kelvin ed Helmholtz avevano proposto un meccanismo di riscaldamento


basato sulla gravità: nel collassare verso il centro, il materiale che forma
la stella, come l’acqua che cade da una diga, acquisisce energia cinetica,
che, in seguiro alle collisioni, viene convertita in moto disordinato delle
particelle (calore). Una stima della potenza irradiata dal sole
condurrebbe, con questo meccanismo, a una vita del sole dell’ordine delle
decine di milioni di anni. Questo è in disaccordo con i tempi richiesti
dalla teoria dell’evoluzione e con la datazione delle rocce terrestri. 37 / 1
Le reazioni nucleari e l’energia delle stelle
Da dove trae il sole l’energia che ogni secondo irraggia? Il primo fisico a
capire che la sorgente di energia delle stelle era nelle reazioni nucleari che
avvengono al loro interno fu Hans Bethe (Nobel 1967)

Kelvin ed Helmholtz avevano proposto un meccanismo di riscaldamento


basato sulla gravità: nel collassare verso il centro, il materiale che forma
la stella, come l’acqua che cade da una diga, acquisisce energia cinetica,
che, in seguiro alle collisioni, viene convertita in moto disordinato delle
particelle (calore). Una stima della potenza irradiata dal sole
condurrebbe, con questo meccanismo, a una vita del sole dell’ordine delle
decine di milioni di anni. Questo è in disaccordo con i tempi richiesti
dalla teoria dell’evoluzione e con la datazione delle rocce terrestri. 37 / 1
Le reazioni nucleari e l’energia delle stelle
Da dove trae il sole l’energia che ogni secondo irraggia? Il primo fisico a
capire che la sorgente di energia delle stelle era nelle reazioni nucleari che
avvengono al loro interno fu Hans Bethe (Nobel 1967)

Kelvin ed Helmholtz avevano proposto un meccanismo di riscaldamento


basato sulla gravità: nel collassare verso il centro, il materiale che forma
la stella, come l’acqua che cade da una diga, acquisisce energia cinetica,
che, in seguiro alle collisioni, viene convertita in moto disordinato delle
particelle (calore). Una stima della potenza irradiata dal sole
condurrebbe, con questo meccanismo, a una vita del sole dell’ordine delle
decine di milioni di anni. Questo è in disaccordo con i tempi richiesti
dalla teoria dell’evoluzione e con la datazione delle rocce terrestri. 37 / 1
Il ciclo dell’idrogeno nel sole
Il sole è alimentato dal seguente ciclo di fusione nucleare

Il decadimento β + del protone, governato dall’interazione debole (si


verifica pertanto con probabilità molto bassa), ha un ruolo fondamentale
nell’innescare il ciclo di reazioni, in quanto come primo step è necesario
produrre del deuterio, unico possibile stato legato tra due nucleoni.
38 / 1
Il ciclo dell’idrogeno nel sole

39 / 1
Borexino e i neutrini solari
Che prove abbiamo che le reazioni nucleari precedenti sono la sorgente di
energia del sole? I fotoni non ci possono aiutare, in quanto solo emessi
dalla superficie della stella per emissione termica, corrispondente a una
T ≈ 6·103 K, mentre le reazioni nucleari avvengono all’interno, a
temperature T ∼ 107 K. Ci vengono in soccorso i neutrini che, una volta
prodotti nel nucleo, non interagiscono più con la materia della stella e
possono arrivare fino a noi, recando informazione sull’interno del sole.

Scopo dell’esperimento Borexino ai laboratori del Gran Sasso è la misura


dei neutrini solari, misurati attraverso la luce emessa quando colpisono gli
elettroni di un liquido scintillatore e rivelata da un sistema di fototubi. 40 / 1
Borexino e i neutrini solari
Che prove abbiamo che le reazioni nucleari precedenti sono la sorgente di
energia del sole? I fotoni non ci possono aiutare, in quanto solo emessi
dalla superficie della stella per emissione termica, corrispondente a una
T ≈ 6·103 K, mentre le reazioni nucleari avvengono all’interno, a
temperature T ∼ 107 K. Ci vengono in soccorso i neutrini che, una volta
prodotti nel nucleo, non interagiscono più con la materia della stella e
possono arrivare fino a noi, recando informazione sull’interno del sole.

