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Carlo Vitali

La lingua nuova:
Dante e la musica del Duecento

Con nuovi volgari primo Settecento da fonti lessicografiche come il Voca-


bolario della Crusca o il Calepinus septem linguarum,
«Questo Dante, per lo suo savere, fu alquanto pro- ossia «stravagante», «mostruoso», «sformato».
suntuoso e schivo e isdegnoso, e, quasi a guisa di filo- La percezione dell’Alighieri teorico della lingua, e
safo mal grazioso, non bene sapea conversare co’ laici». non personaggio da novella, andava semmai nel senso
Il cronista Giovanni Villani, che dell’uomo Dante opposto, identificando la nobiltà del volgare nella sua
ebbe conoscenza personale, ce ne lasciò un ritrattino antichità di idioma naturale e universale nato subito
misto di ammirazione e sgomento. Forse ricamando dopo la confusione babelica narrata in Genesi 11 (cfr.
su questo e altri racconti affidati alla tradizione orale De vulgari eloquentia I, i, 4). È il risvolto per noi più
fiorentina, il novellista Franco Sacchetti (1332-1400) paradossale; quello che ci fa avvertire la nostra distanza
sbozzò nel Trecentonovelle un dittico che ci mostra il culturale da un sistema di pensiero deduttivamente
poeta incline a opporsi addirittura con le vie di fatto fondato sulle auctoritates e sulla ratio esegetica di com-
a estemporanee interpolazioni dei propri versi da parte mentatori come sant’Agostino, Rabano Mauro e Pie-
di «laici» dello strato sociale più umile. Sono le novelle tro Comestore, ma con limitato ricorso all’observatio
114 e 115, raccolte in un’unica rubrica sotto la dici- del dato empirico. Nelle parlate dei popoli presunta-
tura: «Dante Allighieri fa conoscente uno fabbro e uno mente immigrati in Europa dalla Mesopotamia, Dante
asinaio del loro errore, perché con nuovi volgari can- distingue tre gruppi principali secondo il loro uso della
tavano il libro suo». particella affermativa:
A prescindere dal grado di accuratezza fattuale a) i Settentrionali (lingue del jo), tra cui pone per
(almeno otto decenni sarebbero intercorsi fra il tempo successiva differenziazione: «Sclavones, Ungaros, Teu-
presunto degli episodi narrati e la loro redazione let- tonicos, Saxones, Anglicos». Superfluo rilevare che il
teraria), un dato di verisimiglianza s’impone specie nel criterio si applicherebbe solo agli ultimi tre gruppi,
primo. Il poco armonioso fabbro di Porta San Piero non già agli Slavi né ai Magiari;
«battendo ferro [...] su la ’ncudine, cantava il Dante b) i Meridionali, a loro volta suddivisi in tre sot-
come si canta uno cantare, e tramestava i versi suoi, togruppi (lingue dell’oc, dell’oïl, del sì), ovvero «Yspani,
smozzicando e appiccando»; non diversamente da Franci et Latini»; anche questo ydioma tripharium si
quanto faranno sino ai giorni nostri i ‘maggianti’ del- sarebbe differenziato da un sostrato unico, poiché usa
l’Appennino tosco-emiliano con le ottave di Torquato radici affini per designare concetti quali «Deum, celum,
Tasso. Indi, vistosi represso nel tentativo di moder- amorem, mare, terram, est, vivit, moritur, amat»;
nizzare il repertorio dei suoi canti di lavoro, sarebbe c) i Greci, stanziati «parte in Europa e parte in Asia»,
tornato a cantare «di Tristano e di Lancelotto», ossia ossia nell’area dell’impero bizantino e della cristianità
quei ‘cantari’ del ciclo bretone e carolingio nati in lin- di rito orientale. Se le sue conoscenze ellenistiche fos-
gua d’oïl ma già diffusi da noi fra il 12° e il 13° sec. in sero state meno rudimentali, Dante avrebbe potuto
ibride volgarizzazioni quali l’Orlandino franco-veneto. etichettarli per simmetria come locutori di una lin-
In questa chiave ci piacerebbe interpretare l’accenno gua del naí.
sacchettiano ai ‘nuovi volgari’, se non ce ne tratte- Per il secondo gruppo Dante non giunge tuttavia
nesse il timore della forzatura. Per Sacchetti, che sul- al pieno riconoscimento di una comune derivazione
l’ultimo scorcio del Trecento maneggia un volgare neolatina, perché nella sua visione il latino sarebbe una
fiorentino ormai normalizzato, quello municipale di gramatica, idioma artificiale e stabile a uso dei dotti.
fabbri e asinai poteva essere ‘nuovo’ solo nel senso All’interno dei volgari meridionali, limitatamente alla
accessorio del lemma latino novus ancora attestato nel loro versione letteraria, la sua analisi circola però senza
rigide barriere grazie a una loro postulata intercom- «macula sostanziale» di essere scritto in volgare e non
prensibilità. Ancora una volta la base empirica della in latino; «che per similitudine dire si può di biado
dimostrazione è assai ristretta: gli basta la perfetta coin- [orzo o altro cereale inferiore] e non di frumento».
cidenza del vocabolo amor nei versi di «Gerardus de
Brunel», del «Rex Navarre» e di «dominus Guido Gui-
nizelli» per accreditare l’esistenza di una classe di «tri- Contro li malvagi uomini d’Italia
lingues doctores» che convergerebbero «in multis», tra-
valicando barriere nazionali e sociali in nome di una Ma quale volgare? La scelta del «volgare italico»
superiore aristocrazia dello spirito. Il dettaglio appa- (Convivio I, vi, 8) o «parlare italico» (I, xi, 14) è ovvia
rirà sorprendente a chi ancora coltivasse lo stereotipo solo in apparenza, anzi è rivendicata dall’Alighieri
di una civiltà medioevale bloccata nel recinto dei par- come «luce nuova» e «sole nuovo». Prima di lui, con
ticolarismi localistici e di casta, ignorandone la dimen- intenti di divulgazione enciclopedica, storica e geo-
sione sovranazionale promossa da università e ordini grafica, avevano scritto in lingua d’oïl prosatori come
religiosi, scambi commerciali e pellegrinaggi di massa. il fiorentino Brunetto Latini (Li livre du Tresor, 1260-
Della triade citata l’unico doctor in senso proprio 1270 ca.), o i veneziani Martino Canal (Les estoires de
era infatti il bolognese Guido Guinizelli (1235 ca.- Venise, 1267-1275) e Marco Polo (Le divisament dou
1276), giurista di estrazione borghese, partigiano ghi- monde, 1299 ca.); quest’ultimo con la mediazione di
bellino, pioniere di quel dolce stil novo che difese in un ghost writer toscano come Rustichello da Pisa. Per
uno scambio di sonetti con il lucchese Bonagiunta tale produzione saggistica la scelta si giustificava anzi-
Orbicciani (1220 ca.-1290 ca., citato anche in Purg. tutto ai fini di una più larga circolazione internazio-
XXIV), il quale lo accusava di «traier canson per forsa nale, ma non senza un certo pregiudizio estetico a
di scritura», ossia di intellettualismo libresco. Al con- favore della parlata francese del Nord, definita da Bru-
trario, il trovatore Giraut de Borneil (1165-forse dopo netto Latini: «la [...] plus delitable et plus comune a
il 1211, citato anche in Purg. XXVI) è definito in una touz languaiges» e da Martino Canal quella che «cort
vida provenzale «hom de bas afar, mas savis hom [...] parmi le monde» ed è «la plus delitable a lire et a oïr
de letras e de sen natural». Quanto a Thibaut IV, conte que nule autre». Sia pure in modo più neutrale, Dante
di Champagne e di Brie, poi re di Navarra (1201-1253), riecheggia tale diffusa percezione della lingua d’oïl,
oltre che troviero in lingua d’oïl fu tra i massimi signori definendola un «vulgare prosaycum» che «propter sui
feudali di Francia, condottiero crociato, mecenate di faciliorem ac delectabiliorem vulgaritatem» è ritenuto
abbazie e università. Accomunando poeti di tre nazioni il più adatto a veicolare opere narrative di soggetto
e di profilo sociale tanto disparato, ma collocati nel- biblico e storico-epico, nonché «quamplures alie ysto-
l’arco temporale di un secolo o poco più, Dante riaf- rie ac doctrine» (De vulgari eloquentia I, x, 2).
ferma un corollario del principio di variabilità del ‘vol- Nessun consimile primato gli si riconosceva invece
gare naturale’ contrapposto alla maestosa invarianza nella produzione poetica cortese, dove restò incon-
della gramatica: cussa la precedente egemonia del provenzale, o meglio
di una costellazione di volgari occupante, a dire dello
noi differiamo dai nostri antichissimi concittadini più
che non dai nostri contemporanei più remoti. Osiamo
stesso Dante, «la parte occidentale dell’Europa meri-
perciò affermare che, se i più antichi abitanti di Pavia dionale a partire dai confini dei Genovesi», includen-
risorgessero ora, parlerebbero un linguaggio dissi- dovi la Catalogna, il Limousin e l’Aquitania a sud della
mile o diverso da quello dei Pavesi moderni (De vul- Loira. Del volgare d’oc si avvalsero poeti dell’Italia
gari eloquentia I, ix). settentrionale di estrazione perlopiù forense o mer-
cantile: Lanfranco Cigala, Bonifacio Calvo, Bartolo-
Con audace rovesciamento dialettico, lo stesso argo- meo Zorzi e Rambertino Buvalelli, facilitati dalle affi-
mento egli utilizza nel Convivio per rivendicare a sé nità dell’idioma occitanico con i dialetti galloromanzi
la novità di un approccio al volgare come strumento parlati in un’area grosso modo coincidente con le attuali
di diffusione del sapere a beneficio dei ‘laici’ che vivono regioni Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Roma-
nel presente. Non di tutti, però; bensì in primo luogo gna e parte del Veneto. Tuttavia, nella cospicua coorte
di una classe emergente nella vita del comune medioe- dei trovatori italiani, che annovera un’altra ventina di
vale: coloro che, impegnati nella «cura familiare e civile» nomi più o meno documentati, non mancano toscani
non hanno tempo da perdere «in ozio di speculazione». come Dante da Maiano, Paolo Lanfranchi e Girolamo
A costoro Dante vuole offrire il banchetto della cono- Terramagnino da Pisa, né alti feudatari quali Alberico
scenza partendo dalle ‘vivande’, ossia le proprie can- da Romano, Manfredo I Lancia, Oberto II di Bian-
zoni filosofico-dottrinali, accompagnate dal ‘pane’ di drate e Alberto Malaspina marchese di Lunigiana,
un commento dove se ne espongono i tre livelli di signi- dilettanti di rango a loro volta mecenati di trovatori
ficato secondo il modello tripartito dell’esegesi biblica professionisti di madrelingua occitana.
(letterale, allegorico e anagogico). Gran parte del primo A tale colonizzazione Dante reagisce nel Convivio
trattato del Convivio, dal capitolo v al xiii e ultimo, è con aspri accenti di requisitoria civile e morale contro
dedicata a purgare il pane imbandito ai lettori dalla «li malvagi uomini d’Italia, che commendano lo volgare
altrui e lo loro proprio dispregiano», «massimamente primo, basti ricordare che la stroncatura non rispar-
quello di lingua d’oco, dicendo che è più bello e mia alcuno dei quattordici volgari principali né delle
migliore quello che questo; partendose in ciò da la loro «variationes secundarias et subsecondiarias», il cui
veritade». Ciò fanno, egli argomenta, per «cinque abo- numero complessivo l’Alighieri calcola in un migliaio
minevoli cagioni» la cui dettagliata analisi occupa l’in- o più. Qualche limitata attenuante egli concede al sici-
tero capitolo I, xi. Assai ficcante suona la sua denun- liano, al pugliese, al bolognese e al toscano, ma non
cia della seconda cagione («maliziata escusazione»): alle relative favelle popolari, bensì alle loro versioni
culte; il che gli consente di regolare i conti con la tra-
Molti sono che amano più d’essere tenuti maestri che
d’essere, e per fuggir lo contrario [...] sempre danno dizione delle scuole poetiche precedenti. Nomi di autori
colpa a la materia de l’arte apparecchiata, o vero a lo ed esemplificazioni metriche si dispongono a comporre
strumento; sì come lo mal fabbro biasima lo ferro una galleria dei poeti ‘siciliani’ fioriti intorno alla curia
appresentato a lui, e lo malo citarista biasima la cetera, di Federico II (Guido delle Colonne, Rinaldo d’Aquino
credendo dare la colpa del mal coltello e del mal sonare e Giacomo da Lentini, forse confuso con Giacomino
al ferro e alla cetera, e levarla a sé. Pugliese), e poi dei loro successori toscani ‘di transi-
zione’ (Guittone d’Arezzo, Bonagiunta Orbicciani da
Per contro egli si propone di mostrare nel suo com- Lucca, Gallo da Pisa, Mino Mocati da Siena), per finire
mento alle canzoni «la gran bontade del volgare di sì», con una pleiade abbastanza oscura di rimatori in senso
capace di esporre «altissimi e novissimi concetti con- lato ‘bolognesi’ (Tommaso da Faenza, Ugolino Buz-
venevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi zuola, Guido Ghislieri, Fabruzzo de’ Lambertazzi,
come per esso latino» (corsivo nostro). Onesto degli Onesti) culminante nella figura di Gui-
nizelli, due volte gratificato del titolo di «maximus».
Selezione che appare tendenziosa a mo’ di un can-
Alla ricerca del volgare illustre nocchiale rovesciato. Dante, che polemizza con il
municipalismo linguistico del gruppo toscano, non
Uno sguardo alla cronologia delle opere di Dante, nasconde la sua preferenza per gli emiliani, da lui per-
secondo un prudente bilanciamento delle opinioni di cepiti come più autonomi rispetto ai modi provenza-
studiosi quali Francesco Mazzoni, Giulio Ferroni e leggianti da cui aveva preso le mosse la scuola meri-
Gianfranco Folena, ci permette di ipotizzare lo svi- dionale. In un certo modo li vede come precursori
luppo della sua ricerca linguistica in una sequenza che della perfetta poesia stilnovista di cui cita quali espo-
abbraccia con notevoli sovrapposizioni gli anni 1303- nenti di punta i suoi sodali fiorentini Guido Caval-
08 (composizione del Convivio), 1303-04 (De vulgari canti e Lapo Gianni, più Cino da Pistoia e natural-
eloquentia) e 1306-20 (Commedia), con il problema- mente sé stesso sotto la trasparente perifrasi «amicus
tico anticipo al 1300, attestato da Giovanni Boccac- eius». Quasi altrettanto eloquenti le sue omissioni.
cio, di sei canti dell’Inferno. Da cui il seguente sce- All’infuori del giudice padovano Aldobrandino de’
nario: nel primo decennio dell’esilio Dante avrebbe Mezzabati, di cui è attestata la presenza a Firenze nel
contemporaneamente lavorato in due direzioni con- 1292 come capitano del popolo, egli non riscontra fer-
vergenti onde dimostrare ai ‘laici’ e ai ‘chierici’ la piena menti di volgare ‘curiale’ in alcun autore veneto; nep-
utilizzabilità del volgare italico a fini di cultura. Nel pure nel francescano Giacomino da Verona, autore di
Convivio la dimostrazione è teorico-pratica e la scelta un poemetto sull’oltretomba del quale diremo più
del medium linguistico è un dato di partenza pacifico: avanti. Al catalogo degli esclusi appartengono altresì
Dante vi scrive in un volgare fiorentino di registro i rimatori moraleggianti lombardi come Gerardo Pa-
alto, esente da municipalismi ma consapevole della tecchio da Cremona, Uguccione da Lodi, il pavese (?)
contemporaneità e delle sue esigenze comunicative, Pietro da Barsegapè e il milanese Bonvesin de la Riva,
«però che lo volgare seguita uso, e lo latino arte». Le anch’egli autore di un viaggio in rima nell’aldilà cri-
differenze tra i volgari municipali e i problemi della stiano; né sorte migliore tocca al volgare umbro in cui
loro evoluzione diacronica sono qui appena accennati avevano poetato voci certamente note all’Alighieri:
con la promessa di trattarne «altrove più compiuta- Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi. Quanto a