Scopo dell’esperimento Borexino ai laboratori del Gran Sasso è la misura


dei neutrini solari, misurati attraverso la luce emessa quando colpisono gli
elettroni di un liquido scintillatore e rivelata da un sistema di fototubi. 40 / 1
Borexino e i neutrini solari
Il Modello Solare Standard (SSM) prevede che dal Sole arrivi sulla Terra
un flusso di neutrini Φ ≈ 6·1010 cm−1 s −1 . Quasi tutti vengono dalla
reazione (decadimento β + ) prima descitta
p + p −→ d + e + + νe ,
da cui il limite superiore Eν < 0.42 MeV.

La grande sfida della misura è stata isolare il contributo di questi neutrini


dal fondo dovuto ai normali decadimenti radioattivi, in particolare il 14 C
dello stesso scintillatore organico 41 / 1
Borexino e i neutrini solari
Il Modello Solare Standard (SSM) prevede che dal Sole arrivi sulla Terra
un flusso di neutrini Φ ≈ 6·1010 cm−1 s −1 . Quasi tutti vengono dalla
reazione (decadimento β + ) prima descitta
p + p −→ d + e + + νe ,
da cui il limite superiore Eν < 0.42 MeV.

La grande sfida della misura è stata isolare il contributo di questi neutrini


dal fondo dovuto ai normali decadimenti radioattivi, in particolare il 14 C
dello stesso scintillatore organico 41 / 1
Il sole visto attraverso i neutrini
La rivelazione dei neutrini solari ci consente per la prima volta di scattare
una fotografia del nucleo del sole, dove avvengono le reazioni nucleari che
lo alimentano.

Quella di sopra è un’immagine del sole ricostruita attraverso i neutrini


rivelati dall’esperimento Super-Kamiokande, collocato in una miniera
giapponese a 1000 m di profondità. A causa della loro bassa probabilità
di interazione con la materia, la fisica dei neutrini è studiata in grandi
laboratori sotterranei per schermare i rivelatori dal flusso dei raggi
cosmici che oscurerebbero il loro segnale 42 / 1
Intermezzo: la chiralità delle particelle
Possiamo immaginare le particelle elementari come delle “trottole”, che
nel propagarsi avanzano ruotando o come una vite destrorsa (particelle
R) o come come una vite sinistrorsa (particelle L). Questa “rotazione”
intrinseca è descritta da un vettore, detto spin della particella. Nel caso
di particelle R questo vettore è orientato lungo la direzione del moto della
particella, nel caso di particelle L è orientato in direzione opposta.

Particelle R/L sono l’una l’immagine speculare dell’altra, una riflessione


spaziale ~x → −~x (trasformazione di parità) manda R → L e viceversa:
questa proprietà è detta chiralità.

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Intermezzo: la chiralità delle particelle
Possiamo immaginare le particelle elementari come delle “trottole”, che
nel propagarsi avanzano ruotando o come una vite destrorsa (particelle
R) o come come una vite sinistrorsa (particelle L). Questa “rotazione”
intrinseca è descritta da un vettore, detto spin della particella. Nel caso
di particelle R questo vettore è orientato lungo la direzione del moto della
particella, nel caso di particelle L è orientato in direzione opposta.

Particelle R/L sono l’una l’immagine speculare dell’altra, una riflessione


spaziale ~x → −~x (trasformazione di parità) manda R → L e viceversa:
questa proprietà è detta chiralità. In natura molte molecole importanti
(amminoacidi, zuccheri...) e strutture complesse (conchiglie, mani, viti...)
hanno una chiralità. 43 / 1
Intermezzo: la chiralità delle particelle
Possiamo immaginare le particelle elementari come delle “trottole”, che
nel propagarsi avanzano ruotando o come una vite destrorsa (particelle
R) o come come una vite sinistrorsa (particelle L). Questa “rotazione”
intrinseca è descritta da un vettore, detto spin della particella. Nel caso
di particelle R questo vettore è orientato lungo la direzione del moto della
particella, nel caso di particelle L è orientato in direzione opposta.

Particelle R/L sono l’una l’immagine speculare dell’altra, una riflessione


spaziale ~x → −~x (trasformazione di parità) manda R → L e viceversa:
questa proprietà è detta chiralità. In natura molte molecole importanti
(amminoacidi, zuccheri...) e strutture complesse (conchiglie, mani, viti...)
hanno una chiralità. 43 / 1
Interazioni deboli e violazione della parità
In un fondamentale esperimento (1956) la fisica Chien-Shiung Wu studiò
il comportamento delle interazioni deboli rispetto a riflessioni spaziali. Il
processo studiato fu il decadimento β del 60 Co, un nucleo con spin molto
grande (S=5), che poteva essere allineato con un campo magnetico.

Nello stato finale gli spin di elettrone ed antineutrino sono allineati con
quello iniziale (lo spin si conserva!), mentre le loro direzioni di emissione
sono opposte (la quantità di moto si conserva!). L’elettrone viene sempre
emesso in direzione opposta al campo magnetico: le interazioni deboli
coinvolgono solo particella L e antiparticelle R, violando la parità! 44 / 1
Verso il modello elettrodebole...
La teoria di Fermi delle interazioni deboli, pur constituendo un’importante
conquista e consentendo una descrizione quantitativa di molti processi di
bassa energia come i decadimenti, mostra comunque dei limiti sia quando
si cerca di fare calcoli sempre più accurati (fornisce dei risultati infiniti!
tecnicamente si dice che non è rinormalizzabile), sia quando si cerca di
applicarla a processi di alta energia in cui vengono scambiati impulsi
(quantità di moto) molto grandi. Ricordate il dualismo onda-particella di
de Broglie p = h/λ: avere ha disposizione una sonda di grande impulso
equivale ad avere a disposizione un microscopio che opera ad una
lunghezza d’onda molto piccola, e quindi in grado di mettere in evidenza
dettagli che sfuggono quando si osserva un fenomeno con una risoluzione
minore.

45 / 1
Verso il modello elettrodebole...
La teoria di Fermi delle interazioni deboli, pur constituendo un’importante
conquista e consentendo una descrizione quantitativa di molti processi di
bassa energia come i decadimenti, mostra comunque dei limiti sia quando
si cerca di fare calcoli sempre più accurati (fornisce dei risultati infiniti!
tecnicamente si dice che non è rinormalizzabile), sia quando si cerca di
applicarla a processi di alta energia in cui vengono scambiati impulsi
(quantità di moto) molto grandi. Ricordate il dualismo onda-particella di
de Broglie p = h/λ: avere ha disposizione una sonda di grande impulso
equivale ad avere a disposizione un microscopio che opera ad una
lunghezza d’onda molto piccola, e quindi in grado di mettere in evidenza
dettagli che sfuggono quando si osserva un fenomeno con una risoluzione
minore. Il limite della teoria di Fermi è quello di supporre un vertice di
interazione puntiforme tra le quattro particelle coinvolte (si parla di
“interazione di contatto”). È necessario sviluppare una teoria che superi
questo limite e che tuttavia si riduca alla teoria di Fermi per i processi di
bassa energia, per i quali quest’ultima fornisce una corretta descrizione.
45 / 1
Verso il modello elettrodebole...
La via di uscita dai problemi precedenti venne dalla descrizione delle
interazioni tra le particelle come dovute allo scambio di altre particelle,
messaggere dell’interazione: in questo modo non è necessario che due
particelle vengano a contatto per interagire.

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Verso il modello elettrodebole...
La via di uscita dai problemi precedenti venne dalla descrizione delle
interazioni tra le particelle come dovute allo scambio di altre particelle,
messaggere dell’interazione: in questo modo non è necessario che due
particelle vengano a contatto per interagire.

I messaggeri sono il fotone nel caso dell’interazione elettromagnetica e i


bosoni W ± e Z nel caso dell’interazione debole (modello di Weinberg,
Glashow e Salam, 1967-68). A differenza del fotone che è massless i
bosoni W ± e Z sono molto pesanti (∼ 90 volte un protone si scoprirà),
da cui il raggio d’azione molto corto delle interazioni deboli che spiega la
bassa probabilità di questi eventi e giustifica la descrizione di Fermi. 46 / 1
La scoperta dei bosoni W ± e Z
La descrizione delle interazioni deboli come dovute allo scambio di
“fotoni” pesanti (i bosoni W ± e Z ) risolveva i problemi della teoria di
Fermi fornendo un modello applicabile anche a processi di alta energia e
privo di patologie come risultati infiniti quando si cercava di spingere i
conti a livelli di precisione maggiore. Tuttavia occorreva scoprire queste
particelle! I bosoni W ± e Z furono scoperti nel 1983 all’acceleratore SPS
al CERN dalla collaborazione UA1 guidata da Carlo Rubbia, che propose
di far collidere fasci di protoni e antiprotoni per aumentare la probabilità
di produzione di queste particelle e per questo l’anno seguente vinse il
Nobel per la fisica, insieme all’ingegnere olandese Simon van der Meer.