mente in uno libello ch’io intendo di fare, Dio con- purezza di linguaggio, marchigiani, umbri, milanesi
cedente, di Volgare Eloquenza». e bergamaschi sono infatti squalificati fin dalla prima
In quest’ultimo l’uso del latino gli servirà a inter- tappa del suo ideale giro d’Italia; secondi solo ai
loquire in più ampia sede teorica non solo con le lin- moderni romani, utenti di un «tristiloquium [...] tur-
gue d’oc e d’oïl, ma con le pretese accampabili dai cen- pissimum» in tutto conforme ai loro corrotti costumi.
tri italiani in cui fino a quel momento si era svolta una Su altri snodi centrali del trattato (forme metriche,
produzione in volgare non riconducibile a puri fini pra- definizione dei livelli stilistici e del vocabolario in rela-
tici. Per la sua veemenza polemica condita di satiriche zione ai contenuti) non è opportuno soffermarci in
sferzate, la pars destruens del ‘libello’ dantesco viene questa sede. Ci limiteremo a notare in estrema sintesi
apprezzata ancor oggi dal curioso lettore non meno che come la somma dei requisiti necessari all’affermarsi di
dal dialettologo. Per non guastare il divertimento al un volgare che fosse insieme illustre (purificato dai
dialettismi), cardinale (di riferimento per l’evoluzione Difficilmente i loro estensori, a somiglianza di quanto
delle parlate locali), aulico e curiale (utilizzabile in una accadeva nei coevi repertori devozionali delle confra-
corte regia e nelle sue pertinenze giuridico-ammini- ternite laiche (come il celebre Laudario 91 di Cortona
strative) si scontrasse con la realtà di un’Italia indebo- o il Codice Magliabechiano II/1/122), avrebbero potuto
lita dal suo stesso ricco policentrismo, e dunque ne prescindere dall’esperienza dei provenzali. In un’ideale
facesse un obiettivo programmatico da perseguire sem- ricostruzione della biblioteca dantesca, perigliosa ope-
mai in sede politica o magari militare. Forse non è un razione spesso tentata dai romanisti senza mai giun-
caso se, al pari del Convivio, il De vulgari eloquentia restò gere a conclusioni univoche, non può mancare la
incompiuto. A partire dal 1313, con la morte in Italia sezione della poesia in lingua d’oc.
dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo e il falli- Un centinaio sono i canzonieri manoscritti giunti
mento della renovatio imperii vagheggiata da ghibellini fino a noi; fra questi i 52 di produzione italiana atte-
e guelfi moderati, dovette esser chiaro a Dante che il stano l’ampia diffusione della lirica provenzale nella
suo progetto di rivincita culturale era fallito, e che l’ege- penisola. Sembra assai probabile che, oltre l’esposi-
monia della fazione guelfa filofrancese sui comuni ita- zione alla pratica performativa in occasioni pubbli-
liani e sullo stesso papato era destinata a durare. Per che e private, Dante abbia potuto leggere alcune rac-
tutto il tempo che gli restava da vivere in esilio avrebbe colte di liriche occitaniche a Firenze, a Bologna e nelle
dedicato le proprie energie migliori al compimento della corti che frequentò durante l’esilio (in primo luogo
Commedia. Art pour l’art (e magari pour la théologie), dei Malaspina di Lunigiana, dei da Camino a Tre-
oppure continuazione della lotta politica con altri mezzi? viso e degli Scaligeri veronesi). Un consenso maggio-
Tema da lasciarsi in carico ai dantisti ex professo; dopo ritario degli studiosi si raccoglie attorno all’ipotesi
un lungo preludio, per noi è finalmente tempo di pas- che egli potesse avere accesso a uno o più canzonieri
sare al tema principale del presente contributo. afferenti al cosiddetto gruppo ADIK del ‘siglario
Bartsch’, ossia:
A) Vaticano 5232, seconda metà 13° sec.;
Le nuove lingue e la musica D) Estense di Modena, alfa.R.4.4, il più antico,
contiene 1045 titoli assemblati in area veneta (verisi-
«Quando eu stava in le tu’ cathene» e «O bella, bella»: milmente a Treviso) a partire dal 1254 o poco prima
ai primi del 2004 il mondo piccolo dei filologi medie- fino al 1320 ca.;
visti è stato messo a rumore dalla scoperta – o meglio I) Parigino, Bibliothèque nationale, Franç. 854/7225,
dal ripescaggio da schede di catalogo in precedenza seconda metà 13° sec.;
sottovalutate – di due documenti battezzati pergamena K) Parigino, Bibliothèque nationale, Suppl. franç.
ravennate e frammento piacentino. Stralciando dal reso- 2032 (già Vaticano 3204), stessa epoca.
conto di un seminario tenutosi presso l’Università di Di tutti o quasi gli autori provenzali da lui nomi-
Pavia-Cremona: «la prima [consiste] in due compo- nativamente citati, Dante poteva trovare riscontri
nimenti amorosi trascritti fra il dodicesimo e tredice- testuali e biografici nel codice estense; come si vede
simo secolo», mentre l’altro è nella tabella 1, il suo canone è un poco più ristretto di
quello compilato dopo il 1351 da Francesco Petrarca
un frammento di poesia volgare annotato verso l’ini-
(le sovrapposizioni sono in corsivo).
zio del tredicesimo secolo sulla coperta di un mano-
Di quegli autori Dante conosceva anche la musica?
scritto [...] L’interesse dei due reperti risiede innan-
A differenza di quanto accade con i canzonieri in lin-
zitutto nella loro vetustà e nelle potenziali implicazioni
gua d’oïl – corpus poetico-musicale ben più abbon-
circa gli esordi della poesia in lingua italiana e le moda-
lità della sua diffusione ed esecuzione. Il frammento
dante, ma per il quale Dante cita soltanto Thibaut de
piacentino preserva infatti la musica relativa ad una
Champagne e forse Gace Brulé, sia pure confonden-
breve porzione del testo poetico, con quest’ultimo dolo erroneamente con il primo in un passo del De
chiaramente sottoposto alla notazione. Nella perga- vulgari eloquentia (II, vi) – per il repertorio trobado-
mena ravennate, diversamente, una notazione senza rico esiste una vistosa sproporzione fra i 2542 testi
testo è vergata in modo corsivo sul medesimo lato raccolti in decine di fonti manoscritte e le 264 melodie
che accoglie anche i versi amorosi (M. Locanto, Tracce giunte fino a noi in semplice notazione non mensu-
di una tradizione sommersa..., «Philomusica on-line», rale limitata alla prima strofa. Di queste, 81 compa-
2004, 3, 1, http://dx.doi.org/10.6092/1826-9001.3.36, iono fra i 202 titoli del codice Bartsch G (Ambrosiano,
13 giugno 2016). R 71 sup.), anch’esso presumibilmente compilato, fra
1301 e 1320, in area veneta.
Pubblicazione e tentativi di realizzazione esecutiva Fra gli autori rappresentati in quest’ultimo sot-
lasciano intuire tratti di raffinatezza melismatica tali toinsieme spiccano tre nomi comuni a entrambe le
da far desiderare ulteriori scoperte del genere, ma liste suddette: Arnaut Daniel con due melodie, le uni-
finora si tratta delle uniche tracce di una tradizione che che conosciamo, Aimeric de Peguilhan con 4 e
sommersa, quella di monodie profane dugentesche in Folquet de Marselha con 13. Degli altri poeti mag-
volgare italiano. giori citati dal solo Petrarca, l’Ambrosiano porta 10
Tab. 1 - Autori citati in Dante e in Petrarca
DANTE PETRARCA
De vulgari eloquentia Trionfo dell’Amore (vv. 40-55)
con citazione di versi: Arnaut Daniel, Peire Vidal, Peire Rogier (?) oppure Peire
Giraut de Bornelh, Bertran de Born, Arnaut Daniel, Folquet Bremon (?), Raimbaut d’Aurenga, Peire d’Alvernha, Giraut
de Marselha, Aimeric de Belenoi, Aimeric de Peguilhan; de Bornelh, Folquet de Marselha, Jaufré Rudel, Guilhem de
Cabestanh, Aimeric de Peguilhan, Bernart de Ventadorn,
senza citazioni di versi:
Uc de Saint-Circ, Gaucelm Faidit
Peire d’Alvernha, Sordello da Goito