47 / 1
La scoperta dei bosoni W ± e Z
Il grande merito di Rubbia fu quello di proporre, superando le perplessità
sulla fattibilità della cosa, di far collidere fasci di protoni (uud) e
antiprotoni (ūū d̄), cosa che avrebbe consentito la produzione dei bosoni
W ± e Z attraverso l’annichilazione di un quark (del protone) con un
antiquark (dell’antiprotone)

I bosoni W ± e Z erano poi rivelati attraverso i loro prodotti di


decadimento: W − → e − ν̄e , µ− ν̄µ , W + → e + νe , µ+ νµ e
Z → e + e − , µ+ µ− . Solo le particelle cariche possono essere in realtà
direttamente rivelate, la presenza dei neutrini è ricavata dalla
conservazione dell’energia e dell’impulso.
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La scoperta dei bosoni W ± e Z
Il grande merito di Rubbia fu quello di proporre, superando le perplessità
sulla fattibilità della cosa, di far collidere fasci di protoni (uud) e
antiprotoni (ūū d̄), cosa che avrebbe consentito la produzione dei bosoni
W ± e Z attraverso l’annichilazione di un quark (del protone) con un
antiquark (dell’antiprotone)

I bosoni W ± e Z erano poi rivelati attraverso i loro prodotti di


decadimento: W − → e − ν̄e , µ− ν̄µ , W + → e + νe , µ+ νµ e
Z → e + e − , µ+ µ− . Solo le particelle cariche possono essere in realtà
direttamente rivelate, la presenza dei neutrini è ricavata dalla
conservazione dell’energia e dell’impulso.
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La scoperta dei bosoni W ± e Z
Il grande merito di Rubbia fu quello di proporre, superando le perplessità
sulla fattibilità della cosa, di far collidere fasci di protoni (uud) e
antiprotoni (ūū d̄), cosa che avrebbe consentito la produzione dei bosoni
W ± e Z attraverso l’annichilazione di un quark (del protone) con un
antiquark (dell’antiprotone)

I bosoni W ± e Z erano poi rivelati attraverso i loro prodotti di


decadimento: W − → e − ν̄e , µ− ν̄µ , W + → e + νe , µ+ νµ e
Z → e + e − , µ+ µ− . Solo le particelle cariche possono essere in realtà
direttamente rivelate, la presenza dei neutrini è ricavata dalla
conservazione dell’energia e dell’impulso.
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La scoperta dei bosoni W ± e Z
Il grande merito di Rubbia fu quello di proporre, superando le perplessità
sulla fattibilità della cosa, di far collidere fasci di protoni (uud) e
antiprotoni (ūū d̄), cosa che avrebbe consentito la produzione dei bosoni
W ± e Z attraverso l’annichilazione di un quark (del protone) con un
antiquark (dell’antiprotone)

I bosoni W ± e Z erano poi rivelati attraverso i loro prodotti di


decadimento: W − → e − ν̄e , µ− ν̄µ , W + → e + νe , µ+ νµ e
Z → e + e − , µ+ µ− . Solo le particelle cariche possono essere in realtà
direttamente rivelate, la presenza dei neutrini è ricavata dalla
conservazione dell’energia e dell’impulso.
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La scoperta dei bosoni W ± e Z
Il grande merito di Rubbia fu quello di proporre, superando le perplessità
sulla fattibilità della cosa, di far collidere fasci di protoni (uud) e
antiprotoni (ūū d̄), cosa che avrebbe consentito la produzione dei bosoni
W ± e Z attraverso l’annichilazione di un quark (del protone) con un
antiquark (dell’antiprotone)

I bosoni W ± e Z erano poi rivelati attraverso i loro prodotti di


decadimento: W − → e − ν̄e , µ− ν̄µ , W + → e + νe , µ+ νµ e
Z → e + e − , µ+ µ− . Solo le particelle cariche possono essere in realtà
direttamente rivelate, la presenza dei neutrini è ricavata dalla
conservazione dell’energia e dell’impulso.
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La scoperta dalle parole di Rubbia

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La scoperta dalle parole di Rubbia

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Perchè i bosoni W ± e Z sono pesanti e i fotoni no?
All’epoca della loro scoperta i bosoni W ± e Z rappresentavano le più
pesanti particelle elementari conosciute: mW = 80.4 GeV e mZ = 91.2 GeV
(per confronto, mp = 0.938 GeV). Perchè i fotoni sono massless mentre i
bosoni W ± e Z (e, inoltre, tutte le particelle elementari “di materia”)
hanno massa? Nell’elaborare il loro modello di unificazione elettrodebole
Weinberg, Glashow e Salam ricorsero al meccanismo di Higgs,
inizialmente sviluppato per spiegare alcune proprietà dei superconduttori.

L’attuale universo è permeato dal campo di Higgs che ha un valor medio


diverso da zero. La massa delle particelle nasce dalla loro interazione con
questo campo, un po’ come la facilità con cui ci spostiamo sulla neve
varia a seconda di come interagiamo con essa (scarpe, ciaspole, sci, ali...) 50 / 1
Perchè i bosoni W ± e Z sono pesanti e i fotoni no?
All’epoca della loro scoperta i bosoni W ± e Z rappresentavano le più
pesanti particelle elementari conosciute: mW = 80.4 GeV e mZ = 91.2 GeV
(per confronto, mp = 0.938 GeV). Perchè i fotoni sono massless mentre i
bosoni W ± e Z (e, inoltre, tutte le particelle elementari “di materia”)
hanno massa? Nell’elaborare il loro modello di unificazione elettrodebole
Weinberg, Glashow e Salam ricorsero al meccanismo di Higgs,
inizialmente sviluppato per spiegare alcune proprietà dei superconduttori.

L’attuale universo è permeato dal campo di Higgs che ha un valor medio


diverso da zero. La massa delle particelle nasce dalla loro interazione con
questo campo, un po’ come la facilità con cui ci spostiamo sulla neve
varia a seconda di come interagiamo con essa (scarpe, ciaspole, sci, ali...) 50 / 1
La ricerca del bosone di Higgs
Come il fotone rappresenta l’eccitazione del campo elettromagnetico (una
regione con una densità non nulla di energia elettromagnetica è una
regione con una densità non nulla di fotoni), cosı̀, associata alle
fluttuazioni del campo di Higgs intorno alla sua configurazione di minima
energia, dovrebbe esistere una particella: il bosone di Higgs. La
rivelazione sperimentale di questa particella rappresenterebbe la prova
della correttezza del meccanismo di Higgs usato per spiegare la massa
delle particelle elementari (e, in particolare, dei bosoni W ± e Z mediatori
dell’interazione debole).

La ricerca del bosone di Higgs è stata la


principale (anche se non l’unica) motivazione
della costruzione dell’acceleratore LHC al
CERN, che fa collidere fasci di protoni ad
un’energia nel centro di massa (= l’energia
disponibile per la produzione di nuove
particelle) fino a 13 TeV (1 TeV = 1012 eV)

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Uno sguardo all’LHC

I “pacchetti” di protoni si attraversano 40 milioni di volte al


secondo nei punti di collisione e, a ogni bunch crossing, si possono
avere decine di collisioni p-p

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Uno sguardo all’LHC

I “pacchetti” di protoni si attraversano 40 milioni di volte al


secondo nei punti di collisione e, a ogni bunch crossing, si possono
avere decine di collisioni p-p

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Uno sguardo all’LHC

I “pacchetti” di protoni si attraversano 40 milioni di volte al


secondo nei punti di collisione e, a ogni bunch crossing, si possono
avere decine di collisioni p-p
Per curvare fasci di protoni cosi’ energetici lungo l’anello di 27 km
(R = p/|e|B) occorrono magneti superconduttori raffreddati con
elio liquido (l’LHC è il luogo più freddo dell’universo)