Commedia
Giraut de Bornelh, Bertran de Born, Arnaut Daniel, Folquet
de Marselha, Sordello da Goito
Il corsivo indica gli autori citati sia da Dante sia da Petrarca

melodie di Bernart de Ventadorn, 11 di Gaucelm Fai- Dante musicus?


dit e 5 di Peire Vidal. Una base statistica troppo fra-
gile per tentare qualsiasi correlazione fra gusti lette- Senza pregiudizio dell’ardita sintesi multidiscipli-
rari e musicali del sommo poeta, soprattutto alla luce nare contenuta nel saggio di Nino Pirrotta (1968) donde
dell’encomio che in Purg. XXXVI, 115-26 egli riserva è mutuato il titolo del presente paragrafo, tenteremo
ad Arnaut Daniel per bocca dell’ombra di Guinizelli: di rispondere a una domanda che potrebbe far sorri-
«fu miglior fabbro del parlar materno». dere di sufficienza i moderni chierici, ma eccitare i
Aggiungiamo che nessuna speciale competenza in praticanti di early music: era musicista Dante Ali-
campo musicale è attribuita ad Arnaut dalle vidas e ghieri? Occorre distinguere fra musica pensata, agita
dalle razos, fonti biografiche sospettabili di affabula- e descritta. Per l’uomo medioevale che ambisse a dirsi
zione romanzesca ma che su certi dettagli tecnici letterato e filosofo, il piano degli studi elementari e
mostrano sovente di apprezzare lo scarto qualitativo medi si ripartiva fra ‘trivio’ e ‘quadrivio’; nel corso
fra parola (mot) e musica (so), come pure fra l’inven- superiore avrebbe poi dovuto affrontare fisica, meta-
tio (trobar) e le azioni performative (cantar, viular). fisica, scienza morale, teologia. Un curriculum dal
Così, ad esempio, per i personaggi della lista dante- quale sarebbe emerso con la qualifica di magister artium
sca troviamo, accanto agli elogi di Folquet de Mar- e l’opzione di specializzarsi in una professione fra le
selha («mout trobava e chantava ben»), Peire d’Al- più ambite in termini di reddito e prestigio sociale:
vernha («trobet ben e cantet ben») e Sordello da Goito ecclesiastico, legista, notaio o medico.
(«fo bons chantaire e bons trobaire»), le riserve circa Nel 1295, quando una nuova legge fiorentina impo-
Aimeric de Peguilhan, il quale ebbe successo come se ai cittadini nobili di iscriversi a una corporazione
trovatore in Catalogna, Castiglia e Lombardia, eppure onde divenire eleggibili ai pubblici uffici, il trentenne
«mout mal chantava». Dante scelse l’Arte dei medici e speziali. La nobiltà
In altre vidas affiora uno schema di divisione del degli Alighieri risaliva ufficialmente al trisavolo Cac-
lavoro: Giraut de Bornelh consumava l’inverno negli ciaguida ed era certo di rango minore se il padre Ali-
studi, e nella buona stagione «andava per le corti con- ghiero poté esercitare l’attività di campsor (cambia-
ducendo due cantori che cantavano le sue canzoni», valute). Per la mentalità del tempo un figlio medico
mentre il bellicoso cavaliere Bertran de Born si ser- poteva semmai apparire una promozione sociale della
viva allo stesso scopo di un certo Papiol, probabil- famiglia, il che non significa che Dante si occupò mai
mente un joglars (giullare) capace di cantare accom- di clisteri, purghe e ricette, ma che la sua formazione
pagnandosi su uno strumento come la viella o accademica lo avrebbe messo in grado di farlo dopo
l’arpa.Tutte le necessarie competenze paiono ricom- un qualche tirocinio sotto un ‘dottor fisico’ accredi-
porsi in Aimeric de Belenoi, il quale «fu chierico ma tato. Il nostro medico virtuale si dedicò invece alla
si fece giullare e trovò buone canzoni, e belle, e av- politica e alla diplomazia, con esiti per lui funesti a
venenti». dispetto dei brillanti successi iniziali. Per quanto
Che Dante conoscesse alcune di queste vidas pare riguarda trivio e quadrivio, ricordiamo che il primo
ormai accertato dalla ricerca; qual conto ne facesse e includeva le arti minori: gramatica (latino), retorica e
quanto fosse in grado di verificarle sulle fonti musi- dialettica; il secondo le arti maggiori. Nell’ordine: arit-
cali a lui accessibili – senza dimenticare la possibile metica, musica, geometria e astrologia, a quel tempo
esistenza di varianti anche cospicue nella trasmissione non distinta dall’astronomia. Per la musica, il grigio
orale di un repertorio tardivamente fissato per iscritto paesaggio della teoria ci proporrebbe a questo punto
– resta oggetto di speculazione. Maggiori indizi sono una litania di definizioni e auctoritates, a partire dal
invece disponibili circa la sua familiarità con l’este- De musica di Severino Boezio (480-520 ca.) per finire
tica e le pratiche musicali del suo tempo. con il Tractatus de musica di Girolamo di Moravia
(fine 13° sec.), sintesi enciclopedica di quanto era stato Dante, che nel Convivio (III, xi, 9-10) condanna
pensato nel frattempo dai dottori antichi e moderni quale falso filosofo chi trascuri una sola delle «mem-
senza nemmeno escluderne l’arabo al-Fārābī (870 ca.- bra di sapienza», aveva senza dubbio studiato musica
950 ca.). A comune denominatore di tutto il sistema nella sua accezione più astratta ovvero metamusicale;
stavano le antichissime teorie pitagoriche sulle pro- quella che, secondo il vero Tommaso d’Aquino nel
porzioni numeriche fra i suoni nelle contrastanti inter- suo commento al De Trinitate di Boezio (1257 ca.)
pretazioni che ne davano Platone, Aristotele e relativi «considerat sonos non in quantum sunt soni, sed in
seguaci, ma soprattutto la tripartizione boeziana della quantum sunt secundum numeros proportionales»; i
musica in mundana, humana e instrumentalis. Dove suoni non in quanto tali, ma in quanto dipendono da
mundana era la perfetta armonia del macrocosmo tole- proporzioni numeriche. Amava anche i suoni in quanto
maico con le sue sfere celesti rotanti attorno alla Terra, tali? Sì, ma prendendo le distanze da un loro esclu-
mentre per humana s’intendeva l’armonia del micro- sivo uso edonistico a scapito di altre discipline:
cosmo, cioè delle funzioni fisiologiche e psichiche del-
sono molti che si dilettano in intendere canzoni ed
l’uomo collegate alla mundana tramite l’influsso di istudiare in quelle, e che si dilettano studiare in Ret-
pianeti e costellazioni; sicché alla cura delle malattie, torica o in Musica, e l’altre scienze fuggono e abban-
viste come squilibrio o disarmonia fra macro e micro- donano (Convivio III, xi, 9).
cosmo, doveva collaborare la scienza astrologica. Infine
la musica instrumentalis, comprensiva anche di quella Un suo commentatore, l’umanista Francesco Filelfo
vocale, era l’epifenomeno udibile di tutta la maestosa (1398-1481), lo descrive addirittura come gran vir-
rete di corrispondenze che teneva insieme l’Universo; tuoso di canto, organo e cithara, uso a far musica in
piacevole per i sensi, però in subordine rispetto ai solitudine fin nella vecchiezza, ma la testimonianza è
livelli più alti della conoscenza. troppo tarda e iperbolica per non destar sospetti. Sarà
Ma fra i saperi del Duecento il verde albero della prudente attenersi a quella più sobria di Boccaccio:
vita germogliava pure frutti di più pragmatica huma-
Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua
nitas. Certo non tutti si esprimono con la confidenza giovanezza, e a ciascuno che a que’ tempi era ottimo
divulgativa di un Brunetto Latini o dello pseudo-Tom- cantatore o sonatore fu amico ed ebbe sua usanza; e
maso d’Aquino, l’autore del breve compendio latino assai cose, da questo diletto tirato, compose, le quali
De arte musica. Per il maestro di Dante, di piacevole e maestrevole nota a questi cotali facea
musique [...] nos enseigne faire voiz et chans, et sons rivestire (Trattatello in laude di Dante, 1351-1355).
en citoles [cetre] et en orgues [organi], et en autres
estruments acordables les uns contre les autres por E ancora nel Convivio Dante descrive l’ascolto musi-
delitier la gent, ou en eglise por le service Nostre Sei- cale in termini tanto calorosi da tradire una parteci-
gnor (Tresor I, i, 4). pazione esperienziale e non meramente speculativa.
La Musica trae a sé gli spiriti umani, che sono vapori
Vocale, strumentale e magari polistrumentale; desti- del cuore, sicché quasi cessano da ogni operazione:
nata al diletto degli uomini o al servizio di Dio. Punto si è l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti
e basta. Una bella rasoiata di Guglielmo di Occam su quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono
tante speculazioni metafisiche che ai suoi lettori dove- (II, xiii, 24),