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Uno sguardo all’LHC

I “pacchetti” di protoni si attraversano 40 milioni di volte al


secondo nei punti di collisione e, a ogni bunch crossing, si possono
avere decine di collisioni p-p
Per curvare fasci di protoni cosi’ energetici lungo l’anello di 27 km
(R = p/|e|B) occorrono magneti superconduttori raffreddati con
elio liquido (l’LHC è il luogo più freddo dell’universo)
Per evitare che i fasci collidano con le molecole d’aria nei tubi ci
deve essere un vuoto molto spinto
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Produzione e decadimenti dell’Higgs

In figura sono mostrati diversi processi di


produzione (gluon-gluon fusion, vector-boson fusion)
decadimento (H → γγ, H → ZZ → 4l)
del bosone di Higgs. Il decadimento in una coppia di fotoni o in un 4
leptoni rappresentano dei canali molto puliti in cui cercare il segnale della
produzione dell’Higgs.

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La ricerca dell’Higgs: CMS ed ATLAS

Due collaborazioni sperimentali internazionali sono sorte intorno a due


grandi detector che avevano come uno degli scopi principali la ricerca del
bosone di Higgs:
CMS: 2000 fisici, 900 dottorandi, 1000 ingegneri, 1000 studenti di
201 istituti e 46 nazioni diverse;
ATLAS: 5000 scienziati (1200 studenti di dottorato) di 180 istituti e
38 nazioni diverse.
Il CERN è un grande esempio di collaborazione pacifica tra le nazioni!
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La struttura dei rivelatori di particelle

All’interno abbiamo i tracciatori: detector al silicio che consentono


di ricostruire le tracce lasciate dalle particelle cariche, che eccitano
coppie elettrone-lacuna dando luogo a un segnale elettrico
A seguire abbiamo i calorimetri: importanti per la rivelazione di
particelle neutre come fotoni (e.m.) e neutroni (hadr.)
Più all’esterno di tutti stanno le camere a muoni, per la rivelazione
dei muoni (uguali agli elettroni, ma 200 volte più pesanti), le uniche
particelle in grado di penetrare tutti gli strati precedenti 55 / 1
Alcuni eventi significativi
Vediamo ora alcuni event-display che potrebbero riferirsi a collisioni in cui
è stato prodotto un bosone di Higgs

Un candidato H → γγ

NB sul singolo evento non si può dire nulla, si può solo raccogliere una
grande statistica e vedere se si trova un eccesso di eventi in una stessa
regione cinematica corrispondente alla massa della particella cercata
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Alcuni eventi significativi
Vediamo ora alcuni event-display che potrebbero riferirsi a collisioni in cui
è stato prodotto un bosone di Higgs

Un candidato H → γγ
Due candidati H → ZZ → e + e − µ+ µ− e H → ZZ → µ+ µ− µ+ µ−

NB sul singolo evento non si può dire nulla, si può solo raccogliere una
grande statistica e vedere se si trova un eccesso di eventi in una stessa
regione cinematica corrispondente alla massa della particella cercata
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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
2

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La scoperta del bosone di Higgs

Un picco in dN ev /dMγγ consente, una volta


sottratto il fondo incorrelato, di stimare il
numero di eventi in cui è stato prodotto un
bosone di Higgs e di misurare la sua massa

Quella mostrata è una distribuzione in massa invariante delle coppie γγ


misurate dall’esperimento CMS. Cerchiamo di capire il suo significato.
Per una
p particella relativistica (come il bosone di Higgs) abbiamo
E = ~p 2 + M 2 , che equivale a dire M 2 = E 2 − ~p 2 . Durante il
decadimento H → γγ energia e impulso si conservano e pertanto per una
coppia di fotoni che proviene dal decadimento dell’Higgs avremo
MH2 = EH2 − ~pH2 = (Eγ1 + Eγ2 )2 − (~pγ1 + ~pγ2 )2 ≡ Mγγ
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L’annuncio della scoperta

Il 4 Luglio 2012 dal main auditorium del CERN gli spokeperson degli
esperimenti ATLAS e CMS Fabiola Gianotti e Joe Incandela – alla
presenza di Peter Higgs e François Englert inventori del modello teorico –
presentarono in due seminari i risultati delle misure delle collaborazioni da
loro coordinate, annunciando la scoperta di una particella che aveva tutte
le caratteristiche per essere il bosone di Higgs tanto cercato. Oggi
sappiamo che quella particella, con una massa mH ≈ 125 GeV, è proprio
il bosone di Higgs
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Il modello standard delle particelle elementari
Il bosone di Higgs era l’unico mattoncino del modello standard delle
particelle elementari per cui mancava una verifica sperimentale.

Le particelle di materia sono fermioni e sono organizzate in 3 famiglie di


leptoni (particelle che interagiscono solo attraverso l’interazione
elettrodebole) e 3 famiglie di quark (che interagiscono anche attraverso
l’interazione forte). Le interazioni delle particelle sono mediate dallo
scambio di bosoni: il gluone (interazione forte), il fotone (interazione
elettromagnetica) e i bosoni W ± e Z (interazione debole). La massa di
queste particelle nasce dall’interazione con il campo di Higgs.
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Cosa resta da capire?

Le curve di rotazione delle galassie indicano che queste sono


composte da molta più materia di quella delle stelle (dark matter);
inoltre il redshift della luce emessa da supernovae molto distanti
indica che l’espansione del nostro universo sta accelerando, spinta
da un’energia sconosciuta (dark energy). Quanto scoperto finora
rappresenta solo il 5% del contenuto dell’universo! (DM @ LHC?)

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Cosa resta da capire?

Le curve di rotazione delle galassie indicano che queste sono


composte da molta più materia di quella delle stelle (dark matter);
inoltre il redshift della luce emessa da supernovae molto distanti
indica che l’espansione del nostro universo sta accelerando, spinta
da un’energia sconosciuta (dark energy). Quanto scoperto finora
rappresenta solo il 5% del contenuto dell’universo! (DM @ LHC?)

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Cosa resta da capire?

Le curve di rotazione delle galassie indicano che queste sono


composte da molta più materia di quella delle stelle (dark matter);
inoltre il redshift della luce emessa da supernovae molto distanti
indica che l’espansione del nostro universo sta accelerando, spinta
da un’energia sconosciuta (dark energy). Quanto scoperto finora
rappresenta solo il 5% del contenuto dell’universo! (DM @ LHC?)
Perché oggi l’universo è composto solo da materia? Cos’ha causato
il piccolissimo eccesso iniziale di materia? (LHCb experiment)

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Cosa resta da capire?

Le curve di rotazione delle galassie indicano che queste sono


composte da molta più materia di quella delle stelle (dark matter);
inoltre il redshift della luce emessa da supernovae molto distanti
indica che l’espansione del nostro universo sta accelerando, spinta
da un’energia sconosciuta (dark energy). Quanto scoperto finora
rappresenta solo il 5% del contenuto dell’universo! (DM @ LHC?)
Perché oggi l’universo è composto solo da materia? Cos’ha causato
il piccolissimo eccesso iniziale di materia? (LHCb experiment)
Perché i quark sono confinati in protoni e neutroni? (ALICE exp.)
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Cosa resta da capire?

Le curve di rotazione delle galassie indicano che queste sono


composte da molta più materia di quella delle stelle (dark matter);
inoltre il redshift della luce emessa da supernovae molto distanti
indica che l’espansione del nostro universo sta accelerando, spinta
da un’energia sconosciuta (dark energy). Quanto scoperto finora
rappresenta solo il 5% del contenuto dell’universo! (DM @ LHC?)
Perché oggi l’universo è composto solo da materia? Cos’ha causato
il piccolissimo eccesso iniziale di materia? (LHCb experiment)
Perché i quark sono confinati in protoni e neutroni? (ALICE exp.)
Come dare una descrizione quantistica della gravità? 60 / 1
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ASL all’INFN
INFN, Dipartimento di Fisica e Centro Fermi hanno proposto e
propongono in questi anni varie attività di ASL nell’ambito di diversi
progetti/esperimenti:
Radiolab: misure di radioattività ambientale da Radon;
Extreme Energy Events (con Centro Fermi): misure e analisi dati di
raggi cosmici con rivelatori sui tetti delle scuole;
Fermi: rivelatori su satellite per misure di raggi gamma dallo spazio
(Data Quality Monitoring);
Auger: esperimento nella Pampa argentina per misure di sciami
prodotti da raggi cosmici di altissima energia;
Supporto per “Bambine e bambini un giorno all’Università” (con
Dipartimento di Fisica) e Notte dei Ricercatori;
Produzione di contenuti didattici multimediali
...

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