vano interessare il giusto; e qui torna in mente il citato
appello del Convivio a un nuovo pubblico immerso come a dire che tutte le facoltà psichiche si concen-
nelle cure familiari e civili. trano nel senso dell’udito in una sorta di paralisi esta-
Non meno radicalmente, l’Anonimo pseudoaqui- tica. Di musica agita si continua a parlare nel De vul-
nate accomuna nella lode la musica delle gerarchie gari eloquentia (II, viii, 5), dove l’autore teorizza la
angeliche, inaudibile dai viventi, e l’utilità sociale di superiore nobiltà della canzone (cantio) come insieme
quella terrena, «arte liberale» e «scienza» che «chiun- integrato di parola e musica: un’actio completa dicen-
que deve conoscere compiutamente (apte scire) prima tis verba modulationi armonizata. Per ‘canzone’ qui egli
di ogni altra» poiché «è abbracciata dai santi nelle loro intende – in aggiunta alla specifica coniugatio stantia-
devozioni, serve ai peccatori per domandare perdono, rum, forma metrica di cui aveva realizzato più varianti
conforta i melanconici, allevia gli spiriti afflitti, nella Vita nuova e nel Convivio – anche la meno aulica
infonde coraggio ai combattenti». Il suo corollario ballata, il sonetto e qualsiasi testo musicato a regola
pedagogico, fondato sull’auctoritas di Isidoro di Sivi- d’arte su parole in volgare («verba [...] armonizata vul-
glia (560 ca.-636), è tale da incutere vergogna a più gariter et regulariter»). Tale operazione è inaccessibile
di un odierno intellettuale italico: l’analfabetismo all’organista o al suonatore di strumenti a fiato (tibi-
musicale non è meno vergognoso di quello letterario. cen) e a corda (cytharedus), il contributo dei quali è
Non minus est dedecus nescire canere quam litteras igno- definito con interessante commistione di termini anti-
rare, motto che oggi si vorrebbe vedere inciso sulla chi e recenti: modulatio, sonus, tonus, nota, melos. Alla
facciata di certi palazzi parlamentari e ministeriali modulatio si attribuisce comunque una funzione di
della Repubblica. minor rilievo giacché si possono dare canzoni senza
musica ma non viceversa; tesi non conforme a quella omiletiche: De Babilonia civitate infernali (1230 ca.)
enunciata dal trovatore marsigliese Bertran Carbonel e De Ierusalem celesti (1265 ca.). Si noti che la dot-
(floruit 1252-1265): «Cobla ses so es enaissi/ co·l molis trina del Purgatorio, benché adombrata in vari scritti
que aiga non a» (strofa senza melodia è simile/ al mulino dei Padri della Chiesa, era stata eretta a dogma sol-
che non ha acqua). tanto dal secondo Concilio di Lione (1274). Lo schema
Non a caso, è però nella Commedia che si esprime metrico è pressoché identico a quello di Bonvesin: 154
la summa teorico-pratica del pensiero dantesco sul- quartine monorime di alessandrini con frequenti asso-
l’argomento. Qui la musica, reintegrando via via in nanze di sapore popolaresco. Si veda la tabella 2 com-
superiore unità le tre suddivisioni boeziane, si fa spec- parativa di temi e topoi musicali nei due autori.
chio dell’ordine universale; contemplarla, ascoltarla ‘Re de gloria’ può essere il Padre (v. Salmo 23) o
e descriverla equivale a esprimere il geroglifico del- il Figlio (v. Te Deum); comunque farne un maestro di
l’Universo così nella sfera fisica come nei regni del- cappella è visione ardita in tutto degna di un poeta
l’aldilà. Dunque se nell’Inferno impera la cacofonia francescano, membro cioè di un ordine religioso il cui
e in Purgatorio la monodia, nel Paradiso si ascende fondatore reclamava per sé e i suoi il titolo di «giul-
verso forme di armonia e polifonia sempre più com- lari di Dio» (v. Legenda antiqua Sancti Francisci, n.
plesse (cfr. De Benedictis 2000). Questo il disegno 1592). Vale la pena di soffermarsi sul relativo passo
generale, difficilmente contestabile pur se aperto nei della Ierusalem giacominiana (vv. 157-70), che fra l’al-
dettagli a contrastanti interpretazioni sulle quali tor- tro contiene una descrizione tecnicamente dettagliata
neremo più avanti. di pratiche polifoniche avanzate, forse la più antica
nella letteratura d’invenzione in volgare italiano. Il
testo critico è quello stabilito nel 1941 da Gianfranco
Viaggi musicali nei tre regni Contini, la traduzione è nostra.
Mai no fo veçù, / né mai no se verà,
Come accennato in precedenza, descrizioni lette- de nexun om teren / sì gran solempnità
rarie dell’oltretomba cristiano erano già nate nella let- cum fa quig[i] cantator / suso en quella cità
teratura volgare del Duecento italiano. Dato e non con- davanço el Re de gloria / e la Soa maiestà:
cesso che Dante ne avesse notizia, sarebbe ozioso ké le soe voxe è tante / e de gran concordança
paragonarle alla Commedia per dimensioni, strumen- ke l’una ascendo octava / e l’altra en quinta canta,
tazione dottrinale e vigore poetico, o peggio parlare di e l’altra ge segunda / cun tanta deletança
precursori, come ogni tanto si fa suonando la tromba ke mai oldia no fo / sì dolcissima dança.
del sensazionalismo. Tuttavia, proprio nel campo della E ben ve digo ancora / en ver, sença bosia,
musica descritta la rivisitazione di simili testi verna- ke, quant a le soe voxe, / el befe ve paria
colari, poco rappresentati nelle antologie scolastiche, oldir ce[t]ra né rota, / organ né simphonia,
può offrire spunti di un certo interesse da mettere in né sirena né aiguana / né altra consa ke sia:
serie con il capolavoro dantesco e anche con l’icono- emperçò ke ‘l Re / ke se’ su lo tron santo
grafia degli angeli musicanti, assai diffusa nel Medioevo sì ge monstra a solfar / et a süir quel canto.
sui portali e sulle vetrate delle cattedrali, nei mano- Mai non fu veduta / né mai si vedrà,
scritti miniati, negli affreschi e nelle tavole dipinte. da alcun mortale / così gran solennità
Quasi inesistenti fino al Quattrocento sono i reperti come fanno quei cantori / lassù in quella città
materiali del relativo strumentario; le testimonianze davanti al Re della gloria / e alla Sua maestà:
letterarie, sia pur minori, rappresentano una preziosa ché le loro voci sono tante / e di grande armonia
fonte aggiuntiva per i costruttori di copie induttive, i che una sale all’ottava / e l’altra canta alla quinta,
cultori di prassi esecutive storicamente informate, i e l’altra l’asseconda / con tanto diletto
loro clienti e seguaci di ogni livello, dal volonteroso che mai fu udita / danza altrettanto dolce.
dilettante al professionista di giro. E ben vi aggiungo / in verità, senza bugia,
Il Libro delle tre scritture (ante 1274) del poligrafo che, quanto alle loro voci, / vi parrebbe uno scherzo
udire cetra o crotta, / organo o sinfonia,
milanese Bonvesin de la Riva (ca. 1240-dopo il 1313)
o sirena o iguana, / o qualsivoglia altra cosa:
è un poema di 527 quartine di alessandrini in koinè poiché il Re / che siede sul trono santo
lombarda, scelta non ovvia per uno che era doctor in gl’insegna a solfeggiare / e condurre quel canto.
gramatica. Con la Commedia ha in comune la suddi-
visione in tre cantiche: De scriptura nigra, che narra Poche glosse linguistiche sui termini terreni di com-
le dodici pene dell’Inferno, De scriptura rugia [rossa], parazione con il coro celestiale: la crotta (rota, rotta)
dedicato alla Passione di Cristo, e De scriptura aurea, è una lira ad arco di presunta origine celtica (crwth);
illustrante la «corte divina» e le dodici glorie dei beati. per sinfonia, oltre che alla zampogna, si può pensare
Giacomino, forse protagonista di una carriera clau- a una variante della ghironda, cordofono ad arco con-
strale dalla natia Verona a Treviso e Venezia fra la pri- tinuo azionato tramite una manovella; aiguana (anche
ma e la seconda metà del Duecento, scrisse in volgare iguana o giana, cfr. il sardo iana) compare talora nei
veronese due poemetti didattici, o meglio giullarate bestiari medioevali come una fata delle acque e delle
Tab. 2 - Temi e topoi musicali ricorrenti in Bonvesin de la Riva e in Giacomino da Verona
BONVESIN GIACOMINO
musica nella «sexta pestilentia»: canti di trionfo dei demoni all’arrivo di ogni nuovo
diaboli grida, minacce, bestemmie, lamenti e caotico dannato, loro versi animaleschi (urla como luvi e baia
fragore (stremirio, strabusenadha); tutti i più dolci como can), crudele rumore (fero remor) che da solo
suoni della natura e dell’arte musicale non possono sarebbe pena sufficiente a punire i dannati
bilanciare la pena inflitta dalla voce di un solo
demonio

musici in cielo: in cielo:


non umani «quinta gloria»: paggi musicanti (donzei adorni e angeli, santi suddivisi per categorie (patriarchi,
presti) al servizio dei beati ascoltatori passivi; profeti, apostoli, martiri, confessori e vergini); il «Re
«sexta gloria»: angeli al diretto servizio di Dio, de gloria» dirige di persona il coro polifonico dei
suddivisi nei nove ordini dello pseudo Dionigi beati
in natura: in natura:
uccelli: giane o iguane (ian), allodole (lolder), uccelli: kalandrie e risignoli et altri begi oxegi
calandre (galandrie), usignoli (lissinioi ) creature favolose: sirena, aiguana

stili, forme, in Terra: in cielo:


repertorio anovelet urban, cunti de Rolando, cunti de luxuria, psalmodie, cancon, una prosa il cui canto si riserva in
[cunti] de alcun bon sancto, versi dre viole; esclusiva alle anime delle vergini consacrate;
in cielo: dossologie trinitarie: Sanctus, Gloria Patri;
versit de cortesia, canzon de cortesia; canzoni a ballo antifone e inni mariani: Salve Regina, Alma
cantate in antifonia dagli angeli (oltri en ke dis Redemptoris, Stella matutina
inanze e oltri respondente)

strumenti a fiato: a fiato:


zufoletti (segurei), pive (dian), cennamelle celamelli
(caramelle)
a corde soffregate: a corde soffregate:
vielle e/o ribeche (viol ); vïole, crotta (rota/rote)
a tastiera: a tastiera:
organo [portativo] (organ/organi ); organ
a percussione: a corde pizzicate:
tambur cetra;
di natura indecisa: di natura indecisa:
symfonìa simphonia

estetica registro acuto degli uccelli (olcel sopran) opposto a tutte le contrade di Paradiso risuonano di strumenti
timbrica quello grave delle voci demoniache (vox sotan); cun vox melodïae; i beati cantano ad alta vox de testa
in Paradiso:
dulz versi, canti con delectevre (dilettevole) acordo,
stradulci canti con grand strasonaria (risonanza),
canti stradolcissimi

grotte dotata di canto ammaliatore al pari della classica Sommo Maestro e scossi da correnti di energia in tutte
sirena, ma in alcuni dialetti nord e centro-italici pare le membra – mani, cuore, piedi, occhi – potrebbe sug-
identificabile con l’airone cinerino. L’accezione orni- gerire un’esecuzione quanto mai vibrante, aperta a
tologica è favorita dal contesto in Bonvesin, quella favo- variazioni contrappuntistiche ‘alla mente’ a mo’ di
loso-antropomorfa in Giacomino e in più tarde fonti jam session. La mirabile prosa senza titolo cantata dalle
madrigalistiche dell’Ars nova quali il Codice Vaticano monache davanti a Cristo e alla sua Madre può rispon-
Rossi 215, veneto, e il Panciatichi 26, fiorentino. La dere invece al genere delle sequenze allelujatiche in
musica eseguita dai beati è senza dubbio un organum gregoriano, intonate da un(a) solista in alternanza con
quadruplum, dove il tenor, o vox principalis, è armo- un coro a due voci nota contro nota.
nizzato da un superius all’ottava (in diapason), un altus Altre glosse sparse: il catalogo bonvesiniano dei
alla quinta (in epidiapente) e da un bassus forse alla quarta repertori terreni evoca l’esecuzione pubblica – tipi-
inferiore (in diatessaron). Purtroppo fra Giacomino non camente realizzata da un giullare o cantastorie con
specifica se le tre voces organales procedano unicamente ricorrente intonazione strofica accompagnata da uno
per moto parallelo oppure si concedano melismi strumento a corda – di ‘cantari’ del ciclo carolingio
improvvisati o spunti di moto obliquo e contrario. (cunti de Rolando) e bretone (cunti de luxuria; come le
Sarebbe chiedere troppo, sebbene la successiva descri- vicende di Tristano e Isotta o di Lancillotto e Gine-
zione dei cantori in estasi nella contemplazione del vra). A tali soggetti futili e moralmente pericolosi (cfr.
«Galeotto fu il libro e chi lo scrisse», Inf. V, 137), era di Dante (Convivio III) musica di Casella purtroppo
meglio preferire, deplora tardivamente un dannato, i perduta, ammesso che sia mai esistita. Tutti, compreso
cantari agiografici (de alcun bon sancto). Ancora: le Virgilio e le anime in attesa di salire il monte, ne restano
‘novellette urbane’ paiono rimandare a un repertorio incantati, finché non giunge a rampognarli Catone Uti-
comico-realistico o comunque borghese, di cui è inte- cense, l’austero guardiano del luogo. Nel corso della
ressante la distinzione rispetto a versit (versetti) e can- sua ascesa alle stelle Dante farà altri incontri musicali
zoni ‘di cortesia’, cioè amorose e cavalleresche. di vario livello, come il liutaio Belacqua, uomo di pro-
Tornando al viaggio di Dante nell’aldilà, occorre verbiale pigrizia (canto IV), i trovatori Sordello da
avvertire il lettore che un’accuratissima cartografia Goito (canti VI-VII) e Arnaut Daniel, il quale piange,
delle sue stazioni musicali si trova già in forma di in musica e in lingua provenzale, i suoi peccati: «Ieu
repertorio alfabetico per lemmi nell’Enciclopedia dan- sui Arnaut, que plor e vau cantan» (canto XXVI, 142).
tesca Treccani, imponente impresa interdisciplinare Per non parlare dei molti brani di uso liturgico che
cui lavorarono negli anni Settanta del Novecento i risuonano sulle bocche delle anime purganti; si pre-
maggiori specialisti dell’epoca. sume in canto gregoriano, ma talora a voce sola, talal-
Come nei poemetti di Bonvesin e Giacomino, non tra come coro all’unisono, in alternanza antifonica o
ci sono musicisti all’Inferno. Il mitico cantore Orfeo in combinazione di soli e coro. Evidente la loro fun-
sta nel Limbo a fare anticamera con gli spiriti magni zione catartica, volta perlopiù a cancellare i residui
che non conobbero Cristo: l’élite morale e intellettuale dei peccati commessi meditando sulle virtù contrarie
del mondo classico da Omero a Giulio Cesare e Vir- e sulla divina misericordia. Il loro catalogo include
gilio, più due musulmani come Averroè e il Saladino. l’antifona mariana Salve Regina, due antifone per il
Alloggiati in un confortevole castello, sono in preda proprium Missae, tre citazioni dall’ordinarium e altret-
a un «duol sanza martìri» (Inf. IV, 28) ; dopo il giorno tanti inni, sei salmi, due allusioni parafrastiche alle
del giudizio potranno sperare nell’amnistia (apokatà- litanie dei santi e a un responsorio basato sul Cantico
stasis)? Dante evita di pronunciarsi su tale antica tesi dei cantici. Nel 13° sec. era ancora lontana la tipizza-
teologica sospetta di eresia. Di dannati a pieno titolo zione unica del rituale romano; arduo immaginare
c’è solo Bertran de Born, il cavaliere-trovatore che quali intonazioni e quale stile melodico (sillabico,
aveva abusato della propria arte per spingere alla guerra semiornato o melismatico) Dante avesse in mente di
civile il regno d’Inghilterra. Lo troviamo nel girone volta in volta. Magari a partire dalla sua esperienza di
dei «seminator di scandalo e di scisma» in compagnia cristiano fiorentino praticante, visto che i suoi scritti
di Maometto e altri eresiarchi; passeggia e si lamenta teorici non contengono accenni in materia.
reggendo in mano la propria testa recisa (Inf. XXVIII, Un salto di qualità avviene con l’entrata nel Para-
112-42). diso terrestre, e poi con l’ascesa lungo i nove cieli mobili
La non musica infernale è riservata al gigante Nem- del Paradiso vero e proprio dove ormai tutto è musica
brod, il progettista della biblica torre di Babele. Sof- («la dolce sinfonia di Paradiso» evocata in XXI, 59).
fiando nel suo smisurato corno costui produce un Proseguono beninteso i canti liturgici e le monodie in
rumore più forte di ogni tuono, poi lancia orrendi latino e in volgare; anzi cantano un po’ tutti: dagli
vocalizzi in un gergo dalle vaghe assonanze semitiche «augelletti per le cime» ai ventiquattro seniori, da Pic-
ironicamente paragonato a un salmo (Inf. XXXI, 67- carda Donati a Matelda e alla biblica Lea, sorella di
69). E in chiusura del XXI canto udiamo lo scambio Rachele, dal trisavolo Cacciaguida degli Alighieri a
di segnali paramilitari fra il caporale Barbariccia e i san Pietro e a Giustiniano. Ed è proprio l’antico basi-
suoi diabolici soldati: «Per l’argine sinistro volta dienno; leus bizantino che, in apparenza ben informato sugli
/ ma prima avea ciascun la lingua stretta / coi denti ultimi progressi dell’arte, rende conto al Poeta del-
verso lor duca per cenno; / ed elli avea del cul fatto l’uguale felicità di tutti i beati, anche i meno vicini a
trombetta» (136-39). Fanfara di pernacchi con peto Dio: «Diverse voci fanno dolci note; / così diversi scanni
solista; l’ignobile concerto evoca nell’immaginazione in nostra vita / rendon dolce armonia tra queste rote»
del Poeta un affresco alla futura maniera di Ambro- (VI, 124-26). Danzano pure, come le tre ancelle di
gio Lorenzetti: eserciti in marcia fra castelli e navi, Beatrice che nel canto XXXI del Purgatorio intrec-
battaglie e tornei combattuti a suon di trombe, cam- ciano un «angelico caribo», una danza in tondo certo
pane, tamburi e cennamelle (Inf. XXII, 1-12). Pezzo molto somigliante al genere profano e amoroso della
di bravura descrittiva concluso da uno sberleffo che canzone a ballo. E continuano i richiami al trobar pro-
schernisce la natura ‘diversa’ – cioè strana, insolita – venzale; uno palese, l’incontro con Folchetto da Mar-
di quella cennamella corporea. siglia (canto IX), l’altro occulto (XX, 73-75) dove
La magia della musica ricompare solo nel secondo Dante riecheggia la quartina iniziale della più celebre
canto del Purgatorio, dove il primissimo incontro di canso di Bernart de Ventadorn: «Can vei la lauzeta
Dante è con un caro amico: il musico Casella. Una rim- mover / de joi sas alas contra·l rai, / que s’oblid’e·s laissa
patriata che è una discreta autopromozione, giacché il chazer / per la doussor c’al cor li vai»; nella parafrasi
vivo prega il morto di cantargli qualcosa, e la scelta dantesca in terzine: «Quale allodetta che ’n aere si spa-
cade proprio su Amor che nella mente mi ragiona, parole zia / prima cantando, e poi tace contenta / de l’ultima
dolcezza che la sazia». Oltre un secolo dopo la morte Il passo dantesco in questione, tuttora al centro di
dell’autore originale, la stupenda canzone della lodo- recentissimi dibattiti, parla di «cantar con organi», prassi
letta continuava a circolare, come attestano le molte che lo studioso statunitense riferiva non già allo stru-
fonti manoscritte e i rifacimenti in più lingue, anche mento bensì all’organum vocale polifonico. Sullo sfondo
in grazia della sua ‘moderna’ gravitazione cadenzale e del suo deciso riduzionismo stava la denuncia di un
di una melodia continua ricca di espansione lirica pur deserto di fonti italiane in notazione polifonica fra il
entro un ambito che eccede di poco l’ottava. Codice laurenziano plut. I/29, collezione di organa e
La vera novità della musica paradisiaca sta però conductus di provenienza parigina databile fra 1245 e
nella sua dimensione polifonica, dalle forme più anti- 1255, e i primi testimoni di un’Ars nova italiana nata
che (bordone, discanto) fino a ipotesi di contrappunto verso il 1330 a partire dalle figure di Giovanni da Cascia,
più moderne o addirittura futuribili adombrate in allu- Jacopo da Bologna e i due padovani Bartolino e Gra-
sioni che hanno destato accese controversie fra gli ese- zioso. Non una ma due Artes novae, due correnti distinte
geti a causa di una terminologia elusiva, circa la quale e distanti per forme metriche, sistemi di notazione, lin-
Guido Salvetti fa però sensatamente notare: «la pre- gua dei testi intonati: l’italiana influenzata da moduli
sunta genericità di tali riferimenti, determinata in trobadorici e popolari, la francese derivata per li rami
primo luogo da un linguaggio non tecnico, è spesso dalla precedente scuola ecclesiastica di Notre Dame.
riducibile a brevità e laconicità» (1971, p. 162). E di La questione si riaprì nel decennio successivo con
rincalzo Giulio Cattin: «nel Duecento in Italia non era la scoperta di documenti toscani e veneti circa prati-
nota una denominazione univoca e comune a tutti per che di polifonia sacra cui Dante dovette essere espo-
indicare l’esecuzione a più voci» (1995, p. 44). sto sin dagli anni fiorentini, e ancor più nelle sue pere-
grinazioni di esule (v. in particolare Cattin 1995 e
1998). Ciò anche a prescindere dalla sua ambasceria
La polifonia in Dante: vecchie alla corte pontificia, dove Bonifacio VIII, cui fin dagli
interpretazioni e nuovissime polemiche anni universitari era familiare la via di Parigi, colle-
zionava codici di organa, conductus e mottetti in nota-
Dante moriva nella notte fra il 13 e il 14 settem- zione mensurale francese. Vero è che teneva a libro
bre 1321. E qui c’imbattiamo in un’insidia della sto- paga Bonaiuto da Casentino, modesto seguace del-
riografia manualistica e delle sue pur utili periodiz- l’Ars antiqua del quale è nota una curiosa sequentia a
zazioni. Al triennio 1319-21 risalgono i due trattati due voci (Haec medela corporalis) per allietare una
Notitia artis musicae di Johannes de Muris e Ars nova seduta purgativa del suo signore secondo il concetto
di Philippe de Vitry, da cui si fa datare la sistemazione già esposto di musica humana. Dopo l’esilio anche
teorica di un nuovo stile musicale e di un sistema di Dante fu a Parigi? Lo credeva Giovanni Villani pare
notazione mensurale atto a registrarlo. Ars nova /Ars confermarlo un passo in Par. X, 133-38. Certo è che
antiqua, così come in campo poetico si era parlato di i suoi spostamenti fra il Veneto e la Romagna si sovrap-
«dolce stil novo»; ed è ironico che quest’ultima defi- pongono alla carriera del teorico e compositore d’avan-
nizione Dante la faccia coniare a titolo di pentimento guardia Marchetto da Padova. Due i periodi di spe-
postumo da un esponente della vecchia scuola siculo- ciale interesse: a Padova nel 1305-08 e a Verona nel
toscana: il già citato Bonagiunta Orbicciani. Se, come 1309-18. Per il primo si segnala l’inaugurazione della
opinano le cronologie più attendibili, l’ultima cantica Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto (25
della Commedia fu composta fra il 1316 e il 1320, marzo 1305), cui forse rimanda il mottetto politestuale
quanto di quella formidabile rivoluzione musicale a tre voci di Marchetto Ave Regina celorum / Mater
avrebbe fatto in tempo a filtrare nei suoi versi? Molto, innocencie. Circa il secondo abbiamo la testimonianza
aveva affermato sin dal 1904 Arnaldo Bonaventura, di ‘Immanu’el ben Šelomoh alias Manoello, poeta
erudito bibliografo e critico musicale livornese, alli- giudeo-romano che descrive con floride onomatopee
neando un’ampia scelta di passi. Nulla o quasi, soste- le attività musicali e il clima cosmopolita presso la cor-
neva la potente musicologia anglofona di metà Nove- te di Cangrande Della Scala. Il suo poemetto intitolato
cento, certo più versata nello spoglio delle fonti Bisbidis (dopo il 1312) si compone di 53 quartine ani-
musicali che non nell’esegesi dei testi in lingua ita- sometriche in stile giullaresco. Vi compaiono fra l’al-
liana antica o moderna. tro «Viole et flaùti / voci alt’ e agute» (ancora l’estetica
Per tutti Leonard Ellinwood affermava ore rotundo timbrica di Bonvesin e Giacomino!); poi «bon cantori
a proposito di Dante: con intonatori», «trovatori» e torme di «Tedeschi / Latini
Le allusioni alla musica nelle opere minori parlano et Franceschi / Fiammenghi e Ingheleschi».
di molti aspetti della musica profana, ma descrivono In tale crogiolo multiculturale poteva mancare a
le monodie del secolo precedente. A parte la soprad- Dante, ospite stabile in quella corte, l’occasione di
detta citazione [Purg. IX, 144] non esistono riferi- familiarizzare con le ultime tendenze della musica
menti che possano rimandare alla nuova polifonia d’Oltralpe? Vien voglia di dar ragione a Francesco
descritta dagli autori successivi (The new Oxford Ciabattoni, il giovane italianista che nel suo volume
history of music, 3° vol., 1960, p. 40). Dante’s journey to polyphony (2010) sostiene con gran
copia d’indizi e profusa rassegna delle più recenti sco- ‘mirabili proportione’ con le altre. In subordine,
perte archivistiche: aggiungiamo noi sempre restando nel futuribile, si
potrebbe anche intendere: due ‘ternari’ angelici can-
Le prove storiche e musicologiche ci dicono come
Dante fosse talmente esposto alla polifonia che in tano all’unisono e uno a tre voci; totale cinque.
effetti dovremmo stupirci se egli non avesse fatto del Sulla scorta di altri commentatori coevi e del senso
canto polifonico un elemento importante del suo comune, Ciabattoni (2010, p. 167) scarta la suddetta
poema (p. 11). ipotesi di Bonaventura come «disgraziata» (ill-fated),
preferendo parlare di organum a tre voci. Quanto a
Ma gli dà sulla voce il collega Riccardo Drusi Drusi (2013), non pare considerare con serietà nep-
(2013), diffidente verso il paradigma indiziario e soste- pure la versione più prudente. Per lui non uno solo
nitore di una scepsi da advocatus diaboli cui non sono dei primitivi esegeti della Commedia
estranei il cavillo retorico e il sarcasmo.
ha il potere di smentire categoricamente un eventuale
Non senza buoni argomenti, Ciabattoni si difende
correlativo polifonico dei passi danteschi; ma proprio
dal suo critico in un successivo saggio monografico perché rappresenta l’approccio alla Commedia da parte
(2015); entrambi i duellanti sono armati di vasta eru- di quelli che lo stesso Dante poteva presumere sareb-
dizione e vigore argomentativo, sicché si presume che bero stati i suoi lettori ideali [sic!], quanto a equipag-
lo scontro possa continuare a beneficio della loro repu- giamento dottrinale, ciascuno di questi esegeti per
tazione accademica oltreché, in via subordinata, della proprio conto rivela nella sostanziale indifferenza per
problematica in oggetto. Dai primi fendenti par piut- l’una o l’altra possibile connotazione musicale, melo-
tosto di rivivere le dispute della Scolastica fra realisti dica o polifonica che voglia essere, la parallela irrile-
e nominalisti: nei superstiti tronchi di una foresta vanza della connotazione stessa in rapporto agli obiet-
disboscata dal tempo Ciabattoni scorge il piano pre- tivi semantici del testo (p. 46).
stabilito di un bel giardino alla francese; Drusi un
ammasso pietrificato di fenomeni dalla consistenza Meglio una sintesi ambiziosa, benché ipotetica e
impenetrabile. Anche per il secondo esisterebbe nella largamente rivedibile, o la tabula rasa? Al paziente
Commedia una sola attestazione univoca di polifonia, lettore che fin qui ci ha seguito porgiamo pochi essen-
ma – diversamente da Ellinwood – egli la colloca in ziali sussidi bibliografici onde possa evadere dalla selva
Par. VIII, 17-18: «e come in voce voce si discerne / oscura della ‘semiosi ermetica’ (copyright Umberto
quand’una è ferma e altra va e riede». Meno sicura Eco) senza farsi sbarrare il passo dalla lonza del pen-
ritiene quella di Purg. XXVIII, 16-18, dove si men- siero debole.
ziona un elementare discanto fra i gorgheggi degli
uccelli e il ‘bordone’ (ecco un termine tecnico!) tenuto
dallo stormire delle foglie. Bibliografia
E l’Osanna dei nove ordini angelici cantato «con
tre melòde, che suonano in tree / ordini di letizia onde A. Bonaventura, Dante e la musica, Livorno 1904 (rist. anast.
Sala Bolognese 1978).
s’interna» (Par. XXVIII, 119-20)? L’esegesi letterale N. Pirrotta, Ars Nova e stil novo, «Rivista italiana di
offertane da Bonaventura (1904, pp. 127-28) vi scor- musicologia», 1966, 1, pp. 3-19.
geva «nientemeno [che] un coro a 9 parti reali», ossia N. Pirrotta, Dante ‘musicus’. Gothicism, scholasticism, and
un organum a nove voci. Passeranno ancora tre secoli music, «Speculum», 1968, 43, pp. 245-57 (trad. it. in N.
prima che la musica dei mortali possa realizzare cotanta Pirrotta, Musica tra Medioevo e Rinascimento, Torino
impresa, eppure si sa che a Dio nulla è impossibile, e 1984).
Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana, 6
del resto non mancavano certo a Dante le facoltà di
voll., Roma 1970-1978, ad voces.
estrapolazione visionaria dal dato empirico. Inoltre, G. Salvetti, La musica in Dante, «Rivista italiana di
un tenue appoggio si potrebbe cercare nel trecente- musicologia», 1971, 6, pp. 160-204.
sco Comentum di Benvenuto Rambaldi da Imola, dove G. Cattin, Il Medioevo I, in Storia della musica, a cura di A.
«omnes angeli dictorum novem ordinum [...] cantabant, Basso, 1° vol., parte II, Torino 1979.
hosanna, idest, salvifica, quia omnes praecantur salu- G. Cattin, “Secundare” e “succinere”: polifonia a Padova e
tem omnium» e il secondo ‘ternaro’ angelico, formato Pistoia nel Duecento, «Musica e storia», 1995, 3, pp. 41-
120.
da Dominazioni, Virtù e Potestà, G. Cattin, Novità dalla cattedrale di Firenze: polifonia, tropi
cantat hosanna, sicut et alii de aliis choris, [...] con tre e sequenze nella seconda metà del XII secolo, «Musica e
melode, scilicet, trium cantuum, quia omnis ordo facit storia», 1998, 6, pp. 7-36.
R. De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella Divina
suum cantum distinctum [...] qui tamen omnes mira- Commedia, Fucecchio 2000.
bili proportione conveniunt et consonant (a cura di F. Ciabattoni, Dante’s journey to polyphony, Toronto 2010.
G.F. Lacaita, 5° vol., 1887, pp. 417 e 419; il corsivo R. Drusi, Musica polifonica nella Commedia: indizi storici e miti
è nostro). storiografici, «L’Alighieri», 2013, 53 (42 n.s.), pp. 5-58.
F. Ciabattoni, Il dolce ruggito del tuono: per un’interpretazione
Ergo, se tutti cantano a pro di tutti, ognuno dei di Purgatorio IX 144 e Paradiso XVII 44, «Dante e l’arte»,
nove ordini avrà la sua melodia distinta e consonante 2015, 2, pp. 65-86.

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